Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Calabria

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7033 del 2023, proposto da Ii. Ca. in proprio e quale legale Rappresentante della ditta Individuale Ja. Vi. di Ii. Ca., rappresentate e difese dagli avvocati St. Zu., e Vi. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vi. Ce. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Sm. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via (...); Regione Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura - Soprintendenza per Belle Arti e Paesaggio della Calabria, Agenzia del Demanio, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Meridionale, Ente Parco Nazionale dell'Aspromonte, Città Metropolitana di Reggio Calabria, Regione Calabria - Servizio Tecnico Regionale Vigilanza e Controllo Oo.Pp. Norme Sismiche, Sc. Fr., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria n. 41/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Regione Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini e uditi per la parte appellante l'Avv. Vi. Ce.; Viste le conclusioni delle parti appellate come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto avverso la determinazione dirigenziale del Comune di (omissis) in data 19 maggio 2021, avente ad oggetto l'annullamento del provvedimento di aggiudicazione di area demaniale marittima. La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze in fatto 1. Con determina del 27 gennaio 2020 il Comune di (omissis) approvata il bando di gara per la concessione dei lotti individuati nel Piano Comunale di Spiaggia approvato con determina dirigenziale n. 62 del 9 aprile 2019 della città Metropolitana di Reggio Calabria. La ricorrente partecipava alla procedura presentando la propria offerta per il lotto C1 (area attrezzata per la sostanza di camper e/o roulotte). Il progetto presentato prevedeva la realizzazione di un'area da adibire ad attività di pubblico interesse, ovvero: Area giochi per bambini, con l'installazione di giochi gonfiabili e giochi smontabili; Area piscina, con ombrelloni, realizzata in vetroresina già prefabbricata, facilmente amovibile; Punto attività collettive, mediante l'installazione di un chiosco/gazebo; Area barbecue, mediante l'installazione di un barbecue; Aree di parcheggio camper, con pavimentazione di tipo permeabile, ombreggiata, con pergolato in legno amovibile di dimensioni pari a circa m 6,00 x,8,00; Punto di bar/ritrovo, con il posizionamento di sedie e tavolini; Punto lavanderia; Punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzatura sanitaria; Servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. All'esito della valutazione delle proposte progettuali secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa la ditta risultava aggiudicataria. Con determinazione n. 28 del 17 aprile 2020 il responsabile dell'Area Tecnica e Territorio - Servizio II, approvava i verbali di gara nonché l'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dando atto che la procedura di rilascio delle concessioni demaniali si sarebbe perfezionata solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D. Lgs. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative col rilascio dei necessari titoli abilitativi. Così come previsto dall'art. 14 del bando di gara la ricorrente presentava apposita richiesta presso lo Sportello Unico Attività Produttive del Comune di (omissis) preordinata al rilascio delle necessarie autorizzazioni. Con nota prot. 14914 del 23 dicembre 2020 il Comune indiceva apposita conferenza di servizi ex art. 14 e ss. della legge n. 241/90 per l'acquisizione dei pareri, intese, nulla osta o altri atti d'assenso assegnando alle amministrazioni coinvolte i relativi termini per richiedere integrazioni (7 gennaio 2021), esprimere pareri, assensi o nulla osta (22 febbraio 2021), nonché per l'eventuale riunione di conferenza in modalità sincrona (5 marzo 2021). Con successiva nota prot. n. 1929 dell'11 febbraio 2021, resosi necessario reiterare l'invio della documentazione necessaria, veniva disposta la riapertura dei termini per la produzione dei pareri. Con nota prot. n. 4511 del 31 marzo 2021 veniva comunicato alla ricorrente l'avvio del procedimento di annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione avendo il Comune preso atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi. Come rilevato, invero, dalla Regione Calabria, con nota del Dipartimento Tutela dell'Ambiente del 17 marzo 2021, l'art. 11 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte delle Norme Tecniche del Piano Comunale di Spiaggia stabilisce al punto 10 che: "11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia" - "i manufatti previsti nel progetto superano la superficie assentibile prevista dall'art. 11 punto 10 delle NTA del PCS che prevede esclusivamente la possibilità di realizzare un manufatto di dimensioni massime pari a mq. 30 come sopra specificato - L'art. 11 delle NTA non prevede la possibilità di realizzare manufatti da destinare a lavanderia, alloggio per il custode, bar e piscina. Il Comune prendeva, pertanto, atto della non conformità del progetto proposto con la disciplina che norma l'area di cui trattasi, in ragione della quale non possono essere inserite le strutture previste, che superano le dimensioni massime consentite in termini di superfici e possiedono destinazioni di utilizzo non contemplate nella norma del piano attuativo vigente, comunicando l'avvio del procedimento finalizzato all'annullamento in autotutela dell'aggiudicazione del lotto C1 alla ditta Ii. Ca., alla quale veniva assegnato un termine di quindici giorni per presentare eventuali osservazioni. Entro i termini assegnati la ditta presentava le proprie osservazioni rilevando che il richiamato articolo 11 delle NTA prevede nei punti 7 e 4 la possibilità di realizzare manufatti da adibire a servizi in aggiunta alla possibilità di realizzare il manufatto di cui al successivo punto 10 con dimensioni massime di 30 mq. Rilevava, peraltro che, anche nell'ottica di una interpretazione più rigorosa dell'art. 11 delle NTA, l'annullamento in autotutela non si giustificherebbe dovendo, invece, attivarsi il soccorso istruttorio consentendo alla ditta di apportare le dovute modifiche al progetto. L'avvio del procedimento di annullamento si fonderebbe, inoltre, su un parere della Regione che nessuna competenza ha in materia. Tuttavia, con determinazione dell'Area Tecnica e Territorio, n. 30 del 19 maggio 2021, il Comune, viste le osservazioni presentate in data 12 aprile 2021, disponeva l'annullamento dell'aggiudicazione del lotto C1 - Area attrezzata per la sosta di camper e/o roulotte (Art. 11 N.T.A.) di cui al Bando per il rilascio di concessione di aree demaniali marittime per finalità turistico-ricreative del 27.01.2020 e contestuale archiviazione della pratica SUAP n. 63 del 30/04/2020 presentata dalla ditta Ii. Ca., avente ad oggetto "richiesta concessione demaniale marittima annuale per attrezzature e sosta camper e/o roulotte - lotto C1" attesa l'illegittimità dell'aggiudicazione in violazione delle norme del piano comunale di spiaggia. La motivazione del sopra richiamato provvedimento di annullamento faceva tra l'altro riferimento alle seguenti circostanze: - la superficie complessivamente occupata dalle strutture (pur non indicata nelle osservazioni) è pari a mq 172,00 a fronte dei 30 previsti dall'art. 11 delle NTA, in evidente contrasto con tale disposizione che, invero, è chiara nel prevedere che tali sono le dimensioni massime delle strutture, comprensive di postazione del guardiano, punto di informazione turistica e servizi igienici. - l'avvio del procedimento non si fonda sul parere della Regione bensì sulla consapevolezza dell'illegittimità che viziava l'aggiudicazione; - non è poi invocabile il soccorso istruttorio non potendosi consentire alla ditta di apportare correzioni al progetto, trattandosi di progetto definitivo e, come tale, non suscettibile di rilevanti stravolgimenti in fase esecutiva. 3. Parte appellante lamenta: - erroneità della sentenza appellata nella parte in cui respinge il ricorso sul presupposto che il parere della Regione non fosse tardivo e considerato atto proprio de Comune nel provvedimento di annullamento della concessione; - error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione, per cui il progetto presentato dalla Ditta contrasterebbe le norme tecniche del piano spiaggia; - errore sui presupposti; - violazione e/o falsa applicazione dell'artt. 1362 e ss. cod. civ in materia di interpretazione delle norme tecniche di attuazione del Piano spiaggia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 6-bis del T.U. edilizia; - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Secondo parte appellante: - la Regione Calabria aveva reso un parere che aveva operato una sorta di "interpretazione autentica", non consentita, dell'art. 11 delle N.T.A del PSC; - il provvedimento del Comune sarebbe astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. I rilievi formulati dall'Amministrazione regionale sarebbero in parte affetti da un vizio di incompetenza, in ordine alla destinazione funzionale degli spazi, in parte da una lettura in malam partem ed estensiva delle N.T.A. L'art. 11 della norma tecnica applicata visto nel suo articolato consentirebbe al suo punto 7 e 4 la realizzazione di manufatti da adibire a servizi (non identificati con un numero chiuso) con caratteristiche costruttive tali da non nuocere al decoro dell'ambiente che non turbino l'estetica e non ostruiscano la visuale al mare, utilizzando materiali costruttivi aventi caratteristiche di precarietà e facile rimozione; Il suo successivo punto 10, secondo una interpretazione teologicamente orientata, coerente sia con l'oggetto sia con la vocazione turistica del territorio, oltre a contemplare i manufatti necessari per svolgere i servizi collegati alla concessione, prevederebbe la facoltà di realizzare un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove poter collocare la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap. I restanti manufatti sarebbero da intendersi come servizi primari per l'intero progetto, le norme nta non citerebbero in nessun punto altri manufatti. Per quanto concerne la piscina, la stessa sarebbe da ritenersi parte integrante delle aree di svago, essendo tra le altre cose una struttura di facile rimozione. Parte appellante fa altresì riferimento all'art. 6 - bis del T.U. edilizia considerata, per la modestia ed irrilevanza urbanistica ed edilizia degli interventi di cui si tratta. Parte appellante ritiene che le determinazioni adottate dal Comune di (omissis) sarebbero affette da un palese difetto di motivazione in quanto nelle stesse non viene specificato, nel disporre l'annullamento in autotutela, quali siano i giudizi valutativi espressi dall'Amministrazione in ordine all'impossibilità di procedere alla stipula del contratto di concessione di cui si tratta pur a fronte della pluralità dei pareri favorevoli espressi dagli enti effettivamente preposti alla tutela dei singoli vincoli individuati sull'area. 4. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui respinge il motivo relativo all'azione di annullamento in asserita autotutela del provvedimento di aggiudicazione del lotto C1. Ingiustizia manifesta. Eccesso di potere per violazione dell'art. 14 del bando. Violazione dei principi dell'imparzialità e del buon andamento. Abuso del diritto. Error in iudicando: erroneità della sentenza per intrinseca illogicità e contraddittorietà della motivazione. Errore sui presupposti. Difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione o falsa applicazione dell'art. 14 e 14 bis della l.n. 241/1990. Il provvedimento del Comune, sarebbe in realtà astrattamente riferibile ad un illegittimo provvedimento di revoca ex art. 21 quinquies della l. n. 241/1990. Parte appellante fa riferimento ai pareri favorevoli espressi dalle amministrazioni interessate. La Regione Calabria, con decreto dirigenziale n. 4929 del 12 maggio 2021, relativamente alla procedura di incidenza ai sensi della DGR 749/2009 e s.m.i. - direttiva habitat 92 43 CEE Direttiva Uccelli 79 409 CEE DPR 357 97 - ha espresso parere favorevole di valutazione di incidenza con prescrizioni. Parte appellante fa poi riferimento al parere favorevole espresso dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria con nota prot. 3558 del 18 gennaio 2021 in ordine al vincolo paesaggistico insistente sull'area interessata dall'intervento. Parte appellante richiama il parere favorevole dell'Ufficio delle Dogane di Reggio Calabria, secondo cui "dall'esame degli elaborati forniti risulta la presenza di una strada pubblica tra il demanio marittimo e l'opera oggetto di richiesta di autorizzazione. Tale circostanza consente di poter annoverare l'opera di che trattasi al di fuori della zona di vigilanza doganale e perciò non soggetta al rilascio dell'autorizzazione ex art. 19 D.lgs. 374/90". Parte appellante richiama altresì il parere favorevole dell'ASL di Reggio Calabria con riferimento all'idoneità igienico-sanitaria del progetto. Secondo parte appellante la sentenza impugnata non affronterebbe il rapporto tra i suddetti pareri e le risultanze della conferenza di servizi. Anche in presenza di pareri negativi l'Amministrazione procedente potrebbe, sulla scorta di una valutazione discrezionale delle posizioni prevalenti, addivenire ad una determinazione conclusiva dell'iter autorizzativo di segno positivo, rimanendo la stessa libera di recepire o meno quanto espresso dalle Amministrazioni in sede di conferenza di servizi. In questo senso, pertanto, il parere negativo espresso dalla Regione non avrebbe potuto impedire l'adozione del provvedimento di autorizzazione, laddove la stessa amministrazione procedente abbia compiuto in sede urbanistica e preliminare del bando una valutazione discrezionale favorevole all'approvazione del progetto. L'amministrazione procedente, al fine di negare la richiesta autorizzazione non potrebbe limitarsi a richiamare acriticamente il contenuto del parere negativo espresso dalla Regione, dovendo invece comporre gli interessi in concorso e adottare un provvedimento finale che sia esito di una autonoma valutazione. Secondo parte appellante assume carattere assorbente la violazione del termine perentorio del 22.02.2021 indicato dall'A.C. per l'acquisizione dei pareri degli enti interessati. Il parere sfavorevole della Regione è giunto solo il 5 marzo del 2021 e quindi avrebbe dovuto essere ritenuto inutiliter dato o quantomeno valutato nel complesso dei pareri di opposto segno resi dagli enti interessati. Fa riferimento al difetto di istruttoria assieme a quello di motivazione atteso che nel provvedimento conclusivo del procedimento si afferma che l'area totale occupata è pari a 170,00 mq a fronte dei 30 mq massimi previsti dall'art. 11 delle N.T.A. Invero nel computo delle opere di cui all'art. 11 delle N.T.A. non potrebbero essere ricomprese, anche alla luce dei chiari pareri degli enti interessati (che anzi hanno condizionato l'espressione di un giudizio favorevole all'adeguata capacità ricettiva in sicurezza dell'area attrezzata), le strutture serventi, secondo un nesso di collegamento e di proporzionalità, il bene concesso tanto più che si tratta di opere relative all'igiene dei luoghi; alla sicurezza; al ristoro delle persone. Opere di tale ininfluente impatto da non rilevare e incidere su alcuno degli interessi oggetto di tutela nell'area interessata. 5. Parte appellante lamenta erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha valutato il motivo inerente l'azione di risarcimento del danno derivante da annullamento (rectius revoca) dell'aggiudicazione conseguente all'impugnazione delle determinazioni amministrative di caducazione dell'aggiudicazione e di indizione di una nuova gara. Azione risarcitoria ex art. 30, co. III, del c.p.a. Violazione del principio di proporzionalità . Sproporzione. Ingiustizia manifesta. Violazione del principio di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa. Violazione dell'art. 97 della Costituzione. Parte appellante chiede la restituzione (a titolo risarcitorio) delle spese inutilmente sostenute per la partecipazione alla procedura di gara e per la finalizzazione delle attività susseguenti l'aggiudicazione. In subordine chiede il risarcimento per via equitativa in misura non inferiore al 10% del valore della concessione perduta. 6. L'appello è infondato. Il provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione non è stato adottato, come ritiene parte appellante, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, ma a causa della riscontrata illegittimità del provvedimento di aggiudicazione, ritenuto in contrasto con le vigenti NTA del piano comunale di spiaggia. Tale provvedimento è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento e le osservazioni presentate da parte appellante sono state oggetto di specifico esame. Non sussiste il lamentato difetto di motivazione. Il provvedimento di annullamento, così come la precedente nota di comunicazione di avvio del procedimento, individua nella non conformità del progetto presentato dalla ricorrente con il punto 10 dell'art. 11 delle NTA del Piano Comunale di Spiaggia le ragioni di illegittimità dell'aggiudicazione. Il progetto, invero, in quanto non compatibile con le suddette norme tecniche non avrebbe potuto essere oggetto di valutazione né, conseguentemente, di aggiudicazione, anche considerando la necessaria tutela della par condicio tra i concorrenti. Con il provvedimento reso in autotutela il Comune ha specificamente motivato riguardo la sussistenza di un interesse pubblico rispetto al mero ripristino della legalità . Infatti trattasi dell'interesse alla tutela del territorio e dell'interesse della parità di trattamento dei concorrenti a che sia preso in considerazione un progetto conforme alla normativa vigente. Risulta adeguatamente comparato il sacrificio di parte appellante, considerando che l'intervento non è stato oggetto di rilascio dei permessi abilitativi e dunque non è stato realizzato. Parimenti la tutela della parità dei concorrenti non avrebbe consentito al Comune di richiedere a parte appellante la presentazione di un nuovo progetto, dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte. Correttamente il Tar ha ritenuto infondata la censura secondo cui il provvedimento sarebbe stato adottato sulla base di un parere sfavorevole della Regione attinente ad aspetti (la compatibilità del progetto con le NTA) che non rientrano tra le competenze dell'amministrazione regionale. L'amministrazione comunale, infatti, non si è limitata a richiamare il parere del Settore 3 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria, ma ha dato atto nel provvedimento impugnato del contrasto del progetto presentato dalla ricorrente in sede di partecipazione alla procedura indetta per il rilascio di concessione di area/e demaniali marittime per finalità turistico-ricreative con l'art. 11, punto 10, delle Norme Tecniche del piano comunale di spiaggia. L'annullamento in autotutela è dunque espressione di autonoma valutazione dell'Amministrazione comunale. Correttamente il Tar ha ritenuto non rilevante la circostanza che le altre amministrazioni coinvolte nella conferenza di servizi abbiano espresso parere favorevole al rilascio della concessione riguardando i suddetti pareri aspetti del tutto diversi ed ulteriori rispetto a quelli afferenti alla incompatibilità del progetto con le norme tecniche di attuazione che ha portato all'annullamento. Ed infatti: - il parere della Città Metropolitana prot. n. 3558 del 18 gennaio 2021, concerne esclusivamente la compatibilità paesaggistica dell'intervento e non costituisce presunzione di legittimità del progetto sotto ogni altro profilo; - il parere dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria prot. n. 86 del 27 gennaio 2021 riguarda esclusivamente l'idoneità igienico sanitaria delle strutture da realizzare; - il decreto n. 4929 del 12 maggio 2021 del Settore 4 del Dipartimento Tutela dell'Ambiente della Regione Calabria riguarda la Valutazione di Incidenza ai sensi del DPR 357/97 e DGR 749/2009 che tiene conto degli impatti potenziali sulla flora, sulla fauna ed avifauna selvatica e più in generale sul complessivo sistema ambientale del sito sensibile. È parimenti infondata la censura di parte appellante, secondo cui l'amministrazione comunale avrebbe erroneamente ritenuto superato il limite di mq 30 previsto dall'articolo 11 delle NTA non potendo ritenersi ricomprese in tale prescrizione le strutture serventi. Il punto 11.10 delle NTA del piano comunale di spiaggia consente, infatti, la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, che ricomprenda la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia. Nel caso in esame il progetto presentato dall'appellante prevedeva, invece, la realizzazione di più manufatti con estensione complessiva ben superiore ai 30 metri quadrati previsti dalla disposizione richiamata (punto di bar/ritrovo di superficie pari a mq. 37,80; punto lavanderia di mq 44,00; punto postazione del guardiano e/o punto informazione turistica, attrezzature antincendio e attrezzature sanitarie di complessivi mq 62; servizi igienici di mq 28,20). Essendo superato il limite di 30 metri quadrati previsto dalle n. t.a., è priva di fondamento la tesi di parte appellante, secondo cui si tratterebbe di interventi minori soggetti ad edificazione libera. Si tratta di intervento non consentito dalle n. t.a. e dunque il Comune non avrebbe in ogni caso potuto determinarsi diversamente. Sebbene - ciò va riconosciuto - di non piana lettura, la norma di riferimento ("11.10 E' consentita la realizzazione di un manufatto con struttura in legno di facile rimozione aventi dimensioni massime di 30 mq con altezza non superiore a ml 3,20 alla linea di gronda, dove possono essere collocati la postazione del guardiano, un punto di informazione turistica ed i servizi igienici idonei anche per i portatori di handicap nel rispetto delle vigenti norme in materia."), non si presta (cfr l'inciso "dove") alla lettura dell'appellante, secondo cui i 30 mq sarebbero implementabili con gli altri manufatti ivi citati, sino ad una possibile cubatura complessiva di mq 170. Correttamente il Tar ha osservato che nessun legittimo affidamento può dirsi ingenerato dall'aggiudicazione poi annullata atteso che il bando di gara subordinava espressamente il rilascio della concessione demaniale marittima all'acquisizione dei necessari pareri, autorizzazioni e nulla osta (art. 14) e che, coerentemente con tale previsione, la determina n. 28 del 17 aprile 2020, di approvazione dei verbali di gara e dell'elenco dei soggetti provvisoriamente aggiudicatari, dava atto che la procedura di rilascio di concessioni demaniali... si perfezionerà solamente dopo la verifica dei requisiti di cui all'art. 80 del D.lgs. n. 50/2016 nonché al perfezionamento delle pratiche edilizie e produttive relative con rilascio dei necessari titoli abilitativi. Proprio per effetto dell'impugnato provvedimento di annullamento dell'aggiudicazione (impugnato in primo grado) i titoli abilitativi non potevano essere rilasciati. Ne consegue l'infondatezza della censura di tardività proposta dall'appellante, anche considerando che sono stati rispettati i termini per l'esercizio dell'autotutela previsti dall'art. 21 - nonies della legge n° 241 del 1990. La responsabilità per avere presentato un progetto difforme dalla normativa vigente grava sul soggetto che ha partecipato alla procedura e dunque su parte appellante. Pertanto non può essere accolta la domanda di risarcitoria in relazione alla lesione dell'affidamento. Né può essere accolta la domanda risarcitoria connessa all'azione impugnatoria, essendo quest'ultima infondata per quanto sopra precisato. Essendo sufficiente il quadro probatorio ai fini della decisione, non può essere accolta l'istanza di consulenza tecnica d'ufficio proposta dall'appellante L'appello deve pertanto essere respinto. La condanna alle spese dell'appello segue la soccombenza, come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte appellante al pagamento delle spese dell'appello nella misura di Euro 2.000/00 (Duemila/00) a favore del Comune di (omissis) e di Euro 2.000/00 (duemila/00) a favore della Regione Calabria. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 357 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ca. e Ar. Pl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via (...); per l'annullamento - del provvedimento disciplinare del 31 gennaio 2022 numero 333/SSA/I/232778, notificato all'interessato in data 8 febbraio 2022 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Marilena Di Paolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso notificato il 1° aprile 2022, l'odierno ricorrente, -OMISSIS-, agente scelto della Polizia di Stato, ha impugnato il decreto del Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza emesso il 31 gennaio 2022, notificato l'8 febbraio 2022, con il quale è stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi uno, ai sensi dell'art. 6, n. 1 e n. 4, in relazione all'art. 4, n. 3 del d.P.R. n. 737/1981. 2. Il provvedimento disciplinare risulta fondato sulla seguente motivazione: "dall'aprile del 2020 al febbraio del 2021 manteneva, al di fuori di esigenze di servizio, relazioni con compagnie non confacenti al proprio stato. Inoltre, in violazione dei doveri inerenti alle funzioni, rivelava notizie ed informazioni di uffici riguardanti le attività di Polizia giudiziaria e controllo del territorio, turbando la regolarità del servizio". 3. In particolare, il procedimento disciplinare era stato avviato dopo l'arresto di S.A., pregiudicato, avvenuto in Lecco in data 30 ottobre 2020, in concorso con il cittadino albanese F.C., per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, in quanto trovati in possesso di 450 gr di cocaina, oltre 2,3 kg. di hashish e circa 7 gr. di marijuana. 4. Dall'analisi del cellulare di S.A. e dai successivi riscontri sui tabulati telefonici acquisiti in sede di indagine, erano emersi numerosi ed assidui contatti dell'agente scelto -OMISSIS- con il pregiudicato sopraindicato e con i familiari di quest'ultimo, anche dopo il suo arresto. 5. In particolare, tale stretta frequentazione, quasi fraterna, era emersa dai numerosi contatti telefonici, dall'analisi delle chat wh. e da Fa., intrattenuti fino alla mattina del giorno in cui S.A. è stato tratto in arresto, di cui viene dato ampiamente conto nell'annotazione redatta in data 26 febbraio 2021 da personale della Squadra Mobile della Questura di Lecco. 6. Nelle chat intercorse, inoltre, erano state rilevate alcune richieste di informazioni relative al servizio di controllo del territorio svolto dalle volanti che S.A. aveva rivolto a -OMISSIS-, confidando sulla sua disponibilità ; in ben quattro occasioni, tutte documentate, S.A., mentre si trovava in alcuni locali della Provincia di Lecco, aveva inviato all'agente scelto -OMISSIS-, tramite wh., le foto di alcuni avventori, chiedendogli se appartenessero alle FF.OO.: una volta il -OMISSIS- aveva confermato che uno dei soggetti fotografati era effettivamente un appartenente all'Arma dei Carabinieri. In un'altra circostanza, sempre mediante lo stesso mezzo di comunicazione, aveva informato l'amico sulla propria posizione durate il servizio di volante e gli aveva inviato foto raffiguranti sia l'autovettura di servizio che colleghi e persone sottoposte a controlli documentali. 7. Era inoltre emerso un altro rapporto di conoscenza dell'agente scelto -OMISSIS- con altri soggetti trovati in possesso di sostanze stupefacenti e tratti in arresto in data 21 luglio 2020 dalla Polizia Ferroviaria di Milano e il 28 ottobre 2020 dalla Squadra Mobile di Lecco. 8. Pertanto, l'agente scelto -OMISSIS- era stato deferito alla locale A.G. per il reato di rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio. 9. In data 20 aprile 2021, il Pubblico Ministero titolare dell'indagine aveva formulato richiesta di archiviazione per speciale tenuità del fatto, rilevando che: "- non ricorrono le condizioni per dover richiedere l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato; - il reato per cui si procede rientra nella cornice edittale prevista dall'art. 131-bis, commi 1 e 4 c.p.; - non ricorrono le cause ostative di cui all'art. 131-bis, co. 2 e 3 c.p; - le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio portano a ritenere le condotte di reato di particolare tenuità, attese le motivazioni addotte alla base delle stesse, ascrivibili ad una superficiale valutazione delle conseguenze penali in relazione alla rivelazione di segreti d'ufficio; - l'instaurazione di un giudizio penale non appare coerente con le finalità per cui questo è stato disegnato dal Legislatore". 10. In data 9 giugno 2021 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco aveva accolto la richiesta del Pubblico Ministero, emettendo decreto di archiviazione del procedimento penale. 11. Il Questore di Lecco, acquisito il citato decreto in data 29 giugno 2021, a seguito di formale istanza finalizzata a conoscere lo stato del procedimento penale, avviava l'inchiesta disciplinare, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. n. 737/1981, nominando, con atto del 10 settembre 2021, notificato il 13 settembre 2021, il funzionario istruttore, il quale, a sua volta, in data 21 settembre 2021, formalizzava la contestazione degli addebiti, individuando ex art. 6, commi 1, 4 e 7 della citata normativa, in relazione alla condotta tenuta dall'agente, la sanzione della "sospensione dal servizio". 12. L'agente De Beo, in data 17 ottobre 2021, presentava memoria difensiva, con la quale negava di conoscere i pregiudizi penali a carico di S.A. e dei suoi familiari, nonché contestava di aver rivelato segreti d'ufficio. 13. Il procedimento disciplinare si è concluso con l'adozione del provvedimento disciplinare oggetto dell'odierno ricorso. 14. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Interno per resistere al ricorso depositando documenti e memorie e insistendo per il rigetto del ricorso. 15. All'udienza pubblica del 22 maggio 2024 la causa è passata in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è affidato a tre motivi di illegittimità . 2. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 6, dPR 737/81: il ricorrente sostiene che siano stati violati i termini per l'esercizio del potere disciplinare. A suo dire la contestazione degli addebiti sarebbe avvenuta oltre i 40 giorni dalla comunicazione del decreto di archiviazione, e ciò in violazione dell'art. 9, comma 6, d.P.R. 737/81 che prevede "Quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione". 2.1. Il motivo è infondato. 2.2. Si osserva che l'art. 9, comma 6, del d.P.R. 737/81 presuppone che sia stata pronunciata una sentenza, sia essa di condanna o di assoluzione, con la quale sia stato definito il processo penale, situazione che non ricorre nel caso di specie, dove invece non è stata esercitata l'azione penale - si evidenzia - non per infondatezza della notitia criminis, ma per la speciale tenuità del fatto. 2.3. Il citato articolo, inoltre, fa decorrere il dies a quo del termine di decadenza per la contestazione degli addebiti, che coincide con l'inizio del procedimento disciplinare, dalla pubblicazione o dalla notificazione della sentenza, adempimenti non prescritti per il decreto di archiviazione. 2.4. Non trattandosi dunque di casi simili, il citato art. 9, comma 6, non può trovare applicazione analogica come invece sostiene parte ricorrente, dal momento che l'art. 12 delle preleggi prevede che se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, salvo il divieto di analogia in malam partem, sancito dal successivo art. 14, per le leggi penali e leggi eccezionali. 2.5. Ebbene, nel caso di specie, in virtù del rinvio contenuto nell'art. 31 del d.P.R. n. 737/1981, ai procedimenti disciplinari dell'Amministrazione di pubblica sicurezza è applicabile analogicamente l'art. 103 d.P.R. n. 3/1957, secondo il quale "l'ufficio del personale che abbia comunque notizia di una infrazione disciplinare commessa da un impiegato svolge gli opportuni accertamenti preliminari e, ove ritenga che il fatto sia punibile con la sanzione della censura, rimette gli atti al competente capo ufficio; negli altri casi contesta subito gli addebiti all'impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni". 2.6. Per costante giurisprudenza la norma ora citata, secondo cui la contestazione degli addebiti deve avvenire "subito", non mira a vincolare l'Amministrazione all'osservanza di un termine prestabilito e puntuale, tale da comportare col suo decorso la decadenza dell'azione disciplinare, bensì indica una regola di ragionevole prontezza e tempestività, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti e alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell'iter procedimentale (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 6 febbraio 2023, n. 1212). 2.7. Non è infatti previsto, all'art. 12, d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 - che costituisce la normativa speciale rispetto a quella generale dettata dal d.P.R. n. 3 del 1957 -, alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti disciplinari a carico degli agenti della Polizia di Stato, con la conseguenza che l'Amministrazione procedente deve ottemperare solo ad una regola di ragionevole prontezza nell'effettuare detta contestazione; inoltre, l'uso del termine "subito" nel contesto dell'art. 103, d.P.R. n. 3 del 1957, ai fini della contestazione degli addebiti, per l'orientamento giurisprudenziale consolidato, presenta una mera valenza sollecitatoria, sicché residua all'Amministrazione un ampio spazio di azione ai fini dell'espletamento degli adempimenti finalizzati al reperimento e alla valutazione degli elementi relativi alle vicende oggetto di esame; infatti, nel procedimento disciplinare a carico dell'agente di Polizia di Stato - che ha inizio con la contestazione degli addebiti e termina con l'adozione del provvedimento sanzionatorio o con il proscioglimento dell'incolpato - vanno distinti i termini inderogabili, che sono quelli posti a garanzia dell'inquisito, e cioè quelli previsti per la presentazione delle giustificazioni, la presa di visione degli atti e, appunto, per il preavviso di trattazione davanti alla Commissione, da quelli ordinatori o sollecitatori, che sono tutti gli altri termini (Consiglio di Stato sez. III 20 giugno 2018 n. 3779, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. V, 23 febbraio 2024, n. 718). 2.8. Ciò chiarito, va ulteriormente precisato che il d.P.R. n. 737/1981 non indica puntualmente quale sia l'atto di avvio del procedimento disciplinare, ossia quello che materialmente impedisce la decadenza dal potere, sicché spetta all'interprete individuarlo. 2.9. Orbene, analizzando il corpus normativo va rilevato come per l'irrogazione del richiamo scritto, della pena pecuniaria e della deplorazione il procedimento si avvia con la contestazione scritta degli addebiti (v. artt. 17 e 18 d.P.R. 737 cit.); viceversa, nel caso delle sanzioni più gravi, il primo atto del procedimento è la nomina del funzionario istruttore (art. 19, comma 2 d.P.R. 737 cit.), il quale comunica l'avvio (rectius, contesta per iscritto gli addebiti) al dipendente entro 10 giorni. 2.10. Nel caso di specie, dunque, il termine di riferimento è da individuarsi nel 13 settembre 2021, data in cui il Questore di Lecco aveva disposto l'espletamento di una inchiesta disciplinare notificando la nomina del funzionario istruttore, e la contestazione degli addebiti è avvenuta il 21 settembre 2021. 2.11. Sulla ragionevolezza dei termini per la contestazione degli addebiti, considerata la natura afflittiva del procedimento disciplinare, si osserva inoltre che nella disciplina del procedimento sanzionatorio contenuta nella L. 689/81, l'art. 14 prescrive che la contestazione degli addebiti deve essere fatta "immediatamente" e se la contestazione non è avvenuta immediatamente, deve essere fatta entro il termine di 90 giorni. Da ciò si trae dunque un ulteriore argomento per sostenere la ragionevolezza del termine entro il quale è avvenuta la contestazione degli addebiti e cioè nel termine di 85 giorni. 2.12. Ebbene, il periodo intercorso tra il fatto, la segnalazione (29 giugno 2021) e l'avvio del procedimento disciplinare, considerando anche l'approssimarsi del periodo estivo (luglio - agosto) in cui l'attività lavorativa subisce un naturale rallentamento legato al godimento delle ferie da parte del personale, si è manifestato in linea con quei criteri di ragionevole prontezza e tempestività di cui sopra, rendendo manifestamente infondata la doglianza del ricorrente. 3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti posti a fondamento della sanzione, violazione della sfera della discrezionalità della P.A., violazione e falsa applicazione dell'art. 6 d.P.R. 737/81: in sintesi, il ricorrente sostiene che l'Amministrazione avrebbe erroneamente riportato la sua condotta alle fattispecie previste dall'art. 6 comma III, cioè ai casi in cui: - vengono poste in essere in modo abituale o reiterato le mancanze sanzionate con la pena pecuniaria; - si sia ricevuta una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo che non comporti la destituzione di diritto; - l'aver denigrato l'Amministrazione o i superiori; - l'aver tenuto un comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto; - l'aver tollerato abusi commessi da dipendenti; - aver compiuto atti contrari ai doveri derivanti dalla subordinazione; - l'assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume ovvero di pregiudicati; - l'uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope risultante da referto medico 8 legale; - l'allontanamento senza autorizzazione, dalla sede di servizio per un periodo superiore a cinque giorni; - l'omessa o ritardata presentazione in servizio per un periodo superiore a quarantotto ore e inferiore a cinque giorni o, comunque, nei casi in cui l'omissione o la ritardata presentazione in servizio di cui all'art. 4, n. 10, provochi gravi disservizi ovvero sia reiterata o abituale. Non solo la condotta tenuta dall'odierno ricorrente non rientrerebbe affatto nelle fattispecie sopra descritte ma, a suo dire, l'Amministrazione non avrebbe considerato che il decreto di archiviazione avrebbe ritenuto non gravi i fatti e il giudice penale non avrebbe svolto alcun tipo di accertamento dei fatti. Infine, il ricorrente esclude la consapevolezza e la conoscenza dei precedenti penali a carico del soggetto tratto in arresto. 4. Il motivo non è fondato. 4.1. Innanzitutto si osserva che il provvedimento impugnato si fonda sui fatti tipici di cui all'art. 6, n. 1 e n. 4, in relazione all'art. 4, n. 3 del d.P.R. n. 737/1981. 4.2. La fattispecie di cui al combinato disposto degli artt. 6, n. 1 e n. 4, e 4, n. 3, del d.P.R. n. 737/1981 contempla le "mancanze...di particolare gravità ovvero...reiterate o abituali" in relazione al "mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato" nonché in relazione ad un "comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto". 4.3. Per quanto riguarda l'infrazione di cui all'art. 4 n. 3 del d.P.R. n. 737/1981, vale a dire il "mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato" dai tabulati telefonici versati negli atti delle indagini preliminari, è emerso che l'agente scelto -OMISSIS- frequentava e aveva instaurato un rapporto di amicizia quasi fraterno con S.A. e con la sua famiglia, rapporto che andava ben al di là di quello di semplice avventore del ristorante di quest'ultimo. Risulta infatti che -OMISSIS- e S.A. si sono tenuti in contatto telefonico e tramite messaggi via chat con una costante frequenza fino alla mattina dell'arresto di S.A. e risulta inoltre che -OMISSIS-, il 23 luglio 2020, aveva scritto a S.A. "-OMISSIS-torna tra noi" informandolo come quest'ultimo, arrestato per droga, fosse stato scarcerato e sottoposto al regime degli arresti domiciliari. Dalla relazione istruttoria redatta dal funzionario istruttore emergono inoltre ulteriori elementi a supporto dello stretto legame instaurato dal -OMISSIS- con la famiglia di S.A.; in particolare, il funzionario istruttore aveva allegato una nota investigativa redatta dal Dirigente della DIGOS di Lecco, che aveva documentato, dopo l'arresto di S.A., un incontro conviviale e amichevole di -OMISSIS- con i parenti di S.A., presso il bar del palazzetto dello sport di Me.. Si legge inoltre che dagli stessi accertamenti investigativi, emergevano altresì contatti del -OMISSIS-, non motivati da finalità istituzionali, con un dipendente di un esercizio commerciale destinatario di una misura interdittiva antimafia e di un cittadino kossovaro, tale -OMISSIS-, entrambi arrestati per reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti. 4.4. Quanto al procedimento penale a carico del -OMISSIS-, assumono rilevanza le chat che riportano le richieste di informazioni che S.A. gli rivolgeva per identificare eventuali appartenenti alle forze dell'ordine presenti nei locali dallo stesso frequentati e per conoscere la localizzazione delle pattuglie sul territorio, informazioni evidentemente utili per poter svolgere la sua illecita attività di spaccio lontano dalle forze dell'ordine. 4.5. Contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente - la quale sostiene che in sede penale non sarebbe stato svolto alcun accertamento sui fatti - il decreto di archiviazione ex art. 131-bis c.p. per la speciale tenuità del fatto è stato emesso in quanto "le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio portano a ritenere le condotte di reato di particolare tenuità, attese le motivazioni addotte alla base delle stesse, ascrivibili ad una superficiale valutazione delle conseguenze penali in relazione alla rivelazione di segreti d'ufficio" e dunque esso è stato adottato sul presupposto di un giudizio di fondatezza della notitia criminis, considerato che l'art. 131-bis c.p. non esclude la responsabilità penale ma prevede una causa di non punibilità per i reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, applicabile nel caso di specie. 5. Non può quindi negarsi che il comportamento contestato al ricorrente in sede disciplinare sia in contrasto coi doveri del personale della Polizia di Stato e capace di arrecare grave nocumento alla credibilità e al prestigio di quest'ultima, in considerazione delle sue funzioni istituzionali, né è dato cogliere profili di irragionevolezza nella valutazione dell'Amministrazione in merito alla gravità della condotta dell'incolpato, il quale, ancora dopo l'arresto del pregiudicato aveva continuato a mantenere rapporti di convivialità con i parenti dell'arrestato. 6. Occorre rammentare che per il regolamento di servizio dell'Amministrazione della pubblica sicurezza il personale della Polizia di Stato ha il precipuo dovere di "non mantenere, al di fuori di esigenze di servizio, relazioni con persone che notoriamente non godono pubblica estimazione, non frequentare locali o compagnie non confacenti alla dignità della funzione" (art. 12, n. 4, d.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782) e di "non frequentare senza necessità di servizio o in maniera da suscitare pubblico scandalo persone dedite ad attività immorali o contro il buon costume ovvero pregiudicate" (art. 12, n. 5, d.P.R. n. 782/85) e, in generale, "deve mantenere una condotta irreprensibile, operando con senso di responsabilità, nella piena coscienza delle finalità e delle conseguenze delle proprie azioni in modo da riscuotere la stima, la fiducia ed il rispetto della collettività, la cui collaborazione deve ritenersi essenziale per un migliore esercizio dei compiti istituzionali, e deve astenersi da comportamenti o atteggiamenti che arrecano pregiudizio al decoro dell'Amministrazione" tenendo anche fuori servizio una "condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni" (art. 13 d.P.R. n. 782/85). 6.1. Alla luce degli elementi in atti, il Collegio ritiene che l'apprezzamento dell'Amministrazione dell'Interno in ordine alla sussistenza dei presupposti degli illeciti disciplinari ascritti al dipendente sia esente da palese travisamento dei fatti. 7. Con il terzo e ultimo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l'eccessività della sanzione inflitta: a dire del ricorrente, la sanzione sarebbe del tutto sproporzionata rispetto alla condotta contestata, tenuto anche conto del fatto che, a mente dell'art. 13, comma 1, del d.P.R.737/81, l'organo competente ad infliggere la sanzione deve tener conto di tutte le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell'età, della qualifica e della anzianità di servizio e sanzionare con maggior rigore le mancanze commesse in servizio o che abbiano prodotto più gravi conseguenze per il servizio, quelle commesse in presenza o in concorso con inferiori o indicanti scarso senso morale e quelle recidive o abituali. Nel caso di specie non vi sarebbe alcuna prova che la mancanza descritta nella nota di contestazione del 21 settembre 2021, anche alla luce del giudizio di tenuità proposto dal P.M. ed accolto dal G.I.P. di Lecco, sia stata reiterata o abituale, o che abbia gettato scandalo nell'Amministrazione. 8. Il motivo è infondato. 8.1. Occorre premettere che per costante giurisprudenza, in punto di individuazione e dosimetria della sanzione disciplinare, l'Amministrazione gode di ampia discrezionalità, sindacabile dal giudice amministrativo solo ab externo nei casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità o palese arbitrarietà (ex multis, Cons. St., sez. II, 31 gennaio 2023, n. 1103, cit.; Cons. St., sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484; T.A.R. Piemonte, sez. I, 13 febbraio 2022, n. 124). 8.2. Nel caso di specie, il funzionario istruttore ha tenuto conto di tutte le circostanze, esposte a pag. 5 della relazione istruttoria, ritenendo prevalente la gravità della condotta in quanto le frequentazioni del -OMISSIS- con soggetti dediti ad attività criminose quali spaccio di sostanze stupefacenti, non sono deontologicamente conformi al regolamento di servizio, cui un appartenente ai ruoli della Polizia di stato ha il dovere di uniformarsi e ciò è stato considerato come altamente lesive del vincolo fiduciario di appartenenza che lega la Polizia di Stato ai propri dipendenti. 8.3. A fronte di un simile riprovevole comportamento, di particolare gravità per il decoro e l'immagine della Polizia di Stato, la sanzione inflitta al ricorrente non appare sproporzionata né illogica. 8.4. Quanto al trasferimento d'ufficio, la giurisprudenza ha chiarito che il trasferimento per motivi di opportunità ed incompatibilità ambientale dell'appartenente alla Polizia di Stato, disposto ai sensi della norma appena citata, "non ha carattere sanzionatorio né disciplinare, non postulando comportamenti sanzionabili in sede penale o disciplinare, ed è condizionato solo alla valutazione del suo presupposto essenziale costituito dalla sussistenza oggettiva di una situazione di fatto lesiva del prestigio, decoro o funzionalità dell'amministrazione che sia, da un lato, riferibile alla presenza del dipendente in una determinata sede e, dall'altro lato, suscettibile di rimozione attraverso l'assegnazione del medesimo ad altra sede" (T.A.R. Milano, sez. III, 30/04/2018, n. 1156; T.A.R. Palermo, sez. I, 18/11/2022, n. 3273; T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 07/12/2021, n. 928; T.A.R. Cagliari, sez. II, 03/07/2019, n. 599). 9. Per quanto sopra esposto il ricorso va dunque respinto. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite nei confronti del Ministero dell'Interno che liquida in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) oltre accessori se previsti dalla legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Gabbricci - Presidente Alessandro Fede - Referendario Marilena Di Paolo - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 13 del 2024, proposto da Consorzio Stabile Re. S.C. a r.l.., La To. Co. S.r.l., in proprio e rispettivamente quale mandataria e mandante del RTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 7654584A89, rappresentate e difese dagli avvocati Al. Bo., Pa. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, ivi domiciliataria ex lege, via (...); nei confronti Impresa De. Im. S.r.l., in proprio e anche mandataria del RTI con Ri. Co. S.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pa. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ri. Co. S.p.a., in proprio e quale mandante del RTI con De. Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensiva - del Decreto Provveditoriale prot. n. 20430 del 28.11.2023, relativo all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forli` - 1° stralcio. CUP D69D07000090001 CIG 7654584A89", con cui "è stata confermata l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 06.09.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto indicato in oggetto al Raggruppamento Temporaneo tra Imprese "De. Im. s.r.l. di (omissis) (VA) CF 02692000124 - Ri. Co. s.p.a. di (omissis) (CE) CF 02217930615", risultato 1^ in graduatoria con il punteggio totale di 92,780/100 ed il ribasso del 23,290%, come da verbale di procedura aperta n. 5068 di rep. delle sedute in data 18.06.2019 e 09.07.2019 che, all'esito della disposta istruttoria, tenuto conto delle premesse sopra riferite e dell'esito della pronuncia del CDS, viene nella sostanza confermata", e con cui è stato disposto che "L'appalto è aggiudicato al suddetto RTI per l'importo complessivo netto di Euro 26.745.351,82"; - della nota prot. 20789 del 5.12.2023 con cui l'Ente appaltante ha comunicato al RTI Re. - La To. Co. l'adozione del suddetto provvedimento; - ove occorra, del provvedimento prot. 18407 del 27.10.2023 con cui la stazione appaltante ha comunicato ai sensi dell'art. 7 L. 241/1990 l'avvio del procedimento culminato con l'adozione del gravato Decreto Provveditoriale prot. n. 20430 del 28.11.2023; - ove occorra, del decreto prot. n. U.0017276 del 6.9.2019 con cui è stata disposta l'aggiudicazione nei confronti del RTI Impresa De. Im. S.r.l., nonché della nota prot. n. U0017432 del 9.9.2019 con cui siffatta aggiudicazione è stata comunicata alle odierne ricorrenti a mezzo PEC; - di tutti gli atti presupposti, connessi e successivi al soprarriferito Decreto Provveditoriale, ancorché non conosciuti. NONCHÉ per la dichiarazione di invalidità e comunque di inefficacia del contratto di appalto eventualmente stipulato con gli operatori economici illegittimi aggiudicatari (dichiarandosi, ad ogni effetto, ed ove occorra, anche la disponibilità del ricorrente a subentrare nell'esecuzione dell'appalto ai sensi di quanto previsto dall'art. 122 c.p.a.), E PER LA CONSEGUENTE CONDANNA dell'Ente intimato a risarcire il danno cagionato alla ricorrente in forma specifica ovvero, in subordine, per equivalente monetario nella misura che sarà determinata in corso di causa. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna, dell'impresa De. Im. S.r.l. e di Ri. Co. S.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2024 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.-Con il ricorso in esame il Consorzio stabile Re. s.c. a r.l. ha impugnato il Decreto del Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia e la Emilia Romagna del 28.11.2023 relativo all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì - 1° Stralcio" con il quale è stata confermata l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 6.9.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto al RTI formato da Ri. Co. s.p.a.(mandante) e De. Im. s.r.l. (mandataria) risultato primo in graduatoria. Come evidenziato in ricorso la prima aggiudicazione era a suo tempo stata impugnata dall'odierno istante, Consorzio Stabile Re. e da La To. Co., in proprio e quali imprese componenti il relativo R.T.I, nelle posizioni rispettive di mandante e mandataria deducendo la illegittimità della aggiudicazione in quanto disposta a favore di impresa in procedura concordataria ex art. 161 c. 6 Legge Fallimentare, non ammessa alla continuità aziendale, non avendo presentato, nemmeno al momento della aggiudicazione, il relativo piano e lamentando che il raggruppamento aggiudicatario avrebbe omesso di comunicare alla Stazione appaltante tale circostanza, rilevante ai fini della procedura. L'adito Tribunale Amministrativo con la sentenza n. 76/2020 accoglieva il motivo di ricorso relativo alla dedotta violazione dell'art. 80 c. 5 lett. b) del Decreto Legislativo n. 50/2016 in ragione del fatto che la mandante del raggruppamento aggiudicatario aveva presentato, solo in corso di gara, in data 4.2.2019, domanda di concordato con riserva ai sensi dell'art. 161, comma 6 L. Fall e sul presupposto che in tale evenienza sia preclusa la partecipazione a gare pubbliche. Ha altresì rilevato la violazione dell'art. 80 co.5 bis del Codice degli appalti, in ragione del ritardo con cui la mandataria avrebbe comunicato, solo in data 19.7.2019 a distanza di cinque mesi, il fatto che la mandante avesse presentato la domanda di concordato con riserva. L'adito Tribunale Amministrativo respingeva altresì il ricorso incidentale condizionato proposto dalla mandataria del raggruppamento aggiudicatario volto alla designazione di una nuova impresa mandante, ritenendola non consentita ai sensi dell'art. 48 co. 19 ter d.lgs. 50/2016 poiché volta ad eludere in pendenza di gara il riscontrato mancato possesso dei requisiti di partecipazione. Tale sentenza costituiva oggetto di appello al Consiglio di Stato con due distinti ricorsi poi riuniti proposti dalla Ri. Co. e dalla De. Im. s.r.l., ai quali il Ministero aderiva. La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, registrando un conflitto di orientamenti giurisprudenziali, riteneva di rimettere alla Adunanza Plenaria una serie di questioni concernenti il tema ed i profili della presentazione della domanda di concordato in bianco ai fini della valida partecipazione alla gara. L'Adunanza Plenaria si pronunciava in merito a ciò con la sentenza n. 9 del 2021 affermando in sintesi, per quel che qui rileva, che benchè l'autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica debba intervenire entro il momento dell'aggiudicazione, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un'autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante. Successivamente la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4728/2023, si pronunziava sugli appelli e li accoglieva, rigettando il ricorso di primo grado. I provvedimenti impugnati costituiscono, quindi attuazione della suindicata sentenza sul cui vincolo conformativo è sceso il giudicato. Il Consiglio di Stato, in particolare, ha affermato che la domanda di presentazione di un concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica esclusione, né inibisca la partecipazione alle procedure per l'affidamento di contratti pubblici. Nel caso di specie si era verificato un mancato rilascio della autorizzazione da parte del Tribunale competente prima della aggiudicazione della gara non essendo stata presentata un'istanza in tale senso dalla impresa concordataria; tale autorizzazione era comunque intervenuta prima della stipula del contratto. Il Consiglio di Stato ha stabilito che questa specifica circostanza comporta la necessità che la stazione appaltante provveda ad una apposita valutazione, alla luce della particolarità del caso concreto, sulla rilevanza e sulla idoneità ad assumere efficacia integrativa o sanante, di tale autorizzazione, sottratta al g.a., ai sensi dell'art. 34 co. 2 c.p.a. e rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante. In tale contesto motivazionale il Consiglio di Stato ha anche espressamente respinto la censura dell'odierna ricorrente secondo la quale non sarebbero stati rispettati, nel caso di specie, gli obblighi informativi a carico dell'impresa, precisando che, se l'informazione alla stazione appaltante deve essere tempestiva ed adeguata in applicazione dei principi di buona fede, leale cooperazione e correttezza, in caso di dichiarazione omessa, parziale o reticente spetterà alla stazione appaltante stessa valutarne l'incidenza sul rapporto fiduciario con l'operatore economico, ma senza nessun automatismo espulsivo. Il Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia ed Emilia Romagna provvedeva, quindi, ad ottemperare a quanto stabilito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4728/2023, comunicando agli interessati l'avvio del procedimento con nota 27.10.2023 n. 18407. L'Amministrazione, in seguito ad istruttoria, adottava il provvedimento di conferma della aggiudicazione qui gravato, ritenendo non inficiato il rapporto fiduciario con il raggruppamento capeggiato da De. Im. s.r.l. tenuto conto anche dell'avvenuta informazione degli sviluppi della procedura concorsuale. A sostegno del gravame le odierne ricorrenti hanno dedotto tre articolati motivi di gravame così riassumibili: I)VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 10 L. N. 241/90. ECCESSO DI POTERE, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CARENZA DI MOTIVAZIONE, PERPLESSITÀ : la stazione appaltante non avrebbe tenuto in considerazione nella motivazione dell'atto gravato l'articolata memoria presentata dalle ricorrenti. II. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 32, 33, 48, 80, 83 E 84, D.LGS. N. 50/16. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 161 E 186-BIS, L. N. 267/42. VIOLAZIONE DELL'ART. 94, COMMA 5, LETT.D), D.LGS. N. 36/2023. VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. CARENZA DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. IRRAGIONEVOLEZZA. ILLOGICITÀ .TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO. CONTRADDITTORIETÀ . SVIAMENTO: sarebbe mancato l'esame delle criticità riguardanti l'impresa controinteressata, dal momento che a) Ri. ha presentato domanda di concordato "in bianco" il 5.02.2019, nel corso della procedura di gara, senza curarsi di domandare al Giudice fallimentare la prescritta autorizzazione; b) al momento della aggiudicazione disposta il favore del RTI De. - Ri. (9.09.2019), la mandante Ri., che versava in situazione di concordato "in bianco" già dal precedente mese di febbraio, non era autorizzata alla prosecuzione della gara; c) l'autorizzazione al Giudice Fallimentare è stata richiesta da Ri. solo dopo l'aggiudicazione e persino dopo l'impugnazione della stessa aggiudicazione da parte del RTI Re. innanzi al TAR; d) nel caso di specie l'autorizzazione sarebbe stata chiesta ed intervenuta con notevole ritardo e dopo la scadenza del termine legale (60 gg) per la stipula del contratto. III. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 32, 33, 48, 80, 83 E 84,D.LGS. N. 50/16. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT.161 E 186-BIS, L. N. 267/42. VIOLAZIONE DELL'ART. 94, COMMA 5, LETT. D), D.LGS. N.36/2023.VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. CARENZA DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. IRRAGIONEVOLEZZA. ILLOGICITÀ .TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO. CONTRADDITTORIETÀ . SVIAMENTO: sarebbero venuti meno in capo a Ri. Co. s.p.a. i requisiti generali e speciali risultando prospettata la cessione del ramo di azienda, come risultante dal provvedimento assunto dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e non preso in considerazione dalla stazione appaltante al momento della conferma dell'aggiudicazione; sarebbe evidente che Ri. in conseguenza della cessione finirà per privarsi dell'azienda necessaria alla realizzazione dell'appalto. Si sono costituiti il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna eccependo l'infondatezza di tutti i motivi "ex adverso" dedotti costituendo il provvedimento impugnato esecuzione del giudicato reso "inter partes" e non essendo venuto meno il rapporto fiduciario con la stazione appaltante. Si è costituita De. Im. s.r.l. evidenziando tra l'altro come con la sentenza n. 4728 del 2023 il Consiglio di Stato nell'accogliere gli appelli ha respinto il ricorso di primo grado avverso l'originaria aggiudicazione che dunque non è mai stata annullata; l'attività dell'Amministrazione sarebbe orientata al conseguimento del "risultato" inteso come puntuale esecuzione dei lavori oggetto della gara in ossequio appunto all'omo principio compendiato dall'art. 1 del d.lgs. 36 del 2023 non applicabile "ratione temporis" ma comunque utilizzabile in via interpretativa, come recentemente ritenuto dal Consiglio di Stato. Si è costituita anche Ri. Co. s.p.a. eccependo l'inammissibilità del ricorso in quanto parte ricorrente avrebbe dovuto esperire azione di ottemperanza innanzi al Consiglio di Stato trattandosi di dare esecuzione ai criteri conformativi di cui alla sentenza n. 4728/2023 rappresentando altresì la pendenza nell'ambito della procedura concorsuale della cessione del ramo d'azienda e l'individuazione dell'operatore economico che effettuerà i lavori. Alla camera di consiglio del 24 gennaio 2024 parte ricorrente ha rinunciato alla tutela cautelare in vista della celere fissazione dell'udienza di merito. In prossimità della trattazione nel merito le parti hanno depositato ampie memorie e documentazione insistendo per le conclusioni già rassegnate per la fase cautelare. Segnatamente le ricorrenti hanno insistito per la fondatezza della pretesa azionata evidenziando il mancato apprezzamento da parte dell'Amministrazione della attuale situazione di Ri. Co. allo stato priva dei requisiti richiesti per la realizzazione dei lavori per cui è causa, essendo ancora pendente la cessione del ramo di azienda. La difesa della capogruppo De. Im. s.r.l. ha insistito per il rigetto del gravame eccependo altresì l'inammissibilità delle doglianze dirette a rimettere in discussione profili già coperti dal giudicato così come del terzo motivo per la mancata indicazione del requisito generale di cui Ri. Co. sarebbe priva; non sarebbe "ratione temporis" applicabile l'art 94 co.5 del Codice dei contratti pubblici approvato con d.lgs. n. 36/2023 secondo cui l'autorizzazione deve intervenire prima dell'aggiudicazione. Con memoria la difesa di parte ricorrente ha replicato alle suindicate eccezioni evidenziando come l'oggetto dell'impugnativa sia nuovo atto non meramente confermativo affetto da vizi del tutto autonomi rispetto a quelli prospettati con il ricorso avverso l'originaria aggiudicazione. Anche la difesa di De. Im. ha depositato memoria di replica tra l'altro evidenziando come le doglianze di cui al secondo motivo, per quanto appunto già argomentato nella memoria conclusiva o violano il principio del "ne bis in idem" (pretendendo che l'aggiudicazione sarebbe illegittima per contestazioni già sollevate nel giudizio concluso con la sentenza n. 4728/2023) o contrastano con l'art. 80 del d.lgs 50/2016 e con il principio di tassatività delle cause di esclusione nella parte in cui pretendono di imporre un effetto escludente per i tempi in cui svolge la procedura di approvazione del concordato in corso presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere o per le modalità supposte nel concordato medesimo, quali l'ipotizzata cessione di azienda, modalità e tempi che non rientrano in alcuna delle cause di esclusione previste dall'art. 80 del Codice dei contratti, di cui al D.lgs. 50/2016. Alla pubblica udienza del 8 maggio 2024, uditi i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.-E' materia del contendere la legittimità del provvedimento del 28 novembre 2023 con cui il Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia e la Emilia Romagna ha confermato relativamente all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì - 1° Stralcio" l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 6.9.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto al RTI tra Ri. Co. spa e De. Im. s.r.l. risultato primo in graduatoria. Lamentano le ricorrenti quali imprese del raggruppamento temporaneo capeggiato dal Consorzio Stabile Re. oltre l'insufficiente motivazione del provvedimento impugnato in relazione alle circostanze sopravvenute, il mancato esame da parte della stazione appaltante della situazione attuale della mandante Ri. Co. s.p.a. asseritamente priva dei requisiti generali e speciali per risultare nuovamente aggiudicataria dei lavori di che trattasi. 2.- Preliminarmente va esaminata l'eccezione di inammissibilità del gravame sollevata da Ri. Co.. Diversamente da quanto argomentato dalla controinteressata, con il ricorso in esame le ricorrenti hanno dedotto vizi almeno in parte del tutto nuovi ed autonomi nei confronti dell'aggiudicazione confermativa intervenuta il 28 novembre 2023, sostenendo la carenza in capo a Ri. dei requisiti ex art. 80 d.lgs. 50/2016 in relazione alla perdurante pendenza della procedura di approvazione del concordato con continuità aziendale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e dell'ipotizzata cessione del ramo di azienda. Tanto basta, ad avviso del Collegio, per superare l'eccezione e ritener per ciò ammissibile il ricorso vertente quanto meno parzialmente su profili di legittimità sopravvenuti al giudicato riguardanti provvedimento di conferma propria in quanto preceduto da una rinnovata valutazione istruttoria da parte dell'Amministrazione, secondo il consolidato criterio distintivo tra conferma propria ed impropria tracciato dalla giurisprudenza (ex plurimis T.A.R. Lombardia Milano sez. II, 29 settembre 2022, n. 2126). 3.- Sono invece inammissibili per violazione del principio del "ne bis in idem" come eccepito da De. Im. s.r.l. le doglianze di cui al secondo motivo di gravame con cui parte ricorrente di fatto pretende di riproporre censure in realtà già sollevate nel giudizio concluso con la sentenza n. 4728 del 2023. Il giudicato ha infatti come visto già ampiamente rilevato come benchè di norma l'autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica debba intervenire entro il momento dell'aggiudicazione, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un'autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante, senza possibilità per il g.a. di compiere tale valutazione per il divieto di cui all'art. 34 co. 2 c.p.a. inerente i poteri autoritativi non esercitati. Con la sentenza n. 4728/2023 il Consiglio di Stato ha anche escluso la violazione dell'obbligo di buona fede da parte dell'aggiudicataria la quale ha correttamente informato la stazione appaltante degli sviluppi della procedura concorsuale. Costituisce "ius receptum" in relazione al processo amministrativo che, ai sensi degli artt. 2929 c.c. e 324 c.p.c., la regola del "ne bis in idem" presuppone l'identità nei due giudizi delle parti in causa e degli elementi identificativi dell'azione proposta e quindi che in quei giudizi sia chiesto l'annullamento degli stessi provvedimenti, o di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità in quanto inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di impugnazione (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 10 maggio 2021 n. 3618; Id. sez. IV, 23 giugno 2015, n. 3158; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 3 gennaio 2022, n. 4) 4.- Venendo al merito il terzo motivo di gravame, per quanto argomentato, non merita condivisione. 4.1.- Ai sensi dell'art. 80 co. 5 lett b) del d.lgs. n. 50/ 2016 "pro tempore" applicabile "Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni"...omissis..... " l'operatore economico sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o sia in corso nei suoi confronti un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall'articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza adottato in attuazione della delega di cui all'articolo 1 della legge 19 ottobre 2017, n. 155 e dall'articolo 110". La suindicata norma va dunque coordinata con il richiamato art. 110 del Codice del 2016 ai sensi del quale l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale su autorizzazione del giudice delegato anche senza la necessità di avvalersi di requisiti di altro soggetto può partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori forniture e servizi. Va poi evidenziato che il concordato con continuità aziendale introdotto dall'art. 186 bis R.D. 16 marzo 1942 n. 267 diversamente da quello "ordinario" prevede la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore e la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento in una o più società (Anac Determinazione 23 aprile 2014, n. 3; Cassazione civile sez. I, 16 giugno 2023, n. 17273) Ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento di pubbliche commesse, l'impresa che si trovi in concordato preventivo con continuità aziendale, necessita di autorizzazione del giudice per tutto il periodo compreso tra la presentazione della domanda di accesso al concordato e fino all'omologazione del concordato medesimo, ma non successivamente all'intervenuta omologa: dopo di essa infatti, salvo che non intervengano la risoluzione o l'annullamento del concordato, viene meno l'esigenza dell'autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione, così come non occorre che la partecipazione sia accompagnata dal deposito della relazione di un professionista indipendente attestante la capacità dell'impresa di adempiere al contratto (T.A.R. Toscana sez. III, 20 marzo 2023, n. 286). Una volta ottenuta l'autorizzazione giudiziale - che come chiarito dall'Adunanza Plenaria può intervenire per quanto riguarda le procedure di affidamento soggette all'applicazione del d.lgs. 50/2016 anche successivamente all'aggiudicazione e prima della stipulazione del contratto ove la stazione appaltante dia conto in motivazione delle ragioni di pubblico interesse - la perdurante pendenza della procedura di concordato non è motivo di esclusione contemplato dall'art. 80 co. 5 lett. b) del citato decreto. 4.2.- Come noto per giurisprudenza pacifica le cause di esclusione devono ritenersi di stretta interpretazione e l'eventuale incertezza interpretativa va risolta nel senso di assicurare la più ampia partecipazione dei concorrenti, in omaggio al principio eurounitario del "favor partecipationis"(ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 14 marzo 2016, n. 1015; id., sez. V, 17 marzo 2015, n. 1375.) Nel caso di specie le ricorrenti come visto individuano quale causa di esclusione l'art. 80 co. 5 lett. b) d.lgs. 50/2016 requisito di cui la mandante Ri. Co. del RTI aggiudicatario sarebbe privo. Ma diversamente da quanto prospettato dalla difesa di parte ricorrente non risulta provata l'apertura di un procedimento di liquidazione a carico della mandante Ri. Co. non essendo sufficiente in tal senso la nota depositata e firmata dalla stessa (doc. n. 2) tenuto sempre conto la mera pendenza di una istanza di fallimento o di liquidazione giudiziale non è causa di esclusione dalla gara (C.G.A.S. 24 aprile 2015, n. 363). Giova invece rilevare come ai sensi dell'art. 94 co. 5 lett. d) del d.lgs. n. 36/2023 - non applicabile "ratione temporis" alla procedura di che trattasi - costituisce causa di esclusione automatica la sottoposizione dell'operatore economico a procedura di liquidazione giudiziale e di concordato preventivo in difetto di autorizzazione preventiva "entro la data dell'aggiudicazione" e sempre che "non intervengano ulteriori circostanze escludenti relative alle procedure concorsuali". 4.3.- Non ignora il Collegio come in tale ambito le perplessità avanzate dalle ricorrenti in merito alla concreta possibilità per il raggruppamento aggiudicatario di procedere all'esecuzione dei lavori contrattuali possano avere consistenza, venendo però in rilievo una ragione valevole sul piano dell'opportunità, non sindacabile dall'adito Tribunale al di fuori delle tassative fattispecie di giurisdizione estesa al merito, e non su quello della legittimità in assenza di una corrispondente causa di esclusione tra quelle delineate dalla fonte normativa primaria ratione temporis applicabile alla fattispecie. Nel concordato con continuità aziendale di cui all'art. 186 bis L.F. d'altronde diversamente dal concordato "ordinario" l'obiettivo legislativo del recupero della stabilità aziendale può essere perseguito proprio con la cessione dell'azienda in esercizio (ex multis Cassazione civile sez. I, 5 aprile 2022, n. 10988). Infine non da ultimo trascura parte ricorrente che l'esecuzione del contratto potrebbe essere pur sempre assicurata, se del caso, anche con modifiche meramente interne al raggruppamento ovvero tramite l'apporto della mandataria De. Im. (ex multis Consiglio di Stato Ad. plen., 27 maggio 2021, n. 9). 5.- Il primo motivo di gravame, infine, non merita ugualmente adesione. Trascura parte ricorrente che per giurisprudenza del tutto pacifica la valutazione circa la ricorrenza delle cause facoltative di esclusione dalle gare pubbliche rientra nell'ambito della ampia discrezionalità della P.A. ed è sindacabile solo in caso di manifesta pretestuosità e ai soli fini di un eventuale riesame da parte della stessa P.A. (ex plurimis, Consiglio di Stato, A.P. n. 16/2020; Id. sez. V, 18 ottobre 2022, n. 8864; Id. sez. III, 10 febbraio 2021, n. 1248; id. n. 505/2021; Id, sez. IV, 8 ottobre 2020, n. 5967) e che al contempo l'atto di ammissione (a differenza dell'esclusione) è motivabile "per relationem" ove correlato alle deduzioni del concorrente stesso (ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 22 novembre 2023, n. 2762; Consiglio di Stato sez. IV, 10 novembre 2021, n. 7501). Nella fattispecie la stazione appaltante previo parere dell'Avvocatura dello Stato e richiamata la più volte citata sentenza n. 4728/2023 del Consiglio di Stato ha non irragionevolmente escluso la sussistenza di ragioni ostative alla conferma dell'aggiudicazione, nell'ambito di una valutazione discrezionale di sua spettanza. 6.- Alla luce delle suesposte argomentazioni il ricorso è in parte inammissibile ed in parte infondato. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite attesa l'obiettiva complessità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna Bologna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile ed in parte lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Carpentieri - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere Paolo Amovilli - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 225 del 2024, integrato da motivi aggiunti, proposto da Associazione Nu. Id. ET., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG A02AD931CB, rappresentata e difesa dall'avvocato Do. Io., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro la Città Metropolitana di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; il Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per l'annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del provvedimento, comunicato in data 6.03.2024, di "non ammissione all'apertura dell'offerta economica ai sensi dell'art. 90 c. 1 lett. d) del codice" relativo all'Appalto per l'individuazione di un ente attuatore per l'affidamento in prosecuzione progetto SAI prog. 872-PR2 cat. Ordinari del Comune di (omissis) triennio finanziato 2023/2025 CIG A02AD931CB; - del Bando di Gara, art. 16, nella parte in cui limiterebbe la possibilità di documentare e far valere i requisiti posseduti; - dei verbali della Commissione di Gara; - di ogni altro atto presupposto e conseguente quelli impugnati. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Associazione Nu. Id. ET. il 16/4/2024: - della Determinazione della Stazione Unica Appaltante della Città Metropolitana di Reggio Calabria n. 1224 del 9.04.2024 (Progressivo Servizio n. 69 del 18.03.2024 e Registro Settore n. 64 del 18.03.2024) pubblicata il 10.04.2024, notificata alla ricorrente il 15.04.2024, avente ad oggetto "Approvazione verbali di gara e dichiarazione Esito Infruttuoso accertamento somme in entrata". Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Città Metropolitana di Reggio Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Agata Gabriella Caudullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; 1. Con ricorso ritualmente proposto l'associazione ricorrente ha impugnato il provvedimento, comunicato il 6 marzo 2024, con cui la Commissione giudicatrice ha disposto la sua esclusione dall'appalto indetto per l'individuazione di un "ente attuatore" per l'affidamento in prosecuzione del progetto SAI prot. 872-PR-2 cat ordinari del Comune di (omissis) per il triennio 2023/2025. La commissione ha disposto, in particolare, la non ammissione alla successiva fase di apertura dell'offerta economica in quanto il punteggio di 13,60 attribuito all'offerta tecnica, prima della prima riparametrazione, non gli consente di raggiungere il punteggio minimo complessivo (cd. Soglia di sbarramento) fissato in 45/80, così come prescritto nel punto 18.1. del bando/disciplinare di gara. Espone la ricorrente di aver richiesto copia verbali di gara relativi alla disposta esclusione con rituale istanza di accesso dell'11 marzo 2024, riscontrata dall'amministrazione in data 18 marzo 2024. Dall'esame dei verbali di gara è emerso che la commissione, nel corso della seduta 5 marzo 2024, avendo rilevato che la relazione presentata dal concorrente è caratterizzata da una descrizione libera dell'offerta tecnica nel senso che la stessa non rispetta i punti descritti dal disciplinare di gara e parte dei criteri e dei sub criteri oggetto di valutazione da parte della Commissione, ha ritenuto di non dover valutare - attribuendo, conseguentemente, un punteggio pari a zero - i punti non trattati. Osserva l'associazione ricorrente che la "non ammissione" alle successive fasi della gara è derivata dalla omessa valutazione della documentazione allegata ed espressamente richiamata dalla relazione tecnica che avrebbe dovuto essere valutata ai fini dell'attribuzione del punteggio. Lamenta, pertanto, la illegittimità del provvedimento di esclusione sotto i profili dell'eccesso di potere per difetto di motivazione e irragionevolezza, della violazione di legge (10 comma 2 D.lgs. 36/2023) e della violazione del principio del favor partecipationis. I. Premette la ricorrente di aver interesse all'impugnazione in quanto la corretta valutazione della relazione tecnica e dei documenti allegati avrebbe comportato certamente l'attribuzione di un punteggio ben superiore al punteggio minimo previsto dalla lex specialis per accedere alla valutazione dell'offerta economica. Non tenendo conto della documentazione allegata alla relazione tecnica l'amministrazione avrebbe ritenuto di non attribuire alcun punteggio in relazione ad alcuni sottocriteri e avrebbe ritenuto, altresì, di dover attribuire, in relazione ad altri sottocriteri, un punteggio inferiore rispetto a quello spettante. II. Atteggiandosi come clausola escludente, l'art. 16 del bando di gara sarebbe nullo nella parte in cui, dopo aver stabilito che la relazione tecnica dovesse essere contenuta in un testo di massimo 25 pagine formato A4, stabilisce che il testo che eccede il limite sopra indicato di 25 pagine non sarà oggetto di valutazione da arte della Commissione e potrà determinare l'esclusione del concorrente ove la mancata valutazione delle pagine eccedenti determini l'incompletezza dell'offerta stessa. III. Contrariamente a quanto asserito dalla Commissione, la relazione tecnica fa riferimento a ciascuno dei servizi indicati nel Capitolato d'Appalto e gli allegati, cui essa rinvia, sono corrispondenti a ciascuno dei criteri e subcriteri indicati nell'art. 18 del bando. IV. In presenza di clausole di portata equivoca non sarebbe possibile disporre l'esclusione dalla gara, ostandovi il principio del favor partecipationis. Nel caso di specie la lex specialis non escludeva la possibilità di allegare documenti alla relazione tecnica e la piattaforma telematica consentiva la produzione di un numero indefinito di allegati. L'associazione ricorrente, pertanto, ha fatto affidamento su questa possibilità . V. Essendo l'Associazione ricorrente unica partecipante alla procedura de qua¸ la valutazione dell'offerta tecnica tenendo conto di tutti i documenti allegati non avrebbe potuto, peraltro, neanche ipoteticamente, comportare una violazione della par condicio partecipationis 2. Con motivi aggiunti notificati e depositati il 16 aprile 2024, parte ricorrente ha impugnato la Determinazione n. 1224 del 9 aprile 2024 con la quale sono stati approvati i verbali di gara lamentandone la illegittimità sotto i medesimi profili già dedotti con il ricorso introduttivo. 3. Si è costituita in giudizio la Città Metropolitana di Reggio Calabria deducendo l'infondatezza del ricorso tenuto conto del fatto che l'associazione ricorrente, nella relazione tecnica prodotta in sede di partecipazione alla gara, ha omesso di trattare molti degli aspetti rilevanti ai fini della valutazione. La proposta progettuale avrebbe dovuto contenere, peraltro, indicazioni quantitative e qualitative in merito alle attività da espletare. Al contrario, la ricorrente si sarebbe per lo più soffermata sull'attività espletata in passato (v. corsi di lingua italiana o attività di formazione svolta durante il precedente affidamento). Quanto alla contestata nullità dell'art. 16 del bando, l'amministrazione resistente ne contesta, in primis, la rilevanza atteso che la relazione tecnica della ricorrente, di appena 20 pagine, non supera il limite ivi stabilito. La documentazione allegata non potrebbe, comunque, colmare le lacune della proposta progettuale. Ed infatti, suddetta proposta, non risultando chiara e definita, impedirebbe ogni verifica in corso di esecuzione dei servizi affidati. Del tutto errato sarebbe l'assunto secondo cui il bando consentiva ai concorrenti di allegare alla relazione tecnica ulteriori documenti essendo questa possibilità prevista esclusivamente con riferimento al sub criterio 4.2. I documenti ai quali parte ricorrente fa riferimento sono stati, inoltre, inseriti all'interno della busta contenente la documentazione amministrativa. Tale produzione, costituita da circa 240 files, sarebbe del tutto inammissibile. 3. All'udienza in camera di consiglio dell'8 maggio 2024 la causa veniva rinviata su concorde richiesta delle parti per consentire al difensore di parte ricorrente di depositare, su supporto informatico, i documenti indicati al punto 7 del foliario depositato con il ricorso principale ("Offerta tecnica con allegati"), non interamente visualizzabili. Con decreto n. 35 del 9 maggio 2024 il Presidente autorizzava tale deposito che veniva effettuato dal ricorrente il successivo 10 maggio 2024. 4. All'udienza in camera di consiglio del 22 maggio 2024, previo avviso alle parti circa la possibilità di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi degli artt. 60 e 120 c.p.a., la causa è stata trattenuta in decisione. 5. Il ricorso è infondato. 5.1. L'art. 16 del bando di gara stabiliva: "La relazione tecnica contiene una proposta tecnico-organizzativa, di massimo 25 pagine formato A4, esclusi copertina, indice e documentazione a comprova del criterio 4.2. che illustra, con riferimento ai criteri e sub-criteri di valutazione indicati nella tabella di cui al successivo punto 18.1. i seguenti elementi: 1. Sistema organizzativo dei servizi. 2. Misura atte a favorire l'inserimento. 3. Piano di formazione degli operatori. 4. Migliorie. 5. Mezzi e attrezzature che il soggetto prevede di impiegare nella realizzazione del progetto". Il richiamato art. 18.1 riportava, a sua volta, una tabella nella quale erano individuati, per ciascuno degli elementi elencati nel precedente art. 16, i sub criteri ed il punteggio massimo attribuibile con riferimento a ciascuno di essi, suddiviso tra punteggi discrezionali e punteggi quantitativi. 5.2. La relazione tecnica presentata dalla ricorrente era costituita da complessive 20 pagine, suddivisa in paragrafi corrispondenti ai servizi descritti nel capitolato speciale d'appalto (servizio di accoglienza materiale, mediazione linguistica, orientamento e accesso ai servizi del territorio, formazione e riqualificazione professionale orientamento e accompagnamento all'inserimento lavorativo, sociale e abitativo, tutela legale, tutela psico-socio sanitaria...) ma solo parzialmente corrispondenti agli elementi e ai criteri di cui ai richiamati articoli 16 e 18 del bando di gara. In corrispondenza di ogni paragrafo la relazione riportava la dicitura "vedi atti allegati", senza null'altro specificare in ordine al tipo di allegato, alla sua denominazione o numerazione o, ancora, in ordine alla sua collocazione nell'ambito della documentazione prodotta in gara. Nella busta contenente la documentazione amministrativa risultavano, altresì, inserite 16 cartelle compresse identificate come "allegato offerta tecnica", ciascuna riferita ai criteri e sub criteri di valutazione indicati nella tabella di cui all'art. 18 del bando di gara ma non tutte riconducibili agli argomenti trattati nella relazione tecnica (v. Piano di formazione, Corsi di lingua italiana, Mezzi e attrezzature). 5.3. La commissione giudicatrice ha ritenuto che la relazione non rispettasse i punti descritti dal disciplinare di gara e parte dei criteri e dei sub criteri oggetto di valutazione... risulta(no) non trattat(a) ed ha, conseguentemente, attribuito un punteggio pari a zero in relazione a quegli elementi dell'offerta, corrispondenti ai criteri e ai sub-criteri di valutazione in relazione ai quali nulla veniva indicato nella relazione tecnica (corsi di apprendimento e approfondimento della lingua italiana; programmazione dei corsi di formazione degli operatori, capacità di attivare proposte coerenti con i bisogni dei beneficiari e del territorio, mezzi e attrezzature da impiegare nella realizzazione del progetto). 5.4. Parte ricorrente non contesta che la relazione prodotta non contenesse tutti gli elementi oggetto di valutazione ma lamenta che la commissione avrebbe dovuto fare riferimento ai documenti allegati ai quali essa espressamente rinviava, non potendosi ritenere esclusa dal bando la possibilità di allegare all'offerta tecnica ulteriori documenti. 5.5. L'assunto non può essere condiviso. Non essendo nemmeno in contestazione l'incompletezza della relazione tecnica prodotta in gara dalla ricorrente, deve ritenersi corretto l'operato della commissione giudicatrice che ha ritenuto di non dover attribuire alcun punteggio in relazione a quelle voci che non trovavano riscontro alcuno nella relazione tecnica contenente la proposta progettuale. Tale carenza non avrebbe potuto essere colmata dai documenti allegati. Sotto un primo profilo, invero, contrariamente a quanto asserito dalla parte ricorrente, la lex specialis non prevedeva la possibilità di allegare ulteriori documenti alla relazione tecnica, diversi da quelli espressamente previsti dall'art. 16 del bando (eventuale contratto di avvalimento in caso di avvalimento premiale, documentazione a comprova del criterio 4.2., il progetto di assorbimento ai fini del rispetto della c.d. clausola sociale, eventuale dichiarazione firmata contenente i dettagli dell'offerta coperti da riservatezza). Né tale disposizione può essere considerata equivoca solo perché l'art. 14 dello stesso bando prevedeva che la stazione appaltante potesse chiedere chiarimenti sui contenuti dell'offerta tecnica e dell'offerta economica e su ogni loro allegato, dovendo evidentemente intendersi il rinvio ivi operato a quei documenti che, per espressa previsione della lex specialis, avrebbero potuto essere allegati all'offerta. Ciò trova, peraltro, conferma nel fatto che la stessa ricorrente ha dovuto inserire i documenti denominati "allegato offerta tecnica" nella sezione relativa alla documentazione amministrativa e non nella busta contenente l'offerta tecnica. 5.6. Sotto un ulteriore, non meno rilevante, profilo, occorre inoltre osservare che, in nessun caso la documentazione allegata può sopperire alle carenze della relazione tecnica che, contenendo la proposta progettuale, costituisce la dichiarazione negoziale che impegna il concorrente alla sua esecuzione in caso di aggiudicazione dell'appalto ed è, pertanto, destinata a confluire nel contratto che regolamenta la fase esecutiva del rapporto. Gli allegati avrebbero potuto, pertanto, tutt'al più contenere eventuali approfondimenti tecnici a comprova e supporto di quanto descritto in modo puntuale ed esauriente nella proposta progettuale contenuta nella relazione tecnica che, dunque, non avrebbe dovuto limitarsi ad un generico rinvio alla "documentazione allegata" o agli "atti allegati", neanche puntualmente indicati. I documenti non avrebbero potuto contenere aspetti del tutto nuovi, non esaminati o non affrontati nella relazione tecnica potendo, tutt'al più, illustrare in maniera più approfondita quanto già esposto nella relazione generale, purché vi fosse un espresso e puntuale richiamo nelle singole pagine e paragrafi di quest'ultima (cfr. TAR Bologna, sez. I. sentenza n. 983 del 7 dicembre 2022, in un caso, diverso da quello in esame, in cui la lex specialis prevedeva espressamente la possibilità allegare depliant, fotografie, certificazioni ed altra documentazione tecnica di eventuale approfondimento a corredo dell'offerta tecnica e la relazione tecnica presentata dalla concorrente conteneva tutti gli elementi oggetto di valutazione). Come già evidenziato, la relazione tecnica di parte ricorrente, invece, diversamente da quanto richiesto dal bando di gara (v. art. 16), non illustrava gli elementi del servizio con riferimento a ciascuno dei criteri e sub criteri di valutazione indicati nella tabella riportata nel successivo art. 18. Come correttamente rilevato dalla commissione di gara, i profili e gli aspetti non trattati nella relazione non avrebbero potuto, pertanto, costituire oggetto di valutazione. 5.7. Deve altresì osservarsi che la "non ammissione" alle successive fasi della procedura non è stata disposta in ragione del superamento del limite di pagine ammesso, risultando, pertanto non conducente la censura afferente ad una pretesa nullità dell'articolo 16 che avrebbe introdotto una clausola di esclusione non prevista dalla legge. Tale disposizione prevedeva, invero, che non sarebbero state oggetto di valutazione le pagine -esclusi copertina, indice e documentazione a comprova del criterio 4.2. (accredito presso agenzie di formazione professionale e/o di servizi per il lavoro) - successive alla venticinquesima. Nel caso di specie, tuttavia, la commissione ha valutato nella sua interezza la relazione tecnica, ricompresa in complessive 20 pagine, attribuendole, nondimeno, un punteggio inferiore alla soglia minima di sbarramento pari a 45/80, in quanto alcuni aspetti dell'offerta - corrispondenti ai criteri e sub criteri 1.5. (corsi di apprendimento e approfondimento della lingua italiana), 3.1. (programmazione dei corsi di formazione degli operatori), 4.1. (capacità di attivare proposte coerenti con i bisogni dei beneficiari e del territorio), 5.1. e 5.2. (mezzi e attrezzature da impiegare nella realizzazione del progetto) - non risultavano "trattati" e non potevano, pertanto, essere valutati. In ragione della natura negoziale della proposta progettuale così come contenuta nella relazione tecnica e non anche nei documenti allegati alla documentazione amministrativa, per lo più privi della forma e del contenuto propri della "proposta", nessuna rilevanza può essere assegnata al fatto che la ricorrente fosse l'unica impresa concorrente non essendo in discussione la potenziale lesione della par condicio ma l'individuazione dell'ente attuatore in grado di proporre una soluzione progettuale in linea con le esigenze "minime" dell'amministrazione, garantite anche e per quanto qui di interesse dalla prevista "soglia di sbarramento" che la ricorrente non ha superato. 6. In conclusione, alla luce di quanto dedotto, il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Le spese, da liquidarsi nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti della Città Metropolitana, nulla dovendo disporsi nei confronti del Comune di (omissis) non costituito in giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li rigetta. Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della Città Metropolitana di Reggio Calabria, selle spese di lite che liquida in 2.000,00 (duemila/00) euro, oltre accessori se dovuti. Nulla per le spese nei confronti del Comune di (omissis). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Caterina Criscenti - Presidente Agata Gabriella Caudullo - Primo Referendario, Estensore Alberto Romeo - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 353 del 2023, proposto da El. Za., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ar. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Emilia-Romagna, Provincia di Reggio Emilia, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - dell''atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 con oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell''art. 14 comma 6 LR 15/2013"; - della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Paola Pozzani, nessuno presente per le parti come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 recante in oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell'art. 14 comma 6 LR 15/2013", e dell'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 80 del 27.10.2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio il 28 dicembre 2023, ha speso le proprie difese con memoria del 18 gennaio 2024 ed ha depositato memoria ex art. 73 C.p.a. il 4 aprile 2024. La ricorrente ha precisato la propria posizione con memoria depositata in giudizio il 19 aprile 2024. Entrambe le parti hanno depositato copiosa documentazione. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La ricorrente, proprietaria, in (omissis) (RE), via (omissis), di un edificio residenziale in zona agricola, rappresenta che presentava al Comune di (omissis), in data 8.7.2023, prot. n. 8753, una s.c.i.a. in sanatoria avente ad oggetto la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina, del relativo locale tecnico, della pavimentazione perimetrale, di un piccolo fabbricato in legno ad uso spogliatoio e di una tettoia; ricevuti i documenti ed i chiarimenti richiesti, il Comune di (omissis), con atto 11.10.2023 prot. n. 13122 della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio, comunicava alla ricorrente l'inefficacia della s.c.i.a., "verificata l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP; verificata la non applicabilità dell'art. 4.1.3. comma 6 del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq. di SU". Faceva seguito l'ordinanza 27.10.2023 n. 80, con la quale l'Amministrazione comunale ha disposto la demolizione delle opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria ed anche di una recinzione, accertando, altresì, la sussistenza di una lottizzazione abusiva: "...Confermando quanto relazionato dalla comunicazione di inefficacia trasmessa dal Comune di (omissis) con Prot. n. 13122 del 11.10.2023 si precisa che dagli atti trasmessi risulta quanto segue: 1. Accertata difformità urbanistica ed edilizia sul mappale (omissis) (ex (omissis)) ad uso piscina e manufatti diversi (spogliatoio e wc, locale tecnico, tettoia); le dimensioni della difformità riguardano la piscina di mq. 132,92 di superficie, uno spogliatoio e wc di mq. 8,00, un locale tecnico di mq. 12,00 e una tettoia di mq. 35,02; 2. Accertata difformità urbanistica ed edilizia di muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis); 3. Accertata difformità urbanistica ed edilizia della pavimentazione realizzata sul mappale (omissis); 4. I succitati lavori di esecuzione dei manufatti e della recinzione risultano terminati da tempo, a maggio 2019, come da dichiarazione allegata alla scia 2023/041/S; 5. Accertata difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis) Pratica n. RE0065467 in atti dal 11.5.2023 Protocollo NSD n. ENTRATE.AGEV-STI.REGISTRO UFFICIALE.20433-58.11/05/2023 presentato il 11.5.2023 (n. 65467.1/2023)". Con il primo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" la ricorrente evidenzia, con riguardo alle opere di cui alla s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023, che l'art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, nel prevedere l'accertamento di conformità, mediante s.c.i.a. in sanatoria, degli interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, non detta alcuna disposizione volta a disciplinare il relativo procedimento e prospetta che in materia sussistano due orientamenti giurisprudenziali, l'uno rivolto a riconoscere l'applicabilità dell'istituto del silenzio assenso, l'altro a negarla. In particolare la difesa attorea si riferisce, quanto al primo, alle pronunce che affermano che "la s.c.i.a. in sanatoria, presentata ex art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001, si presta a rendere operanti le correlate prescrizioni di cui all'art. 19 e ss., legge n. 241 del 1990, in materia di silenzio assenso, dovendo essere ragionevolmente riconosciuto a tale segnalazione carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità dei fatti attestati e a produrre, con l'inutile decorso del tempo per l'emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una diversa volontà delle parti, ossia l'avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria... Di talché, non essendo intervenuto alcun motivato provvedimento inibitorio allo spirare del trentesimo giorno dalla segnalazione, il titolo in sanatoria deve essere considerato esistente...". (facendo riferimento a T.A.R. Campania, Salerno, 24.3.2022 n. 809; T.A.R. Campania, Napoli, 9.12.2019 n. 5789; T.A.R. Lazio, Roma, 9.1.2018 n. 156; T.A.R. Calabria 29.5.2019 n. 1085; Cons. Stato, Sez. V, 31.3.2014 n. 1534). Nel caso di specie, tale silenzio significativo si sarebbe formato in quanto il Comune di (omissis), a seguito della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria in data 8.7.2023, ha chiesto tempestivamente alla ricorrente, in data 7.8.2023, prima della scadenza del termine di 30 giorni, chiarimenti e determinata documentazione e, ottenute, in data 6.9.2023, le precisazioni richieste, l'Amministrazione comunale si è pronunciata con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dal ricevimento delle integrazioni e, pertanto, quando il titolo edilizio in sanatoria sarebbe ormai venuto ad esistenza. Parte attrice da atto che un diverso orientamento qualifica la fattispecie come silenzio rigetto (facendo riferimento a T.A.R. Lombardia, Milano, 21.3.2017 n. 676) o come silenzio inadempimento (in riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20.2.2023 n. 1708), ma ne contesta il fondamento poiché la prima declinazione ermeneutica replicherebbe la disciplina dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, precisando che nelle relative sentenze si farebbe riferimento anche al termine di 60 giorni previsto dall'art. 36, comma 3, quando, invece, il legislatore avrebbe tenuto ben distinte le fattispecie, prevedendo: - la disciplina dell'art. 36 per i casi di "interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio di attività nelle sole ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformità da essa"; - la disciplina di cui all'art. 37 per la diversa fattispecie riguardante "la realizzazione di interventi di cui all'art. 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla s.c.i.a.", senza operare alcun riferimento, neppure indirettamente, all'art. 36 né prevedere che il mancato, tempestivo, pronunciamento della Amministrazione sia da qualificarsi come silenzio rigetto. Quanto alla seconda declinazione interpretativa dell'orientamento in disamina, la difesa attorea sottolinea che sarebbe stato affermato (in riferimento a Cons. Stato, n. 1708/2023 cit.) che "il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento" in considerazione del fatto che "dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio": sul punto la ricorrente sottolinea che nella impossibilità, sulla base di detta impostazione, di far riferimento, per il pronunciamento dell'Amministrazione comunale, ad alcun termine determinato - non al termine dell'art. 19 della L. n. 241/1990, la cui inosservanza comporterebbe il silenzio assenso, non al termine di cui all'art. 36, la cui inosservanza è qualificata come silenzio rigetto, e neppure al termine previsto in via generale dall'art. 2, comma 2, della L. n. 241/1990, atteso che, sulla base della giurisprudenza citata, 30 giorni non sarebbero sufficienti per accertare la duplice conformità urbanistica di un'opera abusiva - verrebbe a determinarsi una situazione di assoluta incertezza, non essendo dato comprendere quando possa configurarsi l'inadempimento, così da consentire all'interessato di attivarsi giudizialmente per contrastare l'inerzia della Amministrazione. Né tale tesi sarebbe percorribile, ad avviso del patrocinio attoreo, sulla scorta del fatto che, in caso di esito favorevole, il quantum della somma da corrispondersi a titolo di oblazione debba essere determinato dal responsabile del procedimento medesimo, poiché non sussisterebbe alcuna preclusione a che la somma dovuta venga determinata in un momento successivo alla formazione, per decorso del termine di 30 giorni, del titolo edilizio in sanatoria: tale tesi sarebbe ancora meno spendibile con riferimento al caso di specie, avuto riguardo alla normativa regionale di riferimento. La ricorrente fa riferimento all'art. 17, comma 3, della L. Reg. 21.10.2004 n. 23 laddove prevede per le nuove costruzioni il pagamento di un importo a titolo di oblazione predeterminato dalla stessa norma, commisurato "al contributo di costruzione in misura doppia ovvero, in caso di esonero, in misura pari a quella prevista dalla normativa regionale e comunale, e comunque per un ammontare non inferiore a 2.000 euro": pertanto, assume la difesa attorea, l'intervento del responsabile del procedimento, nel caso considerato, non sarebbe a rigore necessario e il modulo relativo alla s.c.i.a. in sanatoria prevede che l'importo della oblazione sia indicato dal privato e preventivamente versato. L'esponente contesta l'impostazione della decisione del Consiglio di Stato n. 1708/2023 laddove si legge, altresì, che il silenzio inadempimento è soluzione che "appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio", poiché la disciplina di cui all'art. 19 della L. n. 241/1990 non esclude una valutazione espressa della Amministrazione, prevedendo anzi, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti prescritti, l'adozione di "motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa". Inoltre, aggiunge parte attrice, la s.c.i.a. in sanatoria ha per oggetto opere di minore impatto e rilevanza, per le quali l'accertamento della doppia conformità rispetto alla disciplina urbanistico - edilizia può essere adeguatamente effettuato nel termine di 30 giorni previsto dalla legge, tenuto conto anche del fatto che il termine in questione è suscettibile di essere interrotto per chiarimenti e integrazioni, per poi, una volta ottenuto quanto richiesto, riprendere nuovamente il suo corso. In conclusione, la difesa attorea prospetta che la comunicazione di cui all'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, in quanto pervenuta oltre il termine di 30 giorni dall'inoltro delle integrazioni richieste dall'Amministrazione comunale, sarebbe da ritenersi, sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale che ritiene preferibile, priva di efficacia, come previsto anche dall'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 (in riferimento al comma 8-ter) che il Comune di (omissis), a dimostrazione della ritenuta applicabilità della norma in questione anche nel caso di specie, avrebbe richiamato espressamente in detta comunicazione: il titolo edilizio in sanatoria sarebbe, pertanto, venuto ad esistenza e l'inefficacia dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 si riverberebbe sulla ordinanza 27.10.2023 n. 80, determinandone l'illegittimità per vizio derivato ed anche per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, difettando il presupposto per ordinare il ripristino dello stato dei luoghi, costituito dalla abusività delle opere considerate. Nella memoria finale la difesa attorea aggiunge che la tesi volta ad escludere la possibile formazione del silenzio assenso sulla s.c.i.a. in sanatoria confliggerebbe anche con quanto previsto dal D.Lgs. 25.11.2016 n. 222 ("Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124") sottolineando che l'art. 2 del D.Lgs. citato sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990": la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" indica la "S.c.i.a. in sanatoria" prospettando, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria è da considerarsi soggetta al regime del silenzio assenso, secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Con il secondo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Violazione dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione degli artt. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. del Comune di (omissis). Eccesso di potere per travisamento. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" parte ricorrente ritiene che nel caso di specie sussista il presupposto della doppia conformità posto che, a differenza di quanto ritenuto dal Comune di (omissis), le opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023 sarebbero conformi alla disciplina urbanistico - edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia alla data di presentazione di detta segnalazione: precisa, infatti, che si tratterebbe della medesima disciplina, atteso che le opere di cui trattasi sono state realizzate nel maggio del 2019 e il vigente R.U.E. del Comune di (omissis) è stato approvato con delibera di C.C. 21.12.2011 n. 72. La determinazione del Comune sarebbe erronea nel ritenere non sanabili le opere ridette, adducendo "l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP" ed anche la "non applicabilità dell'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" poiché la s.c.i.a. in sanatoria di cui si discute riguarda la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina e delle relative strutture accessorie costituite dal locale tecnico ove sono alloggiati gli impianti della piscina, da uno spogliatoio in legno, da una tettoia a bordo piscina per la sosta e il riparo delle persone e dalla pavimentazione perimetrale alla piscina: le opere descritte - prospetta l'esponente - sarebbero state realizzate in stretta contiguità spaziale rispetto all'attiguo edificio abitativo (la piscina è posta di fronte a detto edificio, alla distanza di una ventina di metri), per il quale, con autorizzazione edilizia 7.1.2000 n. 47/99/A, è stato assentito il mutamento di destinazione d'uso da fabbricato rurale a edificio residenziale. A sostegno della pertinenzialità la ricorrente adduce che la Regione Emilia-Romagna, con nota 24.6.2020 n. PG/2020/463171 del Servizio giuridico del territorio, disciplina dell'edilizia, sicurezza e legalità (in actis al documento n. 8), ha precisato che costituisce pertinenza dell'edificio residenziale la piscina posta a servizio dell'edificio medesimo, "con dimensioni non superiori al 20% del volume dell'edificio principale, che non ha una potenziale autonoma utilizzazione economica" e, come si evincerebbe dalla relazione tecnica del Geom. Al. Be. del 5.12.2003 (in actis al documento n. 9), la piscina di cui trattasi ha un volume di 152 mc. inferiore al 20% del volume del fabbricato principale, pari a 1462,27 mc. (1462,27mc x 20% = 292,45 mc.). Inoltre, aggiunge la ricorrente, la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonoma utilizzazione economica, considerato che la stessa, come risulterebbe dalla relazione succitata, ha le dimensioni di una piscina ad uso privato destinata a soddisfare le esigenze delle persone residenti nell'edificio abitativo, risultando, altresì, strettamente connessa all'edificio medesimo non solo per la sua ubicazione, ma anche per il fatto che la piscina è dotata di impianti derivanti dalla abitazione ridetta, sia per l'adduzione idrica, sia per l'energia elettrica: la pertinenzialità sarebbe implicitamente - ad avviso della difesa attorea - riconosciuta dallo stesso Comune di (omissis) che nulla avrebbe eccepito in ordine al fatto che, per la sua sanatoria, sia stata presentata una s.c.i.a. Inoltre, sottolinea la esponente, il riferimento operato dal Comune di (omissis), con l'atto impugnato, alla assenza di titolo per intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E., non sarebbe corretto trattandosi di pertinenza di un edificio residenziale, e avrebbe, perciò, titolo per intervenire il proprietario dell'edificio medesimo, ancorché privo della qualifica di imprenditore agricolo. A sostegno della tesi, la ricorrente evidenzia che l'art. 4.1.3. del R.U.E. del Comune di (omissis) prevede la possibilità di ottenere il mutamento di destinazione d'uso degli edifici rurali in edifici residenziali, così che, una volta assentito detto mutamento, deve ritenersi consentita, per il proprietario, la realizzazione di opere pertinenziali dell'edificio principale: questa prospettazione sarebbe confermata dalla giurisprudenza, essendosi ritenuta legittima la realizzazione, in ragione del riconosciuto carattere pertinenziale, di una piscina di dimensioni contenute a corredo di un edificio a destinazione residenziale sito in zona agricola (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. V, 16.4.2014 n. 1951; idem, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Puglia, Lecce, 1.6.2018 n. 931; idem, 14.1.2019 n. 40; T.A.R. Liguria 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Sicilia, Palermo, 13.2.2015 n. 441). Sarebbero, così, suscettibili di sanatoria anche il locale tecnico, lo spogliatoio in legno, la tettoia e la pavimentazione perimetrale, trattandosi di elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina (citando con riferimento al locale tecnico, Cons. Stato, n. 1951/2014), insuscettibili, per le loro dimensioni contenute, di alterare in modo significativo l'assetto del territorio. Quanto al fatto che il Comune di (omissis), con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, ha addotto altresì, che, nel caso di specie, non sarebbe applicabile l'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. "in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" la difesa attorea ne contesta l'assunto in quanto la disposizione medesima disciplinerebbe l'ampliamento delle unità edilizie abitative e delle superfici accessorie esistenti, senza escludere la possibilità di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: nel caso in esame, detto limite, come sarebbe evidenziato nella relazione sopra del Geom. Be., sarebbe stato rispettato anche considerando i locali accessori (spogliatoio e locale tecnico), mentre la tettoia non sarebbe computabile a fini volumetrici, essendo aperta su tutti i lati. Aggiunge l'esponente che il locale spogliatoio e il locale tecnico hanno, rispettivamente, una volumetria di 17,78 mc. e di 27 mc. che sommata al volume della piscina (152 mc.) porta ad una volumetria complessiva di 196,78 mc., inferiore al 20% del volume del fabbricato principale (292,45 mc.) concludendo che le opere oggetto di sanatoria sarebbero da considerarsi conformi alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento e, così, suscettibili di sanatoria. Con il terzo motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23, nonchè per eccesso di potere per travisamento sotto altro profilo" la ricorrente lamenta che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha disposto la demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", ma la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, per alcune difformità riguardanti l'edificio principale e anche la recinzione anzidetta: su tale s.c.i.a. l'Amministrazione comunale non si sarebbe ancora pronunciata, avendo chiesto integrazioni, da ultimo, con nota 26.9.2023 prot. n. 12395, alla quale ha fatto seguito, in data 26.10.2023, la trasmissione delle integrazioni richieste; anche in tale caso si sarebbe formato il silenzio assenso, dovendosi, così, escludere la possibilità di ordinare la demolizione dell'opera medesima. Inoltre, l'ordinanza 27.10.2023 n. 80 oggetto di gravame sarebbe da considerarsi illegittima anche nell'ipotesi in cui il procedimento di sanatoria dovesse considerarsi ancora pendente poiché per giurisprudenza consolidata - prospetta la difesa attorea - è "illegittima l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive emessa in pendenza della già avvenuta presentazione di una domanda in sanatoria; questo in quanto nelle more della definizione di tali domande i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi" (citando Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.2021 n. 7448). I Con il quarto motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione e falsa applicazione dell'art. 30 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380 e dell'art. 12 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Eccesso di potere sotto i profili della illogicità e del travisamento sotto ulteriore profilo" evidenzia l'esponente che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha contestato anche una "difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis)", la quale nel caso di specie non sussisterebbe. La difesa attorea sottolinea che la lottizzazione c.d. "cartolare", come espressamente sancito dall'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 12 della L. Reg. n. 23/2004, è ravvisabile allorquando la trasformazione del suolo sia predisposta "mediante il frazionamento e la vendita, ovvero mediante atti negoziali equivalenti, del terreno frazionato in lotti", i quali, per le loro oggettive caratteristiche - con riguardo soprattutto alla dimensione correlata alla natura dei terreni ed alla destinazione degli appezzamenti considerata sulla base degli strumenti urbanistici, al numero, all'ubicazione o all'eventuale previsione di opere di urbanizzazione - rivelino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio degli atti adottati dalle parti (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3215, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4429, Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937). Nel caso di specie, precisa il patrocinio della ricorrente, mancherebbe il presupposto fondamentale per la sussistenza di una lottizzazione "cartolare", atteso che al frazionamento dell'originario mappale n. (omissis) non ha fatto seguito alcuna vendita del terreno frazionato, vendita che non sarebbe configurabile, considerato che la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonomo sfruttamento economico: il frazionamento di cui trattasi è stato effettuato in data 16.5.2023, dandone comunicazione anche al Comune di (omissis) (con riferimento al documento n. 13 in actis), in funzione della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria riguardante la piscina, al fine di distinguere catastalmente la piscina medesima dalla restante area di proprietà, in cui era presente un magazzino, anch'esso realizzato in assenza di titolo edilizio, per il quale è stata presentata dalla ricorrente, in data 7.7.2023, prot. n. 8752, una c.i.l.a. ai fini della sua demolizione. Pertanto, conclude sul punto l'esponente, ancorché l'Amministrazione comunale, con l'atto impugnato, pare essersi riferita esclusivamente alla lottizzazione c.d. "cartolare", sarebbe da escludersi che possano configurarsi anche la lottizzazione "materiale" e la lottizzazione c.d. mista, caratterizzata, quest'ultima, dalla compresenza delle attività negoziali e delle attività materiali volte alla edificazione del terreno dovendosi, in base alla giurisprudenza, considerare che la fattispecie lottizzatoria nella veste "materiale" implica la realizzazione di "opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest'ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori; siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all'amministrazione" (citando Cons. stato, Sez. VI, 4.11.2019 n. 7530): deve, pertanto, trattarsi di una radicale trasformazione del suolo a fini edificatori che non può riscontrarsi, a prescindere dalla dimostrata legittimità dell'intervento, nella realizzazione di una piscina a servizio di un edificio residenziale in zona agricola, non comportando tale opera, tra l'altro, alcun aggravio del carico urbanistico (rinviando a Cons. Stato, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142). Il Comune resistente precisa in fatto che la ricorrente è proprietaria di un complesso immobiliare sito in via (omissis) a (omissis) (RE), che consta di un'abitazione principale (già fabbricato rurale, oggi edificio residenziale) e di un'ampia porzione di terreno agricolo, compendio su cui - nel corso degli anni - sono stati fatti diversi interventi di trasformazione edilizia in assenza di valido titolo. In particolare, in data 28.04.2023 la ricorrente depositava presso il Comune di (omissis) la comunicazione di avvenuto frazionamento dell'ex mappale (omissis) nei nuovi mappali (omissis) e (omissis), frazionamento che era stato presentato all'Agenzia delle Entrate - Ufficio Provinciale di Reggio Emilia - in data 18.04.2023; sul mappale (omissis), secondo la difesa dell'Ente, sono stati commessi svariati abusi edilizi, che - di fatto - lo caratterizzano in modo del tutto differente rispetto al mappale (omissis), sul quale pure sono stati commessi abusi edilizi che la ricorrente ha dichiarato di voler demolire con CILA presentata al Comune in data 08.07.2023, prot. n. 8752, ripristinando in tal modo l'originaria connotazione agricola del terreno (con riferimento ai documenti nn 3, 4, 5, 6, 7 e 8 in actis). Inoltre, prosegue l'Amministrazione, al fine di sanare le opere abusive non rimosse con la CILA di cui sopra, la ricorrente presentava al Comune due distinte pratiche di Segnalazione Certificata di Inizio Attività : la n. 2023/029/S, acquisita con prot. n. 5985 del 12.05.2023, relativa alla sanatoria di opere eseguite su edificio residenziale e sulla recinzione esterna dell'area cortiliva (immobile identificato catastalmente al foglio 20, mappale 205) e la n. 2023/041/S, acquisita con prot. n. 8753 del 08.07.2023, relativa alla sanatoria di una piscina - di oltre 112 mq. di superficie - e di manufatti annessi (su terreno agricolo, identificato catastalmente al foglio 20, mappale (omissis)). Quindi, sottolinea l'Amministrazione, emerge che le opere realizzate sul mappale (omissis) (piscina, tettoia, pavimentazione, locali tecnici, spogliatoio, recinzioni perimetrali alla piscina) sono dalla ricorrente medesima qualificate come "pertinenze" dell'edificio residenziale di cui al mappale 205, ma non sono state inserite nella stessa comunicazione di SCIA in sanatoria. Il Comune resistente aggiunge che dalla relazione fotografica e dagli elaborati grafici allegati alla SCIA prot. 8753, peraltro, si evince che gli interventi abusivamente realizzati sul mappale (omissis) hanno determinato la creazione di un autonomo lotto, con piscina e locali accessori, oltre ad una tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo (di oltre 35 mq. di superficie coperta), lotto del tutto indipendente rispetto all'abitazione principale, al punto che da questa è separata da due cancelli e da uno stradello carrabile (rinviando ai documenti nn. 20 e 21 in actis): ciò comporterebbe che gli abusi edilizi e i frazionamenti dei mappali catastali hanno determinato la creazione di tre distinti lotti all'interno della proprietà della ricorrente, tutti serviti da uno stradello privato interno: uno con abitazione a area cortiliva di pertinenza, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale 205), uno con piscina, zona relax, tettoia con zona pranzo-cucina e locali accessori, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale (omissis)) ed uno che - a seguito della demolizione dei fabbricati abusivi che vi insistono - riacquisterà la sua originaria natura di terreno agricolo (mappale (omissis)). Inoltre, le due SCIA menzionate hanno avuto una sorte tra loro differente: - la n. 2023/029/S, prot. n. 5985, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale 205, dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata accettata dal Comune con atto prot. n. 602/2024; - la n. 2023/041/S, prot. n. 8753, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale (omissis), dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata dichiarata inefficace dal Comune con atto prot. n. 13122 del 11.10.2023. Quest'ultima, oggetto di impugnazione, è stata dal Comune motivata con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti (rinviando all'estratto del PSC di cui al documento n. 25 ed all'estratto del RUE di cui al documento n. 26 in actis) per i seguenti motivi: - assenza di titolo ad intervenire in zona agricola, ai sensi dell'art. 4.1.1 e seguenti del RUE (in quanto intervento in zona agricola effettuato da non imprenditore agricolo - IAP); - per l'inapplicabilità dell'art. 4.1.3 comma 6 del RUE, in quanto l'intervento è stato eseguito su edificio non di recente costruzione e con ampliamento superiore ai 30 mq. di superficie (la sola tettoia sarebbe di 35,02 mq. con riferimento al documento n. 20 in actis). Con l'ordinanza impugnata il Comune ingiungeva di demolire le opere abusive, non sanabili perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (PSC e RUE) realizzate in assenza di valido titolo edilizio sul mappale (omissis), e di ripristinare lo stato dei luoghi, con precisa identificazione delle opere da demolire: piscina, spogliatoio-wc, locale tecnico, tettoia, muri perimetrali, pavimentazione esterna e recinzioni sul lato ovest, sud ed est. Sul primo motivo l'Amministrazione precisa che le tesi della ricorrente non sono condivise dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha invece affermato essere necessario un espresso pronunciamento del Comune sulla SCIA in sanatoria: "... il procedimento (relativo alla sanatoria di abusi edilizi tramite SCIA, n. d.r.) può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento. Innanzitutto, infatti, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento... Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio" (citando Cons. Stato, sez. II, 20.02.2023, n. 1708 e per una puntuale ricostruzione dell'istituto della SCIA in sanatoria riferendosi a T.A.R. Lazio Roma, sez. II-quater, 07.12.2023, n. 18386): di conseguenza, sottolinea la resistente, il procedimento avviato dalla ricorrente con la SCIA prot. n. 8753/2023 è stato correttamente concluso dal Comune con la comunicazione di inefficacia della SCIA stessa (prot. n. 13122, del 11.10.2023), atto motivato con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti. Sul secondo motivo, il Comune precisa che la nota della Regione citata dalla ricorrente si riferisce al quantum del contributo e non al concetto di pertinenzialità e che la declaratoria di inefficacia della SCIA impugnata è corretta in quanto non sussiste nel caso di specie la consistenza della misura inferiore ai 30 mq sostanziandosi l'intervento in un'opera che non sarebbe sanabile nemmeno da un imprenditore agricolo; la pertinenzialità sarebbe esclusa in quanto si tratta di un opera non contenuta ma di una piscina di 112 mq, e ai fini IMU (l'art. 1, comma 741, lett. b) della L. n. 160/2019 individua le pertinenze dell'abitazione principale nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7), e le piscine, che sono da ricomprendere ai sensi delle descrizioni contenute nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 5 del 14.03.1992 "Revisione generale della qualificazione della classificazione e del classamento del N.C.E.U." nella categoria C/4 (Fabbricati e locali per esercizi sportivi), sono escluse dal concetto di pertinenza. Inoltre, sottolinea l'Amministrazione, la giurisprudenza citata dalla ricorrente, al fine di affermare la pertinenzialità della piscina rispetto all'edificio principale, ha comunque quale presupposto per l'applicazione del regime di SCIA la circostanza che la piscina stessa sia costituita da un elemento prefabbricato e non determini modifiche al territorio, circostanze che non ricorrono nel caso de quo. Di conseguenza, controdeduce sul punto l'Amministrazione, risulterebbe irrilevante la tesi sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: non si tratterebbe di una questione di limite percentuale, ma è la natura stessa delle opere abusive che non ne consentirebbe la sanatoria tramite SCIA. Infine, conclude il Comune, l'argomento relativo all'implicito riconoscimento della piscina quale pertinenza dell'abitazione da parte del Comune stesso, che nulla avrebbe eccepito in ordine alla sanatoria dell'abuso tramite SCIA, non terrebbe conto del tenore della "comunicazione di inefficacia" della SCIA stessa, che - attraverso il richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE - implicitamente affermerebbe che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, avrebbero potuto essere realizzate solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Sul terzo motivo di ricorso il Comune di (omissis) precisa che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, Prot. n. 5985 e ciò sarebbe agevolmente rilevabile dalla tavola di raffronto tra la porzione di recinzione sanata con la SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985, segnata in viola, e la porzione di recinzione - non sanata - oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 80/2023, segnata in giallo (con riferimento al documento n. 28 in actis): sarebbero secondo la resistente, pertanto, irrilevanti le argomentazioni del ricorso relative alla "pendenza" del procedimento SCIA n. 2023/029/S poiché la eventuale pendenza del medesimo non rileverebbe, avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Sul quarto motivo di ricorso l'Amministrazione sottolinea che il frazionamento di più opere abusive censurate in via sostanziale integrerebbe una fattispecie di lottizzazione abusiva mista rinviando alla pronuncia del T.A.R. Sardegna, Sez. II, 20.03.2023, n. 194, che la descrive come categoria dogmatica "... caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dall'art. art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nell'attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso...": nel caso in esame, conclude sul punto l'Amministrazione, è stato accertato un disegno unitario, con un rilevante impatto negativo sul territorio rurale, con aggravio del relativo carico urbanistico e con pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita al Comune a garanzia del corretto uso del territorio deponendo per la correttezza della qualificazione della fattispecie come "lottizzazione abusiva". Illustrate brevemente le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che le questioni poste dalla ricorrente sugli effetti del decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in sanatoria non siano rilevanti nel caso de quo in quanto la fattispecie concreta non rientra in tale istituto di semplificazione in base ad un consolidato principio espresso dalla giurisprudenza in materia. Va premesso che l'art. 2 del D.Lgs. n. 222 del 2016, richiamato dal ricorrente, sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990", prevedendo la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" il richiamo alla "S.c.i.a. in sanatoria"; in ragione di ciò prospetta, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria sarebbe da considerarsi soggetta al regime del "silenzio assenso", secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Sul punto il Collegio rileva che il citato n. 41 della tabella A, Sez. II, si riferisce alla s.c.i.a. in sanatoria per interventi realizzati in assenza di s.c.i.a. o in difformità da essa, mentre nel caso concreto, si tratta, come sarà approfondito nel prosieguo della presente decisione, di attività esclusa dai procedimenti semplificati: la costruzione delle opere di cui è causa avrebbe necessitato il permesso di costruire e non la s.c.i.a e, perciò, nel caso di specie, è assente il presupposto stesso - previsto dalla norma - per l'applicazione della disposizione invocata con la conseguenza che alla declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. impugnata non è applicabile il regime amministrativo previsto dall'art. 19 della Legge n. 241 del 1990. Il Collegio, sul punto richiama la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 1055 del 10 aprile 2024 laddove precisa in via generale che dalla necessaria applicazione dell'istituto del permesso di costruire alla fattispecie concreta "deriva l'inapplicabilità dell'art. 19 della legge 241/1990: "L'errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della d.i.a. (oggi SCIA) poiché frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest'ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un'eventuale responsabilità amministrativa, non già la sanatoria della d.i.a. mancante di un requisito essenziale; di conseguenza, il provvedimento con cui l'Amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante d.i.a., occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all'attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento" (cfr.: T.a.r. Puglia Bari, sez. II, 20.02.2017 n. 147)". In particolare, sulla s.c.i.a. in sanatoria, la sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, n. 809 del 24 marzo 2022, ritiene che non è ricollegabile portata infirmante all'inosservanza del termine di 30 giorni ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990 quando le opere abusive esulano dal perimetro del regime abilitativo della SCIA, essendo subordinate al previo rilascio del permesso di costruire: la pronuncia precisa che a tale premessa consegue "l'assenza di effetti legittimanti ricollegabili alla SCIA in sanatoria prot. n. 67995 del 21 novembre 2019, la quale, dacché formata al di fuori del corrispondente modello legale tipico (stante l'assoggettamento dell'opera eseguita ad un più rigoroso regime abilitativo), era da considerarsi 'tamquam non esset', così da giustificare l'impugnata determinazione reiettiva senza l'operatività della preclusione temporale ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990". Quanto alla sussistenza nel caso concreto della necessità del permesso di costruire anziché dell'applicabilità degli istituti di semplificazione, vanno considerati sia gli aspetti definitori del concetto di pertinenzialità rilevante in materia sia l'orientamento ermeneutico sulla qualificazione della specifica opera abusiva, nonché la concreta consistenza dell'intervento edilizio di cui è causa. Sul concetto generale di pertinenzialità il Collegio rinvia a quanto precisato dal T.A.R. Lazio, Sez II Stralcio, n. 7463 del 16 aprile 2024, in adesione al pacifico orientamento giurisprudenziale che "assegna al concetto di "pertinenza", in campo urbanistico-edilizio, un significato più ristretto e meno ampio rispetto alla definizione civilistica di cui all'art. 817 c.c., essendo configurabili come tali "solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscono la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico, e dovendosi altresì tener conto, oltre che della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche della consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essendo il vincolo pertinenziale caratterizzato oltre che dal nesso funzionale, anche dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa" (cfr. ex multis T.A.R. Lazio, Sez. II S, 17 novembre 2023, n. 17168; T.A.R Lazio, II quater, 21 novembre 2022, n. 15371; id., 12 luglio 2022, n. 9594; 26 aprile 2021, n. 4824)". In particolare, sulle piscine l'esegesi cui intende aderire il Collegio ritiene che l'opera interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell'edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio che comporta e della non necessaria complementarità all'uso delle abitazioni poiché non riveste un'obiettiva funzione di migliore utilizzazione della res principalis, tale che in sua assenza risulterebbero impedite o sacrificate talune delle materiali possibilità di sfruttamento o godimento di quest'ultima (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, n. 993 del 24.10.2022; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 9.9.2020, n. 3730; T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, n. 800 del 30.09.2021). In coerenza con tale indirizzo interpretativo, si è di recente rilevato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 02/01/2024, n. 44) che la piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata e perciò configura una nuova costruzione, non potendo essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, atteso che, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di divertimento; in effetti, la realizzazione della piscina comporta una "durevole trasformazione del territorio" e, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede, sì che non può coincidere con la relativa nozione civilistica di pertinenza, nel presupposto che la nozione di pertinenza urbanistica è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, viceversa tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione. Nel caso di specie, una piscina di oltre 112 mq. di superficie, assistita da opere ulteriori (locali accessori e tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo di oltre 35 mq. di superficie coperta), non può essere definita come "di dimensioni contenute" incidendo, pertanto, significativamente sulla trasformazione del territorio e non riveste il carattere di intrinseca funzionalità rispetto alla res principalis sopra delineato; nel provvedimento impugnato di declaratoria di inefficacia della s.c.i.a., infatti, emerge, attraverso il riferimento all'istruttoria svolta in contraddittorio endoprocedimentale ed al richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE, sia che le opere costituiscono un ampliamento superiore ai 30 mq di SU in edificio di non recente costruzione sia che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, si sarebbero potute realizzare solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Di conseguenza, risulta inconferente la tesi attorea sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale, in quanto difetta nel caso concreto la natura stessa di opera pertinenziale. Infine, la nota della Regione Emilia-Romagna invocata a sostegno della pertinenzialità della piscina è chiaramente rivolta alla definizione della medesima esclusivamente ai fini del pagamento e alla qualificazione del contributo di costruzione e, pertanto, la relativa portata interpretativa è confinata in tale ambito: nella nota medesima, infatti, si chiarisce che la natura pertinenziale di una piscina di volume inferiore al 20% dell'abitazione principale rileva al fine di considerarla quale Superficie accessoria che non richiede il versamento della quota degli oneri di urbanizzazione (U1 e U2) ma è soggetta al solo versamento della quota relativa al costo di costruzione (QCC) da calcolarsi non sulla classificazione catastale, bensì, in relazione alla tipologia OMI, formulando un chiarimento di connotazione sostanzialmente tecnico-economica ai fini dell'imposizione della prestazione patrimoniale imposta, che risponde a presupposti diversi da quelli rilevanti nella presente sede. Quanto, poi, al locale tecnico, allo spogliatoio in legno, alla tettoia e alla pavimentazione perimetrale, che la stessa ricorrente qualifica come elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina, vale il consolidato orientamento per cui la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 11/03/2024, n. 2321). Pertanto, al regime edilizio della piscina, necessitante di un permesso di costruire, si associano evidentemente le altre opere alla stessa collegate. Sul terzo motivo di ricorso, relativo all'ordine di demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", proposto in base all'assunto attoreo secondo il quale la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, il Collegio ritiene che l'Amministrazione abbia ampiamente chiarito, con precisazioni sulle quali la difesa attorea non ha ulteriormente coltivato il motivo in disamina, che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985: pertanto, la eventuale "pendenza" di quest'ultima è irrilevante nel presente giudizio avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Il Collegio, infine, ritiene che l'esame dell'ultima doglianza possa dichiararsi assorbito in considerazione della dirimente questione esaminata, relativa all'inconfigurabilità della consistenza pertinenziale delle opere de quibus quale elemento fondante della declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente e di per sé idoneo a sorreggere il conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi. Il Collegio ritiene che, in considerazione della peculiarità della materia, le spese di lite possano essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3231 del 2019, proposto da Do. Pi., rappresentata e difesa dall'avvocato Pa. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; nei confronti Gi. Li. e Sa. Ch., non costituiti in giudizio; per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 5466/2018. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Giordano Lamberti e udito l'avvocato Pa. Me.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Li. Gi. ha impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Reggio Calabria, il provvedimento prot. n. 17897 del 24 settembre 2013, con il quale il responsabile del Settore tecnico-urbanistico del Comune di (omissis) ha negato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria richiesto con istanza di condono edilizio prot. n. 9479 del 29 luglio 2004, recante la contestuale ingiunzione a demolire, nonché la nota prot. n. 1217 emessa dal Comune di (omissis) in data 27 gennaio 2015. Il diniego è stato determinato dalle seguenti circostanze: - le opere sono state realizzate su un'area assoggettata a vincolo paesaggistico e a vincolo sismico e, dunque, in quanto tali, non sono suscettibili di sanatoria ai sensi dell'art. 32, comma 27, lettera d), della legge n. 326 del 2003; - le medesime opere hanno comportato un aumento volumetrico (di mc 808 circa) e di superficie coperta (di mq 67 circa) incompatibile con gli indici di densità territoriale, di densità fondiaria e di rapporto di copertura, stabiliti per la sottozona T3/b del PRG vigente al momento della proposizione della domanda di condono; - non risulta rilasciato l'atto di compatibilità paesaggistica; - non risultano allegati alla domanda di sanatoria la perizia giurata sullo stato e sulle dimensioni delle opere e il certificato di idoneità statica sismica; - non risultano essere stati integralmente versati gli importi liquidati a titolo di oblazione e di oneri concessori. 2 - Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria ha respinto il ricorso, rilevando che: - dal certificato comunale del 4 gennaio 2015 emerge che l'area è sottoposta a vincolo paesaggistico; - deve escludersi la violazione degli artt. 7 e 10 bis l. 241/1990, atteso che il procedimento è stato avviato ad istanza di parte e che la natura vincolata del potere esercitato esclude che sia necessaria la comunicazione del preavviso di diniego; - la censura secondo la quale il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato, in violazione dell'art. 32, comma 37, l. 326/2003, a seguito della formazione del silenzio-assenso sull'istanza di condono, va ritenuta inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto il provvedimento impugnato si fonda sulla ragione, di per sé idonea e sufficiente a sorreggerlo, della commissione dell'abuso sull'area sottoposta al vincolo paesaggistico; - il lungo periodo intercorso dalla data di presentazione dell'istanza alla data di adozione dell'atto di diniego non rileva ai fini della legittimità del provvedimento sanzionatorio; - il ricorso recante motivi aggiunti, con il quale si chiedeva l'annullamento del provvedimento con il quale si confermava il precedente diniego di condono edilizio e si reiterava l'ingiunzione a demolire le opere abusive, deve essere dichiarato improcedibile, in quanto il provvedimento impugnato è stato emesso a seguito della ordinanza (c.d. propulsiva) n. 42/2014 emessa dal Tribunale amministrativo regionale in sede cautelare, da considerare caducata con la definizione nel merito del giudizio di primo grado. 3 - L'originario ricorrente ha proposto appello avverso tale pronuncia che questa Sezione, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato, confermando integralmente la statuizione del TAR. 4 - Con il ricorso in esame si chiede la revocazione di quest'ultima sentenza ai sensi dell'art. 106 c.p.a. e 395, comma 1, n. 4, c.p.c. 5 - Prima di scrutinare le censure di parte ricorrente, giova ricordare che l'errore di fatto revocatorio consiste nel cd. abbaglio dei sensi, e cioè nel travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista, che conduca a ritenere come inesistenti circostanze pacificamente esistenti o viceversa. Esso non è in linea di principio ravvisabile quando si lamenta una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico, in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio. Più schematicamente, questo Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 10/01/2013, n. 1) ha chiarito che l'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell'art. 106 c.p.a., deve essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere sussistente un fatto documentalmente escluso, ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) dall'attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) dall'essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. anche Consiglio di Stato, Ad. Plen., 17/05/2010, n. 2). 6 - Con il primo motivo, parte ricorrente delimita il "Il perimetro entro cui sussumere il vizio revocatorio previsto dall'art. 395 n. 4 c.p.c. - In punto di fatto: a) il diniego del condono delle opere abusive, per la presenza di un vincolo paesaggistico-ambientale; b) l'obliterazione della divisione intervenuta del fabbricato e del lotto, su cui esso insiste; c) non sono presenti difformità nella parte in cui è proprietaria la parte ricorrente Pi.", deducendo che la sentenza impugnata - nell'affermare che il signor Li. al momento di presentazione della domanda per il rilascio di sanatoria paesaggistica era consapevole dell'esistenza del vincolo, avendo dichiarato che non erano stati realizzati lavori o interventi esclusi dalla previsione legislativa che tale sanatoria consentiva - avrebbe obliterato le seguenti circostanze: - che il Li. aveva terminato il restauro dei due edifici in data 23 marzo 2003 e successivamente, in data 20 luglio 2004, aveva inoltrato la richiesta di sanatoria presso il Comune di (omissis) (Prot. n. 9478); - in data 20 gennaio 2005, il Li. aveva presentato domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica, sia all'Amministrazione provinciale, sia al Comune di (omissis), dichiarando che i lavori di restauro erano stati compiuti prima del 30 settembre 2004, e di essere disponibile ad integrare la domanda con ulteriore documentazione per il buon esito della pratica di condono; - il Li., quindi, sulla base di tale attestazione e della favorevole definizione della pratica di condono, aveva trasferito in data 15 ottobre 2007, la proprietà di parte del fabbricato preventivamente frazionato ed accatastato alla sezione B di (omissis) foglio 1, particella 1003, alla signora Do. Pi.; - nei rogiti notarili si dava atto dell'esistenza della domanda di concessione edilizia in sanatoria. La sentenza impugnata sarebbe dunque errata, nella parte in cui afferma che "L'imposizione di un vincolo nel quale si attesta la c.d. bellezza d'insieme o il pregio paesaggistico per valori estetico-culturali da preservarsi di cui all'art. 136 d.lgs. 42/2004 rende applicabile l'art. 167 d.lgs. 42/2004, che non consente la sanatoria delle opere realizzate in violazione di vincoli paesaggistici (nella specie, come si è più volte ricordato, il vincolo è stato apposto con decreto ministeriale 11 ottobre 1967 per l'area costiera del Comune di (omissis), nell'ambito della quale insistono le opere realizzate e delle quali si era chiesta la sanatoria paesaggistica). L'opera, di conseguenza, non è suscettibile di sanatoria ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. d), d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in l. 326/2003, non essendo comunque suscettibili di sanatoria le opere abusive che "(...) d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela (...) dei beni ambientali e paesistici (...) qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (...)", in quanto tali affermazioni confermano la mancata percezione da parte del Collegio delle circostanze rilevanti sopra esposte. In particolare, parte ricorrente prospetta che il Collegio si sarebbe erroneamente concentrato sulla presenza del vincolo paesaggistico, sussistente sin dal 1967, tralasciando il profilo centrale della controversia, ossia la inesistenza di violazioni urbanistiche nell'immobile per cui è causa, non sussistendo alcun eccesso di volumetria ostativo al rilascio dell'autorizzazione in sanatoria. Secondo parte ricorrente, inoltre, la sentenza avrebbe del tutto ignorato il contenuto della relazione dal perito del signor Li.. Altra circostanza di fatto rilevante sarebbe che il Collegio non ha localizzato spazialmente l'oggetto dell'abuso, ritenendo non sanabile l'intero complesso senza considerare che gli abusi rilevati riguardavano solamente una frazione dell'immobile. Ed invero, nella porzione di proprietà della ricorrente non sarebbe presente alcun abuso, tanto é vero che le difformità individuate dal Comune di (omissis) nella richiesta di integrazione documentale del 4 dicembre 2014, prot. n. 19512, non si riferiscono a tale immobile. In altre parole, l'amministrazione avrebbe errato nel non prendere in considerazione l'avvenuto frazionamento dell'immobile ai fini della valutazione della condonabilità delle opere. Infine, parte ricorrente deduce che l'erronea percezione da parte del Collegio di un eccesso di volumetria - di fatto insussistente - costituisce di per sé un errore revocatorio, poiché discende da un difetto di percezione degli atti di causa. 7 - Con il secondo motivo si denuncia l'esistenza di un errore di fatto derivante da una svista nella lettura degli elaborati grafici e peritali, nonché in relazione all'iter amministrativo della sanatoria edilizia. Si osserva che la sentenza oggetto di revocazione aderisce a quanto affermato dal ricorrente-appellante Gi. Li. e, cioè, che gli abusi hanno comportato un aumento di volumetria; tale aspetto, tuttavia, non è stata oggetto di esame da parte del Collegio, il quale si sarebbe limitato a richiamare gli indirizzi della giurisprudenza amministrativa sul divieto di incremento dei volumi esistenti, senza verificare se tale incremento si era realizzato nel caso di specie. Anche sotto tale profilo, dunque, si sarebbe in presenza di un errore revocatorio, dovuto a una svista nella lettura degli elaborati grafici e peritali; l'errore, in altre parole, sarebbe attribuibile non a un vizio di motivazione, ma a un'errata percezione di fatti documentalmente provati. Per quanto riguarda la possibilità - negata dal Collegio - di applicare la sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria ai sensi dell'art. 34, comma 2, D.P.R 380/2001, parte ricorrente osserva che l'Amministrazione, è tenuta, in primo luogo, a valutare se l'abuso costituisce una "parziale difformità " rispetto al titolo edilizio, e in caso positivo, se effettivamente non possa essere demolito senza pregiudizio per la parte conforme. Ad avviso della ricorrente, la norma deve essere interpretata nel senso che non ogni violazione eccedente il 2% costituisce difformità totale, ma al contrario che le violazioni contenute entro tale limite sono irrilevanti, mentre oltre tale limite percentuale l'amministrazione sarebbe sempre tenuta a valutare se la difformità è totale o parziale. Nel caso di specie, dunque, l'amministrazione avrebbe dovuto valutare l'applicabilità della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria. 8 - Il ricorso è inammissibile, non essendo ravvisabile alcun errore di fatto. La piena corrispondenza del contenuto motivazionale della sentenza, rispetto al tema controverso oggetto dell'appello avverso la sentenza del TAR Calabria del 25 giugno 2015 n. 656, esclude in radice la possibilità di scorgere gli errori di fatto così come prospettati da parte ricorrente, avuto riguardo al principio, già ricordato, per cui il fatto oggetto di errore non deve aver costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19/07/2007, n. 4092), dal momento che la sussistenza del vincolo e di un incremento volumetrico costituivano questioni oggetto di causa. In altri termini, lungi dal mettere in evidenza un errore di fatto, ovvero una specifica "svista", chiaramente individuabile nel senso innanzi precisato, i rilievi della ricorrente tendono a criticare la valutazione compiuta dal giudicante, mirando ad una rivalutazione della medesima identica questione sottesa al ricorso sfociato nella revocanda sentenza. Nello specifico la sentenza impugnata esamina compiutamente la questione relativa alla sussistenza dei vincoli ai punti 9 e 10 e la questione relativa all'aumento volumetrico al punto 12. La questione relativa all'applicabilità della sanzione pecuniaria prevista dall'art 34 D.P.R. 380/01 è invece affrontata al punto 13 della sentenza. Quanto alla dedotta obliterazione della relazione del perito del signor Li. ed alla supposta erronea percezione dei grafici, è evidente che ciò che la ricorrente lamenta è una erronea valutazione del materiale istruttorio prodotto in causa, eventualità questa che integra, se del caso, un errore di valutazione o di interpretazione dei fatti, che è cosa differente dall'errore di fatto di cui all'art. 395 n. 4 c.p.c. Invero, quest'ultimo errore, come già accennato, non è in linea di principio ravvisabile quando si lamenta una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio (in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio), nonché quando una questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 10/01/2013, n. 1, secondo cui non ricorre l'ipotesi dell'errore revocatorio nel caso di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, trattandosi di ipotesi queste che danno luogo, se mai, ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione). Anche gli ulteriori rilievi - quali la supposta mancata localizzazione spaziale dell'oggetto dell'abuso - sono riconducibili ad argomenti logico giuridici di critica della sentenza, piuttosto che effettivi errori di fatto nei termini innanzi precisati; gli stessi, inoltre, attengono sempre alle questioni principali intorno alle quali ruota il giudizio, che come detto sono state esaminate a fondo nella sentenza impugnata, e che non possono essere rimesse in discussioni in questa sede. Inoltre, la giurisprudenza ha precisato che l'omessa pronuncia su un vizio denunciato deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso e senza privilegiare aspetti formali, e può ritenersi sussistente solo nell'ipotesi in cui non risulti essere stato esaminato il punto controverso e non quando la decisione sul motivo (o sull'eccezione) risulti implicitamente, o quando la pronuncia su di esso c'è stata, anche se non ha preso specificamente in esame alcune argomentazioni a sostegno della doglianza (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 17/12/2012, n. 6455; Consiglio di Stato, sez. IV, 21/04/2009, n. 2414). In altri termini, l'eventuale circostanza che la sentenza non abbia preso posizione su tutte le argomentazioni difensive di una parte non è suscettibile di configurarsi come errore revocatorio, potendo al più costituire mero vizio del procedimento logico-giuridico estraneo alla iniziativa ex artt. 106 c.p.a. e 395 c.p.c. (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 28/10/2013, n. 5180). 9 - In definitiva, il ricorso è inammissibile, non essendo ravvisabile alcun errore revocatorio. 9.1 - Non è necessario provvedere sulle spese di lite stante la mancata costituzione delle parti resistenti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta dichiara il ricorso inammissibile. Nulla sulle spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3207 del 2019, proposto da Um. Pi., rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Gi. Li., non costituito in giudizio; per la revocazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 5463/2018. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Giordano Lamberti e udito l'avvocato Pa. Me.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Parte ricorrente ha impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Reggio Calabria, il provvedimento prot. MBAC-SBAP-RC n. 17407 del 28 novembre 2013, con il quale la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Reggio Calabria e Vibo Valentia, ai sensi degli artt. 167, comma 4 e 5 e 181, comma 1-ter e 1-quater, del D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, ha dichiarato la irricevibilità della "pratica" avviata dal signor Gi. Li. in data 16 ottobre 2007 volta ad ottenere l'accertamento a posteriori della compatibilità paesaggistica con riferimento al "Recupero della Chiesa Ma. del Ro. e dell'antico edificio ad esso contiguo, nel contesto della sistemazione per attività di servizio per luogo di svago e ristorazione della fascia di mediazione tra la spiaggia ed il complesso residenziale assentito con C.E. n. 92/91 e successive modifiche", opere site in località di Porticello di(omissis) (identificate catastalmente al Foglio n. 1, part. 1055 ex 337, sub 2). La dichiarata irricevibilità è stata determinata dalla circostanza che "le opere abusivamente realizzate risultano in ampliamento del fabbricato in oggetto" di talché "ai sensi dell'art. 167 c.5 del D.lgs. 42/04 e s.m.i., non possono essere ammessi alla procedura di accertamento a posteriori della compatibilità paesaggistica abusi che comportino aumenti di volume e di superficie utile". 2 - Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, con la sentenza del 24 marzo 2015, n. 295, ha respinto il ricorso, rilevando che: - con decreto ministeriale dell'11 ottobre 1967, è stato apposto dal Ministero per l'istruzione un vincolo di interesse paesaggistico per l'area costiera del Comune di(omissis) sulla quale insistono le opere realizzate, e che la Chiesa Ma. del Ro. nonché l'antico edificio ad essa contiguo sono stati dichiarati, con decreto del Ministro per i beni culturali ed ambientali del 3 novembre 1989, immobili di interesse particolarmente importante ai sensi della l. 1089/1939; - nell'area in questione sono stati realizzati lavori di risanamento conservativo, consistenti nella ricostruzione di ruderi, su un preesistente fabbricato del quale non è stata dimostrata la originaria consistenza volumetrica e di superficie e che, rispetto a quanto assentito con le originarie concessioni edilizie del 1991 e del 2000, è stata comunque realizzata una nuova costruzione di circa mq 63 e di volume pari a mc 252; - l'accertata realizzazione di nuove volumetrie rappresenta, di per sé, causa ostativa al rilascio della autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 167 D.lgs. 42/2004. 3 - L'originario ricorrente ha proposto appello avverso tale pronuncia che questa Sezione, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato, confermando integralmente la statuizione del TAR. 4 - Con il ricorso in esame si chiede la revocazione di quest'ultima sentenza ai sensi dell'art. 106 c.p.a. e 395, comma 1, n. 4, c.p.c. 5 - Prima di scrutinare le censure di parte ricorrente, giova ricordare che l'errore di fatto revocatorio consiste nel cd. abbaglio dei sensi, e cioè nel travisamento delle risultanze processuali dovuto a mera svista, che conduca a ritenere come inesistenti circostanze pacificamente esistenti o viceversa. Esso non è in linea di principio ravvisabile quando si lamenta una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico, in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio. Più schematicamente, questo Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 10/01/2013, n. 1) ha chiarito che l'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell'art. 106 c.p.a., deve essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere sussistente un fatto documentalmente escluso, ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) dall'attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) dall'essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. anche Consiglio di Stato, Ad. Plen., 17/05/2010, n. 2). 6 - Con il primo motivo, parte ricorrente delimita il "perimetro entro cui sussumere il vizio revocatorio previsto dall'art. 395 n. 4 c.p.c. - In punto di fatto: a) il diniego del condono delle opere abusive, per la presenza di un vincolo paesaggistico-ambientale; b) l'obliterazione della divisione intervenuta del fabbricato e del lotto, su cui esso insiste; c) le difformità sono presenti solamente nella parte di cui è proprietaria la Sig.ra Liconti Gisella e non in quella di cui è proprietario il ricorrente Pi.", deducendo che la sentenza impugnata, nell'affermare che il signor Liconti al momento di presentazione della domanda per il rilascio di sanatoria paesaggistica era consapevole dell'esistenza del vincolo, avendo dichiarato che non erano stati realizzati lavori o interventi esclusi dalla previsione legislativa che tale sanatoria consentiva, avrebbe obliterato le seguenti circostanze: - che il Liconti aveva terminato il restauro dei due edifici in data 23 marzo 2003 e successivamente, in data 20 luglio 2004, aveva inoltrato la richiesta di sanatoria presso il Comune di (omissis) (Prot. n. 9478); - in data 20 gennaio 2005, il Liconti aveva presentato domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica, sia all'Amministrazione provinciale, sia al Comune di (omissis), dichiarando che i lavori di restauro erano stati compiuti prima del 30 settembre 2004, e di essere disponibile ad integrare la domanda con ulteriore documentazione per il buon esito della pratica di condono; - il Liconti, quindi, sulla base di tale attestazione e della favorevole definizione della pratica di condono, aveva trasferito la proprietà di parte del fabbricato, preventivamente frazionato ed accatastato alla sezione B di(omissis), foglio 1, particella 1055, sub. 4, categoria A/7, alla signora Domenica Pi. e al signor Um. Pi. in data 15 ottobre 2007, mentre la proprietà della rimanente parte del fabbricato e della Chiesetta, accatastati alla sezione B di(omissis), foglio 1, particella 1055, sub. 5 e sub. 3, Categoria A/7 e B/7, erano stati trasferiti in data 12 aprile 2018 alla signora Liconti Gisella; - nei rogiti notarili si dava atto dell'esistenza della domanda di concessione edilizia in sanatoria, dell'inesistenza di vincoli inibitori sull'area interessata dal condono edilizio, nonché del fatto che dal 1 gennaio 1997, fino alla stipula dell'atto negoziale, non era stata fatta richiesta da parte dell'amministrazione comunale, né di altre somme, né di altri documenti. La sentenza impugnata sarebbe dunque errata, nella parte in cui afferma che "Ad ogni modo è comprovato in atti che vi sia stata una edificazione in aumento, realizzazione non sanabile ex post, come ha avuto modo di indicare anche il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria nella sentenza qui fatta oggetto di appello, nel caso in cui, tra gli altri vincoli che interessano l'area, alla stessa sia stato apposto, per come si è più sopra già detto, un vincolo nel quale si attesta la c.d. bellezza d'insieme o il pregio paesaggistico per valori estetico-culturali da preservarsi di cui all'art. 136 d.lgs. 42/2004, atteso che l'art. 167 d.lgs. 42/2004 non consente la sanatoria delle opere realizzate in violazione di vincoli paesaggistici (nella specie apposto con decreto ministeriale 11 ottobre 1967 per l'area costiera del Comune di(omissis), nell'ambito della quale insistono le opere realizzate e delle quali si era chiesta la sanatoria paesaggistica)", in quanto tali affermazioni confermano la mancata percezione da parte del Collegio delle circostanze rilevanti sopra esposte. In particolare, parte ricorrente prospetta che il Collegio si sarebbe erroneamente concentrato sulla preesistenza del vincolo paesaggistico, sussistente sin dal 1967, tralasciando il profilo centrale della controversia, ossia la inesistenza di violazioni urbanistiche nell'immobile per cui è causa, non sussistendo alcun eccesso di volumetria ostativo al rilascio dell'autorizzazione in sanatoria. Secondo parte ricorrente, inoltre, la sentenza avrebbe del tutto ignorato il contenuto della relazione dal perito del signor Liconti. Altra circostanza di fatto rilevante sarebbe che il Collegio non ha localizzato spazialmente l'oggetto dell'abuso, ritenendo non sanabile l'intero complesso senza considerare che gli abusi rilevati riguardavano solamente una frazione dell'immobile. Ed invero, nella porzione di proprietà del ricorrente non sarebbe presente alcun abuso, tanto é vero che le difformità individuate dal Comune di(omissis) nella richiesta di integrazione documentale del 4 dicembre 2014, prot. n. 19512, non si riferiscono a tale immobile. In altre parole, l'amministrazione avrebbe errato nel non prendere in considerazione l'avvenuto frazionamento dell'immobile ai fini della valutazione della compatibilità paesaggistica delle opere. Infine, parte ricorrente deduce che l'erronea percezione da parte del Collegio di un eccesso di volumetria - di fatto insussistente - costituisce di per sé un errore revocatorio, poiché discende da un difetto di percezione degli atti di causa. 7 - Con il secondo motivo si denuncia l'esistenza di un errore di fatto derivante da una svista nella lettura degli elaborati grafici e peritali, nonché in relazione all'iter amministrativo della sanatoria edilizia, ai sensi della l. 24 novembre 2003, n. 326, formulata con istanza n. 9479 del 29 luglio 2004. Si osserva che nella sentenza oggetto di revocazione viene riportato quanto affermato dall'odierno ricorrente nei suoi scritti difensivi, ossia che "[...] erroneamente nel corso dell'istruttoria gli uffici hanno rilevato che l'intervento edilizio aveva comportato un aumento di volumetria significativo pari a mc 808 ca. e di superficie coperta mq 67 ca., quando è stato ampiamente confermato dalla documentazione tecnica e dalle relazioni depositate in atti che l'aumento volumetrico contestato è frutto dell'erronea applicazione del coefficiente 1, in luogo del coefficiente 0,60 che, se adeguatamente applicato avrebbe dimostrato agli uffici comunali che l'aumento è decisamente più modesto (mc 85,50) [...]"; tale cesura, tuttavia, non è stata oggetto di esame da parte del Collegio, il quale si sarebbe limitato a richiamare gli indirizzi della giurisprudenza amministrativa sul divieto di incremento dei volumi esistenti, senza verificare se tale incremento si era realizzato nel caso di specie. Anche sotto tale profilo, dunque, si sarebbe in presenza di un errore revocatorio, dovuto a una svista nella lettura degli elaborati grafici e peritali; l'errore, in altre parole, sarebbe attribuibile non a un vizio di motivazione, ma a un'errata percezione di fatti documentalmente provati. 8 - Il ricorso è inammissibile, non essendo ravvisabile alcun errore di fatto. La piena corrispondenza del contenuto motivazionale della sentenza al tema controverso oggetto dell'appello avverso la sentenza del TAR per la Calabria del 24 marzo 2015, n. 295, esclude in radice la possibilità di scorgere gli errori di fatto così come prospettati da parte ricorrente, avuto riguardo al principio, già ricordato, per cui il fatto oggetto di errore non deve aver costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19/07/2007, n. 4092), dal momento che la sussistenza del vincolo e di un incremento volumetrico costituivano le principali questioni oggetto di causa. In altri termini, lungi dal mettere in evidenza un errore di fatto, ovvero una specifica "svista", chiaramente individuabile nel senso innanzi precisato, i rilievi di parte ricorrente tendono a criticare la valutazione compiuta dal giudicante, mirando ad una rivalutazione della medesima identica questione sottesa al ricorso sfociato nella revocanda sentenza. Nello specifico, la sentenza impugnata esamina compiutamente la questione relativa alla sussistenza dei vincoli al punto 7 e la questione relativa all'aumento volumetrico al punto 8. Quanto alla dedotta obliterazione della relazione dal perito del signor Liconti ed alla supposta erronea percezione dei grafici, la sentenza in realtà li richiama e, in ogni caso, è evidente che ciò che il ricorrente lamenta è una erronea valutazione del materiale istruttorio prodotto in causa, eventualità questa che integra, se del caso, un errore di valutazione o di interpretazione dei fatti, che è cosa differente dall'errore di fatto di cui all'art. 395 n. 4 c.p.c. Invero, quest'ultimo errore, come già accennato, non è in linea di principio ravvisabile quando si lamenta una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio (in quanto ciò si risolve in un errore di giudizio), nonché quando una questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 10/01/2013, n. 1, secondo cui non ricorre l'ipotesi dell'errore revocatorio nel caso di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, trattandosi di ipotesi queste che danno luogo, se mai, ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione). Anche gli ulteriori rilievi - quali la supposta mancata localizzazione spaziale dell'oggetto dell'abuso - sono riconducibili ad argomenti logico giuridici di critica della sentenza, piuttosto che effettivi errori di fatto nei termini innanzi precisati; gli stessi, inoltre, attengono sempre alle questioni principali intorno alle quali ruota il giudizio, che come detto sono state esaminate a fondo nella sentenza impugnata, e che non possono essere rimesse in discussioni in questa sede. Inoltre, la giurisprudenza ha precisato che l'omessa pronuncia su un vizio denunciato deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso e senza privilegiare aspetti formali, e può ritenersi sussistente solo nell'ipotesi in cui non risulti essere stato esaminato il punto controverso e non quando la decisione sul motivo (o sull'eccezione) risulti implicitamente, o quando la pronuncia su di esso c'è stata, anche se non ha preso specificamente in esame alcune argomentazioni a sostegno della doglianza (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 17/12/2012, n. 6455; Consiglio di Stato, sez. IV, 21/04/2009, n. 2414). In altri termini, l'eventuale circostanza che la sentenza non abbia preso posizione su tutti gli argomenti difensivi di una parte non è suscettibile di configurarsi come errore revocatorio, potendo al più costituire mero vizio del procedimento logico-giuridico estraneo alla iniziativa ex artt. 106 c.p.a. e 395 c.p.c. (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 28/10/2013, n. 5180). 9 - In definitiva, il ricorso è inammissibile, non essendo ravvisabile alcun errore revocatorio. 9.1 - Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore del Ministero resistente che si liquidano in Euro4.000, oltre accessori come per legge se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9752 del 2021, proposto da Fr. To., rappresentato e difeso dall'avvocato Ac. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Ministero dell'Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 7760/2021 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2023 il Cons. Sergio Zeuli e udito l'avvocato Va. Ta. su delega dichiarata di Ac. Mo.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso con cui la parte appellante chiedeva l'annullamento del diniego dell'Abilitazione Scientifica Nazionale quale Professore Universitario di II Fascia, Settore concorsuale 12/A1 - Diritto Privato, pubblicato il 10 novembre 2020, e dei relativi giudizio individuale e collegiale espresso avuto riguardo ai suoi titoli dalla Commissione per l'ASN. A supporto del gravame, sono esposte le seguenti circostanze di fatto: - con D.D. n. 2176/2018 veniva indetta la procedura per il conseguimento dell'ASN alle funzioni di Professore Universitario di Prima e di Seconda Fascia per il Settore concorsuale 12/A1 cui partecipava la parte appellante, già ricercatore confermato di Diritto Privato presso l'Università degli Studi della Calabria, per la seconda fascia; - la parte appellante otteneva una valutazione positiva in riferimento al possesso di almeno tre titoli tra quelli individuati dalla Commissione, nella prima riunione del 20 novembre 2018, ai sensi dell'art. 8 comma 1 D.P.R. n. 95/2016 e dell'allegato A del D.M. n. 120/2016 ed il riconoscimento di 5 titoli rientranti nei parametri individuati dalla Commissione, con impatto della produzione scientifica, raggiunto con due su tre dei valori previsti dalla legge; - la Commissione, a maggioranza dei 4/5 riteneva il candidato non meritevole dell'ASN per la seconda fascia, in quanto le pubblicazioni presentate non avrebbero dimostrato una posizione riconosciuta nel panorama della ricerca, e tanto meno la richiesta maturità scientifica. Tanto premesso la parte appellante proponeva ricorso al TAR del Lazio che, con la sentenza gravata, lo rigettava. Avverso la stessa sono proposti i seguenti motivi di appello, così rubricati: 1. ERROR IN IUDICANDO - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ARTT. 3, 4 E 7 D.M. 120/2016 E L. 240/2010 - CONTRADDITTORIETA' - ILLOGICITA' MANIFESTA - TRAVISAMENTO DEI FATTI - MOTIVAZIONE APPARENTE, CONFUSA, INCOMPLETA, CONTRADDITTORIA 2. ERROR IN IUDICANDO - ERRONEA VALUTAZIONE DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO - OMESSO SINDACATO - CONTRADDITTORIETA' E ILLOGICITA' 3. ERROR IN IUDICANDO - VIOLAZIONE DI LEGGE PER LA VALUTAZIONE DEL MANUALE - ECCESSO DI POTERE PER CONTRADDITTORIETA' - ILLOGICITA' MANIFESTA - TRAVISAMENTO DEI FATTI. 2. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Università e della ricerca, contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. DIRITTO 3. Il primo motivo di appello contesta alla sentenza impugnata di non avere accolto il motivo di ricorso che contestava alla Commissione di concorso di non avere utilizzato, per la valutazione della produzione scientifica del candidato, i criteri previsti per l'ASN di seconda fascia. Sottolineando la differenza tra i giudizi per l'abilitazione di prima e di seconda fascia, scolpita dalle due lettere del comma 2 dell'art. 3 del D.M. 120/2016, la parte appellante contesta, anche in questa sede, l'eccessiva severità del giudizio applicata ai suoi titoli, erroneamente "tarata" sui criteri di rilevante qualità ed originalità, che invece la normativa richiederebbe per la sola abilitazione quale professore ordinario, e non per quella di professore associato. Il ridetto giudizio collegiale sarebbe oltretutto contraddittorio, perché, dopo aver apprezzato, nella sua prima parte, la continuità dei titoli scientifici e la loro collocazione in pubblicazioni autorevoli, conclude giudicando detta produzione meramente descrittiva e non critica. La perplessità della motivazione sarebbe ulteriormente confortata dalla constatazione che la Commissione si è limitata ad esprimere un giudizio negativo in termini dubitativi, non potendo fondarlo su criteri o parametri oggettivi. In particolare le segnalate incertezza e contraddittorietà emergerebbero, in modo palese, dalla valutazione esperita dalla Commissione sulla monografia presentata dalla parte appellante del 2006, intitolata "Il consumo di micro-credito e la tutela della persona". In modo consimile, una medesima dubitatività del giudizio emergerebbe anche con riguardo all'altra monografia presentata dalla parte appellante. 4. Il secondo motivo di appello, con particolare riferimento alla prima monografia segnala che il commissario prof. Ci., come emerge dal giudizio individuale da questi espresso, l'ha favorevolmente apprezzata, mentre gli altri commissari le hanno riservato un non lusinghiero giudizio. Questo denoterebbe ima contraddittorietà intrinseca dei giudizi negativi. In particolare, il motivo critica il giudizio riservato all'opera dalla commissaria La Ro., che, contrariamente a quanto ritenuto da Ci., ha ritenuto il lavoro ispirato a tematiche di tipo economico-sociali, non dotate di adeguato rigore scientifico, completamente trascurando - secondo la parte appellante - le prospettive giuridiche implicate dalla cd. "analisi economica del diritto". Anche il giudizio espresso sulla monografia dal commissario Ma. - secondo il quale l'opera, risalente al 2006, descrive un assetto giuridico normativo superato - è criticato sul presupposto che le modifiche normative, seppure avessero reso non attuale il lavoro, giammai potrebbero ridondare sul valore scientifico della sua produzione. Infine, il giudizio anche critico riservato all'opera dal commissario Qu. è censurato in quanto poco motivato ed irrimediabilmente apodittico e quello della commissaria Po. è ritenuto contraddittorio. 4.1. Sotto altro versante, il secondo motivo di appello contesta alla commissione di avere poco valutato gli scritti minori prodotti dalla parte appellante e di non avere per nulla valutato tre di essi, e cioè : 1) "Cittadinanza ed assistenza sanitaria: il diritto alla cura transfrontaliera, in La cittadinanza quale "valore". Un approccio giuridico-economico" del 2018; 2) "Public order: limit or value? Inequality and poverty in the relationship between credit concession, child support, manners, education and accomplishment of the human being, in public and private management a multidisciplinary ap-proach" del 2018; 3) "La responsabilità civile nella prestazione dei servizi finanziari, in Il diritto dei consumi" del 2008.Lo stesso motivo critica 5. Il terzo motivo di appello censura infine la sentenza impugnata nella parte in cui non ha condiviso le censure sollevate in ricorso avverso la valutazione riservata al Manuale "Profili di diritto del turismo (privato e pubblico). Corso istituzionale", edito nel 2011, del quale la parte appellante ha scritto i capitoli (I, III, VI, IX, X, XI, XII). La censura si appunta sull'apparente totale pretermissione della valutazione dell'opera, motivata dalla considerazione che, trattandosi di opera avente finalità didattica, è uno scritto di carattere compilativo. In realtà, secondo la parte appellante, la Commissione non poteva esimersi dal valutare la detta produzione, innanzitutto perché la normativa non prevede alcuna limitazione in relazione ai titoli presentabili; in secondo luogo perché quello dell'originalità della ricerca rappresenta solo uno dei criteri previsti dalla normativa. In terzo luogo, la trascuratezza nell'analisi del manuale sarebbe vieppiù criticabile perché anche in una produzione manualistica vi possono essere tratti di originalità, quali ad esempio si trovano proprio nei capitoli dell'opera curati dalla parte appellante, che, in modo innovativo e documentato, ha riconosciuto, contrariamente ad un orientamento autorevolmente sostenuto in dottrina, il carattere di contratto a titolo gratuito al cd. "contratto di prenotazione". Infine, a tutto concedere la Commissione avrebbe omesso di valutare la significatività, sotto il profilo delle sue capacità didattiche, dell'avere il candidato redatto un manuale istituzionale. Questo aggraverebbe, nella sua prospettiva, la contestata omessa valutazione. 6. Tutti i motivi, per come riassunti, censurano sotto il profilo tecnico le valutazioni, individuali e collegiali, espresse dai singoli commissari e dalla Commissione nel suo complesso, dunque possono essere unitariamente trattati, non senza aver premesso che la materia di cui si tratta è interamente permeata da un elevato tasso di discrezionalità tecnica che restringe sensibilmente il sindacato di legittimità . D'altronde una valutazione parzialmente unitaria dei motivi si impone perché il gravame, nelle sue articolazioni, ritorna su punti già trattati, talvolta sovrapponendo ricostruzioni e contestazioni, e così, rendendo difficile un'analitica strutturata cronologicamente e logicamente delle singole doglianze. 6.1. Ad ogni modo, avuto riguardo al primo motivo con il quale si denuncia l'eccessiva severità del giudizio della commissione e la sua non corrispondenza ai criteri dettati per l'ASN quale professore di seconda fascia, la doglianza è infondata. Il giudizio collegiale espresso dalla Commissione di valutazione sottolinea, infatti, che la produzione della parte appellante presenta una frequente ripetitività dei contenuti. A detta valutazione l'organo tecnico perviene all'esito di un'analisi degli interventi scritti, nella quale una parte preponderante è riservata alla monografia del 2006 dedicata alla materia del consumo del micro-credito ed alla tutela della persona. La Commissione, dopo aver dato atto dell'interessante tematica trattata, giudica lo studio non adeguatamente rigoroso sul piano sistematico, concludendo che esso non ha apportato "un reale contributo alla discussione del tema." La stessa Commissione attribuisce alla seconda monografia, quella nel volume collettaneo, del 2011, un carattere prevalentemente compilativo, oltretutto in consonanza con la finalità didattica del lavoro, e dunque ne esclude i caratteri di innovatività ed originalità . Or bene la ricognizione di tale analisi, oltre a smentire oggettivamente la critica di contraddittorietà del giudizio, denota un'obiettiva ed imparziale analisi dei titoli, che giunge ad un risultato valutativo che si presenta congruo rispetto alla lettura degli stessi, e soprattutto ragionevole, allorquando sottoposto ad un giudizio estrinseco di legittimità . Tanto meno possono cogliersi, in quel giudizio, tratti di marcata severità che sarebbero più propri di un giudizio di prima fascia, dal momento che il comma 2, lett. b) del D.M. n. 120/2016 specifica che "la valutazione dei titoli e delle pubblicazioni presentate è volta ad accertare, per le funzioni di professore di seconda fascia, la maturità scientifica del candidato, intesa come il riconoscimento di un positivo livello della qualità e originalità dei risultati raggiunti nelle ricerche affrontate e tali da conferire una posizione riconosciuta nel panorama nazionale", ossia proprio le caratteristiche che la Commissione ha ritenuto mancassero nella produzione scientifica del candidato. 6.2. Quanto alle doglianze relative agli scritti minori, affrontate sia dal primo che dal secondo motivo, la Commissione, dopo aver constatato, rispetto ad alcuni, la loro riconducibilità alle tematiche della prima monografia (con eccezione dell'articolo "Rapporto tra etica e diritto" che è ritenuto contenere qualche spunto interessante), gli riserva ana giudizio non favorevole. Ad altri scritti, relativi invece a tematiche diverse, parimenti la Commissione assegna carattere prevalentemente ricognitivo. Anche in questo caso né il metodo né l'approdo della Commissione possono dirsi fallaci, né tanto meno palesemente illegittimi in quanto frutto di un esercizio disfunzionale del potere. Il fatto poi che le pubblicazioni siano avvenute su riviste o collane autorevoli, non toglie che debbano essere soggette ad una valutazione tecnica. A voler diversamente opinare, infatti, le valutazioni dell'organo tecnico competente per l'ASN dovrebbero ritenersi minus-valenti rispetto a quelle esperite dai Comitati redazionali di riviste e collane specialistiche, il che, oltre ad essere chiaramente illegittimo, darebbe luogo ad effetti paradossali. 6.3. Tanto meno è fondata la censura - formulata con il secondo motivo di appello- che contesta che alcuni scritti minori dell'appellante non sarebbero proprio stati considerati. Per contro, sia pure in modo riassuntivo, essi risultano valutati dalla Commissione, compresi i tre titoli espressamente indicati dalla parte appellante. Due di questi ultimi, in particolare, essendo connessi alla tematica della monografia del 2006, sono senz'altro ricompresi nel giudizio espresso in proposito dalla Commissione, poco sopra ricordato. 6.4. Venendo ai giudizi individuali dei singoli commissari ed al rapporto tra questi ultimi e quello collegiale, oggetto di censura col primo motivo, si osserva innanzitutto che vi è una sostanziale coincidenza fra i giudizi individuali espressi da quattro dei cinque commissari e quello collegiale, tanto che quest'ultimo può ritenersi una fedele e congrua sintesi dei primi. Per la commissaria La Ro., infatti, le pubblicazioni presentano carenza di rigore metodologico e assenza di innovatività ed originalità, per il commissario Ma. si tratta di una pubblicistica dai tratti professionali o divulgativi, per il commissario Po. gli scritti non sono di elevata qualità, né presentano carattere innovativo, giudizi consimili sono infine espressi dal commissario Qu.. 7. Come anticipato, inoltre, il secondo motivo appunta la sua attenzione valorizzando il giudizio favorevole espresso dal commissario Ci. sulla produzione della parte appellante (in particolare sul libro sul Micro-credito al consumo), sulla cui base pretende di dimostrare la contraddittorietà degli altri giudizi (negativi), anch'essi criticati. 7.1. La doglianza, per plurimi versi, è infondata. Innanzitutto non può non osservarsi che la monografia analizzata è stata pubblicata in epoca non recente, essa risale infatti al 2006, ciò nonostante è quella che, più delle altre, è stata valorizzata dalla Commissione. In secondo luogo la doglianza è erronea nel presupposto, perché evidentemente il giudizio favorevole di un commissario non dimostra alcunché con riferimento all'asserita illegittimità di quelli espressi dagli altri, oltretutto tutti confluenti verso un esito negativo. D'altro canto la dialettica culturale implicata da manifestazioni dissenzienti è un'evenienza fisiologica dell'attività dell'Accademia e dunque ancor meno in questo caso a quella distonia può attribuirsi la pretesa valenza dimostrativa. 7.2. Quanto ai censurati giudizi degli altri commissari, si osserva che le critiche che l'appellante muove a quelli espressi da Qu. e Po. sono generiche e comunque infondate, all'esito di una piana lettura degli stessi. Quanto alla censura sul giudizio critico della commissaria La Ro., si osserva che quest'ultimo è sicuramente argomentato e si rivela ragionevole, anche considerando che l'intera commissione, in consonanza con quanto ritenuto da La Ro., pur apprezzando alcune delle considerazioni ivi rassegnate, ne ha rilevato lo scivolamento verso tematiche non strettamente attinenti al diritto privato. Infine, quanto alle critiche sollevate verso il giudizio del commissario Ma., le stesse non colgono nel segno perché, tra i criteri da seguire per la valutazione, è espressamente indicato anche quello dell'attualità della produzione scientifica, requisito che, per le ragioni molto chiaramente spiegate dallo stesso Ma., la monografia della parte appellante non possiede. 8. Come detto il terzo motivo lamenta l'omessa valutazione del Manuale, di cui la parte appellante ha curato alcuni capitoli. 8.1. Il motivo è infondato in fatto perché la Commissione ha valutato il suddetto testo, sia pure considerandolo - con insindacabile giudizio tecnico-discrezionale - avente carattere compilativo, coerente, peraltro, con le dichiarate finalità didattiche. Né il fatto che l'opera, come probabile, contenga spunti originali, ne esclude il carattere manualistico. Il requisito dell'innovatività, infatti, avrebbe richiesto che, a questi spunti, fossero seguiti i necessari approfondimenti metodologici e contenutistici che non risultano, né verosimilmente avrebbero potuto esserlo, riportati nel testo istituzionale. 8.2. Neppure la doglianza che protesta l'omessa considerazione delle capacità didattiche che il candidato avrebbe dimostrato nella redazione del testo è fondata. I titoli didattici della parte appellante risultano infatti positivamente valutati, nella lett. f) della pag. 2 dell'atto impugnato; nella sede nella quale si verte, erano per contro in discussione i suoi titoli scientifici, e segnatamente, il valore accademico e scientifico del ridetto manuale, al quale la Commissione ha riservato il sopra-indicato giudizio che, anche in questo caso, si sottrae, ad un giudizio estrinseco di legittimità, alle censure dedotte dalla parte appellante. 9. Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto del gravame. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore della costituita parte appellata che si liquidano in complessivi euro 4000,00 (euroquattromila,00). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Massimiliano Noccelli - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Maurizio Antonio Pasquale Francola - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3250 del 2019, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ri. Ba., Et. No., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, -OMISSIS-, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); -OMISSIS-, -OMISSIS-, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria n. -OMISSIS-, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell'Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria e -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati come da verbale di udienza; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso ritualmente notificato -OMISSIS- ha proposto appello avverso la sentenza del TAR Calabria - Reggio Calabria n. -OMISSIS- del 19.3.2019 di rigetto del ricorso, e successivi motivi aggiunti, tesi all'annullamento della nota -OMISSIS- e dell'allegata informativa antimafia, a valere anche quale diniego di iscrizione alla White List, emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria -OMISSIS-. Con atto di rinuncia -OMISSIS-, il procuratore della società appellante ha rappresentato che la suddetta interdittiva antimafia è derivata dalla circostanza che, all'epoca dell'adozione del provvedimento prefettizio, -OMISSIS-, era imputato per concorso nel reato di cui all'art. 353 c.p. nel procedimento penale -OMISSIS-. Nelle more della definizione della controversia, per fatti sopravvenuti, l'impresa appellante -OMISSIS- è stata posta in liquidazione anche in relazione alla situazione di crisi del comparto economico in cui opera maggiormente. Per tale ragione il difensore della società appellante ha dichiarato che non sussiste più ad oggi l'interesse alla definizione del ricorso in epigrafe. Con atto -OMISSIS-, è stata dichiarata la rinunzia al ricorso in oggetto; con il medesimo atto, l'appellante ha chiesto di disporre la compensazione delle spese. Il Collegio, visto l'atto di rinunzia debitamente notificato, dichiara l'estinzione del giudizio per intervenuta rinunzia all'appello, con compensazione delle spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, dichiara l'estinzione del giudizio. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle parti. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente Pierfrancesco Ungari - Consigliere Paolo Carpentieri - Consigliere Stefania Santoleri - Consigliere, Estensore Ezio Fedullo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4851 del 2018, proposto da La Mi. 2 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ga. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Rende, via (...); contro Regione Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Na., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ga. Co. Spa, Ma. Ca. S.r.l., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Seconda n. 01744/2017, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Calabria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2023 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e udito per la parte appellata l'avvocato Na.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto dalla società La Mi. 2 S.r.l. contro la Regione Calabria per l'annullamento del decreto n. 13569 del dirigente generale del dipartimento 9 "Infrastrutture Lavori Pubblici, politiche della casa, ERP, ABR, risorse idriche, ciclo integrato delle acque" della Regione Calabria, emesso in data 14 novembre 2014 e pubblicato il 18 novembre 2014, con il quale è stata approvata la graduatoria dei soggetti ammessi al bando pubblico di cui al D.G.R. del 7 marzo 2014, n. 93 "Programma operativo nel settore delle politiche della casa", che attribuiva all'odierna ricorrente la posizione n. 12 riconoscendole per il progetto presentato un contributo pari ad euro 1.603.669,16 anziché l'importo richiesto di euro 3.919.310,54. 1.1. Col ricorso era stata dedotta l'erroneità dei criteri applicati per il calcolo del contributo che, ad avviso della società istante, avrebbe dovuto essere calcolato solo ed esclusivamente sulla base del QTE definitivo, rappresentante il costo necessario per la realizzazione del complesso abitativo progettato; era stato inoltre lamentato il mancato riconoscimento della maggiorazione del 20% del costo convenzionale dell'alloggio, per avere soddisfatto i requisiti di sostenibilità del Protocollo Itaca Sintetico; era stata infine denunciata la disparità di trattamento rispetto alla società Ed. Co. Sa. Fr., classificatasi al quarto posto con riconoscimento dell'intero importo richiesto. 1.2. Il tribunale ha dato atto della resistenza della Regione Calabria e della produzione in giudizio del DDS n. 3900/2017, notificato alla ricorrente a mezzo pec in data 13 aprile 2017, di revoca dell'intero finanziamento nei confronti della società La Mi. 2 S.r.l. Alla luce di tale documentazione e della dichiarazione dell'inoppugnabilità del provvedimento di revoca, non gravato dalla società, il tribunale ha accolto la richiesta della difesa regionale di dichiarazione di improcedibilità ex art. 35, co. 1, lett. c), c.p.a. 1.3. Le spese processuali sono state compensate. 2. La società La Mi. 2 S.r.l. ha proposto appello con cinque motivi. La Regione Calabria si è costituita per resistere all'appello. 2.1. All'udienza dell'11 maggio 2023 la causa è stata discussa e assegnata a sentenza, previo deposito di documenti e memoria da parte della Regione Calabria. 3. La società appellante premette che la circostanza su cui si fonda la sentenza - essere cioè divenuto il provvedimento di revoca inoppugnabile perché non tempestivamente gravato - è smentita dalla tempestiva presentazione avverso il DDS n. 3900/2017 del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in data 3 agosto 2017 ed aggiunge che tale circostanza sarebbe stata fatta presente al giudice di prime cure durante l'udienza pubblica del 15 novembre 2017. 3.1. Quindi formula i seguenti motivi di appello: 1. Error in iudicando: travisamento ed erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto; 2. Error in procedendo: difetto di istruttoria giudiziale. Istruttoria carente ed inadeguata; 3. Difetto di motivazione. Motivazione erronea, perplessa ed apparente; 4. Error in procedendo: violazione ed erronea applicazione del principio di alternatività ; 5. Error in procedendo: violazione dell'art. 79, comma 1 c.p.a., in combinato disposto con l'art. 295 c.p.c. 3.2. In sintesi, l'appellante deduce che: - il ricorso straordinario anzidetto era stato presentato, era pendente alla data dell'appello e la Regione non ne aveva chiesto la trasposizione; - il giudice di primo grado non ne ha tenuto conto, malgrado la circostanza fosse stata dichiarata in udienza, incorrendo perciò nella violazione del principio di alternatività tra ricorso straordinario e ricorso al tribunale amministrativo regionale; - il primo giudice si sarebbe potuto avvalere dell'istituto della sospensione del processo, a sensi degli artt. 79, comma 1 c.p.a. e 295 c.p.c., così come se ne potrebbe avvalere il giudice d'appello. 3.3. Vengono quindi riproposti in appello i motivi di ricorso non esaminati in primo grado. 4. L'appello non merita di essere accolto. 4.1. Giova premettere che si può prescindere dalle questioni poste dall'appellata Regione Calabria in punto di mancata presentazione della querela di falso avverso il verbale dell'udienza pubblica del 15 novembre 2017 dinanzi al T.a.r. - laddove non riporta l'asserita dichiarazione di pendenza del ricorso straordinario al Capo dello Stato, sì da far apparire mendace (quindi contraria all'obbligo di verità fissato dall'art. 50 del Codice Deontologico Forense) l'affermazione dell'appellante di averla resa nel corso della discussione tenuta a detta udienza - ed in punto di inammissibilità della produzione in appello ex art. 104 c.p.a. della copia del ricorso straordinario presentato avverso il provvedimento di revoca. 4.2. Invero, va ammessa in appello la produzione da parte della stessa Regione del parere del Consiglio di Stato, I sezione, n. 214/19, reso ex artt. 12 e 13 del DPR n. 1199/71, sopravvenuto alla sentenza di primo grado. La portata ed il contenuto di tale parere comportano infatti che l'appello proposto dalla società La Mi. 2 S.r.l. debba essere respinto, pur se la motivazione della sentenza gravata va corretta secondo quanto appresso. 4.3. In primo luogo, va sottolineato come il Consiglio di Stato abbia espresso "parere che il ricorso sia dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse". Pertanto, pur non risultando adottato il decreto del Presidente della Repubblica contenente la decisione del ricorso straordinario e pur non dovendosi questo necessariamente conformare al parere espresso, rileva già che il dispositivo adottato non sia favorevole alla società ricorrente. 4.4. Ancora più rilevante -onde respingere la richiesta di sospensione del presente giudizio e confermare la decisione di primo grado- è la motivazione del parere, dalla quale risulta quanto segue: - anteriormente al decreto n. 3900 del 12 aprile 2017 di revoca del finanziamento pubblico in favore della società La Mi. 2 S.r.l. (per il mancato avvio dei lavori da parte del soggetto attuatore), impugnato col ricorso straordinario, era stata emanata la delibera della Giunta regionale della Calabria n. 319 del 9 agosto 2016, con la quale era stata disposta la revoca del programma di edilizia residenziale pubblica a cui ha partecipato la società ricorrente; - quest'ultima delibera, che non risulta essere stata impugnata, ha disposto, "in esito alla ricognizione di cui al punto precedente, e per le considerazioni di cui in premessa, la revoca degli interventi finanziati con provvedimenti della giunta regionale, DGR n. 347/2012, 93/2014, 147/2014 e 452/2014 che autorizzavano programmi di interventi con oneri a valere sul conto corrente infruttifero n. 20128/1208 presso la Cassa Depositi e Prestiti, fatti salvi gli impegni giuridicamente vincolanti eventualmente assunti" (vale a dire proprio le deliberazioni regionali sulla base delle quali è stato concesso il finanziamento alla società ricorrente); - quindi è stato revocato (con atto non impugnato) il programma di edilizia residenziale pubblica nel cui ambito la società ha ottenuto il finanziamento oggetto di giudizio; - ciò è confermato anche dalla sentenza n. 683/2018, con la quale il TAR Calabria ha dato atto dell'adozione della deliberazione della Giunta regionale della Calabria n. 319 del 9 agosto 2016, che "ha disposto la revoca di alcuni programmi di edilizia residenziale pubblica (tra cui quello di cui si discute in questa sede) comportanti oneri a valere sui fondi disponibili sul conto corrente citato, fatti salvi gli impegni giuridicamente vincolanti già assunti", conseguentemente, dichiarando l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse; - tale sentenza fa stato anche nei confronti della società ricorrente, posto che la stessa era stata evocata come controinteressata nel giudizio R.G. n. 1083/2016 concluso con la citata sentenza. 4.5. In considerazione delle dette risultanze - non contestate in alcun modo dalla società appellante, che, dopo la proposizione del gravame, non ha svolto attività difensiva - si ritiene che, non solo "l'eventuale accoglimento del ricorso straordinario non arrecherebbe alcun vantaggio a La Mi. 2 S.r.l., essendo ormai stato revocato (con atto non impugnato) il programma di edilizia residenziale pubblica nel cui ambito la Società ha ottenuto il finanziamento oggetto di giudizio" (come detto nel parere), ma anche che, per la stessa ragione, sarebbe privo di interesse per la società l'accoglimento del ricorso oggetto del presente giudizio, in quanto volto a contestare il quantum di un finanziamento, oggetto dei due illustrati provvedimenti di revoca sopravvenuti. 5. L'appello va quindi respinto e va confermata la dichiarazione di improcedibilità del ricorso di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse, sia pure per ragioni in parte diverse da quelle affermate in sentenza. 5.1. Le spese del presente grado si regolano secondo il criterio della soccombenza e vanno poste a carico della società appellante ed a favore della Regione Calabria, liquidate come da dispositivo. 6. Si ritiene che non sussistano i presupposti per la cancellazione della frase di cui alla pagina 8 dell'atto di appello, richiesta dalla Regione ai sensi degli artt. 52 C.D.F. e 89 c.p.c., né per la condanna dell'appellante ai sensi dell'art. 26, comma 1 e comma 2, c.p.a., richiesta dalla stessa parte. 6.1. Invero, l'espressione adoperata dall'appellante ("Evidente, pertanto, la spregiudicatezza e la scorrettezza del comportamento della Regione Calabria"), va intesa mediante il corretto inserimento nel contesto argomentativo in cui è collocata, riferito alla consapevolezza da parte dell'amministrazione regionale dell'avvenuta presentazione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (notificato il 7 agosto 2017), quando la difesa regionale presentò la memoria con la richiesta di declaratoria di improcedibilità del ricorso di primo grado (in data 3 ottobre 2017). A suggello di tale deduzione di fatto, l'appellante ha mosso il rilievo sopra detto nei confronti della condotta della controparte. Sebbene si tratti di una critica decisa, essa va ritenuta espressione del legittimo esercizio del diritto di difesa, poiché fondata su un dato di fatto oggettivo e comunque non comportante un'offesa grave, né sconveniente (poiché non trasmodante la vicenda processuale), nei confronti delle persone dei difensori o degli organi dell'ente regionale (cfr., tra le altre, Cass. sez. lav., 18 ottobre 2016, n. 21031, secondo cui, in tema di espressioni offensive o sconvenienti contenute negli scritti difensivi, non può essere disposta, ai sensi dell'art. 89 c.p.c., la cancellazione delle parole "che non risultino dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo, essendo ben possibile che nell'esercizio del diritto di difesa il giudizio sulla reciproca condotta possa investire anche il profilo della moralità, senza tuttavia eccedere le esigenze difensive o colpire la scarsa attendibilità delle affermazioni della controparte. Ne consegue che non possono essere qualificate offensive dell'altrui reputazione le parole (...), che, rientrando seppure in modo piuttosto graffiante nell'esercizio del diritto di difesa, non si rivelino comunque lesive della dignità umana e professionale dell'avversario."). 6.2. Parimenti da respingere è la richiesta di condanna della società appellante al pagamento della somma di cui all'art. 26, comma 1, seconda parte, c.p.a. nonché della sanzione pecuniaria di cui allo stesso articolo, comma 2. L'avvenuta presentazione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso il provvedimento di revoca, erroneamente esclusa dal primo giudice, e la correzione della motivazione della sentenza gravata inducono a concludere che l'appellante non abbia abusato del processo d'appello, pur avendo proposto un gravame infondato. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento delle spese del grado di appello, liquidate, in favore della Regione Calabria, nell'importo complessivo di Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Giovanni Grasso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere, Estensore Gianluca Rovelli - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAGO Geppino - Presidente Dott. IMPERIALI Luciano - Consigliere Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - rel. Consigliere Dott. PELLEGRINO Andrea - Consigliere Dott. SGADARI Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/01/2022 della CORTE DI APPELLO DI CATANZARO; PARTI CIVILI: Comune di (OMISSIS) - Regione (OMISSIS); Esaminati gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi, trattati con contraddittorio orale; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. AGOSTINACCHIO LUIGI; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilita' dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); rigettarsi i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); sentiti i difensori presenti, Avv. (OMISSIS) del foro di Crotone per il (OMISSIS) e il (OMISSIS) e, per quest'ultimo, in sostituzione anche dell'Avv. (OMISSIS) del foro di Crotone; Avv. (OMISSIS) del foro di Catanzaro per il (OMISSIS); Avv. (OMISSIS) del foro di Roma per (OMISSIS) e (OMISSIS); Avv. (OMISSIS) del foro di Catanzaro per il (OMISSIS) e, in qualita' di sostituto processuale dell'avv. (OMISSIS) del foro di Catanzaro, per (OMISSIS) e (OMISSIS): concludono riportandosi ai motivi e chiedendo l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 19/01/2022 la Corte di Appello di Catanzaro riformava parzialmente la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Crotone in data 24/06/2020 con riferimento alla sola posizione di (OMISSIS) riducendo la pena ai sensi dell'articolo 599 bis c.p.p., confermando, invece, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione ai seguenti reati, cosi' come contestati: capo 1 - associazione a delinquere di stampo mafioso denominata âEuroËœndrangheta, articolazione territoriale di (OMISSIS), clan (OMISSIS) ( (OMISSIS) con il ruolo di "capo locale"; (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con il ruolo di partecipe); capo 2 - porto e detenzione di armi da sparo L. n. 895 del 1967, ex articoli 2, 4 e 7, con l'aggravante dell'agevolazione mafiosa ex articolo 416 bis.1 c.p. ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)); capi 3, 4, 6, 7, 8 - vari episodi di danneggiamento aggravati anche dal metodo mafioso ex articolo 416 bis.1 c.p. ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), cosi' come a ciascuno di essi attribuiti); capi 5 e 9 - tentata estorsione (cosi' riqualificata l'originaria imputazione) aggravata anche dal metodo mafioso ex articolo 416 bis.1 c.p. ( (OMISSIS)); capo 10 - abuso di ufficio ex articolo 323 c.p. ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)); capi 12 e 13 - falsita' ideologica ex articolo 479 c.p. ( (OMISSIS), (OMISSIS)). 2. In sintesi, secondo i giudici di merito, il processo, convenzionalmente definito "Trigarium", ha confermato l'esistenza, la perdurante e concreta operativita' (dal 2000 al 30 luglio 2018), la soggettiva composizione e l'indeterminato programma criminoso di una pericolosa associazione per delinquere di stampo mafioso, denominata âEuroËœndrangheta, radicata nel territorio della provincia di Crotone e del Comune di (OMISSIS). Alla guida di tale sodalizio vi era (OMISSIS); al medesimo clan appartenevano, in qualita' di partecipi, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS). Il programma associativo prevedeva - oltre i piani omicidiari per il controllo del territorio, oggetto di altro processo - la detenzione di armi, la commissione di una pluralita' di danneggiamenti preordinati al consolidamento della forza intimidatrice dell'associazione nonche' le estorsioni perpetrate nei confronti di soggetti che si erano rifiutati di sottostare alle richieste di (OMISSIS). Inoltre, nel generico programma del sodalizio rientravano anche l'abuso di ufficio contestato a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) per il rilascio di un permesso di costruire relativo ad un immobile di proprieta' di (OMISSIS), su richiesta di permesso in sanatoria presentata dall'intestatario formale (OMISSIS). 2.1. Il quadro probatorio di riferimento e' costituito, in primo luogo, dalle chiamate in correita', dirette e de relato, del collaboratore di giustizia (OMISSIS); inoltre, dalle propalazioni di altri collaboratori di giustizia, ex affiliati di famiglie di âEuroËœndrangheta; infine, dalle risultanze di una capillare attivita' di intercettazioni, telefonica e ambientale, trascritte in forma peritale, nonche' dagli esiti delle operazioni di perquisizione e sequestro eseguite dalla polizia giudiziaria. 3. Avverso la decisione di secondo grado ricorrono i difensori di fiducia degli imputati, articolando i seguenti motivi di ricorso. 3.1. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati articolati tre motivi. Con i primi due si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, con riferimento all'articolo 192 c.p.p., articolo 530 c.p.p., comma 2, articolo 579 c.p.p. in relazione all'affermazione di responsabilita', rispettivamente, per i capi d'imputazione sub 8) e sub 10), censurandosi - per il capo 8) - la fragilita' del quadro probatorio di riferimento, costituito da captazioni ambientali e telefoniche, attestanti la presenza dell'imputato in occasione dei reati contestati ma non la partecipazione alle azioni delittuose (la mancanza di riscontri aveva determinato l'assoluzione da cinque ulteriori accuse, nonostante la chiamata in correita'); con specifico riferimento al capo 10), l'intestazione formale dell'immobile non implicava la partecipazione alla condotta illecita, in assenza di elementi significativi in tal senso. In relazione al profilo sanzionatorio, si eccepisce il riconoscimento delle circostanze aggravanti per il capo 8 (il danno di rilevante entita' e l'agevolazione mafiosa ex articolo 416 bis.1 c.p.) e l'ingiustificato diniego delle attenuanti; inoltre, il cumulo materiale fra i reati, con illogica esclusione della continuazione, trattandosi di imputazioni riferite al programma criminale dell'associazione mafiosa. 3.2. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati articolati sei motivi. Con il primo si lamenta l'omesso esame di una memoria difensiva depositata nel corso del giudizio di primo grado, questione sottoposta alla Corte di appello che aveva ritenuto generico il rilievo, nonostante si trattasse di un atto articolato in piu' punti. Gli ulteriori motivi (dal secondo al quinto), sono riferiti ai singoli capi per cui vi e' stata condanna, in relazione al duplice profilo della violazione di legge, sostanziale e processuale (articolo 192 c.p.p.), e del vizio di motivazione: per il capo 2), le dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) non potevano ritenersi riscontrate dalle videoriprese del 24 settembre 2020, riferite ad un'unica occasione e non alla detenzione continuativa dell'arma, in mancanza altresi' di collegamento con la finalita' associativa e, quindi, della sussistenza dell'aggravante ex articolo 416 bis.1 c.p.. per i capi 3), 4), 6) e 8), relativi ai vari episodi di danneggiamento, la sentenza impugnata presentava illogicita' nella valutazione del compendio probatorio (per le condotte in danno di (OMISSIS), capi 3 e 6; per l'incendio della pala meccanica di (OMISSIS), capo 4, e del furgone della ditta di (OMISSIS), capo 8), in quanto le dichiarazioni di (OMISSIS) non si erano confrontate con le prove presentate dalla difesa, con apodittica riconducibilita' delle vicende alla consorteria anziche' a questioni personali); per i capi 10) e 12), circa il concorso nell'abuso di ufficio e il falso ideologico, il vizio logico consisteva nell'attribuzione del ruolo di sostanziale beneficiario della condotta del pubblico ufficiale, pur non essendosi mai interfacciato con i pubblici ufficiali (OMISSIS) e (OMISSIS), senza mostrare particolare interesse per le sorti del manufatto; inoltre, il coinvolgimento del cognato (OMISSIS), anch'egli privo della qualifica necessaria di imprenditore agricolo, era all'evidenza irragionevole. per il capo 1), le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia erano inidonee a delineare la condotta associativa, con ruolo verticistico ( (OMISSIS) aveva una conoscenza indiretta dei fatti, (OMISSIS) era privo di specificita' sulla collocazione temporale degli eventi, (OMISSIS) non era credibile perche' smentito da risultanze documentali e dalla testimonianza del maresciallo (OMISSIS), (OMISSIS) non era credibile per le contraddizioni riscontrate dalla difesa e per la pedissequa ripetizione di quanto gia' accertato dai Carabinieri); in particolare, la Corte di appello aveva collegato la supremazia del clan (OMISSIS) alla contrapposizione con la famiglia dei (OMISSIS), pervenendo a conclusioni illogiche allorche' aveva fissato il momento iniziale della condotta associativa al 2014, mentre la morte del reggente (OMISSIS) era avvenuta nel (OMISSIS), senza delineare, in ogni caso, attivita' delittuose astrattamente riconducibili all'associazione e i presupposti per il riconoscimento dell'aggravante della detenzione di armi nell'interesse del gruppo. Con l'ultimo motivo si censura il trattamento sanzionatorio, in relazione al riconoscimento della recidiva, al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione della pena, senza adeguata motivazione; inoltre, si eccepisce l'incostituzionalita' della L. n. 92 del 2012, articolo 2, comma 58 nella parte in cui prevede la revoca delle prestazioni assistenziali e previdenziali nei confronti dei condannati per il delitto di cui all'articolo 416 bis c.p. - misura applicata al (OMISSIS) - per violazione degli articoli 2, 3 e 38 Cost. sul diritto all'assistenza, garantito agli individui che necessitino di mezzi per sopravvivere. 3.3. (OMISSIS), tramite lo stesso difensore di (OMISSIS), ha strutturato il ricorso in termini analoghi e, per certi aspetti, sovrapponibili. Con il primo motivo ha censurato l'omesso esame della memoria difensiva depositata in primo grado, con conseguente lesione del diritto di difesa. Con il secondo motivo, ha lamentato l'omessa assoluzione dal reato associativo sub 1, in ragione della contraddittorieta', genericita' e illogicita' delle propalazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con particolare riferimento alla collocazione temporale dei fatti, alla stregua di tutte le emergenze processuali, ivi comprese le intercettazioni, dalle quali non si evinceva una formale affiliazione ma, al piu', la messa a disposizione (ambasciate per conto del padre), senza offensivita' della condotta e, in ogni caso, riscontro della sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 4, sulla detenzione di armi nell'interesse dell'associazione; in relazione al capo 2), ha poi eccepito la violazione di legge sostanziale e processuale (articolo 192 c.p.p.) e il vizio di motivazione circa la detenzione e il porto di un fucile calibro 12, attesa l'inconsistenza del quadro probatorio, costituito dalle generiche dichiarazioni del correo (OMISSIS) sul punto e dalle risultanze del sistema di videosorveglianza, attestanti, in un'unica occasione, la disponibilita' occasionale all'interno di un'area privata, adibita ad abitazione. Il terzo motivo, infine, si riferisce al trattamento sanzionatorio, per rilievi sovrapponibili a quelli formulati con l'ultimo motivo di ricorso da (OMISSIS). 3.4. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati articolati sette motivi di ricorso. Primo motivo. Violazione degli articoli 46, 54 e 55 c.p. per il mancato riconoscimento delle cause di non punibilita' e dell'esimente; erronea valutazione delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) attestanti in realta' il costringimento fisico e lo stato di necessita', in un contesto di soggezione nei confronti del noto âEuroËœndranghetista, sottovalutato dai giudici di merito, in contrasto con i principi giurisprudenziali a riguardo. Secondo motivo. Insussistenza della condotta di partecipazione e omessa o erronea interpretazione delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), posto che l'accertamento si riferiva ad un periodo limitato di tempo (cinque mesi) e che la difesa aveva messo in evidenza le affermazioni dello stesso (OMISSIS) attestanti l'estraneita' a contesti devianti, senza riscontro da parte della corte territoriale. Terzo motivo. Omessa valutazione dell'avviso delle conclusioni delle indagini preliminari, notificato il 5 aprile 2019, per altro procedimento a carico del (OMISSIS), di (OMISSIS) e di altri otto indagati per aver costituito, nello stesso periodo, un'associazione a delinquere semplice, con lo scopo di commettere furti e danneggiamenti, con conseguente possibilita' di riqualificare i fatti ai sensi dell'articolo 416 c.p.. Quarto motivo, con riferimento ai capi 2, 3, 4, 6, 7, 8: travisamento della prova circa la detenzione dell'arma, alla quale era estraneo (capo 2); mancato esame delle censure difensive sulle dichiarazioni del collaboratore e sul significato delle conversazioni intercettate (capo 3); erronea valutazione della conversazione n. 112 dell'1 settembre 2019 (capo 4); illogica e contraddittoria motivazione sulla riconosciuta confusione del collaboratore nel raccontare i fatti e, al tempo stesso, sulle certezze riscontrate nel suo narrato (capo 6) nonche' sulla partecipazione concorsuale ai danneggiamenti di cui ai capi 7 e 8. Quinto motivo. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento dell'aggravante dell'articolo 416 bis.1 c.p. per i reati di cui ai capi 2, 3, 4, 6, 7 e 8, senza prova circa il dolo specifico di favorire l'associazione, emergendo, al contrario, un rapporto di amicizia con (OMISSIS). Sesto motivo. Violazione di legge (articolo 62 bis c.p.) e vizio di motivazione per l'ingiustificato diniego delle attenuanti generiche, senza riscontro delle argomentazioni difensive sugli elementi positivi di valutazione. Settimo motivo. Incongrua motivazione circa la determinazione della pena, sulla base della modifica apportata all'articolo 416 bis c.p., comma 5 in vigore dal 2015, laddove la condotta si era arrestata a dicembre 2014. 3.5. Con un unico e articolato motivo, (OMISSIS) ha eccepito la violazione dell'articolo 192 c.p.p., articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 546 c.p.p. e articolo 416 bis c.p. nonche' vizi della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilita' per il reato associativo; erronea valutazione delle censure difensive. La condotta associativa dipenderebbe dalla ritenuta partecipazione, nel 2014, all'omicidio di (OMISSIS), oggetto tuttavia di altro procedimento, con conseguente illogicita' della decisione che faceva dipendere il giudizio di responsabilita' da un fatto incerto; inoltre, le dichiarazioni testimoniali del maresciallo (OMISSIS) e dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS) non erano univoche e la sentenza impugnata era affetta da vizio logico nella parte in cui attribuiva a (OMISSIS) il ruolo di supremazia nel controllo mafioso di (OMISSIS) dopo l'omicidio di (OMISSIS), pur essendo (OMISSIS) ancora in vita. In ogni caso, (OMISSIS) era inattendibile per le ragioni esposte in appello (tardivita' della collaborazione, quando aveva piena cognizione dei fatti attraverso il processo; dichiarazioni de relato circa l'incontro fra gli esponenti delle famiglie di âEuroËœndrangheta della provincia, avvenuto tra il 2005 e il 2007; incongruenze circa il rito di affiliazione), non esaminate dalla corte di merito, cosi' come carenti erano i riscontri esterni (il precedente giudiziario del ricorrente, la chiamata in reita' del (OMISSIS), le intercettazioni successive all'omicidio di (OMISSIS), la frequentazione di (OMISSIS) e del (OMISSIS)). 3.6. (OMISSIS) e (OMISSIS) - funzionari comunali, entrambi condannati alla stessa pena per il capo 10, esclusa l'aggravante di cui all'articolo 416 bis.1 c.p. - con separati atti, tramite il comune difensore di fiducia, hanno articolato un unico motivo di ricorso, con il quale hanno eccepito la violazione di legge (articolo 323 c.p.) e il vizio di motivazione con riferimento agli elementi costitutivi del reato di abuso di ufficio. In particolare, l'accusa riguardava le carenze istruttorie e le tempistiche anomale per il rilascio del permesso in sanatoria, riconducibili al rapporto dei ricorrenti con (OMISSIS), cosi' come riferito dal collaboratore (OMISSIS); si trattava dell'omessa verifica della qualifica soggettiva di imprenditore agricolo del richiedente, non prevista tuttavia dalle norme tecniche di attuazione del Comune di (OMISSIS) per la edificazione di nuove costruzioni in zona agricola, circostanza non considerata dalla Corte di appello, nonostante l'espressa deduzione degli appellanti, essendo altresi' irrilevante, ai fini della legittimita' e liceita' dell'atto, che l' (OMISSIS) fosse un prestanome. In ogni caso, i giudici di merito non avevano precisato in cosa consistessero le omissioni, riferite alle verifiche Legge Regionale n. 19 del 2002, ex articolo 52, ne' dimostrato l'esistenza di un accordo con il privato. Non poteva ritenersi integrata la cd. doppia ingiustizia, posto che alla condotta contestata non era conseguita una situazione antigiuridica: non era ravvisabile, cioe', il reato di cui all'articolo 323 c.p. in quanto, pur ipotizzandosi la violazione di norme di legge o di regolamento, il privato aveva comunque diritto al vantaggio attribuito dal provvedimento amministrativo (l'immobile, infatti, era stato dissequestrato per la conformita' alle previsioni urbanistiche). La difesa ha citato a riguardo l'orientamento giurisprudenziale in base al quale l'ingiustizia del danno o del vantaggio patrimoniale deve essere tale a prescindere dall'abuso perpetrato, stante la necessita' che il risultato della condotta corrisponda di per se' ad una situazione antigiuridica, senza considerare il mezzo con cui questa e' stata posta in essere. 3.7. (OMISSIS) con due motivi di ricorso ha censurato il trattamento sanzionatorio per la carenza di motivazione in ordine agli aumenti per la continuazione, in contrasto con la disciplina del reato continuato, posto che la pena base risultava raddoppiata, nonostante il percorso di collaborazione; in termini erronei, inoltre, era stata applicata la misura di sicurezza della liberta' vigilata, senza accertamento, previsto dall'articolo 697 c.p.p., della pericolosita' sociale, da ritenersi anzi esclusa per la resipiscenza rispetto al passato. 3.8. (OMISSIS), pur avendo definito la sua posizione ai sensi dell'articolo 599 bis c.p. ha eccepito la violazione di legge, sostenendo l'apparenza della motivazione sull'assenza dei presupposti che legittimano l'applicazione dell'articolo 129 c.p.p. nonche' sulla conformita' del concordato alle prove e ai criteri per la determinazione della pena. 3.9. Nell'interesse di (OMISSIS) e di (OMISSIS), tramite lo stesso difensore di fiducia, sono stati presentati separati ricorsi, con tematiche comuni. 3.9.1. Per il primo di tali imputati risultano articolati sei motivi. Primo motivo. Violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 3 circa la conferma della condanna per il capo 1. In termini acritici la corte territoriale aveva confermato il giudizio del tribunale, valorizzando le dichiarazioni di (OMISSIS) circa l'affiliazione, il ruolo di sostituto del (OMISSIS), la condivisione del programma delittuoso, senza riscontrarle con quelle accusatorie degli altri collaboratori ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) e verificarne la concordanza sul nucleo essenziale del narrato. Inoltre, la partecipazione alla consorteria non poteva desumersi dalla condotta successiva all'omicidio del quale (OMISSIS) lo aveva accusato ne' in tal senso deponevano le conversazioni intercettate, riportate in sentenza, di contenuto neutro, attestanti il rapporto di familiarita' tra il ricorrente e la famiglia (OMISSIS). Secondo motivo. Violazione di legge penale (articolo 416 bis c.p.). L'unico elemento posto a fondamento della asserita condotta associativa era l'episodio delittuoso contestato in altro procedimento, attinente all'omicidio di (OMISSIS); per il resto, ciascuna delle vicende richiamate dai giudici di merito si collegava a rapporti personali e non gia' ad interessi della consorteria, in un contesto di frequentazione che non integrava alcuna fattispecie criminosa, cosi' come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimita'. Anche l'attribuzione della dote di "santa", che trovava riscontro esclusivo nel propalato di (OMISSIS), non era in se' significativa, in mancanza di un concreto accertamento in ordine alla partecipazione protratta nel tempo. Terzo motivo. Violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 3 in relazione al capo 3. La Corte di appello aveva ritenuto che le dichiarazioni di (OMISSIS) fossero state riscontrate dall'intercettazione citata a pag. 213 della sentenza di primo grado, relativa alla programmazione di un incontro, senza altro aggiungere a riguardo, per cui l'elemento probatorio era del tutto inconferente. Quarto motivo. Violazione di legge penale sostanziale (articolo 416 bis.1 c.p.), sempre in relazione al capo 3, per la carenza di prova in ordine al dolo diretto ossia alla consapevolezza di agevolare l'affermazione sul territorio del clan (OMISSIS), rilievo sul quale la sentenza impugnata si era pronunciata con frasi di stile, senza valutare la tesi difensiva che riportava il concorso nel danneggiamento in danno del (OMISSIS) ad un interesse personale del (OMISSIS). Quinto motivo. Violazione di legge penale (articolo 416 bis c.p., comma 4). Il riconoscimento della circostanza aggravante si basava sulla contestazione della fattispecie sub 2, sull'omicidio (OMISSIS) e sul rinvenimento delle armi utilizzate, singoli episodi che non attestavano la riconducibilita' delle armi stesse al clan. Sesto motivo. Con riferimento al trattamento sanzionatorio, violazione di legge penale (articolo 99 c.p.), in quanto il riconoscimento della recidiva era stato effettuato alla stregua di presunzioni, derivanti dalle risultanze del casellario giudiziale, senza attenersi a parametri concreti di giudizio al fine di verificare l'accentuata pericolosita' sociale. 3.9.2. Nell'interesse di (OMISSIS) sono stati articolati sette motivi di ricorso. Primo motivo. Violazione di legge penale (articolo 416 bis c.p.), per mancanza di elementi a sostegno dell'affermazione di responsabilita' individuale si' che la motivazione era del tutto carente sulla individuazione della condotta partecipativa, in considerazione della assenza radicale di contributivi dichiarativi accusatori (eccetto quelli di (OMISSIS), condizionati da avversione nei confronti del padre del ricorrente, (OMISSIS)), della esiguita' dell'arco temporale (le indagini si riferivano ad un segmento dell'anno 2014), della inconcludenza dei dialoghi intercettati (relativi esclusivamente all'omicidio), dell'estraneita' ai reati fine, del tenore aspecifico dei contatti con (OMISSIS) (determinati da ragioni umanitarie per i problemi psichiatrici di quest'ultimo). In diritto, la sentenza impugnata non aveva definito le caratteristiche della condotta partecipativa, omettendo di considerare la mancata iniziazione e la insussistente permanenza del vincolo associativo; il ruolo dell'imputato, secondo la Corte di appello, era stato quello di referente del capo cosca nella trasmissione di messaggi, dei quali non erano noti, tuttavia, il contenuto e i destinatari, circostanza che ne escludeva la rilevanza penale. Secondo motivo. Violazione di legge penale (articolo 416 bis c.p., comma 4), perche' il processo non aveva fornito elementi a sostegno della disponibilita' di armi da parte dell'intero sodalizio e non gia' del solo (OMISSIS). Terzo motivo. Violazione di legge penale sostanziale (L. n. 865 del 1967, articoli 2, 4 nonche' articoli 43 e 110 c.p.) per l'assenza della condotta concorsuale e del dolo di concorso, con riferimento al capo 2 delle imputazioni (la presenza del ricorrente in data 24 settembre 2014 presso la proprieta' del (OMISSIS), mentre (OMISSIS), titolare di porto d'armi, brandiva il fucile da caccia, doveva ricondursi alla connivenza non punibile, rilievo non esaminato dal giudice di secondo grado). Inoltre, le due sentenze erano contraddittorie, perche', mentre il tribunale aveva rilevato una pluralita' di armi nella disponibilita' di (OMISSIS), la corte di appello aveva attribuito a costui il compito di istruttore verso appartenenti alla cosca, escludendo il dato numerico; in ogni caso, (OMISSIS) non era stato sempre presente nel corso di tali esercitazioni. Quarto motivo. Vizio di motivazione per illogicita' manifesta e travisamento della prova, con riferimento al capo 2, posto che il ricorrente era a conoscenza che (OMISSIS) era in possesso di porto d'armi per la pratica della caccia, cosi' escludendosi il concorso in una condotta illecita. Quinto motivo. Violazione di legge penale sostanziale (articolo 416 bis.1 c.p.) con omesso esame della censura di cui al punto 5 dell'atto di appello; il riconoscimento dell'aggravante era stato effettuato con violazione del criterio di imputazione soggettiva, attribuendosi alla disponibilita' del fucile da caccia da parte del solo (OMISSIS) valenza di accrescimento della potenzialita' mafiosa del gruppo. Sesto motivo. Violazione di legge penale (articolo 62 bis c.p.) per l'ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche., nonostante gli esigui presedenti penali e il leale comportamento processuale. Settimo motivo. Apparente motivazione in ordine alla censura sull'entita' degli aumenti di pena per la continuazione. Con motivi aggiunti, il difensore di (OMISSIS) ha insistito nei motivi di ricorso, rappresentando in particolare: con riferimento al capo 1), che la sentenza impugnata si connotava per astrattezza argomentativa, mancando l'esame delle allegazioni ed argomentazioni difensive sotto il profilo di corrispondenza alla fattispecie legale contestata dei fatti e delle prove; con riferimento alla circostanza aggravante di cui all'articolo 416 bis c.p., comma 4, che non vi erano elementi per sostenere che il sodalizio avesse la disponibilita' di armi e, particolarmente, per sostenere la disponibilita' di armi da parte del ricorrente, se non mera connivenza non punibile; con riferimento al capo 2), che non sussisteva riscontro del possesso di armi, se non del fucile che lo (OMISSIS) legittimamente deteneva. 3.10. Il ricorso di (OMISSIS) e' strutturato in tre motivi. Con il primo si eccepisce la violazione di legge penale (articolo 323 c.p.), con particolare riferimento alla sussistenza del requisito oggettivo della inosservanza di specifiche regole di condotta, espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalita', ai sensi del Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, articolo 23, comma 1, e della ingiustizia del vantaggio o del danno; il vizio di motivazione in relazione al capo 10 della rubrica. La Corte di appello aveva condiviso la conclusione del tribunale secondo cui era integrata la condotta prevista e punita dall'attuale formulazione dell'articolo 323 c.p. perche' il permesso a costruire in sanatoria era stato rilasciato senza alcuna istruttoria, a prescindere dalla sua legittimita'. Il (OMISSIS), all'epoca responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune di (OMISSIS), aveva provveduto alla nomina di un responsabile del procedimento, nella persona di (OMISSIS), delegato ad espletare l'istruttoria del caso; aveva quindi adottato l'atto, il 18 dicembre 2014, sulla base dei documenti acquisiti e visionati, previo parere del tecnico comunale che non aveva ravvisato alcuna illegittimita', senza incorrere nelle violazioni sintetizzate nel capo d'imputazione. In particolare, non era tenuto a verificare la qualifica di imprenditore agricole del richiedente (OMISSIS), posto che cio' era previsto, ai sensi dell'articolo 15 del Piano Regolatore Generale del Comune, solo per le licenze di costruzione ai fini residenziali nelle zone agricole mentre, nel caso di specie, il permesso in sanatoria si riferiva a un immobile da adibire a ricovero di bestiame; inoltre, erano state rispettate le prescrizione di cui alla Legge Regionale Calabria n. 19 del 2002, articolo 52 sulla edificazione di nuove costruzioni rurali, si' che nessun rimprovero poteva essere mosso al responsabile del servizio tecnico la cui condotta non era stata in contrasto con l'interesse pubblico. Con il secondo motivo la violazione di legge ed il vizio di motivazione sono stati riferiti all'elemento soggettivo del reato ex articolo 323 c.p. non avendo i giudici di merito considerato la carenza di prova in ordine alla consapevolezza di agevolare (OMISSIS), persona mai contattata o conosciuta, e dell'apparente titolarita' dell' (OMISSIS), in considerazione altresi' delle altre circostanze evidenziate in appello dalla difesa (il collaboratore (OMISSIS) non aveva fatto alcun riferimento ad un coinvolgimento del (OMISSIS) nella vicenda, la pratica era stata evasa nei tempi fisiologici per un comune di piccole dimensioni, le conversazioni intercettate non erano significative). Con il terzo ed ultimo motivo si e' censurato il trattamento sanzionatorio per essere stata la pena determinata in misura superiore al minimo edittale, con ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche, nonostante l'assenza di precedenti penali, sintomatico di un tenore di vita esente da logiche criminali, e l'apprezzabile comportamento processuale. Con motivi aggiunti, il difensore del (OMISSIS) ha inteso evidenziare ulteriori vizi della sentenza impugnata in punto di accertamento del requisito della ingiustizia del vantaggio, insistendo per l'annullamento; in subordine, ha chiesto dichiararsi l'estinzione del reato per decorso del termine prescrizionale. 3.11. I difensori di (OMISSIS), condannato per i reati di danneggiamento aggravato di cui ai capi 7 e 8, hanno articolato quattro motivi di ricorso. Con il primo, coincidente con quello del coimputato (OMISSIS), si deduce violazione degli articoli 46, 54 e 55 c.p. per il mancato riconoscimento delle cause di non punibilita' e dell'esimente nonche' erronea valutazione delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) attestanti in realta' il costringimento fisico e lo stato di necessita' per entrambi, in un contesto di soggezione nei confronti del noto âEuroËœndranghetista, sottovalutato dai giudici di merito, in contrasto con i principi giurisprudenziali a riguardo. Con il secondo motivo, si eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al riconoscimento dell'aggravante dell'articolo 416 bis.1 c.p. posto che il (OMISSIS), capo clan, e il sodale (OMISSIS) erano stati assolti dagli episodi di danneggiamento in questione, si' da risultare illogico riferire gli stessi alla cosca, in considerazione altresi' di quanto dichiarato dal collaboratore (OMISSIS) che aveva riferito che il (OMISSIS) si accompagnava a lui solo per amicizia. Con specifico riferimento al capo 8 - danneggiamento in danno di (OMISSIS) - la corte territoriale non aveva riscontrato i rilievi difensivi sulla mancanza di riscontri in ordine alla chiamata in correita' di (OMISSIS) (terzo motivo). Con l'ultimo motivo la censura e' riferita al diniego delle circostanze attenuanti generiche, nonostante gli elementi positivi di valutazione prospettati dalla difesa. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. In una prima valutazione di sintesi puo' affermarsi che i ricorsi aspirano a mettere in discussione la logicita' dell'apparato motivazionale della sentenza impugnata. In questa prospettiva il loro esame richiede alcune puntualizzazioni. 1.1. Innanzitutto, si osserva che l'esito conforme delle decisioni pronunciate nei due gradi di giudizio consente di operare la lettura congiunta delle sentenze di primo e secondo grado, trattandosi di motivazioni che si fondono in un unico corpo di argomenti a sostegno delle conclusioni raggiunte per il principio della c.d. doppia conforme - su cui, di recente, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E, Rv. 277218 - con la conclusione che ove le decisioni di merito abbiano entrambe affermato la responsabilita' dell'imputato, "le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita' della motivazione, tanto piu' ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese e ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicche' le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entita'" (in questi termini, nella motivazione, Sez. 2, n. 34891 del 16/05/2013, Vecchia, Rv. 256096). 1.2. In secondo luogo, va ribadito che nel caso di cd. doppia conforme il vizio del travisamento della prova puo' essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato e' stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado, circostanza estranea ai ricorsi in oggetto. Tale ambito circoscritto di ammissibilita' costituisce corollario del piu' generale principio secondo cui il sindacato del giudice di legittimita' sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest'ultima: a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", perche' sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilita' logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516). 1.3. Nel tentativo di legittimare le censure alla motivazione, recuperando spazi non consentiti dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), alcuni difensori hanno eccepito l'erronea applicazione dell'articolo 192 c.p.p. in tema di valutazione delle prove si' da venire in rilievo la violazione di legge (sub specie di norma processuale) ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) (in tal senso i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - sia pure con riferimento all'articolo 125 c.p.p. -, (OMISSIS) - con riferimento anche all'articolo 546 c.p.p. -, (OMISSIS)). L'impostazione difensiva non si confronta tuttavia con l'insegnamento delle sezioni unite, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, e' inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione dell'articolo 192 c.p.p., anche se in relazione all'articolo 125 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all'ammissibilita' delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell'inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita' (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, rv. 280027 - 04). In altri casi, il vizio di motivazione e' ricondotto alla violazione di legge penale (sub lettera b dell'articolo 606 c.p.p.), con riferimento alla norma incriminatrice di riferimento, senza che le relative censure riguardino, tuttavia, l'interpretazione secondo diritto degli articoli di legge o l'applicazione di principi giurisprudenziali, lamentandosi, in definitiva, che la condotta non corrisponda alla fattispecie astratta, con argomentazioni di natura squisitamente fattuale che sfuggono al controllo riservato alla cassazione (emblematico, a riguardo, il ricorso di (OMISSIS)). Anche la violazione dell'articolo 323 c.p. - per i profili che saranno meglio evidenziati in seguito - pur riferendosi formalmente all'interpretazione della norma, cosi' come di recente riformata, prescinde, nei motivi di ricorsi, dagli accertamenti eseguiti in sede di merito, insistendosi nella tesi della legittimita' del provvedimento secondo dati fattuali che risultano smentiti dall'istruttoria espletata. 1.4. Va, infine, ribadito che il dubbio ragionevole di cui all'articolo 530 c.p.p., comma 1, - al quale pure si riferiscono vari ricorrenti - deve identificarsi in una ricostruzione della vicenda non solo astrattamente ipotizzabile in rerum natura, ma la cui plausibilita' nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. E' dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalita', ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 - dep. 2018, Troise, Rv. 272430), non potendo il dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P. Rv. 281647 - 04). 2. In definitiva, in una visione di insieme, puo' ritenersi che tutti i ricorsi siano inammissibili, perche' presentati per motivi non consentiti e privi della specificita' necessaria ex articolo 581 c.p.p., comma 1, e articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), in quanto reiterativi di doglianze gia' correttamente disattese dal Tribunale e ribadite dalla corte territoriale. Va considerata anche la diversa struttura delle sentenze di merito, avendo il tribunale incentrato l'analisi sulle posizioni processuali degli imputati, ricostruite attraverso un'ampia ed approfondita analisi delle risultanze probatorie, dichiarative e documentali, alla stregua dei capi di imputazione, a differenza della corte territoriale che ha esaminato i motivi di impugnazione rapportandoli alle fattispecie di reato, in ragione della natura concorsuale degli stessi, della identita' del quadro probatorio di riferimento e della analogia delle censure; tale tecnica redazionale puo' essere utilizzata anche in questa sede, per quanto riguarda il reato di omissione di atti di ufficio, con trattazione unitaria dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) nonche' del relativo motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS). Per il resto, i singoli ricorsi attengono all'accertamento di responsabilita' ed al trattamento sanzionatorio, senza involgere questioni processuali. L'unica eccezione che puo' riferirsi ad un error in procedendo e' la lamentata lesione del diritto di difesa per l'omesso esame di una memoria difensiva depositata in primo grado (primo motivo dei ricorsi di (OMISSIS) e di (OMISSIS)). Va rilevato a riguardo che in tema di impugnazione, l'omessa considerazione da parte del giudice dell'impugnazione di una memoria difensiva, non comporta, per cio' solo, una nullita' per violazione del diritto di difesa, ma puo' determinare un vizio della motivazione, deducibile in sede di legittimita' purche', in virtu' del dovere di specificita' dei motivi di ricorso per cassazione, si rappresenti puntualmente la concreta idoneita' scardinante dei temi della memoria pretermessa rispetto alla pronunzia avversata, evidenziando il collegamento tra le difese della memoria e gli specifici profili di carenza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' argomentativa della sentenza impugnata (sez. 3, n. 36688 del 06/06/2019, Rinaldi, Rv. 277667; sez. 5, sent. n. 17798 del 22/03/2019, Picardi, Rv. 276766); collegamento del tutto assente nella prospettazione della censura, da considerarsi pertanto generica. 3. Il reato di abuso di ufficio (capo 10): i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS); il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS). 3.1. Il delitto in oggetto e' stato contestato ai pubblici ufficiali (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente responsabile e funzionario dell'Ufficio tecnico del Comune di (OMISSIS), in concorso con i soggetti privati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Secondo i giudici di merito, il (OMISSIS) e lo (OMISSIS), nell'esercizio delle funzioni pubbliche di loro competenza, hanno concorso ad adottare un permesso di costruire in sanatoria - formalmente emessa nei confronti di (OMISSIS) - con il quale, aderendo in maniera passiva e acritica alle richieste di (OMISSIS) e dei suoi tecnici di fiducia (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno illegittimamente sanato un abuso edilizio, in precedenza commesso dal (OMISSIS), consistente nella edificazione, senza alcun titolo abilitante, in una zona agricola, di un manufatto in cemento armato. Mentre (OMISSIS) in appello ha definito la sua posizione ai sensi dell'articolo 599 bis c.p.p., cosi' rendendo definitivo nei suoi confronti l'accertamento di responsabilita' in ordine al delitto di abuso di ufficio contestatogli, nella qualita' indicata (funzionario dell'ufficio tecnico, responsabile unico del procedimento amministrativo), in concorso anche con il (OMISSIS), il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), questi ultimi hanno insistito per l'insussistenza dei requisiti previsti dall'articolo 323 c.p.. 3.2. In primo luogo, ritengono i ricorrenti (la censura assorbe il ricorso del (OMISSIS) e del (OMISSIS) e costituisce il primo motivo del ricorso del (OMISSIS)), difetterebbe l'elemento oggettivo: a) della violazione di specifiche regole di condotta, espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuano margini di discrezionalita', b) della ingiustizia del danno. I giudici di merito, ad avviso delle difese, non avrebbero considerato che non sussisteva nel caso di specie la cd. doppia ingiustizia della condotta e dell'evento, in quanto nessuna violazione di legge sarebbe stata commessa e le carenze istruttorie riscontrate inciderebbero semmai sulla liceita' ma non sulla legittimita' dell'atto, adottato, comunque, nel rispetto delle fonti normative (statali, regionali e comunali), senza alcun contrasto con l'interesse pubblico ed ingiusto vantaggio patrimoniale per il privato. 3.3. La questione e' stata prospettata negli stessi termini al giudice di appello. La motivazione della sentenza impugnata e la prospettazione difensiva si basano in realta' sulla stessa interpretazione giurisprudenziale della norma, secondo cui in tema di abuso di ufficio, la modifica introdotta con il Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, articolo 23, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, ha ristretto l'ambito applicativo dell'articolo 323 c.p., determinando l'"abolitio criminis" delle condotte, antecedenti all'entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme generali e astratte dalle quali non siano ricavabili regole di comportamento specifiche ed espresse, o che comunque lascino residuare margini di discrezionalita', sicche' deve escludersi che integri il reato la sola violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento di cui all'articolo 97 Cost., comma 3, (da ultimo, sez. 6, n. 28402 del 10/06/2022, Bobbio, Rv. 283359). In realta', il principio di diritto era ben presente anche al giudice di primo grado (cfr. nota n. 185, pag. 509), il quale non aveva mancato di evidenziare che la novella legislativa era intervenuta nelle more della stesura dei motivi e che i fatti in ogni caso rientravano a pieno titolo nell'ambito di applicazione del delitto di abuso di ufficio nella sua attuale configurazione per la riscontrata violazione di norme di legge nell'esercizio del potere pubblico al fine di procurare al destinatario un ingiusto vantaggio patrimoniale; conclusione in seguito confermata dalla corte territoriale. I giudici di merito hanno ritenuto che, nel caso in esame, siano state violate norme generali ed astratte dalle quali erano ricavabili regole di comportamento specifiche ed espresse, senza margini di discrezionalita', la cui applicazione avrebbe determinato il diniego della concessione in sanatoria dell'immobile abusivamente realizzato e, per tale ragione, sottoposto a sequestro. Su ciascuna di tale violazione si e' soffermato, in particolare, il tribunale, con argomentazioni con le quali i ricorrenti hanno omesso di confrontarsi. 3.3.1 In primo luogo, e' stato acclarato in sede di merito che presso il Comune di (OMISSIS) si richiedeva sempre a tutti i soggetti interessati ad ottenere il permesso di realizzare in zona agricola nuove costruzioni - siano esse di tipo residenziale che di altro genere - di documentare la propria qualifica di imprenditore agricolo, cosi' pacificamente interpretando la norma tecnica di attuazione; la palese insussistenza di tale requisito in capo all' (OMISSIS), avrebbe dovuto essere verificata in fase istruttoria e determinare il diniego del provvedimento (pag. 504 sentenza del tribunale); la corte di appello ha altresi' sottolineato come gia' nel precedente grado di giudizio si era evidenziata l'insufficienza di una visura riguardante la partita IVA a comprovare tale qualita', visura che peraltro era stata estratta in data 18 dicembre 2014, coincidente con quella di emissione del permesso in sanatoria (pag. 53 della sentenza di appello). La difesa non contesta la prima di tali circostanze, cosi' come acquisita peraltro dalla testimonianza del (OMISSIS), insistendo in un'interpretazione alternativa della disposizione tecnica di attuazione, in se' irrilevante, proprio perche' estranea all'ambito applicativo del Comune; inoltre, disquisisce in termini generici sulla qualifica di imprenditore agricolo del richiedente, senza fornire riscontri o superare in sede di merito le argomentazioni contrarie (pagine 491 e seguenti della sentenza del tribunale, paragrafo "Le prove a discarico"). Quanto al rilievo di carattere logico secondo cui non vi sarebbe stato motivo di far presentare l'istanza da un prestanome, posto che anche il (OMISSIS) non era imprenditore agricolo, e' evidente che cio' corrispondeva alla rappresentazione di una realta' fittizia, posto che, come argomentato dal tribunale, era risaputo che "al Comune di (OMISSIS) tutti facevano quello che voleva il (OMISSIS)" (in tal senso il collaboratore (OMISSIS), il quale non ha mancato di riferire come l' (OMISSIS) non avesse mai svolto attivita' imprenditoriale, essendo dedito, come lui, ad attivita' illecite - danneggiamenti e furti). Risulta in tal modo violato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 12, comma 1 che impone l'osservanza delle prescrizioni dello strumento urbanistico nel rilascio del permesso di costruire. 3.3.2. In secondo luogo, e' stata accertata l'inosservanza della Legge Regionale Calabria n. 19 del 2002, articolo 52 che impone al committente, nell'ipotesi di realizzazione di nuove costruzioni in zone agricole, di mantenere in produzione delle superfici fondiarie che assicurino la dimensione dell'unita' aziendale minima, si' che era onere dell'Ufficio Tecnico Comunale verificare la sussistenza di tale presupposto. Sostengono le difese - anche in tal caso reiterando in termini aspecifici una censura proposta in appello - che l'unita' aziendale minima deve essere almeno di diecimila metri e che la particella oggetto dell'intervento era ben quattro volte superiore, senza confrontarsi su quanto argomentato a riguardo dai giudici di merito che, sulla base del tenore letterale della norma, hanno evidenziato che il permesso di costruire per nuove zone rurali non era subordinato ad una questione di mera estensione del terreno oggetto dei lavori di edificazione (senz'altro piu' esteso dell'unita' dimensionale minima richiesta) ma era soggetto a ben altra prescrizione, oltre al recupero in via prioritaria delle strutture edilizie esistenti, ossia al mantenimento in produzione di superfici fondiarie che assicurino la dimensione dell'unita' aziendale minima, verificando cioe' "se l'istante era titolare di azienda, quale tipologia di impresa eserciti e quale tipologia di coltura debba impiantare o attivita' di allevamento debba svolgere e se la superficie fondiaria da utilizzarsi sia corrispondente al dimensionamento minimo dell'azienda tale da consentire alla stessa di poter operare" (pag. 506 della sentenza del tribunale): accertamento non espletato si' che anche per tale aspetto il permesso in sanatoria risulta emesso in violazione di legge. 3.3.3. Un'ulteriore violazione e' stata riscontrata nella omessa dichiarazione di doppia conformita' dell'abuso (id est delle legittime condizioni regolamentari urbanistiche sia al momento della realizzazione dell'abuso edilizio che nel momento in cui si richiede la sanatoria edilizia), imposta dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36, sulla cui necessita' risulta che anche il (OMISSIS) abbia concordato in sede di esame dibattimentale; dichiarazione pacificamente mancante alla data di emissione del provvedimento - atto che chiude il procedimento amministrativo posto che quella rinvenuta risulta con annotazione di un giorno successivo, priva di protocollo e della firma del responsabile del procedimento (OMISSIS), formata all'evidente scopo di occultare la violazione della procedura di legge (pag. 505 della sentenza di primo grado). 3.4. Sempre sotto il profilo oggettivo, emerge con chiarezza anche il requisito dell'ingiusto vantaggio patrimoniale, riferito non soltanto alla acquisizione di beni materiali ma a qualsiasi accrescimento della situazione giuridico-soggettiva a favore di colui nel cui interesse l'atto e' stato posto in essere (sez. 3, n. 4140 del 13/12/2017, dep. 2018, Giugliano, Rv. 272113), con la conseguenza - ben evidenziata, in particolare, dal tribunale (pagine 510 e 511) - che il diritto a edificare, se illegittimamente attribuito, costituisce certamente un vantaggio suscettibile di essere valutato economicamente, a prescindere dalla sua effettiva attuazione. Anche l'illegittimo rilascio di un permesso in sanatoria e' stato ritenuto dalla giurisprudenza provvedimento che attribuisce una situazione economicamente vantaggiosa per il privato che, oltre a beneficiare del valore intrinseco del manufatto, puo' locarlo, alienarlo, e comunque usufruirne (in termini, la citata sent. n. 4140/2018). Nel caso di specie, quindi, i pubblici ufficiali, con la condotta contra legem, hanno attribuito un ingiusto vantaggio patrimoniale al (OMISSIS), derivante dall'illegittimo rilascio del titolo autorizzativo in sanatoria, con conseguente possibilita' di proseguire nell'edificazione. In conclusione, con precisione giuridica e aderenza alle risultanze istruttorie, i giudici di merito hanno ravvisto il requisito della "doppia ingiustizia", ricollegando il vantaggio per il privato al provvedimento adottato in violazione di legge ed alla attribuzione di un diritto che non spettava, suscettibile di valutazione economica. In conclusione, solo il rilascio dell'illegittimo permesso di costruire in sanatoria ha permesso il dissequestro del manufatto, che, in quanto abusivo, era stato posto sottoposto a sequestro preventivo. 3.5. Dal punto di vista soggettivo e del concorso nel reato dei suddetti imputati, il quadro istruttorio di riferimento e' articolato (pagine 455 e segg. della sentenza di primo grado, § Le risultanze probatorie; pagine 52 e seguenti della sentenza di appello) e valutato con rigore di analisi, si' che la motivazione si sottrae a censure sul piano logico. Sono stati riportati nella sentenza di primo grado i lunghi, espliciti ed univoci dialoghi captati che documentano il rapporto tra i tecnici (OMISSIS) e (OMISSIS), incaricati dal (OMISSIS) della presentazione dell'istanza, e i soggetti pubblici (OMISSIS) e (OMISSIS); conversazioni che in termini logici e plausibili smentiscono secondo i giudici di merito la sussistenza di semplici legami personali tra i protagonisti dei fatti e attestano l'asservimento delle funzioni pubbliche esercitate dal (OMISSIS) e dallo (OMISSIS) agli interessi del (OMISSIS) (si rinvia a tal fine alla sintesi delle intercettazioni piu' significative di cui alle pagine 500 e 501 della pronuncia di primo grado; in particolare, si richiama il tenore dei dialoghi fra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) nel corso dei quali gli stessi riconoscevano i rilevanti vizi da cui era affetta la pratica, per cui solo un'alterazione dei dati, idonea a disorientare i carabinieri, e un'istruttoria carente ne avrebbero assicurato l'esito positivo). La sentenza impugnata ha altresi' rilevato come le difese non si siano confrontate con il composito compendio probatorio, limitandosi a sminuire la condotta incriminata, riconducendola a prassi negligenti e superficiali, emergendo, al contrario, la totale commistione di ruoli tra i due tecnici privati e i funzionari pubblici (pertinente, in tal senso, il richiamo alle pagine 479 e seguenti della decisione del tribunale); ha ribadito il coinvolgimento diretto del (OMISSIS) nell'abuso edilizio e nel tentativo di porvi rimedio con l'intervento del (OMISSIS), il quale "ha palesemente dismesso i panni del funzionario pubblico, organizzando con il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) il da farsi per ottenere il dissequestro (conversazione n. 184 del 10.12.2014)", in un contesto - restituito dalle intercettazioni, dalle chiamate in correita', dai riscontri documentali - attestante "come gli imputati si accordassero, si sentissero, si confrontassero su quello che accadeva e su come intervenire" (pag. 59). 3.5.1. Con specifico riferimento al (OMISSIS), il secondo motivo di ricorso si limita ad un elenco di circostanze che attesterebbero l'assenza della volonta' di arrecare un ingiusto vantaggio al (OMISSIS), in termini del tutto aspecifici, senza confrontarsi con le emergenze istruttorie al fine di disarticolare la pregnanza logica delle argomentazioni dei giudici di merito e a smentire la tesi che l'imputato, a seguito della nomina dello (OMISSIS) come responsabile del procedimento, si era limitato ad emettere il provvedimento finale; circostanza, quest'ultima, smentita sul piano fattuale dal contenuto delle intercettazioni, ma priva di rilevanza sul piano giuridico, posto che - come ribadito di recente dalla Corte - in tema di abuso di ufficio, integra la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, come richiesto dalla nuova formulazione dell'articolo 323 c.p. ad opera del Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, articolo 16, convertito nella L. 11 settembre 2020, n. 120, l'inosservanza, da parte del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale, del dovere di vigilanza sull'attivita' urbanistico-edilizia, in quanto il Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 27, ne impone l'osservanza onde assicurare la conformita' dell'anzidetta attivita' alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e alle modalita' fissate nei titoli abilitativi (sez. 3, n. 30586 del 08/06/2022, Avellone, Rv. 283588). 3.6. La posizione di (OMISSIS) e' stata esaminata dalla corte territoriale alle pagine 59 e 60, in relazione ai capi 10 e 12 (il falso ideologico, commesso in concorso con (OMISSIS), consistente nell'attestazione di conformita' allo strumento urbanistico vigente del progetto per ottenere il permesso in sanatoria), evidenziandosi come le argomentazioni difensive non si confrontassero con le intercettazioni dalle quali si evinceva non solo il suo reale interesse all'opera abusiva realizzata ma anche l'interazione con i funzionari pubblici e privati perche' il provvedimento amministrativo fosse rilasciato con la complicita' dei funzionari pubblici, in una sinergica azione di contrasto con gli accertamenti dei Carabinieri e le determinazioni dell'autorita' giudiziaria. Con il quarto motivo di ricorso, il (OMISSIS) reitera rilievi di merito, insiste nella estraneita' nel reato proprio e, soprattutto, continua a non confrontarsi con il contenuto delle intercettazioni - a fine di confutare la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata - si' che anche i riferimenti giurisprudenziali sul concorso dell'extraneus nel reato di abuso di ufficio risultano inconferenti. In relazione al reato sub 12, vale per il giudizio di cassazione quanto rilevato dalla Corte di appello allorche' ha confermato il giudizio di responsabilita' "non avendo la difesa articolato nessuna specifica censura", a fronte delle puntuali argomentazioni del Tribunale. 3.7. Anche il motivo di (OMISSIS) sul capo 10 e' generico, affermando il ricorrente che "della partecipazione consapevole nell'intero incarto processuale non vi e' traccia alcuna" e che "il solo fatto di essere l'intestatario (seppure fittizio) dell'immobile e della pratica in oggetto, non dimostra in alcun modo la consapevolezza di partecipare all'illecito iter", non parlando mai con gli impiegati comunali e non confrontandosi con altri circa l'esito della pratica. Indubbiamente, in tema di abuso di ufficio determinativo di un danno ingiusto nei confronti di terzi, per configurare il concorso dell'"extraneus" nel reato deve essere provata l'intesa intercorsa col pubblico funzionario o la sussistenza di pressioni o sollecitazioni dirette ad influenzarlo, desumibili dal contesto fattuale, dai rapporti personali tra le parti o da altri elementi oggettivi, non essendo a tal fine sufficiente la sola domanda del privato volta ad ottenere un atto illegittimo (sez. 6, n. 15837 del 20/12/2018, dep.2019, D'Alessio, Rv. 275540); nel caso di specie, tuttavia, come precisato dal Tribunale (pag. 509) e confermato in appello, l' (OMISSIS), cognato del (OMISSIS), agi' d'intesa con costui, prestandosi a documentare una falsa qualita' di imprenditore agricolo e a sottoscrivere la fraudolenta richiesta di sanatoria, nella consapevolezza che questo avrebbe consentito l'intenzionale strumentalizzazione dei poteri pubblici. L'affermazione di responsabilita' concorsuale non si e' basata, dunque, solo sulla mera presentazione dell'istanza ma sul ruolo di prestanome e sulla finalita' di permettere al (OMISSIS) di regolarizzare a qualsiasi costo la pratica di suo interesse, attraverso il diretto coinvolgimento dei pubblici ufficiali che avrebbero gestito la pratica e deciso in merito, in un contesto (quello dell'ufficio comunale) dove era noto che "al Comune di (OMISSIS) tutti facevano quello che voleva il (OMISSIS)" (dichiarazione del collaboratore (OMISSIS)). 3.8. L'ultimo motivo del ricorso del (OMISSIS) riguarda il trattamento sanzionatorio (entita' della pena, ritenuta sproporzionata, e diniego delle attenuanti generiche). Anche in tal caso i rilievi sono privi di aderenza alla realta' processuale ed alla motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui evidenzia come il giudice di primo grado abbia diversificato la pena per i concorrenti del reato di abuso di ufficio, irrogandone una piu' alta - e, comunque, sempre al di sotto della media edittale - proprio al (OMISSIS) ossia ad uno dei due pubblici ufficiali che maggiormente avrebbe dovuto garantire l'interesse pubblico senza piegarsi a quello antagonista del privato. In punto di circostanze ex articolo 62 bis c.p. e' sufficiente il richiamo alla personalita' negativa dell'imputato, cosi' come desumibile dalla gravita' dei fatti, in mancanza di significativi elementi positivi di valutazione (pag. 79 della sentenza di appello). 4. Gli ulteriori motivi di ricorso di (OMISSIS). Con il primo motivo il ricorrente ritiene insufficienti le prove in relazione alla condanna per il reato di danneggiamento di cui al capo 8), "basata non su convergenti elementi indiziari ma su meri elementi congetturali" (pag. 6 del ricorso), censurando l'illogicita' della motivazione e la violazione dell'articolo 192 c.p.p.. Trattasi di rilievi in fatto, generici nel riferimento al "materiale costituito da captazioni ambientali e telefoniche", che non si confrontano con le argomentazioni dei giudici di merito (pagina 50 della sentenza di appello; pagine da 242 a 248 della sentenza di primo di grado) che hanno ritenuto l' (OMISSIS) autore materiale del danneggiamento del furgone intestato alla (OMISSIS): in tal senso le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), i riscontri derivanti dalle registrazioni del sistema gps satellitare installato sull'autovettura del complice (OMISSIS), le intercettazioni riportate alle pagine da 245 a 247 della sentenza del tribunale nella quale si fece esplicito riferimento alla benzina, ad un incendio ed all'umore del mandante (OMISSIS). La valutazione di tali dati, correttamente riportati e interpretati secondo canoni logici, ha consentito di accertare che il (OMISSIS), il (OMISSIS), lo (OMISSIS) e l' (OMISSIS) si incontrarono e percorsero un tragitto all'interno dell'autovettura del (OMISSIS) per compiere un'azione criminosa nella notte tra il 24 e il 25 dicembre 2014; la stessa autovettura staziono' in prossimita' dell'abitazione del (OMISSIS), in un arco di tempo compatibile con l'orario del danneggiamento. Con il terzo motivo l'imputato censura il trattamento sanzionatorio per motivi in parte estranei all'appello e, quindi, non suscettibili di esame per la prima volta in cassazione (la mancata applicazione dell'istituto della continuazione fra i due reati per cui ha riportato condanna) e in parte generici (il diniego delle attenuanti e' stato giustificato per la gravita' dei fatti e la pregressa condanna per detenzione abusiva di munizioni, in assenza di elementi positivi di valutazione). 5. Gli ulteriori motivi di ricorso di (OMISSIS). Oltre che per i capi 10 e 12 delle imputazioni, oggetto della trattazione che precede, il (OMISSIS) ha riportato condanna per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, con il ruolo di capo (capo 1), per la violazione alla normativa sulle armi, per gli episodi di danneggiamento aggravato di cui ai capi 3, 4, 6, 8. I motivi di ricorso (secondo, terzo e quinto), ulteriori rispetto a quelli (primo e quarto) gia' esaminati, contestano l'accertamento di responsabilita' per profili di merito che attengono alla valutazione delle risultanze probatorie, con rilievi che esulano dal circoscritto ambito del giudizio di legittimita', cosi' come precisato in premessa, e che sono, peraltro, reiterativi e generici, privi cioe' di un effettivo confronto con la motivazione delle sentenze di primo e secondo grado. 5.1 Il secondo motivo propone una lettura alternativa delle risultanze delle videoriprese che confermano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, con riferimento al capo 2; il terzo motivo ritiene che i danneggiamenti in capo a (OMISSIS) (capi 3 e 6), a (OMISSIS) (capo 4), a (OMISSIS) (capo 8) si basano su una ricostruzione dei fatti che valorizza la chiamata in correita' dello (OMISSIS) senza soffermarsi sulle contraddizioni evidenziate dalla difesa e la mancanza di effettivi elementi di riscontro; il quinto motivo confuta, in relazione al capo 1, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), sintetizzandole e richiamando principi giurisprudenziali a riguardo, nel tentativo di inficiare le conclusioni di merito attraverso una diversa lettura delle fonti probatorie (in particolare delle intercettazioni e di alcune testimonianze). E' sufficiente a tal fine rinviare alle pagine da 357 a 365 della sentenza di primo grado che delineano con estrema precisione il ruolo del (OMISSIS) quale capo della locale di (OMISSIS); ruolo riconosciuto dalla âEuroËœndrangheta crotonese. In tal senso non solo le dichiarazioni (riportate alle pagine 358 e 359) di quattro collaboratori, provenienti da diverse articolazioni âEuroËœndranghetistiche, ma anche il propalato di (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che quello interno di (OMISSIS), con indicazione di specifiche condotte (pagine 359 e 360), tipiche di un "capo mafia" (incontri per programmare omicidi, intimidazioni nei confronti della popolazione, controllo del territorio, celebrazioni di ceremonie di investitura, cura degli interessi della "famiglia" ecc.), con i riscontri forniti dalle intercettazioni - le piu' significative, relative alla decisione di uccidere (OMISSIS) - e dai numerosi reati, commessi in esecuzione dei suoi ordine. La corte di appello (pagine 60 e seguenti) ha ripercorso l'iter argomentativo del tribunale, sottolineando come le censure difensive tentassero di demolire la valenza di singoli elementi, tralasciando di considerare la visione globale del compendio probatorio; ha aggiunto altresi' che le dichiarazioni dello (OMISSIS), (OMISSIS) del tutto affidabile in quanto intranea al sodalizio, vicino al (OMISSIS), avevano avuto un'ulteriore conferma di credibilita' dalla Corte di Assise di Catanzaro che con sentenza del 31/03/2021 aveva condannato il (OMISSIS), in concorso con lo stesso (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), per l'omicidio di (OMISSIS), nell'ambito di un conflitto fra "famiglie". Per quanto riguardo il tempus commissi delicti, la corte territoriale ha riconosciuto la condotta associativa a partire dal 2014 (anziche' dal 2012), senza che tale limitazione rispetto al capo di accusa incida sull'accertamento di responsabilita' e sulle conseguenze sul piano sanzionatorio. 5.2. La condanna per i reati fine di cui ai capi 2, 3, 4, 6 e 8 si basa su prove correttamente valutate (pagine da 36 a 52 della sentenza di appello; pagine da 195 a 248 della sentenza di primo grado): il porto di arma comune da sparo (in tal senso le dichiarazioni dello (OMISSIS), le intercettazioni di riscontro); i vari episodi di danneggiamento (il propalato dello (OMISSIS), il narrato delle vittime spesso omertose -, le intercettazioni, significative per le rilevate finalita' ritorsive, nell'unicita' del contesto malavitoso, e per l'attribuzione all'imputato del ruolo di mandante). 5.3. L'ultimo motivo riguarda il trattamento sanzionatorio (diniego delle attenuanti, aumento per la recidiva reiterata, dosimetria della pena, incostituzionalita' della L. n. 92 del 2012, articolo 2). La pessima biografia penale, la gravita' dei fatti in oggetto e la particolare efferatezza dei crimini hanno giustificato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. Le altre questioni - puntualmente definite dal primo giudice - non sono state sottoposte al vaglio critico alla corte territoriale (cfr. settimo motivo, pag. 23 atto di appello) e non possono costituire, quindi, oggetto di impugnazione in cassazione. 6. Gli ulteriori motivi del ricorso di (OMISSIS). Il ricorrente, figlio di (OMISSIS), e' stato condannato per i reati di cui ai capi 1 e 2 e le censure attengono alla valutazione del compendio probatorio, per profili non consentiti in sede di legittimita', oltre che al trattamento sanzionatorio. 6.1. La condotta partecipativa al reato associativo (eseguiva le direttive del padre, assicurando i contatti tra costui - che, tendenzialmente, rimaneva in casa perche' sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S.. con obbligo di soggiorno - e l'esterno, facendosi portatore di ambasciate presso gli altri sodali), nell'ambito della cosca (OMISSIS), e' trattata alle pagine da 413 a 424 della sentenza di primo grado. Anche in questo caso, la trattazione della singola posizione segue il percorso motivazionale che parte delle prove documentali (sentenze e provvedimenti giurisdizionali) circa l'esistenza del sodalizio, si arricchisce delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, previo giudizio di credibilita' e di attendibilita' degli stessi, e si sofferma sulla realizzazione dei vari reati fine nell'unico contesto malavitoso. In tale articolato tessuto argomentativo, il ruolo di (OMISSIS) e' delineato innanzitutto dalle dichiarazioni di (OMISSIS), cosi' come acquisite all'udienza del 21 gennaio 2020, particolarmente significative nell'individuazione dei compiti svolti per conto del padre (ad esempio, la consegna delle armi per l'omicidio di (OMISSIS)); la chiamata in correita' e' confermata dalle convergenti dichiarazioni di (OMISSIS) e di (OMISSIS) oltre che dalle numerose intercettazioni riportate in sentenza, ritenute di per se' significative del carattere prevaricatore e aggressivo del (OMISSIS), del suo rapporto costante con i membri della cosca, dell'inserimento a pieno titolo nel sodalizio in quanto figlio del boss, delegato a risolvere una pluralita' di questioni. A fronte dei rilievi sulla valutazione delle prove, la Corte di appello (pagine 64 e seguenti) ha evidenziato come la difesa si fosse limitata a enfatizzare marginali incongruenze nel narrato dei collaboratori, spiegandone le ragioni, alla stregua dei dati istruttori, confermando il ruolo attivo e fiduciario per conto del padre - a prescindere da una formale investitura (battesimo) - riscontrato dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali oltre che dal propalato dello (OMISSIS) e degli altri collaboratori. Il motivo di ricorso, a riguardo, reitera questioni riservate alla sede di merito, non riconducibili al travisamento della prova o alla manifesta illogicita'; si insiste nella alternativa e frammentaria lettura del dato probatorio, in particolare delle dichiarazioni dei collaboratori, ritenendo le discrasie del loro narrato non marginali, apprezzamento che si pone sul piano dell'opinabile ma non certamente dell'evidenza logica. E se i principi giurisprudenziali richiamati sono in se' corretti, la loro applicazione nel senso voluto dalla difesa acquisisce rilevanza solo se si accede ad un diverso apprezzamento delle prove (ad es. "le intercettazioni menzionate alle pagine 64 e 65 della sentenza impugnata non restituivano la prova tranquillizzante di una condotta manifestamente offensiva" - pag. 17 del ricorso), in relazione anche al periodo di partecipazione attiva all'associazione (due anni anziche' quattro); soprattutto, quei principi non valgono a sostenere la mancanza di "materialita' ed offensivita' della condotta", posto che cio' che emerge dalla struttura motivazionale delle sentenze di merito e' non gia' la mera affiliazione dell'imputato (pag. 20 del ricorso) ma lo stabile inserimento nella struttura associativa per il perseguimento dei comuni fini criminosi. 6.2. Ad uguale conclusione deve pervenirsi per la condanna per il reato sub 2, il porto di un fucile calibro 12, in concorso con (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Sostiene il ricorrente che le dichiarazioni di (OMISSIS) sul punto erano generiche e che il contenuto delle videoriprese del 24 settembre 2020 non avevano rilevanza ai fini della stabile relazione con l'arma e della disponibilita' di essa; le affermazioni dei giudici di merito si baserebbero pertanto su "mere illazioni o congetture" (pag. 22 del ricorso), senza considerare altresi' la natura privata del luogo ripreso dal sistema di telecamere. Priva di giustificazione sarebbe, infine, la ritenuta sussistenza dell'aggravante ex articolo 416 bis.1 c.p.. Le affermazioni contrastano con la ricostruzione della condotta delittuosa effettuata in sede di merito, con argomentazioni immuni da vizi logici, fondate sulle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) che aveva spiegato l'impiego dell'arma da parte del gruppo per esercitarsi; sulle riprese che lo ritraevano in compagnia del padre e dello stesso (OMISSIS), mentre si allontanavano con il fucile in mano a quest'ultimo; sulla conversazione intercettata nel corso della quale il ricorrente chiedeva al padre di avere l'arma per sparare (pagina 40 della sentenza impugnata). Il fine di agevolare l'associazione mafiosa facente capo a (OMISSIS) e' stato riscontrato in relazione a tutti i reati fine contestati (escluso quelli di cui ai capi 10, 12 e 13); in particolare, per quello in esame, posto che "il porto di armi, in generale, da parte dei consociati, si rendeva necessario per difendersi da una probabile vendetta della famiglia (OMISSIS)" (pag. 203 della sentenza di primo grado). 6.3. Per quanto attiene al trattamento sanzionatorio, valgono le stesse osservazioni relative a (OMISSIS): l'unico motivo devoluto in appello riguarda il diniego delle circostanze attenuanti generiche, non riconosciute per la personalita' negativa dell'imputato, desumibile dalla gravita' dei reati. Le altre censure riguardano questioni non sottoposte al vaglio del secondo giudice e, pertanto, non suscettibili di esame in sede di legittimita'. 7. (OMISSIS), condannato perche' partecipe del clan mafioso (OMISSIS) (capo 1) e per i reati fine di cui ai capi 2, 3, 4, 6, 7 e 8, con i primi cinque motivi di ricorso ha reiterato le eccezioni di merito gia' esaminate nei precedenti gradi di giudizio, insistendo nella erronea valutazione delle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) e nel mancato apprezzamento del ruolo di vittima di (OMISSIS), al quale era costretto accompagnarsi per commettere reati. 7.1. Anche in questo caso, la lettura - in realta' frammentaria e poco plausibile - del materiale probatorio si pone al di fuori del controllo di legittimita' sulla motivazione, ancorata a solide evidenze istruttorie e a congrue valutazioni giustificative del giudizio di colpevolezza. Valgono le seguenti brevi osservazioni: - il ruolo di partecipe, perche' esecutore delle direttive del (OMISSIS) per assicurare il controllo del territorio, ponendo in essere danneggiamenti e altri atti intimidatori volti ad affermare la forza dell'intimidazione nei confronti della locale popolazione, si basa sulle dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS), valutate in termini coerenti, e sulla chiamata in correita' nella commissione dei reati fine, aggravati dalla finalita' mafiosa, nella piena consapevolezza che gli ordini, ancorche' mediati dall'amico (OMISSIS), provenivano dal boss (pagine 435 e seguenti della sentenza di primo grado); - il ruolo dinamico e funzionale, significativo di una compenetrazione nel tessuto associativo, risulta confermato dai riscontri investigativi e dalle numerose intercettazioni telefoniche e ambientali, si' da doversi escludere le invocate esimenti e cause di non punibilita' (pagine 37 e 38 della sentenza di appello), prive di aderenza con la articolata motivazione del primo giudice (pagine 65 e seguenti, con riferimento agli episodi emblematici della forma di collaborazione volontaria con la cosca, senza alcuna costrizione o timore per la sua incolumita'); - la pendenza di altro procedimento penale, genericamente richiamato nel terzo motivo di ricorso, non e' idonea a negare la matrice mafiosa dei fatti, posto che solo le successive indagini della DDA avevano consentito di collegarli alla cosca (OMISSIS), cosi' come sottolineato dalla corte territoriale (pagina 66), in tal modo riscontrando la censura del (OMISSIS); - la sequenza di rilievi fattuali, riferiti a ciascuno dei reati fine, oggetto del quarto motivo di ricorso, si riducono ad una alternativa ricostruzione della condotta, basata su stralci di dichiarazioni dello (OMISSIS) e parti di conversazioni intercettate, nella pretesa di riscontro a qualsiasi diversa prospettazione, senza considerare che per la validita' della decisione non e' necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa; - la consapevole partecipazione del ricorrente ai suddetti reati e' stata ribadita dalla Corte di appello, con riferimento a riscontri istruttori spesso tralasciati dal (OMISSIS) (cosi' per il concorso nel porto di fucile, con riferimento alle immagini che lo ritraggono con l'arma e alle intercettazioni all'interno della sua vettura), che rendono certa, in particolare, l'esecuzione materiale dei danneggiamenti, negata su pretese incongruenze delle dichiarazioni del collaboratore e fraintendimenti nell'interpretazione dei dialoghi captati, confutate in termini adeguati dalla sentenza impugnata (paragrafi da 4, pag. 36, a 8, pag. 52, con riferimento alla puntuale ricostruzione delle condotte delittuose effettuata dal giudice di primo grado alle pagine da 196 a 242); - l'aggravante dell'articolo 416 bis.1 c.p. e' sempre collegata alla finalita' di rafforzamento della consorteria mafiosa e all'agevolazione della sua affermazione sul territorio, con l'impiego di armi, con spedizioni punitive tese a piegare la resistenza delle vittime (quinto motivo). 7.2. Il sesto ed il settimo motivo riguardano il trattamento sanzionatorio. Il diniego delle circostanze attenuanti generiche risulta ampiamente motivato per la mancanza di elementi positivi di valutazione a fronte della gravita' dei numerosi reati in questione. Quanto al trattamento sanzionatorio, la pena base per il capo 1) - dodici anni di reclusione - non risulta illegale per due ordini di ragione. Innanzitutto, l'appartenenza dell'imputato non risulta circoscritta ad un periodo diverso da quello oggetto di contestazione (fino al 2018), sebbene l'attivita' investigativa si riferisca ad un lasso di tempo precedente; ha sostenuto a riguardo la giurisprudenza - opportunamente richiamata dalla corte territoriale (pag. 76), con la quale il ricorrente omette di confrontarsi - che in presenza di una contestazione del delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso in forma "chiusa", che abbracci un lungo arco temporale nel corso del quale sia intervenuta una modifica "in peius" del trattamento sanzionatorio (nella specie, la L. 27 maggio 2015, n. 69), l'applicazione della nuova cornice sanzionatoria non richiede la dimostrazione, da parte dell'accusa, che la condotta si sia protratta anche dopo detta modifica, in quanto, accertata l'esistenza della "offerta di contribuzione permanente" dell'affiliato all'associazione, questa deve ritenersi valida e produttiva di effetti fino alla dimostrazione del recesso spontaneo o provocato "ab externo" (sez. 2, sent. n. 1688 del 26/10/2021, dep. 2022, Giampa', Rv. 282516 03). 8. (OMISSIS), condannato perche' componente dell'associazione di âEuroËœndrangheta facente capo a (OMISSIS) e, quindi, per il capo 1 delle imputazioni, con un unico motivo di ricorso ha censurato la sentenza impugnata per "erronea valutazione probatoria e elusione delle censure difensive", e, quindi, anche in questo caso, riproponendo rilievi di merito, estranei alla sede di legittimita', e ravvisando incongruenze che non costituiscono - neanche nella prospettiva difensiva - vizi di evidente illogicita' e di travisamento delle prove acquisite. Insiste a lungo il ricorrente sulla circostanza che l'omicidio di (OMISSIS), oggetto di altro processo, sia stato definito in questo contesto processuale e valutato come prova decisiva a suo carico; riporta sintesi di varie dichiarazioni testimoniali (del maresciallo (OMISSIS), dei collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS), quest'ultimo ritenuto inattendibile, lamentando il mancato esame di scritti difensivi a riguardo), a sostegno della insussistenza della condotta partecipativa. Le sentenze di merito, al contrario, restituiscono una struttura argomentativa solida che attribuisce credibilita' alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS) - confermata, da ultimo, come indicato dal giudice di appello, dalla sentenza di condanna per l'omicidio (OMISSIS) - individuando sufficienti elementi di riscontro. L'imputato e' indicato come affiliato di lunga data, ritualmente battezzato con la dote "terza", all'indomani dell'omicidio di (OMISSIS), dallo stesso capo clan; si riporta altresi' che il collaboratore (OMISSIS) forni' nel corso della sua testimonianza particolari significativi circa la posizione del (OMISSIS) all'interno della cosca facente capo a (OMISSIS), incaricato da quest'ultimo di "tenere tutto in piedi" mentre era in carcere. Ulteriori riscontri sono stati indicati nel costante collegamento dell'imputato con la malavita locale, sulla base delle condanne riportate e della chiamata in correita' per l'ideazione e l'esecuzione materiale dell'omicidio del (OMISSIS), elemento quest'ultimo che contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa - non costituisce il fulcro della condanna del delitto associativo ma, nel ragionamento della sentenza impugnata, rafforza l'evidenza dell'appartenenza alla criminalita' organizzata, posto che anche le successive intercettazioni (pagina 380 della decisione di primo grado) avevano rivelato una contrapposizione fra clan e gli scontri del (OMISSIS) con "il morto" ( (OMISSIS)), a sostegno del gruppo mafioso di appartenenza. Deve sottolinearsi, infine, che la Corte di appello ha in termini esaurienti esaminato le riserve del (OMISSIS) sulle conclusioni del tribunale, sintetizzando il compendio probatorio a suo carico e ritenendolo solido, non senza evidenziare i numerosi dati che erano stati trascurati nella alternativa prospettazione difensiva (pagine da 67 a 69), si' che il motivo in esame risulta anche generico e reiterativo. 9. (OMISSIS), condannato per i reati di cui ai capi da 1 a 9, ha censurato con un duplice motivo l'entita' della pena, in relazione sia agli aumenti disposti in continuazione per i singoli reati fine, ritenuti sproporzionati rispetto al reato piu' grave, sia per l'applicazione della misura di sicurezza della liberta' vigilata, in assenza del presupposto della pericolosita' sociale. Il primo motivo e' generico perche' non si confronta criticamente con la sentenza impugnata che ha rilevato come in maniera del tutto opportuna il giudice di prime cure ha proceduto innanzitutto a differenziare gli aumenti posti in continuazione, in ragione della diversa gravita' dei reati, e, in secondo luogo, a contenere le porzioni di pena in termini comunque esigui, trattandosi di delitti di particolare allarme sociale aggravati dall'articolo 416 bis. 1 c.p.. Il secondo motivo e' manifestamente infondato, in quanto il giudizio di pericolosita' - sotteso all'applicazione della misura di sicurezza della liberta' vigilata - si giustifica alla luce del percorso di collaborazione intrapreso in tempi recenti, a fronte di un passato criminale fortemente caratterizzato dall'appartenenza alla âEuroËœndrangheta; inoltre, espiata la pena detentiva, l'effettiva persistenza della pericolosita' stessa del condannato sara' vagliata dalla magistratura di sorveglianza, escludendosi automatismi (sez. 1, sent. n. 1027 del 31/10/2018, dep. 2019, Argento, Rv. 274790). 10. Il ricorso di (OMISSIS), che ha definito la sua posizione ai sensi dell'articolo 599 bis c.p.p., consiste di uno motivo, con il quale si censura la sentenza di secondo grado perche' priva di adeguata motivazione in ordine all'assenza dei presupposti che legittimano l'operativita' dell'articolo 129 c.p.p. oltre che agli altri elementi della pronuncia (validita' del concordato, dosimetria della pena). Il ricorso e' inammissibile. In tema di concordato in appello, infatti, e' ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex articolo 599-bis c.p.p. che deduca motivi relativi alla formazione della volonta' della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p. e, altresi', a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalita' della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 13/01/2020, M., Rv. 278170). 11. Nell'interesse di (OMISSIS) - condannato per i reati di cui ai capi 1, con il ruolo di partecipe, e 3 - sono stati articolati sei motivi di ricorso, il primo, il secondo e il terzo incentrati sulla violazione dell'articolo 192 c.p.p. e sul vizio di motivazione in relazione alla valutazione delle prove. 11.1. Il ricorrente ritiene, a riguardo, che: (capo 1) a) la sentenza di appello si sia uniformata in termini acritici alla pronuncia di primo grado; b) le affermazioni del collaboratore (OMISSIS) non erano state riscontrate nel loro nucleo essenziale da quelle degli altri collaboratori ed erano altresi' prive di riscontri individualizzanti, tali non potendosi ritenere le intercettazioni richiamate alle pagine 367 e seguenti della sentenza del tribunale, di contenuto "neutro" (capo 3),c) la conversazione intercettata, riportata a pag. 213, non riscontrava di per se' le propalazioni di (OMISSIS). Richiamati i principi di diritto sintetizzati nel primo paragrafo sui limiti del sindacato di legittimita', i motivi non sono consentiti e comunque risultano privi della specificita' necessaria ex articolo 581 c.p.p., comma 1, e articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c). Va precisato in primo luogo che la sentenza di appello, rispetto alle censure di merito, reiterate in questa sede, ha confermato le argomentazione della pronuncia di primo grado, evidenziando come l'appellante si fosse limitato ad una lettura opinabile e frammentaria del composito quadro istruttorio, incentrato sul narrato dei collaboratori di giustizia e sui riscontri individualizzanti, costituiti, in particolare, dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali; la conferma della condanna non si pone in termini acritici, assumendo semmai connotazione di sintesi rispetto a questioni che erano state gia' sottoposte al vaglio del primo giudice e che, comunque, avevano trovato in quella sede un'esauriente trattazione. (OMISSIS) (pagine da 357 a 365 della sentenza di primo grado) e' stato ritenuto partecipe dell'associazione per delinquere di stampo mafioso denominata "cosca (OMISSIS)" con il ruolo di coadiutore del capo clan nella gestione del locale, provvedendo ad assicurare la comunicazione tra gli associati, a consentire la partecipazione alle riunioni e ad eseguire le direttive dei vertici, curando egli stesso l'esecuzione di quelle piu' importanti, specie nel contrasto dei soggetti delle cosche avverse. La ricostruzione in fatto della condotta delittuosa segue un percorso logico lineare: la principale (OMISSIS) accusatoria e' costituita dalle dichiarazioni di (OMISSIS), del (OMISSIS) e del (OMISSIS), che consentono anche di ricondurre l'omicidio di (OMISSIS) all'azione criminosa concorsuale del (OMISSIS), nell'attuazione del programma criminoso teso all'affermazione del sodalizio sul territorio. I riscontri derivanti dalle intercettazioni telefoniche, trascritte nei suoi contenuti essenziali e apprezzate nella loro valenza esplicativa, hanno evidenziato i rapporti che l'imputato intratteneva con i sodali, e, in particolare, con (OMISSIS), in una compartecipazione e familiarita' nel crimine di lunga data, secondo le risultanze dei rispettivi certificati penali; ulteriori elementi sono indicati nella rituale affiliazione, con la dote della "santa", e nella commissione del danneggiamento ai danni di (OMISSIS), inserito nella lunga sequenza dei reati fine. Tale delitto (capo 3), ascritto in concorso con esponenti di spicco del clan, denunciato dalla vittima del grave danneggiamento, consistito nel taglio di circa 75 piante di ulivo di quarant'anni di eta', all'interno di un terreno di sua proprieta', e' inquadrato nel contesto malavitoso facente capo al clan (OMISSIS) (in tal senso gli appostamenti rilevati dal sistema di gps; la volonta' di ritorsione nei suoi confronti e l'atteggiamento prevaricatore del (OMISSIS), esplicitati nelle conversazioni intercettate; l'obiettivo di costringere il (OMISSIS) a cedere un terreno, riferito dal collaboratore (OMISSIS) e riscontrato dalla successiva consegna del bene). La corte territoriale, riscontrando i motivi di appello, ha posto in relazione le censure con il quadro probatorio di riferimento, sottolineando i dati trascurati nella prospettazione difensiva e la solidita' dell'impianto accusatorio, con riferimento sia alla partecipazione mafiosa (pagine 66 e 67) sia al delitto di danneggiamento (pagine 43 e 44). I motivi di ricorso sono, dunque, aspecifici perche' insistono su alternative letture delle intercettazioni, attribuendo alle stesse significati privi di rilevanza; su incongruenze nel narrato dei collaboratori, pur a fronte di una sostanziale convergenza nell'individuazione della partecipazione e del ruolo del Marrazzo nella compagine associativa; su una confutazione parziale delle prove, posto che, contrariamente a quanto affermato con il secondo motivo, la condanna per il delitto ex articolo 416 bis c.p. non si fonda sulla vicenda omicidiaria ma, piu' in generale, su una messa a disposizione del sodalizio, individuata attraverso una serie di elementi, fra i quali l'eliminazione fisica del rappresentante della famiglia rivale. 11.2. Con il quarto e il quinto motivo il ricorrente reitera le censure in ordine al riconoscimento delle aggravanti di cui all'articolo 416 bis.1 c.p. e articolo 416 bis c.p., comma 4 in relazione, rispettivamente, ai reati sub 3 e sub 1. Si sostiene che "la motivazione...non da' conto del perche' l'azione posta in essere debba considerarsi come finalizzata ad agevolare la cosca", senza alcun effettivo confronto con quanto evidenziato dai giudici di merito circa la finalita' ritorsiva che ha mosso la condotta di (OMISSIS), di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS): il taglio delle 75 piante di ulivo ha all'evidenza comportato un dispiego di energie e di tempo per la sua organizzazione, per la perpetrazione in orario notturno, per l'utilizzo di motoseghe, giustificato dalla plausibile finalita' di agevolare e rafforzare la cosca (OMISSIS), mediante un atto manifestamente intimidatorio nei confronti di una persona, il (OMISSIS), che si era rifiutato di obbedire alla volonta' di (OMISSIS) e aveva manifestato l'intenzione di denunciare gli altri sodali per un precedente furto avvenuto in un suo terreno. Quanto all'aggravante dell'articolo 416 bis c.p., comma 4, i rilievi sono del pari generici e avulsi dal contesto motivazionale, avendo i giudici di merito specificamente ricondotto l'uso delle armi all'associazione, sia come strumento di difesa dagli attacchi della famiglia rivale nell'affermazione sul territorio (il fucile di cui al capo 2 era infatti a disposizione del gruppo malavitoso e utilizzato anche per l'addestramento dei consociati) sia come mezzo di sopraffazione (l'omicidio del capo clan dei (OMISSIS)) - pag. 71 della sentenza impugnata. L'imputato aveva la consapevolezza di far parte di un'associazione armata, conclusione che s'inserisce nell'articolato percorso motivazionale incentrato sulle risultanze delle prove assunte. 11.3. L'ultimo motivo riguarda l'applicazione della recidiva; ritiene il ricorrente che non sia stato adeguatamente motivato il giudizio di maggiore pericolosita'. In realta', il tribunale - come non ha mancato di rilevare la corte territoriale aveva sottolineato che l'analisi della biografia penale di (OMISSIS) dimostrava la sussistenza di una relazione qualificata tra i precedenti penali da cui l'imputato era gravato al tempo di commissione dei delitti in oggetto e questi ultimi; precedenti che, essendo anche di natura specifica rispetto a quelli in esame, attestavano il permanente rifiuto di uniformare la condotta alle regole del vivere civile, nonostante i lunghi periodi di detenzione e la sottoposizione alla sorveglianza speciale, privi di effetto dissuasivo, si' che la reiterazione nel criminale non si presentava occasionale. 12. Nell'interesse di (OMISSIS) - condannato per i capi 1, come partecipe, e 2 - sono stati articolati sette motivi di ricorso: il primo e il secondo motivo relativi all'affermazione di responsabilita' per il reato associativo; il secondo, il terzo, il quarto e il quinto al porto di arma; il sesto ed il settimo al trattamento sanzionatorio. 12.1. Circa la partecipazione al clan (OMISSIS), il ricorrente ritiene, con argomenti simili a quelli del padre (OMISSIS), che: a) la sentenza di appello si sia uniformata in termini acritici alla pronuncia di primo grado; b) le affermazioni del collaboratore (OMISSIS) non erano state riscontrate da altri contributi dichiarativi accusatori, in considerazione altresi' dell'esiguita' dell'arco temporale riscontrato dalle indagini (2014); le intercettazioni richiamate alle pagine 70 e seguenti della sentenza della corte territoriale non avevano valenza indiziante, in mancanza di responsabilita' per i reati fine contestati; i rapporti con (OMISSIS) erano stati caratterizzati da ragioni personali. Richiamati anche in questo caso i principi di diritto sintetizzati nel primo paragrafo sui limiti del sindacato di legittimita', i motivi non sono consentiti e comunque risultano privi della specificita' necessaria ex articolo 581 c.p.p., comma 1, e articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c). Va ribadito pure che la sentenza di appello, rispetto alle censure di merito, reiterate in questa sede, ha confermato il giudizio valutativo della pronuncia di primo grado, indicando gli elementi di prova e traendo conclusioni coerenti sul piano logico ed argomentativo (pagine 70 e seguenti); in particolare ha indicato le ragioni per le quali lo (OMISSIS) avesse reso dichiarazioni attendibili, senza essere mosso da ragioni di risentimento, allorche' aveva indicato il ricorrente come appartenente del sodalizio ("affiliato con noi"), partecipe degli obiettivi omicidiari per l'affermazione della cosca sul territorio. Gli elementi di riscontro risultano altresi' significativi, con plausibile lettura dei dialoghi intercettati, tesi a definire anche il ruolo di emissario del capo clan nella veicolazione dei messaggi agli altri sodali. L'operazione di sintesi effettuata dalla corte territoriale e' funzionale all'analisi dei motivi di appello, senza automatismi valutativi, a fronte peraltro di una disamina quanto mai ampia in primo grado delle questioni sottoposte al vaglio del giudice dell'impugnazione. Il tribunale (pagine 424 e seguenti), infatti, aveva riportato i punti fondamentali della testimonianza del collaboratore (OMISSIS), soffermandosi non soltanto sul coinvolgimento nell'omicidio di (OMISSIS), ma su una serie di altri dati e, in particolare, sulle intercettazioni attestanti la totale disponibilita' nei confronti del capo, nell'irrilevanza, in senso contrario, di quanto dichiarato dai testi presentati dalla difesa. In definitiva, le tesi alternative del ricorrente non inficiano l'impianto motivazionale della doppia conforme sentenza di condanna e la conclusione secondo cui l'appartenenza al sodalizio di (OMISSIS) e' confermata da elementi in tal senso univoci (i rapporti di stabile frequentazione con tutti i componenti della consorteria, il rispetto del vincolo gerarchico e la messa a disposizione nei confronti di (OMISSIS), la condotta agevolativa per l'eliminazione di rivali e l'affermazione della cosca, la commissione del reato fine sub 2 ossia il porto di arma in concorso con altri sodali). Quanto all'aggravante dell'articolo 416 bis c.p., comma 4, valgono le considerazioni effettuate sul punto con riferimento alla posizione di (OMISSIS): trattasi di rilievi generici e avulsi dal contesto motivazionale, avendo i giudici di merito specificamente ricondotto l'uso delle armi all'associazione, sia come strumento di difesa dagli attacchi della famiglia rivale nell'affermazione sul territorio (il fucile di cui al capo 2 era infatti a disposizione del gruppo malavitoso e utilizzato anche per l'addestramento dei consociati,) sia come mezzo di sopraffazione (l'omicidio del capo clan dei (OMISSIS)) - pag. 71 della sentenza impugnata. 12.2. Le intercettazioni riportate alle pagine 198 - 201 della sentenza di primo grado e le immagini estrapolate dalle riprese dell'impianto di videosorveglianza, cosi' come descritte, giustificano la penale responsabilita' concorsuale del ricorrente per il porto del fucile calibro 12, nella consapevolezza della mancanza di autorizzazione per la sua detenzione e per il trasporto in luogo pubblico, dovendosi ritenere del tutto congetturale la prospettata convinzione in senso contrario, smentita peraltro dalla effettiva illegittimita' del porto e dalle finalita' della condotta delittuosa. La Corte di appello ha ribadito la valenza probatoria delle riprese che ritraggono (OMISSIS) in compagnia dei complici che materialmente portavano l'arma, escludendo la tesi di una connivenza non punibile, posto che - come riferito dal collaboratore di giustizia - il fucile serviva per esercitarsi, nel timore di ritorsioni del gruppo avverso. La condivisa disponibilita' dell'arma e' stata posta a base della ritenuta sussistenza dell'aggravante della finalita' dell'agevolazione mafiosa, con argomentazione anche in questo caso immune da rilievi di carattere logico (potenziamento della caratura criminale dell'associazione perche' strumento di difesa e di aggressione, con l'obiettivo di rinsaldare il vincolo di solidarieta' fra gli associati e di favorire la realizzazione degli scopi illeciti - pag. 41 della sentenza impugnata). 12.3. Le censure relative al trattamento sanzionatorio sono oltremodo generiche, in quanto il diniego delle circostanze attenuanti generiche si basa su una pertinente valutazione (personalita' negativa desumibile dalla gravita' dei fatti) e l'aumento per la continuazione e' in se' contenuto, adeguato alla condotta contestata. 12.4. L'inammissibilita' dei motivi originari del ricorso per cassazione non puo' essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari per l'imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione (Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, Di Giacinto, Rv. 277850). 13. Il ricorso di (OMISSIS), condannato per gli episodi di danneggiamento aggravato in concorso di cui ai capi 7 e 8, ripropone questioni esaminate correttamente dalla corte territoriale, con pertinenti riferimenti alla sentenza di primo grado, insistendosi nella tesi del mancato riconoscimento delle cause di non punibilita' e dell'esimente di cui all'articolo 54 c.p., della erronea valutazione delle dichiarazioni dello (OMISSIS), dell'ingiustificato riconoscimento dell'aggravante ex articolo 416 bis.1 c.p., della specificita' del motivo di appello in relazione al capo 8, del diniego non motivato delle circostanze attenuanti generiche. Oltre che reiterativi e generici, i motivi vertono su questioni in fatto, riservate all'accertamento del giudice di merito, che con rigore di analisi hanno evidenziato un quadro probatorio che, pur dimostrando gli stretti rapporti con (OMISSIS) e (OMISSIS), estrinsecati in attivita' delinquenziali, non ha consentito di accertare al di la' di ogni ragionevole dubbio l'appartenenza e la partecipazione alla cosca mafiosa. 13.1. Nell'ambito, tuttavia, della responsabilita' concorsuale sono stati indicati gli elementi di prova circa la diretta partecipazione alla condotta di cui ai capi 7 e 8, in danno, rispettivamente, di (OMISSIS) e (OMISSIS) (pagine da 233 a 248 della sentenza di primo grado). La ricostruzione di tali azioni delittuose, con l'individuazione del ruolo di ciascun concorrente, e' stata effettuata sulla base delle dichiarazioni auto ed etero accusatorie del collaboratore (OMISSIS), che ha circostanziato gli episodi, evidenziando mandante e finalita' delle aggressioni; hanno trovato conferma nelle intercettazioni ambientali e telefoniche, valutate in termini plausibili, e nelle indagini riferite in sede testimoniale dal maresciallo (OMISSIS). Correttamente e' stata ritenuta l'aggravante dell'agevolazione mafiosa, posto che il ricorrente, al pari dei correi, era consapevole che le intimidazioni erano state ordinate dal (OMISSIS) e che miravano allo stato di soggezione della popolazione di (OMISSIS). 13.2. La Corte di appello, confermando la valutazione del tribunale, previo richiamo ai dati istruttori e alle argomentazioni rilevanti, ha esaminato in termini esaurienti i motivi di impugnazione del (OMISSIS) - comuni al (OMISSIS) - alle pagine da 48 a 52, a ragione ravvisando la genericita' delle censure in relazione al capo 8, posto che anche in sede di legittimita' il ricorrente omette di allegare le specifiche censure che, omesse nella valutazione della corte, sarebbero state determinanti ai fini del decidere. Lo stato di sudditanza psicologica del ricorrente o la sussistenza di altre cause che abbiano potuto incidere sulla sua capacita' volitiva sono estranee al materiale probatorio, che rivela, anzi, capacita' di autodeterminazione ed un ruolo attivo nelle vicende per cui ha riportato condanna (pag. 79 della sentenza impugnata). 13.3. I gravi reati in questione sono stati ritenuti causa sufficiente di diniego delle attenuanti, sottolineandosi come i danneggiamenti hanno cagionato un danno patrimoniale di significativa entita' e generato, al contempo, rassegnazione delle vittime al consolidamento del potere mafioso. 14. In conclusione, tutti i ricorsi risultano inammissibili; ne consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di Euro 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE DI APPELLO DI ROMA IV SEZIONE LAVORO La Corte, composta dai signori magistrati: - dott. Alessandro Nunziata - Presidente - dott. Glauco Zaccardi - Consigliere rel - dott. Alessandra Lucarino - Consigliere all'udienza del 18/04/2023 ha pronunciato la presente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1549/2022 R.G. vertente TRA (...) S.P.A. parte rappresentata e difesa dall'Avv. MO.EN. APPELLANTE E (...) parte rappresentata e difesa dall'Avv. Prof. DE.SA. e dall'Avv. PE.DO. APPELLATO avente ad oggetto: appello avverso la sentenza 4561/2022 del Tribunale di Roma, pubblicata il 17.5.2022 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso ex art. 414 c.p.c. del 22.02.2021, (...) adiva il Tribunale del lavoro di Roma chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "1) riconosciuto il diritto al rimborso delle spese legali ex art. 59 del CCNL (...) 2002 - 2005 accertare che l'(...) S.p.a. in persona del legale rappresentante p.t. sia tenuta a corrispondere in favore del ricorrente la somma di Euro 34.180,00, oltre iva e cpa per un totale di Euro 44.034,24 a titolo di rimborso delle spese legali per i motivi di cui al ricorso o la somma minore o maggiore che verrà accertata in corso di causa anche in via equitativa e per l'effetto condannarla al pagamento delle somme dovute; 2) Riconosciuta la grave contrarietà del comportamento tenuto da (...) ai principi di correttezza, buona fede e collaborazione nell'esecuzione del contratto ed il danno extracontrattuale condannare l'(...) S.p.a. in via alternativa e concorrente al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti e subendi da quantificarsi anche in via equitativa nella somma di Euro 60.000,00 o nella somma maggiore o minore che verrà accertata in corso di causa e/o ritenuta equa e di giustizia". A sostegno del ricorso il ricorrente deduceva in sintesi: - di essere dipendente dell'(...) S.p.a., presso il Compartimento della Viabilità per la Calabria, quale Responsabile del Procedimento Mega Lotto n 2 SS 106 Jonica; - di aver ricevuto in data 24.05.2012 la notifica dell'invito a dedurre, da parte della Procura Regionale della Corte dei conti, Sezione per il Lazio, per una pretesa responsabilità erariale connessa all'esercizio delle sue funzioni di RUP; - di aver dato, con nota del 28.05.2012, tempestiva comunicazione ad (...) S.p.a. (prot. in ingresso CDG - 0079703-A del 06.06.2012) del suddetto invito a dedurre, richiedendo, ai sensi dell'art. 59 del CCNL Personale Dipendente dell'(...) 2002-2005, l'attivazione del patrocinio legale per la vicenda, comunicando, contestualmente, l'intenzione di avvalersi di un legale di fiducia, indicato nella persona dell'avv. (...); - che (...) s.p.a., con nota protocollata in data 13.06.2012, con oggetto "Giudizio amministrativo n. (...) della Procura Regionale della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per il Lazio - Invito a dedurre notificato il 25.05.2012. Presa in carico e attivazione del CCNL dipendenti (...)", replicava alla richiesta di attivazione del patrocinio legale: "Con riferimento alla Sua nota del 06.06.2012, con la quale è stata inoltrata richiesta di attivazione del CCNL, si precisa che questa Società si riserva di valutare la sussistenza dei presupposti necessari per l'applicazione dell'istituto disciplinato dall'art. 59 del CCNL di dipendenti. Questi, infatti, prevedono che all'esito del giudizio concluso con provvedimento non più riformabile, si possa rilevare l'assenza di dolo o colpa grave e di conflitto con gli interessi di (...) SpA. Pertanto, solamente sussistendone i presupposti, (...) provvederà al rimborso delle spese legali sostenute dalla (...) applicando i criteri e i principi stabiliti dall'art. 59, che attualmente si uniformano ai medi tariffari. Al riguardo, si fa presente che eventuali importi superiori resteranno a Suo esclusivo carico"; - di aver, quindi, conferito all'Avv. (...) procura a rappresentarlo per l'intero giudizio, convenendo un compenso professionale corrispondente ai valori medi della tariffa professionale forense nel caso in cui si fosse conseguita l'assoluzione definitiva dagli addebiti; - che il giudizio aveva inizio con l'atto di citazione del 25 febbraio 2013 e, nell'ambito del giudizio di primo grado innanzi la Corte dei Conti, si instaurava un giudizio per regolamento di giurisdizione risolto dalla Corte di Cassazione con la conferma della giurisdizione della Corte dei Conti; - che all'esito della riassunzione del giudizio innanzi la Corte dei Conti il ricorrente, con la sentenza n. 256/2015 depositata in data 8.5.2015, veniva assolto da quanto ascrittogli; la sentenza veniva appellata e, all'esito del giudizio di secondo grado, la Corte dei Conti, con la sentenza n. 220/2017 depositata in data 11.5.2017, confermava la pronuncia di assoluzione; - che le richiamate sentenze riconoscevano in favore del (...), a titolo di spese legali, la somma di Euro 2.500,00, oltre accessori, per il primo grado di giudizio, e la somma di Euro 1.500,00, oltre accessori, per il secondo grado; - di avere inviato, all'esito di tali pronunce, ad (...) s.p.a. i preavvisi di parcella redatti dall'avv. (...), per l'attività di assistenza, rappresentanza e difesa giudiziale in tutti i gradi del giudizio contabile; - di aver ricevuto nota del 15.05.2018 con la quale l'(...) s.p.a. rispondeva, rappresentando che i preavvisi di parcella ricevuti dovevano essere rettificati, sul rilievo di incongruenze tra i valori della causa indicati nei prospetti di parcella e il corrispondente scaglione di riferimento utilizzato. Segnatamente rappresentando che, rispetto agli onorari indicati, dovevano piuttosto ritenersi congrui l'onorario di Euro 13.500,00 per il ricorso di primo grado, di Euro 10.260,00 per il ricorso in Cassazione (sul regolamento di giurisdizione) e di Euro 10.400,00 per l'appello (pari quindi ad Euro 30.180,00 + 15% spese generali, complessivamente Euro 34.707,00 + IVA e CPA pari in totale ad Euro 44.034,24). In detta nota, (...) rappresentava altresì che da tali importi dovevano essere detratti gli importi liquidati in sentenza per le spese (e a carico dell'Erario). Da ultimo, (...) s.p.a. comunicava al (...) che, per procedere al rimborso, rimaneva in attesa delle fatture rettificate secondo le indicazioni contenute nella missiva; - di avere trasmesso ad (...) s.p.a. i preavvisi di parcella rettificati dal difensore secondo le indicazioni fornite dalla società; - di avere ricevuto nota del 25.06.2018 con la quale (...) s.p.a. comunicava di dover sospendere la procedura di rimborso degli onorari, sulla base di un parere reso dall'Avvocatura dello Stato, allegato alla comunicazione; - che tale parere veniva reso dall'Avvocatura dello Stato su questione posta dall'(...) e avente ad oggetto il possibile rimborso in favore dei legali dei dipendenti/dirigenti della totalità delle spese processuali, superiori a quelle liquidate in sentenza a carico dell'Erario, in caso di giudizio di responsabilità per danno erariale conclusosi con definitiva assoluzione. Specificatamente l'(...) richiedeva se la Società "sia tenuta a riconoscere le spese legali effettivamente saldate dai soggetti interessati e comunque secondo le tariffe medie di cui al D.M. n. 55 del 2014, malgrado le precisazioni della Corte dei Conti". L'Avvocatura dello Stato, ricostruita la normativa di settore succedutasi in materia e dato atto del contrasto giurisprudenziale ancora in essere tra giudice ordinario (Corte di Cassazione sent. 19195/2013) e giudice amministrativo (Consiglio di Stato sent. 3779/2017), concludeva ritenendo che l'(...) non potesse liquidare in favore del dipendente le maggiori spese legali sostenute per la propria difesa, lumeggiando una responsabilità per "danno erariale", in caso di liquidazione in senso difforme; - di avere contestato ad (...) s.p.a. con mail del 13.07.2018 la decisione di sospendere il pagamento della parcella del difensore alla luce del parere reso dall'Avvocatura dello Stato, sottolineando come nel caso di specie si fossero configurati tutti i presupposti per il rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente sulla base dell'art. 59 del CCNL 2002 - 2005 e che il patrocinio legale dell'avv. (...) doveva ritenersi autorizzato dall'(...) stessa con atto (...) prot. n. (...) del 13.06.2012; - di avere diffidato, quindi, (...) s.p.a. a liquidare immediatamente le somme dovute a titolo di rimborso delle spese legali sostenute nell'importo indicato da (...) con atto prot. (...) - P del 15.05.2018 pari ad Euro 34.180,00 oltre spese generali, cpa e iva. e comunque ad erogare le somme non contestate relativamente al giudizio di Cassazione. Alla luce delle esposte argomentazioni, il (...) affermava che la condotta tenuta da (...) s.p.a. rappresentava una violazione e falsa applicazione dell'art. 18 del D.L. n. 67 del 1997 e dell'art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165 del 2001, dell'art. 3, comma 2-bis, del D.L. 54 marzo 1996, n. 543, convertito con modificazioni, dalla 639/1996 nonché dell'art. 59 del CCNL (...) 2002-2005 e chiedeva l'accoglimento delle richiamate conclusioni. Instauratosi il contraddittorio, (...) s.p.a. si costituiva in giudizio chiedendo, in via principale, il rigetto delle avverse pretese deducendo l'infondatezza del ricorso in fatto e in diritto e, in via subordinata, che l'importo di Euro. 6.566,04, già corrisposto al ricorrente a titolo di rimborso spese legali, venisse compensato, anche ed eventualmente solo parzialmente, con quanto eventualmente riconosciuto dovuto al ricorrente. In via di accertamento riconvenzionale, ogni contraria eccezione e deduzione disattesa, chiedeva di accertare e dichiarare che il rimborso dovuto al (...) era pari ad Euro 5.836,48 in luogo del corrisposto maggior importo di Euro 6.566,04 e, per l'effetto, di condannare il (...) a corrispondere la differenza fra quanto ricevuto e quanto dovuto pari all'importo di Euro 729,56 oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione del diritto all'effettivo saldo. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale accoglieva il ricorso così provvedendo: "1. Accerta e dichiara il diritto del ricorrente al rimborso delle spese legali da parte di (...) SpA; 2. Per l'effetto condanna la resistente a corrispondere al ricorrente la complessiva somma di Euro 37.468,20, oltre rivalutazione ed interessi; 3. Rigetta la domanda di risarcimento del danno; 4. Compensa le spese di lite nella misura della metà, ponendo a carico della società resistente l'altra metà delle spese di costituzione e difesa sopportate dalla parte ricorrente; metà liquidata in Euro 4.000,00, oltre rimborso forfetario spese generali, IVA e CPA.". Il Tribunale, argomentava partendo dal richiamato art. 59 del CCNL (...) rubricato "Patrocinio legale del dipendente", nella parte in cui prevede: "1. In tutti i casi in cui nei confronti di un dipendente si verifichi l'apertura di un procedimento di responsabilità dinanzi al giudice ordinario, amministrativo o contabile, per fatti o atti connessi all'espletamento dei compiti d'istituto, l'interessato dovrà darne immediata comunicazione all'(...). 2. L'(...), su richiesta del dipendente, qualora non sussista evidente conflitto di interessi e non siano ravvisabili elementi di dolo o colpa grave, curerà la difesa del dipendente stesso tramite proprio legale ovvero consentirà che il dipendente scelga un legale di fiducia. In detto secondo caso tale opzione sarà comunicata all'(...) e quest'ultimo si uniformerà, quanto alla richiesta di rimborso, ai criteri ed ai principi fissati per la determinazione dei compensi dei legali dell'(...) stesso". Osservava, infatti, il Tribunale come il ricorrente avesse puntualmente e tempestivamente assolto agli oneri di comunicazione previsti dalla norma avendo inoltrato ad (...), a seguito di notifica dell'invito a dedurre del 25.05.2012, la nota del 28.05.2012 protocollata dalla ricevente in data 06.06.2012 con la quale l'azienda veniva resa edotta sia dell'apertura del procedimento che della scelta di avvalersi di un legale di fiducia cui il ricorrente aveva conferito " procura a rappresentarlo per l'intero giudizio". Il primo giudice, considerato che l'art. 59 CCNL non prevede l'adozione di un provvedimento autorizzatorio espresso da parte dell'(...), riteneva che il consenso di cui alla disposizione contrattuale di settore dovesse rinvenirsi nella nota del 13.06.2012, laddove, a fronte della comunicazione del (...) di volersi avvalere del legale di fiducia, (...) si era limitata a esprimere una riserva di valutazione, "all'esito del giudizio concluso con provvedimento non più riformabile", circa "l'assenza di dolo o colpa grave e di conflitto con gli interessi di (...) SpA". Art. 59 CCNL che, ad avviso del giudicante, "impone alla società di operare una delibazione ex ante in ordine all'esistenza di situazioni (un "evidente conflitto di interessi" o "elementi di dolo o colpa grave"), che sconsiglino l'assunzione da parte sua dell'onere di difesa del proprio dipendente ? L'assunzione dell'onere della difesa del dipendente, in altre parole, prescinde quindi dalle emergenze del processo e dall'esito dello stesso, essendo legata ad una valutazione operata ex ante dalla società. Il non aver da subito opposto ragioni ostative alla richiesta del (...) di avvalersi di un proprio difensore di fiducia equivale, quindi, all'aver prestato il consenso a detta scelta difensiva". Tuttavia, nel caso di specie, la valutazione negativa idonea a giustificare il diniego del consenso all'assunzione degli oneri di difesa del proprio dipendente, non veniva operata dalla società neanche con giudizio ex post, in quanto, all'esito dell'assoluzione, (...) s.p.a. negava il rimborso delle spese legali sul presupposto della negativa valutazione di congruità operata dall'Avvocatura dello Stato e non per un "evidente conflitto di interessi" o "elementi di dolo o colpa grave" richiamati dall'art. 59 CCNL. Ad avviso del Tribunale, infatti, poiché (...) s.p.a. non è qualificabile come amministrazione dello Stato o comunque come amministrazione pubblica (anche perché non ricompresa nell'elencazione tassativa di cui art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165), non le si applica il combinato disposto di cui all'articolo 3, comma 2 bis, del D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla L. 20 dicembre 1996, n. 639, e dell'articolo 18, comma 1, del D.L. 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 maggio 1997, n. 135 in materia di liquidazione delle spese nel giudizio contabile in favore dei dipendenti delle amministrazioni statali. Pertanto, il regime dell'accollo delle spese legali dei dipendenti della resistente si rinviene esclusivamente nel richiamato art. 59 CCNL (...) vigente al momento del consenso manifestato dalla società al proprio dipendente ad avvalersi del patrocinio di difensore di fiducia. Quanto al parere reso dall'Avvocatura, nel caso di specie non obbligatorio e non vincolante e soprattutto non conforme al disposto della predetta disposizione contrattuale, ad avviso del giudicante, non poteva essere assunto come riferimento per la limitazione delle spese di lite rimborsabili. Sulla base di tali ragioni il Tribunale affermava il diritto del ricorrente a vedersi rimborsare da (...) s.p.a. gli onorari professionali per l'importo complessivo ritenuto congruo dalla medesima società con la nota del 15.05.2018, detratto l'importo già liquidato da (...) a titolo di spese di lite, pari a complessivi Euro 6.566,04. Riteneva assorbita e superata ogni considerazione in ordine alla fondatezza della domanda proposta in via riconvenzionale dalla società, sul presupposto dell'erroneità, per eccesso, dell'importo già erogato. La domanda di risarcimento del danno extra contrattuale formulata dal ricorrente veniva rigettata non essendo stati rilevati specifici profili di danno, tali da consentire al giudicante di apprezzare l'eventuale pregiudizio subito dalla parte. Con atto di ricorso, depositato in Cancelleria in data 15.06.2022, (...) s.p.a. ha proposto tempestivo appello avverso tale sentenza censurandola sotto i seguenti profili: 1) Sulla natura dell'(...) e sul parere dell'avvocatura. L'appellante censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l'(...) s.p.a. non possa essere inquadrata come Amministrazione pubblica con conseguente applicabilità della relativa normativa sui rimborsi delle spese legali per i dipendenti pubblici, di cui all'art. 3 comma 2 bis del D.L. n. 546 del 1996 conv. L. n. 639 del 1996 ed all'art. 18 comma 1 del D.L. n. 67 del 1997. 2) Sul processo innanzi la Corte dei Conti. L'appellante, nell'insistere sulla natura pubblicistica dell'(...), quantomeno dal punto di vista finanziario, eccepisce l'erroneità della sentenza nella parte in cui non ha limitato il rimborso delle spese legali in favore del dipendente alle somme ritenute congrue nel parere reso dall'Avvocatura dello Stato. Infatti, trattandosi di società assoggettata al controllo della Corte dei Conti ai sensi dell'art. 103 della Costituzione, andava inquadrata nell'ambito delle Amministrazioni pubbliche per i cui dipendenti è previsto il rimborso delle spese legali nei limiti di quanto indicato dall'Avvocatura. 3) Sulla disapplicazione del CCNL. Il Tribunale, quindi, ad avviso dell'appellante, riconosciuta la natura pubblicistica di (...) s.p.a. avrebbe dovuto applicare quanto previsto dall'art. 18 del D.L. n. 67 del 1997 per i dipendenti delle amministrazioni statali e disapplicare l'art. 59 del CCNL. Nella fattispecie l'Avvocatura, in esito alla richiesta di parere, aveva infatti riconosciuto la congruità per il rimborso delle spese legali nella misura indicata nelle statuizioni giudiziali, pertanto, nulla di più poteva essere rimborsato al ricorrente; questo anche in considerazione del fatto che le sentenze in relazione alle quali veniva disposto il rimborso delle spese neppure erano state appellate in punto di liquidazione dal M.. 4) Sull'assunta congruità delle parcelle. Ultra petizione. Il gravame censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la nota del 15.05.2018 possa costituire per (...) la fonte di obbligazione del rimborso delle spese legali in favore del dipendente sulla base dell'art. 59 del CCNL. Alla comunicazione di assenso alla nomina del legale di fiducia con indicazione dei limiti del rimborso delle spese legali, infatti, seguiva la nota del 15.05.2018 con i parametri di congruità da applicare in sede di rettifica dei preavvisi di parcella in ragione della quale il Tribunale ha affermato "deve ritenersi che (...) fosse tenuta a rimborsare al ricorrente detto complessivo importo". La sentenza viene censurata in quanto vi si ravvisa un tema di indagine ulteriore rispetto a quanto specificamente azionato dal ricorrente, il quale si era limitato a chiedere il riconoscimento della natura contrattuale dell'obbligazione ex art. 59 CCNL A.. Ha concluso chiedendo di accogliere l'appello "per tutte o per alcune delle ragioni ivi esposte (compreso l'eccepito vizio di ultra-petizione), e per l'effetto, in riforma della sentenza richiamata ed individuata in epigrafe, rigettare le domande proposte dall'originario ricorrente nel primo grado di giudizio, odierno appellato, in quanto infondate in fatto ed in diritto e, soprattutto, non provate; accertare, di conseguenza, che l'importo dovuto a titolo di rimborso per le spese legali all'appellato doveva essere quantificato in Euro 5.836,48 in luogo del corrisposto maggior importo di Euro6.566,04 e, per l'effetto, condannare l'appellato alla restituzione della differenza fra quanto dovuto e quanto ricevuto pari all'importo di Euro 729,56 oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione del diritto all'effettivo saldo; condannare parte appellata alla refusione delle spese di lite del doppio grado di giudizio". Instauratosi ritualmente il contraddittorio, l'appellato si costituiva tempestivamente in giudizio, con memoria difensiva depositata in cancelleria il 06.04.2023, contestando la fondatezza delle avverse censure e, in particolare, insistendo per l'inapplicabilità ad (...) s.p.a. dell'art. 18 del D.L. n. 67 del 1997 applicabile ai soli dipendenti delle amministrazioni statali tra le quali non rientra A., società per azioni, seppure a partecipazione pubblica, il cui rapporto di lavoro del personale dipendente è disciplinato dalle norme di diritto privato e dalla contrattazione collettiva. Irrilevante ai fini della invocata qualificazione di (...) come amministrazione pubblica, è la circostanza che i dipendenti possono essere chiamati a rispondere a titolo di responsabilità erariale davanti alla Corte dei Conti, in quanto per giurisprudenza consolidata, la giurisdizione della Corte dei Conti è opponibile anche nei confronti di soggetti privati che operano secondo norme di natura pubblicistica. Quanto al terzo motivo di gravame, si contesta la sussistenza di motivi idonei a fondare la richiesta di disapplicazione della disposizione del contratto collettivo di lavoro vigente (l'art. 59 CCNL (...)) la cui vincolatività emerge incontestata anche dagli scambi di corrispondenza intercorsi tra (...) ed (...) in relazione all'incarico professionale conferito al difensore di fiducia in considerazione dei presupposti e requisiti individuati dalla disposizione contrattuale. Infine, anche in relazione al quarto motivo di gravame, parte appellata ne eccepisce l'infondatezza in quanto il giudice di prime cure correttamente rinveniva la fonte dell'obbligazione del rimborso delle spese legali in favore del dipendente sulla base dell'art. 59 del CCNL, nella nota del 15.05.2018 con cui (...) chiedeva la rettifica dei preavvisi di parcella secondo i parametri indicati e poi puntualmente applicati dal legale. Concludeva dunque in conformità chiedendo il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata, con il favore delle spese di lite. All'udienza odierna la causa è stata decisa mediante lettura in udienza del dispositivo in epigrafe. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello è infondato. Quanto al primo motivo deve condividersi il convincimento del Tribunale secondo cui (...) s.p.a. non è qualificabile come amministrazione dello Stato o comunque come pubblica amministrazione. Non rientrano nella disciplina di cui all'art. 1, comma 2, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 le società partecipate come (...) s.p.a., la quale, pur essendo soggetta a varie forme di controllo nonché ad indirizzi pubblici, resta pur sempre una società per azioni, come tale soggetta alle regole privatistiche, ove dalla legge non diversamente disposto. Le evidenziate connotazioni pubblicistiche che caratterizzano una società per azioni a partecipazione pubblica, infatti, non incidono sulla natura privatistica dell'ente che, in assenza di deroghe, permane assoggettato alla normativa di diritto privato. Né il trasferimento della totalità del pacchetto azionario di (...) s.p.a. dal Ministero dell'Economia e delle Finanze a F.D.S.I. s.p.a. (con D.L. 24 aprile 2017, n. 50, convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 2017, n. 96, articolo 49) ha mutato la natura sostanziale di detta società che svolge un'attività pubblicistica in forma privatistica. In ragione di ciò correttamente il primo giudice ha ritenuto che il regime dell'accollo delle spese legali dei dipendenti dell'appellante non sia da rinvenire nella normativa di legge dalla medesima richiamata (e ancor prima dal parere dell'Avvocatura dello Stato) di cui all'art. 18 del D.L. n. 67 del 1997, ma nella disposizione della contrattazione collettiva di settore disciplinante la fattispecie (art. 59 CCNL A.) e, pertanto, "Il parere espresso l'Avvocatura, in quanto non obbligatorio e non vincolante e soprattutto non conforme al disposto della predetta disposizione contrattuale, non può quindi essere assunto come riferimento per la limitazione delle spese di lite rimborsabili dalla resistente, posto che l'unico riferimento contenuto nel cit. art. 59 ai fini di detta limitazione è quello "ai criteri ed ai principi fissati per la determinazione dei compensi dei legali dell'(...) stesso" e che, per ammissione di (...) (si veda sempre la nota di risposta alla richiesta di attivazione del patrocinio legale), detti principi e criteri, al momento della richiesta, "si uniformavano ai medi tariffari". Anche il secondo motivo di gravame secondo cui la natura di pubblica amministrazione di (...) s.p.a. sarebbe desumibile altresì dall'assoggettamento al controllo contabile della Corte dei Conti, non può trovare accoglimento. Invero, come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, l'elemento necessario e sufficiente per l'attribuzione della materia al giudice della Corte dei conti è il verificarsi di un pregiudizio ingiusto in danno della finanza pubblica, non rilevando in contrario la natura privatistica dell'ente affidatario e/o dello strumento contrattuale con il quale si è costituito ed attuato il rapporto in questione (Sez. Un. 10973/2005). L'amministrazione svolge, infatti, attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, persegue le proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato. In tal senso anche il concessionario privato di un pubblico servizio o di un'opera pubblica, quando la concessione investa l'esercizio di funzioni obiettivamente pubbliche, onde egli agisce per le finalità proprie dell'amministrazione, è assoggettabile alla giurisdizione della Corte dei conti ed all'azione erariale per i danni eventualmente cagionati all'amministrazione, conseguenti al mancato rispetto dei vincoli contrattuali (Corte dei Conti, sez. giur. Lazio, sent. n. 426/2018). La Suprema Corte ha rilevato come il crescente affidamento a soggetti privati della realizzazione di finalità una volta ritenute di pertinenza esclusiva degli organi pubblici ha finito con l'influenzare l'approccio interpretativo delle medesime Sezioni Unite che, per evitare il rischio di un sostanziale svuotamento della giurisdizione della Corte contabile in punto di responsabilità, hanno privilegiato un approccio più "sostanzialistico", sostituendo ad un criterio eminentemente soggettivo, che identifica l'elemento fondante della giurisdizione della Corte dei conti nella condizione giuridica pubblica dell'agente, uno oggettivo, facente leva sulla natura pubblica delle funzioni espletate e delle risorse finanziarie a tal fine adoperate. Pertanto, "nell'attuale assetto normativo, il dato essenziale che radica la giurisdizione della corte contabile è rappresentato dall'evento dannoso verificatosi a carico di una pubblica amministrazione e non più dal quadro di riferimento - pubblico o privato - nel quale si colloca la condotta produttiva del danno". (Cass. Sez. Un. n. 2584/2018). Pertanto, l'assoggettamento di (...) s.p.a. al controllo della Corte dei conti non consente di inferirne la natura di amministrazione statale/pubblica amministrazione, con conseguente applicazione della normativa dettata specificatamente per il rimborso delle spese legali ai dipendenti di tali enti (con particolare riguardo all'ambito soggettivo di applicabilità dell'art. 18, comma 1, del D.L. n. 67 del 1997, conv. nella L. n. 135 del 1997). Sotto ulteriore e diverso profilo, in tema di spettanza esclusiva in capo al giudice contabile del potere di liquidazione delle spese defensionali in favore del pubblico dipendente prosciolto nel merito e della successiva richiesta del prosciolto all'amministrazione di appartenenza di liquidazione integrativa, il Collegio condivide il recente superamento (con sent. Cass. n. 18046/2022) dell'orientamento precedentemente espresso dalla Suprema Corte (Cass. sent. n. 19195/2013) richiamato dall'Avvocatura dello Stato a sostegno del parere negativo reso su richiesta dell'appellante (parere allegato da (...) s.p.a. alla nota del 25.06.2018). Rileva, infatti, da ultimo la Cassazione come "contrariamente a quanto sostenuto da Cass. 19195/2013, la domanda di rimborso non è riservata alla giurisdizione contabile e non si esaurisce con la liquidazione delle spese adottata dalla Corte dei conti, avendo la parte diritto all'intero esborso sostenuto, nei limiti di cui si dirà in prosieguo, con azione esperibile - per l'eccedenza - dinanzi al giudice ordinario (cfr. Consiglio di Stato 3779/2017)". Sul punto specifico la richiamata sentenza ha, infatti, evidenziato una diversità sostanziale tra il dettato normativo dell'art. 18, D.L. n. 67 del 1997 laddove prevede che le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato e l'art. 3 comma 2 bis, D.L. n. 543 del 1996 laddove prevede che, in caso di definitivo proscioglimento "le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall'Amministrazione di appartenenza". Pertanto, prosegue la motivazione, "a differenza delle disposizioni dettate per i giudizi amministrativi, penali e civili, una analoga delimitazione soggettiva è assente nell'art. 3, comma 2 bis, D.L. n. 543 del 1996: la disposizione, con formula ampia, riconosce il diritto al rimborso a favore di tutti coloro che siano assoggettati al giudizio contabile dinanzi alla Corte dei conti, conclusosi con il proscioglimento" e questo con la finalità di sollevare i funzionari che abbiano agito in nome, per conto e nell'interesse dell'amministrazione dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie. Il primo ed il secondo motivo di gravame non possono, pertanto, trovare accoglimento non essendo applicabile ad (...) s.p.a. il regime normativo dell'accollo delle spese legali dettato per i dipendenti delle amministrazioni statali, trattandosi di società per azioni le cui connotazioni pubblicistiche non la sottraggono alla disciplina privatistica salvo espressa deroga normativa. Ne consegue l'infondatezza anche del terzo motivo di appello sulla disapplicazione del CCNL A., in quanto, per le ragioni già esaminate, il primo giudice ha correttamente affermato la riconducibilità della fattispecie nell'alveo della disciplina privatistica, individuando la fonte dell'obbligazione proprio nell'art. 59 CCNL i cui criteri di applicazione e principi di liquidazione sono stati puntualmente rispettati dal (...) e dal difensore nominato, come si evince pacificamente dallo scambio di comunicazioni avvenuto tra le parti fino al parere di congruità reso da (...) s.p.a. con la nota del 15.05.2018 e, quindi, prima della nota del 25.06.2018 con cui l'appellante comunicava di dover sospendere la procedura di rimborso degli onorari sulla base del parere reso dall'Avvocatura dello Stato. Parimenti infondato è il quarto motivo di appello. Il primo giudice, infatti, nel valorizzare la comunicazione del 15.05.2018 con cui (...) s.p.a. assentiva alla nomina di legale di fiducia con indicazione specifica dei limiti di rimborso delle spese legali, di fatto esprimendo un parere di congruità favorevole in applicazione dell'art. 59 CCNL, non ha inferito nel potere dispositivo delle parti né sostituito i fatti costitutivi della pretesa, rimanendo nei limiti delle pretese fatte valere dal ricorrente, non si rinviene nella pronuncia alcun vizio di ultrapetizione. Orbene, alla luce delle suesposte considerazioni, l'appello non può che dirsi infondato, con conseguente integrale conferma della sentenza di primo grado. Le spese del presente grado, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Deve darsi atto, infine, della sussistenza nei confronti dell'appellante delle condizioni oggettive per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. Rigetta l'appello; Condanna l'appellante al pagamento in favore dell'appellato delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 5.000,00 oltre Cpa e Iva, con distrazione in favore dei procuratori dell'appellato, dichiaratisi antistatari. Dà atto che sussistono per l'appellante le condizioni oggettive di cui all'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato. Così deciso in Roma il 18 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Presidente Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere Dott. IANNELLO Emilio - Consigliere Dott. MOSCARINI Anna - Consigliere Dott. GORGONI Marilena - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso n. 25167/2020 proposto da: (OMISSIS), nella qualita' di procuratore di (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende; - ricorrente - contro MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in Roma, Via Dei Portoghesi 12 presso l'Avvocatura Generale dello Stato da cui e' difeso per legge; - controricorrente - avverso la sentenza n. 300/2020 della CORTE D'APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata in data 09/04/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/12/2022 da GORGONI MARILENA; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero. FATTI DI CAUSA (OMISSIS) ricorre per la cassazione della sentenza n. 300-2020 della Corte d'Appello di Reggio Calabria, pubblicata in data 9 aprile 2020, articolando un solo motivo. Resiste con controricorso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Il ricorrente, nella qualita' di curatore speciale di (OMISSIS), espone di aver convenuto presso il Tribunale di Reggio Calabria, sezione distaccata di Melito Porto Salvo, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, perche', accertatane la responsabilita', lo condannasse al risarcimento dei danni subiti dal fondo di proprieta' di (OMISSIS). A tal fine rappresentava che (OMISSIS) aveva ricevuto per testamento un appezzamento di terreno situato nei Comune di (OMISSIS) e che, a causa della realizzazione del porto industriale di (OMISSIS) ad opera della ex Cassa del Mezzogiorno, cui era subentrata l'Agenzia per la promozione e lo sviluppo del Mezzogiorno e, a seguito della sua soppressione, il Ministero convenuto, non preceduta da sufficienti studi volti ad accertare le condizioni climatiche e le dinamiche meteomarine, detto fondo aveva subito un massiccio fenomeno erosivo, iniziato nel 1984 e protrattosi con danni via via crescenti ed irreversibili che ne avevano determinato l'inghiottimento. Il Ministero, costituitosi in giudizio, eccepiva l'inammissibilita' della domanda per incompetenza territoriale del Tribunale adito, la prescrizione del credito risarcitorio, il proprio difetto di legittimazione passiva, stante che l'opera mirava a realizzare interessi pubblici locali, e, nel merito, deduceva l'infondatezza delle pretese attoree. A seguito dell'accoglimento dell'eccezione di incompetenza territoriale, il giudizio proseguiva dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria, il quale, con sentenza n. 1356/10, accoglieva, ritenendola fondata, la eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero. Pur ritenendo l'illecito permanente, per cui il dies a quo del diritto risarcitorio non poteva essere individuato nel 1984, anno in cui avrebbe cominciato a manifestarsi il danno, il giudice di primo grado osservava che l'avvenuto trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni aveva determinato la cessazione della condotta del soggetto estinto e l'inizio della condotta di quello ad esso succeduto, con la conseguenza che era cessato un periodo prescrizionale e ne era iniziato un altro; pertanto, il diritto al risarcimento del danno fatto valere nei confronti del Ministero era ritenuto prescritto al momento della proposizione dell'azione, essendo la responsabilita' del Ministero cessata al momento del trasferimento delle competenze alla Regione Calabria, avvenuto con il Decreto Legislativo n. 112 del 1998. (OMISSIS) e il Ministero impugnavano la predetta sentenza dinanzi alla Corte d'Appello di Reggio Calabria, il primo, in via principale, il secondo, in via incidentale. La Corte d'Appello, con la decisione oggetto dell'odierno ricorso, accoglieva l'appello incidentale e, quindi, riteneva il Ministero carente di legittimazione passiva, in quanto, con le disposizioni contenute nel Decreto Legislativo n. 112 del 1998, lo Stato aveva trasferito alle Regioni ogni competenza sui porti di interesse regionale o interregionale, riservando a se' solo quella sui porti di interesse nazionale ed internazionale, e accoglieva, "non potendosi applicare alla fattispecie la disposizione di cui all'articolo 111 c.p.c. - che prevede la successione nel processo qualora il trasferimento del rapporto controverso da un ente all'altro avvenga in corso di causa mentre, nella fattispecie, il trasferimento delle funzioni era avvenuto prima dell'instaurazione del giudizio (in termini Cass., sez. Un., n. 21690/2019)- l'eccezione di carenza di legittimazione passiva proposta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti... in quanto quest'ultimo non era piu' titolare di alcun diritto sui porti non di interesse nazionale, come quello di (OMISSIS), al momento della notifica dell'atto di citazione dell'atto introduttivo del giudizio, avvenuta il l'1.3.2004". Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore, Dott. Mauro Vitiello, si e' espresso, nelle sue conclusioni scritte, per l'inammissibilita' del ricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 1) Con l'unico motivo formulato il ricorrente deduce "Violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 2043 c.c., e del Decreto Legislativo n. 112 del 1998 - Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio". Oggetto di censura e' la statuizione con cui la Corte territoriale ha accolto, diversamente dal Tribunale, l'eccezione di carenza di legitimatio ad causam sollevata dal Ministero, giustificata facendo leva sul quadro normativo, costituito dal Decreto Legislativo n. 112 del 1998, e dal D.P.C.M. 12 ottobre 2000: il primo (relativo al conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle Regioni e agli Enti locali, in attuazione della L. n. 59 del 1997, volto alla riforma della Pubblica Amministrazione e alla semplificazione amministrativa), perche' all'articolo 105, lettera e), aveva riservato alle Regioni le funzioni di programmazione, pianificazione, progettazione ed esecuzione degli interventi di costruzione, bonifica e manutenzione dei porti di rilievo regionale e interregionale e delle opere edilizie a servizio dell'attivita' portuale, e all'articolo 7, aveva rinviato ai provvedimenti di cui alla L. n. 59 del 1997, articolo 7, per definire tanto la decorrenza dell'esercizio da parte delle Regioni e degli Enti locali delle funzioni loro conferite quanto le modalita' di trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie; il secondo, perche', all'articolo 9, aveva specificato che il trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie di cui al Decreto Legislativo n. 112 del 1998, articolo 5, lettera e), sarebbe stato effettuato dopo la nuova classificazione dei porti. La conclusione della Corte territoriale e' stata che, "non potendosi applicare alla fattispecie la disposizione di cui all'articolo 111 c.p.c. - che prevede la successione nel processo qualora il trasferimento del rapporto controverso da un ente all'altro avvenga in corso di causa mentre, nella fattispecie, il trasferimento delle funzioni era avvenuto prima dell'instaurazione del giudizio - il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti non era piu' titolare di alcun diritto sui porti non di interesse nazionale, come quello di (OMISSIS), al momento della notifica della citazione dell'atto introduttivo del giudizio". Allo scopo di confutare tale statuizione il ricorrente ipotizza che, postulando che la legittimazione passiva coincida con la titolarita' del rapporto processuale, nel caso di trasferimento di competenze amministrative, la titolarita' del rapporto processuale debba individuarsi sulla base degli effetti prodotti dal trasferimento: se il trasferimento produce un effetto successorio, nel senso che sono trasferiti i diritti e gli obblighi facenti capo alla struttura amministrativa cedente, allora quest'ultima acquistera' la legittimazione ad causam, se il trasferimento non implica detta successione, la titolarita' dei rapporti conclusi prima del passaggio delle competenze non sara' attribuito al soggetto succeduto. La tesi del ricorrente fa leva, a sua volta, sul Decreto Legislativo n. 112 del 1998, articolo 105, lettera e), mettendo in evidenza il fatto che esso non contiene alcuna prescrizione in ordine alla successione delle Regioni nei diritti e negli obblighi sorti precedentemente al trasferimento. La conclusione che parte ricorrente ne trae e' che il quadro normativo richiamato dalla Corte d'Appello non supporti affatto la sostituzione della legittimazione ad agire dello Stato da parte di quella delle Regioni. Ne' - aggiunge - potrebbe fondatamente sostenersi che, dato il mancato esaurimento del rapporto all'atto del trasferimento, la Regione Calabria sia subentrata allo Stato. In forza di tali premesse, (OMISSIS) ritiene che i giudici di merito abbiano errato nel non rilevare che il sopravvenuto trasferimento di competenze, con la sostituzione del soggetto responsabile della condotta lesiva, aveva comportato l'esaurimento del comportamento contra ius riferibile al soggetto sostituito e l'avvio di un nuovo comportamento suscettibile di porsi quale causa autonoma di un nuovo illecito (permanente). Di qui l'affermazione della persistente legittimazione passiva del Ministero, in considerazione della imputabilita' esclusiva allo stesso della condotta perpetrata prima del trasferimento delle funzioni, a prescindere dalla individuazione del momento in cui detto trasferimento era avvenuto, rilevante al solo fine della verifica della avvenuta prescrizione del diritto azionato, ma ininfluente al fine di escludere la legittimazione passiva del Ministero sostituito. La fonte dell'errore attribuito alla Corte d'Appello risiederebbe nell'omesso esame del fatto che quand'anche le competenze in materia di gestione dei porti fossero state trasferite alla Regione Calabria, lo Stato, attraverso il Ministero competente, avrebbe dovuto considerarsi esposto all'obbligo risarcitorio derivante dalle proprie condotte illecite anteriori al trasferimento. A supporto del motivo il ricorrente pone la decisione delle Sezioni Unite n. 493 del 22/07/1999, relativa ad una fattispecie che ritiene sovrapponibile a quella per cui e' causa, la quale, decidendo della captazione di acque pubbliche senza titolo, inizialmente realizzata dalla Cassa del Mezzogiorno e successivamente dalla Regione Abruzzo, subentrata alla prima, ha affermato che, agli effetti del risarcimento del danno da illecito permanente, la permanenza debba individuarsi non gia' con riferimento al danno, bensi' avendo riguardo per il rapporto tra il comportamento illecito dell'agente e il danno. Il ricorrente pretende di trarre la conclusione che la condotta lesiva riferibile al Ministero sia cessata per effetto del trasferimento delle competenze, di tal che' la relativa responsabilita', facendo riferimento a fatti verificatisi anteriormente al trasferimento, sia rimasta in capo al Ministero, "a prescindere dalla individuazione del momento in cui detto trasferimento sia avvenuto, che diviene rilevante al solo fine - a questo punto - non del riconoscimento della persistente legittimazione del Ministero, bensi' soltanto della verifica della avvenuta prescrizione del diritto azionato nei suoi confronti". A tale ultimo scopo il ricorrente rileva che non solo vi era la legittimazione passiva del Ministero, ma che il credito risarcitorio verso lo stesso non si era affatto estinto per prescrizione, perche' l'exordium praescriptionis non poteva che coincidere con la cessazione della permanenza della condotta illecita del Ministero, conseguente al trasferimento delle competenze in materia portuale dallo Stato alle Regioni, avvenuto non prima del D.P.C.M. 31 dicembre 2000. 2) Il motivo merita accoglimento. In primo luogo, va richiamato il principio secondo il quale "la successione tra enti pubblici non e' regolata in via generale dall'ordinamento e percio' essa viene, di regola, disciplinata dalle singole leggi che la dispongono. Puo' ipotizzarsi l'applicabilita' dei principi civilistici solo in assenza di contrarie disposizioni relative alla singola vicenda successoria" (cosi' Cass. 5/04/2001, n. 5072, la quale, proprio facendo leva su detto principio, ha negato l'applicazione della disciplina civilistica in una fattispecie nella quale trovava applicazione il Decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, disciplinante la successione tra enti esponenziali di ordinamenti giuridici, e quindi tra soggetti ben diversi da quelli di diritto privato). Nel caso oggetto dell'odierno scrutinio, la decisione della Corte territoriale non ha affatto verificato se il legislatore avesse disposto la successione "in universum ius" a favore della Regione Calabria, applicando i criteri che ormai costituiscono ius receptum, i quali fanno leva sulla c.d. "sopravvivenza dello scopo": la successione si attua in "universum ius", e tutti i rapporti giuridici che facevano capo all'ente soppresso passano al subentrante, se la legge o l'atto amministrativo che l'hanno disposta abbiano considerato il permanere delle finalita' dell'ente ed il loro trasferimento ad altro soggetto, unitamente al passaggio, sia pure parziale, delle strutture e del complesso delle posizioni giuridiche facenti capo all'ente soppresso, mentre avviene a titolo particolare se la cessazione dell'ente sia stata disposta "previa liquidazione" (Cass. 27/04/2016, n. 8377); in quest'ultimo caso, "difettando la contemplazione del permanere degli scopi dell'ente soppresso, non avrebbe senso una successione a titolo universale nelle strutture organizzatorie che fosse attuata ai soli fini del loro dissolvimento, e deve ritenersi che la successione avvenga a titolo particolare, limitata ai soli beni che residuino alla procedura di liquidazione, con la conseguenza che l'ente liquidatore non solo non si sostituisce nella titolarita' della sfera giuridica originaria, ma non assume, neppure, alcuna diretta responsabilita' patrimoniale per le obbligazioni contratte dall'ente estinto e che gia' risultavano all'atto della liquidazione" (Cass. 13/10/1983, n. 5971; Cass. 18/01/2002, n. 535). La decisione impugnata, infatti, a differenza di quella di prime cure, che aveva rigettato la richiesta risarcitoria per prescrizione del credito fatto valere, ha escluso la legittimazione passiva del Ministero, per il solo fatto che al momento della notificazione della citazione in appello le competenze in materia portuale fossero state trasferite alle Regione, ed in particolare, nel caso di specie alla Regione Calabria, ma non ha preso in considerazione l'eventualita' che detto trasferimento comportasse anche il trasferimento della legittimazione (attiva o) passiva per fatti verificatisi anteriormente al trasferimento di dette funzioni. In applicazione della giurisprudenza evocata da parte ricorrente, infatti, nel caso di trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni il primo sarebbe legittimato passivo per le condotte tenute prime del trasferimento. La questione non puo' essere affrontata senza porsi, come, invece, ha fatto la Corte d'Appello, il problema della natura dell'illecito. In caso di illecito istantaneo con effetti permanenti, la condotta lesiva si esaurirebbe in un fatto quod unico actu perficitur, un fatto destinato, cioe', ad esaurirsi in una dimensione unitaria (sul piano logico e sostanzialmente cronologico) di concreta realizzazione, a prescindere dalla eventuale diacronia dei relativi effetti, onde la prescrizione del diritto al risarcimento del danno ad esso conseguente non potrebbe che iniziare a decorrere dal momento del fatto (rectius, della concreta percezione o percepibilita' di esso), mentre all'illecito permanente si ricollegherebbe non il danno permanente, ma il danno plurimo, destinato a rinnovarsi continuamente nel tempo (Cass. 22/04/2013, n. 9711); se tale, cioe' permanente, dovesse ritenersi l'illecito in questione il trasferimento delle funzioni in materia di porti alla Regione Calabria non basterebbe ad escludere la responsabilita' risarcitoria del Ministero per i danni derivanti dal comportamento contra ius da esso eventualmente tenuto anteriormente al trasferimento delle funzioni, giacche' nel caso di illecito permanente il termine di prescrizione non decorre fino al momento in cui il comportamento "contra ius" non sia cessato, ne' sussistono limiti alla proposizione della domanda ed al conseguente soddisfacimento del diritto ad essa sotteso per tutto il tempo durante il quale la condotta e' stata perpetuata (Cass. 04/11/2021, n. 31558). Vero e' che ai fini della verifica della permanenza, secondo questa Corte - Cass., Sez. un., n. 493/1999, citata - e' necessario altresi' che il soggetto interferente prosegua senza interruzione la sua condotta contra ius - solo a lui spetta porre in essere la condotta volontaria che determina la cessazione dello stato di danno o di pericolo. Assai chiaramente la pronuncia n. 493/1999 ha affermato che "il presupposto della sussistenza dell'illecito permanente e' che la condotta venga posta in essere sempre dalla stessa persona, essendo l'elemento soggettivo del fatto causale (ovverosia gli elementi materiale e psicologico) ontologicamente riferibile ad un'unica persona"; sicche' "nel caso di successione in una situazione di illecito extracontrattuale, in seguito al venir meno di una persona ed al subentrare di un'altra, bisogna distinguere il fatto, che si definisce in un preciso ambito temporale, dalle conseguenze fattuali e giuridiche che si protraggono nel tempo. Laddove sussiste una situazione di illecito extracontrattuale, la successione di una persona ad un'altra non permette che si prefiguri un illecito permanente. Se apparentemente la situazione produttiva del danno o del pericolo continua (per esempio, nel caso di possesso o di detenzione abusivi), in realta' il fatto non si protrae, ma perdurano le conseguenze predeterminate dall'ordinamento. Invero, distinguendo analiticamente il fatto e gli effetti pregiudizievoli, nell'apparente continuita' bisogna individuare il nuovo fatto illecito, configurato da una autonoma condotta, la quale fin dal momento iniziale puo' anche rivestire i caratteri della permanenza, dalle conseguenze giuridiche (effettuali) di essa. Anche dove l'ordinamento ipotizza la continuazione (per esempio, l'articolo 1446 c.c., comma 1, in materia di successione nel possesso), in realta' disciplina in modo unitario le conseguenze derivanti da fatti diversi... Ai fini del decorso della prescrizione nel caso di illecito permanente, senza dubbio, si deve accertare la data di cessazione della permanenza. (Da questa data decorre la prescrizione per il risarcimento del danno, in consonanza con la disposizione dell'articolo 2947 c.c., secondo cui il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si e' verificato. Cio' significa, dal giorno in cui il carattere di permanenza dell'illecito e' venuto a cessare). Quando in un rapporto interviene la sostituzione di un soggetto ad un altro, al momento in cui questo evento si verifica, poiche' ha termine una certa condotta e ne incomincia un'altra, la permanenza cessa ed inizia a decorrere la prescrizione. Se il successore pone in essere una nuova, autonoma condotta illecita, si configura un nuovo illecito permanente e solo alla sua cessazione la nuova prescrizione decorre". 2) Il ricorso va, dunque, accolto, la sentenza impugnata e' cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, che, premessa la legittimazione passiva del Ministero, dovra' accertare la ricorrenza di un illecito a carico del Ministero e, in caso di esito positivo, trarne le conseguenze in tema di prescrizione del credito risarcitorio, tenuto conto della natura dell'illecito e del se la condotta causativa del danno si fosse compiuta oppure no anteriormente al trasferimento delle competenze in materia di porti regionali e infraregionali alla Regione Calabria. Al giudice del rinvio e' demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita'. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARNO Giulio - Presidente Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. CORBETTA Stefano - Consigliere Dott. GAI Emanuela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 04/11/2020 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ACETO ALDO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa COCOMELLO ASSUNTA che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi; udito, per le parti civili, l'AVV. (OMISSIS), sostituto processuale degli AVV.TI (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), che si riporta alle conclusioni formulate per iscritto dai predetti difensori depositate in udienza unitamente alle rispettive note spese. uditi i difensori degli imputati, AVV.TI (OMISSIS) e (OMISSIS) per (OMISSIS), AVV. (OMISSIS) per (OMISSIS), AVV.TI (OMISSIS) e (OMISSIS) per (OMISSIS), AVV.TI (OMISSIS) e (OMISSIS) per (OMISSIS), AVV. (OMISSIS), anche quale sostituto processuale dell'AVV. (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno concluso per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi introduttivi e dei motivi aggiunti. RITENUTO IN FATTO Con sentenza del 04/11/2020, la Corte di appello di Reggio Calabria ha parzialmente riformato la sentenza del 21/12/2018 del Tribunale dello stesso capoluogo che aveva dichiarato i sigg.ri (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), colpevoli, a vario titolo, dei reati di atti sessuali con minorenne, violenza sessuale di gruppo, detenzione di materiale pornografico, lesioni personali, violenza privata, ascritti ai primi cinque, e favoreggiamento personale, ascritto al solo (OMISSIS), e li aveva condannati alle pene ritenute di giustizia. 1.1. In particolare, la Corte di appello: - ha assolto lo (OMISSIS) e il (OMISSIS) dal reato di violenza privata di cui all'articolo 610 c.p., rubricato al capo N), perche' il fatto non sussiste (in primo grado erano stati assolti con la formula "perche' il fatto non costituisce reato"); ha conseguentemente dichiarato non doversi procedere nei loro confronti per il reato di lesioni personali di cui all'articolo 582 c.p., rubricato al capo O), per difetto di querela e ha rideterminato la pena (principale) in nove anni e otto giorni di reclusione, per lo (OMISSIS), e in sei anni e sei mesi di reclusione per il (OMISSIS); - ha rideterminato la pena nei confronti del (OMISSIS) in sei anni di reclusione; - ha confermato, nel resto, la condanna degli imputati e le statuizioni civili di condanna condividendo con il primo Giudice la valutazione di attendibilita' delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, (OMISSIS), sia in sede di incidente probatorio che in dibattimento in quanto dettagliate, dotate di coerenza logica ed argomentativa (contrariamente a quelle rese dagli imputati che, per molti aspetti, erano risultate generiche ed incoerenti) e corroborate dalle perizie sulla stessa espletate; - in particolare, gli imputati erano stati dichiarati colpevoli: - (OMISSIS): dei delitti di cui ai capi A (atti sessuali con minore ex articolo 609-quater c.p., comma 1), B (violenza sessuale di gruppo ai danni di persona non ancora quattordicenne di cui all'articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2, articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1), D (violenza sessuale di gruppo ai danni di persona non ancora quattordicenne di cui all'articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2, articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1), E (violenza sessuale di gruppo di cui all'articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2), F, H (detenzione di materiale pornografico ex articolo 600-quater c.p., riqualificati in un unico reato con condotta dall'ottobre 2013 alla fine del 2014) ed M (lesioni personali di cui all'articolo 582 c.p., esclusa l'aggravante di cui all'articolo 576 c.p., n. 5.1); - (OMISSIS): dei delitti di cui ai capi E, H, L (violenza sessuale di gruppo aggravata di cui all'articolo 112 c.p., comma 1, n. 4, e articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2, articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies, commesso in concorso con il minore (OMISSIS), a carico del quale si e' proceduto separatamente) ed M, condannandolo alla pena finale (confermata in appello) di anni otto, mesi due e giorni otto di reclusione: - (OMISSIS) e (OMISSIS): del delitto di cui al capo D; - (OMISSIS): del delitto di cui al capo B, condannandolo alla finale pena di anni sei di reclusione; - (OMISSIS): del delitto di cui al capo Q (favoreggiamento personale di cui all'articolo 378 c.p.), condannandolo alla pena di mesi dieci di reclusione. Quanto alle sanzioni accessorie, il Tribunale di Reggio Calabria aveva applicato a tutti gli imputati, escluso il (OMISSIS): l'interdizione perpetua dai pubblici uffici; lo stato di interdizione legale per tutta la durata della pena; l'interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado e da ogni ufficio o servizio in istituzioni o altre strutture, pubbliche o private, frequentate da minori; l'applicazione, dopo l'esecuzione della pena e per la durata di un anno, delle misure di sicurezza previste dall'articolo 609-nonies c.p., comma 3. Infine, gli imputati erano stati condannati, in solido, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, nonche' delle spese processuali, oltre accessori dovuti per legge. 2. La Corte di appello di Reggio Calabria ha ritenuto di poter trattare congiuntamente i motivi di appello proposti dagli imputati (ad eccezione di quello di (OMISSIS), imputato del solo reato di favoreggiamento) presentando, gli stessi, molti aspetti comuni in quanto miranti, prevalentemente, ad incrinare la credibilita' della persona offesa, nonche' le modalita' della sua audizione - anche in ragione dell'espletamento congiunto, da parte del GIP del Tribunale Ordinario e del GIP del Tribunale per i Minorenni, dell'incidente probatorio - e delle perizie sulla stessa espletate. 2.1. Il giudice di seconde cure ha, innanzitutto, affrontato le singole questioni preliminari, in parte comuni ai vari appelli, proposte dalle difese degli imputati. 2.1.1. Quanto alla doglianza relativa al rigetto, in primo grado, della richiesta di riesaminare la persona offesa su fatti e circostanze diverse da quelle gia' oggetto di incidente probatorio - riesame resosi necessario, a detta degli appellanti, alla luce del reperimento di materiale sul computer della persona offesa, del raggiungimento, da parte della stessa, della maggiore eta', nonche' della modifica della composizione del collegio - la Corte di appello, condividendo la scelta del Tribunale e le motivazioni contenute nella sentenza di primo grado, ha rilevato che l'eventuale, nuova, audizione della persona offesa non solo non avrebbe apportato alcun ulteriore elemento (posto che i temi di prova dovevano ritenersi gia' sufficientemente esplorati sia nel corso delle indagini, che nel corso dell'incidente probatorio) ma addirittura si poneva in contrasto con quanto osservato dalle stesse difese, le quali lamentavano la circostanza che (OMISSIS) fosse stata sentita oltre sette volte, e da uno dei consulenti di parte, il Dott. (OMISSIS), secondo cui ripetere piu' volte l'esame della persona offesa doveva considerarsi controproducente. 2.1.2. La questione relativa alla nullita' dell'audizione protetta della minore svolta in data 11 novembre 2015 ed alla inutilizzabilita' dei suoi contenuti e' stata, dagli appellanti, sollevata con riferimento a molteplici aspetti; la Corte di appello ha ritenuto: - infondato il profilo di censura relativo alla inattendibilita' delle dichiarazioni accusatorie rese, in quella sede, dalla persona offesa ed al mendacio delle stesse, posto che dalla relazione del 14 dicembre 2015 della CTU, Dott.ssa (OMISSIS), e' risultato che la minore fosse dotata di "adeguata credibilita' clinica anche se non priva di elemento di problematicita' psicologica sul piano dinamico-affettivo (...)" e "capace per quanto concerne le capacita' di osservare, esaminare e rievocare la realta' (...)"; - infondato il profilo di censura relativo alla nullita' dell'audizione, ed alla conseguente inutilizzabilita' dei suoi contenuti, per non avere debitamente informato la persona offesa in merito all'obbligo di dire la verita', non sussistendo in capo alla stessa, nel caso di specie, nessun obbligo di dire la verita' in quanto secondo costante giurisprudenza "nell'assunzione delle sommarie informazioni da parte della polizia giudiziaria, ai sensi dell'articolo 351 c.p.p., non e' prescritta l'osservanza delle regole dettate per il solo esame dibattimentale dei testimoni dall'articolo 149 disp. att. c.p.p." (Cass., Sez. 2, 12.07.2002, n. 26714); - infondato il profilo di censura attinente alla inattendibilita' delle dichiarazioni rese dalla minore nel corso dell'audizione protetta per avere, la stessa, consultato (come nel corso dell'incidente probatorio) appunti (redatti da lei e dal padre) che avrebbero, a detta degli appellanti, inficiato la genuinita' del narrato, in quanto l'indicazione di redigere degli appunti su quanto accaduto per evitare dimenticanze, stante la complessita' della situazione ed il numero degli episodi verificatisi - era stata fornita dal maresciallo (OMISSIS) e la possibilita' del loro utilizzo era stata autorizzata dal Presidente del Collegio giudicante in ossequio a quanto disposto dall'articolo 499 c.p.p., comma 5. 2.1.3. La Corte di appello ha, parimenti, ritenuto infondata la censura relativa alla asserita alterazione della capacita' di testimoniare della persona offesa per essere stata, la stessa, sottoposta alla terapia "EMDR" dalla Dott.ssa (OMISSIS), presso la quale la minore era in cura, stante la concordanza delle deposizioni rese dalla CTU, Dott.ssa (OMISSIS), e dal perito, Dott.ssa (OMISSIS) - in merito alla validita' della tecnica "EMDR" ed alla non alterazione dei ricordi a seguito del suo impiego - con quanto affermato dalla stessa Dott.ssa (OMISSIS), la quale aveva dichiarato di aver fatto ricorso a tale metodo solo per consentire una migliore elaborazione del vissuto da parte della minore (scorporando la componente emotiva dal ricordo strettamente considerato), senza alcun intento di alterarne la ricostruzione. 2.1.4. Infondata e' anche la questione relativa alla circostanza che la prova della non veridicita' delle dichiarazioni rese dalla minore dovesse rinvenirsi nella condotta tenuta dalla stessa, la quale, con l'ausilio del fratello, avrebbe, dapprima, recuperato alcuni file precedentemente cancellati dal proprio computer per poi eliminarli definitivamente; secondo la difesa, tale comportamento dimostrerebbe la volonta' della minore di eliminare prove da cui si sarebbe potuta ricavare la volontarieta' dei rapporti sessuali avuti con gli imputati. I giudici del merito hanno, di contro, osservato che, pur richiedendosi, a fronte di tale condotta, una valutazione piu' approfondita delle dichiarazioni rilasciate dalla persona offesa, non puo' dirsi venga, per cio' solo, meno l'offensivita' dei fatti contestati agli imputati e la lesione al bene giuridico protetto dalle norme penali violate. 2.1.5. Come per la asserita nullita' dell'audizione protetta della minore, anche la censura relativa alla nullita' dell'incidente probatorio, ed alla conseguente inutilizzabilita' delle dichiarazioni testimoniali assunte in quella sede, e' stata articolata lungo diversi profili; la Corte di appello ha ritenuto: - infondato il profilo di censura attinente alla nullita' dell'incidente probatorio per essere stato celebrato da due GIP (quello del Tribunale Ordinario e quello del Tribunale per i Minorenni) che avrebbero, a detta degli appellanti, agito come organo unico ed in composizione collegiale - pur essendo, il GIP, un organo monocratico - in violazione dell'articolo 33 c.p.p., in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera a) e articolo 179 c.p.p., precisando, innanzitutto, che le questioni attinenti alla composizione del giudice vanno tenute distinte da quelle riguardanti la rilevanza della prova (non sussistendo tra le stesse alcun rapporto di interdipendenza), ed inoltre, che l'esistenza di un protocollo stipulato tra gli uffici giudiziari del distretto di Reggio Calabria (il quale contempla una collaborazione tra Tribunale Ordinario e Tribunale per i Minorenni in caso di procedimenti che vedono imputati, per il medesimo fatto, sia soggetti maggiorenni che minorenni), riguardando aspetti di ordine amministrativo-funzionale, non determina alcuna violazione delle norme sulla capacita' del giudice; - infondati i profili di censura riguardanti la circostanza che, nel corso dell'incidente probatorio, i due GIP si sono sovrapposti nel porre le domande, anche non relative ai fatti di rispettiva competenza (non esistendo norme che precludono al giudice di rivolgere al teste domande che consentano di comprendere in modo piu' puntuale quanto accaduto, anche se relative a fatti ascritti a coimputati) e hanno proposto alla persona offesa domande suggestive (avendo, il giudice di prime cure, nel far ricorso al criterio della "credibilita' frazionata", valutato caso per caso quali dichiarazioni della minore fossero assistite da riscontri, considerando, dunque, solo quest'ultime come dotate di credibilita'). 2.1.6. Infine, per quel che riguarda la richiesta dell'istruttoria dibattimentale (effettuata dalla difesa (OMISSIS) con motivi aggiunti depositati in data 18 gennaio 2020) volta ad acquisire la consulenza tecnica dell'ing. (OMISSIS) relativa alla geolocalizzazione dell'utenza del cellulare utilizzato dallo (OMISSIS) consulenza che, a detta di parte, avrebbe dovuto attestare l'incompatibilita' tra la posizione dello smartphone e i luoghi e gli orari di commissione dei reati - dopo aver accolto detta richiesta ammettendo sia la consulenza tecnica, sia l'escussione dell'ing. (OMISSIS) in ordine alle risultanze dell'elaborato peritale, la Corte di appello ha ritenuto che dalla deposizione dello stesso fossero emersi elementi compatibili con i dati relativi agli spostamenti dello (OMISSIS) gia' raccolti durante le indagini preliminari, dunque per nulla idonei a scalfire le precedenti risultanze istruttorie. 2.2. La Corte di appello ha, poi, trattando distintamente i vari capi di imputazione. 2.2.1. Capo di imputazione A), concernente il reato di atti sessuali con minore di cui all'articolo 609-quater c.p., comma 1, ascritto all'imputato (OMISSIS) (in concorso con l'imputato (OMISSIS), per il quale, solo per questo reato, si e' proceduto separatamente) e commesso quando la persona offesa era minore di anni quattordici (ottobre-novembre 2013). Preliminarmente, i giudici di seconde cure hanno rigettato l'eccezione relativa alla mancanza di procedibilita' per difetto di querela della persona offesa e ritenuto assorbita quella relativa alla non applicabilita' dell'articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4, per mancanza di connessione tra il reato in questione ed altro procedibile d'ufficio. Fermo restando che all'epoca del fatto il delitto di cui all'articolo 609-quater c.p. era procedibile a querela della persona offesa (in quanto la procedibilita' d'ufficio e' frutto della novella normativa di cui alla L. n. 69 del 2019), la Corte, come gia' evidenziato dal giudice di primo grado, ha ritenuto che al caso di specie dovesse applicarsi il disposto di cui all'articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4), a mente del quale la procedibilita' e' d'ufficio "se il fatto e' connesso con altro per il quale si deve procedere d'ufficio", posto che, secondo prevalente giurisprudenza, la "connessione" di cui alla suddetta disposizione e' da intendere in senso ampio, anche come mero collegamento investigativo e non solo processuale o materiale. Nel merito, la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado in punto di riconoscimento della responsabilita' dell'imputato, ritenendo: - non condivisibile la ricostruzione dei fatti fornita dalla difesa, mirante all'assoluzione piena dell'imputato per la sussistenza del consenso della minore, in quanto il reato in questione incrimina la condotta consistente nel compimento di atti sessuali con minore anche quando vi e' il consenso di quest'ultimo, consenso che, per giurisprudenza costante, non scrimina, ne' esclude la punibilita' dell'agente; - infondata l'eccezione relativa alla mancata consapevolezza (o, quanto meno, all'ignoranza inevitabile) dell'eta', inferiore agli anni quattordici, della minore, posto che da quanto affermato dallo stesso (OMISSIS) si poteva chiaramente desumere che lo stesso fosse pienamente consapevole dell'eta' della minore (avendo, egli, riferito in sede di esame che quando aveva conosciuto la minore, questa "doveva iniziare la terza media"); - infondata la questione relativa alla non credibilita' delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, in quanto la versione dalla stessa fornita e' stata lucida e priva di contraddizioni, a differenza di quanto, invece, affermato dall'imputato il quale, in sede di esame, lungi dal manifestare dubbi circa l'eta' della minore, si e', piuttosto, limitato a collocare il delitto in questione successivamente al gennaio 2014, con la chiara finalita' di (cercare di) spostare il compimento del fatto in un momento in cui la minore aveva, quanto meno, compiuto gli anni quattordici; - infine, infondata l'eccezione relativa alla applicabilita' della circostanza attenuante della minore gravita' di cui all'articolo 609 quater c.p., comma 5, risultando, di contro, con evidenza la gravita' del fatto contestato in quanto l'imputato, ben consapevole di avere un forte ascendente nei confronti della minore, si e' servito dello stato di subordinazione psicologica della stessa, di fatto spingendola ad avere rapporti sessuali con lui e con il suo amico (OMISSIS) (tant'e' che, in sede di incidente probatorio, la minore, pur precisando che era ben consapevole della situazione nel momento in cui si verificavano gli episodi, ha, tuttavia, affermato di essersi lasciata convincere al compimento dei rapporti sessuali dal "ricatto" dello (OMISSIS)). 2.2.2. Capo di imputazione B), riguardante il reato di violenza sessuale di gruppo di cui all'articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2, in relazione all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1), ascritto a (OMISSIS) e (OMISSIS) e commesso in epoca in cui la persona offesa era minore di anni quattordici (novembre 2013). La Corte di appello ha confermato il giudizio di responsabilita' penale degli imputati cosi' come formulato dal giudice di prime cure sulla base della testimonianza della minore ritenuta dotata di "coerenza sia logica che argomentativa, a differenza della versione dei fatti fornita dai due imputati, che invece e' per molti tratti incongruente, e poco verosimile". In particolare, la Corte ha ritenuto che dal materiale probatorio raccolto fosse possibile ravvisare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi necessari per il perfezionamento del reato contestato nel capo di imputazione B) per le seguenti ragioni: - la pluralita' di agenti che, trattandosi di un reato necessariamente plurisoggettivo, e' richiesta ai fini dell'integrazione dello stesso risulta pienamente soddisfatta in quanto, secondo giurisprudenza costante, detta pluralita' deve ritenersi sussistente anche quando gli autori del fatto siano solo due (come nel caso di specie); - l'attendibilita' delle dichiarazioni rese dalla persona offesa si evince dalla circostanza che le stesse sono sempre state dettagliate e mai accondiscendenti alle domande suggestive che le sono state poste, avendo la minore risposto a tali domande offrendo la sua personale e coerente versione dei fatti (un esempio per tutti: alla domanda sul se aveva gridato per chiedere di farla scendere, la minore ha risposto di non averlo fatto, ma di aver comunque detto di voler scendere "perche' non aveva intenzione"); - parimenti, l'attendibilita' delle sue dichiarazioni non puo' essere scalfita dalle deduzioni difensive che, di contro, sono risultate generiche e non fondate (ancora a titolo esemplificativo, non appare inverosimile che un ragazzo di appena 18 anni, quale era l'imputato (OMISSIS) all'epoca del fatto, possa aver compiuto quella che la difesa ha definito una "acrobatica azione" nel passare alla parte posteriore della macchina per impedire alla minore di aprire lo sportello; non credibile e' anche l'affermazione della difesa secondo cui lo (OMISSIS) aveva soltanto dato un passaggio al (OMISSIS), non comprendendosi il motivo per il quale il primo, anziche' accompagnare a casa il secondo, lo avesse portato con se' all'incontro chiarificatore con la minore, tenendo anche conto che quest'ultima non conosceva affatto il (OMISSIS) e che, per di piu', lo (OMISSIS), alla guida dell'auto, si e' diretto verso una zona isolata e non di certo nei pressi della casa del (OMISSIS)); - il fatto che la minore fosse consapevole quantomeno dell'incontro programmato con il solo (OMISSIS) non puo' far desumere la consensualita' del rapporto con quest'ultimo, ne' scriminare la posizione dello stesso, piuttosto la volonta' della minore di riprendere la relazione con lo (OMISSIS) dimostra ancora una volta l'intento di quest'ultimo, ben consapevole di avere un forte ascendente nei confronti della minore, di servirsi dello stato di subordinazione psicologica in cui la stessa si trovava per indurla ad avere rapporti sessuali con lui e con i suoi amici (in questo caso l'imputato (OMISSIS)); - allo stesso modo, la circostanza che in altri episodi la minore fosse consenziente o che, addirittura, avesse preso l'iniziativa per gli incontri (come risulta da alcuni screenshot di messaggi contenuti nel suo computer) non esclude che in altre circostanze, come quella di cui si tratta, la stessa non fosse d'accordo, anche in ragione del fatto che tali screenshot non riguardano l'episodio in questione; - la circostanza che il rapporto sessuale con il (OMISSIS) non sia stato completo non puo' determinare la degradazione della lesivita' del fatto-reato entro la soglia del tentativo in quanto, secondo giurisprudenza costante, la peculiarita' del reato di violenza sessuale di gruppo risiede nel fatto che l'atto sessuale deve essere compiuto in presenza di una pluralita' di persone, non richiedendosi, tuttavia, che ciascuna di esse lo ponga in essere autonomamente ed in effetti nel caso di specie la presenza del (OMISSIS) nel momento in cui lo (OMISSIS) compiva atti sessuali contro la volonta' della minore rafforzandone l'azione e l'intento (o quanto meno avendoli rafforzati posto che gia' in precedenza il (OMISSIS) aveva impedito alla minore di scendere dalla macchina) deve considerarsi integrativa del reato in questione; - infine, la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1), in ragione dell'eta' inferiore agli anni quattordici della vittima, si fonda sulla dimostrata collocazione temporale dell'episodio contestato nel mese di novembre 2013. 2.2.3. Capo di imputazione D), relativo al reato di violenza sessuale di gruppo di cui all'articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2, in relazione all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1), ascritto a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e commesso in epoca in cui la persona offesa era minore di anni quattordici (data anteriore e prossima al 9 dicembre 2013). La Corte di appello ha confermato il giudizio di responsabilita' penale degli imputati formulato dal giudice di prime cure, ancora una volta, sulla base della riconosciuta attendibilita' delle dettagliate e coerenti dichiarazioni rese dalla persona offesa in merito all'episodio in esame. In particolare, la Corte ha rigettato gli appelli proposti dai tre imputati ritenendo: - prive di pregio le doglianze relative alla asserita non credibilita' della persona offesa, essendo, a detta delle difese, inverosimile che la minore fosse stata consenziente per la prima parte dei rapporti sessuali (quelli avuti inizialmente con lo (OMISSIS) e il (OMISSIS)) per poi non esserlo piu' nella seconda parte dell'episodio contestato (vale a dire quella successiva all'arrivo del (OMISSIS) e relativa al rapporto sessuale avuto con quest'ultimo mentre gli altri due imputati la immobilizzavano). Ancora una volta si ripropone il binomio consenso/dissenso della minore ai rapporti sessuali con lo (OMISSIS): se, nella prima fase dell'incontro, la minore aveva acconsentito al rapporto a tre con quest'ultimo e il (OMISSIS), e' evidente che lo aveva fatto (come accaduto negli altri episodi contestati nei precedenti capi di imputazione) in ragione della condizione di subordinazione in cui versava nei confronti dello stesso (OMISSIS). In altri termini, la minore, nella malriposta speranza di riconquistarlo, ha nuovamente subito il ricatto dello (OMISSIS) il quale, ribadisce la Corte territoriale, era perfettamente conscio del forte ascendente che aveva nei confronti della minore e se ne e' servito per indurla ai molteplici rapporti sessuali con lui e i suoi amici. Inoltre, il "consenso" prestato dalla minore per la prima parte dei rapporti non comporta automaticamente il suo riverberarsi anche nella fase successiva, in quanto gli episodi (anche se in effetti svoltisi in un medesimo arco temporale e spaziale) devono, tuttavia, essere considerati autonomi e distinti proprio in ragione del loro essersi realizzati attraverso una progressione di eventi caratterizzata da un'iniziale consenso della minore, poi venuto meno al variare delle condizioni in cui detto consenso era stato prestato (ossia dopo aver compreso che all'incontro avrebbe preso parte anche il (OMISSIS)); - pienamente attendibile il racconto, coerente e dettagliato, della persona offesa, le cui dichiarazioni hanno trovato riscontro tanto negli accertamenti effettuati presso il luogo in cui gli episodi in questione si sono verificati, quanto negli screenshot delle conversazioni avute con il (OMISSIS) nei giorni successivi. Peraltro, la minore ha dimostrato piena consapevolezza del narrato anche a fronte delle domande suggestive poste dal Tribunale. In particolare, alla domanda volta a verificare la manifestazione del suo dissenso rispetto alla prima parte degli accadimenti, la minore ha risposto in modo perfettamente coerente rispetto a quanto in precedenza dichiarato, ovvero che si era recata volontariamente all'incontro con lo (OMISSIS) - pur sapendo quale sarebbe stato, molto probabilmente, l'esito - proprio al fine di riconquistarlo. Dunque, non sarebbe affatto logico ritenere che tale coerenza venga meno proprio in relazione a quella parte di narrato in cui la minore ha specificato, senza peraltro incorrere in nessuna titubanza, che la seconda parte dell'episodio contestato (quello che ha visto la partecipazione del (OMISSIS)) si e' svolto contro la sua volonta'; - contraddittorie le versioni rese dagli imputati, i quali hanno fornito ricostruzioni dei fatti completamente discordanti tra di loro (il (OMISSIS) ha, dapprima, in sede di interrogatorio, negato di essersi recato con lo (OMISSIS) e la minore nella casa da lui messa a disposizione, per poi cambiare versione, in sede di esame dibattimentale, ammettendo tale circostanza ma negando che all'incontro si fosse successivamente unito anche il (OMISSIS). Affermazione, quest'ultima, smentita sia dal (OMISSIS), che non ha mai negato la sua presenza, sia dal contenuto dei messaggi intercorsi tra lo stesso (OMISSIS) e la minore nei giorni successivi all'episodio); - non fondate le doglianze sollevate dalle difese degli imputati secondo cui il fatto che la minore si dimenasse durante il rapporto non fosse di per se' indicativo del suo dissenso o, quanto meno, non fosse percepibile come tale dagli imputati, risultando inverosimile che il comportamento della ragazza non sia stato percepito come chiaro segno non solo di dissenso, ma anche di opposizione, tenendo conto del fatto che in due avevano bloccato la minore tenendola per i polsi mentre il terzo consumava il rapporto; - parimenti non fondata l'eccezione sollevata dalla difesa di (OMISSIS) secondo cui il contributo arrecato dallo stesso doveva considerarsi del tutto marginale. Difatti, posto che la presenza di un maggior numero di persone comporta anche una maggior forza intimidatoria nei confronti della vittima, la presenza del (OMISSIS) sul luogo del fatto, l'aver messo a disposizione la casa in cui il reato e' stato consumato e l'aver partecipato attivamente al compimento degli ulteriori atti sessuali posti in essere successivamente all'arrivo del (OMISSIS) (bloccando i polsi della vittima per consentire a quest'ultimo di consumare il rapporto) sono tutti elementi che consentono di ritenere integrata la fattispecie di reato contestata; - infine, sussistente l'aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1), in ragione dell'eta' inferiore agli anni quattordici della vittima, stante la possibilita' di ritenere con certezza la collocazione temporale dell'episodio contestato in data anteriore e prossima al 9 dicembre 2013 e non dopo il 4 gennaio 2014 (data in cui la minore ha compiuto i quattordici anni) in quanto nel periodo tra il 29 dicembre 2013 e il 3 febbraio 2014 la ragazza ha avuto una relazione sentimentale con (OMISSIS), per cui si ritiene inverosimile che nel gennaio 2014 la stessa possa aver avuto questo rapporto sessuale, dapprima consenziente e poi violento. 2.2.4. Capo di imputazione E), concernente il reato di violenza sessuale di gruppo di cui all'articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2, ascritto a (OMISSIS) e (OMISSIS) e commesso in epoca in cui la persona offesa aveva compiuto gli anni quattordici (10 marzo 2014 in luogo del 14 febbraio 2014, data originariamente contestata). Anche con riferimento a tale reato, la Corte di appello, confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato gli appelli proposti da entrambi gli imputati, ritenendo: - infondate le doglianze relative alla asserita sussistenza del consenso della minore, essendo indubbia la coartazione della sua volonta'. Costituisce, senz'altro, dato pacifico quello secondo cui la minore ha volontariamente accettato di incontrare lo (OMISSIS) (lei stessa aveva dichiarato di aver ricominciato a vederlo all'inizio del febbraio 2014, dopo la fine della relazione con (OMISSIS)) ma, ancora una volta, tale volonta' si inserisce in un contesto di soggezione psicologica della ragazza, soggezione determinata dal fatto che la minore continuava a subire l'ascendenza dello (OMISSIS) e mirava a riprendere con quest'ultimo una relazione sentimentale esclusiva. Tuttavia, se questa e' la "volonta'" della minore rispetto al rapporto con lo (OMISSIS), non puo' di certo estendersi al punto da determinare il suo consenso relativamente all'episodio contestato: la coartazione della volonta' della minore e', in sostanza, dovuta al subentro dell'imputato (OMISSIS) (originariamente escluso dalle condizioni in cui la volontarieta' si era manifestata) e al ricatto psicologico consistito nell'inganno dello (OMISSIS) e nelle frasi pronunciate dai due correi in quella circostanza ed emerse dal racconto minuzioso fornito dalla persona offesa (la quale aveva affermato che cio' che l'aveva portata a subire il rapporto sessuale era stata proprio la minaccia proveniente dallo (OMISSIS) il quale le aveva intimato che, qualora si fosse opposta, non solo avrebbe raccontato ai genitori dei suoi precedenti rapporti sessuali, ma avrebbe anche fatto del male a loro e alle persone a lei vicine, nominando esplicitamente " (OMISSIS) di (OMISSIS)", ossia (OMISSIS)); - attendibili le dichiarazioni della persona offesa, non solo in quanto dettagliate e prive di contradizioni, ma anche perche', come precisato dalla sentenza di primo grado, dotate di molteplici riscontri tra cui: alcuni post-it annotati dalla minore spontaneamente e nell'immediatezza dei fatti; l'analisi dei tabulati telefonici relativi alle celle di aggancio delle utenze in uso alla minore, allo (OMISSIS) e allo (OMISSIS); la testimonianza del padre della persona offesa, (OMISSIS), il quale aveva dichiarato che molto prima di venire a conoscenza dei fatti, la figlia gli aveva chiesto di accompagnarla a (OMISSIS) per poter parlare con un ragazzo (senza sapere, all'epoca, che tale ragazzo fosse (OMISSIS)) ed in effetti dalle dichiarazioni della minore e' emerso che la stessa, dopo il verificarsi dell'episodio contestato, nello stesso giorno, aveva chiesto al padre di accompagnarla con urgenza a (OMISSIS), con cio' dimostrando di aver pienamente subito la minaccia dello (OMISSIS) e di esserne rimasta intimorita al punto da sentire il bisogno di recarsi dallo (OMISSIS) per verificarne le condizioni; - infondata l'eccezione, sollevata dalla difesa (OMISSIS), relativa alla effettiva e storica verificazione dell'episodio contestato, posto che i dati acquisiti in primo grado dall'analisi incrociata dei tabulati telefonici hanno trovato conferma anche nelle dichiarazioni rese dal teste ing. (OMISSIS), CTP della difesa (OMISSIS); - prive di pregio le doglianze relative alla insussistenza, nel giorno in cui si e' verificato il fatto, di contatti telefonici tra lo (OMISSIS) e (OMISSIS), tenuto conto della dimostrata compresenza sul posto dei due imputati e della minore (stante l'analisi dei tabulati telefonici) e del fatto che, secondo il racconto di quest'ultima, i due si erano recati da lei insieme, sulla stessa auto, ben potendo, dunque, essersi accordati durante il tragitto; - infondata, infine, la doglianza della difesa dello (OMISSIS) volta a collocare i primi incontri con la minore solo nel settembre 2014. Difatti, gli episodi riportati nell'atto di appello non smentiscono affatto la genuinita' delle dichiarazioni della minore (la quale aveva ammesso che in alcune occasioni il rapporto era stato "consensuale", volendo con cio' intendere che in alcune occasioni aveva provato piacere pur essendone, in seguito, molto turbata), rendendo, invece, pienamente credibile che, tra i vari episodi, quelli in cui la minore ha dichiarato di essere stata costretta effettivamente siano stati violenti. 2.2.5. Capi di imputazione F) e H), relativi al reato di detenzione di materiale pornografico ex articolo 600-quater c.p., riqualificati dal Tribunale come unico reato con condotta dall'ottobre 2013 alla fine del 2014, il primo (capo F, dall'ottobre 2013 al febbraio 2014) contestato al solo (OMISSIS), il secondo (capo H, dal febbraio 2014 fino alla fine del 2014) contestato allo (OMISSIS) in concorso con (OMISSIS). La Corte di appello ha confermato la responsabilita' penale degli imputati anche in ordine a tale reato in quanto il materiale probatorio raccolto (le dichiarazioni rese dalla persona offesa nel corso dell'incidente probatorio e i documenti informatici acquisiti) e' risultato idoneo a dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, l'integrazione del reato in questione. In particolare, la Corte ha ritenuto: - infondato il motivo di censura, sollevato dalla difesa (OMISSIS), relativo alla erronea applicazione delle norme di diritto sostanziale ed alla trascuratezza di elementi probatori. Secondo costante giurisprudenza, la condotta punita dall'articolo 600-quater c.p. consiste, alternativamente, nel procurarsi o detenere materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni 18 e, trattandosi di un reato di mera condotta, ai fini del suo perfezionamento e' richiesta solamente la consapevolezza del procurarsi o del detenere materiale pornografico, senza la necessita' che vi sia anche pericolo di una sua diffusione. Ebbene, nel caso di specie, la condotta penalmente sanzionata risulta pienamente integrata essendo comprovato che gli imputati abbiano acquisito la disponibilita' fisica, per via telematica, del materiale pornografico; - infondate le censure relative alla asserita mancanza di offensivita' del fatto contestato in ragione della sussistenza del consenso della vittima. Ancora, secondo costante giurisprudenza, la fattispecie di cui all'articolo 600-quater c.p. deve essere letta alla luce dei protocolli opzionali alla Convenzione dei diritti del fanciullo, concernenti la vendita dei bambini, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini ed il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, stipulati a New York il 6 settembre 2000 e ratificati dall'Italia con L. 11 marzo 2002, n. 46, nonche' alla luce della decisione quadro del Consiglio Europeo n. 2004/68/GAI del 22 dicembre 2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile, la quale estende la protezione del minore sino al compimento del diciottesimo anno di eta'. Pertanto, in ragione del profilo di tutela rafforzata che, coerentemente con i richiamati dettami internazionali, il legislatore ha inteso accordare, con tale fattispecie incriminatrice, ai minori di anni 18, si deve ritenere che la condotta incriminata sia intrinsecamente, di per se', offensiva senza che, a tal fine, possa venire in rilievo alcun profilo attinente una presunta libera autodeterminazione del minore, dovendosi escludere in radice che, in tale fattispecie, quest'ultimo sia in grado di manifestare un consenso libero; - privo di rilevanza, infine, il motivo di gravame sollevato dalla difesa dello (OMISSIS) attinente alla collocazione temporale del fatto contestato in quanto, a detta dell'appellante, dallo sfondo del cellulare della minore (emerso dagli screenshot delle conversazioni in cui si allude al materiale pornografico) doveva ritenersi che la stessa avesse gia' compito i quattordici anni. Alla luce di quanto gia' ampiamente osservato, tale censura non coglie nel segno posto che la condotta contestata consiste nell'essersi procurati materiale pornografico mediante l'utilizzo di un minore di anni diciotto e non di un minore di anni quattordici (a nulla rilevando, dunque, che la minore potesse aver raggiunto questa eta'). 2.2.6. Capo di imputazione L), relativo al reato di violenza sessuale di gruppo di cui all'articolo 112 c.p., comma 1, n. 4), e articolo 609-octies c.p., commi 1 e 2, in relazione all'articolo 609-ter cpv. c.p., n. 5-sexies, ascritto a (OMISSIS) (in concorso con il minore (OMISSIS), a carico del quale si procede separatamente) e commesso in epoca in cui la minore aveva compiuto gli anni quattordici ((OMISSIS)). La Corte di appello ha confermato, reputandole pienamente condivisibili, le conclusioni cui e' giunto il Tribunale di Reggio Calabria in ordine al riconoscimento della responsabilita' penale dell'imputato anche per tale reato. La Corte ha, in particolare, ritenuto: - priva di pregio la censura volta negare il ruolo svolto dall'appellante nella vicenda in esame alla luce della asserita incertezza manifestata sul punto dalla persona offesa. La minore, infatti, ha mostrato incertezza solo in un primo momento, per poi proseguire nel racconto in modo lineare e dettagliato, riferendo della violenza subita anche dall'imputato; - pienamente attendibili le dichiarazioni della persona offesa relativamente alla violenza subita in quanto, come detto, coerenti e dense di particolari ed, inoltre, dotate di riscontri quali: la deposizione dell'amica dalla quale la minore si era recata dopo l'accaduto, la quale aveva confermato il dichiarato della persona offesa, sia con riferimento all'episodio in esame, sia con riferimento alle confidenze fatte dalla minore in quella stessa occasione in merito alle precedenti vicende di violenza sessuale subite; la deposizione della cugina della persona offesa, la quale aveva riferito di aver saputo da (OMISSIS) che in alcune occasioni (OMISSIS) l'aveva costretta ad avere rapporti sessuali con lui e con altri e di aver ricevuto dalla minore alcuni screenshot di conversazioni intercorse tra lei e (OMISSIS); gli stessi screenshot di tali conversazioni, dai quali si evince la volonta' della minore di avere un rapporto finalmente "normale" con un ragazzo, appunto (OMISSIS), credendolo diverso dagli altri e del quale si era evidentemente fidata per poi rimanerne delusa (come emerge anche dal fatto che, dopo tale episodio, la minore non ha piu' risposto ai messaggi di (OMISSIS)); l'ulteriore circostanza consistente nel fidanzamento dello (OMISSIS) tra la fine del 2014 e l'inizio del 2015 e la conseguente interruzione, da tale momento, dei contatti con la minore, circostanza questa che conferma la necessita' dello (OMISSIS) di "avvalersi" di un altro soggetto, diverso dallo (OMISSIS), appunto il minore (OMISSIS), per riprendere i rapporti con la persona offesa la quale, dopo l'episodio di cui al capo di imputazione E) aveva smesso di rispondere ai messaggi dello (OMISSIS); l'analisi dei tabulati telefonici dai quali risulta che dalle 11.12 alle 12.25 del (OMISSIS) le utenze della minore e dei due coimputati erano agganciate alla stessa cella telefonica; gli appunti presi dalla minore sul suo cellulare relativi all'episodio in esame; - infondata la doglianza relativa alla asserita mancata attribuzione, da parte del Tribunale, della giusta importanza ai tabulati telefonici alla luce del considerevole traffico rilevato sulle utenze dei coimputati e della minore nel giorno in cui si sarebbe verificato il fatto. Quel giorno tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e' stato rinvenuto un solo contatto telefonico (evidentemente finalizzato ad accordarsi), dunque nessun rilievo puo' essere attribuito ad ulteriori eventuali contatti telefonici che gli stessi hanno avuto con persone non coinvolte nella vicenda, risultando, piuttosto, perfettamente compatibili con la versione data dalla minore la quale ha riferito che i rapporti sono avvenuti a turno, percio' e' ben possibile che queste chiamate siano state effettuate da uno nel momento in cui il rapporto veniva consumato dall'altro e viceversa; - sussistenti le aggravanti di cui all'articolo 112 c.p., comma 1, n. 4 (per aver commesso il fatto avvalendosi di un minore, (OMISSIS), nella misura in cui se ne e' servito per arrivare a (OMISSIS) che fino a quel momento aveva interrotto i rapporti con (OMISSIS)) e 609 ter cpv. c.p., n. 5 sexies (per avere, i disturbi da stress ed i gesti autolesivi della minore, trovato origine proprio nella condotta dello (OMISSIS) come meglio si dira' in merito al capo di imputazione M). 2.2.7. Capo di imputazione M), concernente il reato di lesioni personali ex articolo 582 c.p., ascritto agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) per aver cagionato alla (OMISSIS), a seguito delle plurime condotte illecite di cui ai precedenti capi di imputazione, lesioni consistenti in uno stato ansioso e un disturbo post traumatico da stress con atti autolesivi. La Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado con cui il Tribunale - alla luce delle deposizioni di numerosi testimoni, tra cui le figure professionali che, a vario titolo, avevano seguito la minore (dalle cui deposizioni era emerso come quest'ultima, tramite atti di autolesionismo, scarsa autostima, apatia e peggioramento in ambito scolastico, manifestasse segni di un profondo stato di sofferenza ricollegato ad un trauma molto probabilmente relativo all'aver subito maltrattamenti o abusi) - ritenendo sussistente il nesso di causalita' tra gli abusi sessuali subiti e l'elemento soggettivo relativo al reato in questione, ha concluso per l'affermazione di responsabilita' di entrambi gli imputati. La Corte ha ritenuto: - infondata la doglianza relativa alla mancanza di prova in merito al rapporto di causalita' tra le condotte tenute dagli imputati e la condizione psicologica della minore. Ai sensi dell'articolo 41 c.p. "il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalita' fra l'azione od omissione e l'evento"; pertanto, l'impossibilita' di escludere con certezza la concomitanza di ulteriori fattori potenzialmente causali non impedisce di ritenere che gli abusi compiuti dagli imputati abbiano comunque concorso alla causazione dello stato di sofferenza della vittima. In altri termini, cio' che rileva e' che detti abusi abbiano innescato un meccanismo che, sia pur in concorso con altre cause, ha contribuito a causare il disturbo post traumatico della minore; tanto basta, in assenza di prove circa l'esistenza di fattori eccezionali o straordinari che abbiano interrotto il nesso di causalita', per ritenere che le lesioni abbiano trovato origine nelle condotte di abuso poste in essere dagli imputati; - sufficientemente dimostrata la sussistenza dell'elemento soggettivo cosi' come accertato dalla sentenza di primo grado; - infondata la censura riguardante la mancata manifestazione, da parte della minore, nell'immediatezza dei fatti, di alcuna sofferenza, dovendosi considerare sufficienti, a tal fine, i chiari segnali non solo di dissenso ma di opposizione che hanno caratterizzato gli episodi di violenza e tenendo in debito conto il fatto che le conseguenze psicologiche di un abuso possono manifestarsi anche a distanza di tempo; - priva di pregio la doglianza sollevata dalla difesa di (OMISSIS), secondo cui la condotta contestata avrebbe dovuto essere compresa nella circostanza aggravante prevista dall'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5, di cui al capo di imputazione L). Si osserva che tale aggravante riguarda il singolo reato cui si riferisce, mentre le lesioni contestate con il presente capo di imputazione riguardano il (e derivano dal) complesso delle vicende subite dalla minore. 2.2.8. Capi di imputazione N) e O), riguardanti, rispettivamente, il reato di violenza privata ex articolo 610 c.p., e il reato di lesioni personali ex articolo 582 c.p., ascritti agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) commessi ai danni di (OMISSIS). La Corte di appello, riformando la sentenza di primo grado, ha: - assolto entrambi gli imputati dal reato di cui al capo N) perche' il fatto non sussiste. Alla luce degli elementi raccolti, deve, infatti, escludersi che l'aggressione allo (OMISSIS) fosse finalizzata a "costringere lo stesso ad interrompere la relazione sentimentale" con la minore in quanto, alla data della contestazione di tale reato (anteriore e prossima al 9 marzo 2014), detta relazione era gia' stata interrotta; pertanto, non puo' ritenersi provato, oltre ogni ragionevole dubbio, che l'aggressione abbia costretto (OMISSIS) "a fare, tollerare od omettere qualche cosa" cosi' come e', invece, richiesto dalla norma incriminatrice di cui al reato contestato; - prosciolto entrambi gli imputati dal reato di cui al capo O) per difetto di querela della persona offesa. La procedibilita' d'ufficio del reato in questione era stata determinata dalla connessione con il reato di violenza privata di cui al precedente capo; pertanto, l'assoluzione degli imputati dal reato ascritto al capo N), determina il venir meno del suddetto collegamento e la conseguente declaratoria di non doversi procedere in ordine al reato di lesioni personali. 2.2.9. Capo di imputazione Q), riguardante il reato di favoreggiamento personale di cui all'articolo 378 c.p. ascritto a (OMISSIS) per aver aiutato gli altri imputati ad eludere le investigazioni rifiutandosi di rispondere alle domande postegli in sede di sommarie informazioni testimoniali. La Corte di appello ha confermato la statuizione del Tribunale in merito all'affermazione della responsabilita' dell'imputato, risultando evidente come l'atteggiamento reticente del (OMISSIS) abbia contribuito a favorire l'elusione delle indagini. In particolare, la Corte ha ritenuto: - priva di pregio la doglianza con la quale la difesa ha contestato l'interpretazione letterale delle dichiarazioni dell'imputato fatta dal Tribunale, posto che nessun'altra interpretazione, se non proprio quella letterale, poteva essere effettuata in quanto le parole utilizzate dal (OMISSIS) non avevano alcun significato recondito; - parimenti infondata la censura volta a "chiarire" l'intento dell'imputato il quale, a detta della difesa, lungi dal voler eludere le indagini - avendo iniziato soltanto da poco la relazione con la minore e non avendo, per questo, dato credito a quanto dalla stessa raccontato - ha preferito non rispondere per timore di riferire fatti non veritieri. Invero, il (OMISSIS) non ha fatto alcun cenno a questa circostanza in sede di s.i.t.; piuttosto, proprio dall'unica risposta che in quella circostanza egli ha fornito, "di questa storia non ne voglio sapere assolutamente niente perche' non riguarda la mia persona", emerge chiaramente l'intenzione di non essere coinvolto nella vicenda e di non voler fornire alcun contributo alle indagini; - priva di rilevanza, infine, l'affermazione di non aver ricevuto alcuna confidenza dagli altri imputati, posto che, per sua stessa ammissione, i fatti gli erano stati riferiti dalla persona offesa; pertanto, avrebbe quanto meno dovuto riportare quest'ultima circostanza. 2.3. Per quel che riguarda il trattamento sanzionatorio, come detto, la Corte di appello ha riformato la sentenza di primo grado nei confronti di (OMISSIS) (rideterminando la pena nella misura di anni sei di reclusione in ragione della comportamento dallo stesso tenuto a seguito del compimento della violenza sessuale - l'essersi preoccupato delle condizioni della minore - con cio' mostrando una non totale insensibilita'), (OMISSIS) (rideterminando la pena nella misura di anni nove e giorni otto di reclusione essendo stato assolto dal reato di cui al capo N) e prosciolto dal reato di cui al capo O)) e (OMISSIS) (rideterminando la pena in anni sei e mesi sei di reclusione stante l'assolvimento dal reato di cui al capo N) e il proscioglimento di cui al capo O)). Per quel che attiene le richieste di applicazione delle circostanze attenuanti generiche o, per coloro ai quali erano gia' state riconosciute in primo grado, le richieste di riconoscimento della loro prevalenza rispetto alle aggravanti contestate, la Corte, nel rigettare le varie doglianze, ha rilevato: - l'incontestabile gravita' dei fatti commessi e l'insussistenza, a fondamento della richiesta di mitigazione del trattamento sanzionatorio, di un'indicazione circa gli elementi positivi da valorizzare ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche (appelli (OMISSIS) e (OMISSIS)); - la natura irrisoria degli elementi indicati a fronte della gravita' dei fatti contestati (appello (OMISSIS)); - la congruita' della pena cosi' come applicata dal Tribunale (appello (OMISSIS) e (OMISSIS)). 2.4. Infine, in merito alle statuizioni civili, la Corte di appello ha ritenuto che la sentenza di primo grado fosse pienamente meritevole di conferma in quanto: - certamente ammissibili le costituzioni delle parti civili, sia in ragione del fatto che la costituzione di parte civile non puo' piu' essere contestata una volta ammessa in primo grado, sia in ragione della sussistenza della "legitimatio ad causam" delle parti civili stesse; - provata, al di la' di ogni ragionevole dubbio, l'incidenza causale delle condotte contestate (e non solo di quella di cui al capo di imputazione M)) rispetto al danno prodotto alla minore, peraltro consistito non solo nel grave stato di sofferenza di cui si e' gia' detto, ma anche nel grave disagio certamente patito a causa del trasferimento, a seguito di tali vicende, dalla cittadina ove la minore aveva sempre vissuto; - pienamente provato il danno riconosciuto ai familiari della minore, anche in ragione della difficile situazione familiare e ambientale venutasi a creare; - condivisibile la condanna in solido al risarcimento dei danni, in quanto la solidarieta' passiva deve ritenersi sussistente anche quando le azioni ed omissioni dei vari colpevoli sono tra loro indipendenti perche' tutte hanno concorso a causare il medesimo evento; - sussistente la legittimazione alla costituzione di parte civile del Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza in quanto la lesione del suo interesse statutario (tutela dell'infanzia) costituisce un danno diretto ed immediato cagionato dai fatti contestati; - sussistente la legittimazione alla costituzione di parte civile del Comune di Melito Porto Salvo e della Regione Calabria avendo, senza dubbio, tali enti subito un rilevante danno all'immagine stante la rilevanza mediatica che l'intera vicenda ha avuto. 3. Per l'annullamento della sentenza hanno proposto distinti ricorsi tutti gli imputati. 4. (OMISSIS) ha presentato due ricorsi, uno a firma dell'Avv. (OMISSIS), l'altro a firma dell'Avv. (OMISSIS). Ricorso Avv. (OMISSIS); 4.1. Con il primo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione nella valutazione dei risultati della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale circa il giudizio di responsabilita' per i fatti-reato contestati ai capi A, B, D, E e, di riflesso, ai capi M, F ed H. Oggetto di censura e' il malgoverno logico, sul piano della valutazione della prova, della consulenza tecnica dell'Ing. (OMISSIS), relativa alla ricostruzione dei movimenti dell'utenza telefonica in uso al ricorrente nel periodo che va dal 15/07/2013 al 23/12/2014, acquisita in sede di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale insieme con l'esame del consulente stesso. All'argomento la Corte di appello - afferma - dedica le pagine da 46 a 53 della sentenza sminuendone ogni significato probatorio con motivazione palesemente illogica e contraddittoria caratterizzata da argomentazioni viziate per inconciliabilita' tra le affermazioni in essa contenute e incompatibili con i dati forniti dal consulente. Sei delle pagine suindicate riproducono uno stralcio della sentenza di primo grado nella parte riassuntiva della testimonianza del M.llo (OMISSIS), una pagina costituisce la mera trascrizione letterale della pagina 36 della testimonianza del consulente resa all'udienza del 21/07/2020, le altre sono prive di considerazioni logiche. Non si trattava di confutare le risultanze degli accertamenti sui movimenti dell'imputato nel periodo in considerazione, svolti dalla PG in base alle celle telefoniche agganciate dall'imputato, quanto di introdurre un dato infinitamente piu' accurato derivante dal sistema di geolocalizzazione "Google". La Corte di appello avrebbe dovuto prendere in considerazione la testimonianza dell'UPG nella parte in cui introduceva un dato, l'ampio raggio di copertura delle celle telefoniche, talvolta anche di chilometri, tale da rendere privo di certezza il luogo nel quale si trovava esattamente il ricorrente al momento dei fatti. Il CT, invece, aveva ben spiegato che la geolocalizzazione del dispositivo consente di accertare l'esatto punto nel quale si trova il suo utilizzatore nel momento dato. Di tanto da' atto la stessa sentenza impugnata a pag. 47 che riporta pero' solo uno stralcio delle dichiarazioni del consulente, omettendo di riportare anche quanto da lui riferito in ordine al grado di precisione del rilevamento "Google" (circa 10 metri) e al modo con cui Google gestisce, in modo automatico, le informazioni sulla posizione del dispositivo seguendo, in ordine decrescente, l'ordine del miglior segnale (GPS, reti WiFi, celle telefoniche). Peraltro, la geolocalizzazione GPS opera sempre, per il sol fatto che l'utenza e' attiva, mentre la posizione rilevabile dalle celle telefoniche dipende dall'utilizzo effettivo dell'utenza (chiamata, ricezione/invio di messaggi). Aver pensato che i dati delle celle telefoniche e quelli di GPS e Wi-Fi fossero indifferenti ai fini dell'esatta localizzazione del telefono in uso al ricorrente, mostra quanto sia stato superficiale ed inadeguato il ragionamento della Corte d'appello. Affermare che ha lo stesso valore probatorio il dato della presenza del ricorrente in un punto qualsiasi dell'abitato di (OMISSIS) (coperto con un'unica cella dall'antenna in localita' (OMISSIS)), rispetto al dato della piu' precisa collocazione dello stesso in un raggio di dieci metri dalla sua abitazione o in un altro specifico indirizzo, e' assurdo ed illogico. Con riferimento al capo A della rubrica, non si rinviene alcun cenno, alcuna considerazione, alcun apprezzamento o valutazione dei risultati dell'accertamento tecnico svolto dall'ing. (OMISSIS). La Corte di appello insiste nel collocare il fatto quando la ragazza era infraquattordicenne, quindi nell'anno 2013, tra il mese di ottobre e quello di novembre, piu' precisamente, secondo quanto aveva affermato il Tribunale, una notte intera tra il sabato e la domenica. Nei motivi nuovi di appello era stato dedotto che, in base alle risultanze della consulenza tecnica di parte, il ricorrente non si era mai posizionato in via (OMISSIS) per una notte intera fra l'ottobre-novembre del 2013. In particolare, dai nuovi e piu' accurati dati di geolocalizzazione, e' stato accertato che l'utenza del ricorrente non si e' mai trattenuta, negli ultimi cinque mesi dell'anno 2013, per una intera notte presso un immobile sito in via (OMISSIS). Il dato probatorio e' dotato di autonoma forza dimostrativa ed e' palesemente incompatibile sia con la ricostruzione adottata dal Tribunale che dalla Corte di appello cosi' da inficiare radicalmente sotto il profilo logico entrambe le motivazioni. A non diverse valutazioni si espone la motivazione della sentenza impugnata in relazione al capo B della rubrica. Manca, anche qui, un qualsiasi cenno, considerazione, apprezzamento o valutazione dei risultati dell'accertamento tecnico svolto dall'Ing. (OMISSIS) dal quale risulta che il ricorrente, tra i mesi di novembre e dicembre 2013, non aveva mai stazionato presso il cimitero vecchio per un tempo apprezzabile e comunque sufficiente a commettere il reato ipotizzato. Non solo la Corte non si cura di rivalutare questi dettagli ma arriva persino a scrivere che non e' stata offerta alcuna concreta allegazione contraria alla ricostruzione dei movimenti operata dalla persona offesa laddove il CT aveva dimostrato che l'utenza dello (OMISSIS) si trovava nel centro del paese, ben lontano dalla strada panoramica verso il (OMISSIS). Analoghe considerazioni valgono per il fatto di cui al capo D che, secondo i giudici di merito, era stato commesso in localita' (OMISSIS) tra le ore 13,30 e le ore 17,30 di un giorno anteriore e prossimo al 09/12/2013 e comunque prima del 04/01/2014. Con i motivi di appello era stato dedotto che l'utenza dello (OMISSIS) non aveva mai interessato la localita' (OMISSIS) nelle ore pomeridiane dell'intero periodo in analisi. Nel periodo settembre 2013-gennaio 2014 l'unica permanenza del ricorrente in quella localita' e' stata segnalata il giorno 11 novembre 2013, in cui, peraltro, dalle ore 15,31 fino alle ore 17,29 l'utenza era rimasta agganciata alla rete Wi-Fi della propria residenza. Di certo egli non era mai stato in quella localita' nel mese di dicembre. Il dato e' particolarmente rilevante se si evidenzia, aggiunge il ricorrente, che secondo i giudici di merito egli nella circostanza in questione aveva certamente utilizzato il proprio telefono per chiamare il (OMISSIS). Con riferimento al reato di cui al capo E, la Corte di appello sembra interessarsi ai risultati dell'analisi tecnica della geolocalizzazione ma, nel tentativo di motivarne l'irrilevanza, cade in macroscopiche contraddizioni, travisamenti e manifeste illogicita'. Secondo il Tribunale il fatto andava collocato in (OMISSIS), nella strada vicino al (OMISSIS), il giorno 10/03/2014. In sede di appello il ricorrente aveva dedotto che in base agli accertamenti tecnici svolti dall'Ing. (OMISSIS), egli non era mai stato quel giorno presso il (OMISSIS). Il CT, esaminato in udienza, aveva affermato chiaramente che l'utenza del ricorrente, dalle ore 16,23 alle ore 19,27, era agganciata al WiFi della propria abitazione, in prossimita' di Via nazionale, 88, ed era stato da lui utilizzato (a dimostrazione del fatto che non l'aveva dimenticato a casa). Sottolinea che la localizzazione dell'utenza quel 10/03/2014 non era il frutto di un accertamento a campione (come sostiene la Corte di appello, che cosi' svilisce il dato) ma di una verifica mirata, ne' il fatto che l'esito di tale verifica fosse stato riferito per la prima volta in udienza, nel contraddittorio tra le parti, e non riportato nell'elaborato scritto toglie validita' al dato probatorio in tal modo inserito. Se la P.G. (a mezzo tabulati) accerta che i cellulari dei tre ragazzi erano agganciati all'antenna di (OMISSIS) e quindi si trovavano tutti all'interno della relativa e vasta cella di copertura (che copre tutto (OMISSIS)), il CT accerta che all'interno di quell'area ampia (indicata dai tabulati) il cellulare dello (OMISSIS) era esattamente localizzato in via (OMISSIS), in una sala giochi, lontano dal (OMISSIS). Incomprensibile, afferma, e' la critica secondo cui i risultati dell'analisi tecnica avrebbero scarsa precisione poiche' il consulente ha effettuato l'analisi "esclusivamente su una delle utenze telefoniche interessate"; si tratta di un'affermazione assurda che ben tratteggia la superficialita' della motivazione e quindi della decisione. L'imputato ha fornito una prova d'alibi: si trovava in altro luogo nel momento in cui la Corte di appello da' per commesso il reato. Peraltro, dai tabulati del 10/03/2014 dell'utenza in uso allo (OMISSIS), risulta che con la persona offesa vi era stato un fitto scambio di SMS (ben 32) tra le ore 18,02 e le ore 18,21, nonche' una conversazione a voce dalle ore 18,23 alle ore 18,26. L'omessa valutazione delle informazioni rinvenienti dalla CT (OMISSIS), conclude, vizia la motivazione in relazione sia ai singoli capi d'imputazione, sia in relazione al generale giudizio sull'attendibilita' delle dichiarazioni della persona offesa (e delle note e appunti dalla stessa redatti) ancora e nuovamente contraddette da dati oggettivi acquisiti al processo, motivazione che si pone anche in contraddizione con i dati probatori specifici assunti in rinnovazione istruttoria, perfino materialmente riportati in sentenza, e comunque in contraddizione con i dati risultanti chiaramente dalle dichiarazioni rese dal consulente in aula e riassunte nella relazione tecnica. 4.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), la nullita' dell'incidente probatorio relativo alla assunzione della testimonianza della persona offesa, l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese in quel contesto, la nullita' delle ordinanze che hanno respinto la questione in conseguenza dell'inosservanza e dell'erronea applicazione dell'articolo 33 c.p.p., in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera a) e articolo 179 c.p.p., nonche' degli articoli 24, 25 e 111 Cost., articoli 6 e 7 Convenzione EDU. Ricorda che l'audizione protetta della persona offesa era stata assunta in sede di incidente probatorio alla presenza del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale Ordinario di Reggio Calabria e del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria che hanno condotto congiuntamente e direttamente l'esame della minore. La nullita' dell'incidente probatorio era stata dedotta all'udienza dibattimentale del 20/12/2018 ed in conseguenza del suo rigetto riproposta in sede di impugnazione della sentenza di primo grado. Sia il Tribunale che la Corte di appello hanno disatteso le doglianze difensive sul rilievo che non sono state violate le norme sulla composizione dei collegi, non avendo i due GIP tenuto le udienze dell'incidente probatorio costituiti in collegio, ma semplicemente avendo tenuto udienza ed esercitato l'attivita' giurisdizionale "in corrispondenza temporale". In realta', obietta, in relazione alla propria posizione, nessun potere giurisdizionale poteva essere riconosciuto al GIP del Tribunale per i Minorenni, il quale, benche' non fosse il suo giudice naturale, aveva proceduto all'esame della persona offesa, elaborando e sottoponendo le proprie domande nel corso di tutte le udienze in cui si e' articolato l'atto istruttorio. Non si tratta del fatto che i due giudici abbiano tenuto udienza in contemporanea e nello stesso luogo, ma che il GIP del Tribunale per i Minorenni ha effettuato domane le cui risposte sono state poi trasfuse nel verbale di udienza del tribunale ordinario, registrate e trascritte e successivamente utilizzate nel corso dello stesso incidente probatorio, nel corso del processo, e, in ultima analisi, nel giudizio e nella decisione del Tribunale e della Corte di Appello in relazione all'imputato maggiorenne (OMISSIS). I due GIP non si sono limitati ad agire "in corrispondenza temporale", ma hanno interloquito ed esaminato come farebbe un qualunque collegio di tribunale, a nulla rilevando l'esistenza di un protocollo tra Uffici Giudiziari, il quale, mero strumento di prassi, non deroga ne' puo' derogare a norme di legge, e del quale e' stata probabilmente data una applicazione pratica scorretta. 4.3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione degli articoli 499 e 191 c.p.p., e il vizio di mancanza e manifesta illogicita' della motivazione in ordine al giudizio di attendibilita' della testimonianza della persona offesa. Con l'atto di appello - afferma - la difesa aveva evidenziato l'inattendibilita' delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in incidente probatorio, in quanto sollecitate con domande suggestive e nocive, in violazione delle regole del codice di rito per assicurare la sincerita' e genuinita' delle risposte (articoli 499 e 191 c.p.p.), tali da rendere la prova non genuina e poco attendibile. Inoltre, aveva formalmente eccepito la nullita' di tutte le domande suggestive rivolte a (OMISSIS) e la inutilizzabilita' conseguente di tutte le risposte date dalla minore a tali domande suggestive. La Corte di appello non ha colto il senso della deduzione, essendosi limitata ad affermare che il giudice di prime cure aveva tenuto conto di tali domande suggestive, indicandole espressamente e valutando caso per caso se le dichiarazioni rese a seguito di tali domande fossero assistite da riscontri. Anche per questo - afferma la Corte di appello - il Tribunale aveva utilizzato il criterio della credibilita' frazionata, ritenendo, appunto, la minore credibile solamente quando il suo narrato era stato riscontrato. La Corte territoriale - lamenta - non ha colto la questione giuridica sottesa alla doglianza e ha finito per recepire quanto espresso in primo grado, senza fornire puntuale risposta alle censure avanzate e la nuova valutazione di merito richiesta con il gravame. Il Tribunale aveva espressamente riconosciuto che nell'esame della persona offesa si riscontra una abnorme presenza di domande suggestive e la loro accertata influenza sulle dichiarazioni della stessa e, tuttavia, ne' il primo Giudice, ne' quello dell'impugnazione hanno tratto le necessarie conseguenze da questa constatazione: la completa assoluta compromissione della credibilita' della dichiarante. L'intero esame e' caratterizzato da suggestione e suggerimenti, domande nocive, domande canalizzanti, domande-affermazioni inducenti ad una correzione del narrato, domande piu' volte reiterate "per chiarimento"; e' caratterizzato da un utilizzo delle precedenti dichiarazioni rese al p.m. del tutto improprio, fuori da ogni schema di semplice "contestazione" e nell'ottica di una evidente prospettiva verificazionista, tramite domande e commenti connotati da un alto tasso di implicativita', in evidente violazione delle raccomandazioni della Carta di Noto e delle Linee Guida Nazionali per "L'ascolto del minore testimone" redatte dalla Consensus Conference del 2010. La conduzione diretta dell'esame del minore da parte del giudice rende assoluto il divieto di porre domande suggestive. Il consulente tecnico della difesa, Prof. (OMISSIS), ha rintracciato nell'esame dell'incidente probatorio almeno 361 domande suggestive (in tutte le articolazioni possibili: direttamente suggestive, ripetute, a risposta forzata, verificazioniste, a cui risponde il giudice stesso, in cui viene chiaramente suggerita la risposta). La Corte di Appello, richiesta esplicitamente con il gravame, avrebbe dovuto offrire una nuova ed esauriente valutazione della testimonianza e dell'attendibilita' della prova, il cui risultato si mostra inficiato a causa delle modalita' di assunzione, poiche' il metodo con cui il soggetto viene interrogato non e' neutrale rispetto alla sua attendibilita'. La risposta fornita, invece, e' contraddittoria: pur ritenendo l'irritualita' dell'esame, ritengono la testimonianza (il cui risultato era inaffidabile per il metodo con il quale era stato condotto l'esame) idonea ad essere posta a fondamento di una declaratoria di responsabilita', seppure solo per alcuni dei capi d'imputazione. Ne' la Corte prende in considerazione quanto evidenziato nell'atto di appello riguardante il grado di "suggestionabilita'" della persona offesa, risultante dagli approfondimenti psico-attitudinali condotti secondo il test di Gudjonsson, che tutti i consulenti descrivono come uno dei migliori per misurare la resistenza alla suggestione dell'esaminando. Da tale test e' emersa (lo riconosce il Tribunale) una cedevolezza alla suggestione pari al 20% delle domande (20 ogni cento). Era stato altresi' dedotto che la vittima, oltre alla "cedevolezza" involontaria (misurata dal test), manifesta una concreta propensione (o abilita') a cogliere le informazioni utili portate dalle domande suggestive per variare il proprio narrato, adeguandolo a quelle che sono le sopravvenienze e l'aspettativa dell'interrogante. L'espediente dei riscontri, utilizzato dai Giudici di merito, e' fallace: i riscontri esterni servono a corroborare dichiarazioni gia' caratterizzate dalla credibilita' soggettiva del dichiarante e dall'attendibilita' intrinseca del suo racconto, mai a puntellare una dichiarazione viziata perche' frutto di domande che tendono a suggerire la risposta al teste, ovvero forniscono le informazioni necessarie per rispondere secondo quanto desiderato dall'esaminatore. 4.4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), la nullita' dell'atto di assunzione delle informazioni testimoniali rese dalla persona offesa in sede di audizione protetta l'11/11/2015, l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese in detta sede, la nullita' della sentenza per violazione delle norme processuali disciplinanti le modalita', il regime, il valore probatorio delle contestazioni all'esame testimoniale e delle sommarie informazioni testimoniali rese in fase di indagini preliminari, in conseguenza dell'inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 362 c.p.p., comma 1, e articolo 198 c.p.p., comma 1. Deduce, altresi', la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione. Premette che l'11/11/2015 la persona offesa era stata esaminata in audizione protetta per l'assunzione di informazioni sui fatti per cui e' processo. Tali dichiarazioni sono state largamente utilizzate dai due G.i.p. in sede di incidente probatorio, non tanto e non solo per formali "contestazioni" ai sensi dell'articolo 500 c.p.p., commi 1 e 2, quanto, piuttosto, quale canovaccio dell'esame e mezzo per la formulazione delle domande suggestive e nocive che hanno caratterizzato integralmente l'incidente probatorio. L'audizione protetta, pero', non era stata preceduta dall'avviso alla testimone dell'obbligo di riferire secondo verita' quanto era a sua conoscenza, nonche' delle finalita' dell'audizione e della veste giuridica dell'esaminatrice, Dott.ssa (OMISSIS), esperto richiesto dell'assistenza ai sensi dell'articolo 351 c.p.p., comma 1-ter. Investita di specifico gravame, la Corte di appello ha disatteso l'eccezione difensiva con motivazione oscura, disordinata e contorta nella quale si mescolano affermazioni relative alla capacita' a testimoniare (inconferenti al tema proposto), a conclusioni giuridiche fuori da ogni logica e dal nostro sistema codicistico. La Corte territoriale semplicemente ignora l'esistenza del reato previsto dall'articolo 371-bis c.p., nonche' dei reati previsti agli articoli 368 e 378 c.p., cosi' come gli incombenti e le garanzie imposti dall'articolo 362 c.p.p. e articolo 198, comma 1, in esso richiamato. La Corte di appello sembra peraltro confondere gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'articolo 351 c.p.p. con quelli espletati ai sensi dell'articolo 362 c.p.p.. Delle due l'una: o si tratta di affermazioni rese alla Dott.ssa (OMISSIS) (ed in tal caso sono inutilizzabili come fonte di prova per la ricostruzione del fatto), o si tratta di dichiarazioni rese da persona informata dei fatti, inutilizzabili per il mancato avviso dell'obbligo di dire la verita'. La questione posta dalla difesa non riguardava un vuoto formalismo, ma la necessita' che la persona interrogata (futura testimone), fosse informata sulla natura dell'atto e sugli obblighi che incombevano sulla stessa, ben avendo presente che trattavasi di una quindicenne. Come riferito dagli operanti, la persona offesa e la madre furono prelevate, senza preavviso, dalla loro abitazione dai Carabinieri ed accompagnate presso il Tribunale di Palmi, ove (OMISSIS) venne condotta nell'aula delle audizioni protette e li' esaminata dalla Dott.ssa (OMISSIS). Ebbene, sia la madre che la ragazza hanno riferito che non compresero il motivo dell'audizione ed anzi pensarono e continuarono a pensare che la Dott.ssa (OMISSIS) agisse per conto del Tribunale per i Minorenni, per valutare un possibile allontanamento di (OMISSIS) dai genitori. Alla ragazza fu semplicemente detto che era "importante" (concetto ben diverso da quello di "obbligatorio per-legge") che dicesse la verita', senza alcun riferimento alle conseguenze derivanti da false dichiarazioni. In ogni caso, l'equivoco sulle finalita' dell'audizione protetta ragionevolmente indusse la minore a calibrare le risposte alle domande, spingendola a narrare una versione dei fatti "salvifica" e tale da non farla passare per una ragazza eccessivamente libera e quindi negletta dai genitori (ed in effetti, in seguito, il Tribunale per i Minorenni ritenne di intervenire sull'esercizio della capacita' genitoriale: il timore della minore non era affatto peregrino). 4.5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione degli articoli 188 e 191 c.p.p., nonche' la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione circa il giudizio sull'alterazione della capacita' testimoniale della persona offesa per sottoposizione a terapia E.M.D.R. e circa il giudizio di attendibilita' della testimonianza. Premette che con l'appello era stata dedotta l'inattendibilita' delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in incidente probatorio (in quanto raccolte dopo che la ragazza era stata sottoposta a terapia EMDR, tecnica idonea ad alterare la capacita' di ricordare e di valutare i fatti) e la loro inutilizzabilita' in quanto assunte in violazione dell'articolo 188 c.p.p. che vieta appunto tali tecniche. Era stato accertato che - dopo la "rivelazione" di quanto subito da (OMISSIS) - la madre decise di far visitare la minore dalla sua psicoterapeuta - la Dott.ssa (OMISSIS), semplice psicologa - la quale l'aveva sottoposta a terapia "EMDR" dalla primavera fino all'agosto del 2015, quindi prima dell'audizione protetta innanzi al Pubblico Ministero, e prima dell'esame in incidente probatorio. La motivazione della sentenza e', sul punto, del tutto carente e priva di completezza in relazione alle specifiche doglianze e rilievi formulati nel gravame, illogica nello sviluppo argomentativo, contraddittoria rispetto a specifiche risultanze istruttorie. In particolare, la Corte di appello non valuta in alcun modo le critiche dirette alle conclusioni sul tema della Dott.ssa (OMISSIS) (ed alla sentenza di primo grado che queste conclusioni recepiva), critiche semplicemente ignorate, e travisa quanto riferito sugli effetti della terapia EMDR dalla Dott.ssa (OMISSIS). La difesa aveva richiamato l'attenzione sul fatto, concordemente riferito dagli esperti sentiti in giudizio e dallo stesso Tribunale, che dopo l'EMDR i ricordi disturbanti legati all'evento traumatico hanno una desensibilizzazione e perdono la loro carica emotiva, con "la perdita della carica emozionale associata all'evento ricordato" (cosi' il Tribunale, pag. 194-195 della sentenza). Si chiedeva al giudice del gravame di rivalutare il giudizio, tenendo in considerazione che "il presente processo comporta il giudizio su atti sessuali e sulla volontarieta' di questi atti; e tanta parte del giudizio si basa sulla descrizione che di questa "volonta'" offre la persona offesa: anche a voler mettere da parte il dato della modificazione del ricordo nei suoi aspetti descrittivo-fattuali, gia' il fatto incontroverso che l'EMDR porti ad una riscrittura e modificazione dell'emozione associata al ricordo deve mettere in serio allarme il Giudice. Ricordando l'atto sessuale, in mancanza di una eclatante violenza "corpore corpori", che cosa, se non l'emozione del momento, differenzia il ricordo di atto voluto e agito dal ricordo di atto al quale ci si sentiva costretti- Se l'emozione legata ad un semplice "mi teneva la mano" o "aveva uno sguardo (spaventoso)" e' stata modificata dalla terapia, cosa puo' garantire che quanto riferito mesi o anni dopo (l'incidente probatorio e' del 2017) non sia frutto di una rilettura negativa dell'evento- Il "sentire" nel momento del fatto e' uno dei punti essenziali di questo processo. Quel "sentire" e' stato irrimediabilmente falsato." (pg. 26 appello). Che qualcosa fosse cambiato, del resto, lo ammette la stessa (OMISSIS) ("ho cambiato anche modo di pensare riguardo ad alcune cose, mi sono resa conto di altre cose, che allora non capivo, non percepivo allo stesso modo di ora (...) certe cose non me le spiego nemmeno ora di quello che facevo o di quello che potevo pensare"). La Corte di Appello non si cura minimamente della questione: in cio' manca la motivazione. La critica delle conclusioni sull'effetto della terapia EMDR andava ben oltre, e non e' stata correttamente affrontata dalla Corte di Appello, che ha violato le indicazioni interpretative di questa Corte di cassazione sul tema dell'escussione di minori e soggetti fragili ed, in particolare, sulla necessita' che l'escussione venga effettuata il piu' presto possibile, vicino ai fatti o alla loro emersione per cristallizzare la prova prima di una eventuale psicoterapia sulla vittima che non e' neutrale, mettendo in guardia dall'inevitabile incidenza del tempo e della terapia, secondo quanto prevedono le Linee Guida Nazionali per "l'ascolto del minore testimone" e la Carta di Noto. Se, per consolidato orientamento scientifico e giurisprudenziale, la sottoposizione a psicoterapia (quale che sia) puo' gia' di per se' influenzare la resa testimoniale, gli effetti della specifica terapia EMDR non sono stati soppesati in sede di merito. La Corte di appello, anzi, travisa le dichiarazioni rese della Dott.ssa (OMISSIS) e della Dott.ssa (OMISSIS) che non concordano affatto sugli effetti della terapia alla quale - ricorda il ricorrente - la ragazza fu sottoposta prima che rendesse le dichiarazioni testimoniali e due anni prima dell'incidente probatorio. Nell'atto di appello, la difesa aveva trascritto ed invitato la Corte di Appello a valutare, sul punto, le conclusioni tecniche del CT, (OMISSIS), in ordine all'attitudine della terapia a produrre falsi ricordi mediante la metodica dell'immagine mentale, come peraltro riconosciuto anche da una recente e specifica ricerca scientifica sull'argomento. La valutazione offerta dalla Corte di appello in risposta a questo specifico argomento e', deduce il ricorrente, praticamente inesistente, affidata ad un laconico "nulla di rilevante". La Corte di appello sembra piuttosto stigmatizzare il fatto che la difesa abbia messo in discussione la professionalita' del perito, Dott.ssa (OMISSIS) in quanto non accreditata nel mondo "scientifico-accademico non risultando al suo attivo pubblicazioni in materia" (pg. 38 sentenza C.App.). La questione non era tuttavia ininfluente, essendo principio giurisprudenziale indiscusso che nella scelta della teoria scientifica di copertura, tra quelle prospettate dagli esperti, il giudice non puo' che fare riferimento agli studi che sorreggono la tesi prescelta, alle basi fattuali sui quali essi sono condotti, all'ampiezza, rigore e oggettivita' della ricerca, all'attitudine esplicativa dell'elaborazione teorica, al grado di consenso che la tesi raccoglie nell'ambito scientifico, all'autorita' indiscussa e all'indipendenza del soggetto che ha gestito la ricerca. Nell'atto di appello non si voleva rimarcare solo l'inesperienza della Dott.ssa (OMISSIS), priva di inserimento nel mondo accademico, priva di specifica esperienza nel campo della ricerca sulle materie in trattazione, psicologa alla quale non e' riferibile alcuna pubblicazione di un qualche rilievo scientifico, ma il fatto che aveva macroscopicamente errato nella semplice valutazione di almeno due dei cinque test ai quali aveva sottoposto la testimone (il test "Minnesota" e il test di Gudjonsson). Nel corso della deposizione, il perito aveva piu' volte fatto riferimento a letteratura e teorie sfornite di ogni validazione scientifica ed ampiamente screditate sia dalla gran parte del mondo accademico, sia dalla concreta prassi della migliore giurisprudenza italiana. Non si prospettava alla Corte di Appello una gara di titoli, le si chiedeva di rivalutare e motivare la scelta delle conclusioni tecniche da porre a fondamento del giudizio alla luce dell'affidabilita' professionale degli esperti, della perizia nella valutazione dei dati (come gia' detto la Dott.ssa (OMISSIS) aveva pacificamente errato nel definire i risultati di due test su cinque), del fatto che solo quest'ultima ha ritenuto la terapia EMDR ininfluente sul ricordo. La circostanza che il prof. (OMISSIS) sia ricercatore e scienziato di indubbia competenza e fama (Professore Ordinario di Neuroscienze Forensi e di Neuropsicologia Forense dell'Universita' di Padova, Direttore del Master in Psicopatologia e Neuropsicologia Forense dell'Universita' di Padova, Direttore della Scuola di Specializzazione in Neuropsicologia dell'Universita' di Padova, autore di centinaia di pubblicazioni ed articoli scientifici nelle materie di competenza, pubblicati sulle migliori e piu' accreditate riviste scientifiche), non e' dettaglio che il giudice del merito poteva semplicemente ignorare. Si era chiesto alla Corte di appello di valutare anche la professionalita' della psicologa (non psichiatra, sottolinea il ricorrente) che aveva praticato la terapia EMDR dopo aver diagnosticato un disturbo post traumatico da stress senza aver prima somministrato alcun test psicodinamico e incurante delle devastanti conseguenze che la terapia avrebbe avuto sulla genuinita' della futura testimonianza. Peraltro, e' la stessa psicologa, sentita in dibattimento, ad ammettere di aver suggerito alla persona offesa - e quindi instillato in lei il falso ricordo - l'idea che la medesima fosse stata vittima di abuso e che i suoi rapporti fossero non-consensuali sul rilievo (errato) che a dodici/tredici anni una ragazzina non possa mai esprimere un valido consenso (tesi sconfessata dal Tribunale che ha assolto gli imputati da alcune delle imputazioni loro ascritte). 4.6. Con il sesto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), l'erronea applicazione dell'articolo 196 c.p.p., e la mancanza di motivazione in ordine al giudizio sulla capacita' a testimoniare della persona offesa. Afferma che con specifico motivo di appello erano stati evidenziati gli errori del Tribunale nella valutazione della capacita' di testimoniare della persona offesa chiedendo al giudice dell'impugnazione di dichiarare tale incapacita', ovvero di disporre una nuova perizia e di tenere comunque in considerazione i risultati delle consulenze tecniche. Nell'atto di appello, in particolare, si chiedeva di rivalutare criticamente i risultati di alcuni test psicodiagnostici e le conclusioni a cui erano giunti i consulenti tecnici. In particolare, si indicavano: a) il grado di "suggestionabilita'" di (OMISSIS), pari al 20% secondo il test di Gudjonsson epurato degli errori della Dott.ssa (OMISSIS); b) la sua scadente capacita' di linguaggio. La Corte di appello ha omesso ogni motivazione sulla questione, avendo affrontato l'argomento esclusivamente in relazione alla terapia EMDR ma disinteressandosi completamente delle altre censure sulla mancanza di capacita' clinica a rendere testimonianza. Nell'unica pagina nella quale la Corte di appello sembra affrontare l'argomento relativo alla capacita' di testimoniare (pag. 38), non appare per nulla chiaro se stia ancora trattando la questione "terapia EMDR" o se stia valutando la generale capacita' a testimoniare. Ne' l'onere di motivazione puo' ritenersi assolto dalla pura e semplice affermazione di condivisione delle valutazioni espresse dal giudice nel provvedimento impugnato, senza alcun reale vaglio critico dei motivi di censura ne' risposta puntuale in merito ad essi, in quanto cio' si traduce - nella sostanza - in una motivazione solo apparente. 4.7. Con il settimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione nel giudizio relativo alla attendibilita' della persona offesa circa il giudizio di responsabilita' per tutti i reati contestati. La Corte di appello, afferma, era stata chiamata a valutare: a) l'inattendibilita' della testimonianza della persona offesa (OMISSIS) in relazione alla genesi della testimonianza (il "giudizio" del nuovo fidanzato (OMISSIS) ed il confronto con i genitori, i motivi delle prime rivelazioni, i pettegolezzi correnti nel paese, le spinte a mentire nei primi racconti, le sollecitazioni ed il numero di ripetizioni del racconto, le aspettative di chi la sollecitava, il contenuto e le caratteristiche delle primissime dichiarazioni e le loro modificazioni a seguito delle reiterazioni sollecitate); b) le prove del deliberato mendacio di (OMISSIS): per le menzogne in ordine ad "appunti" e "note"; per la cancellazione delle memorie fisiche del computer e per le menzogne nel negarla; per l'incompatibilita' della narrazione originaria della persona offesa con i contenuti dei file rinvenuti sul suo computer (con conseguente cambio di versione); per le menzogne in ordine alla non volontarieta' dei rapporti sessuali avuti con (OMISSIS); per le menzogne in ordine alla non volontarieta' dei rapporti sessuali avuti con (OMISSIS); c) l'inattendibilita' del narrato per l'assenza di file - fra quelli recuperati che avallassero la narrazione di (OMISSIS). Si trattava di allegazioni idonee ad incidere sulla attendibilita' della persona offesa, la cui testimonianza rappresenta l'unica e decisiva prova a carico dell'imputato, indici di inattendibilita' che meritavano un'adeguata analisi da parte della Corte di Appello e che dovevano essere presi in considerazione e valutati dalla Corte di merito, poiche' in astratto idonei a destabilizzare il quadro accusatorio. La Corte di Appello ha omesso questa analisi: l'omessa valutazione delle allegazioni difensive, nella misura in cui queste ultime si presentavano in astratto idonee ad incidere sulla valutazione di attendibilita' della testimonianza della persona offesa, integra una carenza di motivazione che merita di essere emendata da altra Corte territoriale, attraverso un nuovo, questa volta completo e logico, giudizio sul punto. Quanto alla specificita' e decisivita' delle questioni devolute con l'appello, e frettolosamente disattese con il generico richiamo alla validita' del metodo di valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie, afferma di aver rimarcato che (OMISSIS) non era semplicemente stata ritenuta poco credibile su alcune circostanze riferite, ma erano state acquisite prove del deliberato mendacio delle stessa, cosi' che la Corte di appello doveva valutare quanto la falsa dichiarazione compromettesse la generale attendibilita' della ragazza secondo l'insegnamento della Corte di cassazione per il quale la verifica dell'intrinseca attendibilita' delle dichiarazioni puo' portare anche ad esiti differenziati, purche' la riconosciuta inattendibilita' di alcune di esse non dipenda dall'accertata falsita' delle medesime, giacche', in tal caso, il giudice e' tenuto ad escludere la stessa generale credibilita' soggettiva del dichiarante. In secondo luogo, la difesa aveva evidenziato che la certa e accertata inattendibilita' di significative parti della narrazione offerta dalla persona offesa era talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie e per insuperabili lacune e contraddizioni interne, da compromettere per intero la stessa credibilita' della dichiarante. Con l'appello si chiedeva che il giudizio sulla attendibilita' (frazionata) tenesse conto non solo dei fatti-reato per i quali e' stata ritenuta la responsabilita' (come afferma la sentenza a pag. 45), ma che fosse complessivamente rivolto a tutta la testimonianza, riconsiderando le cause che avevano portato il Tribunale alla pronuncia assolutoria per contestazioni certo non secondarie e richiedendo un nuovo e proprio giudizio della Corte sulla sussistenza di un'interferenza fattuale e logica tra le narrazioni dei singoli episodi contestati, tale da non consentire una reale parcellizzazione delle condotte. La Corte territoriale nulla aggiunge ad un immotivato "tali presupposti di interdipendenza... non ricorrono nel caso di specie" e ribadisce che "le contestazioni per le quali e' stata ritenuta la responsabilita' degli imputati sono distinte e riguardano episodi tra loro ben diversificati, sia dal punto di vista delle persone, che delle modalita', che della distanza cronologica, il che impedisce, appunto, tale intersecazione." (pg. 45 sent.). E tuttavia e' la stessa Corte di appello a contraddirsi quando ammette, almeno con riferimento al capo E un "incedere degli eventi criminali a suo danno" che mal si concilia con la valutazione frazionata del racconto della PO. Ma questo "incedere degli eventi criminali" e' nella natura della contestazione dei fatti, nello stesso editto accusatorio nel quale ogni episodio contestato si innesta come imprescindibile antecedente logico di quelli temporalmente successivi, tanto da proporre quasi un rapporto di causalita' necessaria nello sviluppo diacronico delle condotte criminose a danno della ragazza, indubbiamente inserendo ogni singolo fatto in un'unica concatenazione di eventi caratterizzante il rapporto tra la ragazza e il "gruppo", ovvero tra la ragazza e i singoli imputati. Tanto sono legati tra loro i singoli episodi che in tutto il dibattimento si e' cercato il filo conduttore che spiegasse l'asservimento della ragazza al "branco": il "ricatto" per la minacciata diffusione dei video (inesistenti) delle violenze, l'"abbindolamento" da parte dello (OMISSIS), la fama criminale della famiglia di uno degli imputati e la forza che una sua prima minaccia avrebbe esercitato per tutto lo sviluppo degli avvenimenti. In altri passaggi la valutazione di credibilita' della ragazza viene supportata da un ragionamento che confonde il piano dell'indagine sollecitato con l'offensivita' della condotta (il riferimento a pag. 40 della sentenza). Questo modo confuso di ragionare si coglie anche nella risposta, del tutto illogica, oscura, a tratti incomprensibile, al motivo con il quale si argomentava sull'inaffidabilita' generale della persona offesa derivante dal provato e deliberato mendacio della stessa nel riferire della cancellazione della memoria del suo computer. La Corte di appello avrebbe dovuto spiegare perche' la provata manomissione delle prove, che pure riconosce, "non sposta i termini della vicenda", spiegando la affermata ininfluenza di questa manomissione per il giudizio di affidabilita' della ragazza e di credibilita' dei suoi racconti (sul punto manca la motivazione); avrebbe dovuto spiegare in che modo, pur avendo la persona offesa negato di aver cancellato alcun dato prima di consegnare il pc (menzogna ripetuta dal fratello), questa falsa dichiarazione non poteva interagire col giudizio di affidabilita' e credibilita' della ragazza. La Corte di appello (che peraltro travisa le dichiarazioni della persona offesa che aveva riferito che il programma di "keylogger", grazie al quale rimaneva traccia di cio' che veniva digitato sul computer, era stato installato dal fratello a sua insaputa e su richiesta della madre, non gia' con il suo consenso) fa mostra di non aver ben compreso le censure difensive. La questione posta con l'atto di appello era la seguente: la persona offesa non ha mai inteso precostituirsi prove perche' all'epoca dei fatti non si sentiva vittima di nulla, accumulava dati (screenshot, conversazioni, foto...) relativi a tutte le sue relazioni ed amicizie (pg. 48-49 atto appello); richiesta dagli operanti di portare prove utili, fa invece formattare il pc; quando deve consegnare il pc per l'incidente probatorio, il giorno prima fa avviare dal fratello un programma di recupero dati (per vedere cosa era scampato alla formattazione) e subito dopo un programma di cancellazione (piu' efficace della formattazione); poi consegna il pc e, interrogati sul punto, lei e il fratello, rispondono sicuri che non hanno cancellato nulla (solo il perito li smentira'). Ebbene, lamenta il ricorrente, si chiedeva alla Corte di appello, alla luce di queste circostanze di fatto, di rimeditare il giudizio di generale affidabilita' della ragazza e di credibilita' dei suoi racconti: la Corte territoriale non ha compreso la doglianza e comunque ha omesso una vera e logica motivazione sul punto. La Corte di appello, inoltre, omette qualsivoglia motivazione in relazione alle questioni dedotte nei paragrafi Parte prima 2.3 -2.3.A e 2.3.13 e 2.3.0 dell'atto di appello a firma avv. (OMISSIS) (rispettivamente svolti da pg. 55, da pg. 60 e da pg. 69), sempre in tema di attendibilita' della persona offesa e di circostanze idonee a compromettere per intero la stessa credibilita' della dichiarante. In particolare si era evidenziato che i contenuti dei pochi file recuperati fra la mole di quelli prima nascosti e poi irreversibilmente cancellati dalla persona offesa avevano insanabilmente smentito i contenuti delle iniziali dichiarazioni rese da quest'ultima nel corso dell'audizione protetta e della prima udienza dell'incidente probatorio, tanto da costringerla - in cio' agevolata dalle domande suggestive - a modificare le proprie precedenti dichiarazioni, nella narrazione degli avvenimenti (vi erano state altre due udienze di incidente probatorio). Era stato dedotto che tanta parte del narrato della persona offesa era stato scartato, persino dal Tribunale, non tanto perche' incerto nei riferimenti fattuali o non riscontrato, non solo perche' smentita da dati probatori sopravvenuti, ma perche', messa di fronte alle contraddizioni, la ragazza aveva modificato le accuse che lanciava, evidenziando cosi' la precedente menzogna. L'assoluzione dal reato di cui al capo I, per esempio, e' derivata non dalla mancanza di riscontri ma perche' la dichiarazione della persona offesa, sul punto della riferita non consensualita' e della costrizione ai rapporti sessuali era stata smentita da incontrovertibili dati documentali sopravvenuti. Sulle menzogne della persona offesa al riguardo la Corte di appello non ha detto alcunche'. Erano state altresi' denunciate le menzogne della persona offesa in ordine alla non volontarieta' dei rapporti sessuali avuti con (OMISSIS): in un primo momento indicati come mai consensuali, poi, a fronte dei messaggi recuperati, costretta ad ammettere che cosi' non era. Anche su questo argomento la Corte di appello ha taciuto. Erano state anche denunziate le menzogne della persona offesa nel riferire sulla redazione di appunti e note; anche su questo punto la Corte omette ogni motivazione su quanto allegato. Giova peraltro evidenziare, afferma il ricorrente, che, con riferimento al tema relativo all'accostamento "attendibilita' frazionata-riscontri" come metodo di giudizio, anche le dichiarazioni relative agli incontri sessuali relativi al capo I avevano trovato dei riscontri come affermato dallo stesso Tribunale. In realta', sostiene il ricorrente, i giudici del merito hanno utilizzato impropriamente la valutazione frazionata delle dichiarazioni di (OMISSIS), teste che si era dimostrata inattendibile, e l'affermazione secondo cui "Anche per questo ha utilizzato (il Tribunale, n.d.r.) il criterio della credibilita' frazionata, ritenendo, appunto, la minore credibile solamente quando il suo narrato e' stato riscontrato." (pg. 45 sentenza C.App.), appare come un espediente retorico: la condanna si basa in realta' sull'assunto che ove il racconto della ragazza, pure riscontrato, e' stato smentito da dati documentali, si assolve; dove non si e' trovato modo di smentirlo (magari perche' in quel caso specifico non furono scambiati messaggi o magari perche' tali messaggi furono tra quelli cancellati da (OMISSIS)), si condanna. Perche' riscontri di contorno, nessuno in effetti legato al punto fondamentale della prestazione del consenso, e' facile trovarne. Risolvendosi cosi' il metodo di giudizio in una indebita inversione dell'onere della prova. Inoltre, che nel raccontare un singolo episodio (OMISSIS) sia riuscita a evitare contraddizioni e illogicita' non puo', di per se', fornire credibilita' allo specifico racconto reso da una testimone per il resto inattendibile e mendace. Parcellizzare il narrato della persona offesa, chiosa il ricorrente, non fa altro che affidare il giudizio alla circostanza, del tutto casuale, di non aver trovato documenti che smentissero il racconto (solo perche', come si e' visto, (OMISSIS) riusci' a cancellarli efficacemente, a differenza di altri episodi), oppure di essere riuscita la testimone a non modificare la versione (magari perche' in questo caso nulla le fu contestato durante l'esame da parte dei due GIP). Tale espediente non salva da un doveroso e logico giudizio di esclusione della generale credibilita' soggettiva della dichiarante, nelle cui dichiarazioni non e' in effetti possibile distinguere il vero dal falso, quanto frutto di suggestione, quanto frutto di falsi ricordi indotti dalla psicoterapia, quanto frutto di menzogne. La questione prospettata con l'atto di appello era seria, specifica, incidente su un punto decisivo: era dovere del Giudice del gravame esaminarla ed esaustivamente motivare. 4.8. Con l'ottavo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica, in relazione alla condanna per il reato di cui al capo A. In particolare, afferma, la Corte di appello omette di motivare sull'unico punto decisivo devoluto: la collocazione temporale del fatto, non di certo la consensualita' del rapporto implicitamente ammessa dal tipo di contestazione mossa (articolo 609-quater c.p.). Sul punto la Corte di appello contraddice il Tribunale sostenendo, apoditticamente, che "la versione fornita dalla vittima in sede di incidente probatorio e' stata lucida e puntuale anche di fronte a domande suggestive alla stessa poste dal GIP" (pg. 59 sent. C.App.), laddove i primi Giudici avevano affermato che dalle prove dichiarative non era possibile addivenire ad una collocazione temporale certa del fatto, essendosi affidato alla "prova documentale", costituita dal file "note" e dai file di screenshot delle conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS). E cio' a prescindere dalla omessa considerazione dei nuovi dati di geolocalizzazione, che escludono la presenza di (OMISSIS) per tutti gli ultimi mesi dell'anno 2013 nei luoghi del fatto, con le tempistiche riferite dalla persona offesa. 4.9. Con il nono motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 609-septies c.p., comma 4, n. 4), e il vizio di mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine al giudizio sulla connessione del reato di cui al capo A con altro delitto perseguibile d'ufficio. Invoca, al riguardo, l'applicazione del principio secondo il quale "la procedibilita' d'ufficio dei reati di violenza sessuale, per connessione con altro reato procedibile d'ufficio, presuppone l'esistenza di un collegamento reale secondo la previsione di cui all'articolo 12 c.p.p., e non meramente processuale che si ha quando in un medesimo contesto investigativo si abbia la scoperta di altro reato, perche' il riferimento a ogni forma "atipica" di connessione si risolve in una interpretazione "in malam partem", esclusa in campo penale." In ogni caso la Corte di appello ha fornito una motivazione contraddittoria sul punto avendo comunque affermato che tra i fatti non vi e' intersecazione. 4.10. Con il decimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica, in relazione alla condanna per il reato di cui al capo B anche in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1). Premessa la mancanza di credibilita' della persona offesa, afferma di aver investito la Corte di appello della doglianza relativa al fatto che il Tribunale non aveva tenuto conto delle contraddizioni in cui era incorsa (OMISSIS) nel raccontare il fatto (con cambi di versione relativi al nucleo centrale dell'episodio) e delle smentite che il narrato aveva trovato in dati probatori successivamente acquisiti. La Corte di appello ha disatteso la censura con motivazione incongrua e contraddittoria osservando che, sul punto, la persona offesa in sede di incidente probatorio aveva reso dichiarazioni particolarmente dettagliate e mai accondiscendenti alle domande suggestive poste. Affermare - osserva - che se il teste non asseconda la domanda suggestiva allora e' sincero, piu' che un sillogismo e' un paralogismo. In realta', se il teste non cede alla suggestione, potra' solo dirsi che la risposta non e' stata inquinata dall'intervistatore, ma resta impregiudicato il giudizio sulla verita' del contenuto della risposta. La Corte di appello aggiunge che sul fatto in parola la persona offesa "ha dimostrato un elevato grado di coerenza sia logica, che argomentativa a differenza di quella fornita dagli imputati, poco verosimili ed illogica" (pg. 65 sent.). Anche queste sono asserzioni, non spiegazioni. La Corte avrebbe dovuto motivare in ordine agli specifici dati che l'appello indicava come confliggenti con la asserita coerenza logica ed argomentativa. I Giudici distrettuali, afferma, non si sono curati minimamente del fatto che la testimone ha piu' volte cambiato versione in merito ad elementi decisivi del fatto, cosi' non rispondendo alla questione devoluta in gravame. Sulle dedotte incongruenze in ordine alle specifiche modalita' con cui sarebbe stata trattenuta all'interno dell'autovettura contro la sua volonta', la Corte di appello non spende una sola parola ed, anzi, offre una motivazione illogica rispetto alla questione che gia' il Tribunale aveva riconosciuto come effettivamente non riscontrata: il sistema di chiusura dell'autovettura nella quale si erano svolti i fatti (l'abbassamento della sicura, dispositivo assente nel tipo di macchina in questione). La Corte liquida in poche righe la questione qualificandola come non essenziale, dando prova di non aver compreso il senso della doglianza, tutt'altro che banale, visto che, come affermato nell'atto di appello, "nell'economia del suo racconto la chiusura della sicura rappresento' una determinante modalita' di costrizione, quella che le impedi' di andarsene. Tanto che essa e' stata espressamente indicata nel capo d'imputazione come modalita' di esercizio della violenza volta a costringere la minore a subire l'atto sessuale: "impedivano alla stessa di scendere dalla autovettura con violenza, consistita nel chiudere la sicura delle portiere"." (pg. 78 atto appello a firma avv. (OMISSIS)). La motivazione della Corte (e del Tribunale prima) e' illogica e contravviene ad un principio giurisprudenziale indiscusso. Infatti, i giudici del merito, per superare le aporie del complessivo narrato della persona offesa, staccano i singoli episodi l'uno dall'altro, per operare poi una valutazione frazionata delle dichiarazioni riferibili ad ognuno di essi. Qui si va oltre: si pretende di svolgere una valutazione frazionata delle dichiarazioni relative ad un singolo episodio, violando tra l'altro le stesse regole di giudizio che la Corte di appello si era data perche' il narrato non solo non ha trovato riscontro nei punti essenziali ma e' stato smentito sia per l'elemento della chiusura della vettura, sia dai nuovi dati di geolocalizzazione, che escludono la presenza di (OMISSIS) nei luoghi del fatto, con le tempistiche riferite dalla persona offesa. Ulteriore profilo di illogicita' e contraddittorieta' della motivazione e' rinvenibile nella considerazione per la quale il (OMISSIS) era uno sconosciuto per la persona offesa cio' che conferma la mancanza del consenso. Per la Corte di appello e' impensabile che la ragazza volesse avere un rapporto sessuale anche con (OMISSIS), perche' non lo aveva conosciuto in precedenza. La Corte sconta un pregiudizio moralistico, che e' nei fatti di causa smentito da un dato probatorio certo, riportato anche dal Tribunale, rinveniente dalla conversazione con lo (OMISSIS) nel corso della quale la ragazza lo sollecitava a coinvolgere in incontri sessuali "qualcun altro" senza dare ulteriori indicazioni e/o nominativi specifici. Non puo' non evidenziarsi, prosegue il ricorrente, che l'episodio in esame non e' poi cosi' dissimile da quello contestato al capo 3, che coinvolgeva un altro "sconosciuto" per (OMISSIS) ( (OMISSIS)): li' il Tribunale assolve, perche', fortunatamente per l'imputato, erano state rinvenute (tra i file scampati alla cancellazione) delle chat della persona offesa dalle quali "non (era) emersa alcuna tensione da parte della ragazza nei confronti dell'imputato" anzi si "evoca(va) l'atteggiamento attivo e partecipato della stessa" (pg. 242 sent. Trib.); qui si condanna il (OMISSIS) perche' non si sono trovati messaggi simili (magari perche' irrimediabilmente cancellati dalla persona offesa nella provata distruzione del suo archivio); non ci si chiede perche' non e' stato rinvenuto neanche un messaggio, tra le centinaia, ove (OMISSIS) mostrasse un minimo di disappunto verso (OMISSIS) per aver aiutato (OMISSIS) a molestarla. Ancora, la motivazione e' illogica quando afferma che "il dato dirimente che smentisce la ricostruzione dei fatti fornita dall'imputato (OMISSIS), ovvero che era stata (OMISSIS), mostrandosi senza pantaloni, ad offrirsi di avere un rapporto sessuale anche con lui, e' dato dalla circostanza, confermata dallo stesso ragazzo, che il rapporto non era stato consumato." (pg. 70 sent. C.App.). Per la Corte di appello, il fatto che l'imputato non abbia voluto commettere il reato di "atti sessuali con minorenne" (articolo 609-quater c.p.) e' dato dirimente per provare che la ragazza dice il vero e che quindi non vi fu sua disponibilita', ma un assalto che solo la strenua resistenza della vittima ha evitato arrivasse alla violenza carnale. Per la Corte, il fatto che un ragazzo riferisca di essere stato invitato ad avere un rapporto, ma che lo ha rifiutato (magari proprio perche', in tesi della Corte, la ragazza non aveva ancora 14 anni...), e' necessariamente spudorata menzogna. Si tratta di un argomento illogico. La motivazione e' apparente (e contraddittoria) circa la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1). La questione riguarda la collocazione temporale del fatto che la Corte di appello ritiene provata (mese di novembre 2013) in base alle dichiarazioni della ragazza e del di lei padre. Sennonche': a) in sede di impugnazione della sentenza di primo grado si richiamava quanto diffusamente allegato nel motivo di appello relativo al capo A ove vi era ampia critica alla ricostruzione cronologica offerta dal Tribunale di prime cure, ma nessuna risposta e' stata fornita sul punto; b) lo stesso Tribunale aveva ritenuto quelle stesse dichiarazioni tanto inaffidabili da affermare che "dalle prove dichiarative assunte nel corso dell'istruttoria non e' possibile addivenire ad una collocazione temporale certa di tali episodi" (pag. 196, sent. Trib.), quelle stesse prove che la Corte, con motivazione apparente e contraddittoria, ritiene idonee a collocare il fatto nel mese di novembre 2013. 4.11. Con l'undicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 56 c.p., in relazione agli articoli 609-bis e 609-octies c.p. e la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione circa il giudizio di sussistenza degli atti sessuali in relazione al reato di cui al capo B. Era stato dedotto, in appello, che il (OMISSIS) non aveva posto in essere alcun "atto sessuale" nei confronti della minore: egli avrebbe solamente tentato senza riuscirci - di avere con lei un rapporto sessuale. Non si poneva questione di "incompletezza del rapporto sessuale con (OMISSIS)", si chiedeva alla Corte di indicare quale "coinvolgimento della corporeita' sessuale" si sia in concreto realizzato, visto che (OMISSIS) non ne aveva riferito alcuno. La Corte omette di chiarire quale atto sessuale (pur nella larghissima accezione definita dalla Corte di Cassazione) abbia concretamente attuato (OMISSIS) sul corpo di (OMISSIS). In questo la motivazione manca. 4.12. Con il dodicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica, in relazione alla condanna per il reato di cui al capo D anche in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1). Con l'atto di appello era stata dedotta la mancanza di credibilita' della persona offesa (che aveva riferito di essere stata costretta al rapporto sessuale a quattro con (OMISSIS)), sia perche' il racconto era stato inquinato da domande nocive, sia perche' si era mostrato menzognero in aspetti decisivi, sia perche' la successiva condotta della ragazza, nei rapporti con gli stessi soggetti che l'avrebbero stuprata, era totalmente incompatibile con la riferita violenza. Era stata altresi' dedotta la problematica della percezione che dell'asserito dissenso potevano aver avuto gli imputati, di quale fosse stato in concreto il comportamento concludente di (OMISSIS) che potesse consentire agli imputati stessi di rendersi conto della asseritamente mutata volonta' della ragazza, sino a poco prima pienamente e volontariamente partecipe al rapporto a tre con lo (OMISSIS) e il (OMISSIS), tanto piu' che in precedenza la stessa era stata piu' volte consenziente a rapporti sessuali con (OMISSIS), sia da sola che in gruppo (capo A). La Corte di Appello, nella parte della motivazione dedicata all'argomento, mostra di non aver realmente preso in esame i motivi di appello (travisansoli), di non essersi soffermata sui dati probatori che venivano indicati, di non aver proceduto ad un nuovo e proprio giudizio, affastellando affermazioni illogiche e immotivate. In primo luogo, illogica appare la valorizzazione del preteso "riscontro" del narrato della minore, in relazione alla descrizione della casa dove si sarebbero svolti i fatti; che la ragazza fosse stata in quella casa non era stato contestato nel gravame e si tratta di elemento comunque neutro rispetto al punto della doglianza e del giudizio, se cioe' ci fosse stata costrizione o meno all'atto sessuale. In secondo luogo, la Corte di appello era chiamata a pronunciarsi proprio sulle questioni che la stessa da' per scontate e sulle quali era stato sollecitato il suo intervento: la prova che la ragazza si "dimenasse" (nell'accezione negativa che riconnette al termine la Corte) e che fosse "tenuta per i polsi" da (OMISSIS) e (OMISSIS), cosi' da essere bloccata dai due mentre il (OMISSIS) la stuprava, il fatto se la testimone avesse veramente dichiarato questo, se la dichiarazione era credibile o inquinata da domande nocive e suggestive o dalla psicoterapia EMDR, se il suo comportamento fosse compatibile con quelli successivi. La difesa aveva richiamato la valutazione del consulente tecnico, prof. (OMISSIS), sulle modalita' di conduzione dell'esame e sui risultati giungendo alla conclusione che il ricordo non era spontaneo, ma la Corte di appello non se ne e' curata. Ma la Corte di appello va oltre persino i risultati che avevano ottenuto i GIP con le loro domande suggestive: trattando della posizione di (OMISSIS), scrive che "l'avere attivamente partecipato al compimento degli ulteriori atti sessuali posti in essere all'arrivo del (OMISSIS), fra cui bloccare tutti i tentativi che la vittima faceva per divincolarsi, fa ritenere integrata la fattispecie". Sennonche' la ragazza aveva riferito di non avere manifestato alcun dissenso, di non avere "gridato", di non avere "scalpitato", incalzata dalle domande suggestive dei due G.I.P. si era spinta a dire che "si muoveva". Nell'atto di appello era stato evidenziato come la ricostruzione del fatto non fosse credibile, considerato il comportamento della ragazza ad esso successivo, tanto incompatibile con lo stupro da non potersi credere che si sia effettivamente verificato. In particolare, si richiamavano i contenuti delle conversazioni che successivamente la persona offesa aveva intrattenuto con lo stesso (OMISSIS) (il riferimento e' alle chat del febbraio 2014). Facendosi logica applicazione della comune esperienza, non puo' credersi - sostiene il ricorrente - che una ragazza, costretta e violentata nel modo descritto, possa poi parlare cosi' tranquillamente con uno dei suoi aguzzini. Assurdamente la Corte si premura di ricordare che la prima parte del rapporto era stata consensuale, ma il fatto che (OMISSIS) l'avesse subito dopo trattenuta per i polsi costringendola a subire lo stupro di (OMISSIS), mal si concilia con una chat nella quale la vittima non esprime alcun rancore, proprio parlando di quell'episodio, anzi lo ricorda con piacere. Ancora, la Corte di appello ha negletto alcune chat di epoca successiva dimostrative di quanto il rapporto tra (OMISSIS) e (OMISSIS) fosse improntato ad amicizia e forse ad un timido e reciproco interesse affettivo, decisamente poco compatibile con la partecipazione del (OMISSIS) ad una violenza carnale. Si evidenziava che (OMISSIS) riferiva di aver avuto altri rapporti sessuali con (OMISSIS) e (OMISSIS) del tutto consensuali, ma della compatibilita' di tali atteggiamenti con la violenza sessuale di gruppo di cui al capo D non e' fatta menzione. E cio' senza considerare che in un primo momento la persona offesa aveva descritto in termini negativi il suo rapporto con il (OMISSIS), salvo poi cambiare versione quando le erano state mostrate le chat nelle quali descriveva molto positivamente il rapporto sessuale con lo (OMISSIS) ed il (OMISSIS) che aveva immediatamente preceduto lo stupro. Ne' la Corte di appello prende in considerazione i dati relativi alla geolocalizzazione dello (OMISSIS) nei tempi e luoghi da essa riferiti. Del tutto apparente, infine, e' la motivazione sulla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter cpv. c.p., n. 1), in considerazione dell'eta' della ragazza al momento del fatto avuto riguardo al tempo del commesso reato, indicato dalla rubrica in data anteriore e prossima al 09/11/2013 e validato dalla Corte di appello in considerazione del fatto che la persona offesa dal 29/12/2013 al 04/01/2014 aveva avuto una relazione sentimentale con un altro ragazzo. Sicche' deve ritenersi del tutto inverosimile che a gennaio, durante tale relazione del tutto soddisfacente per (OMISSIS), quest'ultima avesse questo rapporto sessuale di gruppo prima consenziente e poi violento, tanto piu' che la stessa aveva collocato il fatto sicuramente dopo le vacanze natalizie. Lamenta la natura congetturale del ragionamento seguito dalla Corte per disattendere il dato riferito dalla vittima: a) in primo luogo, afferma, non si comprende da dove deriva l'assunto che la relazione con (OMISSIS) fosse "del tutto soddisfacente" visto che lo stesso Tribunale aveva sminuito la relazione affermando che non si era trattato di un vero e proprio fidanzamento; b) durante le proprie relazioni (OMISSIS) vedeva altri ragazzi, con i quali aveva anche rapporti sessuali, anche di gruppo. 4.13. Con il tredicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione circa il giudizio di responsabilita' per il reato di cui al capo E. In primo luogo, afferma, la Corte di appello non si cura della denunciata contraddizione tra la condanna di (OMISSIS) e (OMISSIS) per il capo E (violenza sessuale commessa il 10/03/2014 - datazione rideterminata dal Tribunale - pg. 223 sent. Trib.) e l'assoluzione degli stessi dal reato di cui al capo I (violenza continuata con episodi dal (OMISSIS)): anzi, platealmente ne distorce la valenza. Il punto, afferma il ricorrente, e' che non e' possibile ritenere, sul piano logico, che le minacce profferite il 10/03/2014 avessero esaurito la propria forza intimidatrice poco piu' di un mese dopo. La questione, devoluta in appello, e' rimasta irrisolta avendo la Corte di appello semplicemente affermato che la ragazza inizialmente non aveva mai avuto rapporti consensuali con lo (OMISSIS). Ma sui rapporti con costui la ragazza aveva mentito; solo il recupero dei file che (OMISSIS) sperava di avere definitivamente cancellato ha dimostrato che la realta' era ben diversa e che la minore, ancora una volta, aveva deliberatamente mentito nel riferire la non volontarieta' dei rapporti sessuali intercorsi con (OMISSIS), ben evidente dagli screenshot delle conversazioni WhatsApp dai quali emerge che la ragazza ha l'ultima parola su se e quando vedersi, facendosi anche parte attiva nell'introdurre il discorso su pratiche sessuali. L'argomento del mendacio e' stato oggetto di articolato e specifico motivo di appello ma la Corte territoriale omette una motivazione congrua. Ne' puo' soccorrere, a salvare da illogicita' e contraddizione il giudizio, il pretesto della valutazione frazionata. Il fatto di cui al capo "E" viene indicato come il primo episodio di una nuova fase di sopraffazione della persona offesa, la quale, terrorizzata da (OMISSIS) si sarebbe vista costretta a subire rapporti sessuali a cui avrebbe partecipato anche (OMISSIS); sono le stesse minacce proferite in occasione del capo E che consentono il verificarsi dei fatti contestati al capo I (ma pure J e K), minacce che la persona offesa riferisce che le furono sempre ripetute per forzarla. Sussiste, dunque, quella "interferenza fattuale e logica" che la Corte di cassazione indica come limite di ammissibilita' della valutazione frazionata. Appare quindi fuorviante l'energia che la Corte di Appello spende nel riportare asseriti "riscontri", in realta' elementi marginali o di dubbia forza persuasiva, per altro ricollegandoli in modo illogico (il ricorrente si riferisce al malgoverno logico dell'aggancio dei cellulari dei tre ragazzi, la PO e i due imputati, alla medesima cella telefonica che, pero', dominava tutto l'abitato di (OMISSIS), laddove erano stati offerti dati piu' precisi mediante la geolocalizzazione dell'utenza dell'imputato; alla neutralita' del dato rinveniente dalla mancanza di contatti tra la PO e lo (OMISSIS) negli intervalli di tempo compatibili con la collocazione temporale del fatto, che pero' non esclude che i due avessero utilizzato WhatsApp, applicazione non intercettata dalle celle telefoniche, laddove tra i due vi era stato un fitto scambio di sms - ben 32 messaggi - tra le ore 18.02 e le ore 18.21, nonche' una telefonata a "voce" durata dalle 18.23 alle 18.26, dopo cioe' che era stato consumato lo stupro). La Corte, inoltre, indica come "riscontri" quanto scritto da (OMISSIS) sui post-it e sulle note che consegno' agli inquirenti; bizzarro - annota il ricorrente - che si considerino "riscontri" per una dichiarante inattendibile degli appunti dalla stessa scritti, non si sa come, non si sa quando, e sulla cui redazione (OMISSIS) aveva piu' volte mentito. La affidabilita' di questi riscontri documentali costituiva specifico motivo di appello del tutto negletto dalla Corte territoriale. Lamenta, inoltre, che la Corte di appello ha ritenuto l'esistenza di un "metus" della ragazza verso lo (OMISSIS) gia' smentito dal Tribunale e le ragioni della cui insussistenza erano state ampiamente dedotte in appello ma del tutto ignorate. La superficialita' del giudizio della Corte di appello traspare di nuovo, conclude il ricorrente, nella affermazione per la quale proprio tale "metus" avrebbe dovuto "sconsigliare" la persona offesa dal coinvolgere nei fatti proprio un componente della famiglia (OMISSIS). La Corte di Appello, pero', ha omesso di valutare i motivi di impugnazione (paragrafi Parte prima - 1.1 e 1.2) sulla genesi della testimonianza: i primi nomi che la persona offesa fa sono proprio quelli in relazione ai quali giravano per il paese voci incontrollate di rapporti sessuali, rapporti dei quali, con specifico riferimento a (OMISSIS) e (OMISSIS), le chiedeva sprezzantemente e violentemente conto il nuovo fidanzato (OMISSIS). 4.14. Con il quattordicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 600- quater c.p., rubricato ai capi F ed H, e il vizio di mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione sul punto. In sede di impugnazione, afferma, erano state devolute le seguenti questioni: - sui dispositivi informatici sequestrati all'imputato non erano state rinvenute fotografie riconducibili alla minore; - non era emersa la prova che immagini pornografiche, di cui pure si parlava nelle chat, fossero mai state effettivamente inviate a (OMISSIS), o meglio dallo stesso ricevute; - la chat (riportata a pg. 229 sent. Tribunale) nella quale (OMISSIS) scriveva a (OMISSIS) "manda una tu" non e' univocamente riferibile a una richiesta di una foto pornografica, e soprattutto non e' seguita dall'invio di una foto pornografica. La Corte di appello, osserva, ha disatteso i rilievi difensivi in base ai seguenti argomenti: a) "Dagli scambi, risultanti dai documenti informatici, di foto e dialoghi aventi ad oggetto ed inerenti a materiale pornografico emerge, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la prova che le immagini pornografiche di cui le parti discutevano ampiamente erano state effettivamente inviate agli appellanti e dagli stessi ricevute e detenute"; b) ve ne e' prova nel fatto che la PO, conversando con (OMISSIS), aveva riferito di aver fatto autoscatti di pose in atteggiamenti inequivocabilmente a sfondo sessuale per lo (OMISSIS), alludendo esplicitamente all'invio di foto pornografiche. Sennonche', lamenta il ricorrente, la Corte di appello non indica quali siano i documenti informatici di cui al punto a), ne' la loro collocazione nel fascicolo processuale. Quanto al punto sub b), la circostanza che la persona offesa avesse riferito, nella chat menzionata dalla Corte di appello, di avere tenuto una condotta, non prova che l'abbia effettivamente tenuta e che non stesse invece mentendo per fare ingelosire il suo interlocutore. Aggiunge che l'unico invio di una unica foto e' contenuto nella chat richiamata a pg. 232 della sentenza del Tribunale e che essa ritrae solamente parte di un busto, si' da non poter essere considerata alla stregua di materiale pornografico, non trattandosi di organo genitale. In ogni caso, non vi fu alcuna richiesta da parte dell'imputato (come inutilmente dedotto in appello); fu infatti la ragazza a chiedere al ricorrente se volesse vedere una cosa (domanda che, peraltro, poteva precedere l'invio di qualsiasi genere di materiale, non necessariamente pornografico, annota il ricorrente). Questi, dunque, nell'unico caso in cui privatamente gli era stata inviata una foto, non aveva tenuto alcuna condotta riconducibile al concetto di "procurarsi il materiale" di cui all'articolo 600-quater c.p.. Ne', d'altra parte, vi e' prova che la fotografia, pur ricevuta, sia stata, almeno per un tempo apprezzabile, conservata e quindi "detenuta" ai sensi della norma incriminatrice (anche su questo - conclude il ricorrente - la Corte non' offre risposta e motivazione). 4.15. Con il quindicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione circa il giudizio di responsabilita' per il reato di cui al capo M. Afferma di aver censurato, in appello, la decisione del Tribunale di aver ritenuto sussistente il contestato disturbo da stress post traumatico in capo alla persona offesa, senza disporre una perizia medico-legale che fosse effettuata quantomeno da un esperto in psichiatria e medicina legale. Non vi era stata, infatti, alcuna indagine di questo tipo, indagine che i consulenti tecnici della difesa avevano pur indicato come necessaria. Il Tribunale aveva ritenuto di poter utilizzare le dichiarazioni della Dott.ssa (OMISSIS), ma si trattava di decisione errata sotto diversi profili: la testimone non aveva fornito alcun dato verificabile, non avendo, per sua stessa ammissione, somministrato alcun test psicodiagnostico; non aveva le competenze per una valutazione medico-legale, trattandosi di una semplice psicoterapeuta; aveva mostrato scarsissimo rigore scientifico e non aveva particolari necessita' di indagare causa, nesso causale, entita' del disturbo, essendosi esclusivamente preoccupata della terapia. In ogni modo, un testimone non puo' surrogarsi ad un perito, essendo molto diverso il tema di prova sottoposto al contraddittorio dibattimentale: la Dott.ssa (OMISSIS) poteva solo riferire su dati di fatto, non esprimere pareri sulla loro interpretazione. Della questione non si era occupata nemmeno la Dott.ssa (OMISSIS) non essendole stata demandata una valutazione medico-legale in sede di conferimento dell'incarico. L'accertamento di "eventuali deviazioni comportamentali e/o altri segni rivelatori dell'esperienza della violenza subita" non e' assimilabile ad un quesito di diagnosi e nesso di causalita'. Inoltre, e' principio condiviso dalla migliore scienza che "Le evidenze scientifiche non consentono di identificare quadri clinici riconducibili a specifica esperienza di vittimizzazione, ne' ritenere alcun sintomo prova di un'esperienza di vittimizzazione o "indicatore" di specifico traumatismo" (linee guida CF). Infine, la Dott.ssa (OMISSIS) non possedeva le necessarie competenze tecniche. La Corte di appello non ha preso in considerazione nessuna delle valutazioni tecniche offerte dalla difesa in sede di appello arrivando a desumere una cosi' complessa diagnosi persino dalle dichiarazioni della madre della persona offesa. In secondo luogo, era stato censurato il giudizio di riconducibilita', in termini di certezza, della malattia di (OMISSIS) alla condotta di (OMISSIS). Anche su questo aspetto la motivazione della Corte manca del tutto, cosi' come manca il nuovo esame alla luce delle censure articolate. La Corte di Appello si adagia, come gia' il primo Giudice, sul concetto di concorso di cause che, tuttavia, non puo' essere mezzo per eludere la prova del nesso di causalita' tra condotta ed evento. Se non si e' in grado di attribuire i disturbi di (OMISSIS) con certezza alla condotta di (OMISSIS), o con certezza ai maltrattamenti da parte di (OMISSIS), o con certezza alla conflittualita' familiare, non puo' semplicemente dirsi che tutto puo' aver contribuito e quindi ritenere sussistente il reato contestato all'imputato. La Corte territoriale non ha fornito una puntuale motivazione sul punto. 4.16. Con il sedicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche che la Corte di appello non ha applicato con motivazione stereotipata che non ha tenuto conto degli argomenti difensivi allegati: l'incensuratezza, la mancanza di carichi pendenti, l'eta' (all'epoca dei fatti il ricorrente era poco piu' che ventenne - in una situazione in cui la giovanissima eta' ha evidentemente inciso sulla percezione del disvalore delle condotte imputate), le condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell'imputato, proveniente da una famiglia semplice, di modesto livello culturale. 4.17. Con il diciassettesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 185 c.p., articoli 2043, 2055, 2056 e 1226 c.c. e il vizio di mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla sussistenza del danno risarcibile e alla quantificazione della provvisionale. Afferma che con l'appello aveva sostenuto la mancanza di prova dell'esistenza di un danno risarcibile derivante dalle condotte da lui ipoteticamente tenute nei confronti di (OMISSIS), unica persona offesa dei reati per i quali e' intervenuta la condanna. La Corte di appello era stata sollecitata a dichiarare inammissibile, per mancanza di legittimazione o comunque perche' infondata, la richiesta di risarcimento del danno avanzata dagli enti territoriali fondata sul sol fatto che il reato era stato commesso nel territorio di rispettiva competenza. L'affermato danno all'immagine degli enti pubblici in questione e' risarcibile solo in caso di delitti contro la pubblica amministrazione posti in essere dai pubblici dipendenti, qualifica assente in tutti gli imputati. L'immagine deteriore del Comune o della Regione ove si sono svolti i fatti e' responsabilita' dei servizi giornalistici e non potrebbe risolversi che in una responsabilita' risarcitoria in capo a quei giornalisti e testate che avessero utilizzato affermazioni offensive e prive di riscontro e continenza. Era stato altresi' impugnata la condanna al risarcimento in favore sia della Regione Calabria, sia del suo Ufficio del Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza, cosi' duplicando, di fatto in favore del medesimo ente territoriale, la pronuncia risarcitoria. La Corte di appello omette ogni motivazione sul punto anche in relazione all'esistenza di un autonomo danno risarcibile in capo all'Ufficio del Garante che la sentenza qualifica come "Istituzione" ma della cui natura giuridica nulla si sa, non essendone stato acquisito nemmeno lo statuto. Ricorso Avv. (OMISSIS). 4.1. Con il primo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), l'erronea applicazione dell'articolo 362 c.p.p., la nullita' dell'audizione protetta dell'11/11/2015 e l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese in quella sede perche' non precedute dall'avvertimento dell'obbligo di dire la verita'. Gli argomenti dedotti sono del tutto analoghi a quelli devoluti con il quarto motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). In questa sede il ricorrente ribadisce che le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di audizione protetta erano state assunte dal PM e non dalla PG, come sembra invece affermare la Corte di appello. L'inutilizzabilita' delle dichiarazioni in tal modo rese riverbera i suoi effetti sulla utilizzabilita' delle dichiarazioni rese in sede di incidente probatorio. 4.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), l'erronea applicazione dell'articolo 499 c.p.p., comma 5, la nullita' dell'audizione protetta dell'11/11/2015 e l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese dalla minore in quella sede per l'indebita sottoposizione e utilizzazione di appunti redatti anche da altri. Deduce che nel corso dell'incidente probatorio, all'udienza dell'8/02/2017, alla persona offesa erano state esibite le fotocopie degli appunti vergati dal padre sotto dettatura della figlia medesima, nonche' altri appunti che la ragazza aveva affermato essere stati redatti copiandoli dall'agenda del telefonino e da quest'ultima consegnati agli stessi Ufficiali di P.G. operanti al ritorno dall'audizione protetta. Dunque, in assenza di esplicita autorizzazione, resa ex articolo 499 c.p.p., comma 5, la difesa aveva sostenuto che la prova dichiarativa era inficiata da nullita'/inutilizzabilita', poiche' la propalante aveva consultato quegli appunti inficiando il ricordo e la genuinita' del racconto. Diversamente da quanto sostiene la Corte di appello, la doglianza non era volta a censurare (solo) il metodo di formazione di quel memorandum, bensi' la sua utilizzabilita' nel corso dell'incidente probatorio, laddove l'incombente istruttorio e' divenuto un ibrido tra il documento precostituito e la prova dichiarativa, essendo stato preservato solo formalmente il valore dell'oralita' attraverso l'effettuazione dell'esame della p.o., ma influenzandone in maniera determinante i contenuti. Oltretutto, a differenza di quanto accade per i testimoni appartenenti alla P.G., sovente, nella prassi, autorizzati a consultare atti fidefacenti in aiuto alla memoria, nel caso di specie si trattava di annotazioni redatte congiuntamente dal padre della PO e dalla PO stessa, in mancanza di una norma codicistica di "copertura" legittimante siffatto modus procedendi. In quegli appunti erano contenuti elementi decisivi per l'individuazione degli autori delle violenze e per la collocazione temporale dei fatti, elementi che hanno fornito non solo il canovaccio (sostituendo ed alterando il ricordo) attraverso il quale si e' dipanato il narrato, ma altresi' il riscontro a quanto dalla minore dichiarato, secondo una logica connotata da autoreferenzialita'; invero, il dato probatorio si sarebbe dovuto ottenere, nella compiutezza e nella trasparenza del contraddittorio, esclusivamente mediante la rievocazione testimoniale della teste, cosi' da non vanificare la portata del principio di separazione tra le fasi e non consentire, di fatto, il passaggio diretto in dibattimento (di cui l'incidente probatorio e' anticipazione) del materiale precostituito dalla persona offesa (poi parte civile). Peraltro, diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello, il Tribunale aveva espresso forti riserve sulla validita' della testimonianza resa dal padre della persona offesa, siccome sollecitato a rispondere alle domande del PM con continui riferimenti agli "appunti" da lui redatti insieme con la figlia (tanto che, il Collegio, al fine di "sanare" la testimonianza, aveva proceduto a un nuovo ed integrale esame del teste, senza fare alcun riferimento agli appunti, escludendo, finanche, che potessero essere stati acquisiti ai sensi dell'articolo 493 c.p.p., comma 3. E' evidente, dunque, l'irritualita' dell'avvenuta consultazione degli appunti e, ancora di piu', che alcuna autorizzazione era intervenuta, ne' nel corso dell'incidente probatorio, ne' nel corso del dibattimento. Stante l'assenza di espresso consenso delle parti in ordine all'acquisizione del manoscritto (formato al di fuori del processo da una parte privata e acquisito senza il consenso delle difese) l'assenza di richiesta di consultazione da parte della testimone e l'assenza di autorizzazione, considerando, anche, che la prova dichiarativa si e' sviluppata sulla base del canovaccio risultante dagli appunti cui la teste si e' affidata, per apparire piu' attendibile e credibile, collocando temporalmente i singoli episodi (divenuti, poi, capi d'imputazione), ne e' stata cosi' minata, irrimediabilmente la sua attendibilita'. La prova dichiarativa acquisita, sia in sede di audizione protetta, sia nel corso dell'incidente probatorio, anche per tale motivo, va dichiarata nulla e/o inutilizzabile, con consequenziale annullamento della sentenza che su quella si e' appoggiata. 4.3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), la violazione e l'erronea applicazione dell'articolo 499 c.p.p., commi 2 e 3, e l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese in incidente probatorio dalla persona offesa poiche' condotto in violazione del divieto di porre domande suggestive e nocive. Deduce altresi' l'omessa motivazione sul punto e il vizio di motivazione mancante, contraddittoria e manifestamente illogica in ordine alla valutazione della testimonianza resa dalla PO. Gli argomenti a sostegno dell'eccezione sono gli stessi gia' illustrati dall'Avv. (OMISSIS) con il terzo motivo del suo ricorso. Precisa che i GIP non si sono limitati a porre domande suggestive, ma hanno posto anche domande nocive. Al riguardo afferma che il racconto della vittima e' stato sollecitato da domande (in gran parte tese a dimostrare la penale responsabilita' dei due maggiori imputati), che lungi dal limitarsi a "rinverdire" il ricordo della minore o dal contenere semplici inferenze deduttive, hanno posto la persona offesa in una condizione di soggezione inducendola a rispondere secondo le modalita' attese e confermando le aspettative di risposta nutrite dal sollecitante. La Corte di appello aggira la questione (si vedano, sul punto, gli argomenti gia' illustrati dall'Avv. (OMISSIS)) e non fornisce risposta alla natura "nociva" delle domande poste. Con riferimento alla valutazione della testimonianza della persona offesa, lamenta l'illegittimo ricorso alla valutazione frazionata delle dichiarazioni di quest'ultima. Per un primo profilo deduce l'omessa motivazione sulla questione devoluta con l'appello in ordine alla contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione sulle (censurate) modalita' di assunzione e valutazione della testimonianza resa dalla persona offesa, poiche' pur in presenza di plurimi fattori inquinanti, incidenti sull'attendibilita' della persona offesa, si era ritenuto "di procedere ad una valutazione frazionata delle dichiarazioni di quest'ultima". La Corte di appello semplicemente non motiva sul punto. Le critiche alla credibilita' della persona offesa, aggiunge, muovevano dalle stesse considerazioni del primo Giudice in ordine: a) alla scarsa capacita' di rendimento della ragazza; b) al suo grado di suggestionabilita'; c) alla sottoposizione a trattamento EMDR; d) al giudizio "postumo" del nuovo fidanzato della persona offesa in relazione alla vita sessuale di quest'ultima precedente il loro rapporto. Da tale base di partenza veniva attaccata la sentenza di prime cure, poiche' quelle criticita' che avevano condotto il Tribunale ad "optare" per la credibilita' frazionata, avrebbero dovuto, invece, far deporre per un giudizio di inattendibilita'. Al fine dell'attendibilita' delle dichiarazioni rese in sede processuale, dovevano essere valutate attentamente la genesi delle accuse (maturata in un contesto di forti frizioni familiari) e la loro (eventuale) spontaneita': (OMISSIS), infatti, nella prima parte del 2015, aveva (almeno parzialmente) riferito degli incontri con gli imputati al fidanzato (OMISSIS), il quale, in preda a una sorta di "gelosia retroattiva", introduceva l'elemento del "giudizio" in capo alla persona offesa, tanto da lasciarsi andare a crisi di isteria conducenti ad atti di autolesionismo. Ella inoltre si era confidata con l'amica (OMISSIS) ed infine aveva redatto il tema scolastico nel quale esternava il proprio malessere addebitandolo ai genitori: quindi, aveva raccontato i fatti alla madre su sollecitazione della stessa, preoccupata proprio per il contenuto dell'elaborato con il quale la ragazza aveva lanciato un j'accuse nei confronti dei genitori, rei di non aver seguito i figli (e non solo lei), assenti perche' troppo impegnati a litigare tra di loro, di non averle trasmesso i valori essenziali e di averla sottoposta a restrizioni sol perche' si era rasata i capelli, secondo la moda emo (diventando poco femminile). Quel tema, dunque, lungi dall'essere disvelatore di un trascorso di violenze, era un chiaro rimprovero a quei genitori che non le avevano indicato i comportamenti da mantenere nel suo percorso adolescenziale, permettendole di assumere scelte invero ardite in specie nel campo della sessualita', senza mai cercare il dialogo, senza mai indicare i valori relazionali, senza mai accettare di potersi mettere in discussione, arrivando sempre a colpevolizzare la figlia, al punto che la ragazza chiude quel tema, scrivendo che non avrebbe mai esternato loro queste sue valutazioni, per non sentirsi dire che "hai sempre sbagliato tu e non noi". Parallelamente, prima dell'estate 2015, la minore aveva iniziato un percorso con una psicoterapeuta, la dottoressa (OMISSIS), alla quale, al fine di superare i disturbi post traumatici, era costretta a riferire cosa aveva subito (sottoponendosi a terapie EMDR): la natura del trattamento psicoanalitico, chiarito e "validato", secondo la sentenza impugnata, dai testimoni (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (ma quest'ultima, si ritiene non poter essere affidabile sul punto, in quanto e' la medesima professionista che aveva effettuato il trattamento) si ritiene abbia, inevitabilmente ed inesorabilmente viziato (o falsato) il ricordo di (OMISSIS). Quanto al trattamento EMDR il ricorrente ribadisce le considerazioni gia' svolte dall'Avv. (OMISSIS), stigmatizzando la mancanza della prova documentale della registrazione delle sedute cui non puo' ovviarsi con la deposizione testimoniale dei consulenti, questione sulla quale la Corte di appello e' rimasta silente. Cosi' come e' rimasta silente sulle numerose violazioni della Carta di Noto in tema di metodo di ascolto e di reiterazione del racconto (almeno sette, escluso l'incidente probatorio) che imponevano una motivazione rafforzata, del tutto assente. L'elemento del "giudizio postumo" e la questione relativa al "tema in classe" introducevano elementi di sospetto sulla genesi spontanea del disvelamento avendo la ragazza riferito per la prima volta i fatti al proprio fidanzato che le chiedeva conto di cio' che si mormorava nel paese, cioe' dei numerosi rapporti sessuali avuti con piu' persone. Ed allora, era altamente probabile che (OMISSIS) avesse fornito una versione dei fatti capace di renderla "pulita" agli occhi di chi raccoglieva il racconto, superando cosi' l'elemento del giudizio. Ed ancora, sempre al momento del disvelamento, alla madre aveva riferito che era stata costretta a subire in silenzio perche' ricattata con video a sfondo sessuale: ebbene, di questo video, non si e' trovata mai traccia. Alla luce di tanto, andava rigorosamente valutato se (OMISSIS), avendo intrapreso una nuova relazione con un ragazzo estraneo a tutta la vicenda, volesse in qualche modo mantenere un'immagine socialmente accettabile, e in questo modo ha sottoposto ad una revisione (il livello di consapevolezza non e' qui di interesse), i ricordi dei motivi che l'hanno portata a prendere la decisione, rendendoli maggiormente negativi rispetto a quello che le sembravano nella immediatezza dell'accadimento. Per questo andava verificato se la minore non avesse inteso compiacere l'interlocutore ed adeguarsi alle sua aspettative, ricostruendo e focalizzandosi sulla genesi della notizia di reato, con rigoroso vaglio della prima dichiarazione del minore (che, se spontanea, e' la piu' genuina perche' immune da interventi intrusivi), su quali fossero state le reazioni emotive degli adulti coinvolti, quali le loro domande, nonche' se la narrazione si fosse amplificata nel tempo. In conclusione, dalla lettura della motivazione risulta evidente che non e' stata fornita risposta alle articolate censure proposte in appello, ma non solo: la decisione risulta di scarsa tenuta argomentativa e logica, nonostante letta in correlazione alla sentenza di primo grado, poiche' ne ribalta le premesse di partenza. Infatti, diversamente dal primo Giudice, la Corte di appello, ha negato qualunque rilevanza a fattori esterni inquinanti, confondendo (almeno cosi' appare) il profilo della capacita' di testimoniare con quello dell'attendibilita'. 4.4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), la violazione e l'erronea applicazione degli articoli 14 e 392 c.p.p., e la nullita' dell'incidente probatorio ai sensi dell'articolo 178 c.p.p., lettera a) e articolo 179 c.p.p.. La questione riguarda la conduzione dell'incidente probatorio da parte di due GIP (l'uno del Tribunale, l'altro del Tribunale per i minorenni) gia' posta dall'Avv. (OMISSIS) con il terzo motivo del suo ricorso. 4.5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), l'inutilizzabilita' dei tabulati telefonici acquisiti in violazione dei divieti di legge. In particolare, eccepisce l'inutilizzabilita' patologica dei tabulati per contrasto della normativa interna, che ne consente l'acquisizione con decreto motivato del Pubblico Ministero (Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 132 c.d. "Codice della Privacy), con l'articolo 15, p. 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11, nonche' dell'articolo 52, p. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, alla luce della interpretazione fornita dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, Grande Sezione, con sentenza del 2 marzo 2021 (causa C-746/18), nel caso H.K. Nel caso in questione i tabulati sono stati acquisiti su decreto motivato del pubblico ministero (e, dunque, non da un giudice) e per reati non gravi contro la criminalita' o posti a tutela della sicurezza pubblica. In subordine, solleva la questione di legittimita' costituzionale del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 132, comma 3, per violazione dell'articolo 117 Cost. con riferimento alla direttiva 2002/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002 - relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento e del Consiglio del 25 novembre 2009 letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11, nonche' dell'articolo 52, p. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. 4.6. Con il sesto motivo, relativo al capo A della rubrica, deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 192 c.p.p., comma 2, e articolo 546 c.p.p., comma, 1, lettera e), nonche' l'illogicita' della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti del procedimento, il travisamento della prova nella parte in cui la Corte d'Appello non ha minimamente valutato le plurime risultanze a favore dello (OMISSIS) e, comunque, non hanno enunciato le motivazioni per le quali le stesse dovessero essere ritenute non attendibili. La questione riguarda, precisa il ricorrente, il travisamento della prova e la mancanza di motivazione in ordine alla esatta collocazione temporale del fatto. Con l'atto di appello, si era evidenziato che il Tribunale aveva accertato che il (OMISSIS) all'epoca dei fatti aveva un telefono cellulare modello I-phone A6 come da perizia informatica effettuata sui dispositivi in uso agli imputati (pag. 205 sent. Trib). Per i primi Giudici, afferma, tanto riscontrava il narrato di (OMISSIS) che aveva dichiarato di aver dato un carica batteria di i-phone al (OMISSIS) quella notte: tuttavia, il dato era clamorosamente erroneo ed, anzi, rappresentava un elemento monumentale a favore della tesi difensiva poiche' quel modello di cellulare era entrato in produzione nel settembre 2014, tanto di per se' dimostrava, inesorabilmente, la falsita' (o l'erroneita') delle dichiarazioni. Tale deduzione e' stata totalmente negletta dalla Corte di appello. Un ulteriore aspetto riguarda la consulenza tecnica dell'Ing. (OMISSIS) (sul punto si rimanda alle stesse argomentazioni sviluppate dall'Avv. (OMISSIS) con il primo motivo di ricorso a sua firma). Deduce, altresi' (motivo 6.1) ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 609-septies c.p. e articolo 12 c.p.p. in ordine alla ritenuta connessione tra il reato di cui al capo A e gli altri reati procedibili d'ufficio. Gli argomenti a sostegno della deduzione sono analoghi a quelli oggetto del nono motivo del ricorso a firma Avv. (OMISSIS) in ordine alla necessita' di una connessione forte e qualificata, ai sensi dell'articolo 12 c.p.p., ai fini della procedibilita' d'ufficio ex articolo 609 septies c.p.. 4.7. Con il settimo motivo - che riguarda il reato di cui al capo B - deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 192 c.p.p., comma 2, e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), nonche' l'illogicita' della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti del procedimento, e il travisamento della prova nella parte in cui la Corte d'Appello non ha minimamente valutato le plurime risultanze a favore del ricorrente e, comunque, non hanno enunciato le motivazioni per le quali le stesse dovessero essere ritenute non attendibili. Oggetto di doglianza e' l'omessa valutazione della posizione del ricorrente alla data e all'ora del fatto (come risultante dalla consulenza dell'Ing. (OMISSIS)), alla dinamica del fatto (spostamento della minore dal sedile posteriore a quello anteriore lato passeggero, occupato dal (OMISSIS) che, contestualmente, seppur alto 1,90 mt. si sposta su quello lato guida, per cedere il posto al ricorrente che si posiziona su di lei) e alle modalita' di chiusura dell'autovettura (centralizzata e non con sicura tradizionale). 4.8.Con l'ottavo motivo - che riguarda il reato di cui al capo D - deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'illogicita' della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti del procedimento, il travisamento della prova nella parte in cui la Corte d'Appello non ha minimamente valutato le plurime risultanze a favore del ricorrente e, comunque, non ha enunciato le motivazioni per le quali le stesse dovessero essere ritenute non attendibili. Travisamento della prova in ordine all'aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1). Gli argomenti a sostegno della doglianza sono analoghi a quelli oggetto del dodicesimo motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 4.9. Con il nono motivo - che riguarda il reato di cui al capo E - deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), il travisamento della prova e la contraddizione della motivazione. Gli argomenti sono gia' oggetto del primo, settimo e tredicesimo motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS) con riferimento: a) alla impossibilita' materiale che il fatto sia avvenuto per come ricostruito in sentenza (avuto riguardo alla ricostruzione dei movimenti dello (OMISSIS) secondo la CT (OMISSIS) e al travisamento del relativo risultato probatorio); b) alla illogicita' del procedimento gnoseologico seguito nella valutazione della prova (la predilezione del dato rinveniente dall'aggancio alle celle telefoniche rispetto a quello derivante dalla geolocalizzazione GPS). 4.10. Con il decimo motivo - che riguarda i capi F e H - deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'articolo 600-quater c.p. in tema di cd. "pornografia domestica". Deduce che in appello era stata chiesta l'esclusione della propria penale responsabilita' perche', ricorrendo un'ipotesi di c.d. pornografia domestica, difettava il presupposto della "utilizzazione" della minore e, dunque, l'elemento costitutivo del reato. Tanto era stato chiesto posto che: a) le foto incriminate, raffiguranti la minorenne (ma ultraquattordicenne), erano state scattate direttamente da quest'ultima, senza l'intervento di alcuno e, poi, dalla minore scambiate con terzi, tra i quali vi e' l'odierno ricorrente; b) dalle molteplici conversazioni versate in atti (e cosi' come riportato in sentenza dal Tribunale), emergeva chiaramente che (OMISSIS) e l'imputato si scambiavano, tramite WhatsApp, reciprocamente delle immagini pornografiche. Dunque, vi erano alcune occasioni in cui gli imputati sollecitavano la minore all'invio delle fotografie-autoscatti; mentre, in altri casi era la stessa minore, sua sponte, ad inviare autoscatti in pose pornografiche. L'invio di quelle immagini rappresentava la manifestazione della autodeterminazione di (OMISSIS), che consapevolmente e volontariamente scambiava quelle immagini erotiche con l'imputato. Richiamata la sentenza di questa Corte, Sez. U, n. 51815/2018 e la decisione quadro del Consiglio n. 2004/68/GAI del 22 dicembre 2003, afferma che manca nel caso di specie l'utilizzazione del minore, nel senso della sua strumentalizzazione, laddove la Corte di appello ha fatto esclusivo riferimento al fatto che la persona offesa fosse minore di diciotto anni di eta', cosi' smarcandosi dalle argomentazioni difensive volte a dimostrare che lo scambio di foto era avvenuto nell'ambito di una relazione "paritaria" (tra e) con l'odierno ricorrente, secondo una prassi (lo scambio di foto pornografiche) che la minore aveva riferito di aver tenuto anche con i precedenti ragazzi con i quali aveva avuto una relazione. Lo scambio di immagini pornografiche tra (OMISSIS) e (OMISSIS) va dunque inquadrato nel contesto di un rapporto privato di contenuto erotico, quale potrebbe avvenire tra adulti consenzienti poiche' l'eta' della giovane, ultra quattordicenne all'epoca dei fatti, era tale da rendere valido il suo consenso al contatto privato di natura sessuale. Tant'e' che lo stesso Tribunale aveva escluso la sussistenza dell'ipotizzato reato di violenza privata contestata al capo G per la mancanza di condotte minacciose volte a ottenere i fotogrammi di cui si discute. Peraltro, sempre in primo grado, il ricorrente (e lo (OMISSIS)) erano stati assolti dal reato di cui al capo I (articolo 609-octies c.p.) perche' la persona offesa "non poteva assurgere agli occhi dei due imputati quale mero strumento utilizzato per dare sfogo ad un loro atteggiamento aggressivo. Ella si mostrava infatti non solo collaborativa, ma anche propositiva". Dunque, sostiene il ricorrente, se nello stesso arco temporale in cui si e' ritenuto che la minore era propositiva e consenziente in ordine agli incontri sessuali, allora tale consenso (indice inequivocabile della mancata "utilizzazione" della minore) non poteva non involgere anche gli autoscatti pornografici, in assenza di induzione, minaccia o coartazione (e quindi di "strumentalizzazione"). Per gli stessi motivi sopra indicati viene censurata la conferma della condanna anche per il reato di cui al capo H. 4.11. Con l'undicesimo motivo - che riguarda il capo M ed e' articolato in tre sub motivi - deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la manifesta illogicita' della motivazione anche rispetto alle risultanze probatorie acquisite al processo. Premessa la mancanza di specifiche consulenze tecniche, afferma di aver investito la Corte di appello delle seguenti criticita': l'adolescente, per come anche precisato dal consulente di parte, aveva evidenziato una spiccata ipersessualita', tanto che la stessa gia' a partire dall'eta' di undici anni aveva avuto rapporti sessuali con uomini di ogni eta', nonche' precedenti rapporti consenzienti con gli stessi imputati; - al momento della realizzazione delle condotte, gli imputati si rappresentavano una ragazza con una personalita' sessuale molto piu' sviluppata di quanto ci si potesse normalmente aspettare da una ragazza, della sua eta', non avendo, ella, mai mostrato timidezza, ne', tantomeno, imbarazzo e disagio; anzi, in piu' di un'occasione, aveva manifestato (e gli screenshot ne sono la conferma) il suo appagamento per i rapporti sessuali (anche di gruppo) avuti con gli imputati, che spesso venivano da lei sollecitati in tal senso; - gli imputati sono stati assolti dai reati di cui ai capi C), G), I), J), N), O), P), proprio per l'assenza di minacce e/o per la consensualita' dei rapporti (o irriconoscibilita' del dissenso). In presenza di tali presupposti, gli imputati non potevano rappresentarsi la possibilita' di causare le lesioni contestate al capo M. Ebbene, afferma, di questi aspetti la Corte territoriale non ha tenuto conto, nemmeno per confutarli, quasi a ritenere sufficiente la responsabilita' oggettiva. In alcun passo motivazionale si rinviene l'esame degli specifici rilievi difensivi mossi con l'atto d'appello, con la totale assenza di prova in ordine alla avvenuta rappresentazione e volizione del fatto; parimenti, la Corte territoriale non effettua alcun vaglio sull'idoneita' causale degli atti e sulla univocita' della loro destinazione, che devono essere valutate "ex ante", considerando tutte le modalita' e le circostanze effettive e concrete della fattispecie, compreso l'"elemento del giudizio" introdotto dal fidanzatino (OMISSIS), che non solo ne aveva sollecitato il disvelamento (contestualmente al quale iniziavano gli atti lesivi), ma aveva morbosamente iniziato a chiederle conto su cio' che si mormorava in paese (cioe' dei numerosi rapporti sessuali avuti con piu' persone). Cio' nonostante, la Corte di appello non solo ha ritenuto la idoneita' degli elementi a carico, ma ha anche "sorvolato" sulle contraddizioni emergenti, puntualmente evidenziate dalla difesa. Manca (e non e' stato individuato) un effettivo, specifico e riscontrato apporto del ricorrente all'attuazione della condotta delittuosa, poiche' dalla motivazione della gravata sentenza si deduce che l'affermazione di responsabilita' (e prima ancora, la formulazione dell'imputazione) e' intervenuta in assenza di prove rappresentative delle condotte contestate, ed anzi in assenza della stessa identificazione di condotte, concretamente individuate, che siano riconducibili al paradigma dell'articolo 110 c.p., proprio perche' il difetto principale della pronuncia impugnata e' insito nella sua stessa struttura argomentativa che accomuna indistintamente (e ne e' riprova l'identita' del trattamento sanzionatorio) la posizione di entrambi gli imputati, cosi' che la responsabilita' personale viene sostituita con la "colpa d'autore", sol perche' ritenuti colpevoli dei delitti contemplati "ai capi precedenti". I Giudicanti avrebbero dovuto necessariamente indicare e dimostrare con quale modalita' si fosse concretizzata la consapevolezza del ricorrente nella realizzazione della condotta delittuosa, ed invece si constata una forte componente congetturale nella concatenazione degli assunti, in relazione agli episodi "che precedono" e alla scansione delle sue varie successive fasi (dipanatesi per quasi due anni); in assenza di elementi di prova del concorso del ricorrente idonei a dimostrare con sufficiente precisione una sua partecipazione all'evento contestato al capo M), le sentenze di merito paiono trincerarsi, tra le righe, dietro l'enunciato " (OMISSIS) e (OMISSIS) non potevano non prevedere le lesioni". Con il motivo 11.1. deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale sostanziale in relazione alla mancata riqualificazione del fatto di cui al capo M nella fattispecie di cui all'articolo 586 c.p.. La Corte di appello ha implicitamente rigettato la richiesta di riqualificazione del reato di cui al capo M ritenendo corretto il giudizio del tribunale sul punto. Richiamando Sez. U, n. 22676 del 22/01/2009, ritiene necessario che il criterio di imputazione della conseguenza lesiva deve essere legato a un coefficiente di prevedibilita' concreta degli elementi piu' significativi della fattispecie. Ma, ammonisce, la violazione della regola cautelare da cui scaturisce la colpa, non deve essere quella che incrimina il delitto doloso di base; quindi, nel caso in esame, deve essere una norma diversa da quella che incrimina la violenza sessuale e/o gli atti sessuali con minorenne. E' evidente, afferma, il malgoverno della legge penale sostanziale fatto dalla Corte territoriale, laddove ha ravvisato, in via automatica, il coefficiente psicologico doloso eventuale sol perche' il ricorrente ha agito in un territorio illecito (violenza sessuale), quasi a "strumentalizzare" fatti del passato per accollargli una pena idonea secondo la logica della c.d. pena esemplare. Dunque, pacifico che l'evento (se ritenuto sussistente il nesso causale) sia frutto di concause (per come espressamente riconosciuto da entrambe le sentenze) l'odierno ricorrente, rispondera' per colpa dell'esito ulteriore (lesioni) poiche', in virtu' della ipersessualita' della persona offesa nonche' dei precedenti rapporti consenzienti (anche di gruppo) con gli stessi imputati, ha ignorato, al piu' per colpa, che le fragilita' pregresse della persona offesa, in uno con le condotte poste in essere, avrebbero potuto causarle uno stato ansioso e un disturbo post traumatico da stress con gesti autolesivi. Con il motivo 11.2, deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all'articolo 576 cpv. c.p., n. 5, ritenuta dalla Corte di appello sul rilievo che il fatto (lesioni da stato ansioso e disturbo post traumatico da stress con gesti autolesivi) era stato commesso dagli imputati in occasione dell'esecuzione di delitti contro la liberta' personale di cui agli articoli 609-quater e 609-octies c.p.. Orbene, la lettera dell'articolo 576 c.p., comma 1, n. 5, considera applicabile l'aggravante solo al caso in cui la lesione sia compiuta contestualmente al delitto sessuale. Quando la Corte di appello afferma che le lesioni sono il risultato anche degli altri reati commessi dagli imputati sottende, inevitabilmente, la non contestualita' delle lesioni alle violenze sessuali poste in essere, giacche' il fatto che esse siano state causate (anche) da altri reati, non consente di ritenere che esse fossero contemporanee agli atti di violenza sessuale ne' ad essi univocamente riconducibili. 4.12. Con il dodicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'erronea applicazione degli articoli 2, 62-bis, 133 c.p., e articolo 536 c.p.p., comma 1, lettera e), la carenza di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e l'erronea commisurazione della pena. La Corte di appello, afferma, si e' affidata a una vera e propria clausola di stile che non puo' essere valorizzata al punto tale da ritenere soddisfatto l'onere di motivare, per quanto attenuato, che incombe sul giudicante, poiche' non ha correttamente valutato la vicenda complessivamente intesa. Difatti, l'esame delle singole vicende attesta una sostanziale e non generalizzata elevata gravita', atteso che gli episodi si sono innestati in un contesto di rapporti, anche di gruppo, consenzienti, tanto che il ricorrente riporta assoluzione per plurimi capi di imputazione; e' smentito che vi fosse una minaccia (con correlato timore della minore), tanto che spesso la minore sollecitava lo (OMISSIS) (o i coimputati) ad avere rapporti sessuali e a scambiare foto hot. Il ricorrente, ove confermato il giudizio di penale responsabilita', non giudica affatto i vari fatti "poco gravi". Ma allo stesso tempo i singoli fatti non sono, all'interno delle singole fattispecie astratte, "particolarmente gravi", tanto che la pena base si e' assestata ai minimi edittali. 4.13. Con il tredicesimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), l'inosservanza o l'erronea applicazione dell'articolo 185 c.p. in relazione alle statuizioni civili di condanna. Afferma che l'eventuale danno non e' univocamente riconducibile all'imputato, poiche' gli stessi giudicanti riconoscono che l'evento lesivo e' dovuto ad una serie di concause (ex articolo 41 c.p.). Il risarcimento del danno non e' dovuto neppure per il trasferimento della PO in altra citta' disposto, in via cautelare, prima ancora dell'accertamento della penale responsabilita', atteso che, nel corso del procedimento e' emerso che non vi e' mai stato alcun ricatto con video/foto ne' alcuna "minaccia implicita derivante dall'essere (OMISSIS) figlio di (OMISSIS)". Difatti gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) sono stati assolti (oltre che dai reati di cui ai capi G ed I, contemplanti la minaccia) anche dall'imputazione di cui al capo P (stalking), l'unico che avrebbe potuto giustificare siffatta voce di danno. Del resto e' lo stesso Tribunale a riconoscere che non v'era "alcuno stato di soggezione ovvero di timore della minore", sicche' e' evidente che il disposto trasferimento non aveva (e non ha) ragion d'essere e, dunque, non e' addebitabile, almeno in termini economici, agli imputati. Sono inoltre ingiustificate, conclude, le "provvisionali" riconosciute ai genitori ed al fratello della persona offesa e al Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza della Regione Calabria. 4.14. Il ricorrente ha presentato motivi nuovi di ricorso relativamente a inutilizzabilita' dei tabulati (1 motivo nuovo) e alla insussistenza reati capi F-H (2 motivo nuovo). Gli argomenti sono gli stessi utilizzati dallo (OMISSIS) nei suoi motivi nuovi (infra). 5. (OMISSIS) propone dodici motivi. 5.1. Con il primo deduce gli stessi vizi dedotti dallo (OMISSIS) con il primo motivo di ricorso dell'Avv. (OMISSIS). 5.2. Anche il secondo motivo propone gli stessi argomenti dedotti dallo (OMISSIS) con il secondo motivo di ricorso dell'Avv. (OMISSIS). 5.3. Con il terzo motivo deduce gli stessi vizi dedotti dallo (OMISSIS) con il corrispondente motivo di ricorso dell'Avv. (OMISSIS). 5.4. Con il quarto motivo deduce gli stessi vizi dedotti dallo (OMISSIS) con il quarto motivo di ricorso dell'Avv. (OMISSIS). 5.5. Con il quinto motivo deduce gli stessi vizi dedotti dallo (OMISSIS) con il quinto motivo di ricorso dell'Avv. (OMISSIS) e propone la medesima questione di legittimita' costituzionale del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 132. 5.6. Con il quinto (rectius, sesto) motivo deduce gli stessi vizi dedotti dallo (OMISSIS) con il nono motivo di ricorso dell'Avv. (OMISSIS). 5.7. Con il sesto (rectius, settimo) motivo deduce gli stessi vizi dedotti dallo (OMISSIS) con il decimo motivo di ricorso dell'Avv. (OMISSIS). 5.8. Con il settimo (rectius, ottavo) motivo, relativo al capo L della rubrica, deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), l'illogicita' e la contraddittorieta' della motivazione a seguito di travisamento della prova, e l'omessa enunciazione delle ragioni relative all'inattendibilita' delle prove a discarico, nonche' la contraddittorieta' della motivazione risultante da altri atti del processo. Osserva che, con specifico motivo di appello, era stato evidenziato che, in ordine al fatto rubricato al capo L) dell'imputazione, il ricordo della ragazza risultava viziato per una serie di imprecisioni ed incongruenze tutt'altro che marginali. In un clima ascendente di contraddizioni, afferma, inizialmente non ricordava neppure se quel giorno avesse avuto un rapporto sessuale con il ricorrente e cio' nonostante l'episodio fosse stato definito come il "piu' brutto dei piu' brutti". L'incertezza del ricordo era tale che tra i protagonisti della violenza aveva incluso anche lo (OMISSIS) (estraneo all'addebito). La Corte di appello era stata altresi' sollecitata a esaminare le seguenti ulteriori incongruenze: l'esistenza di un cancello posizionato proprio all'inizio della salita che porta alla casa di (OMISSIS), nel punto piu' vicino all'abitazione dei parenti di (OMISSIS): poiche' aveva compreso che il (OMISSIS) era uno strumento del suo aguzzino e che la stava conducendo proprio dallo (OMISSIS), appariva strano che non fosse scesa dall'autovettura (la macchinina si sarebbe dovuta fermare, all'inizio della salita, attendendo che le due ante del cancello si aprissero), raggiungendo l'abitazione dei suoi parenti; - la discrepanza nella collocazione dello sfogo liberatorio all'amica (OMISSIS), che in sede di SIT sostenne essere avvenuto di pomeriggio, mentre (OMISSIS) aveva dichiarato di essere stata riaccompagnata da (OMISSIS) direttamente dall'amica; - dai tabulati emergeva chiaramente che sul cellulare dei due imputati e su quello della parte offesa si era registrato un considerevole traffico telefonico durante la riferita violenza; - l'esistenza di screenshot confermanti un rapporto di natura sessuale tra la PO e (OMISSIS), tra cui uno del (OMISSIS) (data della violenza), nel quale (OMISSIS) (che ha affermato che dopo questo episodio di violenza aveva troncato ogni rapporto con gli imputati) scherza con il (OMISSIS), giocando sul loro rapporto sentimentale. La Corte territoriale ha rigettato il motivo di appello travisando: a) gli screenshot presentati dalla difesa relativi ad uno scambio di messaggi avvenuto tra la (OMISSIS) e l'imputato nel pomeriggio del 14/02/2015 (successivamente, cioe', alla consumazione della violenza); b) i tabulati telefonici delle utenze dei tre soggetti coinvolti nella vicenda. Quanto allo scambio di messaggi avvenuto tra la (OMISSIS) e l'imputato nel pomeriggio del (OMISSIS), successivamente, cioe', alla consumazione della violenza, osserva che nella conversazione in questione la PO aveva chiesto al (OMISSIS) se lui la stesse prendendo in giro e il ragazzo, per tutta risposta, l'aveva rassicurata sulla serieta' delle proprie intenzioni. Il tono disteso della conversazione e il fatto che i due interlocutori si fossero anche inviati emoticons affettuosi rappresentanti baci, dimostrano, afferma, che, in realta', quel giorno non si era consumata alcuna violenza. La Corte di appello ha travisato il dato avendo sostenuto che la PO aveva affermato che i messaggi in questione erano precedenti il fatto e che era ben possibile che la stessa li avesse scaricati proprio quel giorno in contrasto con quanto avvenuto. La PO infatti, sentita dai GIP, aveva affermato che lo screenshot era stato fatto subito, nello stesso orario; la minore ha chiaramente affermato che la conversazione e' avvenuta nello stesso orario in cui e' stato eseguito lo screen shot. Quanto alle risultanze dei tabulati telefonici, era emersa l'incompatibilita' dei traffici tra le utenze della PO e dei suoi aggressori, incongruente con la contestuale consumazione del reato. Ed, infatti, tre le ore 11,12 e le ore 12,15 (orario in cui le tre utenze agganciavano la stessa cella) di quel (OMISSIS), sul cellulare dei due imputati e su quello della PO era stato registrato un notevole traffico telefonico. Era stato altresi' dedotto che il cellulare di (OMISSIS) alle ore 11,23 (nonche' in frangenti successivi e fino alle 12,25), orario ritenuto compatibile con la perpetrazione della violenza, aveva agganciato altra "cella", in via (OMISSIS). Orbene, afferma il ricorrente, la Corte di appello utilizza un dato "introdotto" dalla difesa, avente efficacia deflagrante in ottica assolutoria, distorcendolo, giungendo ad affermare un fatto mai emerso neppure nel corso del giudizio di prime cure (e ne', tantomeno, nel corso dell'incidente probatorio): che gli imputati, con evidente disprezzo per la P.O., effettuassero telefonate durante i rapporti sessuali. Ne' poteva essere considerato elemento di riscontro il fatto che le tre utenze fossero agganciate alla stessa cella attesa la non univocita' dei dati derivanti da tale circostanza. V'e' piuttosto da evidenziare che la sola utenza della minore, alle ore 11,23 (in orario in cui sarebbe stato perpetrato il reato) di quel medesimo giorno, aveva agganciato altra cella, quella di via (OMISSIS). Oltre a cio', quell'episodio e' connotato da particolare di rilevanza pregnante, poiche' l'elemento qualificante sarebbe stato lo sguardo di (OMISSIS), incutente quel timore che le aveva ricordato la prima subita violenza (quella del 10 marzo 2014). Orbene, se quel primo episodio, per come documentalmente accertato, non si e' mai verificato, se lo stesso Tribunale e' costretto ad ammettere che la minore non aveva alcun timore dell'aggressivita' dello (OMISSIS) al punto che lo derideva, appare ben arduo che quel comportamento (connotato da forte suggestione) possa aver inculcato nella vittima quel timore rievocativo. 5.9. Con l'ottavo (rectius: nono) motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la contraddittorieta' della motivazione in relazione alla applicazione, al reato di cui al capo L della rubrica, della circostanza aggravante di cui all'articolo 112 c.p., comma 1, n. 4), e comma 2, nonche' di quella di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5)-sexies. Premette che il Tribunale aveva assolto lo (OMISSIS) e lo (OMISSIS) dai reati loro ascritti ai capi I, 3 e K per la mancanza di prova, oltre ogni ragionevole dubbio, della riconoscibilita' da parte degli stessi del dissenso manifestato dalla minore che aveva assunto, in quel periodo, un atteggiamento ambiguo e contraddittorio, difficilmente interpretabile da parte degli imputati. Tale periodo andava ricompreso tra il (OMISSIS). Orbene, se il periodo di collocazione temporale tra le condotte di cui ai capi I, 3, e K e la condotta contestata all'odierno ricorrente e' del tutto coincidente, il ricorrente si chiede (e pone il quesito alla Corte) per quale motivo per l'episodio di cui al capo L, pure commesso all'interno dell'arco temporale di riferimento, le ragioni a sostegno dell'assoluzione non valgano anche per esso. L'annullamento della sentenza limitatamente al capo L travolge, afferma, anche il capo M. 5.10. Con il nono (rectius, decimo) motivo, che riguarda il capo M della rubrica, deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), l'inosservanza e/o l'erronea applicazione degli articoli 15 e/o 84 c.p. in relazione alla circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5)-sexies. Nel disattendere l'analogo motivo di appello (violazione del divieto di bis in idem), la Corte territoriale non ha colto minimamente il fulcro della censura e cioe' che il medesimo fatto storico e' giudicato due volte nella medesima pronuncia, questione risolvibile applicando l'articolo 84 c.p.: la condotta e l'evento che hanno condotto a ritenere la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., n. 5-sexies sono pienamente sovrapponibili a quelli che sorreggono la fattispecie di lesioni da stato d'ansia e disturbo post traumatico da stress di cui al capo M della rubrica (con assoluta contestualita' d'azione). La fattispecie di lesioni (capo M) non concorre formalmente con la violenza sessuale di gruppo aggravata dalla circostanza dalla circostanza di cui all'articolo 609-ter c.p., n. 5)-sexies, bensi' ne rimane assorbita, merce' l'applicazione della disciplina del reato complesso. Con il nono.1 (rectius, decimo.1) motivo deduce, sempre in relazione al capo M, l'inosservanza e/o l'erronea applicazione dell'articolo 576 c.p., n. 5). Al riguardo richiama gli argomenti sviluppati dall'Avv. (OMISSIS) con il motivo undici.2 del ricorso dello (OMISSIS). Con il nono.2 (rectius, decimo.2) motivo deduce gli stessi argomenti sviluppati dall'Avv. (OMISSIS) con il motivo undicesimo del ricorso dello (OMISSIS). Con il nono.4 (rectius, decimo.3) motivo deduce gli stessi argomenti sviluppati dall'Avv. (OMISSIS) con il motivo undicesimo.1 del ricorso dello (OMISSIS). 5.11. Con il decimo (rectius, undicesimo) motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'erronea applicazione degli articoli 2, 62-bis, 133 c.p., e articolo 536 c.p.p., comma 1, lettera e), e carenza di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e l'erronea commisurazione della pena. Utilizzando gli argomenti gia' sviluppati a sostegno del dodicesimo motivo del ricorso dello (OMISSIS) a firma dell'Avv. (OMISSIS), lamenta il ricorso a clausole di stile per disattendere la motivata richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche. 5.12.Con l'undicesimo (rectius, dodicesimo) motivo deduce gli stessi argomenti dell'ultimo motivo del ricorso dello (OMISSIS) a firma dell'Avv. (OMISSIS). Lo (OMISSIS) ha presentato anche motivi nuovi di ricorso. 5.12.1. Il primo motivo aggiunto sviluppa gli argomenti oggetto del terzo motivo del ricorso introduttivo relativo alla valutazione della testimonianza resa dalla PO anche nella prospettiva dei criteri sanciti dalla Carta di Noto e alla inutilizzabilita' delle dichiarazioni della persona offesa. Plurime, afferma, sono le violazioni della Carta. In particolare, ne sono stati violati i punti 1 (censurabile la scelta di non aver attivato immediatamente l'incidente probatorio), 9 (che ritiene opportuno procedere all'audizione in sede di S.I.T. solo in caso di necessita' ovvero quando gli elementi probatori non siano sufficienti per proseguire l'azione penale), 3 (essendo stata svolta terapia di sostegno psicologica durante la formazione della prova e non successivamente), 7 (l'esperto che coadiuva il magistrato nella raccolta della testimonianza deve essere diverso dall'esperto incaricato della verifica dell'idoneita' a testimoniare; nel caso in esame la Dott.ssa (OMISSIS) ha coadiuvato il PM ex articolo 351 c.p.p., comma 1-ter, e alla stessa era stato poi conferito incarico per valutare l'attendibilita' e la personalita' della minore p.o.). La Corte di appello non si e' uniformata alle metodiche della Carta di Noto, ma nemmeno ha ritenuto di offrire argomenti giustificativi del ridetto scostamento, producendo cosi' un vizio di carenza assoluta della motivazione. Quanto alla inutilizzabilita' delle dichiarazioni della PO siccome frutto di domande suggestive e nocive, ribadisce che la genuinita' del prodotto dichiarativo, su cui si fonda il giudizio di credibilita', e' ineluttabilmente pregiudicata a monte da un orizzonte costellato di domande suggestive e soprattutto nocive, innervate sul rischio - forse nemmeno piu' valutabile ex post - dell'inquinamento causato dalla terapia EMDR e dalle ripetute violazioni della Carta di Noto per tutto il corso dell'iter procedimentale di acquisizione e, quindi, di valutazione della prova. L'unico rimedio possibile era il recupero della prova in appello mediante la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ma tutte le istanze difensive sono state rigettate sul presupposto che la minore eta' della vittima e la sua particolare vulnerabilita', ai sensi dell'articolo 90-quater c.p.p., una volta divenuta maggiorenne, consentissero/imponessero il rifiuto di rinnovazione ai sensi dell'articolo 190-bis c.p.p. anche per assenza di fatti o circostanze nuove da approfondire. Eppure, afferma, proprio i difetti e le lacune nella genesi di quel dichiarato rappresentano una specifica esigenza di riedizione della prova, che andava esaminata - essendovene la possibilita' - in un contraddittorio pieno e provando a ripulire il quadro da fattori di contaminazione che non comportano necessariamente il mendacio, ma, anzi, con piu' alta probabilita' sono generati da metodiche improvvisate e contrarie ai criteri condivisi dalla comunita' scientifica, mai compensati, come sopra segnalato, da argomentazioni serie a sostegno. Tanto piu' in un caso come l'attuale in cui l'originario disegno delle imputazioni appare largamente rimaneggiato dal filtro dibattimentale, che ha saputo gia' disvelare le criticita' probatorie, rese piu' rischiose dall'assenza di rigore nel metodo. Viene in gioco, afferma, il diritto dell'accusato di essere messo a confronto con i testimoni in presenza del giudice che da ultimo decide, diritto di matrice convenzionale e unionale che non tollera limitazioni nella fase dibattimentale. Il processo e' palesemente iniquo alla luce della normativa sovranazionale, mentre, per i profili domestici, esso si conclude con una motivazione del tutto illogica quanto all'esclusione della rinnovazione e solo apparente quanto alla declaratoria di responsabilita', fondato com'e' sulla palese violazione dell'immediatezza, quale unico canone potenzialmente in grado di recuperare al processo l'equilibrio e la genuinita' della prova cardine proposta dall'accusa. L'esigenza di una rinnovata audizione della PO si alimentava anche della mancata videoregistrazione delle sue dichiarazioni 5.12.2. Il secondo motivo aggiunto torna sull'argomento dedotto con il quinto motivo del ricorso introduttivo (inutilizzabilita' dei tabulati) e muove dalla sentenza di questa Corte di cassazione, Sez. 2, n. 28523/2021 secondo cui le limitate finalita' sottese all'acquisizione dei dati (accertamento e repressione di reati) non viola la normativa sulla privacy, considerando anche che il P.M. nello stato Italiano costituisce Autorita' indipendente. Secondo questa sentenza "l'attivita' interpretativa del significato e dei limiti di applicazione delle norme comunitarie, operata nelle sentenze CGUE, puo' avere efficacia immediata e diretta nel nostro ordinamento limitatamente alle ipotesi in cui non residuino, negli istituti giuridici regolati, concreti problemi applicativi e correlati profili di discrezionalita' che richiedano l'intervento del legislatore nazionale, tanto piu' laddove si tratti di interpretazioni di norme contenute nelle direttive". Sennonche', il legislatore e' intervenuto con Decreto Legge n. 132 del 2021 che, in sede di conversione, ha introdotto una disciplina transitoria che, afferma il ricorrente, non e' immune da censure di legittimita' costituzionale perche' finisce per validare, di fatto, (con il solo discrimine del limite edittale o della tipologia del reato) l'acquisizione dei tabulati gia' disposta (con (solo) decreto motivato) dal Pubblico Ministero. Dunque, da un lato, il legislatore riconosce "per tabulas" (mediante l'introduzione della nuova disciplina) l'illegittimita' della acquisizione dei tabulati disposta (sulla scorta della vecchia normativa) con decreto motivato del pubblico ministero; dall'altro lato, irragionevolmente, fa salve le acquisizioni gia' avvenute (illegittimamente, quindi) antecedentemente all'entrata in vigore del citato decreto legge. L'utilizzabilita' o meno dei tabulati gia' acquisiti non e' un problema di retroattivita' (o di disciplina transitoria), ma di rapporti tra norma interna e norma sovranazionale. Di qui il quesito posto a questa Corte se sia possibile ritenere legittima l'acquisizione di tabulato(i) acquisito(i) sulla scorta di norma che, nel momento in cui e' stata disposta l'acquisizione, si poneva in contrasto con la normativa sovranazionale (tanto da essersi resa necessaria una modifica legislativa proprio al fine di (ri)allinearla al diritto sovranazionale-comunitario). Oltretutto, che i tabulati possano essere utilizzati (per fondare la penale responsabilita') solo unitamente ad altri elementi di prova era un dato gia' assolutamente consolidato nella giurisprudenza di legittimita' che non necessitava di alcuna introduzione legislativa. Insiste, pertanto, nella gia' dedotta questione di legittimita' costituzionale e sollecita, in subordine, la richiesta di rinvio pregiudiziale, ex articolo 267 TFUE, sulla seguente questione: se l'articolo 15, p. 1, della direttiva 2002/58, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonche' dell'articolo 52, p. 1, della Carta di Nizza, in forza anche dei principi stabiliti dalla stessa CGUE nella sentenza del 2 marzo 2021 nella causa C746/18, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, quale quella prevista dal Decreto Legge n. 132 del 2021, articolo 1, comma 1-bis, (convertito con la L. 23 novembre 2021, n. 178), che consente l'utilizzabilita' dei tabulati acquisiti nei procedimenti penali, con decreto motivato del Pubblico Ministero (autorita' non connotata da terzieta' e neutralita'), in data precedente alla data di entrata in vigore del sopra citato Decreto Legge n. 132 del 2021). 5.12.3. Il terzo motivo aggiunto ribadisce gli argomenti oggetto del quinto (rectius, sesto) motivo del ricorso introduttivo relativamente, con riferimento al capo E) della rubrica, al travisamento della consulenza dell'Ing. (OMISSIS), prova sconosciuta al primo Giudice e vagliata, per la prima volta, dalla Corte di appello. Si ribadisce, ancora una volta, l'inconciliabilita' del dato rinveniente dall'esame delle celle agganciate dal telefono cellulare dello (OMISSIS) con quello derivante dall'esame del rilevamento geosatellitare e dalla connessione alle reti wi-fi della propria abitazione e della sala giochi di via Nazionale, dato che prova l'inattendibilita' delle dichiarazioni della persona offesa non solo in relazione allo specifico episodio ma a tutto il narrato. Lo svilimento probatorio del dato, sol perche' frutto di una verifica a campione, non rende la sentenza impugnata immune dalle seguenti criticita': - non e' spiegato in che maniera la modalita' a campione incida sul risultato della verifica (forse - afferma il ricorrente - perche' non incide affatto); - le rilevazioni del consulente (OMISSIS), contrariamente a quanto sostenuto, sono inoppugnabilmente dotate di precisione elevata dacche' sono certi l'aggancio della rete wi-fi, il suo tempo e il ristretto perimetro di copertura di tale rete e, comunque, per ragioni tecniche evidenti, la precisione di tali rilevazioni certamente molto piu' elevata di quella assegnabile alle rilevazioni della PG, che si riferisce alle celle radiobase; - nessuna rilevanza ha il fatto che lo studio abbia interessato solo uno dei due cellulari. La storia tracciata dalla imputazione e dalle dichiarazioni della persona offesa li vuole entrambi sul posto in contemporanea: se una prova contraddice cio' essa disarticola insieme la teoria del processo e la credibilita' della fonte probatoria. L'apparente convergenza decisoria tra i due provvedimenti giurisdizionali non puo' fino in fondo dissimulare la effettiva fragilita' delle argomentazioni complessivamente utilizzate con riferimento specifico alla ricostruzione del fatto e non potra' quindi concretamente venire in soccorso dei deficit motivi del provvedimento di appello (ai quali, nel ricorso principale, e' stata dedicata puntuale attenzione). 5.12.4. Il quarto motivo aggiunto riguarda l'argomento oggetto del settimo motivo di ricorso in tema di cd. "pornografia domestica" e richiama a suo fondamento la recente sentenza delle Sezioni Unite del 28/10/2021 a sostegno della assenza di una qualsiasi condotta di "utilizzazione" "coartazione" della persona offesa nel libero invio, "sua sponte", di fotografie altrettanto liberamente autoprodotte. 5.12.5. Il quinto motivo aggiunto riguarda gli argomenti oggetto del nono motivo del ricorso introduttivo relativi alla erronea applicazione degli articoli 15/84 c.p. (reato complesso circostanziato) con riferimento alle lesioni contestate al capo M (stato ansioso e disturbo post traumatico da stress) siccome interamente assorbite, si ribadisce, dalla circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., n. 5-sexies). Aggiunge che tale circostanza aggravante e' stata contestata per entrambe le violenze sessuali di gruppo attribuite al ricorrente. 6. (OMISSIS) propone dieci motivi. 6.1. Con il primo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la manifesta illogicita' della motivazione, anche per travisamento della prova, nella parte in cui si afferma l'irrilevanza, rispetto al fatto di cui al capo D, della consulenza tecnica a firma dell'ing. (OMISSIS) avente ad oggetto la geolocalizzazione del telefono del coimputato (OMISSIS) acquisita ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 1. I risultati del lavoro effettuato dal consulente tecnico, afferma, escludevano, anche con riferimento al reato di cui al capo D, che lo (OMISSIS) si trovasse in localita' (OMISSIS) nel giorno e nell'ora indicata dalla persona offesa come luogo e momento di consumazione del fatto. In particolare, nel periodo compreso tra il mese di settembre dell'anno 2013 ed il 4 gennaio 2014 lo (OMISSIS) si era trovato nella localita' in questione soltanto l'11/11/2013 e, nello specifico, dalle ore 9,48 alle ore 10,43, dalle ore 12,57 alle ore 13,00, nonche' alle ore 13,49 e alle ore 14,58, lasciando pensare, come affermato dal CT, che fosse solo di passaggio in quella zona. Dalle ore 15,31 alle ore 17,29 il telefono dello (OMISSIS) era connesso alla rete internet casalinga. Secondo le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di incidente probatorio, il fatto sarebbe stato commesso in un giorno antecedente e prossimo al 09/12/2013, dopo essere uscita dalla scuola alle ore 13,00 e prima del rientro a casa intorno alle 16.30/17,00. E' la stessa sentenza di primo grado a dare atto che dopo circa quattro ore gli imputati avevano accompagnato la vittima a casa. Sennonche' afferma - il giorno 11/11/2013, ancorche' "antecedente", non puo' essere considerato "prossimo" al 09/12/2013, e di certo lo (OMISSIS) era a casa in un momento della giornata in cui, secondo la PO, era impegnato a consumare il reato. Evidente e' il travisamento, sul punto, della consulenza e della testimonianza dell'ing. (OMISSIS) che la Corte di appello erroneamente valuta come riscontro positivo delle dichiarazioni della vittima, laddove il CT aveva chiaramente affermato che il raggio di azione della cella telefonica (da 400/550 metri a 5.10 km) e' tale da non fornire alcuna certezza sull'effettiva localizzazione dell'utenza, mentre decisamente piu' affidabile e' la geolocalizzazione GPS che ha un margine di errore di pochi metri, laddove la connessione al Wi-Fi da' un margine di errore non superiore a 20 metri. Si aggiunga che la Corte di appello, nel dare conto degli accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria in base ai tabulati telefonici, non solo non menziona mai il ricorrente, ma fa riferimento ad un arco temporale (dal 14/02/2014 al 08/01/2015) che nulla ha a che vedere con la data del 09/12/2013 indicata al capo D della rubrica come limite temporale massimo di commissione del reato. Gli accertamenti tecnici svolti dal CT della difesa erano tali da minare la credibilita' della persona offesa che, peraltro, gia' in sede di incidente probatorio, dapprima aveva affermato che il fatto era avvenuto a gennaio 2014, e certamente dopo le vacanze, e solo dopo le domande suggestive del giudice lo aveva retrodatato al 09/12/2013, laddove gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano riferito, in dibattimento, che nell'abitazione di (OMISSIS) vi era stato un unico incontro sessuale consensuale avvenuto tra febbraio e marzo 2014 ed al quale avevano preso parte la giovane (OMISSIS) e gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), ma certamente non il (OMISSIS), il quale invece viene inopinatamente collocato nel contesto di un altro rapporto sessuale, consumato, a dire della vittima, sempre a (OMISSIS). Questo rapporto sarebbe iniziato consensualmente con (OMISSIS) e (OMISSIS) e poi, al termine, sarebbe sopraggiunto il (OMISSIS) che avrebbe consumato con gli altri due imputati un altro rapporto sessuale questa volta non consenziente. Ora, prosegue, l'assoluzione dello (OMISSIS) e del (OMISSIS) dal reato di cui al capo C suggella l'inaffidabilita' della persona offesa in ordine ai fatti occorsi in (OMISSIS) ed alla loro collocazione temporale, oggetto di varie modifiche e precisazioni nel corso delle varie audizioni della stessa; pertanto, i dati relativi alla geolocalizzazione del cellulare dello (OMISSIS) risultano ancor piu' dirimenti alla luce delle numerose contraddizioni nelle quali e' incorsa la persona offesa anche per i fatti di cui al capo D. 6.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la manifesta illogicita' e la contraddittorieta' della motivazione che violando l'articolo 192 c.p.p. e articolo 499 c.p.p., comma 3, operando una valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa ed utilizzando risposte a domande suggestive mai riscontrate, ha confermato la condanna per il reato di cui al capo D nonostante la assoluzione dal reato di cui al capo C. Quanto alla valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa, lamenta che tale operazione non e' possibile con riguardo a dichiarazioni relative a due rapporti sessuali avvenuti nello stesso luogo e nello stesso contesto temporale. In ultima analisi, l'incapacita' della vittima di ricordare se in localita' (OMISSIS) si fossero verificati uno o piu' incontri di natura sessuale non poteva non interferire nella ricostruzione della complessiva esperienza in quella localita' e dunque sulla attendibilita' delle dichiarazioni che avevano ad oggetto il capo D della rubrica. La Corte di appello ha disatteso tale deduzione con motivazione generica che ha prescisso dalla peculiarita' del caso concreto poiche' la affermata diversificazione tra episodi distinti cronologicamente e per le persone coinvolte semplicemente non esiste visto che e' stata esclusa dallo stesso Tribunale. Il ricorrente ribadisce che una volta messa di fronte all'evidenza della natura consensuale del rapporto a tre (con il (OMISSIS) e lo (OMISSIS)) consumato a (OMISSIS), rispetto al quale la ragazza aveva manifestato via WhatsApp il proprio gradimento, quest'ultima aveva repentinamente aggiustato il tiro recuperando improvvisamente il ricordo di un altro rapporto sessuale, da lei non voluto, al quale avrebbe successivamente partecipato il (OMISSIS). E' lo stesso Tribunale a sconfessare il maldestro tentativo della persona offesa di ricondurre quel messaggio ai fatti di cui al capo C piuttosto che a quelli di cui al capo D in tal modo sancendone la assoluta inattendibilita' per condotte contrarie alla buona fede processuale. Aggiunge, sempre con riferimento ai fatti di cui al capo D della rubrica, che in sede di appello aveva contestato il diverso metro di giudizio utilizzato dal Tribunale nel valutare le conversazioni intercorse via Facebook tra la persona offesa e gli altri imputati successivamente ai rapporti sessuali, traendo dallo stesso tenore di tali messaggi in alcuni casi il convincimento del pieno consenso della prima agli atti sessuali (e' il caso del (OMISSIS)), in altri, invece, l'esatto contrario ritenendo il contenuto del messaggio del tutto ininfluente (e' il caso del (OMISSIS) e, di riflesso, dell'odierno ricorrente) perche' immotivatamente ricondotto alla prima parte del rapporto sessuale. E in ogni caso il Tribunale non aveva spiegato la ragione per la quale, dopo aver asseritamente subito una violenza sessuale dai contorni cosi' terrificanti, la minore avesse espresso apprezzamenti di piacere e compiacimento nei confronti di due suoi aggressori. In appello aveva contestato l'utilizzo, a fini accusatori, di un'altra chat intercorsa tra la persona offesa e il (OMISSIS) nel corso della quale la vittima aveva chiesto al suo interlocutore il motivo per il quale aveva chiamato il (OMISSIS). La natura di riscontro alle dichiarazioni accusatorie doveva essere esclusa in base a due considerazioni: 1) la conversazione estrapolata dal telefono della ragazza era per molti versi incomprensibile e interrotta ed in ogni caso quest'ultima aveva affermato, con riferimento ai fatti di cui al capo D, che era stato lo (OMISSIS) a chiamare il (OMISSIS) e non il (OMISSIS), incorrendo in evidente travisamento della prova; 2) con quel messaggio la persona offesa replicava all'esortazione del suo interlocutore, che l'aveva invitata a fare maggiore attenzione nello scegliere le persone con cui accompagnarsi per non farsi una brutta nomea, chiedendogli perche' allora egli avesse chiamato il (OMISSIS), con l'ulteriore conseguenza che tale conversazione riguardava circostanze del tutto diverse da quelle di cui al capo D. Il Tribunale, dunque, aveva tradito le sue intenzioni (la volonta' di non utilizzare le dichiarazioni della persona offesa rese a seguito di domande suggestive e non assistite da riscontri oggettivi) perche' aveva utilizzato come riscontro alle dichiarazioni della vittima circostanze del tutto estranee ai fatti, ne' aveva spiegato perche' non potessero costituire prove a discarico le conversazioni successive ai fatti risalenti al mese di settembre del 2014 allorquando la minore manifestava (o comunque lasciava intendere) al (OMISSIS) la sua volonta' di volersi fidanzare con lui a riprova dell'assenza di tensioni, violenze o pregresse minacce. Si deduceva anche che nel capo D di imputazione si fa riferimento a rapporti orali mai menzionati dalla persona offesa in sede di incidente probatorio. Orbene, prosegue, la Corte di appello ha fornito la sua risposta semplicemente non argomentando in ordine alla lamentata disparita' di trattamento nel valutare i messaggi oggetto di specifico motivo di impugnazione, fornendo anzi una risposta ancora piu' illogica del primo Giudice. La Corte non si premura nemmeno di spiegare perche' mai la ragazza, invece di limitarsi a rimproverare il proprio aguzzino per aver chiamato il (OMISSIS) non gli abbia direttamente espresso il suo dolore per essere stata violentata, ne' perche' si sia limitata ad affermare di non sapere se si poteva fidare o meno del (OMISSIS) piuttosto che esprimergli la certezza di non potersi piu' fidare di lui e di evitare ogni conversazione con lui, ne' perche' la ragazza avrebbe dovuto esprimere successivamente al fatto l'estremo gradimento del rapporto sessuale a tre (con il (OMISSIS) e lo (OMISSIS)), occorso precedentemente l'asserita violenza avvenuta in quello stesso giorno, ne', ancora, perche' la ragazza avrebbe addirittura successivamente sondato l'eventuale disponibilita' del (OMISSIS) a fidanzarsi con lei. La Corte di appello, lamenta, ha superato tutti questi interrogativi ipervalorizzando puramente e semplicemente la stessa conversazione gia' utilizzata dal primo Giudice e illogicamente aggiungendo a riscontro della credibilita' della ragazza la descrizione dell'abitazione di (OMISSIS) nella quale era stato consumato il rapporto: la questione - osserva il ricorrente - non e' la descrizione dell'abitazione ma l'affermazione della presenza del (OMISSIS) in quella circostanza, tanto piu' che la Corte di appello non spiega nemmeno perche' mai gli altri due imputati, che avevano appena goduto dei favori sessuali della persona offesa con il suo consenso, avrebbero dovuto costringerla a congiungersi con un terzo contro la sua volonta'. Ne' puo' dirsi irrilevante il fatto che la persona offesa non ricordasse se uno dei ragazzi avesse fumato o meno le sigarette richieste al (OMISSIS) poiche' la risposta a tale domanda presupponeva, logicamente, il ricordo della presenza del ricorrente, e non si trattava, dunque, di una questione marginale, come afferma la Corte di appello. Tantomeno convince la risposta fornita dalla Corte di appello all'obiezione circa la mancata descrizione dei rapporti orali nell'esame reso della persona offesa in sede di incidente probatorio. E' un silenzio significativo che in alcun modo puo' essere qualificato, cosi' come afferma la Corte territoriale, come "specificazione" di quanto avvenuto. Tanto piu' che in sede di incidente probatorio la giovane aveva omesso di riferire dei rapporti orali precedentemente denunciati ma aveva descritto rapporti sessuali con il (OMISSIS) mai precedentemente denunciati. Quanto alla collocazione temporale del fatto (epoca anteriore e prossima al 09/12/2013), con conseguente ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., n. 1), la Corte di appello - afferma - ha ragionato in base ad un sillogismo smentito da altre emergenze processuali. La Corte territoriale, infatti, ricorda che la persona offesa (che avrebbe compiuto quattordici anni il (OMISSIS)) dal 29 dicembre 2013 al 3 febbraio 2014 aveva avuto una relazione sentimentale per lei molto soddisfacente sicche' non avrebbe avuto motivo di avere un rapporto sessuale di gruppo prima consensuale e poi violento durante questo periodo. Il ricorso a tale "espediente" motivazionale e' dovuto alla necessita' di eludere l'utilizzo delle risposte fornite sul punto dalla persona offesa in base a domande suggestive. Sennonche', gia' nell'agosto 2013, la persona offesa aveva tradito lo (OMISSIS), con il quale aveva una relazione, proprio con il (OMISSIS). Inoltre, l'attitudine della ragazza ad avere rapporti sessuali di gruppo anche con terzi estranei e' attestata persino dalla sentenza di primo grado, con conseguente fallacia del ragionamento della Corte di appello che fa leva su una sconfessata fedelta' della ragazza al fidanzato dell'epoca. Resta dunque la collocazione temporale dei fatti operata dalla ragazza con riferimento al compleanno dell'amica, collocazione talmente inaffidabile che persino il Tribunale ne ha prescisso facendo ricorso ad argomenti e fatti (una nota scritta dalla PO sul proprio cellulare il 5 febbraio 2014 nella quale scriveva che non vedeva lo (OMISSIS) da un mese) la cui tenuta logica era stata oggetto di specifico motivo di appello del tutto eluso dalla Corte territoriale mediante le considerazioni oggetto di odierna censura. 6.3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), la nullita' assoluta ed insanabile dell'incidente probatorio tenuto ad opera, contemporaneamente, del GIP del Tribunale ordinario e del GIP del Tribunale per i minorenni in violazione dell'articolo 33 c.p.p. (in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera a, e articolo 179 c.p.p.), articoli 24, 25 e 111 Cost., articoli 6 e 7 Convenzione EDU. La questione, afferma, non riguarda il fatto che i due giudici abbiano tenuto udienza nello stesso luogo e nello stesso tempo, ne' la rilevanza della prova, bensi' il fatto che il GIP presso il tribunale per i minorenni abbia posto domande e sia concretamente intervenuto anche con riferimento alla posizione degli imputati maggiorenni dei quali non e' giudice naturale, con conseguente inutilizzabilita' della prova in quanto assunta da giudice "incapace" e dunque in violazione di legge. Ne' un protocollo condiviso tra due uffici giudiziari del medesimo distretto puo' giustificare violazioni della legge ordinaria. Ammettere che la tutela della vittima del reato - ed il fine di arginare il piu' possibile il rischio di vittimizzazione secondaria - possa legittimare qualsiasi intervento di fonte secondaria che, in nome della persona offesa, finisca per comprimere ulteriormente il diritto di difesa, significa ammettere che, almeno in prospettiva, l'imputato possa definitivamente essere privato, tra gli altri, del diritto di controesaminare il proprio accusatore. Il rischio di vittimizzazione secondaria non impediva in alcun modo la rinnovata audizione della persona offesa da parte del GIP del tribunale per i minorenni in relazione alla sola posizione del correo minorenne il quale, invece, ha concorso a porre domande anche sulle posizioni degli imputati maggiorenni. Sicche', la violazione dell'articolo 33 c.p.p. non riguarda solo l'aspetto statico della composizione (di fatto) collegiale del giudice e della sua irregolare costituzione, ma anche quello dinamico dell'effettivo esercizio delle prerogative nei confronti di persone non sottoposte alla giurisdizione di uno dei due. 6.4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c), l'inosservanza dell'articolo 499 c.p.p., comma 3, per essere state utilizzate, ai fini della decisione con riferimento al capo D della rubrica, dichiarazioni rese in risposta a domande suggestive. Afferma che la Corte di appello, nel disattendere le analoghe doglianze relative all'utilizzo delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in risposta a domande suggestive senza che le stesse risultassero assistite da alcun riscontro oggettivo, ha affermato che le allegazioni difensive facevano riferimento all'esistenza "in generale" di tali domande. Sennonche', fermo restando che la stessa Corte di appello da' atto dell'oggetto delle domande suggestive indicate con l'appello stesso (pag. 12 della sentenza), resta il fatto che in sede di impugnazione era stato riportato l'elenco delle domande suggestive, alcune delle quali anche trascritte testualmente, e le relative risposte a dimostrazione delle modifiche della versione dei fatti rese dalla persona offesa in risposta a tali domande. E' arduo sostenere, di conseguenza, che le deduzioni difensive in ordine all'illegittima utilizzazione delle risposte fornite a domande suggestive e non riscontrate erano generiche. Tali risposte, evidentemente compiacenti, riguardavano anche la dinamica del rapporto sessuale, un'eventuale costrizione, l'eventuale opposizione all'atto sessuale ed anche la sua collocazione temporale. 6.5. Con il quinto motivo deduce la manifesta illogicita' e contraddittorieta' della motivazione, anche per travisamento della prova, con riferimento alla percezione, da parte degli imputati, di un consenso tacito della persona offesa anche per i fatti di cui al capo D. La persona offesa, afferma, interrogata sui fatti di cui al capo D, aveva sempre sostenuto di aver avuto dapprima un rapporto sessuale consensuale con (OMISSIS) e (OMISSIS) e che successivamente era sopraggiunto il (OMISSIS) con il quale, in passato, aveva avuto rapporti sessuali consensuali, anche di gruppo. I tre l'avrebbero spogliata senza aver mai opposto resistenza o aver manifestato il proprio dissenso. Solo a seguito di domande suggestive, la ragazza aveva affermato di aver reagito in qualche modo. Con l'atto di appello il ricorrente si era doluto della disparita' della motivazione rispetto ad altri imputati e della illogicita' del ragionamento del primo Giudice che, da un lato aveva illogicamente escluso l'incidenza dei pregressi rapporti sessuali con la vittima sul convincimento del consenso di quest'ultima al rapporto sessuale in questione, dall'altro aveva anche travisato il contenuto delle risposte fornite dalla vittima stessa che si era comunque espressa con formula ipotetica ("magari mi spostavo...magari mi muovevo"). La Corte di appello si e' limitata a prendere atto delle dichiarazioni della minore omettendo di scrutinare, in modo critico, l'utilizzo dell'avverbio "magari" che dimostra l'incapacita' della persona offesa di prendere una precisa posizione sul punto relativo alla manifestazione del proprio dissenso. Affermare, di conseguenza, che la vittima si e' certamente opposta all'azione dell'imputato significa travisarne le dichiarazioni. Allo stesso modo, il dimenarsi della ragazza (che la difesa non ha mai ammesso) non esclude che possa essere stato percepito come partecipazione attiva all'atto sessuale. Se si considera che la (OMISSIS) aveva appena avuto un rapporto sessuale con lo (OMISSIS) ed il (OMISSIS), che con il primo aveva avuto una relazione sentimentale e con il quale era desiderosa di tornare, che con il (OMISSIS) c'era stata una breve relazione nell'estate precedente e che con il (OMISSIS) ambiva ad avere una relazione anche dopo i fatti per i quali si procede, non pare che la stessa si fosse trovata in una situazione di coercizione tale da impedirle di manifestare verbalmente il proprio dissenso. La presenza del consenso qualifica il fatto ai sensi dell'articolo 609-quater c.p., non procedibile per mancanza di querela ne' d'ufficio in assenza di connessione o di collegamento probatorio con gli altri reati. 6.6. Con il sesto motivo deduce la carenza assoluta di motivazione in ordine ai lamentati vizi del procedimento tecnico-scientifico con cui si affermava essere stata accertata la capacita' di testimoniare della persona offesa e la manifesta illogicita' della motivazione nella parte in cui conferma il rigetto della richiesta di nuova perizia collegiale sulla capacita' di testimoniare della stessa e la richiesta di una sua nuova audizione. A fronte delle articolate censure mosse con l'atto di appello avverso la validazione del giudizio di capacita' di testimoniare della persona offesa, la Corte di appello si e' limitata ad aderire alle conclusioni del Tribunale senza motivare sui vizi del relativo procedimento tecnico-scientifico ampiamente illustrati in sede di impugnazione della sentenza di primo grado. La Corte di appello, prosegue, nel limitare la regiudicanda all'alternativa consenso/dissenso all'atto sessuale, supera le incongruenze emerse nel corso dell'esame della persona offesa, anche rispetto al materiale informatico maldestramente eliminato con l'aiuto del fratello di quest'ultima (e successivamente recuperato), facendo leva sulla fragilita' della ragazza e sulla sua possibile manipolazione e strumentalizzazione, quasi a significare che se consenso v'e' stato, esso era invalido perche' ottenuto approfittando delle condizioni di inferiorita' psico-fisica della ragazza stessa. Il ricorrente ricorda, pero', di non essere stato condannato per il delitto di violenza sessuale di gruppo mediante induzione, con la conseguenza che la questione doveva rimanere confinata alla verifica dell'esistenza di un consenso agli atti, ancorche' tacito. Orbene, afferma, la capacita' di testimoniare della persona offesa e la valutazione di attendibilita' della stessa andavano rivalutate alla luce del mutato (e, per tanti versi, ribaltato) quadro istruttorio per cui occorreva che la capacita' di testimoniare venisse riconsiderata da un collegio di periti - anche al fine di emendare i macroscopici errori in cui era incorso il perito di primo grado - e che la ragazza venisse messa in condizione di spiegare tutta quella immensa mole di chat, di immagini e di video che si erano rivelati incompatibili con quanto dalla stessa affermato (il riferimento, precisa il ricorrente, e' alle chat con cui la giovane sollecitava e organizzava incontri sessuali di gruppo con gli imputati e con altri soggetti estranei al processo, all'insofferenza mostrata se non veniva esaudita, alle numerose immagini pornografiche, una vera e propria galleria di organi genitali maschili, ai video di rapporti sessuali di gruppo). E' tautologico e manifestamente illogico sostenere che qualunque cosa vi fosse all'interno del PC della ragazza, cio' sarebbe comunque compatibile con la condizione di insofferenza nella quale si trovava precipitata a causa delle condotte violente degli imputati. In realta', molte dichiarazioni della vittima sono risultate smentite dal contenuto del materiale informatico in questione alla luce del quale la sua idoneita' specifica a testimoniare avrebbe dovuto essere riesaminata tenendo conto della comprensibile urgenza della ragazza di dissimulare la realta' emergente da quel materiale e di proporre una lettura salvifica del proprio comportamento. La richiesta, in primo grado, di nuova audizione della persona offesa si basava su elementi nuovi, non considerati in sede di incidente probatorio e sui quali non era stata ovviamente interrogata: a) l'analisi del contenuto del PC, consegnato dalla stessa ragazza nel corso del suo esame, dopo che qualche giorno prima aveva inutilmente tentato di eliminarne il contenuto, analisi effettuata solo dopo la conclusione dell'incidente probatorio; b) la geolocalizzazione del telefono in uso allo (OMISSIS). La risposta della Corte di appello alle doglianze sulla decisione del Tribunale di non risentire la vittima, confermativa della decisione stessa, si espone a due considerazioni critiche: a) se nuoce alla credibilita' della vittima reiterarne l'esame piu' e piu' volte perche' cio' viola la Carta di Noto, allora si sarebbe dovuto dichiarare inattendibile l'intero narrato della stessa proprio perche' sentita piu' volte; b) l'affermazione che la ragazza era stata sentita su tutti i temi di prova i quali erano gia' stati abbondantemente esplorati contrasta con la logica poiche' al piu' si sarebbe dovuto discutere della rilevanza e novita' dei temi di prova, non sull'apporto conoscitivo che il loro esame avrebbe prodotto. 6.7. Con il settimo motivo deduce la nullita' delle sommarie informazioni testimoniali rese dalla persona offesa al PM l'11/11/2015 utilizzate ai fini delle contestazioni e assunte in violazione degli articoli 362 e 198 c.p.p. in mancanza dell'ammonimento a dire la verita'. Diversamente da quanto sostiene la Corte di appello, la persona informata dei fatti che rende dichiarazioni al PM in sede di indagini preliminari deve essere informata dell'obbligo di dire la verita' su di essa gravante ai sensi dell'articolo 198 c.p.p.. 6.8. Con l'ottavo motivo deduce la manifesta illogicita' della motivazione e l'inosservanza dell'articolo 192 c.p.p., nella parte in cui e' stata rimessa al perito la valutazione di attendibilita' della persona offesa. La valutazioni della dottoressa (OMISSIS), perito incaricato dal GIP di valutare anche l'attendibilita' della persona offesa, sono state recepite dalle sentenze di merito cosi' come quella del CT del PM. 6.9. Con il nono motivo deduce la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione nella parte in cui, disattendendo lo specifico motivo di appello (che aveva valorizzato l'incensuratezza dell'imputato, la sua giovanissima eta', la non continguita' ad ambienti dubbi, l'impegno scolastico e accademico, i pregressi rapporti consensuali con la vittima, il buon comportamento tenuto dopo i fatti), nega le circostanze attenuanti generiche applicate, invece, ad altro coimputato sulla base degli stessi elementi di fatto. Lamenta, in particolare, la totale assenza di motivazione sugli indicatori di una possibile attenuazione della pena dedotti in appello i quali, peraltro, sono stati ritenuti idonei ad applicare le circostanze attenuanti generiche nei confronti del (OMISSIS). 6.10. Con il decimo motivo impugna le statuizioni civili di condanna deducendo la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza nella parte in cui condanna tutti gli imputati in solido al pagamento di una provvisionale senza operare distinzioni tra le diverse posizioni, non essendo a tal fine sufficiente l'unicita' dell'evento se cagionato da condotte ulteriori e diverse dalla propria. 7. (OMISSIS) ha proposto due ricorsi, uno firma dell'Avv. (OMISSIS), l'altro a firma degli Avv.ti (OMISSIS)- (OMISSIS). Il ricorso dell'Avv. (OMISSIS) propone otto motivi. 7.1. Con il primo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la manifesta illogicita' della motivazione anche per travisamento della prova nella parte in cui si afferma l'irrilevanza, rispetto al fatto di cui al capo B, della consulenza tecnica a firma dell'ing. (OMISSIS) avente ad oggetto la geolocalizzazione del telefono dell'imputato (OMISSIS) acquisita ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., comma 1. Gli argomenti sviluppati a sostegno del motivo sono identici a quelli dedotti con il primo motivo del ricorso del (OMISSIS). ma precisa, rispetto ad essi, che il telefono in uso allo (OMISSIS) non si era mai trovato in localita' "(OMISSIS)" in orario pomeridiano nei mesi di novembre e dicembre 2013, luogo e tempo nei quali la persona offesa aveva temporalmente collocato il fatto. L'accertamento tecnico difensivo rendeva piu' credibile la versione difensiva degli imputati del reato di cui al capo B che avevano affermato di aver avuto rapporti consenzienti con la persona offesa nei mesi di gennaio o febbraio 2014. 7.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la manifesta illogicita' e la contraddittorieta' della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, che, violando l'articolo 192 c.p.p. e articolo 499 c.p.p., comma 3, ha operato una valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa. Le questioni, pur con specifico riferimento alle dichiarazioni rese dalla persona offesa in relazione alla posizione del (OMISSIS), sono del tutto simili a quelle dedotte dal (OMISSIS) con il secondo motivo del suo ricorso. In primo luogo, il ricorrente censura l'utilizzo, ai fini ricostruttivi della dinamica del fatto, delle risposte a domande suggestive del GIP formulate in sede di incidente probatorio, quindi la minimizzazione di aspetti tutt'altro che marginali che smentiscono la persona offesa, come le modalita' di chiusura dall'interno dell'autovettura dello (OMISSIS) che la stessa aveva descritto e visualizzato senza alcuna esitazione, aspetto che, ammette il ricorrente, potrebbe anche essere considerato astrattamente marginale (ma tale non e' se si considera che la chiusura della pulsantiera e' descritta dalla rubrica come condotta finalizzata e prodromica alla consumazione della violenza) se non fosse che la credibilita' della persona offesa era stata fortemente minata dalle numerose assoluzioni e dal fatto che, prima dell'incidente probatorio, era stata sentita almeno sei volte, aveva intrapreso gia' da tempo un percorso di psicoterapia e si era sottoposta a terapia EMDR ancor prima di essere sentita dal PM. A non diversi rilievi si espone la collocazione temporale del fatto (novembre/dicembre 2013), affermata dalla Corte di appello, nonostante i tentennamenti della stessa PO, sulla base del riscontro fornito dal padre di quest'ultima che, pero', aveva a sua volta riferito quanto appreso dalla figlia (quanto al riferimento temporale gia' utilizzato dal Tribunale vengono replicate le analoghe considerazioni svolte dal (OMISSIS) con il secondo motivo di ricorso relativamente alla fallacia del dato ricavabile dalla nota scritta dalla PO sul proprio cellulare il 05/02/2014). Quanto alla specifica condotta a lui contestata (violenza sessuale di gruppo) lamenta che la sentenza impugnata da' per scontato il fatto che egli avesse raggiunto le zone erogene della ragazza, confermando al riguardo la sentenza di primo grado ed escludendo, di conseguenza, il tentativo dedotto in appello. Sennonche', afferma, il fatto che lui si fosse posizionato sopra la vittima risulta dalla risposta fornita da quest'ultima all'ennesima domanda suggestiva del GIP. In ogni caso, la Corte di appello travisa il dato riferito dalla vittima la quale comunque non aveva mai riferito di un contatto tra le rispettive parti intime o un qualsiasi raggiungimento delle sue zone erogene. Ben piu' lineari sono, sul punto, le dichiarazioni dell'imputato rese in dibattimento. Precisa di essersi opposto, in sede di incidente probatorio, alla formulazione di domande suggestive e ribadisce che sia il Tribunale che la Corte di appello hanno fatto ampio utilizzo delle risposte compiacenti date dalla PO benche' non riscontrate. La Corte, prosegue, si contraddice quando, da un lato, esclude il consenso della persona offesa al rapporto a tre perche' sorpresa dalla presenza del (OMISSIS), dall'altro ammette che nell'incontro successivo con lo (OMISSIS) ella aveva acconsentito ad un rapporto a tre con il (OMISSIS). Il fatto, dunque, che la presenza del terzo non fosse nota alla vittima non puo' costituire valido criterio discretivo per ritenere la sussistenza o meno del suo consenso all'atto. 7.3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), la nullita' assoluta ed insanabile dell'incidente probatorio tenuto ad opera, contemporaneamente, del GIP del Tribunale ordinario e del GIP del Tribunale per i minorenni in violazione dell'articolo 33 c.p.p. (in relazione all'articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera a, e articolo 179 c.p.p.), articoli 24, 25 e 111 Cost., articoli 6 e 7, Convenzione EDU. Gli argomenti a sostegno dell'eccezione di nullita' sono identici a quelli sviluppati dal (OMISSIS) con il suo terzo motivo di ricorso. 7.4. Con il quarto motivo propone le medesime questioni oggetto del sesto motivo di ricorso del (OMISSIS). 7.5. Con il quinto motivo propone le medesime questioni oggetto del settimo motivo del ricorso del (OMISSIS). 7.6. Con il sesto motivo propone le medesime questioni oggetto dell'ottavo motivo del ricorso del (OMISSIS). 7.7. Con il settimo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la carenza assoluta della motivazione in relazione al diniego della applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante. La Corte di appello, afferma, nel confermare la (immotivata) decisione del Tribunale di applicare le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza non ha tenuto conto degli specifici motivi di gravame sul punto, ne' vengono spiegate le ragioni dello scostamento della pena dal minimo edittale. 7.8. Con l'ottavo motivo propone le medesime questioni oggetto dell'ultimo motivo di ricorso del (OMISSIS). Il ricorso a firma Avv. (OMISSIS)- (OMISSIS) propone tre motivi. 7.9. Con il primo deduce la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione in relazione agli articoli 125 e 192 c.p.p. non avendo i giudici di appello fornito risposta alle doglianze avanzate in ordine alla attendibilita' della minore a testimoniare e all'applicazione della valutazione frazionata. Manca un approfondito controllo circa la attendibilita' delle dichiarazioni assunte in incidente probatorio della persona offesa, manca un approfondito controllo delle dinamiche dei primi racconti anche alla luce del contesto familiare travagliato. Benche' lo stesso Tribunale avesse comunque individuato dei limiti (quoziente intellettivo molto basso; scarsa capacita' di rendimento verbale; grado di suggestionabilita') che minavano fortemente la credibilita' soggettiva e l'oggettiva inattendibilita' del racconto, con motivazione contraddittoria la Corte di Appello ha ribadito la credibilita' della minore e l'attendibilita' del racconto ricorrendo alla valutazione frazionata e ai riscontri esterni, seppure non ne ricorressero i presupposti e le condizioni. L'interferenza logica tra le varie parti del racconto osta alla sua valutazione frazionata. Per la posizione del (OMISSIS) l'interferenza logica e fattuale sussiste tra le parti delle dichiarazioni relative ai fatti di reato che gli sono stati contestati (B, N e O) e ne da' conferma lo stesso Tribunale laddove, per i fatti di cui ai capi N ed O di cui sarebbe rimasto vittima l'altra parte offesa, (OMISSIS), ritiene, secondo la prospettazione accusatoria, di rinvenire la causale "nella non accettazione, da parte del gruppo, di un soggetto estraneo al "branco" (pag. 259 della sentenza). 7.10. Con il secondo motivo reitera l'eccezione di nullita' dell'incidente probatorio siccome condotto in forma congiunta da due giudici di uffici diversi. 7.11. Con il terzo motivo ripropone le deduzioni oggetto del decimo motivo del ricorso del (OMISSIS). 8. (OMISSIS) articola sette motivi. 8.1. Con il primo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'inosservanza dell'articolo 499 c.p.p., comma 6, e la mancanza di motivazione in ordine alla lamentata assenza di genuinita' della testimonianza della persona offesa a causa delle modalita' di conduzione dell'incidente probatorio caratterizzato dal sistematico ricorso a domande suggestive. Premette che nelle lunghe tre audizioni in sede di incidente probatorio, nel porre le domande sono state utilizzate, come traccia per ripercorrere gli eventi, oltre che ai fini della formulazione di formali contestazioni, le trascrizioni dell'audizione protetta dell'11/11/2015 rese davanti all'ausiliario del PM, Dott.ssa (OMISSIS). Cio' ha comportato che l'incidente probatorio non sia stato condotto utilizzando domande aperte utili a raccogliere il racconto quanto piu' spontaneo e genuino della persona offesa, ma e' stato sollecitato con domande estremamente specifiche, moltissime delle quali suggestive (361, secondo la consulenza del prof. (OMISSIS); 505 secondo una stima meno prudenziale). In molti casi, per esempio, la domanda iniziava richiamando direttamente le dichiarazioni rese nella precedente audizione. In grado di appello era stata pertanto data evidenza della completa elencazione delle domande suggestive, delle domande ripetute, delle contestazioni e delle affermazioni suggestive poste dai Giudici presenti nell'incidente probatorio, con relative risposte rese dalla minore. Ogni domanda suggestiva e' stata classificata nella categoria corrispondente: domande dirette; domande ripetute; domande a risposta forzata; domande verificazioniste; domande nocive; domande a cui risponde il Giudice stesso; domande a cui viene suggerita la risposta. Sono state altresi' evidenziate le domande suggestive riguardanti la collocazione temporale dei fatti di reato e quelle sul consenso/dissenso, domande che riguardano temi centrali della testimonianza sia con riferimento alla ricostruzione del fatto che agli aspetti soggettivi dalle quali discendono conseguenze dirompenti in tema di responsabilita' penale. La presenza di numerose domande suggestive nel corso dell'intervista (in cui gli intervistatori hanno addirittura fatto ricorso all'istituto delle contestazioni, in aiuto alla memoria o per correggere dichiarazioni della persona offesa del tutto opposte a quelle rese in audizione protetta) e' circostanza che e' stata pacificamente riconosciuta dal perito del Giudice e dallo stesso Tribunale in primo grado (pag. 193 sentenza primo grado). Ebbene, la difesa, con l'atto di appello, aveva richiesto di verificare se le palesi violazioni dei metodi di ascolto della minore, cosi' come delineati dalla Carta di Noto e dalle Linee Guida in tema di abuso su minori Sinpia, con la proposizione di numerosissime domande suggestive, fossero tali da incidere sulla sua attendibilita' e sulla genuinita' della prova nel suo complesso. Cio' alla luce anche del grado di suggestionabilita' della minore calcolato sulla base del test di Gudjonsson somministrato dalla Dott.ssa (OMISSIS). Quest'ultima aveva escluso la suggestionabilita' della persona offesa ma la conclusione era stata contestata dal prof. (OMISSIS) che, analizzando il medesimo test, era giunto a conclusioni opposte; tant'e' vero che lo stesso CT del PM, Dott.ssa (OMISSIS), chiamata nuovamente a deporre in dibattimento a seguito dell'audizione del Prof. (OMISSIS), aveva ridimensionato la percentuale di errore ritenendo che dovesse essere stimata nella misura del venti per cento, collocando la minore al ventottesimo percentile rispetto all'ottantesimo calcolato dalla Dott.ssa (OMISSIS) (pag. 126 sentenza primo grado). Sicche', ci si doveva attendere che su 361 domande suggestive, potenzialmente la minore avrebbe potuto fornire 72 risposte distorte (pag. 137 sentenza primo grado). Lo stesso Tribunale, come detto, ha riconosciuto che se la minore e' suggestionabile e l'incidente probatorio e' stato condotto in modo sistematicamente suggestivo, la prova e' assai fragile e ha bisogno di riscontri esterni. Con l'impugnazione, dunque, era stato chiesto alla Corte di appello di determinare se le modalita' di conduzione dell'audizione della minore, in aperta violazione peraltro dei protocolli delineati nella Carta di Noto, fossero idonee a compromettere, oltre che l'attendibilita' della persona offesa, la stessa genuinita' e valutabilita' della prova formatasi. La risposta fornita dalla Corte di appello sul punto (pag. 45) tradisce una superficiale comprensione della questione sottoposta alla sua attenzione ed una incompleta lettura delle prove acquisite. In primo luogo, il problema non attiene alla proposizione di "alcune" domande suggestive bensi' la modalita' complessiva di conduzione dell'incidente probatorio che rende impraticabile la soluzione prospettata dalla Corte di appello. Dinnanzi ad un numero cosi' rilevante di domande suggestive - 505 nella numerazione definitiva - non e' possibile, e infatti il Tribunale di primo grado non lo ha fatto contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, impegnarsi in una valutazione di attendibilita' incrociata con riscontri estrinseci per ogni risposta resa. Soprattutto se si considera che molte delle domande suggestive ricadevano su temi, primo fra tutti la presenza del consenso, che attengono a fenomeni psichici e sono dunque impossibili da riscontrare con elementi estrinseci. In secondo luogo, il Tribunale e la Corte di appello non hanno svolto alcuna verifica caso per caso; lo dimostrano le stesse sentenze di merito che riportano stralci dell'incidente probatorio contenenti domande suggestive fondandovi il giudizio di responsabilita' penale degli imputati in assenza di riscontri estrinseci o addirittura a fronte di versioni diverse fornite dalla persona offesa in udienze successive. Il problema, dunque, non attiene alla singola domanda e alla singola risposta, ma attiene all'aggregato, alla probabilita' che una percentuale significativa di risposte rese dalla minore alle domande suggestive postele sia frutto di suggestione. La difesa, dunque, non si era limitata - come afferma la Corte di appello - a lamentare in astratto la presenza di domande suggestive, ma, al contrario, ha proceduto alla loro puntuale indicazione e quantificazione a piu' riprese in un numero assolutamente considerevole, con evidenza delle risposte rese dalla minore. Ed era stata anche esplicitata la sicura ricaduta che la proposizione delle domande suggestive ha sul tema dell'attendibilita', ricaduta dovuta al grado di suggestionabilita' della minore e ai temi su cui tali domande incidono: consenso e collocazione temporale. La Corte di appello ha liquidato tali censure con una motivazione superficiale, non confrontandosi con la costante giurisprudenza di legittimita' che ha stabilito che la violazione del divieto di porre domande suggestive compromette la genuinita' della dichiarazione se destruttura l'esame nel suo complesso. Nel caso di specie, il numero e la natura delle domande suggestive sono tali da viziare la prova nel suo complesso. La testimonianza non e' valutabile in quanto non e' possibile analizzare separatamente ogni risposta per verificare se e' confortata da riscontri estrinseci. Da qui il vizio di motivazione che affligge la sentenza, sia in termini di motivazione assente, perche' non si confronta con la specifica censura mossa dalla difesa, sia in termini di motivazione illogica perche' il criterio con il quale i Giudici di merito intendono superare il problema della presenza di domande suggestive e' impraticabile. Conclude aggiungendo che il divieto di porre domande suggestive si applica anche al giudice. 8.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), il vizio di illogicita', contraddittorieta' e mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta capacita' di testimoniare della minore e alla validita' della prova scientifica formatasi sull'argomento (consulenza tecnica del PM, la perizia e le consulenze tecniche di parte privata). La divergenza delle conclusioni dei consulenti e del perito del tribunale imponeva uno specifico onere motivazionale in ordine alla validita' scientifica dei criteri e dei metodi di indagine utilizzati dagli esperti e in ordine alla razionalita' scientifica dei risultati. Il portato di tale operazione e' il divieto per il giudice di disattendere gli esiti degli accertamenti tecnici una volta che i criteri e i metodi di indagine siano stati ritenuti validi, anche alla luce di una prova di resistenza nel confronto con altri criteri e metodi di indagine. Il Tribunale aveva posto in luce tutta una serie di criticita' in ordine alla capacita' a testimoniare della minore, anche sulla scorta di quanto emerso dal contraddittorio tra gli esperti, senza tuttavia farne discendere le opportune conseguenze in tema di validita' della testimonianza, cosi' violando l'obbligo imposto dalla giurisprudenza di legittimita' che vieta di disattendere gli esiti degli accertamenti tecnici ove i criteri e i metodi di indagine siano ritenuti validi. La sentenza di appello, invece, ha liquidato la questione della prova scientifica e della capacita' a testimoniare in modo del tutto superficiale, aderendo acriticamente alle conclusioni del CT del PM, Dott.ssa (OMISSIS) (come se le altre valutazioni non esistessero), cosi' ritenendo di superare i limiti riconosciuti in primo grado. Quanto alle capacita' generiche, il Tribunale aveva riconosciuto che la minore ha un quoziente intellettivo basso (81 di Q.I., laddove 100 e' la media) e una scarsissima capacita' di rendimento verbale (73 di Q.I. verbale, laddove 70 e' il limite sotto il quale si parla di ritardo mentale) (pagg. 33 e 192). Peraltro, afferma, il fatto che la minore possedesse bassissime capacita' cognitive di natura verbale, non solo incide sulla sua capacita' testimoniale, ma - come affermato dal prof. (OMISSIS) - dispiega un ruolo centrale sulla questione della manifestazione del dissenso che diventa fondamentale nell'analisi dei singoli episodi contestati. Esempio tipico e' la confusione mostrata dalla testimone tra aspetto del consenso all'atto sessuale e piacere provato, aspetto sollevato in primo e secondo grado ma del tutto negletto. Quanto alla capacita' specifica e alla suggestionabilita', riconosciuta - come detto - dal Tribunale, ribadisce che il tema e' direttamente collegato anche alla presenza di dinamiche familiari e sociali che possono aver condotto la persona offesa a riferire i fatti in un determinato modo. Sottolinea, al riguardo, che la Dott.ssa (OMISSIS) aveva evidenziato una pericolosa relazione di accomodamento della persona offesa nei confronti della madre. Di fronte ad una acclarata suggestionabilita' della minore, assumeva indubbia rilevanza un rapporto sintonico tra madre e figlia, dove la figlia vive un senso di colpa indotto dall'atteggiamento giudicante della madre. Il Tribunale, pero', non ne aveva tratto le dovute conseguenze. Quanto alle capacita' generiche, deduce che con l'appello era stata rappresentata l'erronea conclusione a cui era pervenuto il perito del Tribunale, Dott.ssa (OMISSIS), che aveva escluso in capo alla minore la presenza di elementi psicopatologici tali da alterare il rapporto con la realta' sulla base dei risultati del test MMPI-A, test che presenta numerose scale di controllo e validita' delle quali il perito, tuttavia, si era limitato a commentare solo alcune. In particolare, non era stato valutato lo specifico indicatore che non solo misura il grado di contraddittorieta' e incoerenza delle risposte fornite (scala di VRIN) ma addirittura inficiava lo stesso test. Tali risultanze deponevano a favore della necessita' di un approfondimento sotto il profilo psicopatologico della persona offesa. Questo e' uno dei motivi per i quali nell'atto di appello era stato chiesto che venisse disposta una nuova perizia al fine di valutare aspetti psicopatologici che, non solo non sono stati oggetto di analisi da parte della Dott.ssa (OMISSIS), ma che dovevano correggere i numerosi errori di valutazione da essa commessi (per come sono emersi nel corso del dibattimento grazie alle valutazioni del consulente di parte non presente all'incidente probatorio). Richiesta tuttavia disattesa dalla Corte con una motivazione apparente e sbrigativa. Sempre con riferimento alla capacita' generica, deduce di aver devoluto in appello la questione relativa alle difficolta' mnestiche confessate dalla minore che, afferma, dovevano essere oggetto di approfondimento perche' direttamente incidenti sulle abilita' generiche a rendere testimonianza. Il fatto che la persona offesa riporti gravi difficolta' mnestiche e' un dato rilevante da considerare per fondare o escludere la capacita' della stessa di rendere testimonianza. E' lo stesso Tribunale a riconoscerne l'importanza in astratto (pag. 130 sentenza), salvo non affrontare direttamente la questione, nonostante le richieste difensive di approfondimento anche disponendo una nuova e maggiormente approfondita perizia; istanza mai riscontrata dai Giudici di merito. Al tema della capacita' di testimoniare si iscrive anche l'argomento relativo alla sottoposizione della minore a sedute psicoterapeutiche con tecnica EMDR prima di rendere testimonianza. Il Tribunale non si era spinto oltre una mera ricognizione della prova formatasi in dibattimento, nel senso che, pur riprendendo in astratto le deposizioni della Dott.ssa (OMISSIS) e dei consulenti tecnici di parte (Dott.ssa (OMISSIS) e prof. (OMISSIS)), non ha svolto una benche' minima valutazione delle posizioni assunte dagli esperti. Il CT del PM, diversamente da quanto afferma la Corte di appello, aveva espressamente riconosciuto, in sede di controesame, che la tecnica EMDR puo' modificare/alterare/cancellare i ricordi portando ad una loro distorsione. Il rischio di produrre falsi ricordi - ribadisce - e' riconosciuto dalla letteratura riferibile ai maggiori studiosi mondiali del funzionamento sulla memoria e da alcune Corti di giustizia estere che hanno escluso l'EMDR come fonte di prova in quanto la ripetizione meccanica di un fatto in un contesto di alleanza terapeutica puo' condurre a validare da un punto di vista emotivo una memoria che in realta' e' inaccurata. Ma, anche a voler prescindere dalla creazione di false memorie, la perdita della carica emozionale associata ad un ricordo e' circostanza assai rilevante se, come nel caso di specie, l'evento da ricordare e' un evento psichico, quale la presenza o l'assenza di consenso, argomento denso evidentemente di carica emotiva. A fronte di tali doglianze, la Corte di Appello ha motivato in maniera apparente e giuridicamente scorretta richiamando le categorie della capacita' e dell'attendibilita' sulla scorta della acritica adesione alle sole risultanze della Dott.ssa (OMISSIS) e, prima ancora, sulla relazione (cfr. pagg. 28 e 30 della sentenza impugnata) che la stessa aveva redatto a seguito di un incarico non portato a termine e del dichiarato della minore assunto a sommarie informazioni testimoniali mai entrate nel fascicolo del dibattimento. Le criticita' sollevate dall'appellante non sono state nemmeno richiamate, cosi' violando l'insegnamento di legittimita' che impone al giudice di analizzare in modo esteso le diverse posizioni assunte dagli esperti, per aderire con motivazione congrua alle conclusioni ritenute piu' soddisfacenti. Non solo; la Corte d'Appello dimostra di confondere la capacita' testimoniale con la credibilita' clinica e con l'attendibilita', torcendo nel ragionamento i diversi concetti l'uno sull'altro, richiamando confusamente categorie che, non solo sono del tutto diverse, ma che spettano nella loro valutazione a soggetti diversi (l'una in capo ai periti, l'altra in capo agli organi giudicanti). In questo modo i Giudici distrettuali, da un lato, rinunciano ad una vera e propria valutazione dell'attendibilita' - giudizio che spetterebbe unicamente alla Corte - aderendo acriticamente alle conclusioni della Dott.ssa (OMISSIS) che tuttavia riguardano la capacita' della persona offesa a rendere testimonianza (scorretto, al riguardo, fondare la valutazione di tale capacita' sulla asserita mancanza di prova del mendacio della persona offesa - pag. 29 della sentenza - laddove il mendacio attiene, semmai, al momento della valutazione dell'attendibilita'), dall'altro rifuggono da ogni approfondimento critico sulla capacita' testimoniale, ritenendo sufficiente la valutazione del CT del PM e tralasciando le numerosissime critiche emerse nei motivi di appello e le altrettanto numerose prove di segno contrario, tra le quali la CT del prof. (OMISSIS) del tutto svilita nel suo contenuto, non limitata alla sola critica della professionalita' del perito. E' plateale sotto vari profili la mancata valutazione della prova scientifica: (1) la Corte di Appello riprende la circostanza esplicitata nella relazione della Dott.ssa (OMISSIS) secondo cui la minore resisterebbe alle suggestione, quando, invece, nel corso della sua audizione del 07/12/2018, la stessa aveva dichiarato, dopo aver ricalcolato i risultati del test di Gudjonsson somministrato dal perito, che la minore si colloca nel ventottesimo percentile delle persone suggestionabili, con una percentuale di errore atteso a domande suggestive pari al venti per cento; (2) la Corte di Appello supera, senza neppure motivare, il dato emergente dal test di Wechsler somministrato dalla Dott.ssa (OMISSIS) che ha dimostrato che la minore ha gravi difficolta' semantiche. Sul punto, la Corte di appello ha aderito acriticamente alle conclusioni del CT del PM che, nonostante non avesse somministrato alcun test alla minore (perche' la minore si era deliberatamente sottratta alla valutazione), ha ritenuto che la stessa presentasse una espressione sul piano linguistico fluida e ben strutturata, priva di difficolta' sintattico-grammaticali e/o semantiche, accompagnata da buona capacita' nella comprensione e nella verbalizzazione delle proprie e altrui emozioni. E cio' quando le difficolta' semantiche, di comprensione e di verbalizzazione, come si e' visto, emergevano palesi dalla stessa lettura delle dichiarazioni della minore, come riconosciuto anche dal Tribunale; (3) la Corte di appello ha ignorato tutte le criticita' evidenziate nell'impugnazione per concentrarsi unicamente sul profilo dell'EMDR, come se la difesa avesse richiesto di fondare l'assenza di capacita' testimoniale della minore unicamente sul fatto di essere stata sottoposta a questa terapia. E, comunque, questo argomento e' stato liquidato dalla Corte territoriale con motivazione superficiale, avendo semplicemente ritenuto che la tecnica psicoterapeutica in esame, pur epurando i ricordi dalle emozioni, non alteri il ricordo, perche' cosi' hanno concluso la Dott.ssa (OMISSIS) e la Dott.ssa (OMISSIS) (cfr. sent. di appello, p. 35 ss.), benche' lo stesso Tribunale nutrisse dubbi al riguardo; (4) nessun cenno viene fatto alla possibile presenza di elementi psicopatologici in capo alla minore, non esclusi dal test MMPI in quanto probabilmente invalido, nessun cenno viene fatto alla relazione sintonica tra madre e figlia con una modalita' di costante accomodamento della figlia nei confronti della madre, nessun cenno viene fatto alle gravi difficolta' mnestiche della minore. Non vengono trattati, oltre che i limiti non considerati in primo grado posti ad oggetto di altrettanti motivi di impugnazione, neppure gli stessi limiti, in termini di capacita' intellettive, capacita' linguistiche e suggestionabilita', riconosciuti dai Giudici di prime cure che la difesa chiedeva di porre a fondamento di una pronuncia di incapacita' a testimoniare. 8.3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), l'illogicita', contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla ritenuta credibilita' clinica delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di incidente probatorio. Premette che il Tribunale aveva ritenuto la credibilita' clinica della persona offesa validandone la testimonianza mediante l'applicazione delle tecniche S.V.A. (Statement Validity Analisys) e C.B.C.A. (Criteria Based Content Analysis), tecniche che - osserva - non consentono in astratto di superare una acclarata incapacita' a testimoniare. Non vi sono studi scientifici - afferma - che stabiliscono che un racconto possa essere considerato valido o meno sulla base dei risultati ottenuti dalla applicazione di tali tecniche come sostenuto dallo stesso perito e dal CT del PM secondo i quali: 1) da un lato, "oggi, uno studio sul campo della SVA con un campione di numerosita' adeguata non esiste" (cosi' perizia della Dott.ssa (OMISSIS) del 7.06.2017, pag. 16) e quindi "non ha i presupposti per ritenersi uno strumento standardizzato, (...) perche' non vi e' attualmente un campione di riferimento" (cosi' Dott.ssa (OMISSIS), ud. 18.06.2018, p. 23 ss.); 2) dall'altro, "non c'e' una quantita' precisa, un "cut off": sostanzialmente, che permette di dire che al di sopra e al di sotto dello stesso il racconto sia sicuramente credibile, anche perche' intervengono tantissime variabili" (cosi', ancora Dott.ssa (OMISSIS), ud. 18.06.2018, p. 23 ss.). Inoltre, la validazione della testimonianza mediante SVA e CBCA non ha valenza scientifica per le modalita' di applicazione che sono state seguite in concreto e gia' contestate dal CT della difesa, prof. (OMISSIS), le cui censure sono state disattese in primo grado perche' "scontano il carattere esclusivamente cartolare della sua valutazione (non avendo il consulente preso parte all'esame) a fronte di un'analisi che, invece, ha riguardato proprio il contenuto delle affermazioni verbali rese in sede, di deposizione testimoniale" (sent. di primo grado, pag. 193). Il punto e', segnala il ricorrente, che la SVA e la CBCA sono strumenti applicati ad un testo scritto e sono sempre cartolari, avendo ad oggetto l'esame delle trascrizioni delle audizioni rese da un minore e non l'ascolto del racconto verbale. Anche il perito, Dott.ssa (OMISSIS), infatti, ha applicato tali strumenti alle trascrizioni dell'incidente probatorio nel corso del quale e' stata assunta la testimonianza di (OMISSIS). La sentenza di primo grado ha di fatto negato la scientificita' del metodo abdicando al proprio dovere di confrontarsi con le diverse posizioni assunte dagli esperti al fine di tentare una falsificazione delle conclusioni su cui ha fondato le proprie determinazioni. La sentenza di appello, non affrontando il tema della credibilita' clinica oggetto di specifico motivo di impugnazione (motivo di appello sub 2.5.), ha mancato di motivare su un profilo rilevante in quanto la confutazione della prova scientifica in tema di validazione clinica della testimonianza (id est la perizia della Dott.ssa (OMISSIS) recepita dai Giudici di primo grado), unita a tutti i limiti in tema di capacita' testimoniale gia' evidenziati nei precedenti motivi, ha evidenti e rilevanti ricadute in tema di valutabilita' della deposizione della persona offesa. Il ricorrente ribadisce, sulla base di quanto rilevato dal prof. (OMISSIS) nella sua consulenza tecnica (pagg. 31 e ss.) e nella sua deposizione (cfr. ud. 30.11.2018, pag. 90 ss.), che la SVA e la CBCA sono state applicate in maniera non corretta e che pertanto non si possa sostenere che il dichiarato della persona offesa sia clinicamente credibile e, per l'effetto, intrinsecamente attendibile. Il ricorrente quindi elenca i molteplici errori posti in essere nelle tre fasi nelle quali si articola la SVA (raccolta della testimonianza, applicazione dei criteri CBCA, applicazione della checklist di validita'), diffusamente descritti nei motivi di appello e del tutto pretermessi dai Giudici distrettuali. 8.4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla ritenuta attendibilita' della minore nonostante l'omessa valutazione dei fattori di inquinamento che hanno inciso sulla genuinita' della sua deposizione. Lamenta che nelle sentenze di primo e secondo grado non risultano essere stati adeguatamente considerati tutti i fattori di possibile inquinamento e usura della fonte dichiarativa, potenzialmente incidenti sulla genuinita' delle dichiarazioni accusatorie della minore, con la conseguente insufficienza e illogicita' della motivazione sul punto. Le criticita' riscontrabili nel caso in esame sono molteplici e non valutate ne' in primo grado (seppure il Tribunale riconosca in astratto l'importanza di una indagine in tema di fattori inquinanti la testimonianza, effettuando anche un richiamo alla Carta di Noto; cfr. sent. di primo grado p. 194), ne' in secondo grado (nella sentenza di secondo grado non si trova neppure un cenno sulla questione), nonostante siano state e a piu' riprese denunciate nei motivi di appello. Il primo aspetto di criticita' riguarda il progressivo disvelamento da parte della minore degli abusi asseritamente subiti. Nei motivi di appello si era ampiamente argomentato come la minore, prima di rendere la propria testimonianza nelle tre udienze di incidente probatorio conclusosi il 17/02/2018, avesse parlato dei fatti risalenti al 2013 e 2014 ad almeno otto persone, con un narrato non costante nel tempo. Inoltre, se in alcuni casi le modalita' di sollecitazione del racconto da parte dei soggetti intervenuti appaiono sicuramente idonee a inquinare la fonte dichiarativa (ad esempio il racconto rilasciato dalla minore alla Dott.ssa (OMISSIS) nel contesto psicoterapeutico, il racconto al fidanzato dell'epoca (OMISSIS), il racconto fatto ai genitori, ai carabinieri, all'avvocato della madre...), in altri casi semplicemente non e' dato sapere, perche' tema non indagato, in che modo siano emersi i fatti e se i soggetti intervenuti abbiano, seppure non volontariamente, condizionato o manipolato la persona offesa. La questione relativa a quante persone e cosa la minore avesse riferito e' stata dedotta con il motivo di appello 3.2.1. in cui si faceva riferimento a quanto dalla stessa raccontato a (OMISSIS), a (OMISSIS), a (OMISSIS), alla madre, alla Dott.ssa (OMISSIS), al padre, al maresciallo c.c. (OMISSIS), all'Avv. (OMISSIS). La minore, dunque, prima dell'audizione protetta e prima dell'incidente probatorio, aveva parlato con molte persone della vicenda per cui e' processo. Il dato e' incontestabile e tuttavia, afferma il ricorrente, si deve rilevare come il narrato non risulti costante nel tempo. Il racconto, inizialmente del tutto generico, si arricchisce con il tempo e dietro la spinta suggestiva: (1) del fidanzato, (OMISSIS), che manifesta morbosa curiosita' e che introduce il giudizio, colpevolizzando la minore che diventa una "poco di buono" che se l'e' "andata a cercare"; (2) della madre scandalizzata da fatti "che per lei erano inimmaginabili"; (3) della terapeuta che vittimizza la minore perche' "tra i dodici e i tredici anni, non so cosa sia "consensuale" e la sottopone a terapia con la tecnica dell'EMDR per riscrivere il ricordo asseritamente traumatico; (4) del padre che, seppure imbarazzato, vuole "incoraggiarla un attimino, e cercare di capire qualcosa in piu'"; (5) dei Carabinieri che le chiedono di raccogliere prove per il processo e suggeriscono la raccolta di materiale da cellulare e computer (materiale che invece di essere raccolto verra' selezionato e cancellato dalla stessa persona offesa). L'incidente probatorio si e' concluso il 17/02/2018, a distanza di 4/5 anni dai fatti, dopo due anni e mezzo dall'audizione protetta e dopo quasi tre dai primi racconti avvenuti nel maggio del 2015; nel mezzo, continue e autorevoli ripetizioni suggestive e pressanti. Questo argomento e' stato posto dal ricorrente in primo grado ma il Tribunale non ha nemmeno lontanamente colto la delicatezza della questione e non ne ha trattato in sentenza. La questione ripresa a piu' battute nei motivi di appello e' stata nello stesso modo del tutto trascurata dalla Corte di appello che ha confermato acriticamente la sentenza di primo grado consegnando una motivazione apparente e a tratti incomprensibile su questioni, peraltro, centrali della vicenda processuale. Invece la distanza temporale tra la testimonianza resa in incidente probatorio e i fatti a cui si riferisce doveva essere oggetto di valutazione ai fini del giudizio sull'attendibilita' del dichiarato. Quanto a tali fattori esterni di disturbo, rilevano senz'altro il numero di ripetizioni del racconto e le modalita' di tali ripetizioni, nonche' le pressioni subite a rilasciare le accuse. Se, infatti, le prime dichiarazioni sono sempre le piu' genuine, le dichiarazioni successive scontano inevitabilmente l'incidenza di fattori di inquinamento e condizionamento. E questo e' assolutamente lampante nella vicenda che ci occupa, dove le prime rivelazioni della minore, quelle alle amiche, le pari che non la giudicano e la mettono a suo agio, sono generiche e non fanno riferimento ad abusi, mentre le successive risultano sempre piu' dense di aspetti violenti e ricattatori, sulla scorta delle suggestioni provenienti da soggetti che riversano sulla minore il proprio giudizio, il proprio imbarazzo personale e sociale, i propri timori. Se, come nel caso di specie, la testimonianza diverge dalle precedenti dichiarazioni occorre comprendere le ragioni di tale mutamento e trarne le dovute conseguenze in tema di attendibilita' testimoniale. Ed e' questo sicuramente il caso, perche' la minore modifica progressivamente la versione dei fatti, con ricadute gravi nel processo. Basti pensare che il capo di imputazione sub D, formulato evidentemente sulla base di quanto emerso in fase di indagini preliminari e nel corso dell'audizione protetta, ha ad oggetto atti sessuali completi e orali, mentre la condanna, sulla base di quanto riferito in incidente probatorio, e' intervenuta per atti sessuali completi e manuali, vale a dire condotte materiali completamente diverse che non sono state mai oggetto di verifica da parte dei Giudici del merito. Le ragioni per le quali la minore ha cambiato versione possono essere molteplici (la distanza temporale, la suggestione, la narrazione di un episodio vissuto in termini diversi da quelli riportati, la pressione derivante dal giudizio sociale innescatosi con l'intervento di (OMISSIS), il timore del giudizio della famiglia, ecc. ecc.), ma la divergenza esiste ed e' esplicativa dell'incidenza di fattori che hanno influito sulla attendibilita' della minore, fattori non indagati ne' dal Tribunale ne' dalla Corte di Appello. Tra i fattori di condizionamento v'e' sicuramente il "giudizio" del fidanzato, (OMISSIS). Mentre (OMISSIS) ricava dagli imputati un rinforzo positivo rispetto alle condotte che ha avuto con ciascuno di loro e assegna un valore al proprio operato, ne va in qualche modo fiera, (OMISSIS) per la prima volta le da' della poco di buono e scatena nella minore una rilettura degli episodi. E' allora ragionevole ritenere, come ipotizzato dal perito e anche dal prof. (OMISSIS), che per salvare la propria immagine davanti al fidanzato, la minore si sia sentita costretta a introdurre una connotazione non consensuale ai fatti per sottrarsi al giudizio di essere "una poco di buono". E' una dinamica nota nella letteratura scientifica ed ammessa dalla stessa persona offesa ("Dall'anno scorso, 2016, ho elaborato un po' la situazione, ho cambiato anche modo di pensare riguardo ad alcune cose, mi sono resa conto di altre cose, che allora non capivo, non percepivo allo stesso modo di ora e quindi apposta ho chiesto "ora o allora", perche' in quel momento magari la vivevo in un modo, adesso... (...) perche' comunque nel 2015 ero stata anche con (OMISSIS), nel 2016 ho, diciamo, ripreso il controllo di me stessa" (ud. 12.04.2017, p. 228)). Dunque, la relazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e' estremamente rilevante nel presente procedimento sul tema dell'attendibilita' come del resto riconosciuto dallo stesso Tribunale (pag. 195) che tuttavia non ne trae le coerenti conseguenze. La Corte di appello, invece, si disinteressa completamente dell'argomento omettendo di pronunciarsi sul punto. La rilevanza della questione e' ulteriormente sottolineata dal fatto che la pressione cui la minore e' sottoposta a causa del giudizio di (OMISSIS) si amplifica con l'intervento dei genitori. Viene in rilievo la relazione di accomodamento della figlia nei confronti della madre, situazione notata anche dal padre, e il fatto che la madre ad un certo punto diviene la portavoce della minore, relazionandosi con la Dott.ssa (OMISSIS), con la Dott.ssa (OMISSIS) e con gli stessi Carabinieri. La madre riversa i propri timori sulla figlia che, subendo la relazione di accomodamento rilevata dalla Dott.ssa (OMISSIS), aderisce alle sue decisioni. Ne e' riprova la reazione di (OMISSIS) di fronte all'intenzione del padre di denunciare i fatti appresi. Mentre il padre manifesta in maniera ferma e a piu' riprese la volonta' di denunciare, la madre si oppone e la figlia si allinea alla decisione della madre. Il contesto familiare, ricorda il ricorrente, e' un tema importantissimo da indagare nel caso di denunce di abuso da parte di minorenni, tanto che la Carta di Noto impone di considerarla attentamente, perche' situazione idonea ad influire sulle dichiarazioni dei minori. Le separazioni dei genitori caratterizzate da inasprimento di conflittualita' possono generare, ancor piu' che in altri casi, situazioni di falsi positivi o falsi negativi. Nel caso in esame non va dimenticato che il primo disvelamento della notizia di reato si colloca contestualmente alla scoperta da parte della madre di un tema in cui la minore accusa i genitori di averla delusa perche' gli stessi avrebbero dovuto occuparsi di piu' di lei invece di litigare tra di loro. E' di fronte alla reazione rabbiosa della madre che la figlia le chiede perdono ammettendo di averla delusa; e' a quel punto che, come riferito dalla madre, emerge la notizia degli abusi. Questo passaggio - sottolinea il ricorrente - rappresenta bene la dimensione del rapporto tra la persona offesa e la madre. La minore a scuola, chiamata a scrivere il tema, si sente libera di manifestare il disagio vissuto nel contesto endofamiliare, cosi' come si sente libera di farlo con le amiche e a tale problematica l'amica (OMISSIS) attribuisce la causa dell'inquietudine vissuta dalla compagna di classe. In famiglia, invece, la minore, dipendente dalla figura materna, preferisce sollevare la madre dalle proprie responsabilita' e attribuire il proprio stato emotivo alle relazioni sessuali intrattenute con gli imputati. Concludendo sul punto, il ricorrente afferma che e' indubbio, perche' emerge dal compendio probatorio, che la minore si collochi in un contesto familiare conflittuale e estremamente complesso che ha svolto un ruolo essenziale nel disvelamento degli abusi asseritamente subiti, senza che tale contesto familiare sia entrato nella valutazione dei Giudici chiamati a verificare se vi fossero fattori in grado di contaminare e usurare la fonte dichiarativa. Nel corso del dibattimento avanti il Tribunale e' stata impedita ogni domanda della difesa volta ad indagare l'aspetto conflittuale nella famiglia e a verificare il tema delle pressioni personali e sociali e della spinta a fornire un certo tipo di dichiarato. Come se il dato fosse irrilevante ai fini della valutazione dell'attendibilita'. La Corte d'appello, nonostante puntuali riserve sul punto espresse nei motivi, non ne ha fatto cenno ritenendo sufficiente dichiarare completa adesione ai Giudici di primo grado. 8.5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), la violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 1, e la contraddittorieta' e mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta attendibilita' intrinseca della persona offesa in relazione al fatto di cui al capo D della rubrica. Oggetto di censura e' il criterio della "credibilita' frazionata" utilizzato sia dal Tribunale che dalla Corte di appello per selezionare le parti del racconto spontanee (e dunque non frutto di sollecitazione esterna), dettagliate e logicamente coerenti tra di loro, riscontrate da elementi probatori a carattere oggettivo (e quindi nella produzione documentale versata in atti) ovvero di natura logica (cosi' la sentenza del Tribunale, pag. 195, confermata in parte qua dalla Corte di appello, pag. 45 della sentenza impugnata). Sennonche', afferma, lo stesso Tribunale aveva riconosciuto che la minore aveva effettuato un racconto di difficile comprensione, frammentario, contraddittorio, semplicistico, equivoco, e tuttavia, sempre secondo quanto affermato dal Tribunale, la fedele riconsegna delle sue dichiarazioni consentirebbe di superare gli equivoci in cui la stessa incorre. Si tratta di una motivazione palesemente illogica (la lettura fedele di un racconto di difficile comprensione, contraddittorio, equivoco non puo' consegnare una ricostruzione coerente, coesa, inequivoca) dedotta nei motivi di appello (cfr. motivi sub 2.4. e 3) ma non sanata dalla motivazione della sentenza di secondo grado che nemmeno affronta l'argomento in tali termini. Si aggiunga, prosegue, che il giudizio in punto di attendibilita' intrinseca svolto dai Giudici di primo e secondo grado in relazione ai singoli episodi appare a piu' riprese del tutto scollegato dagli atti di causa. Il Tribunale e la Corte di Appello arrivano a ritenere intrinsecamente attendibili frazioni di narrato che sono palesemente frammentarie, incoerenti, contraddittorie e frutto di suggestione. Tanto premesso, il ricorrente deduce che il racconto dell'episodio di cui al capo D della rubrica non e' spontaneo ma frutto di suggestione. Il Tribunale e la Corte di Appello ridimensionano la problematicita' della valutazione affermando che la minore avrebbe resistito ad una domanda suggestiva. Sennonche', sottolinea il ricorrente, selezionare una singola domanda suggestiva a cui la minore avrebbe resistito e farvi discendere un giudizio di resistenza completo alla suggestione anche rispetto alle numerosissime altre domande suggestive poste con riferimento ai capi C e D di imputazione e' un ragionamento illogico e scorretto che travolge, viziandola, l'intera motivazione della sentenza impugnata. Che la minore resista ad una domanda suggestiva e' perfettamente in linea con la prova scientifica (che afferma che la minore produce dal 20% al 40% di risposte errate a domande suggestive), senza dunque in alcun modo escludere che la stessa produca risposte errate alle altre pur numerosissime domande suggestive poste in particolare con riferimento ai capi di imputazione che interessano il ricorrente. In presenza di un intervistatore che utilizza domande suggestive e di un intervistato suggestionabile, il racconto completamente frutto di suggestione si rivelera' molto probabilmente coerente ma non credibile, mentre il racconto solo in parte frutto di suggestione sara' molto probabilmente frammentario e incoerente. Le porzioni di deposizione che hanno ad oggetto i rapporti contestati nei capi C e D di imputazione sono tra le piu' dense di domande suggestive di tutto l'incidente probatorio. Attraverso la proposizione di domande suggestive i Giudici di merito hanno letteralmente indotto la ricostruzione dei fatti che poi e' stata recepita dal Tribunale e dalla Corte di appello. Il racconto, inoltre, non e' preciso, coerente e costante nel tempo. Entrambe le sentenze di merito fondano il giudizio di attendibilita' intrinseca quasi esclusivamente sulla capacita' della minore di descrivere con precisione gli ambienti della casa di (OMISSIS), una casa in cui e' pacifico che la stessa sia stata. La capacita' della minore di descrivere la casa di (OMISSIS) viene utilizzata dai Giudici di appello addirittura per riscontrare estrinsecamente il narrato della minore in punto di consenso all'atto sessuale di cui al capo D di imputazione. E' di chiara evidenza l'illogicita' della motivazione sul punto; nessuno ha mai contestato che la ragazza fosse stata in quella casa. Deve piuttosto sottolinearsi che: (1) la minore non e' stata in grado di ricordare e riportare alcuni aspetti che attengono al nucleo centrale del ricordo; (2) la minore non ha effettuato, rispetto alla dinamica della violenza sessuale, un racconto preciso, bensi' molto generico e frutto di suggestione. Quanto al primo aspetto, (OMISSIS) non e' stata in grado di riferire, e sul punto ha cambiato versione tre volte nel corso dell'incidente probatorio, se i rapporti sessuali tra lei, (OMISSIS) e (OMISSIS) e i rapporti sessuali tra lei, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si siano verificati in due giorni differenti (come da capo di imputazione) o in un solo giorno (come da condanna). Nella prima udienza di incidente probatorio (08/02/2017) la minore aveva in un primo momento affermato che gli episodi di (OMISSIS) erano stati due o forse di piu', e che gli atti sessuali tra lei (OMISSIS) e (OMISSIS) e tra lei, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) erano avvenuti in due giorni distinti. Successivamente, sollecitata sul punto con domande suggestive, aveva affermato che i due episodi erano avvenuti nello stesso giorno a distanza di poco tempo l'uno dall'altro, con una prima fase consensuale e una seconda fase, in seguito all'arrivo di (OMISSIS), non consensuale. Tale versione viene nuovamente modificata nel corso dell'incidente probatorio dell'11/04/2017 allorquando, chiesta di, commentare alcuni messaggi tra lei e (OMISSIS) in cui dichiarava di avere particolarmente apprezzato un determinato momento del giorno in cui "ci siamo visti io tu e (OMISSIS)", aveva affermato di aver fatto chiarezza sulla dinamica dei fatti avvenuti a (OMISSIS) dichiarando che erano accaduti in giorni separati, la prima volta con la macchina di (OMISSIS) e la seconda con la macchina di (OMISSIS), collocando i messaggi citati dopo il primo episodio. Dalla sentenza di primo grado emerge chiaramente che il Tribunale non ha considerato le dichiarazioni effettuate dalla minore nel corso dell'incidente probatorio dell'11/04/2017, aderendo alla seconda versione dei fatti e ritenendo che l'episodio descritto sub C di imputazione rappresentasse la prima fase del rapporto descritto nel capo D di imputazione dopo il quale si collocavano i messaggi tra (OMISSIS) e (OMISSIS). La Corte di appello, cui il travisamento (per omissione) era stato puntualmente dedotto, si e' allineata alla conclusione del Tribunale travisando anch'essa (per omissione) le dichiarazioni rese l'11/04/2017 facendo ricorso a giudizi del tutto ipotetici ("non si puo' escludere, infatti, che quella conversazione si riferisca all'episodio contestato al capo d) dell'imputazione"). Quel che piu' conta, annota il ricorrente, e' il fatto che la minore ha cambiato versione tre volte nel corso dell'incidente probatorio (a cui si deve aggiungere la versione dei fatti resa in audizione protetta sulla base della quale sono stati formulati i capi di imputazione) il che e' sintomatico di inattendibilita' intrinseca del suo narrato in quanto contraddittorio, frammentario e all'evidenza incostante nel tempo. A cio' si aggiunga che la minore non riesce a ricordare e riportare in modo preciso una circostanza, la contestualita' o meno dei rapporti sessuali a tre e a quattro avuti con (OMISSIS), che attiene con tutta evidenza al nucleo centrale del ricordo, assolutamente piu' importante del ricordo di elementi di contorno, quali la disposizione dei locali nella casa di (OMISSIS) o il colore delle tende, circostanze - ripete il ricorrente - mai poste in discussione. Il fatto che la minore ricordi e riferisca con precisione aspetti di dettaglio e non riesca a ricordare e a riferire con precisione aspetti centrali del ricordo e' circostanza peculiare che dovrebbe destare allarme. (OMISSIS) ricorda il colore delle coperte e la disposizione del mobilio ma non sa ricostruire gli atti sessuali che avrebbe subito contro la sua volonta'. Viene pertanto recisamente contestato quanto affermato nella sentenza di secondo grado secondo cui, "visti i numerosissimi rapporti, la ragazza non poteva ricordare tutti i dettagli (...) non potendosi, appunto, pretendere che il racconto, a distanza di parecchi anni ed a fronte, appunto, di diversi rapporti, sia leciti che illeciti, non divergesse per alcuni elementi" (sent. di appello, pag. 46). In buona sostanza, i Giudici di merito, scalzando tutti i principi in tema di funzionamento della memoria, hanno valutato attendibile la persona offesa al di la' delle sue stesse dichiarazioni e proprio facendo leva sulla precisione di elementi di dettaglio, a discapito del nucleo centrale del fatto da ricordare. La totale carenza di precisione in ordine alla ricostruzione di aspetti centrali del ricordo emerge palese altresi' dal raffronto tra il capo di imputazione sub D e le motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado in relazione al medesimo capo (cfr. sent. di primo grado, pag. 213 e ss. e sent. di appello, pag. 73 ss.). La dinamica degli atti sessuali descritta nel capo di imputazione formulato sulla base delle sommarie informazioni testimoniali rese dalla minore e' diversa da quella affermata in sentenza sulla base di quanto riferito dalla persona offesa nel corso dell'incidente probatorio. Stando al capo di imputazione (evidentemente redatto sulla base di quanto la minore afferma in audizione protetta in fase di indagini preliminari), dapprima (OMISSIS) avrebbe avuto un rapporto completo con la minore alla presenza di (OMISSIS) (e non con la partecipazione attiva di quest'ultimo). In un secondo momento, (OMISSIS) avrebbe consumato un rapporto completo con (OMISSIS), mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) la avrebbero immobilizzata costringendola a praticare loro rapporti orali. Nell'incidente probatorio la minore descrive una dinamica totalmente diversa, recepita dalle sentenze di condanna: dapprima (OMISSIS) avrebbe avuto un rapporto sessuale con la stessa mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) le avrebbero tenuto i polsi mentre si sarebbero masturbati, dopodiche' i partecipi dell'azione violenta si sarebbero dati il cambio e avrebbero avuto un rapporto sessuale completo con la minore. Incomprensibile la risposta fornita sul punto dalla Corte di appello secondo cui la diversita' del fatto deriva dalla circostanza che le parole della ragazza costituiscono solo una specificazione di quanto avvenuto (sent. di appello, pag. 84). Si tratta di fatti diversi, di azioni diverse, sottolinea il ricorrente. La dinamica del rapporto sessuale violento attiene a tutti gli effetti al nucleo centrale del ricordo, quanto, se non di piu', rispetto alla contestualita' degli episodi, e l'incapacita' della minore di descriverla adeguatamente e' un indice rilevante che depone in senso contrario alla sua attendibilita'. La minore cambia continuamente versione e a cambiare non sono mai gli elementi periferici del racconto, ma elementi centrali e dirimenti. Secondo la ricostruzione dei Giudici di merito, dopo una prima fase consensuale, tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ve ne sarebbe stata un'altra violenta successiva all'arrivo di (OMISSIS). Il punto e', lamenta il ricorrente, che nell'incidente probatorio la minore non aveva riferito cosa era avvenuto una volta giunto il (OMISSIS) e non aveva spiegato in che modo avrebbe rappresentato agli imputati il suo diniego ad avere rapporti sessuali con loro. Dalla lettura dell'incidente probatorio non si comprende come si sia passati da rapporti assolutamente consensuali a rapporti invece estremamente violenti (per come descritti dalla minore alle pagg. 81 e segg. dell'incidente probatorio dell'8/01/2017). La persona offesa ricostruisce gli eventi compulsata dalle domande suggestive del GIP volte a colmare le parti del racconto oscurate dalle lacune mnemoniche della dichiarante, il che mina la credibilita' del racconto. La Corte di appello non ha compreso (e ha minimizzato) il senso delle deduzioni difensive sul punto; non si tratta, come afferma la sentenza impugnata, di dettagli (che in quanto tali potrebbero non essere stati fissati nella memoria) circa il fatto che uno o piu' ragazzi possano aver fumato nell'intervallo tra la fase consenziente del rapporto e quella violenta. La difesa, afferma il ricorrente, aveva svolto un penetrante e approfondito esame dell'attendibilita' della minore, rilevandone in ogni suo aspetto la fallacia, sulla base di spunti scientifici e di evidenze emerse nel contraddittorio del dibattimento. Non si tratta di contraddizioni che evidentemente non intaccano il narrato della persona offesa ma di radicali e trasversali errori nel ragionamento giudiziario che ne corrodono lo svolgimento e travolgono il risultato. Il punto non e' se i ragazzi avessero fumato o meno bensi' che la minore non ricorda una porzione di episodio che attiene al nucleo centrale del racconto, una porzione di episodio in cui la stessa passa dall'avere rapporti consensuali con due ragazzi ad averne di violenti con tre. La centralita' dell'argomento riguarda la manifestazione del dissenso; senza la ricostruzione di tale fase intermedia tra rapporti consensuali e rapporti non consensuali e' impossibile comprendere in che termini la minore abbia manifestato il proprio dissenso senza che gli imputati lo rispettassero. L'insufficienza motivazionale, sul punto, e' figlia della mancanza di comprensione della questione. La persona offesa, inoltre, fornisce una descrizione del fatto del tutto stentata e dubitativa. Benche', come detto, la testimonianza sul fatto di cui al capo D sia il risultato di un numero significativo di domande suggestive, la Corte di appello non le considera tutte ma si limita, perche' cio' serve a sostenere il proprio ragionamento, a riportarne una sola, rendendo uno dei maggiori problemi della raccolta della prova principe un dettaglio insignificante arrivando addirittura a condensare in quella che ritiene una singola domanda suggestiva una sequenza di domande pressanti rivolte dai Giudici alla minore per obbligarla a riferire in merito ai fatti di (OMISSIS). E' un dato di fatto che dal racconto della persona offesa, in gran parte sollecitato, non si comprende - perche' la minore non lo dice - non solo se la stessa abbia manifestato in qualche modo il suo dissenso ma addirittura se la stessa abbia detto qualcosa agli imputati. La minore, sollecitata dai Giudici, si limita, infatti, a dire che: 1) non ricorda di avere gridato; 2) non ha chiesto di essere tenuta per i polsi; 3) non scalpitava ma che si era ritrovata in quella situazione; 4) non voleva stare in quella situazione. Questo non significa che ella avesse manifestato il suo dissenso. Il racconto della minore sul nucleo essenziale del ricordo e' talmente scarno e carente di una descrizione seppur minima delle interazioni tra le persone coinvolte e delle conversazioni intrattenute che sono di fatto i GIP a cristallizzare la sussistenza di una coercizione all'atto sessuale che alla minore viene chiesto solo di confermare. La versione dei fatti "ricostruita/suggerita" dai GIP viene recepita dal Tribunale (pag. 216 sentenza) con una evidente connotazione violenta (gli imputati dovevano addirittura tenere i polsi alla persona offesa per evitare che la stessa scappasse), versione dei fatti che, tuttavia, non e' altro che una sintesi, formulata con toni accorati e drammatici, della ricostruzione che i GIP hanno suggerito alla minore. Tale sintesi, tuttavia, sconta e continua a scontare la ineliminabile genericita' della deposizione della minore che non riferisce questa versione dei fatti. La Corte di appello pero' preferisce adagiarsi alla ricostruzione del Tribunale (frutto di una creazione della prova che non e' mai emersa in dibattimento) e supera le censure difensive argomentando in maniera semplicistica che la ragazza aveva manifestato il suo dissenso "anche divincolandosi", "magari" muovendosi, "perche' comunque non voleva stare in quella situazione". Dinnanzi ad una articolata censura difensiva che aveva denunciato la genericita' della deposizione (manca qualsiasi riferimento, come si e' detto, alle interazioni e alle conversazioni tra i soggetti coinvolti), i termini dubitativi ("magari") e afferenti a stati interiori e non a manifestazioni esteriori ("non volevo stare in quella situazione") attraverso cui viene riferito il dissenso agli atti sessuali da parte della minore, unitamente alla presenza massiccia di domande suggestive che hanno veicolato il racconto, la motivazione della sentenza non puo' ritenersi soddisfacente. Il divincolarsi della persona offesa e' invenzione del Tribunale prima e della Corte di appello dopo. Nessuno negli atti ne parla mai. Neppure i GIP con le loro domande suggestive sono arrivati a tanto. La motivazione e' dunque apparente, assertiva e autoreferenziale. 8.6. Con il sesto motivo - che riguarda sempre il reato di cui al capo D deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), la violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 1, e la contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla applicazione della valutazione frazionata della attendibilita' della persona offesa. Lamenta, nello specifico, il malgoverno del criterio della valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa che, a prescindere da quanto gia' in precedenza detto sui suoi presupposti applicativi (genuinita' del racconto e attendibilita' intrinseca), secondo l'insegnamento di legittimita' non e' consentito quando le dichiarazioni riguardano un unico episodio avvenuto in un unico contesto temporale, in quanto il giudizio di inattendibilita' su alcune circostanze inficia, in tale ipotesi, la credibilita' delle altre parti del racconto, essendo sempre e necessariamente ravvisabile un'interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato. Orbene, a fronte di tale insegnamento, il Tribunale e la Corte di appello effettuano un'abile opera di segmentazione suddividendo il narrato della persona offesa per riferire i vari segmenti ai vari capi di imputazione. Con particolare riguardo ai capi di imputazione che riguardano il (OMISSIS), i capi C e D, tale abile opera di segmentazione consente al Tribunale di relegare tutte le contraddizioni e le lacune presenti nel narrato della persona offesa attinenti la descrizione dei rapporti sessuali con l'imputato, la loro collocazione temporale e la loro quantificazione (tutti aspetti come ampiamente illustrato che attengono al nucleo centrale del ricordo), al solo capo C di imputazione per il quale il Tribunale ha deciso l'assoluzione proprio perche' le dichiarazioni della minore erano frammentarie e contraddittorie. Cio' ha consentito alla Corte di appello di ignorare l'esistenza di tali contraddizioni nel racconto dei fatti di (OMISSIS) in quanto apparentemente riguardanti un capo per cui vi e' stata assoluzione. Sennonche', sostiene il ricorrente, le difficolta' della minore a ricordare con precisione la collocazione temporale, ma soprattutto la contestualita' o meno degli episodi svoltisi con la presenza del (OMISSIS), sono aspetti che necessariamente coinvolgono il giudizio sull'attendibilita' di entrambe le contestazioni sub C e D. Sono gli stessi Giudici di merito a stabilirne la connessione ritenendoli di fatto un unico episodio seppur disgiunti e separati nel racconto della minore. I fatti di cui al capo C diventano a tutti gli effetti l'antecedente logico e cronologico dei fatti di cui al capo D di imputazione, in tal modo escludendo l'applicabilita' di una valutazione frazionata dell'attendibilita'. Insomma, anche volendo aderire alla ricostruzione operata dai Giudici di merito secondo cui i fatti di cui ai capi C e D si sarebbero verificati il medesimo giorno, appare chiaro che (OMISSIS) e (OMISSIS) non sono stati ritenuti responsabili per il rapporto consensuale avuto con la minore in occasione della prima fase dell'episodio sub D in quanto, rispetto a tale fase di azione, e' stata ritenuta inattendibile. La Corte di appello nega questa connessione con motivazione manifestamente illogica e forzando il criterio della attendibilita' frazionata. Infine, il ricorrente stigmatizza il passaggio della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui sembra quasi affermare che la difesa non aveva sostanzialmente contestato il ricorso alla valutazione frazionata. Cio', afferma il ricorrente, non corrisponde al vero (cfr. motivi di appello sub 3, 3.1., 10); e' la Corte di appello che preferisce, ella si', nascondersi dietro di un dito e trascurare le precise e puntuali doglianze senza dover affrontare il faticoso tentativo di provare a confutare, motivando, la diversa ricostruzione difensiva. Nel che sta anche il vizio di mancanza di motivazione. 8.7. Con il settimo motivo - che riguarda ancora il reato di cui al capo D deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), la violazione dell'articolo 192 c.p.p., comma 1, e la mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di riscontri estrinseci alla testimonianza resa dalla persona offesa. I Giudici di merito si sono dotati - afferma - di un criterio da utilizzare per selezionare le dichiarazioni attendibili da quelle che tali non sono: la presenza di riscontri estrinseci. Nel caso di specie, un elemento di riscontro e' stato indicato nella fedele descrizione della abitazione di (OMISSIS): la descrizione della casa diventa il riscontro estrinseco dell'esistenza o meno del consenso di un atto sessuale. La neutralita' del dato e' gia' stata oggetto di articolate deduzioni nei precedenti motivi. Il Tribunale e la Corte di appello fanno inoltre massiccio riferimento a riscontri estrinseci di tipo documentale e informatico, in particolare agli screenshot delle conversazioni intercorse tra la vittima ed il ricorrente e alla copia delle note scritte dalla persona offesa sul cellulare. Tali documenti, afferma il ricorrente, risultano di difficile valutabilita' e di dubbia attendibilita' per una serie di motivi. In primo luogo, le note sul cellulare costituiscono scritti che provengono dalla persona offesa ed evidentemente risentono delle limitazioni, soprattutto cognitive, che la stessa presenta. Inoltre, si tratta pur sempre di appunti segreti di una tredicenne che, in un flusso di pensiero, riporta tra l'altro anche affermazioni attribuite al tanto desiderato (OMISSIS) ("Ti ho aspettata un mese"). Per di piu' tali note non sono state sottoposte alla minore perche' le commentasse in incidente probatorio, quindi non si puo' sapere dall'autrice in che modo, con quali finalita' e in che stato d'animo la stessa le aveva redatte. In secondo luogo, gli screenshot contenenti i messaggi con (OMISSIS), non solo non sono di significato univoco, ma presentano enormi problemi di valutabilita' e attendibilita' non superati in motivazione dalla Corte d'Appello, in quanto scontano il fatto che, come riportato nei motivi di impugnazione (motivi di appello 4, 9 e 10.3.), sono rimasti privi di riscontro. E cio' per varie ragioni, tutte puntualmente indicate nel gravame e rimaste senza risposta: (1) negli screenshot non e' presente la data di cattura dello schermo ne' la data di invio dei messaggi; (2) non si sa se tali screenshot rappresentino in modo fedele e integrale la conversazione tra l'imputato e la persona offesa, anzi dal tenore di domande e risposte e dal minutaggio dei messaggi sembra al contrario che la minore abbia cancellato alcuni messaggi; (3) si tratta di alcuni screenshot di messaggi che si inseriscono nel contesto di una conversazione molto piu' lunga tra l'imputato e la minore, messaggi che sono stati selezionati dalla stessa persona offesa che prima di consegnare il proprio computer portatile all'Autorita' Giudiziaria ha effettuato una operazione di recupero, selezione e cancellazione definitiva dei file non selezionati. Gia' dalla sola deposizione dell'ing. (OMISSIS) emerge evidente come la fonte di prova consistente nella documentazione di natura informatica utilizzata come riscontro estrinseco alla testimonianza della minore sia stata in realta' manipolata dalla stessa e debba essere considerata non genuina. Il fatto, inoltre, che la minore si sia impegnata, aiutata dal fratello, in tale attivita' di recupero, selezione e cancellazione definitiva dei file informatici e il fatto che, sentita sul punto, avesse ammesso solo di aver attivato il programma Recuva senza cancellare alcunche' nonostante l'analisi del dispositivo abbia dimostrato il contrario, sono circostanze che incidono in maniera diretta sul profilo della credibilita' soggettiva della minore e sulla attendibilita' delle sue dichiarazioni. Ci si doveva interrogare - come ha fatto la difesa senza ricevere risposta alcuna - sul motivo per cui la minore non si sia limitata a consegnare il proprio computer alla Autorita' Giudiziaria ma abbia avvertito la necessita' di selezionare i file per decidere cosa lasciarvi e cosa cancellare per sempre. Ma soprattutto si deve prendere atto del fatto che, a causa della attivita' condotta dai fratelli (OMISSIS), ormai il compendio probatorio di tipo documentale e informatico risulta compromesso dal punto di vista della sua genuinita'. La minore, insomma, aveva cancellato la prova, l'aveva manipolata e non v'e' dubbio che la cancellazione di una prova e' attivita' che deve essere valutata negativamente minando la credibilita' del soggetto che ha proceduto alla alterazione. Il Tribunale e la Corte di Appello utilizzano come riscontri estrinseci alcuni messaggi il cui significato e' tutt'altro che univoco. In altri casi, i Giudici di merito, dinnanzi a messaggi dal significato piuttosto intuitivo, ne negano la forza dimostrativa appiattendosi su un approccio verificazionista e rifiutando di procedere ad un leale ragionamento probatorio. Ne e' tipico esempio il (mal)governo probatorio del messaggio riportato a pag. 217 della sentenza di primo grado (messaggio con cui la minore chiede a (OMISSIS) "perche' quel giorno che hai chiamato (OMISSIS) gli hai detto che c'ero lo la'") utilizzato per affermare la natura non consensuale del rapporto a quattro contestato al capo D. Il ricorrente, in appello, aveva dedotto: (1) l'impossibilita' di datare il messaggio; (2) la possibilita' che si riferisca ad altri incontri che pure c'erano stati; (3) il contrasto con quanto affermato dalla PO secondo cui era stato (OMISSIS) a chiamare il (OMISSIS) e non il (OMISSIS). La Corte di appello, afferma il ricorrente, segue un ragionamento verificazionista che adotta, tra le molte parimenti plausibili, l'interpretazione che meglio si attaglia all'obiettivo di riscontrare l'episodio di cui al capo D. L'aspetto piu' sorprendente e piu' preoccupante e' che i Giudici di merito sposino a tal punto tale prospettiva verificazionistica che arrivano a negare l'interpretazione piu' intuitiva di alcuni dei messaggi agli atti, solo perche' l'interpretazione piu' intuitiva non e' funzionale alla condanna degli imputati. Ne costituisce esempio il messaggio inviato a (OMISSIS) in cui la minore fa riferimento ad un incontro di natura sessuale tra lei, (OMISSIS) e il suo interlocutore esprimendo il suo apprezzamento per un momento particolare di quell'incontro e che ben descrive, afferma il ricorrente, il fatto di cui al capo C contestato come verificatosi il giorno prima di quello di cui al capo D. Ed invece il Tribunale ha superato le stesse parole di (OMISSIS) aderendo, contro ogni logica, ad una interpretazione anti-intuitiva. Dopo aver subito una violenza cosi' drammatica come quella descritta nel capo di imputazione la persona offesa difficilmente avrebbe inviato un messaggio rappresentando che, al di la' della violenza sessuale di gruppo subita, poco prima le era piaciuto un momento particolare in cui erano coinvolti guarda caso gli stessi autori della violenza. La fragilita' del ragionamento e' talmente evidente che per lo stesso Tribunale l'unico rifugio diviene il ragionamento della possibilita' ("non si puo' escludere che") che pero' non ha e non puo' avere alcuna valenza probatoria e si risolve in una congettura utile, semmai, a fondare un ragionevole dubbio, non certo una sentenza di condanna. Investita di tali censure, la Corte di appello non spende una singola parola. Anche quella della Corte territoriale - che richiama le conclusioni del Tribunale - e' un'intuizione e dove c'e' intuizione non c'e' motivazione. Ulteriore riscontro utilizzato dai Giudici di merito e' costituito dalle massime di esperienza, adottate per collocare i fatti di (OMISSIS) prima del compimento del quattordicesimo anno di eta' della persona offesa. Il dato di fatto di partenza e' costituito da una nota del cellulare nella quale la minore afferma di aver rivisto (OMISSIS) il pomeriggio del 05/02/2014, dopo un mese di distacco. Da tale dato il Tribunale ricava, mediante la semplice operazione aritmetica di sottrazione, che il mese in questione sia iniziato il 05/01/2014. E tuttavia, poiche' la minore in incidente probatorio aveva ricordato di essersi recata a (OMISSIS) in un giorno di frequenza scolastica, il Tribunale anticipa ulteriormente i fatti di cui ai capi c) e d) ai giorni di dicembre prima delle vacanze natalizie. In appello era stato dedotto che non risponde ad una regola comune di esperienza ritenere che quando la minore fa riferimento ad "un mese" intenda riferirsi ad un periodo pari a esattamente 31 giorni. Chiare le implicazioni pratiche: se si prende per assodato che il riferimento che la minore fa non deve necessariamente equivalere a 31 giorni esatti, ma possa correttamente identificare un arco temporale dai contorni meno netti, diviene del tutto possibile affermare che i fatti siano avvenuti dopo le vacanze di Natale, durante un giorno di frequenza della scuola. Del resto da lunedi' 07/01/2014 (data di inizio delle lezioni dopo le vacanze natalizie) al 05/02/2014 trascorrono 29 giorni, periodo evidentemente considerabile "un mese". Tale contro-ipotesi disvelava in tutta la sua evidenza come il Tribunale avesse proposto, rivestendola da massima di esperienza, quella che invece si risolve, ancora una volta, in una mera congettura. Orbene, la Corte di appello, investita della questione, non ha speso una sola parola sul punto, preferendo impegnarsi nel tentativo di operare una collocazione temporale dei fatti di (OMISSIS), se possibile, ancora meno convincente di quella proposta in primo grado. Per i Giudici distrettuali e' inverosimile che la persona offesa, che fino al 03/02/2014 aveva avuto una relazione sentimentale (definita del tutto soddisfacente solo dalla Corte d'appello) con (OMISSIS), potesse avere, in costanza di detto rapporto, un rapporto sessuale di gruppo consenziente prima e violento poi. Il che nell'ottica della Corte territoriale giustifica la collocazione del fatto al mese di dicembre. Escluso che la persona offesa avesse mai definito come "del tutto soddisfacente" la sua relazione con (OMISSIS), il ricorrente censura fortemente il ricorso ad una proposizione cosi' lontana da una regola di comune esperienza quale quella che vuole che una persona impegnata in una relazione non possa averne un'altra contemporaneamente. E cio' a maggior ragione se si cala la regola di comune esperienza, che tale non e', nel contesto dell'odierna regiudicanda ove la protagonista dell'intera vicenda e' una minorenne nel periodo dell'adolescenza con relazioni disfunzionali e contemporanee radicate sin dall'eta' di 11 anni. Si tratta di una motivazione inconsistente e illogica fornita peraltro in relazione ad un aspetto, la collocazione temporale, di importanza capitale nell'economia del processo. Di fronte alla incapacita' della minore di collocare i fatti di cui ai capi C e D di imputazione, i Giudici tentano di riempire il vuoto con indizi che non hanno nemmeno l'apparenza di un riscontro estrinseco. 9. (OMISSIS) articola due motivi. 9.1. Con il primo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), l'erronea applicazione dell'articolo 378 c.p., nonche' dell'articolo 125 c.p.p., comma 3, e articolo 192 c.p.p. e la mancanza, contraddittorieta' o manifesta illogicita' della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla eventuale sussistenza del dolo, seppur nella sua forma generica. Nei motivi di appello aveva evidenziato che non v'era alcuna certezza sul fatto che fosse effettivamente a conoscenza (o fosse comunque consapevole) del fatto che la giovane (OMISSIS) era stata fatta effettivamente oggetto di violenza sessuale da parte del cd. "branco", essendosi inizialmente persuaso che la ragazza fosse una seduttrice consenziente e non di certo una vittima, come reso palese dal suo atteggiamento nei confronti della ragazza stessa con la quale aveva avuto dei conflitti e che nella rubrica del proprio telefono aveva indicato come "Troia", a dimostrazione del fatto che egli non le aveva mai creduto. La Corte di appello si e' limitata a rigettare le deduzioni difensive affermando che l'imputato non aveva provato l'esistenza di una interpretazione alternativa da dare alla frase oggetto della contestazione e, dunque, pretendendo che fosse l'imputato stesso a dimostrare che effettivamente non aveva creduto al narrato della giovane. La motivazione contrasta con il criterio della credibilita' frazionata utilizzato per affermare la credibilita' della ragazza ed in particolare per selezionare i rapporti sessuali consenzienti da quelli non consenzienti, a riprova del fatto che nemmeno i Giudici di merito le hanno creduto in pieno. In buona sostanza, se si dubitava della credibilita' della ragazza, non e' dato comprendere perche' il ricorrente dovesse essere certo della verita' del suo racconto. La frase profferita quando era stato chiamato a rendere dichiarazioni non era affatto univoca ma doveva essere letta e valutata nel contesto in cui era sorta, ossia in seguito allo sconvolgimento psicologico che aveva subito allorquando aveva scoperto (dal proprio punto di vista e senza voler entrare nel merito della vicenda) che la propria fidanzata - giovanissima - aveva avuto moltissimi rapporti sessuali, avendo percepito una serie di tradimenti. La Corte di appello ha preteso una sorta di inversione dell'onere della prova facendogli carico delle ragioni per le quali non aveva creduto alla (allora) fidanzata sulle violenze subite e di non aver fornito una versione alternativa credibile alla sua condotta. 9.2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), la mancanza di motivazione in ordine al diniego del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. E' fondato, per quanto di ragione, il ricorso del (OMISSIS), che e' inammissibile nel resto; sono infondati tutti gli altri ricorsi. 2. Prima di procedere all'analisi dei singoli ricorsi e' necessario richiamare (e ribadire) gli insegnamenti di questa Corte di cassazione in ordine ai criteri in base ai quali deve essere scrutinata la credibilita' della persona offesa vittima di abusi sessuali e ai limiti del sindacato di legittimita' sulla relativa motivazione. 3. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, in generale, la testimonianza della persona offesa, perche' possa essere legittimamente utilizzata come fonte ricostruttiva del fatto per il quale si procede non necessita di altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilita' (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214) ma, anzi, al pari di qualsiasi altra testimonianza, e' sorretta da una presunzione di veridicita' secondo la quale il giudice, pur essendo tenuto a valutarne criticamente il contenuto, verificandone l'attendibilita', non puo' assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso (salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere, in assenza dei quali egli deve presumere che il dichiarante, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza) (cosi', da ultimo, Sez. 6, n. 27185 del 27/03/2014, Rv. 260064; Sez. 4, n. 6777 del 24/01/2013, Grassidonio, Rv. 255104; cfr. anche Sez. 6, n. 7180 del 12/12/2003, Mellini, Rv. 228013 e Sez. 4, n. 35984 del 10/10/2006, Montefusco, Rv. 234830, secondo le quali "in assenza di siffatti elementi, il giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve percio' limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilita' fra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza"). 3.1. La testimonianza della persona offesa, quando portatrice di un personale interesse all'accertamento del fatto, deve essere certamente soggetta ad un piu' penetrante e rigoroso controllo circa la sua credibilita' soggettiva e l'attendibilita' intrinseca del racconto, fino a valutare l'opportunita' di procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. U, 41461 del 2012, cit.; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, Rv. 279070 - 01), ma cio' non legittima un aprioristico giudizio di inaffidabilita' della testimonianza stessa (espressamente vietata come regola di giudizio) e non consente di collocarla, di fatto, sullo stesso piano delle dichiarazioni provenienti dai soggetti indicati dall'articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, (con violazione del canone di giudizio imposto dall'articolo 192 c.p.p., comma 1). 3.2. In tema di reati sessuali, peraltro, tale valutazione risente della particolare dinamica delle condotte il cui accertamento, spesso, deve essere svolto senza l'apporto conoscitivo di testimoni diretti diversi dalla stessa vittima. In questi casi la deposizione della persona offesa puo' essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilita' soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa, dato che in tale contesto processuale il piu' delle volte l'accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilita', dall'esterno, all'una o all'altra tesi (Sez. 4, n. 30422 del 21/06/2005, Rv. 232018; Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251661). 3.3. Non sarebbe pertanto giuridicamente corretto fondare il giudizio di inattendibilita' della testimonianza della persona offesa sul solo dato dell'oggettivo contrasto con altre prove testimoniali, soprattutto se provenienti da persone che non hanno assistito al fatto. Cio' equivarrebbe a introdurre, in modo surrettizio, una gerarchia tra fonti di prova che non solo e' esclusa dal codice di rito ma che sottende una valutazione di aprioristica inattendibilita' della testimonianza della persona offesa che, come detto, non e' ammissibile. 3.4. Non si tratta, come pure e' stato adombrato dalle difese in sede di discussione, di attribuire alla vittima una patente di credibilita' a priori ne' di imporre un atto di fede nei suoi confronti, quanto, piuttosto, di evitare il rischio del contrario: che si ritenga, cioe', la vittima di reati sessuali mossa sempre da un personale interesse a denunziare il falso, a mentire sull'esistenza dell'atto sessuale e/o sul consenso, si' da trasformare la presunzione di veridicita' in presunzione di falsita' (o non credibilita') del suo racconto. Ed e' questa presunzione (irragionevole nei suoi fondamenti giuridici) che spesso inquina dibattiti, discussioni, approfondimenti sul tema della credibilita' della vittima dei reati sessuali che non hanno eguali in altri campi del diritto penale, sostanziale e processuale, ove raramente si assiste alla idealizzazione della vittima-modello del reato il cui comportamento deve adeguarsi, per essere credibile, a schemi comportamentali predefiniti e astratti, teorizzati da un approccio culturale-morale frutto, a sua volta, di pregiudizi non infrequentemente alimentati dalla personale esperienza di chi e' chiamato a scrutinare il racconto della vittima. Troppo spesso la credibilita' della persona offesa risente di questi inaccettabili stereotipi alla luce dei quali si dovrebbe saggiarne la credibilita'; il giudizio sulla coerenza (e la credibilita') del racconto risente allora della (ritenuta) incoerenza-devianza del comportamento concretamente tenuto dalla vittima da quello teorizzato in base a "pseudo-massime di esperienza" forgiate su inaccettabili (ed obsoleti) stereotipi "culturali", come se questa Corte di cassazione non avesse mai affermato, per esempio, che i costumi e le abitudini sessuali della vittima di reati sessuali non influiscono sulla sua credibilita' e non possono costituire argomento di prova per l'esistenza, reale o putativa, del suo consenso (Sez. 3, n. 46464 del 09/06/2017, Rv. 271124 - 01) o non avesse predicato l'irrilevanza dell'antecedente condotta provocatoria tenuta dalla stessa persona offesa (Sez. 3, n. 7873 del 19/01/2022, Rv. 282834 - 01) o non avesse da lungo tempo ormai insegnato che il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuita', con la conseguenza che integra il reato di cui all'articolo 609 bis c.p. la prosecuzione del rapporto nel caso in cui, successivamente a un consenso originariamente prestato, intervenga "in itinere" una manifestazione di dissenso, anche non esplicita, ma per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volonta' (Sez. 3, n. 15010 dell'11/12/2018, Rv. 275393 - 01; Sez. 3, n. 4532 dell'11/12/2017, Rv. 238987 - 01; Sez. 3, n. 39428 del 21/09/2007, Rv. 237930 - 01; Sez. 3, n. 25727 del 24/02/2004, Rv. 228687 - 01). Il rischio e' che oggetto del processo non sia piu' il fatto-reato, ma la persona che l'ha subito, che il giudizio si sposti dall'uno all'altra. 3.5. Peraltro, oggetto di scrutinio di legittimita' non puo' mai essere la prova in se', ostandovi, per quanto si dira', il chiaro tenore letterale dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), bensi' il modo con cui il giudice di merito ha valutato i possibili specifici indicatori della sua inattendibilita', dando conto della loro effettiva esistenza e, in caso positivo, della loro incapacita' di vincere la presunzione di credibilita' del testimone. Poiche' il giudizio sulla credibilita' della persona offesa (come di qualsiasi altro testimone) deve essere illustrato e spiegato nella sentenza di merito, che deve dar conto "dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e (...) l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie" (articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), motivo di ricorso in questa sede non puo' essere la credibilita' in se' della persona offesa ma solo l'eventuale deduzione di mancanza, contraddittorieta' e/o manifesta illogicita' della motivazione sul punto. 4. Quanto al vizio di motivazione e ai limiti della sua deducibilita' in cassazione, devono essere ribaditi i principi secondo i quali: 4.1. L'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volonta' del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali; 4.2. l'illogicita' della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimita' al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche' siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); 4.3. la mancanza e la manifesta illogicita' della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicche' dedurre tale vizio in sede di legittimita' significa dimostrare che il testo del provvedimento e' manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non gia' opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicche' una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicita' (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903); 4.4. e' possibile estendere l'indagine di legittimita' a "specifici atti del processo" solo se ne venga dedotto il travisamento, vizio configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499); 4.5. il travisamento della prova, come detto, consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell'affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento della prova rende la motivazione, insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento cosi' come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversita' tale da non reggere all'urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il travisamento e' percio' decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta e' irreparabile. Come autorevolmente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n. m. sul punto, il travisamento delle prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore "revocatorio", per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformita' cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato); 4.6. poiche' il vizio riguarda la ricostruzione del fatto effettuata utilizzando la prova travisata, se l'errore e' imputabile al giudice di primo grado la relativa questione deve essere devoluta al giudice dell'appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimita', non potendo essere dedotto con ricorso per cassazione, in caso di c.d "doppia conforme", il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, Biondetti, Rv. 261438; Sez. 6, n. 5146 del 2014, cit.), a meno che, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, il giudice di secondo grado abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (nel qual caso il vizio puo' essere eccepito in sede di legittimita', Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi, Rv. 258438). 4.7. Sul punto si rendono necessarie le seguenti ulteriori precisazioni: 4.8. il "travisamento del fatto" (e non della prova) era tradizionalmente inteso quale vizio logico che aveva ad oggetto la ricostruzione dei fatti insanabilmente in contrasto con la realta' indiscussa od almeno manifesta nel processo (Sez. 2, n. 1195 del 01/07/1965, dep. 1967, Wobbe), quando cioe' la pronuncia fosse emanata sul presupposto dell'esistenza o inesistenza di fatti, che invece dagli atti risultino, di certo, inesistenti o esistenti, con esclusione del momento valutativo della prova (Sez. 1, n. 86 del 25/01/1966, Spucches). Il nuovo codice di rito ha voluto mantenere "il sindacato sul piano della legittimita', evitando gli eccessi (...) che hanno talvolta dato luogo a invasioni da parte del giudice di legittimita' dell'area in giudizio riservata al giudice di merito" (Relazione al progetto del codice di procedura penale). L'iniziale formulazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), era percio' chiaramente finalizzata a evitare che il giudizio di legittimita' si trasformasse, di fatto, in un'ulteriore grado di giudizio di merito, vietando qualsiasi incursione nel materiale raccolto nelle precedenti fasi di merito ed imponendo come oggetto di valutazione della logicita', congruita' e coerenza della sentenza esclusivamente il testo della motivazione. Coerentemente, la giurisprudenza di legittimita' aveva affermato il principio per il quale il travisamento del fatto intanto poteva essere oggetto di valutazione e di sindacato in sede di legittimita', in quanto risultasse inquadrabile nelle ipotesi tassativamente previste dall'articolo 606 c.p.p., lettera e); l'accertamento di esso richiedeva, pertanto, la dimostrazione, da parte del ricorrente, dell'avvenuta rappresentazione, al giudice della precedente fase di impugnazione, degli elementi dai quali quest'ultimo avrebbe dovuto rilevare il detto travisamento, sicche' la Corte di cassazione potesse, a sua volta, desumere dal testo del provvedimento impugnato se e come quegli elementi fossero stati valutati (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimo; nello stesso senso, Sez. 4, n. 31064 del 02/07/2002). La L. n. 46 del 2006, articolo 8, comma 1, ha esteso l'ambito della deducibilita' del vizio di motivazione anche ad "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame". Il legislatore ha cosi' introdotto il "travisamento della prova" (e non del fatto) quale ulteriore criterio di giudizio della contraddittorieta' estrinseca della motivazione ma cio' non muta, alla luce delle considerazioni che precedono, la natura dell'indagine di legittimita' il cui oggetto resta la motivazione del provvedimento impugnato, l'esame della cui illogicita' non puo' mai trasmodare in un inammissibile e rinnovato esame dell'intero compendio probatorio gia' utilizzato dal giudice di merito per giungere alle sue conclusioni. Il travisamento, insomma, deve riguardare uno o piu' specifici atti del processo, non il fatto nella sua interezza; 4.9. ne consegue, in conclusione che: a) il vizio di motivazione non puo' essere utilizzato per spingere l'indagine di legittimita' oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando cio' sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) l'esame puo' avere ad oggetto direttamente la prova quando se ne denunci il travisamento, purche' l'atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali; c) la natura manifesta della illogicita' della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un limite al sindacato di legittimita' che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorche' altrettanto ragionevoli; d) non e' consentito, in caso di cd. "doppia conforme", eccepire il travisamento della prova mediante la pura e semplice riproposizione delle medesime questioni fattuali gia' devolute in appello soprattutto quando, come nel caso di specie, la censura riguardi il medesimo compendio probatorio non avendo la Corte territoriale attinto a prove diverse da quelle scrutinate in primo grado. 4.10. Non e' dunque consentito, in sede di legittimita', interloquire direttamente con la Suprema Corte sul significato delle prove assunte in sede di giudizio di merito sollecitandone l'esame e proponendole quale criterio di valutazione della illogicita' manifesta della motivazione; in questo modo si sollecita la Corte di cassazione a sovrapporre la propria valutazione a quella dei Giudici di merito laddove, come detto, cio' non e' consentito, nemmeno quando venga eccepito il travisamento/significante della prova. Il travisamento non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensi' lo strumento - come detto - per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento. Oggetto di cognizione in sede di legittimita' non e' il fatto come ricostruibile in base alle prove assunte nella fase di merito, bensi' il fatto come ricostruito (e descritto) nel provvedimento impugnato. Il vizio di motivazione, dunque, deve essere apprezzato in base alla lettura diretta e immediata del testo del provvedimento impugnato senza la "mediazione" di elementi spuri ad esso estranei (inequivoco il riferimento al "testo del provvedimento impugnato" contenuto nella lettera "e" dell'articolo 606 c.p.p., comma 1). oggetto di cognizione in sede di legittimita' non e' il fatto come ricostruibile in base alle prove assunte nella fase di merito, bensi' il fatto come ricostruito (e descritto) nel provvedimento impugnato. Il vizio di motivazione, dunque, deve essere apprezzato in base alla lettura diretta e immediata del testo del provvedimento impugnato senza la "mediazione" di elementi spuri ad esso estranei (inequivoco il riferimento al "testo del provvedimento impugnato" contenuto nella lettera "e" dell'articolo 606 c.p.p., comma 1). Il giudice "indica le prove poste a base della decisione (...) e l'enunciazione delle ragioni per le quali ritiene non attendibili le prove contrarie" (cosi' l'articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e, prima delle modifiche introdotte dalla L. n. 103 del 2017, articolo 1, comma 52); nel valutare la prova egli deve dar conto, nella motivazione, dei risultati acquisiti e dei criteri adottati (articolo 192 c.p.p., comma 1). La frattura tra il fatto descritto nel provvedimento impugnato in base alle prove poste a base della decisione e quello ricostruibile in base alle stesse ovvero ad altre prove comunque assunte nel corso del giudizio puo' viziare il provvedimento solo se tale frattura e' il frutto di un errore di natura percettiva e non valutativa. Orbene, di tale errore di natura percettiva non v'e' traccia nel provvedimento impugnato. 4.11. In ogni caso, quando si deduce la omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, e' onere del ricorrente, in virtu' del principio di "autosufficienza del ricorso" suffragare la validita' del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era gia' stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimita' il loro esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio dedotto non emerga all'evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (Sez. 2, n. 20677 dell'11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. F. n. 37368 del 13/09/2007, Torino, Rv. 237302). 4.12. Non e' sufficiente riportare meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedere ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, Savasta, Rv. 263601; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994, secondo cui la condizione della specifica indicazione degli "altri atti del processo", con riferimento ai quali, l'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimita', puo' essere soddisfatta nei modi piu' diversi (quali, ad esempio, l'integrale riproduzione dell'atto nel testo del ricorso, l'allegazione in copia, l'individuazione precisa dell'atto nel fascicolo processuale di merito), purche' detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilita' del ricorso, in base al combinato disposto dell'articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), e articolo 591 c.p.p.). 4.13. E' necessario, pertanto: a) identificare l'atto processuale omesso o travisato; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verita' dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche' della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilita'" all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035). 5. I ricorsi di (OMISSIS). Il ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 5.1. Il primo motivo deduce il malgoverno logico della consulenza tecnica (e della deposizione) dell'ing. (OMISSIS), acquisita, come prova nuova, dalla Corte di appello ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., su richiesta della difesa. Poiche' la credibilita' della persona offesa era stata testata anche dall'esame dei tabulati telefonici che confermavano la localizzazione degli imputati e della persona offesa nei tempi e nei luoghi da quest'ultima riferiti, scopo della consulenza era proprio quello di ricostruire con piu' precisione i movimenti dello (OMISSIS) mediante la geolocalizzazione del suo telefono cellulare, geolocalizzazione che aveva un margine di imprecisione di pochissimi metri (non piu' di dieci) rispetto alla posizione effettiva del telefono cellulare rilevabile anche in mancanza di effettivo utilizzo del telefono stesso, laddove, come noto, le celle radio base agganciate dai telefoni cellulari ne rilevano la localizzazione solo se effettivamente usati e con un margine di approssimazione decisamente elevato se si considera - afferma il ricorrente - che l'intero territorio del Comune di Melito di Porto Salvo e' coperto da una (o due) celle radio base. Il sistema di geolocalizzazione consentiva anche di rilevate la rete wi-fi alla quale il telefono cellulare si era eventualmente agganciato. I risultati, afferma il ricorrente, sono sorprendenti perche' dimostrano, con molta maggior precisione dei tabulati telefonici, che l'imputato non era mai stato nei luoghi, nei giorni e nelle ore indicate dalla PO nelle sue dichiarazioni. 5.2. Secondo la Corte di appello, invece, la consulenza tecnica dell'Ing. (OMISSIS) corrobora gli accertamenti della PG sugli spostamenti della vittima e degli imputati: "se da un lato l'acquisizione della relazione di parte a firma del Dott. (OMISSIS) ha completato il gia' copioso materiale probatorio raccolto, dall'altra - afferma - la sua deposizione testimoniale resa all'udienza del 21 luglio 2020 ha messo in luce alcuni aspetti che, nella sostanza, non solo non spostano i termini della vicenda, ma corroborano i dati relativi agli spostamenti dello (OMISSIS) come registrati dalle celle agganciate dal dispositivo mobile in uso allo stesso e che hanno tratteggiato il percorso stradale seguito, gia' evidenziate in sede di indagini preliminari". Quindi la sentenza riporta le dichiarazioni del testimone alle pagg. 47 e 48 e afferma che "gli accertamenti tecnici di parte fatti dall'ing. (OMISSIS), le cui dichiarazioni testimoniali sono state disposte (unitamente alla CTP) in questa fase di appello, non solo non smentiscono i dati probatori raccolti in ordine alla presenza dello (OMISSIS) sui luoghi dei delitti via via contestati, ma li confermano" e (testualmente) "(c)io' in quanto, seppure il CTP ha riferito che in determinati momenti l'analisi dei dati, come tratti dalle fonti informatiche-tecnologiche su indicate, registrava il dispositivo in uso allo (OMISSIS) (e cioe' quello sempre all'interno dell'area di interesse, ossia quella in cui era commesso il reato; d'altronde, il fatto che in alcuni momenti la rete segnava un raggio di copertura ampio che poteva far propendere anche per un posizionamento in un luogo diverso da quello teatro dei fatti specifici, tuttavia il dato raccolto, a detta dello stesso perito di parte, si poneva sempre in termini di "compatibilita'" della presenza dello (OMISSIS) in quella determinata zona e, pertanto, non scalfisce le precedenti risultanze istruttorie". 5.3. In buona sostanza, afferma il ricorrente, la Corte di appello fornisce una lettura manifestamente illogica del dato utilizzandolo a riscontro del posizionamento del ricorrente nell'area coperta dal raggio di copertura delle singole celle. Il dato certo della posizione viene utilizzato a conferma della bonta' del dato incerto secondo un'inaccettabile inversione logica. 5.4. Osserva il Collegio che la polizia giudiziaria aveva monitorato il periodo che va dal (OMISSIS); ne restavano esclusi i periodi precedenti pure oggetto di analisi del consulente tecnico i cui dati erano gli unici utilizzabili nella specie. 5.5. Il vizio dedotto dal ricorrente ha dunque una duplice valenza: a) per la parte fino al 10/03/2014 rileva come sostanziale travisamento della prova (sotto il profilo della omessa valutazione della CT dell'ing. (OMISSIS), l'unica che riguardasse i movimenti della vittima); b) per la parte successiva riguarda la sostanziale illogicita' manifesta della motivazione che ha ritenuto di trarre dall'elaborato del CT una conferma dei dati (molto meno precisi) ricavabili dai tabulati telefonici, oltretutto anche per il periodo da essi non coperti (secondo semestre 2013 e primi due mesi dell'anno 2014). 5.6. Tanto premesso, va fatta una prima considerazione di ordine generale che riguarda il rapporto tra la prova nuova introdotta dall'imputato in appello e le sue stesse dichiarazioni rese in sede di esame. 5.7. Esaminato dal primo Giudice, lo (OMISSIS) aveva confermato di aver avuto una relazione sentimentale con la persona offesa iniziata nell'estate dell'anno 2013, relazione interrotta dopo che egli aveva scoperto che la ragazza si era vista, di nascosto, con un suo (del ricorrente) amico, (OMISSIS) (con il quale peraltro la ragazza avrebbe riferito in sede processuale di aver avuto rapporti sessuali). Nonostante la "mediazione" del padre della ragazza, egli non aveva piu' voluto vederla, ne' si sarebbero visti fino a quando la (OMISSIS) aveva compiuto quattordici anni ((OMISSIS)). I due si erano quindi di nuovo incontrati per la prima volta dall'estate precedente appartandosi in un luogo dove avevano avuto il loro primo rapporto sessuale. Diversa la ricostruzione della vicenda da parte della ragazza: le due versioni concordano sull'inizio della relazione e sulle cause della cessazione (la scoperta dell'incontro clandestino con il (OMISSIS)) ma divergono sugli sviluppi successivi. Mentre, infatti, l'imputato, secondo la propria versione, esce di scena e ricompare solo dopo il compimento del quattordicesimo anno di eta' della persona offesa, quest'ultima sostiene l'esatto contrario avendo affermato che: a) la mediazione del padre era andata a buon fine, essendosi i due rivisti insieme con altri due amici, (OMISSIS) e l'amica di questi, (OMISSIS); b) in quell'occasione l'imputato le aveva detto che, essendosi divertita con il (OMISSIS), avrebbe dovuto fare altrettanto con lui (proposta respinta nell'immediato); c) successivamente l'imputato aveva iniziato a scriverle messaggi dicendole che se voleva il suo perdono avrebbe dovuto avere rapporti sessuali con lui e con i suoi amici tra i quali il (OMISSIS); d) nei mesi di ottobre-novembre 2013 aveva ripreso a frequentare lo (OMISSIS) con il quale, una notte (un sabato o una domenica, o comunque un giorno festivo) aveva avuto con lui il primo rapporto sessuale completo nell'abitazione in costruzione sita in Via (OMISSIS), nei pressi di quella dei nonni di lei; e) a tale rapporto aveva assistito il (OMISSIS) con il quale la ragazza avrebbe avuto un rapporto subito dopo su richiesta dello stesso (OMISSIS) (la ragazza aveva anche riferito che, secondo il (OMISSIS), i due l'avevano videoripresa, circostanza pero' da lei non confermata perche', ove vera, non se ne era accorta). Il Tribunale dedica all'esame del capo A della rubrica le pagg. 201-206 della sentenza nella quale indica i seguenti riscontri a suggello della credibilita' della vittima ordine a tale fatto: a) i messaggi scambiati con l'imputato (che provavano il rapporto di "subordinazione" psicologica della ragazza nei confronti di questi); b) l'effettivo possesso da parte del (OMISSIS) di un telefono iPhone mod. A6 (che quegli aveva chiesto di poter ricaricare; sulla validita' di tale riscontro si rimanda anche all'esame sul punto del ricorso del (OMISSIS) il quale pero' confonde il modello iPhone 6 con quello A-6); c) la conoscenza del fatto che la mamma del (OMISSIS) faceva un lavoro per il quale doveva rispettare dei turni ed aveva necessita' dell'autovettura con cui lo (OMISSIS) ed il (OMISSIS) l'avevano raggiunta a Via Roma (in effetti la donna lavorava in ospedale e doveva rispettare dei turni prestabiliti). Nel paragrafo dedicato alla "violenza nei confronti del soggetto infraquattordicenne" (pagg. 196 e segg.), il primo Giudice aveva riportato una schermata delle "Note" del cellulare della ragazza ed, in particolare, la nota intitolata "Scemo" modificata da ultimo il 05/02/2014 nella quale la (OMISSIS) aveva ricostruito le vicende relative al periodo dicembre 2013-febbraio 2014. Ebbene, appare chiaro, dalla piana lettura del documento in questione (del quale non e' mai stato dedotto il travisamento, nemmeno in appello) che la persona offesa aveva continuato a vedere lo (OMISSIS) anche prima del suo quattordicesimo compleanno ("con lui e' durata sei mesi e mi piaceva da morire percio' non sono sicura di averlo dimenticato del tutto anche se mi ha trattata davvero malissimo...alla fine della fiera con Nino e' durata dal 29-12-2013 al 03-02-2014 (...) oggi pome ci siamo rivisti con (OMISSIS) e mi diceva: (...) ti ho aspettata un mese perche' tu non mi rispondevi (...) x lui devo continuare perche' e' giusto pero' i suoi amici stavolta non c'entrano niente... cosi' ha detto (...)". Il Tribunale riporta anche il contenuto di una conversazione intercorsa tramite messaggi nel mese di febbraio 2014 tra la (OMISSIS) ed il (OMISSIS) nel corso della quale la PO riferisce al suo interlocutore di non aver piu' visto lo (OMISSIS) da un mese. Tali dati di fatto, dei quali non e' mai stato dedotto il travisamento nemmeno in appello, escludono, sul piano logico, che lo (OMISSIS) non avesse piu' visto la ricorrente prima del compimento del suo quattordicesimo compleanno dando cosi' dimostrazione della non corrispondenza a vero del dato informativo introdotto nel processo attraverso il suo esame. Esiste, dunque, un primo punto di frizione tra l'argomento di prova introdotto dall'imputato mediante il suo esame e quello affidato alla consulenza dell'ing. (OMISSIS): il primo riguarda la negazione in radice della frequentazione della persona offesa dopo la scoperta del tradimento con il (OMISSIS) (e prima che compisse il quattordicesimo anno di eta'); il secondo si limita alla sola assenza dell'imputato per una notte intera in via (OMISSIS) nel secondo semestre dell'anno 2013. Si potrebbe obiettare che tale elemento conforta la deduzione difensiva della mancanza di rapporti con la persona offesa per l'intero ultimo trimestre del 2013 ma non e' questo il punto che interessa in questa sede; il punto e' che il dato introdotto con la consulenza non esclude la valenza probatoria di quelli indicati dal primo Giudice dai quali si desume che lo (OMISSIS), contrariamente a quanto da lui sostenuto, si era comunque visto con la persona offesa prima che costei compisse quattordici anni, circostanza, si ribadisce, esclusa in radice dall'imputato. La consulenza, dunque, non solo non risolve questo aspetto (dimostrandosi non decisiva e dunque priva di un requisito essenziale ai fini del travisamento della prova; infra) ma non si pone nemmeno nel solco della difesa introdotta dall'imputato con il suo esame il quale, si ribadisce, non ha mai introdotto nel processo il tema specifico oggetto dalla consulenza il quale, si badi, non esclude la frequentazione con la persona offesa nel periodo invece escluso dall'imputato (si vedano peraltro le considerazioni svolte al successivo p. 5.97 sulla detenzione di materiale pedopornofgrafico inviato dalla (OMISSIS) gia' nell'ottobre 2013). Il dato, dunque, non e' dotato di autonoma forza dimostrativa in grado di disarticolare il complessivo ragionamento del giudice in ordine alla credibilita' della persona offesa. Il travisamento della prova, come detto, deve essere decisivo. Ne consegue che ai fini della deducibilita' del vizio di "travisamento della prova" e' necessario che il ricorrente prospetti la decisivita' del travisamento o dell'omissione nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica, indicando le ragioni per le quali l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilita' all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato. (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, Rv. 281085 - 01; Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, Rv. 280117 - 01; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, Rv. 274816 - 07; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035 - 01). Il punto non colto dal ricorrente e' proprio questo: la radicale incompatibilita' del dato introdotto dalla consulenza tecnica con il quadro complessivo degli elementi di valutazione a disposizione del giudice, a cominciare dalla stessa prospettazione del fatto per come proveniente innanzitutto dall'imputato (nel senso che sussiste un effettivo contrasto fra le opposte versioni rese dall'imputato e dalla persona offesa, oggetto di valutazione da parte del giudice anche al fine di verificare l'attendibilita' di quest'ultima, solo nel caso in cui sia l'imputato personalmente ad aver fornito la contrastante versione dei fatti, cfr. Sez. 3, n. 20884 del 22/11/2016, dep. 2017, Rv. 270123 - 01). Analoghe considerazioni valgono per il reato di violenza sessuale di gruppo di cui al capo B della rubrica che si afferma esser stato consumato nel mese di novembre 2013, in un periodo nel quale, cioe', il ricorrente, come detto, ha personalmente e direttamente negato di aver incontrato la persona offesa, men che meno di aver avuto rapporti sessuali con la stessa. In sede di esame, lo (OMISSIS) aveva confermato di aver consumato un rapporto sessuale consensuale con la persona offesa che poi avrebbe, sostanzialmente, essa stessa sollecitato un ulteriore rapporto sessuale con l'amico (OMISSIS). Il Tribunale dedica allo specifico episodio le pagg. 206-210 della sentenza. In particolare, la responsabilita' penale del ricorrente (e del suo correo, (OMISSIS)) e' stata affermata dal Tribunale che ha ritenuto: - pienamente attendibile la testimonianza della minore in quanto dotata di un elevato grado di coerenza logica ed argomentativa. In particolare, aveva descritto in maniera molto dettagliata quanto accaduto in occasione del fatto oggetto di contestazione (indicando di aver manifestato il proprio dissenso tentando, senza riuscirci perche' bloccata dal (OMISSIS), di scendere dall'auto e descrivendo in modo puntuale il susseguirsi dei rapporti sessuali) e non aveva mostrato alcun cedimento di fronte alle domande suggestive che le erano state poste discostandosi dalle stesse ed argomentando in modo personale le relative risposte (alla domanda se il (OMISSIS) l'avesse tenuta ferma o bloccata in qualche modo, la minore aveva risposto che l'imputato si era limitato a tenerla lontana dallo sportello per non farla scendere dall'auto; alla domanda sul se avesse gridato per chiedere di farla scendere, la minore aveva risposto di non averlo fatto, ma di aver comunque detto di voler scendere "perche' non aveva intenzione"; ancora, alla domanda volta ad appurare se lo (OMISSIS) l'avesse in qualche modo tranquillizzata, la minore aveva risposto "no, tranquillizzava no, tutto tranne tranquillizzare"). L'unica affermazione della minore che non aveva trovato riscontro nell'impianto probatorio (quella riguardante il sistema di chiusura della macchina al cui interno si era svolto l'episodio indicato dalla minore come manuale quando, in realta', si trattava di un sistema centralizzato) era totalmente marginale ai fini della ricostruzione della vicenda e, per tale ragione, non idonea a scalfire la credibilita' intrinseca delle dichiarazioni rese dalla stessa; - inequivoca la manifestazione del dissenso da parte della ragazza, non solo perche' non appena salita in auto, dopo essersi resa conto della presenza di un altro ragazzo (l'imputato (OMISSIS)), aveva tentato di scendere prima che lo (OMISSIS) ripartisse, ma anche per il comportamento dalla stessa tenuto durante la seconda parte dell'accaduto, quando aveva cercato di evitare il rapporto con (OMISSIS) tentando di rivestirsi nonostante lo (OMISSIS) la tenesse per impedirglielo. Inoltre, il diverso atteggiamento avuto dalla minore nell'episodio contestato al capo A di imputazione (il rapporto consensuale con lo (OMISSIS) ed il (OMISSIS)) risultava, secondo il Tribunale, pienamente compatibile con il dissenso invece manifestato nella vicenda in esame: nel primo caso, infatti, la minore aveva accettato di sottostare alle richieste dello (OMISSIS) sperando di essere perdonata da quest'ultimo anche in ragione del fatto che gia' conosceva il (OMISSIS), avendolo frequentato e avendo gia' in precedenza avuto con lui dei rapporti sessuali; in questo caso, invece, la minore era stata colta alla sprovvista, pensando che si sarebbe incontrata con il solo (OMISSIS), e per di piu' non conosceva affatto il (OMISSIS); - non attendibile la versione dei fatti fornita dagli imputati in quanto inverosimile (pur a voler ritenere veritiera l'affermazione dello (OMISSIS) secondo cui egli credeva di dover solo parlare con la minore, non si comprende perche' la scelta del luogo fosse ricaduta su di un posto lontano dal paese, ne' si comprende la ragione per cui, dovendo, a detta della difesa, dare un passaggio al (OMISSIS), anziche' accompagnarlo a casa prima di passare a prendere la minore, o comunque subito dopo averla fatta salire in macchina, lo abbia, invece, portato con se' all'incontro chiarificatore con la minore; parimenti poco credibile e' che il (OMISSIS), in pieno inverno e in un luogo buio ed isolato, fosse sceso dalla macchina per aspettare che lo (OMISSIS) si chiarisse con la minore e che poi fosse stata quest'ultima, mostrandosi senza vestiti, ad invitare il (OMISSIS) ad avere un rapporto sessuale con lei, essendo poco realistico sia che il (OMISSIS) riuscisse a vedere dall'esterno della macchina che la minore fosse senza pantaloni, sia che quest'ultima, si ribadisce, in pieno inverno, avesse il finestrino aperto nonostante fosse nuda) e non priva di contraddizioni (il (OMISSIS), infatti, dapprima, in sede di interrogatorio, aveva ammesso di essersi trovato all'interno della macchina quando lo (OMISSIS) consumava il rapporto con la minore, per poi negare tale circostanza in sede di esame dibattimentale); - pienamente integrata tanto la componente materiale, quanto quella soggettiva della fattispecie in esame avendo entrambi gli imputati (la pluralita' di agenti richiesta per la configurabilita' di una violenza sessuale di gruppo risulta, secondo la piu' recente giurisprudenza, pienamente soddisfatta anche quando gli autori del fatto siano solo due), contestualmente presenti nel luogo e nel momento della consumazione del reato, posto in essere condotte, contro la volonta' della vittima, perfettamente integranti il reato in questione (rientrando nella nozione di atto sessuale giuridicamente rilevante non solo un rapporto sessuale completo, ma qualsiasi altro atto comunque idoneo a pregiudicare la liberta' di autodeterminazione nella sfera sessuale del soggetto passivo); - configurabile la circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., n. 1, (essendo indubbio che la minore, all'epoca del fatto contestato, avesse un'eta' inferiore agli anni quattordici); non applicabile, invece, per il principio di irretroattivita' della legge penale piu' sfavorevole, la circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., n. 5-sexies, in quanto entrata in vigore dopo la commissione dei fatti contestati (Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 39). Ne' il ricorrente, ne' il (OMISSIS), hanno mai contestato di aver avuto con la ricorrente il rapporto sessuale che quest'ultima afferma essere avvenuto con modalita' violente. In sede di appello, in particolare, l'imputato aveva ribadito il consenso della ragazza all'atto ed aveva temporalmente collocato il rapporto in epoca successiva al compimento del quattordicesimo anno di eta', ma non aveva contestato il rapporto in se', la partecipazione del (OMISSIS), ne' il luogo di consumazione del rapporto (il (OMISSIS)). L'alibi introdotto con la CT (OMISSIS) non e' mai stato personalmente dedotto dal ricorrente il quale, pur spostando in avanti nel tempo la consumazione del rapporto sessuale e pur avendo attribuito ad esso una dimensione pienamente consensuale, non ha mai negato di esser stato nei luoghi indicati dalla persona offesa nel periodo da essa indicato e certamente non per il lasso di tempo necessario alla consumazione dei rapporti. Orbene, dalla consulenza tecnica dell'Ing. (OMISSIS), correttamente allegata al ricorso a sostegno del dedotto travisamento della prova, risulta che il telefono cellulare del ricorrente era stato spesso localizzato in localita' "(OMISSIS)" (o comunque nelle sue vicinanze) nel secondo semestre del 2013, anche se per brevi intervalli (ritenuti dalla difesa incompatibili con la versione accusatoria); solo il lunedi' 02/12/2013 risulta una permanenza piu' lunga: dalle ore 17,02 alle ore 17,23. Il punto, pero', e' un altro: dall'esame della CT non risulta che il ricorrente si sia mai intrattenuto nel primo semestre 2014 in localita' (OMISSIS) per un periodo di tempo compatibile con la consumazione dei rapporti, nell'orario indicato dalla PO e mai contestato (intorno alle ore 18,00). Cio' che insomma emerge, ancora una volta, e' che lo stesso consulente della difesa smentisce la versione dei fatti resa dall'imputato in sede di esame (allegato 11, pag. 35 della CT, richiamato dallo stesso consulente in sede di esame dibattimentale; pag. 15 delle trascrizioni dell'esame). Questa constatazione rende, a giudizio del Collegio, oltremodo non decisiva la prova (a dire del ricorrente) travisata dalla Corte di appello in quanto non in grado di disarticolare l'intero ragionamento probatorio siccome priva di autonoma efficacia persuasiva. La non decisivita' del travisamento riflette le sue conseguenze anche in relazione ai fatti di cui ai capi D ed E della rubrica. Quanto all'episodio di cui al capo D (la violenza sessuale di gruppo consumata nell'abitazione di (OMISSIS) messa a disposizione dal (OMISSIS)) e' lo stesso (OMISSIS) ad ammettere di aver avuto un rapporto sessuale a tre con la (OMISSIS) ed il (OMISSIS) stesso nell'abitazione in questione salvo collocarlo "intorno al mese di febbraio, o di marzo (2014)" (pag. 177, sentenza primo grado) fornendo una descrizione della vicenda (pagg. 178-179) in buona parte sovrapponibile a quella resa alla (OMISSIS) (che pero' aveva aggiunto l'episodio del sopraggiungere del (OMISSIS) del quale lo (OMISSIS) non aveva parlato). Ora, quello che qui rileva e' che le rilevazioni effettuate dal CT (OMISSIS) in ordine alla presenza del ricorrente nella localita' sopra indicata si fermano al 4 febbraio 2014, rendendo impossibile verificare se, effettivamente, il fatto fosse stato consumato, in tesi difensiva, nel mese di febbraio/marzo 2014 (e nel pieno consenso della persona offesa). All'obiezione (logica) che alla difesa serve solo insinuare il dubbio sulla effettiva presenza dell'imputato nella localita' indicata dalla persona offesa nel tempo contestato dall'accusa, e' agevole rispondere che il dubbio deve essere comunque ragionevole e confrontarsi con tutti gli elementi indicati dal giudice a sostegno della decisione. Dell'inaffidabilita' del dato rinveniente dalla CT (OMISSIS) s'e' gia' detto. Si deve aggiungere, allora, che secondo la concorde ricostruzione della vicenda operata dai Giudici di merito, la PO aveva rievocato con il (OMISSIS) quel rapporto sessuale in una conversazione WhatsApp del febbraio 2014, conversazione nel corso della quale la ragazza aveva affermato che stava ripensando a quel giorno in cui aveva avuto un rapporto sessuale con il (OMISSIS) stesso e lo (OMISSIS). Nel corso della stessa conversazione, la PO aveva rimproverato il suo interlocutore di aver chiamato il (OMISSIS), circostanza non negata dal (OMISSIS) che si era giustificato con la presenza dello (OMISSIS). Il primo Giudice aveva ricostruito minuziosamente la cronologia dei messaggi scambiati dalla PO con lo (OMISSIS) ed il (OMISSIS) nei mesi di gennaio/febbraio 2014 ed aveva rievocato l'appunto della ragazza che aveva acconsentito (il 5 febbraio 2014) a rivedersi con lo (OMISSIS) ma senza piu' i suoi amici. Il Tribunale colloca la conversazione WhatsApp con il (OMISSIS) al piu' tardi il 12/02/2014 (pag. 201, sentenza primo grado). Ne consegue, secondo logica, che il fatto avrebbe dovuto collocarsi prima del 5 febbraio 2014, allorquando la persona offesa annotava di non voler piu' avere gli amici dello (OMISSIS) intorno. Sennonche', e' questo il punto, il CT (OMISSIS) esclude che il ricorrente fosse stato presente in localita' (OMISSIS) per un periodo compatibile con la consumazione del reato (o comunque di un rapporto sessuale a tre) fino al 4 febbraio 2014. Come questo dato si coniughi con gli elementi di prova che depongono a favore di un rapporto sessuale in quella localita' con lo (OMISSIS) stesso ed il (OMISSIS) non e' spiegato dal ricorrente stesso. A non diverse considerazioni si espone il dedotto travisamento (ed il malgoverno logico) della CT (OMISSIS) in relazione al reato di cui al capo E che imputa allo (OMISSIS) e allo (OMISSIS) il delitto di violenza sessuale di gruppo commessa ai danni della (OMISSIS) in una data che i Giudici di merito hanno individuato in quella del 10/03/2014, giorno nel quale, in base ai dati acquisiti dal CT, lo (OMISSIS) si sarebbe trovato altrove rispetto al luogo di consumazione del reato (strada vicino al (OMISSIS)). La collocazione temporale e spaziale del fatto e' stata ricostruita dai Giudici di merito in base: a) alle dichiarazioni rese in sede di incidente probatorio dalla persona offesa; b) alle dichiarazioni rese dal padre della stessa che aveva confermato di essere stato richiesto quello stesso giorno dalla figlia di accompagnarla urgentemente da (OMISSIS) (" (OMISSIS)") (OMISSIS) a (OMISSIS) dopo essere stata ricondotta dai due imputati nel posto dove l'avevano prelevata (dello (OMISSIS), con il quale la PO aveva all'epoca una relazione, aveva parlato lo (OMISSIS) in quell'occasione, lasciando intendere di esserne a conoscenza); c) dalle note del cellulare della persona offesa ("Lunedi' 10 marzo 2014 (OMISSIS) E (OMISSIS) STRADA VICINO AL (OMISSIS)"), da alcuni post-it scritti dalla stessa in quei giorni ("Arrivato giorno 10, ci siamo visti prima con lui e poi mi ha portato mio cugi (OMISSIS) e mi hanno costretta e poi siamo andati da (OMISSIS) a chiarire"), da una nota sul calendario ("Cugi (OMISSIS) nella strada vicino al cimitero"); d) dal certificato medico dello (OMISSIS) (datato 09/03/2014) con diagnosi di trauma distorsivo del primo dito della mano destra (lo (OMISSIS) avrebbe riferito alla persona offesa di essere stato percosso dallo (OMISSIS) e dai suoi amici); e) dall'analisi dei tabulati telefonici che attestavano l'aggancio, da parte delle utenze dei due imputati e della persona offesa, della medesima cella (quella di (OMISSIS)) tra le ore 16.48 e le ore 18.10 del 10 marzo 2014 e l'aggancio, da parte dell'utenza della PO, della cella di (OMISSIS) dalle ore 18.10 alle ore 19.10 (a riprova del fatto che la stessa si era effettivamente recata dallo (OMISSIS)). Dalla lettura della sentenza di primo grado (pag. 182) emerge che lo stesso (OMISSIS) aveva ammesso di aver avuto una discussione con lo (OMISSIS) in un pomeriggio del mese di marzo, discussione legata proprio alla frequentazione di questi con la (OMISSIS) e durante la quale egli aveva reagito allo spintone dello (OMISSIS). Lo (OMISSIS), dal canto suo, aveva riferito, in sede di esame dibattimentale, che nel pomeriggio (verso le 15.00/16.00) di quello stesso giorno nel quale la (OMISSIS) si era recata da lui accompagnata dal padre, si era rivolto allo (OMISSIS) per chiedere protezione ottenendo risposta positiva. Fermo restando quanto gia' detto in ordine alla non decisivita' del dato introdotto dall'Ing. (OMISSIS) (ed in tesi travisato), resta il fatto che nel caso di specie non si tratta di "travisamento" vero e proprio, bensi' del malgoverno logico della prova che il ricorrente deduce senza pero' confrontarsi con la "ratio decidendi" nel suo complesso e cio' benche' in appello egli non avesse negato il rapporto sessuale, bensi' la sua natura non consensuale. E di certo, alla luce delle considerazioni che precedono, la motivazione della sentenza impugnata non puo' dirsi manifestamente illogica. 5.8. Il secondo motivo e' manifestamente infondato. 5.9. La "capacita'" esprime, nel linguaggio giuridico, l'attitudine (statica) della persona ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive attive e passive, ma anche quella (dinamica) di costituirle, modificarle, estinguerle. Lo "stato (status)" costituisce il presupposto (per taluni l'insieme) dei poteri e dei doveri che fanno capo ad una persona e che la contraddistinguono nella collettivita' di appartenenza. Il concetto di "capacita'" del giudice esprime, in questo senso, non solo l'attitudine alla titolarita' del rapporto giuridico processuale, quanto (e forse piu' propriamente) lo "status" vero e proprio di giudice, l'insieme, cioe', di quelle condizioni che ne contraddistinguono normativamente la figura e costituiscono il presuppongono della attitudine allo svolgimento della relativa attivita'. La dottrina distingue tra "capacita' generica" (che si acquista con la nomina e la ammissione in ruolo) e "capacita' specifica" (che riguarda l'attitudine del giudice allo svolgimento di uno specifico processo). Si distingue anche tra "capacita' di acquisto" (che indica il possesso dei requisiti richiesti per la nomina di giudice) e "capacita' di esercizio" della funzione giurisdizionale (che riguarda, per esempio, il decreto ministeriale di nomina del magistrato). 5.10. Le condizioni di capacita' di cui parla l'articolo 33 c.p.p. sono quelle che comportano la "capacita' generica" (o se si vuole la "capacita' di esercizio") del giudice, la sua idoneita' a rendere il giudizio, "la riferibilita' del giudizio ad organi titolari, secondo il disegno dell'ordinamento giudiziario, della funzione giurisdizionale, quindi anche nella composizione prevista per la loro formazione collegiale" (Corte Cost., sentenza n. 419 del 1998). La capacita' del giudice di cui all'articolo 33, comma 1, riguarda la titolarita' della funzione, non il suo esercizio (Corte Cost. n. 419, cit.). La destinazione del giudice all'ufficio giudiziario di appartenenza e/o alla relative sezioni (ove esistenti), la formazione del collegio (non il numero dei componenti), l'assegnazione del processo alla sezione, a quel collegio o a quel giudice monocratico, attengono alla "capacita' specifica" del giudice (collegiale o monocratico) alla trattazione di quello specifico processo, regolata dalle norme dell'ordinamento giudiziario in base alle cd. tabelle degli uffici giudicanti. 5.11. Il giudice "capace" (genericamente) e' (solo) quello che costituisce (o comunque appartiene al)l'ordine giudiziario (articolo 104 Cost.), perche' nominato per concorso o anche elettivamente (articolo 106 Cost.). L'osservanza delle norme che riguardano la "capacita' generica" (o "di esercizio") del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi e' prescritta a pena di nullita' assoluta, insanabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento (articolo 178 c.p.p., lettera a, articolo 179 c.p.p., comma 1). 5.12. Solo l'osservanza delle norme che riguardano la "capacita' generica" (o "di esercizio") del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi e' prescritta a pena di nullita' assoluta, insanabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento (articolo 178 c.p.p., lettera a, articolo 179 c.p.p., comma 1). L'inosservanza delle norme che riguardano la "capacita' specifica" del giudice alla trattazione di quel procedimento non produce nullita'. 5.13. Come spiegato dal Giudice delle leggi, "il principio costituzionale di precostituzione del giudice non implica che i criteri di assegnazione dei singoli procedimenti nell'ambito dell'ufficio giudiziario competente, pur dovendo essere obiettivi, predeterminati o comunque verificabili, siano necessariamente configurati come elementi costitutivi della generale capacita' del giudice, alla cui carenza il legislatore ha collegato la nullita' degli atti. Questo non significa che la violazione dei criteri di assegnazione degli affari sia priva di rilievo e che non vi siano, o che non debbano essere prefigurati, appropriati rimedi dei quali le parti possano avvalersi" (Corte Cost. sentenza n. 419 del 1998, cit.). 5.14. La giurisprudenza di legittimita' ha conseguentemente precisato che anche l'assegnazione dei processi in violazione delle tabelle di organizzazione dell'ufficio puo' incidere sulla costituzione e sulle condizioni di capacita' ("generica") del giudice, determinando la nullita' di cui all'articolo 33 c.p.p., comma 1. Cio' avviene, in particolare, quando si determini uno stravolgimento dei principi e dei canoni essenziali dell'ordinamento giudiziario, per la violazione di norme quali quelle riguardanti la titolarita' del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l'obbligo di motivazione dei provvedimenti (Cass. Sez. 6, n. 13833/2015), o quando, per esempio, le irregolarita' in tema di formazione dei collegi sono volte ad eludere o violare il principio del giudice naturale precostituito per legge, attraverso assegnazioni "extra ordinem" perche' del tutto al di fuori di ogni criterio tabellare (Cass. Sez. 6, n. 39239/2013; Cass. Sez. 1, n. 16214/2006). 5.15. Nel caso di specie si e' trattato dell'assunzione congiunta della medesima prova da parte di giudici entrambi "capaci" e tabellarmente competenti. Nessuna norma del codice di rito esclude l'assunzione congiunta della medesima prova dichiarativa soprattutto quando, come nel caso in esame, si tratta della medesima fonte testimoniale e la ripetizione dell'atto puo' nuocere non solo alla genuinita' della prova stessa ma anche alla salute psico-fisica della vittima. 5.16. Del resto, l'articolo 371 c.p.p., comma 1, prevede espressamente la possibilita' per gli "uffici diversi del pubblico ministero che (come nel caso di specie) procedono a indagini collegate", di procedere congiuntamente al compimento di specifici atti. L'incidente probatorio e' "atto" che il PM puo' sollecitare nel corso delle indagini preliminari anche (se non soprattutto) quando si procede per uno dei reati previsti dagli articoli 609-bis e 609-octies c.p.. La possibilita' che l'atto venga chiesto, ai fini della sua assunzione congiunta, sia dal pubblico ministero presso il tribunale che dal pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni e' non solo prevista, ma in qualche modo imposta dall'articolo 118-bis disp. att. c.p.p. che impone ai procuratori del distretto (senza alcuna distinzione di funzioni) di coordinarsi tra loro quando si procede, tra gli altri, per i reati di cui agli articoli 609-bis e 609-quater c.p., norma che, al pari di quella di cui all'articolo 371 c.p.p., trova applicazione anche al processo minorile in virtu' dei principi affermati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, articolo 1. 5.17. Nessuno degli imputati e' stato sottratto al proprio giudice naturale, ne' tale conclusione puo' essere avallata dalla fisiologica evenienza che l'esame della persona offesa (anche ai fini della valutazione sulla sua credibilita') sia stato condotto da entrambi i GIP su tutti i fatti per i quali si procede, a maggior ragione se si considera che alcuni dei reati sono contestati come commessi in concorso con persone minorenni e che l'ipotesi accusatoria si alimenta della tesi della soggezione della persona offesa ai voleri dello (OMISSIS) per ottenere il perdono del tradimento con il (OMISSIS). 5.18. Il terzo motivo e' infondato. 5.19. In termini generali va ribadito che il divieto di porre domande suggestive, che l'articolo 499 c.p.p., comma 3, vieta "nell'esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del testimone e di quella che ha un interesse comune": a) non opera con riguardo al giudice, il quale, agendo in una ottica di terzieta' (e non essendo "parte" che conduce l'esame), puo' rivolgere al testimone tutte le domande ritenute utili a fornire un contributo per l'accertamento della verita', ad esclusione di quelle nocive, che possono, cioe', nuocere alla sincerita' delle risposte (Sez. 6, n. 8307 del 13/01/2021, Rv. 280710 - 01; Sez. 1, n. 44223 del 17/09/2014, Rv. 260899 - 01; Sez. 3, n. 27068 del 20/05/2008, Rv. 240261 - 01; Sez. 3, n. 21627 del 15/04/2015, Rv. 263790 - 01); b) la violazione del divieto deve essere eccepita al giudice innanzi al quale si forma la prova, essendo rimessa al giudice dei successivi gradi di giudizio soltanto la valutazione in ordine alla motivazione del provvedimento di accoglimento o di rigetto della eccezione stessa sicche' non puo' essere eccepita per la prima volta con i motivi di impugnazione l'inutilizzabilita' dell'atto assunto in violazione dell'articolo 499 c.p.p. (Sez. 5, n. 27159 del 02/05/2018, Rv. 273233 - 01; Sez. 6, n. 13791 del 10/03/2011, Rv. 249890 - 01; Sez. 3, n. 47084 del 23/10/2008, Rv. 242255 - 01; Sez. 1, n. 22204 del 31/05/2005, Rv. 232385 - 01); c) ne consegue che, in caso di assunzione della prova mediante incidente probatorio, l'eccezione deve essere proposta immediatamente dinanzi al giudice che procede all'incombente istruttorio e non a quello della "plena cognitio" (Sez. 1, n. 22204 del 31/05/2005, Rv. 232385 - 01); d) la violazione del divieto di porre domande suggestive non da' luogo ne' alla sanzione di inutilizzabilita' prevista dall'articolo 191 c.p.p., ne' a quella di nullita', atteso che l'inosservanza delle disposizioni fissate dall'articolo 498 c.p.p., comma 1, e articolo 499 c.p.p. non determina ne' l'assunzione di prove in violazione dei divieti di legge, ne' la inosservanza di alcuna delle previsioni dettate dall'articolo 178 c.p.p. (Sez. 3, n. Sez. 1, n. 13387 del 16/05/2012, dep. 2014, Rv. 259728 01; Sez. 1, n. 39996 del 14/07/2005, Rv. 232941 - 01). 5.20.Escluso, dunque, ogni profilo di inutilizzabilita' della prova dichiarativa resa in sede di incidente probatorio, deve essere ribadito il costante insegnamento della Corte di cassazione (pienamente condiviso dal Collegio) secondo il quale la violazione del divieto di porre domande suggestive (o nocive) di cui all'articolo 499 c.p.p., in mancanza di una sanzione processuale, rileva soltanto sul piano della valutazione della genuinita' della prova, che puo' risultare compromessa esclusivamente se inficia l'intera dichiarazione e non semplicemente la singola risposta fornita, ben potendo il giudizio di piena attendibilita' del teste essere fondato sulle risposte alle altre domande (Sez. 3, n. 36413 del 09/05/2019, Rv. 276682 - 01; Sez. 3, n. 42568 del 25/06/2019, Rv. 277988 - 01; Sez. 3, n. 4672 del 22/10/2014, dep. 2015, Rv. 262468 - 01). 5.21. Non esiste, pertanto, alcuna corrispondenza biunivoca tra numero di domande suggestive (o nocive) e inattendibilita' della prova dichiarativa, sicche' la deduzione per la quale alla minore erano state rivolte non meno di 361 domande suggestive (505, secondo il (OMISSIS)) non coglie affatto nel segno riguardando solo l'aspetto "statico"/strutturale della prova, non anche l'elemento dinamico/funzionale della prova stessa, il "risultato", cioe', del quale il giudice deve dare conto insieme con l'indicazione dei criteri adottati per la valutazione della prova (articolo 192 c.p.p., comma 1, articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e). L'attenzione, dunque, va focalizzata non solo sulle domande, ma anche sulle risposte date (il risultato) e capire come esse sono state valutate dal giudice insieme con tutti gli altri elementi di prova a sua disposizione. Le ragioni della decisione (la motivazione) sono sindacabili in questa sede di legittimita' negli stretti limiti indicati dall'articolo 606 c.p.p., lettera e), senza alcuna possibilita' di una rilettura della prova (quando, come nel caso di specie, non travisata) o di una sovrapposizione del giudizio della Corte di cassazione a quello del giudice di merito. 5.22. Questi principi sono gia' stati affermati da questa Corte in tema di rilevanza, sull'utilizzabilita' della prova, della violazione della Carta di Noto e, piu' in generale, dei protocolli adottati nel mondo scientifico per l'assunzione delle dichiarazioni del minore vittima di abusi sessuali. E' stato al riguardo affermato (e va qui ribadito) che le dichiarazioni acquisite in violazione delle linee guida della cosiddetta "Carta di Noto", nella parte in cui queste ultime non risultano gia' trasfuse in disposizioni del codice di rito con conseguente disciplina degli effetti derivanti dallo loro inosservanza, non sono inutilizzabili, ma in relazione ad esse il giudice ha l'obbligo di motivare perche' egli ritiene attendibile la prova assunta con modalita' non rispettosa delle cautele e metodologie previste nell'indicato documento (Sez. 3, n. 648 dell'11/10/2016, dep. 2017 - Rv. 268738 - 01;Sez. 3, n. 39411 del 13/03/2014, Rv. 262976 - 01; nel senso che, in ogni caso, non determina nullita' o inutilizzabilita' della prova l'inosservanza dei criteri dettati dalla cosiddetta "Carta di Noto" nella conduzione dell'esame dei minori, persone offese di reati di natura sessuale, che hanno carattere non tassativo, in quanto si limitano a fornire suggerimenti volti a garantire l'attendibilita' delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologica dello stesso, Sez. 3, n. 15737 del 15/11/2018, dep. 2019, Rv. 275863 - 01; Sez. 3, n. 5754 del 16/01/2014, Rv. 259133 - 01, secondo cui l'inosservanza dei protocolli prescritti dalla "Carta di Noto" non e', di per se', ragione di inattendibilita' delle dichiarazioni raccolte; in senso conforme, Sez. 3, n. 15157 del 16/12/2010, Rv. 249898 - 01). 5.23. Della "prova" possono darsi due diversi significati: a) per prova si puo' intendere lo strumento, tipico o atipico (articolo 189 c.p.p.), attraverso il quale l'informazione rilevante ai fini della decisione viene introdotta nel processo, la strada, si puo' dire, percorsa dall'informazione per giungere a destinazione (il mezzo di prova); b) o si puo' intendere l'informazione utilizzata ai fini della decisione (il risultato della prova). Non sempre e non necessariamente la strada "accidentata" danneggia il risultato; a meno che il percorso non sia vietato in modo assoluto (articolo 191 c.p.p.), il modo con cui l'informazione probatoria giunge al giudice non comporta mai di per se' l'inutilizzabilita' probatoria del risultato (ne' del resto vale il contrario, non esistendo alcuna corrispondenza tra modalita' di assunzione della prova perfetta sotto tutti i profili e affidabilita' del risultato). Cio' che conta e' che, come gia' detto, il giudice sia consapevole del percorso effettuato dal mezzo di prova per giungere a destinazione e che ne dia conto nella valutazione del relativo risultato. 5.24. Non e' vero, dunque, che i riscontri servono solo a corroborare dichiarazioni gia' caratterizzate da credibilita' soggettiva del dichiarante, sicche' ove la credibilita' soggettiva sia compromessa essi non potrebbero mai "puntellare" una dichiarazione gia' viziata ab origine. Tale affermazione parte, in primo luogo, dal presupposto errato che la credibilita' soggettiva derivi dalle modalita' di conduzione dell'esame; in secondo luogo essa postula un rapporto a compartimenti stagni tra credibilita' soggettiva e credibilita' oggettiva escluso da questa Corte di cassazione nella sua piu' elevata espressione (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145 - 01, secondo cui nella valutazione della chiamata in correita' o in reita', il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilita' soggettiva del dichiarante e l'attendibilita' oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'articolo 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale; Sez. 4, n. 34413 del 18/06/2019, Rv. 276676 - 01; Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, Rv. 262348 - 01). 5.25. Peraltro, e' la stessa prospettazione difensiva a essere contraddittoria e fallace allorquando lamenta che alla minore sono state effettuate almeno 361 domande suggestive e contestualmente rimarca che a seguito del test di Gudjonsson e' emersa una cedevolezza alla suggestione della stessa pari al 20% delle domande (circa 72); cio' equivale a dire che per il restante 80% delle domande suggestive (289), la minore avrebbe fornito risposte impermeabili alla suggestione (e cio' senza tenere conto delle altre domande evidentemente non suggestive proposte alla minore). 5.26. Il quarto motivo e' manifestamente infondato. 5.27. L'articolo 362 c.p.p. non esige, a pena di nullita', che la persona informata dei fatti venga ammonita dal PM procedente a rispondere alle domande secondo verita'. Che tale avvertimento sia necessario non e' in discussione (Sez. 5, n. 215 del 20/01/1993, Rv. 193812 - 01, che estende anche alle dichiarazioni rese al pubblico ministero l'applicazione dell'articolo 207 c.p.p.) e, tuttavia, la norma non richiama l'articolo 497 c.p.p., comma 2, ne' prevede che dal mancato avvertimento derivi l'inutilizzabilita' della prova. Tale inutilizzabilita' e' espressamente prevista dall'articolo 391-bis c.p.p., comma 6, ma in quel caso essa costituisce presidio della facolta' della persona informata dei fatti di non rispondere o di non rendere dichiarazioni al difensore (articolo 371-ter c.p.). Tale facolta' non puo' essere esercitata dinanzi al pubblico ministero al quale la persona informata dei fatti e' obbligata a rispondere, salvo che non si tratti di un prossimo congiunto (nel solo qual caso, la facolta' di astensione e' presidiata dalla nullita' dell'atto non preceduto dal relativo avviso; articolo 199 c.p.p., comma 2, richiamato dall'articolo 362). 5.28. Il quinto motivo e' infondato. 5.29. Va in primo luogo disattesa, in quanto totalmente infondata, la dedotta violazione dell'articolo 188 c.p.p., norma che, come testualmente recita la rubrica, riguarda la liberta' morale della persona "nell'assunzione della prova", vietando metodi o tecniche idonei a influire sulla liberta' o autodeterminazione o ad alterare la capacita' di ricordare o di valutare i fatti. Si tratta, dunque, di divieto che riguarda la fase acquisitiva della prova, allo stesso modo, del resto, con cui l'articolo 64 c.p.p., comma 2, vieta l'utilizzo degli stessi metodi e tecniche nel corso dell'interrogatorio (nel senso che l'articolo 188 c.p.p. si applica alla "fase acquisitiva" della prova, si veda Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, Sala, secondo cui la liberta' morale del cittadino non potrebbe che essere irrimediabilmente compromessa allorquando si faccia ricorso ad un procedimento acquisitivo della prova che si avvalesse di metodi e tecniche incompatibili con il riconoscimento di tale diritto, garantito dall'articolo 13 Cost., comma 4, e con la necessita' di attuarne un'efficace tutela). Identita' di "ratio" e di tutela dei medesimi valori costituzionali (la dignita' della persona, prima di ogni altro) esigono l'applicazione del divieto anche agli atti di indagine da chiunque posti in essere (pubblico ministero o difensore) e cio' non solo in ossequio ad un principio di civilta' giuridica a carattere assoluto (come si osserva in dottrina), ma anche perche' si tratta di atti destinati ad essere utilizzati ai fini del giudizio, dell'esercizio stesso dell'azione penale e, prima ancora, della domanda cautelare. Gli atti delle indagini preliminari e quelli delle investigazioni difensive, quando non utilizzati direttamente ai fini del giudizio, hanno comunque un rapporto "osmotico" con il giudizio ed in particolare con le prove che sono in esso acquisite proprio grazie agli atti di indagine, da chiunque compiuti, i quali possono essere utilizzati ai fini delle contestazioni o dei quali puo' essere data lettura. Sarebbe logicamente assurdo vietare metodi e tecniche non consentite in fase di assunzione della prova e contestualmente dare lettura di atti di indagine formati utilizzando le medesime tecniche e gli stessi metodi (nel senso dell'applicazione dell'articolo 188 c.p.p. anche agli atti delle indagini preliminari, cfr. Cass. civ., Sez. U, n. 2444 del 01/02/2008, Rv. 601540 - 01, secondo cui, in tema di responsabilita' disciplinare del magistrato, integra l'elemento oggettivo costitutivo di un illecito disciplinare, rilevante a norma del R.Decreto Legislativo 31 maggio 1946, n. 511, articolo 18, sotto il profilo della violazione dei doveri di correttezza e di rispetto della dignita' della persona e della conseguente compromissione del prestigio dell'ordine giudiziario, il comportamento del P.M. il quale disponga, nel corso delle indagini preliminari, una consulenza tecnica attraverso la quale una persona informata dei fatti venga sottoposta, in violazione del divieto di cui all'articolo 188 c.p.p., ad una seduta ipnotica al fine di recuperare ricordi rimossi). 5.30. Nel caso di specie, la persona offesa, per affermazione stessa del ricorrente, era stata sottoposta a terapia ben prima che fosse sentita dal pubblico ministero e, poi, in sede di incidente probatorio e comunque mai in un contestato strettamente procedimentale-processuale. 5.31. Ben diversa, invece, e' la questione della attendibilita' della testimonianza resa da chi sia stato in precedenza sottoposto a tecniche terapeutiche (nel caso di specie la E.M.D.R.) in grado di alterare la capacita' di ricordare e valutare i fatti oggetto di accertamento giudiziale. 5.32. Il Tribunale aveva impostato la questione valutandola insieme con tutti gli altri indicatori (scarsa capacita' intellettiva verbale, tendenza ad assecondare domande suggestive, presenti - annota il tribunale - in maniera massiccia nell'esame testimoniale, timore del "giudizio" del nuovo fidanzato, (OMISSIS)) potenzialmente in grado di influire sulla valutazione di attendibilita' intrinseca e credibilita' soggettiva della vittima, espressamente indicando, come regola di giudizio, quella della valutazione frazionata delle dichiarazioni rese dalla persona offesa "in modo da giungere ad un giudizio di piena attendibilita' delle stesse solo con riguardo a quelle parti del racconto che, oltre ad essere spontanee (e dunque non frutto di sollecitazione esterna), dettagliate e logicamente coerenti tra di loro, trovino altresi' riscontro in elementi probatori a carattere oggettivo (e quindi nella produzione documentale versata in atti) ovvero di natura logica, come richiesto dalla regola processuale di cui all'articolo 192 c.p.p., comma 3. E cio' senza che l'eventuale giudizio di inattendibilita' di una parte del racconto mini la credibilita' anche delle restanti parti della deposizione, atteso che la parcellizzazione della valutazione avra' ad oggetto i singoli episodi contestati, i quali essendo del tutto autonomi tra di loro, sia da un punto di vista fattuale che logico, oltre che temporalmente distanziati, non impongono necessariamente una valutazione unitaria" (pag. 195). 5.33. Il Tribunale non ha affrontato direttamente la questione della possibile incidenza della tecnica EMDR sulla capacita' della persona offesa di ricordare i fatti (e dunque sulla possibile alterazione dei ricordi), ma ha valutato, in concreto, tale astratta possibilita' esaminando i singoli fatti e verificando quali parti del racconto fossero riscontrate e quali no. 5.34. La Corte di appello ha invece affrontato la questione negando in modo espresso che la tecnica EMDR, che consiste nello "scorporare" la componente emotiva del ricordo onde renderne la rievocazione meno traumatica e dolorosa, abbia alterato i ricordi della persona offesa. Cio' ha affermato indicando le relative fonti di prova (le dichiarazioni del perito, Dott.ssa (OMISSIS), della Dott.ssa (OMISSIS) e della Dott.ssa (OMISSIS) che si era servita di tale tecnica per contenere le esplosioni di rabbia della vittima e per curare gli episodi autolesionismo) e spiegando le ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere i rilievi critici del prof. (OMISSIS) il quale - secondo la Corte di appello - nulla di rilevante aveva aggiunto "in punto di attendibilita' e/o credibilita' delle dichiarazioni della persona offesa (...) nella ricostruzione del quadro fattuale dall'insieme delle dichiarazioni raccolte". Occorre aggiungere che la Corte territoriale si e' mossa su un terreno gia' "arato" dal primo Giudice il quale, applicando il criterio di giudizio indicato al paragrafo che precede, e prescindendo dall'influenza che la tecnica EMDR aveva potuto concretamente avere o meno sulla capacita' di rievocare i ricordi, aveva gia' selezionato le parti del racconto credibili da quelle che tali non sono state ritenute giungendo a pronunce di assoluzione non impugnate dal pubblico ministero e dalle parti civili. Ora, per quanto la Corte di appello abbia espressamente preso in considerazione la censura difensiva, resta il fatto che il suo ragionamento e' piu' articolato di quanto il ricorrente voglia far credere poiche' in realta' tutta la motivazione ruota sulla questione della credibilita' della persona offesa della quale quella della tecnica EMDR e' solo una parte; in ultima istanza se, come gia' aveva fatto il primo giudice in base ad un approccio piu' pragmatico, il racconto della vittima e' riscontrato non ha senso espungere questi fatti in base ad una astratta attitudine della tecnica EMDR a falsare il ricordo perche' quella astratta idoneita' e' concretamente smentita dai fatti. 5.35. Non si puo' dunque condividere la censura difensiva di mancanza o di carenza della motivazione sul punto. L'errore di impostazione nel quale cade il ricorrente e' quello di procedere per astrazioni: la questione non e' stabilire se, in astratto, la tecnica EMDR possa alterare i ricordi (e dunque inficiare la capacita' di testimoniare) della vittima, bensi' se, in concreto, li abbia alterati. Ne' si puo' condividere, nella sua assolutezza, la affermazione per la quale la acquisizione delle dichiarazioni della vittima di abusi sessuali dovrebbe sempre precedere la sottoposizione della stessa a terapie psicologiche che potrebbero alterare la capacita' di ricordare gli eventi, pena un aprioristico sospetto di inaffidabilita' del racconto. Ne' e' esportabile al caso in esame il principio, evocato dalla difesa ed affermato da Sez. 3, n. 3258 del 04/12/2012, dep. 2013, Rv. 254138 - 01, secondo cui in tema di reati sessuali in danno di minori di eta', benche' la legge non imponga nella fase delle indagini preliminari alcun obbligo al pubblico ministero di affidare la consulenza personologica nelle forme dell'articolo 360 c.p.p. ovvero di richiedere al G.i.p. l'incidente probatorio, essendo ammissibile il ricorso alla procedura non garantita prevista dall'articolo 359 c.p.p., il P.M., alla luce del caso concreto, delle condizioni del bambino e della prevedibile durata delle indagini, deve pur sempre valutare se l'accertamento possa essere utilmente ripetuto dopo l'arco di tempo entro il quale e' necessario tutelare la segretezza delle investigazioni. Nel caso oggetto di quella pronuncia, infatti, la vittima aveva cinque anni al momento del fatto e la Corte ne aveva tratto spunto per ribadire la propria linea guida elaborata sul tema della escussione di bambini in tenera eta': "E' stato reiteratamente segnalato - aveva affermato - come la sede privilegiata per l'audizione di un minore vittima di reati sessuali, nella fase delle indagini, sia l'incidente probatorio (Sez. 3 sentenze 24415 del 2011, 30964 del 2009); cio' in considerazione del fatto che - con un limite strutturale della nostra normativa, sulla cui razionalita' molto si discute - le cautele disposte dal Legislatore per ottenere una testimonianza affidabile ed evitare che il minore sia vittima due volte (del reato e dello stress giudiziario) non si estendono alla audizione avanti al Pubblico Ministero ed alla Polizia Giudiziaria. L'incombente dovrebbe essere effettuato il piu' presto possibile, vicino ai fatti o alla loro emersione, per scongiurare il pericolo della nota amnesia infantile per la quale il bambino non e' in grado di conservare i ricordi, o di contaminazioni mnestiche e per cristallizzare la prova prima di una eventuale psicoterapia sulla vittima che non e' neutrale". La "ratio decidendi" osta a improbabili accostamenti al caso in esame per l'evidente disomogeneita' dei presupposti di fatto. 5.36. Va a questo punto ricordato il consolidato insegnamento della Corte di cassazione secondo il quale il perito assume una posizione processuale diversa rispetto a quella del consulente di parte, chiamato a prestare la sua opera nel solo interesse di colui che lo ha nominato, senza assumere l'impegno di cui all'articolo 226 c.p.p., con la conseguenza che il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito, in difformita' da quelle del consulente di parte, non e' tenuto a fornire autonoma dimostrazione dell'esattezza scientifica delle prime e dell'erroneita' delle seconde, dovendosi considerare sufficiente, al contrario, che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito, senza ignorare le argomentazioni del consulente (Sez. 3, n. 17368 del 31/01/2019, Rv. 275945 - 01, secondo cui puo' ravvisarsi vizio di motivazione, denunciabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e, solo qualora risulti che le conclusioni del consulente siano tali da dimostrare la fallacia di quelle peritali recepite dal giudice; nello stesso senso, Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Rv. 269909 - 01; Sez. 6, n. 5749 del 09/01/2014, Rv. 258630 - 01; Sez. 1, n. 25183 del 17/02/2009, Rv. 243791 01; Sez. 4, n. 34379 del 12/07/2004, Rv. 229279 - 01). Ora, la deduzioni difensive non sono mai state in grado di dimostrare in modo inconfutabile la natura fallace delle conclusioni peritali anche perche' non v'e' alcuna certezza (ne' convergenza scientifica) sul fatto che la tecnica EMDR produca sempre e comunque falsi ricordi avendo il primo Giudice ricordato che non v'e' alcuna evidenza o uniformita' scientifica in questo senso (pag. 135). Resta, dunque, la prudente valutazione del giudice, il quale dovra' verificare se, in concreto, la sottoposizione a terapia EMDR possa aver effettivamente alterato la capacita' di ricordare i fatti, alterazione esclusa in base ad un esame complessivo di tutti gli elementi di prova a disposizione del Tribunale e della Corte di appello. 5.37. Anche il sesto motivo e' infondato. 5.38. Alla luce delle considerazioni che precedono e' sufficiente il richiamo operato dalla Corte di appello alla perizia disposta in primo grado sulla capacita' di testimoniare della minore e sulla sua credibilita' clinica non essendo stati offerti dal ricorrente (nemmeno in questa sede) elementi in grado di dimostrare in modo inconfutabile la fallacia delle conclusioni peritali. Non possono essere considerati tali la dedotta suggestionabilita' della minore (che semmai incide sulla sua attendibilita', non sulla capacita' di testimoniare) e alla sua scadente poverta' di linguaggio. Del grado di suggestionabilita' s'e' gia' detto; che la scadente poverta' di linguaggio possa incidere sulla capacita' di testimoniare e' deduzione che contrasta con il principio dettato in modo chiaro dall'articolo 196 c.p.p., comma 1, e che prescinde dal costante insegnamento della Corte di cassazione secondo il quale l'idoneita' a rendere testimonianza implica la capacita' di comprensione delle domande e di adeguamento delle risposte, in uno ad una sufficiente memoria circa i fatti oggetto di deposizione ed alla piena coscienza di riferirne con verita' e completezza; pertanto non ogni comportamento contraddittorio, ma soltanto una situazione di abnorme mancanza nell'escutendo di ogni consapevolezza in relazione all'ufficio ricoperto determina l'obbligo per il giudice di disporre accertamenti sulla sua idoneita' a testimoniare, ne' questi devono necessariamente avere natura tecnica, ben potendo essere effettuati da parte di soggetti "qualificati" (Sez. 1, n. 6969 del 12/09/2017, dep. 2018, Rv. 272605 - 01; Sez. 1, n. 20864 del 14/04/2010, Rv. 247407 - 01; Sez. 1, n. 2993 del 05/03/1997, Rv. 207225 - 01). 5.39. Il settimo motivo e' infondato. 5.40. La Corte di appello non ha omesso di motivare sulla questione relativa alla credibilita' della vittima: ha invece condiviso con il primo Giudice un approccio (la credibilita' frazionata) che smentisce, sul piano logico, la tesi difensiva della inattendibilita' assoluta della ragazza, della sua non credibilita' soggettiva. 5.41. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di cassazione, in tema di valutazione dell'attendibilita' della persona offesa costituita parte civile, le cui dichiarazioni, come gia' ampiamente argomentato, possono essere poste da sole a fondamento dell'affermazione di responsabilita', e' richiesto un vaglio particolarmente rigoroso nel caso in cui una parte del narrato, riferita ad alcuni fatti, sia ritenuta inattendibile, e deve ritenersi illegittima la valutazione frazionata di tali dichiarazioni ove la parte ritenuta inattendibile sia imprescindibile antecedente logico dell'altra parte (cosi', da ultimo, Sez. 4, n. 21886 del 19/04/2018, Rv. 272752 - 01; Sez. 6, n. 20037 del 19/03/2014, Rv. 260160 - 01). E' stato al riguardo precisato, in tema di reati sessuali, che e' legittima una valutazione frazionata delle dichiarazioni della parte offesa e l'eventuale giudizio di inattendibilita', riferito ad alcune circostanze, non inficia la credibilita' delle altre parti del racconto, sempre che non esista un'interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato per le quali non si ritiene raggiunta la prova della veridicita' e le altre parti che siano intrinsecamente attendibili ed adeguatamente riscontrate, tenendo conto che tale interferenza si verifica solo quando tra una parte e le altre esiste un rapporto di causalita' necessaria o quando l'una sia imprescindibile antecedente logico dell'altra, e sempre che l'inattendibilita' di alcune delle parti della dichiarazione non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere per intero la stessa credibilita' del dichiarante (Sez. 3, n. 40170 del 26/09/2006, Rv. 235575 - 01; in senso conforme, Sez. 3, n. 3256 del 18/10/2012, dep. 2013, Rv. 254133 - 01). 5.42. L'accertata falsita' di uno specifico fatto narrato non impedisce di per se' di valorizzare le ulteriori parti di un racconto piu' complesso svolto dal dichiarante, se supportate da precisione di riscontri, anche non specifici su ciascun elemento dichiarato, idonei a compensare il difetto di attendibilita' soggettiva (Sez. 1, n. 35561 del 08/05/2013, Rv. 256753 - 01; Sez. 6, n. 20514 del 28/04/2010, Rv. 247346 - 01, che, pronunciando in tema di valutazione probatoria della chiamata di correo, ha affermato che l'accertata falsita' su di uno specifico fatto narrato non comporta, in modo automatico, l'aprioristica perdita di credibilita' di tutto il compendio conoscitivo-narrativo dichiarato dal collaboratore di giustizia, bensi' rientra nei compiti del giudice la verifica e la ricerca di un "ragionevole equilibrio di coerenza e qualita'", di cio' che viene riferito nel contesto di tutti gli altri fatti narrati, dovendo avere ben presente che la debole valenza di attendibilita' soggettiva deve essere compensata con un piu' elevato e consistente spessore di riscontro, attraverso il necessario minuzioso raffronto di verifiche di credibilita' estrinseca). L'accertata falsita' delle dichiarazioni puo' certamente escludere la stessa generale credibilita' soggettiva del dichiarante, sempre che non esista una provata ragione specifica che abbia indotto quest'ultimo a rendere quelle singole false propalazioni (Sez. 3, n. 14084 del 24/01/2013, Rv. 255111 - 01; Sez. 5, n. 37327 del 15/07/2008, Rv. 241638 01; Sez. 4, n. 12349 del 29/01/2008, Rv. 239300 - 01; Sez. 4, n. 9450 del 24/01/2008, Rv. 239254 - 01). 5.43. In termini generali, l'unicita' dell'episodio delittuoso che si assuma essere avvenuto in un unico contesto osta, di regola, alla valutazione frazionata delle dichiarazioni della vittima in quanto il giudizio di inattendibilita' su alcune circostanze inficia, in tale ipotesi, la credibilita' delle altre parti del racconto, essendo sempre e necessariamente ravvisabile un'interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato (Sez. 5, n. 46471 del 19/10/2015, Rv. 265874 - 01; Sez. 3, n. 19495 del 05/06/2015, dep. 2016, Rv. 266752 - 01; Sez. 3, n. 21640 dell'11/05/2010, Rv. 247644 - 01). 5.44. Nel caso di specie i fatti sono plurimi e posti in essere in tempi diversi e le assoluzioni per taluni di essi non sono state spiegate in termini di certa falsita' del racconto della vittima, bensi' per ragioni del tutto diverse. 5.45. Ed infatti: 1) lo (OMISSIS) e' stato assolto dai reati di cui ai capi C, G, I, 3, N e P: con formula "dubitativa" per il capo C (le dichiarazioni della vittima non erano state precise, si' che residuava il dubbio che stesse sovrapponendo i ricordi relativi all'episodio di cui al capo D, per il quale, invece, vi era stata condanna); perche' mancava la prova che la (OMISSIS) avesse inviato le fotografie pornografiche sotto minaccia dei destinatari piuttosto che volontariamente in relazione al reato di cui al capo G (ma la ragazza non aveva mai affermato di essere stata espressamente minacciata, avendo solo personalmente interpretato la richiesta di fotografie avanzata dallo (OMISSIS) ed avendo sempre affermato che lo scambio di fotografie con lo (OMISSIS) era volontario); per insufficienza di prove in ordine alla conoscibilita' del dissenso in relazione al reato di cui al capo I e cio' sulla base delle stesse dichiarazioni della persona offesa (pagg. 233-235, sentenza di primo grado); per la non riconoscibilita' del dissenso e l'assenza di minacce, per la dinamica del fatto (tale da escludere la violenza di gruppo) e, infine, per la natura contraddittoria delle dichiarazioni della PO in relazione al capo 3, ma mai per la affermata inattendibilita' o non credibilita' delle dichiarazioni stesse; dal reato di cui al capo P per la ritenuta assenza del fine persecutorio delle condotte poste in essere dall'imputato e per la peculiarita' del rapporto di dipendenza affettiva della ragazza con lo (OMISSIS) e il legame di complicita' con lo (OMISSIS), dalla stessa ritenuto "un viatico attraverso cui raggiungere (OMISSIS)" (pag. 267 sentenza primo grado); 2) lo (OMISSIS) e' stato assolto dei reati di cui ai capi G, I, J, K, N, O e P, per i motivi gia' indicati in relazione ai capi G, I, 3 e P; dal reato di cui al capo K per la mancanza di precisione nella rievocazione del ricordo del fatto e nella descrizione della sua precisa dinamica, per la ambiguita' dell'atteggiamento tenuto in quel periodo dalla minore che deponeva per il dubbio alla effettiva conoscibilita' del suo dissenso; dai reati di cui ai capi N ed O sia per la stessa genericita' del capo N di imputazione, che in base alle dichiarazioni della (OMISSIS) che non lo aveva mai nemmeno menzionato; 3) il (OMISSIS) ed il Benedetto sono stati assolti dai reati loro ascritti ai capi 3 e K per le ragioni gia' sopra indicate; 4) il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) sono stati assolti dai reati loro ascritti ai capi N ed O per le ragioni gia' sopra indicate. 5.46. Non vi erano dunque ragioni ostative al ricorso al metodo utilizzato dai Giudici di merito per ritenere la piena ed incontrovertibile colpevolezza degli imputati in relazione agli specifici fatti per i quali sono stati condannati. In questo modo sono stati superati i rilievi critici sollevati in primo grado e in appello relativi alla credibilita' della vittima come illustrati nel settimo motivo. 5.47. Ora, oggetto di cognizione in sede di legittimita' non e' il fatto come ricostruibile in base alle prove assunte nella fase di merito, bensi' il fatto come ricostruito (e descritto) nel provvedimento impugnato, dovendo il sindacato di legittimita' limitarsi a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita' di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e' avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Sicche' non e' necessario che le deduzioni difensive siano espressamente confutate purche' non siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 - 01). 5.48. Non rileva, dunque, l'omesso esame delle deduzioni difensive, quanto, in una diversa prospettiva di giudizio, le positive ragioni della decisione impugnata e la loro capacita' di resistere alle critiche (in tesi) neglette. Nel motivo manca questo ulteriore passaggio. 5.49. L'ottavo motivo e' infondato. 5.50. Il primo Giudice ha dedicato al capo A della rubrica le pagine 201-205 della sentenza. Nell'analisi della vicenda (il rapporto sessuale consenziente consumato con il ricorrente nell'ottobre-novembre 2013) assume un rilievo centrale la datazione del fatto. Della inidoneita' della cd. geolocalizzazione a mettere in discussione non tanto la sussistenza del rapporto sessuale consensuale quanto la sua collocazione temporale, s'e' gia' detto. Non e' percio' necessario tornare sull'argomento. Il Tribunale aveva affermato che "dalle prove dichiarative assunte nel corso dell'istruttoria non (era stato) possibile addivenire ad una collocazione temporale certa di tali episodi: relativamente alle condotte di cui ai capi a) e b) (OMISSIS) (aveva) dichiarato che le stesse si (erano) verificate nei mesi di ottobre- novembre 2013, quando cioe' si era interrotta la storia estiva con (OMISSIS) e lei cercava di recuperarla; mentre gli imputati coinvolti, e cioe' (OMISSIS) e (OMISSIS), le (avevano) collocate entrambi dopo il mese di Gennaio, in particolare (OMISSIS) (aveva) riferito di aver ripreso i contatti con (OMISSIS), dopo un periodo in cui non si erano sentiti, subito dopo il compleanno di (OMISSIS), e solo in quell'occasione avevano avuto un primo rapporto sessuale". Per sciogliere il dubbio il Tribunale aveva analizzato le note estratte dal telefono della persona offesa che lei stessa aveva provveduto a redigere descrivendo i fatti accaduti dal (OMISSIS) (data di loro redazione). Dall'interpretazione di quelle note, i primi Giudici avevano tratto il convincimento che il rapporto sessuale incriminato fosse stato consumato prima che la vittima compisse quattordici anni. In quelle note, infatti, la (OMISSIS) aveva descritto il comportamento ambiguo dello (OMISSIS): "molto affettuoso durante il rapporto (tanto che le dice frasi del tipo "finalmente sei mia, non mi mollo piu' da te" e di prudenza subito dopo, dato che giustificava le frasi affettuose dette in precedenza con il fatto che l'aveva fatto aspettare un mese, senza rispondergli al telefono ("ti ho aspettata un mese, perche' tu non mi rispondevi"); essendo indecisa tra i due ragazzi ( (OMISSIS), detto (OMISSIS), conosciuto il 09/12/2013 e lo (OMISSIS); n.d.r.) (OMISSIS) - afferma il Tribunale - li mette a confronto, ammettendo da un lato che " (OMISSIS) e' una bella persona in tutti i sensi", dall'altro che non riesce a resistere a (OMISSIS) anche se l'aveva "trattata malissimo". (OMISSIS) conclude lo scritto cercando di interpretare le intenzioni di (OMISSIS) dopo quell'incontro, pensando che lui avrebbe voluto continuare a vederla, e che i suoi amici questa volta non sarebbero stati coinvolti ("per lui devo continuare perche' e' giusto, pero' i suoi amici stavolta non c'entrano... cosi' ha detto")". Da questi dati il Tribunale trae le seguenti conclusioni: a) non v'e' dubbio che il gruppo di amici di (OMISSIS) e' costituito da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); b) se alla data del 5 febbraio 2014 era un mese che la persona offesa non vedeva lo (OMISSIS) gli incontri con gli amici di questo erano certamente avvenuti prima di quella data; c) poiche' pero' e' incontestato che il fatto di (OMISSIS) e' occorso in un giorno in cui la scuola era aperta, e' certo che tale episodio si colloca prima delle vacanze di Natale; d) poiche' l'episodio di (OMISSIS) e' successivo al rapporto sessuale consensuale contestato al capo A, ne deriva che tale rapporto era stato consumato quando la ragazza non aveva ancora compiuto quattordici anni. Questa conclusione e' corroborata, nella ricostruzione fatta dal Tribunale, dall'esame della conversazione intercorsa tra la (OMISSIS) e il (OMISSIS) all'incirca il 12/02/2014 e nel corso della quale si era fatto riferimento a incontri di gruppo occorsi "tanto tempo prima". Affrontando lo specifico fatto contestato al capo A, il Tribunale afferma che "il racconto che (OMISSIS) offre dei fatti contestati nel primo capo d'imputazione si colloca nell'ambito della dinamica dei rapporti che si erano innescati tra lei e (OMISSIS) quando, a meta' agosto del 2013 e dunque durante la loro storia, l'imputato "scopre" che (OMISSIS) aveva frequentato per una settimana un altro ragazzo, (OMISSIS), a suo dire persona a lui sconosciuta, per cui la lasciava; salvo poi proporle una settimana dopo - ben consapevole della volonta' di (OMISSIS) di ritornare insieme a lui, dato che continuava a scrivergli frequentemente - di farsi perdonare rendendosi disponibile ad avere rapporti sessuali anche con i suoi amici". (OMISSIS) aveva declinato la proposta ritenendola assurda ma alla fine aveva ceduto al "ricatto" una sera di ottobre o novembre allorquando lo (OMISSIS), sapendo che (OMISSIS) avrebbe dormito da sola nella casa vicino ai suoi nonni, che la madre stava ristrutturando per trasferirvisi, si presentava da lei, insieme all'amico (OMISSIS), e insisteva nel salire. A quel punto (OMISSIS) faceva cadere le sue riserve e li faceva salire, con la consapevolezza che avrebbe accontentato (OMISSIS)". In quell'occasione era stato consumato il rapporto sessuale con lo (OMISSIS) (ma anche con il (OMISSIS) nei cui confronti, pero', per questo fatto si e' proceduto separatamente) meglio descritto alle pagg. 36-38 e 204-205 della sentenza di primo grado. Il Tribunale aveva spiegato la condotta della persona offesa alla luce della forte ascendenza che l'imputato aveva nei suoi confronti e che lo (OMISSIS) stesso non aveva negato nel corso del proprio esame. Tale ascendenza, oltre che riferita dalla (OMISSIS), era stata rilevata dall'esame dei messaggi che la stessa di scambiava con l'imputato: "le conversazioni fotografano un rapporto in cui vi e' piena consapevolezza da parte di (OMISSIS) della considerazione che (OMISSIS) aveva di lei, e cioe' che la cercava solo per incontri di natura sessuale ("ora ti risp una volta al mese e ti faccio ved io se mi usi solo x scopare oppure no") e che le riservava un trattamento deteriore rispetto alle altre ragazze che frequentava ("con le altre fai tutto il bello e romantico e con me tipo che sono âEuroËœna merda... da ora cambiano le cose) ma nonostante cio' continua a cercarlo ("mi sembrava che non volevi piu' ved.", "e cosa aspetto allora x venire...da te") e ad essere compiaciuta delle sue attenzioni". Il Tribunale afferma con nettezza che la persona offesa aveva descritto i fatti in maniera lineare e senza mai contraddirsi, aggiungendo "anche particolari di contorno che arricchiscono il racconto e lo rendono dettagliato e preciso, oltre che riscontrabile: riferisce che durante la notte (OMISSIS) doveva ricaricare il cellulare e lei le aveva prestato il caricabatterie del suo vecchio cellulare I-phone, dato che (OMISSIS) aveva quel modello; glielo aveva poi regalato dato che lei aveva cambiato cellulare, aveva un Samsung, e quindi non lo poteva piu' utilizzare. Che (OMISSIS), all'epoca dei fatti, avesse proprio un telefono cellulare modello I-phone A6 si deriva dalla perizia informatica effettuata sui dispositivi in uso agli imputati, tanto che il perito (...) ha dichiarato di aver individuato una fotografia di interesse proprio sul cellulare di (OMISSIS)". Ulteriore riscontro alla credibilita' della vittima era stato indicato dal Tribunale nella circostanza che la madre del (OMISSIS) lavorava all'epoca in ospedale e che l'indomani avrebbe dovuto prendere servizio alle 6,00 del mattino. Questo dato collima, secondo il Tribunale, con il fatto che circa due ore prima gli amici di (OMISSIS) e (OMISSIS) erano andati a riprendere la macchina della mamma di quest'ultimo che era stata utilizzata dai due per raggiungere l'abitazione ove sarebbero stati consumati i rapporti e nella quale avevano dovuto inaspettatamente passare la notte per non correre il rischio di essere visti mentre uscivano. Quanto alla credibilita' soggettiva, cosi' si esprimeva il Tribunale: " (OMISSIS) non muove nessuna accusa nei confronti dei due ragazzi facendo trasparire solo un comprensibile risentimento nei loro confronti, per aver scoperto, poi, che i due si conoscevano fin dall'inizio - anzi, da' atto, che aveva acconsentito a farli salire pur essendo consapevole che avrebbe avuto un rapporto anche con (OMISSIS) (con il quale, tra l'altro, ammette di aver avuto rapporti gia' in precedenza). Dal suo racconto emerge chiaramente il suo comportamento collaborativo (non fa uscire di casa i ragazzi perche' teme di essere scoperta dai nonni; si affaccia lei al balcone per lanciare le chiavi della macchina agli amici; consuma un altro rapporto sessuale con (OMISSIS)); anche quando il suo interlocutore la sollecita (attraverso alcune domande suggestive) a far emergere il dato del "ricatto" da parte di (OMISSIS), lei non cede del tutto alla suggestione, tentenna e da' una risposta incerta (...) per poi concludere che era ben consapevole della situazione, e che sapeva che dopo (OMISSIS) sarebbe stato il turno di (OMISSIS). Non conferma neanche la circostanza per cui quella sera i due ragazzi avrebbero fatto un video dell'incontro a sua insaputa elemento che le avrebbe consentito di "rafforzare" la sua posizione di vittima rispetto al ricatto del gruppo, e per tale via dare maggiore credibilita' alla sua versione dei fatti - e ritiene che si sia trattato solo di una diceria (a lei riferita per la prima volta dal suo fidanzato (OMISSIS)) dato che durante i rapporti i due ragazzi avevano le mani libere, e che non avrebbero potuto neanche posizionare il telefono in un posto nascosto, dato che per come sono avvenuti i fatti non ne avrebbero avuto il tempo, ne' il modo. Un ulteriore dato che emerge con chiarezza dall'analisi di questa parte di incidente probatorio e' che, in seguito a questo episodio, (OMISSIS) riteneva di aver "pagato" il suo debito - esplicando in maniera inequivoca la ragione per la quale aveva acconsentito a quell'incontro per cui aveva detto a (OMISSIS) che quella sarebbe stata la prima e l'ultima volta". 5.51. La Corte di appello, allineandosi a quanto gia' affermato dal Tribunale, ha ribadito che la persona offesa aveva reso della vicenda un resoconto lineare e lucido non ponendosi, al riguardo, in linea di collisione con quanto affermato dal Tribunale il quale, nel formulare tale giudizio, si era limitato alla descrizione dell'episodio non alla sua collocazione temporale. 5.52. E' vero che la Corte di appello non fornisce una risposta chiara e definitiva alla questione "collocazione temporale" del fatto posta con l'appello a firma dell'Avv. (OMISSIS). E tuttavia i punti che il ricorrente indica nell'odierno libello come del tutto negletti dai Giudici territoriali non erano tali da insinuare il ragionevole dubbio della diversa collocazione temporale del fatto. Ed invero, l'informazione probatoria derivante dalla nota del 05/02/2014 era dotata di autoevidenza tale da non necessitare il "riscontro" con la chat intercorsa successivamente con il (OMISSIS) se non sotto il profilo della esistenza della pratica dei rapporti di gruppo cui gia' la (OMISSIS) aveva fatto riferimento nella nota del 5 febbraio. Cio' che l'appellante prefigurava nel suo appello erano interpretazioni alternative del dato certo, e non contestato nella sua corrispondenza a vero, del contenuto della nota e della sua datazione, interpretazioni fondate sul mero possibilismo o interpretazioni alternative volte, in buona sostanza, a sminuire la rilevanza del dato estrapolandolo dal chiaro contesto nel quale si collocava e dal suo stesso, inequivocabile contenuto. Che la ragazza facesse riferimento al mese antecedente il 5 febbraio 2014 era reso evidente dalla descrizione del suo rapporto con " (OMISSIS)" (e dal confronto con quello con lo (OMISSIS)) completamente negletto dall'appellante. Il motivo era, dunque, a-specifico e come tale inidoneo a fondare una censura di mancanza di motivazione sul punto, trattandosi di censura non decisiva. 5.53. Il nono motivo e' totalmente infondato. 5.54. Costituisce insegnamento pacifico della Corte di cassazione quello secondo il quale, in materia di delitti di violenza sessuale, la procedibilita' d'ufficio determinata dalla ipotesi di connessione prevista dall'articolo 609-septies c.p., comma 4, n. 4, si verifica non solo quando vi e' connessione in senso processuale (articolo 12 c.p.p.), ma anche quando v'e' connessione in senso materiale, cioe' ogni qualvolta l'indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l'accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l'uno in occasione dell'altro, oppure l'uno per occultare l'altro oppure ancora quando ricorrono i presupposti di uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell'articolo 371 c.p.p. (Sez. 3, n. 37166 del 18/05/2016, Rv. 268313 - 01; Sez. 3, n. 10217 del 10/02/2015, Rv. 262654 - 01; Sez. 3, n. 2856 del 16/10/2013, dep. 2014, Rv. 258583 - 01; Sez. 3, n. 2876 del 21712/2006, dep. 2007, 236098 - 01; Sez. 3, n. 45283 del 18/10/2005, Rv. 232902 - 01). Cio' sul rilievo che in tal caso viene meno la soglia di riservatezza a cui presidio e' posta la perseguibilita' a querela dei reati sessuali (Sez. 3, n. 8963 del 08/10/2019, dep. 2020, Rv. 278413 - 01; Sez. 3, n. 1190 del 29/11/2011, dep. 2012, Rv. 251908 - 01). 5.55. Singolare, dunque, che da un lato si predichi l'unicita' logico-probatoria dei fatti oggetto di contestazione (ai fini, come visto, del ripudio del metodo della valutazione cd. "frazionata"), dall'altro si contesti la mancanza di una connessione probatoria dei medesimi fatti (non fosse altro che per stabilire proprio la credibilita' della vittima). 5.56. Il decimo motivo riguarda l'episodio rubricato al capo B. 5.57. Del ragionamento della Corte di appello si e' dato conto nella premessa.; della non decisivita' della geolocalizzazione pure. 5.58. Nella logica decisoria hanno pesato non solo le dichiarazioni della ragazza (capace, come gia' affermava il primo Giudice, di non cedere alle domande suggestive) ma anche quelle degli imputati coinvolti nell'episodio ( (OMISSIS) e (OMISSIS)). Inverosimile, secondo i Giudici di merito, la versione difensiva degli imputati. Questo, in particolare, il resoconto del Tribunale dell'esame dello (OMISSIS): "Riferiva che l'incontro tra lui, (OMISSIS) e (OMISSIS) c'era stato intorno al mese di febbraio, o di marzo, e che prima c'era stato un altro incontro, quello con (OMISSIS), che era avvenuto poche settimane dopo il loro primo rapporto sessuale e quindi verso fine gennaio. Raccontava che un pomeriggio, dopo essersi allenati insieme, (OMISSIS) gli aveva chiesto un passaggio a casa e lui gli aveva dato la sua disponibilita'; entrato in macchina aveva trovato sul cellulare una serie di messaggi di (OMISSIS) che gli chiedeva di incontrarsi urgentemente perche' gli doveva parlare. A quel punto aveva chiesto a (OMISSIS) se poteva ritardare un po' nel tornare a casa perche' aveva la necessita' di parlare con una ragazza. (OMISSIS) si era detto disponibile per cui erano andati a prenderla nei pressi dell'Immacolata; (OMISSIS) era salita dal lato posteriore dell'auto (come aveva sempre fatto per evitare che qualcuno la vedesse) e si era presentata a (OMISSIS) che era seduto avanti, dato che non si conoscevano, poi si erano diretti verso l'acquedotto (sempre perche' era un posto isolato e (OMISSIS) non voleva essere vista). Una volta arrivati lui aveva chiesto all'amico di scendere e di aspettarlo fuori per poter parlare in modo riservato con (OMISSIS), cosi' erano rimasti soli. La ragazza quindi gli aveva fatto intendere di voler avere un rapporto sessuale, ma lui aveva obiettato che il suo amico li avrebbe visti. (OMISSIS) aveva insistito dicendogli che essendo buio non si sarebbe visto nulla, per cui avevano cominciato ad avere un rapporto sessuale, che pero' non era stato completo, dato che aveva fatto allenamento ed era stanco. A quel punto era sceso dallo sportello posteriore della macchina, dal lato guida, si era rivestito e aveva chiamato l'amico affinche' tornasse; mentre (OMISSIS) si avvicinava alla macchina, (OMISSIS) aveva ancora il pantalone abbassato, per cui appena aveva visto il (OMISSIS) avvicinarsi gli aveva chiesto se non fosse un bel vedere che quello che stava vedendo. Di fronte a quella scena l'amico lo aveva guardato in modo stupito, dato che gli sembrava una cosa strana, ma (OMISSIS) lo aveva rassicurato dicendogli che a lui non importava nulla di lei, per cui aveva dato il via libera all'amico e si era allontanato dalla macchina per lasciarli soli. Dopo poco (OMISSIS) lo aveva chiamato per farlo tornare in macchina e quando si era avvicinato erano entrambi imbarazzati, (OMISSIS) gli aveva detto "il tuo amico non gli e' nemmeno alzato" e si erano tutti messi a ridere. A quel punto l'avevano riaccompagnata all'Immacolata. L'imputato ribadiva che non c'era mai stata nessuna forma di violenza e che prima di arrivare all'acquedotto non aveva immaginato che (OMISSIS) volesse avere un rapporto sessuale con lui, ma semplicemente che volesse parlare, come gli aveva scritto nei messaggi, ecco perche' si era portato anche (OMISSIS). In ogni caso il loro rapporto era limitato agli incontri di carattere fisico, per cui da quando aveva deciso di interrompere una relazione seria con (OMISSIS), non si era mai opposto a che la stessa avesse rapporti con altri. Dato che era la prima volta che (OMISSIS) si era comportata in quel modo aveva chiesto a (OMISSIS) di non parlare in giro di quanto era avvenuto". 5.59. Questo il resoconto del Tribunale dell'esame del (OMISSIS): "Collocava l'episodio in contestazione tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio perche' ricordava che quel pomeriggio aveva fatto un allenamento intenso, dato che era il periodo della preparazione in vista della ripartenza del campionato, ed era molto stanco (...) Subito dopo l'allenamento aveva chiesto a (OMISSIS) un passaggio a casa e lui si era reso disponibile; una volta in auto, (OMISSIS) aveva guardato il cellulare e gli aveva detto che era subentrata un'urgenza: doveva andare a prendere una ragazza perche' solo in quel momento poteva uscire perche' la madre non era in casa, per cui gli aveva chiesto se poteva aspettare dieci minuti prima di essere riaccompagnato. Dato che non aveva fretta aveva accettato ugualmente il passaggio in macchina con (OMISSIS) e si erano diretti verso (OMISSIS) che era vicino all'abitazione della ragazza che dovevano andare a prendere. Arrivati sul luogo dell'appuntamento la ragazza era salita in macchina e si era presentata come (OMISSIS) dato che loro due non si conoscevano, poi si erano diretti verso l'acquedotto, per la strada che va al paese vecchio, e si erano accostati in un piazzale; precisava che (OMISSIS) gli aveva detto di dover parlare con urgenza con (OMISSIS) per questo, subito dopo aver preso la ragazza, non si era fatto accompagnare a casa, ma era andato con loro. Su contestazione del p.m. che gli faceva notare che in sede di interrogatorio aveva dichiarato che in quel frangente (OMISSIS) gli aveva presentato (OMISSIS) come la sua fidanzata, riferiva di non ricordare quella circostanza, e che forse lo aveva letto negli atti, ma non che glielo aveva riferito (OMISSIS). Una volta accostati, lui era sceso dalla macchina in attesa che (OMISSIS) e (OMISSIS) parlassero delle loro cose, e per impegnare il tempo aveva fatto una telefonata ad un amico; dopo due minuti (OMISSIS) lo aveva chiamato, lui si era avvicinato alla macchina e aveva visto (OMISSIS), nella parte posteriore della macchina, con i pantaloni abbassati. A questo punto il p.m, gli contestava che in sede di interrogatorio aveva dato una versione completamente diversa dell'accaduto e cioe' che arrivati sul posto (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano cominciato ad avere un rapporto sessuale mentre lui era in macchina e che ad un certo punto era sceso dalla macchina per poi risalire di nuovo. L'imputato si giustificava dicendo di non ricordare perche' aveva risposto in quel modo, probabilmente perche' non aveva capito bene la domanda. Continuando il racconto di quella sera, riferiva che (OMISSIS) lo aveva invitato a salire in macchina dicendo(gli) "non e' un bel vedere-" e lui aveva guardato (OMISSIS) in maniera stupita; l'amico gli aveva dato il via libera, dicendogli che non gli interessava di (OMISSIS) per cui lui era salito in macchina e avevano cominciato a baciarsi, ma non avevano concluso il rapporto sessuale perche' lui era molto stanco, avendo fatto allenamento. Aveva quindi richiamato (OMISSIS) che nel tornare in macchina aveva trovato una situazione di imbarazzo dato che non erano riusciti ad avere un rapporto sessuale; poi (OMISSIS) aveva fatto una battuta e si erano messi a ridere. Da quella volta non l'aveva piu' vista (..)" 5.60. Ben diversa la versione dei fatti resa dalla vittima; ne da' conto il Tribunale alle pagg. 38 e segg. della sentenza: "una sera di novembre-dicembre (2013 - n.d.r.), verso le sei si dava appuntamento con (OMISSIS) presso la (OMISSIS), precisando che (OMISSIS) non si recava mai davanti a casa sua poiche' i genitori erano all'oscuro del loro rapporto. In quella occasione entrava nella macchina "GETZ" di (OMISSIS), di cui ricordava il colore (nero) e la targa ((OMISSIS) all'inizio e (OMISSIS) alla fine). Era un'auto piccolina con quattro sportelli in cui (OMISSIS), tutte le volte che prendeva un passaggio da (OMISSIS) saliva dietro per non essere vista; quella volta, salita a bordo dell'auto nel sedile posteriore, si avvedeva della presenza del (OMISSIS) dal lato passeggero. Accortasi di tale presenza, la PO provava a scendere dall'auto che era ancora ferma, dal momento che conosceva (OMISSIS) solo di vista e aveva capito cosa sarebbe successo, ma il ragazzo si spostava nei sedili posteriori vicino a lei e la bloccava, impedendole cosi' di scendere (...) "Si'... no, no, no, gliel'ho detto, "Fatemi scendere, perche' comunque non ho intenzione......, gia' avevo capito quello che stava per succedere. "Non ho intenzione". Successivamente si recavano tutti insieme in macchina in una zona panoramica situata sopra (OMISSIS); (OMISSIS) cercava di convincere (OMISSIS) a rimanere in macchina e (OMISSIS) le diceva di stare ferma, allontanandola dallo sportello per non farla scendere (...) Poi, fermata la macchina, facevano passare (OMISSIS) nel sedile anteriore; (OMISSIS) - spostatosi al lato passeggero - la spogliava, saliva sopra di lei e consumavano un rapporto. Intanto (OMISSIS) li guardava, mentre era seduto al posto di guida. La persona offesa ha riferito che cercava allora di spostarsi, perche' non voleva essere vista senza pantaloni dal (OMISSIS); (OMISSIS) era in procinto di avere un orgasmo e si spostava; (OMISSIS) cambiava posto con (OMISSIS) e si metteva al lato guida. A seguito del rapporto sessuale avuto con (OMISSIS) si rivestiva, ma successivamente le venivano nuovamente tolti i pantaloni da (OMISSIS) e da (OMISSIS). (OMISSIS) cercava dunque di scendere dalla macchina dopo che (OMISSIS) era salito sopra di lei e si opponeva allo stesso; (OMISSIS) la insultava poiche' (OMISSIS) non gli permetteva di avere un rapporto sessuale. (OMISSIS), nel frattempo, teneva la mano alla (OMISSIS) per impedirle di tirarsi su i pantaloni e si infastidiva per il suo comportamento oppositivo; infine, a seguito della reazione di (OMISSIS), decidevano di andarsene, la accompagnavano alla chiesa e da li' lei si recava a piedi a casa, in via (OMISSIS)". La (OMISSIS) aveva affermato, piu' volte, che l'autovettura era dotata di sicura "tradizionale" ("Perche' nella macchina di (OMISSIS) le sicure erano di quelle che si potevano anche abbassare con la mano, quindi quando facevi cosi'...") specificando ulteriormente che la sicura si trovava nella parte alta vicino al vetro. 5.61. Nel valutare le prove, il Tribunale aveva cosi' argomentato: " (OMISSIS) e' precisa nel riferire - in maniera del tutto spontanea - i passaggi del suo primo tentativo di sottrarsi all'incontro: aveva detto ai due di voler scendere perche' aveva capito cosa stava per succedere, e poi aveva cercato di scendere dalla macchina prima che (OMISSIS) ripartisse, ma il (OMISSIS) era passato nella parte posteriore della macchina e glielo aveva impedito, chiudendo lo sportello (...) Il diverso atteggiamento con cui la minore si pone nei confronti di (OMISSIS) e della sua proposta, tra il primo e il secondo episodio e' di facile deduzione: nel primo (OMISSIS) si pone nell'ottica di ottenere, con il suo atteggiamento accondiscendente, il perdono di (OMISSIS), con il quale spera di riallacciare una stabile relazione; in uno alla circostanza, non secondaria, per cui la minore aveva gia' una certa confidenza con (OMISSIS), avendolo gia' frequentato e avendo avuto con lui rapporti sessuali in precedenza. Nel secondo, invece, (OMISSIS) viene colta alla sprovvista, dato che era convinta di incontrarsi solo con il ragazzo di cui era innamorata, che invece, a sua insaputa, le faceva trovare un suo amico in macchina, che per lei era perfettamente sconosciuto. Di qui la sua ritrosia (OMISSIS) descrive, poi, l'atto sessuale nei dettagli (...) Oltre ad essere particolarmente dettagliato, in questa parte di racconto, (OMISSIS) raramente fornisce risposte accondiscendenti alle domande suggestive, anzi si discosta dalle stesse ed argomenta le sue risposte: alla domanda del giudice che le chiede se (OMISSIS) l'aveva tenuta ferma e bloccata in qualche modo lei risponde che si era limitato a tenerla lontano dallo sportello per impedirle di scendere; alla domanda sul se aveva gridato per chiedere di farla scendere risponde di non aver gridato, ma di aver detto di voler scendere "perche' non aveva intenzione"; anche quando le veniva chiesto se (OMISSIS) durante il tragitto la tranquillizzava lei risponde categorica "no, tranquillizzante no, tutto tranne tranquillizzare"". La versione difensiva (l'atto sessuale consenziente) e' stata ritenuta del tutto inverosimile: "anche a voler ritenere veritiera la circostanza che (OMISSIS) credeva, come da lui riferito, di dover solo parlare con (OMISSIS), questa male si concilia sia con la necessita' di condurre (OMISSIS) in un posto appartato e lontano dal paese solo per "parlare", sia con la scelta di portare con se' un terzo soggetto, per altro sconosciuto a (OMISSIS) ed estraneo alle dinamiche della loro coppia; ben avrebbe potuto (OMISSIS), prima accompagnare l'amico - al quale aveva promesso un passaggio a casa dopo l'allenamento - e poi andare a prendere (OMISSIS), oppure dopo aver fatto salire in macchina (OMISSIS), accompagnare a casa (OMISSIS), anche in considerazione del fatto che questi non abita molto lontano dal luogo dell'appuntamento con (OMISSIS) (come da loro stessi riferito)". Nemmeno la dinamica del rapporto sessuale, per come descritto dagli imputati, e' convincente: "E' alquanto inverosimile, che il (OMISSIS) sia sceso dalla macchina, in pieno inverno, in un posto buio ed isolato per aspettare che il suo amico si chiarisse con la fidanzata; cosi' come e' poco realistico sia che il (OMISSIS) riuscisse a vedere dall'esterno della macchina, solo con la luce dell'abitacolo, che (OMISSIS) posizionata sul sedile posteriore - non aveva i pantaloni; sia che la stessa avesse il finestrino aperto nonostante fosse nuda in un periodo dell'anno (novembre-dicembre) in cui le temperature sono rigide, soprattutto di sera". A queste considerazioni si aggiunge, nella valutazione del Tribunale, la non linearita' delle dichiarazioni del (OMISSIS) dal cui esame "emergono lampanti le contraddizioni tra le dichiarazioni rese in sede dibattimentale e quelle rese in sede di interrogatorio, quando, invece, l'imputato aveva ammesso di essersi trovato all'interno della macchina quando (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano cominciato ad avere un rapporto sessuale, e che (OMISSIS) gli aveva presentato (OMISSIS) come la sua fidanzata. Circostanze che invece ha negato categoricamente in sede di esame, fornendo una versione dei fatti speculare a quella resa dal suo coimputato". 5.62. Una sola circostanza del racconto della vittima non aveva trovato riscontro: il sistema di chiusura dell'autovettura. Il Tribunale cosi' giudica l'incongruenza e le sua ricadute sulla credibilita' della vittima: "la minore infatti sebbene in primo momento non avesse proprio parlato di sicura, ma solo di impossibilita' ad aprire lo sportello perche' il (OMISSIS) glielo aveva impedito, non cedendo alla domanda suggestiva del giudice che, invece, per primo ha introdotto il termine "sicura" (cfr. pag.57) - chiamata a specificare nuovamente il dato alla successiva udienza, ha precisato che nella macchina di (OMISSIS) c'erano le sicure manuali e non quelle centralizzate (...) dato smentito dall'imputato che ha parlato di chiusura centralizzata, e dal padre, (OMISSIS), il quale ha riferito che la macchina in uso al figlio non prevedeva la cd. "sicura" nella parte superiore dello sportello, ma la sicura si trovava nella parte inferiore dello sportello". Si tratta, a giudizio del Tribunale, "di una circostanza marginale ai fini della valutazione complessiva della condotta, atteso che la manifestazione del dissenso da parte di (OMISSIS) emerge in maniera inequivoca sia dal fatto che la stessa tenta di scendere dalla macchina, gia' prima che (OMISSIS) mettesse in moto, non riuscendovi perche' (OMISSIS) glielo impedisce, sia dal suo comportamento durante la seconda parte del rapporto, quando cerca di tirarsi su i pantaloni, mentre (OMISSIS) le tiene la mano per impedirglielo, per opporsi al rapporto con (OMISSIS) (che, infatti, non riesce ad avere un'erezione), (sicche') non si puo' ritenere che la stessa infici l'attendibilita' intrinseca dell'intero racconto, che, invece, come evidenziato in precedenza e' logico, lineare e coerente con il resto dell'impianto probatorio". 5.63. La Corte di appello affronta il capo B della rubrica alle pagg. 61 e segg. della sentenza argomentando nei termini sinteticamente richiamati nel "Ritenuto in fatto" della presente sentenza. Qui e' utile riportare alcuni passaggi della motivazione: "come correttamente rilevato dal Tribunale, non puo' non evidenziarsi come la ragazza sia stata coinvolta in svariati rapporti sessuali sia consenzienti, sia prettamente violenti, sia anche non consenzienti, tali dovendosi considerare quelli nei quali, seppure non si erano raggiunti gli estremi della violenza penalmente intesa, tuttavia la ragazza aveva acconsentito nella convinzione che cio' sarebbe servito a riconquistare il "fidanzato" (OMISSIS). normale, pertanto, che, a fronte di questi svariati rapporti, (OMISSIS) potesse non ricordare perfettamente alcuni elementi che non assumono un rilievo essenziale nella ricostruzione della vicenda. Tra questi, in particolare, vi e' il sistema di chiusura della vettura in questione - valorizzato in senso negativo da entrambi gli appellanti - che, nella terza udienza di incidente probatorio, ha dichiarato trovarsi nella parte alta vicino al vetro, mentre (OMISSIS), padre dell'imputato, ha affermato che la sicura si trovava nella parte inferiore dello sportello. Peraltro, tale diversita' si appalesa solo parziale, in quanto non risulta che la ragazza abbia specificato se si trattava di un sistema di chiusura centralizzata o meno. Ne' nella vicenda in esame il consenso puo' ricavarsi dalla circostanza che in molti casi era stata la stessa ragazza a prendere l'iniziativa, come risultante dagli screenshot dei messaggi contenuti nel suo computer, sia perche', come si e' gia' detto, l'aver accondisceso o anche cercato rapporti sessuali non esclude che, in altre circostanze, come quella di cui si tratta, (OMISSIS) non abbia voluto tale rapporto e sia stata costretta, sia perche' tali screenshot non si riferiscono sicuramente all'episodio di cui si tratta. Ancora, (OMISSIS), a differenza di altri amici dello (OMISSIS), era uno sconosciuto per (OMISSIS) ed anche tale circostanza conferma la mancanza del consenso e rende affatto credibile la versione dei fatti fornita dagli imputati. Non si vede, infatti, il motivo per cui (OMISSIS), invece di accompagnare a casa il (OMISSIS) cui ha asserito di aver dato un passaggio in macchina, lo abbia portato con se' all'incontro chiarificatore con la ragazza, che con questo non aveva alcuna confidenza ed, anzi, neppure lo conosceva. Tale comportamento e' ancor piu' inverosimile in considerazione del fatto che per tale "incontro" con (OMISSIS) (OMISSIS) si era diretto in una zona isolata, quale il (OMISSIS), e non certo sulla strada di casa del complice". La Corte di appello, dunque, valuta in modo parzialmente diverso il dato relativo alla "sicura" dell'autovettura aggiungendo, all'argomento del primo Giudice, quello della "diversita' parziale" del racconto della persona offesa rispetto al dato introdotto dal padre dello (OMISSIS). Ulteriore argomento che smentisce il (OMISSIS) e' quello (definito "dirimente" dalla Corte di appello) "che il rapporto non era stato consumato. Anche in tal caso vi e' piena congruenza tra l'opposizione della ragazza e la circostanza, che non puo' non apparire verosimile, che il (OMISSIS) si era lamentato che "glielo aveva fatto mosciare", non avendo, quindi, avuto un'erezione". Ne', secondo la Corte di appello, l'assoluzione del (OMISSIS) dai reati ascritti ai capi N ed O ridonda a danno della credibilita' della vittima avuto riguardo alle ragioni dell'assoluzione (l'inutilizzabilita' delle dichiarazioni). 5.64. Tanto premesso, esclusa la decisivita' del dato relativo alla geolocalizzazione dell'imputato, non solo non sussiste nessuno dei profili di criticita' indicati dal ricorrente (il quale sollecita una sostanziale rilettura della prova dichiarativa) ma lo stesso motivo si presta a censure di genericita' nella misura in cui neglige completamente la "ratio decidendi" nella sua complessita': manca, in particolare, ogni benche' riferimento alla non credibilita' della versione difensiva che, come visto, ha avuto il suo peso nella valutazione del fatto operata in modo conforme dai Giudici di merito. Il che e' gia' di per se' sufficiente a ritenere inammissibile il motivo per aspecificita'. 5.65. Secondo il consolidato insegnamento della Corte di cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresi' quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Cass., Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 Rv. 255568); cosicche' e' inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, che non puo' ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008 Rv. 240109). Ai fini della validita' del ricorso per cassazione non e', percio', sufficiente che il ricorso consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell'impugnazione, ma e' altresi' necessario che le ragioni sulle quali esso si fonda siano esposte con sufficiente grado di specificita' e che siano correlate con la motivazione della sentenza impugnata; con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificita' dei motivi non puo' essere stabilito in via generale ed assoluta, dall'altro, esso esige pur sempre - a pena di inammissibilita' del ricorso - che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle del ricorrente, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. E' quindi onere del ricorrente, nel chiedere l'annullamento del provvedimento impugnato, prendere in considerazione gli argomenti svolti dal giudice di merito e sottoporli a critica, nei limiti - s'intende - delle censure di legittimita' (cosi', in motivazione, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014). 5.66. V'e' da aggiungere, piuttosto, che nemmeno nell'atto di appello a firma dell'Avv. (OMISSIS) si rinviene traccia della valutazione dell'esame dei due imputati effettuata dal Tribunale nei termini sopra illustrati. 5.67. In ogni caso, osserva il Collegio: a) non e' manifestamente illogico il ragionamento dei Giudici di merito nella parte in cui attribuiscono al dato della "sicura" un peso non determinante ai fini della credibilita' della persona offesa, ne' si condivide l'assunto difensivo circa l'economia e il peso che il dato dovrebbe avere; b) come correttamente evidenziato dalla Corte di appello, cio' che rileva e' che all'imputata fu impedito di uscire dall'autovettura non appena si era resa conto delle intenzioni dello (OMISSIS); c) che su tale elemento sia stato costruito il capo di imputazione non e' aspetto dirimente: se e' vero, come sostiene il ricorrente, che la vittima (che era stata sentita prima dell'esercizio dell'azione penale e mai dopo) aveva reso versioni diverse delle modalita' con cui era stata costretta a rimanere in macchina, e' altrettanto vero che la indicazione della sicura nel capo di imputazione quale modalita' esecutiva della costrizione e' frutto di una precisa scelta del PM che non puo' ridondare a danno della credibilita' della vittima (potendo semmai dare la stura ad una censura di violazione della corrispondenza tra imputazione e sentenza, violazione pero' mai dedotta e non rilevabile d'ufficio); d) la positiva valutazione di credibilita' complessiva di una persona che e' stata sentita piu' volte in relazione ad uno specifico episodio non ha nulla a che vedere con il concetto di "valutazione frazionata", non potendosi intendere per tale la necessaria sintesi che segue all'analisi della testimonianza che e' rimasta coerente nel suo nucleo essenziale ed e' stata valutata, si ribadisce, insieme con la versione difensiva degli imputati; e) e' vero che la costanza del racconto e' argomento ambivalente (potendo fungere da indicatore della genuinita' del racconto e al tempo stesso della sua costruzione a tavolino) e tuttavia, proprio per questo, la deduzione difensiva della incostanza della persona offesa si presta ad una lettura alternativa della prova che di per se' mal si presta a costituire vizio di illogicita' manifesta del ragionamento; f) e' piuttosto necessario che il giudice coniughi il dato della incostanza del racconto con altri elementi a sua disposizione che valgano, in una visione di sintesi, a valutare la prova nel suo complesso (che e' quanto accaduto nel caso di specie ove, oltre alla non plausibilita' della versione difensiva, ha avuto il suo peso anche la dinamica impressa dallo (OMISSIS) al rapporto con la (OMISSIS), rendendo la spiegazione della credibilita' della vittima tutt'altro che manifestamente illogica); g) i costumi sessuali della vittima di reati sessuali sono ininfluenti sulla sua credibilita' e non possono costituire argomento di prova per l'esistenza, reale o putativa, del suo consenso (Sez. 3, n. 46464 del 09/06/2017, Rv. 271124 - 01); costituisce grave errore, pertanto, affermare che la vittima in altre occasioni aveva condiviso rapporti sessuali anche con persone sconosciute per tacciare di illogicita' ("transitiva", peraltro nemmeno manifesta) la motivazione, che facendo leva sul fatto che il (OMISSIS) era persona sconosciuta alla (OMISSIS), ha ritenuto credibile la volonta' di quest'ultima di uscire dall'autovettura; che' anzi, a ben vedere, tale argomento si presta ad una lettura alternativa della prova, improponibile in questa sede senza la necessita' di ulteriori spiegazioni; h) sulla collocazione temporale del fatto (e dunque sulla sussistenza della circostanza aggravante dell'aver commesso il fatto ai danni di ragazza che non aveva ancora compiuto gli anni 14), s'e' gia' detto. 5.68. Le considerazioni che precedono valgono anche ai fini dello scrutinio dell'undicesimo motivo: in alcuna parte delle sentenze di merito si legge che l'accusa si basa sul solo atto sessuale posto in essere dal (OMISSIS), ne' a tanto conduce la lettura della rubrica, chiara nel contestare il delitto di violenza sessuale di gruppo a entrambi gli autori: allo (OMISSIS) per aver consumato, presente il (OMISSIS), un rapporto sessuale nelle condizioni di coercizione fisica e morale della ragazza gia' sopra descritte; al (OMISSIS) per aver subito dopo tentato di avere un rapporto sessuale completo con la ragazza, mentre lo (OMISSIS) la teneva bloccata. Il tutto in un contesto in cui, come detto, quest'ultima voleva subito scendere dall'auto con la quale era stata portata, contro la sua volonta', in un luogo isolato per subire le condotte sessuali dei due imputati. E' percio' a dir poco un fuor d'opera concentrarsi sulla natura sessuale o meno dell'approccio del solo (OMISSIS) posto in essere subito dopo la violenza consumata dall'amico. In ogni caso, lo stesso (OMISSIS), in sede di esame aveva riferito di aver cominciato a baciare la ragazza ma senza concludere il rapporto sessuale, essendo molto stanco. Dunque, lo stesso imputato ammette di aver posto in essere un atto chiaramente qualificabile come sessuale. 5.69. Il dodicesimo motivo riguarda il capo D della rubrica relativo alla violenza sessuale di gruppo consumata dal ricorrente insieme con (OMISSIS) e (OMISSIS) in epoca anteriore e prossima al 09/12/2013 nella abitazione disabitata in disponibilita' del (OMISSIS) sita in localita' (OMISSIS). 5.70. Il Tribunale cosi' ricostruisce la vicenda: " (OMISSIS) dichiara che, dopo l'incontro con (OMISSIS), aveva raggiunto la consapevolezza che (OMISSIS) la stava usando, "faceva il doppio gioco", diceva di perdonarla e poi non lo faceva mai ripresentandosi con una nuova proposta; nonostante cio', ammette, desiderava essere perdonata da (OMISSIS), perche' ci teneva a lui, e quindi, sebbene si sforzasse di non rispondergli al telefono, finiva sempre per assecondarlo. Anche quel pomeriggio aveva acconsentito a che (OMISSIS) la andasse a prendere con un suo amico: all'inizio non sapeva chi fosse poi aveva scoperto che si trattava di (OMISSIS) quando erano andati a prenderla proprio con la macchina di (OMISSIS) (la Fiat Panda). Aveva detto alla madre che quel pomeriggio sarebbe rimasta a casa dell'amica (OMISSIS) per cui era salita in macchina con (OMISSIS) e (OMISSIS) e si erano diretti a (OMISSIS) (....) (OMISSIS) fornisce una versione circostanziata e meticolosa, soffermandosi a descrivere in maniera minuziosa, in primo luogo, la suddivisione degli ambienti e la predisposizione degli arredi (...): descrizione che e' risultata completamente sovrapponibile allo stato dei luoghi accertato presso la casa di (OMISSIS) in sede di sopralluogo (come riferito dal teste di polizia giudiziaria (OMISSIS) incaricato di verificare proprio la sovrapponibilita' tra le due emergenze probatorie). Poi descrive il susseguirsi degli eventi: una volta saliti tutti e tre (lei, (OMISSIS) e (OMISSIS)) al primo piano dove c'era la camera da letto, aveva arrotolato le lenzuola in fondo al materasso, (lei da un lato e (OMISSIS) dall'altro), poi (OMISSIS) l'aveva spogliata e dopo si era spogliato anche lui, per cui avevano cominciato ad avere un rapporto sessuale, al quale si era aggiunto (OMISSIS), che nel frattempo si era denudato anche lui. Alla domanda suggestiva del Tribunale volta a verificare se in quel momento (OMISSIS) avesse mostrato il suo dissenso rispetto a quello che stava avvenendo, la minore risponde "no, non ho detto niente" dimostrando non solo di non cedere alla suggestione ma anche di essere coerente rispetto a quanto dichiarato in precedenza, e cioe' che si era recata volontariamente in quel posto, pur sapendo a cosa sarebbe andata incontro, al fine di riconquistate la fiducia di (OMISSIS). Le cose cambiano quando, alla fine del rapporto a tre, (OMISSIS) sente al telefono (OMISSIS) e gli chiede di portargli le sigarette: a quel punto (OMISSIS) capisce che i due erano gia' d'accordo sia perche' (OMISSIS) non gli dice dove raggiungerlo - e quindi evidentemente gia' lo sapeva sia perche' (OMISSIS) aveva impiegato poco tempo per arrivare dal paese di (OMISSIS), per cui era chiaro che si fosse avviato prima che (OMISSIS) gli telefonasse. Quando (OMISSIS) arriva lei si era gia' rivestita per meta', e anche (OMISSIS) e (OMISSIS), per cui tutti e tre avevano cominciato a spogliarla di nuovo, e lei si era ritrovata "due lateralmente e uno nel mezzo e...io coricata". A turno avevano avuto un rapporto sessuale, uno sopra di lei, mentre gli altri due, posizionati lateralmente, le tenevano i polsi. Nel frattempo lei si muoveva, cercava di spostarsi a destra o a sinistra perche' non voleva stare in quella situazione, ma loro avevano continuato a tenerla ferma. Una volta finito era andata in bagno a piangere, ma nessuno di loro se ne era accorto - salvo (OMISSIS) e (OMISSIS) che le aveva chiesto se stava bene, ma lei lo aveva respinto per cui si era sciacquata la faccia ed era uscita dal bagno facendo finta di niente. Si era fatta riaccompagnare alla pineta, vicino alla casa di Via (OMISSIS), poi aveva chiamato la madre per farsi andare a prendere (...) Sollecitata a chiarire la sua partecipazione, e dunque se fosse stata consenziente nei singoli episodi, (OMISSIS) ribadisce che (...) per la parte che aveva coinvolto solo (OMISSIS) e (OMISSIS) era stata consenziente, mentre "con l'ultima fase in cui e' subentrato anche (OMISSIS), no"". 5.71. Il Tribunale indica come riscontro alla credibilita' della persona offesa la conversazione intrattenuta con il (OMISSIS) nel febbraio del 2014 nel corso della quale la minore esprime "il suo apprezzamento per un momento particolare di quell'incontro (...): la necessita' di spiegare al suo interlocutore, nonostante fosse anch'egli presente al momento dei fatti, quale fosse stato il momento in cui si era divertita di piu', e' indicativo del fatto che quell'incontro si era articolato in piu' momenti e aveva coinvolto piu' persone. Del resto, e' lo stesso (OMISSIS) che chiede alla minore di specificare a quale momento si riferisce, tanto che le dice "abbiamo fatto tante cose, quindi non so, dimmi tu". (OMISSIS), dunque - afferma il Tribunale -, isola la prima parte dell'incontro avvenuto quel giorno a (OMISSIS) - quando erano presenti solo (OMISSIS) e (OMISSIS) - e la colloca nell'ambito delle esperienze sessuali, consenzienti, in cui si era divertita. E cio' perche' (...) l'incontro con (OMISSIS) rientrava nel "programma" che aveva concordato con (OMISSIS) e a cui lei aveva acconsentito. L'arrivo di (OMISSIS) e' vissuto come un tradimento di quell'accordo, (OMISSIS) si sente un oggetto nelle mani di (OMISSIS) (...) ma ormai non poteva tirarsi piu' indietro, per cui subisce, in una condizione di evidente minorazione (...) piu' rapporti sessuali". Sempre nel corso della stessa conversazione (OMISSIS), osservava il Tribunale, aveva chiaramente espresso il suo disappunto per l'inatteso arrivo del (OMISSIS): "Invero, la sua contrarieta' alla presenza del (OMISSIS) si percepisce in un altro passo della conversazione con (OMISSIS), in cui (OMISSIS) dimostra tutto il risentimento nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS) per aver chiamato, mentre erano insieme, il loro amico per farsi raggiungere: "perche' quel giorno che hai chiamato (OMISSIS) gli hai detto che c'ero io la'-" - "ma perche' c'era anche (OMISSIS)" (...) evidente quindi - conclude il Tribunale - che la versione della minore trova ampiamente riscontro e che dunque, a differenza di quanto dichiarato dagli imputati, c'e' stato un incontro nella casa di (OMISSIS) (nella disponibilita' di (OMISSIS)) a cui hanno partecipato (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ponendo in essere atti sessuali contro la volonta', manifestata in modo esplicito - tanto che i tre le tenevano a turno i polsi per farla restare ferma - della minore (OMISSIS), soggetto, si ribadisce, all'epoca dei fatti, infraquattordicenne". 5.72. La Corte di appello ricostruisce il fatto in termini pressoche' identici e nel disattendere i rilievi difensivi osserva, in primo luogo, che "anche nell'incontro in questione si ripropone il binomio consenso/dissenso ai rapporti sessuali della persona offesa con (OMISSIS)", l'ambivalenza del cui comportamento era tale da sollecitare continuamente il desiderio di essere perdonata ("Si', perche' lui faceva... secondo me lui si teneva un po' dentro e un po' fuori la situazione, nel senso, per perdonarmi mi diceva che bisognava fare queste cose, e che poi mi avrebbe perdonato, pero' poi non mi perdonava mai. Quindi era, secondo me, un doppio gioco, nel senso, "Ti dico che ti perdono, pero' in realta' non ti perdono, cosi' nel frattempo tu fai quello che dico io""; pag. 76 della sentenza impugnata). Anche in questo caso, secondo i Giudici distrettuali, la persona offesa aveva accondisceso alle richieste dello (OMISSIS) fino a quando non aveva realizzato di essere stata ingannata; da quel momento, al consenso e' subentrato il dissenso ad ulteriori atti sessuali. La versione della vittima trova conferma, a giudizio della Corte di appello, nella minuziosa (e corrispondente a vero) descrizione della casa, nella sua capacita' di "resistere" alle domande suggestive ribadendo il proprio consenso alla prima parte dell'incontro, nella non incompatibilita' del dissenso ai rapporti in concomitanza con il sopraggiungere del (OMISSIS), nel pianto solitario all'interno del bagno a violenza consumata. Priva di pregio, secondo la Corte di appello, "e', altresi', la doglianza sollevata dalla difesa secondo cui il fatto che la persona offesa si dimenasse durante il rapporto non fosse di per se' indicativo del suo dissenso e che lo stesso non poteva comunque essere percepito come tale dai compartecipi all'episodio. Non si vede, invece, come tale comportamento della ragazza potesse essere equivocato, essendo del tutto esplicito in ordine non solo ad un dissenso ma ad una vera e propria opposizione, tanto che i due che non avevano il rapporto dovevano tenerle i polsi, mentre il terzo lo consumava". La chat intrattenuta con il (OMISSIS) nel febbraio del 2014, lungi dallo smentire la credibilita' della vittima la rafforzano nel giudizio della Corte di appello. Ne' tale credibilita' e' messa in discussione dal rinvenimento di files nel PC della vittima che, in tesi difensiva, "avrebbe(ro) rivelato uno spaccato della realta' dei fatti decisamente contrastante rispetto al dichiarato della (OMISSIS) di per se' sufficienti per una ricostruzione alternativa dei fatti". In realta', afferma la Corte di appello, "se da un lato la prova documentale data dai file del computer e dagli screen shot del cellulare recuperati dagli inquirenti ha consentito di fissare la storicita' degli eventi ed il loro succedersi consentendo in tal modo una fedele ricostruzione degli accadimenti e di quali, afferma la Corte, "incrociarli" con le propalazioni della persona offesa non prive in alcuni casi di gap o vuoti di memoria, dall'altro le condotte dei soggetti coinvolti nella vicenda non sfuggono ad un giudizio di colpevolezza e di responsabilita' penale". 5.73. I Giudici distrettuali si soffermano anche sulla versione difensiva degli imputati, giudicandola del tutto contraddittoria, "in quanto i tre forniscono ricostruzioni dei fatti completamente discordanti tra loro, in particolare su elementi fondamentali. Infatti, il (OMISSIS), dopo aver negato in sede di interrogatorio di essere andato con (OMISSIS) e (OMISSIS) in una casa a (OMISSIS), di cui aveva la disponibilita', ha, invece, affermato tale circostanza in sede di esame dibattimentale, negando, pero', che all'incontro vi fosse stato il (OMISSIS). Ma tale circostanza e' chiaramente smentita dal contenuto della chat sopra menzionata e dallo stesso (OMISSIS), che, nel gravame, non ha negato la propria presenza. Di contro, le dedotte contraddizioni nel narrato di (OMISSIS) sono veramente irrilevanti, riguardando la circostanza che uno dei ragazzi avesse o meno fumato le sigarette richieste al (OMISSIS) e sulla quale era ben possibile che la persona offesa non avesse un ricordo chiaro, essendosi ovviamente concentrata su altri particolari. 5.74. Tanto premesso, ancora un volta le doglianze difensive non colgono nel segno e propongono un ribaltamento metodologico dell'indagine di legittimita' nella misura in cui non considerano il modo con cui la Corte di appello ha deciso. Tre aspetti qualificanti della decisione sono stati del tutto negletti: a) il primo riguarda il canovaccio dell'episodio, che ben esprime la dinamica del rapporto (OMISSIS)- (OMISSIS) e ne spiega le relative, coerenti condotte (canovaccio che, peraltro, emerge chiaro anche nelle gia' citate note descrittive - e comparative del rapporto con lo (OMISSIS) e con lo (OMISSIS), redatte dalla (OMISSIS) e di cui s'e' gia' parlato); b) il secondo riguarda la presenza del (OMISSIS), la telefonata che l'aveva preceduta (la scusa delle sigarette) e la natura inaspettata (e in quel momento sgradita) del suo arrivo; c) il terzo riguarda l'argomento legato alla valutazione dell'esame degli imputati che ha concorso, nella valutazione della Corte di appello, a ritenere credibile la persona offesa. 5.75. Di un quarto elemento (la conversazione con il (OMISSIS)) viene proposta una inammissibile lettura alternativa. L'interpretazione e la valutazione del contenuto dei messaggi e delle conversazioni intercorse a mezzo telefono o strumenti informatici costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 5, n. 35680 del 10/06/2005, Rv. 232576; Sez. 6, n. 15396 del 11/12/2007, Rv. 239636; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Rv. 239724; Sez. 6, n. 11794 del 11/12/2013, Rv. 254439; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Rv. 258164). E' possibile prospettare, in questa sede, una interpretazione del significato di una conversazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformita' risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, Rv. 259516; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Rv. 252190; Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Rv. 237994). Tale orientamento interpretativo e' stato autorevolmente ribadito da Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715, che ha affermato il principio di diritto secondo il quale in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita' (principio ripreso e confermato da Sez. 3, n. 35593 del 17/06/2016, Folino, Rv. 267650, e, successivamente, da Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389). Benche' applicabile alle conversazioni intercettate, la latitudine logica del principio e' tale da poter essere applicata anche nella presente fattispecie. 5.76. E' sufficiente allora evidenziare che il ricorrente non deduce affatto il travisamento del contenuto dei dialoghi intercorsi tra la (OMISSIS) e il (OMISSIS) ma, astraendo dalla "ratio decidendi" nella sua organicita' e completezza, invita questa Corte di cassazione ad una loro rilettura, inammissibilmente non filtrata dal governo che, sul piano della logica e della valutazione della prova, ne hanno fatto i Giudici di merito. Ne' puo' costituire sintomo di manifesta illogicita' della motivazione il comportamento successivamente serbato dalla (OMISSIS) nei confronti del suo interlocutore (il (OMISSIS)), non potendo la "comune esperienza" costituire valido criterio di giudizio in un contesto come quello in esame e piu' in generale nei delitti a matrice sessuale, nei quali non sempre e' possibile, come gia' anticipato, decodificare i comportamenti della vittima coevi e successivi ad un fatto che sconvolge la psiche. Cosa sia questa "comune esperienza" e' cosa difficile a dirsi, correndosi piuttosto il rischio dell'introduzione nel processo di idee e opinioni del tutto soggettive su come una persona avrebbe dovuto comportarsi in una determinata contingenza prescindendo del tutto dal concreto stato d'animo della persona offesa. Che la vittima possa aver successivamente provato piacere nel rivivere i ricordi del rapporto che aveva immediatamente preceduto la violenza e' fatto personalissimo che non autorizza conclusioni basate su quel che si rileva, in fin dei conti, un approccio personale ed etico all'altrui comportamento. 5.77. Quanto alla collocazione temporale del fatto s'e' gia' ampiamente detto, sicche' non e' necessario tornarvi. 5.78. Il tredicesimo motivo riguarda il reato di cui al capo E della rubrica. Il Tribunale se ne occupa alle pagg. 218 e segg. della sentenza: " (OMISSIS), dopo aver interrotto i rapporti con (OMISSIS), conosceva (OMISSIS) in occasione del compleanno di (OMISSIS) di data (OMISSIS) e poi iniziava con lui una relazione (...) A seguito dell'inizio del rapporto sentimentale con (OMISSIS), (OMISSIS) si mostrava contrariato e la convinceva a rivedersi con lui per riallacciare il rapporto; in quella occasione si scambiavano un bacio. La relazione con (OMISSIS) durava dal 29 dicembre 2013 al 3 febbraio 2014, come scritto dalla stessa. persona offesa nella nota del 5 febbraio 2014 (...) Dalle dichiarazioni della persona offesa e' emerso che la stessa all'inizio di febbraio 2014 (il 10 o il 14, sul punto la PO e' risultata essere imprecisa e contraddittoria in occasione delle varie udienze di incidente probatorio), usciva con (OMISSIS) e che, dopo essere tornata a casa, quest'ultimo le scriveva nuovamente dicendole che le doveva parlare; la andava dunque a prendere in macchina direttamente sulla superstrada (...) dopo essere salita sull'auto di (OMISSIS), ( (OMISSIS)) si avvedeva della presenza anche di (OMISSIS) (...) i due si erano conosciuti nel 2011 quando (OMISSIS) aveva avuto bisogno del suo aiuto per addestrate il cane che aveva appena acquistato e che poi non vi erano piu' stati ulteriori contatti con lui. Lo stesso (OMISSIS), in sede di esame, ha affermato di aver conosciuto (OMISSIS) e di averlo iniziato a frequentare nel mese di febbraio/marzo 2014. La persona offesa ha ripercorso in modo lineare gli avvenimenti di quel giorno, facendo piu' volte riferimento - in occasione delle diverse udienze di incidente probatorio - allo sguardo minaccioso ("pauroso.. Io lo definisco tipo con gli occhi di fuori, quando una persona sembra tipo arrabbiata, gli esce tipo l'occhio di fuori") di (OMISSIS). In particolare, quest'ultimo la avvertiva che avrebbe potuto dire quanto successo con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al padre. La minore era dunque costretta ad avete dapprima un rapporto sessuale in macchina con (OMISSIS) (mentre (OMISSIS) guardava) e, successivamente, con (OMISSIS) stesso. (OMISSIS) rassicurava poi (OMISSIS) dicendogli: "Non ti preoccupare, all'inizio e' timida, poi ci sta". Invero lo sguardo di (OMISSIS) e le allusioni da lui fatte erano tali da fare sentire la minore come paralizzata, incapace di muoversi e di reagire, terrorizzata non solo al pensiero che i genitori potessero scoprire quanto accaduto con gli altri ragazzi, ma anche che i genitori medesimi potessero essere coinvolti "per altro- (Si', perche' all'inizio era solo una questione prima, nel senso che in giro...comunque i miei genitori sarebbero venuti a conoscenza di quello che avevo fatto, e poteva anche starci come cosa. Quando invece sono stati messi in mezzo anche per altro, ho detto: "Qua e' una questione...che non si risolve facilmente"). Peraltro (OMISSIS) aveva riferito anche al padre, come da lui stesso riportato in sede di esame dibattimentale, che il primo incontro con (OMISSIS) era avvenuto in macchina, quando aveva trovato inaspettatamente quest'ultimo all'interno dell'auto di (OMISSIS). (OMISSIS) ha infatti dichiarato che la figlia gli aveva detto che (OMISSIS) le aveva espressamente chiesto di avere rapporti sessuali con lui, cosi' come li aveva avuti con (OMISSIS), minacciando che- in caso contrario avrebbero detto tutto ai genitori o avrebbero comunque creato "problemi". La persona offesa ha poi dichiarato che, in quella stessa occasione, (OMISSIS) nominava " (OMISSIS)" di (OMISSIS), lasciando intendete di essere a conoscenza di una sua relazione con lui. Poi (OMISSIS) e (OMISSIS) riaccompagnavano (OMISSIS) alla "Legea" e quest'ultima chiamava immediatamente il padre per andarla a prendere e poi accompagnarla con urgenza a (OMISSIS) (...) Pioveva. lo chiamo mio padre. Questo era nel tardo pomeriggio, verso le 6, forse, le 7, perche' iniziava gia' a fare buio. Chiamo mio padre e gli dico: "Papa', vieni a prendermi, che dobbiamo andare in un posto". Mio padre mi viene a prendere con la macchina. Gli ho detto io: "Guarda, accompagnami a (OMISSIS) urgentemente perche' devo sapere che cosa e' successo, nel senso, cosa c'entra (OMISSIS) con (OMISSIS) e con (OMISSIS)"". 5.79. Il Tribunale aveva collocato il fatto il giorno 10/03/2014 collegandolo all'aggressione subita dello (OMISSIS) ad opera proprio dello (OMISSIS) (e del (OMISSIS); il fatto e' rubricato al capo O per il quale la Corte di appello ha dichiarato non doversi procedere per difetto di querela). Scrive il Tribunale: "La circostanza che i due fatti siano avvenuti nella medesima giornata trova un riscontro anche in alcuni bigliettini sequestrati a (OMISSIS). Sono stati innanzitutto acquisiti alcuni post-it scritti dalla minore, uno dei quali riferito ad un episodio accaduto con (OMISSIS) e (OMISSIS): "Arrivato giorno 10, ci siamo visti prima con lui e poi mi ha portato mio cugi (OMISSIS) e mi hanno costretta e poi ho chiamato mio papa' e siamo andati da (OMISSIS) a chiarire". La teste, sentita in sede di incidente probatorio, ha chiarito che tali appunti erano stati da lei scritti gli stessi giorni in cui si verificano gli avvenimenti. Si ritengono dunque particolarmente affidabili nella misura in cui venivano annotati da (OMISSIS) spontaneamente e nell'immediatezza dei fatti, senza alcuna finalita' successiva. Ancora. Sono stati acquisiti altri appunti scritti sempre dalla minore, ma invero copiati dalle note del cellulare. La minore ha infatti spiegato che era questo il motivo per cui erano ordinati dal piu' recente al piu' lontano nel tempo. Anche tali appunti, in quanto "presi" automaticamente dalle note del cellulare non modificabili dall'utente, risultano del tutto attendibili. Con riferimento alla data di lunedi' 10 marzo 2014 l'appuntamento era: "Lunedi' 10 marzo 2014 (OMISSIS) E (OMISSIS) STRADA VICINO AL (OMISSIS)". Ulteriore riscontro si rinviene nel calendario ove al punto 120 (p. 22), alla data del 10 marzo, e' scritto "Cugi (OMISSIS) strada vicino al cimitero.. ". E' stato altresi' acquisito il certificato medico di (OMISSIS) datato 9 marzo 2014 con diagnosi di "trauma distorsivo I dito mano destra". La circostanza assume qui rilievo nella misura in cui la minore ha collegato i due episodi (incontro con (OMISSIS) e (OMISSIS) e chiarimento con (OMISSIS) che le rivelava di essere stato picchiato) dal punto di vista temporale. Risulta dunque che, nonostante i ricordi vaghi di (OMISSIS) secondo i quali l'episodio sarebbe avvenuto all'inizio o meta' del mese di febbraio, esso vada piu' correttamente collocato il giorno 10 marzo 2014. Ed invero (...) quando (OMISSIS) si recava a casa di (OMISSIS), questi le rivelava di essere stato picchiato da (OMISSIS) e dai suoi amici. Se vi e' sovrapposizione fra il primo incontro con (OMISSIS) e quello con (OMISSIS) dal quale si recava con urgenza accompagnata dal padre, quest'ultimo avvenimento deve necessariamente collocarsi in data successiva alle lesioni subite da (OMISSIS) e quindi in un giorno posteriore al 9 marzo. Tutti gli appunti scritti da (OMISSIS) in modo spontaneo convergono verso la data del 10 marzo, quale giorno in cui vi era l'appuntamento con (OMISSIS) e con (OMISSIS) al cimitero. Cio' trova peraltro ulteriore riscontro nell'analisi dei tabulati telefonici relativi alle celle di aggancio dell'utenza in uso alla minore ((OMISSIS)) e agli altri due soggetti coinvolti" 5.80. Analizzando i tabulati, il Tribunale era giunto alla conclusione che "tra le ore 16.48 e le ore 18:10 del 10 marzo 2014 tutte e tre le utenze telefoniche avevano agganciato, contemporaneamente, la medesima cella, ovvero quella di (OMISSIS). Dall'analisi dei tabulati telefonici relativi al 10 marzo 2014 e' inoltre emerso che: a) non risultano contatti telefonici tra (OMISSIS) (...) e (OMISSIS) (...); b) sono presenti sessantatre contatti telefonici tra (OMISSIS) (...) e (OMISSIS) (...) nel periodo di corrispondenza delle tre utenze (di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), ossia dalle ore 16.48 alle ore 18.10 - vi sono dei periodi di assenza di contatti fra (OMISSIS) e (OMISSIS). Tale circostanza non esclude dunque la possibile compresenza dei due soggetti (insieme a (OMISSIS)) negli intervalli di tempo fra le 16.42 e le 17.18, nonche' fra le 17.23 e le 18.02. Si osserva inoltre, a riscontro di quanto affermato dalla minore (ossia che verso le sei/sette di sera, a seguito dell'incontro con (OMISSIS) e (OMISSIS), si recava con urgenza da (OMISSIS) a (OMISSIS)) che effettivamente, il giorno 10 marzo 2014, l'utenza di (OMISSIS) agganciava la cella di (OMISSIS) dalle ore 18.10 alle ore 19.10." 5.81. Quanto alla sussistenza della minaccia e alla consapevolezza degli imputati della mancanza del consenso della vittima, il Tribunale rimarcava il fatto che la (OMISSIS) aveva piu' volte espresso il terrore provato alla visione dello sguardo di (OMISSIS) cui avevano fatto seguito le parole minacciose sopra indicate. 5.82. La Corte di appello ha disatteso gli argomenti difensivi per le ragioni gia' illustrate nel "Ritenuto in fatto" della presente sentenza. 5.83. Tanto premesso, sulla dedotta incompatibilita' logica tra la condanna per il reato di cui al capo E e l'assoluzione dal reato di cui al capo I e' sufficiente evidenziare che tale assoluzione era stata decisa dal Tribunale non gia' perche' aveva ritenuto la persona offesa non credibile (tutt'altro) ma per la mancanza di riconoscibilita' del suo dissenso e per l'atteggiamento ambiguo serbato dalla (OMISSIS) ("Ed invero le dichiarazioni della persona offesa hanno introdotto il dubbio ragionevole non gia' sulla veridicita' di quanto accaduto (entrambi gli imputati hanno peraltro confermato che vi erano stati dei rapporti sessuali con la minore, seppur mai posti in essere l'uno in presenza dell'altro, ma in via diacronica), bensi' sulla riconoscibilita' da parte degli imputati medesimi del dissenso manifestato dalla minore e sulla sussistenza di minacce tali da coartare (OMISSIS) ad avere rapporti sessuali"). Piu' in generale, leggendo le chiare pagine dedicate dal Tribunale al capo I della rubrica (pagg. 232-241), non emerge mai uno scollamento tra il fatto descritto dalla persona offesa e quello accertato dal primo Giudice; non vi e', insomma, una valutazione di non credibilita' della ragazza, quanto, piuttosto, una sua diversa valutazione: e' lo stesso materiale dichiarativo proveniente dalla vittima a condurre il Giudice all'assoluzione, non la sua smentita ("Si deve dunque ribadire che, nel caso di specie, non si sono rinvenuti sufficienti elementi concreti in merito alla sussistenza, anche implicita, del dissenso di (OMISSIS) ad avere rapporti sessuali con gli imputati, palesando semmai la minore un atteggiamento ambiguo ed equivocabile e avendo ella affermato che, all'atto del rapporto, capitava di provare attrazione e piacere. La stessa, sentita in sede di incidente probatorio, ha cercato di chiarire il proprio stato d'animo e di giustificare i messaggi inviati, dichiarando che in quel periodo aveva perso "il senso delle cose" e che solo in un momento successivo realizzava quanto era accaduto. Lo stato di sconforto successivo ("mi facevo schifo da sola"), seppur evocativo della sofferenza provata dalla persona offesa, evidentemente tormentata dalle vicende vissute, non puo' costituire elemento probatorio atto a ritenere provata la riconoscibilita' di un dissenso all'atto del rapporto. La costrizione e la violenza dello stesso non possono quindi ritenersi provate e gli imputati vanno assolti perche' il fatto non sussiste, non essendosi rinvenuti elementi probatori sufficienti per pervenire ad un giudizio di colpevolezza"). 5.84. Che la ragazza, successivamente al reato di cui al capo E, possa aver avuto rapporti sessuali consensuali con lo (OMISSIS) e' circostanza che non puo' essere utilizzata per dimostrare il consenso al rapporto in esso descritto, sia perche' si tratta di operazione giuridicamente sbagliata (il consenso e' all'atto, non alla relazione con la persona), sia perche' - come visto - era lo stesso Tribunale a dar conto dell'estrema confusione emotiva con cui la (OMISSIS) viveva quel periodo anche a causa della dipendenza affettiva dallo (OMISSIS). Si obietta che le dichiarazioni rese dalla vittima in sede di incidente probatorio sono frutto anche della contestazione del contenuto dei messaggi scambiati con lo (OMISSIS) tra l'ottobre e il dicembre del 2014, messaggi dal contenuto inequivocabile; e tuttavia e' agevole osservare che: a) questi messaggi riguardano periodi di non poco successivi al fatto di cui al capo E della rubrica; b) la ragazza non ne aveva mai disconosciuto il contenuto e la valenza; c) benche' avesse sostanzialmente ammesso di aver avuto rapporti sessuali consenzienti con lo (OMISSIS), non v'era ragione alcuna per ribadire la violenza subita per la prima volta ad opera di questi. Si tratta, dunque, di argomento ambivalente che, proprio perche' tale, non rende la assoluzione dal reato di cui al capo I illogicamente contrastante (perlomeno non in modo manifesto) con la condanna per il reato di cui al capo E. Va infine precisato che poiche' l'esercizio dell'azione penale si e' basato sostanzialmente sugli stessi elementi documentali e dichiarativi sulla scorta dei quali il Tribunale aveva adottato la propria decisione, appare evidente che il dissenso tra pubblico ministero e giudice non riguardava la credibilita' della vittima, bensi' il governo probatorio delle sue dichiarazioni. 5.85. Ne' il tentativo della persona offesa, vittima di violenza sessuale, di non rendere noti i suoi successivi rapporti sessuali consenzienti avuti con lo stesso autore della violenza costituisce argomento persuasivo. Che' anzi, una volta scoperta l'esistenza di tali rapporti, non si vede perche' quest'ultima non dovesse ammettere che anche il primo rapporto era consenziente. Va piuttosto rilevata, ancora una volta, l'ambivalenza del dato, non essendo manifestamente illogico, ne' contraddittorio l'atteggiamento di chi tenti di occultare i successivi rapporti sessuali per motivi legati alla successiva presa di coscienza dello stato in cui versava la vittima all'epoca dei fatti o anche solo per pudore. 5.86. Nel resto, le deduzioni difensive si risolvono, ancora una volta, in una non consentita rilettura, in questa sede, degli argomenti di prova indicati dalla Corte di appello a sostegno della propria decisione. Sostenere, peraltro, le neutralita' degli elementi indicati dai Giudici distrettuali come "riscontri" del narrato della vittima equivale ad affermare che la testimonianza di quest'ultima si pone sullo stesso piano di coloro i quali, per legge, non possono essere creduti solo sulla parola (articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4), in pieno contrasto con quanto gia' ampiamente illustrato nella parte che ha preceduto l'esame dei singoli ricorsi. 5.87. Il quattordicesimo motivo riguarda i capi F ed H della rubrica (capo F, ascritto al solo (OMISSIS): "del reato di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, articolo 600 quater c.p. perche', in piu' occasioni, induceva la minore (OMISSIS) ad effettuare delle fotografie di se stessa in pose equivoche o nelle parti intime facendosele trasmettere mediante la piattaforma WhatsApp e cosi' procurandosi materiale pornografico utilizzando una minore di anni diciotto. In (OMISSIS)"; capo H, ascritto allo (OMISSIS) ed allo (OMISSIS): "del reato di cui (agli artt.) 81, 110, 600 c.p., perche' con la condotta descritta al capo che precede si procuravano materiale pornografico mediante l'utilizzo di una minore degli anni 18. In (OMISSIS)"). Il Tribunale, come anticipato nel "Ritenuto in fatto" della presente sentenza, ha ritenuto l'unicita' del fatto-reato dichiarando la penale responsabilita' di entrambi gli imputati. La Corte di appello ha confermato la pronuncia sul punto per le ragioni gia' pure sinteticamente illustrate nel "Ritenuto in fatto". 5.88. La condanna dello (OMISSIS) (e dello (OMISSIS)) si basa sulla interpretazione delle conversazioni intrattenute via chat con la minore (molto spesso caratterizzate - affermava il Tribunale - "dal reciproco scambio di immagini pornografiche") e su quanto dalla stessa riferito in sede di incidente probatorio; emerge un quadro di reciproci scambi di immagini pornografiche, ma anche di esplicite richieste di invio da parte degli imputati di immagini dello stesso tenore ritraenti la persona offesa. Degli elementi di fatto posti a fondamento della propria decisione il Tribunale aveva dato conto trascrivendoli in parte, inserendo nella motivazione gli screen-shots delle conversazioni in questione. 5.89. Tanto premesso, il motivo e' infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimita'. 5.90. Benche' il reato contestato ai ricorrenti non sia quello di cui all'articolo 600-ter c.p., bensi' quello di cui al successivo articolo 600-quater, si pone comunque la questione relativa alla interpretazione del concetto di "utilizzazione" del minore, quale modalita' esecutiva della condotta di realizzazione del materiale pornografico che l'autore del reato detiene o si procura, qualificando, tale modalita' realizzativa, l'illiceita' (e la rilevanza) penale dell'oggetto materiale della condotta incriminata. 5.91. Orbene, secondo l'insegnamento di Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018, Rv. 274087 - 02, in tema di pornografia minorile, non sussiste l'utilizzazione del minore, che costituisce il presupposto del reato di produzione di materiale pornografico di cui all'articolo 600 ter c.p., comma 1, nel caso di realizzazione di immagini o video che abbiano per oggetto la vita privata sessuale di un minore, che abbia raggiunto l'eta' del consenso sessuale, nell'ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell'autore, sicche' la stesse siano frutto di una libera scelta e destinate ad un uso strettamente privato. 5.92. Successivamente le stesse Sezioni Unite sono tornate sull'argomento essendo rimasto irrisolto, nella giurisprudenza della Corte di legittimita', il quesito sul se, e in quali limiti, la condotta di produzione di materiale pornografico realizzata con il consenso del minore ultraquattordicenne, nel contesto di una relazione con persona maggiorenne, configuri il reato di cui all'articolo 600-ter c.p., comma 1, n. 1. 5.93. Con sentenza Sez. U, n. 4616 del 28/10/2021, dep. 2022, le Sezioni Unite hanno fornito la seguente risposta: "Si ha "utilizzazione" del minore allorquando, all'esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell'eta', maturita', esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volonta' del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensivita' rispetto all'integrita' psico-fisica dello stesso" 5.94. Viene in rilievo la centralita' della condotta di "produzione di materiale pornografico" e del modo della produzione stessa: l'utilizzazione del minore. Le Sezioni Unite ne traggono due conseguenze: 1) la condotta di "produzione" esclude la rilevanza penale del materiale "autoprodotto" dal minore; 2) l'utilizzazione evoca la strumentalizzazione del minore e la sua riduzione a "res" per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri soggetti o per conseguire un utile. Se ricorre l'utilizzazione del minore, nel senso sopra indicato, nessuna valenza - esimente o scriminante - puo' essere riconosciuta al suo consenso. In questo caso, affermano le Sezioni Unite, il consenso non puo' essere ritenuto libero e si presume determinato proprio dall'abusivita' della condotta dell'adulto. In quest'ottica si spiega la mancanza di alcun riferimento, nel corpo dell'articolo 600-ter c.p., comma 1, al consenso del minore cui, invece, attribuiscono rilievo le Convenzioni internazionali che riconnettono la liceita' della condotta dell'adulto al "consenso" del minore, purche' non ottenuto mediante comportamenti "abusivi" dell'adulto. 5.95. Come gia' affermato da Sez. U, n. 51815/2018, "il discrimine fra il penalmente rilevante e il penalmente irrilevante... non e' il consenso del minore in quanto tale, ma la configurabilita' dell'utilizzazione". Ne consegue, ricorda Sez. U, n. 4616/2022, che e' atipica solo la produzione di materiale pornografico realizzato senza la "utilizzazione" del minore e con il consenso espresso da colui che abbia raggiunto l'eta' per manifestarlo. Con riferimento alla condotta di "utilizzazione", le Sezioni Unite ribadiscono che essa sta ad indicare la condotta di chi manovra, adopera, strumentalizza o sfrutta il minore servendosi dello stesso e facendone uso nel proprio interesse, piegandolo ai propri fini come se fosse uno strumento. Con riferimento al consenso del minore, ritengono essenziale un attento e rigoroso accertamento del contesto in cui e' stato espresso il consenso stesso ed una verifica specifica per escludere che lo stesso sia stato inficiato da condizionamenti. Le Sezioni Unite n. 51815/2018, ricorda la sentenza, avevano gia' indicato, in modo esemplificativo, una serie di elementi dai quali e' possibile ricavare la condizione di "utilizzazione" del minore. Essi sono stati individuati nella abusivita' della condotta connessa alla posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore; nelle modalita' con le quali il materiale pornografico viene prodotto (ad esempio, minaccia, violenza, inganno); nel fine commerciale; nell'eta' dei minori coinvolti, se inferiore a quella prevista per la valida formulazione del consenso sessuale. La declinazione del concetto di "utilizzazione del minore", affermano le piu' recenti Sezioni Unite, deve armonizzarsi e trovare coerenza interpretativa con le disposizioni contenute nel Titolo 12, Capo 3 "dei delitti contro la liberta' individuale", Sezione 1 "dei delitti contro la personalita' individuale" e Sezione 2 "dei delitti contro la liberta' personale", rientrando in una comune logica di sistema sorretto dalle medesime finalita'. Le disposizioni contenute nel Capo 3 del Titolo 12 perseguono anzitutto la finalita' di assicurare che la determinazione del minore che ha compiuto quattordici anni sia "libera ed incondizionata" nelle scelte di natura sessuale. Assumono, pertanto, rilevanza penale quelle condotte finalizzate alla coercizione della volonta' del minore determinate da costringimento, inteso come abuso o approfittamento delle sue condizioni, o da induzione e, cioe', attraverso il condizionamento delle scelte. A tal fine, la disposizione principale per definire i limiti del consenso del minore in relazione alla sua sfera sessuale e' rappresentata, secondo le Sezioni Unite, dall'articolo 609-quater c.p., recentemente modificato dalla L. n. 238 del 2021, articolo 20, che disciplina il consenso del minore. Assumono, in particolare, rilevanza le condotte di violenza, minaccia, abuso di autorita', abuso delle condizioni di inferiorita' fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto e l'inganno per essersi il colpevole sostituito ad altra persona indicati nell'articolo 609-bis c.p. come condizioni negative dell'applicazione dell'articolo 609-quater c.p.. Nei confronti dei minori che non hanno compiuto i sedici anni rilevano anche le situazioni elencate dall'articolo 609-quater c.p., comma 1, n. 2, che, per la natura del rapporto esistente con l'autore del reato, viziano il consenso ("quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore e' affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza"). Le medesime situazioni valgono per il minore che ha compiuto gli anni sedici se di esse l'autore abbia abusato (articolo 609-quater c.p., comma 2). Il consenso del minore che ha compiuto quattordici anni e' altresi' viziato se frutto di abuso della fiducia riscossa presso di lui o dell'autorita' o dell'influenza esercitata sullo stesso in ragione della propria qualita' o dell'ufficio ricoperto o delle relazioni familiari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalita' (articolo 609-quater c.p., comma 2, come modificato dalla L. n. 238 del 2021, articolo 20, comma 1, lettera d, n. 1, a decorrere dal 1 febbraio 2022). L'abuso di autorita' presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l'agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali (in tal senso, Sez. U, n. 27326 del 2020). Il contesto normativo del Capo 3, Titolo 12 impone, secondo le Sezioni Unite, di aggiungere alla elencazione dei casi nei quali la volonta' del minore non puo' essere ritenuta scevra da condizionamenti, la dazione o la promessa di denaro in cambio dell'attivita' di ripresa o di registrazione delle immagini e l'approfittamento delle condizioni di natura economica del minore. Quanto al fatto che la volonta' del minore possa subire un forte condizionamento per effetto della dazione di corrispettivo di denaro o di altra utilita', anche se solo promessa, la sentenza richiama l'articolo 600-bis c.p. che persegue la finalita' di reprimere anche isolati episodi di mercimonio muovendo dal presupposto della incapacita' del minore ad opporsi validamente alla offerta di denaro o di altre utilita' per la condizione di particolare fragilita' in cui versa e che, infatti, non trova corrispondenza nella normativa relativa alla prostituzione del maggiorenne. L'insidiosita' dell'approfittamento delle condizioni economiche del minore, tanto piu' se assurgano a vero e proprio stato di necessita', si desume dall'intero panorama normativo di riferimento (a tal fine le Sezioni Unite richiamano l'articolo 602-ter c.p., comma 4, che prevede un aggravamento di pena "se il fatto e' commesso approfittando della situazione di necessita' del minore", e l'articolo 609-quater c.p., comma 3, che prevede un aggravamento della pena "se il compimento degli atti sessuali con il minore degli anni quattordici avviene in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilita', anche solamente promessa"). In tutti questi casi deve essere esclusa qualsiasi rilevanza al consenso del minore per le riprese o le registrazioni dei suoi aspetti di intimita' sessuale. Anche le condotte induttive rilevano per la nozione di "utilizzazione" del minore. A tal fine rilevano, in primo luogo, le condotte di istigazione, dovendosi intendere queste ultime come rafforzamento di un proposito gia' presente nel minore. L'induzione, invece, ricorre quando la determinazione del minore dipenda esclusivamente dalla condotta dell'agente. Sulle modalita' di induzione si possono utilizzare, per la sovrapponibilita' dei profili di interesse, le conclusioni cui sono pervenute le Sezioni Unite con sentenza n. 16207/2014, che, pronunciando sull'induzione alla prostituzione minorile (articolo 600-bis c.p.), hanno affermato il principio di diritto secondo il quale l'induzione consiste nella "attivita', coscientemente finalizzata, di persuasione, di convincimento, di determinazione, di eccitamento, di rafforzamento della decisione", con la precisazione che "l'opera di convincimento puo' consistere anche in doni, lusinghe, promesse, preghiere e deve avere avuto una efficacia causale e rafforzativa della valutazione del minore". Le disposizioni relative alla pornografia ed alla prostituzione minorile sono accomunate, ricordano le Sezioni Unite, dalla necessita' di proteggere il minore da richieste legate a fenomeni di perversione sessuale, a volte interdipendenti, potendo essere la produzione di materiale pornografico uno degli epiloghi del fenomeno della prostituzione del minore. Le tecniche di persuasione del minore per raggiungere l'obiettivo possono essere comuni, in quanto finalizzate allo sfruttamento ed all'approfittamento della condizione di fragilita' del minore necessariamente piu' sensibile a forme di pressioni subdole da parte dell'adulto. L'esegesi della nozione di "utilizzazione" non puo' prescindere, affermano le Sezioni Unite, da una specifica riflessione sulla maturita' del minore. A tal fine, la sentenza rileva che il legislatore opera piu' volte la distinzione tra minore infra-quattordicenne, ultra-quattordicenne ma infra-sedicenne, e ultra-sedicenne in rapporto alla gradualita' dello sviluppo del minore. Questa differenziazione, che, come visto, si coglie anzitutto nell'articolo 609-quater, c.p., assume carattere di generalita' per i reati di pornografia e di prostituzione minorile (articolo 600-ter c.p., comma 5; articolo 602-ter c.p., comma 6; articolo 609-undecies c.p.). La tutela rafforzata del minore per la fascia di eta' ricompresa tra il quattordicesimo ed il sedicesimo anno di eta' comporta la necessita' di una piu' specifica analisi dei fattori di condizionamento della sua volonta' nell'assentire le richieste dell'adulto. Sul piano sistematico e concettuale non e' possibile pervenire ad una assimilazione del minore infraquattordicenne a quello infrasedicenne, ma e' indubbio che anche per quest'ultimo e' molto elevato il rischio di condizionamento per il grado di maturita' necessariamente limitato in quella fase dello sviluppo psico-fisico. Ed allora, ammoniscono le Sezioni Unite, l'accertamento sulla "utilizzazione" del minore infrasedicenne deve essere particolarmente rigoroso. Esso richiede un'attenta valutazione in ordine all'abuso del rapporto di fiducia da parte dell'adulto ed alle modalita' di convincimento cui lo stesso ha fatto ricorso, parametrando le pressioni e l'insidiosita' degli artifici necessari a vincere la resistenza psicologica del minore alla sua limitata capacita' di cogliere le situazioni per se' svantaggiose. Le Sezioni Unite ritengono efficace la definizione del concetto di adescamento contenuta dell'articolo 609-undecies c.p. sintetizzata "in qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce". La necessita' di un'attenta verifica di tutti gli aspetti sinora illustrati e' indispensabile anche in presenza di una relazione affettiva tra adulto e minore. Si rende, infatti, necessario verificare specificamente che l'adulto non abbia vinto le resistenze del minore inducendolo a superare le proprie riluttanze tramite tecniche di manipolazione psicologica e di seduzione affettiva, sfruttando la superiorita' in termini di eta', esperienza, posizione sociale o la condizione di inferiorita' del minore. Quest'ultimo, nell'ambito della relazione, e' suscettibile di essere esposto a varie forme di condizionamento che includono il "ricatto affettivo", potendo l'adulto fare leva sulla paura dell'abbandono, sul "senso del dovere", sulla colpevolizzazione del rifiuto o su paragoni impropri, per raggiungere il proprio obiettivo. E' inoltre importante verificare anche che il minore non sia rimasto vittima, nell'assentire le richieste dell'adulto, di minacce velate o di altre pressioni subdole o insidiose. 5.96. Nel caso di specie, si tratta di una condotta posta in essere quando la ragazza non aveva ancora compiuto quattordici anni di eta' (autore il solo (OMISSIS)) ed era proseguita fino a quando non aveva ancora compiuto quindici anni (autore anche lo (OMISSIS)). I due imputati erano, rispettivamente, diciannovenne (lo (OMISSIS) avrebbe compiuto venti anni nell'aprile 2014) e quasi trentenne (lo (OMISSIS) avrebbe compiuto ventotto anni nel giugno del 2014). Fino al compimento del quattordicesimo anno di eta' la questione della esistenza o meno del consenso non rileva; per il periodo successivo rilevano le chiare parole spese dal primo Giudice: "I due imputati, infatti, nell'ambito delle conversazioni via WhatsApp che intrattenevano con la stessa - spesso a sfondo sessuale - avanzavano richieste di foto pornografiche facendo leva, (OMISSIS), sul sentimento che (OMISSIS) continuava a provare per lui, seppure in modo combattuto, stante la consapevolezza che tale sentimento non era ricambiato; l'altro, (OMISSIS), sul ruolo che (OMISSIS) le riconosceva quale mediatore nella sua storia travagliata con (OMISSIS) (probabilmente in virtu' dell'amicizia che li legava ovvero dell'autorita' che (OMISSIS), in quanto appartenente ad una storica famiglia di ndrangheta, rivestiva nel contesto di quel paese), oltre che sulle svariate esperienza sessuali che i due avevano gia' condiviso" (pag. 227). 5.97. Si tratta di affermazioni totalmente neglette nell'appello a firma dell'Avv. (OMISSIS) il quale si era concentrato piuttosto sulla minimizzazione delle dichiarazioni rese dalla vittima in sede di incidente probatorio (benche' documentalmente comprovate, osserva il Collegio) e sulla mancanza di prova della ricezione di tali fotografie la cui detenzione puo' certamente essere dimostrata aliunde, non necessariamente ed esclusivamente dal loro rinvenimento nei dispositivi elettronici in disponibilita' dell'autore del reato. In ogni caso, appare evidente, per la fragile condizione psicologica della persona offesa, per il divario di eta' con uno degli autori del fatto, come il consenso da quest'ultima prestato fosse viziato nei termini indicati dalle Sezioni Unite n. 4616/2022. Va piuttosto rimarcata la circostanza che lo scambio di messaggi di questo tipo con lo (OMISSIS) sin dall'ottobre del 2013 (la datazione non e' mai stata oggetto di contestazione) contraddice la difesa dell'imputato rendendo certo il possesso, da parte di questi, di immagini compromettenti della minore da epoca precedente la consumazione dei reati di cui ai capi A, B, C, D della rubrica e niente affatto credibile lo spostamento in avanti del rapporto sessuale contestato al capo A. Nel resto, le deduzioni difensive oggetto di doglianza si risolvono nell'inammissibile (e sostanziale) proposta di rivisitazione del materiale probatorio del quale non e' stato dedotto il travisamento. 5.98. Il quindicesimo motivo riguarda il capo M della rubrica che cosi' recita: "del reato di cui all'articolo 61 c.p., n. 11 quinquies, articoli 110, 582 c.p., articolo 583 cpv. c.p., n. 1, articolo 585 c.p. in relazione all'articolo 576 cpv. c.p., n. 5 e 5.1 perche', mediante le condotte meglio descritte ai capi precedenti, cagionavano alla minore (OMISSIS) uno stato ansioso e disturbo post traumatico da stress con gesti autolesivi, dalla quale derivava una malattia della mente guaribile in un tempo superiore a quaranta giorni. Con le aggravanti di aver commesso il fatto in occasione dell'esecuzione di delitti contro la liberta' personale sopra citati di cui agli articoli 609 quater e octies e 612 bis c.p. ed in danno di una persona minore di anni diciotto. In (OMISSIS)". 5.99. In ordine alla sussistenza del reato e alla (cor)responsabilita' dello (OMISSIS), il Tribunale aveva indicato le seguenti prove: a) le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di incidente probatorio "relativamente: - allo stato di disagio e di sofferenza della stessa provocato (anche, se non solo) dalle azioni dei due imputati ( (OMISSIS) e (OMISSIS)); - allo stato di indifferenza conseguente; - alla noncuranza totale verso il proprio corpo e, infine, alla inflizione, da parte di (OMISSIS) di atti di autolesionismo"; b) le dichiarazioni della Dott.ssa (OMISSIS), "psicoterapeuta della minore, (che) durante una visita, (aveva constatato) personalmente la presenza di tali segni, poiche' (OMISSIS) in occasione di una delle visite - aveva le nocche delle mani un po' rovinate (il periodo era quello ricompreso fra il mese di maggio e quello di giugno 2015). (OMISSIS), in quella circostanza, le riferiva che era arrabbiata, che aveva dato dei pugni sul muro e che le capitava anche di provocarsi dei tagli. Secondo la valutazione specialistica della psicoterapeuta tale quadro era dovuto ad un disturbo post traumatico da stress: la minore palesava episodi di forte ira e aveva una scarsissima autostima, inoltre (avvertiva) la propria persona come inutile e senza valore. (OMISSIS) le aveva inoltre riferito che aveva gia' posto in essere atti di autolesionismo prima di andare nel suo studio nel maggio del 2015; continuava pero' a porre in essere tali atti anche dopo le prime sedute"; c) le dichiarazioni della Dott.ssa (OMISSIS) che aveva rilevato che "la minore mostrava dei sentimenti di inquietudine, impotenza, sconforto e rassegnazione per non aver saputo affrontare le aggressioni subite, oltre che una forte carenza di autostima e molta tensione interiore. La dottoressa (OMISSIS) le aveva inoltre riferito che la minore presentava dei segni sul corpo, dovuti ai tagli autoinflitti e ai pugni dati al muro; il dolore fisico provocato da tali azioni rendeva piu' sopportabile il dolore emotivo provato. Tali elementi, secondo l'opinione della psicologa, costitui(vano) degli indicatori - seppur aspecifici - ricollegati ad una situazione di maltrattamento o di abuso"; d) le dichiarazioni della madre della ragazza che aveva riferito "in ordine allo stato di apatia della figlia la quale spesso rimaneva sul divano senza fare nulla, o comunque faceva finta di dormite. Anche lei (aveva riscontrato) la presenza di segni di autolesionismo sulla schiena di (OMISSIS)"; e) le dichiarazioni della professoressa (OMISSIS), che aveva dichiarato che un giorno la (OMISSIS) era andata nel bagno della scuola prorompendo in una crisi di pianto a seguito della quale aveva tirato dei pugni sul muro; f) le dichiarazioni dell'amica, (OMISSIS), che aveva notato dei "taglietti" sulle braccia di (OMISSIS), che quest'ultima le aveva confidato esserseli procurati da sola; g) le dichiarazioni della Dott.ssa (OMISSIS) che aveva affermato "che, in base a quanto raccontato dalla PO con riferimento agli atti di autolesionismo e al suo peggioramento scolastico, vi erano dei comportamenti associati ad una sofferenza, che poteva aver avuto origine da un trauma, senza pero' poter essere ricollegata ad un trauma specifico"; h) gli autoscatti della persona offesa che immortalavano i segni sul suo corpo. 5.100. Quanto al nesso di causalita', il Tribunale cosi' argomentava: "Si deve rilevare che non si e' raggiunta la certezza che gli abusi sessuali subiti e posti in essere dai due imputati siano stati l'unica causa della condizione di sofferenza della minore, dal momento che, alla luce di tutti gli elementi istruttori acquisiti, non si puo' escludere che ulteriori fattori abbiano inciso sulla minore: si pensi all'elemento del "giudizio" introdotto dal (OMISSIS) (cfr. deposizione Dott.ssa (OMISSIS)) o, ancora, alla situazione familiare complessa dovuta alla separazione dei genitori. Questo Tribunale ritiene tuttavia provato che gli abusi stessi hanno perlomeno concorso a determinare lo stato psicologico fortemente alterato della minore sopra descritto. Ed invero ex articolo 41 c.p. il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalita' fra la azione od omissione e l'evento. Cio' che rileva e' che gli imputati, con le proprie condotte abbiano innescato un meccanismo che ha perlomeno concorso a provocare lo stato ansioso e post traumatico da stress con gesti autolesivi nella minore e che non sussiste alcun fattore sopravvenuto eccezionale e straordinario che possa essere valso ad interrompere il nesso causale con tale evento. Inoltre non si puo' non dare rilievo a quanto riferito dalla dottoressa (OMISSIS), ossia da colei che aveva in cura la minore proprio a ridosso della fine dei fatti, quando questi erano recentissimi e in un periodo in cui la minore portava ancora su di se' i segni tangibili ("i tagli") del dolore. La Dott.ssa (OMISSIS), a differenza delle Dott.sse (OMISSIS) e (OMISSIS), ha peraltro seguito la minore lungo un cammino durato vari mesi, accompagnandola attraverso una terapia che la costringeva a ripercorrere tutte le emozioni provate e ad affrontare la rabbia repressa dentro di se'. Tali considerazioni portano a ritenere la dottoressa (OMISSIS) una osservatrice "privilegiata" della condizione psichica di (OMISSIS). E la psicoterapeuta ha espressamente rilevato la sussistenza di un disturbo post traumatico da stress, alla luce di tutti i segni e i sintomi riscontrati nella minore. Va peraltro osservato che correttamente il reato risulta contestato nel corso del 2015, anno in cui si manifestava la malattia (cfr. deposizione della teste (OMISSIS)), dal momento che il reato di lesioni si consuma nel momento in cui si verifica l'evento che caratterizza la tipologia di lesione provocata". 5.101. Nel confermare, sul punto, la decisione del Tribunale, la Corte di appello, oltre quanto gia' illustrato nel "Ritenuto in fatto" della presente sentenza, ha ribadito (ed aggiunto) che "non uno ma piu' professionisti che (avevano) seguito la ragazza non solo (avevano) riferito delle lesioni, ma le (avevano) ritenute indicatori di una situazione di maltrattamento e di abuso, situazioni che la minore (aveva) subito dagli odierni imputati". I Giudici distrettuali hanno altresi' valorizzato le dichiarazioni della madre della ragazza che aveva riferito del mutamento (in senso peggiorativo) del carattere e dello stato d'animo della figlia a seguito delle condotte subite, oltre che sulle lesioni che la stessa si autoinfliggeva. 5.102. Il ricorrente lamenta il mancato espletamento di una perizia medico-legale che accertasse, con rigore scientifico, l'esistenza della malattia indicata dalla rubrica, essendo insufficienti, a suo dire, le dichiarazioni rese dalle Dott.sse (OMISSIS) e (OMISSIS), e denunzia la sostanziale apparenza della motivazione della sentenza impugnata che aveva "liquidato" le censure difensive facendo proprie le argomentazioni del primo Giudice e valorizzando oltremodo la testimonianza (non qualificata) della madre della persona offesa. 5.103. La perizia, osserva il Collegio, e' mezzo di prova "neutro" che, potendo essere disposto d'ufficio o su richiesta di parte (articolo 508 c.p.p.), e' sottratto alla disponibilita' di queste ultime e rimesso alla discrezionalita' del giudice (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, Rv. 270936 - 01), il quale ben puo' ritenerla superflua quando pensi di poter giungere alle medesime conclusioni di certezza sulla base di altre e diverse prove (Sez. 5, n. 9047 del 15/06/1999, Larini, Rv. 214295 - 01). La relativa decisione puo' viziare il percorso argomentativo della sentenza nella parte in cui deve dar conto dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati con riferimento a tutti gli aspetti della regiudicanda: a) accertamento del fatto; b) accertamento dei fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali; c) punibilita' e determinazione della pena e/o della misura di sicurezza; d) responsabilita' civile derivante da reato (articolo 546 c.p.p., comma 1). Ed e' solo in tale contesto che la decisione del giudice puo' essere sindacata in sede di legittimita' nei termini (e nei limiti) fissati dall'articolo 606 c.p.p., lettera e). 5.104. Ora, in virtu' del principio del libero convincimento del giudice, la perizia non costituisce l'unico ne' obbligato strumento per convogliare nel processo il sapere scientifico, ne' il mezzo di prova tipico-legale previsto a tal fine (nel senso che il reato di lesioni personali puo' essere dimostrato, per il principio del libero convincimento del giudice e per l'assenza di una gerarchia tra i mezzi di prova, sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa, di cui sia stata positivamente valutata l'attendibilita', anche in mancanza di un referto medico che attesti la "malattia" derivata dalla condotta lesiva, si vedano Sez. 3, n. 43614 del 19/10/2021, Rv. 282088 - 01; Sez. 3, n. 42027 del 18/09/2014, Rv. 260986 - 01). Nel caso di specie, che la persona offesa serbasse condotte autolesionistiche cronologicamente successive alla consumazione degli abusi sessuali consumati ai suoi danni e' questione non controversa. Il ricorrente lamenta che tali condotte non possano essere ritenute manifestazione di una "malattia" penalmente rilevante in assenza di una perizia. 5.105. Sennonche', in ossequio a quanto appena detto, nulla impedisce al giudice di ricorrere all'esame del teste "qualificato" quando reputi cio' necessario e sufficiente a ritenere la prova del fatto (dovendosi intendere per testimone "qualificato" non solo e non necessariamente il testimone accreditato per le proprie competenze scientifiche, ma anche quello che, per esempio, ha avuto in cura o si e' occupato per ragioni professionali dello stato di salute mentale della persona offesa; Sez. 1, n. 6969 del 12/09/2017, dep. 2018, Rv. 272605 01; Sez. 3, n. 11096 del 10/12/2013, dep. 2014, Rv. 258891 - 01). Sotto altro profilo, questa Corte ha reiteratamente affermato il principio secondo il quale il divieto di apprezzamenti personali non opera qualora il testimone sia persona particolarmente qualificata che riferisca su fatti caduti sotto la sua diretta percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e specifica attivita' giacche', in tal caso, l'apprezzamento diventa inscindibile dal fatto (Sez. 2, n. 4128 del 09/10/2019, dep. 2020, Cunsolo, Rv. 278086 - 01; Sez. 3, n. 29891 del 13/05/2015, Diuof, Rv. 264444 - 01; Sez. 2, n. 44326 dell'11/10/2010, Tavernari, Rv. 249180 - 01; Sez. 5, n. 38221 del 12/06/2018, Kofilova, Rv. 241312 - 01; Sez. 5, n. 42634 del 29/09/2004, Comberlato, Rv. 230330 - 01). 5.106. Deve dunque essere disattesa l'ulteriore deduzione difensiva per la quale la Dott.ssa (OMISSIS) non avrebbe potuto esprimere valutazioni o pareri sull'interpretazione dei dati di fatto introdotti con la sua testimonianza. Va piuttosto dato atto di quanto gia' il primo Giudice aveva affermato allorquando, descrivendo il contenuto della testimonianza della Dott.ssa (OMISSIS) (testimonianza della quale non e' mai stato dedotto il travisamento, nemmeno in appello), aveva riferito che quest'ultima aveva formulato la diagnosi di disturbo post-traumatico dopo alcune sedute con la ragazza e che aveva deciso di iniziare la tecnica E.D.M.R. proprio perche' specifica per questo tipo di disturbo, cosi' da consentire, come gia' detto, la rievocazione del ricordo senza alcun coinvolgimento emotivo (ricordare, cioe', senza soffrire). 5.107.Cio' che dunque occorre davvero chiedersi, in questa sede, e' se sia manifestamente illogica oppure no la motivazione della sentenza impugnata che, facendo leva sulla testimonianza della Dott.ssa (OMISSIS) (come di tutte le altre testimonianze, anche non qualificate, sopra indicate), e' giunta alla conclusione dell'esistenza della malattia "nella mente" che costituisce l'evento del reato ipotizzato. La risposta non puo' che essere negativa, non sussistendo alcuna evidente frattura logica tra le premesse di fatto del ragionamento indicate in sede di merito e le conclusioni che ne sono state tratte da entrambi i Giudici. Non rilevano, in questa sede, la maggiore o minore persuasivita' di strade alternative, di ulteriori possibili approfondimenti sull'argomento. Qui, come gia' detto, non rileva come il giudice avrebbe potuto decidere ma come ha deciso (in base al solo testo della motivazione, quando non "inquinata" da - in questo caso inesistenti - travisamenti della prova), sicche' l'unica domanda da porsi e' se tale decisione sia manifestamente illogica, intrinsecamente contraddittoria o carente su aspetti decisivi, non se il percorso probatorio suggerito da chi si duole della decisione stessa potesse condurre a conclusioni maggiormente persuasive o piu' tranquillizzanti. L'unico metro di giudizio cui deve ispirarsi la decisione del giudice (ed il ragionamento che la sorregge) e' costituito dal "ragionevole dubbio", sicche' alla domanda se sia ragionevole il dubbio che la persona offesa versasse in uno stato mentale tale da provocare persino gesti autolesionistici non puo' che fornirsi risposta negativa. E tanto basta a ritenere non necessaria, per vincere tale (inesistente) dubbio, la prova scientifica compulsata dal ricorrente in appello e in questa sede per escludere l'evento del reato contestato al capo M della rubrica. 5.108. Sul rapporto di causalita', il ricorso e' del tutto generico (lo era anche l'appello). Gia' il Tribunale era stato chiaro sul punto: le condotte di (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno certamente concorso a cagionare l'evento. Il dubbio nutrito dal primo Giudice non riguardava il nesso di causalita', ma la convergenza di altre possibili cause (il "giudizio" del (OMISSIS), la situazione familiare della vittima) nessuna delle quali, pero', considerate da sole in grado di cagionare l'evento, tenuto altresi' conto di quanto pure affermato dalla Dott.ssa (OMISSIS). Sull'esistenza di cause successive alle condotte degli imputati da sole sufficienti a determinare l'evento, non una sola parola e' stata spesa nel motivo di appello, sicche' non di vede cosa la Corte territoriale avrebbe potuto aggiungere se non prendere atto dell'insistenza di tali cause. 5.109. Il sedicesimo motivo e' manifestamente infondato. 5.110. La Corte di appello ha negato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche rimarcando la mancanza di positivi elementi di valutazione in tal senso. Il ricorrente se ne duole ma effettivamente gli indicatori della possibile attenuazione della pena erano oltremodo generici ed evidentemente gia' tenuti in conto dal primo Giudice che aveva applicato il minimo edittale (sei anni di reclusione) all'epoca previsto per il reato considerato piu' grave (violenza sessuale di gruppo aggravata di cui agli articoli 609-octies e 609-ter c.p.), aumentandola di un anno per la ritenuta circostanza aggravante di cui all'allora articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1). 5.111. Come correttamente ricordato dalla Corte di appello, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce oggetto di un diritto con il cui mancato riconoscimento il giudice di merito si deve misurare poiche', non diversamente da quelle "tipizzate", la loro attitudine ad attenuare la pena si deve fondare su fatti concreti. Il loro diniego puo' essere legittimamente giustificato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'articolo 62 bis, disposta con il Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non e' piu' sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610; Sez. 1, n. 3529 del 22/09/2013, Stelitano, Rv. 195339). 5.112. Peraltro, gia' da prima della suddetta modifica normativa, questa Corte, in tema di attenuanti generiche, aveva affermato il principio di diritto secondo il quale, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa e' quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piu' favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si e' reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non puo' mai essere data per scontata o per presunta, si' da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, e' la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che cio' comporti tuttavia la stretta necessita' della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; nello stesso senso, piu' recentemente Sez. 3, n. 26272 del 07/05/2019, Boateng S., Rv. 276044 - 01, che ha ribadito il principio secondo cui il giudice di merito non e' tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, ne' e' obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza). Ne consegue che l'obbligo di motivazione non sussiste non tanto se la richiesta manca, quanto in caso di richiesta generica che non alleghi gli specifici indicatori di una possibile attenuazione della pena (sulla necessita' della specificita' della richiesta, oltre le pronunce gia' citate, anche Sez. 3, n. 23055 del 23/04/2013, Banic, Rv. 256172; Sez. 1, n. 5917 del 12/03/1990, Bagli, Rv. 184129; Sez. 2, n. 2344 del 13/07/1987, Trocarico, Rv. 177678). La presunzione di non meritevolezza, in ultima analisi, non impone al giudice di spiegare le ragioni della mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche in mancanza di richiesta dell'imputato o in caso di richiesta generica (Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, Rv. 275440; Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Rv. 266460). 5.113. Nel caso di specie, la oggettiva ed evidente gravita' dei fatti imponeva che indicatori di applicazione della pena in misura inferiore al minimo edittale fossero ben piu' specifici della generica allegazione dell'eta', dell'incensuratezza, della mancanza di carichi pendenti e delle condizioni di vita dell'imputato. 5.114. Anche l'ultimo motivo e' totalmente infondato. 5.115. Il ricorrente, insieme con gli altri imputati, e' stato condannato al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili da liquidarsi in separata sede. 5.116. Ora, con riferimento alla condanna al risarcimento del danno in favore dei genitori e del fratello della vittima, il motivo e' assolutamente generico per aspecificita'. Lo era gia' l'appello, sicche' bene ha fatto la Corte territoriale a confermare, facendole proprie, le articolate considerazioni del primo Giudice che alle pagine 273-274 della propria sentenza aveva indicato in maniera specifica i fatti produttivi delle conseguenze pregiudizievoli, in termini di costi morali e materiali, subite da tutti i famigliari della vittima (oltre quest'ultima), la cui liquidazione aveva rimesso al giudice civile. Tali fatti (integranti il cd. "danno evento") e della loro attitudine a produrre un danno risarcibile (cd. "danno conseguenza") non sono mai stati oggetto di contestazione. 5.117. Quanto al danno all'immagine riconosciuto agli enti territoriali, e' appena il caso di osservare che la legittimazione alla costituzione di parte civile dell'ente territoriale che invoca un danno alla propria immagine e' ammissibile anche in riferimento ad un reato commesso da privati in danno di privati, purche' tale tipologia di danno sia in concreto configurabile (Sez. 5, n. 1819 del 27/10/2016, dep. 2017, Montefameglio, Rv. 269124 - 01; Sez. 2, n. 13244 del 07/03/2014, Lazzaro, Rv. 259560 - 01; nel senso che anche nei confronti delle persone giuridiche ed in genere degli enti collettivi, e' configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale qualora il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell'ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana costituzionalmente protetti, qual e' il diritto all'immagine, determinando una diminuzione della considerazione dell'ente o della persona giuridica da parte dei consociati in genere, ovvero di settori o categorie di essi, con le quali il soggetto leso di norma interagisca, cfr. Cass. civ., Sez. L, n. 22396 del 01/10/2013, Rv. 627860 - 01). La risonanza mediatica che la vicenda ha avuto a livello nazionale costituisce danno indicato dai Giudici di merito e non contestato nella corrispondenza a vero; la deduzione difensiva secondo la quale la responsabilita' del danno all'immagine sarebbe da imputare, piuttosto, ai mass media per il modo distorto con cui sarebbero state divulgate le notizie costituisce questione di fatto che non risulta dedotta in appello ed e' in ogni caso del tutto infondata poiche' non esclude la sussistenza del fatto generatore del danno (da non identificarsi nella divulgazione della sua notizia e, dunque, nel diritto di cronaca). 5.118. Con riferimento alla condanna al risarcimento del danno in favore del Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza della Regione Calabria, va in primo luogo esclusa la dedotta "duplicazione" della voce di danno in tal modo asseritamente riconosciuta alla Regione Calabria. A quest'ultima, come detto, il danno riconosciuto e' solo quello all'immagine; al Garante il danno risarcito e' quello relativo alla lesione degli interessi da detto Ufficio tutelato. 5.119. Il Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza e' un'autorita' indipendente di garanzia istituita in Calabria con la Legge Regionale 12 novembre 2004, n. 28, che ne regolamenta il funzionamento conferendo a tale figura specifici poteri e disciplinando le modalita' di nomina, decadenza e cessazione. Viene infatti nominato dal Consiglio regionale per un mandato legato alla durata della legislatura, rinnovabile per una sola volta, e svolge la sua attivita' a tutela dei minori d'eta' in piena autonomia, con indipendenza di giudizio e valutazione, senza vincoli di controllo gerarchico e funzionale. Di qui la sua legittimazione ad essere autonomo portatore di istanze risarcitorie in caso di reati commessi ai danni di infanti e adolescenti. 5.120. Inammissibile, infine, la doglianza relativa alla determinazione del "quantum" delle somme liquidate a titolo di provvisionale, trattandosi di provvedimento non impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, dep. 1991, Capelli, Rv. 186722 - 01; nello stesso, in motivazione, la piu' recente Sez. U, n. 53153 del 27/10/2016, Rv. 268180 - 01, che ritiene applicabile, anche all'istituto della provvisionale, la sospensione dell'esecuzione della condanna civile prevista dall'articolo 612 c.p.p.). Il ricorso dell'Avv. (OMISSIS) 5.121. Il primo motivo pone le medesime questioni oggetto del quarto motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 5.122. Il secondo motivo e' del tutto infondato. 5.123. Va, in termini generali, ricordato che il testimone puo' essere autorizzato a consultare in aiuto alla memoria documenti anche da lui non formalmente redatti, purche' abbia partecipato alle operazioni, agli scambi o ai rapporti cui gli stessi si riferiscono, contribuendo cosi' alla configurazione di quanto in essi riprodotto e manifestando allo stesso modo la volonta' di farlo proprio (Sez. 1, n. 1364 del 08/11/2011, dep. 2012, Soccio, Rv. 251667 - 01; Sez. 2, n. 3317 del 26/11/2010, dep. 2011, Guzzo, Rv. 249039 - 01). 5.124. Nel caso di specie, gli appunti consultati dalla persona offesa nel corso del suo esame erano stati redatti direttamente dalla stessa oppure mediante dettatura al padre, non residuando dubbio alcuno sulla paternita' di tali appunti. 5.125. Peraltro, il ricorrente non precisa nemmeno bene l'oggetto della deduzione: da un lato pare sostenere la mancanza di autorizzazione alla consultazione degli appunti (ma va in contrasto con quanto sostiene la Corte di appello), dall'altra l'impossibilita' tecnica di fornire l'autorizzazione. Inoltre, non precisa: a) se si e' opposto sin da subito all'utilizzo/acquisizione di tali appunti; b) quali parti del racconto sarebbero inficiate dalla dedotta nullita'. La sentenza di primo grado (pag. 25) spiega bene che gli appunti furono utilizzati dalla PG per compiere i primi accertamenti, sicche' resta comunque il risultato investigativo autonomamente acquisito dalla PG su delega del PM. 5.126. Va in ogni caso escluso che la consultazione degli appunti in assenza dell'autorizzazione del giudice determini l'inutilizzabilita' dell'intera testimonianza: la violazione delle regole per l'esame dibattimentale del testimone non da' luogo ne' alla sanzione di inutilizzabilita', poiche' non si tratta di prova assunta in violazione di divieti posti dalla legge, bensi' di prova assunta con modalita' diverse da quelle prescritte; ne' ad una ipotesi di nullita', atteso il principio di tassativita' vigente in materia e posto che l'inosservanza delle norme indicate non e' riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall'articolo 178 c.p.p. (Sez. 1, n. 32851 del 06/05/2008, Sapone, Rv. 241227 - 01; Sez. 1, n. 39996 del 14/07/2005, Grancini, Rv. 232941 - 01). 5.127. A non diversi rilievi si espone il terzo motivo che deduce questioni (violazione del divieto di porre domande nocive; illegittimo ricorso alla valutazione frazionata; utilizzo della tecnica EMDR) gia' oggetto di scrutinio in sede di esame del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). Qui sia sufficiente evidenziare come in realta' il tema introdotto con lo specifico motivo si risolva, di fatto, in una lettura alternativa (e diversa interpretazione) delle dichiarazioni della persona offesa non consentita in questa sede di legittimita'. 5.128. Anche la questione dedotta con il quarto motivo e' gia' stata esaminata in sede di scrutinio del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 5.129. Il quinto motivo introduce un argomento inedito: l'utilizzabilita' o meno dei tabulati acquisiti in violazione di legge. 5.130. Con sentenza del 02/03/2021, la Grande Chambre della C.G.U.E., pronunciando nel caso H.K (causa C-746/18 avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dalla Corte suprema estone), ha affermato che "1. L'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonche' dell'articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale consenta l'accesso di autorita' pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all'ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull'ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di trarre precise conclusioni sulla sua vita privata, per finalita' di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalita' o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, e cio' indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l'accesso ai dati suddetti viene richiesto, nonche' dalla quantita' o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo. 2) L'articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, come modificata dalla direttiva 2009/136, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonche' dell'articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale renda il pubblico ministero, il cui compito e' di dirigere il procedimento istruttorio penale e di esercitare, eventualmente, l'azione penale in un successivo procedimento, competente ad autorizzare l'accesso di un'autorita' pubblica ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all'ubicazione ai fini di un'istruttoria penale". 5.131. Con Decreto Legge n. 132 del 2021, convertito con modificazioni dalla L. n. 178 del 2021, il legislatore e' intervenuto stabilendo che: "Li) dati relativi al traffico telefonico, al traffico telematico e alle chiamate senza risposta, acquisiti nei procedimenti penali in data precedente alla data di entrata in vigore del presente decreto, possono essere utilizzati a carico dell'imputato solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l'accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell'articolo 4 c.p.p., e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia o il disturbo sono gravi" (articolo 1, comma 1-bis). 5.132.Questa Corte, con sentenza Sez. 3, n. 11993 pronunciata All'Udienza pubblica del 16/02/2022, n. m., ha escluso l'inutilizzabilita' tout court dei tabulati telefonici acquisiti dal pubblico ministero prima dell'entrata in vigore del decreto legge in questione richiamando in articolare il p. 43 della citata sentenza della CGUE a mente del quale "(p)er quanto riguarda piu' in particolare il principio di effettivita', occorre ricordare che le norme nazionali relative all'ammissibilita' e all'utilizzazione delle informazioni e degli elementi di prova hanno come obiettivo, in virtu' delle scelte operate dal diritto nazionale, di evitare che informazioni ed elementi di prova ottenuti in modo illegittimo arrechino indebitamente pregiudizio a una persona sospettata di avere commesso dei reati. Orbene, tale obiettivo puo', a seconda del diritto nazionale, essere raggiunto non solo mediante un divieto di utilizzare informazioni ed elementi di prova siffatti, ma anche mediante norme e prassi nazionali che disciplinino la valutazione e la ponderazione delle informazioni e degli elementi di prova, o addirittura tenendo conto del loro carattere illegittimo in sede di determinazione della pena". 5.133. Tale principio e' stato ribadito da Sez. 3, n. 11991 del 31/01/2022, Novellino, Rv. 283029 - 01, secondo cui la disciplina transitoria introdotta dal Decreto Legge 30 settembre 2021, n. 132, articolo 1, comma 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2021, n. 178, che ha consentito, a determinate condizioni, l'utilizzazione dei dati relativi al traffico telefonico, al traffico telematico e alle chiamate senza risposta pur acquisiti nei procedimenti penali in data antecedente all'entrata in vigore del Decreto Legge citato, e' compatibile con l'articolo 15, par. 1, della Direttiva 2002/58/CE, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni, modificata dalla Direttiva 2009/136/CE, in quanto, in un'ottica di ragionevole ed equilibrato contemperamento di interessi diversi, persegue la finalita' di non disperdere dati gia' acquisiti, subordinandone la utilizzazione alla significativa illiceita' penale di predeterminate ipotesi per cui e' consentita l'acquisizione a regime e alla sussistenza di "altri elementi di prova", quale requisito di compensazione della mancanza di un provvedimento giudiziale di autorizzazione all'acquisizione stessa, necessario nella disciplina a regime (in senso conforme, Sez. 6, n. 24770 del 10/02/2022, n. m.; Sez. 6, n. 9204 del 01/03/2022, n. m.). 5.134. Non vi e' dunque alcuna necessita' di sollevare la dedotta questione di legittimita' costituzionale. Del resto, incontestata la oggettiva gravita' dei reati per i quali di procede, e' evidente che la prova della loro sussistenza non si fonda esclusivamente sui tabulati, i quali semmai, costituiscono solo uno dei tanti elementi di "riscontro" delle dichiarazioni della persona offesa. 5.135. Il sesto motivo muove da un dato del tutto errato: il telefono che il (OMISSIS) aveva a disposizione all'epoca della consumazione del reato di cui al capo A era un iPhone A6 (entrato in produzione nel 2012), non un iPhone 6 (entrato in produzione nel 2014). Nel resto, propone argomenti gia' esaminati in sede di scrutinio del primo e del nono motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 5.136. Anche il settimo, l'ottavo, il nono ed il decimo motivo deducono questioni gia' ampiamente esaminate in sede di scrutinio del ricorso dell'Avv. (OMISSIS). 5.137. L'undicesimo motivo riguarda il capo M della rubrica, gia' esaminato in sede di scrutinio del quindicesimo motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 5.138. Richiamate le considerazioni ivi svolte, quanto al dolo del reato, il Tribunale aveva ritenuto sufficiente il dolo eventuale, osservando che il ricorrente e lo (OMISSIS) avevano accettato il rischio "del grave danno psicologico derivato alla minore che ha portato la stessa ad infliggersi dei gesti di autolesionismo". In sede di appello, l'Avv. (OMISSIS) aveva dedotto che gli imputati piu' che rappresentarsi le singole condotte poste in essere con (e ai danni di) (OMISSIS) (e ritenute antecedenti con-causali dell'evento ascritto al capo M) non avrebbero potuto fare, trattandosi di ragazza che gia' da undici anni aveva avuto rapporti sessuali con uomini di ogni eta' e con la quale essi stessi avevano avuto rapporti consenzienti ritenuti del tutto leciti. Non vi erano dunque segnali percepibili (e certamente non da persone culturalmente e psicologicamente non attrezzate) della futura malattia. La Corte di appello ha confermato, sul punto, il giudizio del tribunale, espressamente condiviso e fatto proprio. 5.139. Orbene, osserva la Corte di cassazione che le deduzioni difensive sono generiche (lo erano gia' in appello) e fattuali poiche', prima ancora della questione di diritto, pongono a fondamento del proprio ragionamento un fatto radicalmente diverso da quello ricostruito dai Giudici di merito; la postulazione che la persona offesa non avesse mai mostrato timidezza o imbarazzo o disagio contrasta irrimediabilmente con quanto accertato in sede di merito e mina dalle fondamenta il ragionamento difensivo rendendolo, appunto, parziale e generico. 5.140. Ne segue l'insostenibilita' della possibile "riqualificazione" del reato ai sensi dell'articolo 586 c.p. motivata, in sede di atto di appello, proprio con l'assenza di condotte violente e/o prevaricatrici ai danni della vittima, immotivatamente escluse dal (gravissimo) quadro di abusi e sfruttamento ai danni della ragazza emerso dalla completa lettura delle sentenze di primo e di secondo grado. 5.141. Il terzo profilo (erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all'articolo 576 cpv. c.p., n. 5) e' anch'esso infondato. La rubrica imputa al ricorrente ed allo (OMISSIS) di "aver commesso il fatto (di cui al capo M) in occasione dell'esecuzione di delitti contro la liberta' personale sopra citati di cui agli articoli 609-quater e octies (...) c.p.". Il ricorrente deduce la dissociazione temporale tra la "malattia" (evento del reato di lesioni personali) e le specifiche condotte delittuose (antecedente casuale) contemplate dalla fattispecie aggravante, dissociazione che esclude il rapporto di "occasionalita'" previsto quale elemento tipico (dovendosi intendere il requisito della "occasionalita'" quale concomitanza, coincidenza cronologica). 5.142. Sennonche', la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo abbandonato l'interpretazione proposta dal ricorrente, avendo escluso la necessita' della contestualita' tra condotte (cosi' Sez. 1, n. 29167 del 26/05/2017, Nwajiobi, Rv. 270281 - 01, che ha rigettato il ricorso dell'imputato avverso la sentenza che riteneva sussistente il concorso tra i due reati, in ragione della netta cesura temporale tra l'atto sessuale e l'omicidio successivamente commesso). 5.143. Va peraltro aggiunto che, in tema di lesioni personali volontarie, il "fatto" aggravato ai sensi dell'articolo 576 c.p., comma 1, n. 5), deve essere inteso nella sua interezza, comprensivo, cioe', non solo dell'evento (la malattia) che costituisce elemento costitutivo del reato e che puo' prodursi anche a distanza di tempo dalla condotta che lo cagiona, ma anche la condotta (causa dell'evento). L'interpretazione proposta dal ricorrente e' fuorviante perche' si traduce in una "mutilazione" della fattispecie incriminatrice e di quella aggravante non potendosi tollerare artificiose scomposizioni del fatto stesso tali da escludere l'occasionalita' (della condotta) quando l'evento si produca a distanza di tempo. 5.144. Sicche', ai fini della circostanza aggravante di cui all'articolo 576 c.p., comma 1, n. 5, e' sufficiente che il rapporto di "occasionalita'" tra il fatto lesivo dell'incolumita' individuale (articolo 582 c.p.) e quello lesivo della liberta' sessuale (articolo 609-bis, 609-quater, 609-octies, c.p.) riguardi anche solo la condotta in quanto comunque elemento costitutivo del fatto. 5.145. L'infondatezza del dodicesimo motivo e' gia' stata illustrata in sede di esame del sedicesimo motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). Basti qui aggiungere che il ricorso propone una non consentita rivisitazione, in sede di legittimita', del criterio adottato dai giudici di merito per escludere l'ulteriore attenuazione della pena gia' fissata, come detto, in misura corrispondente al minimo edittale. 5.146. Il tredicesimo motivo sollecita una inammissibile rivalutazione dei fatti che i Giudici di merito hanno ritenuto produttivi del danno risarcibile, tant'e' che il relativo motivo replica, quasi alla lettera, il corrispondente motivo di appello, con conseguente genericita' delle odierne deduzioni difensive. Deve essere esclusa, come gia' detto, la possibilita' di impugnare in questa sede, il capo relativo alla condanna alla "provvisionale". Valgano, nel resto, le considerazioni gia' svolte in sede di analogo motivo del ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 5.147. I motivi nuovi di ricorso (in parte gia' esaminati) saranno scrutinati in sede di esame del ricorso dello (OMISSIS). 6. Il ricorso di (OMISSIS) 6.1. I primi sette motivi deducono gli stessi vizi oggetto del ricorso dello (OMISSIS) a firma dell'Avv. (OMISSIS). E' sufficiente pertanto rimandare a quanto gia' osservato in sede di esame del predetto ricorso. 6.2. L'ottavo e il nono motivo (il settimo e l'ottavo nel ricorso) riguardano il capo L della rubrica che imputa al ricorrente di avere compiuto sulla persona offesa atti sessuali di gruppo insieme con l'allora minorenne (OMISSIS) (nei cui confronti si e' proceduto separatamente). In particolare, il (OMISSIS) - con il quale la (OMISSIS) aveva nel frattempo allacciato una relazione sentimentale dopo aver interrotto quella con lo (OMISSIS) - l'aveva portata presso l'abitazione dello (OMISSIS) che, con minaccia e con violenza (consistita nello spingere la minore contro il muro e sul letto e nel dirle "ora tu ti metti qua e facciamo quello che dobbiamo fare"), l'aveva costretta a subire un rapporto sessuale da parte di entrambi. Il fatto e' contestato come commesso in (OMISSIS), con l'aggravante, per il ricorrente, di essersi avvalso di una persona minore per la commissione di un reato per il quale e' previsto l'arresto in flagranza, nonche' di aver arrecato alla predetta minore un pregiudizio psicologico grave. 6.3. Il Tribunale descrive il contesto nel quale e' avvenuto il fatto e ricorda che "in quel periodo (OMISSIS) aveva instaurato una relazione sentimentale con un'altra ragazza ed era divenuto maggiormente scostante e che anche lei, nel frattempo, aveva deciso di smettere di avere tutti quei rapporti; non aveva infatti piu' sentito nessuno dei soggetti coinvolti nelle varie vicende. Era poi capitato che (OMISSIS) le inviasse dei messaggi chiedendole come stava e dove si trovava, messaggi ai quali la minore non aveva mai risposto. (OMISSIS), risentito per l'atteggiamento di chiusura della minore, le rispondeva "Ammazzati". L'esistenza di tale messaggio e' stata peraltro confermata anche dalla (OMISSIS), poiche' quest'ultima ricordava che in una circostanza la figlia glielo aveva fatto leggere". E' in questo periodo - ricorda il Tribunale - che la (OMISSIS) aveva conosciuto il (OMISSIS), "figlio di un barbiere del paese e piu' giovane rispetto agli altri; egli le aveva inizialmente chiesto l'amicizia su Facebook e poi manifestato il suo interesse. I due iniziavano cosi a scambiarsi dei messaggi dall'inizio del 2015 (...) Dal racconto di (OMISSIS) - affermano i primi Giudici - e' emerso come la stessa sperasse in un rapporto normale e serio con il ragazzino dopo aver chiuso con le vicende pregresse; tuttavia, la persona offesa - alla luce di quanto gia' accaduto con altri ragazzi coinvolti - manifestava a (OMISSIS) il timore di essere presa in giro". Dunque, ribadisce il Tribunale sulla scorta delle dichiarazioni rese dalla persona offesa trascritte "in parte qua" nella sentenza, quest'ultima nutriva speranze pur temendo di essere presa in giro, timore che diventava realta' proprio quel (OMISSIS) allorquando fu consumata la violenza contestata al capo L. Quel giorno, scrive il Tribunale, la (OMISSIS) era uscita da scuola verso le 9,30 del mattino perche' c'era assemblea di istituto e si era recata a casa della sua compagna di classe (OMISSIS) ove il (OMISSIS) sarebbe andata a prenderla con la "macchinina". Una volta salita in macchina, il ragazzo che, alle ore 9,16 di quello stesso giorno si era sentito con lo (OMISSIS) (pag. 252 della sentenza di primo grado), l'aveva portata a casa di quest'ultimo senza che la (OMISSIS) sapesse alcunche' dell'intenzione del suo accompagnatore. In quella circostanza era stata costretta ad avere rapporti sessuali con i due. 6.4. Il Tribunale ha affermato la penale responsabilita' dell'imputato ritenendo: 6.4.1. attendibile la versione fornita dalla minore in quanto coerente e dettagliata (l'unica imprecisione aveva riguardato un aspetto ritenuto del tutto secondario e, per di piu', non oggetto di contestazione, ossia la vaghezza del ricordo in ordine alla presenza o meno, fuori dalla casa di (OMISSIS), dell'auto dello (OMISSIS)) nonche' dotata di molteplici riscontri quali: a) la testimonianza dell'amica dalla quale la minore si era recata dopo l'accaduto, che aveva confermato il dichiarato della persona offesa, sia con riferimento a quanto riportatole in merito all'episodio in esame, sia con riferimento alle confidenze fatte dalla minore in quella stessa occasione in merito alle precedenti vicende di violenza sessuale subite; b) le note del cellulare della minore, ricopiate dalla stessa su un foglio, nelle quali risultava indicato l'incontro del (OMISSIS) con (OMISSIS) e (OMISSIS); l'analisi dei tabulati telefonici (dai quali, con riferimento a quel giorno, era risultato: un contatto telefonico tra i due imputati e nessun contatto telefonico tra questi e la minore; che l'utenza della minore aveva, nelle prime ore del mattino, agganciato le celle di (OMISSIS) - confermando che la stessa era rimasta a scuola fino alle 9.30, orario di uscita - e, successivamente, quelle di (OMISSIS), in orario compatibile con quanto da lei indicato; che dalle ore 11.12 alle ore 12.25 del (OMISSIS) le utenze della minore e dei due coimputati erano agganciate alla stessa cella telefonica); 6.4.2. sussistente la condotta di costrizione realizzata da (OMISSIS) non solo perche' la minore, in occasione della domanda che le era stata posta dal GIP al fine di individuare un discrimine tra i rapporti da lei voluti e quelli non voluti, aveva indicato proprio l'episodio in esame come quello in cui era stata costretta a subire il rapporto, ma anche perche', nel caso di specie, era dimostrata ogni oltre ragionevole dubbio la manifestazione del dissenso da parte della minore che, a differenza degli episodi contestati ai capi I), J) e K), aveva mostrato di aver mutato il proprio atteggiamento nei confronti di (OMISSIS) non avendo piu' avuto, con lui, alcun tipo di contatto, neanche telefonico (non rispondendo da tempo ai suoi messaggi). A riprova di tale chiusura e del netto distacco della minore, e conseguentemente della necessita', per (OMISSIS), di coartare la sua volonta' per spingerla ad avere un rapporto sessuale, il Tribunale aggiunge sia la circostanza che (OMISSIS) aveva avuto la necessita' di avvalersi di un altro soggetto, (OMISSIS), per farla tornare da lui, sia che, in tal caso, (OMISSIS) non si era limitato alle sole minacce, verbali o comunque espresse dallo sguardo intimidatorio, avendo dovuto, invece, far ricorso anche all'aggressione fisica (spingendo la minore sul letto quando la stessa voleva allontanarsi dalla camera da letto); 6.4.3. sussistente il dolo del reato contestato, avendo avuto, (OMISSIS), piena consapevolezza della partecipazione di (OMISSIS) e del dissenso della minore; 6.4.4. pienamente integrata la condotta tipica della violenza sessuale di gruppo in quanto, alla luce dell'orientamento giurisprudenziale secondo cui non e' necessario che ciascun compartecipe compia personalmente atti sessuali con la vittima, pur a non voler ritenere dimostrata la consumazione del rapporto sessuale tra la minore e (OMISSIS) (stante la vaghezza manifestata, sul punto, dalla minore la quale, in un primo momento, ha negato il rapporto con quest'ultimo per poi, invece, confermarlo), deve comunque ritenersi sussistente un suo contributo effettivo alla consumazione del reato in ragione del gia' descritto comportamento minaccioso tenuto dallo stesso nonche' della particolare insidiosita' della sua condotta essendosi, come detto, servito di un soggetto minore ( (OMISSIS)) per raggiungere i suoi scopi; 6.4.5. per quanto detto, integrate le aggravanti di cui all'articolo 112 c.p. (per essersi avvalso di un minore di anni diciotto e/o per avere, con lo stesso, partecipato alla commissione di un delitto per il quale e' previsto l'arresto in flagranza) e articolo 609-ter c.p., n. 5-sexies, (per aver causato alla minore un pregiudizio grave). 6.5. La Corte di appello ha condiviso il giudizio del Tribunale in base agli ulteriori argomenti gia' illustrati nel "Ritenuto in fatto" della presente sentenza. 6.6. Il ricorrente deduce l'illogicita' della decisione proponendo, in ultima analisi, un progetto di decisione alternativa fondato sulla maggiore persuasivita' degli argomenti difensivi, non senza incursioni nel materiale probatorio (le dichiarazioni della stessa persona offesa e della sua amica, il contenuto dei messaggi scambiati con il (OMISSIS)) del quale piu' che il travisamento viene in sostanza lamentata un'errata valutazione e che comunque, in violazione del principio di autosufficienze, non e' allegato al ricorso. Per esempio, si da' per scontato un fatto che i Giudici di merito hanno concordemente escluso: che tra la persona offesa e uno degli autori della violenza (il (OMISSIS), appunto) fossero intercorsi messaggi dal contenuto distensivo, incompatibili, sul piano logico, con una violenza (definita dalla PO, la piu' brutta) appena subita. Nemmeno in appello il ricorrente aveva escluso del tutto, pur negandola sul piano logico (e non su quello del travisamento del dato probatorio), la possibile anteriorita' di tali messaggi alla violenza (pag. 44, appello a firma Avv. (OMISSIS); pag. 63, appello a firma dell'Avv. (OMISSIS)); l'informazione probatoria (collocazione temporale di tali messaggi), pur messa in dubbio nell'atto di appello, viene in questa sede data per certa e denunziata come travisata dalla Corte di appello: tali messaggi - si afferma - sono sicuramente successivi e l'informazione probatoria che ne e' stata tratta e' stata travisata. Appare evidente l'inammissibilita' di un simile approccio. 6.7. Altro tema difensivo riguarda il malgoverno logico della prova costituita dai tabulati telefonici, dei quali tuttavia non viene dedotto il travisamento. Cio' esclude la possibilita' della Corte di cassazione di trarne una qualunque conclusione, essendone precluso l'esame (ancorche' prodotti in questa sede). Oltretutto, che dall'esame dei tabulati si dovesse evincere che la persona offesa si trovasse altrove al momento della riferita violenza e' circostanza che nemmeno gli appelli dell'imputato avevano osato affermare con precisione e nettezza. L'appello a firma dell'Avv. (OMISSIS) non lo afferma affatto; quello dell'Avv. (OMISSIS) ne fa un intercalare, ma l'argomento difensivo era un altro (e non riprodotto in questa sede): l'assenza dello (OMISSIS) (pag. 62 dell'appello). Sicche', la risposta fornita dalla Corte di appello non e' manifestamente illogica e comunque va coniugata con gli altri elementi di prova, pure indicati in sede di merito, alcuni dei quali nemmeno dedotti in questa sede. Ci si riferisce, in particolare: a) a quanto riferito dallo stesso ricorrente in sede di esame, allorquando aveva affermato che il (OMISSIS) un giorno gli aveva chiesto le chiavi di casa (pag. 173 della sentenza di primo grado); b) al certo e non contestato contatto telefonico che il (OMISSIS) e lo (OMISSIS) avevano avuto quella stessa mattina (se ne e' fatto cenno sopra); c) allo sfogo con l'amica (OMISSIS), che comunque vi era stato a conferma dello stato d'animo non certo sereno di una persona che, in tesi, avrebbe appena consumato un rapporto sessuale consenziente. 6.8. Se, dunque, la deduzione compendiata nell'ottavo motivo e' la seguente: la Corte di appello ha disatteso gli argomenti difensivi travisando le prove, tale deduzione va rigettata, se non proprio dichiarata inammissibile. 6.9. Va infine ricordato che la violenza posta in essere nei confronti della vittima e' stata fisica, non solo morale, con quanto ne consegue in termini di tenuta logica della dedotta impermeabilita' della (OMISSIS) alle minacce dello (OMISSIS) (che', anzi, proprio sul piano logico, quella asserita impermeabilita' puo' aver determinato il ricorso alla violenza fisica, cio' che prova la non manifesta illogicita' della decisione impugnata). 6.10. La questione dedotta con il nono motivo e' inammissibile perche' non risulta essere stata specificamente devoluta in appello. Non v'e' traccia, nell'esposizione del motivo, della motivazione della sentenza di secondo grado oggi impugnata. 6.11. Il decimo motivo e' infondato. 6.12. Il tema riguarda il rapporto tra la circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies, seconda parte, introdotta dal Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 39, articolo 1, comma 2, e il delitto di lesioni personali di cui all'articolo 582 c.p., aggravato ai sensi dell'articolo 576 c.p., comma 1, n. 5. 6.13. E' sufficiente osservare, al riguardo, che le lesioni personali di cui al capo M costituiscono l'evento (anche) delle violenze sessuali di gruppo descritte ai capi E) ed L) e che solo per quella rubricata al capo L) e' stata ritenuta e applicata la circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies. Il che esclude la dedotta violazione del "ne bis in idem" sostanziale sotto il profilo del mancato assorbimento dell'una fattispecie (le lesioni) nell'altra (le violenza sessuale di gruppo aggravata): le lesioni sono conseguenza unica di plurime condotte, non tutte aggravate ai sensi dell'articolo 609-ter, n. 5-sexies cit. 6.14. In termini piu' generali deve essere respinta la tesi difensiva del reato complesso o del rapporto di specialita' tra fattispecie. 6.15. Il reato e' complesso quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato (articolo 84 c.p.). La dottrina suole distinguere il reato complesso in senso stretto da quello in senso lato: il reato complesso in senso stretto e' quello per la cui sussistenza, secondo il tenore letterale dell'articolo 84 c.p., sono necessari almeno due reati; il reato complesso in senso lato e' quello per la cui sussistenza e' sufficiente un solo reato con l'aggiunta di ulteriori elementi di per se' non costituenti reato. Un'ulteriore distinzione, non unanimemente condivisa dalla dottrina, riguarda la classificazione dei reati complessi in "necessariamente complessi" o "eventualmente complessi", a seconda che sia possibile o meno realizzare la fattispecie "complessa" commettendo necessariamente il reato che la integra oppure no. Il reato necessariamente complesso non puo' prescindere, a fini della sua integrazione, dalla consumazione della condotta che di per se' costituisce autonomo reato; il reato eventualmente complesso puo' invece prescinderne come nel caso, per esempio, dei reati a base violenta posti in essere senza commettere i delitti di percosse o lesioni (si pensi alla violenza sessuale consumata mediante il toccamento repentino e fugace delle zone erogene della vittima). 6.16. La giurisprudenza di questa Corte e' da tempo assestata su un approccio ispirato all'insegnamento, piu' volte autorevolmente ribadito, secondo il quale, nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri valutativi diversi da quello di specialita' previsto dall'articolo 15 c.p., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l'implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore (Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668 - 01, che richiama, in motivazione, Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865; Sez. U., n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962; Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, Marino, Rv. 232302; Sez. U,. n. 23427 del 09/05/2001, Ndiaye, Rv. 218771; Sez. U, n. 22902 del 28/03/2001, Tiezzi, Rv. 218874). La Corte ha sempre respinto il tentativo di ampliare il concorso apparente di norme alle figure dell'assorbimento, della consunzione e dell'ante-fatto o post-fatto non punibile in quanto "classificazioni ritenute (...) prive di sicure basi ricostruttive, poiche' individuano elementi incerti quale dato di discrimine, come l'identita' del bene giuridico tutelato dalle norme in comparazione e la sua astratta graduazione in termini di maggiore o minore intensita', di non univoca individuazione, e per questo suscettibili di opposte valutazioni da parte degli interpreti" (cosi' in motivazione, Sez. U, Stalla). Tale criterio, spiega la Corte, non e' lesivo del divieto di "bis in idem" sostanziale sanzionato sia dall'articolo 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione EDU e dall'articolo 50 della CDFUE, che dall'articolo 649 c.p.p. (come "ridefinito" dalla sentenza della Corte Cost. n. 200 del 2016). 6.17. La questione dunque posta dal ricorrente deve essere valutata secondo i criteri risolutivi del concorso apparente di norme posti dagli articoli 15 e 84 c.p.. 6.18. Il criterio di specialita' (articolo 15 c.p.) richiede che, ai fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme puo' ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle (Sez U, Giordano, cit.). 6.19. Come precisato da Sez. U, Di Lorenzo, cit., la specialita' tra fattispecie puo' essere declinata in vari modi: a) specialita' unilaterale, che si realizza con la specificazione dei requisiti dell'altra fattispecie (specialita' per specificazione) o con l'aggiunta di elementi ulteriori rispetto all'altra fattispecie (specialita' per aggiunta); b) specialita' bilaterale o reciproca, che si realizza quando l'aggiunta o la specificazione si verificano con riferimento sia all'ipotesi generale che a quella specifica. Nel caso della specialita' unilaterale se si elimina la specificazione o l'aggiunta si ricade nell'ipotesi generale; nel caso della specialita' bilaterale, invece, sorgono maggiori difficolta' perche' non esistono criteri, se non di ordine logico, idonei a spiegare in modo inequivoco che cosa si intenda per norma speciale. 6.20. Escluso il ricorso ai criteri di sussidiarieta' e consunzione, in quanto non tipizzati e tendenzialmente in contrasto con il principio di legalita', le Sezioni Unite Di Lorenzo ritengono applicabile il criterio regolatore della "stessa materia" espressamente indicato dall'articolo 15 c.p.: "E' (...) da ritenere che per "stessa materia" debba intendersi la stessa fattispecie astratta, lo stesso fatto tipico di reato nel quale si realizza l'ipotesi di reato", non avendo immediata rilevanza l'interesse tutelato dalle norme incriminatrici, "perche' si puo' avere identita' di interesse tutelato tra fattispecie del tutto diverse, come il furto e la truffa, offensive entrambe del patrimonio, e diversita' di interesse tutelato tra fattispecie in evidente rapporto di specialita', come l'ingiuria, offensiva dell'onore, e l'oltraggio a magistrato in udienza, offensivo del prestigio dell'amministrazione della giustizia". L'identita' di materia - afferma la sentenza - si ha sempre nel caso di specialita' unilaterale per specificazione perche' l'ipotesi speciale e' ricompresa in quella generale; ma cio' si verifica anche nel caso di specialita' reciproca per specificazione (si veda per es. il rapporto tra articoli 581 e 572 c.p.) ed e' compatibile anche con la specialita' unilaterale per aggiunta (per es. 605 e 630) e con la specialita' reciproca parte per specificazione e parte per aggiunta (articolo 641 c.p. e L. Fall., articolo 218). L'identita' di materia e' invece da escludere nella specialita' reciproca bilaterale per aggiunta nei casi in cui ciascuna delle fattispecie presenti, rispetto all'altra, un elemento aggiuntivo eterogeneo (per es. violenza sessuale e incesto: violenza e minaccia nel primo caso; rapporto di parentela o affinita' nel secondo). Perche' possa ritenersi applicabile l'articolo 15 c.p. - affermano le Sezioni unite - "e' necessario che i reati abbiano la stessa obiettivita' giuridica nel senso che deve trattarsi di reati che devono disciplinare tutti la medesima materia ed avere identita' di struttura. Tale e', per es., il rapporto tra le fattispecie criminose previste dagli articoli 610 e 611 c.p. o tra quelle previste dagli articoli 624 e 626 c.p. Si e' gia' visto invece che, nel caso di specialita' bilaterale o reciproca, il problema e' di meno agevole soluzione proprio perche' entrambe le fattispecie (ma potrebbero essere anche piu' di due) presentano, rispetto all'altra, elementi di specialita'. Giurisprudenza e dottrina si rifanno a indici diversi che possono cosi' indicativamente riassumersi: - i diversi corpi normativi in cui le norme sono ricomprese (per es. c.c. e L. Fall.); specialita' tra soggetti (per es. 616 e 619 c.p.); - la fattispecie dotata del maggior numero di elementi specializzanti. Nei casi di specialita' reciproca spesso e' la stessa legge a indicare quale sia la norma prevalente con una clausola di riserva che puo' essere: - determinata (al di fuori delle ipotesi previste dall'ad); - relativamente determinata (si individua una categoria: per es.: se il fatto non costituisce un piu' grave reato); - indeterminata (quando il rinvio e' del tipo se il fatto non e' previsto come reato da altra disposizione di legge)". 6.21. Alla luce delle considerazioni che precedono si deve escludere che tra il reato di cui all'articolo 609-bis c.p. (ancorche' aggravato ai sensi dell'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies, seconda parte) e quello di cui all'articolo 582 c.p. (ancorche' aggravato ai sensi dell'articolo 576 c.p., comma 1, n. 5) sussista un rapporto di specialita'. 6.22. Per quanto entrambi i reati possano essere commessi con violenza e generare le medesime conseguenze lesive, lo stesso legislatore esclude il reato complesso quando la violenza posta in essere ai fini della consumazione del reato di violenza sessuale superi la soglia delle percosse (articolo 581 cpv. c.p.). 6.23. Va inoltre escluso che il delitto di lesioni personali di cui all'articolo 582 c.p., costituisca, nella sua interezza, circostanza aggravante tipica di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies, seconda parte, e cio' per vari motivi. 6.24. In primo luogo, il concetto di "pregiudizio grave" di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies e' piu' ampio di (ed anche diverso da) quello di "malattia nel corpo o nella mente" di cui all'articolo 582 c.p. La "malattia" puo' costituire una "species" del pregiudizio e, tuttavia, la circostanza aggravante in questione contiene un elemento specializzante (l'eta' della persona offesa) del reato di lesioni personali volontarie che non costituisce elemento integrante, ne' circostanza aggravante del delitto di cui all'articolo 582 c.p.. 6.25. In secondo luogo, il pregiudizio tipizzato dall'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies, puo' essere conseguenza di una violenza sessuale non necessariamente commessa con violenza, non perlomeno con quella richiesta ai fini dell'integrazione del delitto di percosse. La violenza fisica tipizzata dall'articolo 582 c.p. puo' costituire solo una delle modalita' esecutive del reato di violenza sessuale ed in tal caso, come detto, la previsione contenuta nell'articolo 581 cpv. c.p., esclude sempre e comunque l'assorbimento del reato di lesioni personali in quello di violenza sessuale, assorbimento implicitamente escluso anche dalla circostanza aggravante di cui all'articolo 576 c.p., comma 1, n. 5). 6.26. Infine, la diversa l'oggettivita' giuridica dei due reati (la liberta' sessuale e l'incolumita' personale) costituisce ulteriore argomento a sostegno del concorso formale tra reati. 6.27.Gli altri motivi di ricorso propongono questioni gia' esaminate in sede di scrutinio del ricorso dello (OMISSIS) a firma dell'Avv. (OMISSIS). 6.28.Va solo precisato, quanto al diniego dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio, che la Corte di appello ha rigettato la richiesta in base ad argomenti (pag. 139 della sentenza impugnata) non sindacabili in questa sede perche' tutt'altro che stereotipati e che fanno leva anche sulla congruita' della pena irrogata in primo grado che, sia detto per inciso, e' stata determinata ponendo a base del calcolo una pena prossima al minimo edittale del reato ritenuto piu' grave (articolo 609-octies c.p., rubricato al capo L). I motivi aggiunti. 6.29. Il primo motivo aggiunto e' infondato. 6.30. Va, innanzitutto, ribadito l'insegnamento della Corte di cassazione secondo il quale, in tema di testimonianza del minore vittima di abusi sessuali, il giudice non e' vincolato, nell'assunzione e valutazione della prova, al rispetto delle metodiche suggerite dalla cd. "Carta di Noto", salvo che non siano gia' trasfuse in disposizioni del codice di rito con relativa disciplina degli effetti in caso di inosservanza, di modo che la loro violazione non comporta l'inutilizzabilita' della prova cosi' assunta; tuttavia, il giudice e' tenuto a motivare perche', secondo il suo libero ma non arbitrario convincimento, ritenga comunque attendibile la prova dichiarativa assunta in violazione di tali metodiche, dovendo adempiere ad un onere motivazionale sul punto tanto piu' stringente quanto piu' grave e patente sia stato, anche alla luce delle eccezioni difensive, lo scostamento dalle citate linee guida (Sez. 3, n. 648 dell'11/10/2016, dep. 2017, Rv. 268738 - 01; Sez. 3, n. 39411 del 13/03/2014, Rv. 262976 - 01). 6.31. Nel caso di specie, come gia' visto, i Giudici di merito hanno diffusamente spiegato le ragioni della affermata credibilita' della persona offesa con motivazione che, come gia' osservato da questa Corte in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS) e dello stesso (OMISSIS), e' immune dalle censure sin qui proposte. 6.32. Inoltre, la violazione di tali metodiche non puo' costituire di per se' motivo di ammissione della prova ai sensi dell'articolo 190-bis c.p.p. E cio' sia perche' la rinnovazione della prova dichiarativa potrebbe costituire essa stessa violazione delle predette linee-guida (che sconsigliano la reiterazione degli esami che potrebbe pregiudicare la credibilita' del racconto), sia perche' e' necessario evitare fenomeni di cd. "vittimizzazione secondaria". Come gia' affermato da questa Corte, "fila Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota anche come Convenzione di Istanbul, dell'11 maggio 2011, all'articolo 18, stabilisce che gli Stati firmatari si impegnano ad "evitare la vittimizzazione secondaria". Essa consiste nel far rivivere le condizioni di sofferenza a cui e' stata sottoposta la vittima di un reato, ed e' spesso riconducibile alle procedure delle istituzioni susseguenti ad una denuncia, o comunque all'apertura di un procedimento giurisdizionale. La vittimizzazione secondaria e' una conseguenza spesso sottovalutata proprio nei casi in cui le donne sono vittima di reati di genere, e l'effetto principale e' quello di scoraggiare la presentazione della denuncia da parte della vittima stessa" (Cass. civ., Sez. U, n. 35110 del 17/11/2021). 6.33. Vero e' che questa Corte ha affermato il principio di diritto secondo il quale, nel giudizio di appello non e' di per se' di ostacolo alla rinnovazione delle prova dichiarativa la condizione di "vulnerabilita'" del teste gia' esaminato nel corso di incidente probatorio, non rilevando tale qualita' soggettiva ai fini della valutazione del giudice circa la necessita' della ulteriore escussione, sia pure con le opportune cautele che tutelino la serenita' del teste debole (Sez. 3, n. 10378 del 08/10/2020, Rv. 278540 - 01). Tuttavia, in quel caso, veniva in rilievo la violazione dell'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, avendo il giudice dell'appello riformato la sentenza assolutoria di primo grado senza rinnovare l'istruttoria dibattimentale. 6.34. Va piuttosto evidenziato che, con altra pronuncia, questa Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 190-bis c.p.p., in relazione agli articoli 3, 24 e 111 Cost. ed all'articolo 6 della Convenzione EDU - nella parte in cui, in presenza di specifiche esigenze, sottrae al contraddittorio dibattimentale la persona offesa maggiorenne dichiarata particolarmente vulnerabile - atteso che tale peculiare regime, di carattere processuale, si giustifica per l'esigenza di prevenire l'usura delle fonti di prova, in tale ipotesi particolarmente stringente, e che si tratta di dichiarazioni provenienti da soggetti gia' esaminati nel rispetto della oralita' e delle regole del contraddittorio, essendo rimessa alla discrezionalita' del legislatore la scelta di graduare forme e livelli diversi di contraddittorio purche' sia garantito il diritto di difesa (Sez. 3, n. 10374 del 29/11/2019, dep. 2020, Rv. 278546 - 02; con la stessa sentenza, la Corte ha affermato che la disciplina di cui all'articolo 190-bis c.p.p., come modificato dal Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, che, nei procedimenti per reati sessuali, ha esteso alla vittima dichiarata vulnerabile, a prescindere dalla sua eta', il particolare regime per la rinnovazione dell'assunzione della testimonianza, si applica anche alla prova dichiarativa assunta nel corso di incidente probatorio tenutosi in data antecedente alla sua entrata in vigore, in quanto disposizione processuale, priva di effetti sostanziali, incidente sulla modalita' di assunzione della prova). 6.35. E' dunque superato e non piu' attuale il principio secondo il quale, in materia di reati sessuali in danno di minori, non si applica la disposizione di cui all'articolo 190-bis c.p.p., comma 1 bis quando e' richiesta la ripetizione in dibattimento dell'esame della persona offesa, gia' sentita in sede di incidente probatorio, divenuta nel frattempo maggiorenne (Sez. 3. n. 6095 del 22/05/2013, dep. 2014, Rv. 258825 - 01). 6.36. Deve essere inoltre ricordato che, ai fini della valutazione dell'istanza di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, mediante l'assunzione della testimonianza di un minore vittima d'abusi sessuali gia' sentito in dibattimento o in sede di incidente probatorio, e' necessario che nell'atto d'appello siano indicate specificamente le circostanze su cui dovrebbe vertere l'esame ai sensi dell'articolo 190-bis c.p.p., non essendo sufficiente evidenziare genericamente l'utilita' di assumerne la testimonianza (Sez. 3, n. 24792 del 24792 del 29/01/2013, Rv. 256371 - 01; Sez. 3, n. 19728 del 03/04/2008, Rv. 240041 01). 6.37. Nel caso di specie, il ricorso non indica le specifiche circostanze sulle quali, ai sensi dell'articolo 190-bis c.p.p., comma 1, avrebbe dovuto vertere il rinnovato esame dibattimentale della vittima, ne' la loro natura decisiva. Che', anzi, non risulta impugnata in appello, con autonomo e specifico motivo, l'ordinanza del 13/11/2017 del Tribunale che, nel rigettare la richiesta di ammissione della testimonianza della persona offesa: a) ne aveva dichiarato la particolare vulnerabilita' ai sensi dell'articolo 90-quater c.p.p.; b) aveva escluso la novita' delle circostanze indicate quale oggetto di prova. Si tratta, in entrambi i casi, di questioni di fatto che avrebbero dovuto essere devolute al giudice dell'appello e che non risultano esserlo state (perlomeno cio' non e' dedotto dal ricorrente, non risulta dall'esame dei suoi appelli e non costituisce motivo di ricorso per cassazione). 6.38. Cio' non esclude, ovviamente, che il giudice di primo grado possa ritenere necessario assumere d'ufficio la prova ai sensi dell'articolo 507 c.p.p. o che a tanto possa determinarsi il giudice dell'appello ai sensi dell'articolo 603 c.p.p.. 6.39. Al riguardo, ricorda il Collegio che la rinnovazione del giudizio in appello e' istituito di carattere eccezionale al quale puo' farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalita', di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, Ricci, Rv. 266820 - 01; Sez. U., n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, Rv. 203974; Sez. 2, n. 8106 del 26/04/2000, Rv. 216532 - 01; Sez. 3, n. 13071 del 19/10/1999, Rv. 214805 01); il rigetto della relativa istanza puo' essere censurato, in sede di legittimita', solo qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicita', ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate con l'assunzione o la riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Rv. 273577 01; Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, Rv. 261799 - 01; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, Cozzetto, Rv. 258236). 6.40. Con il che si torna all'esame delle ragioni della ribadita attestazione di credibilita' (frazionata) della vittima, immune, come gia' detto, dalle critiche sin qui mosse. 6.41. I motivi aggiunti secondo, terzo, quarto e quinto pongono questioni gia' ampiamente sviluppate e scrutinate. Va solo precisato che, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, la circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 5-sexies, e' stata esclusa per il capo E, trattandosi di circostanza introdotta con legge successiva alla commissione del reato. 7. Il ricorso di (OMISSIS). 7.1. Il primo motivo propone le medesime questioni gia' poste dallo (OMISSIS) in ordine al travisamento della consulenza tecnica dell'ing. (OMISSIS). E' sufficiente, pertanto, rimandare a quanto gia' osservato in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS), anche con riferimento al piu' complessivo esame delle questioni relative alla credibilita' della persona offesa in ordine al reato di cui al capo D, gran parte delle quali neglette dal ricorrente, per escludere la fondatezza del motivo. 7.2. Il secondo motivo pone la questione, gia' affrontata in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS), della credibilita' della persona offesa per il reato di cui al capo D. E' pertanto sufficiente rimandare alle considerazioni piu' ampiamente svolte in quella sede. 7.3. Qui vanno aggiunte le ulteriori seguenti considerazioni. 7.4. Il ricorrente pone la questione, oggetto anche del primo motivo, della compatibilita' dell'assoluzione dello (OMISSIS) e del (OMISSIS) dal reato di cui al capo C con la condanna dei medesimi imputati e del (OMISSIS) per il reato di cui al capo D. Si contesta, in particolare, l'applicazione del criterio della "credibilita' frazionata" ad un fatto (il reato di cui al capo D), confuso dalla ricorrente con quello di cui al capo C e in relazione al quale la persona offesa e' stata giudicata inattendibile. 7.5. Il rilievo non e' fondato. 7.6. Il reato di cui al capo C imputava allo (OMISSIS) ed al (OMISSIS) (non al (OMISSIS)) il reato cui agli articoli 110 e 609-quater c.p., perche' "in concorso tra loro, dopo aver trasportato (OMISSIS) a bordo dell'autovettura Hyunday Getz targata (OMISSIS) dello (OMISSIS) presso un'abitazione sita in localita' (OMISSIS) nella disponibilita' del (OMISSIS), a turno consumavano un rapporto completo con (OMISSIS), persona minorenne che all'epoca dei fatti non aveva ancora compiuto gli anni 14. In (OMISSIS)". 7.7. Il Tribunale aveva assolto i due imputati rilevando che "fila persona offesa, in sede di esame, nonostante sia stata sollecitata piu' volte a ripercorrere quell'episodio, non e' stata in grado di descrivere i fatti con accuratezza: (OMISSIS), infatti, inizialmente dice di essersi recata due volte a (OMISSIS), una volta con la macchina di (OMISSIS) e un'altra con la macchina di (OMISSIS), e di aver chiesto alla sua compagna di classe (OMISSIS) di "coprirla" con i suoi genitori, ai quali avrebbe detto che sarebbe rimasta a casa dell'amica quel pomeriggio; ma non riesce, tuttavia, a focalizzare il ricordo di cio' che sarebbe accaduto la prima volta che si era recata a (OMISSIS) con (OMISSIS) e (OMISSIS), finendo per sovrapporlo con l'episodio successivo, quello in cui mentre era a (OMISSIS) con (OMISSIS) e (OMISSIS), li aveva raggiunti anche (OMISSIS) (episodio contestato al capo d) dell'imputazione) (...) E' evidente - prosegue il Tribunale - che, sulla scorta del tenore delle dichiarazioni della persona offesa - che fornisce, quale unico elemento per distinguere i due episodi avvenuti a (OMISSIS), il tipo di autovettura con cui i due ragazzi erano andati a prenderla, e cioe' una volta la macchina di (OMISSIS) e una volta quella di (OMISSIS)- non si puo' ritenere raggiunta la prova, in termini cli certezza, che vi sia stato un ulteriore incontro a (OMISSIS), oltre a quello in cui e' rimasto coinvolto anche (OMISSIS), e che questo si sia concretizzato in condotte di atti sessuali tra i due ragazzi e la minore, secondo le modalita' descritte nel capo c) dell'imputazione. Ne' a tal fine - affermano i primi Giudici - si ritiene sufficiente il contenuto della conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), cristallizzata in uno degli screenshot versati in atti (...) in cui si fa riferimento ad un incontro sessuale avvenuto proprio tra (OMISSIS). (OMISSIS) e (OMISSIS): non si puo' escludere, infatti, che quella conversazione si riferisca all'episodio contestato al capo d) dell'imputazione, e cio' perche' sulla base di quanto dichiarato dalla persona offesa, in sede di incidente probatorio, in merito a quell'episodio, le modalita' descritte nella conversazione appaiono compatibili con quella descrizione (...)". 7.8. Le motivazioni della Corte di appello sul punto sono state sinteticamente riportate nel "Ritenuto in fatto" della presente sentenza ed ulteriormente riportate e scrutinate in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS). 7.9. Il punto nodale, dal quale il ricorrente prescinde, e' costituito dalla chiara affermazione della Corte di appello della sua presenza a (OMISSIS) in occasione del rapporto sessuale oggetto di contestazione al capo D (pag. 85). E' un dato di fatto che la persona offesa non ha mai coinvolto il (OMISSIS) nel rapporto sessuale consenziente contestato al capo C. Altro elemento di prova dal quale il ricorrente prescinde (se ne e' parlato in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS)) e' la specifica rimostranza della vittima che si era lamentata con il (OMISSIS) del sopraggiungere del (OMISSIS), fatto che, come gia' visto, aveva determinato la modifica del suo atteggiamento di favore e consenso verso l'iniziale rapporto sessuale con il (OMISSIS) ed il (OMISSIS). 7.10. Ora, l'assoluzione dal reato di cui al capo C (ascritto, si ribadisce, a persone diverse dal (OMISSIS)) non e' stata motivata dal Tribunale con l'attestazione di non credibilita' della vittima bensi' con l'impossibilita' di isolare ed enucleare un rapporto sessuale ulteriore e diverso rispetto a quello rubricato al capo D e cio' in base al racconto stesso della vittima, non alla presenza di elementi di segno contrario che, in tesi, l'avevano smentita. Erano, cioe', state le stesse incertezze nel ricordo che avevano indotto il Tribunale ad un epilogo assolutorio, laddove le ben diverse modalita' del fatto ascritto al (OMISSIS), il riscontro relativo alla sua presenza e al conseguente disappunto mostrato dalla vittima, supportano la condanna del ricorrente. 7.11. Non si tratta, dunque, di (in tesi difensiva, illegittima) valutazione frazionata delle medesime dichiarazioni rese dalla persona offesa in ordine ad uno specifico episodio, bensi' di valutazione ragionata di tali dichiarazioni che abbracciavano, in tesi accusatoria, piu' fatti ma che, alla luce, del vaglio critico del giudice sono state ritenute insufficienti in relazione ad uno di essi e comprovate per l'altro. Vi e' del resto, una profonda differenza tra i due fatti che giustifica, sul piano logico, i "non ricordo" e le imprecisioni relative al primo (capo C) e le certezze relative al secondo (capo D): il primo episodio riguardava un rapporto sessuale consensuale con i soli (OMISSIS) e (OMISSIS) non contraddistinto da particolari tali da rimanere fissati nella mente a distanza di anni; il secondo era caratterizzato dall'intervento inaspettato del (OMISSIS) che la persona offesa aveva compreso essere per niente casuale (si ricordera' la scusa delle sigarette) e che aveva comportato un radicale mutamento di atteggiamento nei confronti (anche) dello (OMISSIS) e del (OMISSIS) e che aveva determinato il ricorso, da parte dei tre, alla violenza (fatto questo che piu' difficilmente puo' essere dimenticato). Non c'e', dunque, nulla di (manifestamente) illogico nella decisione, condivisa dalla Corte di appello, di ritenere fondata l'accusa relativa al capo D nonostante l'assoluzione dal capo C. Non corrisponde poi a vero che il messaggio WhatsApp scambiato con il (OMISSIS) era stato ricondotto dal Tribunale ai fatti di cui al capo C; e' sufficiente leggere il testo della motivazione della sentenza, come sopra trascritto, per rendersene conto. 7.12. Nel resto, le deduzioni difensive propongono l'inammissibile rilettura dei messaggi scambiati tra la persona offesa e il (OMISSIS) e si fondano, anch'esse (come gia' lo (OMISSIS)), su inaccettabili astrazioni delineanti una sorta di codice di condotta della vittima del reato sessuale (la cd. "vittima modello") in base al quale parametrare il giudizio sulla credibilita' della vittima stessa. Sicche', ogni qual volta la vittima devia da tale condotta e' per cio' stesso non credibile. E, ancora una volta, c'e' da chiedersi a quali valori si ispiri tale codice e a quale retroterra culturale si ispiri, non esistendo, al riguardo, una massima di esperienza condivisa e condivisibile. Simili astrazioni rischiano si spostare l'indagine del giudice penale da quel che e' a quel che non e', svilendo, in tal modo, i dati offerti dal processo sulle ragioni dell'agire umano. Non e' dunque un parametro valido al quale affidare il giudizio sulla manifesta illogicita' della motivazione quello che si fonda su tali astrazioni. Nel caso di specie, e' sufficiente evidenziare che la persona offesa era una persona minorenne psicologicamente fragile, instabile e devastata, vittima della propria "dipendenza" dallo (OMISSIS) ma anche aperta a nuove esperienze e, tuttavia, non per questo giudicabile, nemmeno sul piano morale, ma facile preda, questo si', di appetiti altrui. Questo quadro, che emerge con evidenza dalla lettura integrale delle sentenze di merito, consegna all'interprete una chiave di lettura della vicenda che rende tutt'altro che illogico (e certamente non manifestamente illogico) il governo della prova dichiarativa da parte dei giudici di merito. 7.13. A non diversi rilievi si espone la questione relativa alla collocazione temporale del fatto oggetto di precedente scrutinio. 7.14. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo sono infondati per le medesime ragioni gia' illustrate in sede di esame degli analoghi motivi dei ricorsi dello (OMISSIS). 7.15. Il sesto motivo pone due argomenti: il primo riguarda la capacita' di testimoniare della vittima e deduce i vizi del procedimento tecnico-scientifico con il quale e' stata accertata e la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la richiesta di nuova perizia collegiale; il secondo, il rigetto della richiesta di nuovo esame della persona offesa alla luce degli elementi di novita' emersi dopo che la sua testimonianza era stata assunta in sede di incidente probatorio. 7.16. Di entrambe le questioni si e' gia' ampiamente detto, tanto con riferimento alla capacita' di testimoniare (e al governo dell'articolo 603 c.p.p.), quanto al governo dell'articolo 190-bis c.p.p. e all'ordinanza del Tribunale (non specificamente impugnata) che aveva negato la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimavano la richiesta di nuovo esame della persona offesa. 7.17. Il settimo motivo e' infondato per le ragioni gia' illustrate in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS). 7.18. L'ottavo motivo e' generico, manifestamente infondato e inammissibilmente fattuale. Il ricorrente postula l'affidamento al perito del compito di stabilire l'attendibilita' della persona offesa, affermazione, che, pero', non trova riscontro alcuno dalla lettura delle sentenze di merito dalle quali emerge, al contrario, che l'attendibilita' della minore e' stata scrutinata alla luce dei criteri (credibilita' frazionata/riscontri del narrato) che sono stati oggetto di ampie e articolate censure anche degli altri ricorrenti. Cio' che il ricorrente confonde e' il giudizio conclusivo di attendibilita' del testimone (la sintesi: di pertinenza esclusiva del giudice) con l'accertamento sulla esistenza di elementi scientificamente in grado incidere sulla sua credibilita' (l'analisi, che si estende anche allo studio delle modalita' di assunzione della prova). Il giudizio di attendibilita' appartiene alla fase della valutazione della prova; gli elementi in grado di minare, sul piano scientifico, la credibilita' razionale del racconto forniscono al giudice la base fattuale del criterio utilizzato per valutare la prova, ma tali elementi devono essere necessariamente forniti dal perito (o dal consulente), quando di natura scientifica, senza che cio' equivalga a dire che il giudizio di attendibilita' sia stato espresso da quest'ultimo. Ma quand'anche cio' avvenga, anche cioe' a voler ipotizzare che il perito o il consulente abbiano effettivamente reso un parere puro e semplice sulla attendibilita' del testimone, cio' che rileva e' il governo che di tale parere fa il giudice. Nel caso di specie, come detto, l'affidamento al perito di compiti esclusivi del giudice deve essere escluso in radice. 7.19. Il nono motivo e' infondato. 7.20. La Corte di appello ha negato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche in considerazione della gravita' del fatto e della mancanza di elementi positivi di valutazione, non potendosi ritenere tale lo stato di incensuratezza. Vero e' che in appello il ricorrente aveva effettivamente dedotto anche la propria giovane eta', il fatto di aver conseguito la laurea in costanza di detenzione ed altri indicatori (i pregressi rapporti con la vittima, l'aver omesso ogni altro "comportamento di disvalore" nei cinque anni precedenti l'appello) di una possibile attenuazione della pena ulteriori e diversi dallo stato di incensuratezza. E, tuttavia, nel rimodulare la pena a seguito dell'assoluzione dell'imputato dal reato di cui al capo N e del suo proscioglimento da quello di cui al capo O, la Corte di appello ha applicato al (OMISSIS) una pena assai vicina al minimo edittale del reato aggravato ai sensi dell'articolo 609-ter c.p., comma 1, n. 1), (nella versione vigente all'epoca del fatto), e praticamente identica a quella applicata al (OMISSIS) per l'unico reato a lui ascritto (quello di cui al capo B) ancorche' attenuata a seguito dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Il (OMISSIS), dunque, non puo' dolersi della disparita' di trattamento con il (OMISSIS); sotto altro profilo, appare evidente che la valutazione di gravita' del reato ha prevalso sugli altri indicatori di una possibile attenuazione della pena non al punto, pero', di impedirne il contenimento appena al di sopra della soglia minima edittale dell'ipotesi aggravata. 7.21. L'ultimo motivo e' inammissibile riguardando capi della sentenza non impugnabili in questa sede. 8. I ricorsi di (OMISSIS). Il ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS). 8.1. I primi sei motivi e l'ottavo deducono questioni gia' ampiamente esaminate in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS) e del (OMISSIS). 8.2. Il settimo motivo e' infondato. 8.3. L'imputato e' stato condannato in primo grado alla pena di sei anni di reclusione previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla circostanza aggravante di cui all'articolo 609-ter cpv. c.p., n. 1). Le circostanze attenuanti erano state applicate in considerazione dello stato di incensuratezza, della giovane eta' dell'imputato e dell'unicita' dell'episodio criminoso. In sede di appello l'imputato aveva invocato l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza al fine di meglio adeguare la pena "agli effettivi contorni della vicenda" (la dinamica dei fatti, l'assenza di qualsivoglia comportamento di disvalore posto in essere dall'appellante dopo i fatti e nel corso dei cinque anni precedenti il giudizio di primo grado, trattandosi di elementi di indubbia rilevanza per quanto attiene l'intensita' del coefficiente psicologico e di conseguenza la gravita' del reato e la capacita' a delinquere dell'imputato). La Corte territoriale ha rigettato la richiesta osservando che "le evidenziate circostanze di tempo, luogo e modalita' dell'azione (erano) state correttamente valutate ai fini precipui dell'applicazione dell'articolo 133 c.p. e non si rinviene alcun motivo per discostarsi da tale valutazione. Peraltro, la concessione delle attenuanti generiche per come applicate ha gia' consentito una graduazione della pena in favore dell'imputato". La Corte di appello, in buona sostanza, ha ritenuto che l'applicazione di una pena inferiore al minimo edittale (come espressamente chiesto dall'appellante) fosse inadeguata. Si tratta di giudizio insindacabile in questa sede. 8.4. Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita' qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la piu' idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243). Il ricorso a firma degli Avv.ti (OMISSIS)- (OMISSIS). 8.5. Il secondo ed il terzo motivo deducono questioni gia' scrutinate. 8.6. Anche il primo motivo pone questioni relative alla attendibilita' della persona offesa gia' ampiamente esaminate. Tuttavia, esso non solo si avvale di corposi richiami al contenuto delle dichiarazioni rese dalla persona offesa (delle quali, peraltro, non deduce il travisamento), ma sembra riguardare, nella sua prima parte, piu' la sentenza di primo grado che quella di appello proponendo un'interlocuzione con questa Corte di cassazione non mediata dalla sentenza di appello e dai rilievi critici al contenuto di quest'ultima. In ogni caso, quanto al ricorso al metodo della valutazione frazionata non puo' che ribadirsi quanto gia' ampiamente affermato in sede di esame degli analoghi motivi posti dagli altri ricorrenti. Il (OMISSIS) lamenta, nello specifico, la non correttezza di tale metodo in considerazione della stretta connessione del fatto di cui al capo B con quelli di cui ai capi N ed O dai quali e' stato assolto. Il rilievo e' del tutto infondato. I fatti di cui ai capi N ed O riguardano l'aggressione fisica posta in essere ai danni dello (OMISSIS) la cui materiale sussistenza non e' mai stata messa in discussione e che, secondo quanto aveva affermato il Tribunale, era dovuta al fatto che egli non era accettato dal "branco", "non sapeva stare al posto suo" (giudizio corretto dalla Corte di appello secondo cui, invece, non si poteva escludere che l'aggressione costituisse una reazione al fatto che lo (OMISSIS) aveva "messo in giro maldicenze sul conto degli imputati"). Non si vede, dunque, in che modo l'assoluzione del ricorrente in primo grado dai reati di cui ai capi N ed O possa aver ricadute sulla credibilita' della persona offesa relativamente alla violenza sessuale rubricata al capo B; non si comprende quale sia l'interferenza logica tra i due fatti che osta, in ottica difensiva, alla adozione della valutazione frazionata. Che' anzi l'aggressione allo (OMISSIS) costituisce ulteriore argomento a favore della credibilita' della vittima perche' emersa proprio a seguito delle sue dichiarazioni. L'assoluzione del (OMISSIS) deriva, in prima battuta, da una ragione "tecnica": la mancanza stessa, nella rubrica, di una condotta a lui ascrivibile; il PM lo ha indicato come concorrente nel reato ma non ha descritto la condotta che avrebbe posto in essere. In seconda battuta dal fatto che la stessa PO, sentita in sede di incidente probatorio, non aveva ricordato di aver indicato, in sede di audizione protetta, il ricorrente tra i possibili autori del reato sicche' l'assoluzione di questi deriva dallo stesso racconto della vittima non perche' tale racconto fosse stato smentito da elementi di segno contrario. 6. Il ricorso di (OMISSIS). 6.1. Il primo motivo propone questioni gia' ampiamente affrontate in sede di esame dei ricorsi dello (OMISSIS) e degli altri imputati. 6.2. Va piuttosto aggiunto che con la richiesta di incidente probatorio avanzata nei procedimenti per i delitti di cui all'articolo 392 c.p.p., comma 1-bis, (tra i quali quelli di cui agli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies c.p.), il pubblico ministero deve depositare tutti gli atti di indagine compiuti (articolo 393 c.p.p., comma 2-bis), compresi i verbali delle dichiarazioni precedentemente rese dalla persona da escutere. Il giudice, dunque, si trova, in questi casi, in una posizione particolare perche' e' gia' a conoscenza del contenuto di tali dichiarazioni che certamente puo' utilizzare per ottenere chiarimenti, precisazioni, porre domande, nell'ambito dei poteri a lui attribuiti dall'articolo 506 c.p.p., a maggior ragione quando deve condurre direttamente l'esame ai sensi dell'articolo 498 c.p.p., comma 4. Piu' in generale, nulla impedisce al giudice di utilizzare, per lo svolgimento delle funzioni sue proprie nella fase di assunzione della prova nel contraddittorio delle parti, le informazioni gia' contenute nei verbali di prova precedentemente e legittimamente acquisiti al fascicolo del dibattimento (basti pensare alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in caso di mutamento della persona fisica del giudice o alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello). Lamentare, di conseguenza, la proposizione di domande che richiamavano il contenuto delle dichiarazioni precedentemente rese dalla persona offesa e' questione che non coglie nel segno, soprattutto se tali domande vengono poste dal giudice il quale non deve, ne' puo' assumere una posizione preconcetta nei confronti del testimone nei cui confronti deve valere la presunzione di veridicita' del narrato, mai del suo contrario. 6.3. Tutti gli altri motivi, oltre a contenere inammissibili richiami al contenuto dei verbali di prova, deducono questioni analoghe a quelle gia' esaminate in sede di scrutinio degli altri ricorsi (capacita' di testimoniare, credibilita' della persona offesa, valutazione frazionata delle sue dichiarazioni, interpretazione del contenuto dei messaggi scambiati via telefono con la persona offesa) e che, di fatto, si risolvono nella richiesta di una diversa e alternativa valutazione del materiale probatorio del quale, pero', non viene nemmeno dedotto il travisamento. 7. Il ricorso di (OMISSIS). 7.1. Il (OMISSIS) risponde del reato di cui all'articolo 378 c.p. (rubricato al capo Q) perche', al fine di aiutare, tra gli altri, gli odierni ricorrenti, ad eludere le investigazioni a loro carico, escusso in qualita' di testimone in data 11/01/2016 dagli ufficiali di P.G. della Stazione Carabinieri di Melito Porto Salvo in relazione alle vicende a lui riferite dalla minore (OMISSIS) asseriva di non voler rispondere a nessuna domanda. 7.2. (OMISSIS) aveva avuto una relazione con la persona offesa dal mese di aprile 2015 al mese di dicembre dello stesso anno. La ragazza gli aveva raccontato tutti i fatti "circa un mese dopo l'inizio della loro storia e, a seguito di richiesta di (OMISSIS) che si mostrava possessivo, gli mostrava vari screenshot relativi a conversazioni intercorse con vari ragazzi, cosi' come richiesto dallo stesso. Gli mostrava il messaggio inviatole da (OMISSIS) ("Ehi'..") e anche quello mandato da (OMISSIS) del 9.06.15 in cui le diceva: "ehi pazza scatenata, che fine hai fatto-". (OMISSIS) memorizzava il contatto di (OMISSIS) con l'appellativo " (OMISSIS)", poiche' diceva che era una zingara, poi con quello di "troia". La minore ha riferito che dopo i primi due mesi era sempre in conflitto e litigava frequentemente con (OMISSIS)" (pag. 87 e seg., sent. Trib.). E' a seguito della relazione con il (OMISSIS) che la (OMISSIS) comincia ad avere delle crisi: " (OMISSIS) le poneva delle domande per sapere cosa era successo e lei gli rispondeva, raccontando quanto accaduto anche nel dettaglio, poiche' voleva instaurare un rapporto di fiducia con lui e sentirsi meglio. La minore ha precisato che, esasperata dalle sue continue domande e delle sue accuse, quali "te la sei andata a cercare, iniziava a provare dei sensi di colpa e che cominciava anche a porre in essere atti di autolesionismo con un coltello sulle braccia, sulle gambe e, talvolta, sulla pancia. La madre se ne accorgeva dopo un po' di tempo un giorno in cui, facendo il solletico alla figlia, le faceva alzare maglietta e constatava la presenza di segni. A seguito di tali crisi, la minore intraprendeva anche una terapia con una psicologa dal mese di maggio del 2015" (pag. 95, sent. Trib.). Nel mese di luglio di quel 2015 la (OMISSIS) aveva scritto al (OMISSIS) informandolo dell'intenzione di sporgere denunzia: "Nel luglio del 2015 la minore scriveva al fidanzato che i suoi genitori, alla luce dei numerosi litigi con lui, "hanno detto di valutare noi che cosa vogliamo fare, se vogliamo continuate, se siamo disposti nonostante le difficolta' a non fare tutti quei litigi come e' successo, se dopo che verra' la denuncia siamo in grado di superarla insieme, di salutare noi, se abbiamo intenzione di continuare se no ora ci allontaniamo e poi ci ritroviamo, di valutare noi che cosa e' meglio e che cosa vogliamo fare". Ha quindi precisato che gia' in quel periodo stavano affrontando il discorso sulla denuncia, se sporgerla o no" (pag. 95, sent. Trib.). 7.3. Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che il (OMISSIS), convocato dopo l'audizione protetta della sua ragazza, "si era reso reticente rifiutandosi di riferire quanto era a sua conoscenza relativamente ai fatti di causa" (pag. 27, sentenza di primo grado). In particolare, aveva risposto alle numerose sollecitazioni affermando: "di questa storia non ne voglio sapere assolutamente niente perche' non riguarda la mia persona" (pag. 270, sent. Trib.). 7.4. Nel ribadire la condanna la Corte di appello ha osservato che "non si vede a quale diversa interpretazione (peraltro nemmeno proposta) di tali dichiarazioni, se non a quella letterale, potrebbe accedersi: da tale interpretazione, peraltro, non poteva certo prescindersi, atteso che, in ogni caso, le parole del (OMISSIS) non presentavano alcun significato recondito. Ne' puo' accogliersi la prospettazione difensiva per la quale, considerando il vissuto e il breve periodo di relazione con la (OMISSIS), doveva ritenersi che l'imputato non avesse creduto alle dichiarazioni della ragazza, per cui dichiarare di essere a conoscenza dei fatti sarebbe stato equivalente a dire il falso, e, comunque, non era a diretta conoscenza dei fatti, quindi per timore di riferire fatti non veri, aveva preferito non rispondere. Tale prospettazione, infatti, e' smentita dalla netta risposta del (OMISSIS), compendiata nell'unica frase da lui pronunciata e sopra testualmente riportata, dalla quale emerge in modo inequivocabile l'intenzione di non fornire alcun contributo alle indagini, in tal modo aiutando gli indagati. L'imputato - aggiunge la Corte di appello -, a differenza di quanto dedotto dalla difesa, non ha assolutamente evidenziato le circostanze riportate nel gravame, ossia quella di non aver creduto alle confidenze rivoltegli dalla (OMISSIS) ovvero quella di non essere a conoscenza diretta dei fatti, ma, come detto, non ha risposto ad alcuna domanda e si e' limitato a pronunciare una secca frase, nella quale palesava la volonta' di non essere coinvolto nella vicenda. Anche la circostanza, sempre dedotta esclusivamente in sede di gravame, di non avere mai avuto confidenze dai pretesi rei si appalesa del tutto ininfluente, posto che l'imputato aveva ricevuto tali confidenze dalla persona offesa e, come detto, avrebbe dovuto quanto meno riferire tale circostanza". 7.5. Tanto premesso, il primo motivo e' manifestamente infondato. 7.6. Il ricorrente reitera, in buona sostanza, le questioni gia' devolute in appello proponendo un diversa interpretazione della sua condotta, prospettazione alternativa gia' respinta dalla Corte di appello con motivazione tutt'altro che manifestamente illogica e dunque insindacabile in questa sede. La Corte di appello ha inoltre correttamente stigmatizzato il fatto che, a fronte del chiaro (ed inequivocabile) tenore letterale delle sue parole, il ricorrente non ha mai fornito spiegazioni alternative plausibili, spiegazioni che sono frutto di mere deduzioni (ipotesi) difensive. Non si tratta, come erroneamente sostiene il ricorrente, di un'inaccettabile inversione dell'onere della prova. E' piuttosto vero il contrario: a fronte di una propria affermazione esplicita nella sua valenza di un rifiuto a rispondere, il ricorrente si rifugia in spiegazioni astratte prive di agganci alla realta' processuale. 7.7. Il dubbio circa la fondatezza di una possibile lettura alternativa del medesimo quadro probatorio deve essere "ragionevole" e dunque verificabile. La motivazione e' posta a garanzia non solo dell'imputato, ma anche della possibilita' di controllare l'operato del giudice in base a elementi razionali, verificabili e controllabili (articolo 187 c.p.p., articolo 192 c.p.p., comma 1, articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e). 7.8. Soggezione dei giudici soltanto alla legge (articolo 101 Cost., comma 2), esercizio della funzione giurisdizionale da parte di magistrati autonomi e indipendenti (articoli 102, 104 e 106 Cost.), attuazione della giurisdizione mediante il giusto processo regolato per legge (articolo 111 Cost., comma 1), obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali (articolo 111 Cost., comma 6), controllo esercitabile dalla Corte di cassazione su tutte le sentenze e su tutti i provvedimenti che incidono sulla liberta' personale pronunciati dagli organi giurisdizionali (articolo 111 Cost., comma 7), sono valori che qualificano, sul piano processuale, il "quomodo" della giurisdizione, e che sono posti, sul piano sostanziale, a presidio e garanzia del principio di legalita' e, con specifico riferimento alla materia penale, del principio di riserva assoluta di legge (articolo 25 Cost., comma 2), nonche' dell'inviolabilita' della liberta' personale (articolo 13 Cost.), del domicilio (articolo 14 Cost.), della liberta' e segretezza della corrispondenza (articolo 16 Cost.), del diritto di difesa (articolo 24 Cost.). 7.9.In questo contesto, la motivazione assolve all'onere di chiarire se, e come, la regola generale e astratta (la legge, in senso lato) sia stata esattamente applicata al caso concreto e di evitare, attraverso il controllo di merito e, infine, di legittimita', che essa affondi le sue radici in una volonta' diversa da quella della legge cui il giudice e' soggetto; essa assolve all'onere di spiegare perche' il diritto inviolabile ha potuto esser compresso, se ed in che modo sia stato rispettato il diritto di difesa, se ed in che modo l'esercizio di tale diritto abbia potuto contribuire a confezionare la regola del caso concreto. La motivazione e' la riaffermazione della funzione di garanzia del giudice, connaturale alla sua indispensabile terzieta', e' il mezzo che consente di ripercorrere, sul piano razionale, la strada che collega la regola astratta al fatto concreto. 7.10. Orbene, nel caso di specie la valenza evocativa del dato processualmente certo della risposta fornita dall'imputato agli ufficiali di polizia giudiziaria rende non manifestamente illogica la conclusione che questi avesse opposto un chiaro e netto rifiuto alle domande che gli venivano poste, rendendo altrettanto irragionevole qualsiasi ipotesi alternativa, fondata solo su affermazioni fideistiche e dunque irragionevoli e non verificabili. 7.11. Utilizzare, in questo contesto, l'argomento del silenzio dell'imputato che priva di sostanza le deduzioni difensive sulle possibile spiegazioni alternative della condotta, non costituisce una violazione del principio di presunzione di innocenza. In totale assenza di fatti/prove che rendano altrettanto ragionevole l'ipotesi alternativa a lui favorevole, e' onere dell'imputato stesso (persona la piu' prossima alla prova) introdurre o allegare elementi che rendano "ragionevole" il dubbio riportandolo all'ordine naturale delle cose e alla normale razionalita' umana. 7.12. In ogni caso, per la sussistenza del delitto di favoreggiamento personale non occorre che l'agente sia spinto da un movente particolare o anche da un interesse suo proprio o improntato persino a una malintesa pieta', essendo, invece, sufficiente la consapevolezza nell'agente di fuorviare con la sua condotta le ricerche poste in essere dalla competente autorita' nei confronti dell'indiziato (Sez. 1, n. 11159 del 10/06/1982, Valpreda, Rv. 156302 - 01; Sez. 3, n. 34 del 14/01/1971, Ferrando, Rv. 118642 - 01; Sez. 3, n. 726 del 29/05/1967, Zeni, Rv. 105111 - 01). Il dubbio nutrito dall'imputato sulla corrispondenza a vero dei fatti riferitigli dalla sua (all'epoca) fidanzata, pur se, in ipotesi, tali da convincerlo dell'innocenza delle (allora) persone sottoposte a indagine, non legittimano il suo rifiuto, ne' hanno alcuna incidenza sulla consapevolezza di ostacolare le indagini non fornendo le informazioni comunque richieste dalla PG procedente. Si tratta, come detto, di convincimenti personali che non riguardano nessuno degli elementi costitutivi del reato e spiegano, al piu', le irrilevanti motivazioni della condotta. Stabilire se le confidenze ricevute dalla persona offesa siano vere oppure no (e dunque se la vittima sia credibile) non e' compito del testimone o della persona informata dei fatti; tanto piu' che, nel caso di specie, lo stesso (OMISSIS) risulta aver informato la persona offesa di riprese video effettuate in occasione dei fatti rubricati al capo A (pag. 38, sent. Trib.), condotta che mal si concilia con il dedotto dubbio sulla credibilita' della vittima. 7.13. In ultima analisi, la convinzione dell'innocenza degli imputati o anche solo il dubbio della loro colpevolezza, quand'anche astrattamente fondati, non escludono il dolo generico del reato di favoreggiamento (Sez. 5, n. 50206 dell'11/11/2019, Vaccarino, Rv. 278316 - 01; Sez. 2, n. 20195 del 09/03/2015, Aquino, Rv. 263524 - 01; Sez. 2, n. 5842 del 10/02/1995, Cavataio, Rv. 201332 - 01; Sez. 2, n. 4436 del 17/01/1985, Vari, Rv. 169099 - 01; Sez. 1, n. 2001 del 10/07/1976, dep. 1977, Milone, Rv. 135246 - 01). 7.14. E' invece fondato il secondo motivo. 7.15. La stessa Corte di appello da' conto, nell'illustrate i motivi di impugnazione, della richiesta del (OMISSIS) di concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario. Nell'affrontare l'argomento relativo al trattamento sanzionatorio, i Giudici distrettuali danno conto della congruita' della pena infitta in primo grado e di come il ricorrente avesse gia' beneficiato della sospensione condizionale della pena, ma non prendono specifica posizione sulla richiesta di concessione dell'ulteriore beneficio della non menzione, affermando, in modo generico, che egli non era meritevole di "ulteriori benefici". 7.16. Pur nella diversita' dei relativi presupposti (la sospensione condizionale della pena ha l'obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilita' di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilita' di revoca, un'efficace remora ad ulteriori violazioni della legge penale; la non menzione persegue lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l'eliminazione della pubblicita' quale particolare conseguenza negativa del reato; in tal senso, Sez. 6, n. 34489 del 14/06/2012, Del Gatto, Rv. 253484; Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Allegra, Rv. 251509; Sez. 1, n. 45756 del 14/11/2007, Della Corte, Rv. 238137), la positiva concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena imponeva una spiegazione piu' articolata delle ragioni del diniego. 7.17. Tuttavia, ritiene il Collegio di poter direttamente emendare l'omissione provvedendo, ai sensi dell'articolo 620 c.p.p., lettera l), a concedere direttamente il beneficio richiesto tenuto conto della prognosi di non recidivanza favorevolmente espresso dal Tribunale che ben si concilia, avuto riguardo alla episodicita' del fatto e alla sua ontologica diversita' rispetto a quelli commessi dagli altri imputati, con la complessiva finalita' rieducativa della pena che presiede all'applicazione congiunta dei due benefici. 7.18. La sentenza impugnata deve percio' essere annullata senza rinvio limitatamente all'omessa applicazione del beneficio della non menzione, beneficio che concede; nel resto il ricorso del (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile. 8. Al rigetto dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) consegue la condanna al pagamento delle spese processuali nonche' alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) e Comune Melito di Porto Salvo, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla omessa pronuncia in ordine alla non menzione della condanna, beneficio che dispone. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto. Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sara' liquidata dalla Corte di appello di Reggio Calabria con separato decreto di pagamento ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. Condanna inoltre (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio, dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e Comune Melito di Porto Salvo che liquida in Euro tremilacinquecento per ciascuna parte civile, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita' e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Venezia sezione PRIMA Penale composta dai Magistrati: 1. Dott. Francesco Giuliano - Presidente 2. Dott. Alberta Beccaro - Consigliere 3. Dott. David Calabria - Consigliere Udita la relazione della causa fatta alla udienza pubblica/camerale, odierna dai Dott.ri Beccaro e Calabria Inteso il P.G. dott. appellant (...) difensor come da verbale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: GI.EM. Nato a Roma il 03.06.1969 Elettivamente domiciliato presso Avv. Or.Do. del Foro di Milano Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Or.Do. del Foro di Difensore di fiducia Avv. Co.Mi. del Foro di Milano MA.PA. Nato a (...) Domiciliato presso l'Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza PE.MA. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna PI.AN. Nato (...) Domiciliato presso Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Difeso di fiducia dall'Avv. Gi.To. del Foro di Milano ZI.GI. Nato a (...) Residente a (...) Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza ZO.GI. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. En.Am. del Foro dì Vicenza Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. En.Am. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Tu.Pa. del Foro di Pisa RESPONSABILE AMMINISTRATIVO BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona del legale rappresentante pro tempore Difensore Avv. Fr.Mu. del Foro di Milano - non presente, sostituito dall'Avv. Ro.Bo. del Foro di Padova per delega orale PRESENTE RESPONSABILE CIVILE - ESTROMESSO con ordinanza depositata all'udienza del 22/04/2022. BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona dei legali rappresentanti pro tempore Di.Gi., Fe.Cl. e Vi.Fa. Parti civili: + 229 (omissis) IMPUTATI: Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. stralciato ad altro procedimento, Zi.Gi. e Zo.Gi., a.1) in ordine al reato previsto e punito dagli arti 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., e 2637 c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amava), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie di seguito descritta, attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della. Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta piassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., stralciato ad altro procedimento in qualità di direttore generale delia medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione. Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuatone della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, della segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; in tempi diversi, diffondevano notizie false e ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni B. (deliberato annualmente - ai sensi dell'art. 6 dello Statuto sociale e dell'art 2528 c.c. -dall'assemblea dei soci su proposta del consiglio di amministrazione, formulata sulla scorta di una perizia di stima del valore del relativo soprapprezzo elaborata da un esperto indipendente appositamente incaricato), e ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della medesima Banca (...) e dell'omonimo Groppo bancario. Operazioni simulate ed altri artifici consistite (condotte poste in essere da ciascuna delle persone indagate, secondo il rispettivo ruolo): i) nella ripetuta concessione di finanziamenti a favore di terzi soggetti finalizzati all'acquisto (nel mercato secondario) ed alla sottoscrizione (in occasione delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014) di azioni B., per un controvalore complessivo di circa Euro 963 mln (di cui circa Euro 545 mln sino al 31.122012, circa Euro 155 nel 2013, circa Euro 255 nel 2014 e circa Euro 8 mln nel primo trimestre 2015), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito (per talune operazioni formalizzato per iscritto, per un complessivo controvalore azionario di circa Euro 160 mln), cosi determinando una apparenza di liquidità del titolo sul mercato secondario e, al contempo, cosi consentendo la riduzione contabile del controvalore delle azioni proprie detenute; ii) nella omessa iscrizione al passivo dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014 di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., pari all'importo complessivo delle operazioni di finanziamento finalizzate all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. sopra indicato; iii) nella mancata comunicazione all'esperto incaricato della stima del valore del soprapprezzo dell'azione B., dell'esistenza e dell'entità della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come sopra descritta. Diffusione di notizie false compiuta mediante la pubblicazione di comunicati stampa, di comunicazioni al pubblico, anche ex art. 114, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, di comunicazioni ai soci e dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014, contenenti mendaci indicazioni circa (condotte materiali poste in essere da Zo.Gi., Zi.Gi., So.Sa. (Stralciato ad altro procedimento) e Pe.Ma., con il contributo di GI.Em., Pi.An. e Ma.Pa., che partecipavano alla attuazione della prassi dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. sopra descritta): - la reale entità del patrimonio (nei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014), a causa della mancata iscrizione di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., per un importo corrispondente all'ammontare dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. (pari a circa Euro 545 mln al 31.12.2012, circa Euro700 mln al 31.12.2013 e circa Euro 955 mln al 31.12.2014); - la solidità patrimoniale della Banca (comunicati stampa e comunicazioni ai soci del 30/3/2012; 8/8/2012; 3/9/2012; 19/3/2013; 27/4/2013; 27/4/2013; 10/9/2013; 2/4/2014; 9/9/2014; 26/10/2014; 4/12/2014; 19/3/2014) enfatizzata a dispetto della reale situazione derivante dal sopra descritto fenomeno di concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizioni di azioni B. e di lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle medesime e/o di garanzia del rendimento dell'investimento; - la crescita progressiva della compagine sociale (comunicati 27/8/2013; 18/3/2014; 29/8/2014; 26/10/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), lasciando intendere che essa derivasse dalla progressiva maggiore appetibilità dell'azione B. quale strumento di investimento, omettendo di rappresentare resistenza e l'entità della prassi della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie sopra descritta; - il buon esito delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014 (comunicati 9/8/2013; 27/8/2013; 18/3/2014; 8/8/2014; 29/8/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), tacendo la circostanza relativa al massiccio ricorso al finanziamento per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione nell'ambito dei c.d. Aucap; Con raggravante di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone. In (...), nel corso degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014. Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) a.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. r) D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - ZO.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società a capo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenite reati della stessa specie, commettevano il reato sub a.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nel mantenimento del valore dell'azione e dell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto, realizzati anche attraverso un artificioso funzionamento del mercato secondario delle azioni B. e mediante una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca. In (...), nel corso degli anni (...), alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa., (stralciato ed altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., b1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 81, co. II 110, 112, n. 1, c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a., in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1), e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale e traendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti, e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalatone e comunicazioni air Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, durante l'attività ispettiva compiuta dalla stessa Autorità presso la sede sociale, occultavano con mezzi fraudolenti - l'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario, per un controvalore complessivo di circa Euro 250 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di oltre Euro 300 mln, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - l'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. c/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; e, comunque, omettevano di dare comunicazione di tali circostanze, cosi determinando effettivamente, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, che, conseguentemente, non dava luogo ad approfondimenti conoscitivi in sede ispettiva ed alla quale, di fatto, era impedito di accertare l'esistenza della suddetta prassi. Mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale sia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58. In (...) dal (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) b.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub b.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. c.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81 co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.6.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.9.2012) contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 268 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2012), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 280 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia medesima, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2012, stabiliva, con Lettera di intervento datata 5.3.2013, un obiettivo patrimoniale (c.d. Target ratio, in termini di Core Tier 1 capital ratio pari o superiore all'8%) non coerente con la situazione patrimoniale della stessa B. e, comunque, ometteva di assumere ulteriori misure ed iniziative di vigilanza coerenti rispetto alla reale situazione patrimoniale della B., Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.pa, in liquidazione coatta amm.va (già Sc.p.a.) c.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett., a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub al), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad atro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. d.1) reato previsto e punito dagli artt. 61 n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., 2638, co. II e III, c.., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 5.3.2013 - n. 228149, di fornire "dettagliate informazioni in ordine alle motivazioni sottostanti l'incremento, sia a livello individuale che consolidato, delle azioni o quote proprie ricomprese tra gli elementi negativi del patrimonio di base, passate da Euro 30,48 mln a Euro 239,85 mln" nel periodo 30.6/30.9.2012), nella Comunicazione 20.3.2013, con la quale era rappresentato falsamente che "L'incremento ... registrato al 30 settembre 2012 rispetto al 30 giugno 2012 è da ascrivere principalmente a fenomeni di ciclicità legati alle procedure di gestione delle azioni proprie. Le domande di acquisto di azioni della banca si sono invece concentrate nel IV trimestre, anche in relazione alla consueta maggiore propensione e convenienza sotto il profilo finanziario di procedere, da parte dei soci, all'acquisto nell'ultimo periodo dell'anno... I dati al 31 dicembre 2012 evidenziano un Core Tier 1 ratio e un Total Capital ratio rispettivamente all'8,37% e all'11,40%, ipotizzando l'integrale capitalizzazione dell'utile. Nell'ipotesi di distribuire un dividendo pari al 50% dell'utile distribuibile, il Tier 1 ratio si posizionerebbe all'8,23% comunque al di sopra del target minimo". - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.12.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.3.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 545 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistato da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 544 mln; ed inoltre, - nella Informativa preventiva 23.4.2013 relativa alla imminente operazione dì aumento di capitale (mediante emissione di azioni ordinarie e contestuale emissione di prestito obbligazionario convertibile, per l'importo complessivo di Euro 506 mln), nella quale non era indicato che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione di finanziamenti correlati alla sottoscrizione medesima ed era rappresentato, pertanto contrariamente al vero, che il relativo "impatto... sul Tier 1 ratio " era stimato in un incremento complessivo di 175 punti base; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della B., adottava la Lettera di intervento datata 24.6.2013 con la quale (rilevato che "alla data del 30 settembre 2012" B. deteneva azioni proprie per un controvalore complessivo superiore al limite del "5% del capitale" in assenza della necessaria autorizzazione) prescriveva a B. l'adozione di "ogni Iniziativa sul piano procedurale e dei controlli alfine di assicurare uno scrupoloso rispetto dei limiti previsti per il riacquisto o rimborso di proprie azioni" e di richiedere "la prescritta autorizzazione, laddove ne ricorrano i presupposti" senza assumere ulteriori misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, DI L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.p.a.) d.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub d. 1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. e.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, il 2,81, co. II, 110 e 112, n. 1, cp., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione delia medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30-6-2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.9.2013), contraente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 555 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca, anteriore e prossima al 25.10.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 626 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.3.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 700 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e dì garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) e.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di prendente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sube.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. f.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. n. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai scasi della L. 1 settembre 1993, a 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; -- So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delie operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella Informativa preventiva datata 5.3.2014 relativa alla imminente operazione di aumento di capitale mediante emissione di azioni ordinarie per l'importo complessivo massimo di Euro 700 min, tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima e rappresentando, pertanto falsamente, die "nell'ipotesi di effettuazione dell'importo massimo", l'Aucap determinerebbe un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma" del 10,89% (rispetto a quello esistente dell'8,50%) e del ''Total Capital ratio" del 13,85% (rispetto a quello esistente dell'11,41%) con un incremento "quantificabile in circa 239" punti base; - nella Informativa integrativa datata 11.4.2014 relativa alla operazione di aumento di capitale sopra indicata (contenente la precisazione che la stessa sarebbe stata compiuta per un importo massimo di Euro 683,754 mln), tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima ed attestando, pertanto falsamente, che le azioni di nuova emissione soddisfano "tutte le condizioni previste dagli artt. 28 e 29 della CRR" e rappresentando, pertanto ancora falsamente, che la relativa "stima dell'impatto patrimoniale" evidenziava un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma post aucap" del'11,65% (rispetto a quello esistente del 9,21%) e del "Total Capital ratio pro-forma post aucap" del 14,25 (rispetto a quello esistente dell'11,81%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, a seguito della "istanza di autorizzazione a classificare gli strumenti di capitale come strumenti di capitale primario di classe 1 ai sensi dell'art 26 par. 3, del Regolamento (UE) n. 575/2013" (contenuta nella Informativa integrativa suddetta), sulla scorta della mendaci informazioni ricevute, adottava il provvedimento autorizzato richiesto con atto del 15.4.2014, in difetto dei prescritti presupposti (trattandosi, in parte, di c.d. azioni finanziate). Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) BANCA (...) S.p.a. in liquidatone coatta amm.va (già S.c.p.a.) f.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s) D. L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub f1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nella autorizzata classificazione delle azioni di nuova emissione sottoscritte come strumenti di capitale primario di classe 1". In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. g.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co, II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi die precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella Use di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione dì vigilanza periodica al 31.3.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 728 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica ai 30.6.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in data 11.8.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra, indicata, per un importo complessivo di circa Euro 718 mln; - nella Comunicazione 1.9.2014, nella quale era rappresentato falsamente che "con riferimento alla segnalazione di vigilanza prudenziale al 30 giugno 2014... si è ravvisato il mancato soddisfacimento a livello consolidato del requisito combinato di riserva di capitale... con un deficit di euro 85 milioni rispetto al livello minimo previsto.... l'aumento dì capitale di euro 607,8 milioni - già in corso alla data del 30 giugno, completato lo scorso 8 agosto con l'integrale sottoscrizione dello stesso... consentiva di coprire ampiamente il deficit registrato... tenendo conto dell'aumento di capitale già regolato, la posizione patrimoniale del Gruppo risulta in surplus di euro 550,8 milioni..." ed era attestato falsamente il livello dei "Fondi Propri" (indicato in Euro 2,989 mld e, quelli "pro-forma" in Euro 3,635 mld) e dei ratios patrimoniali (ovverosia, 8,55% CET1 Ratio e 10,67% CET1 Ratio pro-forma; 8,55% Tier 1 Ratio e 10,67% Tier 1 Ratio pro-forma; 10,21% Total Capitai Ratio e 12,38% Total Capital Ratio pro-fonna); - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 886 mln; - (a seguito della richiesta di Banca d'Italia, formulata con Nota datata 25.10.2014 - n. 1053731/14 nella quale, dato atto che "Banca (...) ha eseguito dall'inizio del 2014 operazioni di riacquisto di azioni proprie (buybacks) per un ammontare complessivo netto di Euro 195 mln. Le segnalazioni prudenziali di codesta banca confermano il progressivo aumento delle deduzioni per azioni proprie in portafoglio dal common equity tier 1: Euro 32,3 mln a dicembre 2013; Euro 91,7 mln a marzo 2014; Euro 178,2 mln, di cui 52,4 mln detenute indirettamente, a giugno 2014.... (la B.) ha altresì proceduto al rimborso e successivo annullamento di azioni proprie per complessivi Euro 61,7 mln, a motivo di successioni ed escussioni per recupero crediti", era domandata "la puntuale verifica della correttezza dei dati segnalati tempistica e modalità di esecuzione dei buybacks; ... le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali ì titoli sono depositati; chiarimenti circa la coerenza dei riacquisti effettuati con le disposizioni della Capital Requirement Regulation e delle successive norme tecniche di attuazione") nella Comunicazione datata 4.11.2014, ove era rappresentato falsamente che "La Banca... ha proceduto ai riacquisti da Soci e agli annullamenti delle azioni proprie nella consapevolezza che la riduzione di capitale connessa ai medesimi era più che compensata dalla sottoscrizione degli aumenti di capitale in corso.... le predette operazioni di riacquisto e annullamento di azioni proprie eseguite dalla banca dall'inizio del 2014... sono comunque avvenute nell'ambito dì un complessivo rafforzamento patrimoniale del Gruppo Bancario, che ha visto il proprio Common Equity Tier 1 Ratio incrementarsi dal 1° gennaio 2014 di circa 141 bps"; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) g2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità, di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub g.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., h1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a, in liquidatone cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposte alla vigilanza della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a. 1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente fa predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberatone degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca Centrale Europea, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2014 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 15.3.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2015 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 25.4.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 963 mln; - nella Informativa al Pubblico al 31.12.2014, contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa delia mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln e, di conseguenza, l'indicazione falsata dei requisiti patrimoniali prudenziali (CET 1 ratio pari al 10,44% e Total Capital ratio pari all'11,55%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca Centrale Europea che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a., in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) h.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001. n. 231, perché, in concorso tra loro. - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di (fingente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub h1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. i) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a-1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente si processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinalo ed attuato concretamente la predetta prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alte proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Dividerne Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili relativa alle operazioni di aumento di capitale realizzate nel corso del 2013 (c.d. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2012 e nel primo quadrimestre 2013 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a.1), ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo (felle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo, la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancate evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sui prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In Vicenza, in data 10 giugno 2013 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. 1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a.1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predette prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predispostone dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalatone e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di adoni di nuova emissione relativa alle operazioni di aumento di capitate realizzate nel corso del 2014 (c.c. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2013 e nel primo quadrimestre 2014 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a1) ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo delle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo" la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancata evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sin prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., m.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110, 112, n. 1, c.p. e 2638 co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in riferimento alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 RGNR - Mod. 21, (allegata al presente Avviso) in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione Della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, e della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di numerosi finanziamenti finalizzati air acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie (operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito, per talune operazioni formalizzato per iscritto), attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallalo la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. Srl, operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attualo concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase dì istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazioni e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea, nell'ambito dello svolgimento dell'esercizio di valutazione approfondita (c.d. "Comprehensive Assessment") previsto dall'art. 33, par. 4, del Regolamento (UE) n. 1024/2013 cit. ed oggetto della Decisione della Banca centrale Europea del 4 febbraio 2014 i) durante l'attività ispettiva compiuta dalla Banca d'Italia presso la sede sociale nel periodo marzo/agosto 2014 (consistita nel c.d. "Asset Quality Rewiev") occultavano con mezzi fraudolenti e, comunque, omettevano di dare comunicazione, - dell'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario e/o alla sottoscrizione delle medesime azioni in sede di operazioni di aumento di capitale, per un controvalore complessivo di circa Euro 728 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di circa 6 886 min, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - dell'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale aia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate; ii) esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 9.6.2014 - il 590133/14 di compilare un "questionario... (Preliminary Capital Plan)" contenente "informazioni idonee a valutare, distintamente per i vari annali di raccolta (interni ed esterni) l'ammontare aggiuntivo di capitale e di strumenti di ATI che potrebbero essere ottenuti in tempi rapidi (6 o 9 mesi) per fronteggiare eventuali shortfall" precisando "sia le operazioni già pianificate o in corso di attuazione, sia le misure aggiuntive che potrebbero essere perfezionate in caso di necessità entro i termini sopra indicati") nella Comunicazione datata 20.6.2014 ove erano indicati, quali interventi di rafforzamento patrimoniale realizzabili celermente, il "rimborso anticipato in azioni del prestito obbligazionario 2013-2018 convertibile di tipo soft mandatory... per un importo di euro 253 milioni e "l'incremento di CET" per effetto degli aumenti di capitale attualmente in corso per un importo totale di euro 673 milioni, di cui euro 608 milioni di aumento in opzione ai soci", omettendo di rappresentare che la sottoscrizione del suddetto prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni dì nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra descritta; - nelle comunicazioni trasmesse alle Autorità di vigilanza nell'ambito dell'esercizio di "stress test", contenenti l'indicazione, contrariamente al vero, di ratios patrimoniali e dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quelli reali, a causa della mancata considerazione, quale cimento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln; - nel Capital Plan comunicato in data 10.11.2014, relativo alle misure programmate per la copertura del deficit di capitale emerso all'esito dell'esercizio di "stress test" (nello scenario avverso, pari a Euro 223 mln), contenente l'indicazione, contrariamente al vero, dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln, ed omettendo di precisare che la sottoscrizione del prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni di nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea medesime, le quali, conseguentemente, non davano luogo, neppure in sede ispettiva, ad approfondimenti conoscitivi, e la BCE valutava idonee le misure di rafforzamento patrimoniale indicate da B. per fare fronte alla deficienza emersa all'esito del c.d. "Comprehensive Assessment" ed all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2014 stabiliva (con la relativa decisione SREP) requisiti prudenziali non coerenti con la reale situazione patrimoniale della stessa B. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richieda di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), dal marzo ad agosto 2014 (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) m.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n, 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em. in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub m.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) SO.SA. (stralciato ad altro procedimento) e GI.EM. n.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso rispetto al capo che precede ed alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 (allegata al presente Avviso), - SO.SA. in qualità di direttore generale, - GI.EM., in qualità di vice direttore generale responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), società sottoposta alla vigilanza della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ai sensi del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, con riferimento alla operazione di aumento di capitale compiuta nel periodo 12.5/8.8.2014, avente in oggetto una offerta in opzione agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili di azioni ordinarie di nuova emissione e di obbligazioni nominative (e anche una offerta al pubblico indistinto dell'eventuale inoptato), a seguito della richiesta di dati e notizie di CONSOB datata 16.5.2014, nella successiva interlocuzione con la medesima Autorità di Vigilanza, comunicavano, contrariamente al vero (condotta materiale di So.Sa., quale firmatario delle missive, compiuta d'intesa con Gi.Em.), i) nella Nota datata 23.5.2014, - la decisione assunta dalla Banca "di astenersi, con riferimento all'Offerta in opzione, dalla prestazione di raccomandazioni personalizzate all'investimento" e, pertanto, del "divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale a favore dei titolari del diritto di opzione"; - l'adozione da parte della Banca "allo scopo di dare effettività alla menzionata prescrizione interna ed evitare forme surrettizie di raccomandazione personalizzata all'investimento... " di "modalità specifiche di adesione all'offerta idonee a contenere occasioni di contatto diretto tra gli addetti alla rete ed i titolari del diritto di opzione" (costituite, "a seguito della comunicazione informativa" neutra da parte della Banca contenente indicazione delle "caratteristiche principali dell'operazione e le modalità richieste per l'adesione", dalla preventiva manifestatone di interesse alla sottoscrizione da parte degli interessati "accedendo ad una apposita sezione del sito internet della Banca" oppure tramite l'invio per posta di un modulo prestampato, preventivamente trasmesso agli aventi diritto in allegato alla suddetta comunicazione informativa preliminare); - che la Banca si sarebbe astenuta dalla erogazione di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione di azioni B., essendo questa possibilità limitata all'operazione di aumento di capitale riservato a nuovi soci e finalizzato all'ampliamento della base sociale (c.d. "mini Aucap"); ii) nella Nota datata 4.7.2014, che - erano "immutate le modalità di offerta in opzione, agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili... " e, nel fornire i dati relativi all'andamento della operazione, che l'offerta in opzione aveva registrato adesioni da parte di 20.448 clienti, tutte perfezionate ad "iniziativa cliente", con valutazione positiva della appropriatezza nella misura del 83,9%; iii) nella Nota 15.10.2014, - che l'unica operatività effettuata nell'ambito dell'Offerta in opzione, era quella ad "iniziativa cliente"; - che tutti i 29,364 sottoscrittori "aventi diritto" avevano aderito all'offerta previa valutazione di appropriatezza, il cui esito era stato positivo nella misura del 82% circa; - che (nella unita Nota di osservazioni della funzione di Compliance), "la Banca ha inteso presidiare il rischio di consulenze surrettizie prevedendo un meccanismo volto a fare in modo che il contatto tra banca e clienti titolari del diritto di opzione si stabilisse solo in seguito ad una comunicazione preliminare"; e omettevano dunque, di rappresentare alla Commissione medesima, la realizzazione da parte della Banca, sino dal febbraio 2014 (e, dunque, prima dell'approvazione del prospetto previsto dall'art. 94, D.L.vo n. 58/98 cit.), di una strutturata azione commerciale finalizzata alla promozione della partecipazione all'aumento di capitale e concretizzatasi in consigli personalizzati di investimento, cosi ostacolando consapevolmente le funzioni di vigilanza della CONSOB, cui era conseguentemente impedita l'emanazione degli opportuni provvedimenti e l'adozione delle pertinenti iniziative di Vigilanza. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell'art. 116, D.L.vo n. 58/98 cit. ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) n. 2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e punito dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato indicato sub e.l) commesso da - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale, responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), in concorso tra loro, in difetto di un modello di organizzazione idoneo (comunque non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, e nell'interesse ed a vantaggio della stessa BANCA (...) S.c.p.a., consistiti nel rafforzamento patrimoniale dell'ente perseguito ed attuato con l'operazione dì aumento di capitale compiuta nel corso dell'anno 2014. In (...), in data (...) CONCLUSIONI PEL PROCURATORE GENERALE: Con riferimento agli appelli proposti dagli imputati ZO., MA. e PI. chiede dichiararsi l'improcedibilità con riguardo alle fattispecie medio tempore prescritte, con conseguente rideterminazione della pena, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, Per il resto chiede confermarsi la sentenza. Con riferimento all'appello proposto dall'imputato GI. chiede affermarsi la penale responsabilità del predetto, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando la pena richiesta come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. Con riferimento all'appello proposto da B. in L.c.a. chiede ridursi l'entità della sanzione ex art. 12 comma 2 lett. a) D.Lgs. 231/2001 nella misura massima della metà, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, con irrogazione, per l'effetto, della sanzione pecuniaria nella misura di euro 324.000,00= e conferma nel resto. Con riferimento, infine, agli appelli proposti dal Pubblico Ministero nei confronti degli imputati PE. e ZI. chiede affermarsi la penale responsabilità dei predetti, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando le pene richieste come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di equivalenza. CONCLUSIONI PELLE PARTI CIVILI: Il difensore della parte civile Banca d'Italia, Avv. St.Ce., conclude chiedendo che la Corte rigetti gli appelli degli imputati Gi., Ma., Pi. e Zo. e confermi la sentenza per quanto riguarda le statuizioni civili a favore delta Banca d'Italia, inclusa la conferma della condanna in solido alla provvisionale. In accoglimento degli appelli della Pubblica Accusa, proposti contro gli imputati Pe. e Zi., chiede estendersi ai medesimi le statuizioni civili in favore della Banca d'Italia e per l'effetto la loro condanna in solido al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da liquidarsi in separato giudizio, con condanna a una provvisionale pari a quella stabilita in primo grado. Per il resto conclude come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022. Il difensore della parte civile CONSOB, Avv. Va.Ci., in sostituzione dell'Avv. Deborah Spedicati, chiede la conferma dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato Gi. per il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza svolte da CONSOB, contestato nel capo d'imputazione NI, e la conferma delle statuizioni civili pronunciate in favore della stessa CONSOB, con condanna al pagamento delle spese per questo grado dì giudizio. Si richiama per il resto alla memoria depositata all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Pa.Ci. (67), chiede l'accoglimento delle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Re.Be. (24), si associa alle conclusioni della Procura Generale e si riporta alle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9,2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca. (55), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca., in sostituzione dell'Avv. Br.Ba. (16), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce. (62), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ca.Sp. (205), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimene deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ro.Pa. (163), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ca.Ma. (140), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delie parti civili, Avv. Ca.Ma., in sostituzione dell'Avv. Ni.D'A. (80), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co. (72), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. An.Bu. (42), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. Na.De. (84), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Si.Ba. (13), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ve.Bo. (40), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. An.Ca. (44), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ma.Ma. (139), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Gi.Vi. (219), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa. (160), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa., in sostituzione dell'Avv. Da.Tr. (211), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Pi.Ce. (63), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. St.An. (7), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Lu.Be. (22), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Al.Le. (127), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23,9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Mo. (156), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Sa., in sostituzione dell'Avv. Pi.Lu. (136), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ra.Di. (92), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Si dà altresì atto che all'udienza del 23.9.2022 le parti civili sotto elencate, su invito del Presidente e con l'accordo delle parti, hanno depositano le rispettive conclusioni scritte con allegate note spese, alle quali si riportano integralmente chiedendone l'accoglimento: (omissis) Il difensore delle parti civili, Avv. Fr.Ra., in sostituzione dell'Avv. An.Fi. (105), dichiara di non presentare conclusioni scritte dei propri assistiti e di riportarsi alle conclusioni già depositate in primo grado, chiedendone l'accoglimento, senza ulteriore deposito, CONCLUSIONI DELLE DIFESE MA., PI. e ZO.: Chiedono in principalità l'assoluzione dei rispettivi assistiti, avanzando richieste subordinate come da rispettivi atti di appello e motivi nuovi successivamente depositati, giusta conclusioni rispettivamente rassegnate alle udienze del 28.9.2022 (ZO.), del 30.9.2022 (MA.) e del 5.10.2022 (PI.), alle quali si riportano. CONCLUSIONI DELLA DIFESA GI.: Dichiara di rinunciare espressamente a tutti i motivi enunciati nell'atto di appello tranne che ai motivi nn. II, III, XIII, XX (quest'ultimo peraltro reso oggetto di rinuncia implicita, come da verbale d'udienza 23.9.2022, quanto alla svolta eccezione di nullità della sentenza), XXI, XXII e XXIII. Quanto al trattamento sanzionatorio invoca la rideterminazione in senso più favorevole come da verbale d'udienza 23.9.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA ZI.: Conclude per l'accoglimento del proprio appello e per il rigetto di quello del Pubblico Ministero, come da verbale d'udienza 5.10.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA PE.: Conclude chiedendo il rigetto dell'appello del Pubblico Ministero e la conferma della sentenza di assoluzione, come da verbale d'udienza 30.9.2022. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La sentenza Con sentenza 19.3.2021, il Tribunale di Vicenza: - dichiarava Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. responsabili, nelle qualità dai predetti rispettivamente rivestite all'interno della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in LCA.), dei reati, siccome loro rispettivamente ascritti in rubrica (il capo NI era ascritto, fra essi, al solo GI.), di aggiotaggio ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 2637 c.c. (reato di cui al capo A1, commesso in Vicenza nel periodo successivo al 27.4,2013 e sino al 2015, in occasione della pubblicazione dei bilanci di esercizio degli anni 2013 e 2014), di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr 1 c.p., 2638 co. II, III c.c., aggravato dalla natura di società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 D.L.vo 58/98 (capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1, posti in essere in Vicenza, dal maggio del 2012 all'anno 2015, nelle date di cui ai rispettivi capi di imputazione), di falso in prospetto, ex artt. 61 nr. 2, 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 173 bis D.L.vo 58/98 (capi I ed L, posti in essere, in Vicenza, rispettivamente, il 10 giugno del 2013 ed il 9 maggio del 2014) e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 112 nr. 1 c.p., riconosciute a tutti gli imputati le attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle residue aggravanti contestate ed unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione, ritenuto più grave il delitto di cui al capo H1, condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione; - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno; - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Dichiarava i predetti imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Disponeva nei confronti dei medesimi la confisca per equivalente sino a concorrenza dell'importo di euro 963.000.000. - Dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi imputati, con riferimento ai reati di aggiotaggio di cui al capo A1 (limitatamente alle condotte contestate fino alla data del 27.4.2013), perché estinti per prescrizione. - Condannava i suddetti imputati, nei termini seguenti, al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili: - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili private di cui all'elenco allegato alla sentenza (con esclusione, relativamente agli imputati GI. e MA., del risarcimento in favore delle parti private Al.Br., Lo.Al., Lo.Da., Lo.Tr., Pi.So. e To.La.), con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute da dette parti; - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile Banca d'Italia, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore della medesima parte, pari ad euro 601,017,39 oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte civile; - Gi.Em. era condannato al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile CONSOB, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore di detta parte nella misura dì euro 186.570,00, oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte avite. - Assolveva Pe.Ma. e Zi.Gi. dai reati loro ascritti perché il fatto non costituisce reato. - Dichiarava, inoltre, Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) e, riconosciuta l'attenuante ex art. 12, co. II, lett. a) D.L.vo 231/01 ed applicata la disciplina della pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo cit., condannava detto ente al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 364.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo inoltre, nei confronti del medesimo ente, la confisca della somma di euro 74.212.687,50. - Disponeva, con riferimento alla posizione di Zo.Gi., la trasmissione degli atti al P.M. in relazione all'ipotesi di reato contestata sub capo N1; - Dichiarava improcedibile la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del responsabile civile Banca (...) in L.C.A. 1.1 Gli addebiti L'affermazione di penale responsabilità attiene alle vicende emerse a seguito dell'ispezione avviata dalla squadra inviata presso l'istituto di credito vicentino dalla BCE nel febbraio del 2015 in relazione a irregolarità emerse nella gestione dell'attività d'impresa bancaria, irregolarità rappresentate: - dal sistematico ricorso della banca al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario; - dal rilascio, in favore dei soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno al riacquisto delle azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli; - dagli "storni" di interessi, autorizzati dagli organi di vertice dell'istituto onde neutralizzare i costi dei finanziamenti all'uopo erogati dalla Banca; - dagli investimenti di consistenti risorse in fondi esteri poi utilizzati, almeno in parte, per la detenzione indiretta dì azioni proprie. Tali anomalie operative, per effetto dei provvedimenti adottati all'esito dell'ispezione BCE del febbraio del 2015, avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale, stimato in circa un miliardo di euro di deduzioni dal patrimonio di vigilanza, come confermato dalla stessa banca verificata nella relazione semestrale del 30.6.2015 e, quindi, nel bilancio d'esercizio 2015. Ne era seguita anche l'iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3 miliardi di euro. Quindi, nel 2016, la banca aveva deliberato un piano di rafforzamento patrimoniale che tuttavia non era andato a buon fine (con particolare riferimento all'aumento di capitale, previsto nella consistente misura di 1,5 miliardi, tanto che il Fondo (...) aveva rilevato la proprietà dell'istituto sottoscrivendo aumenti di capitale per complessivi 2,3 miliardi). Di qui la dichiarazione, da parte della BCE, dello stato di dissesto o di rischio di dissesto e, successivamente, ravvio della procedura di LCA, decisa con decreto del Ministro dell'Economia del 25.6.2017. Con sentenza 21.12.2018, poi, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato lo stato di insolvenza dell'istituto di credito. E' in questo contesto di crisi - successivamente sfociato, come appena precisato, nella dichiarazione dello stato di insolvenza - che si inscrivono le condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e (quanto al solo imputato GI.) della CONSOB, nonché di falso in prospetto, condotte che costituiscono (oltre agli illeciti amministrativi contestati all'ente Banca (...) in L.C.A.) gli addebiti ritenuti provati nella pronunzia del tribunale di Vicenza. In particolare gli imputati, nelle loro rispettive qualità di esponenti di vertice dell'istituto bancario, avrebbero posto in essere una serie di azioni coordinate finalizzate alla manipolazione del mercato, attraverso una artificiosa rappresentazione di una solidità patrimoniale della banca in realtà inesistente e della liquidità del titolo azionario, mediante la sistematica concessione di assistenza finanziaria ai clienti per l'acquisto di azioni della banca, l'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo del valore delle azioni finanziate ed il mantenimento di un valore sovradimensionato del suddetto titolo (aggiotaggio manipolativo). Avrebbero, altresì, diffuso informazioni mendaci (prevalentemente attraverso la emissione di comunicati stampa indirizzati al mercato ed ai soci) inerenti alla situazione della banca, alla liquidità del titolo azionario e al pieno successo delle operazioni di aumento di capitale effettuate negli anni 2013 e 2014 (aggiotaggio informativo). Inoltre avrebbero posto in essere condotte di ostacolo alla vigilanza ai danni della Banca d'Italia e della BCE occultando la sistematica attività di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie e in tal guisa impedendo l'adozione di tempestivi piani di vigilanza coerenti con la reale situazione della banca, conseguendo, inoltre, l'autorizzazione alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale primario di classe 1 e superando positivamente, infine, il Camprehensive Assessment (ovverosia l'esercizio di valutazione approfondita con il quale la BCE aveva verificato lo stato di salute delle principali banche europee) con l'effetto di accedere al Meccanismo Unico di Vigilanza. Il solo GI., poi, avrebbe ostacolato la vigilanza della CONSOB in relazione all'aumento di capitale 2014, omettendo la rappresentazione delle operazioni commerciali finalizzate alla promozione dell'aumento di capitale in questione. Ulteriori condotte delittuose poste in essere dagli imputati, infine, sarebbero state quelle di falso in prospetto in relazione alla predisposizione e diffusione dei prospetti informativi inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni all'atto degli aumenti di capitale degli anni 2013 e 2014. Nell'occasione, infatti, per un verso, sarebbero state occultate le informazioni inerenti al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso, sarebbero state comunicate informazioni fuorvianti in merito all'andamento del mercato secondario delle azioni stesse. Nel complesso si sarebbe trattato di condotte tutte avvinte da un evidente nesso di strumentalità in quanto sistematicamente ispirate dalla medesima intenzione, da un lato, di creare un'apparenza di liquidità del titolo azionario e, dall'altro, di accreditare la solidità patrimoniale dell'istituto di credito. Solo in quest'ottica, del resto, nella prospettiva d'accusa, sarebbero interpretabili le condotte dei singoli imputati, altrimenti del tutto prive di senso, posto che le corrette attività di appostazione della riserva di bilancio e di scomputo del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza avrebbero reso prive di ogni effetto le operazioni correlate. Di qui la contestazione della responsabilità concorsuale degli imputati. 1.2 Il compendio probatorio Il giudizio di penale responsabilità scaturiva dalla valutazione coordinata di un panorama probatorio assai vasto e composito, segnatamente costituito da elementi di natura testimoniale (deposizioni degli agenti operanti, di ex dirigenti dell'istituto di credito, nonché di funzionari e dipendenti della banca, di clienti, ecc.) e documentale (e-mail, documenti contabili, verbali del CdA, piani industriali, ecc.), dagli esiti di operazioni di intercettazione telefonica, nonché dalle conclusioni cui erano pervenute approfondite attività di ispezione; conclusioni, queste ultime, che erano state dapprima documentate attraverso l'acquisizione delle relative relazioni e, quindi, confermate e precisate in sede di escussione dibattimentale degli ispettori e dei funzionari di vigilanza. Inoltre un rilievo significativo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato anche all'approdo cui era pervenuta la meticolosa attività di ricostruzione di quegli aspetti della gestione aziendale rilevanti ai fini della compiuta comprensione delle reali dinamiche e della esatta portata del fenomeno delle operazioni di capitale finanziato siccome effettuata dai consulenti tecnici del P.M.. Costoro, in effetti, avevano ripercorso, attraverso uno scrupoloso vaglio della notevole mole della documentazione disponibile, tutte le singole operazioni giungendo ad una precisa quantificazione del fenomeno; quantificazione, peraltro, sostanzialmente allineata, seppure per difetto, ai dati indicati dalla stessa banca nella Relazione sulla Gestione dei bilanci 2015-2016 (euro 1086,9 mln). Le indagini della GdF, poi, avevano consentito di riscontrare le evidenze ispettive e di delineare compiutamente il contributo fornito dai singoli imputati. Infine, anche la relazione ex art 33 L.f. - nella quale erano stati compendiati gli esiti di un accurato esame dei bilanci e degli indici di redditività, efficienza e solidità patrimoniale, nonché dei margini di struttura essenziale dell'istituto di credito - aveva rappresentato un prezioso contributo (peraltro convergente con le ulteriori risultanze processuali) per l'esatta comprensione del fenomeno del capitale finanziato. 1.3 La competenza Il tribunale, dopo avere premesso che la questione della competenza territoriale avrebbe dovuto essere valutata alla stregua delle indicazioni contenute nell'imputazione nonché delle allegazioni delle parti unicamente relative al fatto storico siccome stigmatizzato nell'imputazione medesima (fatta salva l'ipotesi - espressamente esclusa dal primo giudice - che dal capo di incolpazione emergessero macroscopici errori, immediatamente rilevabili come tali), ribadiva la competenza territoriale dell'a.g. vicentina, siccome già affermata (in sede di udienza preliminare e, quindi, negli atti preliminari al dibattimento), ritenendo le eccezioni difensive inammissibili e, comunque, infondate. Sotto il primo profilo il tribunale di Vicenza, per un verso, richiamava il contenuto della decisione della Corte di Cassazione (Cass. Sez. I, nr. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018) che - già investita della questione a seguito di conflitto negativo sollevato dal GIP di Milano - aveva in tal senso deliberato, la trama argomentativa della quale veniva dal primo giudice puntualmente ripercorsa; per altro verso evidenziava il difetto di fatti nuovi idonei a superare tale decisione (posto che il capo di incolpazione, medio tempore, non aveva subito sostanziali modifiche), concludendo, quindi, per la vincolatività della decisione medesima. In ogni caso, sotto il secondo profilo (quello dell'infondatezza delle eccezioni di incompetenza), il tribunale respingeva le ricostruzioni difensive che individuavano in Roma il luogo di commissione del più grave reato contestato sub B1, trattandosi del luogo nel quale aveva sede la Banca d'Italia e ove, pertanto, detto istituto aveva ricevuto il rendiconto ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process), al momento della ricezione (ovvero della valutazione) del quale - sempre secondo le prospettazioni difensive -, atteso il contenuto asseritamente decettivo del documento in questione, si sarebbe verificato l'evento di ostacolo. Ciò in ragione del fatto che la falsa informazione - sub specie di "occultamento fraudolento" - contenuta in tale documento non rientrava affatto nel perimetro dell'imputazione di riferimento; imputazione che - precisava il primo giudice - circoscriveva al periodo ricompreso tra l'inizio e la fine dell'ispezione il momento di commissione delle attività di intralcio alla vigilanza. Assegnare rilievo, sul punto, all'invio del citato documento da parte del coimputato So.Sa. (posizione stralciata e giudicata separatamente), infatti, avrebbe significato modificare indebitamente il capo di imputazione (peraltro inserendovi una condotta che, nella sua materialità, sarebbe stata espressione di una differente modalità di aggressione al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice), con conseguente contestazione di un fatto nuovo. Più nel dettaglio il tribunale non condivideva le osservazioni difensive, le quali: - da un lato evidenziavano come il capo di imputazione sub B1, là dove faceva riferimento all'occultamento o, comunque, alla mancata comunicazione di informazioni, necessariamente ricomprendesse, tra le comunicazioni "fuorvianti", anche la suddetta comunicazione ICAAP (sulla base della quale, del resto, l'ente incaricato della vigilanza aveva determinato l'oggetto dell'attività ispettiva che di lì a poco avrebbe svolto presso la sede dell'istituto vigilato); - dall'altro lato contestavano che dall'indicazione del tempus commissi delicti siccome precisato in imputazione potessero desumersi effetti decisivi in ordine alla delimitazione del perimetro dell'imputazione, trattandosi di indicazione - espressione dell'avvenuta, censurabile selezione, da parte del P.M., di una sorta di "finestra temporale" non corrispondente alle evidenze disponibili - non certo prevalente, sempre secondo le difese, rispetto alla descrizione del fatto siccome esposto nel capo di imputazione medesimo. Ad avviso del primo giudice, invero, la prospettazione d'accusa era chiara nell'individuare l'oggetto dell'addebito nelle condotte poste in essere nel corso dell'attività ispettiva, condotte rispetto alle quali l'invio della citata comunicazione ICAAP costituiva un fatto autonomo, estraneo a quello contestato sub B1 e neppure preso in considerazione come antecedente causale delle medesime condotte incriminate. Conclusivamente, l'eccezione di incompetenza territoriale, avanzata in relazione all'asserito rilievo da assegnarsi, sul punto, alla citata comunicazione ICAAP, oltre ad essere inammissibile per difetto di sopravvenienze rilevanti ex art, 25 c.p.p. (l'addebito di riferimento essendo rimasto inalterato rispetto all'imputazione provvisoria valutata dalla citata Cass. 15537/2018), era comunque infondata. Infine, neanche poteva sostenersi la competenza territoriale dell'a.g. milanese, pure prospettata da talune difese facendo leva sulle contestazioni di falso in prospetto di cui ai capi I ed L della rubrica. Si era in presenza, infatti, di reati puniti con pena edittale inferiore rispetto a quella prevista per il reato ex art. 2638 c.c., siccome nella specie aggravato ai sensi del comma terzo. In effetti, il raddoppio delle pene previsto dall'art. 39 co. 1 L. 262/05 non poteva ritenersi applicabile alla fattispecie in esame, in quanto modificata, anche in punto di trattamento sanzionatorio, dal medesimo intervento legislativo, come arguibile dalla ratio di detto intervento, quale ricavabile tanto dal tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit., quanto dai relativi lavori preparatori. In ogni caso - e fermo, comunque, il principio di irretrattabilità del foro commissorio sancito dall'art. 25 c.p.p., - anche i reati di cui ai predetti capi I ed L erano stati commessi in Vicenza, presso la sede della banca vicentina, all'atto della pubblicazione dei prospetti informativi, tale essendo il momento consumativo del reato (e non già in Milano, sede della CONSOB, presso la quale detti prospetti erano stati depositati per l'approvazione). Donde la conferma della competenza del tribunale berico. 1.4 Il patrimonio di vigilanza e l'acquisto di azioni proprie: quadro normativo di riferimento Il tribunale, dopo avere esplicitamente richiamato il quadro normativo in ordine alla vigilanza informativa, regolamentare ed ispettiva sul settore bancario ed avere puntualmente delineato nozione e caratteristiche del "patrimonio di vigilanza" (nella sua accezione più ampia rispetto al semplice "patrimonio aziendale", in quanto ricomprendente, oltre al capitale sociale e alle riserve, anche gli strumenti di natura non strettamente patrimoniale ma rappresentanti "canali di patrimonializzazione"), precisava come, alia stregua delle disposizioni in materia, il "patrimonio di vigilanza" dovesse necessariamente corrispondere quantomeno all'ammontare del patrimonio interno assorbito dalle attività bancarie, in ragione della funzione assegnatagli di copertura dei rischi di mercato, operativo e di credito. Quindi, richiamati gli indici di riferimento per la valutazione delia capacità degli istituti di credito di sostenere le proprie attività in presenza dei rischi tipici ed evocata, altresì, la più recente disciplina di riferimento, il primo giudice precisava come il patrimonio di vigilanza complessivo dovesse intendersi costituito dalla somma algebrica tra il "patrimonio di base o capitale di classe 1" (Tier 1) e il "patrimonio supplementare o capitale di classe 2" (Tier 2), intesi come insieme di risorse capaci di assorbire le perdite, rispettivamente, in condizioni di continuità di impresa, ovvero di stato di crisi-In un siffatto contesto - proseguiva il tribunale - l'attività di vigilanza della Banca d'Italia assolveva, tra l'altro, alla funzione di valutare se gli strumenti finanziari emessi dagli istituti di credito fossero o meno computabili come strumenti di capitale primario, con la precisazione che, tra gli strumenti destinati ad essere integralmente dedotti dal capitale primario, rientravano certamente gli investimenti in azioni proprie (ivi comprese quelle che la banca fosse stata contrattualmente obbligata ad acquistare), e questo all'evidente fine di evitare il doppio computo del capitale. Con specifico riferimento al periodo interessato dalle imputazioni (2012-2015), poi, il giudice di prime cure puntualizzava come la composizione del patrimonio di vigilanza fosse disciplinata dalle Circolari della Banca d'Italia n. 263 del 27.12.2006 e n. 155 del 18.12.1991, circolari che, identificando il patrimonio di vigilanza come la somma algebrica tra il patrimonio di base (Tier 1) e il patrimonio supplementare (Tier 2), al netto delle deduzioni, esigevano che il rapporto tra il Tier 1 ed il totale delle esposizioni creditizie ponderate non dovesse essere inferiore al 4,00% e che il patrimonio di vigilanza, inteso come la somma di patrimonio di base Ver 1 e patrimonio supplementare Tier 2, dovesse essere almeno pari all'8% delle attività ponderate per il rischio. La Circolare n. 263/2006, poi, non prevedeva alcuna autorizzazione della Banca d'Italia per la computabilità delle azioni proprie nel patrimonio di vigilanza. Inoltre, a decorrere dal 2014, la disciplina di riferimento era costituita dal regolamento UE n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation - CRR) e dalla Circolare della Banca d'Italia n. 286 del 17 dicembre 2013, con l'effetto che alla nozione di patrimonio di vigilanza era subentrata quella di "fondi propri" (costituiti dalle tre componenti: CET1, Additional Tier 1 e Tier 2), Secondo il CRR le banche avrebbero dovuto disporre di un requisito di capitale primario di classe 1 (CET) pari al 4,5% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio, di un requisito di capitale di classe 1 (Tier 1) pari al 6% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio e, infine, di un patrimonio di vigilanza totale (patrimonio di base più patrimonio supplementare) pari all'8% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio. Ciò posto, il primo giudice, con riferimento al tema dell'acquisto delle azioni proprie da parte di un istituto di credito, richiamava i limiti progressivamente sempre più stringenti introdotti sul punto, oltre alle specifiche condizioni legittimanti le autorizzazioni in materia da parte dell'autorità di vigilanza, sottolineando come il principio dell'obbligatoria deduzione dal patrimonio di vigilanza delle azioni riacquistate fosse rimasto immutato nel tempo, trattandosi di principio (nel periodo 2006-2013 previsto dalle citate circolari della Banca d'Italia, come progressivamente aggiornate) essenziale per la tutela dei terzi, posto che, nel momento in cui la banca finanziava l'acquisto di azioni proprie, l'apporto patrimoniale era destinato ad assumere carattere fittizio, inidoneo a incrementare il patrimonio destinato alla copertura di rischi e perdite aziendali. E, in proposito, il primo giudice delineava puntualmente il regime prudenziale previsto successivamente all'1.1.2014, regime nel cui ambito rilevava anche il processo interno di autodeterminazione dell'adeguatezza patrimoniale che gli istituti di credito erano chiamati ad effettuare e di cui avrebbero dovuto comunicare gli esiti alfa Banca d'Italia attraverso una apposita comunicazione (ICAAP) - la responsabilità della quale era rimessa agli organi societari di amministrazione e di controllo - destinata ad illustrare le caratteristiche di tale processo. Era proprio il resoconto ICAAP - proseguiva il tribunale - a consentire all'organo di vigilanza di effettuare una valutazione completa (destinata a concludersi con l'attribuzione di un punteggio ricompreso tra 1 e 5) delle caratteristiche qualitative fondamentali (attraverso un'attività di supervisione denominata SREP/Supervisory Review Evaluation Process, caratterizzata anche da un confronto diretto tra organo di vigilanza ed istituto vigilato). 1.5 La ricostruzione dei fatti. 1.5.1 L'ispezione della BCE del febbraio 2015 ed i riscontri all'analisi BCE. In ordine all'ispezione BCE del febbraio 2015 - avviata dopo che una serie di evidenze (ivi compresa la pubblicazione, a ottobre del 2014, di un articolo sul quotidiano "Il Sole 24 Ore", a firma Cl.Ga., nel quale si era fatto espresso riferimento proprio al tema del finanziamento delle azioni) avevano fatto emergere come la B. avesse riacquistato azioni proprie in difetto della previa autorizzazione alla vigilanza - il Tribunale precisava che detta ispezione, svoltasi dal febbraio al luglio del 2015, aveva effettivamente dimostrato il diffuso ricorso da parte dell'istituto di credito ad operazioni di assistenza finanziaria ai soci per l'acquisto di azioni proprie; azioni che, proprio in quanto acquistate con finanziamenti concessi dall'emittente, non avrebbero dovuto essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza (ovverosia nei "fondi propri", secondo la terminologia adottata dall'art. 28, par. 1, lett. B, CRR). Sulla base, in particolare, della puntuale deposizione dell'ispettore Em.Ga. (responsabile del team della vigilanza), il primo giudice ricostruiva dettagliatamente natura, svolgimento ed esiti dell'ispezione in questione. Ebbene, si era trattato di una ispezione sul rischio di mercato, finalizzata, nell'ordine: - a verificare eventuali fenomeni di assistenza finanziaria relativi alle operazioni di aumento di capitale; - a controllare la corretta valutazione del prezzo delle azioni; s ad analizzare, infine, le operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi sottoscritti alla fine del 2012 dalla banca vigilata. L'arco temporale di riferimento assunto dagli ispettori era stato quello tra il 1.1.2014 ed il 28.2.2015. Il c.d. "mini aucap", poi, non era stato incluso nell'accertamento perché, in tale occasione, la banca aveva effettuato operazioni dì taglio piccolo (6250 euro/100 azioni) per le quali aveva espressamente previsto la possibilità di finanziamento da parte dello stesso istituto di credito, con corretta deduzione delle azioni acquistate dal patrimonio di vigilanza. Per il mercato secondario, poi, erano state analizzate tutte le operazioni per un controvalore superiore ai 250.000 euro. Quanto alla metodologia operativa seguita per intercettare le operazioni di capitale finanziato erano stati adottati criteri dì tipo quantitativo e qualitativo. Sotto il primo profilo erano state tracciate le operazioni caratterizzate da "una relazione forte" tra ammontare finanziato e sottoscritto (nel senso che il "finanziato" avrebbe dovuto essere superiore al "sottoscritto", sia con riferimento alle operazioni "full", ovverosia quelle in cui l'intero finanziamento era stato utilizzato per l'acquisto delle azioni; sia a quelle cc.dd. "fifty-fifty", ovverosia nelle quali solo una parte del finanziamento era stato impiegato per l'acquisto dei titoli). In ordine al dato temporale erano stati analizzati, in relazione al mercato primario, solo i finanziamenti concessi nel "periodo sospetto", ricompreso tra la data di inizio del collocamento e il giorno della consegna del titolo al cliente (c.d. delivery date), pari a circa tre mesi. Diversamente, in ordine al mercato secondario, erano state analizzate tutte le operazioni di acquisto in cui i finanziamenti erano stati erogati nei tre mesi antecedenti (posto che dai colloqui avuti con Se.Ro., addetto all'ufficio soci, gli ispettori avevano appreso che la tempistica media seguita dalla banca per evadere un ordine di acquisto di azioni non superava, per t'appunto, ì 90 giorni circa). In ogni caso - precisava il tribunale - gli ispettori avevano verificato che, generalmente, ì finanziamenti erano risultati concessi pochi giorni prima dell'esecuzione dell'ordine di acquisto. Altri elementi considerati ai fini ispettivi erano stati l'analisi dei conti, quasi tutti caratterizzati da bassissima operatività, nonché la valutazione delle P.E.F., (ovverosia le pratiche elettroniche di fido), risultate costantemente connotate dall'indicazione di causali estremamente generiche e ripetitive e, pertanto, ritenute sintomatiche di "operazioni eccentriche". Inoltre, anche la circostanza che le operazioni fossero "operazioni in bianco" (ovverosia prive di garanzia) costituiva una prassi anomala rispetto ai normali standard creditizi di sana e prudente gestione del portafogli creditizio di una banca. Quindi, con specifico riferimento agli esiti dell'ispezione, il tribunale illustrava le seguenti evidenze: a) l'esistenza di capitale finanziato per un importo complessivo di 506 milioni, capitale che, proprio in quanto oggetto di finanziamento, avrebbe dovuto essere detratto dal patrimonio di vigilanza; b) il rilascio di lettere di impegno collegate ad acquisti sul mercato secondario (peraltro non registrate nella contabilità aziendale né rappresentate nei documenti di bilancio) con le quali l'istituto si era vincolato al rimborso del capitale investito dagli azionisti nella banca, A fine ispezione, in relazione a tali lettere di impegno (la scoperta delle quali - precisava il tribunale sulla scorta della deposizione del teste Em.Ga. - aveva rappresentato un vero e proprio punto di svolta nell'ispezione, trattandosi della prova documentale della consapevolezza, da parte del management, del carattere finanziato dell'acquisto delle azioni), l'istituto era stato costretto a dedurre dal CET 1 circa 21 milioni di euro; c) il fenomeno degli storni di interessi alla clientela fonde tenerla indenne dei costi derivanti dal finanziamento correlato all'acquisto delle azioni). In alcuni casi si era trattato di storni non "baciati" da finanziamenti e, pertanto, sintomatici di un comportamento concludente dell'azienda finalizzato a riconoscere al cliente un corrispettivo per il possesso delle azioni, con conseguente accrescimento dei rischi legale e reputazionale a carico dell'azienda medesima. Peraltro la pratica degli "storni" aveva generato un vincolo sul rendimento delle azioni tale da precluderne la computabilità nel patrimonio di vigilanza; d) la sopravvalutazione del valore dell'azione, valore deciso a monte dal CdA senza considerare i dati fondamentali dell'azienda sotto il profilo economico-patrimoniale; profilo, in effetti, caratterizzato da risultati economici modesti; e) lo squilibrio del mercato secondario delle azioni, in quanto connotato da una marcata asimmetria tra ordini di acquisto e ordini di vendita (572,5 milioni contro 1.000.000,000, nel periodo gennaio 2013 - dicembre 2014); asimmetria, peraltro, risultata all'origine proprio del ricorso al capitale finanziato, quale strumento per contrastare l'illiquidità del titolo; f) l'investimento per euro 350,000.000 nei fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" ad esposizione sconosciuta, effettuato in modo non prudente né trasparente. Si trattava, in effetti, di fondi ad esposizione non comunicata, dei quali, sostanzialmente, B. era sottoscrittore unico (sicché, più che di fondi, si era in presenza di una gestione patrimoniale delle risorse dell'istituto di credito). Né i dirigenti della banca avevano fornito delucidazioni agli ispettori sulla natura degli investimenti in detti fondi se non a seguito della comunicazione che la mancata disclosure avrebbe comportato lo scomputo dell'intero importo di 350 milioni di euro dal patrimonio di vigilanza. Solo a quel punto, infatti, erano stati comunicati gli investimenti sottostanti ed era così emerso non solo che detti fondi avevano investito in asset in buona parte legati allo stesso istituto di credito ma, soprattutto, che i fondi medesimi erano stati lo strumento utilizzato per l'acquisto di azioni proprie, nel 2012, per un importo di 60 milioni di euro (in luogo di quello dichiarato di 54 milioni circa), titoli poi dismessi al 31 dicembre del 2014; g) l'esistenza della società di diritto irlandese B.Fi., utilizzata anche per alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato (operazioni relative, segnatamente: a) alla campagna "svuota fondo" 2012, tradottasi nell'acquisto dì azioni proprie, per il valore complessivo di 30 milioni di euro, per il tramite delie società italiane denominate Pe., Gi. e Lu., all'uopo provviste del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate da B.Fi.; b) alla dismissione delle azioni proprie detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" ed "(...)" ed acquistate, per una rilevante percentuale, dalla società So. Ltd. a mezzo di un finanziamento erogatole dalla predetta società di diritto irlandese B.Fi.). In definitiva - precisava il primo giudice - gli esiti cui era pervenuta l'attività ispettiva avevano generato un impatto deflagrante sul patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, comportandone la riduzione per un valore di 607 milioni di euro (come da tabella riassuntiva riportata a pag. 288 della sentenza impugnata). Ne era seguita la predisposizione di un radicale piano di rafforzamento del capitale, onde consentire alla banca di rientrare immediatamente nei parametri richiesti dalla BCE. Nondimeno, nel prosieguo, la verificata impraticabilità degli interventi necessari a ripristinare la corretta operatività dell'istituto ne aveva imposto la liquidazione coatta amministrativa. Quindi, in ordine alla capacità probatoria da riconoscersi, nei limiti delineati dalla giurisprudenza di legittimità, agli accertamenti ispettivi, il tribunale precisava che tale capacità derivava, segnatamente, dalla competenza del personale dell'organo di vigilanza; dalla imparzialità propria dì tale organo (le cui valutazioni, del resto, avevano determinato un nuovo assetto di governance dell'istituto di credito); dalla coerenza, infine, tra gli esiti dell'ispezione e quanto verificato dai consulenti del P.M.. Peraltro anche il dott. Fe.Pa., consulente della difesa dell'imputato PE., aveva rimarcato il carattere "profondamente innovativo" e metodologicamente "ineccepibile" dei criteri seguiti dal team ispettivo nel corso della vigilanza, sottolineando anche la natura prudenziale dell'accertamento (sottostimato) che ne era derivato in punto di quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre - precisava il tribunale - numerosi erano stati i riscontri all'analisi della BCE. Trattavasi: a) dello squilibrio del mercato secondario, siccome manifestatosi a partire dal 2011 (squilibrio che, in difetto del ricorso al finanziamento delle azioni, avrebbe portato al "blocco della liquidità" già dal secondo trimestre del 2012; b) delle dichiarazioni di numerosi esponenti del management aziendale (segnatamente: i testi Fi.Ro., responsabile dell'Ufficio Soci, e Se.Ro., addetto allo stesso Ufficio Soci, i quali avevano rievocato l'incremento della richiesta di vendita delle azioni a partire dagli anni 2011/2012 e l'abbandono del relativo criterio cronologico a decorrere dallo stesso 2011; il teste Co.Tu., il quale aveva riferito che già dal 2009 erano state effettuate "operazioni svuota fondo" - rivolte cioè ad azzerare il fondo acquisto azioni proprie della banca - a ridosso della fine dell'anno per abbellire il bilancio; il teste Ma.Ba., il quale aveva dichiarato che dalla metà del 2011 aveva iniziato a sentire parlare di "operazioni K", finanziamenti correlati e operazioni c.d. "baciate" nel corso delle riunioni della Divisione Mercati con i capi area; l'ex direttore generale dal 2001 al 2005 e dal 2008 all'ottobre 2011, Di.Gr., il quale aveva confermato le tensioni sul mercato a causa della scarsità di domande di acquisto delle azioni, tensioni da lui fronteggiate rivolgendosi a investitori istituzionali che avevano comprato azioni B. con intesa verbale di riacquisto); c) degli appunti del segretario generale Ma.So. relativi alle operazioni c.d. "baciate", dal medesimo teste definite come operazioni sulle quali, dietro indicazione dei vertici aziendali, occorreva "spingere" per aumentare il capitale; d) degli ulteriori riscontri documentali in ordine all'andamento asimmetrico del mercato secondario (in particolare la e-mail di cui al documento nr. 166 e l'appunto di cui al documento 881 prodotti dal P.M. - cfr. pag. 304 della sentenza impugnata); e) delle attività "svuota fondo", attuate anche attraverso le operazioni c.d. "baciate" (per un importo stimato dai CCTT del P.M., con riferimento all'anno 2012, pari a 287 milioni di euro), delle quali avevano complessivamente riferito svariati testi (segnatamente i testi Fi.Ro., En.Da., Gi.Ca., Ma.Ba., Co.Tu. e Fr.Pi.); f) delle stesse dichiarazioni rese, nel corso del suo esame, dall'imputato Gi.Zi. (il quale aveva riferito che alla fine del 2012, attraverso la sua società Ze. s.r.l. aveva acquistato azioni dell'istituto di credito per "dare una mano alla banca" e consentire lo sblocco di richieste di vendita inevase); g) della ricostruzione del fenomeno del capitale finanziato siccome effettuata dall'Internal audit (e compendiata nel documento nr. 22 prodotto dal P.M.); h) delle dichiarazioni dibattimentali del teste Ro.Ri., gestore private di Contrà Porti (il quale aveva riferito delle modalità di attuazione delle operazioni più consistenti di capitale finanziato - i cc.dd. "big ticket" -caratterizzate da un arco temporale ristretto di 6/12 mesi e dalla corresponsione di un compenso variabile tra lo 0,50% e il 2%); i) delle articolate modalità di occultamento delle operazioni correlate, costituite, segnatamente: dal divieto di comunicazioni scritte (come riferito dai testi Co.Tu., Al.Cu. e Gi.Gi.; il teste Fr.Te., dal canto suo, aveva parlato di un eccesso di riservatezza al riguardo); dall'utilizzo di formule generiche nelle causali degli affidamenti (in particolare "cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare e/o immobiliare") tali da occultare all'esterno - ma, al contempo, da rendere immediatamente riconoscibili all'interno - le operazioni correlate; dal distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni; dalla cura prestata nell'evitare l'assoluta coincidenza di importo tra finanziamento ed azioni acquistate; e, infine, dall'inserimento nel portafoglio titoli dei clienti anche di azioni diverse; j) dell'esistenza delle lettere di impegno (l'Internal audit ne aveva censite in numero di 65); k) degli "storni" di interessi, siccome verificati anche dalle attività di audit (il documento richiamato era quello nr. 18 della produzione del P.M.) e oggetto di deposizione testimoniale (segnatamente, le deposizioni di Da.Es., funzionario addetto al "Risk Management", nonché quelle di Co.Tu., di Gi.Ca. e di Lu.Ve.); l) delle modalità seguite per il collocamento delle azioni quali evidenziate, ancora, dalla relazione di audit (modalità costituite: dall'acquisto con mezzi propri a fronte della promessa di una remunerazione proveniente dal pagamento dei dividendi, associata all'eventuale plusvalenza del prezzo dell'azione con eventuali scostamenti compensati attraverso storni di competenze non giustificati; dall'acquisto con mezzi propri di azioni B. per circa il 50% dell'importo disponibile e sottoscrizione per la parte rimanente di un time deposit a tasso di favore, in linea di massima del 4%, acquisto, questo, proposto a partire dal 2013; da finanziamenti "baciati" con storno competenze/spese e rendimento garantito, con durata, in genere, di 6/12 mesi; da fidi per "operazioni K" concessi a clienti cui era proposto un affidamento per ragioni proprie del cliente e con erogazione condizionata alla sottoscrizione di almeno il 10% dell'operazione per acquisto di azioni proprie; operazione, questa, poi estesa anche alle posizioni con fidi a revoca da revisionare su clienti individuati in tabulati forniti dalla Divisione Mercati; dall'acquisto di azioni proprie proposto in occasione di affidamenti su clientela con rating compreso tra 1 e 5 per il retati (ovverosia per i singoli clienti) e tra 1 e 6 per il corporate (ovverosia per le imprese); m) dei riscontri dibattimentali in ordine alla prassi adottata dai vertici dell'istituto per dare attuazione alle operazioni correlate con l'obiettivo di raggiungere, sia in occasione dei nuovi finanziamenti che nelle procedure di rinnovo, il rapporto del 10% tra il capitale sottoscritto e l'importo erogato. Dalle dichiarazioni dei testi, invero, era emersa la forte pressione praticata sulla rete aziendale per la conclusione delle operazioni "baciate" (deposizioni Al.Ba., Gi.Gi., Co.Tu., Ma.Ni., Di.Ip., Al.Cu.) al punto tale che alcuni collaboratori, come i private banker An.Vi. e Fr.Te., avevano rassegnato le dimissioni (il Te. proprio sul rilievo della contrarietà etica rispetto alle operazioni di capitale finanziato). Il verbale di conciliazione successivo alle dimissioni del Te., peraltro, aveva previsto l'inserimento di una clausola di riservatezza. Anche i bollettini sindacali acquisti nel corso del dibattimento, infine, avevano comprovato, così come le e-mail parimenti acquisite, le pressioni per il raggiungimento degli obiettivi di capitale assegnati (cfr. pagg. 317-318 della sentenza); n) delle dichiarazioni dibattimentali rese da clienti di rilievo (cfr. dep. Lo., Fe., Mo., Ro., To., Ti., Ma., Ca., Ma., Br., Ca., Gi. e Si.Ra.) che avevano concluso le operazioni aventi ad oggetto i "big ticket', là dove costoro avevano concordemente delineato lo schema operativo di riferimento (operazione a termine/apertura conto corrente dedicato/remunerazione variabile tra lo 0,5% e l'1%); o) delle dichiarazioni rese dall'ispettore Gi.Ma. (confermate dalla testimonianza del direttore regionale B. della Lombardia, della Liguria e del Piemonte, Gi.Gi. e dal direttore di B.Fi. Pi.Ra.) con specifico riferimento alle modalità operative seguite per realizzare lo "svuota fondo" del 2012 attraverso la società controllata irlandese B.Fi. per il tramite delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., all'uopo provviste -come detto sopra - del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate, per l'appunto, da B.Fi.; p) dell'operazione di acquisto di un'importante frazione delle azioni B. già detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", effettuata dalla società So. Ltd. per l'importo di 25 milioni di euro, secondo quanto emerso dalle stesse risultanze delle attività di revisione interna nonché dal contenuto delle deposizioni dibattimentali, ivi compresa quella di Iorio Francesco, amministratore delegato e d.g. di B. dal 1.6.2015 al 4,12,2016; questi aveva confermato come, di fatto, i suddetti fondi esteri fossero stati utilizzati sia per acquistare in origine azioni della banca sia per effettuare investimenti in società riconducibili a soggetti già finanziati dall'istituto (investimenti, questi ultimi, che, generando un rischio aggiuntivo, avrebbero imposto che fosse seguito un iter autorizzativo ben diverso, con competenza al rilascio del benestare da parte del CdA - cfr. pagine 325-329 della sentenza); q) delle dimissioni del private banker An.Vi., generate dalle pressioni ricevute per concludere le operazioni "baciate" e dall'atteggiamento dilatorio assunto dal d.g. Sa.So. a seguito delle conseguenti richieste di approfondimento della vicenda provenienti dal responsabile dell'audit Ma.Bo. (cfr. deposizione Vi. e documentazione di riferimento); r) della denunzia del fenomeno degli acquisti correlati effettuata, nel corso dell'assemblea del 26 Aprile 2014, dal socio Ma.Da. e della conseguente inerzia degli organi societari; s) delle anomalie riscontrate in occasione della revisione legale del bilancio della banca da parte della società K. in punto di adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento alle operazioni fatte in contestualità, anomalie che avevano indotto la responsabile dell'ufficio legale interno a sollecitare l'esecuzione di un apposito audit ottenendo, tuttavia, un fermo diniego da parte del d.g. So. e di Pi.An., responsabile della Divisione Finanza (il quale ultimo aveva replicato: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa" - cfr. deposizione An.Pa., responsabile dell'ufficio legale interno); t) del contenuto del file audio (ritenuto dal tribunale utilizzabile, trattandosi di documento registrato dagli addetti informatici a ciò deputati e non già di abusiva registrazione effettuata da ignoti, donde il rigetto della relativa eccezione avanzata dal difensore dell'imputato MA.) inerente allo svolgimento dei lavori del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Tale registrazione aveva inequivocabilmente documentato tanto l'esistenza del fenomeno delle operazioni "baciate" quanto l'approntamento di strategie per occultare tale fenomeno alla vigilanza (cfr. pagg. 335-336 della sentenza); u) dell'allestimento della "Task Force gestione soci" che, nelle intenzioni dei vertici della banca, avrebbe dovuto approntare, in extremis, una strategia difensiva in relazione ai diversi profili di irregolarità emersi nel corso degli accertamenti ispettivi e favorire l'assunzione di una posizione comune a fronte delle sempre più pressanti richieste da parte dei clienti, dei reclami relativi al deprezzamento delle azioni e del rischio di fuga dei correntisti. Era stata proprio la questione, emersa sin dalle prime interlocuzioni, del fenomeno del capitale finanziato, peraltro di dimensioni notevolissime (pari a un miliardo di euro, secondo il teste Ma.Li.) che, di fatto, aveva impedito alla Task Force di esplicare qualsivoglia concreta attività (cfr. deposizione del teste Gi.Am.; e-mail di cui ai documenti nn.ri 525, 528 del P.M:); v) della quantificazione del capitale finanziato chef determinata dall'audit interno, su incarico BCE, nella misura di euro 941.335.883 e riferita a nr. 917 posizioni correlate, era poi stata fissata dalla società Er. (all'esito di una accurata ricostruzione del fenomeno, a partire dall'anno 2008, che aveva visto coinvolti il personale della Divisione Mercati ed i singoli capi area, questi ultimi richiesti di confermare/integrare i dati che andavano emergendo) nella misura di euro 1.086.892.062; w) della relazione redatta ex art. 33 l.f. dai commissari giudiziali che avevano individuato le cause del dissesto dell'istituto di credito, segnatamente: nella fissazione di un prezzo delle azioni sovrastimato (anche a causa della predisposizione di piani economico-finanziari mirabolanti, se non addirittura fantasiosi e per l'effetto dell'ausilio di professionisti incuranti dei dati utilizzati per le loro stime e valutazioni); nel massiccio ricorso alle operazioni correlate; nell'effettuazione di operazioni non strettamente riconducibili all'attività di erogazione del credito alla clientela bensì consistenti in investimenti in altre società, partecipazioni, ovvero in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) quali i fondi lussemburghesi (che avevano anche agito da "società veicolo" per operazioni "back to back") e, quindi, in definitiva, in operazioni eccessivamente speculative, rischiose o addirittura illecite; nella continua pratica di sollecitare il mercato azionario stimolando gli acquisti di azioni proprie grazie ai finanziamenti correlati, occultando le perdite e sovrastimando i titoli; e, infine, nella decisione di celare il continuo peggioramento della qualità del credito attraverso la sottostima delle rettifiche e l'occultamento delle perdite a bilancio. 1.5.2 La consulenza tecnica dei P.M. Assoluto rilievo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato agli esiti della consulenza tecnica disposta - nel corso delle indagini - dagli inquirenti. In particolare i consulenti dott.ssa La.Ca. e prof. Ro.Ta., all'esito di una valutazione analitica della documentazione a disposizione riferibile a ciascuno dei 965 clienti che erano stati segnatati per avere operato tramite finanziamento - valutazione, peraltro, fondata sull'adozione di un approccio prudenziale (caratterizzato, per evitare duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti, dall'attribuzione all'organo deliberante il finanziamento del controvalore di uno solo degli acquisti) - avevano evidenziato: con riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati (quesito nr. 1): - che dei 965 clienti segnalati solamente 91 non erano stati finanziati da B., sicché le posizioni finanziate erano pari a nr. 874; - che l'ammontare degli acquisti finanziati era pari a complessivi 1.031,6 milioni di euro (per un totale di azioni B. acquistate tramite finanziamento pari a 15.426.391), di cui euro 963 milioni riferiti ad acquisti di azioni B. ed euro 68 milioni riferiti a sottoscrizioni di prestito obbligazionario convertibile; - che la quota prevalente degli acquisti era riferibile a operazioni finanziate da B. (essendo imputabili alle controllate B.Fi. e Ba.Nu., rispettivamente, acquisti per euro 55,4 milioni e per euro 5,2 milioni); - che, quanto all'aumento di 506 milioni di euro di capitale effettuato nel 2013, la banca aveva finanziato il 28% dell'operazione, per un valore complessivo di euro 143 milioni; - che, quanto all'aumento di capitale nell'anno 2014 per euro 607,8 milioni, l'ammontare finanziato era stato di 136 milioni (pari al 22%); - che nel 64% degli acquisti il rapporto tra finanziamento e acquisto delle azioni era risultato pari o superiore al 90%; - che, quanto all'ammontare del valore dei titoli suddiviso per ciascun organo deliberante in relazione al periodo oggetto di indagine (30.6.2012-31-3.2015), al CdA andava "attribuito" un valore di euro 414.193.319 (pari al 35% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al Comitato Crediti un valore di euro 160-029.069 (pari al 13% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile Divisione Crediti, Ma.Pa., un valore di euro 108.418.754 (pari al 9% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile della Divisione Mercati, Gi.Em., un valore di euro 32.941.194; al Comitato Esecutivo un valore di euro 63.196.606; al Comitato Centrale Fidi, infine, un valore di euro 49.936.575; con riferimento al fenomeno della vendita delle azioni con patto di riacquisto (quesito nr. 2): - che tale fenomeno si era concretizzato nel rilascio di lettere in favore di 14 azionisti, trattandosi dei soggetti nei confronti dei quali la banca si era incontrovertibilmente impegnata al riacquisto delle azioni, il tutto per un valore complessivo di 46,6 milioni di euro (le restanti lettere non erano state prudenzialmente considerate in quanto contenenti un impegno "più debole", ovvero perché mai consegnate agli azionisti); con riferimento alla determinazione del patrimonio di vigilanza e del livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali (quesito nr. 3) : - che, doverosamente detratti dall'ammontare del patrimonio di vigilanza (ovvero dall'ammontare dei "fondi propri", secondo la terminologia introdotta dal CRR), quale comunicato dalla Banca all'organo di vigilanza, tanto l'importo complessivo degli acquisti di azioni B. effettuati dai clienti considerati finanziati, quanto l'ammontare degli impegni al riacquisto di azioni ritenuti effettivamente vincolanti e prudenzialmente diminuite anche le attività ponderate per il rischio (RWA) del medesimo ammontare (sul rilievo che le operazioni di finanziamento non sarebbero state ragionevolmente poste in essere se non per il raggiungimento dello scopo in questione), la differenza tra il Total Capital Ratio comunicato e quello rettificato andava da un minimo di 1,16% a un massimo del 3,4% (31.3.2015). Inoltre: il CET 1 ratio rettificato al 31.3.2014 (6,63%) ed al 30.6.2014 (6,24%) si attestava a un livello inferiore alla soglia minima regolamentare del 7%; il Tier 1 Ratio rettificato si attestava ad un livello inferiore rispetto alla soglia target comunicata alla Banca d'Italia, pari all'8%, per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013 (valore minimo 6,32%, valore massimo 7,34%); per il Total Capital Ratio, infine, il dato rettificato al 31.3.2014 (8,51%), al 30.6.2014 (7,94%), al 30.9.2014 (9,57%), al 31,12.2014 (8,47%) e, infine, al 31,3,2015 (8,51%), si posizionava costantemente sotto la soglia minima regolamentare del 10,5%. con riferimento all'effetto distorsivo del fenomeno di assistenza finanziaria all'acquisto di azioni sul funzionamento ed andamento del mercato secondario (quesito nr. 5): - che il fenomeno del ricorso al capitale finanziato - risultato massiccio in coincidenza della fine dell'anno, con conseguenti, repentine diminuzioni del fondo acquisto azioni proprie - aveva comportato una profonda distorsione del mercato. In effetti la dettagliata ricostruzione delle dinamiche di acquisto dei titoli sul mercato secondario aveva reso evidente come il ricorso ai finanziamenti degli acquisti di azioni avesse consentito alla banca di mantenere il funzionamento del mercato secondario solo fino al 2012, A partire dall'anno successivo, infatti, l'istituto non era più stato in grado di garantire la liquidità del titolo; con riferimento alla stima del valore dell'azione (quesito nr. 4): - che il prof. Ma.Bi. (l'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) aveva basato il suo giudizio sui criteri, rispettivamente, reddituale (c.d. Income Approach), di mercato (c.d. Market Approach) e del costo (c.d. Cost Approach). Il CdA dell'istituto, dal canto suo, nel determinare il valore del titolo aveva assegnato rilievo pressoché esclusivo al criterio reddituale (Income Approach). Peraltro, l'assemblea, nel triennio di riferimento, aveva approvato il valore dell'azione allineandosi al valore massimo calcolato dal predetto professionista con riferimento al parametro in questione. Ebbene, l'approccio del prof. Bi. non era condivisibile in quanto non conforme alle raccomandazioni della dottrina e della prassi professionale, avendo comportato una sopravvalutazione del capitale economico di B. nel periodo 31.12.2012 - 31.12.2013. Quanto all'anno successivo, sebbene il professionista avesse preso atto di una riduzione del valore del titolo, si era comunque in presenza di una sovrastima dell'azione, in considerazione degli effettivi risultati economici consuntivi dell'attività dell'istituto e del marcato disallineamento con le quotazioni di borsa delle principali banche italiane. Pertanto, doverosamente considerato il fenomeno del capitale finanziato, era stato necessario procedere ad effettuare una nuova stima del capitale economico della banca e, quindi, del valore delle azioni, sia non rettificando gli RWA sia operando tale rettifica (ricostruzione, quest'ultima, più favorevole agli imputati). Il risultato era stato, in entrambi i casi, quello di una significativa riduzione di valore del titolo, stimato nei seguenti termini: al 31.12.2012 tra euro 21,94 e euro 22,49 (a fronte dì un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 55,77 euro e 56,31 euro); al 31.12.2013 tra euro 26,78 ed euro 27,45 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 54,40 e 55,05 euro); al 31.12.2014 tra euro 23,87 ed euro 24,94 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 41,68 euro e 42,70 euro). In definitiva, secondo il tribunale, i consulenti del P.M., avevano compiuto una ricostruzione dei fenomeni analizzati esaustiva e affidabile in quanto espressione di metodologia ispirata a prudenza; ricostruzione, peraltro, significativamente coerente con il perimetro già tracciato dagli ispettori BCE. In particolare ì consulenti avevano verificato che gli acquisti di azioni e obbligazioni fossero avvenuti attingendo, in tutto o in parte, a risorse fornite dalla banca mediante un nuovo affidamento concesso prima dell'operazione, ovvero mediante l'impiego di eventuali preesistenti erogazioni non ancora utilizzate. Inoltre avevano rispettato la normativa prudenziale in materia. In particolare la riprova dello scrupolo che aveva guidato l'azione dei consulenti era costituita dal fatto che i predetti avessero espunto ben 91 posizioni rispetto al numero di operazioni finanziate originariamente individuati dall'Internai audit. La diversa quantificazione del capitale finanziato compiuta dagli ispettori BCE, poi, era essenzialmente dipesa dal differente arco temporale oggetto di verifica (sul punto il tribunale, a pagina 380 della sentenza, riportava una tabella sinottica). Gli esiti di consulenza, inoltre, erano risultati coerenti con il materiale probatorio acquisito, non solo di tipo testimoniale ma anche documentale (davvero inequivoco, sul punto, ad avviso del primo giudice, era il contenuto della registrazione audio della seduta del Comitato di Direzione del 10 novembre 2014, là dove il d.g. So. aveva affermato espressamente "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare..."). Né, del resto, i consulenti delle difese avevano proposto una quantificazione alternativa del fenomeno del capitale finanziato in esame, sostanzialmente essendosi limitati a sostenere come i cc.tt. del P.M. avessero effettuato una stima in eccesso. Per converso emergevano dati inequivoci del fatto che si fosse trattato di una stima prudenziale, attuata per difetto. A riscontro di ciò il Tribunale richiamava la vicenda dell'operazione finanziata conclusa con la El. (operazione avente un valore, ad avviso dei consulenti, di 17 milioni di euro ma ammontante, secondo il teste Pi.Ca., a ben 20 milioni di euro). Infine, neppure le ulteriori censure difensive erano fondate ad avviso del primo giudice. In particolare, nella prospettiva del tribunale, era errata la tesi secondo la quale l'obbligo di detrazione dal capitale di vigilanza avrebbe presupposto l'esistenza di un "nesso teleologico" tra il finanziamento erogato e l'acquisto delle azioni (tesi che i consulenti delle difese ZO. e ZI. ancoravano alla circolare n. 263/2006 della Banca d'Italia). In effetti la ratio della normativa prudenziale - precisava il primo giudice - era quella di tutelare l'effettiva integrità del patrimonio aziendale, sicché non era affatto sostenibile un'interpretazione tale da rimettere alla volontà dei contraenti l'individuazione delie operazioni di finanziamento destinate all'acquisto delle azioni, esponendo a scontate elusioni le regole poste a presidio dell'integrità del patrimonio dì vigilanza. In realtà tutta la normativa di riferimento (a partire dalla circolare di Banca d'Italia n. 155/91 fino al Regolamento UE 575/13 e, ancora, al Regolamento UE 241/14) assegnava rilievo unicamente al dato oggettivo dell'utilizzo del finanziamento per l'acquisto delle azioni. Parimenti oggettivi, del resto, erano i criteri di cui alla circolare n. 263/2006 evocata dalle difese (contenente, sul punto, disposizioni che suggerivano di porre a confronto elementi meramente oggettivi, quali il dato temporale dell'erogazione del finanziamento e quello dell'acquisto delle azioni, nonché i relativi importi, senza assegnare rilievo alcuno alla finalità perseguita dalle parti). Anche l'ulteriore prospettazione difensiva secondo cui la deduzione del valore del finanziamento dal patrimonio di vigilanza non si sarebbe dovuta effettuare con riferimento all'acquisto di azioni sul mercato secondario (in quanto, in tal caso, la banca, avendo finanziato un cliente dotato di merito creditizio, non si sarebbe esposta al rischio di impresa) era destituita di fondamento. Questo non solo per l'assenza di un regime differenziato (tanto nella normativa comunitaria quanto in quella nazionale) con riferimento agli acquisti sul mercato primario, ovvero secondario, ma, soprattutto, per ragioni logiche. Anche in caso di acquisto di azioni proprie sul mercato secondario, infatti, l'omessa decurtazione del valore delle azioni dal patrimonio di vigilanza avrebbe determinato l'effetto distorsivo di annacquamento di tale presidio di garanzia. Senza considerare, poi, che subordinare alla ponderazione del merito creditizio la computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza avrebbe significato, in ultima analisi, rimettere a valutazioni discrezionali l'effettiva entità del patrimonio di vigilanza medesimo. Infine, nella prospettiva del primo giudice, neppure la censura relativa alla mancata specifica considerazione - nel valutare l'esistenza di operazioni correlate - del fattore temporale coglieva nel segno. Questo, solo a considerare il fatto che larghissima parte (circa l'86%) degli acquisti di azioni che, secondo i consulenti del P.M., erano stati finanziati aveva avuto luogo entro novanta giorni dal finanziamento. Conclusivamente, le stime effettuate dai predetti consulenti erano affidabili e semmai peccavano per difetto piuttosto che per eccesso nella quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. 1.6 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza riteneva provata la commissione di una pluralità di reati di aggiotaggio, posti in essere tra l'anno 2012 e l'anno 2015 e concretizzatisi: - nella sistematica concessione di assistenza finanziaria per l'acquisto e la sottoscrizione di azioni della banca onde determinare l'apparenza di liquidità del titolo; nell'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo delle azioni finanziate; e, infine, nella mancata comunicazione all'esperto incaricato di stimare il sovrapprezzo delle azioni B. dell'esistenza della prassi del capitale finanziato (aggiotaggio manipolativo): - nella diffusione di mendaci informazioni relative all'entità del patrimonio societario, alla solidità patrimoniale della banca, alla crescita della compagine sociale e al buon esito delle operazioni di aumento di capitale (aggiotaggio informativo. In particolare, dopo una accurata ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il tribunale, quanto all'ipotesi di "aggiotaggio manipolativo", indicava come simulate le sistematiche operazioni di capitale finanziato effettuate, trattandosi di operazioni, per l'appunto, di natura simulata o, comunque, artificiosa. Simulata, più precisamente, doveva ritenersi tale natura con riferimento alle operazioni di finanziamento per importi corrispondenti al valore delle azioni e caratterizzate non già dal rimborso del finanziamento da parte del cliente bensì dall'impegno (orale, ovvero assunto per iscritto) al riacquisto delle azioni stesse da parte della banca, senza costi per il cliente (e talvolta con un rendimento garantito), essendosi in presenza, in tal caso, di un mutamento solo apparente della titolarità delle azioni, in realtà sempre rimaste nella proprietà della banca (con conseguente rischio derivante dalla fluttuazione del valore del titolo non già in capo al cliente, ma all'istituto di credito), donde una radicale estraneità di siffatte operazioni rispetto all'ipotesi ex art. 2358 c.c.. Analogamente simulate erano anche le operazioni di acquisto di azioni proprie effettuate tramite i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", trattandosi - di fatto - di una gestione patrimoniale di risorse interne, attuata al solo fine di svuotare il "fondo acquisto azioni proprie". Artificiosa, con riferimento alle altre operazioni di capitale finanziato, doveva ritenersi la loro natura sia quanto allo scopo (costituito, al solito, dal finanziamento dell'acquisto con risorse della banca) sia quanto alle modalità di gestione del trattamento contabile (in ragione dell'omessa appostazione a riserva del controvalore, dell'omessa decurtazione del patrimonio di vigilanza ed anche dell'occultamento al mercato), il tutto al fine di fare apparire tali acquisti come espressione della dinamica fisiologica di un attivo mercato secondario. Peraltro - precisava il tribunale - era emersa la mancata comunicazione al prof. Bi. (ovverosia all'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie, con l'effetto che detta stima (come, del resto, precisato dallo stesso Bi.) ne era risultata pesantemente condizionata (cfr. pagg. 419-422 della sentenza). Quanto, poi, agli addebiti di "aggiotaggio informativo" costituiti dalla diffusione di notizie false, si trattava - secondo la valutazione del primo giudice, pienamente adesiva, anche sul punto, rispetto all'impostazione d'accusa - di informazioni comunicate con una pluralità di mezzi che, per diffusività e platea dei destinatari di riferimento, erano obiettivamente risultate idonee a raggiungere praticamente tutte le tipologie di operatori. Più nel dettaglio, la falsità era risultata effettivamente attinente: - ai bilanci d'esercizio al 31.12.2012, al 31.12.2013 ed al 31.12.2014, stante la mancata iscrizione di una quota di riserva pari al valore delle azioni proprie; -ai comunicati stampa (taluni dei quali - quelli emessi ex art. 114 TUF - valevoli anche come comunicazioni al pubblico) dell'8.8.2012 diffuso ex art. 114 D.L.vo 58/98 (ove si evidenziavano, in particolare, valori falsati quanto alla solidità patrimoniale del gruppo e al miglioramento della liquidità strutturale, il tutto in un contesto nel quale si rimarcavano l'espansione della rete di vendita, l'incremento della clientela e l'aumento della compagine sociale); del 19.3.2013 (nel quale, comunicandosi i risultati del bilancio di esercizio e consolidato al 31.12.2012, si evidenziavano "Il rafforzamento della posizione di liquidità" e "l'ulteriore incremento della solidità patrimoniale" e si riportava l'entusiastico messaggio del presidente ZO.); del 27.4.2013 (di comunicazione del risultato del bilancio al 31.12.2012, nel quale si sottolineava la stabilità del valore dell'azione a 62,50 euro sulla base di un'approfondita perizia formulata da un autorevole consulente esterno", si riportava l'apprezzamento dell'assemblea per i risultati positivi conseguiti dalla banca e, ancora, si citava il giudizio lusinghiero del presidente ZO.); del 27.8.2013 (significativamente dedicato alla comunicazione del "miglioramento della gestione operativa" e del significativo rafforzamento patrimoniale", per effetto della positiva conclusione dell'operazione di raccolta di ingenti risorse, in ragione di un consistente aumento di capitale e di una altrettanto consistente raccolta di ben 253 milioni di prestito convertibile, comunicandosi che l'istituto poteva vantare un Core Tier al 30 giugno pari al 9%; anche in tal caso la comunicazione riportava il consueto messaggio positivo dei presidente ZO.); deH'8.8.2014, effettuato ai sensi dell'art. 114 D.L.vo 58/98 (con il quale si comunicavano i risultati dell'aumento di capitale 2014, conclusosi con "pieno successo", e si riferiva il giudizio del presidente ZO. in ordine al fatto che l'istituto potesse vantare "coefficienti patrimoniali particolarmente elevati"); del 29,8,2014 (nel quale si illustravano ì risultati della semestrale del 2014, ribadendosi il successo dell'aumento di capitale di tale anno, segnalandosi l'accrescimento della base sociale e della clientela e l'incremento "significativo" dei proventi derivanti dall'attività bancaria tradizionale e, complessivamente, si enfatizzavano gli elementi di crescita); del 26.10.2014 (nel quale si comunicava il positivo superamento del Comprehensive Assessment si evidenziavano, altresì, gli effetti positivi delle iniziative di patrimonializzazione esperite nel 2013 e nel 2014 e, infine, si informavano i destinatari che tali iniziative avevano portato l'istituto di credito a poter vantare una *eccedenza di CET1 pari a circa 30 milioni di euro"); del 10.2.2015 (avente ad oggetto i risultati preliminari del bilancio al 31.12.2014, nel quale si evidenziava la politica particolarmente prudenziale adottata dal CdA su indicazione della BCE, con aumento degli accantonamenti su crediti e rettifica degli avviamenti; si precisava che il risultato negativo era conseguente proprio all'adozione di una politica improntata a misura e all'origine, secondo il presidente ZO., di scelte al contempo *coraggiose e prudenziali"; si ribadiva il successo delle iniziative di rafforzamento patrimoniale; si sottolineava, infine, la crescita dei proventi derivanti dall'attività tradizionale in favore di una clientela ulteriormente aumentata); del 3.3.2015 (avente ad oggetto i risultati definitivi al 31.12.2014, nel quale, pur dandosi atto dei rilievi della BCE in ordine alla possibile riduzione del requisito minimo di CET 1, si rassicuravano gli interlocutori con la precisazione che i requisiti minimi erano stati ripristinati e, anzi, superati "già prima della citata riduzione del requisito di Cet1 Ratio"); - alle comunicazioni ai soci (tutte confezionate sulla base di un apposito format e sottoscritte dal presidente ZO.) in data 30.3.2012, 3.9.2012, 19.3.2013, 10.9.2013, 2.4.2014, 9.9.2014, 4.12.2014 e 19.3.2015, tutte costantemente caratterizzate da informazioni rassicuranti in punto di patrimonializzazione dell'istituto, di sicurezza dell'investimento azionario, di enfatizzazione della stabilità del titolo e nelle quali, inoltre, si minimizzava il profilo dell'allungamento dei tempi di vendita dell'azione. Ebbene, tutte le citate condotte manipolative e informative avevano avuto l'effetto di alterare sensibilmente il prezzo delle azioni B.. Se ciò, in effetti, era di immediata percezione per le condotte manipolative (l'investitore essendo stato evidentemente influenzato dalla vivacità degli scambi del titolo sul mercato secondario e dalle valutazioni conseguentemente alterate del valore del titolo medesimo siccome assegnato dall'esperto prof. Bi., la stima del quale aveva prodotto effetti anche sul mercato primario, sollecitato artificiosamente), altrettanto doveva dirsi per quanto riguardava le condotte di alterazione informativa. Questo, in ragione della marcata influenza della comunicazione di dati falsati inerenti a profili di assoluto rilievo nell'economia della scelta di un soggetto interessato all'investimento azionario, in particolare con riferimento ai dati inerenti alla patrimonializzazione dell'emittente (prospettata come particolarmente solida) e alla liquidità del titolo (presentato come appetibile, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario). Di qui la conclusione, alla quale coerentemente perveniva il tribunale, in ordine all'efficacia decettiva delle comunicazioni effettuate, nelle occasioni sopra indicate, dall'istituto dì credito. Del resto gli effetti concreti prodotti da tali comportamenti manipolativi e di falsa informazione erano agevolmente riscontrabili - proseguiva il tribunale -analizzando le vicende societarie dell'epoca: - da un lato, infatti, gli investitori avevano perseverato nel riporre fiducia nell'istituto di credito, continuando a investire, ovvero astenendosi dal disinvestimento; - dall'altro, gli aumenti di capitale confluiti senza assistenza finanziaria erano stati comunque consistenti (nell'aucap 2013, su un totale di 506 milioni, 363 milioni erano confluiti senza finanziamenti; nel mini aucap 2013, su 100 milioni, 44 erano confluiti senza assistenza finanziaria; nell'aucap 2014 il rapporto era stato di 471,8 milioni confluiti senza assistenza su un totale di 607,8 milioni; nel mini aucap 2014, infine, il rapporto era stato di 60 milioni su 102 milioni). Inoltre la movimentazione sul mercato secondario, depurata dalle azioni finanziate, sì era attestata sul significativo valore di 900 milioni di euro. Tutto ciò aveva consentito di mantenere il valore del titolo artificiosamente alto. In effetti, a fronte dei valori stimati dal prof. Bi., erano emersi - all'esito di una rinnovata valutazione, posta in essere con criteri prudenziali - valori decisamente inferiori. In particolare: - nel 2012 l'azione era stata sovrastimata di un valore tra 6,73 euro e 6,19 euro rispetto al valore reale, da ridursi, rispettivamente, di una percentuale tra il 10,8% e il 9%; - al 31.12.2013 la sovrastima era stata ricompresa tra 8,10 e 7,20 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 13% alni,9%; - al 31.12.2014 la sovrastima era stata ricompresa tra 6,32 e 5,30 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 18,9% al 16,9%. Inoltre le condotte di aggiotaggio informativo avevano contribuito a rafforzare l'affidamento sulla stabilità patrimoniale dell'istituto di credito. Infatti i dati rettificati avevano evidenziato, anche nell'ipotesi più favorevole, un CET 1 ratio al 31.3.2014 del 6,63% e, al 30.6.2014, del 6,24% (valori, entrambi, al di sotto della soglia regolamentare del 7%); un Tier 1 Ratio dal 6,32% al 7,345% per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013, inferiore, pertanto, rispetto alla soglia-target comunicata alla Banca d'Italia pari all'8%; un Total Capital Ratio al 31.3.2014 dell'8,51%, al 30,6,2014 del 7,94%, al 30.9.2014 del 9,57%, al 31.12.2014 dell'8,47%, al 31.3.2015 dell'8,51% (ovverosia sempre inferiore rispetto alla soglia regolamentare dei 10,5%), Analogamente, le condotte di aggiotaggio manipolativo avevano contribuito ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta del mercato, secondo quanto puntualmente evidenziato dai consulenti del P.M.. Con riferimento, poi, al profilo del concorso dei reati, il tribunale precisava come l'art. 2637 c.c prevedesse tre diverse modalità di esplicazione della condotta delittuosa, all'origine, rispettivamente, delle ipotesi di aggiotaggio informativo e aggiotaggio manipolativo o operativo. Di qui la natura della disposizione in esame quale disposizione contenente "norme penali miste cumulative", ovverosia inerenti a condotte non equipollenti o alternative, bensì costituenti differenti elementi materiali di altrettanti reati, con la conseguenza, nel caso di realizzazione di tali diverse condotte, della sussistenza di una pluralità di reati. Questo con la doverosa precisazione che, mentre tra aggiotaggio manipolativo e informativo era ravvisabile unicamente il concorso materiale di reati, nel caso di pluralità di condotte omogenee, per concludere nel senso dell'unicità ovvero della pluralità di reati, sarebbe stato necessario verificarne l'appartenenza o meno ad un'unica manovra manipolativa, ovvero informativa. E, a tale fine, il tribunale precisava come il momento consumativo del reato dovesse individuarsi nel tempo e nel luogo in cui si fossero verificate la sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario e la destabilizzazione del sistema bancario. In applicazione di tali criteri il primo giudice concludeva nel senso della ravvisabilità di ben 16 reati, posti in essere nel periodo tra il 2012 ed il 2015 e, segnatamente: -di 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio finanziario operativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario operativo (2012, 2013, 2014, 2015) traendone, peraltro, la conseguenza che le condotte poste in essere sino al 27.4.2013 (data di approvazione del bilancio 2012) dovessero ritenersi prescritte. Infine, quanto alle posizioni soggettive degli imputati - successivamente oggetto di separata, dettagliata analisi - il tribunale precisava che dovevano ritenersi responsabili dei reati di aggiotaggio: - Zo.Gi., per avere egli sostenuto e condiviso l'operatività del capitale finanziato; per avere sottoscritto personalmente i comunicati ai soci rappresentativi dì uno stato patrimoniale, finanziario ed economico, totalmente contrario a quello effettivo; nonché per avere approvato, in qualità di presidente del CdA, il bilancio privo dell'appostazione delle riserve previste per legge, oltre ai comunicati che contenevano le mendaci informazioni della situazione della banca e degli esiti degli aucap, in tal guisa rafforzando con le proprie dichiarazioni, l'apparenza di solidità dell'istituto di credito; - Gi.Em., Ma.Pa. e Pi.An., in ragione del totale coinvolgimento dei predetti nell'operatività dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie, e ciò nella piena, effettiva consapevolezza (stanti le modalità di occultamento) della finalizzazione di tale operatività ad alterare gli equilibri del mercato, ad annacquare il capitale e, infine, ad ingannare il pubblico. 1.7 I reati di ostacolo alla vigilanza Dopo avere effettuato una ricostruzione degli esiti delle attività di vigilanza della Banca d'Italia poste in essere, nei confronti dell'istituto di credito, nel periodo 2007-2012 - esiti che avevano evidenziato delle criticità, poi parzialmente superate dall'istituto - il tribunale collocava le condotte di ostacolo alla vigilanza ravvisabili nella vicenda sub iudice nel periodo che aveva avuto inizio con le ispezioni poste in essere a decorrere dal 2012. Al riguardo il primo giudice premetteva come la fattispecie di reato in esame consistesse, per un verso, nell'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero nonché nell'occultamento, con mezzi fraudolenti, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati all'autorità di vigilanza (2638 co. 1 c.c.); e, per altro verso, nella frapposizione di ostacoli alla vigilanza, posti in essere in qualsiasi forma, anche omissiva (2638, co. 2 c.c.). Segnatamente, la fattispecie di cui al primo comma della disposizione in esame prevedeva un reato di mera condotta, integrato, in via alternativa, da taluni specifici comportamenti; il secondo comma, invece, delineava un reato a forma libera, di danno (consistente nell'evento naturalistico dell'ostacolo). Ciò posto, nell'ipotesi di condotta di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti che avesse creato ostacoli rilevanti all'autorità di vigilanza, il tribunale riteneva sussistente unicamente l'ipotesi di reato ex art. 2638, co. 2, c.c., dovendo farsi applicazione, in tal caso, dei principi di sussidiarietà e consunzione (valorizzati anche dalla Corte EDU e riconosciuti nell'art. 4 protocollo 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea), posto che emergeva con evidenza come l'evento di ostacolo previsto dalla fattispecie di cui all'art. 2638 co. 2 c.p. esaurisse l'intero disvalore della condotta. Nel pervenire a siffatta conclusione, peraltro, il tribunale si discostava motivatamente dalla ricostruzione effettuata, in fattispecie analoga, dalla giurisprudenza di legittimità, là dove la corte regolatrice (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017, Consoli e altro) aveva invece ravvisato, tra le due fattispecie in esame, un rapporto riconducibile al concorso formale. Tanto premesso, il primo giudice precisava come la contestazione sub B1 avesse ad oggetto la vigilanza ispettiva a differenza delle condotte stigmatizzate ai successivi capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, dal primo giudice indicate come inerenti alla vigilanza informativa. Ebbene, nel caso dell'addebito sub B1 si era in presenza sia di attività di occultamento, con mezzi fraudolenti, delle operazioni di capitale finanziato e delle lettere di impegno al riacquisto, al fine di ostacolare l'autorità di vigilanza (attraverso, segnatamente, l'indicazione di una causale generica, la mancata contabilizzazione delle operazioni finanziate e il materiale occultamento delle lettere), sia dell'omessa comunicazione delle suddette operazioni alla squadra ispettiva. Diversamente - proseguiva il tribunale - gli addebiti di cui ai capi C1, D1, G1, H1 avevano ad oggetto l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in relazione alle segnalazioni ed alle interlocuzioni con le autorità di vigilanza (Banca d'Italia e BCE) intercorse negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 e, quanto all'addebito di cui al capo F1, l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in occasione dell'aumento di capitale del 2014. Ciò posto, il tribunale: - esclusa, con riferimento alle condotte predette, la ravvisabilità dell'esimente fondata sul principio del nemo tenetur se detegere in relazione al precedente delitto di aggiotaggio (trattandosi di principio unicamente disciplinato nell'art. 384 c.p., ovverosia in una disposizione contenente una norma eccezionale derogatoria rispetto a quella di cui all'art. 61 nr. 2 c.p. e, in ogni caso, di esimente avente valore eminentemente processuale); s escluso, del pari, che quelli oggetto di contestazione fossero addebiti frutto di u una sorta di "replicazione" di contestazioni in realtà aventi ad oggetto una unitaria condotta di ostacolo alla vigilanza, protrattasi per un triennio (essendosi piuttosto in presenza di condotte che erano state realizzate nel corso di plurime attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi), ricostruiva i singoli fatti di reato nei termini di seguito esposti. 1.7.1 L'ostacolo alla vigilanza durante l'ispezione di Banca d'Italia 2012 (capo B1) Nel corso dell'anno 2012 (segnatamente tra il 28 maggio e il 12 ottobre 2012) era stata effettuata una attività di ispezione avente ad oggetto la governance dell'istituto, gli standard creditizi, i meccanismi di sorveglianza e di controllo delle singole posizioni, la correttezza dei criteri di classificazione all'interno delle regole di vigilanza e l'osservanza delle regole di provisioning (attività, questa, di correzione del valore dei crediti con impatto sul conto economico della banca e sul bilancio), ispezione che si era conclusa con un giudizio parzialmente sfavorevole fondato sulla constatazione di un complessivo degrado del portafoglio accompagnato da inefficienze nei processi allocativi e di gestione dell'erogato. Ebbene, alla stregua delle testimonianze degli ispettori (e, segnatamente, di quanto riferito dal teste Gi.Sc., responsabile della squadra ispettiva), poteva dirsi pacifico che ove agli ispettori fossero state esibite le lettere di impegno al riacquisto e fosse stata comunicata l'esistenza del capitale finanziato - come sarebbe stato doveroso, peraltro, nell'ottica di una leale collaborazione tra vigilato e autorità vigilante - sarebbe effettivamente emersa l'irrealizzabilità del piano industriale approntato dall'istituto per migliorare la gestione del credito. La prassi del ricorso al capitale finanziato (e, nell'ambito di tale prassi, quella del rilascio delle lettere di impegno), infatti, era già consolidata nel 2012, come pure documentalmente provato. Né, d'altro canto, poteva sostenersi che tale fenomeno fosse comunque emerso nel corso dell'ispezione, in quanto le dichiarazioni rese, sul punto, dal teste Cl.Am. della Divisione Crediti - là dove questi aveva sostenuto di avere riferito in proposito all'ispettore Ge.Sa. - erano - state decisamente smentite tanto dal predetto Sa. quanto dai restanti componenti della squadra ispettiva. Peraltro - puntualizzava il tribunale - la versione dell'Am., finalizzata a ridimensionare il coinvolgimento della Divisione Crediti nell'operatività illecita della banca sul capitale finanziato, scontava plurimi profili di incertezza e contraddittorietà (segnatamente in relazione al ricorso alla formula generica "cogliere opportunità mobiliari o immobiliari" quale causale dei finanziamenti, nonché in ordine alle motivazioni per le quali il predetto Am. non avrebbe comunicato al collega Bo., responsabile dell'audit, le rivelazioni asseritamente fatte all'ispettore Sa.), Era certamente vero che anche la deposizione del Sa. si presentava scandita da contestazioni e da incertezze circa la corretta individuazione dei documenti esibiti, nel corso dell'ispezione, con riferimento alle posizioni finanziate. Nondimeno, mentre le dichiarazioni dell'Ambrosino in ordine alla presunta rivelazione agli ispettori delle operazioni finanziate non avevano trovato riscontro alcuno, neppure nelle dichiarazioni del collega De. (il quale aveva riferito che l'Am. gli aveva confidato di avere consegnato agli ispettori medesimi documenti che avrebbero potuto loro consentire di verificare l'esistenza di operazioni "baciate", negando, tuttavia, detto teste che l'Am. gli avesse rivelato di avere esplicitamente palesato tale prassi agli ispettori), le stesse erano anzi state smentite dai testi Lu.Br., Fr.Fe. e Sa. Re., dei quali i primi due erano appartenenti alla squadra ispettiva; quanto riferito dal Sa. era stato del resto confermato dalla narrazione dei fatti proposta tanto dal responsabile delia squadra ispettiva, Gi.Sc., quanto dagli altri componenti del team oltre che dal responsabile del servizio di vigilanza ispettiva, Ca.Ba.. Pertanto il tribunale, valorizzando altresì la puntuale deposizione del teste ispettore Gi.Ma., traeva la conclusione che la prassi del capitale finanziato non fosse stata "intercettata" nel corso dell'ispezione del 2012 poiché si era trattato di fenomeno che aveva essenzialmente interessato clienti affidabili sotto il profilo del rischio creditizio, rispetto ai quali, quindi, non emergeva alcuna anomalia (sicché, tenuto conto del perimetro del mandato ricevuto dagli ispettori, non v'era stata ragione di effettuare, con riferimento a costoro, alcun approfondimento ispettivo). Del resto, sul piano logico, la circostanza che nessun dirigente dell'istituto di credito (né il menzionato Cl.Am., né l'imputato Pa.Ma. e neppure l'imputato Em.Gi.) avesse fatto cenno alcuno, in occasione delle successive verifiche ispettive (compresa quella, decisiva, effettuata dalla BCE nel 2015), al fenomeno in esame, nonché il fatto che tutti i predetti dirigenti avessero pervicacemente negato, interloquendo con l'ispettore Ma., la natura finanziata delle operazioni in questione, costituivano formidabili riscontri dell'infondatezza delle dichiarazioni rese dal predetto teste Am.; infondatezza, del resto - soggiungeva il tribunale - ulteriormente avvalorata dal rinvenimento, negli appunti contenuti nell'agenda sequestrata al teste Al.Ba., dell'inequivoca ed assai significativa annotazione, redatta in prossimità del 23.4.2015: "evitare di fare ammissioni. Giustificare creditiziamente le operazioni". Di qui la conclusione della sussistenza dei presupposti tutti del reato di ostacolo contestato, essendosi in presenza, per un verso, del fraudolento occultamento dell'illecita operatività realizzata nel contesto temporale in cui si era svolta l'ispezione del 2012; e, per altro verso, della sistematica omissione della comunicazione agli ispettori tanto delle operazioni di finanziamento correlato quanto delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni. 1.7.2 Le condotte di ostacolo successive all'ispezione del 2012 Quindi il tribunale evidenziava come, con riferimento ai periodo successivo all'ispezione del 2012 (e, segnatamente, all'arco temporale ricompreso tra il 30.6,2012 ed il 31.3.2015), fosse stato effettivamente possibile ricostruire documentalmente il dipanarsi del dialogo tra l'istituto bancario vicentino e l'autorità di vigilanza attraverso l'acquisizione dei flussi informativi inviati da B.. A tale riguardo era costantemente emerso l'occultamento della reale situazione patrimoniale del gruppo, in particolare con riferimento all'incidenza del fenomeno del capitale finanziato sui coefficienti del patrimonio di vigilanza in tale ampio periodo. Sul punto le conclusioni cui erano pervenuti i consulenti del P.M. - peraltro, precisava il primo giudice, all'esito di una valutazione particolarmente prudente (in quanto caratterizzata dallo scomputo dal CET 1 anche dell'ammontare degli RWA) - non consentivano davvero di nutrire perplessità. Si era in presenza, in effetti, di violazioni costanti dei requisiti patrimoniali, peraltro mai comunicate nelle informazioni rese all'autorità di vigilanza (comunicazioni, tutte, puntualmente riportate nella tabella riassuntiva di cui al documento nr. 485 prodotto dal P.M. all'udienza del 21.11.2019). Più nel dettaglio: - con riferimento all'anno 2012 (capo CI) si trattava della comunicazione del 17.9,2012, riferita al 30.6.2012, e di quella del 21.11.2012, riferita al 30.9.2012, nelle quali venivano indicati, rispettivamente, valori delle azioni proprie nella misura di 30 milioni e di 240 milioni. In entrambi i casi, infatti, era stata omessa la comunicazione delle operazioni di capitale finanziato per i significativi valori di 268 milioni a giugno e di 280 milioni a fine settembre. L'effetto distorsivo che ne era derivato era evidente, posto che il Tier Ratio, tenuto conto dei valori non comunicati, si sarebbe abbassato al 30 giugno dall'8,20% ai 7,34% nonché, al 30 settembre, dal 7,38% al 6,48%. Analogamente il TCR (Total Capital Ratio) si sarebbe ridotto dall'I 1,33% al 10,50% e dal 10,46% al 9,59%. La falsa comunicazione, poi, era stata all'origine del target patrimoniale deciso dalla Banca d'Italia, come precisato dal teste Ma.Pa.. In effetti, qualora i dati omessi fossero stati comunicati, ciò avrebbe comportato un immediato innalzamento del livello di monitoraggio e l'adozione di provvedimenti restrittivi concernenti operatività dell'istituto, distribuzione degli utili e fissazione di limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni della banca. Di assoluta evidenza, quindi, era l'ostacolo frapposto alla vigilanza; con riferimento al primo semestre dell'anno 2013 (capo DI) si trattava: - della falsa rappresentazione dei dati patrimoniali contenuta nelle segnalazioni relative al 31.12.2012 ed al 31.3.2013 (in effetti, con riferimento alia segnalazione relativa al 31.12.2012, la comunicazione del capitale finanziato per 545 milioni, ove effettuata, avrebbe comportato la flessione del Tier 1 Ratio dall'8,23% al 6,46% e del Total Capital Ratio dall'll,26% al 9,55%; nella comunicazione del 31.3.2013, poi, non erano state segnalate azioni proprie); - della falsità della comunicazione inoltrata il 20.3.2013 e relativa al superamento del limite del 5% degli acquisti (comunicazione con la quale, nel rispondere al rilievo critico della Banca d'Italia risalente al 5.3.2013, l'istituto di credito aveva rassicurato la vigilanza sostenendo che l'incremento del valore del fondo acquisto azioni proprie fosse imputabile a una mera contingenza, legata alla gestione delle attività dì compravendita delle azioni proprie con i soci e sostenendo, in particolare, che vi era stata una vendita di azioni da parte di pochi clienti con successivo ricollocamento dei titoli presso clienti soci). Inoltre l'istituto aveva inserito un ulteriore elemento di rassicurazione, là dove aveva dichiarato che era in corso la valutazione di un rafforzamento patrimoniale il quale avrebbe portato il Core Tier 1 al 9% già entro la fine del 2013; aveva prospettato, infine, il raggiungimento del 10% nel biennio successivo. Ne era seguita la lettera di richiamo del 24.6.2013, lettera nella quale era stato stigmatizzato il superamento, a causa dell'acquisto di azioni proprie, del limite del 5% del capitale sociale. A seguito dell'ispezione del 2015, poi, era emersa la falsità delle circostanze esposte nella missiva a firma Sa.So. del 20.3.2013 e, segnatamente, si era compreso come l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie non fosse stato affatto la conseguenza contingente di un'impennata nelle richieste di acquisto di azioni concentrate nel quarto trimestre, bensì l'effetto dell'illiquidità del titolo azionario; illiquidità che, infatti, proprio a partire dal 2012, aveva indotto l'istituto di credito a fare massiccio ricorso alle operazioni di capitale finanziato onde azzerare il fondo acquisto azioni proprie che impattava negativamente sul capitale di vigilanza; - della falsità, infine, dell'informativa preventiva del 23 aprile 2013 relativa al programmato aumento di capitale (informativa, a firma Sa.So., nella quale erano stati illustrati gli effetti del rafforzamento patrimoniale, segnalandosi che dopo tale operazione il Tier Ratio 1 sarebbe passato dall'8,23% al 9,1% e, quindi, al 9,98%, a seguito della conversione del soft mandatory). Peraltro neppure a seguito delle successive interlocuzioni dì Banca d'Italia, inerenti anche al profilo della liquidabilità del titolo, erano stati effettuati riferimenti, da parte dei rappresentanti di B., al fenomeno del capitale correlato. Infatti sì era sempre sostenuto, da parte dell'istituto di credito, che l'operazione di aumento di capitale si sarebbe presto conclusa con pieno successo. Sul punto - precisava il tribunale - il teste Ma.Pa. aveva chiarito che se la prassi delle operazioni di capitale finanziato fosse stata riferita, come doveroso, la Banca d'Italia sarebbe certamente intervenuta esercitando i poteri di controllo derivanti dalla legge. In particolare l'ente di vigilanza avrebbe imposto sia lo scomputo dell'ammontare del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza sia l'adozione di misure di risanamento. Invece, tacendo queste informazioni, l'istituto di credito aveva lucrato effetti favorevoli immediati: la Banca d'Italia aveva deciso di non avviare un procedimento sanzionatorio e neppure aveva adottato interventi che avrebbero precluso la distribuzione dei dividendi ed imposto il decremento della parte variabile della remunerazione dei dirigenti come previsto dalla normativa della stessa Banca d'Italia. La stessa operazione di aumento di capitale, poi, sarebbe stata valutata diversamente; ° con riferimento al secondo semestre dell'anno 2013 (capo E1) si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza relative al 30.6.2013, al 30.9.2013 e al 31.12.2013 (nelle quali mai era stato ricompreso l'ammontare delle operazioni di capitale finanziato per gli importi calcolati dai consulenti tecnici nella misura di 555 milioni a fine giugno, di 626 milioni a fine settembre e di 700 milioni a fine dicembre del 2013). Conseguentemente, senza l'effetto distorsivo prodotto dall'omessa rappresentazione della corretta quantificazione dei coefficienti patrimoniali, il T1 Ratio sarebbe passato a fine giugno dall'8,1% al 6,32%; al 30.9.2013 dall'8,50% al 6,50%; al 31.12.2013 dal 9,1% al 6,89%. Analogamente il TCR si sarebbe ridotto dall'I 1,06% al 9,32% al 30 giugno; dall'11,41% al 9,48% nel settembre; dall'11,8% al 9,55% al 31 dicembre. In definitiva in tutto il periodo in esame il Tier 1 Ratio sarebbe stato ben inferiore alla soglia-target dell'8%, siccome fissata dall'autorità di vigilanza; con riferimento all'aumento di capitale 2014 (capo F1) si trattava: - dell'informativa preventiva del 5.3.2014 e dell'informativa integrativa dell'11.4.2014. In entrambi i casi era stata omessa l'indicazione che l'operazione di aumento di capitale sarebbe stata portata a termine anche mediante la concessione di forme di assistenza finanziaria ai clienti, con conseguente indicazione di ratios patrimoniali post-aucap del tutto falsati. Quanto al c.d. miniaucap (ovverosia ad un aumento di capitale destinato a nuovi soci), previsto anche nel 2014, si era precisato che le quote di capitale finanziato non sarebbero state computate nel patrimonio di vigilanza. Vi era stato anche, in data 9.4.2014, un incontro tra i vertici dell'istituto di credito e la vigilanza. All'esito delle interlocuzioni la Banca d'Italia aveva autorizzato la classificazione patrimoniale richiesta. Solo a seguito dell'ispezione BCE e CONSOB del 2015, infatti, era emerso come l'operazione di aumento di capitale fosse stata pianificata con erogazione di finanziamenti correlati, per un importo accertato di euro 136.314.287 (pari al 22% dell'operazione). I dati dell'aumento di capitale erano stati, pertanto, gravemente falsati. Di qui la conclusione che il provvedimento autorizzativo della Banca d'Italia fosse stato ottenuto a seguito dello sviamento della funzione di vigilanza. Il teste Ma.Pa., del resto, aveva anche in tal caso precisato come, se la Banca d'Italia avesse avuto contezza dei dati occultati, non avrebbe di certo autorizzato l'operazione nei termini in cui ciò era avvenuto. Per contro, sarebbe palesemente emersa la grave difficoltà della banca di collocare i propri titoli sul mercato; - con riferimento alla vigilanza prudenziale della banca d'Italia nel 2014 (capo G1), si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza alla data del 31.3.2014, del 30.6.2014, del 30.9.2014 (per l'omessa indicazione tra gli elementi negativi delle quote di capitale finanziato, pari a 728 milioni alla data del 31 marzo, a 718 milioni alla data del 30 giugno e a 886 milioni alla data del 30 settembre. Conseguentemente il CET 1 ratio era passato, a fine marzo, dall'8,99% al 6,63%; a fine giugno dall'8,55% al 6,24%; a fine settembre dal 10,8% all'8,01%); - della falsità della comunicazione 1.9.2014 nella parte in cui si era attestato il raggiungimento degli obiettivi di raccolta aucap 2014 per l'importo di 607,8 milioni e, di conseguenza, il livello dei fondi propri e dei ratios patrimoniali. In particolare la comunicazione dell'istituto di credito di avere già riassorbito, attraverso la chiusura dell'aumento di capitale, il temporaneo mancato rispetto del "buffer" - ovverosia della riserva obbligatoria di conservazione del capitale pari al 2,5% - aveva indotto l'autorità di vigilanza a non assumere iniziative in ordine a tale violazione (dovuta ai riacquisti di azioni proprie che, dì fatto, avevano neutralizzato, per il valore corrispondente, l'aumento di capitale, come precisato dal teste En.Se.) perché, per l'appunto, immediatamente "riassorbita"; - nonché della falsità della comunicazione 4.11.2014, relativa alle giustificazioni fornite all'organo di vigilanza in relazione al fenomeno di riacquisto delle azioni proprie (per l'ammontare di 194 milioni nel primo semestre del 2014) nonché in relazione ai 52,4 milioni di euro di azioni detenuti indirettamente attraverso i fondi lussemburghesi "(...)" e, "(...)". In particolare la banca, da un lato, aveva ribadito che sì era trattato di riacquisti imposti dalla necessità di evadere (e domande di investimento dei clienti nella consapevolezza che il disavanzo sarebbe stato coperto dall'aumento di capitale in corso; aumento di capitale che, peraltro, aveva portato ad un incremento proprio del CET Ratio di circa 141 bps (punti base). Dall'altro lato la banca aveva confermato la correttezza dei dati contenuti nelle segnalazioni di vigilanza sulle operazioni svolte attraverso i fondi esteri. Diversamente, ove la Banca d'Italia avesse avuto contezza di quanto occultatole (e cioè, complessivamente, delle operazioni di capitale finanziato e dell'impegno al riacquisto delle azioni), avrebbe preso atto di una situazione patrimoniale radicalmente differente. La falsità della comunicazione, quindi, aveva prodotto l'effetto di impedire interventi dì vigilanza coerenti con l'effettiva situazione patrimoniale dell'istituto di credito. 1.7.3 Le condotte di ostacolo alfa vigilanza BCE (capo H1) Al riguardo il tribunale, premesso che a seguito dell'entrata in vigore, in data 4.11.2014, del Sistema di Vigilanza Unico, talune competenze primarie in materia di vigilanza erano state trasferite alla BCE, con conseguente ricomprensione anche della predetta Banca Centrale tra i soggetti destinatari della tutela ex art. 2638 c.c., individuava, alla stregua dell'imputazione, le condotte di ostacolo rispettivamente: - nella segnalazione di vigilanza al 31.12.2014 (in ragione della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dall'11,73% all'8,04%) e nella segnalazione di vigilanza al 31.3.2015 (in ragione, anche in tal caso, della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dal 10,67% al 7,49%). Tali condotte decettive, in entrambi i casi, avevano impedito alla vigilanza l'adozione di tempestivi provvedimenti; - nonché nella informativa al pubblico al 31.12.2014; 1.7.4 Le condotte di ostacolo relative al Comprehensive Assessment (capo M1) Con riferimento alle condotte di ostacolo poste in essere in danno di Banca d'Italia e BCE impegnate nella vigilanza in fase di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment), svoltasi nel periodo tra il febbraio e l'agosto del 2014, il tribunale riteneva provate condotte di ostacolo tradottesi tanto nell'omessa comunicazione di informazioni essenziali (inerenti al fenomeno dell'assistenza finanziaria e al rilascio della lettere di impegno al riacquisto) quanto nell'esposizione di fatti non veritieri sulla situazione patrimoniale del gruppo come descritta nella nota 20,6.2014 e nel capital pian inviato in data 10.11.2014. In particolare nel corso della Asset Quality Review - AQR (ovverosia della Revisione della Qualità degli Attivi di bilancio), dopo che erano stati formulati rilievi molto critici per la banca da parte delle autorità di vigilanza (con l'ispettore Vi.Ca. che aveva esposto forti perplessità in ordine alla patrimonializzazione dell'istituto di credito, evidenziando come il progettato aumento di capitale sarebbe sostanzialmente servito solo a colmare il deficit; e aveva anche avanzato seri dubbi sulla stessa concreta possibilità di portare a compimento l'operazione di aumento di capitale), i vertici dell'istituto avevano rassicurato la vigilanza stessa sotto tutti i profili. Nel corso dell'ispezione, tuttavia, non era emerso in alcun modo il fenomeno del capitale finanziato né era venuta alla luce l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto; elementi che, se conosciuti, avrebbero portato ad esiti del Comprehensive Assessment ben diversi. Anche il Preliminary Capital Plan - predisposto dall'istituto di credito su richiesta della Banca d'Italia in data 9.6.2014, in previsione dell'entrata in vigore del meccanismo unico di vigilanza, e inviato all'autorità di vigilanza il 20.6.2014 - era stato caratterizzato dalla prospettazione di un obiettivo di patrimonializzazione rassicurante (euro 608 milioni per effetto dell'aumento di capitale); prospettazione, tuttavia, radicalmente falsata dalla mancata precisazione che anche tale risultato era dovuto al massiccio ricorso al capitale finanziato. Quindi, con il Capital Pian elaborato il 10.11.2014 (e, pertanto, successivamente agli esiti del Comprehensive Assessment che, pubblicati il 26.10.2014, avevano evidenziato la necessità dell'adozione di misure di implementazione del capitale, posto che gli Stress Test avevano rivelato un deficit da scenario avverso di 223 milioni), l'istituto di credito vicentino aveva adottato delle contromisure (segnatamente: l'utilizzo dell'aumento di capitale già collocato e la conversione del soft mandatory per 223 milioni) che avevano portato la BCE ad adottare una decisione SREP (ovverosia una decisione inerente al processo di revisione e valutazione prudenziale, consistente nell'analisi dei profili di rischio delle banche) con la quale veniva fissato un requisito minimo di CET1 ratio pari ad almeno il 10,25% ed erano stati richiesti l'adozione di un piano di capitale, da realizzarsi entro l'aprile del 2016, nonché il rafforzamento delle strutture organizzative dei processi e delle strategie di controllo interno. Al solito, la mancata comunicazione delle essenziali informazioni in ordine al massiccio ricorso al capitale finanziato, anche in occasione dell'aumento di capitale, aveva avuto lo scopo - effettivamente raggiunto - di procrastinare l'emersione delle situazioni di illiquidità del titolo e di sotto-patrimonializzazione dell'istituto di credito, di fatto seriamente ostacolando le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della BCE, tenute all'oscuro delia esatta situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo. Di qui l'adozione da parte degli organi di vigilanza di provvedimenti (la citata decisione SREP del febbraio 2015) incoerenti con tale situazione e, per contro, la mancata adozione di contromisure impellenti e indifferibili (come precisato dal teste ispettore En.Se.). Solo in occasione dell'ispezione BCE del 2015 - concludeva il tribunale - sarebbe effettivamente emersa la macroscopica divergenza tra i flussi informativi indirizzati alla vigilanza nel triennio 2012-2015 e la reale situazione patrimoniale della banca. 1.7.5 L'ostacolo alla vigilanza nei confronti di CONSOB (capo N1 - posizione G1) Il tribunale riteneva provato anche l'addebito stigmatizzato sub N1), inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere, nei confronti di CONSOB, in relazione all'operazione di aumento di capitale 2014. In estrema sintesi, dopo avere dettagliatamente illustrato - in relazione tanto alla disciplina generale quanto al modello concretamente adottato da B. - il quadro normativo delle attività di intermediazione finanziaria (con particolare riguardo agli obblighi incombenti sugli intermediari nella relazione con la clientela sia nella fase precontrattuale, sia in quella di conclusione del contratto, sia nel corso dell'esecuzione del rapporto in un'ottica di tutela dell'investitore al fine di agevolarlo nella comprensione delle caratteristiche, dei rischi e dei costi dei prodotti finanziari offerti in un mercato di libera concorrenza), il primo giudice ricostruiva puntualmente l'episodio in questione. Nel caso di specie B. aveva pianificato una operazione che prevedeva un'offerta a pagamento mediante emissione di azioni ordinarie in opzione ai soci per un importo massimo di euro 700.000.000, nonché un aumento di capitale ordinario a pagamento mediante emissioni di azioni ordinarie finalizzata all'ampliamento della base sociale da offrire ai non soci per un importo massimo di 300.000.000 di euro. Nel corso della seduta del CdA 15.4.2014, poi, era stata definitivamente approvata l'operazione in questione, con l'individuazione dell'ammontare definitivo dell'aumento di capitale (aumento di capitale scindibile fino al controvalore massimo di 608.000,000 dì euro), la definizione del rapporto di opzione (una nuova azione ogni nove possedute con definizione del rapporto di attribuzione del premio fedeltà nella misura di un'azione ogni quattro) e la decisione che le azioni eventualmente inoptate sarebbero state offerte al pubblico indistinto e assegnate a coloro che ne avessero fatto richiesta durante il perìodo di offerta. Le azioni erano state emesse al prezzo di 62,5 euro, determinato sulla base della relazione di stima dell'esperto indipendente. Solo con riferimento al mini aucap, poi, era stato previsto che potessero essere concessi ai nuovi soci finanziamenti correlati alla sottoscrizione dell'aumento di capitale. In relazione a tale operazione l'istituto di credito aveva rappresentato, nelle relative comunicazioni inviate alla CONSOB, siccome specificamente richiamate in imputazione (trattasi della comunicazione formale 23.5.2014 in risposta alla richiesta di dati e notizie del 16.5.2014; della nota 4.7.2014; dell'ulteriore nota 15.10.2014), l'adozione di un modello operativo fondato su un atteggiamento neutro in ordine alla collocazione dei propri titoli nei confronti dei titolari dei diritti di opzione, attestando di avere predisposto modelli procedurali tesi a garantire la genuinità dell'iniziativa del cliente e sottolineando altresì che, come deciso, eventuali operazioni dì finanziamento sarebbero state previste solo con riferimento all'operazione di mini aucap. Tali modelli prevedevano, per i soci titolari del diritto di opzione: - da un lato l'esclusione dell'applicabilità della valutazione di adeguatezza, onde non interferire con l'esercizio del predetto diritto di opzione; - dall'altro lato l'astensione dalla prestazione di raccomandazioni all'investimento e di consulenza per i medesimi titolari del diritto di opzione e della connessa prelazione, i quali, infatti, onde contenere le occasioni di contatto diretto tra costoro e gli addetti di rete, avrebbero potuto aderire autonomamente all'aumento di capitale inviando richieste via internet, inserendo il proprio codice fiscale in una apposita pagina web, ovvero a mezzo raccomandata. In altri termini l'istituto di credito aveva rappresentato, nella comunicazione formale 23.5.2014, che avrebbe compensato il "sacrificio" della valutazione di adeguatezza (sacrificio resosi necessario per evitare che tale "filtro", posto a presidio dell'investitore, potesse pregiudicare il libero esercizio del diritto di opzione - e della connessa prelazione - nel caso di soggetto che, già socio e interessato ad avvalersi dell'opzione, non avesse superato detto vaglio) con l'assicurazione che i titolari di opzione sarebbero stati messi al riparo da influenze di sorta da parte della rete dell'istituto di credito, onde scongiurare qualsivoglia rischio che le determinazioni dei clienti potessero essere influenzate da consigli dì investimento fomiti dalla rete della banca in una situazione di conflitto di interesse. La CONSOB aveva approvato il prospetto relativo all'aucap 2014 in data 8.5.2014 e il successivo 9.5.2014 la banca aveva comunicato agli azionisti i dettagli delle operazioni informandoli della facoltà di esercitare i! diritto di opzione. In linea con l'originaria comunicazione alla CONSOB, por, si collocavano le successive comunicazioni dell'istituto all'ente di vigilanza rese nelle date del 4.7.2014 e del 15.10.2014. Ebbene, precisava il primo giudice, contrariamente a quanto comunicato a COIMSOB ed alla stregua di inequivoche prove tanto testimoniali (oltre alla deposizione del dirigente CONSOB, Francesco Adria, il tribunale valorizzava quelle dei dirigenti B. Al.Mo. e Gi.Am.) quanto documentali (tra le quali plurime, assai significative, comunicazioni via e-mail intercorse tra dirigenti B.), era emersa la natura meramente formale dei presidi organizzativi adottati dall'istituto di credito, peraltro sistematicamente aggirati nella pratica commerciale in attuazione di un'attività di pianificazione che si era caratterizzata per una fortissima pressione commerciale sulla rete (come precisato da numerosi dirigenti B. e, segnatamente, dai testi Gi.Ca., Ma.Ni., Lu.Ve., Ro.Pr. e Fu.Bo.), posto che: a) ben lungi dall'essere riconducibili alla spontanea iniziativa dei clienti, gli acquisti erano stati sollecitati dalla rete commerciale dell'istituto, appositamente istruita e sistematicamente resa oggetto di forti pressioni per la collocazione dei titoli; b) circa il 60% delle richieste di acquisto di azioni inviate via internet (modalità che, come detto, secondo il modello predisposto, unitamente all'invio della richiesta in modalità cartacea attraverso la spedizione di lettera raccomandata, avrebbe dovuto essere seguita dalla clientela interessata alla sottoscrizione di azioni onde evitare contatti inappropriati con la rete dell'istituto) erano risultate inviate da indirizzi IP di computer in uso a dipendenti della banca. Inoltre era emersa la prassi della presentazione brevi manu delle missive, in luogo dell'invio per raccomandata; c) contrariamente a quanto esposto all'autorità di vigilanza, in larghissima parte le adesioni all'offerta da parte degli opzionisti (26.000 su 29.000) si erano concretizzate al di fuori del sistema nella preventiva raccolta delle manifestazioni di interesse; d) mediante le modalità predisposte dalla banca, infatti, avevano aderito solo 2778 del 29.360 titolari del diritto di opzione, inviando 1695 lettere e 1083 manifestazioni di interesse via web; e) erano state create vere e proprie liste di clienti da contattare per supportare° la rete di vendita, nell'ambito di un'accurata pianificazione commerciale volta a favorire al massimo la collocazione delle azioni (ben 7434 soci che avevano aderito all'iniziativa, infatti, erano risultati inseriti nelle liste predisposte dalla banca); f) il 32% degli aderenti all'aucap censiti nel database delle manifestazioni di interesse aveva richiesto al momento dell'adesione un quantitativo di azioni esattamente corrispondente a quanto registrato nell'applicativo predisposto dalla banca nella fase di preadesione; g) era emersa la prassi di aggirare il test di adeguatezza (previsto per le adesioni del pubblico indistinto sino al 9.7.2014) facendo acquistare sul mercato secondario al cliente 100 azioni prima dell'aucap, in modo che il medesimo cliente potesse rientrare tra i soci e, quindi, potesse partecipare all'aumento di capitale senza effettuare le valutazioni di adeguatezza. Più nel dettaglio, i casi di consulenza surrettizia accertati - come precisato dall'ispettore An.Me. - erano risultati corrispondenti ad operazioni di acquisto per un valore pari a 143,17 milioni di euro su 497,98 milioni di euro complessivi. Secondo gli esiti della replica del test di adeguatezza standard effettuato in sede ispettiva (test che, infatti, sarebbe stato doveroso effettuare in caso di consulenza) era poi emerso che in almeno il 72% dei casi per un controvalore di 83 milioni di euro si sarebbe trattato di operazioni non adeguate, in quanto tali destinate ad essere bloccate dalla procedura. Inoltre si era acquisita contezza di agevolazioni (segnatamente, time deposit a tassi vantaggiosi) e anche di massicci finanziamenti concessi per l'acquisto di azioni proprie, non solo per garantire l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie ma anche per conseguire gli obiettivi di aumento di capitale, peraltro nell'ambito di iniziative commerciali che erano state taciute alla CONSOB e che avevano portato alla conclusione di operazioni di vendita di titoli in assenza delle doverose informazioni circa la natura e le caratteristiche delle operazioni medesime. Pertanto l'incremento di rischio per la clientela era stato del tutto privo di presidi nei sistemi di verifica di adeguatezza degli investimenti. In definitiva - concludeva il primo giudice - B. aveva fornito alla CONSOB, con riferimento alla predetta operazione di aumento di capitale, un quadro informativo falso e gravemente fuorviante, tanto in ordine al modello di servizio adottato per rapportarsi alla clientela quanto in punto di erogazione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie. La rilevanza decettiva di tali condotte era stata indubbia: ove la CONSOB fosse stata informata della pianificazione commerciale all'origine del collocamento delle azioni, infatti, avrebbe sicuramente esercitato in modo più pervasivo i propri poteri, sia di controllo che istruttori ex art. 94 TUF, e avrebbe imposto un più rigoroso modello di operatività fondato sulla consulenza e sull'obbligo di somministrazione di test di adeguatezza bloccante. Né, ad avviso del giudice di prime cure, poteva aderirsi alla tesi difensiva proposta dall'imputato Em.Gi.. Costui - risultato il dirigente che aveva maggiormente supportato e coadiuvato il direttore generale Sa.So. nell'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale - aveva sostenuto, infatti, di avere agito nella convinzione dell'esistenza di una pregressa pianificazione commerciale concordata dall'istituto di credito con l'autorità di vigilanza. Tale tesi difensiva, tuttavia, era stata nettamente smentita dalle emergenze istruttorie. Da un lato, infatti, la banca aveva sempre attestato alla vigilanza che le operazioni di sottoscrizione erano avvenute ad iniziativa dei clienti; dall'altro lato era emersa un'operatività volta alla pianificazione commerciale dell'operazione non verbalizzata e, quindi, evidentemente elaborata e attuata nella piena consapevolezza di agire al di fuori del perimetro di regolarità tracciato dalla normativa Mifid. Né - proseguiva il tribunale - poteva accedersi alla tesi difensiva dell'imputato GI. secondo cui questi non era responsabile del reato in esame essendosi limitato a dare attuazione alle direttive impartitegli; in contrario deponevano la sua veste di dirigente apicale (responsabile della Divisione Mercati e vice direttore generale) nonché la prova - da considerarsi raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio - dell'incondizionato allineamento del GI. all'illecita politica gestoria ideata dal direttore generale So., cui il GI. medesimo aveva contribuito materialmente offrendo un fondamentale apporto partecipativo. Peraltro - concludeva, sul punto, il primo giudice - lo stesso presidente Zo.Gi. aveva preso parte tanto alla riunione del 3 aprile 2014, nel corso della quale il d.g. So. aveva illustrato alla rete le modalità operative pianificate per l'aucap e la campagna di contatto della clientela (al riguardo il riferimento era alla e-mail di cui al doc. 241 del P.M. in cui si esplicitava chiaramente la "campagna di contatto" all'uopo programmata), quanto alla precedente seduta del CdA del 4 marzo, in occasione della quale aveva fatto esplicito riferimento alla necessità dì "fare formazione sulla rete", chiarendo che "non devono parlare", ovverosia all'esigenza di stimolare i clienti ad aderire all'aumento di capitale e alla congiunta necessità di occultare tale prassi operativa. Donde la trasmissione degli atti al P.M. con riferimento alla posizione di tale imputato. 1.8. I reati di falso in prospetto In proposito va premesso che oggetto dei capì di imputazione sub I) ed L) sono i prospetti informativi redatti dall'istituto dì credito e depositati presso la CONSOB relativi agli aumenti di capitale realizzati negli anni 2013 e 2014 ed inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni La condotta di falso, secondo le suddette imputazioni, sarebbe consistita nell'occultamento di informazioni rilevanti in merito all'esistenza, all'entità e agli effetti del fenomeno degli investimenti correlati all'acquisto di azioni B., nonché nella comunicazione dì informazioni fuorvianti in ordine all'andamento del mercato secondario delle stesse azioni. Sul punto il tribunale, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento (artt. 94, 94 bis, 173 bis D.Lvo 58/98 - TUF), evidenziava gli elementi costituivi della fattispecie delittuosa in esame precisando trattarsi di "reato comune", finalizzato ad approntare tutela al risparmio nella sua accezione "dinamica" e caratterizzato da una condotta reticente o fuorviante idonea a trarre in inganno l'investitore (senza peraltro la necessità della causazione di danno, come invece previsto dalla previgente fattispecie ex art. 2623 c.c.). In siffatta prospettiva la falsità non avrebbe dovuto necessariamente avere a oggetto dati materiali necessari ma anche notizie e valutazioni fondanti l'offerta (con l'ovvia precisazione che, in tal caso, più che di falsità delle predette valutazioni si sarebbe trattato di un difetto di genuinità e di imparzialità delle stesse). Anche l'occultamento di informazioni, poi, avrebbe potuto integrare la condotta materiale della fattispecie in questione, qualora inerente a dati o informazioni parimenti rilevanti. In ogni caso, essendosi in presenza dì reato di pericolo concreto, requisito essenziale della condotta decettiva era l'idoneità a trarre in inganno il destinatario; quest'ultimo, nella concretezza del caso sub iudice, non si sarebbe dovuto identificare nell'investitore professionale e neppure - ed a fortiori - in quello istituzionale, bensì nel piccolo/medio risparmiatore, ovverosia in quel soggetto che, generalmente, si limita alla lettura della sola "nota di sintesi", decisamente più breve e predisposta proprio al fine di renderlo edotto del contenuto "concreto" della proposta di investimento. Sotto il profilo soggettivo, poi, la norma era caratterizzata dalla combinazione del dolo specifico e di quello intenzionale: alla volontà e rappresentazione del fatto tipico commesso con l'intenzione di ingannare i destinatari del prodotto finanziario, infatti, si accompagnava lo scopo di conseguire un ingiusto profitto, per sé ovvero per altri. Tanto premesso - proseguiva il tribunale - negli anni 2013 e 2014 la banca vicentina aveva realizzato due aumenti di capitale, il primo deliberato il 16.4.2013 ed il secondo, caratterizzato da due offerte, il 15.4.2014. In entrambi i casi i prospetti comunicati dalla banca erano risultati caratterizzati dall'occultamento dell'esistenza, dell'entità e degli effetti del fenomeno della concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. e, quindi, dall'occultamento di informazioni essenziali perché l'investitore potesse determinarsi correttamente. Questo benché la prassi della concessione di siffatta tipologia di finanziamenti risalisse al 2009 (quando l'istituto aveva iniziato a proporre a clienti "amici" acquisto dì azioni proprie in grandi quantità - i c.d. "big ticket" - nell'ambito di operazioni "baciate", ovvero caratterizzate dalla tendenziale corrispondenza tra importo del finanziamento concesso e controvalore delle azioni acquistate, al fine di procedere allo svuotamento periodico del fondo acquisto azioni proprie) e benché detto fenomeno, che aveva interessato tanto il mercato primario quanto quello secondario, avesse raggiunto dimensioni consistenti già a partire dal 2012 (nel quarto trimestre de) 2012, infatti, il numero dì azioni finanziate era risultato corrispondere ad un controvalore di euro 545.520.996). Ora, con riferimento al mercato primario, nell'ambito degli aumenti di capitale finalizzati all'ampliamento della base sociale (mini aucap 2013 e 2014), l'istituto di credito aveva previsto espressamente l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie. Analoga informativa, invece, non era stata inserita nei prospetti relativi agli aumenti di capitale destinati ai titolari del diritto di opzione, ovvero al pubblico indistinto, sebbene, poi, in concreto, gli accertamenti ispettivi BCE e CONSOB avessero dimostrato come gli aumenti di capitale 2013 e 2014 fossero stati in larga parte realizzati proprio ricorrendo al massiccio finanziamento degli investitori che sottoscrivevano azioni di nuova emissione (nel 2013, su un controvalore totale di euro 506 milioni, le operazioni finanziate erano ammontate a 136.034,044,00 euro; nel 2014, poi, i finanziamenti concessi dall'istituto avevano riguardato azioni per un controvalore di 146,451.259 euro). Solo a seguito dell'ispezione BCE del 2015, infatti, l'istituto aveva ammesso l'esistenza delle operazioni di finanziamento correlato, per un valore complessivo determinato, in sede di internai audit, di 1.086 milioni di euro alla data del 31.10.2015, informazione che, come inevitabile, aveva provocato effetti dirompenti. Di qui la conclusione cui perveniva il primo giudice circa la penale responsabilità derivante dalla radicale assenza, nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento di capitale, dell'esistenza e dell'entità del fenomeno delle operazioni finanziate, trattandosi di informazioni che, ove conosciute, avrebbero evidentemente indotto un investitore ragionevole ad una ben maggiore ponderazione nella decisione di sottoscrivere gli aumenti di capitale. L'occultamento di tali informazioni, poi, aveva ovviamente alterato anche i dati di bilancio e, di conseguenza, le informazioni ad essi inerenti che erano state riportate nei prospetti relativi agli aumenti di capitale in questione. L'effetto che ne era derivato era stato, anche in tal caso, quello di distorcere gravemente la conoscenza degli investitori circa la rappresentazione dei livelli patrimoniali della società. Per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2012, infatti, il Tier 1 Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia dell'8% quale prescritta dalla Banca d'Italia nella lettera di intervento del 2.3.2012. Anche nel 2013, poi, si era registrata analoga violazione di detto requisito target. Così come durante il successivo esercizio 2014, quando il CET Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia regolamentare del 7% e il Total Capital Ratio aveva parimenti raggiunto un livello inferiore a quello minimo regolamentare del 10,5%. I dati di bilancio richiamati nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento del capitale, quindi, avevano indotto i risparmiatori a confidare in un livello di solidità patrimoniale dell'istituto di credito in realtà ben inferiore a quello prescritto. Donde l'idoneità decettiva delle informazioni fornite sul punto. Infine, anche le informazioni inerenti ai volumi delle azioni scambiate nell'ambito del mercato secondario erano risultate del tutto inattendibili per effetto della mancata comunicazione del fenomeno delle operazioni finanziate (fenomeno al quale la banca aveva fatto ricorso massicciamente, a partire dal 2012, proprio allo scopo di assicurare la negoziabilità del titolo, provocando, tuttavia, in tal guisa, una grave alterazione della dinamica del mercato secondario) e avevano ingenerato nei terzi la convinzione di una solo apparente liquidità delle azioni. In questo contesto era stata occultata al mercato - sostenendosi, nei prospetti, che le richieste di cessioni delle azioni sarebbero state sottoposte appena possibile al CdA - la persistente situazione di grave ritardo nell'evasione delle richieste di vendita di azioni provenienti dai soci (nel corso del 2013, in effetti, il time to sell era passato dai 28 giorni del mese di gennaio ai 311 giorni della fine dell'anno); richieste, peraltro, neppure sempre evase in ordine cronologico. In definitiva la mancata comunicazione di tali informazioni aveva ingenerato l'apparenza di un'appetibilità del titolo in realtà inesistente. Donde, anche sotto tale profilo, la sussistenza della condotta di reato di falso in prospetto. Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive, il tribunale evidenziava come Zo.Gi., presidente del CdA dal 1996 al 2015, fosse certamente responsabile delle operazioni di aumento di capitale del 2013 e anche della redazione dei relativi prospetti, per avere egli, su incarico del CdA, conferito al d.g. So. e al vice d.g. PI. i poteri all'uopo necessari, nonché per avere egli sottoscritto il documento di registrazione e la dichiarazione di responsabilità. Analogamente, con riferimento all'aumento di capitale 2014, i poteri conferiti allo ZO. dal CdA in ordine all'operazione di aumento di capitale rendevano evidente la responsabilità del predetto nella falsificazione dei prospetti illustrativi di detta operazione Considerazioni del medesimo tenore, poi, venivano dal tribunale svolte con riferimento alla posizione del PI., trattandosi di un vice direttore B. nonché del responsabile della Divisione Finanza, ovverosia di una divisione alla quale, secondo l'organigramma dell'istituto di credito, competeva proprio l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi. Infine anche gli imputati GI. e MA. venivano giudicati responsabili del reato in questione, avendo i predetti, sebbene non coinvolti - secondo il primo giudice - nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, partecipato attivamente ad assicurare, conoscendone perfettamente le esigenze sottostanti, l'operatività del meccanismo dei finanziamenti correlati all'acquisto delle azioni B. mediante massiccio ricorso al capitale finanziato; meccanismo del quale avevano contribuito a occultare l'esistenza e l'entità. 1.9. Le singole posizioni processuali. 1.9.1 Zo.Gi. Il tribunale, dopo avere richiamato la normativa di dettaglio emanata da Banca d'Italia per disciplinare gli assetti del governo societario dell'impresa bancaria (assetti che attribuivano al presidente del CdA il ruolo di garanzia in ordine al corretto funzionamento dell'organo, precisando come costui non dovesse essere un componente esecutivo e non dovesse svolgere, neppure di fatto, funzioni gestionali) e dopo avere ricostruito la composizione, all'epoca dei fatti, del CdA di B., precisava che Zo.Gi. era stato presidente dell'istituto di credito dal 1996 al novembre del 2015 nonché presidente del comitato esecutivo. Tutti gli elementi disponibili, poi, convergevano nel delineare il ruolo dominante e pervasivo svolto dall'imputato nell'organizzazione dell'attività della banca, tanto che l'attenzione degli organi di vigilanza, sin dal 2007, aveva evidenziato tale criticità, stigmatizzando l'autoreferenzialità dei meccanismi di governance instaurati dall'imputato. Peraltro era stata proprio la strategia di crescita (aumento degli sportelli; continua espansione dimensionale) imposta alla banca dal Presidente a porsi all'origine delle problematiche degli aspetti patrimoniali del gruppo che, infatti, proprio per fare fronte alla progressiva crescita dei costi di gestione, era stato costretto a ricorrere sistematicamente ad aumenti di capitale. Inoltre i meccanismi di governo societario - e, in particolare, il ruolo predominante rivestito, nel consiglio di amministrazione, dall'imputato nonché la visione maturata e attuata dallo stesso dì un successo imprenditoriale commisurato alla continua espansione dimensionale dell'istituto - erano stati sistematicamente censurati dall'autorità di vigilanza (in particolare: in occasione del rapporto ispettivo del 2008; dell'ispezione di follow up del 2009; dell'ispezione sul credito del 2012; della vigilanza in relazione all'aumento di capitale del 2013). Del resto la struttura verticistica del governo aziendale era emersa da tutte le risultanze probatorie disponibili. In effetti - precisava il primo giudice - l'imputato esercitava una forma pervasiva di controllo sulle dinamiche del consiglio, nel cui seno le decisioni assunte non erano mai state oggetto di discussione o dibattito, il tutto mentre il controllo assicurato dal collegio sindacale era risultato meramente formale, come verificato da Banca d'Italia nell'ispezione 2008. Di fatto era lo ZO., con riferimento tanto al consiglio di amministrazione, quanto al collegio sindacale, a selezionare i candidati (dep. Zi., Gr., Lo.), scegliendoli, per cooptazione, tra esponenti dell'imprenditoria locale (individuando, peraltro, soggetti inesperti dei complessi meccanismi dell'impresa bancaria) e ad affiancare loro professionisti già legati alla persona dello stesso presidente da pregresse esperienze professionali. In particolare il tribunale, sulla base di puntuali deposizioni al riguardo (trattasi, segnatamente, della deposizione resa dal teste Da.Lo.), ricostruiva una situazione caratterizzata dall'assenza di obiezioni di sorta alle proposte presidenziali, da un clima dì effettiva intimidazione - se non di vero e proprio terrore - che rendeva difficile manifestare qualsiasi dissenso, nonché da modalità di votazione, in assemblea, che rendevano identificabili le singole manifestazioni di voto. In effetti il CdA si era costantemente limitato ad approvare le proposte del presidente e tutte le decisioni erano state sempre unanimi, sicché lo stesso ruolo del consiglio era stato, di fatto, svuotato di ogni profilo sostanziale. Emblematica di ciò - ad avviso del tribunale - era stata la vicenda dell'acquisizione di un immobile da adibire a sportello bancario nella località turistica di Cortina, operazione fortemente voluta dallo ZO. (in particolare per il ritorno di immagine che, a suo giudizio, ne sarebbe derivato) e che era stata conseguentemente accettata dal d.g. So. contro ogni logica dì convenienza economica, tanto che aveva portato all'esito fallimentare di una perdita di oltre venti milioni di euro (come peraltro comprovato dal contenuto della conversazione telefonica intercettata riportata a pag. 589 della sentenza impugnata e come confermato dalla relazione ex art. 33 l.f.). Altrettanto significativa del ruolo predominante dell'imputato in seno al CdA, poi, era la vicenda - la cui ricostruzione esatta era stata resa possibile dalla documentazione costituita dal relativo file audio - inerente alla determinazione del prezzo dell'azione in deroga alle stesse regole procedurali dell'istituto deliberata in occasione della seduta 1.4.2014. Connotato da analoga "impronta padronale", inoltre, era anche il rapporto tra l'imputato, da un lato, ed il management e le strutture aziendali, dall'altro. Infatti, ripetutamente, gli incarichi di vertice erano stati assegnati a soggetti indicati dal presidente (era il caso dei d.g. Gr. e So., di Ro., di Fa., consulente nel settore degli affari internazionali; di Ra., al quale era stato affidato l'incarico di presidente della società Mo. che gestiva il patrimonio immobiliare della banca), con il CdA che si era limitato a ratificarne le decisioni. Era lo ZO. a decidere su tutto: retribuzioni, posizioni, crediti, affidamenti, parco automobili (si veda la deposizione di Um.Se., direttore della controllata siciliana Ba.Nu. dal 2012), L'imputato si era occupato anche delle campagne pubblicitarie (cfr. la deposizione del teste Ma.Pa.) e addirittura della concessione, agli amici, di tassi di interesse fuori mercato ed in perdita per la banca (come nel caso dell'imprenditore amico Re.Ca., secondo la deposizione del teste Gi.Am.). Più nel dettaglio, il coinvolgimento dello ZO. nell'attività gestionale era stato confermato da numerose, convergenti deposizioni. Era il caso, in particolare, delle testimonianze di Al.Sa., Iv.Me. e Gi.Am., quest'ultima relativa anche alla riunione tenutasi l'il.11.2014 a seguito della pubblicazione dell'articolo del Sole 24 Ore che aveva messo in discussione il valore del titolo. In detta riunione ZO. aveva esplicitamente affermato, tra l'altro, che ì soci che avessero voluto vendere i titoli avrebbero potuto essere sostenuti con finanziamenti e la trascrizione della già menzionata seduta del Comitato di Direzione 10.11.2014 (doc. P.M. nr. 110) riscontra tali indicazioni del presidente. Le e-mail acquisite al fascicolo del dibattimento (docc. P.M. nr. 298, 299, 322, 320, 521), al pari degli appunti di Ma.So. contenuti nel "maxi quaderno giallo", poi, confermavano il ruolo operativo del presidente. Il teste Se.Ro., inoltre, aveva riferito al teste Ma.Pa. - cfr. la deposizione di quest'ultimo - che le decisioni di vendita delle azioni andavano ricondotte allo ZO. e, sul punto, non mancavano conferme documentali: la e-mail del 16.6.2014 (allegato 31 relazione CONSOB), avente ad oggetto il sollecito rivolto dalla segreteria del presidente ZO. al Ro. circa un reclamo - indirizzato direttamente al medesimo presidente ZO. -riguardante i ritardi nella vendita di azioni della sig.ra Ro.Sa.; il documento del P.M. nr. 321 (relativo a una corrispondenza e-mail tra Fi.Ro. e Da.Fa. del 20.1.2014); gli appunti del So.; infine le stesse dichiarazioni ammissive rese dall'imputato nel corso dell'interrogatorio del 24.3.2017. Lo strettissimo rapporto tra lo ZO. ed il d.g. So. (quest'ultimo, peraltro, proposto dallo stesso ZO. come consigliere delegato nel 2015, ovverosia poco prima dell'ispezione BCE, quando oramai la banca versava in condizioni di forte criticità ed aveva superato solo per il "rotto della cuffia" il Comprehensive Assessment tramite la conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza dal CdA nella seduta del 26.10.2014, convocata presso la tenuta toscana del presidente sita in (...) era stato delineato da numerosi testi escussi (Di.Gr., Se.Ro., Ad.Ca., Pa.An., Vi.Do., Ma.So.) e confermato dallo stralcio della conversazione intercettata tra Gi.Zi. e il suo interlocutore Pa.Ba. nello del 26.8.2015 (riportata a pag. 599 della gravata sentenza), dove si affermava che i due erano sostanzialmente inscindibili e "viaggiavano a braccetto". Lo stesso So. del resto, in occasione di talune conversazioni intercettate, si era riferito spesso al diretto coinvolgimento del Presidente nelle vicende gestorie della banca (il richiamo era ai progressivi 459, 300, 610, 845, 1570, 1587, nonché agli SMS di cui ai documenti nn.ri 653, 654, 655 - pagg. 600-603 della gravata sentenza). Con riferimento all'aucap del 2014, poi, la scheda file audio della seduta del CdA del 4.3-2014 aveva documentato il diretto coinvolgimento del presidente nella pianificazione dell'operazione in questione, mentre le dichiarazioni del coimputato GI. avevano ribadito tale coinvolgimento, peraltro confermato anche dalla documentazione disponibile (era il caso della e-mail costituente l'allegato nr. 75 alla relazione CONSOB). Lo ZO., inoltre, aveva avuto un ruolo attivo anche durante il comitato di direzione "allargato" del 20.4.2015 nel quale erano state affrontate, tra gli altri temi, le questioni dei soci finanziati e della creazione di una task force che avrebbe dovuto gestire il problema dei soci che chiedevano di vendere le proprie azioni. In tal senso deponeva il documento nr. 362 del P.M. costituito dagli appunti di Gi.Am., siccome "interpretati" dallo stesso Am. durante la propria deposizione. Nel corso di tale comitato di direzione, infatti, si era discusso anche del problema costituito dall'impossibilità di ricorrere all'impiego del fondo acquisto azioni proprie, ovvero allo strumento che, ad avviso del Presidente, doveva servire - secondo quanto riferito dal teste Am. - "a rendere più liquido l'investimento in azioni della (...)". Del resto le modalità della risoluzione del rapporto con il d.g. So. (risoluzione intervenuta solo quando, nel corso dell'ispezione BCE, la situazione era divenuta insostenibile a seguito dell'emersione della vicenda dei fondi lussemburghesi, della prassi delle lettere di impegno e dei finanziamenti correlati) dovevano ritenersi sintomatiche - nella ricostruzione dell'episodio fattane dal primo giudice - delle modalità gestorie dello ZO. e della volontà di assicurare al So. un commodus discessus. L'imputato, infatti, aveva fulmineamente risolto il contratto con il direttore generale (al quale, nondimeno, era stato riconosciuto di avere operato "con diligenza e correttezza nell'interesse della banca" e, soprattutto, era stata attribuita una buonuscita di ben 4 milioni di euro); questo era avvenuto nonostante il contrario parere del consigliere Gi.Zi. (documentato dal file audio della seduta del CdA) il quale aveva chiesto di valutare il licenziamento, al posto della risoluzione consensuale, al fine di salvaguardare la posizione dello stesso CdA. Peraltro dell'intervento dello ZI. il verbale consiliare non recava traccia alcuna (e questo nonostante la esplicita richiesta avanzata, in tal senso, dal menzionato consigliere). Si era trattato, quindi, di una decisione unilaterale di ZO., non preceduta da alcun dibattito in seno asl CdA (come riferito dallo stesso ZI. e come, del resto, confermato dalla deposizione del teste Ad.Ca.). Nell'occasione la finalità perseguita dallo ZO. - ad avviso del tribunale - era stata evidentemente quella di assicurarsi, "attraverso il fulmineo e ben retribuito congedo del direttore generale infedele", "un salvacondotto a fronte delle condotte illecite in fase di accertamento da parte della squadra ispettiva" (così si legge a pagina 611 della sentenza impugnata). Solo in quest'ottica, pertanto, poteva essere ragionevolmente interpretato quanto avvenuto in occasione delle successive sedute del CdA del 15 maggio, 27 maggio, 9 giugno e 11 giugno 2015, allorché sì era discusso della possibilità di intraprendere azioni legali nei confronti del So. per poi alla fine decidere, su proposta dello stesso ZO., di non procedere in alcun modo nei confronti dell'ex direttore generale. In definitiva l'accordo per la risoluzione del contratto con il manager con riconoscimento di una buonuscita multimilionaria - accordo deciso e repentinamente attuato dallo ZO. non solo in contrasto con le previsioni statutarie (che attribuivano al CdA la competenza in materia) e con la normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, ma anche in radicale conflitto con l'interesse dell'istituto di credito - costituiva un elemento di prova della corresponsabilità dell'imputato. Sintomatiche dell'interesse (a proteggere il So.) perseguito, con detto accordo, dallo ZO. - significativamente definito, in un colloquio captato dagli investigatori, uno che ha governato come un monarca assoluto" e che, quindi, non era certo all'oscuro di quanto andava emergendo nel corso dell'ispezione - erano proprio alcune conversazioni intercettate (cfr. stralci riportati alle pagg. 611-613 della sentenza). Quindi il primo giudice, ad ulteriore sostegno della conclusione cui perveniva in ordine alla piena responsabilità dello ZO. nella gestione dell'istituto di credito con riferimento specifico alle condotte oggetto di imputazione, richiamava specificamente le operazioni correlate effettuate da taluni imprenditori. Trattasi, segnatamente: - di Se.Pi. (presidente del CdA della società It.). Costui, nel corso della deposizione resa in dibattimento, aveva ricostruito gli acquisti "baciati" dì azioni B. effettuati, originariamente su proposta dello ZO., con il ricorso ad affidamenti da parte dell'istituito di credito (il tutto per un'operatività di euro 4.400.000). Secondo detto teste lo ZO. era a conoscenza dell'esistenza dei finanziamenti correlati a lui concessi, iniziati nel 2005. Nel 2013, quando il teste era stato ospite dell'imputato a Castello di Albola, lo ZO. si era dimostrato soddisfatto dell'aumento di capitale e nell'occasione avevano parlato, tra l'altro, delle operazioni finanziate effettuate dal Pitacco, facendo anche specifico riferimento all'importo complessivo; - di Al.Be., imprenditore del settore dell'editoria legato da risalente rapporto di amicizia con l'imputato. Anche tale dichiarante (cfr. verbale di s.i.t. acquisito ex art. 493, co, 3, c.p,p.) aveva ricostruito le operazioni finanziate effettuate al fine di acquistare le azioni di B., per un valore complessivo di euro 1,25 milioni a fronte di un finanziamento di pari importo. Sebbene detto teste avesse riferito di non avere mai parlato con lo ZO. di tali operazioni "baciate", le relative dichiarazioni - sul punto - erano state smentite dai testi Gi.Gi. (direttore regionale della Lombardia) e Al.Ba. (responsabile della Divisione Crediti di B. dal gennaio 2015). Il primo, dopo avere ricostruito le operazioni "baciate" effettuate da detto imprenditore in condizioni di neutralità economica (donde i relativi storni che gli avevano garantito il totale rimborso degli interessi maturati), aveva precisato che il Be. gli aveva riferito di avere parlato con lo ZO. di una di tali operazioni (quella effettuata tramite la B.Me.), Il teste Al.Ba., dal canto suo, aveva dichiarato di avere discusso con l'imputato ZO. della posizione del Be., ragguagliandolo circa gli acquisiti di azioni tramite finanziamenti "baciati" effettuati in precedenza dallo stesso Be. per "Vare una cortesia alla banca". Ciò era avvenuto nel corso di un incontro cui aveva partecipato lo stesso imprenditore, il quale, nell'occasione, aveva espressamente chiesto che l'operazione "fosse smontata"; - di Do.Ir.. presidente di C., società del settore delle costruzioni e amica di famiglia dello ZO.. In questo caso le azioni B. erano state acquistate, per un valore di 1 milione di euro, impiegando parte di un più consistente finanziamento (5 milioni) concesso dall'istituto. A detta della Ir. la proposta iniziale le era stata avanzata, con riferimento all'aumento di capitale allora in fieri, proprio dallo ZO. il quale, poi, l'aveva "dirottata" sul d.g. So.. Dal canto suo il figlio della Ir., Ha.Mi. (vicepresidente e amministratore delegato di C.), il quale aveva poi portato avanti la trattativa, escusso in dibattimento non aveva ricordato con chi avesse effettivamente trattato (sebbene in sede di indagini, come emerso dalla contestazione del P.M., avesse riferito di avere interloquito, in proposito, con lo ZO. oppure con il manager Al.Cu.; soggetto, quest'ultimo, che - parimenti escusso in dibattimento - aveva smentito di essersi personalmente occupato della questione); - dei fratelli Ra.. In particolare Ra.Si., imprenditore del settore abbigliamento e cliente storico di B., aveva riferito di avere aderito, unitamente ad alcuni suoi familiari, alla proposta di operazioni "baciate". Più volte costui (al pari dei fratelli) aveva chiesto rassicurazioni al riguardo allo ZO. ed era stato sempre tranquillizzato. Nel 2013 i Ra. avevano iniziato a sollecitare la chiusura delle operazioni, al che Fu.Bo. ed Em.Gi. avevano tentato di dissuaderli. Dichiarazioni di analogo tenore, poi, erano state rese da Ra.Gi., sebbene costui avesse riferito, diversamente dal fratello, che le discussioni con lo ZO. avevano riguardato la solidità della banca e non già le operazioni "baciate" in corso. Nondimeno - precisava il tribunale - la conversazione nr. 560 intercettata sull'utenza in uso al So., nella quale costui, esprimendo disappunto sull'atteggiamento negazionista dello ZO., riferiva in termini coincidenti con la narrazione di Ra. Silvano, confermava la tesi di quest'ultimo in ordine al contenuto dei colloqui - aventi ad oggetto proprio il tema dell'acquisto delle azioni della banca - intercorsi tra i fratelli Ra. e il presidente ZO.; - di Fr.Zu. e Fe.Ri.. Il primo, cognato di ZO., aveva riferito di un fido concessogli per partecipare, a titolo di amicizia e senza alcun rischio, all'aucap 2014, operazione della quale, tuttavia, non aveva parlato con lo ZO.. Nondimeno dalle schede di analisi dei consulenti del P.M. erano emersi, complessivamente, acquisti di azioni effettuati dalla famiglia Zu. per 984 mila euro con risorse erogate all'uopo dall'istituto. Quanto al Ri., amico dell'imputato da decenni, ex direttore di musei e consulente della banca per la stima delle opere d'arte, aveva effettuato operazioni per gli aucap 2013 (300 mila euro) e 2014 (200 mila euro) e aveva riferito che lo ZO., quando aveva appreso di una di tali operazioni, aveva espresso il proprio compiacimento, sebbene il teste avesse pure precisato che con l'imputato aveva interloquito solo in relazione alla sua sottoscrizione dell'aucap, non già circa le modalità di acquisto delle azioni. Quando poi, nel 2015, aveva manifestato allo ZO. le proprie preoccupazioni per gli acquisti finanziati, l'imputato aveva ribattuto in modo brusco ("Ma chi ti ha detto di farli?"), lasciandolo perplesso; s di Gi.Ro., noto imprenditore del settore della valigeria. In tal caso le operazioni finanziate erano state molteplici (la prima per l'ammontare di 700,000 euro; successivamente anche per l'importo di 5 milioni). Ripetutamente aveva incontrato lo ZO. in occasione di cene e pranzi e, quando gli aveva chiesto rassicurazioni, era stato costantemente tranquillizzato. Richiesto di precisare se l'imputato fosse a conoscenza delle modalità seguite per l'acquisto delle azioni, il teste aveva risposto affermativamente sulla base di considerazioni di tipo logico (basate, per un verso, sulla posizione di vertice rivestita dall'interlocutore, definita dal teste quella del "capo", del "padre-padrone della banca" e, per altro verso, sull'importanza di dette operazioni nell'ambito della gestione dell'istituto di credito). Peraltro, precisava il tribunale, la registrazione del file audio del 18.6,2013 relativo alla breve conversazione intercorsa tra lo ZO. ed il coimputato GI. poco prima dell'inizio della seduta del CdA - conversazione della quale lo stesso GI. aveva poi chiarito il significato (inerente all'interesse manifestato da un imprenditore catanese, tale Riccardo Coffa, per una operazione "baciata") - dimostrava la piena consapevolezza, in capo allo ZO., della prassi esistente in relazione a tale tipologia di operazioni. Altro significativo elemento a carico dello ZO. era rappresentato, nella prospettiva del tribunale, dall'elevatissima concentrazione di operazioni correlate presso il "gestore private" Ro.Ri. nella filiale di Contrà Porti, la stessa ove l'imputato aveva acceso i propri conti correnti. In effetti lo strettissimo rapporto tra i due (ulteriormente comprovato dalla riassunzione de) "gestore" dopo che questi si era dimesso a seguito del trasferimento ad altra filiale; riassunzione, con immediata ricollocazione presso la filiale di Contrà Porti, conseguente a una semplice visita dello stesso Ri. presso l'abitazione dell'imputato) avrebbe avvalorato la conclusione circa la piena consapevolezza, in capo al presidente, della prassi delle operazioni "baciate" che il predetto Ri. effettuava in favore di una selezionatissima cliente, peraltro per importi estremamente ingenti. Questo benché il medesimo Ri. avesse negato di avere parlato di tali operazioni con l'imputato e, a maggior ragione, di avere da questi ricevuto, al riguardo, autorizzazioni di sorta. Del resto - precisava il tribunale - il teste Da.Ti. aveva dichiarato di essere stato rassicurato dallo stesso presidente ZO. - all'uopo interpellato dal "gestore private" Ri. che aveva sostanzialmente fatto da tramite - circa ii fato che le operazioni "baciate" di sua pertinenza sarebbero state chiuse. Anche l'inerzia dell'imputato a seguito della segnalazione di anomalie inerenti ad operazioni correlate ricevuta nella primavera-estate del 2014 deponeva nel senso della fondatezza dell'impostazione d'accusa, al pari, del resto, delle dimissioni del consulente private banker An.Vi., dimessosi in conseguenza delle insostenibili pressioni che riceveva dai superiori (a loro volta in tal senso istruiti dai vertici aziendali) proprio con riferimento alla conclusione di operazioni "baciate". Peraltro, una pec contenente l'esposizione delle ragioni delle dimissioni era stata trasmessa dal Vi., su consiglio del proprio avvocato, sia al CdA che allo stesso ZO., il quale ultimo l'aveva letta in data 7.7.2014 senza, tuttavia, sollecitare approfondimenti al riguardo. Del resto era significativo che la vicenda si fosse poi definita con un accordo transattivo e con l'impegno alla riservatezza. Di spiccato rilievo probatorio, poi, erano tanto l'inerzia manifestata dallo ZO. a seguito della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 26.4.2014, dal socio B. Da. con riferimento alla prassi degli acquisti finanziati, quanto l'atteggiamento, altrettanto inerte, assunto dallo stesso imputato a seguito della ricezione di due lettere anonime che denunziavano il fenomeno della pressione della rete commerciale per favorire la sottoscrizione di operazioni correlate. Conclusivamente, a fronte di tali convergenti elementi, le dichiarazioni rese dall'imputato in occasione degli interrogatori resi in fase di indagine e, successivamente, nel corso dell'esame dibattimentale svoltosi alle udienze - 23,6.2020 e 26.11.2020 - là dove questi aveva sostenuto di essere stato tenuto all'oscuro dell'esistenza del fenomeno delle operazioni correlate, di essersi fidato della valutazione di un esperto di indiscusso prestigio con riferimento al valore assegnato al titolo azionario e, infine, di avere avviato le operazioni di aumento di capitale facendo affidamento sul giudizio della Banca d'Italia in ordine alla solidità dell'istituto di credito - venivano dal tribunale giudicate come destituite di fondamento e scopertamente difensive. I fenomeni del capitale finanziato, delle lettere di impegno e degli investimenti effettuati tramite fondi esteri, infatti, erano stati espressione di prassi note, avallate e, anzi, incentivate dal presidente, vero e proprio dominus assoluto dell'istituto di credito. Egli aveva ricoperto, per circa un ventennio, una posizione di dominio incontrastato, aveva selezionato e fidelizzato il management, anche con trattamenti economici più che generosi (cfr. sul punto, la deposizione del teste Ma.Ma.), aveva imposto la regola dell'approvazione unanime delle sue proposte in CdA ed aveva sistematicamente agito (in forza di una asimmetria di poteri che, peraltro, trovava plastico riscontro anche nell'ammontare delle rispettive retribuzioni, quella dell'imputato risultando quasi dieci volte superiore a quelle degli altri consiglieri) in modo tale da indirizzare l'espansione territoriale dell'istituto nelle aree del Paese ove egli aveva i suoi insediamenti imprenditoriali (Toscana, Friuli, Sicilia), ovvero nelle località di vacanza da lui frequentate (Cortina). In definitiva tutte le dinamiche inerenti alla vita dell'istituto di credito erano state determinate dallo ZO., a partire dalle più importanti strategie d'impresa e fino alle attività più spicciole (posto che era emerso che all'imputato veniva sottoposta, per approvazione, finanche la lista degli invitati alle cene "istituzionali" periodicamente organizzate a casa Lo.), In siffatta prospettiva le conversazioni telefoniche intercettate nelle quali il d.g. Sa.So. evidenziava la piena riconducibilità delle scelte operative al Presidente, ben lungi dall'essere interpretabili come attuazione di una callida determinazione del predetto So., ispirata da logica autodifensiva (come invece sostenuto dalla difesa dello ZO.), costituivano coerente riscontro del pieno coinvolgimelo dell'imputato nell'attività delittuosa. Del resto talune conversazioni significative erano state effettuate impiegando utenze riconducibili a terzi (trattasi dell'utenza 3311650993 intestata a De.Mi.), donde, anche sotto tale profilo, l'insostenibilità della tesi della artificiosità di tali colloqui, il tenore dei quali, peraltro, era del tutto coerente con le richiamate acquisizioni probatorie testimoniali e documentali. Inoltre le affermazioni fatte dal So. in ordine al coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni dì capitale finanziato avevano trovato conforto anche negli SMS inviati dai coimputati MA. e GI. al predetto So., messaggi attraverso i quali costoro sollecitavano il benestare del presidenti su alcune operazioni correlate (trattasi dei documenti nn.ri 653 "ricordati di messaggiare il presidente per le pratiche di oggi in CdA - quelle su acquisto, valori mobiliari... Fe. 11 milioni, Mo. 14 milioni, Fe. 20 milioni"; 654: "il presidente sta arrivando bisogna parlargli di Da. e Ca."; 655: "Ti ricordo Zi. da parlarne al pres per il fido da farsi alla sua finanziaria". Di qui la conclusione in ordine alla sussistenza dei presupposti tutti per affermare il coinvolgimento dell'imputato, a titolo di concorso, in tutti i reati ascrittigli. 1.9.2 Gi.Em. Con riferimento a Gi.Em. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Mercati (della quale egli, a far tempo dalla fine del 2007, era stato il responsabile -spettandogli in tale veste, fino alla cessazione del rapporto avvenuta nel giugno 2015, la direzione e il coordinamento dell'attività commerciale della banca - oltre a rivestire in B. il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma di cui ai docc. nr. 262-267 del Pubblico Ministero. Evidenziava poi come il GI. fosse anche membro del Comitato Soci, ossia dell'organo endoconsiliare deputato alla disamina preventiva delle richieste di acquisto e cessione delle azioni B. prima che le stesse fossero sottoposte al CdA. Ciò premesso il tribunale, nel rinviare al cap. X della sentenza quanto alla disamina della penale responsabilità del GI. per il reato di cui al capo N1, affermava che l'istruttoria dibattimentale consentiva di ritenere "emerso in modo univoco" il diretto coinvolgimento del GI. "in tutti gli aspetti della illecita operatività della Banca", elencando al riguardo le seguenti condotte dal predetto poste in essere: - aveva significativamente contribuito alla definizione e all'attuazione delle prassi operative in tema di capitale finanziato: - aveva partecipato direttamente alle più rilevanti operazioni di capitale finanziato (c.d. "big ticket"); - aveva personalmente sottoscritto alcune lettere di impegno di B. al riacquisto delle azioni precedentemente vendute ai clienti cui esse erano indirizzate, autorizzando altresì in via preventiva la sottoscrizione di analoghe lettere da parte dei funzionari a lui sottoposti; - aveva co-organizzato e programmato una capillare attività di monitoraggio della produttività della rete commerciale, esercitando forti pressioni sui dipendenti della stessa al fine di stimolare il raggiungimento degli obiettivi di raccolta del capitale; - aveva personalmente autorizzato storni di interessi come forma di remunerazione dell'investimento in azioni B.; - aveva, in molteplici occasioni, ostacolato l'accertamento dell'illecita operatività della banca non soltanto nei confronti delle autorità di vigilanza esterna ma altresì nei confronti delle società di revisione (cfr. in particolare l'episodio che aveva coinvolto la società di revisione K.) e della vigilanza interna (audit). Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il primo giudice anzitutto illustrava i contenuti - evidenziati in particolar modo negli appunti manoscritti redatti dal segretario generale Ma.So. (doc. nr. 389 del P.M.), il quale ne aveva riferito nel suo esame dibattimentale - della riunione del Comitato di Direzione tenutasi l'8.11.2011, cui avevano partecipato fra gli altri, oltre al GI., il direttore generale Sa.So., il presidente Zo.Gi., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. (dirigente altresì preposto alla redazione dei documenti contabili), il responsabile della Divisione Finanza An.Pi., il direttore generale della controllata toscana Ca. Fr.To., il vicedirettore generale della controllata siciliana Ba.Nu. Um.Se.. In quella sede, dopo che il PE. aveva evidenziato la necessità di collocare più di 100 milioni di azioni, il To. e il Se. (secondo quanto ricostruito nel suo esame dibattimentale dal teste assistito To., il quale peraltro evidenziava come all'epoca si ritenesse in generale inapplicabile l'art. 2358 c.c. alle banche popolari in quanto cooperative) avevano prospettato espressamente la necessità di ricorrere ad operazioni c.d. "baciate" - benché "non facili da proporre come nell'occasione riconosciuto dal To. - al fine di aumentare il collocamento delle azioni, tenuto conto anche del fatto che mancavano ormai solo poco più di 30 giorni alla chiusura natalizia. Indi il primo giudice evidenziava come al GI. fosse ben nota -quantomeno dal giugno 2011 - la situazione, documentata in atti e altresì, riferita da vari testi, di crescente disallineamento tra le domande di acquisto di azioni e le richieste di vendita delle stesse (le quali sopravanzavano le domande di acquisto in maniera sempre più accentuata ed evidente), il che aveva determinato sin dal 2011 un incremento progressivo ed esponenziale del ricorso al capitale finanziato, secondo un "cambio di passo" riscontrabile proprio all'indomani della menzionata riunione del comitato di direzione tenutasi l'8.11.2011. In tale contesto - proseguiva il tribunale - Em.Gi. si era distinto in modo particolare per l'attivo ruolo svolto nell'organizzazione e nel coordinamento delle iniziative c.d. "svuota fondo", rivolte cioè ad attuare il sistematico svuotamento del fondo acquisto azioni proprie di B. (portato infatti a zero tanto alla fine del 2012 quanto alla fine del 2013) nonché per le pressioni - sempre più accentuate specie a partire dalla fine dell'anno 2012 - da lui esercitate sulla rete commerciale affinché fosse incrementato il collocamento delle azioni. Ampio spazio veniva dato al riguardo, in sentenza, alla deposizione dei testi Fi.Ro. (responsabile dell'Ufficio Soci) e Co.Tu. (funzionario in staff alla Divisione Mercati), secondo i quali il direttore generale So. e il GI. - che veicolava le direttive del So. all'intera rete - monitoravano congiuntamente l'andamento delle domande di acquisto e cessione delle azioni e prendevano le decisioni su quante azioni la banca potesse riacquistare, al che conseguiva il sorgere di un'esigenza di occultamento del capitale finanziato. Indi il primo giudice illustrava gli elementi probatori (fra cui le deposizioni dei testi Co.Tu., Gi.Gi., Ma.Ni., Al.Ba., Al.Cu., En.Da., Lu.Ve., Se.Ro., Ro.Ri. e altri) in base ai quali emergeva il ruolo del GI. nell'organizzazione delle attività di occultamento del capitale finanziato, segnatamente: - mediante il divieto, imposto alla rete, di comunicare per iscritto informazioni sul capitale finanziato; - mediante l'utilizzo nelle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) di una formula - estremamente generica ("necessità per investimenti immobiliari e mobiliari"); - mediante la raccomandazione di attuare un distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni e/o di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche azioni diverse da quelle di B.. La promozione e sollecitazione da parte del GI. dell'occultamento del capitale finanziato, posta in essere nei modi sopra indicati, ad avviso del primo Giudice si traduceva in un rilevante contributo dato dall'imputato all'alterazione della veridicità dei flussi informativi indirizzati all'autorità di vigilanza. In particolare tre episodi, secondo il tribunale, evidenziavano quella che in sentenza (cfr. pag. 647) veniva definita come la * pervicace condotta di Em.Gi. tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delle autorità di vigilanza ovvero della società di revisione": - la vicenda del private banker An.Vi., oggetto di una segnalazione da parte dell'avv. Es. che aveva a sua volta dato luogo ad accertamenti effettuati dall'audit, il cui responsabile Ma.Bo. (sentito come teste in dibattimento) aveva consegnato il 4.9.2014 il relativo report al direttore generale So., che dapprima assumeva un atteggiamento dilatorio salvo poi, pressato dal Bo., convocare il GI. nel gennaio 2015 e consegnargli il report dell'audit; di quest'ultimo, secondo il teste Co.Tu., il GI. aveva detto allo stesso Tu. - il quale pure aveva avuto in visione il report - che non avrebbe dovuto parlare con nessuno; s l'episodio della società di revisione K. (ricostruito all'udienza del 19.12.2019 dal teste Vi.An., partner di detta società; allo stesso episodio aveva altresì fatto riferimento l'avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., ricordando di essere stata zittita in malo modo tanto dal direttore generale So. quanto dal responsabile della Divisione Finanza PI. quando aveva cercato di sollecitare un audit su ciò che era stato riscontrato dalla società di revisione); per la precisione K. aveva, nel corso del suo controllo, individuato 17 posizioni a suo avviso sospette a causa della sostanziale coincidenza tra il valore delle azioni sottoscritte e l'utilizzo dei fidi concessi nonché a causa della vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e la data di acquisto delle azioni; il teste An. aveva dapprima informato il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio, Ma.Pe., e il collegio sindacale; indi, unitamente al PE., aveva presentato l'elenco delle 17 posizioni al direttore generale So. che lo aveva indirizzato al GI.; questi aveva rassicurato l'An. di K. circa la regolarità delle operazioni, l'assenza di criticità, il' rispetto del merito creditizio, l'assenza di correlazioni tra gli acquisti delle azioni e le erogazioni dei finanziamenti; tuttavia K. aveva insistito per ottenere un parere favorevole della direzione affari legali della banca (parere che l'avv. Pa. non riteneva di poter rilasciare), sicché si era giunti a un compromesso - secondo quanto riferito dalla stessa teste Pa. - basato sull'invio a K. di una lettera interlocutoria (elaborata con il contributo anche del GI. che aveva insistito per evidenziare in essa il rispetto del requisito del merito creditizio) contenente l'impegno a svolgere le operazioni necessarie per chiarire le operazioni segnalate; - le modalità di interlocuzione tenute dal GI. con la squadra ispettiva della BCE nel 2015, allorquando l'ispettore Gi.Ma., sentito come teste, aveva cercato di instaurare un contraddittorio preliminare con i vertici aziendali su poco meno di una cinquantina di posizioni già emerse, durante l'ispezione, come connotate dal compimento di operazioni correlate. Secondo quanto riferito dal teste Ma. il GI., nell'incontro con lui avuto il 12.5.2015 (presente anche il teste Al.Ba., la cui agenda conteneva al riguardo appunti idonei a riscontrare appieno il teste Ma.) aveva escluso trattarsi di operazioni correlate, ribadendo all'ispettore che tutti i finanziamenti erano giustificati dal merito creditizio; il GI. aveva anche preso parte alla predisposizione, sempre in relazione a quella cinquantina di posizioni emerse come critiche, di schede da consegnare all'ispettore Ma., il quale però le aveva giudicate inadeguate e insufficienti (analoga valutazione delle schede era stata previamente compiuta dal teste Ma.Bo., responsabile dell'audit). Indi il tribunale passava in rassegna le risultanze istruttorie - indicate in sentenza come plurime e convergenti (fra esse si citavano le deposizioni dei testi Gi.Ca., capo area; Gi.Gi., direttore regionale; Ma.Ni., capo area, Al.Cu., capo area, ed altri ancora) - circa il ruolo svolto dai GI. nell'azione di coordinamento e impulso della rete commerciale tesa a promuovere la stipula, a ritmi sempre più incalzanti, di operazioni correlate. Il primo Giudice evidenziava altresì come il GI. risultasse avere personalmente sottoscritto 16 - per un totale di 80 milioni di euro - fra le 65 lettere B. di impegno al riacquisto delle proprie azioni (tali lettere - in alcuni casi particolarmente impegnative per la banca - avevano l'evidente funzione di rassicurare i soci) consegnate alla squadra ispettiva BCE nella primavera del 2015. Sul punto la sentenza dava ampio risalto, in particolare, alla deposizione del teste Co.Tu. e a quella del teste Lo.Be., capo area. Sempre sul tema delle lettere di impegno il primo giudice indicava come particolarmente significativa, riportandone il contenuto (leggibile a pag. 95 della relativa perizia), la trascrizione della conversazione telefonica n. progr. 359 dell'1.9.2015 intercorsa tra il GI. e il sindaco La.Pi.. Sulle lettere di impegno il tribunale citava altresì - più avanti nel tessuto motivazionale della sentenza: cfr. sue pagg. 671-672 - il contenuto della deposizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'Internal audit, nella parte in cui riferiva di un incontro tenutosi con l'avv. An.Ge. - col quale il d.g. So. voleva concordare una linea difensiva - il 24.4,2015 a Vicenza (presenti, oltre allo stesso Bo. e al So., l'imputato GI. per la Divisione Mercati nonché An.Pi. per la Divisione Finanza, Ma.Pe. per la Divisione Pianificazione e Bilancio, l'avv. An.Pa. dell'ufficio legale e altri ancora); in tale occasione era stato proprio il GI. a parlare espressamente delle lettere di impegno dicendo che erano una ventina (in realtà, come detto, ne emersero oltre il triplo di cui 16 sottoscritte dallo stesso GI.), ammettendo di averne sottoscritte alcune e precisando che la situazione era grave, avendo ormai il fenomeno dei finanziamenti correlati raggiunto dimensioni rilevanti che avrebbero messo in crisi la banca. Il collegio vicentino passava indi ad esaminare le risultanze istruttorie (in particolare le deposizioni dei testi Gi.Ca., Co.Tu., Lu.Ve., nonché la e-mail - doc. 755 del P.M. - inviata il 29.9.2014 da Vi.Ga. al GI.) inerenti al ruolo concretamente svolto dallo stesso GI. nell'attuazione degli storni di interessi. Il primo giudice evidenziava poi come talune fra le operazioni correlate - soprattutto le c.d. big ticket, ossia quelle più importanti per rilevanza ed entità - vedessero un diretto coinvolgimento del GI. in prima persona nella loro conduzione (unitamente al direttore generale So.: i due si recavano appositamente in visita congiunta ai clienti - per lo più imprenditori - maggiormente patrimonializzati), menzionando le evidenze probatorie raccolte al riguardo e in particolare le deposizioni rese dai testi, fra cui Ro.Ri. (gestore private della filiale di Contrà Porti), Tr.Lo. (cliente), Gi.Ra. (cliente), Luca Fe.ni (cliente), Sa.Bu. (cliente), Lu.Mo. (cliente), Gi.Ro. (cliente), Pi.Ca. (cliente) e altri. Indi il tribunale passava in rassegna le deposizioni rese da parecchi testi (Di.Ip., Ma.Ni., Lu.Ve., Fu.Bo.) - fra i quali molti capi area ma anche due private banker come An.Vi. e Fr.Te., dimessisi entrambi, a loro dire, proprio a causa delle pressioni ricevute - dalle quali emergevano, a suo avviso, le sistematiche pressioni esercitate non soltanto dal direttore generale So. ma anche dall'imputato GI. sulla rete commerciale - a partire dal 2012 - affinché fossero raggiunti gli obiettivi di raccolta del capitale prefissati. L'effettivo esercizio di tali pressioni - proseguivano i giudici vicentini - trovava comunque plurimi riscontri documentali, in particolare nelle produzioni di cui ai docc. nn. 22, 91-95, 298, 657, 660 del P.M.. Altro elemento probatorio di pregnante rilevanza a carico del GI., secondo il primo giudice, era rappresentato dalla trascrizione del file audio corrispondente alla registrazione dì quanto detto nell'ambito del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014, al quale il GI. aveva preso parte unitamente al direttore generale So. e agli altri immediati suoi sottoposti. Ampi stralci di tale trascrizione sono riportati alle pagg. 666-667 della gravata sentenza. In particolare il direttore generale So., alla pag. 34 della trascrizione, dichiarava fra l'altro agli astanti che la banca aveva "fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ... Noi dobbiamo selezionare molto di più i nostri impieghi (...). Non possiamo smontarli perché ci sono azioni dietro, ma non possiamo neanche tenerci questo popò di problema. Quindi dobbiamo risolvere il problema delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere nominativo per nominativo (...)". Alla pag. 27 della trascrizione il responsabile della Divisione Finanza, An.Pi., parlava della necessità di collocare 27 milioni residui di azioni detenute dai fondi esteri trovando qualcuno che le compra a sconto"; il GI. gli replicava prospettando un possibile scambio con (...) (già (...)) che deteneva a sua volta titoli di (...) Banca. Alla pag. 67 della trascrizione il GI. si rivolgeva al So. nei seguenti termini: "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? (...)". Al riguardo il tribunale vicentino affermava che, a differenza di quanto sostenuto dagli imputati in dibattimento, non emergeva dalla trascrizione (e ancor meno dall'ascolto diretto del file audio) alcun disallineamento degli astanti rispetto alla posizione espressa dal direttore generale So., né era dato cogliere, per converso, alcuna supina subordinazione dei predetti alla volontà dello stesso So., trattandosi piuttosto di un dialogo ove ognuno dei presenti prospettava - alla pari - problemi e ipotesi di soluzione. Il primo giudice passava quindi a valutare il complesso delle affermazioni rese dall'imputato GI. in sede di esame dibattimentale, sostenendo che l'assunto di questi circa la sua non consapevolezza delle reali dimensioni quantitative del capitale finanziato era ampiamente smentito da varie convergenti emergenze probatorie fra le quali spiccavano, oltre al tenore della trascrizione del menzionato file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014, alcune produzioni documentali (segnatamente le tabelle di rendicontazione sub docc. nn. 272, 273, 274, 275 del Pubblico Ministero) e varie deposizioni testimoniali (tra cui quelle dei testi Ma.So., Co.Tu., Cl.Gi. e Ro.Pr., quest'ultimo responsabile della direzione private dall'ottobre 2014, ma anche le deposizioni dei testi Gi.Am. e Ma.Li.); veniva riportato al riguardo in sentenza anche il tenore della già sopra menzionata deposizione del teste Ma.Bo. - responsabile dell'Internal audit - in ordine ai contenuti dell'incontro con l'avv. An.Ge. tenutosi in data 24.4.2015. Il tribunale - dopo avere illustrato alle pagg. 672-676 la versione resa dall'imputato GI. su vari argomenti (oltre al tema delle lettere di impegno anche quello degli storni di interessi, quello dell'episodio della società di revisione K., quello dei propri rapporti con il d.g. So. del quale eseguiva le direttive, quello delle pesanti pressioni provenienti a suo dire dallo stesso So. e dal CdA della banca e rivolte a sé come a tutti gli altri manager, sempre a suo dire tutti coinvolti, senza esclusione di alcuno, nella vicenda delle operazioni correlate) - riteneva tale versione smentita, tanto sulla piena consapevolezza dell'illegittimità delle svolte operazioni correlate (che il GI. - a suo dire - pensava fossero invece legittime, specie dopo che l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 non aveva mosso rilievi circa l'operatività dell'art. 2358 c.c.) quanto sul loro occultamento al mercato e alla vigilanza, da una serie di risultanze probatorie di segno contrario, così sunteggiate dai giudici vicentini: - il divieto di dare indicazioni scritte, l'utilizzo della P.E.F. generica, lo scostamento temporale tra delibera di fido e acquisto delle azioni; le indicazioni date di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche titoli diversi dalle azioni di B.; - l'inserimento nelle delibere autorizzale e nei documenti di offerta - in occasione dei miniaucap 2013 e 2014 - del richiamo al rispetto dei limiti di cui all'art 2358 c.c.; - l'omesso riferimento, nel corso dei colloqui con gli ispettori Vi.Ca. (AQR - Asset Quality Review) e Gi.Ma. (BCE), tanto al capitale finanziato quanto, in alternativa, agli esiti - di presunta rassicurazione circa l'inapplicabilità a B. dell'art. 2358 c.c. - dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012; - la valenza dei tre episodi relativi alle vicende del private banker An.Vi., della società di revisione K. e delle schede consegnate all'ispettore Ma.. Il primo giudice escludeva altresì la fondatezza dell'assunto del GI. circa il suo essere convinto che lo scorporo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza avesse avuto luogo, definendolo come una "tesi (...) assolutamente inverosimile; è evidente che lo scopo delle operazioni finanziate era quello di dissimulare riliquidità del titolo, in ipotesi di corretta appostazione delle stesse esse sarebbero state inutili" (cfr. pag. 677 sentenza gravata). Non poteva avere infine alcuna valenza scriminante, secondo il tribunale, la necessità, dedotta dal GI., di dare esecuzione a direttive impartitegli dal CdA e/o dal direttore generale So., tenuto conto della sua veste di dirigente apicale membro della struttura esecutiva e investito ex lege di dirette responsabilità di gestione. 1.9.3 Ma.Pa. Con riferimento a Ma.Pa. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Crediti (della quale egli era stato il responsabile dal giugno 2010 sino al dicembre 2014, il che lo rendeva membro di diritto del Comitato Centrale Fidi e del Comitato Crediti) oltre a rivestire in B., a far tempo dal 18 ottobre 2011, anche il ruolo di vice direttore generale; citava a tal proposito la relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia nonché (con apparente riguardo alla sola gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati) il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale n. 262 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Crediti erano così descritte dal tribunale: - assicurare, in materia di erogazione del credito, il rispetto delle norme e disposizioni dell'Organo di Vigilanza, dello statuto nonché delle delibere degli organi superiori; - garantire l'analisi e la valutazione degli affidamenti secondo quanto previsto dalla normativa interna, nonché il loro perfezionamento e quello delle relative garanzie; - verificare la regolarità dell'iter di delibera delle concessioni di credito, nei limiti delle facoltà delegate, avvalendosi dell'attività delle strutture preposte che dipendevano dalla Divisione Crediti stessa; - presentare le proposte di finanziamento di competenza degli organi superiori, avvalendosi dell'attività della UO Analisi, anche alla luce dell'andamento del Gruppo e del settore economico di appartenenza; s garantire alla rete delle filiali un adeguato supporto di consulenza sulle tematiche di competenza, in particolare attraverso le strutture delle UO crediti di area e della U.O. Analisi; s assicurare la gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati. Nel far ciò il collegio vicentino affermava più in generale che "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito, compreso il rispetto della normativa in materia, sia di fonte "esterna" (norme e disposizioni delie Autorità di vigilanza) sia di fonte "interna"(statuto e delibere degli organi sovraordinati). In particolare, oltre a curare, per quanto di competenza, la fase di analisi e valutazione degli affidamenti, la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (e delle relative garanzie) e di gestione dell'anagrafe generale (...). In ogni caso la Divisione Crediti era chiamata a stabilire - sulla base degli indirizzi dei CdA e della Direzione Generale e per quanto di competenza - le politiche di gestione del credito" (cfr. pagg. 678-679 sentenza gravata). Nondimeno - proseguiva il tribunale - nel suo esame dibattimentale del "13.6.2013" (rectius 13.6.2019) il teste Cl.Gi., indicato in tale passo della sentenza impugnata come capo area di Vicenza, aveva dettagliatamente spiegato che la struttura dei Crediti era articolata su base territoriale: vi erano una funzione crediti dedicata in capo a ogni singolo capo area e una funzione crediti in capo alla direzione regionale; ciascuna direzione regionale a sua volta coordinava le proprie quattro aree di riferimento; entro certi limiti tali strutture decentrate godevano anche di una potestà deliberativa autonoma, di talché il processo di elaborazione del credito era definito in autonomia quanto agli aspetti relativi all'analisi e alla definizione della delibera; solo se esso eccedeva la potestà deliberativa si faceva luogo a una mera verifica di adeguatezza della proposta che la struttura decentrata inviava alla Divisione Crediti, deputata in quel caso a valutare in autonomia la relativa pratica. Ciò premesso il tribunale affermava che la svolta istruttoria dibattimentale consentiva dì ritenere univocamente provata la penale responsabilità dell'imputato, dimostratosi pienamente consapevole di tutte le condotte di reato ascrittegli. Premetteva al riguardo il collegio che, a detta del teste Em.Ga. (responsabile del team ispettivo che aveva operato nei confronti di B. nell'anno 2015), l'analisi delle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) condotta in sede ispettiva ne aveva subito evidenziato l'assenza di garanzie nonché l'estrema genericità e ripetitività delle causali indicate (le quali per lo più utilizzavano espressioni come cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare o immobiliare), il che era indice di sospettosità dal momento che in genere una banca, in caso di erogazione di fidi destinati ad acquisti di strumenti finanziari, era ben informata su quale tipologia di strumento finanziario il cliente desiderasse acquistare, su quali ne fossero le caratteristiche principali di rischio e su quali beni fossero costituiti in garanzia (essi corrispondevano per lo più agli stessi strumenti finanziari acquistati o ad altri di valore equivalente). Affermava il primo giudice che la svolta istruttoria aveva evidenziato in capo a Pa.Ma. un ruolo di centralità nel garantire che la rete si uniformasse all'istruzione operativa di utilizzare, nelle P.E.F. aventi ad oggetto capitale finanziato, la sopra evidenziata causale improntata a una formula generica e di stile (dal tribunale indicata come "causale sentinella" proprio in quanto consentiva di rendere immediatamente riconoscibile ai diversi addetti l'effettiva finalità dell'operazione di finanziamento). Il collegio giudicante citava al riguardo le deposizioni rese da vari testi. Quanto alla genesi della ed. "causale generica sentinella" il primo giudice evidenziava quanto segue: il capo area Gi.Ca. affermava che l'uso della causale generica gli era stato consigliato dai suoi superiori Ro.Pr., Lu.Ve. e Gi.Gi.; il capo area Lu.Ve. affermava che l'uso della causale generica era stato raccomandato da una direttiva di area illustrata nelle riunioni, probabilmente ad opera del responsabile della Divisione Mercati Em.Gi., ma che la Direzione Crediti ne era a sua volta a conoscenza tanto che in un'occasione egli aveva parlato direttamente con Pa.Ma. - e in maniera esplicita - dell'effettiva natura di un'operazione di finanziamento che andava a perfezionarsi con il titolare di un noto pastificio; il capo area Ma.Ni. indicava Cl.Gi. ed Em.Gi. come i soggetti dai quali proveniva l'indicazione di usare la causale generica aggiungendo che comunque la Divisione Crediti sapeva che un'operazione connotata da siffatta causale era un'operazione correlata all'acquisto di azioni della banca (in alcuni casi gli analisti della Divisione Crediti avevano anche chiesto al capo area di confermare che l'operazione fosse "baciata"); il capo area En.Da. ricordava che in alcune occasioni il direttore di filiale non aveva inserito la causale indicata (al che - a suo dire - l'Ufficio Crediti aveva restituito la pratica per il cambio della causale); il capo area e indi direttore regionale Cl.Gi. affermava di avere parlato - in alcune occasioni - di finanziamenti correlati con la Divisione Crediti e precisamente con il suo responsabile Pa.Ma. (la formula generica era stata a suo dire suggerita forse da Em.Gi. o forse da Co.Tu., funzionario in staff alla Divisione Mercati), fermo restando che - sempre a detta del Gi. - in alcune occasioni lo stesso Comitato Crediti, al quale partecipavano i direttori regionali, aveva deliberato operazioni di finanziamento in tutto o in parte correlate; il capo area e indi direttore regionale Al.Ca. (escusso ex art 210 c.p.p.) aveva attribuito - a seguito di contestazione - al MA. l'indicazione, data nel corso di alcune riunioni operative, di utilizzare la causale generica; anche secondo il teste Co.Tu. l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data dal MA., e ciò ancora alla fine dell'anno 2012 (secondo il teste Tu. il MA. aveva dato tale consiglio "perché questo tipo di operazioni era borderline e poteva destare l'attenzione della CONSOB e della Banca d'Italia"); il teste Gi.Am., responsabile nel periodo 2013-2014 della divisione retail, affermava che l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data da Em.Gi. ma era stata ripresa e ribadita anche da Pa.Ma., il quale - sempre a detta del teste Am. - aveva altresì respinto alcune pratiche in cui era indicata in modo esplicito la destinazione del finanziamento all'acquisto delle azioni di B.. Quanto poi all'altro espediente emerso durante l'istruttoria dibattimentale, ossia la precauzione di mantenere - per prevenire eventuali sospetti - una qual certa sfasatura temporale tra l'erogazione del fido e l'acquisto delle azioni B., il teste Co.Tu. affermava che il consiglio di far intercorrere un lasso di tempo alquanto lungo tra la delibera di affidamento, la sottoscrizione delle azioni e l'addebito sul conto era venuto da Ma.Pa. (peraltro nel corso del controesame il teste Tu. aveva dichiarato che lo scopo dell'indicazione di mantenere una sfasatura temporale non era quello di occultare l'effettiva finalità del finanziamento bensì, "principalmente", quello di evitare sconfinamenti sul c/c); il teste Lu.Ve. ricordava che la raccomandazione di far rispettare la sfasatura temporale era stata del GI., il quale aveva comunque precisato trattarsi di una linea operativa concordata con la Divisione Crediti. A memoria del teste En.Da. il consiglio di osservare la sfasatura temporale era venuto - benché di fatto i fidi non venissero gestiti dalla loro divisione di appartenenza che era la Divisione Mercati - da Em.Gi. e Co.Tu., i quali a loro volta dissero che ciò era stato specificamente concordato con la Divisione Crediti; sempre il teste capo area Da. ricordava che il MA. in una o due occasioni lo aveva contattato per operazioni correlate ove il teste stesso aveva mandato contestualmente alla Divisione Crediti sia la pratica di finanziamento sia il modulo già compilato di acquisto delle azioni, restituendogli tali pratiche con il seguente rimprovero: "non voglio vedere queste cose qua, mandi la pratica in maniera corretta e le azioni le acquisti quando la pratica è stata deliberata". Il teste Se.Ro., dell'Ufficio Soci, affermava che, a seguito dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012, il direttore generale So. e i vicedirettori GI. e MA. avevano raccomandato alla rete di fare in modo che la data di acquisto delle azioni fosse successiva alla data di delibera dei finanziamenti, ma ciò solo per evitare - a suo dire - sconfinamenti sul c/c. Il primo giudice affermava che vi era anche una prova documentale -rappresentata dal sopra illustrato file audio della registrazione dello svolgimento del Comitato di Direzione dd. 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.) - del fatto che la linea di indirizzo in tema di rispetto della sfasatura temporale nelle operazioni "baciate" fosse stata concordata con la Divisione Crediti diretta da Pa.Ma.; ne riportava al riguardo (cfr. pagg. 685-686 sentenza gravata) un lungo stralcio - a suo dire particolarmente eloquente - relativo a un dialogo tra lo stesso MA. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.. Il tribunale procedeva quindi a illustrare la ed. "campagna riqualificazione impieghi", deliberata dal CdA il 21.10.2014 (giusta doc. nr. 102 del P.M.) e presentata al Consiglio proprio da Pa.Ma.; trattavasi di un'iniziativa finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate - in sede di rinnovo o di revisione degli affidamenti - in base al peso percentuale delle azioni B. detenute dal cliente. Il primo giudice, sempre al fine dì illustrare il ritenuto protagonismo della posizione rivestita da Pa.Ma. nell'attuazione delle operazioni correlate, ricordava un episodio narrato da Um.Se., già direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu.: dalla capogruppo B. era giunta (su indicazione di Em.Gi. e Co.Tu. della Divisione Mercati, condivisa dalla Divisione Crediti nella persona di Pa.Ma.) una lista di nominativi ai quali la stessa Ba.Nu. avrebbe dovuto concedere affidamenti accompagnati dall'acquisto di azioni B. per un controvalore pari al 10-15-20% dell'intero affidamento; il teste Se., notando che alcuni dei nomi compresi nell'elenco corrispondevano a società sottoposte a procedura concorsuale, aveva parlato con Cl.Am. - della Divisione Crediti di B., subalterno del MA. - per chiedere spiegazioni; l'Am., dopo aver conferito con il suo superiore Pa.Ma., aveva replicato che Ba.Nu. doveva limitarsi a eseguire le direttive senza discuterle e che un tanto gli era stato detto dal MA.: "Guarda, il dottor Ma. mi ha urlato e mi ha detto che questa cosa la dovete fare. Punto e basta". Il collegio vicentino passava quindi ad illustrare gli estremi di una operazione correlata di finanziamento proposta personalmente nell'ottobre 2012 da Pa.Ma. a un imprenditore da lui conosciuto nel 2007 (quindi tre anni prima di entrare in B.), ossia Ez.Ci. del gruppo (...), del quale veniva acquisito in dibattimento ex art. 493 comma 3 c.p.p. il verbale delle s.i.t. rese il 24.10.2016. Il Ci. aveva dichiarato a s.i.t. che nell'occasione il MA. si era presentato a lui proponendogli di sottoscrivere azioni B. per complessivi 5 milioni di euro; alle perplessità del Ci., che aveva risposto di non disporre delle risorse a ciò necessarie. Il MA. aveva a sua volta replicato che B. avrebbe erogato un finanziamento di pari importo, a termine con scadenza di un anno, destinato ad essere garantito dalle stesse azioni B. che poi sarebbero state tenute in custodia dalla banca. Il Ci. si era risolto ad accettare la proposta dopo che MA. lo aveva rassicurato dicendogli che operazioni analoghe erano del tutto lecite ed erano state proposte anche ad altri imprenditori (da lui non nominati trattandosi a suo dire di notizia riservata); a ottobre 2013 detta operazione era stata rinnovata annualmente e così pure l'anno seguente. Nel maggio-giugno del 2013 B. aveva proposto al Ci. di partecipare all'aumento di capitale di quell'anno, il che anche in tal caso era avvenuto grazie a un finanziamento concessogli dalla stessa B.. Un pieno riscontro alle s.i.t. del Ci. era rappresentato - ad avviso del tribunale - dalla deposizione del teste Fr.Pi., capo area del distretto Veneto occidentale (indicato al Ci., nel racconto di questi, dal MA. come colui che avrebbe seguito la sua pratica, e così era stato). Il primo giudice individuava ulteriori elementi probatori del coinvolgimento a pieno titolo di Pa.Ma. nelle operazioni correlate effettuate da B. mediante c.d. "baciate" nelle deposizioni dei testi Gi.Gi., in B. con il ruolo di direttore regionale di Lombardia, Liguria e Piemonte (secondo il quale le pratiche di fido relative a operazioni "baciate" erano preannunciate alla Divisione Crediti e condivìse con i componenti di essa incluso il suo vertice MA., il quale partecipava altresì al comitato crediti ove pure veniva sempre evidenziata - dai componenti la Divisione Crediti che vi partecipavano - l'eventuale natura "baciata" delle pratiche di fido ivi presentate), e Fu.Bo., capo area (che rendeva sul punto dichiarazioni di analogo tenore), nonché in alcuni messaggi sms (in particolare il doc. nr, 653 del Pubblico Ministero, relativo a un sms del 27.9.2011, e il suo doc. nr. 655, relativo a un sms del 26.10.2012) nei quali il MA. ricordava al direttore generale So. di riferire al Presidente circa alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato, indicandogli nominativamente i soggetti suscettibili di essere finanziati - effettivamente risultati tali in seguito - nonché, in molti casi, il relativo importo). Ulteriore elemento probatorio indicato dal primo giudice a carico del MA. erano le risultanze degli accertamenti interni svolti dall'audit di B. sul capitale finanziato, in particolare la nota 7.5.2015 dell'Internaf audit (doc. nr. 23 del Pubblico Ministero) nella quale si evidenziava tra l'altro come la maggior parte delle numerose posizioni correlate rinvenute nel portafoglio di Ro.Ri., gestore private della filiale di Contrà Porti, fossero state deliberate da organi collegiali su presentazione proprio di Pa.Ma. (87%) oppure fossero state deliberate dallo stesso responsabile della Divisione Crediti. Il collegio vicentino passava quindi a ricostruire le interlocuzioni avute dal MA. con la vigilanza, rinviando - quanto a quelle inerenti all'ispezione della Banca d'Italia del 2012 - all'apposito cap. IX della sentenza, interamente dedicato a tale ispezione. In particolare tanto il teste Ma.Pa. (nel riferire di due incontri interlocutori da lui condotti cui aveva partecipato il MA. nel luglio 2013, il primo assieme al segretario generale Ma.So. e il secondo assieme al direttore generale Sa.So.) quar°z(il teste Vi.Ca. (nel riferire dell'accesso da lui condotto da febbraio ad agosto 2014 nell'ambito dell'AQR - Asset Quality Review, ove si era stabilmente relazionato con il MA.) precisavano che in tali occasioni nessuno aveva fatto il benché minimo riferimento al ricorso all'assistenza finanziaria per il collocamento delle azioni. Il primo giudice indi illustrava la versione dell'imputato, resa in occasione dell'esame dibattimentale tenutosi nelle udienze dell'11 e del 16 giugno 2020, evidenziando come essa da un lato fosse difforme dalle stesse dichiarazioni rese dal MA. in sede di indagini preliminari (interrogatori del 28 aprile e del 2 maggio 2017) e dall'altro lato configgesse in più punti - ad esempio nella parte in cui egli affermava che la causale generica "acquisto valori mobiliari e immobiliari", in uso almeno dal 2006, fosse un mero espediente tecnico per garantire il perfezionamento del fido in quanto, a suo dire, non esisteva il prodotto "finanziamento per acquisto azioni", o nella parte in cui egli affermava di non essere mai stato informato del fatto che i finanziamenti fossero destinati all'acquisto delle azioni - con il sopra delineato quadro probatorio. Il primo giudice evidenziava come l'esame dibattimentale del MA. divergesse radicalmente dai suoi interrogatori resi in sede dì indagine preliminare, in particolare dall'interrogatorio del 28.4,2017 in relazione alla vicenda dell'Operazione Sorgente (in tesi accusatoria si trattava di un'operazione "baciata" attraverso la quale la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato un finanziamento di 25 milioni di euro alla società So. Ltd., facente parte del gruppo Mainetti, che era stato utilizzato per acquisto di azioni B. al fine di consentirne la dismissione dal fondo estero "(...)"). In sede di esame dibattimentale il MA. negava trattarsi di operazione correlata mentre durante le indagini preliminari l'aveva definita "un'operazione baciata imposta da PI. al So. (...) Sono venuto a conoscenza di questa operazione con la proposta di affidamento giunta in Divisione Crediti. Ho compreso che si trattava di un'operazione baciata in quanto la causale dell'affidamento era indicata con la generica dicitura di cui ho detto prima, "cogliere opportunità di mercato" o analoghe, e inoltre vi era l'impegno al deposito dei titoli presso B.". Che la versione rispondente al vero fosse quella resa dal MA. in sede di indagini preliminari - proseguiva il tribunale - lo si evinceva da due elementi di prova rappresentati dal più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014 (nella trascrizione prodotta dal Pubblico Ministero quale suo doc. nr. 110, cfr. ieri particolare sua pag. 43) e da una conversazione intercettata Io.-Ma. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. Il tribunale evidenziava altresì come un ulteriore assunto del MA. - secondo cui egli e il suo sottoposto Cl.Am. avevano disvelato agli ispettori della Banca d'Italia nel 2012 il carattere correlato delle operazioni effettuate da almeno una quindicina circa dei clienti dì cui alla lista dei primi trenta soci di B. - fosse stato smentito dalle deposizioni dei predetti ispettori (che avevano concordemente negato la circostanza) e non avesse trovato il benché minimo riscontro in atti. Né - significativamente, secondo il collegio vicentino - il MA., soggetto da ritenersi nel complesso del tutto inattendibile, aveva mai accennato a tale preteso disvelamento neppure nei suoi atti giudiziari relativi alle cause di lavoro e all'azione di responsabilità dinanzi al tribunale delle imprese. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono il primo giudice riteneva indubitabili il rilevante apporto causale concorsuale del MA. a tutti i reati ascrittigli (in base alla tabella n. 1 allegata al supplemento di consulenza tecnica del Pubblico Ministero dd. 14.11.2019 egli risultava avere partecipato consapevolmente alla fase deliberativa di finanziamenti correlati per un importo di circa 800 milioni di euro, di cui 414 milioni deliberati dal CdA su pratiche presentate dall'imputato, 160 milioni deliberati dal Comitato Crediti di cui il MA. era membro, 108 milioni deliberati dallo stesso MA. quale organo monocratico dotato di autonoma potestà deliberativa, 63 e 49 milioni rispettivamente deliberati dal Comitato esecutivo e dal Comitato Centrale fidi, anche in tal caso sulla base della presentazione di pratiche effettuata dal MA.) e il pieno ricorrere dell'elemento soggettivo del reato. 1.9.4 Pi.An. Con riferimento all'imputato Pi.An. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Finanza (nella quale egli operava con tale qualifica dal 2009 oltre a rivestire in B. anche il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale nr. 261 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Finanza erano così descritte dal tribunale: - partecipare al coordinamento e allo sviluppo delle attività del mercato primario e secondario su comparti azionari e obbligazionari: - curare l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi e l'emissione dei prestiti obbligazionari del gruppo, coordinandosi con le Unità competenti; - collaborare con la Divisione Mercati nell'adeguare i prodotti e i servizi finanziari da offrire alla clientela, sulla base delle esigenze/opportunità rilevate, tenendo conto delle linee guida definite dal Comitato Prodotti e Wealth Management; s all'interno della Divisione Finanza poi il nucleo "Documentation" si occupava di valutare l'adeguatezza e l'allineamento degli strumenti finanziari e dei processi alla normativa primaria (TUF, TUB, Regolamenti CONSOB e Banca d'Italia) e secondaria nonché alla normativa interna nella prestazione dei servizi d'investimento o comunque nello svolgimento dell'attività della Divisione Finanza, con precipuo riferimento alla materia dei servizi di investimento, supportando la divisione nei rapporti con le funzioni di compliance, legale, auditing e organizzativa; - l'Unità svolgeva inoltre un ruolo di supporto alle funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari, in conformità al dettato dell'art, 31 del Regolamento intermediari, nelle fasi di aggiornamento delle stesse; - partecipazione, per la parte di competenza della Divisione Finanza, alla redazione della relazione per le Autorità di vigilanza sulle procedure di svolgimento dei servizi di investimento; s assicurare l'informativa e le segnalazioni istituzionali di propria competenza, coordinandosi con le Unità competenti. Il primo giudice affermava (cfr. pag. 703 sentenza gravata) che dall'istruttoria dibattimentale era emersa "la prova del ruolo svolto da An.Pi. in alcune operazioni di capitale finanziato di rilevante importo effettuate attraverso la controllata irlandese B.Fi. e nella sottoscrizione dei fondi lussemburghesi utilizzati come strumento di detenzione indiretta delle azioni proprie da parte della banca vicentina, in particolare - attraverso i fondi esteri - nell'ambito dell'iniziativa svuota fondo 2012 furono collocati 60 milioni di euro di azioni B.". Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il collegio vicentino individuava plurime condotte ritenute penalmente rilevanti a carico del PI. e in particolare: - operazioni di capitale finanziato effettuate, estero su estero, dalle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" - tre società denominate Ma., Ju. e Br. - tanto nel 2012 (in occasione della relativa campagna svuota fondo) quanto nel 2013 (in occasione dell'aumento di capitale di quell'anno). Per la precisione - in base alla ricostruzione effettuata in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma., riscontrato dalle deposizioni rese dai testi Gi.Gi. (in B., come detto, con la veste di direttore regionale per Lombardia-Liguria-Piemonte) e Pi.Ra. (d.g. di B.Fi.) - nel novembre/dicembre 2012 la controllata irlandese B.Fi., il cui direttore era il teste Pi.Ra., risultava avere erogato tre fidi c.d. "bullet", di 10 milioni di euro l'uno, alle suddette società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali a loro volta avevano girato la liquidità cosi ricevuta a tre società italiane neocostituite e denominate Pe. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime (facenti capo al gruppo Fi., il cui direttore finanza era Ma.Sb.) avevano provveduto ad acquistare azioni B. per importi corrispondenti ai finanziamenti erogati. Indi, nel luglio 2013, la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato nuovi finanziamenti per 3 milioni di euro alle tre società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali anche in tale occasione avevano girato la liquidità così ricevuta alle tre società italiane denominate Pe.In. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime a loro volta avevano sottoscritto azioni e obbligazioni convertibili per un ammontare equivalente; i testi Gi. e Ra. avevano delineato il ruolo attivo dell'imputato PI. in entrambe le operazioni (la cui istruttoria era stata seguita dalla Divisione Crediti della capogruppo B.) e in particolare il teste Ra., direttore della controllata irlandese B.Fi., aveva indicato il PI. come colui che gli aveva richiesto di impostare i suddetti finanziamenti, affermando altresì essersi trattato di operazioni atipiche per B.Fi., la quale generalmente finanziava aziende produttrici dì beni e non concludeva operazioni strettamente finanziarie (cosa questa obiettata dal Ra. al PI., il quale tuttavia gli aveva replicato - nella prima delle due occasioni - che occorreva fare l'operazione "per aiutare la banca a comprare le proprie azioni" e riuscire così a svuotare il fondo acquisto azioni proprie entro la fine dell'anno 2012). Un altro teste, Gi.Fe., direttore della Divisione Compliance, ricordava che, nel corso di un'attività ispettiva svolta dalla Compliance a Dublino nel 2013 nei confronti di B.Fi., i finanziamenti concessi alle "tre sorelle" lussemburghesi erano emersi, il che lo aveva indotto a rivolgersi al direttore generale So. che a sua volta lo aveva indirizzato al PI.; questi aveva rassicurato il Fe. dicendogli che in quel periodo B. stava acquistando molte azioni (...) e che in contropartita la Save stava comprando azioni B.; s investimento della somma complessiva di 350 milioni di euro (di cui 200 milioni investiti dalla capogruppo B., 100 per ciascun fondo, e i restanti 150 milioni investiti dalla controllata irlandese B.Fi. in due fondi lussemburghesi denominati "(...)" e "(...)" (sotto-fondi (...) Multistrateqy I e II). utilizzati quale strumento di detenzione indiretta delle azioni di B. (per tale tramite nel 2012 erano state concluse operazioni c,d. "svuota fondo" - atte cioè ad alleggerire il fondo acquisto azioni proprie di B. - del valore di 60 milioni di euro). La delibera di investimento nei fondi in oggetto, adottata dal CdA di B. in data 21.2.2012 (in atti quale doc. n. 325 del Pubblico Ministero), era stata sottoscritta dal PI. quale responsabile della Divisione Finanza dopo che lo stesso aveva illustrato al CdA i termini dell'operazione, a sua volta in precedenza pianificata nel corso di una riunione tenutasi il 5.12,2011 tra Ma.So., Fi.Ro. e An.Pi. per B. e la coppia di rappresentanti del fondo "(...)" formata da Al.Ma. - sentito quale teste ex art, 507 c.p.p. su richiesta della difesa del PI. - e Gi.Ma.. Ciò risultava dalle deposizioni del teste ispettore Gi.Ma., dei testi Ma.So. e - soprattutto - Fi.Ro. nonché dai messaggi sms (in atti quale doc. nr. 311 del P.M.) intercorsi nel novembre 2012 - pochi giorni prima della sottoscrizione dei contratti con i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" avvenuta il 28.11.2012 - fra An.Pi. e i gestori dei fondi stessi. Subito dopo aver ricevuto tali capitali i due fondi "(...)" e "(...)" avevano comprato azioni B.. Secondo il tribunale vicentino il fatto che tale investimento di B. nei fondi lussemburghesi - lungi dall'indicare un interesse di questi ultimi a diventare soci della banca, come ammesso, secondo il teste Fi.Ro., anche dal direttore generale So. durante il comitato soci del 18.12.2012 - fosse stato puramente strumentale all'esigenza della stessa banca dì svuotare il proprio fondo acquisto azioni emergeva non soltanto dalla stretta consequenzialità temporale fra tutte le operazioni come sopra descritte ma altresì dalla deposizione dello stesso teste Fi.Ro. (facente parte dell'Ufficio Soci di B.), che ricordava di avere assistito al riguardo - nel novembre 2012 -a un breve incontro sul tema tra il direttore generale Sa.So., il responsabile della Divisione Mercati Em.Gi. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi. (nell'occasione il So., secondo la ricostruzione del teste Ro., aveva esposto la necessità di svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B. per un ammontare di 100 milioni di euro; il PI. si era Impegnato a effettuare operazioni "svuota fondo" per 60 milioni di euro e il GI. aveva assicurato che avrebbe fatto altrettanto per un valore di 40 milioni di euro). Sempre il teste Ro. affermava che, come preannunciatogli dall'imputato PI., egli era stato contattato poco prima della fine del 2012 dagli intermediari dei fondi (per il fondo "(...)" trattavasi del broker inglese Ma.Sp.; l'operazione sul piano amministrativo era stata gestita per Ma.Sp. da Ti.Ch., anch'egli sentito come teste); - di questi, gli investimenti nel sotto-fondo (...) Multistrategy II erano stati posti in essere, come sopra accennato, dalla controllata irlandese B.Fi.. Nel luglio 2013 il CdA della capogruppo B. aveva infatti ampliato il portafoglio di investimento della controllata irlandese B.Fi. portandolo dalla somma di 35 milioni a quella di 300 milioni di euro, dei quali 150 milioni erano stati dalla stessa controllata investiti, nei due mesi seguenti, nel sotto-fondo (...) Multistrategy II in due tranche rispettivamente da 100 e da 50 milioni di euro; tale investimento era avvenuto - in base alla deposizione del teste Pietro Ra., direttore di B.Fi. - su precisa indicazione di An.Pi., il quale, sempre a detta del Ra. (che evidenziava altresì l'anomalia dell'ingente importo degli investimenti in un singolo fondo rispetto a quanto era usuale per B.Fi. nonché l'anomalia relativa alla non visibilità dei sottostanti), aveva messo quest'ultimo in contatto con Gi.St. (membro del CdA di (...) Evolution Fund SIF e funzionario senior di (...) Asset Management), soggetto che - citato a deporre quale teste dalla difesa del PI. nel presente procedimento con le garanzie ex art. 210 c.p.p. in quanto indagato per reato connesso di bancarotta fraudolenta a seguito della dichiarazione di insolvenza di B. - si era avvalso della facoltà di non rispondere. Dal canto suo il teste Pi.Ra. - che aveva evidenziato una progressivamente crescente ingerenza di B. nell'autonomia gestionale di B.Fi. - affermava di essere stato rassicurato dal PI. circa le sue perplessità e preoccupazioni derivanti dalle anomalie come sopra illustrate. Le articolate modalità della successiva dismissione (avvenuta nel corso del 2014, in parte mediante operazione di equity swap in compenso tra azioni B. e azioni Veneto Banca) delle azioni B. detenute dai fondi esteri in oggetto venivano illustrate dal collegio vicentino alle pagg. 712-713 della gravata sentenza (la dismissione, accertata in sede ispettiva, era riscontrata - al pari del ruolo svolto in essa da An.Pi. - anche dalle dichiarazioni del teste Ro.Ri., gestore private della filiale B. di Contrà Porti); s operazione correlata di finanziamento effettuata in favore della società So. Ltd. (appartenente al gruppo MainettO attraverso la controllata irlandese B.Fi., che le aveva erogato un fido c.d. "bullet" per un importo di circa 25 milioni di euro. Con tale liquidità la So. Ltd. a sua volta aveva acquistato, nel dicembre 2014, 13,5 milioni dì euro di azioni B. dal fondo "(...)" di milioni di euro di azioni B. dal fondo "(...)". Il tutto emergeva dall'ispezione BCE del 2015 e anche in questo caso - osservava il primo giudice - il ruolo centrale nell'organizzazione della relativa operazione era stato rivestito da An.Pi., secondo quanto dichiarato in sede dibattimentale dai testi Pi.Ra. - direttore della controllata irlandese B.Fi. - e Wa.Ma., amministratore delegato del gruppo So. (quest'ultimo precisava che era stato il PI. a proporgli un finanziamento di 25 milioni di euro "siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni" e affermava che, vinta la propria iniziale perplessità, alla fine aveva accettato); un solido riscontro a tali deposizioni - e non solo ad esse ma altresì, ad esempio, al coinvolgimento del PI. nella decisione della banca di ricorrere alle lettere di impegno nonché al suo attivarsi per reperire una soluzione atta a consentire la dismissione delle azioni B. detenute dai fondi - era individuato dal primo giudice nel più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione tenutosi in data 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.); un ulteriore riscontro veniva individuato nella conversazione intercettata Io./MA. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. A tutto ciò si aggiungeva la deposizione resa da Al.Ma. - fondatore di (...) Asset Management - il quale, sentito come teste ex art, 507 c.p.p., su richiesta della difesa del PI., confermava che i fondi (...) Multistrategy I e II erano stati costituiti nell'interesse esclusivo di B. quale unico investitore del fondo. Il tribunale vicentino proseguiva la propria disamina indicando come dimostrati anche gli investimenti, operati dai fondi esteri in questione, su indicazione del PI., in obbligazioni emesse da società legate ai gruppi imprenditoriali Ma., Fu. e De., già fortemente esposti nei confronti di B.; contestualmente anche gli impieghi in equity risultavano essere stati indirizzati, su indicazione dello stesso PI., nei confronti di società illiquide clienti di B.: la Me.Ca. SpA (legata ad Al.Ma.) e la Ital-Finance SpA (riconducibile al gruppo De Gennaro). Inoltre - notava il primo giudice - il PI. risultava coinvolto più in generale nell'intera illecita operatività di B., risultando egli essere stato fra l'altro presente (giusta appunti manoscritti redatti dal teste Ma.So., in atti quale doc. nr. 389 del P.M.) al Comitato di Direzione tenutosi l'8.11.2011 nel quale erano stati effettuati inequivoci riferimenti alle c.d. operazioni "baciate" quale strumento da adottare per svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B.. Allo stesso modo, sempre secondo la ricostruzione operata dal primo giudice, il PI. doveva ritenersi coinvolto anche nel rilascio delle lettere di impegno da parte di B. oltre che in altre operazioni di capitale finanziato, come riferito dai testi An.Fa. (imprenditore del settore tessile) ed Ed.Ta. (altro imprenditore). Ancora, il teste Ma.So. aveva riferito di avere presenziato a un colloquio tra il direttore generale So. e il PI. su come strutturare "operazioni volte ad acquisire capitale" con l'imprenditore Luca Fe.ni (sentito a sua volta quale teste) e con il Fondo Ag. (in quest'ultimo caso l'operazione - ricostruita in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma. -in sede ispettiva non era stata considerata finanziata pur essendo assistita da una lettera di impegno). Il collegio vicentino richiamava altresì l'episodio della società di revisione K. (già esaminato sopra in relazione alla posizione dell'imputato GI.) evidenziando come, in base alla deposizione resa dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., risultasse essere stato presente anche il PI. - assieme al direttore generale So. e al responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. - a una riunione convocata a seguito delle richieste dì delucidazioni rivolte alla banca da K.; nell'occasione, come già detto, l'avv. Pa. si era rifiutata di fornire il parere legale richiestole, suggerendo invece al So. (che aveva reagito in malo modo) di fare subito un audit, al che il PI. - come già evidenziato supra - aveva, a suo dire, ribattuto: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa". L'imputato PI. risultava aver fatto parte anche della già citata "Task Force Gestione Soci" costituita e attivata - ufficialmente - a seguito dell'entrata in vigore del Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR) e del Regolamento Delegato UE n. 241/2014 nonché del D.L. n. 3/2015; la costituzione di tale Task Force trasversale alle varie Divisioni, che avrebbe dovuto reperire e adottare misure atte a ripristinare l'interazione con la base sociale attraversata da crescente disorientamento e scontento, era stata preceduta da una documentata riunione operativa tenutasi il 24.4.2015 (il relativo resoconto è in atti quale doc. nn. 525 del P.M.). In realtà - proseguiva il primo giudice - la partecipazione e il coinvolgimento del PI., responsabile della Divisione Finanze, nella Task Force in questione apparivano funzionalmente eccentrici rispetto agli scopi di essa e si spiegavano solo "in ragione dei suo coinvolgimento in tutti gli aspetti relativi all'anomala operatività della banca" (cfr. pag 724 sentenza gravata). Il primo giudice si diffondeva altresì sulle occasioni nelle quali il PI. aveva avuto interlocuzioni con la vigilanza. Per la precisione si trattava di due riunioni interlocutorie tenutesi nel 2013 (durante la fase preparatoria dell'aumento di capitale di quell'anno) e nell'autunno del 2014 (allorquando erano emerse le problematiche relative ai riacquisti effettuati da B. nonché al deficit patrimoniale a seguito del Comprehensive Assessment). Il tribunale affermava che in ambedue le occasioni il PI. aveva fornito alla vigilanza indicazioni false e fuorvianti circa i livelli di patrimonializzazione di B.; era stato altresì omesso in tali occasioni qualsiasi accenno agli squilibri del capitale azionario e al fenomeno del capitale finanziato. Sulla prima riunione interlocutoria, tenutasi il 27 marzo 2013 su richiesta j della stessa B. (e alla quale avevano partecipato per la banca il direttore° generale Sa.So., il segretario generale Ma.So., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. e per l'appunto il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.), il teste Ma.Pa. - nel precisare che si trattava dì una riunione finalizzata a fornire, da parte della banca, aggiornamenti circa gli interventi pianificati per rafforzare il livello di patrimonializzazione del gruppo - aveva affermato che gli esponenti di B. gli avevano illustrato le caratteristiche principali dell'operazione programmata; queste ultime corrispondevano a quelle dell'aucap 2013 poi effettivamente realizzato, compresa la "campagna soci volta all'ampliamento della base azionaria (Euro 100 mln)", con "associata l'erogazione di finanziamenti, ai sensi dell'art. 2358 c.c. riservata ai nuovi soci. Sempre secondo il teste Pa., inoltre, tanto il PI. quanto il PE. avevano dimostrato di essere già a conoscenza del fatto che il capitale sottoscritto mediante finanziamenti concessi dalla banca non potesse essere computato ai fini del patrimonio di vigilanza se non nella quota del finanziamento nel frattempo oggetto di rimborso. A null'altro di quanto fino a quel momento accaduto si era fatto cenno, da parte dei predetti, in tale prima riunione come pure nella seconda riunione, tenutasi il 20.10.2014 tra Banca d'Italia e B. (in rappresentanza di quest'ultima erano stati presenti if PI. e il PE.). In base alla deposizione del teste ispettore Em.Ga., poi, risultava un contegno estremamente reticente del PI. in relazione alla sua conoscenza di quali investimenti fossero sottostanti ai fondi esteri dei quali sopra si è detto. Interpellato al riguardo dal team ispettivo il PI. si era limitato a giustificare tale assenza di informazioni con la reticenza dei gestori. Era stato allora rappresentato al direttore generale So., da parte della vigilanza, che in caso di mancata disclosure degli investimenti sottostanti si sarebbe scomputato l'intero importo di Euro 350 milioni dal patrimonio di vigilanza, al che le informazioni richieste erano prontamente pervenute. Il tribunale vicentino, dopo aver illustrato i contenuti della deposizione resa dal teste Massimo Castelluccio - all'epoca dei fatti in forza alla Divisione Finanza e dunque subalterno del PI. - circa le modalità della predisposizione dei documenti di offerta, passava in rassegna i contenuti di alcune conversazioni telefoniche e messaggi sms oggetto di intercettazione, contenenti, a suo avviso, significative ammissioni dello stesso PI. in ordine al proprio pieno coinvolgimento nei fatti per i quali qui si procede: conversazione progr. n. 360 dell'1.9.2015 tra il PI. e Mo.An.di UBS; messaggi sms scambiati il 3 maggio 2015 dal PI. con Em.Gi. (il primo scriveva ivi al secondo: "Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"). Indi il primo giudice illustrava i contenuti della versione dei fatti resa dall'imputato PI. - in sede di esame dibattimentale dd. 3.3.2020 - sui vari temi sopra ampiamente passati in rassegna (fra questi: prassi gestionale dei finanziamenti correlati, a suo dire appresa solo a seguito dell'ispezione BCE; lettera di impegno al riacquisto rilasciata all'imprenditore tessile Fa., in relazione alla quale il PI. sosteneva di avere detto all'imprenditore - che la pretendeva - di non poter fare nulla e di essersi limitato per parte sua a metterlo in contatto con il direttore generale So., che in effetti risultava essere il sottoscrittore della lettera di impegno poi concretamente emessa; operazione "So.", in relazione alla quale il PI. sosteneva non trattarsi di una operazione correlata; triangolazione coinvolgente le società c.d. "tre sorelle lussemburghesi", in relazione alla quale il PI. sosteneva di non aver mai saputo che alle anzidette società fosse stato erogato un finanziamento correlato per l'acquisto di azioni, scoprendolo solo dopo l'erogazione, allorquando si era avveduto che nel portafoglio titoli delle società stesse vi erano azioni B.; episodio, già più volte citato, dello scontro con l'avv. Pa. dell'ufficio legale di B. riguardo alla vicenda della società di revisione K., in relazione alla quale il PI. sosteneva di essersi limitato a dire alla Pa. che, come dirigente dell'ufficio legale alla quale era stato richiesto di redigere un parere, si sarebbe dovuta assumere le sue responsabilità; vicenda fondi "(...)" e "(...)", in relazione alla quale il PI. affermava che si era trattato di un'idea del direttore generale So. in vista dell'aucap 2013, che comunque i fondi erano stati sottoscritti dal So. sulla base del parere favorevole tanto dell'ufficio legale quanto della compliancet che in relazione alla seconda delle due operazioni egli si era limitato a presentare Gi.St. di (...) Asset Management al direttore generale della controllata irlandese B.Fi., Pi.Ra. e che, - in ogni caso - egli non era stato mai coinvolto dai fondi nella scelta degli investimenti sottostanti). Secondo il collegio vicentino tutte le anzidette affermazioni di esclusione della propria responsabilità rese dal PI. in sede di esame trovavano smentita nel complesso delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale come sopra passate in rassegna nel ricostruire i vari episodi ritenuti dallo stesso primo giudice idonei a rivestire rilevanza penale a carico dell'imputato. Quanto poi alla linea difensiva del PI. riguardo a numerosi fra i testi a suo carico (in particolare i testi Pi.Ra. e Fi.Ro.), ossia che si sarebbe trattato di testi del tutto inattendibili perché interessati a incolpare lo stesso PI. pur di allontanare ogni sospetto nei loro confronti, il tribunale ribatteva che le loro deposizioni risultavano munite di plurimi riscontri, indicati nel dettaglio alle pagg. 730-732 della gravata sentenza, 1.9.5 Pe.Ma. Con riferimento a Pe.Ma. il primo giudice - dopo avere richiamato l'ipotesi d'accusa, secondo la quale costui avrebbe concorso nei reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza nella sua qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili rilevanti nella prassi aziendale della concessione dì finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. ed avrebbe, altresì, fornito un concreto contributo alla realizzazione dei reati di falso in prospetto in ragione della sua responsabilità nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazioni all'autorità di vigilanza - evidenziava come l'imputato, nel periodo d'interesse 2011-2014, avesse ricoperto l'incarico di responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione nonché quello di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, donde la sua estraneità alla esecuzione delle operazioni di capitale finanziato. La responsabilità del PE., pertanto, avrebbe richiesto la verifica, per un verso, "a monte", della consapevolezza, in capo al predetto, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno in esame; e, per altro verso, "a valle", dell'apporto da questi fornito alla realizzazione delle attività delittuose attraverso la predisposizione di documenti, diretti al mercato ed alle autorità di vigilanza, contenenti informazioni caratterizzate dall'occultamento di detto fenomeno. Sotto il primo profilo il tribunale premetteva una analitica individuazione del ruolo concretamente svolto dall'imputato all'interno delia compagine bancaria, sottolineando come il PE., nella sua qualità di direttore della suddetta Divisione, dipendesse gerarchicamente dal solo d.g. So.. Nella sua qualifica di dirigente preposto, poi, il predetto riferiva direttamente al CdA per il tramite del comitato di controllo. Più nel dettaglio, l'imputato costituiva il vertice di una divisione che comprendeva due uffici di staff (l'ufficio studi e lo staff del dirigente preposto), disponeva di ben 75 unità e che, attraverso le sue articolazioni (segnatamente attraverso la Direzione Pianificazione Strategica, diretta da An.Fa.), svolgeva una pluralità di attività che andavano dal supporto alla direzione generale nella redazione dei piani economici pluriennali e dei budget annuali di tutte le strutture della banca, alla gestione dei rapporti con le società di consulenza e con la struttura dell'esperto indipendente incaricato annualmente di effettuare la valutazione dell'azione; dal monitoraggio teso a verificare il rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione agli attivi ponderati (RWA) e all'andamento del fondo acquisto azioni proprie, al controllo costante dell'andamento della rete commerciale (verificato attraverso l'attività dell'ufficio CRM). Per il tramite della Direzione Ragioneria Generale - diretta da Lu.Tr. e facente parte anch'essa della Divisione Bilancio - poi, venivano curati gli adempimenti fiscali, gestita la contabilità, predisposto il bilancio di esercizio e quello consolidato e, infine, redatte le segnalazioni all'autorità di vigilanza. Ebbene, in un contesto tanto articolato era giocoforza che il PE. svolgesse un ruolo di coordinamento, occupandosi anche di assicurare una garanzia di coerenza fra i dati gestionali e quelli contabili, mentre la gestione dei dati di dettaglio e le attività correnti erano necessariamente demandate alla struttura nel suo complesso, adeguatamente dotata di risorse umane (numerose unità; plurimi dirigenti) e materiali. Quanto, poi, alle funzioni attribuite al dirigente preposto (figura prevista e disciplinata dall'art. 154 bis TUF), tale soggetto si occupava non già della redazione materiale dei documenti contabili societari, bensì della "predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione del bilancio di esercizio e, ove previsto, del bilancio consolidato, nonché di ogni altra comunicazione di carattere finanziario" (art. 154 bis co. 3). Inoltre a costui competeva attestare la corrispondenza degli atti e delle comunicazioni "alle risultanze documentali ai libri e alle scritture contabili", come previsto dall'art. 154 bis TUF. Nello specifico, all'interno di B., in linea con la normativa di riferimento, la figura del dirigente preposto era disciplinata dal "Modello del Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari"; modello che prevedeva che ciascuna funzione aziendale di controllo trasmettesse al dirigente preposto i risultati delle verifiche di propria competenza. Di qui la necessità, affinché il dirigente preposto potesse svolgere correttamente il proprio ruolo, della correttezza e veridicità delle informazioni che ciascuna struttura aziendale trasmetteva al suddetto dirigente. Tanto premesso, nessuno degli organi di controllo (collegio sindacale, audit, organismo di vigilanza, compliance) - precisava il primo giudice - aveva segnalato al PE. l'esistenza dì prassi scorrette nell'operatività del mercato interno delle azioni proprie. Quando il responsabile dell'Internal audit Ma.Bo. aveva tentato di portare a compimento la prima attività ispettiva sui finanziamenti correlati, infatti, era stato bloccato dal d.g. Sa.So., il quale gli aveva impedito di divulgare il relativo report. Il collegio sindacale, dal canto suo, pur avendo ricevuto vari segnali (sul punto il riferimento specifico del tribunale era al caso del socio Dalla Grana), non aveva effettuato alcuna comunicazione in proposito. Altrettanto doveva dirsi per la funzione di compliance che, chiamata a gestire la vicenda Vi., non aveva segnalato nulla al riguardo. In definitiva, nessuna informazione in ordine al fenomeno delle operazioni correlate era pervenuta al PE. attraverso i canali istituzionali. Né tale fenomeno era stato percepito nell'ambito dell'attività - parimenti di competenza della Divisione facente capo all'imputato - di gestione della contabilità adottata dalla banca. Il teste Lu.Tr., infatti, aveva dichiarato di avere appreso per la prima volta del fenomeno del capitale finanziato nel marzo del 2015, nel corso di una riunione tra le società di revisione e il collegio sindacale in vista della redazione della relazione al bilancio 2014. Prima di allora, infatti, secondo tale teste, il suddetto fenomeno non era rappresentato nei sistemi contabili, né era comunque noto alla struttura, né, infine, vi erano possibilità che potesse essere rilevato dalla Ragioneria Generale attraverso l'analisi dei dati disponibili. Inoltre, neppure erano emersi elementi che consentissero di concludere che il PE. avesse acquisito aliunde (rispetto ai canali istituzionali) la consapevolezza circa l'operatività dei finanziamenti correlati. Anzi, in senso opposto orientavano le deposizioni dei testi An.Fa., Lu.Tr. e Al.Mo.. Del teste Tr. si è già detto. Il teste Fa., dal canto suo, aveva riferito di avere appreso delle operazioni correlate solo nel corso della ispezione BCE del 2015, precisando che anche il PE., fino ad allora, si trovava nella medesima situazione di ignoranza del fenomeno in questione. Il teste Mo., infine, aveva sostenuto che prima dell'ispezione vi fosse consapevolezza delle "baciate" ma non della loro diffusività e, con riferimento al PE., aveva precisato che costui era a conoscenza solo dello slogan del d.g, Sa.So. secondo il quale ogni cliente affidato avrebbe dovuto possedere azioni B. pari almeno al 10% del finanziamento. Aggiungasi che anche il teste Ma.Li. - all'epoca vicedirettore di Ba.Nu. ed in rapporto di wbuona colleganza" con l'imputato durante la precedente esperienza in B. - aveva dichiarato di avere avuto con costui un colloquio confidenziale nel mese di aprile 2015 (ovverosia in piena ispezione BCE e poco prima dell'avvio della Task Force voluta dal d.g. So.) traendone la convinzione che l'imputato non fosse a conoscenza "di questa rilevanza del problema". Anche la vicenda della comunicazione delle 17 posizioni sospette da parte di K. e la deposizione dell'avvocato Pa. (vicenda oggetto di puntuale ricostruzione da parte del primo giudice alle pagg. 746-748 della sentenza) deponevano tanto per la mancata consapevolezza, in capo al PE., dell'entità del problema del capitale finanziato (problema del quale lo stesso imputato, apprendendone in occasione della qui più volte menzionata riunione nell'ufficio del So., si era poi dimostrato seriamente preoccupato, al pari della suddetta Pa.), quanto per l'estraneità del medesimo PE. rispetto alle macchinazioni tese ad occultarlo. Analoghe conclusioni dovevano trarsi, ad avviso del tribunale, con riferimento alla disclosure sui fondi "(...)" e "(...)". In proposito era stato dall'ufficio del PE. che era partita la richiesta di disclosure sui sottostanti dei fondi (richiesta, peraltro, più volte ripetuta, come precisato dal teste Lu.Tr.). Quindi, in presenza di una risposta solo parziale, l'ufficio ricompreso nella Divisione diretta dall'imputato aveva applicato il trattamento previsto dalla normativa, segnalando l'intera esposizione verso quei fondi come una "esposizione sconosciuta". Peraltro, quando, successivamente, era entrato in vigore il CRR che imponeva alla banca di avere piena conoscenza anche degli investimenti sottostanti, era stato proprio l'imputato a segnalare che, in difetto di disclosure, l'istituto avrebbe dovuto detrarre integralmente l'intero investimento dal CET 1 e solo per effetto di tale segnalazione era stato finalmente comunicato l'investimento in azioni B., come segnalato dal teste ispettore Em.Ga.. Anche l'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014 - allorché questi non si era affatto allineato alle valutazioni del prof. Bi. in ordine al valore da assegnare all'azione, ma, al contrario, aveva mosso delle critiche al riguardo - deponeva in senso favorevole all'imputato. Ove costui fosse stato coinvolto nell'illecita operatività del capitale finanziato, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che non dissentisse rispetto alla metodologia applicata nella stima del valore del titolo. Né, a fronte di tali plurime emergenze probatorie favorevoli, gli elementi valorizzati in senso contrario dal P.M. potevano legittimare differenti conclusioni circa la consapevolezza, da parte del PE., del fenomeno in esame. Non l'episodio del Comitato di Direzione dell'8 novembre 2011, nel quale pure v'era prova che si fosse parlato delle "operazioni baciate" in presenza del PE., poiché l'affermazione fatta, nell'occasione, da costui, secondo quanto riportato negli appunti del teste Ma.So. ("Avrei bisogno di 110 milioni andare a 8 con capitalizzazione dell'utile trimestrale") e, più in generale, ciò che era stato sostenuto nel corso della riunione, anche dal d.g. So. ("dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di Banca d'Italia e del Consiglio di Amministrazione"), non consentivano di concludere che il medesimo PE. fosse consapevole delle specifiche caratteristiche di quella tipologia di operazioni, né della diffusività del fenomeno e, quindi, della sua incidenza sul patrimonio della banca. Tutt'altro che inverosimile, infatti, appariva quanto sostenuto, al riguardo, dallo stesso imputato, là dove il predetto aveva precisato di non avere dato adeguato peso agli interventi effettuati, in tale occasione, dal Se. e dal Tonato in quanto, all'epoca, neppure conosceva il significato della parola "baciata". Peraltro - precisava il primo giudice - a tale riunione era stata presente anche l'avv. An.Pa., la quale tuttavia aveva dichiarato di essere venuta a conoscenza del fenomeno solo nel 2015, in occasione della citata comunicazione della società di revisione K.. Non le dichiarazioni rese dal teste So. - sebbene costui avesse narrato di colloqui con figure apicali dell'istituto nei quali si era fatto ripetutamente riferimento alle "baciate" a partire dagli anni 2010-2011 - in quanto detto teste non aveva riferito di colloqui intercorsi, a tale specifico riguardo, con il PE.. E neppure le deposizioni - sostanzialmente analoghe e, comunque, assolutamente vaghe ed incerte - rese dei testi Gi.Am., Al.Ba. e Co.Tu.. Quanto, poi, al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (del quale nel corso dell'istruttoria dibattimentale era stata ascoltata la registrazione audio), il primo giudice precisava, per un verso, che si era trattato di riunione alla quale il PE. non aveva partecipato (in quanto si trovava a Francoforte) e, per altro verso, che il riferimento alla necessità di confrontarsi con il predetto, nell'occasione chiamato in causa da GI. ("... però dobbiamo confrontarci con Ma..."), costituiva un elemento insuscettibile di univoca lettura. Era lecito ipotizzare, infatti, che il predetto GI. - come, peraltro, da questi sostenuto - intendesse riferirsi alla necessità di "tagliare gli attivi", donde, in questa prospettiva, la regolarità del coinvolgimento del PE., in quanto titolare della Divisione "competente in materia". Inoltre, con riferimento alla deposizione rese dal teste Co.Tu. in relazione alla riunione del 7 gennaio 2015 (deposizione nel corso della quale detto testimone, dapprima, aveva riferito che si era trattato della prima occasione nella quale sì era parlato di "baciate" anche in presenza di PE. e successivamente, in sede di controesame, aveva smentito le precedenti dichiarazioni, negando che nel corso di questo incontro fosse stato affrontato tale argomento), si era evidentemente in presenza, ad avviso del primo giudice, di un contributo dichiarativo del tutto inattendibile. Infine il tribunale esaminava la tesi del coimputato GI. (tesi secondo la quale: il fenomeno del capitale finanziato era noto a tutti all'interno della banca; lo stesso GI. ne ignorava la dimensione; il medesimo dichiarante aveva confidato nella regolare appostazione a bilancio dei dati relativi a detto fenomeno) evidenziandone: - per un verso, il contrasto con gli elementi probatori in precedenza citati; ° per altro verso, la intrinseca contraddittorietà (posto che non era dato comprendere cosa avrebbe dovuto appostare a bilancio la ragioneria se neppure il GI. era a conoscenza di dati precisi al riguardo e se difettavano flussi informativi interni sul punto); - e, peraltro verso ancora, la palese illogicità (in quanto la contabilizzazione di tale fenomeno avrebbe vanificato la finalità di evitare la decurtazione del valore delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza). In definitiva - concludeva il primo giudice - il compendio probatorio non consentiva di giungere all'affermazione di responsabilità del PE.. Non solo l'imputato era del tutto estraneo alla strutturazione dell'operatività delle c.d. "baciate", ma neppure era provato che fosse consapevole di tale fenomeno. Al più erano emerse una vaga e generica conoscenza, da parte del predetto, della tematica in esame e la conseguente sottovalutazione della serietà delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, non già la consapevolezza delle caratteristiche e della diffusività della illecita operatività in esame, necessarie per fondare l'elemento psicologico dei reati oggetto di addebito. Di qui l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato 1.9.6 Zi.Gi. Con riferimento alla posizione processuale di Zi.Gi., al quale era addebitato il concorso nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto (concorso estrinsecatosi nell'avere egli avallato la prassi aziendale del capitale finanziato, avendo compiuto per il tramite di Ze. s.r.l. operazioni di tale natura), il tribunale premetteva, alla stregua della deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma., la seguente ricostruzione delie operazioni riferibili all'imputato: - il 13 novembre 2012 il CdA aveva deliberato ex art. 136 TUB un affidamento di 12,5 milioni di euro in favore di Ze. s.r.l.. La causale era: "cogliere eventuali opportunità sia nel settore industriale che nel settore finanziario, nello specifico è in fase di avanzata trattativa l'acquisizione di un rilevante pacchetto di quote di Ar.Li. s.p.a. sono inoltre nell'intenzione degli imprenditori ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora nel complesso definiti". Il fido era stato accreditato il 21 novembre e, lo stesso giorno, era stato effettuato un giroconto di 10 milioni di euro utilizzati per l'acquisto di azioni B. per un pari importo; - quindi, nel luglio del 2013, la Ze. S.r.l. aveva beneficiato di un finanziamento di 1.5 milioni di euro, fido erogato il 2.9.2013 sul conto corrente (...), intestato alla predetta società. Si trattava di un incremento del fido già concesso nel 2012. In data 2 settembre 2013 - data di regolamento dell'aucap 2013 - risultava poi un'erogazione di 1,13 milioni di euro su altro conto corrente intestato alla medesima società con l'impiego di detta somma per l'acquisto di azioni B. di pari valore; - ancora, il 4.12.2014, Zi.Gi. aveva ricevuto un affidamento di 5.200.000,00 euro. La P.E.F. indicava, quale causale: "finalizzato ad intercettare alcune opportunità immobiliari e di partecipazione". Non appena ricevuta l'erogazione, il relativo importo era stato bonificato su un conto U.It. s.p.a., filiale di Padova; - il 16.2.2015, infine, Ze. s.r.l. aveva venduto 5,5 milioni di azioni sul secondario e, con il ricavato, aveva ridotto parte del debito relativo al finanziamento di 15 milioni di euro. Tale ricostruzione - precisava il tribunale - coincideva con le conclusioni dei cc.tt. del P.M. dove sì attestava che l'importo delle azioni acquistate dalla società Ze. s.r.l. tramite finanziamenti era pari a 10 milioni di euro dal 31.12.2012 al 30.6.2013, ad euro 10.565.250 dal 30.9.2013 al 30.6.2014, ad euro 10.355.250 dal 30.9.2014 al 31.12.2014 e, infine, ad euro 4.855.250 al 31.3.2015. Così ricostruite le evidenze contabili, il primo giudice concludeva per la natura "correlata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l. sulla scorta, in particolare, delle dichiarazioni rese dai testi Ma.Ba. e An.Cr.. Il primo, infatti, aveva rievocato (peraltro coerentemente con gli / esiti della consulenza dei cc.tt. del P.M.) l'operazione (da lui stesso curata su input di Em.Gi. ovvero di Al.Ba.) effettuata alla fine del 2012 e relativa al fido da 12,5 milioni di euro, parte dei quali (2,5 milioni), destinata all'acquisto della partecipazione in Ar.Li., la restante parte riservata a investimenti in azioni della banca. La pratica, poi, era stata materialmente seguita dal Criscuolo. L'operazione avrebbe dovuto avere carattere temporaneo, la liquidità essendo stata "parcheggiata" in azioni B. in attesa di un differente impiego, da effettuare previa liquidazione delle azioni. Nel 2013, poi, in occasione dell'aumento di capitale, il fido era stato esteso di ulteriori 1,5 milioni e con la relativa provvista Ze. s.r.l. aveva aderito all'iniziativa in questione. Il secondo teste (Cr.), poi, aveva sostanzialmente confermato la versione del collega Ba.. Infine anche il teste Al.Ba., responsabile della divisione "Corporate", aveva rievocato l'operazione posta in essere dallo ZI., operazione della quale, in parte, si era anche personalmente occupato allorquando, nel 2012, vi era stato un apposito incontro con lo stesso ZI. e con GI. per discuterne l'impostazione. Il teste Ba. ha precisato che vi era urgenza di effettuare l'operazione con rapidità in quanto si avvicinava la fine dell'anno 2012; che era impellente l'esigenza di liberare il fondo acquisto azioni; che, nell'occasione, ZI. aveva acconsentito ad effettuare l'operazione purché la cosa fosse gradita allo ZO.. Successivamente lo stesso ZI. gli aveva confidato di essersi prestato ad effettuare l'operazione a richiesta dì So. e GI., i quali "in sostanza gli avevano chiesto un favore e che lui si era messo a disposizione della banca". Dal canto suo lo stesso ZI. aveva ricordato di avere agito aderendo alla proposta di GI. e solo dopo avere ricevuto esplicite rassicurazioni in ordine al fatto che l'operazione non fosse intesa dal presidente ZO. come una iniziativa ostile. Il messaggio SMS inviato da MA. a So. il 26.10.2012 (doc. nr. 665 del P.M.) "ti ricordo Zi. di parlarne con il presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria", nonché il precedente' messaggio trasmesso, il 17.10.2012, dal GI. allo stesso So. "faccio anche ZI., Ma. d'accordo. Vedi problemi?" "il fratello ha già in atto l'operazione" costituivano, poi, significativi riscontri documentali dell'operazione in questione. Quindi il tribunale precisava, sulla scorta della deposizione del Criscuolo, che, con rifermento al finanziamento concesso allo ZI., erano stati applicati tassi differenziati per l'importo destinato all'acquisto di Ar. e per la parte destinata all'acquisto delle azioni e che i tassi erano stati "sistemati" con il consueto sistema dello storno. Alcuni documenti disponibili, peraltro, confermavano tale circostanza. Trattasi, segnatamente: - della richiesta di storno di cui al documento nr. 103 del P.M.; - dell'annotazione redatta da Zi.Gi. (doc nr. 730 del P.M.), contenente l'elenco delle azioni acquistate tramite finanziamento con l'indicazione di importi e tasse non deducibili "che avanziamo dalla banca" e con l'indicazione finale rimane da risolvere la vendita delle altre 80.000 azioni"; - del prospetto riassuntivo dell'applicazione del tasso di interesse (doc, nr. 737 del P.M.), estratto dal computer della segretaria della Ze. S.r.l., Ca.Ro., la quale aveva riferito di averlo redatto probabilmente su incarico di Gi.ZI. (questi, tuttavia, non aveva confermato la circostanza). In detto documento veniva riportato il tasso di interesse del 4,5% con riferimento al finanziamento di 2,5 milioni di euro relativo all'acquisizione di Ar.Li. e in esso si leggeva "calcolo eseguito non considerando il milione di aumento di capitale che si riferisce ai 10 milioni". Quanto, poi, al finanziamento di 10 milioni destinati all'acquisto delle azioni, nel consuntivo finale, alle competenze addebitate, comprensive di interessi ed imposte, venivano sottratti gli interessi "effettivamente dovuti" in ordine al finanziamento di 2,5 milioni destinato ad Ar.Li. e la differenza tra queste due somme era indicata come "differenza da rimb"; - della e-mail 15.7.2014 inviata dalla Ca. alla filiale B. in cui si precisava che le imposte di bollo andranno a confluire nel famoso rimborso concordato a suo tempo", così confermandosi l'esistenza dell'accordo per rimborsare a Ze. s.r.l. tutte le spese. La natura correlata delle operazioni effettuate dagli ZI. del resto emergeva, ad avviso del tribunale, anche da un appunto (doc. nr. 731 del P.M.) redatto dallo stesso imputato per ricostruire le operazioni effettuate con la banca. In detto appunto si legge che in data 8 maggio, a colloquio con ZO., Br. e l'avv. Am., ZI. aveva affermato essergli stato chiesto "in due occasioni di comprare azioni (2011 e 2012) con finanziamenti dove non ho percepito utili ma ho anticipato interessi passivi. La prima si è chiusa nel 2014 e la seconda per il 50% nel 2015". "Attualmente ci perdo 280.000 più oltre un milione di calo di valore: quindi la banca non è danneggiata ma ci ha guadagnato. Operazioni proposte da E. ma definite in ufficio da SS che mi ringraziava per l'aiuto. Ho sempre messo due condizioni, di non guadagnarci e che il Presidente fosse informato". Lo stesso imputato, poi, nel corso dell'esame, ha ricordato che il finanziamento era stato strutturato per l'acquisto di azioni dell'istituto e che egli lo aveva effettuato, sollecitato da GI., "per dare una mano alla banca". Del resto, nel corso della conversazione telefonica nr. 153 del 25.8.2015 intercorsa tra l'imputato e Lu.Bo., il primo aveva ammesso di essere stato finanziato dalla banca per l'acquisto delle azioni. Sicché la natura correlata dell'operazione di acquisto finanziato di azioni per 10 milioni di euro non poteva essere fondatamente revocata in dubbio. Altra operazione correlata era stata quella effettuata, per l'importo di 5 milioni di euro, da Zi.Gi. (finanziamento del 27.12.2011 ed acquisto delle azioni effettuato due giorni dopo). Con analoghe modalità, poi, lo stesso Zi.Gi. aveva partecipato all'aumento di capitale del 2013 per l'importo di 500.000 euro. La prima operazione era stata chiusa il 29.5.2014 con rimborso e annullamento delle azioni, ovverosia con un ricorso surrettizio - come emerso anche dalla deposizione del teste Ro. il quale aveva confermato che l'annullamento era un espediente al quale si ricorreva in casi eccezionali per chiudere operazioni correlate - ad uno strumento (quello dell'annullamento) previsto in caso di "inadempienza grave" del socio, inadempienza che, nel caso dì specie, non si era affatto verificata. Quindi il tribunale richiamava il finanziamento di 5 milioni di euro concesso da B. a Ze. s.r.l. e girato sul conto UBS il 5.12.2014. Nell'occasione al dipendente UBS Visentin, il quale si era relazionato con So., PI. e GI., l'imputato aveva riferito che aveva un "credito nei loro confronti" e che questa operazione "gli era dovuta" in quanto "aveva fatto molti favori alla banca". Infine il primo giudice evocava la e-mail inviata dallo ZI. a Em.Gi. e a Cl.Gi. con, in calce, l'analoga missiva inviatagli da Mi.Ga., il quale si lamentava del fatto che un dipendente B. gli avesse comunicato che il rinnovo di un secondo fido era stato anch'esso subordinato, al pari del primo, alla sottoscrizione di 50.000 azioni dell'istituto di credito. Nell'occasione l'imputato si era limitato a spiegare che "B. non opera con questa politica e che forse o hanno capito male o il funzionario si è espresso male". Ebbene, in presenza di tali evidenze probatorie lo ZI., come detto, aveva bensì ammesso di avere effettuato operazioni correlate per dare una mano alla banca ma aveva negato di essere stato consapevole delle problematiche connesse al capitale finanziato e, meno che mai, delle sue dimensioni, protestando altresì la propria totale inconsapevolezza circa la necessità dello scomputo delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza. Pertanto il tribunale riteneva certamente provato che l'imputato, attraverso Ze. s.r.l., avesse posto in essere operazioni correlate. Nondimeno, sempre secondo il tribunale, non soltanto lo ZI. non aveva minimamente preso parte alla concertazione - intercorsa, ai massimi livelli, tra il management della banca ed il presidente ZO. - che aveva reso possibile la manipolazione del mercato e le condotte di false informazioni alla vigilanza, ma neppure vi era prova affidabile circa la consapevolezza, in capo ai membri del CdA (e, quindi, allo stesso ZI.), in ordine alla diffusività dell'operatività illecita in questione. Il teste ispettore Em.Ga., invero, aveva puntualmente evidenziato la difficoltà di percepire se una operazione fosse o meno correlata da parte del CdA. Dal canto suo lo stesso coimputato MA., in sede di esame, aveva ammesso che, quando presentava le pratiche di acquisti correlati in Consiglio, era solito non esplicitare mai la natura delle operazioni, limitandosi a riportare sinteticamente i dati della P.E.F.. In buona sostanza - secondo il tribunale - la valutazione circa la sussumibilità o meno delia condotta dello ZI. nell'alveo della penale responsabilità implicava, necessariamente, la esatta comprensione dei termini della questione inerente al complesso tema della responsabilità dei componenti del CdA non esecutivi, estranei a qualsivoglia funzione gestoria dell'impresa bancaria, questione che, nel caso sub iudice, andava poi "calata" in un contesto obiettivamente peculiare in quanto caratterizzato, per un verso, dalla concreta fisionomia di un organo collegiale - il CdA di B. - sottoposto alla direzione di un presidente "assolutamente operativo"; e, per altro verso, dall'assenza, in capo ai consiglieri, della effettiva conoscenza della situazione di reale illiquidità del titolo azionario. In effetti, solo in presenza di segnali di allarme effettivamente percepibili (e realmente percepiti) come tali dai consiglieri sarebbe stato possibile ritenere costoro - e, quindi, tra essi, lo ZI., il quale non si trovava affatto in una situazione dissimile rispetto a quella dei "colleghi" che avevano posto in essere anch'essi operazioni correlate - responsabili, ex art. 40 c.p., per non avere impedito attività delittuose in itinere, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, tuttavia, nulla consentiva di affermare che l'imputato avesse volontariamente omesso di intervenire per scongiurare la consumazione dei reati, all'uopo non potendosi ritenere sufficiente la partecipazione, da parte del predetto, ad operazioni di capitale finanziato; operazioni, peraltro, da costui poste in essere su sollecitazione dei vertici dell'istituto e senza alcun tornaconto personale. In definitiva difettavano prove univocamente sintomatiche di un consapevole concorso materiale di Zi.Gi. nei reati ascrittigli, in difetto di adeguati riscontri circa la consapevolezza, in capo al predetto, delle condotte manipolatorie e decettive poste in essere dalle figure apicali dell'istituto di credito e, ancor meno, circa la dimensione del fenomeno del capitale finanziato. Donde l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato 1.10 La responsabilità amministrativa di B. in L.C.A. Il tribunale, inoltre, riteneva Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) in relazione ai reati dì aggiotaggio ex art, 2637 c.c. e di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. (ovverosia con riferimento a fattispecie incluse nell'art. 25 ter lett. R ed S del D.L.vo 231/01) posti in essere da soggetti sia di vertice che sottoposti alla direzione e vigilanza di posizioni apicali. In proposito, dopo avere richiamato, in ordine alla sussistenza delle ipotesi delittuose di riferimento, quanto già in precedenze esposto al riguardo, il tribunale in primo luogo evidenziava come, ai fini della responsabilità dell'ente, non rivestisse rilievo alcuno la sottoposizione della banca a procedura concorsuale, trattandosi di evento non ricompreso tra le cause dì estinzione dell'illecito da reato previste dalla disciplina in materia (come del resto era evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che assegnava rilievo, al riguardo, unicamente al decorso del termine di legge, ovvero all'improcedibilità in caso di amnistia in relazione al reato presupposto). Fino alla cancellazione conseguente all'esito della procedura concorsuale, infatti, la società avrebbe dovuto ritenersi esistente. Né, d'altro canto, era possibile opinare diversamente sulla base di una sorta di giudizio prognostico fondato sul prevedibile esito della procedura fallimentare. Tanto premesso, neppure poteva dubitarsi che gli imputati avessero agito nell'interesse e a vantaggio dell'ente. Al riguardo il tribunale premetteva che l'interesse (da valutarsi, ex ante, secondo criteri "soggettivi" che, sebbene non coincidenti con l'elemento psicologico della fattispecie delittuosa di riferimento, dovevano comunque essere tali da esprimere la tensione finalistica dell'operato dell'autore del reato presupposto) avrebbe dovuto individuarsi nella prefigurabilità di un risultato positivo per la società. Quanto poi al vantaggio (da apprezzarsi, ex post, secondo criteri oggettivi), tale requisito si sarebbe dovuto identificare negli effetti favorevoli derivati dalla realizzazione degli illeciti. Questo con la precisazione, per un verso, che la mancata considerazione del criterio del vantaggio secondo la formulazione della disposizione vigente all'epoca dei fatti (art. 25 ter D.L.vo cit.) era circostanza di ben scarso rilievo, posto che, nel caso di specie, tutti i reati perpetrati erano caratterizzati dal correlativo interesse dell'istituto di credito; per altro verso, che l'antieconomicità a posteriori dell'operazione era ininfluente; e, peraltro verso ancora, che l'interesse dell'ente avrebbe potuto essere anche parziale o marginale, dovendosi escludere la responsabilità della società solo nel caso di interesse esclusivo dell'autore del reato (in ragione, in tal caso, della rottura "dello schema di immedesimazione organica" che costituiva il fondamento teorico dell'istituto in questione). Ebbene, nella vicenda sub iudice, le condotte delittuose erano state pacificamente poste in essere nell'interesse (anche) dell'istituto di credito. In effetti la contraria tesi difensiva (secondo la quale dette condotte si sarebbero poste in conflitto con il reale interesse della banca, in quanto, da un lato, avrebbero precluso l'effettuazione di ulteriori operazioni e in tal guisa avrebbero cagionato, fin dal momento genetico, un grave nocumento all'istituto di credito, mentre, dall'altro lato, sarebbero state realizzate nell'esclusivo interesse degli imputati, al di fuori di una politica di impresa e per finalità di mantenimento del potere gestionale da parte dei vertici amministrativi) non poteva affatto essere accolta. Ciò avrebbe infatti rappresentato l'espressione di un'interpretazione atomistica, fuorviante e retrospettiva del fenomeno delittuoso in esame e non già di una doverosa visione prospettica delle azioni criminose. Le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, infatti, erano state funzionali a far conseguire all'ente un beneficio, occultando le operazioni di capitale finanziato e così consentendo all'istituto di credito di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria e di acquisire nuovo capitale o mantenere quello esistente. Si era trattato, quindi, di condotte che, a tutto discapito del mercato, avevano generato indubbi benefici per la banca, assicurandone la continuità e garantendone la competitività nel mercato del credito, sia pure in modo rivelatosi non sufficiente, nel lungo termine, a risolvere le carenze di un'errata politica di impresa (peraltro preesistente alle operazioni di capitale finanziato) che aveva portato ad un progressivo, inesorabile, deterioramento della situazione patrimoniale (con i relativi coefficienti che, già dal 2012, erano inferiori alla soglia target, come evidenziato dai consulenti del P.M.). Le ricadute positive per l'ente delle attività delittuose, del resto, erano state convincentemente delineate dalla deposizione del teste ispettore Em.Ga.. In assenza delle condotte delittuose, in effetti, la banca si sarebbe trovata nella necessità di impegnare le risorse disponibili per reintegrare i requisiti patrimoniali, oppure di disvelare una situazione di crisi che avrebbe inevitabilmente impattato negativamente, al contempo, tanto sul capitale (trattandosi di banca cooperativa), quanto sull'operatività (trattandosi di banca commerciale). In definitiva - precisava il primo giudice - occorreva distinguere tra le singole condotte operative di capitale finanziato (che costituivano solo una parte della politica imprenditoriale e non erano indicative della proiezione finalistica del reato) e le soprastanti condotte delittuose delle false prospettazioni al mercato e alla vigilanza, nelle quali si sostanziavano i reati presupposto che erano stati funzionali a favorire l'ente, consentendo alla società di conseguire un vantaggio economico. Ponendosi in questa prospettiva, diveniva allora evidente l'interesse (se non esclusivo, quantomeno prevalente) della banca alla commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, in quanto espressione di una politica d'impresa funzionale a garantire la prosecuzione dell'attività dell'istituto, assicurando, per un verso, l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, il mantenimento di quello esistente. D'altronde, il peggioramento delle condizioni economiche dell'ente non era stato certo effetto della commissione dei reati, bensì del ricorso dissennato al capitale finanziato nell'ambito di un meccanismo divenuto progressivamente ingovernabile, il tutto mentre le condotte delittuose (che si ponevano a valle di tale fenomeno) avevano per un certo periodo di tempo consentito di contenere, limitare e ritardare gli ulteriori effetti negativi per l'ente che dal disvelamento di una siffatta realtà sarebbero inevitabilmente derivati. Quanto poi al criterio soggettivo di imputazione dell'illecito, costituito dalla colpa di organizzazione, il primo giudice ne ravvisava il ricorrere in ragione del fatto che l'ente non si fosse strutturato in modo idoneo a prevenire le condotte in questione. Nel caso di specie, infatti, non solo il modello organizzativo, nella versione aggiornata a febbraio del 2012 (documento nr. 269 del P.M.), non era stato predisposto in modo adeguato (essendo prevalentemente strutturato ai fini di anti-riciclaggio), ma neppure era stato applicato ed implementato convenientemente. Nulla era stato previsto in relazione alle modalità di predisposizione dei bilanci, al computo dei requisiti patrimoniali, anche ai fini del patrimonio di vigilanza, all'attività di erogazione del credito, ovvero alla gestione operativa, contabile e patrimoniale delle azioni (proprie e non) che, pure, costituiva l'attività su cui si focalizzava l'operatività della banca. Nessuna procedimentalizzazione delle attività di acquisto e vendita delle azioni, inoltre, era stata programmata nel modello. Né detto modello era mai stato implementato in tal senso. Si aggiunga che erano risultate assenti modalità operative per garantire la tracciabilità dei finanziamenti per l'acquisto dì azioni proprie e che neppure era stato previsto alcunché per assicurare la corretta registrazione dei collegamenti tra affidamenti e acquisto/sottoscrizione di azioni, ovvero per disciplinare le comunicazioni all'esterno, ovvero ancora per regolamentare gli aspetti afferenti al patrimonio di vigilanza. Inoltre il modello aveva previsto un Organismo dì Vigilanza collegiale composto da tre soggetti e, segnatamente, da due avvocati esterni all'istituto di credito, nonché dal responsabile interno dell'audit, soggetto, quest'ultimo, dipendente gerarchicamente dal d.g. e funzionalmente dal CdA, ovverosia proprio da coloro che egli avrebbe dovuto controllare. Donde un evidente deficit di autonomia di tale organismo. Quanto, poi, al Collegio sindacale, era risultato composto da soggetti alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) legati personalmente allo ZO., ovvero a società riconducibili a tale imputato. Le stesse relazioni ispettive di Banca d'Italia, del resto, avevano censurato la logica di cooptazione alla base della composizione dell'organo in questione, stigmatizzandone l'attività di mero controllore formale. Di qui il giudizio di complessiva grave inadeguatezza dei presidi organizzativi predisposti da B. per fronteggiare i rischi operativi assunti e la conseguente affermazione della responsabilità dell'ente. Quindi, passando alla quantificazione della sanzione, il primo giudice stabiliva, quanto al più grave delitto di aggiotaggio, il numero di 600 quote (a fronte di una forbice di riferimento tra le 400 e le 1000 quote), ridotte a 400 in ragione dell'attenuante ex art. 12, co, 2, D.L.vo 231/01, essendosi l'ente adoperato (con una proposta di transazione rivolta agli azionisti ed avente ad oggetto l'offerta di una somma a titolo di indennizzo) per ridurre le conseguenze dannose dell'illecito. Considerata, poi, la pluralità di illeciti, il tribunale determinava nella misura di 150 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter R ed in 360 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter S, Conseguentemente, precisato che la prescrizione di talune condotte delittuose non poteva rivestire alcun rilievo in relazione all'illecito amministrativo dell'ente, quantificava le quote complessive nella misura di 910 quote e, determinato il valore di ciascuna quota in euro 400, fissava la sanzione pecuniaria complessiva nella misura di euro 364.000,00. Infine, evidenziato che il profitto del reato andava identificato nel vantaggio economico (inteso come benefìcio aggiunto di tipo patrimoniale) causalmente derivato dal reato presupposto, e sottolineato, inoltre, come una stima in tal senso fosse stata unicamente effettuata con riferimento al reato di cui al capo N2, all'origine del sequestro, disposto dal GIP del tribunale di Vicenza in data 18.5.2017, con riferimento al valore di euro 106.012.687,50 (corrispondente all'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate alla banca, a seguito dell'aucap, dai soci il cui acquisto era stato sollecitato dalla banca stessa e che non avrebbero potuto sottoscriverlo ove fosse stato applicato il "test di adeguatezza bloccante"), il tribunale disponeva la confisca in tal senso, detraendo tuttavia l'importo di euro 31,8 milioni, oggetto di restituzione effettuata a titolo transattivo, e fissando, quindi, l'ammontare della confisca nella misura di euro 74.212.687,50 (con conseguente parziale revoca del sequestro). 1.11 Il trattamento sanzionatorio Con riferimento ai reati commessi dagli imputati ZO., PI., MA. e GI., dei quali andava ad affermare la penale responsabilità, il tribunale ravvisava la sussistenza del vincolo della continuazione, trattandosi di reati espressione di un'unitaria determinazione criminosa. Quindi: - esclusa quanto ai reati di cui ai capi A1, B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1 l'aggravante ex art. 112 nr. 1 c.p., in ragione del numero inferiore a cinque degli autori delle relative condotte; - riconosciuta, quanto ai reati di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 l'aggravante ad effetto speciale ex art. 2638 co. 3, c.c., essendosi in presenza di istituto di credito emittente strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ex art. 116 D.L.vo 58/98; - riconosciuta, altresì, in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1, N1, l'aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 c.p., trattandosi di condotte di ostacolo, susseguitesi nel tempo, al fine di occultare l'illecita manipolazione del prezzo sia di nascondere la falsità dei precedenti flussi informativi; - riconosciute, inoltre, a tutti gli imputati le attenuanti generiche, trattandosi di soggetti incensurati che avevano anche tenuto corrette condotte processuali (in effetti, presenti a tutte le udienze, costoro si erano anche sottoposti ad esame, eccezion fatta per ZO. il quale, peraltro, aveva reso dichiarazioni spontanee); - valutate le predette attenuanti in regime di mera equivalenza rispetto alle ravvisate aggravanti, in considerazione della notevole entità dei danni cagionati con le condotte delittuose; - ritenuto più grave il reato di cui al capo H1, in ragione della pena edittale di riferimento e del tempo significativo di protrazione della relativa condotta (esauritasi solo nell'aprile del 2015); - considerati, infine, i criteri tutti di cui agli art. 132, 133 c.p. (e, segnatamente: il ruolo apicale rivestito dagli imputati; il numero e la varietà delle condotte delittuose, protrattesi per anni; l'intensità del dolo all'origine delle medesime condotte e, in particolare, la pervicacia e l'ostinazione che avevano orientato l'azione di occultamento al mercato e alla vigilanza della reale situazione dell'istituto di credito), condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di anni due in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 ed N1 (essendo evidentemente un errore materiale la quantificazione sintetica di tale aumento nella misura di anni uno, in ragione della specifica indicazione, nella misura di mesi tre, dell'aumento di pena irrogato per ciascuno di detti reati), con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia; aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, infine, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre e mesi sei di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati). Gli imputati, infine, erano dichiarati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 1.12 La confisca per equivalente. Il tribunale, premesso che la disposizione di cui all'art. 2641 c.c., prevedeva, in relazione ai reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c,, la confisca (diretta, ovvero, in via sussidiaria, per equivalente) non solo del prodotto/profitto dei reati, ma anche dei beni utilizzati per commetterlo, precisava, a tale ultimo riguardo (richiamando sul punto la sentenza della Corte Costituzionale nr. 112/2019 e la giurisprudenza di legittimità espressasi in fattispecie analoga), come in tale categoria di beni non rientrassero unicamente i tradizionali "instrumenta sceleris", ovverosia le cose intrinsecamente pericolose (il grimaldello, la stampante utilizzata per la produzione di cartamoneta falsa, ecc..) bensì qualsivoglia res l'impiego della quale avesse reso possibile la commissione del reato e, pertanto, con riferimento alla vicenda sub iudice, anche le risorse finanziarie concesse dall'istituto a titolo di finanziamento ed impiegate per l'acquisto delle azioni dell'istituto medesimo; risorse che, nella specie, erano state convincentemente quantificate dai consulenti del P.M. nella misura di euro 963,000,000,00. Nella prospettiva del primo giudice, infatti, erano proprio i finanziamenti concessi per le operazioni di capitale finanziato che avevano reso possibili i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, trattandosi di reati che erano stati commessi comunicando un patrimonio di vigilanza non veritiero, in quanto non corrispondentemente decurtato. Erano detti finanziamenti, quindi, che, nel caso in esame, costituivano "i beni utilizzati per commettere i reati". A legittimare, poi, la confisca per equivalente nei confronti degli imputati era il mancato rinvenimento della somma oggetto dì confisca diretta e, quindi, l'impossibilità (peraltro da ritenersi all'uopo rilevante anche ove soltanto transitoria) di tale ablazione diretta. Nel caso di specie la confisca diretta era impedita dall'assoggettamento dell'istituto di credito, al momento della pronuncia, a liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di procedura per effetto della quale era venuta meno in capo all'ente la disponibilità del patrimonio societario, destinato esclusivamente ad essere gestito, evitandone il depauperamento, in vista delle finalità della procedura medesima. Di qui la confisca disposta, per il valore di euro 963.000.000, nei confronti degli imputati ZO., PI., GI. e MA., con la precisazione che il principio solidaristico posto a fondamento della disciplina del concorso di persone, da un lato, e la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente, dall'altro, implicavano che il provvedimento ablatorio fosse pronunziato, a carico di ciascuno di costoro, con riferimento all'intero importo. 1.13 Le questioni civilistiche Quindi, con riferimento alla posizione della Banca (...), citata da numerose parti civili in qualità di responsabile civile e in questa veste costituitasi in udienza preliminare, il tribunale riteneva la validità delle argomentazioni poste dall'istituto di credito a fondamento della relativa richiesta di esclusione (originariamente respinta per tardività) ex art. 83 TUB. In effetti la circostanza che l'istituto di credito fosse stato sottoposto a procedura di liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale nr. 185 del 25 giugno 2017, ove debitamente valutata alla luce delle disposizioni di legge in materia, rispettivamente, di estensione alla procedura in esame delle disposizioni in materia di fallimento (art. 201), di disciplina dell'opposizione allo stato passivo (art. 83 TUB) e di improseguibilità delle pretese creditorie avanzate innanzi al tribunale ordinario (52 TUB), comportava la improcedibilità delle domande avanzate nei confronti della banca. Tutte le ragioni di credito, infatti, avrebbero dovuto essere fatte valere in sede concorsuale e, segnatamente, nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, nel solco, peraltro, di quanto affermato ripetutamente dal giudice di legittimità. Di qui la declaratoria di improcedibilità della domanda avanzata dalle parti civili nei confronti del responsabile civile. Evidenziava infine il tribunale come esulassero dai poteri di ius dicere del giudice penale le domande (in taluni casi affiancate alle richieste risarcitone) volte a ottenere pronunce di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni. Quanto, poi, alle domande risarcitone da talune parti riproposte, in sede di conclusioni, nei confronti dell'Istituto di credito in qualità di ente incolpato ex D.L.vo 231/01, il Tribunale, richiamando i provvedimenti che non avevano ammesso la relativa costituzione di parte civile (sul rilievo della non esperibilità dì azioni civili volte ad ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli enti in qualità di responsabili degli illeciti amministrativi), in tal senso espressamente motivava le ragioni che avevano indotto il collegio a non esaminare le relative richieste. Infine, con riferimento alle domande risarcitorie avanzate nei confronti degli imputati, il primo giudice pronunziava sentenza di condanna generica di questi ultimi in favore delle parti civili istituzionali (Banca d'Italia e CONSOB) e di quelle private (azionisti e obbligazionisti di B., siccome indicati negli elenchi, allegati al dispositivo, depurati delle parti le cui costituzioni erano state espressamente revocate, ovvero dovevano intendersi revocate per mancata presentazione delle conclusioni). In ordine ai primi, precisato che il pregiudizio patrimoniale consisteva negli esborsi e nel complessivo dispendio di risorse che le autorità di vigilanza avevano dovuto sostenere per ottenere quelle informazioni che erano state loro occultate, mentre il pregiudizio non patrimoniale doveva identificarsi nella compromissione delle finalità istituzionali delle suddette autorità e nella lesione dell'immagine che ne era derivata, il tribunale evidenziava la necessità di rimessione, per la quantificazione di dette voci dì danno, innanzi al giudice civile, in difetto di concreti elementi probatori idonei ad orientare la relativa determinazione. Nondimeno riconosceva una provvisionale nella misura di euro 601.017,39 in favore di Banca d'Italia e di euro 186.570 in favore di CONSOB, in entrambi i casi parametrandone l'entità ai costi (siccome quantificati dagli uffici interni di detti enti) sostenuti per l'aggravio di attività strettamente conseguenti alle condotte delittuose. Con riferimento, poi, alle parti civili private, osservato come il D.L. 99/17 che aveva posto in liquidazione coatta amministrativa l'istituto di credito avesse conservato i diritti dei titolari di obbligazioni subordinate nella liquidazione, sicché i predetti avrebbero potuto trovare soddisfazione solo una volta soddisfatti gli altri creditori, il primo giudice sottolineava che tutti gli investitori avevano subito un danno dalle condotte manipolative, in quanto indotti all'investimento sul presupposto di una situazione patrimoniale dell'istituto artatamente presentata come positiva e, quindi, senza essere stati posti nelle condizioni dì valutare la rischiosità dell'investimento stesso e la solvibilità della banca nell'estinguere il credito e nell'effettuare il rimborso. Segnatamente, con riferimento al delitto di aggiotaggio, il pregiudizio andava individuato nell'avere acquistato o conservato gli strumenti finanziari a prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, ovvero nell'avere effettuato un investimento che, senza le condotte manipolative, non sarebbe stato posto in essere. Analogamente, con riferimento al reato di falso in prospetto, gli investitori erano stati pregiudicati da condotte delittuose che avevano avuto l'effetto di mantenere artificiosamente alto il valore delle azioni, al contempo rappresentando una solidità patrimoniale dell'istituto in realtà insussistente. Più nel dettaglio, ad essere stati danneggiati - precisava il tribunale - non erano solo coloro che, nel periodo di commissione delle condotte delittuose, avevano acquistato azioni ad un prezzo superiore al reale valore dei titoli, ma anche gli investitori che, già in possesso di detti strumenti finanziari, si erano astenuti dal disinvestimento per effetto delle richiamate condotte manipolative. Di maggiore complessità, poi, era la questione inerente a coloro (peraltro una minima parte degli investitori, prevalentemente acquirenti di obbligazioni subordinate) che avevano acquistato le azioni successivamente alle condotte delittuose, sebbene anche con riferimento a tale categoria di investitori fosse effettivamente prospettabile un pregiudizio derivante dai reati, tenuto conto del periodo apprezzabile intercorso tra la cessazione delle condotte delittuose ed il disvelamento di quanto avvenuto (trattandosi di circostanza che aveva determinato il protrarsi di effetti di errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto di credito, con indubbio svantaggio informativo). Infine vi erano i clienti dell'istituto che avevano effettuato gli acquisti con il denaro erogato dalla banca. Costoro non avevano subito una lesione diretta, non avendo impiegato risorse proprie nell'investimento (se non nel caso di investimento solo parzialmente finanziato); nondimeno, al di là della sussistenza o meno dell'obbligazione restitutoria, l'esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi che ne era seguita e l'addebito dei costi di finanziamento costituivano pur sempre un pregiudizio effettivo. Conclusivamente, con riferimento alle parti civili private, emergeva un quadro composito, caratterizzato da posizioni eterogenee. Ebbene - precisava il tribunale - dette parti avevano quantificato: - il pregiudizio patrimoniale nel controvalore del pacchetto azionario calcolato sul valore dell'azione pari a 62,50 euro, ovvero all'ammontare della somma investita nelle operazioni di investimento (e, quindi, sostanzialmente, nella perdita dell'investimento); - ed il danno non patrimoniale in una quota parte di quello patrimoniale. Nondimeno tali parametri non potevano ritenersi appaganti, posto, per un verso, che il danno non si poteva meccanicamente identificare nella perdita del valore dell'azione in quanto i reati di aggiotaggio e falso in prospetto presentavano profili peculiari che non consentivano di determinare il relativo pregiudizio facendo ricorso a siffatto automatismo; e, per altro verso, che le parti civili si erano limitate a documentare i titoli sottoscritti (ovvero acquistati) e il prezzo pagato, senza fornire ulteriori elementi utili per la esatta quantificazione del pregiudizio. Peraltro, nulla era dato conoscere in ordine all'indennizzo corrisposto agli investitori dal FIR (Fondo Indennizzo Risparmiatori). Di qui la condanna generica al risarcimento ed il riconoscimento di una provvisionale nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle azioni od obbligazioni acquistate risultante dagli atti di costituzione di parte civile e, in ogni caso, onde evitare sperequazioni (tenuto conto del fatto che le cifre più consistenti erano quelle inerenti alle operazioni di capitale finanziato), non superiore ad euro 20.000,00 per ciascuna parte (importo dal primo giudice ritenuto tale da coprire almeno il danno non patrimoniale). Infine il primo giudice respingeva la domanda risarcitoria avanzata dagli enti esponenziali (Confconsumatori, Federconsumatori Friuli Venezia Giulia, Federconsumatorì Veneto, Codacons, Cittadinanza Onlus) per difetto di prova alcuna in ordine al pregiudizio non patrimoniale asseritamente subito a seguito delle condotte delittuose. 2. GLI APPELLI DEGLI IMPUTATI 2.1. Appello proposto da Gi.Em. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello la difesa di Gi.Em.. 2.1.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al capitolo I della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari), l'appellante - anteponendogli una premessa nella quale ha censurato in via generale il metodo argomentativo assertivo seguito nella sentenza impugnata, carente nell'enunciazione degli specifici "motivi di fatto e di diritto" attributiva delia responsabilità all'imputato GI. e tendente all'esposizione solo di alcune risultanze processuali senza nel contempo citarne molte altre, pur decisive su aspetti imprescindibili - ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018 del 7.12.2017 dep. 6.4.2018, emessa in sede cautelare, che aveva risolto in favore del foro vicentino il conflitto di competenza; conflitto sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore rispetto all'attuale e oltretutto connotato da una formulazione del capo B1 frattanto considerevolmente modificatasi). Le argomentazioni esposte in questo primo motivo d'appello dalla difesa del GI. a fondamento della dedotta competenza territoriale del Tribunale di Roma sono di tenore sostanzialmente analogo a quelle dell'appello ZO. (v. infra), cui si rinvia per il resto, fermo restando che dalla difesa dell'appellante GI. vengono particolarmente sviluppati i seguenti due argomenti: - il capo B1 contempla in sé, in realtà, sia il delitto di false informazioni (art. 2638 comma 1 c.c.) che quello di ostacolo (art. 2638 comma 2 c.c.) e i suddetti due delitti non si sono realizzati nel medesimo contesto temporale in quanto l'ispezione maggio-ottobre 2012 è stata per l'appunto preceduta dall'invio, in data 26.4.2012, della comunicazione di vigilanza (a firma del d.g. Sa.So.) avente ad oggetto il rendimento ICAAP sulla determinazione del patrimonio di vigilanza della banca al 31.12.2011; - nel decidere la questione di competenza la verifica del giudice non può essere limitata - diversamente da quanto ritenuto dal tribunale vicentino - alla mera enunciazione così come testualmente prospettata nel capo di imputazione, dovendo invece estendersi alla perimetrazione del fatto così come risultante dall'insieme di tutti gli atti allegati dalle parti (la comunicazione ICAAP inviata a Banca d'Italia il 26.4,2012 rientrerebbe per l'appunto fra gli atti di indagine specificamente relativi all'imputazione contestata sub capo B1 trattandosi di atti depositati dal Pubblico Ministero - segnatamente nel faldone n. 7 - e messi a disposizione del giudice con la richiesta di rinvio a giudizio); al riguardo vengono citati arresti giurisprudenziali di legittimità. L'appellante ha ribadito altresì - dopo averla prospettata già in primo grado nelle note d'udienza 2.4.2019 alle quali ha rinviato per tutti gli approfondimenti del caso - la possibilità di individuare in alternativa come territorialmente competente il Tribunale di Milano in quanto sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (ciò solo qualora i sia ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge n. 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile, trattandosi di questione tuttora dibattuta). 2.1.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione al capitolo II della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari) l'appellante ha dedotto la violazione degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. pronunciata dal tribunale in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1-6 e 1.7: s quanto al paragrafo 1.5 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); quanto al paragrafo 1.6 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle c.d. operazioni "baciate"; tali soggetti non possono infatti che definirsi carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli di partecipare a un'operazione asseritamente illecita nella prospettazione d'accusa, a differenza di quanto affermato dal tribunale; al riguardo l'appellante ha ricordato come nella stessa costruzione generale dell'impianto accusatorio si dia indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; s quanto al paragrafo 1.7 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata l'interruzione - a seguito delia vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Ebbene, lo stesso tribunale vicentino più volte ha fatto riferimento, nel contesto dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione. Consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorre. - conseguentemente si è richiesta l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. 2.1.3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al capitolo III della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erronea ricostruzione -all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - della posizione del GI. nell'organigramma di B., dovuta tanto a un'erronea valutazione degli elementi ritenuti a carico quanto alla mancata valutazione di molti altri elementi pur esistenti a discarico. Segnatamente: la sentenza impugnata, nel sostenere che il GI. avrebbe svolto un ruolo primario agendo congiuntamente al direttore generale Sa.So. (l'operatività era gestita dal direttore generale So. e dal suo vice Gi."), contrasterebbe con un dato conclamato alla luce dell'intera vasta istruttoria dibattimentale e in particolare testimoniale, ossia il fatto che Sa.So. fosse in realtà da lungo tempo portatore, nei confronti del GI., di un sentimento - da lui apertamente manifestato - di sfiducia, contrarietà e desiderio di causarne l'emarginazione, come riferito - fra gli altri - dai testi Di.Gr., Co.Tu., Cl.Gi., Da.Es., Pa.An. (quest'ultimo in particolare, nell'evidenziare come tale connotazione del rapporto fra i due fosse evidente anche per i componenti del CdA, aveva dichiarato: Sostenere che So. facesse tandem con Gi. anche se poi il fenomeno delle baciate potrebbe anche farlo pensare, è un qualcosa che era assolutamente irreale per chi un minimo respirava la banca, anche perché era notorio che So. non amasse la professionalità di Gi..."). Tutt'altre invero erano le persone che all'interno di B. frequentavano abitualmente l'ufficio del So., menzionate nominativamente - ad esempio - dal teste Esposito in sede dibattimentale; da tale "salotto buono" (cfr, pag. 31 atto di appello) ovvero "cerchio magico" (Ibidem) il GI., in altri termini, era rigorosamente escluso; - la stessa elencazione delle funzioni e competenze tanto della Divisione Mercati quanto del suo responsabile Em.Gi., così come sunteggiata alla pag. 639 della sentenza impugnata, non risponde al vero poiché ignora il fatto che gli organigrammi e i funzionigrammi di B. hanno subito nel tempo, proprio per volere del So., accentuati cambiamenti il cui scopo era esattamente quello di emarginare il GI. coinvolgendo, nel contempo, personale fedele al direttore generale; sono state citate al riguardo tanto l'analisi condotta dal consulente tecnico della difesa prof. Pe. quanto le deposizioni rese da vari testimoni (Al.Mo., Co.Tu., Ma.Ba., Gi.Am., Cl.Am., Cl.Gi., Fi.Ro.); - sempre l'istruttoria dibattimentale, in particolare testimoniale (cfr le deposizioni dei testi Al.Ba., Co.Tu., Cl.Gi., Ma.Ni., Se.Ro., Lu.Ve., En.Da., Di.Ip., Al.Cu.), ha consentito di appurare che le scelte riguardanti le operazioni qui in discussione e le loro modalità erano decise in piena autonomia dal solo So., il quale impartiva alle strutture della banca le conseguenti direttive o in prima persona oppure avvalendosi, a guisa però di mero tramite, del GI. e/o del direttore commerciale Gi.Am.; - sempre l'istruttoria dibattimentale (cfr. le deposizioni dei testi Cl.Gi., En.Da., Co.Tu.) ha evidenziato come anche lo stesso GI. - tratteggiato nella gravata sentenza come l'autore in prima persona di pressioni estreme sulla rete commerciale - fosse in realtà destinatario di minacce e pressioni provenienti direttamente dal So.. Quanto alle fonti di prova citate in sentenza con riguardo alle pretese pressioni esercitate dal GI. (cfr. in particolare le dichiarazioni dei testi Di.Ip. e Ma.Ni.) la difesa ha argomentato nel senso del loro fraintendimento e/o vaglio solo parziale e decontestualizzato da parte del tribunale; - la sentenza gravata ha completamente omesso di considerare i seguenti due episodi - definiti gravi e inquietanti dalla difesa - in danno del GI., i y quali ben evidenziano quanto egli fosse "estraneo al milieu compatto e ristretto di gestione reale della Banca" (cfr. pag. 34 atto di appello): a) riguardo alla questione degli storni è emerso che - in seno alla Divisione Mercati diretta dal GI. - era stato ordinato da Gi.Am. al suo subalterno Al.Fe. di correggere le lettere di storno sottoscritte dallo stesso Am. obliterando la firma di questi e lasciando inalterate solo le lettere firmate dal GI., quando per converso l'estraneità di questi alla procedura degli storni deve ritenersi dimostrata anche dal rigetto, nei suoi confronti, della domanda cautelare presentata in sede civile dalla banca (cfr. documento n. 668 prodotto dallo stesso Pubblico Ministero, corrispondente al provvedimento n. 4414/2015 del Giudice del lavoro presso il Tribunale di Vicenza); b) a detta del teste Co.Tu. il collega Ad.Ca. - uno dei componenti la ristretta cerchia di frequentatori abituali dell'ufficio del d.g. Sa.So. - all'inizio del mese di maggio 2015 aveva minacciato lo stesso Tu. di licenziamento perché si era rifiutato di scrivere una relazione nella quale si dicesse falsamente che il GI. era il responsabile di tutta l'operatività illecita; - l'ostilità nei confronti del GI. si era finanche acuita dopo l'inizio dell'attività ispettiva, essendo sorta - per effetto di quanto andava ivi emergendo - l'esigenza di catalizzare sul predetto ogni responsabilità. 2.1.4 Con il quarto, il quinto e il sesto motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IV, V e VI della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erroneità dell'attribuzione al GI. - all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - dell'ideazione e attuazione delle operazioni di finanziamento correlato, rivendicando altresì in capo al predetto la genuina convinzione che tali operazioni non solo fossero lecite ma altresì che venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. Si è evidenziato in particolare al riguardo quanto segue: - il GI. era entrato in B. nel novembre 2007 allorquando la prassi delle operazioni correlate già era in essere (circostanza riferita non solo dall'imputato nel suo esame dibattimentale ma altresì dai testi Di.Gr. e Alessandro Ba. fra gli altri); - il GI. inizialmente era perplesso, e del resto si trattava di perplessità diffusa all'interno di B., circa l'applicabilità dell'art. 2358 cc. alle banche popolari come società cooperative e ciò quantomeno fino all'anno 2012, anno in cui aveva avuto luogo l'ispezione della Banca d'Italia; in tal senso del resto si era espresso anche un parere legale esterno acquisito dalla stessa B.; - la sentenza impugnata ha comunque errato nel ritenere non credibile il teste Cl.Am. circa l'andamento del suo colloquio con l'ispettore Ge.Sa. (del quale va tenuta in considerazione, in particolare, una conversazione captata - la n. 281 progn del 19.3.2017 - con il consulente tecnico del Pubblico Ministero, Pa., ove il primo diceva al suo interlocutore: "Poi, vedendo le carte, effettivamente alcune operazioni baciate c'erano", il che dimostrerebbe l'effettività dei disvelamento affermato dal teste Am.); né il tribunale ha valutato con adeguato rigore i plurimi elementi istruttori che depongono nel senso di un rapporto istituzionale "non esemplare" intrattenuto dalla Banca d'Italia, nella specifica occasione, con il So.; - plurime sono le evidenze testimoniali - citate nominativamente nell'atto di appello - di una "piana e pacifica conoscenza dell'esistenza delle operazioni correlate in capo a tutti i settori di B., incluso il settore legale nella persona dell'avv. An.Pa. (diversamente da quanto costei ha sostenuto in sede dibattimentale) e incluso soprattutto il settore bilancio e pianificazione di cui era responsabile il coimputato Ma.Pe., che oltretutto faceva parte - circostanza ben nota al Gi. - del milieu ristretto di dirigenti che avevano un rapporto esclusivo con il So. (al riguardo l'appellante ha lamentato il fatto che il PE. sia stato mandato assolto dal tribunale sull'assunto che in capo allo stesso PE. fosse insufficiente la prova dell'elemento soggettivo del reato); - il GI., atteso tutto quanto sopra (in particolare quanto osservato in relazione alla posizione del PE. e al contegno da questi tenuto), non poteva che maturare la convinzione che le operazioni correlate - a tutti note in B. - venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza; - non può condividersi per converso l'argomento, svolto a pag. 216 dalla sentenza impugnata, secondo cui è evidente che le operazioni correlate in oggetto non venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza in quanto, in caso contrario, sarebbero state del tutto inutili; tale argomento prova troppo, giacché, se davvero così fosse stato, tutti coloro che si erano occupati di operazioni correlate in B. (inclusi tutti gli esponenti dell'alta e media dirigenza, ivi compresi quelli più vicini al So.) sarebbero stati raggiunti dalle medesime imputazioni; ciò non è invece avvenuto proprio perché la Procura della Repubblica vicentina ha ritenuto mancante in capo a costoro la consapevolezza dell'intero disegno strategico intessuto al riguardi dal So. (e, con ogni probabilità, da questi tenuto riservato entro la ristretta cerchia delle persone per lui fidate, la quale non comprendeva - come detto - l'imputato GI., tenuto lontano dalle "strategie decisionali" del direttore generale stante il rapporto di emarginazione, sfiducia e contrarietà del quale egli era reso oggetto); - esistono inoltre ragioni prettamente tecniche, illustrate anche dal c.t, della difesa prof, Pe. (e passate in rassegna alle pagg. 50-51 dell'atto di appello), che rafforzano ulteriormente la conclusione da trarsi circa la genuina convinzione, in capo al GI., che le note operazioni correlate venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. 2.1.5 Con il settimo e l'ottavo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli VII e VIII della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha passato dettagliatamente in rassegna le numerose emergenze processuali già evidenziate in prime cure dalla difesa - ma ignorate dalla sentenza impugnata - che a suo avviso depongono nel senso della non consapevolezza, in capo al GI., dell'entità del fenomeno, censurando simmetricamente l'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di quegli ulteriori elementi probatori che lo stesso tribunale ha ritenuto pesare a carico dell'imputato. In particolare si è evidenziato che: quanto al contenuto del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, le frasi ivi pronunciate dal GI. e da altri partecipanti non sono state adeguatamente contestualizzate (a quell'epoca era ormai diffusa in B. una sensazione di "quasi defaul" manifesta e recepita da tutti con ovvie preoccupazioni); in alcuni altri casi invece - come ad esempio è a dirsi per la quantificazione da parte del So. dei "finanziamenti" in oltre un miliardo di euro - sono state travisate nel significato (in realtà sarebbe chiaro, a detta dell'appellante, che il So. non si riferiva al capitale finanziato bensì alla campagna pre-affidamenti, il che emergerebbe da vari elementi della svolta istruttoria); - del tutto neutro è il fatto che il So. prima del 2013 avesse fatto fare un report a Co.Tu. (circostanza evidenziata a pag. 668 della sentenza gravata), dato che la stessa sentenza ha ricordato come tale report - al pari delle tabelle di monitoraggio mensili diffuse nel corso delle riunioni della Divisione Mercati - riguardasse tutti i soci, anche quelli non finanziati; - anche la deposizione del teste Ro.Pr., valorizzata in sentenza quale dato significativo a carico del GI., non sarebbe stata letta ed esaminata nella sua interezza dai giudici vicentini; - le prove a discarico in punto "consapevolezza" del GI. sono state completamente ignorate dal primo giudice, pur provenendo esse a volte finanche da testi altrimenti rivelatisi alquanto "ostili" nei suoi confronti come Lu.Ve., Gi.Ca., En.Da., Se.Ro., Pa.An. (dei quali l'appellante ha riportato gli stralci di deposizione favorevoli al GI.); - quanto agli elementi probatori indicati in sentenza come "a carico" dell'imputato, invece, ivi non si è specificato neppure a quali fra i plurimi distinti reati contestatigli essi si riferiscano; - attesa la sopra ben evidenziata conoscenza diffusa a tutti i livelli, in B., del ricorso a operazioni di capitale finanziato, si svuotano di valenza probatoria "a carico" elementi come gli appunti del teste Ma.So. circa i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 e come l'incontestato ruolo di coordinamento della rete che il GI. esercitava in quanto direttamente afferente alla sua qualifica di responsabile della Divisione Mercati; - vari testi, ancora una volta ignorati dalla sentenza gravata, hanno riferito circa il reiterato attivarsi del GI. per favorire l'informatizzazione della procedura (il che avrebbe reso impossibile la prassi contestata), incontrando però sempre la ferma resistenza della Divisione Risorse; - non sono minimamente risolutivi gli asseriti indici di consapevolezza evidenziati in sentenza (il divieto alla rete di comunicare informazioni per iscritto; il ricorso alla ed. "clausola sentinella" generica nelle P.E.F.; l'invito a rispettare un distanziamento temporale tra fido e acquisto delle azioni), posto che, a tacer d'altro, la formula generica - preesistente all'ingresso di GI. in B. - è risultata non essere stata utilizzata in una cospicua percentuale delle stesse operazioni correlate (circa il 35,50%) e che pure la prassi del distanziamento temporale non era stata certo introdotta, come dimostrato dalla svolta istruttoria, dal GI., in capo al quale - diversamente da quanto ritenuto in sentenza - non può affatto di dimostrata una "pervicace condotta tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delie autorità di vigilanza" (cfr. pag. 647 sentenza gravata); - la sentenza impugnata, nell'indicare come elementi a carico significativi la vicenda Vi. (e relativo report Bo.), la richiesta di chiarimenti da parte della società di revisione KP. e le schede consegnate all'ispettore Gi.Ma., ha riportato solo alcuni aspetti della relativa vicenda ignorando le risultanze processuali utili a contestualizzarli e a inquadrarli; aspetti che l'appellante ha illustrato e analizzato alle pagg. 62-66 dell'atto di impugnazione. 2.1.6. Con il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IX, X, XI e XII della parte III dell'impugnazione) l'appellante ha illustrato quelli che a suo avviso sono fondamentali errori metodologici commessi dal primo giudice nella ricostruzione probatoria dei fatti, con particolare riguardo: - a una visibile confusione fatta tra gli elementi costitutivi della fattispecie legale dell'operazione correlata e l'individuazione dei mezzi probatori atti a verificarne l'effettiva realizzazione in una determinata situazione; all'utilizzo di "criteri" (nomenclatura estranea al diritto delle prove penali) non identificabili con le circostanze indiziarie disciplinate quali mezzi di prova dall'art. 192 comma 2 c.p.p., di talché si sarebbe persa di vista, in sentenza, la necessità che il quadro indiziario risulti connotato dai necessari requisiti di gravità, precisione, concordanza e necessità di adeguati riscontri; in altri termini la sentenza gravata non ha rispettato il citato canone processual-penalistico (cui era tenuta ad attenersi) bensì ha, piuttosto, utilizzato il metodo amministrativistico di cui alla circolare n. 263 della Banca d'Italia, e ciò benché le finalità perseguite dai vari metodi e dai differenti criteri in gioco (BCE, consulenti tecnici del P.M., CONSOB) si differenzino considerevolmente fra loro; - all'utilizzo in particolare, da parte della sentenza gravata, dei criteri impiegati dapprima da BCE e indi dai consulenti tecnici del P.M., che tuttavia sono estranei alla metodologia del processo penale di cui al citato art. 192 comma 2 c.p.p. in tema di valutazione critica delle prove indiziarie; metodologia che, se utilizzata, avrebbe dato esiti finali ben diversi e favorevoli all'imputato. 2.1.7 Con il tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XIII, XIV, XV e XVI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha censurato la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di ravvisare una responsabilità concorsuale del GI. ex art, 110 c.p.p., anzitutto, nei reati di aggiotaggio manipolativo-operativo (articolato in una prima condotta relativa alla concessione del capitale finanziato, in una seconda condotta relativa alla mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014 e in una terza condotta relativa alla mancata comunicazione all'esperto prof. Ma.Bi. della prassi aziendale in tema di operazioni correlate), non prima peraltro di avere stigmatizzato l'illegittima "moltiplicazione", operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo Al, da ritenersi attuata in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Ha evidenziato come l'apoditticità dell'argomentare dei giudici vicentini circa il ravvisato apporto concorsuale del GI. emerga a più riprese dalla lettura della sentenza, fermo restando che, ad applicare uguale metodologia argomentativa a svariati fra i soggetti escussi come testi in dibattimento, gli stessi sarebbero a loro volta dovuti figurare quali coimputati in ragione della loro conoscenza diretta del "fenomeno" del capitale finanziato e della loro altrettanto diretta operatività all'interno del fenomeno medesimo. Ha indicato come profondamente errata, alla stregua di tali considerazioni e della necessità di rispettare i principi generali in tema di concorso nel reato, l'attribuzione generalizzata al GI. (del tutto disancorata dalle prove acquisite al processo, anche per quanto riguarda i dati numerici) della penale responsabilità con riguardo a tutte le 874 operazioni emerse, pur frammentate negli anni oggetto di contestazione. In realtà - ha proseguito l'appellante - sarebbe stato necessario dimostrare, per ciascuna singola operazione correlata, che il GI. ne aveva deliberato il finanziamento per essa specificamente utilizzato; che ne aveva seguito l'intera evoluzione; che infine aveva avuto consapevolezza della non deduzione di tale finanziamento dal patrimonio di vigilanza. L'appellante ha escluso che le generiche affermazioni contenute in sentenza riescano a evidenziare in capo al GI. la prova della sua ravvisata penale responsabilità anche per la condotta di mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014; per converso il primo giudice ha completamente ignorato, ad avviso dell'appellante, una serie di prove a discarico (documentali e testimoniali) che, conducono a non poter ascrivere al GI. tale condotta, per vero del tutto estranea alle competenze della Divisione Mercati. Né - ha proseguito l'appellante - può ritenersi soddisfacente il generico e indistinto ricorso, da parte del primo giudice in aderenza alla formulazione dell'imputazione, alla nozione di "agevolazione", essendo noto che, nella interpretazione giurisprudenziale dell'art. 110 c.p., la c.d. "agevolazione" o il "rafforzamento del convincimento" (dato dal concorrente nel reato a colui che materialmente pone in essere la condotta) deve comunque estrinsecarsi in una condotta individuata nei suoi tratti essenziali. Indi l'appellante ha censurato come ancora una volta apodittico, e anzi in aperto contrasto con le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, l'argomentare della sentenza impugnata circa l'asserito apporto concorsuale del GI. al reato di aggiotaggio manipolativo quanto alla condotta di mancata comunicazione all'esperto stimatore esterno incaricato da B. nel 2010, prof. Ma.Bi., della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie. Ha comunque evidenziato che in base alla stessa relazione dei cc.tt del P.M. - pur ampiamente citata e utilizzata in sentenza sotto altri profili e viceversa pressoché ignorata su questo specifico punto - emerge come l'erronea stima del sovrapprezzo dell'azione B. da parte del prof. Bi., lungi dal dipendere esclusivamente dall'omessa comunicazione al predetto esperto circa l'esistenza del capitale finanziato così come adombrato in sentenza, fosse conseguita anche, e soprattutto, a una serie di errori metodologici commessi dallo stesso prof. Bi., il cui operato è in effetti ampiamente stato criticato anche dai cc.tt. del P.M. senza che il primo giudice si sia tuttavia soffermato adeguatamente su tale pur fondamentale parte della relazione di consulenza tecnica dell'accusa. Ad avviso dell'appellante la suddetta omissione del tribunale si è riverberata in maniera determinante sulla valutazione circa l'esistenza o meno di un nesso causale tra la contestata condotta di asserito nascondimento al prof. Bi. del fenomeno delle operazioni correlate e la sovrastima del valore dell'azione da parte dell'esperto, fermo restando che nessun elemento depone nel senso di un qualsivoglia apporto causale, da parte del GI., al suddetto nascondimento (lo stesso prof. Bi., nel suo esame dibattimentale, ha escluso di essersi interfacciato con il predetto). 2.1.8 Con il diciassettesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XVII della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'estraneità del GI. anche al reato di aggiotaggio informativo, posto che il primo giudice, ancora una volta mantenendosi su di un piano di assoluta indeterminata genericità, non ha dato alcuna indicazione (né tantomeno ha indicato elementi probatori a carico) su quale possa essere stato il "contributo" dell'imputato - non meglio specificato nel capo di imputazione - alla materiale diffusione di notizie false nei vari canali informativi. Né certo la prova e la determinazione del preteso "contributo" del GI. a tale specifica condotta possono trarsi, secondo l'appellante, dalla pur data per scontata - ma a sua volta contestata - "consapevolezza", in capo al predetto, delle modalità di occultamento delle operazioni correlate (consapevolezza che in ogni caso attiene al piano dell'elemento soggettivo e non già a quello - ben distinto - dell'individuazione dell'apporto causale), ferma restando l'esatta distinzione giurisprudenziale tra connivenza non punibile e concorso manifestabile nella sua forma minima, ossia appunto nella agevolazione. Ancora una volta difetta totalmente, in tesi difensiva, il rispetto dell'esigenza di individuare in termini ben delineati quale sia stata in concreto la condotta del GI. inteso quale asserito concorrente "agevolatore". 2.1.9 Con il diciottesimo e il diciannovesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XVIII e XIX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'insussistenza di una condotta concorsuale del GI. nei reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza di Banca d'Italia e BCE (capi da B1 a MI), evidenziandone in particolare l'obiettiva estraneità alla produzione dei flussi di informazione decettivi destinati alla vigilanza e a nulla potendo valere la sistematica trasposizione reiterata - di stile - operata, in ciascun capo di imputazione, di quello che altro non è se non il criterio di imputazione soggettiva della distinta condotta di aggiotaggio manipolativo di cui al capo A1. Anche in questo caso difetta totalmente in sentenza, secondo l'appellante, l'individuazione per il GI. di una specifica condotta, dotata di tipicità, atta a individuare in capo al predetto la meramente dedotta condotta agevolativa, tanto più ponendo mente al fatto che in questo specifico caso il GI. si pone quale extraneus rispetto a un reato proprio e che pertanto andrebbero semmai applicate le stringenti regole in tema di responsabilità dell'estraneo nel reato proprio. In ogni caso - ha proseguito la difesa concludendo con una disamina analitica, capo per capo dal B1 fino al MI, del compendio istruttorio acquisito in sede dibattimentale - il tribunale ha fatto malgoverno delle prove ignorando, anche per i suddetti reati di ostacolo, i pur esistenti elementi a discarico. 2.1.10 Con il ventesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il tribunale condannato il GI., in relazione al capo N1, per un fatto totalmente nuovo, naturalisticamente autonomo e non enunciato in alcun modo nel decreto che dispone il giudizio: non gli è infatti più stata ascritta una intesa, al riguardo, con il d.g. Sa.So. ma un contegno attuativo di condotte decisionali esclusive e autonome del So. stesso. In altri termini - ha proseguito la difesa - la condotta per la quale il GI. ha riportato condanna non è sovrapponibile a quella originariamente descritta nel decreto che dispone il giudizio. Di qui l'eccepita nullità. 2.1.11 Con il ventunesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio. In quest'ultimo infatti gli si contestava di avere preso parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti. La sentenza gravata, invece, pur dando atto (perché un tanto emerge dalla svolta istruttoria) che il contenuto dei prospetti è direttamente riconducibile alla condotta dolosa degli imputati ZO. e PI., e pur dando atto che il GI. - come pure l'altro imputato MA. - non era direttamente coinvolto nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ancora una volta ne ha fondato erroneamente la penale responsabilità (come già aveva fatto in relazione ai reati di ostacolo) sulla mera asserita consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. 2.1.12 Con il ventiduesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXII della parte V dell'impugnazione) l'appellante in subordine ha censurato il trattamento sanzionatorio sotto i seguenti profili: non corretta individuazione del reato più grave (ravvisato nel capo H1 quando viceversa, al momento di determinare la competenza territoriale dell'autorità giudiziaria vicentina, esso era stato identificato con il capo B1); mancata determinazione della pena base nei limiti di legge; mancata determinazione degli aumenti per la continuazione nel minimo di legge; mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. Illegittima deve ritenersi infine - e se ne è chiesta la revoca - la disposta confisca per equivalente non avendo il tribunale indicato le ragioni per le quali il GI. sia stato ritenuto responsabile dell'erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione del capitale finanziato de quo. 2.1.13 Con il ventitreesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXIII della parte VI dell'impugnazione) l'appellante, in relazione alle statuizioni civili, ha chiesto la revoca delle stesse; in ogni caso, e in subordine, ha chiesto sospendersi - sussistendo gravi motivi ex art. 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le partì civili. Riassuntivamente l'appellante GI. ha rassegnato le seguenti conclusioni: 1) In via preliminare principale di rito, riconosciuta l'incompetenza per territorio del Tribunale di Vicenza, pronunciarsi sentenza di annullamento ex art. 24 comma 1 c.p.p., della sentenza impugnata ordinando la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ovvero, in subordine, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano. 2) In via preliminare subordinata di rito annullarsi la sentenza impugnata ex art. 603 comma 4 c.p.p. sia in relazione al capo N1 che in relazione ai capi I e L per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il Tribunale di Vicenza condannato per fatti nuovi non enunciati nel decreto che dispone il giudizio. 3) In via principale di merito assolvere l'imputato GI. da tutti i reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o con altra formula ritenuta di giustizia. 4) In via subordinata di merito quanto al trattamento sanzionatorio, previa individuazione del reato più grave fra quelli ascritti nel capo B1, riduzione ai minimi di legge della pena base nonché di tutti gli aumenti operati per la continuazione interna con riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle residue aggravanti contestate. 5) In via subordinata quanto alle statuizioni civili, escludere quelli - fra soggetti costituitisi parti civili - da valutarsi come carenti di legittimazione attiva nei termini illustrati nel relativo motivo di gravame. In ogni caso revocare tutte le statuizioni civili e sospendere - sussistendo gravi motivi ex art 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le parti civili. 2.2 Appello proposto da Ma.Pa. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Ma.Pa.. 2.2.1 In particolare con il primo motivo, assai articolato, l'appellante ha censurato l'affermazione di responsabilità del MA. in relazione a tutti i reati contestati nel capo di imputazione sotto più profili che vengono qui di seguito illustrati. 2.2.1.1 Preliminarmente l'appellante ha eccepito la nullità della richiesta di rinvio a giudizio reiterando la già sollevata eccezione, respinta dal tribunale vicentino, di nullità delle notifiche dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. e dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare effettuate - nel domicilio da lui eletto in data 28.4.2017 nell'ambito del solo procedimento n. 5628/2015 RGNR, allora unico procedimento pendente a suo carico - con riguardo afte imputazioni relative alle condotte criminose che lo stesso MA., in tesi d'accusa, avrebbe posto in essere nell'anno 2015 (condotte che dapprima avevano costituito l'oggetto di un distinto procedimento recante il n. 5851/2017 RGNR, iscritto dalla Procura della Repubblica vicentina - a seguito del deposito dell'informativa finale 6.7,2017 della GdF di Vicenza estesa per la prima volta alle condotte commesse nell'anno 2015 - mediante stralcio dal già pendente procedimento n. 5628/2015 RGNR; indi riunito al suddetto procedimento n, 5628/2015 RGNR solo in occasione dell'udienza preliminare tenutasi nell'aprile 2018) per violazione dell'art. 157 c.p.p.. Ciò in applicazione del principio secondo cui l'elezione di domicilio effettuata dall'imputato ha validità unicamente nell'ambito del procedimento in relazione al quale essa viene effettuata, con divieto quindi di una sua ultrattività anche nei procedimenti connessi. 2.2.1.2 Indi l'appellante ha formulato richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, comprensiva in particolare del confronto tra il teste Cl.Am. (già responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B.) e il teste Ge.Sa. (componente del tea/77 ispettivo di Banca d'Italia che aveva operato nel 2012); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, sul file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (ciò solo per il caso di rigetto dell'eccezione di sua inutilizzabilità sulla quale v. infra); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, atta a valutare l'importo complessivo del capitale ritenuto finanziato, a individuare l'effettiva disciplina della sua deducibilità dal patrimonio di vigilanza e - prima ancora - a individuare i criteri che debbono essere utilizzati al fine di stabilire se un'operazione di finanziamento possa o meno dirsi correlata/finalizzata all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni. A tale ultimo proposito la difesa ha affermato di richiamarsi anzitutto alle articolate argomentazioni svolte dalla difesa ZO. (v. infra); ha evidenziato in ogni caso come emblematico, in ordine alla necessità di disporre perizia, il fatto che, mentre il tribunale ha avallato acriticamente il criterio temporale dei tre mesi (criterio basato su una indicazione del teste Ro. nonché adottato dall'ispettore Ma. e indi dai consulenti tecnici del P.M.), nondimeno l'espletata istruttoria dibattimentale ha in realtà consentito di appurare come il concretamente riscontrato intervallo temporale - a detta dello stesso teste Ma. - si fosse di fatto attestato attorno a un massimo di un mese circa. 2.2.1.3 L'appellante ha poi rinnovato la già svolta eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014; nel caso di specie, infatti, l'autore materiale della registrazione (uno o forse più tecnici all'uopo incaricati, a suo dire, dal segretario generale Ma.So.) era un soggetto - estraneo alla conversazione tra presenti in questione - che aveva operato da una consolle di registrazione sita all'esterno dell'aula consiliare e non vi era neppure stato ammesso ad assistere da alcuno se non eventualmente dal solo So. a insaputa di tutti gli altri partecipanti. 2.2.1.4 L'appellante ha lamentato un malgoverno delle prove in quanto la gravata sentenza, nonostante la mole ponderosa, si caratterizzerebbe: a) per una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) per una elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. In primo luogo, comunque, non è dato comprendere perché tutta una serie di soggetti (si sono indicati esemplificativamente i testi Cl.Gi., Co.Tu., Gi.Am. e altri), pacificamente resisi autori materiali delle medesime condotte contestate all'imputato, non siano mai stati nemmeno indagati in relazione a tali loro condotte. La suddetta considerazione è prodromica all'ulteriore doglianza difensiva concernente la totale assenza, nella gravata sentenza, di ogni e qualsiasi valutazione in ordine alla componente psicologica dei reati contestati. A tale ultimo proposito la difesa ha evidenziato in particolare come il MA. mai abbia sostenuto di ignorare l'esistenza in B. di operazioni di finanziamento correlato; egli in effetti ha costantemente dichiarato ben altro, ossia di essere sempre stato genuinamente convinto della piena liceità delle operazioni stesse: non solo tale tipologia di operazione veniva eseguito in B. già prima del 2009, anno di assunzione del MA., ma altresì egli, da neoarrivato, aveva ricevuto assicurazioni da vari colleghi, tra cui il GI., il Co. e il Se. (all'epoca responsabile della Divisione Crediti), sul fatto che - trattandosi di una banca cooperativa - non trovasse ad essa applicazione l'art. 2358 c.c.; in tale ultimo senso anzi la banca aveva a suo tempo richiesto e acquisito pure un parere legale formulato da uno studio incaricato ad hoc (trattavasi dello studio Erede-Bonelli; il parere, redatto da uno dei massimi esperti nella materia, era stato favorevole alla tesi della inapplicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative); in effetti la dottrina e la stessa giurisprudenza fino ad epoca assai recente si erano dimostrate tutt'altro che univoche sul punto. A ciò si aggiunge la circostanza che l'effettuazione di operazioni correlate fosse emersa, alla luce della svolta istruttoria dibattimentale, quale dato pienamente noto anche all'interna audit della banca (il che renderebbe assai precaria, sotto il profilo dell'attendibilità, la posizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'audit) nonché al suo ufficio legale (considerazioni analoghe a quelle relative al teste Bo. andrebbero dunque svolte anche con riguardo alla sua responsabile, l'altra teste avv. An.Pa.): né l'una né l'altra struttura avevano mar avvisato alcuno in B. circa il fatto che si stesse con ciò ponendo in essere un'attività illecita. Anzi la teste Pa. in sede dibattimentale si era trovata costretta ad ammettere che aveva effettivamente potuto visionare la pratica (pacificamente correlata) Ca.-Lu. ma che, essendosi essa positivamente conclusa, non aveva ritenuto di fare nulla. 2.2.1.5 L'appellante ha indi lamentato l'errata ricostruzione operata dal tribunale - alla pag. 678 della gravata sentenza - delle competenze della Divisione Crediti, affermando che i giudici vicentini si sono basati, al riguardo, essenzialmente su quanto affermato dal teste Gi.Sc. nella relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia (laddove lo stesso Sc. in sede dibattimentale ha ammesso di non conoscere le facoltà deliberative autonome riconosciute alla rete), mentre sarebbe stata obliterata la delibera del CdA 7.2.2012 (pur acquisita al fascicolo del dibattimento) la quale aveva ridisegnato le competenze e le funzioni della Divisione Crediti istituendo le Direzioni Regionali. In particolare non risponde affatto al vero - ha proseguito l'appellante - l'assunto del primo giudice secondo cui "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito (...) la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (affida menti) (e delle relative garanzie)". In rea Ita i I perfezionamento e l'erogazione degli affidamenti, come pure l'acquisizione delle eventuali garanzie ad essi relative, erano - nel periodo in esame - demandati a una società controllata da B. e denominata Servizi Bancari, come riferito concordemente in sede dibattimentale dai testi Cl.Am. e Sa.R. oltre che dallo stesso imputato MA.. La difesa del MA. ha affermato altresì che, sempre in tale passo dell'impugnata sentenza, i giudici vicentini hanno equivocato anche sul ruolo svolto dal teste Cl.Gi. indicandolo come "capo area di Vicenza" Al di là del refuso "13.6.2013" in luogo di "13.6.2019" riguardo alla data dell'esame testimoniale del Gi. (che pure - a detta dell'appellante - non depone a favore della precisione ricostruttiva complessivamente impiegata dal collegio giudicante), io stesso Gi. nel corso del suo esame testimoniale aveva chiaramente detto di avere assunto la carica di Direttore regionale Ve.Oc. all'indomani della modifica dell'organizzazione commerciale della banca, disposta nell'aprile - maggio 2012 con l'istituzione delle direzioni territoriali. Infine, e più gravemente, il passo in oggetto della gravata sentenza avrebbe totalmente travisato la stessa spiegazione, in sé completa ed esatta, fornita dal teste Gi.. Dalla parafrasi del tribunale pare che ad essere articolata su base territoriale decentrata fosse la Divisione Crediti ma ciò è difforme da quanto riferito dal teste Gi. (nonché da altri testi come ad esempio il teste Ma.Ba., il teste Lu.Ve. e il teste Gi.Am.): gli Uffici Crediti articolati su base territoriale erano infatti alle dipendenze delle Direzioni Regionali, le quali a loro volta erano gerarchicamente inquadrate all'interno della Divisione Mercati. In altri termini nel periodo 2012-2015 successivo all'ispezione della Banca d'Italia la situazione era la seguente: a) la Divisione Crediti non era coinvolta in alcun modo nell'erogazione e perfezionamento dei finanziamenti; b) ciò che al riguardo veniva deliberato -in piena autonomia - dalle Direzioni Regionali era completamente estraneo al perimetro conoscitivo della Divisione Crediti. Soltanto nel 2015, come riferito con chiarezza dal teste Cl.Am., l'assetto organizzativo di B. era variato nuovamente con il ritorno alla Divisione Crediti della competenza gerarchica sui crediti in rete. Nel periodo 2012-2015, viceversa, alla stregua delle suesposte considerazioni, essendo il processo del credito non accentrato, diversamente da quanto sostenuto nella gravata sentenza, la Divisione Crediti (il cui ruolo e la cui funzione erano circoscritti alla necessità di assicurare la qualità del credito e il recupero di esso) non aveva - né poteva avere - contezza della complessiva entità del capitale finanziato. 2.2.1.6 L'appellante ha poi evidenziato come nessun rilievo fosse stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti, tanto all'esito dell'ispezione del 2012 quanto all'esito di quella del 2015, mentre per converso erano stati formulati i seguenti rilievi per omissioni e carenze a vario titolo: contro i consiglieri di amministrazione in carica all'epoca dei fatti; contro i sindaci in carica all'epoca dei fatti; contro il direttore generale (Sa.So.) in carica all'epoca dei fatti; contro i vice direttori generali in carica all'epoca dei fatti An.Pi. (Divisione Finanza) ed Em.Gi. (Divisione Mercati); contro le funzioni aziendali di controllo - ossia contro i responsabili della funzione Internai Audit (Ma.Bo.) e della funzione Compliance (Gi.Fe.) - in carica all'epoca dei fatti. 2.2.1.7 L'appellante, con riguardo alla questione della c.d. "causale sentinella" connotata da estrema genericità, ha sollevato forti dubbi sulla valenza sintomatica attribuita in tesi d'accusa - e fatta propria dal tribunale vicentino - alla causale stessa, posto che: s lo stesso teste Gi.Sc., capo team dell'ispezione 2012, aveva affermato che 'le carenze nella causale non erano un fatto sistematico, perché altrimenti lo avremmo registrato nel rapporto o, perlomeno, non mi è stato restituito come un fatto sistematico, poi non posso evidentemente immaginare che tutte le PEF siano state esaustive (...)"; - anche il teste Ge.Sa., altro membro del team dell'ispezione 2012, aveva manifestato, sotto altro profilo, considerevoli dubbi sulla natura effettiva di "sentinella" in capo alla suddetta causale generica; - l'assoluta mancanza di rilievi in merito alla presunta genericità di tale, proposta di fido contenuta nella P.E.F. era stata confermata anche dal teste Ma.D.Bo. (all'epoca direttore dei Crediti Anomali nonché uno dei diretti interlocutori con il team ispettivo); - nemmeno l'ispettore Em.Ga. nel 2015, benché le regole da seguire e applicare fossero frattanto divenute più stringenti (in quanto non più di, matrice nazionale bensì europea), aveva proposto sanzioni al riguardo nemmeno aveva invitato la banca a modificare modulistica, procedura e altro in tema di credito; - la formula generica "cogliere opportunità di investimenti mobiliari e immobiliari", lungi dall'essere stata introdotta dal MA. come poteva sembrare leggendo la sentenza impugnata, preesisteva al suo arrivo in B. e d'altra parte non era applicata unicamente ad operazioni c.d. "baciate" (lo stesso teste Fr.Io., ossia il nuovo direttore generale succeduto a Sa.So., lo aveva confermato in sede dibattimentale al pari del teste Co.Tu.); - in relazione a tutte le operazioni finanziate, così come individuate dalla consulenza tecnica Ta.-Pa.-Ca., l'esame delle P.E.F. faceva emergere il dato statistico secondo cui circa il 40% dell'importo finanziato (esattamente il 41,44%) portava causali diverse da quella sopra indicata. 2.2.1.8 L'appellante ha confutato come non rispondente al contenuto complessivo dell'espletata istruttoria dibattimentale anche l'ulteriore assunto - di cui alle pagg. 680 e ss. della sentenza impugnata - secondo il quale le pratiche riguardanti le operazioni correlate dovevano necessariamente essere predisposte su un format fornito dalla Divisione Crediti, e ciò a pena di essere rifiutate, su disposizione apparentemente impartita dal MA., in caso contrario. In realtà tutti i testi sentiti al riguardo si erano espressi de relato riportando asserite affermazioni rese loro in tal senso dall'uno o dall'altro esponente della Divisione Mercati; non a caso l'espressione utilizzata al riguardo in sentenza - "Inoltre, si disse che tale dicitura era condivisa con la Divisione Crediti e avrebbe consentito l'approvazione della pratica" (cfr. pag. 680 cit.) - era quanto mai generica e impersonale. Anche quanto all'altro preteso indicatore univoco della natura correlata dell'operazione, oltre alla c.d. "clausola sentinella", ossia la c.d. "sfasatura temporale" tra l'erogazione del fido e l'acquisto di azioni, la difesa ha osservato che la sentenza impugnata pare volutamente confondere i piani intersecando l'unica disposizione data dal MA. al riguardo (ossia che il denaro del finanziamento erogato dovesse risultare già accreditato nel c/c prima di poter procedere all'acquisto delle azioni) con il fenomeno - del quale il MA. non era in alcun modo partecipe - dell'occultamento di tale procedura agli occhi dell'eventuale controllore. In altri termini il monito in questione, rivolto dal MA. al personale a seguito della reiterata disinvoltura dimostrata in passato da B. sull'argomento (cfr. ad esempio l'operazione Lu.-Ca.), disinvoltura che come tale era stata censurata dal team ispettivo del 2012, aveva il solo fine di evitare eventuali sconfinamenti in c/c come aveva ad esempio ben spiegato fra gli altri il teste Co.Tu.. Le stesse deposizioni che sul punto vanno apparentemente in senso sfavorevole al MA., segnatamente quelle rese dai testi En.Da., Gi.Am. e Al.Cu., sarebbero state riportate in sentenza dal tribunale vicentino solo per brevi stralci completamente decontestualizzati, sì da stravolgerne il senso. 2.2.1.9 L'appellante indi ha affrontato un altro tema (svolto dalla sentenza impugnata alle pagg. 686-687), quello della "campagna riqualificazione impieghi" - intendendosi per impieghi i prestiti - anche detta "pre-deliberato", connotata semplicemente dallo stanziamento, ad opera di B., di una rilevante somma finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate (ossia più vantaggiose) in sede di rinnovo o revisione degli affidamenti di clienti meritevoli di un particolare rating creditizio. Il compito della Divisione Crediti, a detta dell'appellante, era esclusivamente tecnico e riguardava solo l'individuazione dei criteri di rating da utilizzare per selezionare i clienti ai quali riqualificare il prestito, formare apposite liste e inviarle alla rete per la definitiva verifica. Il tutto - ha proseguito la difesa del MA. - è stato esaustivamente spiegato in dibattimento dai testi Cl.Am. e Ma.Ba. mentre l'appellante, contrariamente a quanto parrebbe desumersi dalla sentenza gravata, non aveva nulla a che vedere con le modalità, più o meno corrette, attraverso cui tale iniziativa era poi stata presentata dalla rete commerciale ai propri clienti, non potendo ascriversi all'imputato le eventuali pressioni esercitate dalla rete medesima ° nei confronti della clientela per accompagnare l'iniziativa con inviti ad acquistare azioni B.. Al riguardo, ad esempio, la sentenza impugnata valorizzerebbe al massimo grado la deposizione del teste Um.Se. ma da un lato trattasi di soggetto che risulta avere deliberato, egli sì, numerosi finanziamenti destinati all'acquisto di azioni (sia come predecessore del MA. alla Divisione Crediti - anteriormente all'introduzione delle Direzioni Regionali - e sia in seguito come direttore generale della controllata Ba.Nu.) mentre dall'altro lato la reale natura dell'iniziativa (di per sé priva di qualsivoglia rilievo nell'alveo del problema del capitale finanziato) risulterebbe assai meglio illustrata nella relativa delibera acquisita al fascicolo del dibattimento. Anche in tal caso comunque - secondo quanto ha lamentato la difesa - il tribunale avrebbe selezionato gli elementi istruttori omettendo di menzionare quelli favorevoli all'imputato. 2.2.1.10 L'appellante ha censurato altresì il grande rilievo attribuito dalla sentenza impugnata a una serie di note e di approfondimenti provenienti dall'audit nella persona del suo responsabile Ma.Bo., posto che - come già sopra accennato - questi, al pari dell'ufficio legale della banca, era perfettamente al corrente dell'esistenza della prassi delle operazioni di finanziamento correlato e che mai tali strutture avevano segnalato alcunché, fermo restando quanto già detto in ordine al convincimento del MA. circa la liceità di tali operazioni ed esulando dall'ambito delle sue competenze quella di controllare se poi il capitale finanziato con tali operazioni venisse correttamente scomputato dal patrimonio di vigilanza. Analogamente - ha proseguito l'appellante - si sarebbe dovuto considerare l'atteggiamento di fuga dalla responsabilità tenuto dal CdA (composto non già da persone digiune della materia ma da docenti universitari, da imprenditori di primo piano e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato), il quale, sottoscrivendo ogni delibera, aveva a sua volta scelto di abdicare al proprio compito di vigilare sul rispetto degli adempimenti e sulla corretta deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza. Oltretutto - ha notato la difesa - diversi altri componenti del CdA, e non solo l'imputato Gi.ZI., avevano sottoscritto essi stessi dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni B. 2.2.1.11 L'appellante si è diffuso a lungo sulle due ispezioni (Banca d'Italia 2012; BCE 2015) - in particolare sulla prima - evidenziando la necessità di un confronto tra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. che avevano reso deposizioni tra loro inconciliabili ed erano stati entrambi definiti "debolmente attendibili" dal tribunale (il primo aveva sostenuto che l'effettuazione delle operazioni correlate di finanziamento non fosse stata affatto taciuta al team ispettivo del 2012, con i quali egli aveva avuto una diretta interlocuzione; il secondo - incorso peraltro in pesantissime contraddizioni nelle diverse occasioni in cui era stato sentito durante le indagini preliminari e finanche sottoposto a intercettazione telefonica dagli inquirenti - era tornato, in sede dibattimentale, ad affermare il contrario, ritrattando quanto aveva detto da ultimo agli stessi inquirenti). Ad avviso dell'appellante, comunque, l'Am., responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B. nonché vice - assieme a Ma.D.Bo. - del MA., sarebbe assai più credibile del Sa. e più in generale dell'intero team ispettivo della stessa Banca d'Italia, la quale, dopo avere incentivato la crescita di B., non potrebbe, secondo la difesa, "permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva of peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello). Sul punto la difesa dell'appellante MA. ha menzionato l'esistenza nel web, quale fonte aperta, della registrazione di un colloquio intercorso nei primi mesi del 2014 fra il presidente di B. Zo.Gi., l'allora presidente di Ve.Ba. e l'allora capo della vigilanza della Banca d'Italia da cui si evinceva che quest'ultimo, nel ricordare ai suoi interlocutori che dal 4 novembre di quello stesso anno Banca d'Italia avrebbe dovuto passare ex lege la mano al SSM (Single Supervisory Mechanism) e che dunque i controlli sarebbero stati più severi, stava cercando di convincere Ve.Ba. ad unirsi con B.. 2.2.1.12 L'appellante ha evidenziato altresì come il tribunale non abbia riferito, nell'occuparsi della successiva ispezione del 2015, che in realtà il MA. non vi aveva nemmeno preso parte in quanto trasferito dal 18.12.2014 alla controllata siciliana Ba.Nu.. 2.2.1.13 L'appellante è poi passato a confutare con argomentazione particolarmente articolata (cfr. pagg. 126-149 atto di appello) l'assunto del collegio vicentino in ordine alla pretesa non credibilità e contraddittorietà del MA., sostenendo: a) che il contenuto dell'esame di questi sarebbe viceversa stato equivocato e travisato in più punti dal primo giudice; b) che tra i testi particolarmente valorizzati dal tribunale contro il MA. vi è ad esempio il teste Fu.Bo., non rientrante, così come vari altri, nel novero degli imputati solo a causa di una scelta operativa, definita "discutibile" degli inquirenti. Un soggetto, il Bo., che, in base al complesso dell'espletata istruttoria, emergerebbe viceversa come contraddittorio e poco credibile e del quale, in ogni caso, il tribunale (seguendo invero una tecnica redazionale spesso utilizzata nella gravata sentenza) avrebbe estrapolato solo alcuni frammenti di esame dibattimentale per lo più sfavorevoli al MA., senza porli a confronto con le rettifiche operate dallo stesso teste in sede di controesame. 2.2.1.14 L'appellante, con riguardo al capo MI relativo alle condotte di ostacolo contestate all'imputato MA. durante l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (Asset Quality Review), ha escluso anzitutto che l'AQR possa paragonarsi in tutto e per tutto a una normale ispezione, indicandone le ragioni (fra l'altro nel corso di essa, in relazione alle posizioni esaminate, nemmeno era prevista l'interlocuzione tra ispettori e funzionari dell'istituto) ed evidenziando fra l'altro, in tale contesto, come finanche la Banca d'Italia, una volta diffusi i risultati dell'AQR e dello stress test, avesse affermato che il Comprehensive Assessment era stato un esercizio di natura prevalentemente prudenziale e non contabile, ove si era fatto ricorso a metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili. Indi la difesa ha ricordato come, per costante giurisprudenza, in tema di ostacolo alla vigilanza assumano rilevanza penale solo quelle false informazioni - ovvero l'omissione o il nascondimento di informazioni - capaci di entrare in conflitto con l'esercizio della funzione concretamente svolta, presupposto a suo avviso non ricorrente nel caso in esame (fermo restando che al MA. non potrebbe contestarsi di avere taciuto al team l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, dal momento che egli era venuto a sapere di tali procedure, come altri in banca, solo all'esito dell'ispezione BCE del 2015; né in atti vi sarebbero elementi idonei a dimostrare il contrario, anzi tutti i testi escussi hanno concordemente dichiarato che le lettere di impegno al riacquisto non erano inserite nelle P.E.F., bensì venivano conservate in cartaceo presso le filiali ove il cliente aveva il c/c di riferimento; in nessun modo era segnalata l'eventuale presenza di tale impegno, che restava una pattuizione riservata tra il responsabile della rete di riferimento e la controparte). 2.2.1.15 L'appellante è passato quindi a contestare (cfr. pagg. 154-172 atto di appello) la configurabilità in capo al MA. di un apporto concorsuale rilevante ai sensi dell'art. 110 c.p., censurando anzitutto la struttura del capo d'imputazione, configurato nel senso di una piena e totale condivisione di tutti gli imputati in relazione alle condotte contestate, a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate, sul presupposto che "tutti avessero fatto tutto" e dunque sulla base di una sorta di automatismo presuntivo, A sua volta la motivazione sui punto della sentenza impugnata - circoscritta alla sua pag. 216 - è stata censurata dall'appellante come sbrigativa e insoddisfacente in quanto basata su un'asserita "consequenzialità" ("In questo contesto operativo, è consequenziale concludere che gli imputati - che nei diversi ruoli hanno posto in essere le singole condotte di manipolazione del mercato - avessero piena ed assoluta consapevolezza dell'occultamento di questa operatività al mercato e alla vigilanza") che non avrebbe invece fondamento alcuno. A parere della difesa nel dibattimento di primo grado non è stata fornita la prova che tutti gli imputati indistintamente, e l'appellante MA. in particolare, sapessero che le c.d. operazioni "baciate" non venivano scomputate dal capitale di vigilanza e che inoltre esse erano finalizzate - oltre che all'esigenza, a tutti nota, di svuotamento del fondo acquisto azioni proprie (soprattutto in coincidenza con il fine anno) nonché a creare liquidità per il mercato secondario - anche a fornire "una distorta immagine di solidità del mercato azionario ferma restando la forte differenza tra il flusso informativo che giungeva alla Divisione Crediti e quello, ben più intenso, diretto e pregnante, che invece perveniva alla Divisione Mercati e ne animava le riunioni. Al riguardo desta forte perplessità nell'appellante il fatto che una similare differenza di flussi informativi tra diverse Divisioni fosse invece stata valorizzata dal tribunale per assolvere il coimputato Ma.PE.. 2.2.1.16 L'appellante ha lamentato altresì come al MA. sia contestato di avere "avallato una prassi" senza tuttavia che - sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato - risulti provato che egli, divenuto a un certo punto consapevole che la prassi da tempo seguita era in realtà illecita, l'avesse ciononostante pervicacemente reiterata. Ha censurato altresì l'operato dell'Accusa la quale, pur dopo l'emersione di un fenomeno - nell'ambito di B. - di autonome potestà deliberative diffuse e non già accentrate, e pur avendo conferito la stessa Accusa a seguito di ciò ai propri consulenti tecnici il compito di redigere una relazione integrativa (atta a identificare, sulla scorta delle delibere esaminate, quale fosse l'organo deliberativo di volta in volta interessato), non vi ha tuttavia dato realmente seguito, astenendosi dal ripartire fra gli autori in concreto delle varie delibere le somme contestate nel capo di imputazione quale importo complessivo del capitale finanziato. D'altra parte - ha proseguito l'appellante - qualora gli inquirenti avessero effettivamente seguito tale ultima via si sarebbero necessariamente dovuti iscrivere nel registro degli indagati alcuni fra i testimoni dell'Accusa quali concorrenti materiali nel reato. Nondimeno, difettando il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso imputabile del maggiore capitale finanziato complessivo, non sarebbe possibile nemmeno valutare la reale offensività di ciascuna condotta. Il tutto comunque - ha precisato la difesa - vale, in relazione alla posizione del MA., per le sole contestazioni di fatti commessi fino al 18 dicembre 2014 dal momento che in tale data egli veniva rimosso dalla Divisione Crediti di B. e trasferito alla controllata Ba.Nu., Viceversa in sentenza il MA. è stato condannato - senza alcuna giustificazione - finanche per i fatti occorsi nell'anno 2015 (l'appellante ha osservato al riguardo che il responsabile della Divisione Crediti in carica per quegli importi è perfettamente identificabile trattandosi del teste non assistito, in quanto mai iscritto nel registro degli indagati, Al.Ba.). In via di mero subordine la difesa ha chiesto quindi che, nel caso di ravvisata penale responsabilità del MA., la stessa sia comunque ritenuta sussistente solo fino al 18 dicembre 2014. 2.2.2 Con il secondo motivo l'appellante ha censurato in via subordinata l'eccessività della pena inflitta, e ciò sia con riferimento alla pena base sia con riguardo agli aumenti operati per la ritenuta continuazione. 2.2.3 Quindi, con il terzo motivo, l'appellante - in via di ulteriore subordine - ha chiesto valutarsi le già riconosciute attenuanti generiche come prevalenti sulle contestate aggravanti nell'ambito del giudizio di bilanciamento. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: 1) assoluzione dell'imputato Ma.Pa. per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato; 2) in subordine, riduzione della pena inflitta (sia attraverso una diminuzione della pena base, quantificata nei minimi edittali, sia attraverso una riduzione dell'aumento operato per la continuazione); 3) in ulteriore subordine, riduzione della pena inflitta per effetto del richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. 2.2.4 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa ha ulteriormente argomentato in ordine alla già chiesta riapertura dell'istruttoria dibattimentale, insistendo in maniera particolare nella richiesta di confronto fra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. e chiedendo altresì, trattandosi di sopravvenienze: a) l'acquisizione dei verbali relativi alle dichiarazioni testimoniali rese dai predetti (Am. all'udienza 8.3.2022; Sa. all'udienza 18.3.2022) nel distinto procedimento rubricato al n. 1031/2020 pendente dinanzi al Tribunale di Vicenza in composizione collegiale a carico di So.Sa.; b) disporsi, sotto forma di perizia, l'estrazione dei dati contenuti nel server di SEC Servizi corrente in Padova, e ciò al fine di accertare la concreta attività svolta dall'ispettore Ge.Sa. nel corso dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia, con particolare riguardo a quanto da lui visionato nei giorni dall'1 al 7 luglio 2012. 2.3. Appello proposto da Pi.An. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Pi.An.. 2.3.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione), l'appellante ha dedotto, richiamando alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p. dovuta alla totalmente omessa considerazione non soltanto di tutti i cospicui contributi orali e documentali forniti dalla difesa nel corso dell'intero dibattimento (inclusi i controesami difensivi - talora viceversa rivelatisi decisivi - dei testi a carico) ma altresì delle argomentazioni difensive esposte in una specifica ampia e dettagliata memoria depositata, nelle forme delle note d'udienza, in data 19 gennaio 2021. 2.3.2 Quindi, con il secondo motivo, l'appellante ha eccepito la violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p., nonché una carenza assoluta di motivazione, in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di coerenza intrinseca ed estrinseca delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri., sulle quali si fonda - a suo avviso in via esclusiva - la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata, e ciò benché la difesa avesse evidenziato, tanto in sede di discussione quanto nelle anzidette note d'udienza depositate il 19.1.2021, evidenti profili di inattendibilità e inutilizzabilità delle rispettive deposizioni. L'appellante ha evidenziato al riguardo i seguenti elementi: - i testi in questione sono soggetti che avevano contribuito in prima persona -loro sì materialmente - a quelle stesse condotte formanti l'oggetto della "prassi" contestata agli imputati, e in particolare al PI., nei capi d'imputazione, il che avrebbe quanto meno imposto un vaglio particolarmente stringente in ordine alla loro credibilità soggettiva e all'attendibilità di quanto da loro dichiarato; - oltre a ciò la pendenza del procedimento penale n. 2147/2019 RGNR (relativo alle asserite condotte di bancarotta connesse alla messa in L.C.A. di B. ha posto i predetti testi nella condizione di dover salvaguardare se stessi dal concreto rischio di essere incriminati in quel procedimento (nel cui ambito il Pubblico Ministero non aveva ancora cristallizzato l'imputazione né aveva ancora definito tutti i coindagati); - gli stessi testi, benché fossero stati sentiti a s.i.t. nel procedimento penale n. 2147/2019 RGNR proprio a ridosso della data del loro esame dibattimentale nel presente procedimento, in quest'ultimo hanno manifestato incertezze e lacune tali da rendere necessarie continue contestazioni, quando non addirittura letture diffuse - "in aiuto alla memoria" - dei verbali delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari quanto ai fatti che qui occupano (ciò varrebbe in particolare per i testi Ma.So. e Fi.Ro.); - più d'uno fra i suddetti testi si ritiene versi, in realtà, addirittura (come già eccepito in primo grado) in una condizione che ne avrebbe reso necessario l'esame nelle forme di cui all'art. 210 c.p.p. dal momento che a loro carico ricorrono obiettivi indizi di reità, quanto meno secondo i canoni del concorso di persone del reato, e ciò in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, con la conseguente necessaria escussione non già come testimone bensì quale imputato di reato connesso ai sensi dell'art. 210 c.p.p.. Viceversa sul punto la sentenza impugnata non contiene considerazioni di sorta; - a ciò conseguirebbe la vera e propria inutilizzabilità delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri.; - ancor più peculiare sarebbe in realtà la posizione del teste Al.Ma. (sentito in qualità di testimone ex art. 194 c.p.p. all'udienza del 26.11.2020) posto che, successivamente al deposito della sentenza impugnata, è entrato nella disponibilità della difesa dell'imputato PI. (che lo ha allegato all'atto di appello e che ne ha chiesto - formulando istanza di rinnovazione probatoria ex art. 603 c.p.p. - l'acquisizione) un atto di esecuzione di perquisizione e sequestro a carico del Ma., eseguito per rogatoria dall'A.G, lussemburghese e datato 9.10.2020 (antecedente quindi all'esame dibattimentale del teste nel presente procedimento), dal quale si evincerebbe che anche il predetto Ma. - così come il teste pacificamente ex art. 210 c.p.p. Gi.St., avvalsosi in dibattimento della facoltà di non rispondere - all'epoca della sua deposizione già era iscritto (addirittura a far tempo dal 29 luglio 2020, in tesi difensiva) nel registro degli indagati del procedimento connesso n. 2147/2019 RGNR; - la vicenda relativa al teste Ma. viene indicata come di evidente gravità (la Procura della Repubblica vicentina non aveva, all'evidenza, mai reso noto che il teste, ben prima della sua ammissione ex art. 507 c.p.p., si trovasse già indagato in un procedimento fortemente connesso) ma l'unica sanzione di tale grave violazione delle garanzie difensive risiederebbe - in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità - nell'inutilizzabilità della relativa deposizione. 2.3.3 Quindi, con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 3 dell'impugnazione, a sua volta articolato in più sotto-paragrafi che vanno dal 3.1 al 3.10), l'appellante ha eccepito il malgoverno delle prove da parte dell'impugnata sentenza, la quale a suo avviso ha ricostruito i fatti in modo incompleto e unilaterale, omettendo di considerare prove decisive in favore dell'imputato. E' stata altresì eccepita la violazione degli artt. 43 e 110 c.p. per essere del tutto carente la motivazione in merito alla prova del concorso del PI. ex art. 110 c.p. nelle condotte contestate, come pure in merito alla prova del dolo che tali condotte dovrebbe sorreggere. Più in particolare l'appellante ha osservato quanto segue; - il ragionamento probatorio del tribunale muove da un'adesione tanto incondizionata quanto infondata dello stesso alla tesi accusatoria circa la strumentali delle condotte di aggiotaggio rispetto a quelle di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza; strumentalità da cui deriverebbe quale consequenziale conclusione il concorso ex art. 110 c.p. di tutti gli imputati aventi posto in essere singole operazioni correlate (e dunque singole condotte di manipolazione del mercato) in tutte le ipotesi di reato contestate nei numerosi capi d'imputazione, e ciò indipendentemente dall'acquisizione di qualsivoglia prova in ordine alla conoscenza, rappresentazione e volontà del fenomeno e della vicenda intesi nella loro complessità; trattasi però di motivazione basata, come tale, su meri sillogismi e asserite prove logiche aventi invece dignità di mera congettura. A ciò si aggiungono, in più passi della gravata sentenza, il vero e proprio travisamento delle prove e/o l'attribuzione di rilevanza a elementi che ne sono del tutto privi (come ad esempio l'assunto - in realtà nemmeno dimostrato - che il PI. fosse uno dei più stretti collaboratori del direttore generale Sa.So.); s per il PI. era impossibile avere conoscenza della "prassi" della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. dal momento che la Divisione Finanza da lui guidata non era, né poteva essere, destinataria dei relativi flussi informativi e ferma restando l'assoluta segretezza con cui la Divisione Mercati, la Divisione Crediti e il Comitato Soci gestivano il fenomeno in oggetto (da soli sotto il controllo del direttore generale Sa.So.); oltretutto la presenza del PI. presso la sede di Vicenza di B. si limitava a una cadenza settimanale (ogni martedi, giorno in cui - pressoché settimanalmente - si teneva il CdA); - in prime cure è stata attribuita una grande rilevanza al fatto che il PI. avesse partecipato al comitato di direzione dell'8.11.2011 ma in realtà il teste Ma.So., assai valorizzato al riguardo, nel deporre non ha riferito un suo ricordo bensì una interpretazione di un suo appunto senza riuscire a ben rammentare cosa fosse effettivamente successo nell'occasione; in altri termini dal materiale probatorio in atti non riesce ad evincersi se davvero i presenti avessero ivi toccato il tema delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni B., considerando anche la ben scarsa attendibilità complessiva del teste assistito Fr.To., che aveva deposto nella veste di imputato di reato connesso ex art. 210 c.p.p. e che, anteriormente alla sua iscrizione nel registro degli indagati, aveva reso dinanzi agli inquirenti dichiarazioni di tenore tutt'affatto differente; v la motivazione della sentenza impugnata è in ogni caso illogica laddove ha mandato assolto, viceversa, l'imputato Ma.Pe. -responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione - che pure aveva partecipato anch'egli a quello stesso Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (assurto invece a "pietra miliare delta responsabilità addebitata al Dott. i Pi.": cfr. pag. 42 atto di appello), ritenendolo attendibile allorquando egli aveva sostenuto di non aver dato peso adeguato, in quell'occasione, agli interventi di Fr.To. e Um.Se. (rispettivamente facenti capo alle controllate Ca. e Ba.Nu.), che si erano riferiti - peraltro in maniera molto superficiale - alla possibile adozione di operazioni "baciate", posto che all'epoca egli nemmeno conosceva la parola "baciata". Non si comprende - prosegue la difesa - perché le analoghe dichiarazioni rese, su tale specifico punto, dal PI. non siano invece state valutate in senso a lui favorevole; - considerazioni analoghe valgono circa l'asserita rilevanza della partecipazione del PI. a ulteriori comitati e/o riunioni successivi all'8.11.2011, fermo restando che né l'appellante né alcun suo sottoposto constano aver preso mai parte alle riunioni della Divisione Mercati diretta da Em.Gi.; - vengono evidenziate le deposizioni rese dal teste Gi.Am., il quale ha espressamente escluso (dopo aver riferito di avere partecipato a 3-4 riunioni del Comitato di Direzione nel 2014) che nel corso di quegli incontri si fosse fatto riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione delle azioni B., e dal teste Ad.Ca., espressosi in senso analogo; - il lamentato malgoverno delle prove (e in particolare la totale pretermissione di elementi di prova favorevoli all'imputato PI., inclusi gli esiti del controesame del teste Tagliabue) avrebbe indotto il tribunale vicentino a ritenere - a torto - che il PI. abbia avuto un ruolo nel rilascio di lettere di impegno; quanto poi alla vicenda del teste Fa. l'appellante ha evidenziato come quest'ultimo avesse investito nell'acquisto di azioni B. non già capitale finanziato dalla stessa banca bensì capitale proprio; in ogni caso la lettera di impegno rilasciata al Fa., e a questi esibita in primo grado, risulta sottoscritta - su richiesta dello stesso Fa. - dal direttore generale So. proprio in quanto il PI. aveva rifiutato - come confermato sempre dal teste Fa. - ogni diretto coinvolgimento in un ambito chiaramente esulante dalle competenze della Direzione Finanze di sua pertinenza; infine la lettera rilasciata al Fa. non potrebbe nemmeno definirsi d'impegno, da essa derivando al più una mera disponibilità non vincolante; - quanto all'episodio della società di revisione K. va escluso - secondo la difesa - che il PI. abbia apostrofato l'avv. An.Pa., dell'uffici" legale, con l'icastica e colorita espressione da costei attribuitagli, dato che il parimenti presente dott. Ma.Pe. ha affermato, nel corso del suo esame dibattimentale, di non serbarne ricordo; - quanto alla vicenda delle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" la difesa ha evidenziato come la svolta istruttoria abbia fatto emergere, quale unico autore delle relative operazioni di finanziamento correlato, proprio il dott. Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese B. Fi., la cui deposizione testimoniale - perno della tesi accusatoria sul punto - deve quindi ritenersi inattendibile (se non inutilizzabile per i motivi già visti supra), oltre che basata su mere congetture e ricca di inesattezze e lacune; per giunta la deposizione dell'altro teste Gi.Gi. (appartenente alla Divisione Mercati), ritenuta in sentenza un riscontro a quella del teste Ra., secondo l'appellante è stata travisata giacché in realtà sarebbe, nel suo complesso, di tenore esattamente opposto (anche se il primo giudice ha omesso di considerarne la parte contenente elementi di discolpa per il PI.); lo stesso è a dirsi per la deposizione del teste Gi.Fe. della Co. (che, secondo la difesa, lungi dal riscontrare la deposizione del RA., l'avrebbe confutata). In ultima analisi la deposizione del teste Ra. deve ritenersi priva di riscontri, s quanto alla partecipazione del PI. al Comitato di Direzione del 10.11.2014, il relativo file audio non sarebbe acquisibile ex art. 234 c.p.p., e comunque andrebbe dichiarato inutilizzabile; sul punto l'appellante si è associato, come già in prime cure, alla relativa eccezione svolta dalla difesa del coimputato MA., svolgendo argomentazioni analoghe. Ad ogni modo, anche a voler ritenere acquisibile e/o utilizzabile quel file audio (e la relativa trascrizione), la sentenza ugualmente risulterebbe viziata da un'erronea valutazione degli interventi del PI. in quella sede, il cui tenore testuale (a ben guardare finanche contrario alle proposte fatte dal direttore generale So.) sarebbe stato travisato. Inoltre si è sottolineato (cfr. pag. 93 atto di appello) come il lamentato mancato espletamento di una perizia al riguardo impedisca oltretutto l'individuazione dei partecipanti al comitato e la corretta attribuzione dei singoli passaggi ai rispettivi loro autori. 2.3.4 Quindi, con il quarto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. giacché il fatto ritenuto in sentenza - con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B. - non risulta indicato in alcuno dei capi d'imputazione così come formulati dall'Accusa nei confronti dell'imputato PI., In alcun modo tali condotte, ritenute in sentenza commesse dal PI. nonché penalmente rilevanti, potrebbero rientrare nella contestatagli "prassi aziendale" avente ad oggetto "finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario. E d'altra parte, con ogni evidenza, l'investimento in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) non ha alcuna attinenza con l'erogazione del credito né alcuna connessione con le prassi decettive in seno a tale erogazione effettuate da altri. 2.3.5 Quindi, con il quinto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5, 6, 7 e 8 dell'impugnazione), l'appellante ha contestato anche nel merito la fondatezza dell'accusa con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B.. Trattasi a suo dire di contegno non addebitabile al PI., pur non avendo questi mai negato di avere avuto un ruolo nella sottoscrizione dei fondi in questione. L'appellante ha evidenziato al riguardo quanto segue: s la unknown exposure non è sinonimo di decettività (in base alla deposizione del teste Da.Es., del Risk Management, il Comitato Finanza, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, era correttamente informato di tutti i dati trasmessi dai fondi senza che alcun suo componente avesse mai lamentato profili di irregolarità); - il ricorso a fondi dedicati (che la gravata sentenza impropriamente definisce "gestione patrimoniale") era prassi diffusa tra gli istituti di credito, non solo italiani, come riferito anche dallo stesso teste Al.Ma., che pure per altri versi - ma non per questa parte della sua deposizione - risulta essere stato assai valorizzato, benché in realtà già indagato in procedimento connesso, dal giudice di prime cure; - le finalità per le quali tale investimento era stato autorizzato (vale a dire il reperimento di liquidità) erano state correttamente perseguite dal PI.; - irrilevante deve ritenersi, a fronte di altre emergenze istruttorie purtuttavia pretermesse dal tribunale, il da esso valorizzato doc. n. 350 delle produzioni del Pubblico Ministero (invero mai pervenuto nella sfera di conoscenza del PI.; né il suo invio aveva avuto alcun seguito); - la sentenza gravata ha travisato il contenuto delle deposizioni rese dai testi Fi.Ro., An.Su. (quest'ultimo peraltro connotato da evidenti profili di inattendibilità), Pi.Ra. e Al.Ma.; s più in generale (come dimostrato anche dalla vicenda dell'acceso confronto tra il teste avv. An.Su. e il teste Pa.Al., quest'ultimo responsabile della direzione Gl.Ma. all'interno della Divisione Finanza di B.; vicenda riferita nel suo esame dibattimentale dallo stesso teste Al.) si è evidenziata l'inattendibilità della ricostruzione della situazione offerta dagli esponenti di "Op." (testi Ma. e Su.), in quanto connotata da un chiaro tentativo di addossare agli esponenti di B., e segnatamente della sua Divisione Finanza, responsabilità eventualmente proprie del suddetto fondo; - peraltro - ha osservato l'appellante - l'attività istruttoria dibattimentale risulta essersi concentrata tutta su "Op." rimanendo carente sul conto di "At."; - la detenzione indiretta di azioni B. mediante i fondi "Op." e "At." in ogni caso non conduce alla prova del concorso del PI. nelle contestate condotte di aggiotaggio manipolativo sicché la sentenza presenta un vizio di motivazione sul punto, ferma restando in proposito la totale inattendibilità del teste Fi.Ro. (reso destinatario di corpose e continue contestazioni operate in dibattimento dal P.M., il Ro. era stato, fra l'altro, platealmente smentito dal teste Ti.Ch. - esponente del broker Ma.Sp. - circa la da lui asserita conoscenza tra questi e il PI., negata dal Ch.); - la condotta ascritta al PI. in relazione ai fondi "Op." e "At." neppure potrebbe condurre alla prova di un concorso dell'appellante nelle contestate condotte di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, sicché la sentenza risulta erroneamente motivata sul punto con violazione degli artt. 43 e 110 c.p., tanto più che, con il mutare della normativa di settore a seguito dell'introduzione del CRR (Capital Requirements Regulation), Regolamento UE n. 575/2013, le strutture incaricate della tenuta delle comunicazioni avevano tempestivamente adottato le richieste da indirizzare ai fondi, come chiaramente illustrato dal teste Lu.Tr.; - la motivazione della sentenza è illogica nella parte in cui, con riferimento alla posizione personale di altro imputato e segnatamente di Pe.Ma., ha ritenuto sufficiente ad escluderne la responsabilità -mandandolo così assolto - il fatto che avesse formulato una richiesta di informazioni circa i sottostanti ai fondi de quibus. Il PI. infatti, dal canto suo, non solo non aveva avuto conoscenza dell'investimento operato dai fondi stessi in azioni B. ma neppure aveva inteso in alcun modo ostacolare la conoscenza dei sottostanti dei fondi medesimi da parte delle altre funzioni dell'istituto di credito, in particolare da parte delle funzioni di controllo; di fatto, anzi, il PI. aveva delegato i rapporti con i fondi ad altre strutture di B. diverse dalla Divisione Finanza, senza mai avere anche solo azzardato la minima ingerenza nelle loro funzioni; - l'assunto del primo giudice secondo cui anche la fase di dismissione delle azioni B. da parte di "Op." sarebbe stata eterodiretta dal PI. in veste di "regista" non risponde al vero e risulta anzi smentito - sempre secondo l'appellante - dalla deposizione del teste Ti.Ch., esponente del broker Ma.Sp., che evidenzierebbe altresì l'assoluta inattendibilità sul punto del teste Ro.Ri. (appartenente alla rete commerciale e per parte sua artefice di numerosissime operazioni correlate); il Ri. era infatti giunto ad affermare che il PI. lo aveva messo in contatto con il Ch. il quale invece come già detto sopra, negava di conoscere l'imputato. 2.3.6 Quindi, con il sesto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 9 dell'impugnazione), l'appellante ha argomentato in ordine alla dedotta insussistenza di un concorso ex art. 110 c.p., del PI. nella asserita Op." posta alla base di tutti i capi di imputazione, della quale viceversa egli non era consapevole né tantomeno ad essa aveva aderito. Né certo un siffatto apporto concorsuale poteva desumersi dall'assunto che, in quanto vicedirettore generale in B., egli fosse necessariamente vincolato alle scelte del direttore generale Sa.So.. In realtà, essendo concepita l'imputazione come una contestazione complessiva di tutte le condotte in essa descritte nei confronti di tutti gli imputati, ipotizzandosi ivi un concorso di reati riuniti sotto la disciplina della continuazione, la gravata sentenza, ad avviso dell'appellante, non ha assolto al suo onere che era quello di dimostrare - sulla base però di elementi di prova certi e non di mere congetture - che l'imputato: a) fosse consapevole delle condotte poste in essere da tutti o parte degli altri pretesi concorrenti; b) avesse agito con la volontà di portare a compimento il reato. Non è in altri termini condivisibile, per la difesa, l'argomentare di una sentenza la quale, di fatto, finisce con il ricondurre vicende di enorme complessità, articolatesi nel corso di un non trascurabile lasso temporale -nonché coinvolgenti decisioni, valutazioni e specifiche azioni di controllo ascrivibili a una pluralità estremamente variegata di soggetti - a un unico semplicistico schema interpretativo che ripropone il parimenti semplicistico approccio dello spunto investigativo iniziale. Secondo l'appellante va poi considerato quanto segue: - con riguardo alla pretesa manipolazione informativa ogni concorso del PI. deve essere escluso, non avendo egli mai preso parte in alcuna misura alla definizione del contenuto dei comunicati stampa oggetto di contestazione; - con riguardo alla pretesa manipolazione operativa e al preteso ostacolo alla vigilanza la sentenza pretermette diversi fattori di elevata importanza: a) nessuna delle operazioni attribuite in ottica di accusa al PI. risultava essere stata ancora attuata all'epoca della conclusione dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia (peraltro mirata unicamente alla verifica del rischio di credito di B.): al 12 ottobre 2012, infatti, Sa.So. e Pi.Ra. non avevano ancora sottoscritto la partecipazione ai fondi lussemburghesi "Op." e "At." né tantomeno la controllata irlandese B. Fi., della quale il Ra. era il direttore generale, aveva erogato i finanziamenti alle società lussemburghesi Br.; c) nel caso dell'ispezione BCE, iniziata il 26 febbraio 2015, B. aveva già comunicato al Regolatore le informazioni frattanto ricevute dai gestori dei suddetti fondi in ordine al preciso ammontare di azioni B. detenute dai comparti di "Op." e "At.", e ciò a far data dal luglio 2014, in perfetta ottemperanza agli obblighi informativi imposti dal CRR (Regolamento UE 575/2013); che la stessa BCE fosse stata portata a conoscenza di un tanto emergeva altresì dal suo stesso rapporto ispettivo del 2015; - manca, in ogni caso, totalmente la prova del dolo; anzi le conversazioni captate del PI. evidenzierebbero un tenore chiaramente incompatibile con la consapevolezza tipica del partecipe. 2.3.7 Quindi, con il settimo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 10 dell'impugnazione), l'appellante in subordine, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio ne ha lamentato il carattere sproporzionato. Ha chiesto altresì che le già riconosciute attenuanti generiche siano valutate prevalenti sulle contestate aggravanti in sede di giudizio di bilanciamento. Ha ribadito inoltre le argomentazioni - già svolte in sede di discussione dinanzi al tribunale - circa la necessità di ricondurre a un'unica fattispecie di ostacolo alla vigilanza le plurime condotte configurate, in tesi d'accusa e in sentenza, come altrettanti reati distinti, fra loro unificati nel vincolo della continuazione. Ha richiamato al riguardo la giurisprudenza di legittimità che costruisce il reato ex art. 2638 comma 2 c.c., come suscettibile di assumere carattere eventualmente permanente. In tal caso, indipendentemente dalla reiterazione dell'invio di comunicazioni mendaci, la prima condotta deve intendersi assorbire le successive. Ha aggiunto che la strumentalità della fattispecie di ostacolo rispetto a quella di aggiotaggio fa sì che il disvalore della condotta decettiva si esaurisca tutto nell'evento del delitto di aggiotaggio. Ritenere diversamente si tradurrebbe altresì in una violazione del principio nemo tenetur se detegere, recentemente meglio delineato da Corte Cost. n. 84 del 2021. 2.3.8 Quindi, con l'ottavo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 11 dell'impugnazione), l'appellante ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018, che aveva risolto in favore del foro vicentino un conflitto di competenza sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore), e ciò sulla base di argomentazioni analoghe a quelle dell'appello ZO. (v. infra) - al quale qui si rinvia per il resto - ovvero in favore del Tribunale di Milano, sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (se ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile). 2.3.9 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa dell'imputato PI. ha ulteriormente argomentato in ordine: a) all'incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza; b) alla violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p. in relazione all'escussione di vari testi; c) alla violazione del principio nemo teneturse detegere. Conclusivamente, quindi, l'appellante ha chiesto l'annullamento o la riforma della sentenza e dell'ordinanza di rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale contestualmente impugnate, instando per l'assoluzione dell'imputato Pi.An. con la formula più ampia. 2.4 Appello proposto da Zo.Gi. Avverso detta sentenza (e con contestuale riferimento alle ordinanze del GUP e del tribunale emesse rispettivamente nelle date del 19.5.2018 e del 7.5.2019, entrambe di rigetto della già proposta eccezione di incompetenza territoriale) ha interposto appello il difensore di Zo.Gi. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti ed i capi della sentenza relativi, nell'ordine, alla competenza territoriale, alla affermazione di penale responsabilità, alla condanna risarcitoria ed alle spese processuali, al trattamento sanzionatorio, al mancato riconoscimento del concorso apparente tra le fattispecie contestate, alla confisca per equivalente e, infine, alla mancata assunzione di perizia. 2.4.1 In particolare, dopo una "introduzione" (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione) finalizzata ad evidenziare gli effetti, ritenuti pregiudizievoli per la serenità del giudizio, della "pressione" esercitata, nel contesto locale, dagli organi di informazione (argomenti già posti a fondamento della richiesta di remissione del giudizio ex art. 45 c.p.p., pure disattesa dalla Corte di Cassazione) il difensore, con il primo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 2.1 a 2.8 dell'impugnazione), ha censurato il rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale. In effetti, premesso: - che la sentenza della Corte di Cassazione n. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018 era stata motivata sul rilievo della connessione per continuazione tra i reati, rispettivamente, di cui ai capi E1 e B1, con la precisazione che il più risalente reato di ostacolo alla vigilanza oggetto di tale ultimo capo di imputazione doveva intendersi verificato in Vicenza, in quanto luogo nel quale "vengono assunte le determinazioni degli organi sociali"; - che, in sede di udienza preliminare, era stata ribadita la competenza del Tribunale di Vicenza in ragione della ritenuta infondatezza della contraria tesi difensiva che sollecitava l'individuazione presso la sede, in Roma, della Banca d'Italia, destinataria della comunicazione ICAAP, del luogo di commissione di tale reato (infondatezza argomentata sul rilievo della necessità di valutare la competenza alla stregua del perimetro dell'imputazione, rispetto al quale dovevano ritenersi estranee le vicende relative all'invio della predetta comunicazione); - che il Tribunale, con ordinanza 7,5.2019, aveva nuovamente confermato tali conclusioni, dichiarando inammissibile l'eccezione difensiva (riproposta nei medesimi termini) in ragione della preclusione derivante dalla vincolatività della citata pronunzia della Corte di Cassazione e, in ogni caso, ne aveva sostenuto l'infondatezza in considerazione della necessità di ancorare il giudizio in materia di incompetenza alla prospettazione accusatoria che, nella specie, non contemplava la contestazione dell'invio della comunicazione ICAAP; - che, infine, nella sentenza impugnata, erano state ancora una volta ribadite le argomentazioni (vincolatività della sentenza della Corte di cassazione, non superata da fatti nuovi; estraneità al perimetro dell'imputazione di riferimento della condotta dell'invio alla Banca d'Italia della comunicazione ICAAP) esposte nella precedente ordinanza 7.5.2019, il difensore ha contestato le conclusioni cui era pervenuto, sul punto, il primo giudice. Quanto al primo profilo, era errato sostenere la vincolatività della decisione della Corte di Cassazione. Si era in presenza, infatti, di pronunzia attinente ad uno specifico thema decidendum (quello della necessità di dirimere il contrasto inerente all'attribuzione della competenza - rispetto a reati oggetto di provvedimento cautelare - all'autorità giudiziaria vicentina, ovvero milanese) in ordine al quale era rimasta del tutto estranea la questione della eventuale competenza del Tribunale di Roma, in quanto non ricompresa nel perimetro del devolutum (come desumibile dalla stessa lettura della citata sentenza n. 15537/2018, sentenza dalla quale emergeva chiaramente che la Corte di cassazione, ai fini della decisione del conflitto, non aveva preso in considerazione la circostanza, pure nota al giudice di legittimità, della sopravvenuta iscrizione per il reato di falso in prospetto e come, del resto, confermato dallo stesso tribunale di Vicenza, a pag. 240 della sentenza impugnata). In ogni caso la diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito impediva che potesse legittimamente evocarsi, sul punto, qualsivoglia preclusione processuale. Quanto al secondo profilo, por, ha contestato l'estraneità dell'invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia rispetto al perimetro dell'imputazione di cui al predetto capo B1. A ben vedere, infatti, il riferimento alle comunicazioni ed alle segnalazioni all'autorità di vigilanza, siccome contenuto nel medesimo capo di incolpazione, avrebbe dovuto ritenersi, all'uopo, del tutto sufficiente, trattandosi di riferimento effettuato in modo generico (e, quindi, necessariamente tale da ricomprendere anche l'invio della citata comunicazione). Ciò posto, l'appellante: - evidenziato il difetto di vincolatività della decisione della Corte di Cassazione n. 15537/2018; - sottolineato che l'invio della comunicazione ICAAP (pacificamente costituente, per l'importanza di tale adempimento, il primo degli atti di sviamento della funzione di vigilanza) doveva ritenersi ricompreso nel perimetro dell'imputazione; - precisato, in ogni caso, che il tribunale ben avrebbe potuto attribuire a tale comunicazione il doveroso rilievo, senza affatto indebitamente anticipare un sindacato di merito sulla falsità della comunicazione medesima (donde, anche sotto tale profilo, l'infondatezza delle argomentazioni poste dal primo giudice a fondamento del rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale); - osservato, ancora, che l'indicazione del luogo di consumazione del reato siccome indicato in imputazione Vicenza") non poteva ritenersi vincolante, allorché, come nella specie, un diverso focus commissi delicti ("Roma", sede della Banca d'Italia) fosse ricavabile dagli atti posti a disposizione dei giudicante (il GUP, prima; il tribunale, poi); s e rimarcato, infine, che il primo giudice nell'esercizio del potere/dovere di correggere l'errore nel quale era incorso il P,M. nell'individuazione del luogo di consumazione del reato non avrebbe affatto incontrato i limiti costituiti, rispettivamente, dal carattere macroscopico dello sbaglio e dalle circostanze di fatto siccome descritte in imputazione, purché queste ultime fossero, come nella specie, risultanti ex actis (pena la violazione dei principi in materia di obbligatorietà dell'azione penale e di rispetto del giudice naturale precostituito per legge), ha ribadito l'incompetenza del tribunale di Vicenza per essere competente il tribunale di Roma e, pertanto, ha sollecitato la declaratoria di nullità delle impugnate ordinanze e, quindi, della sentenza che le aveva confermate. 2.4.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 3.1 a 3.6 dell'impugnazione), poi, ha contestato l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, affermazione basata su una motivazione, al contempo, carente e contraddittoria rispetto a specifiche emergenze processuali. Per un verso, infatti, il tribunale aveva omesso di considerare molteplici elementi probatori, in primo luogo in relazione al tema, per vero decisivo, della mancata attivazione di "campanelli d'allarme", da parte degli organismi deputati alla vigilanza interna (e, segnatamente, dell'ufficio di In.) circa il fenomeno del capitale finanziato, ma anche ai profili della vicenda costituiti, nell'ordine, dalle caratteristiche del fenomeno in esame, dal ruolo svolto dall'imputato in relazione a tale fenomeno e, più in generale, dalla posizione rivestita dallo ZO. all'interno dell'istituto di credito. Per altro verso, poi, il percorso argomentativo della decisione appariva viziato, quanto alla posizione processuale del medesimo ZO., da marcati profili di contrasto cori le risultanze probatorie, oltre che di vera e propria illogicità con particolare riferimento alla presunta conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Sotto il primo profilo (quello della mancata valutazione di emergenze probatorie favorevoli) il difensore ha sostenuto che l'imputato non era stato affatto portato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte degli organismi di vigilanza interna e, in particolare, dai responsabili dell'In., i quali avevano dolosamente sottaciuto, sul punto, circostanze ed esiti ispettivi di assoluto rilievo. Deponevano in tal senso le dichiarazioni, in ordine all'assenza di flussi informativi interni relativi agli esiti delle verifiche compiute dall'Au. e dal Ri., dei testi Do. (membro del CdA dal 2009 e, successivamente, Presidente del Comitato Controlli, poi Comitato Rischi) e Za. (dal 2014 membro del Collegio Sindacale che, dallo stesso anno, aveva assunto la funzione di Organismo di Vigilanza). Peraltro, anche le deposizioni degli ispettori BCE Ga. e Ma. avevano evidenziato le carenze dell'In.. Inoltre, lo stesso teste Bo. aveva dichiarato di essere stato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato perlomeno dal 2012 ma di averne parlato solo nel corso dell'ispezione, rivolgendosi all'ispettore Ga., ed aveva soggiunto di non averne mai riferito al Collegio Sindacale né all'Organismo di Vigilanza, in quanto rassicurato dal successo dell'operazione di aumento di capitale del 2014. Il teste Es. (responsabile della funzione di Ri.), dal canto suo, con riferimento alle operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi, aveva parimenti dichiarato di non avere effettuato segnalazioni di criticità, precedentemente a quella del 2014 inerente all'incremento degli storni. Infine, anche dalla deposizione del teste Ferrante (responsabile della Co.) era emerso che il Bo. aveva ignorato qualsivoglia segnale di allarme ed aveva omesso di portare a conoscenza di tali criticità il CdA, il Collegio Sindacale e l'Organismo di vigilanza. E, in effetti, la stessa intercettazione telefonica del colloquio intercorso il 28.8.2015 tra tale teste ed il predetto Bo. confermava che mai quest'ultimo aveva riferito alcunché allo ZO.. Così delineato il contesto di omissioni informative imputabili all'ufficio di In., il difensore ha richiamato una serie di episodi specifici ulteriormente dimostrativi delle gravi carenze ed omissioni in ordine al flusso interno di informazioni inerenti al fenomeno delle operazioni "baciate". Trattasi, segnatamente: dell'"insabbiamento" degli esiti delle verifiche di audit relative ad operazioni baciate poste in essere presso le filiali di Padova e di Manzano; - della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 2014, dal socio Da.Gr., "nemico storico" dello ZO., denunzia cui non erano poi seguite attività di controllo di sorta da parte del Collegio Sindacale, al quale, del resto, il responsabile dell'au. aveva negato l'esistenza di fenomeni di capitale finanziato; - delle dimissioni del private banker Vi., dimissioni delle quali l'imputato ZO. non aveva ricevuto informazioni esaurienti, come emerso dai testi escussi e, in particolare, come dichiarato dallo stesso Bo., per effetto di una determinazione ascrivibile al d.g. So.; - della vicenda delle tre lettere anonime inviate a B. negli anni 2013 e 2014, la prima (quella del 7.10.2013), priva di riferimenti al fenomeno del capitale finanziato, le altre non portate a conoscenza del presidente ZO. o, comunque, non seguite da precise informazioni indirizzate all'imputato inerenti al fenomeno del capitale finanziato; - dell'articolo del Sole 24 Ore a firma Cl.Ga. (articolo, peraltro, bensì contenente accuse in ordine alle pressioni rivolte alla struttura per l'acquisto delle azioni, ma non anche la descrizione del fenomeno del capitale finanziato), mai seguito da attività di riscontro da parte della Direzione Generale, ovvero della Funzione di Controllo, ed in relazione al quale, in ogni caso, non era stata predisposta e portata a conoscenza del Presidente una relazione ispettiva. In definitiva, nessun serio segnale d'allarme era stato mai rappresentato allo ZO., la posizione del quale, pertanto, sul punto, non poteva ritenersi differente da quella del coimputato ZI., pure dal tribunale assolto, ovvero da quella degli altri componenti del CdA e del Collegio Sindacale. Tutti costoro, infatti, erano stati tenuti all'oscuro, per volontà del d.g. So., di quanto emerso in relazione al fenomeno del capitale finanziato nel corso delle attività di audit. Di seguito, l'appello ha evidenziato convergenti elementi probatori che avevano delineato il profilo dello ZO. non già nei termini di uno scaltro "padre padrone" dell'istituto di credito, come pure ripetutamente affermato dal primo giudice, bensì come quello di un presidente, certamente energico ma niente affatto autoritario, il quale aveva investito ingenti risorse personali e familiari nella banca, confidando nella solidità dell'istituto (dal miliardo di lire nel 1995 ai 25 milioni di euro del 2015), a riprova della buona fede che ne aveva sempre ispirato la condotta. In particolare, il difensore ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali era emerso che l'imputato: non era affatto aduso imporre le proprie decisioni; era presente raramente presso la sede dell'istituto; si occupava solo di questioni strategiche e non tecniche; non interveniva nelle pratiche di fido e non aveva avuto rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia; pur comprensibilmente aspirando all'incremento del valore delle azioni non aveva fatto pressioni in tal senso; non aveva un ruolo determinante nella gestione del personale; si limitava a firmare i comunicati B. che, quanto alla parte riferibile allo stesso presidente, erano predisposti dal dipendente Ca. Del resto - ha precisato l'appellante - le stesse deposizioni dei testi Se. e Ro., prima facie pregiudizievoli per la posizione dell'imputato, ad una più attenta lettura deponevano in senso contrario, posto che evidenziavano come lo ZO. non avesse mai avuto un ruolo tecnico all'interno dell'istituto e, comunque, non interferisse affatto nelle decisioni di tale natura. D'altronde, a smentire il ruolo di "monarca assoluto" dell'istituto di credito attribuito allo ZO. dal primo giudice concorreva anche la circostanza che mai l'imputato avesse presieduto alcun comitato esecutivo dal 2012 al 2015 (nonostante, secondo le previsioni statutarie, ne costituisse il vertice) e che, quanto ai Comitati di Direzione/Riunioni svoltisi dal 2011 al 2015, lo stesso ZO. (anche in tal caso diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale che, infatti, aveva escluso la presenza dell'imputato al solo incontro del 10 novembre del 2014, peraltro II più importante) si era limitato a presenziare, solo per un breve saluto, a quello dell'8 novembre 2011. In tal senso, infatti, deponeva l'accurata analisi dei dati documentali disponibili e delle deposizioni assunte in dibattimento. Inoltre, nessun ruolo l'imputato aveva mai svolto con riferimento all'erogazione del credito nella consapevolezza della destinazione dei finanziamenti all'effettuazione di operazioni "baciate". In effetti la posizione dello ZO., al riguardo, non differiva da quella degli altri componenti del CdA che lo stesso primo giudice aveva ritenuto fossero rimasti all'oscuro del fenomeno del capitale finanziato (ivi compreso il coimputato ZI., assolto nonostante avesse compiuto, con la propria finanziaria, un paio di operazioni "baciate"). Sul punto, l'appellante ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali emergeva il difetto di tale consapevolezza da parte dei componenti del consiglio, oltre alla importante conversazione telefonica del 28.8.2015, intercorsa tra il coimputato MA. e il responsabile audit Bo., nel corso della quale, al tentativo di quest'ultimo di indurre l'interlocutore a formulare un "atto di accusa" a carico dello ZO., all'evidente scopo di farne una sorta di capro espiatorio di quanto, oramai, andava inequivocabilmente emergendo, il MA. aveva ribattuto sostenendo di non avere fatto il nome del presidente in quanto il direttore generale So. non glielo aveva indicato espressamente come soggetto a conoscenza del fenomeno (ma si era limitato, come suo solito, a sostenere che aveva informato "chi di dovere") e, inoltre, aveva ribadito più volte che mai si era parlato "di baciate", alla sua presenza, con il presidente. Quanto, poi, alla svalutazione del titolo B. nell'aprile del 2015 da 62,50 a 48 euro, si era trattato, come palesato dal tenore di specifiche deposizioni testimoniali, di una decisione in relazione alla quale l'imputato aveva operato nel rispetto delle indicazioni fornitegli dagli organi preposti alla valutazione del titolo e, segnatamente, dall'esperto indipendente prof. Bi. (e, questo, nonostante lo stesso imputato ed i membri della sua famiglia fossero tra i principali azionisti della banca), mentre era stato il So. ad esprimere contrarietà alla svalutazione. In ordine alla predisposizione della "task-force", istituita con delibera del CdA del 28.4.2015, destinata a fronteggiare i problemi sorti con gli azionisti per effetto della svalutazione del titolo e ad affrontare la questione dei finanziamenti correlati, l'imputato era rimasto del tutto estraneo alla relativa iniziativa, in quanto, a partire dal mese di aprile, era stato di fatto esautorato da ogni ruolo nella banca, mentre l'unico dominus delle scelte gestionali ed imprenditoriali era l'amministratore delegato So., tanto che l'incontro dello stesso ZO. con il professionista esterno, avv. Ge., era stato solo fugace e formale. La prima conversazione telefonica intercorsa tra i due, del resto, aveva avuto luogo solo il 7 maggio 2015, al momento della cessazione dell'incarico, quando oramai le risultanze BCE erano emerse. Inoltre, con specifico riferimento alla scoperta delle lettere di garanzia, alla criticità dei fondi lussemburghesi ed alle risposte alle richieste degli ispettori BCE, l'appellante ha evidenziato che ZO., appena venuto a conoscenza dei primi esiti dell'ispezione, non aveva frapposto alcun ostacolo, ma si era attivato affinché la dirigenza fornisse piena collaborazione agli ispettori medesimi, tanto che a costoro erano state consegnate le lettere di impegno solo a seguito dell'intervento dell'imputato. Illuminanti, sul punto, erano le deposizioni degli ispettori Ga. e Ma., là dove il primo aveva riferito che l'imputato aveva dichiarato che la reazione dello ZO. era stata quella di sorpresa per l'entità del fenomeno in esame ed il secondo aveva precisato che le lettere di impegno erano state consegnate solo dopo l'intervento dello ZO. (il quale, peraltro, ad avviso del teste, non aveva colto appieno l'importanza del fenomeno del capitale finanziato, avendo manifestato preoccupazione soprattutto con riferimento al tema dei fondi di investimento e delle lettere di garanzia). Anche le deposizioni dei testi An., So., Co. e Fa., del resto, andavano nella medesima direzione, ovverosia deponevano nel senso della mancata consapevolezza, da parte del presidente, dei fenomeni illeciti (capitale finanziato/lettere di garanzia/fondi lussemburghesi). In relazione alle dimissioni dell'amministratore delegato So. poi, non si era affatto trattato di decisione adottata dal presidente per assicurare un commodus discessus al predetto onde garantirsi un "salvacondotto" a fronte dell'attività di accertamento della squadra ispettiva BCE. In effetti, non solo il tribunale non aveva considerato che i soli soggetti che avevano ottenuto dalla BCE tale "salvacondotto", tanto da essere rimasti estranei al procedimento, erano stati i veri responsabili delle irregolarità emerse (e, segnatamente, da un lato, i preposti ai controlli interni, i quali avevano violato tutti i doveri loro imposti dal ruolo ricoperto, nonché, dall'altro lato, i dirigenti/funzionari che avevano compiuto le "operazioni baciate"), ma aveva anche di fatto ignorato che ZO. mai aveva fatto ricorso ad un finanziamento per l'acquisto di azioni dell'istituto. In ogni caso, la velocità della "sostituzione" del So. era stata imposta dalla BCE che aveva sollecitato una immediata discontinuità nella gestione dell'istituto di credito, come puntualmente dichiarato dallo stesso ZO. in sede di dichiarazioni spontanee (udienza 25.6.2020) e come confermato da specifiche deposizioni testimoniali, in primis quella dell'ispettore Ma., il quale aveva riferito che la scelta di allontanare l'amministratore delegato era ascrivibile proprio alla BCE. Quanto, poi, al compenso milionario riconosciuto al So., le condizioni economiche assicurate a quest'ultimo nell'accordo - condizioni delle quali, peraltro, si erano esclusivamente occupati i dirigenti Ca. e Va. - erano state regolarmente comunicate alla BCE senza che ne derivassero obiezioni di sorta (se non la precisazione che il compenso avrebbe dovuto essere pagato in parte in azioni e, comunque, differito nel tempo). Del resto, la riferibilità alla BCE dell'avvicendamento dei vertici operativi era stata confermata, nel corso del proprio esame, anche dal coimputato GI. (sia pure con riferimento alla posizione del medesimo dichiarante). Infine, il tribunale neppure aveva considerato adeguatamente, per un verso, che ZO., prima di definire l'accordo di risoluzione del rapporto con il So., aveva contattato tutti i membri del CdA, in taluni casi incontrandoli personalmente (tanto che proprio lo ZI. - unico tra i consiglieri - aveva potuto manifestare le proprie perplessità, orientandosi nel senso del licenziamento); e, per altro verso, che la velocità e la spontaneità dell'avvicendamento erano funzionali a limitare il danno reputazionale per la banca. Anzi, lo ZO. non si era successivamente opposto all'iniziativa adottata dall'amministratore Io. di presentare un'istanza di sequestro delle somme pagate al So. ed aveva finanche promosso una azione giudiziaria verso quest'ultimo, obiettivamente incompatibile con l'intenzione di "comprarne il silenzio". Quanto, infine, alla condotta tenuta, negli ultimi mesi di presidenza, dall'imputato, quest'ultimo - il quale, peraltro, unitamente al CdA, già nei primi giorni di agosto 2015 (e, quindi, un anno prima dell'analoga iniziativa di Banca d'Italia) aveva dato incarico di presentare una denunzia presso la Procura della Repubblica di Vicenza - non aveva minimamente ostacolato gli accertamenti interni, lasciando al nuovo amministratore Iorio ogni compito inerente alle verifiche ed alle segnalazioni all'autorità giudiziaria. In definitiva, il primo giudice aveva omesso di considerare numerosi elementi probatori che, in relazione a plurimi e certamente significativi profili della vicenda, deponevano per l'estraneità dell'imputato alla concreta operatività della banca e, in particolare, alle condotte delittuose oggetto di addebito. Ciò posto, l'appello ha censurato la sentenza impugnata anche in relazione alle conclusioni cui era pervenuta in ordine alle caratteristiche del capitale finanziato. In effetti, il primo giudice si era totalmente adagiato sulla ricostruzione del fenomeno in esame siccome effettuata dai consulenti del P.M., giungendo alla conseguente conclusione che un sistema tanto pervasivo non avrebbe potuto essere ignorato dallo ZO. (sebbene, sempre secondo il tribunale, tutti gli altri membri del CdA, ivi compresi quelli che avevano effettuato, attraverso le società di riferimento, operazioni "baciate", fossero rimasti all'oscuro del fenomeno in esame). In realtà, il quadro rivelato dall'istruttoria dibattimentale era ben diverso. Innanzitutto, dalla deposizione del teste Gr. (amministratore delegato dell'istituto tra il 2001 e il 2011) era emerso, da un lato, che, nel suddetto periodo, i fisiologici problemi di liquidità "stagionale" delle azioni erano usualmente risolti mediante la richiesta di acquisti da parte di altre banche popolari, sulla base di intese che non prevedevano obblighi di riacquisto, se non "morali"; dall'altro, che si trattava di questioni rispetto alle quali ZO. - limitatosi costantemente a svolgere un ruolo istituzionale o, tutt'al più, strategico - non aveva concretamente operato. Ulteriori deposizioni testimoniali, poi, avevano consentito di attribuire solo alla persona del d.g. So. la decisione, occasionalmente adottata a fronte di situazioni specifiche, di ricorrere al finanziamento per l'acquisto di azioni proprie. Si era trattato, segnatamente, delle operazioni "De.Ro." e "Lo.Tr.". In effetti, unicamente a partire dall'anno 2012, a causa del perdurare della crisi mondiale (e, quindi, in un contesto nel quale molti clienti e soci avevano problemi di liquidità, sicché avevano iniziato a vendere in modo consistente azioni della banca), il fenomeno del capitale finanziato, per effetto dell'esclusiva iniziativa di So., aveva subito un incremento, con l'avvio di una pressione sulla rete commerciale della banca per il collocamento delle azioni medesime. D'altronde, sul punto, lo stesso coimputato GI., al di là della generica chiamata in correità di tutti i componenti del CdA della B. e di tutti i dirigenti di vertice, non aveva fornito specifici elementi probatori a carico dello ZO.. In definitiva - ha sostenuto l'appellante - tanto la genesi del fenomeno, quanto la sua successiva gestione, erano imputabili a decisioni operative facenti capo al predetto Sa.So.. Inoltre, il tribunale, pur in presenza delle marcate divergenze ravvisabili tra gli esiti degli elaborati predisposti, rispettivamente, dai consulenti del P.M. e della difesa, in ordine all'entità ed alle caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato, per un verso aveva respinto la richiesta di perizia sul punto (peraltro motivando il rigetto unicamente con riferimento al profilo dell'entità di detto fenomeno); e, per altro verso, si era supinamente allineato alle conclusioni dei cc.tt. del P.M. (sostenendo, al riguardo, che la relazione del consulente della difesa prof. Gualtieri non aveva proposto una quantificazione alternativa del fenomeno in esame, senza tenere conto del fatto che era stata proprio l'assenza di prove disponibili circa la natura correlata o meno di talune operazioni ad avere impedito tale quantificazione alternativa). A tale riguardo, innanzitutto, il difensore ha evidenziato l'errore nel quale era caduto il tribunale, alla luce della disciplina (circolare 263/2006 di Banca d'Italia) vigente all'epoca di gran parte delle operazioni "incriminate", nell'escludere che la sussistenza del nesso teleologico tra finanziamento ed acquisto delle azioni costituisse dato rilevante per l'individuazione delle operazioni di capitale finanziato. Trattavasi, al contrario, di elemento all'uopo essenziale, non potendosi a tal fine unicamente considerare il fattore rappresentato dalla coincidenza temporale tra i due negozi, pena un automatico obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza privo di effettivo ancoraggio normativo. Parimenti errata, poi, era la conclusione secondo la quale l'obbligo di deduzione avrebbe operato tanto con riferimento alle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto di credito in sede di aumento di capitale quanto all'atto di acquisto di dette azioni sul mercato secondario. In realtà, poiché solo gli acquisti del primo tipo generavano, a carico della banca, un rischio di impresi; era solo a detti acquisti che conseguiva l'obbligo di deduzione. Che, poi, la disciplina di riferimento nulla precisasse sul punto, come pure evidenziato dal tribunale, derivava dall'ovvietà della circostanza. Né potevano confondersi, in ragione della diversa ratio economica di riferimento, i finanziamenti erogati in vista dell'aumento di capitale con quelli erogati per l'acquisto di azioni già emesse, con l'effetto che, proprio in ragione di tale differenza, solo i primi facevano scattare l'obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza. Del resto, un esplicito ancoraggio normativo a tale interpretazione poteva ravvisarsi nella disposizione di cui all'art. 28 CRR, dalla quale era possibile evincere che gli strumenti rilevanti ai fini del CET 1 erano quelli interamente liberati e non finanziati dall'ente che li aveva emessi. Nella prospettiva dell'appellante, infatti, gli unici casi nei quali gli acquisti di azioni sul secondario comportavano l'obbligo di deduzione erano - come, peraltro, ben spiegato dal consulente prof. Gu. - quelli rispetto ai quali la banca si era assunta un obbligo di acquisto ad un dato valore nominale, ovvero che erano stati effettuati, a seguito di finanziamento, da clienti privi di merito creditizio. Questo proprio perché, in entrambi i suddetti casi, la banca finiva per assumere in proprio il relativo rischio di impresa. Ulteriore seria imprecisione nella quale era incorso il primo giudice, poi, era ravvisabile nel passaggio della motivazione nel quale era stato escluso che il merito creditizio assumesse rilievo ai fini della computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza. In effetti, ciò era vero esclusivamente con riferimento alle azioni di nuova emissione. Infine, il giudizio del tribunale era stato ulteriormente viziato dalla confusione tra le pratiche di sviluppo commerciale tipico delle società cooperative ed il fenomeno del capitale finanziato. A ben vedere, infatti, la proposta ai clienti di diventare soci attraverso l'acquisto del pacchetto azionario minimo poteva essere legittima o meno a seconda della prospettazione di vantaggi ovvero dell'adozione di modalità ricattatorie incidenti sulla conclusione del negozio (quali, ad esempio, il subordinare la concessione del finanziamento alla previa acquisizione dei titoli). Tuttavia, le modalità eventualmente illegittime adottate nella vendita dei titoli non avrebbero per ciò solo reso "finanziata" una operazione che non aveva le caratteristiche per la deduzione. In definitiva il primo giudice aveva sbrigativamente liquidato le argomentate conclusioni del prof. Gu., giungendo ad esiti errati con specifico riferimento al grado di diffusione delle operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni. Ciò era dipeso dai vizi metodologici che avevano caratterizzato la consulenza disposta dal p.m., poi integralmente accolta dal tribunale. Quindi, l'atto di appello ha passato in rassegna le risultanze probatorie inerenti alle vicende, individuate secondo il "campione" (necessariamente parziale) selezionato dalla pubblica accusa e ritenute dal tribunale significative della conoscenza da parte dello ZO. del fenomeno del capitale finanziato e del ruolo concretamente rivestito, in proposito, dal predetto imputato. E, a tale disamina, il difensore ha premesso l'avvertenza che tutti i clienti coinvolti nelle operazioni "baciate", avendo subito perdite milionarie in ragione dell'azzeramento del valore del titolo, avevano reso deposizioni che ponevano non trascurabili problemi di piena attendibilità, sotto il profilo del disinteresse alla esatta ricostruzione dei fatti, e che, ciononostante, avevano fornito contributi testimoniali dai quali si ricavava l'estraneità dell'imputato ai fatti sub iudice. In particolare, il difensore ha rievocato la deposizione dell'industriale Al.Fe., il quale - nonostante avesse contratto operazioni "baciate" per circa 18 milioni e ad onta del suo incarico presso il CdA di Servizi Bancari - mai aveva riferito di avere parlato delle operazioni in questione con ZO. (e neppure con il presidente del Collegio Sindacale, Za.). Analoghe considerazioni, poi, valevano per le deposizioni rese da Ca. Em., Br.Ca., Bo.Lo., Ca.Pi. (nonostante questi avesse concluso operazioni "baciate" per venti milioni di euro), Fa.An. (il quale, sebbene non avesse concluso operazioni "baciate", aveva investito somme consistenti nelle azioni della banca), Fe.Lu., Bu.Sa., D.Fr.Ma., Da.Vi.Pi., Va.Lu., Ro.Gi. (il quale, pur avendo sostenuto che il presidente avrebbe dovuto necessariamente essere al corrente della questione, aveva tuttavia escluso di avere parlato di tale questione espressamente con il medesimo presidente o comunque, aveva precisato di non serbarne memoria), Br.Fa., Ta.Ed., Fa.Al., Ri.Fr., De.Ch.Re., Co.Il., Ti.Da., Ti.An., Ma.Si., Tr.Al., Se.Al., To.En., Ba.Al.Te., Se.Cl.. Altrettanto doveva dirsi, poi, con riferimento a quanto dichiarato da Ma.Va., amministratore del gruppo So., il quale aveva trattato una importante operazione esclusivamente con il d.g. So. (e con An.Pi. della Divisione Finanza), Infine, quanto alla deposizione di Ca.Si., il difensore ha evidenziato come costui, dopo avere sostenuto in sede di indagini che, allorquando aveva manifestato perplessità sull'operazione, il funzionario della banca che gli aveva proposto tale operazione aveva replicato che "Gi. e De.Fr." gli avrebbero potuto adeguatamente illustrare, in occasione di una cena, i dettagli dell'operazione, in sede dibattimentale aveva poi mutato versione individuando nello ZO. il soggetto che, secondo il medesimo funzionario, gli avrebbe potuto chiarire i termini della questione onde rassicurarlo. Si era in presenza, ad avviso del difensore, di una testimonianza davvero sintomatica dell'"inquinamento" della genuinità delle deposizioni conseguente ad anni di clamore mediatico in ordine alla posizione di "padre padrone" della banca che i media avevano attribuito allo ZO.. A ben vedere, dalle citate deposizioni testimoniali era emerso che mai l'imputato aveva intrattenuto rapporti con i clienti (tranne in qualche occasione di rappresentanza, ovvero istituzionale) e che, in ogni caso, mai con costoro aveva trattato (e ancora meno concluso) operazioni "baciate". Infatti, neppure nel corso delle occasioni di contatto conviviale (ivi comprese le cene organizzate da Lo.Tr.) ZO. aveva affrontato il tema delle operazioni "baciate". Ciò emergeva dalle deposizioni rese dai testi Mo., Lo.Tr., Ra.Gi.. Perfino un teste ostile come Lo.Da. era stato costretto a riconoscere che mai aveva avuto colloqui con l'imputato in merito alle "baciate", mentre il teste Ra. Silvano aveva unicamente riferito di rassicurazioni generiche fornitegli dallo ZO. a fronte di richieste formulate dallo stesso teste in termini altrettanto vaghi. Inoltre, anche le testimonianze degli "amici" dell'imputato deponevano tutt'altro che a sfavore di quest'ultimo, posto che: - Ca.Re. - cfr. anche deposizione Am. - aveva bensì goduto di tassi di favore, ma non aveva trattato la questione con l'imputato e, in ogni caso, non aveva concluso operazioni "baciate"; - Ri.Fe. aveva reso dichiarazioni assolutamente generiche; - Ir.Do. e, in particolare, il di lei figlio, Ha.Mi., non avevano trattato di operazioni "baciate" con ZO., bensì con altri interlocutori; - Ra.Fo.Fe., a sua volta, non aveva affrontato il tema delle "baciate" con l'imputato; - Be.de.Pa., il quale aveva parimenti affermato di non avere parlato delle "baciate" con ZO., non poteva ritenersi smentito dai testi Gi. e Ba., posto che l'affermazione in tal senso del primo giudice era sfornita di qualsivoglia apparato motivazionale di sostegno. Si aggiunga che, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, né ZO., né le società del gruppo e neppure i familiari del predetto avevano mai concluso operazioni "baciate", fatta eccezione per il cognato dell'imputato, Zu.Fr., il quale, tuttavia, nelle dichiarazioni rese ex art. 391 bis co.2 c.p.p., acquisite al fascicolo del dibattimento, aveva precisato che mai ne aveva parlato con il proprio affine. La stessa "vicenda Ma." (vicenda che, trascurata in sentenza, è stata invece dettagliatamente ripercorsa nell'atto di appello) avrebbe dovuto ritenersi sintomatica, nella sua assoluta inverosimiglianza, del vero e proprio accanimento della pubblica accusa nella ricerca di elementi di responsabilità a carico dell'imputato. Neppure dalle dichiarazioni rese dai funzionari e dirigenti B. - ha proseguito l'appellante - era possibile desumere che ZO. fosse consapevole dell'esistenza del capitale finanziato. Nessuno di costoro, infatti, aveva avuto con l'imputato colloqui inerenti al fenomeno in esame, né aveva appreso da altri colleghi di conversazioni aventi tale oggetto alle quali avesse preso parte il presidente dell'istituto. Così era con riferimento alla deposizione del private banker Ri., dalla quale era peraltro emerso il rapporto di assoluta sudditanza tra il responsabile dell'audit Bo. ed il d.g. So.; così con riferimento alle deposizioni di Gi., dapprima responsabile della più importante area di B. e poi direttore interregionale; così, ancora, in relazione ai contributi dichiarativi: di Tu., direttore regionale (il quale aveva escluso che il coimputato GI. avesse mai parlato del fenomeno in esame allo ZO.), di To., vicedirettore e, quindi, direttore generale area Toscana, di Pa. (responsabile ufficio legale B.), di Ro., responsabile della Direzione Sviluppo, di Cu., capo area Friuli, di Ba., capo area Vicenza sud-ovest, di Te., private area Bassano, di Veronese, capo area Castelfranco e direttore regionale, di Ca., capo, area Treviso, di Da., capo area Vicenza nord, di Pi., direttore area Prato e, successivamente, direttore Veneto occidentale, di Bo., capo area Vicenza, di Ip., responsabile area Brescia, di Gi., di Ma., responsabile corporate Vicenza sud ovest, di Si., responsabile zona Th. e Sc., di Ni., capo zona Bassano, di Pr., capo area province Padova e Rovigo, di Ro., responsabile Ufficio Soci, di Be., viceresponsabile di area, di St., gestore di patrimoni private, di Sa., responsabile divisione estero, di Me., direttore della filiale di Asti, di Ta., direttore private e affluent; così, infine, in relazione alle deposizioni: di Pa. (deposizione pure valorizzata dal tribunale per sostenere il pervasivo controllo del presidente anche sull'operatività spicciola" e, segnatamente, in tema di campagne pubblicitarie); di Gi., direttore regionale di Lombardia, Piemonte e Liguria (il quale, con specifico riferimento alle operazioni "baciate" effettuate da Be.de.Pa., aveva bensì sostenuto che quest'ultimo ne avesse parlato con lo ZO., ma aveva precisato che il medesimo teste, personalmente, non aveva affrontato la questione con l'imputato) e di Ba.. Neanche dalle dichiarazioni dei soggetti addetti agli organi di controllo interno, ovvero dai membri dell'alta direzione (segnatamente, i coimputati), erano emersi elementi ai quali ancorare fondatamente l'affermazione della conoscenza, da parte dello ZO., del capitale finanziato. Quanto ai primi, l'appello ha richiamato le deposizioni del membro del Collegio Sindacale Za., nonché dei consiglieri di amministrazione Do., Co., Ro.di.Sc. e Ti., del vicepresidente Mo. e di Mi.. Quanto ai secondi il riferimento è stato all'esame reso, sul punto, dal coimputato ZI., il quale, per un verso, aveva decisamente escluso che in CdA fosse mai stato affrontato il tema in esame e che ZO. fruisse di un flusso informativo differenziato rispetto a quello degli altri consiglieri; per altro verso, con riferimento all'"operazione Ze.", aveva specificamente riferito che non si era parlato con ZO. di finanziamento correlato; e, per altro verso ancora, aveva evidenziato come l'imputato, a decorrere dagli anni 2012-2013, non avesse più avuto un'idea precisa dei conti della banca ed avesse maturato l'intenzione di dimettersi dalla presidenza nel 2016, in occasione dei 150 anni di vita dell'istituto. Peraltro, anche l'intercettazione del colloquio ZI.-Bo. del 25.8.2015 (inerente all'azione di responsabilità avviata dall'istituto nei confronti del d.g, So.) confermava il tenore delle dichiarazioni rese, con riferimento allo ZO., dal coimputato ZI.. Inoltre, ad essere valorizzate dall'appellante erano anche le deposizioni dei coimputati PI. e PE., oltre al tenore dell'intercettazione dei colloqui intercorsi tra il coimputato MA. e, rispettivamente, i funzionari Bo. (intercettazione nr. 259 del 28.8.2015) e Cu. (intercettazione nr. 526 del 9.9.2015), trattandosi di conversazioni dalle quali era stato possibile apprendere che tanto MA. quanto il Cu. non avevano mai affrontato con il presidente il tema delle operazioni "baciate". Quindi, con specifico riferimento alle dichiarazioni del GI. -dall'appellante qualificato come il vero e proprio dominus" fin dalle origini, di tutte le operazioni "baciate" - il difensore ha evidenziato come la generalizzata chiamata in correità formulata dal predetto (peraltro non accreditata di attendibilità in sentenza, se non con riferimento alla posizione dello ZO.) fosse stata smentita dai dati processuali disponibili e, segnatamente: - dal documento nr. 857 del P.M., costituito da un appunto manoscritto proveniente dallo stesso ZO., intitolato "dichiarazioni Gi." e contenente il riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati, documento dal quale era possibile arguire, sul piano logico, che l'imputato aveva appreso dell'esistenza di tale fenomeno solo allorquando, in data 4.5.2015, aveva raccolto le dichiarazioni del predetto GI.; - dalla deposizione resa il 3.7.2019 dal teste Tu., vice di GI.; - dall'intercettazione del colloquio intercorso tra La.Pi., membro del collegio sindacale, ed il medesimo GI., il quale ultimo neppure in un contesto di espliciti riferimenti ed ammissioni in ordine alle irregolarità degli storni e delle lettere di garanzia aveva coinvolto il presidente in dette irregolarità. Di analogo tenore, poi, era anche la conversazione nr. 2261, relativa al colloquio GI.-ZI. del 24 settembre 2015, trattandosi di colloquio dal quale emergeva che nessuno era a conoscenza dell'entità del fenomeno." D'altronde, nessun esplicito/implicito riferimento al tema delle operazioni "baciate" era contenuto in oltre 2000 ore di registrazione delle riunioni del CdA. In definitiva, il tribunale aveva ritenuto ZO. consapevole dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato pur in presenza di una sequela di testimoni che avevano deposto in senso contrario. Infatti, oltre un centinaio di testi erano stati escussi e pressoché tutti avevano concordemente affermato l'estraneità dell'imputato rispetto a tale fenomeno. Né, del resto, il giudice di prime cure aveva speso considerazioni di sorta per dimostrare la conoscenza in capo all'imputato della criticità dei fondi lussemburghesi, ovvero della presenza delle lettere di garanzia e degli storni, ovvero ancora degli interessi riconosciuti ai clienti che concludevano operazioni "baciate". Ma anche l'argomento, sostanzialmente unico, speso dal primo giudice a sostegno dell'affermazione di responsabilità - ovverosia il ruolo di vertice ricoperto dall'imputato all'interno dell'istituto di credito, in modo "pervasivo", secondo un modello "autocratico" e con una "logica padronale" - appariva obiettivamente infondato. Innanzitutto, non era affatto vero che ZO. avesse pilotato le decisioni degli esponenti di vertice dell'istituto (a partire dal d.g. So., fino ai membri del Collegio Sindacale e dei CdA), essendosi in presenza di interlocutori (imprenditori e professionisti) con competenze tecniche non certo inferiori a quella del presidente. Peraltro, l'istituto operava affidandosi al lavoro di tecnici esperti (era il caso, ad esempio, del prof. Bi.). Né persuadeva la valorizzazione, in chiave accusatoria, del fatto che le decisioni del CdA fossero assunte all'unanimità. In ogni caso, occorreva tenere distinto il piano della scelta "dello staff" e delle opzioni strategiche, inerenti alla politica di espansione della banca, da quello delle modalità tecniche di attuazione di tale "indirizzo politico". In effetti, l'imputato trascorreva pochissimo tempo presso la sede dell'istituto di credito (cfr. deposizione della teste Ca.Li.) e non conosceva ('"operatività tecnica" della banca (cfr. deposizione del teste Um.Se.). Era bensì temuto - in quanto era colui che "comandava", come riferito dal teste Pa. -ma questo non significava affatto che conoscesse il fenomeno del capitale finanziato. Del resto, l'ingerenza del presidente nella vendita delle azioni non poteva essere desunta dalle dichiarazioni rese, sul punto, dal predetto Pa. (dichiarazioni, peraltro, smentite dal teste di riferimento Ro.), né dai documenti prodotti dal P.M. sub 31 e 321 (trattandosi di documenti sostanzialmente irrilevanti sul punto), ovvero dall'autorizzazione data, dall'imputato alla vendita delle azioni possedute dallo ZI. (trattandosi di un membro del consiglio di amministrazione) e neppure, infine, dall'appunto redatto da So. recante la dizione "Ro. fascicoli procedure" (nulla essendo emerso sull'esatto oggetto della conseguente discussione). In ordine alla gestione della "divisione estero", poi, la deposizione del teste Sa. - il quale aveva riferito che il presidente era solito informarsi sull'andamento economico del settore - non provava certo che ZO. si fosse ingerito nell'attività tecnica della banca. Così come le dichiarazioni rese dall'imputato nella riunione 11.11.2014 in ordine ad un articolo di stampa che aveva messo in dubbio il valore del titolo non assumevano reale rilevanza in chiave accusatoria, in quanto non univocamente sintomatiche della conoscenza del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre, quanto riferito dal teste Gi. - secondo il quale, a fronte delle difficoltà nella vendita delle azioni da parte dei soci che intendevano liberarsene, l'imputato aveva ipotizzato l'intervento della banca a mezzo finanziamenti - avrebbe dovuto essere interpretato non già come l'espressione di un parere favorevole al ricorso ad operazioni "baciate", bensì come una proposta di sostegno finanziario da erogarsi in favore degli stessi soci titolari dei titoli, in attesa della vendita degli stessi. Con riferimento, quindi, ai documenti valorizzati dal tribunale per affermare un ruolo operativo del presidente, l'appellante ha evidenziato; - quanto agli appunti di So. relativi alla riunione di budget 9.12.2011, che si trattava di documento che non dimostrava affatto un ruolo "operativo" del presidente; - quanto al documento 322 della produzione del P.M, che si era in presenza di una e-mail (nella quale il dipendente Ro. si lamentava di essere stato costretto, mentre era in ferie, a contattare il d.g. ed il presidente) parimenti priva di significativo rilievo sul punto; s quanto alla e-mail di cui al documento 320 della produzione del P.M., nella quale si riferiva che il presidente sosteneva "che occorre incrementare il possesso azionario delle Za.", che il reale significato di detta comunicazione era stato successivamente chiarito dal teste Ro. (il quale, sul punto, aveva precisato come Za. fosse un socio che stava a cuore allo ZO. in quanto "socio storico", sicché, in questa prospettiva, le istruzioni impartite dall'imputato perdevano di significato, non attestando affatto che il predetto avesse effettiva contezza dei portafogli delle singole posizioni); - quanto al documento 521 della produzione del P.M., che si trattava di una e-mail relativa ad un intervento di repricing dalla quale emergeva bensì l'esistenza di posizioni di "intoccabili" ma che, per un verso, non era diretta all'imputato e, per altro verso, neppure conteneva riferimenti a quest'ultimo. Allo stesso modo, privo di significativo rilievo in chiave accusatoria era il contenuto della trascrizione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11-2014. In effetti i passaggi della suddetta trascrizione inerenti, da un lato, allo svuotamento del fondo azioni proprie attraverso il ricorso alla "Fondazione CR Lucca" e, dall'altro lato, alla circostanza che il presidente ed il d.g., avrebbero di lì a poco avuto un incontro con i rappresentanti di tale istituto, non significavano affatto, tenuto conto dell'esatto tenore delle espressioni nell'occasione proferite, che il suddetto incontro fosse stato fissato in vista dell'investimento, bensì l'esatto contrario. Inoltre, la frase "Il presidente vuole vedere i numeri", proferita da An.Fa. nel corso del medesimo comitato, attestava unicamente l'interesse dell'imputato ad approfondire, con il conforto dei dati, un non meglio precisato aspetto di quanto oggetto di discussione nel corso di tale seduta. Ad avviso dell'appellante anche i rapporti tra ZO. e So. - rapporti ai quali la sentenza aveva pure attribuito ampio risalto, interpretandoli nel senso di uno stretto rapporto di collaborazione tra i due - avrebbero dovuto essere diversamente spiegati. In particolare, nessuna "insana complicità", volta a coprire una operatività illecita, aveva spinto il primo a sostenere la nomina del secondo, nel febbraio del 2015 (ovverosia in un momento di palese criticità per l'istituto), a consigliere delegato, bensì il solo, comprensibile interesse a conferire maggiore autonomia gestionale ad un soggetto apicale nei confronti del quale l'imputato nutriva stima. Peraltro, anche i tre messaggi di cui ai documenti nn.ri 653, 654 e 655, espressamente richiamati m sentenza (e relativi a comunicazioni in cui MA. o GI. avevano sollecitato So. a parlare col presidente di alcune posizioni che sarebbero poi risultate "baciate") potevano essere ragionevolmente intesi come finalizzati a preparare il terreno affinché il presidente nulla avesse da eccepire sulla concessione dei finanziamenti, piuttosto che come espressione di un consapevole coinvolgimento dello ZO. in tali operazioni correlate. La stessa risoluzione del rapporto con il d.g., poi, era stata frutto di una decisione - assunta, peraltro, dopo che era oramai emersa la realtà dei fatti - condivisa dalla dirigenza. Inoltre, la repentinità di tale iniziativa, lungi dal dimostrare una complicità dell'imputato con il direttore generale, era espressione di virtuosa capacità di assicurare la necessaria soluzione di continuità nella gestione dell'istituto, coerentemente con le direttive della BCE. L'inserimento della clausola di riservatezza, infine, rientrava nella prassi ordinaria in situazioni consimili. Le conclusioni cui era pervenuto il tribunale - ha proseguito l'appellante - non trovavano sostegno neppure nelle intercettazioni telefoniche, posto che quella, già sopra citata, relativa al colloquio tra lo ZI. ed il Ba. (nel corso della quale il primo aveva sostenuto che ZO. e il direttore generale "viaggiavano a braccetto") non era altro che espressione della obiettiva sintonia tra i due (come spiegato, del resto, dallo stesso ZI.), ma non provava nulla di più. Quanto, poi, ai colloqui intrattenuti dal So. (nn.ri 459 del 31.8.2015, 300 del 7.9.2015, 610 del 2.9.2015, 845 del 6.9.2015), si trattava di conversazioni che non indicavano affatto che il presidente fosse a conoscenza delle operazioni di capitale finanziato (e, men che meno, della questione, connessa, inerente alla mancata decurtazione dal capitale di vigilanza), potendo, in effetti, prestarsi a differenti interpretazioni e, segnatamente, legittimando la conclusione di una ben più generica conoscenza dei fatti. Questo, a fortiori, ove si fosse debitamente considerato che il predetto So., nel periodo di riferimento (da collocarsi in una fase in cui gli accertamenti BCE avevano oramai portato alla luce le gravi irregolarità gestionali), aveva un evidente interesse a sminuire il proprio ruolo e a sovradimensionare quello dello ZO.. Inoltre, l'appellante ha preso in considerazione tutti i rapporti con la clientela considerati dal primo giudice espressione del coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni correlate. Ebbene, anche in questi casi (assai pochi, peraltro in rapporto a quelli, molto più numerosi, in cui i clienti avevano escluso qualsivoglia rapporto con il presidente), le deposizioni degli investitori non provavano in alcun modo la responsabilità dell'imputato: - così era per Ca., il quale, del resto, aveva impiegato fondi propri per l'acquisto delle azioni; - così per Pi., posto che costui, pur avendo riferito di avere parlato con ZO. dei finanziamenti ricevuti per l'acquisto delle azioni, aveva reso una deposizione contraddittoria (anche alla luce del "memorandum" prodotto in dibattimento e dei documenti dalle difese, che ne smentivano la presenza tra gli ospiti che avevano soggiornato nella residenza dell'imputato di Ca.d.), tenuto peraltro conto delle reali finalità all'origine delle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto effettuate dal predetto Pi., finalità non già "di cortesia", bensì speculative; s così per Be.de.Pa., il quale aveva negato di aver parlato col presidente delle sue operazioni di capitale finanziato (mentre le contrarie dichiarazioni de relato rese dal Gi. - espresse, peraltro, in forma dubitativa - erano state smentite, per l'appunto, dal teste di riferimento), - così per le dichiarazioni della Ir., posto che costei aveva riferito che l'imputato l'aveva dirottata sul direttore generale (e che il teste Cu. aveva precisato, al riguardo, che a trattare l'operazione erano stati il GI. ovvero il So.); - così, inoltre, per i fratelli Ra., tenuto conto del tenore generico delle relative deposizioni in ordine alle rassicurazioni ricevute dall'imputato circa l'andamento dei loro investimenti; - così, ancora, per quanto riferito dallo Zu. e dal Ri., essendosi in presenza di dichiarazioni che, a ben vedere, deponevano in termini esattamente contrari alla consapevolezza dell'imputato in ordine al fenomeno del capitale finanziato, - così, infine, per la testimonianza di Ro., in quanto la convinzione da questi maturata in ordine alla conoscenza, in capo allo ZO., dei finanziamenti correlati era frutto di una mera deduzione personale ("io faccio riferimento alia mia azienda, Le responsabilità sono sempre del presidente", "per svolgere il compito di presidente sicuramente avrà dovuto sapere tutto"...) non già di dati concreti aventi reale efficacia probante. Quindi, l'appellante ha rievocato la registrazione del colloquio che aveva avuto luogo, tra GI. e ZO., poco prima dell'inizio del CdA del 18.6.2013, colloquio inerente ai finanziamenti chiesti dall'imprenditore catanese Ri.Co.. Ebbene, che si fosse trattato di una richiesta finalizzata a porre in essere una operazione "baciata" era una conclusione cui il tribunale era pervenuto in assenza di adeguato sostegno probatorio. Infatti, per un verso, le dichiarazioni rese sul punto dal coimputato GI. erano contraddette dalla versione dello ZO., secondo il quale l'invito che lui stesso, nell'occasione di tale colloquio, aveva rivolto al predetto GI. E meglio essere prudenti, poiché chiacchiera, chiacchiera...") non dipendeva affatto dalla natura illecita delle operazioni che interessavano il Co. (operazioni nelle quali, pertanto, non era prudente coinvolgere soggetti delle cui riservatezza non si avevano garanzie), bensì dalla scarsa solidità patrimoniale di tale imprenditore; e, per altro verso, quest'ultimo aveva negato di avere mai affrontato con ZO. il tema dei finanziamenti inerenti all'acquisto di azioni. Questo, senza che la circostanza che dall'agenda dell'imputato risultasse un incontro tra i due potesse provare il contrario, ben potendo le parti avere discusso, nell'occasione di tale contatto, di operazioni diverse da quelle "baciate". Né il tribunale aveva minimamente illustrato le ragioni che lo avevano indotto a privilegiare la lettura dell'evento fornita dal coimputato GI. rispetto a quella proposta dal teste Coffa. Infine, neppure i rapporti tra ZO. e il gestore private Ri. rivestivano un rilievo gravemente indiziente. In effetti, sebbene quest'ultimo fosse stato uno dei maggiori artefici delle "baciate", la circostanza che avesse al contempo gestito il portafogli dell'imputato non provava alcunché. Piuttosto, il fatto che ZO. mai avesse posto in essere operazioni di tale natura (avendo egli sempre acquistato azioni della banca con risorse proprie) deponeva, sul piano logico, in senso contrario. In definitiva, la sentenza era caratterizzata, per un verso, dalla sistematica pretermissione dei dati probatori che orientavano nel senso dell'estraneità dello ZO. ai reati contestati e, per altro verso, dalla eccessiva valorizzazione degli "scarni e vaghi" elementi di prova emersi a carico dell'imputato medesimo. 2.4-3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), poi, l'appellante ha censurato l'affermazione di penale le responsabilità sul rilievo dell'assenza di riscontro in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico dei delitti oggetto di addebito. In effetti, la contestazione elevata a carico dello ZO. di avere avallato la prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto delle azioni dell'istituto - contestazione già assai problematica sotto il profilo della tipizzazione del contributo concorsuale asseritamente offerto dall'imputato, sul quale, in effetti, non incombeva alcuna posizione di garanzia attivabile in chiave di concorso omissivo nell'altrui reato - presupponeva la consapevolezza in capo allo stesso ZO. dell'esistenza del fenomeno in esame. Sul punto, il difensore, nel sottolineare, anzitutto, la problematicità della stessa definizione delle operazioni "baciate", a fortiori nel periodo in esame, allorché l'unico riferimento normativo era costituito dalla circolare 263/2006 della Banca d'Italia (circolare che parificava le operazioni di finanziamento effettuate dalla banca per finalità di acquisto di azioni proprie al riacquisto dei titoli), ha precisato che tale riacquisto, sotto il profilo contrattuale, era caratterizzato da un "atto coordinato" tra finanziamento ed acquisto delle azioni. Ebbene, ad avviso del primo giudice, perché scattasse l'obbligo di decurtazione dal patrimonio di garanzia dei finanziamenti concessi ai soci, era sufficiente che vi fosse, tra il credito concesso e l'acquisto dei titoli, una "relazione di tipo oggettivo". Tuttavia, tale conclusione contrastava con la natura propria delle Ba.Co., ovverosia di istituti di credito che frequentemente erogavano finanziamenti a soggetti che erano già soci, oppure lo divenivano contestualmente, con l'ulteriore complicazione conseguente alla stessa fungibilità del denaro (sicché era arduo stabilire, anche nel caso di contiguità cronologica tra finanziamento ed acquisto, se le risorse oggetto del credito erogato dalla banca fossero poi state utilizzate per l'acquisto delle azioni). Di qui - ad avviso dell'appellante - la necessità di ricorrere, per individuare le "operazioni baciate", proprio a quell'ulteriore criterio del "nesso teleologico" che era stato illustrato dal consulente della difesa, prof. Gu.. In effetti, i criteri adottati dagli ispettori BCE e, segnatamente, sia quello cronologico (con l'individuazione di un periodo di riferimento di "tre mesi"), sia quello quantitativo (secondo il quale l'ammontare finanziato avrebbe dovuto essere superiore al sottoscritto), non potevano ritenersi appaganti. In particolare il primo di tali criteri, privo di ancoraggio normativo, era stato stabilito unilateralmente ed in via convenzionale. In ogni caso l'insufficienza di tali parametri era emersa anche nel corso del dibattimento, là dove, per un verso, gli stessi cc.tt. del P.M. avevano evidenziato la necessità dell'esame delle singole posizioni riferibili alla clientela e, per altro verso, l'ispettore Ga. aveva segnalato l'esigenza di analisi dettagliata del conto corrente di ciascun cliente. Ebbene, era proprio la complessità delle operazioni necessarie per la comprensione del fenomeno a rendere inverosimile che il presidente avesse potuto apprendere delle operazioni "baciate" nel corso delle attività del CdA, ovvero dall'esame dei dati dei quali disponeva in virtù della carica ricoperta. Questo, a fortiori, ove si fosse prestata la debita attenzione al fatto che i finanziamenti correlati che avevano caratterizzato l'operatività di B. non erano stati "statici" ma erano spesso cambiati nel tempo in ragione di rimborsi ovvero per altre cause (come segnalato dal teste Tr. all'udienza 5.11.2019 e come evidenziato dallo stesso consulente del P.M. dott. Pa. all'udienza 12.11.2019, là dove questi aveva suggestivamente paragonato l'esito dell'attività di consulenza non già ad una fotografia del fenomeno in esame bensì ad un film che, di tale fenomeno, aveva seguito l'andamento a decorrere dal 30.6.2012 e fino al 31.3.2015). Fatta tale premessa e ulteriormente precisato come, con riferimento alla posizione dei coimputati ZI. e PE., il primo giudice avesse correttamente escluso il coinvolgimento di costoro proprio in considerazione della difficoltà di identificare una "operazione baciata", l'appello ha evidenziato, nell'ordine: - che lo ZO., per un verso, non era affatto dotato di una competenza maggiore di quella propria dello ZI. e, per altro verso, non aveva fruito di informazioni maggiori di quelle a disposizione di tale coimputato, come emerso nel corso dell'istruttoria e come già evidenziato nello stesso atto di impugnazione; - che la prova del dolo, tanto con riferimento alla componente rappresentativa quanto a quella volitiva, non tollerava il ricorso a schemi presuntivi (neppure se "agganciati" a ipotetiche ed indimostrate posizioni di "dominio informativo") e men che meno a "indici di sospetto", pena la trasformazione "della colpa in dolo" e la degradazione "del dolo ad eventualità di dolo", proprio per effetto di una inammissibile semplificazione probatoria; - che, con riferimento al tema della decurtazione dei finanziamenti dal patrimonio di vigilanza, lo scarto tra realtà effettiva e dati patrimoniali contabilizzati costituiva un elemento centrale nella ricostruzione dell'oggetto del dolo; - che era già l'impiego, per alludere alle operazioni "baciate", di una sequela di differenti espressioni ("operazioni baciate", "operazioni correlate", "operazioni K", "big ticket", "operazioni di portage", tanto che "ogni area aveva le sue definizioni come precisato dal teste Ba.) a rendere vago il concetto di riferimento; concetto, peraltro, parimenti indeterminato anche quanto alle modalità di ricostruzione (stante la evidenziata diversità di approcci "criteriologici"); - che, per la prova del dolo in ordine alle comunicazioni che avevano omesso di registrare, decurtandoli, i finanziamenti correlati, non poteva ritenersi sufficiente una generica consapevolezza (peraltro, nella specie, insussistente) del fenomeno in esame, ove non accompagnata anche dalla conoscenza della entità delle relative dimensioni in termini di significatività tali da alterare i valori patrimoniali di bilancio e, a cascata, quelli del titolo B.; - che la peculiare natura di banca popolare dell'istituto vicentino rendeva non agevole la distinzione tra la qualifica di socio e quella di "affidato", specie in assenza di censure da parte degli organi di controllo, tanto che, sotto il primo profilo, era generalmente ritenuto fisiologico che il socio avesse pacchetti azionari, depositasse le proprie liquidità in banca e si facesse anche finanziare dalla banca medesima, sicché disporre di informazioni al riguardo costituiva elemento probatoriamente "neutro" ai finì in esame (donde l'irrilevanza di quanto emerso in ordine alle comunicazioni intercorse tra alcuni soci ed il presidente ZO., anche in occasione delle cene periodiche); - che, tenuto conto della contestazione del reato in forma concorsuale, non erano emersi elementi di sorta per ipotizzare la tesi di un previo concerto tra i diversi coimputati ed ipotetici concorrenti; - che, in ogni caso, una eventuale "vaga conoscenza" della possibilità che fossero state realizzate alcune operazioni irregolari, la mancata decurtazione delle quali non avrebbe determinato significativi scostamenti del Tier 1, ovvero degli altri parametri di bilancio (plurime testimonianze, invero, avevano evidenziato come un minimo di operazioni irregolari sarebbero state tollerate o, comunque, considerate non materialmente rilevanti), non poteva certo equivalere alla rappresentazione (e successiva volizione) del fenomeno in concreto realizzatosi, la prova del dolo richiedendo la rappresentazione e volizione "del fatto storico nella sua globalità" (con 1 conseguente irrilevanza dell'eventuale conoscenza delle operazioni poste in essere dai soli clienti Pi., Da.Ro. o Ro.); - che, d'altra parte, neppure era consentito "compensare" un deficit del momento volitivo con un solido momento rappresentativo In definitiva, per non giungere ad una inaccettabile ed incostituzionale equiparazione tra conoscibilità e conoscenza dell'oggetto del dolo e per evitare, in sostanza, di travestire un rimprovero sostanzialmente colposo sotto le mentite spoglie di un rimprovero doloso, quei "segnali d'allarme" che la giurisprudenza aveva ripetutamente valorizzato quali indicatori tanto della componente rappresentativa quanto della "accettazione del rischio", non solo avrebbero dovuto essere "perspicui e peculiari", ma anche effettivamente percepiti come fattori annunciane un illecito in itinere. Ad essi, poi, si sarebbe dovuto necessariamente accompagnare il momento volitivo. Ebbene, nel caso di specie, i segnali d'allarme che l'imputato ZO. aveva ricevuto erano sostanzialmente gli stessi (difficoltà del mercato secondario; detenzione di azioni proprie da parte dei fondi; segnalazioni del socio Da.Gr. e dell'avv. Es.; articoli di stampa; riacquisti di azioni avvenuti nel 2014) che erano pervenuti agli altri componenti del CdA. Si era trattato, inoltre, di segnali vaghi e non precipui e, ad eccezione della vicenda del dipendente Vi., tutti già a conoscenza dell'autorità di vigilanza che, nondimeno, non aveva colto alcunché del fenomeno del capitale finanziato fino a quando, nel 2015, la BCE non aveva proceduto agli approfondimenti ispettivi. E, in ogni caso, i suddetti "segnali d'allarme" non erano stati percepiti dall'imputato (come, del resto, dagli ispettori di Banca d'Italia, dagli altri consiglieri di amministrazione e dai sindaci) in quanto tali, ovverosia come specifici e precipui. Comunque l'analisi di tutti gli "indicatori sintomatico-probatori" rivelatori del dolo eventuale (siccome indicati dalla giurisprudenza di legittimità nella nota Cass. Pen. Sez. (J., 18 settembre 2014, n. 38343, Thyssenkrupp) conduceva ad escludere che l'imputato fosse stato consapevole sia del fenomeno dei finanziamenti correlati, sia - ed in ogni caso - della sua reale entità. Nulla, comunque, avrebbe consentito di affermare che ZO., se avesse avuto certezza della irregolarità della situazione, avrebbe agito in un determinato modo (secondo la verifica controfattuale riconducibile alla c.d. "prima formula di Frank"), ovverosia avrebbe "avallato" la prassi in questione; prassi, del resto, che indeboliva il patrimonio della popolare e che, pertanto, andava in direzione esattamente opposta rispetto all'obiettivo di rafforzamento dell'istituto tenacemente perseguito dal presidente. E, sul punto, l'appellante ha richiamato la pronunzia delle SSUU 26.11.2009, Nocera, in ordine all'atteggiarsi del dolo eventuale nella fattispecie di ricettazione, per evidenziare la necessità, ai fini dell'affermazione della responsabilità penale dello ZO., della conoscenza, da parte del predetto, tanto della effettiva natura quanto della portata del fenomeno delle operazioni "baciate", non essendo all'uopo sufficiente un mero stato di dubbio ovvero di sospetto. Di qui la richiesta di assoluzione per assenza dell'elemento soggettivo dei reati, in difetto di adeguata prova sul punto. 2.4.4 Con il quarto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5 e 6 dell'impugnazione), l'appellante, in via subordinata, ha censurato l'incongruità del trattamento sanzionatorio. Innanzitutto, la pena irrogata allo ZO. era stata determinata in misura superiore rispetto a quella inflitta ai coimputati sulla base di quella inesistente posizione di assoluta egemonia all'interno della struttura di vertice dell'istituto di credito che, fondata esclusivamente sulla vox populi, aveva invece costantemente scandito le argomentazioni del tribunale, pur in difetto di ogni reale riscontro alla stregua degli esiti dell'istruttoria dibattimentale. Peraltro, si trattava di una dosimetria sanzionatoria configgente con la semplice considerazione del ruolo dallo stesso primo giudice attribuito allo ZO. nella vicenda delittuosa in esame, essendosi egli, anche nella prospettiva del tribunale, limitato ad avallare una prassi da altri ideata ed attuata. Sul punto, l'appellante ha infatti ribadito come l'imputato si fosse limitato a svolgere funzioni strategiche e di rappresentanza, astenendosi dal partecipare ai comitati esecutivi e a quelli di direzione, non avesse rilasciato alcuna lettera di garanzia e fosse anche rimasto del tutto estraneo alla vicenda dei fondi lussemburghesi. Anche sotto il profilo dell'intensità del dolo, poi, fi trattamento sanzionatorio non trovava alcuna giustificazione, solo a considerare che l'imputato aveva investito, negli aumenti di capitale dell'istituto, un patrimonio personale di più di venti milioni di euro, peraltro senza mai ricorrere ai finanziamenti della banca. In ogni caso, l'incongruità della pena inflitta era palese ove confrontata con quelle irrogate ai coimputati e, in particolare, al GI., il cui ruolo centrale nell'operatività delittuosa era stato pure espressamente evidenziato dallo stesso tribunale. In definitiva, tutti i parametri ex art. 133 c.p. (e, segnatamente, quelli inerenti alle modalità dell'azione, alla capacità a delinquere, ai motivi a delinquere, alla assenza di precedenti penali, alla condotta di vita antecedente e successiva al reato, al comportamento processuale ed alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale) avrebbero dovuto univocamente orientare per il contenimento della pena al minimo, anche con riferimento agli aumenti irrogati a titolo di continuazione per i reati considerati satelliti. Peraltro, a tale ultimo riguardo (ovverosia quello inerente alla pluralità degli addebiti), l'appellante ha lamentato la violazione del divieto di bis in idem sostanziale e del principio del nemo tenetur se detegere. Ciò in quanto, per un verso, le diverse contestazioni (tanto con riferimento alle condotte di ostacolo alla vigilanza quanto a quelle di aggiotaggio) apparivano in realtà riconducibili ad un unico reato; e, peraltro verso, la consumazione della prima condotta di ostacolo alla vigilanza contestata sub B1 avrebbe necessariamente implicato le successive condotte delittuose, pena l'autoincriminazione per tali ulteriori reati. Sotto il primo profilo, infatti, l'informazione taciuta, ovvero falsata, era stata sempre la medesima (ovverosia l'esistenza di finanziamenti correlati che avrebbero comportato lo scomputo del relativo controvalore dal patrimonio di vigilanza), donde la configurabilità, con riferimento all'ipotesi delittuosa ex art. 2638 c.c., pur a fronte di una pluralità di condotte, di un unico reato (analogamente, del resto, a quanto previsto dalle fattispecie di cui agli artt. 513 bis, 609 octies c.p., parimenti caratterizzate dalla considerazione di una pluralità di "atti", rispettivamente, di concorrenza illecita e di aggressione sessuale). Avrebbe dovuto orientare in tal senso una interpretazione conforme ai principi costituzionali di proporzionalità della pena, a fortiori considerato che, nel caso di specie, erano riscontrabili tanto l'identità dei titolari degli interessi lesi dalle condotte contestate quanto la "unicità della spinta motivazionale". Peraltro, nella peculiare vicenda sub iudice, si era in presenza di una triplicazione di fattispecie a fronte di un identico nucleo fattuale di riferimento, consistente nel supposto occultamento del fenomeno delle operazioni "baciate" e nella conseguente alterazione dei dati patrimoniali, nucleo dal quale erano in effetti scaturite tanto le condotte di alterazione del prezzo dell'azione, quanto quelle di falsità in prospetto, quanto, infine, quelle di ostacolo alla vigilanza. Ebbene, il divieto di bis in idem sostanziale, finalizzato ad evitare eccedenze sanzionatone irrispettose del principio di proporzionalità della pena (divieto la cui portata sostanziale era stata recepita, nel solco delle pronunzie della Corte Edu e delia Corte di Giustizia Ue, anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza 43/18), avrebbe imposto, in ragione della sovrapponibilità fattuale delle imputazioni, l'esclusione del concorso dei reati, segnatamente facendo applicazione del principio di consunzione, con conseguente "sopravvivenza" della sola fattispecie di ostacolo alla vigilanza, più grave in ragione della contestazione della relativa aggravante di cui al terzo comma della disposizione incriminatrice di riferimento. Tale soluzione, del resto, sarebbe stata anche coerente con la doverosa considerazione del richiamato principio del nemo tenetur se detegere, rispetto al quale non poteva condividersi quanto sostenuto dal tribunale in ordine alla sua portata sostanzialmente limitata all'ambito processuale. In particolare, sul punto, per contestare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato che il principio in esame non avrebbe potuto trovare applicazione al di fuori dei casi previsti ex art. 384 c.p., l'appellante ha richiamato la sentenza della Corte di giustizia UE 24.2.2021 (là dove era stato riconosciuto, in conformità con i principi di cui agli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, il diritto al silenzio di chi fosse stato richiesto dall'autorità amministrativa di fornire notizie che avrebbero potuto esporlo a sanzioni penali), nonché la sentenza della Corte Costituzionale n. 112/19. 2.4-5 Infine, con il quinto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 7 dell'impugnazione), l'appellante ha censurato la violazione della disciplina in materia di confisca. In primo luogo, premesso che il tribunale aveva disposto la confisca per equivalente per un ammontare pari all'entità dei finanziamenti erogati per le operazioni "baciate" (considerando tali finanziamenti come i "beni utilizzati per commettere il reato", alla stregua della lettera dell'art. 2641 c.c. e delle considerazioni svolte, sul punto, dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza 112/19), l'appellante ha anzitutto censurato la decisione impugnata per la mancata previa verifica della concreta praticabilità della confisca diretta. In effetti, le considerazioni svolte dal primo giudice - là dove il tribunale aveva argomentato detta impossibilità sul rilievo della sottoposizione dell'istituto di credito a liquidazione coatta amministrativa -non trovavano affatto il conforto della univoca giurisprudenza di legittimità, essendo riscontrabile, in proposito, un contrario, preferibile orientamento. Per vero, l'esistenza di una procedura concorsuale non avrebbe potuto essere considerata preclusiva della confisca diretta dei beni della società, come anche precisato da recenti arresti della giurisprudenza di legittimità non solo con riferimento alla ablazione del profitto dei reati ma anche dei beni utilizzati per commetterli (Cass. Sez. V, 21.1.2020, nr. 5400; Cass. Sez. nr. 6391 del 4-18.2.2021). Peraltro, anche con riferimento al "conflitto" ravvisabile tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura e quello discendente dal sequestro, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato la prevalenza del vincolo del sequestro (Cass. Sez. III, 18.1.2020, nr. 15776). Infine, neppure sussisteva, nel caso di specie, l'unico ostacolo effettivamente in astratto ravvisabile rispetto alla confisca diretta - ovverosia quello della riferibilità dei beni da sottoporre a confisca a soggetto estraneo al reato - non potendosi l'istituto di credito ritenere tale, avendo pacificamente tratto profitto dalla commissione dei reati. In secondo luogo, l'appellante ha evidenziato come sottoporre a confisca i finanziamenti concessi dalla B. per l'acquisto delle azioni proprie in quanto "beni utilizzati" per commettere i reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c., avrebbe violato i prìncipi costituzionali. In proposito ha richiamato la già citata sentenza Corte Cost. 112/19 che, ravvisata la natura sostanzialmente punitiva della confisca ex art. 187 sexies TUF in relazione ai beni utilizzati per commettere l'illecito in questione, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione in esame nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo e non del solo profitto. Questo, sul rilievo dei principi della personalità della responsabilità penale, della proporzionalità ed individualizzazione della pena e del necessario orientamento rieducativo della stessa. Sicché, tenuto conto del contenuto - del tutto speculare - ravvisabile tra la disposizione oggetto della citata declaratoria di incostituzionalità e quella di cui all'art. 2641 cc., ha sollecitato la Corte territoriale a fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione da ultimo citata, con conseguente revoca della confisca disposta nei confronti di Zo.Gi., ovvero, in alternativa, a promuovere il relativo incidente di costituzionalità. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: - in via preliminare, dichiararsi l'incompetenza territoriale con conseguente trasferimento del procedimento all'autorità giudiziaria di Roma; - ai sensi dell'art. 603 c.p.p., disporsi la rinnovazione del dibattimento con escussione dei testi specificamente indicati nell'impugnazione e con l'espletamento di perizia ai fini di accertare entità e caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato; - in via principale, assolversi l'imputato per non avere egli commesso il fatto, ovvero perché il fatto non costituisce reato e, conseguentemente, revocarsi la condanna al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili; - revocarsi la confisca per equivalente per mancata previa verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti di B.; - in ogni caso, escludersi la possibilità di applicare la confisca per equivalente in relazione ai beni utilizzati per commettere il reato, ovvero, in via gradata, sollevarsi la questione di costituzionalità con riferimento alla disposizione di cui all'art. 2641, co.2, c.c. per contrasto con gli articoli 3, 27, 42 Cost; - in via subordinata, previo assorbimento delle fattispecie di aggiotaggio e falso in prospetto nel più grave delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza, applicarsi il solo trattamento sanzionatorio previsto per tale ultima fattispecie; - comunque, contenersi la pena nel minimo e, questo, tanto con riferimento alla pena base quanto agli eventuali aumenti a titolo di continuazione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. 2.4.6 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, i difensori dell'imputato hanno ulteriormente argomentato in ordine alla erroneità della sentenza impugnata con riferimento alla confisca. Inoltre, hanno sollecitato la rinnovazione dell'attività istruttoria nei termini più oltre precisati. Sotto il primo profilo, da un lato, hanno richiamato, oltre alla già citata sentenza della Corte Costituzionale 112/19, le precedenti pronunzie del Giudice delle leggi nn.ri 68/17, 223/18 e 63/19, onde evidenziare la natura di sanzione penale non solo della confisca per equivalente ma anche di quella diretta, stante la sua valenza punitiva là dove la stessa abbia un carattere peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale precedente all'illecito; e, dall'altro, hanno evocato la recente modifica legislativa dell'art. 187 TUF per effetto della Legge Europea 238/21 (che ha escluso che potesse disporsi la confisca del prodotto del reato di abuso finanziario nonché dei beni utilizzati per commetterlo), trattandosi di innovazione legislativa inequivocabilmente attestante come, anche in materia penale, la confisca non possa eccedere il profitto dell'illecito. Conseguentemente, hanno denunziato l'illegittimità costituzionale, non solo, come già sostenuto negli originari motivi, della disposizione di cui all'art. 2641, 2° co, c.c., ma anche di quella di cui al comma primo del medesimo articolo, là dove dette disposizioni prevedono la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato, ovvero di beni dal valore equivalente. Si tratterebbe, infatti, delle uniche (residue) ipotesi di disposizioni dell'ordinamento che, nell'ambito dei delitti finanziari, continuerebbero a prevedere la confisca dei beni utilizzati per la commissione del reato, peraltro attraverso il ricorso ad un criterio di quantificazione "rigido", non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto eventualmente da questi conseguito, con violazione, sul punto, dei parametri di cui agli artt. 3, 27 Cost.. Di qui la richiesta, in via prioritaria, di interpretazione di dette disposizioni in modo conforme alla Legge fondamentale, con conseguente limitazione della confisca disposta nei confronti dell'imputato al solo profitto del reato. In subordine, hanno sollecitato la Corte a sollevare incidente di costituzionalità. In via di estremo subordine, infine, hanno chiesto la revoca della confisca perché applicata in difetto del requisito della sussidiarietà, stante la mancata verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti della società, non costituendo, sul punto, la procedura concorsuale un ostacolo decisivo. Sotto il secondo profilo, poi, hanno sollecitato - evocando la giurisprudenza della Corte Edu formatasi in relazione all'art. 6 CEDU - la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e, segnatamente, hanno chiesto l'escussione dei membri del CdA e del collegio sindacale che, già citati nel giudizio di primo grado, si erano in quella sede avvalsi della facoltà di non rispondere in quanto indagati, trattandosi di soggetti la cui posizione era stata medio tempore definita con provvedimento di archiviazione, con conseguente mutamento del regime giuridico di escussione testimoniale. Il principio di effettiva oralità, infatti, avrebbe imposto l'audizione dei testimoni - a fortiori nel caso di fonti mai escusse - non solo nel caso di giudizio d'appello che faccia seguito a sentenza di assoluzione, ma ogniqualvolta si imponga il riesame di una causa, in fatto o in diritto. E, nel caso di specie, le testimonianze dei componenti del CdA e del collegio sindacale rivestirebbero il carattere della decisività ai fini della comprensione dell'effettivo ruolo svolto dallo ZO. nell'ambito di B., tenuto peraltro conto delle peculiari considerazioni svolte, sul punto, nella sentenza di primo grado. Di qui la richiesta di escussione dei testimoni Br., Mo., Do., Zu., Ti., Pa., Sb., Bi., Ma., Fa., Za., Ca. e Pi.. 2.5 Appello proposto da Zi.Gi. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche il difensore di Zi.Gi.. 2.5.1 In particolare, con il primo motivo, l'appellante ha lamentato la erronea formula assolutoria adottata dal tribunale ("perché il fatto non costituisce reato") a fronte di un compendio probatorio che avrebbe dovuto necessariamente orientare per un proscioglimento motivato dalla estraneità dell'imputato alle condotte oggetto di imputazione, ovvero dall'insussistenza dei fatti allo stesso ascritti. A ben vedere, del resto, lo stesso apparato argomentativo della decisione era caratterizzato da plurimi, significativi passaggi nei quali, da un lato, si era dato atto dell'assenza "di alcuna significativa prova del coinvolgimento dell'imputato nella programmazione e/o attuazione delie condotte di manipolazione dei mercato e di ostacolo alla vigilanza, siccome cristallizzate nelle imputazioni" (così era dato leggere alle pagg. 768 e ss. della sentenza); e, dall'altro, si era precisato che "le condotte 0 addebitate a ZI. attengono alla sua operatività in veste di cliente coinvolto in operazioni illegittime", sicché "desumere da ciò la prova di un concorso materiale di condivisione operativa delie condotte manipolatone e di falsa informazione al mercato ed alla vigilanza" avrebbe comportato " una inammissibile semplificazione probatoria..." (così alle pagg. 771 e ss.). 2.5.2 Quindi, con il secondo motivo, ha censurato la erroneità della individuazione e della valutazione delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni Banca (...) che avrebbero dovuto essere detratte dal capitale della banca con riferimento all'"operazione Ze." In effetti, era errato ritenere che la Ze. s.r.l. avesse acquistato azioni dell'istituto di credito in attuazione di una operazione correlata. Si trattava, in particolare, di una conclusione alla quale il primo giudice era pervenuto sulla scorta delle deposizioni dei testi Ba. e Criscuolo, della contabilizzazione dei relativi interessi e del contenuto del memorandum redatto dall'imputato. Sennonché: - incontestato il fatto che la Ze. s.r.l. avesse impiegato, per l'acquisto di azioni B., finanziamenti erogati dallo stesso istituto di credito; s e considerato che, per unanime riconoscimento, costituiva prassi comune quella dell'erogazione di credito da parte delle banche popolari in favore dei rispettivi soci (come precisato dal teste Barbagallo, le dichiarazioni del quale, del resto, erano state anche riportate nella relazione scritta fornita nel corso dell'audizione parlamentare), ha osservato l'appellante che quella compiuta da Ze. s.r.l. non poteva affatto definirsi una operazione correlata. Sul punto, infatti, il tribunale aveva acriticamente sposato la tesi dei cc.tt. del P.M. - i quali, per individuare quali fossero le cc.dd. operazioni "baciate", avevano all'uopo considerato ogni finanziamento che fosse stato utilizzato per l'acquisto di azioni dell'istituto (a prescindere, quindi, dal tempo intercorso tra finanziamento ed acquisto, nonché dalla stessa percentuale riscontrabile tra entità del capitale erogato ed importo impiegato per l'acquisto dei titoli) - e, così facendo, aveva del tutto trascurato le contrarie, argomentate considerazioni spese dal prof. Pe. e dal prof. Gu., consulenti, rispettivamente, delle parti GI. e ZI.-ZO., là dove costoro avevano dettagliatamente evidenziato come, al fine di individuare correttamente le "baciate", si sarebbero dovuti considerare gli ulteriori criteri del "nesso teleologico" e (nell'ipotesi di acquisto di titoli sul mercato secondario) del "merito creditizio" (come anche precisato, a tale ultimo riguardo, dal teste Pa. il quale, in effetti, aveva sottolineato l'importanza, quale canone interpretativo, proprio del concetto del rischio di impresa). In ogni caso, la varietà dei criteri utilizzabili sul punto - e, quindi, l'incertezza che regnava in materia - era palesemente emersa dalle variegate prassi operative adottate, in proposito, dagli organi di vigilanza (CONSOB/Banca d'Italia/società di revisione). Del resto, gli stessi PP.MM., nel corso delle rispettive requisitorie (così come nella richiesta di archiviazione nel procedimento RGNR 3862/16 iscritto a carico di tutti i membri del CdA), avevano dato mostra di essere ben consapevoli di ciò. Ebbene, nel caso della Ze. srl era decisivo considerare che tale società aveva rimborsato l'intero finanziamento di 14 milioni (versando 8,5 milioni attinti dalla liquidità propria e 5,5 milioni derivanti dalla vendita parziale degli 11 milioni in azioni B. detenuti da tale società), nonostante tale restituzione fosse poi stata del tutto obliterata nella sentenza impugnata. Più nel dettaglio, l'appellante ha precisato: - che Ze. s.r.l. era una holding finanziaria ed immobiliare, nell'ambito della quale l'imputato - il quale, peraltro, poiché quotidianamente impegnato presso l'Associazione Industriali, si recava di rado presso la sede della suddetta società - si occupava delle partecipazioni (all'epoca ammontanti, complessivamente a circa 15 milioni), mentre il fratello, Zi.Gi., curava gli investimenti immobiliari (all'epoca aventi un valore complessivo di circa 10 milioni); - che i fratelli ZI., nell'anno 2008, con i proventi della vendita delia partecipazione nella società Tr., avevano acquistato, per un controvalore di 1,2 milioni di euro, azioni B. ed avevano altresì sottoscritto, per un valore di 300.000 euro, un prestito obbligazionario convertibile, così portando la loro partecipazione nell'istituto di credito ad un valore di circa 1,5 milioni di euro (valore al quale si doveva poi aggiungere quello delle azioni detenute a titolo personale); - che, quindi, tra i titoli posseduti tramite Ze. s.r.l. e quelli posseduti dall'imputato a titolo personale, si era in presenza di strumenti finanziari aventi un valore complessivo di circa 8,5 milioni di euro, sicché lo stesso imputato, dopo il presidente ZO., era il maggior azionista della banca e, quindi, tra i soggetti che avevano subito il danno più consistente (al quale, peraltro, doveva aggiungersi il pregiudizio rappresentato dagli oltre 700,000 euro pagati a titolo di interessi passivi per i finanziamenti ottenuti dalla predetta Ze. s.r.l.); - che, nel 2012 - ovverosia nel periodo nel quale si collocavano le operazioni oggetto di contestazione - Ze. s.r.l. aveva in essere una pluralità di trattative commerciali (alcune poi concretizzatesi, altre no) per un importo complessivo di 14-15 milioni di euro (tra le operazioni in questione l'appellante ha dettagliatamente richiamato quelle relative ad "Ar", a "Do.", a Sa.Im." ed a "Ne.Co.") e, non avendo la liquidità necessaria per portarle a termine, aveva ricercato sul mercato un idoneo finanziamento, innanzitutto rivolgendosi ad U., con cui già intratteneva rapporti, e, successivamente, stanti le difficoltà operative che erano emerse (segnatamente, la necessità di disinvestimento di strumenti finanziari, come precisato dal teste Vi.), seguendo il suggerimento di Gi.Em., a B.; - che era stato intorno alla fine di settembre - inizi di ottobre 2012 che il GI. aveva iniziato ad istruire la pratica di finanziamento per un importo di 12,5 milioni di euro, importo dalla banca ritenuto coerente con il merito creditizio di Ze. s.r.l.; - che solo successivamente - in un "secondo momento" (rispetto all'avvio della pratica di finanziamento) seguendo la terminologia dell'appellante - era stato comunicato a B. che parte di questo importo, pari a circa 2,5 milioni di euro, sarebbe stato impiegato per l'acquisto della partecipazione in Ar., come precisato dai testi Ba. e Cr., il quale ultimo figurava come il proponente della P.E.F. (proposta di fido elettronica), peraltro significativamente caratterizzata da una motivazione sottostante tutt'altro che generica; - che solo a questo punto (e, quindi, in un "terzo momento") lo ZI. era stato richiesto di investire la rimanente somma di 10 milioni di euro (somma che non aveva ancora impiegato, né lo avrebbe fatto a breve) in azioni della banca, fermo restando che, non appena Ze. s.r.l. avesse venduto dette azioni, avrebbe investito il relativo importo nell'acquisto di partecipazioni in altre società, come desumibile, ancora, dalle deposizioni dei citati Ba. e Cr.- Ebbene, tale scansione degli eventi rendeva evidente come l'operazione conclusa da Ze. s.r.l. con B. non fosse affatto una operazione di "portage". Quindi, con riferimento all'Aucap 2013, il difensore ha evidenziato che si era trattato dell'adesione, da parte di Ze. s.r.l. all'operazione di aumento di capitale, adesione effettuata utilizzando, per l'importo complessivo di 1 milione di euro (500,000 euro investiti in azioni, altrettanti in obbligazioni), parte del fido di 1,5 milioni concesso dall'istituto, il tutto mentre la restante parte del finanziamento era stata destinata all'impiego in altre operazioni commerciali, come dettagliatamente riferito dall'imputato nel corso del proprio esame. Quanto, poi, alla vendita parziale delle azioni B. detenute da Ze. s.r.l. effettuata nel 2014, si era trattato della cessione di 88,000 azioni, per un controvalore di 5,5 milioni (ovverosia della vendita di circa la metà delle azioni dell'istituto detenute dalla società in questione), motivata esclusivamente da ragioni fiscali (segnatamente, dalla impossibilità di dedurre completamente gli interessi passivi del finanziamento, stante la natura di società mista immobiliare-finanziaria di Ze. s.r.l., come precisato dal consulente fiscale dott. Ba.). Peraltro, anche successivamente alla svalutazione dell'azione, gli interessi del finanziamento erano stati regolarmente corrisposti da Ze. s.r.l. con fondi propri e, già a maggio del 2014, la società aveva parzialmente restituito il finanziamento (poi rinegoziato ed estinto nel 2016) per l'importo di 1,2 milioni di euro, senza vendere alcuna azione; circostanza, questa, logicamente incompatibile con una operazione concordata ab origine. In definitiva, nessuna delle operazioni di acquisto di azioni B. poste in essere da Ze. s.r.l. aveva le caratteristiche proprie delle "baciate", se non quella della vicinanza temporale (caratteristica, quest'ultima, significativa secondo i parametri valorizzati dalla BCE ma, ad esempio, non per quelli adottati dalla CONSOB). Si era in presenza, infatti, di operazioni: - poste in essere a seguito di finanziamenti inizialmente destinati all'acquisto di partecipazioni in altre società; - caratterizzate da causali dettagliate; - realizzate da società il cui merito creditizio era ampiamente sussistente; s prive di scadenza, bensì connotate dal mantenimento, per un tempo significativo, dei titoli, poi venduti (peraltro solo in parte) unicamente per ragioni fiscali; - non connotate dallo storno di interessi, né dal rilascio di lettere di garanzia; - rispetto alle quali erano stati regolarmente pagati gli interessi (nella specie per l'importo, non certo irrilevante, di 700,000 euro); - alle quali, infine, aveva fatto seguito la restituzione del finanziamento (peraltro effettuata, in prevalenza, con fondi propri). Conseguentemente l'appellante ha escluso che si trattasse di operazioni che avrebbero dovuto comportare lo scomputo dell'importo finanziato dal patrimonio di vigilanza. Inoltre ha contestato che deponessero per la natura correlata delle operazioni effettuate da Ze. s.r.l. le circostanze pure all'uopo valorizzate dal primo giudice ai punti 2 e 2.1 della sentenza impugnata. Così era per il messaggio sms ("Faccio anche ZI.. Ma. d'accordo, Vedi problemi?") intercorso tra GI. e So. di cui al documento 661 del P.M., trattandosi di comunicazione che, al più, dimostrava che quello che era stato fatto era avvenuto all'insaputa dell'imputato; cosi per l'ulteriore messaggio sms ("Ti ricordo ZI. da parlarne con Presidente per fido da farsi sulla finanziaria") inviato da MA. a So. di cui al doc. 665 del P.M., in quanto privo di ogni valore probatorio (risultando evidente il riferimento alla disciplina ex art. 136 TUB e, dunque, alla necessità di avvertire il presidente affinché venisse adottata la relativa procedura di uscita dall'aula dell'interessato); così, inoltre, in relazione alla tabella - peraltro non redatta dall'imputato - contenente lo specchietto di riepilogo delle competenze di cui al documento nr. 737 del P.M., essendo inequivoco che quello del 4,75% ivi indicato era il tasso interno applicato ad Ar. per il favore fattole da Ze. (s.r.l. anticipandole la relativa somma, come precisato dal teste Fr. e come anche dimostrato dal documento nr. 16 prodotto dalla difesa all'udienza 30.6.2020; così, ancora, in ordine alla e-mail di cui al documento nr. 121 del P.M., trattandosi di comunicazione inerente ad una richiesta di rimborso da intendersi come avente ad oggetto la riduzione legittima dei tassi più volte sollecitata da Gi.ZI. e, per suo conto, dalla impiegata della Ze. s.r.l. Ca.Ro., come da quest'ultima precisato nel corso della propria escussione dibattimentale; così, infine, in relazione al rimborso di cui al documento nr, 121 del P.M., trattandosi di documento che andava interpretato come conseguente non già ad una richiesta di storno bensì di mitigazione dei tassi di interesse (peraltro mai andata a buon fine), come desumibile dalla congiunta valutazione delle deposizioni rese dai testi Cr., Ma. ed Am.- Quanto, poi, alle intercettazioni telefoniche valorizzate dal primo giudice al punto 2,2 della sentenza, trattavasi di conversazioni tutte successive ai fatti e che, ove debitamente contestualizzate, non avrebbero potuto affatto costituire elementi di prova a carico, attestando piuttosto - ed unicamente - il disperato tentativo dell'imputato di comprendere la ragione per la quale figurasse tra gli indagati. In tal senso, infatti, andava interpretata la telefonata nr. 135 del 25.8.2015, intercorsa con Bo.Lu. (conversazione nella quale l'imputato aveva affermato di essere uno dei consiglieri finanziati dall'istituto, al contempo negando di essere a conoscenza del fatto che tale pratica riguardasse altri soci), come, d'altronde, convincentemente spiegato dallo stesso ZI. nel corso del proprio esame dibattimentale. Infine, in relazione al memorandum di cui al documento del P.M. nr, 731, parimenti valorizzato al punto 2.2 della sentenza, il difensore ha rappresentato trattarsi di documento redatto "di getto" dal proprio assistito (il quale, peraltro, aveva fatto confusione in ordine alle date delle operazioni effettuate con Ze. S.r.l.); documento, tuttavia, che conteneva il riferimento alle sole operazioni effettuate dalla predetta Ze. s.r.l. per le quali la società aveva pagato interessi passivi ed il cui complessivo tenore, a ben vedere, deponeva per la più totale ed assoluta ignoranza di aver posto in essere operazioni anche solo irregolari. Infine, il difensore ha evidenziato come i punti 3, 4 e 5 della sentenza avessero fatto riferimento a temi (trattasi, segnatamente: dell'operazione effettuata da Gi.ZI.; dell'operazione U. inerente al finanziamento utilizzato dall'imputato per l'acquisto di derivati e non di azioni della banca; della e-mail inviata a GI. e Gi. nella quale l'imputato precisava "B. non opera con questa politica e che forse hanno capito male o il funzionario non si è espresso bene") estranei alla imputazione. Ha concluso, pertanto, chiedendo la modifica, in termini più favorevoli, della formula adottata dal primo giudice per mandare assolto Zi.Gi. e, segnatamente, insistendo per il proscioglimento del proprio assistito non già "perché il fatto non costituisce reato", bensì "per non avere commesso il fatto". 3. Appello proposto da Banca (...) in liquidazione coatta amministrativa. Avverso detta sentenza ha interposto appello Banca (...) in L.C.A. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti della sentenza inerenti alla affermazione di responsabilità dell'ente in relazione agli illeciti amministrativi ascritti ai capi di imputazione sub A2, B2, C2, D2, E2 F2, G2, H2, M2 ed N2, al mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co.2 lett. b, D. L.vo 231/01, alla quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza di cui al capo N2, alla quantificazione della sanzione ed alle spese processuali. 3-1 Con il primo motivo ha censurato la sentenza impugnata sul rilievo della erroneità dell'affermazione della sussistenza dell'interesse ovvero del vantaggio per l'ente derivante dai reati presupposti. In particolare, il primo giudice aveva esplicitamente sostenuto che i reati in contestazione, sebbene parte integrante di una politica di impresa che, all'esito, si era addirittura rivelata dannosa per l'istituto di credito, fossero stati espressione di una attività posta in essere nell'interesse ed a vantaggio di tale ente, in quanto strumentali a non farne emergere l'operatività illecita e, così, per un verso, a consentire l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, ad assicurare il mantenimento di quello esistente. Questo, sul rilievo della doverosa distinzione tra le singole operazioni di capitale finanziato, da un lato, e le specifiche condotte delittuose, dall'altro; condotte, queste ultime, successive alle prime e funzionali a consentire di realizzare un vantaggio economico immediato nei termini anzidetti. In definitiva - ha precisato l'appellante - il tribunale aveva tarato la prospettiva di giudizio sulla valutazione dell'interesse dell'ente in un momento successivo rispetto alle condotte delittuose. Ebbene, tale interpretazione era errata. In effetti, il difensore, dopo avere premesso: - che la differenza tra l'ente attuale (B. in L.C.A.) e quello amministrato/diretto dagli imputati non aveva rilevanza alcuna in punto di responsabilità amministrativa, in ragione della "autonoma oggettività" che costituiva la "cifra interpretativa" della disciplina in materia; - che il criterio di ascrizione stabilito ex art. 5 D.L.vo 231/01 imponeva di avere riguardo all'interesse o al vantaggio in relazione al singolo e specifico fatto di reato presupposto volta a volta addebitato alla persona fisica; - che il fatto del quale l'ente era chiamato a rispondere, trattandosi di fatto proprio ed autonomo dell'ente medesimo, non poteva identificarsi con il reato commesso, sottolineava come l'elemento costitutivo delia responsabilità amministrativa rappresentato dall'interesse/vantaggio dovesse essere valutato con diretto riferimento alla persona giuridica e dovesse essere necessariamente tale, in un'ottica di valutazione ex ante, da prospettare il verificarsi di una situazione migliorativa per l'ente in questione; prospettiva, peraltro, da valutarsi in termini squisitamente oggettivi e non già sulla base della ricostruzione "dell'attitudine psicologica dell'autore del reato presupposto", nella sfera esclusiva del quale restavano, per contro, gli estremi costitutivi del reato perpetrato. Donde, sotto tale profilo, l'impossibilità di valutare l'interesse dell'ente sulla base del movente che aveva guidato gli autori del reato e che, ripetutamente, era stato da costoro identificato "nell'interesse della banca". In altri termini l'interesse rilevante era solo quello, per un verso, avente una dimensione oggettiva e, per altro verso, identificabile, ex ante, in un reale utile per l'ente; utile, peraltro, da valutarsi in una prospettiva funzionale e (strumentale rispetto alla persona giuridica. Quanto al vantaggio, poi, valevano le medesime considerazioni, con la precisazione, tuttavia, che la identificazione di tale elemento presupponeva una valutazione da effettuarsi ex post. Ebbene, già tali considerazioni consentivano - ad avviso dell'appellante - di apprezzare l'errore di valutazione nel quale era incorso il primo giudice, solo a considerare, da un lato, che non rientrava certamente nell'interesse della banca effettuare un aumento di capitale con mezzi della banca medesima (trattandosi di operazione che, sin dal momento genetico, si presentava come foriera di un impoverimento patrimoniale dell'istituto); e, dall'altro, che nessun vantaggio era derivato alla B. dai reati perpetrati dagli imputati, reati che, al contrario, avevano generato un pregiudizio di vaste dimensioni. Più nel dettaglio, con riferimento al fenomeno sottostante alle condotte contestate di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, il difensore ha sottolineato - alla stregua, segnatamente, di quanto riferito dai testi Ba. e Io. -come gli aumenti di capitale effettuati negli anni 2013 e 2014, lungi dal rafforzare la stabilità patrimoniale dell'istituto vicentino, avessero unicamente creato una parvenza di stabilità e solidità economico-finanziaria (posto che si erano tradotti in una costruzione fittizia di patrimonio). Per un verso, infatti, le risorse utilizzate per gli aucap erano state fornite dal medesimo istituto di credito, sicché non vi era stata alcuna reale immissione di nuove risorse finanziarie; e, per altro verso, la neutralizzazione degli interessi passivi attraverso il cosiddetto "storno" si era tradotta in un depauperamento per l'istituto di credito, per effetto di operazioni "in perdita" (come del resto emerso nel corso dell'esame dell'imputato MA. e comprovato da specifiche deposizioni testimoniali). In effetti, la deposizione del teste ispettore Ma. era stata illuminante in ordine all'antieconomicità di tali operazioni. Il contenuto delle lettere di impegno rinvenute nel corso dell'ispezione BCE, poi, aveva confermato il carattere pregiudizievole per il patrimonio societario delle operazioni suddette (in quanto sostanzialmente tali da trasformare le azioni in obbligazioni, senza alcun reale apporto di risorse nuove in cambio di una quota parte del capitale sociale, come precisato dalla teste Pa.). Donde l'impossibilità di ravvisare, ex ante, alcuna positiva ripercussione di tali operazioni, poste in essere dalle persone fisiche, sulla persona giuridica. Inoltre, altrettanto pregiudizievoli per l'istituto di credito erano state le operazioni legate all'investimento di circa 350 milioni di euro nei fondi lussemburghesi "At." ed "Op.", in considerazione della natura delle operazioni poste in essere, del tutto eccentriche (come emerso solo al momento della disclosure circa il sottostante dei fondi) rispetto all'interesse di B., peraltro unico sottoscrittore dei fondi medesimi, con conseguente aumento del rischio di danno in caso di scelta di disinvestimento (come precisato dal teste Li.), danno, poi, puntualmente verificatosi (come evidenziato dal teste Io.). D'altronde, le operazioni suddette - e, in particolare, le "operazioni baciate" - avevano costretto la govemance aziendale subentrata a seguito delle verifiche BCE a fronteggiare una situazione davvero critica, di assoluta debolezza rispetto al tentativo di recuperare le perdite della precedente amministrazione (amministrazione, la prima, che aveva concesso fidi a clienti dall'apparente merito creditizio, la capacità restitutoria dei quali, al contrario, nella maggior parte dei casi, era risultata inesistente, con l'ulteriore anomalia che le garanzie dei finanziamenti erano state costituite, sovente, dalle stesse azioni; circostanza, questa, che si era riverberata negativamente, ab origine, sulla possibilità di recupero del capitale erogato). Tanto precisato con riferimento all'operatività sottostante alle condotte delittuose ex artt. 2637 e 2638 c.c., il difensore ha ribadito come la sottoscrizione di azioni di nuova emissione attraverso finanziamenti erogati dallo stesso istituto emittente, al pari dell'acquisto delle azioni B. sul mercato secondario ugualmente effettuato attraverso l'erogazione di credito da parte della banca vicentina, fossero operazioni che, sin dall'origine, compromettevano la consistenza economico-patrimoniale dell'istituto. Ed analoghe conclusioni si imponevano per gli investimenti nei fondi lussemburghesi e per gli impegni di garanzia. Ciò posto, era su tali modalità operative sottostanti che si erano innestate le condotte di occultamento, con mezzi fraudolenti, dell'effettività della situazione. Nondimeno, si trattava di condotte (volte a far apparire come effettivo un aumento di capitale; ovvero a sostenere artificiosamente l'appetibilità del titolo; ed, in ogni caso, a nascondere la effettività della situazione sottostante) del tutto distoniche e configgenti, sul piano oggettivo, con l'interesse di B., istituto che, al pari di qualsiasi altra banca, non poteva certo ritenersi oggettivamente interessato ad un aumento di capitale fittizio, tale da risolversi in un depauperamento della consistenza economica della banca. In un siffatto contesto, la tesi espressa dal tribunale, secondo il quale i reati erano stati "strumentali proprio a non rivelare tale operatività lungi dal comprovare l'esistenza di un interesse della banca rispetto a ciascun singolo reato, deponeva in senso esattamente opposto, dato che l'istituto aveva il contrario interesse di concludere operazioni sostenibili, ovvero di interrompere una operatività pregiudizievole per i propri obiettivi istituzionali. L'esito drammatico per B. del disvelamento dell'occultamento di tali irregolari modalità operative, del resto, confermava come queste ultime fossero in radicale contrasto con gli obiettivi della banca. A ben vedere, infatti, il reato ex art. 2638 c.c., non poteva affatto sostenersi fosse stato perpetrato nell'interesse dell'ente, trattandosi di delitto sostanziatosi nell'occultamento alla autorità di vigilanza di informazioni che, se comunicate, avrebbero impedito il rilascio dei nulla osta necessari per gli aumenti di capitale, ovvero per il riacquisto delle azioni proprie e, cioè, per operazioni tutte certamente dannose, sin dall'origine, per l'ente medesimo (come concluso, in fattispecie analoga, dal P.M. presso il tribunale di Siena nel decreto di archiviazione prodotto in allegato all'atto di appello, sub 1), In buona sostanza, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, l'interesse della banca non avrebbe certo potuto essere individuato nell'occultamento della debolezza patrimoniale dell'istituto medesimo al fine di "conseguire afflussi di capitale e mantenere l'operatività" e, così, scongiurare interventi più incisivi dell'autorità di vigilanza, trattandosi di obiettivi contrari a quelli propri di un ente bancario e, anzi, forieri di rischi e pericoli. Diversamente opinando - ha osservato l'appellante - ogni condotta di aggiotaggio ed ostacolo alla vigilanza finirebbe per trarre seco la responsabilità amministrativa dell'ente, anche nelle ipotesi, quali quelle sub iudice, caratterizzate da condotte produttive, ab origine, di un depauperamento per l'ente medesimo, con conseguente surrettizia introduzione di una sorta di responsabilità oggettiva della persona giuridica. Peraltro, la circostanza che la disposizione di cui all'art. 5, co. 2 D. L.vo 231/01 non contenesse riferimento alcuno alla nozione di vantaggio, costituiva significativo indice del fatto, con riferimento alla ipotesi disciplinata dal precedente comma, che, in assenza del relativo interesse, non sarebbe ravvisabile la responsabilità dell'ente. In effetti - ha osservato, conclusivamente, il difensore - l'unico interesse ravvisabile nella specie era quello, esclusivamente proprio del gruppo dirigente, ad occultare la reale situazione dell'istituto di credito per mantenere, il più a lungo possibile, ruoli e posizioni professionali di prestigio ed al contempo scongiurare il discredito che sarebbe derivato da una emersione del fenomeno in esame, interesse che gli imputati avevano perseguito ad ogni costo, in radicale contrasto con quello dell'istituto di credito. 3.2 Con il secondo motivo, poi, il difensore ha contestato la sussistenza della responsabilità dell'ente sotto il diverso profilo della asserita inidoneità del modello di organizzazione e gestione predisposto per la prevenzione dei reati e, in ogni caso, in ragione dell'asserita elusione fraudolenta dello stesso da parte dei vertici aziendali. In particolare l'appellante ha censurato le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, sostenendo, per contro, che B., nel predisporre ed attuare il modello di organizzazione, non si sarebbe affatto discostata dal comportamento astrattamente doveroso, con la conseguenza che, in difetto di un effettivo "scarto" tra ente modello ed ente concreto, difetterebbe il requisito dell'illecito amministrativo costituito dalla "colpa di organizzazione", siccome delineata ex art. 6 D. Lvo 231/01; colpa in concreto insussistente ove, come nella specie, il modello avesse caratteristiche tali da poter essere eluso solo attraverso un comportamento fraudolento. Ciò posto, dopo avere premesso: - che il difetto di analiticità del modello, lungi dall'esprimerne l'inadeguatezza, risponderebbe piuttosto all'ineludibile esigenza di non comprimere la libertà di organizzazione dei fattori produttivi; v che il carattere "ideale" del modello non avrebbe potuto essere "ipostatizzato", dovendosi necessariamente avere attenzione ad un modello "relativamente ideale", tenuto conto dell'attività concretamente svolta dall'ente, delle dimensioni dello stesso e, più in generale, delle caratteristiche tutte della persona giuridica di riferimento; - che, inoltre, nella valutazione del giudizio sulla sussistenza della colpa, rettamente intesa come "rimproverabilità", si sarebbero dovuti adeguatamente considerare eventuali profili di inesigibilità; s che, Infine, non si sarebbe certo potuto far automaticamente discendere dalla commissione dei reati la conclusione circa l'inadeguatezza del modello, il difensore ha analizzato le caratteristiche del modello di organizzazione effettivamente adottato da B., specificando che si trattava di modello - progressivamente aggiornato, sino al 2014 - ispirato ai principi ed alle linee guida dell'ABI.. Più nel dettaglio, la Sezione 11° del modello, con specifico riferimento alla funzione di vigilanza, prevedeva l'esistenza di un organo di controllo che, introdotto nel 2003, a decorrere dal 2008 era stato trasformato in un Organismo di Vigilanza ad hoc, composto da tre membri (il responsabile dell'audit e due soggetti esterni), munito di numerosi poteri (necessari per attuare le procedure di controllo, svolgere verifiche periodiche, coordinarsi con il responsabile della formazione del personale, raccogliere ed elaborare dati rilevanti, verificare le esigenze di aggiornamento del modello) e che curava una funzione di reporting agli organi sociali. Tale Organismo, poi, era integrato da specifiche responsabilità facenti capo alle diverse funzioni aziendali. L'Organismo di Vigilanza, a sua volta, riceveva informazioni e garantiva che coloro che avessero effettuato una segnalazione non subissero conseguenze negative di sorta da tali comunicazioni/denunzie. Inoltre, il modello, da un lato, includeva anche un sistema disciplinare quale elemento costitutivo dell'attività di controllo (sistema che contemplava un apparato sanzionatorio applicabile non solo agli organi apicali, ma a tutti i dipendenti dell'istituto, oltre ai collaboratori esterni); e, dall'altro, prevedeva un continuo monitoraggio del funzionamento del modello stesso, promuovendo all'uopo gli aggiornamenti ritenuti necessari. Nella Sezione IIIA, poi, era delineato un sistema preventivo (suddiviso nelle sotto-sezioni "Rischio", "Processo", "Funzioni Coinvolte", "Protocolli di controllo", "Normativa interna vigente") rivolto alla prevenzione del pericolo di commissione di specifici reati (questi ultimi, peraltro, oggetto di puntuale "mappatura" in un apposito allegato). E, con particolare riferimento alle ipotesi delittuose contestate, l'appellante ha precisato che, contrariamente a quanto sostenuto a pag. 795 della sentenza impugnata, per un verso, la procedura di redazione dei bilanci e la tenuta della contabilità erano effettuate facendo applicazione di manuali appositamente concepiti (ai quali si aggiungevano i "funzionigrammi", gli organigrammi ed i regolamenti interni pubblicati sull'intranet aziendale); e, per altro verso, specifica attenzione era dedicata proprio alle operazioni potenzialmente incidenti sull'integrità del capitale e/o del patrimonio sociale. Anche con riferimento alla trasparenza, poi, il modello conteneva specifiche disposizioni e, così, svolgeva una funzione, sul punto, "integrativa": alle procedure vigenti, infatti, aggiungeva disposizioni ulteriori relative all'osservanza della normativa societaria. In definitiva, quello adottato dall'istituto di credito vicentino era un valido presidio rispetto al rischio di commissione delle fattispecie penali di riferimento. In ogni caso, dopo avere ripercorso struttura e contenuto del modello, l'appellante si è concentrato sulle censure specificamente contenute nella sentenza impugnata, secondo la quale le carenze del modello in questione sarebbero state riferibili: - in primo luogo, alla composizione dell'Organismo di Vigilanza; se, in secondo luogo, all'inefficacia del modello rispetto ai reati contestati agli imputati. Ebbene, sotto il primo profilo, era sufficiente evidenziare come le stesse linee guida predisposte dall'ABI nel 2004 lasciassero ampia discrezionalità con riferimento alla composizione dell'ODV (nel senso che era previsto che le banche potessero creare un organismo ad hoc, ovvero utilizzare un organismo o una funzione già esistenti). Inizialmente la scelta di B. si era indirizzata verso un organo composto dal responsabile dell'internal audit affiancato da due soggetti esterni; quindi, nel 2014, l'istituto vicentino aveva modificato la composizione dell'organo in questione, in linea, peraltro, con l'evoluzione normativa in materia. A seguito dell'inserimento del co, 4 dell'articolo 6 D.Lvo 231/01 per effetto della legge di stabilità del 2012, infatti, B. aveva attribuito al Collegio Sindacale le funzioni in questione. Sicché, sul punto, le scelte della banca non potevano essere censurate. Quanto al secondo profilo, poi, il tribunale era pervenuto ad una valutazione di responsabilità per effetto di una erronea valutazione di inidoneità, conseguente alla stessa commissione dei reati e, in sostanza, adottando un criterio di giudizio basato su un inammissibile automatismo, di fatto tale da rendere del tutto inutili le previsioni ex artt. 6 e 7 D.Lvo 231/01. Per contro, ogni valutazione sul punto avrebbe dovuto essere effettuata secondo i criteri della "prognosi postuma" (pena la inevitabile, costante conclusione, in caso di commissione dei reati, della inadeguatezza del modello adottato dall'ente). Peraltro - ha proseguito, sul punto, il difensore - l'erroneità delle conclusioni, cui era giunto il primo giudice sarebbe emersa in termini di maggiore evidenza ove si fosse debitamente considerata la natura fraudolenta ed elusiva delle modalità di commissione del reato da parte delle persone fisiche in posizione apicale. L'elusione del modello organizzativo da parte di tali soggetti, infatti, era stata tale da "segnare una evidente scissione tra l'ente medesimo e il soggetto apicale autore del reato", la condotta di quest'ultimo non potendosi ritenere espressione "della politica di impresa dell'ente stesso", ma costituendo "una scelta personale e propria dell'autore dei fatto di reato". In definitiva - ha precisato l'appellante - "quando l'autore dei reato è un soggetto apicale, l'ampiezza dei poteri a questi conferiti introduce la variabile umana dell'abuso; essa segna i confini sussistenti tra i comportamenti ex ante prevedibili certamente compresi tra i pericoli che un valido modello organizzativo deve saper inibire, da un lato; e, dall'altro, quelli dei quali è predicabile un'intrinseca valenza fraudolenta perpetrati mediante l'abuso dei supremi poteri sociali come tali necessariamente ribelli alla possibilità di un qualsiasi controllo, seppure ben concepito e calibrato". E, sul punto, erano evidenti tanto le modalità fraudolente adottate per porre in essere le operazioni di capitale finanziato (solo a pensare alle clausole generiche inserite nei contratti di finanziamento), quanto la strumentalità delle operazioni di investimento estero nei fondi lussemburghesi. Donde la conclusione circa l'adeguatezza del modello organizzativo adottato da B.. 3.3 Quindi, con il terzo motivo, articolato in via subordinata, il difensore ha censurato il mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D. L.vo 231/01, nonché l'errata quantificazione della sanzione pecuniaria rispetto ai criteri di determinazione del valore e del numero delle quote, anche in relazione all'aumento delle quote medesime per effetto della disciplina della pluralità di illeciti. Innanzitutto, la circostanza che la Banca si fosse dotata di un modello organizzativo sin dal 2002 ed il fatto che l'istituto avesse ristorato, a titolo transattivo, ben 66.770 azionisti, avrebbero dovuto fondare il contenimento nei minimi sia del numero delle quote che dell'aumento derivante dalla pluralità degli illeciti. La concessione dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D.L.vo 231/01, poi, avrebbe dovuto indubbiamente trovare riconoscimento. Questo, solo a considerare debitamente la condotta adottata dall'istituto di credito che, successivamente all'ispezione BCE, aveva prontamente provveduto alla revisione del modello organizzativo, dimostrando l'incontrovertibile intenzione dell'ente di dotarsi di un valido presidio per la prevenzione della commissione di ulteriori illeciti a seguito del disvelamento della mala gestio della precedente amministrazione. Infine, l'importo della singola quota era stato fissato senza tenere adeguatamente conto, come invece prescritto dall'art. 11 D.Lvo cit., delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, al fine di assicurare l'efficacia della sanzione. La liquidazione dell'istituto di credito, invero, rendeva evidente l'inconciliabilità del valore della singola quota rispetto alla condizione dell'ente medesimo, con un conseguente "peso" della sanzione irrogata in misura sproporzionata rispetto alla effettiva responsabilità. Di qui la richiesta di determinazione nel minimo edittale della sanzione amministrativa irrogata a B. in L.C.A. 3.4 Inoltre, con il quarto motivo, l'appellante ha censurato la quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza contestato al capo N2 e, conseguentemente, del valore della relativa confisca. Il primo giudice, infatti, aveva disposto, nei confronti dell'istituto di credito, la confisca per l'importo di euro 74,212.687,50, quale indebito profitto del reato di ostacolo alla CONSOB perpetrato in occasione dell'aumento di capitale del 2014. In particolare, in occasione di tale aucap, l'operazione straordinaria era stata effettuata omettendo, nei confronti dell'investitore-sottoscrittore, il test di adeguatezza. In effetti, all'esito della replica del test di adeguatezza effettuato in sede ispettiva, era emerso che, su circa 10.812 sottoscrizioni, una parte consistente di operazioni, segnatamente 7.795, era stata effettuata da soggetti (non finanziati) ritenuti "inadeguati"; soggetti, pertanto, che non avrebbero potuto procedere in tal senso ovvero che avrebbero dovuto disporre di un adeguato compendio informativo. Sennonché, l'appellante ha segnalato che il profitto derivato dalle irregolari modalità di esecuzione dell'aumento di capitale, più che dall'ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB posto in essere dal GI. (ovverosia dall'imputato del reato presupposto contestato sub NI), era ascrivibile al reato ex art, 173 bis D.Lvo 58/98, contestato al capo L), di falso in prospetto relativo al medesimo aumento di capitale dell'anno 2014; delitto, tuttavia, non ricompreso nel novero dei reati presupposto di cui al D.L.vo 231/01. Donde l'impossibilità di sanzionare l'ente per la corrispondente condotta e, conseguentemente, l'insussistenza dei presupposti per la confisca del profitto del reato nei confronti dell'ente medesimo. Di qui la richiesta di dissequestro e restituzione della somma di euro 74.212,687,50. 3.5 Infine, con il quinto motivo, ha sollecitato la revoca della condanna al pagamento delle spese processuali quale effetto della invocata assoluzione dell'ente. 4 Gli appelli del P.M. 4.1 Appello inerente alla posizione di Pe.Ma. Il P.M. presso il tribunale di Vicenza ha impugnato l'assoluzione di Pe.Ma., assoluzione che il primo giudice aveva motivato sul rilievo dell'assenza di prova circa il coinvolgimento dell'imputato nella strutturazione dell'operatività delle "operazioni baciate" (e, ancor prima, circa la stessa effettiva conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno in esame, con specifico riferimento alle caratteristiche della prassi delle operazioni correlate ed alla loro diffusività) ritenendo, per contro, ragionevolmente dimostrato che costui, al più, avesse nutrito sospetti in proposito e, tuttavia, ne avesse sottovalutato le portata e le implicazioni in punto di incidenza sul patrimonio di vigilanza e sui coefficienti prudenziali. Ad orientare in tal senso le conclusioni del tribunale - ha precisato l'appellante - erano state, essenzialmente, le deposizioni rese dai testi Fa., Tr., Mo. e Li., la vicenda della disclosure sui fondi "At." ed "Op." al giugno 2014, l'episodio degli accertamenti effettuati dalla società K. incaricata della revisione del bilancio al 31.12.2014 e, infine, l'intervento dell'imputato durante la seduta del CdA dell'1.4.2014. Per contro, le circostanze della partecipazione dell'imputato al Comitato di Direzione 8.11.2011 ed alla riunione del 7.1.2015, il contenuto della registrazione della seduta del Comitato di Direzione 10.11,2014 e le deposizioni dei testi Am., Ba., Tu. e So. in ordine alle riunioni dell'alta dirigenza dell'istituto, erano stati ritenuti dati probatori "insufficienti a dimostrare la consapevolezza in capo al predetto delle condotte manipolatone poste in essere dai vertici di B.". Ebbene, la sentenza impugnata, per un verso, aveva omesso di valutare (ovvero aveva erroneamente valutato) prove in realtà pienamente dimostrative della integrale conoscenza, da parte dell'imputato, tanto della esistenza quanto dell'entità significativa del fenomeno del capitale finanziato; per altro verso, aveva radicalmente trascurato talune circostanze che, accertate nel corso del dibattimento, confermavano siffatta consapevolezza; e, per altro verso ancora, aveva effettuato una valutazione frazionata ed atomistica del materiale probatorio, astenendosi da un doveroso raffronto dei singoli elementi con l'intero compendio disponibile, conseguentemente pervenendo a conclusioni scorrette. E, al riguardo, il P.M., dopo avere richiamato le responsabilità ed i compiti che incombevano sul PE. tanto secondo il "funzionigramma" dell'istituto vicentino quanto, in ragione dell'incarico di dirigente preposto, in base alla disciplina di legge (art. 154 bis D.L.vo 58/98) ed alla normativa secondaria emanata dalla Banca d'Italia, e dopo avere altresì rievocato, sulla base della deposizione resa dal teste Tr., il meccanismo di tenuta della contabilità adottato da B., ha evidenziato il significativo rilievo probatorio, ai fini dell'esatta comprensione della posizione del PE., sotto il profilo dell'elemento psicologico dei reati in esame, rivestito, nell'ordine: a} dagli appunti redatti da So.Ma. in ordine alla seduta del Comitato di Direzione del giorno 8.11.2011 e dalla e-mail del 10.6.2011 inviata da Ro.Fi. all'imputato (oltre che ad altri dirigenti e funzionari dell'istituto). In particolare, dal contenuto di tale e-mail si ricavava chiaramente che, al momento della partecipazione alla citata seduta del Comitato di Direzione, nel quale era poi stato espressamente trattato il tema delle operazioni "baciate" (come desumibile da alcuni passaggi degli appunti manoscritti di So.), il PE. era necessariamente a conoscenza della situazione di grave squilibrio del mercato secondario delle azioni dell'istituto (con il fondo acquisto azioni proprie impegnato per ben 112 milioni di euro). Donde la conclusione che l'intervento effettuato dal PE. durante la seduta - allorquando l'imputato, in un contesto di espliciti riferimenti da parte del To., del Se. e del So. alle "baciate", aveva sollecitato un decremento dell'ammontare delle azioni proprie detenute in portafoglio per raggiungere un Tier 1 ratio dell'8% ("per andare ad S", secondo l'espressione attribuita al medesimo PE. negli appunti) - era necessariamente espressione di una effettiva conoscenza di un fenomeno strutturato ed in corso da tempo, fenomeno del quale si segnalava, durante detto incontro, la necessità di monitoraggio giornaliero e di ulteriore pianificazione. Peraltro - ha precisato l'appellante - il contenuto dell'appunto era coerente con la ricostruzione di tale fenomeno siccome effettuata dai cc.tt. del P.M. (secondo i quali, al 31.12.2010, le operazioni di capitale finanziato ammontavano a 50 milioni, mentre, nel corso dell'anno successivo, erano cresciute notevolmente sino a raggiungere il valore di ben 243 milioni). Ebbene, nonostante il tribunale avesse opportunamente valorizzato il rilievo probatorio del documento rappresentato dagli appunti in questione onde desumere il coinvolgimento, nell'operatività illecita della banca, dei coimputati GI. e PI. (visto che, in quell'occasione, erano state delineate "le strategie operative per gli interventi sul capitale ... che prevedevano il ricorso alle operazioni baciate come strumento per svuotare il fondo acquisto.."), del tutto incomprensibilmente lo stesso primo giudice aveva poi omesso di trarne le dovute, necessarie conclusioni in relazione all'analoga posizione del PE. (pure intervenuto attivamente, nel corso della riunione in questione, fornendo indicazioni rilevanti ai fini del perseguimento degli obiettivi fissati dal d.g. So.). In effetti, la versione fornita dall'imputato - secondo il quale "non aveva dato il giusto peso agii interventi di Se. e To. perché, all'epoca, non conosceva la parola "baciata" - lungi dall'essere "non inverosimile", era scopertamente difensiva; b) dalle deposizioni di So.. Am., Ba. e Tu.. Alla stregua di tali deposizioni, tutt'altro che generiche ed imprecise, era stato possibile, nell'ordine: ricostruire le modalità di funzionamento degli organi collegiali manageriali dell'istituto; apprendere che il PE., nella sua qualità di responsabile della "Divisione Bilancio e Pianificazione", aveva sempre preso parte sia ai Comitati di Direzione svoltisi sino al 2011 (e, in seguito, nuovamente convocati a partire dalla seconda metà del 2014, per effetto di una espressa richiesta BCE), sia alle informali "riunioni di direzione" convocate nel periodo intermedio; conoscere che, in occasione di tali riunioni, erano stati trattati anche i temi dell'operatività dei finanziamenti correlati, nell'ambito dei più generali argomenti della gestione del capitale, del fondo acquisto azioni proprie e dello squilibrio del mercato secondario delie azioni B.. Che, poi, il PE. non avesse compreso portata e caratteristiche del fenomeno in questione, era conclusione che contrastava, sul piano logico, con la circostanza che detto fenomeno aveva finito per rappresentare - come peraltro puntualmente osservato dal tribunale - una sistematica modalità di gestione dell'attività di impresa, protrattasi per un lungo arco temporale (5/6 anni), fino a raggiungere una dimensione quantitativa notevole (sia per il numero delle operazioni concluse, sia per il controvalore delle stesse), tale da coinvolgere i soci più importanti, da interessare tutte le zone di insediamento della banca e da rivestire una incidenza notevole, sul funzionamento del mercato secondario dei titoli B. e sulla situazione patrimoniale dell'istituto. Né alcun teste aveva riferito che il tema in esame costituisse argomento segreto, del quale le strutture della Divisione Bilancio e Pianificazione fossero state tenute all'oscuro. Peraltro, rientrava nelle competenze di detta Divisione la funzione di capital management, alla quale non era certo estranea la questione dell'entità della quota indisponibile del fondo acquisto azioni proprie (per le conseguenze sui livelli di patrimonializzazione e sui ratios patrimoniali prudenziali); c) dai risultati delle intercettazioni telefoniche. In particolare, il tribunale aveva del tutto omesso di considerare il tenore di due colloqui telefonici dai quali era possibile desumere la conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Si trattava della conversazione nr, 359 dell'1.9.2015, intercorsa tra il coimputato GI. e il membro del collegio sindacale Pi.La. (nel corso della quale era stato effettuato l'esplicito riferimento al fatto che il PE., in relazione alle operazioni baciate, "dava ordini.."); nonché della conversazione nr. 259 del 28.8.2015, intercorsa tra il responsabile audit Bo. ed il coimputato MA. (in occasione della quale quest'ultimo aveva ribadito che del fenomeno in questione erano a conoscenza anche gli altri componenti della Direzione Generale in quanto il So. era solito parlarne nel corso delle riunioni dell'alta dirigenza); d) dagli sms intercorsi tra i coimputati PI. e GI. in data 3.5.2015 (ovverosia in un momento nel quale i primi esiti dell'ispezione BCE stavano conducendo al disvelamento dell'operatività illecita della banca), là dove tali SMS contenevano l'esplicita affermazione del coinvolgimento collettivo dell'alta direzione dell'istituto ("deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"); e) dalle dichiarazioni del teste Bo. in merito alla riunione del febbraio 2015 in previsione dell'avvio dell'ispezione BCE, riunione alla quale aveva preso parte anche il PE. e nella quale lo stesso teste aveva illustrato la criticità rappresentata dalla questione del capitale finanziato, senza che alcuno dei partecipanti avesse manifestato il benché minimo stupore; f) dalla registrazione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11.2014, ovverosia da un elemento di eccezionale valore probatorio, in quanto, in un contesto di espliciti riferimenti a tutti gli aspetti problematici del fenomeno del capitale finanziato (natura di portage delle operazioni; obbligo di riacquisto; interessi riconosciuti alle controparti; rilascio delle lettere di garanzia del rendimento e dell'impegno al riacquisto; necessità di occultamento alla vigilanza; dimensioni del fenomeno), documentava che nessuno degli intervenuti all'incontro aveva richiesto delucidazioni sul punto, ovvero aveva manifestato dissensi, ovvero ancora stupore. Ebbene, nonostante il PE. fosse assente a quella riunione, emergeva chiaramente come le analisi che, nell'occasione, erano state discusse, fossero frutto anche del lavoro delle strutture della "Pianificazione", come, peraltro, desumibile dal riferimento, effettuato dal coimputato GI. nel corso dell'incontro, a tale "Ma." ("...allora, noi, comunque, le posizioni baciate, grosse, dobbiamo eliminarle....però bisogna confrontarsi con Ma..,.."), evidentemente da individuarsi nell'imputato, quale soggetto da interpellare per verificare le ipotesi di soluzione che andavano emergendo. Né tale riferimento poteva ritenersi - come, invece, sostenuto dal tribunale - di equivoca lettura, essendo chiaro che l'operazione di cui si era dibattuto nella riunione (ed in relazione alla quale, pertanto, occorreva confrontarsi con il PE.) non riguardava semplicemente l'eliminazione "di pezzi di attivo", bensì l'eliminazione delle operazioni "baciate" accompagnata dalla necessità di rimanere con i ratios stabili nonostante il decremento di capitale. Peraltro, tanto le e-mail intercorse tra il 14.8.2014 ed il 12.11.2014, quanto la deposizione resa dal teste Fa. confermavano il coinvolgimento dell'imputato nelle analisi inerenti all'impatto negativo delle operazioni "baciate" in ordine al margine di interesse della banca, analisi che aveva costituito il presupposto per le proposte operative formulate dal d.g. So., nel corso della predetta seduta del Comitato di Direzione, per superare le difficoltà inerenti proprio al meccanismo delle operazioni correlate. Peraltro, a fronte della mancata corretta valutazione di tali emergenze probatorie, la sentenza aveva sopravvalutato, ovvero equivocato, valorizzandoli come prove a discarico, gli elementi rappresentati, nell'ordine: a) dalla verifica compiuta dalla società di revisione K posto che, a ben vedere, una attenta analisi di quanto emerso al riguardo deponeva in senso diametralmente opposto, essendo la condotta tenuta, nell'occasione, dal PE. volta non certo ad agevolare, bensì a vanificare gli esiti di detta verifica, in adesione agli intendimenti del direttore generale; b) dalle deposizioni dei testi Fa., Tr., Mo. e Li., trattandosi di testimonianze sostanzialmente irrilevanti (così nel caso della deposizione del Tr., non avendo egli riferito di avere parlato con l'imputato delle operazioni "baciate"), ovvero di scarsa affidabilità (così con riferimento a quanto riferito dal Mo., dal Fa. e dal Li. - i quali avevano dichiarato di essersi convinti che il PE., prima del 2015, non avesse maturato una precisa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato - posto che era ragionevole ritenere che l'imputato non avesse fatto automaticamente partecipi i terzi di quanto a lui effettivamente noto); c) dall'episodio della disdosure sui fondi "At." ed "Op.", con conseguente comunicazione all'autorità di vigilanza, essendosi in presenza ai attività esecutiva di uno specifico obbligo normativo e che, comunque, ove non compiuta, avrebbe comportato effetti maggiormente penalizzanti per l'istituto; d) dalle critiche espresse dal PE., in occasione del CdA 1.4.2014, in merito all'operato dell'esperto indipendente prof. Bi., in ragione della natura implicita - se non addirittura criptica - delle critiche formulate dall'imputato (il quale, peraltro: secondo la teste Pa., aveva manifestato contrarietà alla ostensione, in favore del socio Da.Gr., successivamente all'assemblea dei soci 26.4.2014. della relazione di stima del valore delle azioni; e, secondo il teste Ca., nel corso degli anni, aveva più volte ammesso come l'elaborazione dei piani industriali fosse il modo a sua disposizione per sostenere il prezzo dell'azione e in tal guisa influire sulla relativa stima da parte dell'esperto all'uopo incaricato). Conclusivamente, il P.M. appellante ha sostenuto che le prove disponibili erano certamente tali da attestare la piena conoscenza, in capo all'imputato, a far data dalla fine del 2011, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno delle operazioni "baciate", fenomeno che, negli anni 2013 e 2014, era stato esteso anche alle operazioni inerenti agli aumenti di capitale. Tale conoscenza non era frutto del flusso delle informazioni ufficiali che gli pervenivano in ragione del suo ruolo istituzionale, bensì effetto della partecipazione "ai momenti di confronto della Direzione Generale e, quindi, per essere stato destinatario di quanto in quei contesti veniva riferito e, più in generale, per avere preso parte al gruppo dei dirigenti B. "allineati" ....ai presidente ZO., al Direttore Generale So.Sa. alla concertazione del quale, come indicato in sentenza, devono ricondursi le decisioni e l'attuazione della prassi delle operazioni baciate". Era stato nella piena consapevolezza del fenomeno delittuoso in esame, quindi, che il PE. aveva fornito il proprio decisivo contributo all'occultamento di detto fenomeno, predisponendo ripetutamente documenti (dal bilancio ai comunicati stampa, dalle segnalazioni prudenziali alle comunicazioni di interlocuzione con le autorità di vigilanza) aventi contenuto mendace e decettivo. Di qui la richiesta di affermazione della penale responsabilità dell'imputato con conseguente condanna alla pena di anni otto e mesi due di reclusione, come già richiesto all'atto delle conclusioni rassegnate nel giudizio di primo grado. 4.2 Appello inerente alla posizione di Zi.Gi. Il P.M. ha proposto appello anche avverso l'assoluzione di Zi.Gi., sul rilievo della errata individuazione del criterio di imputazione della responsabilità penale del predetto nonché della mancata valutazione di specifici elementi probatori. Al riguardo, dopo avere sinteticamente ripercorso ì passaggi contenuti nei sette paragrafi della sentenza che il tribunale aveva dedicato all'analisi della posizione di tale imputato, il P.M. ha evidenziato, innanzitutto, che il primo giudice aveva equivocato nel l'interpretare quale fosse, secondo l'impostazione d'accusa, il profilo di responsabilità che fondava l'imputazione elevata a carico del predetto ZI.. A costui, infatti, era stato contestato di avere avallato ripetutamente la prassi illecita delle operazioni correlate, così fornendo un concreto ausilio alle attività delittuose realizzate dalla dirigenza dell'istituto, posto che tale avallo non solo aveva agevolato la conclusione di siffatte operazioni, ma, per un verso, aveva contribuito a rassicurare i dipendenti sulla "esistenza di una copertura da parte dell'organo amministrativo" e, per altro verso, essendo l'imputato membro del CdA, aveva integrato anche i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza. Era stato il consiglio, infatti, a deliberare la concessione dei fidi relativi agli acquisti di azioni nell'ambito delle "baciate", nonché ad approvare i documenti contabili e le comunicazioni dirette agli organi di vigilanza. In presenza di tali contestazioni, quindi, le affermazioni del primo giudice, secondo il quale, da un lato, l'imputato non era stato parte attiva di "una condivisione operativa delle condotte manipolatone e di falsa informazione ai mercato ed alla vigilanza" e, dall'altro, non risultava provato il suo coinvolgimento nelle scelte gestionali relative alla liquidità dell'azione e alla crisi del mercato secondario", apparivano espressione di una inesatta comprensione dell'effettivo tenore della contestazione elevata a carico dello ZI.. Inoltre, la trama argomentativa della sentenza rivelava la radicai 5 J pretermissione, ovvero la inadeguata valutazione, di significativi elementi ai prova a carico. Al riguardo, sotto il primo profilo, il P.M. ha richiamato l'omessa considerazione dell'intercettazione nr. 543 del 31.8.2015, inerente ad una conversazione intercorsa tra l'imputato e To.Ni., conversazione dalla quale era possibile evincere la piena consapevolezza, in capo allo ZI., della prassi di sollecitare la clientela, in occasione della concessione o del rinnovo del credito, all'acquisto delle azioni tramite finanziamento. Sotto il secondo profilo, poi, ha evocato, segnatamente: a) la e-mail del 2.7.2014 inviata da Mi.Ga.; b) la partecipazione da parte del medesimo imputato ad importanti operazioni di svuotamento del fondo acquisto azioni ed alla sottoscrizione di azioni in occasione degli aumenti di capitale; c) la piena consapevolezza, in capo allo stesso giudicabile, dell'impiego surrettizio dello strumento del finanziamento; d) la significativa capacità professionale dell'imputato (presidente di Confindustria Vicenza nel periodo di interesse e titolare di una holding di partecipazioni), tale da assicuragli la piena comprensione della natura illecita e decettiva delle condotte poste in essere, anche suo tramite, dalle strutture dell'istituto di credito. Tanto premesso, l'appellante ha passato in rassegna le evidenze probatorie che avrebbero dovuto, ove correttamente inquadrate e valutate, condurre ad un giudizio di penale responsabilità. Trattasi, nell'ordine: a) dell'operazione effettuata, nell'anno 2011, da Zi.Gi.. fratello dell'imputato, il quale aveva ricevuto un finanziamento di 5 milioni di euro il 27.12.2011, finanziamento al quale aveva fatto seguito, in data 29.12.2011, l'acquisto di azioni B. per un pari importo. Quindi, in occasione dell'aumento di capitale 2013, lo stesso Gi.ZI. vi aveva partecipato, come persona fisica, fruendo di un finanziamento di 500.000 euro. Ebbene, con riferimento alla prima operazione - poi chiusa da Zi.Gi. con un "annullamento" e, questo, pur in assenza di inadempimenti di sorta da parte del predetto socio che, soli, alla stregua delle regole dell'istituto, avrebbero potuto giustificare un siffatto "annullamento" - l'imputato aveva sostenuto di essere rimasto all'oscuro dell'operazione in questione, essendo stata la pratica deliberata in sua assenza, stante l'applicabilità dell'art, 136 TUB. Sennonché, l'istruttoria dibattimentale (e, segnatamente, le dichiarazioni del teste Ba.) aveva provato l'esatto contrario. Peraltro il memorandum (costituente il documento nr, 731) rinvenuto nei supporti informatici dell'imputato conteneva, con riferimento alla data dell'8 maggio, annotazioni relative a dichiarazioni rese dallo stesso ZI. in ordine al fatto che il medesimo, in due occasioni (segnatamente, nel 2011 e nel 2012), era stato richiesto di effettuare operazioni di acquisto, tramite finanziamenti, di azioni della banca, operazioni la prima delle quali era stata chiusa nel 2014 e che, con ogni evidenza, doveva identificarsi proprio nell'operazione formalmente conclusa dal fratello Gi.. Peraltro, lo stesso documento nr. 730 - predisposto da Zi.Gi. e contenente una sorta di riepilogo delle operazioni "con finanziamento" - convergeva nel dimostrare come l'operazione effettuata nel 2011, da un lato, fosse sostanzialmente riconducibile a Zi.Gi. e, dall'altro, rientrasse nell'ambito della "campagna svuota fondo" relativa al medesimo anno; b) dell'operazione compiuta tramite Ze. S.r.l. nel novembre 2012, consistita nel finanziamento di 12,5 milioni in data 13.11.2012 e nell'acquisto, il successivo 20.11.2012, di azioni per il valore di 10 milioni di euro. Sebbene l'imputato avesse sostenuto (dapprima, nella memoria 14.4.2017; quindi, nell'interrogatorio 26.9.2017) che l'acquisto delle azioni era stato frutto di una decisione estemporanea, assunta allorché l'originario obiettivo di acquisire alcune partecipazioni si era rivelato non perseguibile, in sede di esame dibattimentale costui si era visto costretto, dalle inequivoche emergenze istruttorie sul punto (costituite, segnatamente: dal contenuto delle deposizioni di Ba., Gi. e Io.; dal contenuto del messaggio sms, inviato dal coimputato MA. al d.g. So. e relativo proprio all'operazione conclusa dallo ZI.; dall'analogo messaggio inviato da GI. al medesimo So.; dallo stesso tenore del documento relativo all'operazione in questione, in quanto caratterizzato dalla causale, assolutamente generica, "ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora definiti"; dal fondamentale documento64 rinvenuto presso la sede della ditta Ze. S.r.l. - documento del quale, peraltro, nessuno dei potenziali redattori aveva riconosciuto la paternità - contenente elementi univocamente sintomatici della natura "baciata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l.; dall'ulteriore documento inerente all'accordo per non pagare neppure le imposte sugli strumenti finanziari) a mutare versione, ammettendo che il finanziamento in questione era stato strutturato, ab origine, per l'acquisto di azioni dell'istituto. Del resto, il memorandum relativo alla data dell'8 maggio confermava chiaramente la partecipazione dell'imputato ad operazioni di finanziamenti correlati; partecipazione, peraltro, ulteriormente corroborata anche dalla deposizione, de relato dall'imputato, resa, sul punto, dal teste Ba., oltre che dalle dichiarazioni del teste Cr.. In definitiva - ha osservato il P.M. - se ZI. aveva concluso, anche per conto di Ze. s.r.l., operazioni correlate per importi considerevoli, significava che lo stesso, allorquando aveva trattato in CdA le pratiche inerenti alle analoghe operazioni poste in essere dai maggiori azionisti della banca, era perfettamente in grado di comprenderne natura, entità ed implicazioni, sicché a tale imputato non potevano affatto attagliarsi le considerazioni che il tribunale aveva riservato agli altri consiglieri in ordine al difetto, sul punto, di effettiva consapevolezza; c) della partecipazione tramite Ze. s.r.l. all'aumento di capitale 2013 (siccome ricostruita nella relativa scheda redatta dai cc.tt. del p.m. a pag. 367 dell'elaborato di consulenza), caratterizzata, a fronte di una linea di credito concessa dall'istituto per 1,5 milioni di euro, dall'acquisto di azioni della banca per 565.000 euro e dall'impiego di analogo importo per la partecipazione al prestito obbligazionario previsto dall'offerta. Ebbene, la sottoscrizione di azioni di nuova emissione con provvista della banca in occasione di un aumento di capitale - ovverosia in occasione di una iniziativa finalizzata ad aumentare il patrimonio netto dell'emittente - non poteva non costituire per un componente del CdA dell'istituto (peraltro titolare di una holding di partecipazioni, quale lo ZI.) un evidente campanello di allarme in ordine alla operatività delle strutture della banca, trattandosi di una operazione che contraddiceva la finalità dell'aumento di capitale, rendendolo, di fatto, solo apparente. L'imputato, infatti, dopo essere stato richiesto di / effettuare operazioni correlate per 5 milioni a fine 2011 (con operazione conclusa a nome del fratello) e per 10 milioni a fine 2012, effettuava una nuova operazione per circa un milione in sede di aumento di capitale. Di qui l'inverosimiglianza di quanto sostenuto dal giudicabile allorché, nel commentare con i consiglieri To. e Fa. il buon esito della chiusura dell'aumento di capitale 2013, aveva espresso la propria soddisfazione per il successo dell'operazione, essendosi per contro in presenza - come non poteva sfuggirgli - di una situazione tutt'altro che favorevole; d) delle intercettazioni telefoniche e, segnatamente: della conversazione nr. 153 del 25.8.2015, nel corso della quale l'imputato aveva riferito a Lu.Bo. di essere stato finanziato, al pari di altri consiglieri, soggiungendo di non essere a conoscenza dei finanziamenti concessi ad altri "soci" anche se avrebbe potuto "immaginarlo"); della conversazione nr, 235 del 26.8.2015, intercorsa tra ZI. e Pa.Ba. di Confindustria, nella quale si riferiva che GI. aveva fatto, su indicazione del So., cose non corrette "in difesa della banca") nonché della conversazione nr. 543 del 31.8.2015 - di cui l'imputato, peraltro, in sede di esame, non aveva saputo fornire spiegazioni -in occasione della quale lo stesso ZI., parlando con il consigliere To., aveva affermato che era prassi che la banca sollecitasse i clienti ai quali concedeva credito ad impiegare parte del denaro per l'acquisto di azioni dell'istituto, secondo un modus operandi che, per quanto irregolare, era diffuso tra tutti gli istituti di credito; e) dell'affermato difetto di conoscenza, da parte del medesimo imputato, del trattamento contabile degli acquisti di azioni finanziate. Se, infatti, lo ZI. aveva sostenuto di ignorare che gli acquisti finanziati non potessero essere computati nel patrimonio di vigilanza - affermazione della quale il tribunale aveva preso atto senza effettuare, al riguardo, alcuna valutazione specifica - a deporre, sul piano logico, in senso contrario erano le qualità personali dell'appellato, gestore di una società immobiliare e di partecipazioni, attività necessariamente implicante la capacità di valutazione dei bilanci, tanto che era stato lo stesso ZI., nel corso del proprio esame, a definirsi un esperto in materia. Peraltro, costui era stato presidente di Confindustria di Vicenza ad aveva anche aspirato, per sua stessa ammissione, alla presidenza di B., ovverosia di un istituto che, al tempo, era tra le prime dieci banche italiane, con oltre 3 miliardi di patrimonio netto. In ogni caso, nel corso dell'interrogatorio 26.9.2017, acquisito a seguito delle contestazioni formulate in dibattimento ai sensi dell'art. 503 c.p.p., era stato il medesimo imputato a confermare di conoscere il divieto di computo, pur soggiungendo di non avere mai nutrito sospetti sulla regolarità della gestione in materia. Era bensì vero che, in sede di esame dibattimentale, lo ZI. aveva spiegato tali dichiarazioni sostenendo che intendeva riferirsi, quando aveva affermato di essere al corrente di tale divieto, all'epoca in cui le aveva rese e non già al momento dei fatti, allorquando, al contrario, era all'oscuro del divieto medesimo. Nondimeno, al di là delle considerazioni già spese in ordine al profilo, proprio dell'imputato, di soggetto altamente qualificato, era lo stesso tenore complessivo delle risposte fornite in occasione del citato interrogatorio a rendere evidente che il momento cui il dichiarante aveva inteso alludere era quello nel quale lo stesso era consigliere di amministrazione della banca; f) dell'episodio di Mi.Ga.. Trattasi della e-mail con la quale quest'ultimo, rappresentante della società Ar., titolare di ben due fidi, entrambi in scadenza, da circa 500.000 euro l'uno, aveva segnalato la pretesa dell'istituto di credito che detta società, onde ottenerne il rinnovo, acquistasse azioni per almeno 50.000 euro in relazione a ciascuna linea di credito; pretesa che lo stesso ZI., nell'inoltrare al coimputato GI. ed al Gi. tale missiva, aveva poi significativamente definito "un ricatto". Ebbene, l'imputato, non solo non si era confrontato con gli altri consiglieri in relazione a tale vicenda; non solo non l'aveva segnalata ai responsabili della funzione di controllo; ma, nell'interloquire con i predetti GI. e Gi., si era sostanzialmente limitato a chiedere che vi fosse un "occhio di riguardo" per l'amico Ga.; g) dell'operazione con U., ovverosia del finanziamento che lo ZI. (interessato ad effettuare una operazione di acquisto di strumenti finanziari per compensare minusvalenze per circa 200.000 euro) aveva richiesto ed ottenuto da B. a titolo di favore in quanto, come rammentato dal teste Vi., "aveva fatto molti favorì alla banca". Detto finanziamento, peraltro, era stato concesso con la "solita" causale generica e sulla base della sola "capacità patrimoniale" e, poiché in data 28.3.2014 era stata avanzata dagli ZI. una richiesta di storno in relazione all'operazione Ze., poi non processata, era concreto il sospetto che il finanziamento in esame, mai restituito a seguito del contenzioso intentato dalla banca nei confronti dell'imputato, fosse stato espressione di una remunerazione alternativa proprio allo storno delle competenze. Pertanto, non solo l'imputato aveva preso parte attiva ad alcune operazioni correlate ma il quadro probatorio deponeva nel senso della piena consapevolezza, in capo a costui, tanto dell'esistenza di una prassi diffusa in tal senso, quanto delle relative "implicazioni tecniche" per l'operatività dell'istituto. E, a tale ultimo riguardo, non erano affatto irrilevanti sia le dichiarazioni del teste Bo. (là dove costui aveva sostenuto di non avere riferito al CdA in ordine agli accertamenti effettuati sul caso Vi. proprio perché il CdA, ad avviso di detto teste, "era il principale indiziato", immaginando che alcuni componenti dell'organo in questione fossero non solo a conoscenza ma anche direttamente coinvolti nel fenomeno del finanziamento), sia il contenuto della conversazione telefonica nr. 528 del 9.9.2015, intercorsa tra il coimputato MA. ed il collega Cu. nel corso della quale il primo, a riprova della consapevolezza da parte del CdA in ordine alle correlate, aveva affermato;" ma come si fa a dire che il Consiglio non sapeva, capito Al.?", ricevendo dall'interlocutore la significativa risposta; "..dai su, l'ha fatta anche ZI. una mi hanno detto, dai su..."). Peraltro, l'imputato era ben a conoscenza delle condizioni di difficoltà incontrate dalla banca sia sul mercato secondario, sia su quello primario e comprendeva esattamente il significato e le finalità delle operazioni di finanziamento all'acquisto delle azioni e dei "portage" (come dimostrato dalla citata conversazione nr. 299, intercorsa con To., allorché aveva ammesso la "leggerezza" usata dal CdA nel finanziare i soci per l'acquisto di azioni). Il fatto poi, che costui, allorquando era stato a sua volta richiesto di effettuare operazioni correlate, avesse dichiarato che non intendeva "guadagnare nulla" (come risultante dal documento nr. 731), lungi dal poter essere interpretato quale intendimento riferibile ad un eventuale incremento del valore delle azioni (come pure sostenuto dall'imputato nel corso del suo esame) appariva, piuttosto, espressione del fatto che lo stesso ZI. non intendeva, diversamente da altri soggetti finanziati, trarre vantaggi dalla conclusione di operazioni correlate e, quindi, deponeva per la piena conoscenza, da parte del predetto, delle caratteristiche usualmente proprie di tali operazioni. In conclusione, l'imputato aveva avallato, anche tramite la realizzazione in prima persona di operazioni di tale natura, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario, le prassi illecite di finanziamento, finendo per "rassicurare" i dipendenti della banca sulla esistenza di una "copertura" da parte dell'organo amministrativo; e, al contempo, aveva posto in essere le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza in quanto era stato tramite il CdA, del quale l'imputato medesimo era parte, che erano "passate" non solo le delibere di fido e di acquisto relative alle operazioni "baciate", ma anche l'approvazione dei documenti contabili e le segnalazioni effettuate nei confronti degli organi di vigilanza. Di qui la richiesta di riforma della sentenza impugnata con condanna dell'imputato alla pena di anni otto e mesi due di reclusione come da richieste rassegnate all'esito del giudizio di primo grado. 5 Gli appelli delle parti civili. Avverso la suddetta sentenza hanno interposto appello le parti civili Va.Gi., RO.El. e Va.De., Pa.La. e Pa.Gi., Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi., Bi.Ce., Cr.La. e Co.An." 5.1 Appello delle parti civili Va.Gi., RO.El. e Va.De. Va.Gi., RO.El. e Va.De., costituiti parti civili limitatamente all'imputazione rubricata sub Al), hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Nel merito, l'impugnazione riproduce, per incorporazione, l'appello della pubblica accusa nei confronti del predetto imputato (sicché, sul punto, non può che richiamarsi quanto esposto sub 4.1) e conclude chiedendo l'affermazione di penale responsabilità del PE. e la condanna dello stesso, in solido con ì coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni cagionati alle predette partici civili, nella misura: - di euro 124.000,00 per Va.Gi. An. (euro 37.200 a titolo di danno morale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1984 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale); - di euro 124.000,00 per RO.El. (euro 37.200 a titolo di danno morale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1984 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale); - e di euro 46.962,50 per Va.De. (euro 10.838,50 per danno non patrimoniale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 578 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale), ovvero nell'importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine, dette parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel provvedimento di sequestro conservativo GUP Vicenza 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (nella misura di euro 62.000 ciascuno per Va.Gi. An. e RO.El. e ad euro 18.062,50 per Va.De.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.2 Appello delle parti civili Pa.La. e Pa.Gi. Pa.La. e Pa.Gi. (entrambi costituti parti civili in relazione all'imputazione rubricata sub Al e Pa.Gi. anche in ordine all'imputazione di cui al capo I, in quanto sottoscrittore dell'aumento di capitale 2014) hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Anche in tal caso, nel merito, l'appello riproduce, per incorporazione, l'impugnazione proposta dalla pubblica accusa nei confronti del predetto imputato. Ciò posto, gli appellanti hanno concluso chiedendo l'affermazione di penale responsabilità del PE. e la condanna dello stesso, in solido con i coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni patrimoniali cagionati alle predette parti civili, nella misura: - di euro 106.250,00 per Pa.La. (euro 62,50 moltiplicato per 1700 azioni possedute dalla parte); - e di euro 56.250,00 per Pa.Gi. (euro 62,50 moltiplicato per 900 azioni possedute dalla parte), ovvero nell'importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine, tali parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel provvedimento di sequestro conservativo del GUP Vicenza in data 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (euro 53,125 per Pa.La. e 28.125,00 per Pa.Gi.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del citato sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, nonché la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.3 Appello delle parti civili Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li. e Ca.Mi. Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li. e Ca.Mi., costituti parti civili limitatamente all'imputazione rubricata sub Al), hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Come nel caso degli appelli delle parti civili già esaminati, l'impugnazione riproduce, per incorporazione, quella proposta dalla pubblica accusa nei confronti del predetto imputato e conclude chiedendo l'affermazione di penale responsabilità dello stesso e la sua condanna, in solido con i coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni cagionati alle predette parti civili, nella misura: - quanto a Ad.Lu., di euro 67,843, 75 (euro 52,187,50 - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15,656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Ad.An., di euro 67,843,75 (euro 52.187,50-corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15.656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Ad.Ma., di euro 67,843,75 (euro 52.187,50 -corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15.656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Zo.Li., di euro 101.887,50 (euro 78.375,00 -corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1254 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 23.512,00 a titolo di danno morale); - quanto a Ca.Mi. di euro 58.825,00 (euro 45.250,00 - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 724 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 13.575,00 a titolo di danno morale), ovvero nell'Importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine dette parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale, da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel citato provvedimento di sequestro conservativo GUP Vicenza 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (pari ad euro 26.093,00 per Ad.Lu., ad euro 26,093,00 per Ad.An., ad euro 26.093,75 per Ad.Ma., ad euro 39.1987,00 per Zo.Li. e ad euro 21.125,00 per Ca.Mi.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del già menzionato sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.4 Appello delle parti civili Cr.La. e Co.An. Cr.La. e Co.An. hanno a loro volta impugnato la sentenza evidenziando come, nonostante si fossero costituiti parte civile in relazione non solo al reato di cui al capo Al), ma anche in ordine alle condotte delittuose stigmatizzate sub I) ed L), avendo sottoscritto gli aumenti di capitale 2013 e 2014 (la Cr. avendo acquistato nr. 103 azioni il 9.7.2013 ed il 25.6.2014, nonché, il 9.7.2013, obbligazioni a cinque anni successivamente convertite unilateralmente in azioni dall'istituto di credito; il Corrà avendo a sua volta acquistato nr, 74 azioni il 27.8,2013 ed il 29.8.2014, nonché, in data 24.7.2013, obbligazioni a cinque anni successivamente convertite unilateralmente in azioni dall'istituto di credito), il tribunale avesse accolto la domanda risarcitoria unicamente con riferimento al delitto di cui al citato capo Al). Di qui la richiesta di riconoscere valida e pienamente efficace la costituzione di parte civile con riferimento a tutti i reati di cui ai richiamati capi di imputazione e, conseguentemente, di condanna degli imputati al relativo risarcimento dei danni. 5.5 Appello della parte civile Bi.Ce. Il difensore delia parte civile Bi.Ce. ha proposto appello avverso la sentenza, nonché avverso l'ordinanza 28.11.2020 di rigetto della richiesta di assunzione della deposizione delta medesima parte offesa. Al riguardo, la difesa ha preliminarmente ricostruito la peculiare posizione del BI. evidenziando come il predetto, in data 14.6.2013, aderendo alla sollecitazione rivoltagli da funzionari apicali dell'istituto di credito, avesse ottenuto l'erogazione del finanziamento della somma di euro 500.000, importo interamente destinato all'acquisto di nr. 8000 azioni di B.. Quindi, in data 29.7.2014, al medesimo azionista era stata corrisposta la somma di euro 11.304,68 a titolo di rimborso degli interessi relativi all'anno precedente. Sopravvenuta la liquidazione coatta amministrativa della banca, poi, il BI., rappresentando che il finanziamento non era stato da lui richiesto, bensì era stato sollecitato dall'istituto, e precisando che detta erogazione era stata corredata dalla pattuizione circa la possibilità di restituzione, in qualsiasi momento, delle azioni sottoscritte, con conseguente annullamento de) finanziamento medesimo, aveva affermato di non essere tenuto alla restituzione dell'importo erogatogli, restituzione che, tuttavia, gli era stata intimata. Di qui l'esercizio dell'azione, nell'ambito del giudizio civile 13518/16 RG, radicato innanzi al Tribunale di Venezia - Sezione specializzata delle imprese, finalizzata alla declaratoria di nullità del negozio, ex art. 2358 c.c., azione che, successivamente, il BI. aveva trasferito, ai sensi dell'art. 75 co. 1 c.p.p., nel presente processo penale. Nondimeno, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato l'improcedibilità dell'azione ex art. 83 T.U.B. senza affatto considerare la peculiare posizione del BI. medesimo, bensì parificandola a quella degli altri azionisti che rivendicavano il danno loro derivato dal deprezzamento delle azioni. In tal senso ricostruiti i fatti, l'appellante ha censurato la decisione impugnata, sul rilievo della perseguibilità dell'azione di nullità, in quanto azione non esperibile nell'ambito della procedura finalizzata all'accertamento del passivo (come peraltro ripetutamente precisato, proprio con riferimento alle "operazioni baciate", dalla giurisprudenza della sezione specializzata del Tribunale lagunare). Nel caso di specie, infatti, il BI., all'atto del trasferimento dell'azione nel processo penale, aveva espressamente domandato che venisse dichiarato nulla essere dovuto in adempimento del contratto di affidamento di euro 500.000,00 intervenuto con B. e relativo alia sottoscrizione di 8000,00 azioni della Banca stessa". Inoltre, una ulteriore ragione di nullità del negozio derivava, ex art. 1418 c.c., dalla illiceità della relativa causa. Per contro, il tribunale, ritenendo che l'azione fosse di tipo risarcitorio e non già demolitorio, aveva concluso nel senso della sua improcedibilità. Né poteva risultare di ostacolo all'accoglimento di detta domanda l'intervenuta procedura di liquidazione coatta amministrativa dell'istituto di credito, non essendosi per ciò solo in presenza di una soluzione di continuità incidente sul piano della soggettività della parte che aveva erogato il finanziamento. In ogni caso, la nullità del negozio e, quindi, della pretesa creditoria in capo a B., rendeva conseguentemente non riconoscibile il medesimo credito in capo a B. in liquidazione. Pertanto, la difesa ha chiesto, in via istruttoria, l'escussione del BI., ove ritenuta necessaria ai fini della prova della esclusiva provenienza da B. dell'invito ad accettare l'erogazione dell'affidamento; nel merito, ha concluso sollecitando la declaratoria di nullità del finanziamento di euro 500.000 e della coeva sottoscrizione di nr. 8000 azioni con conseguente dichiarazione che nulla era dovuto dal BI. in adempimento del suddetto contratto. Ha chiesto, infine, la liquidazione delle spese del giudizio civile trasferito nel processo penale e la condanna di B. al pagamento delle spese sostenute dalla medesima parte civile. 6 Il processo d'appello All'udienza 22.4.2022, ha avuto luogo la costituzione delle parti e la Corte, pronunziando su istanze del difensore del responsabile civile B. in liquidazione, ha pronunziato ordinanza di estromissione di detta parte. Le parti, poi, hanno depositato memorie come da verbale. Quindi, la Corte ha dato atto della predisposizione di relazione scritta, segnalando che il relativo deposito (tramite inserimento, a mezzo di apposito link, sul sito internet dell'ufficio) avrebbe potuto surrogare l'illustrazione orale e, acquisito l'accordo delle parti, è stato disposto in tal senso. Inoltre, in considerazione dell'elevatissimo numero delle parti civili e delle conseguenti implicazioni logistiche (anche in considerazione delle problematiche connesse alla pandemia da Covid 19) è stata prevista la possibilità che dette parti ed i rispettivi difensori, ovviamente senza alcuna deroga alle disposizioni di legge in materia di partecipazione alle udienze, potessero assistere (senza possibilità di interlocuzione diretta, quindi) alle udienze alle quali non avessero inteso presenziare direttamente fruendo del collegamento streaming, appositamente approntato dall'ufficio. Alla successiva udienza 16.5.2022, la Corte ha dato atto dell'avvenuto deposito della relazione scritta nei termini concordati. Quindi, le parti hanno illustrato le rispettive eccezioni (di inammissibilità delle impugnazioni; di nullità; ovvero di inutilizzabilità di singole prove) ed istanze di rinnovazione istruttoria" Tale attività è proseguita all'udienza 18.5.2022 e, all'esito, la Corte ha pronunziato ordinanza, cui si rinvia. La rinnovazione istruttoria, che si è tradotta nell'acquisizione di prove documentali ed orali, ha impegnato le udienze 30.5.2022, 1.6.2022, 8.6.2022, 13.6.2022, 15.6.2022, 17.6.2022, 20.6.2022, 24.6.2022, 5.7.2022, 8.7.2022 e 15.7.2022. La discussione, poi, ha avuto luogo alle udienze 19.9.2022, 20.9.2022, 22.9.2022, 23.9.2022, 28.9.2022, 30.9.2022 e 5.10.2022. Infine, all'udienza 10,10,2022, si sono svolte le repliche ed è stata pronunziata sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE Premessa metodologica La vicenda processuale, come s'è visto, si caratterizza per l'inusitata complessità dei fatti sub iudice, tanto per la natura estremamente specialistica delle tematiche economico-finanziarie di riferimento, quanto per le conseguenti implicazioni giuridiche, quanto, ancora, per la vastità del panorama probatorio raccolto all'esito di una lunga e laboriosa istruttoria dibattimentale. Ebbene, a tutte le tematiche rilevanti ai fini del decidere, il primo giudice ha offerto una risposta analitica, argomentata e, ad avviso di questa Corte, persuasiva, fatta eccezione, per quanto si dirà più oltre, con riferimento a talune specifiche questioni (segnatamente, in ordine alla affermazione circa la reiterazione delle contestazioni di aggiotaggio e, in parte, anche di ostacolo alla vigilanza, nonché in relazione alla confisca). Tenuto conto di ciò e considerata la diversa natura del giudizio di appello, chiamato a dare riposte alle questioni devolute con i motivi di gravame, è inevitabile il richiamo, per quegli aspetti della vicenda non oggetto di specifica censura, al provvedimento impugnato. Del resto, là dove ci si trovi in presenza di una sentenza di conferma del primo giudizio - ovverosia della c.d. "doppia conforme" - la struttura argomentativa dei provvedimenti di merito è destinata a saldarsi, in base alla omogeneità dei criteri di valutazione delle prove concretamente utilizzati (cfr. sul punto, Cass. Sez., V, n. 7437 del 15.10.2021, Ci. e altri, pag. 47; nonché Sez. II, n. 37295 del 19.6.2019, Sez. III, n. 44418 del 16.7.2013, Ar., Sez. III n. 13926 del 1.12.2011, Va.). Di qui la legittimità del rinvio alla trama argomentativa della decisione di primo grado, trama che, a ben vedere, costituisce la "cornice" all'interno della quale debbono collocarsi tutte le considerazioni svolte, nel solco delle specifiche doglianze argomentate negli atti di appello, nella presente sentenza. Tanto premesso, una ulteriore precisazione è d'obbligo. I motivi di impugnazione proposti dagli imputati affrontano, ripetutamente, questioni comuni (la competenza territoriale; i criteri di individuazione delle "operazioni baciate" e la "portata applicativa" dell'obbligo di deduzione delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito; la natura e la struttura dei reati oggetto di addebito; le sollevate eccezioni di violazione dei principi del ne bis in idem sostanziale e del nemo tenetur se detegere) e la soluzione di tali questioni - unitamente alla verifica dell'attendibilità e consistenza della chiamata di correo sopravvenuta in grado di appello - costituisce presupposto ineludibile anche con riferimento alla trattazione degli appelli proposti dal P.M.. Donde la decisione di far precedere alla trattazione dei singoli motivi di impugnazione l'analisi di questioni che, proprio in quanto di "interesse generale", ragioni di ordine espositivo e di semplificazione della struttura motivazionale rendono opportuno affrontare in un unico contesto, anche al fine di evitare superflue ripetizioni nel corso della presente trattazione. 7 La competenza Le difese degli imputati ZO., GI. e PI., nei termini di cui ai rispettivi atti di appello e motivi nuovi, hanno eccepito l'incompetenza del tribunale di Vicenza (quanto all'imputato GI., trattasi, peraltro, del cap. I dell'atto di appello, ossia di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione). L'eccezione è infondata. Al riguardo, va anzitutto evidenziato come la (parziale) diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito (taluni degli odierni imputati non risultando indagati al momento della risoluzione del conflitto di competenza ad opera della Corte di Cassazione con sentenza Sez. I, n. 15537 del 7.12.2017, dep. il 6.4.2018) e la estraneità della prospettata competenza del tribunale di Roma rispetto alla cognizione devoluta alla Suprema Corte adita dal GIP del tribunale di Milano in occasione di tale conflitto impediscano di ravvisare nella decisione di cui alla citata sentenza della Suprema Corte la preclusione processuale prevista ex art. 25 c.p.p.. Ciò posto, sussisteva la competenza dell'autorità giudiziaria di Vicenza. Al riguardo, va in primo luogo ribadito come il reato più grave, ai fini della competenza, sia stato correttamente individuato dal primo giudice nella fattispecie di ostacolo di cui al capo B1), in considerazione della contestata aggravante ex art. 2638, co. 3, c.c.. Le articolate argomentazioni svolte nella sentenza gravata in ordine alla inapplicabilità alle fattispecie di falso in prospetto, contestate sub I) ed L), dell'aumento di pena previsto ex art. 39, c. 1, L. 262/05 sono, invero, del tutto convincenti e, in questa sede, non possono che essere integralmente richiamate, deponendo in tal senso tanto il tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit. quanto l'intentio legis siccome ricavabile dai lavori preparatori. Né possono condividersi le considerazioni difensive in ordine alla avvenuta consumazione del suddetto reato di ostacolo in Roma, presso la sede della Banca d'Italia, al momento della ricezione della comunicazione ICAAP da parte della predetta autorità di vigilanza. Per vero, in disparte ogni considerazione di merito in ordine alla attitudine decettiva di tale comunicazione, è decisivo osservare: - per un verso, in diritto, che la valutazione che il giudice di primo grado è chiamato a svolgere in ordine alla propria competenza deve esplicarsi nell'alveo della contestazione siccome formulata dal pubblico ministero, effettivo dominus dell'azione penale (cfr. Cass. Sez. I, n. 36336 del 23.7.2015, dep. 8.9.2015, confl. comp. in proc. Novarese), al di là dell'ipotesi della presenza, nel corpo dell'imputazione medesima, di errori macroscopici, ictu oculi percepibili come tali (Cass. Sez. I, n. 31335 del 23.3,2018, dep. 10.7.2018, confl. comp, in proc. Gi., Cass. Sez. I, n. 11047 del 24.2.2010, confl. comp. in proc, Gu.). Il sistema processuale, infatti, non può tollerare indebite incursioni del giudicante in uno spazio costituzionalmente riservato alla pubblica accusa ex art. 112 Cost., beninteso fatta eccezione per l'ipotesi - che, d'altronde, non viene in rilievo nel caso di specie - di addebito tanto impreciso da pregiudicarne la esatta comprensione (in quanto, in tal caso, sussiste il potere/dovere del giudice, in sede di udienza preliminare, di sollecitare la puntualizzazione dell'imputazione prima di disporre, in caso di mancata adesione del P.M. a tale sollecitazione, la restituzione degli atti allo stesso P.M.); - e, per altro verso, in fatto, che il predetto capo di imputazione sub B1) non contemplava, neppure indirettamente, la contestazione della condotta di invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia. Ed invero, non solo non v'è riferimento alcuno, in tale capo di imputazione, alla citata comunicazione ICAAP, ma l'articolata descrizione dei fatti ivi contestati è interamente relativa a condotte poste in essere in sede di vigilanza ispettiva, presso la sede dell'istituto vigilato. Del resto, l'indicazione del focus e del tempus commissi delicti di riferimento ("In Vicenza, dal 28 maggio ai 12 ottobre 2012"), ancorché non decisiva, costituisce chiaro riscontro dell'intenzione della pubblica accusa di escludere l'invio della comunicazione citata dal perimetro della imputazione. In buona sostanza, quello che i difensori vorrebbero ricompreso nel perimetro del capo B1), facendone discendere il radicamento della competenza in capo all'autorità giudiziaria romana, è un fatto storico distinto da quelli oggetto di addebito in tale imputazione, fatto che ben avrebbe potuto integrare una autonoma ipotesi delittuosa connessa ex art. 12 co. 1, lett. b, seconda ipotesi, c.p.p. e, pertanto, giustificare una integrazione dell'imputazione in sede di udienza preliminare ex art. 423, co. 1, c.p.p. (senza, peraltro, che possa configurarsi, in capo al giudicante, la facoltà di invitare la parte pubblica ad operare in tal senso - cfr. Cass. Sez. II, n. 44952 del 9.10.2014), ma la contestazione del quale, in ogni caso, potrebbe pur sempre essere oggetto di separato addebito. Di qui il rigetto della eccezione di incompetenza territoriale. E' solo per mera completezza, quindi, che si precisa come a non diverse conclusioni dovrebbe comunque giungersi anche ove si volesse considerare la citata comunicazione ICAAP - diversamente da quanto, lo si ripete, ritiene questa Corte - indirettamente "ricompresa" nel perimetro dell'imputazione. E, questo, sia qualora si qualificasse l'invio di tale comunicazione come modalità esecutiva dell'ipotesi di reato dì "mera condotta" e di "pericolo concreto", caratterizzato dal "dolo specifico" di ostacolo, di cui alla fattispecie ex art. 2638, co. 1, c.c.; sia nell'ipotesi in cui il medesimo invio fosse invece considerato alla stregua di una condotta integrante la diversa fattispecie, ex art. 2638, co. 2 c.c., di "delitto di evento" (evento costituito dall'intralcio al potere di vigilanza). A ben vedere, infatti, il luogo di consumazione del reato andrebbe individuato: - nel primo caso, in quello di invio della comunicazione medesima e, quindi, nella vicenda per cui è processo, sempre in Vicenza. Questo, in quanto sarebbe di certo errato confondere il momento di esecuzione della attività decettiva con quello della sua successiva efficacia, essendosi in presenza di un reato istantaneo che, conseguentemente, si consuma nel momento in cui è posta in essere la relativa condotta (ed inerendo l'accertamento del pericolo unicamente al profilo della necessaria offensività dì tale condotta e non già a quello della consumazione del reato, pena un indebito "avanzamento" della relativa soglia, senza che possa a tal fine valorizzarsi l'eventuale natura recettizia della comunicazione in questione, incidente unicamente in punto di efficacia dell'azione tipica); - e, nel secondo caso, in quello nel quale l'attività di controllo, pregiudicata dalla comunicazione ingannevole, avrebbe dovuto svolgersi (e dove, di lì a poco, ha effettivamente avuto luogo), ovverosia, nella concretezza del caso sub iudice, presso la sede dell'istituto di credito vigilato (e, pertanto, ancora una volta, nel capoluogo berico). 8 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza, nel capitolo VI della sentenza impugnata, ha dettagliatamente illustrato i criteri ermeneutici seguiti nella ricostruzione dell'istituto in questione, dando compiutamente conto degli approdi cui è pervenuto sul punto, anche attraverso pertinenti richiami alla giurisprudenza di legittimità di riferimento. In estrema sintesi, il primo giudice, dopo avere individuato, alla stregua della disposizione normativa in materia, le condotte integranti gli estremi del reato di aggiotaggio finanziario (finalizzato "a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati, ovvero per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato") e bancario (finalizzato "ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o gruppi bancari"), rispettivamente, nella diffusione di "notizie false" (aggiotaggio informativo) ovvero nel compimento di "operazioni simulate", ovvero ancora nell'utilizzo di altri artifici" (aggiotaggio manipolativo o operativo), ha precisato come, nella vicenda in esame, le "operazioni simulate" e gli "altri artifici" in altro non consistessero che nel sistematico ricorso al capitale finanziato, nella conseguente omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. e, infine, nella mancata comunicazione dell'esistenza di detta prassi all'esperto incaricato della stima del valore del titolo. Sulle ragioni tanto della natura simulata o, comunque, artificiosa, del ricorso al capitale finanziato, quanto della conseguente omessa iscrizione a bilancio della relativa riserva, quanto, ancora, della mancata comunicazione di detta prassi in sede di stima del valore dell'azione, non resta che richiamare, in assenza dì specifiche doglianze difensive, le puntuali considerazioni svolte, in prime cure, alle pagine 397 - 406 della sentenza impugnata. Analogamente, con riferimento alla diffusione delle notizie false in sede di pubblicazione dei bilanci d'esercizio (segnatamente, al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014), di comunicati stampa (in data 8.2.2012, 19.3.2013, 27.4.2013, 9-8.2013, 27.8.2013, 18.3.2014, 8.7.2014, 29.8.2014, 26-10.2014, 10.2.2015, 3.3.2015), di comunicazioni ai soci (lettere del 30.3.2012, del 3,9.2012, del 19.3.2013, del 10.9.2013, del 2.4.2014, del 9.9.2014, del 4.12.2014, del 19.3.2015) e, infine, delle comunicazioni al pubblico ex art. 114 TUF, il tribunale ha evidenziato in modo rigoroso i profili di falsità e l'attitudine decettiva dei dati e delle informazioni ivi riportate. Sicché, anche al riguardo, è d'uopo il rinvio alla sentenza impugnata. Così come meritevole di richiamo, infine, è il percorso argomentativo (cfr. sentenza impugnata, pagg. 419-423) seguito dal tribunale nella dimostrazione dell'idoneità delle predette condotte operative ed informative ad incidere, per un verso, sul prezzo delle azioni B. e, per altro verso, sull'affidamento riposto nella stabilità patrimoniale di B. e dell'omonimo gruppo bancario. Diversamente, più articolate considerazioni si impongono in relazione alle conclusioni cui il primo giudice è giunto in ordine al concorso di reati, trattandosi di profilo sul quale si sono appuntate specifiche ed argomentate doglianze difensive (cfr. appello Gi., pagg. 80 e ss.; appello Pi., pagg. 145-146 nonché pagg. 12-18 dei motivi nuovi d'appello; appello Zo., pagg. 347 e ss, là dove, peraltro, il tema è stato valutato sotto lo specifico angolo visuale del divieto di "bis in idem sostanziale", come meglio precisato più oltre). Ebbene, il tribunale ha ricostruito la disposizione ex art. 2637 c.c., come una "norma penale mista cumulativa", ovverosia come una norma che contempla diverse condotte non già equipollenti ed alternative, bensì espressione di modalità esecutive di altrettanti reati, ciascuno dotato di autonomia e, pertanto, tutti sottoposti, guanto al reciproco rapporto, alla disciplina in materia di concorso di reati. Questo, con l'ulteriore precisazione che, se il rapporto tra aggiotaggio manipolativo ed informativo è tale da rendere unicamente ravvisabile il concorso materiale, ne deriva che, in caso di pluralità di operazioni omogenee (tanto nell'ipotesi di più condotte di aggiotaggio operativo, quanto in quella di aggiotaggio informativo), per comprendere se si sia in presenza o meno di una pluralità di reati si impone una analisi più approfondita. Inoltre, il giudice di prime cure ha qualificato il reato di aggiotaggio come un reato istantaneo, che si consuma al momento della diffusione delle notizie false, ovvero della realizzazione delle operazioni simulate, ovvero ancora delle altre condotte artificiose (e, al riguardo, il richiamo operato dal Tribunale è a Cass. Sez. V n. 40393 del 20.6.2012; si vedano, inoltre: Cass. Sez. V, n. 49362 del 7.12.2012, Consorte, Cass. Sez. V, n. 28932 del 4.5.2011, Ta., Cass. Sez. 5, n. 4324, 8.11,2012, dep. 29.1.2013, dall'Aglio e altro), con conseguente pericolo di destabilizzazione del sistema bancario/sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario, tenuto conto del fatto che, trattandosi di reato di pericolo concreto, a venire in rilievo è il momento nel quale la "condotta acquisisce connotati di concreta lesività" (e, sul punto, la sentenza impugnata ha richiamato Cass. Sez. V, n. 4324 dell'8.11.2012). Peraltro, è appena il caso di precisare che la natura di reato di mera condotta e di pericolo concreto della fattispecie in esame - ovverosia di reato per l'integrazione del quale è sufficiente che siano posti in essere comportamenti diretti a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale di una banca - è stata anche ribadita dalla successiva giurisprudenza di legittimità, sicché, in ordine a tali specifici lineamenti dell'istituto, si è in presenza di approdi oramai consolidati (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 4619 del 27.9,2013, P.M. e P.O. in proc. Compton e altri, Sez., V, n. 54300 del 14,9,2017, Ba.). In definitiva, il tribunale di Vicenza ha risolto il problema della unità/pluralità di reati ravvisando un unico reato là dove, anche in presenza di una sequela di atti omogenei, sussista una manovra caratterizzata, per utilizzare le parole del primo giudice, "dall'unitarietà dell'attitudine manipolativa". Diversamente, secondo la medesima prospettiva esegetica, la ripetizione di condotte omogenee, poste in essere in tempi diversi, avrebbe imposto di ritenere sussistenti una pluralità di operazioni manipolative. Trattasi di una interpretazione della fattispecie di riferimento, nel complesso, rispettosa dei lineamenti di tale ipotesi delittuosa e, pertanto, in larga parte meritevole di condivisione, sebbene si impongano, come si dirà di seguito, talune, significative precisazioni. Al riguardo, va anzitutto osservato che la definizione del reato di aggiotaggio come di un reato istantaneo non riscuote, nella giurisprudenza di legittimità, consensi unanimi, essendosi sostenuta, per contro, in talune pronunzie, la natura "eventualmente permanente" della fattispecie in esame (trattasi di Cassazione Sez. II, n. 12989 del 28.11.2012, dep. 21.3.2012 Consorte ed altri; si veda, inoltre, la precedente Cass. Sez. 15.4.2011, dep. 8.7.2011, n. 26829, confl. comp. in proc. Consorte). Conseguentemente, secondo tale approccio ermeneutico, pur nell'ipotesi di una pluralità di condotte tenute in tempi (e luoghi) differenti, si sarebbe in ogni caso in presenza di un unico reato. Sennonché, in disparte ogni considerazione in ordine al fatto che, nelle vicende processuali cui ineriscono le citate pronunzie, la tematica era stata analizzata sotto lo specifico angolo visuale della competenza territoriale, va precisato come il reato di aggiotaggio ben difficilmente possa essere ricompreso nel novero tanto dei reati permanenti (ovverosia di quei reati caratterizzati dal divieto della creazione di una situazione antigiuridica la cessazione della quale rientra nel dominio del soggetto agente), quanto di quelli eventualmente permanenti (qualora - come pare corretto ritenere - tra tali delitti dovessero ricomprendersi reati caratterizzati dalla possibilità di realizzazione attraverso plurime modalità di condotta, parte a carattere istantaneo, parte a carattere permanente, nell'accezione dianzi precisata). E' bensì vero che all'origine di tale impostazione v'è anche una insopprimibile esigenza di razionalità (alla quale, peraltro, non sono estranee palpabili ragioni di equità) e, segnatamente, quella di scongiurare la incontrollata proliferazione di contestazioni là dove - come, peraltro, normalmente accade nella prassi - il reato di aggiotaggio si presenti caratterizzato da una ripetizione di condotte analoghe, generalmente poste in essere in contesti temporali limitati. Tuttavia, è agevole osservare come, per scongiurare i paventati esiti, obiettivamente irrazionali, non siano affatto indispensabili particolari sforzi di ortopedia interpretativa e, in particolare, non occorra necessariamente ricondurre il reato in questione nell'alveo dei reati permanenti o eventualmente permanenti (come, peraltro, sostenuto anche da un risalente orientamento dottrinale, consolidatosi nella vigenza della pregressa formulazione della fattispecie) e neppure in quello dei reati eventualmente abituali. A ben vedere, infatti, al di là delle differenti opzioni teoriche, occorre considerare che, nel caso di specie, il Tribunale di Vicenza, ben lungi dall'avallare un'impostazione incline ad individuare una distinta fattispecie delittuosa in ciascuna delle condotte oggetto di contestazione, con conseguente aggravamento del rischio di indebita proliferazione dei reati, ha individuato correttivi destinati ad operare in concreto, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda sottoposta al suo vaglio; correttivi che consentono di ricondurre ad unità condotte omogenee in quanto ricollegate al medesimo "evento" di pericolo determinato dalle condotte oggetto di contestazione. In particolare, è stato sufficiente valorizzare le concrete, marcate peculiarità dei fatti di riferimento, in quanto palesemente caratterizzati dall'unitarietà dell'attitudine manipolativa" delle relative condotte, del tutto analoghe e poste in essere in uno specifico arco temporale (annuale) dotato, come si dirà di seguito, di univoca significazione. Più nel dettaglio, il giudice di prime cure, adeguatamente valorizzando specifici e decisivi connotati concreti, ha considerato manifestazioni di un unico reato di aggiotaggio le condotte manipolative poste in essere all'interno Ih dell'arco temporale annuale. Questo, proprio in considerazione, per un verso del fatto che il prezzo dell'azione B. (essendosi in presenza di strumento finanziario non quotato) era determinato annualmente dall'assemblea dell'istituto, sulla base dei parametri patrimoniali ed economici evidenziati nel corso dell'anno, "in base ad una valutazione di un esperto che operava proprio sulla base delle informazioni fornite dall'istituto medesimo"; e, per altro verso, della circostanza che le condotte manipolative operative erano "pianificate sulla base dell'andamento del mercato stesso e della situazione patrimoniale della banca, in ragione delle cadenze prestabilite per le valutazioni - patrimoniali e di stima - in tal senso determinanti, che avevano periodicità annuale" (cfr. sentenza impugnata, pag, 425), Di qui la conclusione - che va condivisa - circa la ravvisabilità di tanti reati di aggiotaggio quanti sono gli anni di riferimento (dal 2012 al 2015). Più articolate considerazioni, per contro, si impongono con riferimento al profilo dei rapporti tra i reati di aggiotaggio "finanziario" e "bancario", tanto in ordine alle ipotesi di "manipolazione operativa", quanto a quelle di "manipolazione informativa". Ad orientare il tribunale nel senso della ravvisabilità del concorso di reati sono state: - sotto il primo profilo (quello inerente alla coesistenza delle ipotesi delittuose di aggiotaggio finanziario e bancario), la diversa, astratta natura degli "eventi di pericolo" considerati dalla disposizione di riferimento (costituiti, segnatamente, dalla sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari e dalla significativa incidenza sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità di una banca); - e, sotto il secondo profilo (quello del concorso tra "manipolazione operativa" e "manipolazione informativa"), la strutturale distinzione delle modalità esecutive di riferimento. E' stato per tali ragioni, quindi, che il giudice di prime cure, nell'ambito della tradizionale distinzione tra "norme miste cumulative" (o "disposizioni a più norme") e "norme miste alternative" (o "norme a più fattispecie"), è pervenuto a collocare l'ipotesi ex art. 2637 c.c. nell'alveo della prima categoria, traendone le conseguenti conclusioni richiamate in premessa. Trattasi, peraltro, di impostazione che, sebbene avallata dalla pronunzia di legittimità evocata dallo stesso tribunale (Cass. 28932/11, imp. Ta.), non è affatto condivisa dalla prevalente dottrina, incline, al contrario, ad escludere il concorso formale eterogeneo tra diverse modalità di realizzazione della medesima fattispecie ed a ravvisare, in siffatta evenienza, un unico reato caratterizzato da alternative modalità di esecuzione. Questo, in ragione della struttura unitaria della fattispecie di riferimento (un argomento in tal senso è stato tratto, in dottrina, anche dai contenuti della Relazione Ministeriale al D.Lgs. 61/2002, con particolare riguardo ai suoi par. 1. e 17.) e, in ogni caso, facendo concreta applicazione di una pluralità di parametri usualmente impiegati per risolvere i problemi posti dalla presenza di "leggi penali miste". Ebbene, la soluzione della questione sub iudice, ad avviso di questa Corte, non implica affatto, necessariamente, l'astratta adesione all'una ovvero all'altra delle opzioni teoriche di riferimento: piuttosto, passa attraverso l'adeguato apprezzamento critico della peculiare concretezza di tale vicenda. A ben vedere, ove si considerino debitamente le specificità del caso, in effetti caratterizzato: - per un verso, dalla particolare natura (un istituto di credito, per l'appunto) dell'ente di riferimento; - per altro verso, dall'inestricabile combinazione di condotte di "manipolazione operativa" ed "informativa" poste in essere dagli imputati; - e, per altro verso ancora, dalla circostanza che tali condotte manipolative hanno avuto, quale riferimento, il titolo dell'istituto di credito, non pare affatto possibile ravvisare tanti reati di aggiotaggio bancario e finanziario, operativo ed informativo, quanti sono gli anni di riferimento. In effetti, ponendosi - come doveroso - sul piano della concretezza degli accadimenti, è giocoforza concludere, anzitutto, che "l'evento di pericolo" dell'aggiotaggio bancario non risulta, di fatto, separabile dall'"evento di pericolo" costituito dall'alterazione del prezzo delle azioni B., trattandosi, in buona sostanza, di null'altro che della medesima ricaduta perniciosa dell'articolato complesso delle attività delittuose osservata da due distinte prospettive. Ravvisare, nel caso di specie, una pluralità di reati costituirebbe, quindi, l'esito di una interpretazione formalistica, contraria alla concreta realtà degli accadimenti ed in stridente contrasto con le esigenze sottese al divieto di bis in idem sostanziale. A ben diversi approdi, infatti, potrebbe giungersi - ad ulteriore riprova della decisività di un approccio incline a valorizzare le specificità del caso - solo qualora le condotte di aggiotaggio informativo avessero inciso sull'affidabilità riposta dal pubblico nell'istituto bancario senza necessariamente presupporre la manipolazione operativa del prezzo del titolo (come, invece, pacificamente avvenuto nel caso in esame). Peraltro (e, sul punto, l'obiezione articolata dalla difesa GI. al paragrafo XIII-4 coglie nel segno), opinando nel solco delle considerazioni svolte dal tribunale si finirebbe per ravvisare, sempre e comunque, in ogni caso di aggiotaggio societario incidente su uno strumento finanziario non quotato, sia il reato di aggiotaggio bancario sia il reato di aggiotaggio finanziario. In definitiva, quella che è stata in dottrina qualificata come "irriducibilità degli eventi pericolosi" (sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, da un lato; affidamento riposto nella stabilità patrimoniale della banca, dall'altro) - pure, sul piano astratto, evidentemente indiscutibile - costituisce elemento destinato a perdere ogni rilievo nell'ambito di una valutazione necessariamente calata dal piano della astratta speculazione a quello della reale dinamica degli eventi sottoposti al giudizio. Ne deriva che, nella peculiare vicenda al vaglio di questa Corte, possono essere fondatamente individuati, per ciascun anno di riferimento, gli estremi di un solo delitto di aggiotaggio e, segnatamente, di aggiotaggio bancario, ove si considerino: - da un lato, la circostanza che le modalità con le quali è possibile incidere sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca sono certamente molteplici e, quindi, non sono certo necessariamente limitate alla alterazione del prezzo dell'azione (come del resto riscontrato anche nel caso di specie, alla stregua dalla variegata natura delle condotte oggetto di contestazione, inerenti, segnatamente, anche alla diffusione di notizie false relative "alla reale entità del patrimonio", alla "solidità patrimoniale della banca", alla "crescita della compagine sociale" e, infine, al "buon esito delle operazioni di aumento di capitale"); - e, dall'altro lato, evidenti ragioni di "specialità" (essendosi in presenza, nel caso in esame, di un ente societario avente la peculiare natura di istituto di credito). Del resto, pare obiettivamente arduo obliterare una circostanza tutt'altro che trascurabile ai fini di una ricostruzione del fenomeno delittuoso che sia, al contempo, coerente con la effettiva dinamica dei fatti ed immune da estrema astrattezza e da conseguenti eccessi rigoristici. Trattasi del fatto che, nell'ambito dell'arco temporale (annuale) di riferimento, il pericolo tanto di alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, quanto del condizionamento dell'affidamento del pubblico nella stabilità patrimoniale della banca, costituivano, con ogni evidenza, un unitario "fattore di coagulazione" delle condotte antigiuridiche, comune sia alle manipolazioni operative che a quelle informative, queste ultime viste come coessenziali momenti dell'azione manipolativa, in quanto necessariamente determinate dalle prime e ineluttabilmente volte ad occultarle (onde non vanificarle). Aggiungasi che, com'è stato acutamente osservato, sovente, nella prassi - e la vicenda sub iudice, sul punto, né è la plastica conferma - le "tecniche manipolatone" non si presentano in forma esclusivamente informativa o manipolativa, bensì necessariamente assumono connotati ibridi, espressione di una combinazione, difficilmente scindibile, di condotte riconducibili alle due diverse categorie, dando così luogo ad un unico, ancorché complesso, effetto manipolativo. In ogni caso, ciò che rileva è il comune denominatore (costituito dalla oggettiva idoneità decettiva della condotta, tale cioè da influenzare il processo decisionale dell'investitore/risparmiatore) che induce ad assimilare le modalità informative a quelle operative. In definitiva, il carattere che unifica le due condotte è quello della medesima struttura fraudolenta. In altri e decisivi termini, nella peculiare fisionomia del caso in esame, caratterizzata tanto dalla riferibilità al medesimo nucleo di soggetti apicali sia delle condotte di aggiotaggio manipolativo che informativo, quanto dalla idoneità delle relative condotte a realizzare (od occultare) la medesima situazione di pericolo, una lettura dei fatti più aderente al loro concreto verificarsi induce a ricondurre le condotte di manipolazione operativa nell'orbita di quelle di manipolazione informativa, essendo dette forme eterogenee di manipolazione parti integranti di un'unica operatività delittuosa. Che, poi, nel contesto di tale, unitaria operatività abbia in concreto assunto più spiccato rilievo la "dimensione informativa" del reato in esame discende - sempre coerentemente ponendosi nell'ottica della effettiva materialità degli accadimenti - dalla semplice considerazione che, nell'ambito della inestricabile connessione tra condotte informative e condotte di manipolazione operativa di cui s'è detto, queste ultime costituivano "l'antefatto" delle prime, le quali, a loro volta, erano funzionali a rendere "proficue" le seconde, il tutto, come s'è detto, in attuazione di una inscindibile unitarietà del complessivo contegno manipolativo (si vedano, sul punto, le acute osservazioni contenute nella citata sentenza Cassazione Sez. II, n. 12989 del 28.11.2012, dep. 21.3.2012 Consorte ed altri). Ebbene, in un siffatto, peculiare contesto, il punto "di caduta" delle complessive azioni delittuose è stata la determinazione del prezzo dello strumento finanziario da parte dell'esperto, indotto in errore sulla base degli esiti dell'attività manipolativa (illeciti finanziamenti; operazioni correlate) e del conseguente flusso di informazioni false indirizzategli dalla "Divisione Bilancio". Inoltre, le informazioni decettive sono poi necessariamente confluite in quel "documento di sintesi" costituito dal bilancio, elemento essenziale per la comprensione dello "stato di salute" dell'istituto. E' solo in questi termini, quindi, che ha senso riconoscere effettivo rilievo, nella concretezza del caso di specie, alla "prevalenza" della condotta informativa su quella manipolativa. Donde la conclusione che, difformemente da quanto sostenuto dal primo giudice, non possono ravvisarsi, nel periodo di riferimento (2012-2015), 16 reati (4 reati di aggiotaggio finanziario operativo; 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo; 4 reati di aggiotaggio bancario operativo; 4 reati di aggiotaggio bancario informativo), bensì soltanto 4 reati di aggiotaggio (bancario) singolarmente individuabili secondo una cadenza annuale, tale essendo la periodicità riferibile tanto alla determinazione del prezzo dell'azione quanto alla rappresentazione all'esterno dei "fondamentali" della banca che confluivano nel bilancio oggetto dì pubblicazione. Ovviamente, la scelta operata da questa Corte nel senso della riduzione ad unità di alcune delle fattispecie delittuose contestate (individuazione di sole quattro fattispecie di reato) implica immediate ricadute sul trattamento sanzionatorio, nel senso che ne determina necessariamente un ridimensionamento (astratta punibilità di sole quattro fattispecie in luogo delle sedici fattispecie individuate dal giudice di primo grado). Resta, in ogni caso, evidente che già in base all'impostazione adottata dal tribunale (che, come s'è detto, ha considerato manifestazioni di un unico reato le condotte di aggiotaggio di carattere omogeneo poste in essere all'interno dell'arco temporale annuale) è inevitabile calcolare in maniera diversificata la prescrizione delle diverse ipotesi di aggiotaggio, individuando un autonomo termine della relativa decorrenza con riferimento a ciascuno degli anni presi in considerazione. A tale impostazione consegue, in ogni caso, la dichiarazione di estinzione per prescrizione dei reati di aggiotaggio perfezionati negli anni fino al 2014, con conseguente eliminazione delle pene previste per le corrispondenti ipotesi di reato. 9 Il reato di ostacolo alla vigilanza In ordine alle imputazioni di ostacolo alla vigilanza in danno di Banca d'Italia, va ricordato come il tribunale, con riferimento agli addebiti, relativi ad ipotesi di vigilanza informativa, di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, a fronte della contestazione tanto della fattispecie di cui all'art - 2638, co. 1 c.c., quanto dì quella di cui al secondo comma della disposizione in esame (e, questo, ad onta del richiamo, in rubrica, unicamente alla disposizione di cui all'art. 2638 co. 2, c.p.), abbia ritenuto sussistente, in presenza di condotte di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti tali da creare ostacoli rilevanti alla autorità di vigilanza, unicamente il reato di cui all'art. 2638, co. 2, c.c.. Questo, in applicazione dei principi di sussidiarietà e consunzione, posto che, secondo l'opinamento del primo giudice, l'evento di ostacolo previsto ex art. 2638 co,2, c.c. avrebbe dovuto ritenersi tale da esaurire l'intero disvalore delle condotte. Diversamente, in relazione al reato di cui al capo B1, inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza ispettiva poste in essere in occasione dell'ispezione del 2012, a fronte della realizzazione di due condotte distinte (segnatamente: occultamento del capitale finanziato e delle lettere di impegno realizzato con mezzi fraudolenti; omessa comunicazione agir ispettori dell'anomala operatività collegata alle operazioni di capitale finanziato) il tribunale di Vicenza ha concluso nel senso della sussistenza di entrambi i reati previsti, rispettivamente, dal primo e dal secondo comma dell'art. 2638 c.c.. Infine, anche in ordine alla contestazione di cui al capo M1, il giudice di prime cure ha ravvisato una duplicità di reati, in ragione della diversità delle condotte di sviamento delle attività di controllo riferibili, rispettivamente, alla Banca d'Italia (in sede di attività ispettiva posta in essere nel corso del c.d. "Asset Quality Rewiev") ed alla Bc. (nell'ambito del c.d. "Comprehensive Assessment") Ebbene, l'esito cui il tribunale è pervenuto, con riferimento ai reati di cui ai predetti capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, nell'escludere il concorso tra le due fattispecie, facendo applicazione del criterio dì consunzione, è certamente persuasivo. Al medesimo esito e per le stesse ragioni deve, tuttavia, pervenirsi anche in relazione all'imputazione stigmatizzata sub B1, essendosi parimenti in presenza, nella concretezza del caso di specie, di un solo reato. Il tribunale, in senso contrario, ha valorizzato la congiunta contestazione di condotte tanto di "occultamento con mezzi fraudolenti" delle circostanze, univocamente riferibili al fenomeno del capitale finanziato, richiamate in detta imputazione, quanto di "omessa comunicazione" di siffatte circostanze. Nondimeno, deve osservarsi, sul punto, come: - da un lato, entrambe le condotte debbano ritenersi caratterizzate dalla medesima finalità fraudolenta (essendo state poste in essere dagli stessi soggetti e nel medesimo contesto - ispezione della Banca d'Italia - con occultamento agli ispettori dell'indebito massiccio ricorso ad operazioni correlate), con la conseguenza che la stessa condotta di "omessa comunicazione" deve ritenersi solo un segmento omissivo di una più articolata condotta attiva; - dall'altro lato che, pure in relazione a tale ipotesi di reato, l'effettiva concretizzazione dell'ostacolo alla vigilanza realizzava, contestualmente alla condotta, anche l'intento perseguito, e, di conseguenza, in presenza di una fattispecie descritta e sanzionata secondo un duplice schema in termini di equivalenza (è infatti previsto lo stesso trattamento sanzionatorio per le due ipotesi), il disvalore della condotta risulta esaurito dal conseguimento dell'evento avuto di mira. Le condotte contestate al predetto capo B1, pertanto, devono ritenersi espressione di un unico reato ex art. 2638, co, 2 c.c., proprio in attuazione dei principi di assorbimento già valorizzati dal primo giudice in relazione alle ulteriori contestazioni di ostacolo alla vigilanza. E' solo per completezza, quindi, che va precisato come, anche a volere diversamente opinare sul punto - e, quindi, a voler ravvisare, con riferimento alle contestazioni elevate al predetto capo B1, nel solco della decisione del primo giudice, la coesistenza di entrambe le ipotesi di reato (2638 co. 1 e 2 c.c.) - la circostanza che le condotte di occultamento siano evidentemente collocabili, sotto il profilo temporale, all'inizio dell'attività ispettiva (ovverosia nel momento nel quale l'obbligo di cooperazione con la vigilanza avrebbe imposto l'ostensione di tutti i dati rilevanti ai fini della regolarità del controllo e, quindi, alla data del 28.5.2012, coincidente con l'inizio dell'ispezione di Banca d'Italia presso la sede dell'istituto vigilato) comporterebbe la presa d'atto dell'intervenuta prescrizione di tali condotte, con l'effetto che residuerebbe unicamente il reato di cui all'art. 2638, co.2 c.c.. Analoghe considerazioni, infine, si impongono con riferimento al reato di cui al capo M1, tenuto conto della medesimezza del percorso ispettivo/valutativo (ad onta del coinvolgimento di due autorità di vigilanza distinte ma "cooperanti", ovverosia Banca d'Italia e Bc.) nel cui ambito sono state poste in essere le condotte decettive stigmatizzate in imputazione. Si è evidentemente, in presenza, anche in tal caso, di un medesimo accadimento materiale costituito, nello specifico, da una unitaria operazione di sviamento delle attività di controllo integrata tanto dall'occultamento di dati rilevanti (quelli complessivamente inerenti al capitale finanziato), quanto dalla comunicazione di notizie non corrispondenti a verità (quelle contenute, rispettivamente, nella comunicazione 20.6.2014, inerente al "Preliminary Capital Plan", nelle informazioni relative agli "stress test" e, infine, nel "Capital Plan"), operazione che ha avuto l'effetto, per un verso, di scongiurare approfondimenti conoscitivi e, per altro verso, di indurre le autorità di vigilanza a concludere per l'idoneità delle misure di rafforzamento patrimoniale adottate dall'istituto di credito per superare le carenze emerse all'esito del c.d. Comprehensive Assessment. Pertanto - e concludendo sul punto - ritiene questa Corte che siano ravvisabili, con riferimento ai reati contestati ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1 ed M1, in danno di Banca d'Italia (e, quanto al reato di cui al capo M1, di Bc.), unicamente le ipotesi di reato di cui all'art. 2638, co. 2, c.c., e così pure per il capo N1, avente ad oggetto condotte di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB. Ciò posto, va ulteriormente precisato che il tribunale di Vicenza, dopo avere richiamato l'orientamento giurisprudenziale incline ad individuare, nelle condotte in esame, un reato eventualmente permanente, ha escluso la ravvisabilità di una unitaria attività di ostacolo alla vigilanza protrattasi per un triennio "e, quindi, di un unico reato), ritenendo integrate, piuttosto, reiterate condotte delittuose poste in essere nel corso di distinte attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi e, quindi, concludendo nel senso di una pluralità di reati. In effetti, ad avviso del giudice di prime cure, in presenza, come nella specie, di condotte di ostacolo protrattesi a lungo, sarebbe l'effettivo esaurimento o meno dell'attività di vigilanza pregiudicata dalle suddette condotte a costituire, al riguardo, l'elemento di discrimine. Trattasi di impostazione che va condivisa. A ben vedere, infatti, qualora siano ravvisabili ostacoli frapposti ad attività di vigilanza distinte (in quanto finalizzate ad eludere specifici interventi di controllo ovvero a conseguire obiettivi mirati, ad esempio il rilascio di autorizzazioni aventi un determinato contenuto) e tutte esauritesi, non pare revocabile in dubbio l'avvenuta consumazione di una pluralità di reati (il momento di consumazione di ciascuno dei quali dovendosi conseguentemente individuare proprio all'atto dell'esaurimento delle singole attività dì vigilanza oggetto di sviamento). Guardando al fenomeno in esame da tale prospettiva, quindi, il richiamo all'opinamento giurisprudenziale in ordine alla natura "eventualmente permanente" della fattispecie di ostacolo delineata dall'art. 2638, co. 2 c.c. assume, ad avviso di questa Corte, pertinente e persuasivo rilievo, in quanto, lungi dall'apparire l'esito di un mero esercizio accademico, se non addirittura di una sterile disputa classificatoria, fornisce le coordinate per scongiurare irrazionali approdi rigoristici, al contempo senza sconfinare in inammissibili "semplificazioni sostanzialistiche". Ebbene, nel caso di specie si è in presenza proprio di una situazione siffatta, ove si consideri che, nel solco degli addebiti di riferimento, le condotte delittuose: - nel caso dell'attività ispettiva del 2012 di cui al capo B1, hanno condizionato tale ispezione, falsandone l'esito; - nel caso di cui al capo C1, hanno consentito l'adozione di una "decisione SREP" più favorevole; - nel caso di cui al capo D1, hanno avuto incidenza sulla lettera di intervento del 24.6.2013 ed hanno impedito la contestuale adozione, da parte della Banca d'Italia, di ulteriori misure ed interventi di vigilanza; - nel caso di cui ai capi E1, G1, H1, hanno impedito l'adozione, da parte della medesima autorità di vigilanza, di "contromisure" coerenti con gli effettivi requisiti patrimoniali annuali; - nel caso di cui al capo F1, hanno consentito di ottenere il provvedimento autorizzativo necessario per l'aumento di capitale 2014; - nel caso di cui al capo M1, infine, hanno falsato l'esito del Comprehensive Assessment. Al riguardo si osserva che proprio la stessa giurisprudenza di legittimità espressasi per la natura di reato eventualmente permanente del delitto di ostacolo alla vigilanza (cfr., oltre alla già nota Cass. Pen. Sez. 5, n. 6884 del 12/11/2015 dep. 22/02/2016, Gi. e altri, anche la più recente Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.) nel contempo ha opportunamente precisato come la fattispecie di cui al comma 2 dell'art. 2638 c.c., diversamente da quella di cui al comma 1, non sia un reato di condotta bensì di evento e, più in particolare, sia "una fattispecie causalmente orientata al risultato lesivo rappresentato dall'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza", essendo peraltro sufficiente, per la configurabilità del reato in esame, ""la verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute". Ebbene, l'evidente e ben marcata differenza di fisionomia (poco sopra illustrata) che intercorre tra gli eventi di ciascuna delle singole fattispecie di ostacolo alla vigilanza oggetto dei vari capi di imputazione fa sì che non possa in alcun modo accedersi alla tesi difensiva della reductio ad unitatem. Né può opinarsi in senso contrario sul rilievo delle circostanze (pure espressamente valorizzate dal difensore di ZO. nell'atto di appello, sub 6, alle pagg. 346 e ss., 350-351) costituite, segnatamente: - dall'unicità del fenomeno taciuto (ovverosia l'esistenza dell'acquisto di azioni della banca finanziato dallo stesso istituto di credito); elemento, questo, valorizzato anche dalla difesa dell'imputato PI., cfr. pag, 145 del suo atto di appello; - ovvero dalla titolarità degli interessi tesi in capo al medesimo soggetto; - ovvero ancora dall'identità della "spinta motivazionale" ravvisabile all'origine di tali condotte. Sotto il primo profilo, infatti, non può non rilevarsi che trattasi di elemento di ben scarso rilievo ai fini della valutazione in ordine al tema della unicità/pluralità di reato. Sotto il secondo profilo, poi, è decisivo osservare che le informazioni ed i dati occultati, nonostante fossero tutti attinenti al medesimo fenomeno del 1 capitale finanziato, oltre ad incidere, per quanto detto, su attività di vigilanza connotate da finalità autonome (si pensi a quanto appena precisato in relazione alla ispezione del 2012, di cui al capo B1; alla decisione SREP di cui al capo C1; all'aumento di capitale 2014 di cui al capo F1, ovvero al Comprehensive Assessment di cui al capo M1), sono stati anche obiettivamente (e necessariamente) differenti, essendo riferibili - e trattasi di considerazione, sul punto, dirimente - ad una situazione finanziaria e patrimoniale dell'istituto di credito in costante evoluzione. Sotto il terzo profilo, infine, si è evidentemente in presenza di circostanza al più valorizzatale ai fini dell'unificazione (peraltro già operata nella sentenza impugnata) delle condotte contestate sotto il vincolo della continuazione ma "ontologicamente" inidonea a consentire di concludere per la sussistenza dì un unico reato. Di qui la conclusione circa la sussistenza della pluralità dei fatti-reato di ostacolo alla vigilanza già ravvisati dal tribunale (ferme restando le precisazioni già svolte in ordine ai capi B1 ed M1, riferibili, entrambi, a condotte integranti gli estremi di un unico episodio delittuoso). Da ultimo, quanto all'ostacolo alla vigilanza contestato al solo GI. al capo N1 e perpetrato in danno di CONSOB non può che farsi rinvio a quanto precisato, sul punto, dal Tribunale, non ponendosi problemi in ordine alla unicità/pluralità di reati. 10. Il reato di falso in prospetto Con riferimento alle due ipotesi di reato di falso in prospetto oggetto di addebito, rispettivamente, ai capi I) ed L) della rubrica, la sentenza gravata, nel capitolo XI, ha operato una puntuale e convincente ricostruzione al riguardo e gli atti di impugnazione non ne sollecitano specificamente il riesame. Dì qui il richiamo a quanto evidenziato nel discorso giustificativo del primo giudice, con l'ulteriore precisazione che trattasi di reati ambedue medio tempore estinti per prescrizione. 11. I reati contestati: considerazioni generali conclusive. Alla luce delle considerazioni svolte, quindi, ricorrono tutte le fattispecie di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto oggetto di addebito, nei termini in precedenza evidenziati. Sul punto, infatti, non persuadono le censure alla affermata coesistenza di detti reati motivate facendo leva sui principi, rispettivamente, del "ne bis in idem" sostanziale (se non nei limiti indirettamente valorizzati nella unificazione delle condotte di aggiotaggio poste in essere nel medesimo arco temporale annuale, secondo quanto in precedenza evidenziato) e del "nemo tenetur se detegere" (è il caso, segnatamente, delle argomentazioni critiche esposte dalla difesa Zo., rispettivamente, ai paragrafi da 6,5.1 a 6,5.1.5 e 6.5.2. dell'atto di appello, pagg.352-363; dalla difesa PI., sotto il secondo profilo, al paragrafo 10 detratto di appello, pag, 146, e, sotto entrambi i profili, alle pagg. 12-18 dei motivi nuovi d'appello; dalla difesa PE. alle pagg. 159-179 della memoria prodotta nel corso del giudizio di primo grado e, quindi, nuovamente depositata in sede di appello, nonché, sotto il solo primo profilo e unicamente con riferimento al reato di aggiotaggio, dalla difesa GI. al cap. XIII dell'atto di appello, pagg. 80-83). Quanto al primo tra i principi evocati (ossia quello del divieto di "bis in idem" sostanziale, che, lo si ricorda, concerne le ipotesi di qualificazione normativa multipla di un medesimo fatto, e, mediante il criterio regolativo della specialità di cui agli artt. 15 e 84 c.p., fonda la disciplina del concorso apparente di norme, vietando che uno stesso fatto sia accollato giuridicamente due volte alla stessa persona), deve anzitutto osservarsi che i reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto presentano una strutturale differenza sia delle condotte, sia dei beni giuridici tutelati, sia dei soggetti passivi di riferimento. Ad accomunare tali reati, nella concretezza della presente vicenda processuale, invero, v'è solo una medesima, originaria situazione di fatto (ovverosia il dissennato ricorso al capitale finanziato e la conseguente necessità, per un verso, di amplificarne progressivamente la portata, al fine di fronteggiare una situazione sempre più incontrollabile e, per altro verso, di impedirne l'emersione), nulla di più. Ebbene, l'equivoco di fondo consiste, da parte delle difese che invocano in ispecie il "ne bis in idem" sostanziale, proprio nella nozione di "condotta" storico-naturalistica da esse adottata, fatta coincidere tout court con l'occultamento del capitale finanziato. A tal proposito non vi è ragione alcuna di discostarsi dal granitico, a dir poco, insegnamento giurisprudenziale di legittimità (costante a far tempo dalla capostipite Cass. Pen. Sez. U., n. 34655 del 28/06/2005, P.G. in proc. Do. e altro, e ulteriormente consolidatosi all'indomani dell'autorevolissimo avallo offerto da Corte Cost. n. 200/2016) secondo cui, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'individuazione dell"'idem factum", se da un lato richiede (in conformità anche alla giurisprudenza sovranazionale della Corte EDU: cfr. per tutte la nota sentenza della Grande Camera del 10 febbraio 2009, Zo. c. Russia, chiamata ad interpretare l'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione) che si abbia riguardo non già alla fattispecie normativa astratta bensì al fatto storico-naturalistico, dall'altro lato esige però che quest'ultimo sia inteso in senso complessivo, ossia in tutti i suoi elementi essenziali riconducibli alla triade costituita dalla condotta dell'imputato, dall'evento naturalistico e dal relativo nesso causale, e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. In tal senso cfr., fra le moltissime, Cass. Pen. Sez. 5, n. 1363 del 25/10/2021 dep. 14/01/2022, Ab.; Cass. Pen. Sez. 6, n. 42933 del 21/10/2021, Ma.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 30034 del 16/03/2021, Ca.; Cass. Pen. Sez. 4, n. 10152 del 02/03/2021, D'A.; Cass. Pen., Sez. 2, n. 52606 dei 31/10/2018, Bi.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 50496 del 19/06/2018, Bo.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, Pi.. Nell'occuparsi del bis in idem processuale, con la sopra citata sentenza n. 200 del 21 luglio 2016, la Corte costituzionale (che ha dichiarato illegittimo l'art. 649 c.p.p. nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussista un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale) ha ridefinito il principio del suddetto ne bis in idem processuale recependo, sul piano ermeneutico, l'opzione della Corte EDU, in ciò affermando il criterio dell'idem factum, e non dell'idem legale, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio. Un decisivo contributo alla rimodulazione del principio del divieto del bis in idem proviene ovviamente dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che pure, nel corso degli ultimi anni, ha fornito diverse precisazioni di principio. Con riferimento alla nozione rilevante di idem factum va evidenziato che la Corte EDU, dopo avere adottato nel tempo varie differenti interpretazioni, è infine giunta (con la citata sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, caso Se. contro Russia) a un approdo definitivo e organico. Nell'esaminare i trattati e gli strumenti internazionali che sanciscono il divieto del "bis in idem" la Corte EDU ha constatato (paragrafo 79) che non tutti usano gli stessi termini, e ha così affermato che la distinzione tra r termini "stessi atti" o "stessi fatti", da un lato, e "stesso reato", dall'altro, è stata ritenuta sia dalla CGUE che dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani un elemento importante a favore dell'adozione di un approccio basato strettamente sull'identità degli atti materiali (idem factum) e sul rifiuto della mera qualificazione giuridica (idem legale) di tali atti quale criterio di verifica della violazione, giudicata come irrilevante. La Corte EDU prende spunto da questa constatazione e, ribadendo che la Convenzione EDU deve essere interpretata ed applicata in modo da rendere pratici ed effettivi, e non teorici o illusori, i diritti in essa riconosciuti, afferma (paragrafo 80) che l'uso del termine "offence/infraction" nell'art. 4 del Protocollo n. 7 non giustifica un approccio interpretativo di tipo restrittivo; il ricorso alla mera qualificazione giuridica del medesimo fatto (idem legale) rischia di indebolire il divieto di bis in idem, piuttosto che renderlo pratico ed effettivo, perché non impedisce che per la medesima condotta una persona possa essere processata e/o condannata due volte. Di conseguenza - secondo la Corte EDU - l'art. 4 del Protocollo n. 7 deve essere interpretato nel senso che il reato è il medesimo se i fatti che lo integrano sono identici oppure sono sostanzialmente gli stessi (paragrafo 82), dovendosi intendere per fatto "l'insieme di circostanze di fatto concrete che coinvolgono io stesso imputato e che sono inestricabilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata al fine di ottenere una condanna o avviare un procedimento penale" (paragrafo 84), Così consolidatasi l'interpretazione circa la necessità di verificare la violazione dell'art. 4 Prot. 7 Convenzione EDU sull'idem factum (e non già sull'idem legale), nonostante la formulazione linguistica della norma convenzionale sembrasse attribuire rilevanza alla sola qualificazione giuridica, la giurisprudenza successiva della Corte di Strasburgo si è articolata in una serie di pronunce (fra cui, ad esempio, Ma. contro Croazia, Sez. I, 25/6/2009) che, partendo dalla nozione di idem factum, hanno verificato volta per volt sulla base di un approccio casistico (connaturato alla stessa struttura della giurisdizione europea convenzionale), l'identità formale o sostanziale dei fatti posti alla base degli addebiti mossi, assumendo quali parametri l'insieme delle circostanze fattuali concrete relative allo stesso autore e indissolubilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, incluso l'evento. Tale approccio casistico (il quale, pur partendo dalla nozione di idem factum, non ha fondato un orientamento della Corte di Strasburgo che restringesse l'identità alla sola condotta) è stato ribadito anche recentemente, come ad esempio nel caso Ga. c. Croazia (Corte EDU, Sezione 1 del 31 agosto 2021). Ciò posto quanto agli approdi della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla nozione rilevante di idem factum, va evidenziato che a sua volta la Corte Costituzionale, nella citata sentenza n. 200 del 2016, affermando il criterio dell'idem factum ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto dì nuovo giudizio, ha chiarito che l'affrancamento dall'inquadramento giuridico del fatto (ossia dall'idem legale) non implica l'affrancamento dai criteri normativi di individuazione del fatto. Il criterio dell'idem factum - afferma la Consulta - non può essere inteso nell'accezione ristretta alla sola condotta (azione od omissione), in quanto la stessa giurisprudenza della Corte EDU non è consolidata in tal senso, anche in virtù dell'approccio casistico (appena visto) che la connota, e in quanto la scelta sul perimetro dell'idem factum "è di carattere normativo", perché "ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum" (Corte Cost. n. 200 del 2016, cit., paragrafo 4). In particolare Corte Cost. n. 200/2016 ha così argomentato l'erroneità della tesi secondo cui l'idem factum dovrebbe essere individuato in ragione soltanto dell'azione o dell'omissione, trascurando evento e nesso di causalità: "Il fatto storico - naturalistico rileva, ai fini del divieto di bis in idem, secondo l'accezione che gii conferisce l'ordinamento, perché l'approccio epistemologico fallisce nel descriverne un contorno identitario dal contenuto necessario. Fatto, in questa prospettiva, è accadi mento materiale, certamente affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi. Non vi è, in altri termini, alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all'azione o all'omissione e non comprenda, invece, anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione. l'evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell'agente. E' chiaro che la scelta tra le possibili soluzioni qui riassunte è di carattere normativo, perché ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum. Questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie poste a raffronto comportino il riemergere dell'idem legale. Esse, infatti non possono avere alcun rilievo ai fini della decisione sulla medesimezza del fatto storico. Ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell'accadimento naturalistico che l'interprete è tenuto a prendere in considerazione per valutare fa medesimezza del fatto. Nell'ambito della CEDU, una volta chiarita la rilevanza dell'idem factum, è perciò essenziale rivolgersi alla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, per comprendere se esso si restringa alla condotta dell'agente, ovvero abbracci l'oggetto fisico, o anche l'evento naturalistico" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit., paragrafo 4). Proprio confrontandosi con la giurisprudenza della Corte EDU la Corte Costituzionale ha escluso che l'idem factum sia stato delimitato, dai giudici di Strasburgo, con riferimento esclusivo alla condotta: "Né la sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zo. contro Russia, né le successive pronunce della Corte EDU recano l'affermazione che il fatto va assunto, ai fini del divieto di bis in idem, con esclusivo riferimento all'azione o all'omissione dell'imputato. A tal fine, infatti, non possono venire in conto le decisioni vertenti sulla comparazione di reati di sola condotta, ove è ovvio che l'indagine giudiziale ha avuto per oggetto quest'ultima soltanto (ad esempio,, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia)". In particolare, prosegue la Consulta, "non solo non vi è modo di ritenere che il fatto, quanto all'art. 4 del Protocollo n. 7 sia da circoscrivere alla sola condotta dell'agente, ma vi sono indizi per includere nel giudizio l'oggetto fisico di quest'ultima, mentre non si può escludere che vi rientri anche l'evento, purché recepito con rigore nella sola dimensione materiale" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit. paragrafo 5). Il concetto viene più volte ribadito da tale pronuncia della Corte Costituzionale, ove in un altro passo si precisa, con ancor maggiore chiarezza, che "allo stato la Convenzione impone agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest'ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell'agente" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit., paragrafo 6). Sulla nozione di idem factum, a sua volta, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è, come detto, ormai da tempo consolidata - a fortiori dopo l'avallo offerto da Corte Cost. n. 200/2016 - nell'affermare che, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta nesso causale-evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta. Dunque, non potendo restringere la nozione di idem factum alla sola condotta, e dovendo considerare il fatto concreto nella sua integrità, comprensivo anche dell'evento e del nesso causale, è evidente che l'identità non sussiste quando, ad esempio, vi sia una marcata differenza dell'evento nell'uno e nell'altro reato di evento oppure quando si sia in presenza, contemporaneamente, di reati di evento e di reati di condotta. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte in tema dì ne bis in idem, insomma, nessuna "indebita triplicazione di fattispecie" a fronte di un"'unica condotta fattuale" contestata (così si legge nell'appello ZO., sub paragrafo 6.5, pag. 351; di "indebita triplicazione di fattispecie" in presenza di un "unico nucleo fattuale", poi, si parla anche nella memoria PE.; pag. 164) è dato, nella specie, ravvisare tra i reati di aggiotaggio - come sopra ridotti peraltro di numero, da sedici a quattro, uno per ogni singola annualità - sub capo A1 (l'aggiotaggio è reato non già di evento bensì di pericolo concreto), quelli di ostacolo alla vigilanza (l'ostacolo ex art. 2638 comma 2 c.c., è invece reato di evento; in ispecie, peraltro, gli eventi di ciascuno dei reati sub capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 si differenziano radicalmente - come già detto supra - gli uni dagli altri) e quelli di falso in prospetto sub capi I e L (ciascuno dei quali, necessariamente, ha in concreto implicato la redazione e diffusione all'esterno di un ben distinto e specifico documento - per l'appunto il prospetto - destinato agli aspiranti partecipanti a due ben distinte e specifiche offerte al pubblico di prodotti finanziari, rispettivamente riguardanti i due distinti aumenti di capitale 2013 e 2014) contestati agli imputati. Da ultimo, con riferimento al principio del "nemo teneturse detegere", il tribunale ha escluso che potesse essere ravvisata l'esimente in esame, invocata dalle difese sul rilievo della necessità di non autoincriminazione in relazione alle pregresse condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo. E, al riguardo, il primo giudice ha argomentato le proprie conclusioni in ragione, rispettivamente: - della natura eccezionale della deroga alla regola generale di cui all'art. 61 n. 2 c.p.; - dell'inammissibile "effetto paradossale" che deriverebbe dall'adesione alla prospettazione difensiva (in quanto, opinando in tal guisa, si finirebbe per assicurare un trattamento di maggior favore a colui che avesse già commesso un reato rispetto a quello riservato all'autore solo dell'ultimo reato); - e, infine, delle conseguenze pregiudizievoli che ne deriverebbero sotto il profilo della pratica impossibilità di emersione di notitiae criminis per i reati cc.dd. "senza vittima". Ebbene, le conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure nell'escludere che possa trovare spazio, nella vicenda sub iudice, l'esimente in questione, meritano adesione. Orientano in tal senso le seguenti ragioni. In primo luogo, nel solco della consolidata, persuasiva giurisprudenza dì legittimità formatasi al riguardo, deve osservarsi - e trattasi, per vero, di considerazione di per sé decisiva -, come l'operatività del "diritto al silenzio" (da ricondursi nell'alveo delineato dall'art. 51 c.p., in quanto espressione del diritto a non autoincriminarsi), proprio in ragione della finalità assegnata all'istituto in esame di costituire adeguato presidio di un "equo processo", presupponga, necessariamente, un processo già in itinere e non possa, pertanto, trovare spazio in fasi ad esso antecedenti, stante la ratio dell'istituto in esame, consistente nella necessità di "protezione dell'imputato da coercizioni da parte dell'autorità". D'altro canto, neppure può fondatamente pervenirsi a differenti esiti interpretativi facendo leva - come, pure, espressamente sostenuto dalla difesa ZO. (paragrafo 6.5.2 dell'atto di appello, pagg. 360-363) - sulla recente evoluzione dei lineamenti dell'istituto in esame per effetto dell'elaborazione della giurisprudenza sovranazionale e costituzionale in materia. Il riferimento d'obbligo è alla sentenza della Corte GUE - Grande Sezione 2.2.2021 (peraltro originata dal rinvio pregiudiziale operato dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza 117/19). A ben vedere, infatti, anche in detta prospettiva il "diritto al silenzio" (inteso come diritto a non rendere dichiarazioni di natura confessoria) implica pur sempre che la condotta che si vorrebbe scriminata sia stata posta in essere nel corso di un procedimento dal quale possano scaturire sanzioni, sebbene non necessariamente di natura penale (nel caso che ha originato la suddetta pronunzia, si trattava, com'è noto, di un procedimento CONSOB per insider trading). In altri termini, anche a seguito dell'ampliamento degli spazi di operatività riconosciuti all'istituto in esame dalla giurisprudenza sovranazionale, i confini del "right to remain silent" (rettamente da intendersi non soltanto, stricto sensu, come protezione dell'accusato rispetto all'impiego di strumenti coercitivi da parte dell'autorità finalizzati ad ottenere mezzi di prova, ma anche, più in generale, come facoltà dì astenersi dal deporre), costituisce pur sempre espressione dell'"equo processo" e, quindi, necessariamente, non può che assumere rilievo solo in ottica processuale/procedimentale. Del resto, anche la conseguente sentenza della Corte Costituzionale 84/21 (ampi stralci della quale sono, ad esempio, riportati dalla difesa PI. alle pagg. 17-18 dei suoi motivi nuovi d'appello), nel dichiarare la illegittimità costituzionale dell'art. 187 quinquiesdecies TUF "nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla Banca d'Italia o alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato", là dove presuppone la previa formulazione di domande e richieste specifiche da parte delle predette autorità di vigilanza, ha conseguentemente circoscritto proprio ad un ambito procedimentale, sia pure lato sensu inteso, finalizzato all'accertamento di specifiche violazioni ed alla conseguente irrogazione di sanzioni, l'operatività del principio in esame. Ebbene, in nessun caso gli episodi di ostacolo oggetto dì addebito nel presente giudizio si collocano nel contesto di un procedimento amministrativo finalizzato alla eventuale irrogazione di sanzioni nei confronti di soggetto determinato. Questo è certamente vero "e, in effetti, è anche di immediata percezione - per i fatti di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1 (in quanto riferibili ad interlocuzioni periodiche con Banca d'Italia e, segnatamente, alle segnalazioni periodiche poste in essere negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 ovvero alle informazioni inerenti agli aumenti di capitale) ed N1 (inerenti all'interlocuzione con CONSOB relativa all'aumento di capitale 2014). Ma ciò è altrettanto vero anche in relazione ai fatti stigmatizzati ai capi B1 ed M1, posto che, in tali casi, l'attività di vigilanza oggetto di sviamento, nel cui ambito le condotte delittuose di riferimento sono state perpetrate, era costituita da ispezioni finalizzate a verificare la regolarità della gestione aziendale, non già da procedimenti destinati all'accertamento di violazioni amministrative ed alla irrogazione di eventuali sanzioni nei confronti di specifici soggetti. In secondo luogo, va richiamato il principio - ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e recentemente confermato proprio dalla Corte GUE e dalla Corte costituzionale nelle sentenze testé citate - secondo il quale il "diritto al silenzio" non può, in ogni caso, pregiudicare prevalenti interessi pubblici. In particolare, nella sentenza 2.2.2021, la Corte GUE ha escluso che tale diritto possa spingersi al punto di compromettere del tutto le funzioni dell'autorità di controllo. La Corte Costituzionale, dal canto suo, nella pronunzia 84/21, ha conseguentemente precisato come il diritto al silenzio non possa certo giustificare comportamenti ostruzionistici rispetto all'attività di vigilanza, ovvero manovre dilatorie, ovvero ancora l'omessa consegna di dati, documenti e registrazioni preesistenti alla richiesta dell'autorità. Infine - e con specifico riferimento proprio alla fattispecie di ostacolo alla vigilanza che viene in rilievo nel presente giudizio - il giudice della nomofilachia, in una recentissima sentenza (trattasi di Cass. Sez. V, n. 3555 del 7.9.2021, dep. 1.2.2022, Co.), consapevolmente ponendosi nel solco di precedenti pronunzie in materia e dopo avere espressamente ripercorso gli approdi delle citate sentenze della CGUE e della Corte Costituzionale, ha sottolineato come il profilo di falsità che connota la figura delittuosa ex art. 2638, co. 2, c.c. costituisca un "quid pluris" rispetto al dovere di collaborazione con l'autorità cui è conformato l'illecito amministrativo in relazione al quale era intervenuta la citata declaratoria di incostituzionalità; pertanto, all'esito di una valutazione comparativa che ha evidenziato la prevalenza dell'interesse alla tutela del bene giuridico di riferimento rispetto a quello dell'imputato all'impunità, ne ha tratto l'inequivoca conclusione che tale conclusione comparativa non è contraddetta dalla richiamata pronuncia di incostituzionalità, proprio in ragione della "pregante connotazione lesiva che caratterizza i fatti penalmente rilevanti in forza dei secondo comma dell'art. 2638 c.c.". Alla stregua delle complessive argomentazioni sin qui svolte, le censure mosse, sul punto, alla sentenza impugnata risultano destituite di fondamento. 12. I criteri di individuazione delle operazioni di capitale finanziato e la portata applicativa dell'obbligo di deduzione dal patrimonio di vigilanza dei relativi valori. S'è già detto che il tribunale è pervenuto alla quantificazione del fenomeno del capitale finanziato all'esito della congiunta valutazione di una pluralità di evidenze probatorie di varia natura (esiti di consulenza tecnica; deposizioni testimoniali; prove documentali, ecc.) e che, nel tracciare detto perimetro, ha assunto rilievo centrale la consulenza tecnica svolta dai consulenti della procura di Vicenza, dott.ssa Ca. e prof. Ta., trattandosi di consulenza che: - da un lato, ha analizzato scrupolosamente l'intera documentazione disponibile (segnatamente: sono state esaminate tutte le delibere di affidamento al fine di rilevare l'importo finanziato, la dichiarata estinzione delle somme, la durata del prestito e la distanza temporale tra finanziamento ed acquisto; inoltre, sono state oggetto di vaglio le complessive movimentazioni sia del portafoglio titoli del cliente, sia dei conti correnti interessati - talvolta risultati accesi proprio all'atto del primo finanziamento - al fine di valutare se all'acquisto dei titoli avessero concorso in tutto o in parte fondi del cliente; la verifica, infine, ha riguardato anche l'estratto conto dei titoli per riscontrare la permanenza/delle azioni/obbligazioni convertibili B. nel dossier titoli del cliente, l'esistenza di lettere di impegno e di storni/verifiche, nonché lo stato dell'indebitamento segnalato in Centrale Rischi per acclarare l'andamento della situazione debitoria; complessivamente, sono state esaminate tutte le posizioni dei 965 clienti oggetto di segnalazione, con conseguente analisi dei circa 53.500 file di riferimento); - e, dall'altro, si è ispirata ad un approccio prudenziale (in particolare, onde scongiurare il rischio di duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti). Inoltre, come precisato dal primo giudice, i molteplici criteri sintomatici di "correlazione" utilizzati dai predetti consulenti per individuare le operazioni "baciate" sono strati tutti basati su evidenze oggettive e sono stati posti a fondamento, nel solco tracciato dar puntuali quesiti formulati dall'inquirente, di una ricostruzione "dinamica" (di trimestre in trimestre) del fenomeno analizzato. Infine, sulla scorta dell'esito della quantificazione del fenomeno in esame, calcolato nella misura di "complessivi Euro 1,031,6 mln (per un numero totale di azioni acquistate tramite finanziamenti B. di 15.426.391), di cui Euro 963 mln riferiti ad acquisti di azioni B. ed Euro 68 mln riferiti a sottoscrizione di prestito obbligazionario convertibile" (cfr. pagg. 354-355 sentenza gravata), la medesima consulenza è giunta a determinare tanto la consistenza del patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, quanto il livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali alla data del 30.6.2012 e, successivamente, con cadenza trimestrale, sino al 31,3.2015, pervenendo a conclusioni che, anche in tal caso, sono state condivise dal primo giudice. Pertanto, non può che richiamarsi quanto già dal tribunale esposto al riguardo (segnatamente, nel capitolo V della sentenza impugnata, alle pagg. 347-386). Nondimeno, come parimenti evidenziato in precedenza, in sede di esposizione dei singoli motivi di impugnazione, le difese di taluni imputati (segnatamente ZO. ed anche GI.; per quest'ultimo imputato trattasi peraltro di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione) hanno contestato sotto plurimi profili la predetta consulenza, in particolare con riferimento ai criteri impiegati per l'individuazione delle "operazioni baciate", sostenendo, conseguentemente, l'inattendibilità della determinazione dell'importo complessivo del capitale finanziato nella misura sopraindicata e, al contempo, sollecitando l'espletamento di perizia sul punto. In primo luogo, le obiezioni mosse alla consulenza Ca.-Ta. ineriscono alla mancata adozione, tra gli indici sintomatici di correlazione, di quello consistente nel nesso teleologico tra concessione del finanziamento da parte dell'istituto di credito e destinazione delle relative risorse all'acquisto delle azioni emesse dal medesimo ente (cfr. appello Zo., paragrafo 3-4 b, pagg. 156 e ss.). La difesa del solo imputato GI. (cfr, appello Gi., parte terza, cap, IX, pag. 67; trattasi peraltro - come detto - di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, giusta nota difensiva depositata in tale occasione), poi, ha lamentato l'errore metodologico nel quale sarebbe incorso il primo giudice, là dove avrebbe sostanzialmente basato la ricostruzione del fatto in punto di "capitale finanziato" sull'esito dell'applicazione di criteri di tipo "amministrativistico", sostanzialmente desunti dalla circolare n. 263 del 27.12.2006 di Banca d'Italia, non già sull'adozione del procedimento euristico avente diritto di cittadinanza nel giudizio penale e fondato sulla valutazione di prove, anche indiziarie. In questa prospettiva, pertanto, la circostanza che, rispettivamente, la Bc., la Consob e i consulenti dell'inquirente avessero fondato i rispettivi giudizi su criteri parzialmente distinti (in ragione della differente finalità delle rispettive analisi), non dimostrerebbe, ad avviso dell'appellante, la mera opinabilità di detti criteri, bensì il vizio di metodo in cui sarebbe incorso il primo giudice nell'ancorare il proprio convincimento agli esiti di una siffatta analisi. Più nel dettaglio, solo Consob, mirando alla ricerca di fatti specifici, avrebbe adottato criteri analoghi a quelli legittimamente spendibili nel processo penale. Diversamente, la Bc. e, di conserva, i consulenti del P.M., avrebbero adottato criteri utili a ricostruire "fenomeni", non già fatti specifici (cfr. atto di appello, pag. 73), donde l'inidoneità delle relative valutazioni a fondare il giudizio del tribunale. Né la erroneità, sotto tale profilo, dell'analisi dei predetti consulenti sarebbe "sanabile" ex post sul rilievo della convergenza dei relativi esiti con risultanze aliunde acquisite (dichiarazioni testimoniali; rinvenimento delle lettere di impegno; corrispondenza tra importi finanziati ed investimento in titoli, ecc.). Questo, per la semplice ragione che un mezzo di prova potrebbe "costituire riscontro ai risultato di altro mezzo di prova" solo "in quanto il tema di prova sia comune ad entrambi" (cfr. atto di appello, pag. 73), situazione nella specie non ravvisabile. Peraltro, nel peculiare caso in esame - caratterizzato dall'escussione di soli trenta testimoni in relazione a 133 operazioni, a fronte di ben 965 clienti asseritamele finanziati ed impegnati in 1274 operazioni per un ammontare complessivo di 963 milioni di euro - il presunto riscontro sarebbe addirittura costituito da una inammissibile "prova per campione". Infine, sul versante della determinazione del patrimonio di vigilanza, le censure difensive (trattasi, segnatamente, dell'obiezione avanzata dalla difesa Zo. - cfr. atto di appello, paragrafo 3.4 b), pagg. 161 e ss.) si sono specificamente appuntate sull'errata detrazione dal patrimonio di vigilanza dell'intero ammontare del capitale finanziato, sostenendosi, in senso contrario, che tale decurtazione avrebbe dovuto avere luogo, oltre che nell'ipotesi di sottoscrizione di azioni emesse, nel "mercato primario", all'atto dell'aumento di capitale, anche qualora si fosse trattato dì acquisti effettuati, sul "mercato secondario", da parte di investitori (finanziati dal medesimo istituto di credito) privi di adeguato merito creditizio. Trattasi, peraltro, di obiezioni già sollevate nel corso dell'istruttoria di primo grado ed oggetto di specifica confutazione da parte del primo giudice. Ebbene, questa Corte ha già affrontato tali temi, là dove, con ordinanza 18.5.2022, provvedendo sulle richieste di rinnovazione istruttoria, ha disatteso le relative istanze, segnatamente respingendo la sollecitazione a disporre perizia sul capitale finanziato. Tuttavia, l'analisi necessariamente sommaria allora effettuata rende indispensabili le precisazioni che seguono. Innanzitutto, quanto alla determinazione del "perimetro" del fenomeno del capitale finanziato siccome indicata in sentenza sulla scorta della consulenza Ca.-Ta., deve osservarsi che si è in presenza di stima pienamente affidabile e, al più, come si dirà, determinata per difetto. Sul punto, va anzitutto precisato che il primo giudice ha compiutamente delineato, anche in termini diacronici, la disciplina di riferimento alla stregua della quale individuare gli acquisiti di azioni finanziati dallo stesso ente (art. 2358 c.c.; Circolari Banca d'Italia n. 155 del 18.12.1991 e n. 263 del 27.12.2006; Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 c.d. CRR - "Capital Requirements Regulation"; Regolamento Delegato UE n. 241/2014 della Commissione del 7 gennaio 2014) ed ha correttamente ravvisato il fenomeno del "capitale finanziato" nell'ipotesi dì impiego per l'acquisto di azioni B. di risorse erogate all'investitore dallo stesso istituto emittente nel caso in cui la concessione del finanziamento e l'acquisto del titolo fossero oggettiva espressione di un "atto coordinato". La finalità della disciplina in materia, invero, è quella di offrire adeguata garanzia, attraverso la tutela della effettiva integrità del patrimonio di vigilanza, agli investitori ed ai terzi, sicché quel che rileva, in definitiva, è il dato obiettivo dell'impiego delle somme erogate dall'emittente per l'acquisto dei titoli dello stesso ente. E la normativa di riferimento, ove rettamente intesa, depone inequivocabilmente in tal senso. Se ciò, infatti, è di immediata percezione in relazione alla disciplina ricavabile dai Regolamenti UE 575/13 e 241/14 (là dove, il primo, all'art. 28, precisa che gli strumenti dì capitale primario non possono essere finanziati dall'ente, né direttamente né indirettamente ed il secondo individua il "finanziamento diretto" in tutti i casi in cui un ente ha concesso ad un investitore, "in qualsiasi forma, un prestito o altri finanziamenti che sono utilizzati per l'acquisto dei suoi strumenti di capitale"), potendosi univocamente ricavare, da tali disposizioni, una nozione, per l'appunto, "oggettiva" di finanziamento diretto (nel senso che è tale una operazione caratterizzata dal mero impiego delle somme erogate per l'acquisto degli strumenti di capitale), a non diversi approdi ermeneutici deve pervenirsi alla stregua delle disposizioni in vigore precedentemente all'adozione della citata disciplina sovranazionale e, segnatamente, sulla base delle prescrizioni contenute nelle citate circolari di Banca d'Italia n. 155 del 18.12.1991 e n. 263 del 27.12.2006. La prima, infatti, già identificava il finanziamento correlato come caratterizzato da "operazioni di finanziamento destinate all'acquisto di azioni" della banca emittente (cfr. circolare 155/91, sezione 1, sottosezione 3, sua p. 1.3.8 dedicata agli "Elementi negativi del patrimonio di base"; detta circolare - in atti quale documento n. 2 deposito Banca d'Italia dell'udienza 13.9.2019 - è stata più volte aggiornata nel corso del tempo; la versione prodotta da Banca d'Italia nel presente giudizio è aggiornata al 3.4.2006), guardando al fenomeno in esame secondo una prospettiva in cui rivestiva rilievo centrale il dato concreto dell'impiego delle risorse erogate per l'acquisto dei titoli e, conseguentemente, stabilendo il relativo obbligo di deduzione dal patrimonio di vigilanza, fatta salva l'ipotesi che detto acquisto non fosse stato l'effetto di una autonoma ed indipendente iniziativa dell'investitore. La seconda (in atti quale documento n. 1 deposito Banca d'Italia dell'udienza 13.9,2019, a sua volta aggiornata a più riprese nel corso del tempo; la versione prodotta da Banca d'Italia nel presente giudizio è aggiornata al dicembre 2010), poi, introducendo la nozione di "atto coordinato" (trattasi - come detto - di locuzione esplicitamente adottata dalla suddetta circolare 263/06, titolo I, cap. 2, sez, II, p. 7), precisava come il capitale finanziato, in quanto tale non computabile nel patrimonio di vigilanza, non fosse solo quello espressamente destinato (secondo la esplicita regolamentazione pattizia) all'acquisto di azioni proprie, bensì, proprio al fine di scongiurare, sul punto, manovre elusive, anche quello effettivamente risultante come tale. L'individuazione delle operazioni di finanziamento implicanti l'applicazione del regime prudenziale, quindi, veniva bensì ancorata al ricorrere di un "atto coordinato", ovverosia ad una sorta di "collegamento negoziale" tra erogazione del prestito ed acquisto del titolo; nondimeno, l'esplicito richiamo, in tale atto normativo, oltre che al profilo contrattuale, alle "caratteristiche effettive dell'operazione", indicava chiaramente l'intenzione dell'ente regolatore di attribuire rilevanza non solo ai profili formali/documentali dell'operazione medesima, bensì al concreto atteggiarsi della stessa. In definitiva, tutta la disciplina in materia si è sviluppata secondo una direttrice coerente: originariamente finalizzata ad escludere dall'alveo delle operazioni correlate unicamente gli acquisti effettuati con finanziamenti solo occasionalmente e per autonoma ed indipendente scelta dell'investitore impiegati per l'acquisto dei titoli dell'emittente, si è successivamente evoluta giungendo ad attribuire rilevanza esclusiva all'aspetto "oggettivo" dell'acquisto del titolo effettuato con risorse erogate dallo stesso istituto emittente. Trattasi, peraltro, di interpretazione che ha trovato il significativo avallo, nel corso del giudizio di primo grado, da parte del consulente Parisi84, il quale ha sostanzialmente ripercorso nei medesimi termini l'evoluzione della suddetta disciplina, a partire da quanto previsto dalle circolari della Banca d'Italia, fino alle modifiche successive agli "accordi di Basilea", come ben si ricava dal passaggio della relativa deposizione siccome opportunamente riportato a pag. 350 della sentenza impugnata. Ebbene, ponendosi in tale prospettiva, se non v'è dubbio che la sussistenza del "nesso teleologico" evocato da talune difese (sulla scorta, in particolare, della consulenza Gu.) rappresenti la più marcata manifestazione di una operazione "coordinata", è parimenti evidente che limitare il fenomeno in esame alle operazioni connotate dalla presenza di un siffatto legame di tipo "psicologico", eh e fosse esplicitamente manifestato in sede di redazione/compilazione della documentazione contrattuale, finirebbe per restringere eccessivamente e del tutto arbitrariamente l'ampiezza di detto fenomeno, in radicale contrasto con la disciplina in materia, siccome testé ricostruita. Va necessariamente ricusata, quindi, una interpretazione della normativa di riferimento che attribuisse, sul punto, rilievo decisivo alla volontà dei contraenti siccome desumibile dalla modulistica contrattuale: il legame di tipo psicologico preteso dalle difese, infatti, deve essere necessariamente indagato non solo alla stregua della documentazione pattizia ma di tutte le caratteristiche dell'operazione che possono illuminare e dimostrare il fine effettivamente perseguito dalle parti. E' solo per completezza, pertanto, che deve osservarsi come, ancorando rigorosamente (com'è d'obbligo, per quanto detto) la individuazione della "correlazione" a dati concreti, effettivamente rivelatori dì un "collegamento negoziale" (e, quindi, non solo a quanto, sul punto, espressamente consacrato in un documento contrattuale), dovrebbe, in ogni caso, necessariamente convenirsi che i criteri adottati dai consulenti del p.m. (trattasi, segnatamente: dell'indicazione generica delle finalità dell'affidamento riportate nella delibera; della durata delle linee di credito; del ridotto lasso temporale tra concessione del finanziamento ed acquisto dei titoli; dell'importo dell'affidamento in raffronto al controvalore delle azioni/obbligazioni convertibili acquistate; del riferimento alla vendita degli asset acquistati con il finanziamento quale fonte prioritaria di rimborso; della presenza delle lettere dì impegno/disponibilità al riacquisto; dell'effettuazione degli storni degli interessi applicati e/o di accrediti generici) non sarebbero affatto incompatibili, in concreto, con quello (rettamente inteso) del "nesso teleologico" evocato dai difensori, trattandosi degli unici parametri - ragionevolmente individuabili - alla stregua dei quali necessariamente indagare l'effettiva intenzione delle parti, così da ancorarla ad evidenze obiettive (e non già a dati meramente formali), onde scongiurare comportamenti opportunistici, se non anche fraudolenti. Senza trascurare il fatto che è la stessa circolare che individua criteri, in via esemplificativa, di cui è necessario tener conto, con riferimento espresso ai dati temporali e ai dati quantitativi delle somme in gioco, ovvero proprio ad alcuni dei parametri presi in esame e adottati anche dai cc.tt. (cfr. circolare 263/06, cit., titolo 1, cap. 2, sez. II, p. 7: "..si ritiene che sussista un riacquisto qualora, sotto i profili contrattuale e delle caratteristiche effettive dell'operazione (e la congiunzione sottolinea fa necessità di una valutazione unitaria), momenti dell'emissione dello strumento della banca con conseguente raccolta di fondi patrimoniali e dell'erogazione di finanziamenti a beneficio del sottoscrittore rappresentino, per ammontare e scadenze (trattasi, a ben vedere, di parametri esemplificativi che trovano specificazione in quelli concretamente adottati dai cc.tt.), un atto coordinato"). In quest'ottica, quindi, il contrasto tra il criterio teleologico indicato dal consulente prof Gu. e quelli, "sostanzialistici", che hanno orientato il vaglio dei consulenti dott.ssa Ca. e prof Ta., finirebbe decisamente per scolorire sino a divenire, in concreto, pressoché evanescente. Quanto, poi, alla contestazione del parametro di riferimento temporale (trimestrale) adottato (tra i vari criteri) dai predetti consulenti, parametro/, censurato in quanto eccessivamente ampio, deve osservarsi: - per un verso, che il riferimento al trimestre è stato conseguenza non già dì una scelta arbitraria effettuata dai suddetti professionisti, bensì, da un lato, della natura dinamica della rilevazione da costoro compiuta in adempimento dell'incarico loro conferito dall'inquirente85 (il quale, in effetti, ha richiesto una valutazione parametrata proprio a tale arco temporale, nel solco della prassi bancaria della rendicontazione trimestrale - sulla base, com'è noto, di "trimestri fissi" - e dei conseguenti obblighi di comunicazione alla vigilanza); e, dall'altro, della constatazione che, presso B., intercorreva un siffatto lasso temporale tra la data di formalizzazione (in modalità solitamente cartacea) dell'ordine di acquisto dei titoli sul mercato secondario e quella di definitivo perfezionamento dell'acquisto (all'esito dì una complessa procedura che prevedeva, tra l'altro, un accurata verifica della pratica presso l'Ufficio Soci, come precisato dal teste Ro. in sede di deposizione dibattimentale); - per altro verso, che lo stesso consulente della difesa Pe., dott. Pa., ha condiviso tale riferimento temporale; - e, per altro verso ancora - e trattasi, in ogni caso, di considerazione dirimente - che il tribunale ha precisato come, in concreto, la gran parte (l'86%) delle operazioni correlate individuate sia consistita in operazioni poste in essere entro novanta giorni (con l'ulteriore peculiarità che tanto il finanziamento quanto il successivo acquisto dei titoli è avvenuto nell'ambito del medesimo trimestre di riferimento "cfr. sentenza impugnata, pag. 385) e che l'ispettore Ma. ha avuto modo di precisare come, in realtà, grandissima parte dei finanziamenti fossero stati poi impiegati per l'acquisto delle azioni nell'arco di pochi giorni. Venendo, quindi, alle censure metodologiche articolate dalla difesa GI. (trattasi peraltro - va ribadito - di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione), deve osservarsi che nessuna automatica trasposizione di valutazioni rilevanti unicamente in sede amministrativa ha avuto luogo nel caso di specie. I consulenti del P.M., infatti, hanno scandagliato l'intera documentazione disponibile e, come detto, hanno adottato tutti i criteri, basati su elementi oggettivi, razionalmente utilizzabili per individuare la correlazione tra i finanziamenti e l'acquisto di azioni emesse da B.. Che, poi, detti criteri possano fungere da parametri anche per finalità di tipo ulteriore (e, segnatamente, di natura amministrativa) è circostanza che, ad onta delle contrarie argomentazioni difensive, non inficia minimamente gli esiti di indagine, né tantomeno li espone all'obiezione di inutilizzabilità in sede penale. Tanto precisato in ordine ai criteri di riferimento e, passando, quindi, alla valutazione degli esiti della applicazione di siffatti criteri al caso in esame, osserva questa Corte che la quantificazione dell'ammontare complessivo delle operazioni correlate cui sono pervenuti i cc.tt. dell'ufficio di Procura è obiettivamente persuasiva. Non solo, infatti, come già detto, si è trattato di un risultato scaturito da una dettagliata valutazione della documentazione tutta disponibile, ma - e trattasi di circostanza di assoluto rilievo - si è in presenza di un esito sostanzialmente coincidente con quello cui sono pervenuti sia la Bc. che lo stesso istituto dì credito (peraltro a conclusione di una verifica effettuata anche avvalendosi dell'ausilio dì società di consulenza esterna specializzata), beninteso ove si considerino debitamente i parametri di riferimento adottati, rispettivamente, da tali soggetti89. Inoltre, si è in presenza di un ordine dì grandezza sostanzialmente (e significativamente) coincidente anche con le ulteriori risultanze d'indagine, ove si consideri debitamente: - non solo che il teste Am. ha riferito che, nei primi mesi del 2015, all'esito di alcuni colloqui con i direttori di area, aveva "mappato" il fenomeno in questione, pervenendo alla quantificazione approssimativa di 800 milioni di euro; - non solo che il teste Li. ha confermato di avere appreso proprio dal teste Am. l'eclatante dimensione del capitale finanziato, riferendo di una quantificazione che si aggirava intorno al miliardo di euro; - ma che lo stesso D.G. So. - ovverosia il soggetto apicale che aveva la più completa conoscenza del tema in questione - in occasione della seduta del comitato di direzione 10,11.2014, icasticamente affermando: abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare...", ha quantificato il capitale finanziato a quella data esistente proprio nella misura - sostanzialmente corrispondente a quella individuata dai consulenti - di 1,2 miliardi di Euro. Quanto, poi, all'icastica affermazione resa dal D.G. So. in occasione della seduta del comitato di direzione 10.11.2014 (v. pag. 34 della relativa trascrizione sub doc. 110 del P.M.) va detto che taluni fra gli appellanti (in particolare GI. a pag. 54 del suo atto di appello, cap. VII, e PI. nelle spontanee dichiarazioni rese a verbale all'udienza del 15 luglio 2022 nel presente grado di giudizio, altresì prodotte nella stessa udienza dalla sua difesa in formato cartaceo) sostengono che l'espressione "....abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare - particolarmente valorizzata alla pag. 666 della sentenza di prime cure - non si riferirebbe in realtà all'entità del capitale finanziato ma "alla campagna pre-affidamenti" (cfr, pag. 54 appello GI., cap. VII; trattasi peraltro di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione; nello stesso senso si era espresso, nel corso del suo esame dibattimentale in primo grado, anche l'imputato MA.: cfr. pagg. 100-102 verbale stenotipico 11.6.2020) oppure (cfr. in particolare la pag. 17 della versione cartacea delle spontanee dichiarazioni dell'imputato PI.), si riferirebbe - arguendosi ciò da quanto il D.G. So. afferma alle pagg. 65-66 della trascrizione del file audio del suddetto Comitato di Direzione 10.11.2014 - a una mera proposta del So. stesso "di sostituire dei finanziamenti in essere con dei time deposit. Il time deposit presuppone che il cliente depositi dei soldi alla Banca mentre il finanziamento è evidentemente un impiego della Banca verso il cliente". Può osservarsi peraltro: - che, nel corso del presente grado di giudizio, l'imputato GI., mutando avviso e linea difensiva nell'indursi a rendere dichiarazioni auto-ed etero-accusatorie (dapprima prospettate nel memoriale scritto depositato all'udienza del 30.5,2022, indi articolate e sviluppate in sede dì rinnovo dell'esame dibattimentale - e relativo controesame - tenutosi alle udienze del 15, 17 e 20 giugno 2022), ha riconosciuto (cfr. al riguardo, la pag. 21 del memoriale depositato il 30,5.2022, cit.; cfr altresì la pag. 17 del verbale stenotipico dell'esame GI. in grado di appello di data 15.6,2022) che così dicendo il So. si riferiva, nel corso di quel Comitato di Direzione del 10.11.2014, realmente a un folto gruppo di impieghi - poco redditizi - correlati all'acquisto di azioni della Banca; - che l'imputato MA. ha inteso motivare la propria interpretazione della frase del So. "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fere..." limitandosi a evidenziare che il GI. nell'occasione ebbe a replicare prontamente al D.G. (con un chiaro quanto esclusivo, per il MA., riferimento alla campagna "pre-affidamenti", anche detta "pre-deliberato", che sempre secondo il MA. non era riuscita a decollare) pronunciando l'espressione "Ma non li ... Ma non li prendono, Sa."; a ciò si aggiunge quanto affermato dal teste Ci.Am., appartenente alla Divisione Crediti diretta dal MA. (cfr, pag. 112 verbale stenotipia) 11.2.2020: "su tutta quanta la clientela della banca applicai i filtri per scremare i nominativi che potevano avere queste caratteristiche. E vennero fuori 6-7 mila posizioni su B. e 600 circa su Ba.Nu. di potenziale pre-deliberato. Mi sembra che il potenziale fosse 1 miliardo e 2 sulla B., e il potenziale 70 milioni su Ba.Nu.. Vado a memoria perché andiamo indietro di otto anni"). Nondimeno, se sì valuta nella sua interezza - debitamente contestualizzandolo - il relativo passo dell'intervento del So. in seno al Comitato di Direzione 10.11,2014 (cfr. pag, 34 della trascrizione di cui al doc. 110 del P.M.) emerge come il D.G. stia invece con ogni evidenza parlando di finanziamenti non già potenziali o "papabili" bensì accordati in passato, nonostante i quali - con suo preoccupato disappunto, ivi espresso - rimanevano urgentemente da collocare, quando ormai si era giunti quasi a fine anno, come per l'appunto aveva poco prima annunciato GI. al consesso, gli "85, no, adesso vedremo anche gli altri 40 che fine ... che fine fanno, perché anche quelli li devono ... devono ..." (v. pag, 30 ibidem: So. qui si riferisce - da un lato-lato - all'eccessiva entità del fondo acquisto azioni proprie, ammontante in quel momento a 85 milioni di Euro quando il limite da non superare, come illustrato al Comitato poco prima dal GI., era di appena 25 milioni, sicché andavano ricollocate azioni per un ammontare di 60 milioni già solo su quel primo fronte; e - dall'altro lato - alla presenza di azioni B. per complessivi 42 milioni di Euro nei fondi esteri; presenza che andava eliminata a sua volta trovando, del pari, una nuova collocazione a tali azioni: v. chiaramente sul punto, in seno allo stesso Comitato di Direzione, l'intervento di Pi.An., pag. 36 Ibidem). D'altra parte lo stesso GI., poco oltre (v. pagg. 36-37 ibidem), precisava - nell'ambito del medesimo Comitato di Direzione - come l'importo delle operazioni deliberate in sede di "campagna pre-affidamenti", condotta in maniera diffusa dalla rete facente capo alla Divisione Mercati da lui diretta, fosse, in realtà, al 10.11.2014, pari a "20 milioni, che sono ordini che devono arrivar su" (alla fine, secondo il teste Ci.Am., la "campagna pre-deliberato" fu chiusa con finanziamenti accordati per 169 milioni di euro: cfr. deposizione Am., pag. 112 verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020). Insomma il miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare" menzionato dal DG So. non poteva riferirsi alla campagna pre-affidamenti allora in corso (fra l'altro iniziata da pochissimo tempo, appena nel mese precedente ossia nell'ottobre 2014: cfr. pagg. 111-112 deposizione Am. cit.) bensì corrisponde con ogni evidenza - se si contestualizza in maniera corretta l'affermazione del So. - all'entità dei finanziamenti correlati già erogati in passato, tanto più che lo stesso So., nel proseguire la discussione su tale specifico tema (v. pagg. 35-36 ibidem), lamentava come fino ad allora ci si fosse rivolti più o meno sempre allo stesso bacino locale, con il rischio quindi - si badi - dì attirare un eccesso di attenzione su siffatto tipo di operazioni; ciò proprio in quanto esse venivano condotte, per lo più, sempre con i medesimi soggetti veneti laddove sarebbe stato, a suo avviso, opportuno diversificare radicalmente la platea di coloro con i quali stipulare t finanziamenti correlati, spostandola ad esempio più sull'asse Milano-Roma (v. pag. 36 ibidem: "E dopo dobbiamo sempre ricorrere al solito Ja., sempre ricorrere alla solita Vicenza, no? E, invece, bisogna che sta roba qui venga fatta Milano Roma, noi dobbiamo trovare Milano Roma, perché poi se ne parla meno. Se qui facciamo sempre e solo in ultima, facciamo intervenire i soliti, figurati se questi non parlano! Cioè, non ... non ... bisogna pianificarla meglio questa attività qua, dobbiamo ..."; concetto ribadito dal So. più avanti, cfr. pagg. 39-40 ibidem: "Sa. Ecco, però io ... Sì, se fosse possibile, io andrei fuori dal ... dal territorio, io farei più su Roma, su Milano, su ... anche se sono finanziati, ma almeno usciamo usciamo da qua"); - che l'imputato PI. ha a sua volta inteso motivare la propria personale - e diversa, si noti, da quella degli altri imputati poco sopra menzionati - interpretazione della frase del So. "....abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ..." utilizzando argomentazioni che in realtà, anche nel suo caso, contrastano con il testo complessivo della registrazione audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, del quale il PI. stesso, nell'occasione, ha estrapolato brevi frammenti decontestualizzandoli. In particolare il PI. (cfr. pagg. 15-21 della versione cartacea delle sue dichiarazioni spontanee prodotta dalla difesa e, in particolare, pag. 18), a riprova del suo assunto, ha sostenuto che "a fronte di questo passaggio del Dott. So. (...) nessuno dei partecipanti alla riunione si è stupito da quanto affermato dal DG. Se fosse vera la tesi che si parlava di finanziamenti erogati per acquistare azioni allora almeno uno dei presenti avrebbe dovuto riprendere il DG e dire "cosa stai dicendo, non è possibile fare quello che proponi". Ebbene, in primo luogo è viceversa dimostrato in base a plurimi elementi come ì presenti a quel selezionato consesso di alti dirigenti sapessero in realtà da lungo tempo che in B. venivano effettuate operazioni correlate (cfr., esemplificativamente, oltre alle propalazioni rese dall'imputato GI., sullo specifico punto, già in primo grado, i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 siccome emergenti dagli appunti presi nell'occasione dal teste Ma.So. - pagg. 47 e ss. del verbale stenotipia) 29.10.2019 - nonché, più in generale, la stessa deposizione del teste So. considerata nella sua interezza, che ampiamente si diffonde sullo specifico tema della piena contezza dell'esistenza ed entità del fenomeno dei finanziamenti correlati in capo ai vertici di B.: cfr, pagg. 56 e ss. del verbale stenotipico 29.10.2019 - ed ancora l'esame dibattimentale dell'imputato MA., che in tale sede ha a sua volta riconosciuto a più riprese - cfr. in particolare le pagg. 15-22 del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 - il notorio largo utilizzo pluriennale, fatto in B., dei finanziamenti correlati, pur, contestando egli recisamente ogni penale responsabilità sul presupposto del suo pieno convincimento circa la loro liceità e circa il loro avvenuto scomputo dal patrimonio di vigilanza). Non vi era dunque ragione alcuna, per i partecipanti al Comitato di Direzione del 10.11.2014, di stupirsi nel sentir nominare una prassi ormai consolidata da anni di massiccio utilizzo, della quale tutti i presenti erano a conoscenza. Inoltre - alle pagg. 66 e 67 della relativa trascrizione - rispettivamente "VM10" (pacificamente lo stesso PI., come questa Corte già ha acclarato nell'ordinanza istruttoria del 18 maggio 2022, pag. 37) e "VM8" (il GI.) così replicano al So. (che insisteva sulla necessità di "smontare" gli impieghi anzidetti, già stipulati per l'ammontare sopra indicato, recanti - per usare il lessico dello stesso So. - azioni ad essi "appiccicate", in modo tale da poter riuscire "a toglierci e a ridurre questi finanziamenti importanti con azioni sottostanti andiamo a liberare il cet one": VM10 (PI.): "Ci sono una serie di problemi che impediscono sta cosa qua", e prosegue elencando al So. tutte le questioni tecniche che escludono di poter ritenere fattibili le vie dì uscita ipotizzate dal So. stesso per ovviare all'indicata ingente entità di impieghi, poco redditizi, recanti "azioni appiccicate" ovvero "azioni sottostanti"; VM8 (GI.): "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore dell'azione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati". Ma davvero decisivo, in ordine alla entità complessiva del capitale finanziato nei termini anzidetti è uno specifico passaggio della conversazione intercettata n. 459 del 31.8.2015, nella quale è lo stesso So. a fare espresso riferimento a tale eclatante ammontare (cfr. pagg. 25-26 della perizia di trascrizione: "Cioè, lei ha capito, il miliardo ... miliardo rito deliberato io!...Io non ho deliberato una pratica di fido in vita mia, no?, se non le pratiche dei dipendenti, perché io non ho mai deliberato fidi in mia autonomia, tutto quello che era in mia autonomia andava sempre agli organi... agli organi... agli organi superiori..". Infine, relativamente alle conseguenze di detta quantificazione sul patrimonio di vigilanza, va parimenti condivisa l'integrale decurtazione operata dai medesimi consulenti. Sul punto, infatti, deve anzitutto precisarsi che nessuna fonte normativa legittima differenziazioni di sorta con riferimento al finanziamento degli acquisti di titoli effettuati in sede di aumento di capitale ovvero di negoziazione delle medesime azioni sul mercato secondario. Trattasi, peraltro, di una mancata distinzione che è assolutamente ovvia e discende, ancora una volta, dalla finalità di garanzia assegnata al patrimonio di vigilanza. A ben vedere, infatti, se ciò è di immediata percezione in relazione all'emissione di nuovi titoli, non è francamente dato comprendere per quale ragione si dovrebbe pervenire a differenti conclusioni nell'ipotesi dì successivo trasferimento delle azioni: anche in tal caso, infatti, il mancato scomputo dell'importo finanziato comporterebbe il sostanziale azzeramento dell'effetto di accrescimento del patrimonio dell'emittente conseguente al versamento del corrispettivo del titolo avvenuto all'atto di originaria collocazione dell'azione. Sul punto, pertanto, ogni ulteriore digressione sarebbe davvero ultronea. Altrettanto infondata, poi, è l'opinione - sostenuta dal consulente Gu. e fatta propria dalla difesa di ZO. (cfr. atto di appello, paragrafo 3.4 b), pagg. 161 e ss.) - secondo la quale detta decurtazione dovrebbe bensì avere luogo, oltre che nel caso di collocamento di azioni di nuovo conio, anche in quello di negoziazione del titolo (parimenti finanziata dall'emittente), ma, in tale ipotesi, limitatamente all'eventualità di acquisto dì titoli effettuato da parte di investitore privo di merito creditizio, poiché solo in siffatta evenienza il rischio dell'operazione verrebbe a gravare sull'ente, conseguentemente imponendo l'adozione dei citati presidi di garanzia. Ebbene, premesso che trattasi di argomentazione che ha originato anch'essa una ampia discussione nel corso del giudizio di primo grado91 e che è stata motivatamente disattesa dal tribunale (sicché non ci si può esimere dal rilevare, sul punto, come si sia in presenza della sostanziale mera riproposizione delle censure già mosse alla impostazione d'accusa), va in ogni caso ribadito che detta osservazione critica risulta destituita di fondamento. Innanzitutto, infatti, tale opinamento è privo di qualsivoglia aggancio normativo e, anzi, è palesemente contraddetto: - dal fatto che nessuna eccezione rispetto alla equiparazione tra l'acquisto di azioni proprie ed il finanziamento concesso per l'acquisto di azioni proprie ed al conseguente obbligo di decurtazione da patrimonio di vigilanza è stata mai prevista nell'ipotesi di concessione di finanziamenti correlati, men che meno sul rilievo del merito creditizio del soggetto finanziato (anzi, le circolari Banca d'Italia - coerentemente, del resto, con le linee guida emanate dal CEBS - Committee of European Banking Supervisors -; nel prevedere l'obbligo di decurtazione, operavano un espresso riferimento anche all'ipotesi di "riacquisto" del titolo, così evidentemente alludendo a titoli precedentemente emessi); - dalla successiva evoluzione normativa che, in coerenza con quanto stabilito dalle citate circolari, ha univocamente previsto la computabilità nel CETI solo di strumenti i cui corrispettivi fossero stati versati e l'acquisto dei quali non fosse stato finanziato, direttamente o indirettamente, dall'emittente; - dal principio del "fully paid in" che informa la normativa prudenziale, principio secondo il quale le azioni devono essere interamente liberate, sicché il capitale azionario deve essere "risk free", ovverosia non gravato da rischi di controparte. Inoltre - e trattasi di osservazione dirimente - è decisivo osservare che è proprio la già ripetutamente evocata finalità di garanzia (finalità "prudenziale" e da assicurarsi attraverso il rispetto di parametri oggettivi in ordine al rapporto tra patrimonio ed attività di rischio, secondo la disciplina introdotta, dall'anno 2007, a partire dagli accordi di "Basilea 2") sottesa all'istituto della decurtazione dei finanziamenti destinati all'acquisto dei titoli ad ostare a siffatte distinzioni, trattandosi di differenziazioni che finirebbero pericolosamente per rimettere all'emittente una valutazione (quella, per l'appunto, inerente al merito creditizio del cliente finanziato) determinante per la effettività dì tale garanzia, il tutto, peraltro, in stridente contrasto - come pertinentemente osservato dal P.G. (cfr. verbale udienza 18.5.2022, pag. 62 del verbale stenotipico) - con quanto già stabilito dalla circolare 263/06 di Banca d'Italia in ordine al fatto che l"'ammontare degli strumenti computabili nel patrimonio di vigilanza detenuti" deve essere di "pronta e univoca identificazione" e con la conseguente necessità - peraltro di immediata percezione - che, in caso di difficoltà, l'istituto dì credito si troverebbe nella condizione, tutt'altro che tranquillante, di fronteggiare eventuali perdite facendo ricorso a risorse non già immediatamente disponibili, bensì da recuperare attraverso ad un complesso procedimento di rimborso dei finanziamenti concessi (ovvero di escussione delle relative, eventuali garanzie). Conclusivamente, il merito creditizio del soggetto finanziato (ovvero l'esistenza di beni a garanzia del finanziamento) non assume rilievo di sorta ai fini della determinazione del trattamento prudenziale, sicché le censure variamente articolate, al riguardo, negli atti di impugnazione, sono destituite di fondamento. 13 La chiamata in correità di Gi.Em.. Nel corso del giudizio di appello l'imputato GI., come s'è detto, ha depositato una memoria contenente dichiarazioni confessorie ed anche esplicitamente eteroaccusatorie; quindi, sì è sottoposto nuovamente all'esame, rendendo una ampia e completa confessione e chiamando i coimputati alle rispettive responsabilità. Ebbene, la circostanza che tali dichiarazioni abbiano avuto ad oggetto non solo la materialità dei fatti ed il ruolo svolto, con riferimento a detti accadimenti, dal propalante, ma anche il coinvolgimento dei correi nell'intera vicenda delittuosa consiglia di affrontare in questa sede (e, quindi, prima della trattazione dei singoli appelli), sia pure nelle sue linee generali, per evidenti ragioni di economia espositiva, i temi inerenti, per un verso, alla credibilità soggettiva del dichiarante e, per altro verso, all'attendibilità del relativo contributo dichiarativo, trattandosi, per l'appunto, di questioni che si riverberano direttamente sulle posizioni di tutti gli altri imputati. Sarà poi all'atto della trattazione delle singole impugnazioni che si darà conto della specifica incidenza di tali propalazioni su dette, singole posizioni processuali. Ebbene, va in primo luogo evidenziato che il GI. - il quale, come s'è visto, già nel corso del giudizio di primo grado aveva reso dichiarazioni parzialmente ammissive, segnatamente là dove aveva sostenuto la diffusa consapevolezza, all'interno non solo della cerchia ristretta del management ma pressoché dell'intera struttura aziendale, del sistematico ricorso alle operazioni di finanziamento correlato al fine del reperimento del capitale necessario, da un lato, per assicurare la liquidità del titolo B. e, dall'altro, per continuare a perseguire l'ambiziosa politica di rafforzamento ed "espansione" dell'istituto tenacemente propugnata dal presidente ZO. - nell'ambito del citato memoriale e, quindi, nella successiva escussione nel dibattimento d'appello, ha fornito un contributo certamente significativo per la analitica comprensione degli accadimenti. A tale riguardo, infatti, deve premettersi che le dichiarazioni dell'imputato non hanno rivestito, in concreto, carattere dirimente nella decisione di questa Corte con riferimento alla comprensione del fenomeno delittuoso nelle sue linee generali: sul punto, in effetti, il compendio probatorio era già di tali vastità e concludenza da rendere sostanzialmente superflui ulteriori elementi, se non ai fini di una più puntuale intelligenza (non decisiva, peraltro) dei meccanismi operativi concretamente attuati dai vertici dell'istituto per fronteggiare la situazione di illiquidità dei titoli azionari e per occultarne gli esiti alle autorità di vigilanza. A ben vedere, l'esistenza di una attività tanto di marcata manipolazione relativa al prezzo delle azioni B. (con conseguenti ricadute sull'affidamento riposto sulla stabilità patrimoniale dì detto istituto di credito), quanto di occultamento di tale operatività delittuosa nei confronti di Banca d'Italia/Bc. e Consob risultava evidente alla stregua degli elementi documentali e testimoniali, nonché degli esiti di consulenza, già disponibili. Così come, tanto sotto il profilo logico, quanto alla stregua delle dichiarazioni rese da taluni testimoni, emergeva in termini di immediatezza la riconducibilità di dette scelte operative alla cerchia di amministratori apicali dell'istituto di credito, non essendo, del resto, razionalmente sostenibile, alla stregua della logica più elementare (secondo quanto, più oltre, meglio precisato), che un disegno criminoso così pervasivo, sistematico e risalente potesse essere stato realizzato solo dal massimo responsabile dell'amministrazione dalla banca - ovverosia dal d.g. So. - all'insaputa tanto del presidente ZO. quanto della cerchia dei suoi più stretti collaboratori, come se si fosse trattato di un autonomo "colpo di mano" da parte di un direttore generale infedele. Piuttosto, le propalazioni del GI. sono state tutt'altro che prive di utilità nel fornire delucidazioni circa il ruolo rivestito nei fatti da taluni imputati (con riferimento alla posizione del PE. e dello ZO. si vedrà che hanno finanche assunto notevole rilievo), segnatamente concorrendo a delineare l'indispensabile regolamento dei confini, nell'ambito dell'organigramma della banca, tra i soggetti che rivestivano posizioni apicali e che avevano la piena consapevolezza di tutte le implicazioni del ricorso al fenomeno del capitale finanziato ed erano anche direttamente impegnati nelle conseguenti attività di manipolazione e di occultamento, da un lato; e, dall'altro, le strutture incaricate di mansioni più marcatamente esecutive, ai componenti delle quali sfuggiva quella visione d'insieme del fenomeno in esame che avrebbe loro consentito di apprezzarne la natura delittuosa. Ciò posto, osserva questa Corte come, nella valutazione di una chiamata di correo, la giurisprudenza di legittimità consolidatasi da anni (a partire dalla fondamentale Cass. Sez. Un, 1653 del 21.10.1992, Ma.o e altri, passando, tra le varie, per Cass. Sez. V, n. 31442 del 28.6.2006, Sa. e altro, Cass. Sez. VI, n. 16939 del 20.12.2011, De. e altro, Cass. Sez. II, n. 21171 del 7.5.2013, Lo. e fino, ex multis, a Cass. Sez. IV, n. 34413 del 18.6.2019, Kh.) fornisca sicure coordinate di riferimento, insegnando come alla valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante (da verificarsi alla stregua della personalità del predetto, delle sue condizioni socio-economiche e familiari e, più in generale, del profilo soggettivo di costui, dei rapporti intercorsi tra lo stesso propalante ed i chiamati in correità, nonché delle ragioni all'origine della determinazione alla confessione)/ debbano accompagnarsi il vaglio della consistenza intrinseca delle dichiarazioni d'accusa (da apprezzarsi alla luce, tra l'altro, della precisioni della costanza e della spontaneità del narrato) e la verifica della sussistenza di elementi di riscontro estrinseci ed "individualizzanti" - consistenti anche in valutazioni di carattere logico (cfr. al riguardo, Cass. Sez. II, n. 29648 del 17.6.2019, P.G. in proc. Pota) - rispetto a dette propalazioni, tali da consentire di corroborare la effettiva materialità dei fatti oggetto di dichiarazione e da collegarli univocamente alla posizione dei soggetti compromessi da dette accuse. E, come pure è stato autorevolmente precisato, la valutazione dei passaggi attinenti alla credibilità soggettiva ed alla attendibilità oggettiva della chiamata di correo non deve necessariamente transitare attraverso passaggi rigidamente separati, posto "che l'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non indica alcuna specifica e tassativa sequenza logico-temporale": in definitiva, "Il percorso critico che il giudice deve seguire non si correla (...) ... ad un modulo processuale predefinito, giacché il metodo di ricerca e di scansione dei singoli elementi fattuali su cui si radica un apprezzamento che non può che essere omnicomprensivo "la valutazione della prova deve essere strutturalmente unitaria/ anche se i relativi elementi dimostrativi possono essere frazionati quanto a risultati probatori "passa necessariamente attraverso un "sindacato" tanto dei dichiarante che del dichiarato: un singolo "frammento" di inattendibilità soggettiva non necessariamente incrina l'intera affidabilità oggettiva del narrato, così come, all'inverso, la riscontrata attendibilità soggettiva non esime dalla verifica globale del contenuto dichiarativo (così, Cass. Sez. II; n. 41500 del 24.9.2013, Ad. e altro; cfr., più di recente, la già citata Cass. Sez. IVB, n. 34413 del 18.6.2019, Kh.). Tanto premesso, va anzitutto precisato, con riferimento al profilo della credibilità del dichiarante, che sì è in presenza di fonte la cui attendibilità non può essere seriamente contestata. Non solo tutti ì criteri di carattere "soggettivo" ragionevolmente spendibili ai fini della relativa verifica (ed in precedenza solo esemplificativamente richiamati) depongono in tal senso (essendosi in presenza di imputato - ovviamente incensurato - che, all'interno dell'istituto di credito vicentino, rivestiva il ruolo, di assoluto rilievo, di vicedirettore generale, sicché definire il predetto come "socialmente inserito" sarebbe oltremodo riduttivo), ma anche la scelta collaborativa maturata da tale imputato è esente da profili di opacità. Se, infatti, in ordine al primo profilo, non sono davvero necessarie ulteriori considerazioni, quanto alla genesi della determinazione alla confessione osserva questa Corte come la circostanza (palesemente evincitele dal complessivo tenore delle relative dichiarazioni) che il GI. si sia determinato a dare piena consistenza alle iniziali dichiarazioni solo parzialmente ammissive (evidentemente conseguenti alla presa d'atto di una situazione probatoria a dir poco compromessa), assumendosi la piena, consapevole paternità delle condotte delittuose addebitategli, anche perché insofferente rispetto alla ritenuta "fuga" dei correi dalle rispettive responsabilità, non infici certo la credibilità del predetto. A ben vedere, infatti, quella di evitare di rimanere l'unico dirigente dell'istituto "con il cerino in mano" - per ricorrere all'efficace espressione adottata dal medesimo GI. nel corso dell'esame - è una motivazione umanamente comprensibile e, di per sé, non certo sintomatica di inattendibilità, specie ove palesata dallo stesso dichiarante, come, in effetti, avvenuto nella specie. Che, poi, detta "scelta collaborativa" possa essere stata dettata (e, anzi, sia stata ragionevolmente ispirata), oltre che da un sussulto di sensibilità e di maturità morale (secondo quanto il medesimo GI. ha pure inteso specificamente rappresentare in apertura dell'esame), anche dall'intenzione di fruire di un vantaggio personale, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, è circostanza che, pur imponendo un'estrema cautela nel vaglio delle dichiarazioni di accusa - a fortiori essendosi in presenza di chiamata di correo intervenuta dopo la sentenza di primo grado, ovverosia in un contesto nel quale il propalante ha potuto fruire della piena conoscenza degli esiti della istruttoria dibattimentale (cfr, sul punto, Cass. Sez. I, n. 43856, 1.10.2013, Mezzero) - non vale certo, nella concretezza della presente vicenda processuale, a pregiudicare la affidabilità della fonte, la quale, peraltro, va ribadito, con le propalazioni da ultimo rese ha unicamente dato coerente seguito a quel comportamento parzialmente ammissivo già adottato nel precedente grado di giudizio. Nulla, infatti, induce a ritenere, in termini di minimo fondamento, che il GI. - le dichiarazioni del quale, peraltro, sono state costantemente accompagnate da un contegno processuale e da modalità espressive connotati da pacatezza, continenza ed assenza di qualsivoglia ostilità nei confronti dei coimputati o di terzi rimasti immuni dal processo, elementi, questi, essi stessi sintomatici di genuina rivisitazione critica del precedente operato - sia stato mosso dall'intenzione di "barattare" un eventuale, ipotetico vantaggio con l'offerta di un contributo alla comprensione dei fatti implicante anche la formulazione di accuse a carico di persone estranee agli accadimenti riferiti, sconsideratamente "trascinando" soggetti ritenuti innocenti nel gorgo delle responsabilità. E, a tale riguardo, va in questa sede anticipato, con riferimento alla posizione del coimputato ZI., quanto più oltre meglio si preciserà nel trattare la relativa posizione processuale: in relazione a costui, infatti, il GI. ha bensì reso dichiarazioni accusatorie che non si sono poi tradotte nella riforma della sentenza di assoluzione. Nondimeno, ciò è avvenuto non perché quest'ultimo non sia stato ritenuto attendibile dalla Corte; piuttosto, perché lo stesso tenore delle dichiarazioni accusatorie non ha consentito, alla stregua delle complessive evidenze disponibili, di ritenere che il predetto imputato, pur consapevole - come riferito dal chiamante in correità - dello stato di crisi del mercato secondario del titolo B. e di una certa diffusione del ricorso alle operazioni "baciate", avesse piena coscienza della natura sistemica e della conseguente entità di tale fenomeno e, soprattutto, dell'illecito "trattamento" contabile riservato a tale prassi, anche con riferimento alle comunicazioni alla vigilanza, profili, questi, sui quali il predetto GI., in effetti, non ha affatto speso considerazioni concrete. In definitiva, quindi, non vi sono ragioni di dubitare della attendibilità soggettiva del medesimo GI., attendibilità che, al contrario, è apparsa a questa Corte piena e tangibile. Quanto, poi, al profilo della intrinseca consistenza della narrazione auto ed etero accusatoria, si è in presenza di una ricostruzione puntuale dei fatti sub iudice, tanto con riferimento alle vicende delle quali l'imputato è stato diretto protagonista, quanto a quelle, di contorno, dal medesimo apprese in ragione della posizione apicale rivestita all'interno dell'istituto di credito. Il propalante, infatti, ha reso una puntuale descrizione della genesi e dello sviluppo dell'attività manipolativa invalsa presso B. e della conseguente determinazione al relativo occultamento nelle interlocuzioni con le autorità di vigilanza, non solo spiegandone puntualmente le ragioni (peraltro già evidenti) e precisando contorni ed entità del proprio ed altrui coinvolgimento in tali operatività delittuose, ma anche offrendo adeguate delucidazioni in ordine alla diffusa conoscenza, all'interno dell'istituto di credito, del tema del capitale finanziato e, presso le strutture apicali, delle condizioni di grave difficoltà in cui versava il mercato secondario. Inoltre - e proprio in questo consiste il significativo rilievo del contributo conoscitivo offerto da detta fonte - il GI., da un lato, ha chiarito la natura dei rapporti effettivi che intercorrevano, con riferimento al fenomeno in esame, tra i vertici delle articolazioni operative di B., con particolare riguardo al coinvolgimento, rimasto effettivamente in ombra all'esito dell'istruttoria svoltasi in primo grado, della struttura chiamata a curare la predisposizione dei bilanci, degli adempimenti contabili e delle segnalazioni J alle autorità di vigilanza e, quindi, del suo vertice operativo (PE.); e, dall'altro, non solo ha contribuito a delineare quali fossero le concrete modalità di esercizio della presidenza da parte dello ZO., evidenziandone il costante sconfinamento nell'attività di concreta gestione dell'istituto, ma ha specificamente fornito ulteriori elementi di prova, tali da saldarsi coerentemente con le pregresse acquisizioni dibattimentali, in ordine alla effettiva conoscenza, da parte di tale imputato, del fenomeno del capitale finanziato. Peraltro, la narrazione dei fatti offerta dal medesimo GI. è stata sistematicamente accompagnata dall'illustrazione di coerenti elementi documentali, talvolta di più limitata significazione, talaltra di ben più consistente portata probatoria, elementi l'importanza di taluni dei quali, in effetti, era "sfuggita" nel corso della precedente istruttoria (trattandosi, il più delle volte, di documenti di ostica lettura ove non interpretati da soggetto intraneo alla struttura di vertice della banca e, quindi, in grado di trarne tutte le informazioni "implicite"), sicché, anche sotto tale profilo, deve concludersi nel senso della piena intrinseca persuasività delle relative dichiarazioni. Infine - e fermo il rinvio, sul punto, ancora una volta, a quanto sarà evidenziato più oltre con riferimento a ciascuna posizione processuale - le dichiarazioni d'accusa risultano corroborate, ab extrinseco, da una sequela di convergenti elementi di prova, relativi ad ogni fatto-reato oggetto d'addebito e tali da collegare specificamente gli eventi delittuosi narrati a ciascun imputato. Trattasi - va sottolineato - non di semplici "riscontri" ad una chiamata in correità, bensì di quella congerie di seri e concludenti elementi che, secondo la persuasiva lettura offertane dal primo giudice, già erano stati ritenuti idonei a fondare autonomamente le affermazioni di responsabilità (ovvero, con riferimento all'imputato PE., ad integrare un compendio probatorio di non trascurabile rilievo, ancorché dal tribunale ritenuto insufficiente), sicché, con riferimento a tale indispensabile requisito della chiamata in correità, ogni ulteriore digressione sarebbe davvero superflua. 14 Gli atti di appello. Premessa sui criteri di valutazione della prova. Premessa indispensabile alla analisi degli atti di appello è una valutazione generale dei criteri che hanno orientato questa Corte nella valutazione della prova. Sul punto, va precisato che la vicenda sub iudice si è caratterizzata non solo - come s'è già detto - per la vastità delle evidenze disponibili, ma anche per la laboriosità connaturata allo scrutinio necessario per la esatta comprensione delle dinamiche inerenti al fenomeno del "capitale finanziato" e, ancor più, per la individuazione delle singole responsabilità. In effetti, fin dall'avvio delle investigazioni gli inquirenti si sono mossi in un contesto assai ostico in ragione, per un verso, della complessità del fenomeno che andavano analizzando e, per altro verso, della struttura articolata della banca vicentina e della costante interdipendenza delle principali articolazioni operative di tale istituto (segnatamente: i "mercati", i "crediti"; la "finanza"; il "bilancio"; ma anche la "segreteria generale"; e, infine, i servizi ai quali era demandato il "controllo interno", in primis, l'"audit"). A complicare le indagini, poi, si sono aggiunte, da un lato, le difficoltà di reperimento di prove documentali conseguenti alle disposizioni tassative, progressivamente svelate dagli investigatori, che erano state impartite dai vertici aziendali al personale della banca, al quale era stato perentoriamente ordinato di non lasciare traccia scritta dei finanziamenti correlati; e, dall'altro lato, le condotte, se non sempre ostruzionistiche, generalmente tutt'altro che collaborative adottate da molti potenziali testimoni intranei all'istituto i quali, implicati, di fatto, in ragione degli incarichi ricoperti nell'organigramma della banca, nel fenomeno del capitale finanziato, nutrivano il palpabile timore di essere in qualche misura coinvolti - quantomeno sotto il profilo di eventuali responsabilità amministrative (come, peraltro, puntualmente accaduto per i membri del CdA e del Collegio Sindacale) - nelle indagini ed avevano, pertanto, tutto l'interesse a stornare dalle loro persone (e, nel caso dei consiglieri e dei sindaci, dall'intero organismo del quale erano membri) ogni sospetto. Peraltro, tale interesse, in taluni casi, si è spinto fino al plateale tentativo di inquinare il quadro delle evidenze che avrebbero più celermente potuto° orientare le indagini (il più immediato riferimento è alla soppressione/alterazione, operata su disposizione di Am., di taluni documenti compromettenti; ma, nel prosieguo degli accertamenti, come meglio si dirà più oltre, si è avuta contezza, attraverso le attività di intercettazione telefonica, dei tentativi posti in essere da non meglio individuati appartenenti al CdA, a tutto beneficio del presidente ZO., di ottenere da Ma.Pa. la modifica di quanto riferito al collega Bo., in sede di "intervista audit", circa il fatto che So. aveva sempre affermato la conoscenza, da parte del Presidente - pudicamente definito "chi di dovere" - del capitale finanziato; infine, le dichiarazioni dal Gi. rese in sede di appello, peraltro confortate dalle comunicazioni SMS/WhatsApp intercorse con Ba.St., hanno fatto luce anche sul tentativo, parimenti rimasto inattuato, di "bonifica" delle mail del medesimo ZO.). Tutto ciò ha avuto luogo in un contesto-contesto - giova ripeterlo - non solo caratterizzato da controlli volutamente strutturati in modo inefficiente, ma nel quale si era già avvezzi alla dissimulazione ed all'occultamento di evidenze documentali che avrebbero potuto rendere percepibile all'esterno (segnatamente, agli enti di vigilanza), il sistematico ricorso alle "operazioni baciate". Emblematico di tale contesto, invero, è il comportamento assunto dal già citato Bo. allorché costui, su ordine del d,g. So., non aveva esitato a omettere di dare seguito alla relazione - peraltro materialmente "occultata" dallo stesso So. - nella quale, pure, aveva evidenziato la "scoperta" di capitale finanziato per circa 200 milioni di Euro. Fin dall'avvio delle indagini, quindi, è stato determinante il rilievo delle prove documentali non sfuggite agli investigatori (in particolare: appunti sequestrati; talune comunicazioni via mail; le "lettere di impegno" recuperate nelle varie filiali territoriali; le registrazioni audio dì alcune sedute di organismi collettivi). E, questo, non solo per quanto in esse direttamente attestato (ovvero da esse indirettamente ricavabile), ma anche per la loro intrinseca attitudine a scongiurare, da parte dei potenziali testimoni assunti a s.i.t., dichiarazioni marcatamente in contrasto con evidenze, per l'appunto, documentalmente provate. Ebbene, le difficoltà insite in tale "contesto di ricerca" si sono poi inevitabilmente tradotte, in sede dibattimentale, in un altrettanto faticoso' percorso di ricostruzione dei fatti, percorso reso particolarmente arduo, come si diceva, dall'atteggiamento di numerosi testimoni, le dichiarazioni dei quali sono spesso risultate generiche, scandite da ricordi approssimativi, se non anche palpabilmente orientate a fare emergere una generica inefficienza delle strutture a scapito della esatta ricostruzione del fenomeno e, soprattutto, delle singole responsabilità. In particolare, non ci si può esimere dal sottolineare come i membri del CdA e del Collegio Sindacale siano risultati pressoché tutti davvero scarsamente attendibili nell'escludere che a tali consessi (o, quantomeno, ai componenti più tecnicamente attrezzati dei predetti organi collegiali, finanche nel caso avessero loro stessi beneficiato di finanziamenti correlati) fossero giunte anche solo indirette notizie del fenomeno in esame e persino "indici di allarme" che avrebbero consigliato, se non imposto, l'espletamento di approfondimenti. Assolutamente emblematica, sul punto, è stata la deposizione del teste Za., esperto dottore commercialista già presidente del Collegio Sindacale e, in questa, veste, anche a capo dell'OdV, il quale, escusso nuovamente nel corso del giudizio di appello, non è stato neppure in grado di ricordare in cosa consistesse tale organismo di vigilanza. Ma altrettanto imbarazzante è stata la deposizione resa, sempre nel dibattimento di appello, dal teste prof. Br.: costui, per lunghissimi anni vicepresidente della banca, ha negato finanche di avere percepito "sintomo" alcuno di quanto, da tempo, andava accadendo nella gestione dell'istituto e, a fronte delle dichiarazioni dell'imputato GI. - il quale lo aveva indicato come presente al colloquio tra il medesimo propalante e lo ZO., colloquio nel corso del quale quest'ultimo aveva ammesso di essere a conoscenza delle "baciate parziali" - nel confermare la propria presenza in occasione di tale incontro ha nondimeno affermato di non serbare memoria di quanto specificamente riferito, sul punto, dal chiamante in correità e, questo, del tutto incredibilmente, solo a considerare, per un verso, la assoluta centralità dì tale "passaggio" e, per altro verso, la funzione di testimone che allo stesso Br., nello specifico, era stata evidentemente assegnata nell'interesse del presidente. Parimenti inaffidabili, poi, sono risultati, come meglio si dirà nell'analizzare la posizione dell'imputato PE., plurimi passaggi delle deposizioni reset dai più stretti collaboratori di tale imputato (trattasi dei testimoni Fa., Tr., Mo.). In linea di massima (e fatte salve le specificazioni che saranno più oltre effettuate) può in questa sede anticiparsi che le deposizioni più attendibili tra i contributi forniti dai soggetti, a diverso titolo, facenti capo a B., sono risultate quelle dei funzionari dell'istituto più "distanti" dai vertici aziendali, in quanto estranei alle dinamiche decisionali del fenomeno del capitale finanziato. Per il resto, il vaglio del materiale testimoniale proveniente "dall'interno" dell'istituto bancario ha imposto un approccio assai prudente, rendendo necessaria una analisi particolarmente accorta dei singoli contributi testimoniali. E, sul punto, va ribadito che la corretta chiave di lettura di tale compendio dichiarativo è stata quella già indicata (sia pure con specifico riferimento alle dichiarazioni dei principali soci finanziati) dal primo giudice (cfr, sentenza impugnata, pag. 634): nell'ambito delle rispettive deposizioni, i più o meno scarni passaggi in ordine all'esistenza del fenomeno del capitale finanziato ed alla attribuzione delle singole responsabilità sono risultati assai più persuasivi di quelli (sovente assai più consistenti dal punto di vista quantitativo) caratterizzati da generici ed autoassolutori richiami alle inadeguatezze strutturali del sistema dei controlli, ovvero da definizioni volutamente vaghe (è il caso dei riferimenti al capitale finanziato che taluni testi, non potendoli negare, hanno qualificato come "allusivi", "indiretti", "obliqui", quasi che il ricorso a simili espressioni edulcorate potesse realmente valere a rendere il significato e le implicazioni di detti riferimenti davvero inafferrabili per soggetti professionalmente assai attrezzati come erano i componenti del management di B. ed i loro più stretti collaboratori). Nondimeno, ad onta della descritta complessità del "contesto di ricerca", è stato possibile, all'esito di una assai laboriosa attività istruttoria, peraltro parzialmente rinnovata in appello, non solo ricostruire in modo appagante il fenomeno del capitale finanziato che ha finito per travolgere l'istituto di credito vicentino, ma anche delineare compiutamente le rispettive responsabilità con riferimento a tali accadimenti, come di seguito precisato in sede di valutazione dei singoli atti di impugnazione. Da ultimo, una precisazione si impone con riferimento al rilievo che, come si vedrà, hanno necessariamente assunto, nel vaglio dei compendio probatorio disponibile, le considerazioni di natura logica. Ebbene, trattasi di strumenti concettuali che non solo rivestono rilievo centrale nella spiegazione delle condotte umane e che, pertanto, non possono certo essere abbandonati se - come si è efficacemente osservato - non si voglia condannare il giudice (cui è imposta l'indicazione dei criteri adottati nella valutazione della prova, ex art, 192 c.p.p.), sul punto, all'afasia"; ma che, nella vicenda sub iudice, inerente alla modalità adottate dall'alta direzione di una impresa bancaria per fronteggiare una problematica di vitale importanza, assumono un rilievo particolarmente significativo. In altre parole, se è vero che in ogni valutazione logica del comportamento umano è ontologicamente intrinseco un margine di incertezza (non potendosi ovviamente confondere - come pure è stato precisato "l'id quod plerumque accidit" con "l'id quod semper necesse") è altrettanto vero che, in casi quali quello in esame - aventi ad oggetto l'operato di un ente "razionale" per definizione (nell'ambito del quale, quindi, tutte le decisioni erano necessariamente precedute da accurata analisi e costituivano l'esito di procedure predeterminate o, comunque, dell'agire coordinato di una pluralità di soggetti professionalmente assai attrezzati), tale margine è destinato ad assottigliarsi fin quasi a divenire davvero evanescente. 14.1 Gli appelli degli imputati 14.1.1 L'appello nell'interesse di Gi.Em. Con riguardo alla posizione dell'imputato Gi.Em. (resosi autore, nel presente grado di giudizio, di propalazioni auto ed etero accusatorie che già sono state oggetto - v. supra, par. 13 della presente sentenza - di accurato vaglio sotto il duplice profilo della credibilità soggettiva del dichiarante nonché dell'attendibilità e coerenza intrinseche del suo contributo dichiarativo) va innanzitutto dato atto della intervenuta rinuncia, da parte della difesa, a un rilevante numero di motivi di gravame. All'udienza del 23 settembre 2022 la difesa del GI. ha infatti depositato una nota avente il seguente tenore: "I sottoscritti avvocati, difensori di fiducia di Em.Gi., unitamente a quest'ultimo (...), dichiarano, a norma dell'art. 589 c.p.p., di rinunciare ai seguenti motivi così numerati nell'atto di appello: I, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIV, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX". Quanto poi all'ulteriore capitolo XX dell'atto di appello - non ricompreso, nella citata nota scritta d'udienza, fra quelli oggetto di espressa rinuncia - la difesa, in sede di discussione, ha comunque manifestato, nei seguenti termini, l'intenzione di renderlo oggetto di quella che ha definito "rinuncia implicita", di fatto non coltivando più, cioè, la relativa eccezione di nullità dell'impugnata sentenza (a suo tempo sollevata ex art. 604 comma 3 c.p.p, per ritenuta violazione dell'art. 522 c.p.p.) e limitandosi, in ultima analisi, a chiedere che le considerazioni ivi svolte vengano prese in esame unicamente, ex art. 133 c.p., al fine della determinazione del trattamento sanzionatorio. Conseguentemente l'appello risulta essere stato effettivamente coltivato dalla difesa del GI. nei seguenti, ormai circoscritti, termini: - capitolo II (pagg. 24-27 atto di appello): "Violazione degli arti. 185 c.p. e 74 c.p.p. da parte della ordinanza ex art. 491 c.p.p. del 21.3.2019 e di tutte le parti della sentenza che la richiamano"; - capitolo III (pagg. 28-36 atto di appello): "L'erronea ricostruzione della posizione di Gi. in banca"; trattasi peraltro di censure che, al pari di quanto or ora visto per il capitolo XX, attengono in via esclusiva al vaglio della personalità, del grado di protagonismo e dell'intensità dell'elemento soggettivo in capo al reo confesso GI., come tali rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 133 c.p. e dunque confluenti nell'oggetto del capitolo XXII, interamente dedicato al trattamento sanzionatorio; - capitolo XIII (pagg. 80-83 atto di appello): "L'illegittima "moltiplicazione operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo A.l. La violazione del divieto di ne bis in idem sostanziale"; trattasi peraltro dì temi già ampiamente ed esaustiva mente trattati nella parte generale della presente sentenza e precisamente nei suoi paragrafi 8 e 11, ai quali senz'altro si rinvia. - capitolo XXI (pagg. 134-137 atto di appello); "Nullità della sentenza impugnata ex art. 604 c. 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 c. 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato Gi., in relazione ai capi I) e L), per un fatto "nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio""; - capitolo XXII (pagg. 137-144 atto di appello): "In via subordinata sul trattamento sanzionatorio: corretta individuazione del reato più grave; rideterminazione ai minimi di legge della pena base; rideterminazione ai minimi di legge degli applicati aumenti per continuazione interna; concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle residue contestate aggravanti"; - capitolo XXIII (pagg. 144-148 atto di appello): "Quanto agli aspetti civili: richiesta di revoca di tutte le statuizioni civili. In ogni caso e in subordine: sospensione della condanna al pagamento della provvisionale per "gravi motivi" ex art. 600 comma 3 c.p.p.". Ciò premesso, quanto ancora residua dell'appello proposto dalla difesa di Gi.Em. è parzialmente fondato, e ciò con riguardo: - alle considerazioni già svolte nella soprastante parte generale - par. 8 - quanto al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa; - al trattamento sanzionatorio, risultando condivisibili - in applicazione di tutti i canoni di cui all'art. 133 c.p., nessuno escluso - le istanze difensive con le quali sì chiede: a) che il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p. sia condotto nel senso della prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti; b) che venga adeguatamente ridotta l'entità degli aumenti di pena praticati ex art. 81 cpv. c.p. a titolo di continuazione. Inoltre va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra sì è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. per i reati di falso in prospetto cui ai capi I e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già si è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Di seguito si procederà alla trattazione dei motivi di gravame ancora coltivati dalla difesa. 14.1.1.1. L'eccepita violazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. del 21 marzo 2019 e ad opera di tutte le parti della sentenza che la richiamano (capitolo II dell'atto di appello, pagg. 24-27). L'appellante ha dedotto la violazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p., pronunciata dal tribunale vicentino in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e ad opera di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1.6 e 1.7; se ne riepilogano qui brevemente i termini: - quanto al paragrafo 1.5 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare, secondo la difesa, di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, sempre a detta della difesa, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); - quanto al paragrafo 1.6 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle operazioni di finanziamento correlato: tali soggetti debbono infatti definirsi, secondo la difesa, carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli - a differenza di quanto affermato dal tribunale - di partecipare a un'operazione che viene indicata come illecita nella stessa prospettazione d'accusa: al riguardo l'appellante ricorda come proprio nella costruzione generale dell'impianto accusatorio venga data l'indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; - quanto al paragrafo 1.7 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata, secondo la difesa, l'interruzione - a seguito della vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Osserva l'appellante come lo stesso tribunale vicentino faccia riferimento, nell'incipit dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione; consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorrerebbe. Conseguentemente la difesa del GI. nuovamente richiede, nella presente sede, l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. Ritiene questa Corte che tali censure difensive non meritino accoglimento. Quanto agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti oggetto del presente procedimento (paragrafo 1.5. dell'impugnata ordinanza 21.3.2019), si ravvisano anzitutto profili di inammissibilità del motivo di gravame stante la sua assoluta genericità: da un lato non vengono in alcun modo individuate, ivi, le parti civili delle quali si chiede l'esclusione per tale ragione; dall'altro lato è parimenti del tutto generica l'affermazione secondo j cui "alcuni" - anch'essi non meglio identificati - fra costoro avrebbero' "piuttosto messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti" (cfr. pag. 25 atto di appello). Nel merito basti osservare, in ogni caso, che è del tutto indimostrata in fatto la conoscenza in capo a ciascuna delle predette non meglio identificate parti civili, al momento di acquistare i titoli, tanto dell'esistenza stessa quanto, a fortiori, dell'entità e portata complessive del fenomeno del finanziamento correlato, come pure la conoscenza di quali potessero essere le sue conseguenze sulla sorte dei titoli B. e più in generale sulla solidità dell'istituto di credito emittente. Al riguardo coglie nel segno il primo giudice allorquando evidenzia (cfr. pagg. 826-827 sentenza gravata) che "resta uno scollamento tra la cessazione delle condotte delittuose e il disvelamento, il che ha determinato il protrarsi degli effetti di una errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto con indubbio svantaggio informativo (indotto dalle condotte delittuose) per l'investitore". Quanto poi a coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle operazioni di finanziamento correlato (paragrafo 1.6. dell'impugnata ordinanza 21.3.2019), non è fondato l'assunto difensivo di partenza, secondo cui almeno costoro, fra gli acquirenti dei titoli, sarebbero stati pienamente consapevoli di partecipare a un'operazione illecita. Ciò che ha reso penalmente rilevanti le operazioni in oggetto è stato il mancato scomputo dal patrimonio di vigilanza dei titoli che grazie ad esse venivano acquistati dai soggetti finanziati; questi ultimi, al momento dell'acquisto, non potevano sapere che la banca avrebbe tenuto tale contegno omissivo né potevano sapere che essa non avrebbe rispettato le procedure autorizzative di legge concernenti l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie. In ogni caso non è stata fornita la dimostrazione di una siffatta conoscenza in capo a costoro. Si osserva anzi (e il tema verrà più ampiamente trattato infra con riguardo, in particolare, alla posizione dell'imputato MA.) che all'epoca era finanche assai controverso - in dottrina e finanche nella giurisprudenza di legittimità - lo stesso assoggettamento, o meno, delle banche cooperative e popolari al disposto dell'art. 2358 c.c., il quale detta per l'appunto le condizioni affinché una società possa, direttamente o indirettamente, accordare prestiti o fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni. La difesa del GI. obietta che quantomeno gli azionisti destinatari di lettere d'impegno non potevano non essere consapevoli dell'illiceità delle operazioni in questione. In contrario può osservarsi, in aggiunta a quanto fin qui detto: a) che le lettere di impegno emerse nel corso dell'attività ispettiva sono in numero appena superiore alla sessantina; b) che semmai i loro destinatari erano stati ulteriormente indotti - per tale via - al convincimento, dimostratosi in ultima analisi fallace, di detenere titoli non solo liquidi ma anche e soprattutto immediatamente liquidabili in ogni tempo senza assunzione di rischi di sorta. Un'efficace confutazione della suddetta tesi difensiva si rinviene d'altronde - esemplificativamente e in aggiunta alle altre deposizioni, dì tenore analogo sul punto, già citate nella nota 733 di pag. 827 della sentenza gravata - pure nella deposizione del teste Va.Ma., vertice del gruppo "So." (pag. 9 verbale stenotipia" 12.12.2019). A tale ultimo proposito, pertanto, può dirsi che colga senz'altro nel segno l'argomentazione del primo giudice - cfr. pag. 827 sentenza gravata - secondo cui "conseguenze dannose restano comunque certamente configuratoli a fronte della esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi e all'addebito dei costi del finanziamento". Quanto infine a coloro che hanno messo in vendita le loro azioni (paragrafo 1.7. dell'impugnata ordinanza 21-3,2019), si ravvisano anzitutto profili di inammissibilità del motivo dì gravame stante la sua assoluta genericità, non venendo in alcun modo individuate, ivi, le parti civili delle quali si chiede l'esclusione per tale ragione. Nel merito basti osservare, in ogni caso, che per costoro il danno aveva già iniziato a prodursi anteriormente alla successiva messa in vendita dei titoli. Non è fondato l'assunto difensivo di partenza secondo cui, con la vendita dei titoli stessi, si sarebbe interrotto ex se il nesso causale, con l'inevitabile venir meno di quella consequenzialità immediata tra reato e danno che è richiesta dagli artt. 1223 e 1227 c.c.. A tal proposito non vi è, qui, ragione di discostarsi dal costante e consolidato insegnamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale, con riguardo all'illecito civile, si ha interruzione del nesso di causalità soltanto nell'ipotesi - con ogni evidenza non ricorrente nella presente fattispecie - in cui la causa sopravvenuta (che può identificarsi anche con la condotta dello stesso danneggiato) sia da sola sufficiente a provocare l'evento, in quanto autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, sì da assorbire sul piano giuridico ogni diverso antecedente causale e ridurlo al ruolo di semplice occasione. In tal senso cfr., da ultimo, Cass. Civ. Sez. 3, ordinanza n. 21563 del 07/07/2022 resa su ricorso proposto da Du.Em. e Mi.Ol. c. Ente Parco Regionale del fiume Si. In senso del tutto analogo cfr., ex multis, Cass. Civ. Sez. 3, sentenza n. 19180 del 19/07/2018 resa su ricorso proposto da Ga.En. c. No. S.a.s. e altri, secondo cui si ha interruzione del rapporto di causalità tra fatto del danneggiante ed evento dannoso per effetto del comportamento sopravvenuto dì altro soggetto (che può identificarsi anche con lo stesso danneggiato), quando il fatto di costui si ponga, ai sensi dell'art. 41, comma 2, c.p., come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito, ma non quando, essendo ancora in atto ed in fase dì sviluppo il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell'agente, nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto ed eventualmente dello stesso danneggiato) che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell'illecito. In tal caso - si badi - lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall'adozione di misure difensive o reattive a quella situazione, sempre che rispetto ad essa siano coerenti ed adeguate. 14.1.1.2. L'eccezione di nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 c. 2 c.p.p. in relazione ai capi I e L (capitolo XXI dell'atto di appello, pagg. 134-137). Secondo la difesa il tribunale vicentino avrebbe condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto, dei quali va qui dichiarata in ogni caso l'estinzione per intervenuta prescrizione), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio, con conseguente eccepita violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p.. Nel decreto che dispone il giudizio, infatti, si contesta al GI. di avere preso direttamente parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti, laddove viceversa la sentenza gravata100, pur dando atto del mancato diretto coinvolgimento materiale del GI. (a differenza, secondo lo stesso primo giudice, di quanto poteva dirsi per gli imputati ZO. e PI.) nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ne avrebbe fondato - del tutto erroneamente - la penale responsabilità sulla mera asserita sua consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. Ritiene questa Corte che l'eccezione di nullità ex art, 522 c.p.p. sia infondata e che l'affermazione di penale responsabilità nei confronti del GI., correttamente fatta dal primo giudice in epoca anteriore alla frattanto intervenuta estinzione per prescrizione dei due reati, andasse, semplicemente, da esso argomentata nel merito con diversa motivazione, non riscontrandosi per converso alcuna difformità tra il tenore di ambedue i rubricati capi d'imputazione I e L Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture ...") e il fatto concretamente da ascriversi all'imputato GI. sulla base della svolta istruttoria. Basti al riguardo citare - ponendo mente all'inciso, sopra evidenziato, "anche per il tramite delle proprie strutture" - il contenuto, in parte qua, della deposizione resa il 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dipendente di B. dal 2007 al 2018 con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza. Il teste Ca. (cfr. in particolare le pagg. 76, 78 e 91-92 del relativo verbale stenotipico) ha infatti individuato quali, in concreto, tra le strutture facenti capo alla Divisione Mercati capeggiata dal GI., ebbero a prendere parte diretta, per quanto di loro competenza, al gruppo di lavoro che curò la predisposizione dei prospetti in questione. 14.1.1.3. Il trattamento sanzionatone (capitoli III, XX - in parte qua - e XXII dell'atto di appello). Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere per i reati di falso in prospetto di cui ai capi 1 e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già si è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Ciò posto, risultano, come sopra accennato, condivisibili - in applicazione di tutti i canoni dì cui all'art. 133 c.p., nessuno escluso - le istanze difensive con le quali si chiede: a) che il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p, sia condotto nel senso della prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti nonostante l'entità eclatante dei fatti e dei danni cagionati; b) che venga adeguatamente ridotta l'entità degli aumenti dì pena praticati ex art. 81 cpv. c.p. a titolo di continuazione. Non può, infatti, non differenziarsi, in relazione ad ambedue tali profili, la posizione del GI. rispetto a quella degli altri imputati (viceversa ritenendosi adeguato all'oggettiva gravità dei fatti e delle loro conseguenze, in sé considerata, il mantenimento della pena base per il più grave reato sub capo H1 nella stessa misura - tre anni - già individuata in prime cure), e ciò sotto plurimi aspetti: - anzitutto si richiamano tutte le articolate considerazioni già svolte supra (nella parte generale della presente sentenza, par. 13) in relazione alle propalazioni auto ed etero accusatorie del GI., con riguardo tanto alla credibilità soggettiva del dichiarante quanto all'attendibilità e intrinseca consistenza del relativo contributo dichiarativo, quanto all'incidenza e pregnanza di tali propalazioni grazie alle quali il già solido quadro probatorio è andato ulteriormente rafforzandosi (con particolare - ma non esclusivo - riferimento alle posizioni dei due coimputati ZO. e PE.); - secondariamente si evidenzia come colga nel segno l'osservazione difensiva (svolta in relazione al capitolo XX dell'atto di appello, il quale è stato reso oggetto di rinuncia implicita tranne che per tale specifico e circoscritto aspetto) secondo cui può senz'altro valorizzarsi in senso favorevole al reo, ex art. 133 c.p., il fatto che lo stesso primo giudice, in relazione al capo N1, abbia riconosciuto - cfr. pag. 546 della gravata sentenza - che "le missive indicate in imputazione sono firmate da Sa.So., direttore generale di B., dall'istruttoria dibattimentale è emersa la prova che l'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale è stata ideata ed organizzata dal direttore generale" (ossia, in altri termini, l'apporto concorsuale del GI. nella commissione del reato sub capo N1, ostacolo alla vigilanza Consob, vi è stato, sì, ma in veste di collaboratore ed esecutore materiale di direttive concepite e impartite dal d.g. Sa.So., non ponendosi quindi il GI. su un piano paritario con quest'ultimo (cfr. altresì pag. 547 della gravata sentenza: "Un fondamentale ruolo di supporto e collaborazione al direttore generale è stato svolto da Em.Gi., vicedirettore generale e responsabile della divisione mercati; le univoche risultanze probatorie sopra esposte dimostrano che egli ha puntualmente curato l'esecuzione e l'attuazione delle linee guida dettate dal suo diretto superiore Sa.So., nell'ambito della pianificazione commerciale dell'aumento di capitale"); - nella stessa ottica coglie nel segno anche l'ulteriore osservazione difensiva (svolta in relazione al capitolo III dell'atto di appello) secondo cui non risponde esattamente al vero l'assunto dell'Accusa - fatto proprio dal primo giudice - in base al quale il GI. avrebbe sempre operato, fino alla fine, in perfetta e paritaria sinergia con il direttore generale So. godendone la piena stima e condividendone integralmente ogni determinazione; in realtà emerge dalla svolta istruttoria come, da un lato, il GI. non godesse in effetti di una tale spiccata considerazione in seno a B. (viepiù vedendo egli progressivamente scemare col tempo la stima e la fiducia del d.g. So. nei suoi confronti, già mai state particolarmente elevate: cfr. in tal senso, puntualmente, le deposizioni dei testi Tu., Gi., Fa., Es., An., tutte debitamente citate alle pagg. 29-30 dell'atto di appello) mentre, dall'altro lato, il GI. - quanto meno a far tempo dal qui ripetutamente menzionato Comitato di Direzione 10,11.2014: cfr, tutti i passaggi già più volte citati sopra del relativo doc. 110 del P.M., in particolare le sue pagg. 40, 67-68, 76-77 e 78 - effettivamente si distingueva, all'interno di quel ristretto consesso di massimi dirigenti della banca, non solo per il fatto che mostrasse di avere piena e assoluta contezza delle dimensioni - ormai abnormi e ingestibili - assunte dal fenomeno dei finanziamenti correlati, in uno con l'ingravescente illiquidità dell'azione B., ma altresì per essersi già allora arrischiato ad esternare con grande chiarezza, sempre in quel ristretto consesso, le sue motivate e accorate preoccupazioni circa il modestissimo valore effettivo del titolo (oltretutto ormai "rivelato" - a una platea potenzialmente quanto mai vasta - dalle acute elucubrazioni di un articolo di stampa nazionale generalista, dal GI. ivi commentato: v. pag. 78 doc. 110 cit.) e circa le probabili rovinose conseguenze future del meccanismo perverso ormai avviato dalla banca, anche se poi, di fatto, egli non portò fino alle massime conseguenze tale suo sentire e continuò - nonostante tutto - a dare il suo apporto causale al perpetuarsi della scellerata quanto consolidata prassi ormai da anni intrapresa dalla banca. Davvero emblematiche, consapevoli e drammaticamente premonitrici, sul punto, sono le parole pronunciate dal GI. il 10 novembre 2014 in corrispondenza delle pagg. 67-68 del citato doc. 110 del P.M.; "VM 8 (GI.3 (...) Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nei senso che, se a uno che tu gli hai dato 100; il valore ...eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati"; concetto, questo, di lì a poco ripreso e ribadito dal GI. nel medesimo ristretto consesso di vertice con parole di pari pregnanza e puntualità, a fronte delle quali può notarsi il ben diverso atteggiamento tenuto da altri fra gli astanti (cfr. pagg. 76-77 ibidem: "VM 8 (GI.): Faccio ... Per esempio, facciamo che siano 500 milioni, a titolo esemplificativo, no, e il valore dell'azione perde il 30%, sono 150 milioni che noi dovremmo ridare a questi qua in dieci anni, metti, no? Quindi, son 30 milioni... son 15 milioni l'anno. (...). - VM 10 (PI.): Sì, tocchiamoci i coglioni, comunque! (ride)"). Tenuto conto di tutti gli elementi sopra indicati, dunque, stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni due mesi sette giorni quindici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, che anche in questa sede si ritiene essere il più grave (la pur sopra illustrata "presa di coscienza" del GI. datata novembre 2014 - definita "ribellione interiore" dalla sua difesa in sede di discussione, cfr, pag. 39 verbale stenotipico 23.9.2022 - e l'altrettanto sopra illustrato scadente rapporto con il d.g. So., come detto, non si tradussero, in ogni caso, in un'astensione dal continuare a concorrere nei contegni penalmente rilevanti; tantomeno si tradussero nelle dimissioni e/o in una denuncia all'A.G.), anni tre di reclusione; ridotta ad anni due di reclusione per le concesse attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. in regime di prevalenza; aumentata di complessivi mesi sette e giorni quindici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, dì giorni ventisette per ciascuno degli ulteriori otto reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, M1, N1 e di giorni nove per il residuo reato di aggiotaggio sub capo A1). Ciò con la precisazione che l'aumento per la continuazione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue (in misura inferiore rispetto agli altri imputati per tutto quanto fin qui detto; lo stesso è a dirsi per l'aumento ex art. 81 cpv. c.p. relativo al residuo reato satellite di aggiotaggio) alla ritenuta individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento. Deve, infatti, evidenziarsi che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati di ostacolo alla vigilanza, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato, provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente, in prime cure, una pena diversa per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. La pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici va, infine, conseguentemente revocata. Per quanto poi attiene alla disposta confisca ex art. 2641 comma 2 c.c. "per il valore equivalente alla somma di Euro 963.000,000", va dato atto che l'imputato GI. è stato il solo, assieme all'imputato ZO., a formulare una doglianza al riguardo nel suo atto di gravame. Nondimeno si osserva che tale doglianza (succintamente espressa nel par. 6 del cap. XXII in tema di trattamento sanzionatorio: cfr. gli ultimi cinque righi di pag. 143 e i primi cinque righi di pag. 144 dell'atto di appello GI.), a differenza di quella - assai articolata - proveniente dalla difesa ZO., che investe anche l'an della confisca suddetta, è circoscritta al quantum della relativa statuizione e, precisamente, alla dedotta assente indicazione delle "ragioni per le quali Gi. è stato ritenuto responsabile della erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione di quel capitale finanziato" (cfr. pag. 144 atto di appello). Si rinvia pertanto alla sottostante trattazione della posizione dell'imputato ZO. e più precisamente al par. 14.1.4,6 della presente sentenza, laddove si darà conto delle articolate argomentazioni - in fatto e in diritto - che inducono questa Corte, in accoglimento del relativo motivo di gravame prospettato dalla difesa ZO., a revocare tout court, per difetto del requisito della proporzionalità, la confisca disposta, per l'ammontare di 963 milioni Euro, nei confronti dì tutti gli imputati condannati in primo grado. 14.1.1.4. Le statuizioni civili (capitolo XXIII dell'atto di appello, pagg. 144-148). Le doglianze prospettate dalla difesa dell'imputato GI. nel suo ultimo motivo di gravame, avente ad oggetto il complesso delle statuizioni civili, possono riassumersi come segue: a) annunciata riserva di verificare, per la celebrazione del giudizio di appello, l'individuazione di eventuali revoche di costituzione di parte civile nei confronti del GI. non tenute in considerazione dal primo giudice; b) illegittimità - nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore di Banca d'Italia e Consob; insussistenza, in ogni caso, dei presupposti richiesti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in favore delle stesse parti civili; c) illegittimità - nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore delle parti civili private; insussistenza, in ogni caso, dei presupposti richiesti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in favore delle stesse; d) sussistenza, in subordine, dei presupposti ex art. 600 comma 3 c.p.p., per disporre la sospensione del pagamento delle disposte provvisionali; e) necessità di revocare le statuizioni inerenti alla condanna al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili private o comunque, in subordine, eccessività della relativa liquidazione operata dal primo giudice. Quanto al punto b), concernente la condanna al risarcimento dei danni - patrimoniali e non - in favore di Banca d'Italia e Consob da liquidarsi dinanzi al giudice civile, con condanna a una provvisionale (concernente il solo danno patrimoniale) in favore di ognuna delle due suddette parti civili, ritiene questa Corte che vada disattesa l'eccezione difensiva di insussistenza nell'an di danni risarcibili mentre, per converso, merita accoglimento la doglianza relativa all'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una provvisionale ai sensi dell'art. 539 comma 2 c.p.p.., dovendosi viceversa fare luogo, nei confronti dei due organismi di vigilanza, a una sentenza di condanna generica con rimessione in toto delle partì dinanzi al giudice civile senza previsione di alcuna provvisionale. Per ciò che concerne il pregiudizio non patrimoniale, ad avviso di questa Corte, l'an di un danno risarcibile a tale titolo può ravvisarsi quanto meno con riguardo al danno arrecato all'immagine dì ognuno dei due organismi di vigilanza. A tal proposito sì ritiene esente da censure la motivazione della gravata sentenza laddove (cfr. in particolare pag. 824) si sofferma sulla "compromissione della credibilità dell'attività svolta dalle autorità di vigilanza (...). Indice ne è il fatto che molte parti civili private hanno chiesto la citazione delle autorità di vigilanza come responsabili civili adducendone la responsabilità per non aver svolto la loro funzione con la necessaria diligenza, consentendo agli imputati di eludere i controlli e impedendo ai risparmiatori di conoscere il reale dissesto dell'istituto bancario, a riprova della percezione che le condotte delittuose hanno indotto di autorità di vigilanza inefficienti nel disimpegno delle proprie funzioni di vigilanza e, quindi, sostanzialmente inutili". Quanto poi al danno patrimoniale va debitamente evidenziato come sia la Banca d'Italia sia la Consob lo abbiano, esse stesse, esclusivamente "parametrato al costo sostenuto dall'Istituto per l'attività di vigilanza svolta dai propri funzionari e dirigenti nell'ambito dell'attività istruttoria espletata in relazione alle vicende in cui si sono contestualizzate le condotte di ostacolo e con riferimento alla collaborazione con l'autorità giudiziaria e altre autorità" (cfr. pag. 824 sentenza gravata, cit.). In altri termini, dunque, la sola posta di danno patrimoniale risarcibile ad essere stata effettivamente pretesa dai due istituti di vigilanza, e comunque la sola ad essere stata loro riconosciuta in prime cure (con l'esclusione, per ciò che concerne Banca d'Italia, dell'attività da essa svolta in relazione all'avvio della procedura di l. c.a., attività non ritenuta dal tribunale berico - cfr. pag. 825 sentenza appellata - causalmente connessa con le condotte di ostacolo e comunque qualificata, nella gravata sentenza, come attività interamente istituzionale avente carattere ordinario), è quella corrispondente al c.d. "danno da sviamento" (cfr. pag. 824 sentenza gravata, cit.: "Il danno in termini di dispersione di risorse, svolgimento di attività straordinaria, sviamento da altre attività ha trovato riscontro, sotto il profilo dell'An, nell'istruttoria dibattimentale: sono stati sentiti gli ispettori che hanno condotto le verifiche per conto delle rispettive autorità di vigilanza; sono state prodotte le relazioni ispettive che danno conto dell'attività svolta; l'istruttoria ha evidenziato la complessità degli accertamenti che hanno portato all'emersione delle condotte di ostacolo e le attività conseguenti che si sono rese necessarie"). Su tale presupposto il tribunale berico ha appuntato la propria statuizione di condanna degli imputati (con l'ovvia eccezione dei due assolti in prime cure, ossia Zi. e Pe.) al pagamento di altrettante provvisionali immediatamente esecutive in favore di Banca d'Italia e di Consob, così motivando (cfr. pagg. 824-825 sentenza gravata): "Le parti vanno, dunque, rimesse avanti al giudice civile per l'esatta quantificazione del danno. In questa sede può essere liquidata una provvisionale che si ritiene di commisurare al costo sostenuto dall'autorità di vigilanza per il dispendio di risorse in attività inutile e per l'attività straordinaria svolta a seguito delle condotte di ostacolo. I conteggi fatti dagli uffici interni sui costi complessivi sostenuti per l'attività svolta sono puntuali e costituiscono adeguato parametro di riferimento. A Banca d'Italia va dunque liquidata una provvisionale pari ad Euro 601.017,39: si è tenuto conto dei costi sostenuti per l'attività strettamente conseguente alle condotte di ostacolo e riconducibili all'aggravio dell'attività derivante dalla commissione dei reati (...). A CONSOB va liquidata una provvisionale pari ad Euro 186.570,00 (...)". Rileva tuttavia questa Corte come non si possa pronunciare, in favore di un organismo di vigilanza costituito parte civile nel processo penale, una condanna al risarcimento del cosiddetto "danno funzionale", rappresentato dallo sviamento e turbamento dell'attività di accertamento ispettivo, se non nel caso in cui dall'attività illecita derivi un pregiudizio patrimoniale, per il soggetto in questione, che sia ulteriore e dimostrato nel suo preciso ammontare rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale, Cfr. al riguardo Cass. Pen., Sez. 3, n. 52752 del 20/05/2014, Vi. e altro. In senso identico cfr. altresì, più recentemente, Cass. Pen. Sez. 5, n. 3555 del 07/09/2021 dep. 01/02/2022, Co., secondo cui, in tema di abusi di mercato, ove avvenga la costituzione di parte civile ad opera della Consob, il giudice non può pronunciare condanna al risarcimento del cosiddetto "danno funzionale", costituito dal costo dell'attività di vigilanza correlato all'istruttoria espletata per l'accertamento delle violazioni e l'irrogazione delle sanzioni, in quanto tale costo è posto, in via generale, a carico del bilancio statale per l'espletamento di attività che rientrano nelle funzioni istituzionali della Commissione, dovendosi fare salvi solamente i casi, nella motivazione del citato arresto definiti "eccezionali" o comunque "residuali", in cui dall'attività illecita dell'agente derivi un pregiudizio patrimoniale diretto, ulteriore e dimostrato nel suo preciso ammontare rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale. Resta inteso (cfr. sempre, in motivazione, la da ultimo citata Cass. Pen. 3555/2022, Co.) che è specifico onere dell'istituto di vigilanza costituitosi parte civile dimostrare quale effettivo pregiudizio, diverso e ulteriore rispetto all'esercizio della funzione istruttoria propria dell'ente, la condotta dell'imputato abbia in concreto cagionato; ciò in quanto (cfr., in motivazione, Cass. 52752/2014, Vi. e altro, cit.), se da un lato non si può in astratto escludere che una particolare attività illecita determini, in casi eccezionali, un danno patrimoniale concreto e specifico - ulteriore rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale -, nondimeno il riconoscimento di tale danno richiederà che l'ente "fornisca rigorosamente puntuali elementi di prova sulla sua concreta esistenza ed entità nel particolare caso in esame". Ebbene, la documentazione prodotta al riguardo dai due istituti di vigilanza (avente ad oggetto "i conteggi fatti dagli uffici interni sui costi complessivi sostenuti per l'attività svolta": cfr. pag. 824 sentenza gravata; il riferimento è, per Banca d'Italia, ai suoi docc. 72 e 73 prodotti all'udienza del 6.10.2020 e, per Consob, alla nota Prot. 0093005 19 del 20 02 2019 prodotta all'udienza del 6.6.2019) non può dirsi in grado di soddisfare i requisiti posti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per il riconoscimento di una provvisionale immediatamente esecutiva, ponendosi come non idonea - in sé - a consentire di discernere con sicurezza, neppure in parte qua, quale ulteriore diverso e concreto pregiudizio i predetti enti abbiano potuto subire rispetto all'esercizio dell'istituzionale funzione istruttoria/ispettiva che è propria degli enti medesimi. La doglianza di cui al suesteso punto b) è stata proposta dalla sola difesa di Gi.Em. ma gli effetti del suo accoglimento (con la conseguente revoca delle provvisionali disposte in favore di Banca d'Italia e Consob) non possono che ritenersi estesi a tutti gli imputati. Quanto al suesteso punto c) delle censure espresse nel capitolo XXIII dell'appello dell'imputato GI. (vertente sull'asserita illegittimità nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non, patrimoniali in favore delle parti civili private, azionisti e obbligazionisti/ ovvero, in subordine, sull'insussistenza dei presupposti ex art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in loro favore), le considerazioni difensive vanno viceversa disattese. Lo stesso appellante dà atto, in realtà, dell'esistenza di "elementi documentali specificamente allegati ai singoli atti di costituzione di parte civile" (cfr. pagg. 146-147 atto di appello), ed è proprio in base a tali elementi documentali che il primo giudice ha, questa volta correttamente, ritenuto integrato il requisito posto dall'art. 539 comma 2 c.p.p. ai fini del riconoscimento di una provvisionale, adottando un criterio-criterio - condivisibilmente da esso indicato come congruo - che quantifica, per ognuna delle parti civili richiedenti, l'entità di detta provvisionale "nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle obbligazioni od azioni acquistate, quale risultante dagli atti di costituzione di parte civile e relativi allegati e in ogni caso non super/ore ad Euro 20.000,00 per ciascuna parte, tenuto conto che gli importi che vengono in rilievo vanno da alcune migliaia di Euro sino a svariati milioni" (cfr. pag. 829 sentenza gravata). Né tale oggettivo dato documentale potrebbe mai essere posto nel nulla dall'obiezione difensiva - cfr. pagg. 146-147 atto di appello - secondo la quale il tribunale vicentino non ha provveduto a illustrare e valutare compiutamente ed espressamente in sentenza, per ciascuna singola parte civile privata, i contenuti dei suddetti allegati ai rispettivi atti di costituzione. Al riguardo va evidenziata, a fronte delle conseguenze - altrimenti esiziali in ispecie - del fenomeno del c.d. gigantismo processuale, la piena ostensibilità dei suddetti allegati documentali, ostensibilità che dunque consente di procedere, del tutto legittimamente, a una motivazione, sostanzialmente per relationem, del genere di quella adottata dal primo giudice, di cui questa Corte non può, sul punto, che condividere l'argomentare (cfr. pagg. 828-829 sentenza gravata: un dato di fatto che il rilevante numero di parti civili costituite nel presente procedimento non consente un esame specifico di ogni singola posizione. Non si può non evidenziare come l'accertamento del danno specifico concernente ogni singola posizione, a fronte di oltre 7000 parti civili costituite, avrebbe imposto una istruttoria specifica (peraltro non attivabile d'ufficio a fronte dell'onere sopra delineato a carico della parte) e comunque determinato una dilatazione dei tempi processuali incompatibile con le priorità assegnate nel processo penale e contraria agli interessi delle stesse parti civili, tenuto conto che il decorso del tempo costituisce specifica causa di estinzione del reato"). Quanto ai suestesi punti a), d) ed e) basti qui osservare, rispettivamente, che: - sub a) la riserva pur annunciata dalla difesa GI. non è poi stata sciolta; - sub d) le considerazioni svolte dalla difesa GI. ai sensi dell'art. 600 comma 3 c.p.p. sono oramai superate, nella presente sede, dalla necessità dì applicare il disposto dell'art. 605 comma 2 c.p.p.; - sub e) le valutazioni della difesa GI. (cfr. pag. 148 atto di appello), originate esclusivamente dalla considerazione secondo cui "pressoché tutti i patroni di parte civile sono stati assenti dal processo (al di fuori delle udienze relative alla costituzione di parte civile e alle udienze dedicate alle conclusioni)", collidono con il disposto dell'art. 12 del D.M. 55/2014 e successive modifiche, il quale, da un lato, necessariamente contempla una liquidazione per fasi e, dall'altro lato, attribuisce rilievo alla partecipazione in sé a ogni singola fase, inclusa quella decisionale, senza distinguere tra difese orali e scritte. Il tutto fermo restando che la sentenza di prime cure, alla sua pag. 830, ha in realtà dato espressamente atto che le difese delle parti civili private "non hanno svolto attività istruttoria e l'apporto nel corso delle udienze, salvo qualche eccezione, è stato limitato. La discussione, nella quasi totalità dei casi, si è limitata alla precisazione delle conclusioni", di ciò tenendo, quindi, già adeguatamente conto nella determinazione dei relativi importi. 14.1.2 L'appello nell'interesse di Ma.Pa. Il gravame proposto dalla difesa di Ma.Pa., ferme restando le considerazioni svolte nella soprastante parte generale (in particolare con riguardo al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa), è parzialmente fondato nei termini di seguito indicati. In particolare l'appello MA. è fondato laddove - cfr. pag. 121 nonché, più diffusamente, pagg. 179-180 atto di appello - ci si duole della declaratoria di penale responsabilità dell'imputato anche per i fatti contestati dall'Accusa come commessi nell'anno 2015 (essendo pacifico, in base agli atti, che il predetto MA. usci da B., passando a rivestire la carica dì direttore generale della siciliana Ba.Nu., in data 18.12.2014). In aggiunta a ciò Ma.Pa. va altresì assolto dai capi I e L di rubrica, corrispondenti ad altrettante fattispecie di falso in prospetto. Per tali reati contestati come commessi nelle date del 10 giugno 2013 e del 9 maggio 2014 - risulta invero maturato il termine di prescrizione; tuttavia con riguardo alla specifica posizione del MA., direttore della Divisione Crediti di B., va rilevato come la suddetta Divisione Crediti non risulti essere stata coinvolta nel gruppo di lavoro - che pure era trasversale a varie Divisioni della banca - in concreto deputato al compito di predisporre i prospetti informativi. A tale ultimo proposito cfr. la già citata deposizione specificamente resa sul punto all'udienza del 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dipendente di B. dal 2007 al 2018 con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza (deposizione in cui la Divisione Crediti non viene menzionata fra le pur numerose specificamente indicate dal teste come direttamente coinvolte nella predisposizione dei prospetti). Nelle restanti sue parti il gravame del MA. è infondato. Preliminarmente va dato atto che tutte le questioni dalla difesa trattate da pag. 1 a pag. 21 dell'atto di appello (eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio quanto a una parte delle imputazioni; eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10,11,2014; richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale), nonché tutte le questioni da essa trattate nella memoria di motivi aggiunti depositata in data 5.4.2022 (quest'ultima avente in verità ad oggetto unicamente richieste di rinnovazione istruttoria), sono già state approfonditamente vagliate e decise da questa Corte con l'ordinanza emessa in data 18.5.2022, alla quale senz'altro si rinvia. Al netto di tali questioni la rimanente parte del primo e assai articolato motivo di gravame (pagg. 21-181 atto di appello) consta di una serie di censure che contestano la sentenza impugnata sotto una pluralità di profili, ma che sono tutte accomunate dalla finalità di evidenziare le mancanze motivazionali asseritamente riscontrabili, nella trama argomentativa della decisione appellata, con specifico riferimento alla posizione dell'imputato MA.. Ad avviso dell'appellante, infatti, il primo giudice avrebbe erroneamente affermato il ruolo di concorrente del MA. in tutti i contestati reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto sulla base di elementi probatori inadeguati, carenti, ovvero smentiti da specifiche evidenze di segno contrario che, diversamente, deporrebbero per l'estraneità di costui rispetto ai fatti addebitatigli. Più specificamente ci si duole del fatto che la sentenza di prime cure, in relazione alla posizione dell'imputato MA., abbia: a) operato una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) attuato un'elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. Le suddette censure difensive possono riassumersi - in estrema sintesi - nei termini seguenti: - il tribunale si sarebbe ampiamente diffuso su aspetti concernenti la consapevolezza, in capo al MA., dell'esistenza in B. di operazioni correlate, e ciò ancorché l'imputato mai abbia sostenuto di esserne stato all'oscuro bensì abbia affermato di essere sempre stato genuinamente convinto della loro liceità per il fatto che fossero poste in essere nell'ambito di una banca cooperativa, il cui assoggettamento all'art. 2358 c.c. era del resto, all'epoca, ancora dibattuto in dottrina e in giurisprudenza (un parere legale richiesto dalla banca a un prestigioso studio, d'altra parte, aveva - a detta del MA. - escluso tale assoggettamento); inoltre non sarebbe dato comprendere come numerosi soggetti, buona parte dei quali sentiti come testimoni in dibattimento, benché pacificamente resisi autori materiali - in seno a B. - di operazioni di finanziamento correlato, non siano mai stati nemmeno indagati; del tutto inattendibili dovrebbero infine ritenersi i testi Ma.Bo. e An.Pa. - ai vertici rispettivamente l'uno della struttura dell'interna/audit e l'altra dell'ufficio legale della banca - essendo emerso dalla svolta istruttoria che gli stessi rimasero inerti ancorché ben edotti circa l'effettuazione in concreto delle operazioni correlate (cfr. pagg. 21-44 atto di appello); - la sentenza di primo grado avrebbe ricostruito in modo del tutto errato - alle sue pagg. 678-679 - le competenze e le funzioni della Divisione Crediti nel periodo 2012-2015, obliterando la delibera del CdA 7.2.2012 che le aveva ridisegnate ponendo gli Uffici Crediti, articolati su base territoriale, alle dipendenze delle Direzioni Regionali, a loro volta gerarchicamente inquadrate nella Divisione Mercati diretta dal coimputato Em.Gi.; in altri termini la Divisione Crediti diretta dal MA. non aveva ricoperto, in quell'arco temporale, alcun ruolo nell'erogazione e nel perfezionamento dei finanziamenti, attività demandata alle strutture della rete coordinate dalla Divisione Mercati, e ciò anche con riguardo alla c.d. "campagna pre-deliberato"; d'altro canto nessuno specifico rilievo era stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti all'esito delle ispezioni del 2012 e del 2015 (cfr., pagg. 44-61 nonché 78-84 dell'atto di appello); - il primo giudice avrebbe attribuito un ingiustificato rilievo ai pretesi elementi sintomatici del carattere correlato dell'operazione di finanziamento, rappresentati in particolare: a) dalla c.d. "causale generica sentinella"; b) dalla c.d. "sfasatura temporale": la prima risultava essere stata applicata in B. da ben prima dell'assunzione del Ma. e comunque riguardava meno del 60% del complesso delle operazioni finanziate aventi carattere correlato, così come individuate dagli stessi consulenti del P.M.; la seconda, a detta di numerosi fra i testi escussi e non soltanto del MA., veniva sì regolarmente sollecitata da quest'ultimo, ma a nessun altro fine se non quello di evitare sconfinamenti di c/c (cfr. pagg. 61-78 atto di appello); - il convincimento del MA. circa la piena liceità delle operazioni di finanziamento correlato poste in essere sarebbe stato ulteriormente rafforzato - oltre che dalla consapevolezza dell'essere stato richiesto dalla banca, come detto, un parere legale a un prestigioso studio professionale - dall'assenza di comunicazioni di segno diverso da parte dell'internal audit e dell'ufficio legale, rispettivamente diretti dai già citati Ma.Bo. e An.Pa., oltre che dal contegno tenuto dal CdA - a sua volta composto non già da persone digiune della materia bensì da imprenditori di primo piano, da docenti universitari e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato - che, sottoscrivendo ogni delibera, mai aveva espresso rilievi di sorta (cfr. pagg. 84-98 atto di appello). - il primo giudice, nell'occuparsi dell'ispezione condotta da Banca d'Italia nel 2012, avrebbe fatto malgoverno delle prove preferendo alla versione dei fatti resa - in senso congruente con la tesi difensiva del MA. - dal teste Ci.Am., dipendente B. direttamente subordinato allo stesso MA. nell'ambito della Divisione Crediti, secondo cui il MA. e i suoi diretti subordinati avrebbero messo a disposizione degli ispettori tutti gli incartamenti (in formato tanto cartaceo quanto digitale) relativi a una complessiva quindicina circa di posizioni di soci che avevano fruito di finanziamenti correlati, l'opposta ricostruzione sostenuta in maniera compatta da tutti i testi appartenenti al team ispettivo della Banca d'Italia, evidentemente interessati - sostiene l'appellante - a fugare dalle loro persone ogni pur giustificato sospetto di negligenza e/o lassismo nella conduzione dell'ispezione stessa. In particolare, prosegue l'appellante, non vi sarebbe ragione alcuna di prediligere - tra le deposizioni, radicalmente divergenti fra loro, rispettivamente rese dal teste Ci.Am. e dal teste ispettore Ge.Sa. (testi entrambi valutati come "debolmente attendibili" dal tribunale, che ha però ritenuto il Sa. ampiamente riscontrato tanto dalle deposizioni dei suoi colleghi quanto da elementi documentali acquisiti agli atti) - proprio quella dell'ispettore Sa. (cfr. pagg. 98-126 atto di appello); - il tribunale, nel valutare erroneamente come non credibile e contraddittorio l'esame dibattimentale del MA., ne avrebbe equivocato e travisato in più punti il contenuto, valorizzando per converso in maniera particolare le deposizioni sfavorevoli rese da testi, come ad esempio ii teste Bosso, essi sì di assai dubbia credibilità in quanto autori di condotte che - secondo l'appellante - ne avrebbero semmai legittimato l'iscrizione nel registro degli indagati (cfr. pagg. 126-149 atto di appello); - quanto alle fattispecie di ostacolo alla vigilanza contestate al MA., quelle sub capo M1, concernenti l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (4sset Quality Review), non terrebbero in adeguata considerazione il fatto che non si fosse trattato di una verifica ispettiva bensì di un esercizio di natura prudenziale basato sull'utilizzo di metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili; né, per altro verso, al MA. poteva contestarsi di aver taciuto l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, avendone egli appreso l'esistenza solo all'esito dell'ispezione condotta da Bc. nel 2015 (cfr. pagg. 149-154 atto dì appello); - alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, insomma, la motivazione della gravata sentenza sarebbe viziata, circa il ravvisato apporto concorsuale dei MA. ex art. 110 c.p. alle condotte di cui ai capi d'imputazione, dal ricorso a una sorta di indebito automatismo presuntivo in base al quale dovrebbe ritenersi che tutti gli imputati indistintamente e quindi anche il MA. - a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate da ciascuno in concreto - fossero consapevoli del fatto che le c.d. operazioni "baciate" non venivano in concreto scomputate dal patrimonio di vigilanza nonché del loro carattere finalizzato, oltre che a svuotare ciclicamente il fondo acquisto azioni proprie, anche a fornire una distorta immagine di solidità del mercato azionario; viene ribadita al riguardo la differenza, rivendicata dall'appellante, tra il flusso informativo a disposizione della Divisione Crediti, diretta dal MA., e quello ben più intenso a disposizione della Divisione Mercati (cfr. pagg. 154-172 atto di appello); - in ogni caso difetterebbe il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso specificamente ascrivibile del maggiore capitale finanziato complessivo, sicché risulterebbe impossibile valutare la reale offensività di ciascuna condotta e, segnatamente, della condotta del MA., ferma restando la non ascrivibilità al predetto di qualsivoglia condotta contestata come posta in essere nell'anno 2015 (cfr. pagg. 173-181 atto di appello). Il sopra illustrato complesso di argomentazioni difensive non ha pregio (tranne quanto già detto supra circa la non ascrivibilità al MA. delle condotte contestategli come poste in essere nell'anno 2015 nonché delle condotte oggetto dei capi I e L). Vero è che - come chiarito in prime cure, e ulteriormente nel presente grado di giudizio, dalla svolta istruttoria orale dibattimentale (già in primo grado vi aveva comunque provveduto analiticamente il teste Ci.Gi., il quale, titolare della carica di capo area Vicenza Città fino alla primavera 2012, successivamente e fino al 31 dicembre 2014 ricoprì la carica di Direttore regionale del Veneto Occidentale, che raggruppava "le tre aree di Vicenza, quindi tutta la città di Vicenza e la provincia, e l'area di Padova, che comprendeva le filiali nella città e nella provincia di Padova": cfr. pagg. 33 e ss. verbale stenotipico udienza 13.6.2019) - nel triennio 2012-2015 l'attività di erogazione dei finanziamenti si articolava su base territoriale per singole aree (coordinate, per gruppi formati ciascuno da più aree, dai direttori regionali, figure istituite nel 2012) le quali andavano a formare una rete che in tale periodo faceva capo non già alla Divisione Crediti, il cui responsabile era il MA., bensì alla Divisione Mercati, il cui responsabile era il coimputato Em.Gi.. E' pertanto corretto affermare su tali basi, così come fa il difensore appellante, che la Divisione Crediti diretta dal MA. non ebbe a ricoprire in quell'arco temporale (primavera 2012 - dicembre 2014) alcun ruolo nell'erogazione dei finanziamenti, attività demandate invece alle strutture della rete coordinate dalla Divisione Mercati. Nondimeno il MA., come da lui stesso riconosciuto in sede di esame dibattimentale, pur non concorrendo a nessun titolo nella materiale attività di erogazione di tali finanziamenti correlati (a parte l'impulso determinante da lui impresso nell'isolato caso Ci.-(...), v. subito infra), giungeva comunque regolarmente a conoscenza diretta della loro esistenza in quanto le pratiche di finanziamento venivano sottoposte alla sua Divisione Crediti per la verifica - di competenza di tale Divisione - circa l'adeguatezza delle relative proposte. Il MA. aveva indi l'incarico di presentare personalmente, relazionando al riguardo, le pratiche di finanziamento di maggiore ammontare (ripartite, a seconda del loro valore, tra il Comitato Centrale Fidi, il Comitato Esecutivo e il CdA) agli organi collegiali. Atteso quanto sopra, dunque, coerentemente il MA. nel corso del suo esame dibattimentale, benché non fosse all'epoca dei fatti (né sia mai stato) a capo della Divisione Mercati bensì della Divisione Crediti, ha chiaramente affermato di essere stato pienamente a conoscenza dell'esistenza del vasto fenomeno delle c.d. operazioni "baciate" stipulate nell'ambito di B., a una delle quali egli invero ebbe finanche - eccezionalmente - a prendere parte diretta in prima persona, proponendo insistentemente all'interlocutore Ci.Ez. di sottoscrivere azioni per 5 milioni di Euro in quanto buon conoscente del predetto imprenditore, vertice del gruppo (...) (si rinvia per i dettagli di tale specifica operazione di finanziamento correlato alle pagg. 687-688 della sentenza appellata, ove è altresì ampiamente riportato il contenuto delle s.i.t., rese al riguardo dal Ci. nel relativo verbale dd. 24.10.2016, acquisito al fascicolo del dibattimento ai sensi dell'art. 493 comma 3 c.p.p.). Sulla piena e diretta conoscenza in capo a sé, riconosciuta dal MA., del fenomeno - divenuto a suo stesso dire sempre più massiccio col passare degli anni - del ricorso in B. a operazioni correlate cfr. le pagg. 15-22 della prima parte del suo esame dibattimentale contenuta nel verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020.. Si noti, per inciso, la corrispondenza tra quanto illustrato dall'imputato MA. in sede di esame dibattimentale circa la tipologia e collocazione geografica dei soggetti finanziati (e, negli anni a venire, rifinanziati) nell'ambito delle operazioni correlate ("I primi impianti vengono fatti a agosto, fine agosto, settembre, ottobre 2011. Le successive pratiche, tutte in aumento su questi nominativi vengono fatte negli anni 2012 e poi principalmente a fine 2013-2014. Stiamo parlando sempre degli stessi nominativi, perché quello che girava nei Consiglio di Amministrazione di nuovi..., adesso dico magari una..., impianto, impianto creditizio, cioè voglio dire nuovo impianto creditizio, nuovo affidamento, sono stati fatti tutti all'inizio, nel 2011. Successivamente erano tutti aumenti rispetto a quanto era già in essere. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - O rinnovi, anche? IMPUTATO MA. - Come? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - O anche rinnovi e basta? IMPUTATO MA. - Aumenti, rinnovi o revisioni, perché ogni anno c'erano le revisioni") e quanto lamentato al riguardo, nel corso del Comitato di Direzione del 10.11.2014, dal D.G. di B., Sa.So. (proprio perché tale staticità, basata sui rinnovi e sulle revisioni di vecchi finanziamenti correlati già erogati anni prima sempre agli stessi soggetti, per lo più radicati sul territorio veneto, rendeva sempre più rischioso mantenerli in essere; ed invero appena un paio di settimane prima rispetto a quel Comitato di Direzione, precisamente in data 27 ottobre 2014, era stato pubblicato l'articolo de "Il." a firma Cl.Ga., in atti sub doc, 207 del P.M., basato in parte non minimale sulle rivelazioni dell'imprenditore scledense Pa.Tr.). Nell'occasione del Comitato di Direzione 10.11.2014 il So. aveva infatti caldeggiato, di fronte al ristretto consesso dì vertici dirigenziali della B. formato per la quasi totalità dai suoi vice direttori generali, incluso il MA., un rinnovo del "parco" dei soggetti da rendere destinatari di operazioni di finanziamento correlato, possibilmente uscendo dalla regione Veneto per meglio assicurare la discrezione assoluta sulle anzidette operazioni (cfr. pagg. 35-36 della relativa trascrizione in atti sub doc. 110 del P.M.): "Sa. - E dopo dobbiamo sempre ricorrere al solito Ja. (trattasi del già citato teste Ci.Gi., all'epoca Direttore regionale del Veneto Occidentale che - come spiegato in udienza dal teste stesso - raggruppava "le tre aree ai Vicenza, quindi tutta la città di Vicenza e la provincia, e l'area di Padova, che comprendeva fe filiali nella città e nella provincia di Padova"), sempre ricorrere alla solita Vicenza, no? E, invece, bisogna che 1sta roba qui venga fatta Milano-Roma, noi dobbiamo trovare Milano-Roma, perché poi se ne parla meno, Se qui facciamo sempre e solo in ultima, facciamo intervenire i soliti, figurati se questi non parlano! Cioè, non ... non ... bisogna pianificarla meglio questa attività qua, dobbiamo ... uhm ... dobbiamo essere più confidenti e avere addirittura ... Avevamo anche detto che riuscivamo a a ... a recuperare qualcosa in più per smaltire le le ... le richieste pendenti. Fino ... Quindi, fino ad oggi, quanto abbiamo?". Ciò posto, osserva questa Corte come non sia in realtà di per sé radicalmente implausibile l'assunto del MA. secondo cui egli si sarebbe convinto - sul ritenuto presupposto della non applicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative - della liceità delle anzidette operazioni di finanziamento correlato, e ciò anche grazie alle rassicurazioni ricevute in tal senso tanto dai suoi colleghi con maggiore anzianità di servizio, come Se. e GI., quanto da un autorevole parere legale richiesto e ottenuto, a suo dire, dalla banca (parere legale al quale il suo difensore ha fatto ripetutamente riferimento, tanto nell'atto di appello - cfr, sua pag. 38 - quanto - cfr, pagg. 65-66 verbale stenotipico 30.9.2022 - in sede di discussione finale). Quanto meno non è sicuramente implausibile ritenere che, nel dubbio pur persistente al riguardo, in B. si fosse scelto, per evidente convenienza, di abbracciare la tesi dell'inapplicabilità della citata norma alle società cooperative. Effettivamente a quell'epoca si trattava di questione dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, ed anzi va detto che ancora nel 2015 la stessa Corte di cassazione ebbe ad esprimersi - richiamando suoi precedenti arresti - proprio nel senso della non applicabilità dell'art. 2358 ex. alle banche cooperative: cfr. Cass. Civ. Sez. 1, n. 9404 del 09/04/2015, Curatela Fallimento La. Sas contro Cr.Si. SpA (società, quest'ultima, che aveva incorporato la Banca (...)), non massimata, la quale - in motivazione - così argomenta: "L'art. 2358 c.c. che nel testo invocato dalla ricorrente vietava alle società per azioni di accettare in garanzia azioni proprie, non era in realtà applicabile atte società cooperative, per le quali già all'epoca l'art. 2522 c.c. (poi riprodotto nell'attuale art, 2529 c.c.) prevedeva che l'atto costitutivo potesse autorizzare gli amministratori ad acquistare o a rimborsare quote o azioni della società, Né alle banche popolari era applicabile l'art. 34 dei D.Lgs. n. 385 del 1993, che analogo divieto prevedeva (prima della sua abrogazione a opera dell'art. 5 D.Lgs. n. 542 del 1999), per le banche di credito cooperativo, perché il divieto non era invece imposto dall'art. 30 dello stesso D.Lgs. n. 385 del 1993, specificamente destinato alla disciplina appunto delle banche popolari. Nella giurisprudenza di questa corte, dei resto, si è già riconosciuto che fa natura cooperativa delle banche popolari ne giustificava una disciplina peculiare, diversificata rispetto a quella delle società per azioni; e in particolare che "è valida la clausola dello statuto di una banca popolare, con cui si prevede che le azioni della società sono vincolate a garanzia di qualsiasi obbligazione contratta dal socio con la società stessa, con conseguente facoltà, per gli amministratori della banca, in ipotesi di inadempimento del debitore, di procedere al rimborso ed all'annullamento di dette azioni, secondo le modalità previste in caso di recesso del socio, utilizzandone l'importo per estinguere il debito" (Cass. sez. I, 29 ottobre 1996, n. 9445, in Giust. Civ. 1997, p. 681)". Nondimeno, al di là del fatto che lo stesso istituto di credito, in occasione dei miniaucap 2013 e 2014, ebbe a ritenere applicabile tale norma, in ogni caso le operazioni di finanziamento correlato in oggetto, quand'anche si fossero potute considerare effettivamente lecite (stante la conformazione societaria di B.) in ossequio all'orientamento poco sopra illustrato, non per questo si sarebbero potute ritenere esenti dall'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza, trattandosi di due piani totalmente distinti fra loro e non sovrapponibili. Di ciò in verità il MA. ha riconosciuto di essere sempre stato pienamente consapevole allorquando ha dichiarato quanto segue: - interrogatorio reso dinanzi ai Pubblici Ministeri il 28.4.2017 alla presenza del suo difensore fiduciario (il cui verbale, al pari di quello del successivo interrogatorio svoltosi il 2.5.2017 con le medesime modalità, è stato acquisito al fascicolo del dibattimento in quanto prodotto dall'Accusa all'udienza del 18.6.2020 ai sensi dell'art. 503 c.p.p. giacché utilizzato per le contestazioni all'imputato in sede di esame nelle due udienze precedenti): "Confermo che ero consapevole che anche i finanziamenti correlati all'acquisto/sottoscrizione di azioni B. impattavano sul TIER 1 e che, pertanto, la loro esistenza doveva essere oggetto di segnalazione alla Banca d'Italia" (cfr. pag. 5 verbale di interrogatorio cit.); - esame dibattimentale (cfr. pag. 30 del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Lei conosceva quello che era l'impatto, invece, di questo tipo di operazioni sul Tier 1? IMPUTATO MA. - No. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - No. Al tempo disse: "Confermo che ero consapevole che anche i finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione di azioni impattavano sul Tier 1" IMPUTATO MA. - Sì, dell'impatto sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Questo le ho chiesto, "e che pertanto la loro esistenza doveva essere oggetto di segnalazione alla Banca d'Italia IMPUTATO MA. - No, lei mi ha chiesto se sapevo il peso sul Tier 1. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Forse mi sono spiegato male io. IMPUTATO MA. - Lei mi ha chiesto se sapevo il peso... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Cioè l'impatto. IMPUTATO MA. - Cioè l'impatto, pensavo... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ho usato il termine dell'interrogatorio. PRESIDENTE - L'impatto nel senso di deducibilità del capitale finanziato dal Tier 1, non la quantificazione. IMPUTATO MA. - Sì, no, no, avevo capito l'impatto in percentuale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - No, ma anche adesso, con riferimento allo svuotamento del fondo, lei ha utilizzato il termine, mi pare, "impattare", quindi pensavo che quello fosse... E lei disse al tempo: "All'epoca ero convinto che questo avvenisse effettivamente nelle segnalazioni periodiche", per correttezza le leggo anche questa cosa. IMPUTATO MA. - Sì."; - controesame dibattimentale condotto dal difensore di Banca d'Italia, avv. Ce. (cfr, pag. 67 verbale stenotipia) d'udienza 16 giugno 2020): "PARTE civile, AVV. Ce. - Va bene, chiudiamo qui, Lei dice, e devo dire, insomma, onore al merito, perché dice che conosceva l'obbligo di dedurre, la necessità di dedurre dal patrimonio le azioni finanziate. IMPUTATO MA. - Sì, io confermo. PARTE CIVILE, Avv. Ce. - Che sembra che non lo sapesse nessuno in questa banca". Il punto nodale da affrontare, pertanto, rimane unicamente quello della consapevolezza o meno, in capo al MA., del fatto che in realtà lo scomputo di tale capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza di B. non aveva luogo. Egli in sede di esame dibattimentale ha recisamente negato tale consapevolezza, affermando di essere sempre stato convinto che lo scomputo venisse regolarmente posto in essere e di non avere peraltro mai affrontato l'argomento con i colleghi della Divisione Bilancio: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi conferma questo? IMPUTATO MA. - Sì, io confermo, ero convinto che venisse scomputato, l'ho detto allora e lo dico adesso. Io però di questo non ne ho mai parlato con il Bilancio, eh, a chiedere se lo facevano. In quanto c'era una riserva indisponibile, da mie letture sull'argomento, voglio dire, del 2358 e quant'altro, c'era una riserva indisponibile statutaria di bilancio di 3,7 miliardi di Euro, ampiamente disponibile per te operazioni che vedevamo noi in sede centrale. Io ho visto girare, mi son fatto i miei calcoli ultimamente, un circa 400 milioni di operazioni, media, non superavano mai questo importo di delibere negli Organi collegiali (cfr, pag. 30 verbale stenotipico d'udienza 11 giugno 2020); "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - e l'evidenza nell'ambito dei dati di bilancio di queste operazioni lei ha avuto modo di apprenderla quale era? IMPUTATO MA. - No, guardi, io col bilancio non... PRESIDENTE - Chiedo scusa, dottor Ripeschi, quando dice "queste operazioni" fa riferimento agli storni o alle operazioni di capitale... pubblico MINISTERO, DOTT. Pi. - Scusi, alle operazioni di finanziamento correlato. PRESIDENTE - Non avevo capito io la domanda. IMPUTATO MA. - Sì, ma non ho capito la domanda io, Presidente. PRESIDENTE - Presumo, interpreto il Pubblico Ministero: la evidenza dai dati di bilancio nel senso della deducibilità, deduzione dal patrimonio di vigilanza, è quello che intende dire? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Certo, sì, si PRESIDENTE - Questo. IMPUTATO MA. - No, ho detto anche prima, io non avevo evidenze. L'unica cosa che vedevo nel bilancio, nelle tabelle integrative, le riserve statutarie e le riserve straordin... sovrapprezzo che coprivano quei finanziamenti, secondo me; e poi c'era (a tabella degli annullamenti delle compensazioni delle azioni. PRESIDENTE - Ex articolo 20? Operazioni ex articolo 20? IMPUTATO MA. - Ex articolo 16 e 20, che corrispondevano esattamente a quelle che portavamo in Consiglio di Amministrazione per annullare azioni e utilizzi, o per posizioni NPL oppure anche per operazioni ordinarie, perché ne sono state annullate anche di operazioni ordinarie. Quella tabella c'era, faceva un riassunto degli annullamenti (cfr. pagg. 46-47 verbale stenotipia) d'udienza 11 giugno 2020); la recisa negazione della circostanza è stata poi ribadita dal MA. durante il controesame condotto sempre in primo grado dal difensore di Banca d'Italia, avv. Ce. (cfr. pagg. 67-69 verbale stenotipico d'udienza 16 giugno 2020); detta negazione è infine stata ancora reiterata, nel presente grado di giudizio, in sede di spontanee dichiarazioni rese all'udienza del 24.6.2022 (le quali, articolate dal MA. in pochi brevi punti, non hanno aggiunto alcuna novità sostanziale - neppure sugli altri aspetti del thema decidendum - rispetto al contenuto dell'esame reso dall'imputato in primo grado). Viceversa - come contestatogli dal P.M. in udienza (cfr, pag. 47 verbale stenotipico 11.6.2020 nonché, più diffusamente, pag. 77 verbale stenotipico 16.6.2020) - il MA. aveva reso, al riguardo, dichiarazioni di ben altro tenore nell'interrogatorio del 2.5.2017 dinanzi ai Pubblici Ministeri, effettuato alla presenza del proprio difensore fiduciario (cfr. pag. 2 del relativo verbale): "Confermo che nei bilanci di competenza non vi era evidenza alcuna relativa alle operazioni baciate. Di questo non ho parlato con altri colleghi, nonostante che per i Mini Aucap 2013 e 2014 nei relativi bilanci d'esercizio emergessero i finanziamenti concessi ai clienti per la sottoscrizione di azioni B.. Preciso che non rientrava nelle mie competenze di responsabile della Divisione Crediti la redazione del bilancio d'esercizio, alla cui predisposizione non contribuivo in alcun modo. Avevo modo di prendere cognizione dei bilanci durante le annuali assemblee dei soci B., cui partecipavo in qualità di socio, Inoltre, sempre in tale veste, prendevo visione della Relazione finanziaria semestrale pubblicata dalla Banca stessa". In sede di esame dibattimentale il MA., a fronte della puntuale contestazione dell'Accusa, ha sostenuto, in evidente e totale contrasto con quanto dichiarato tre anni prima nell'interrogatorio 2.5.2017, di avere sì esaminato i bilanci, rendendosi in tale occasione conto del mancato i scomputo, ma di averlo fatto soltanto ex post, dopo la sua uscita da B.. Si veda al riguardo il seguente passo dell'esame dibattimentale (pag, 77 verbale stenotipico 16.6.2020): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - In ordine al confronto con, diciamo così, il Bilancio, quindi la Divisione Bilancio, io non ho capito, lei aveva al tempo verificato se queste operazioni che lei riteneva caratterizzate da questa correlazione erano evidenziate, nel senso se se ne era tenuto conto in bilancio, sì o no? Al tempo, non dopo. IMPUTATO MA. - No, no, non ho verificato. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ma allora quando nel verbale del 2 maggio 17 dice; "Confermo che nei bilanci di competenza non vi era evidenza alcuna relativa alle operazioni baciate. Di questo non ho parlato con altri colleghi, nonostante che per i mini aucap 13 e 14 nei relativi bilanci di esercizio emergessero i finanziamenti concessi ai clienti per la sottoscrizione di azioni Bp.". Cioè, pare di capire che è una cosa che fece già al tempo questa di dare un'occhiata ai fatto che nel bilancio... Questo è il suo verbale. IMPUTATO MA. " Sì, sì, ma io lì parlo dei bilanci, che me li sono guardati tutti dopo. Durante il periodo runica cosa che io ho colto era quella famosa delibera dei 100 milioni che hanno spostato come riserva indisponibile. Sul resto, per me erano all'interno della riserva sovrapprezzo azioni, Poi ho verificato dopo, quando sono uscito dalla banca. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Guardi, vado avanti perché io complessivamente da quello che era scritto avevo capito un'altra cosa: "Preciso che non rientrava nelle mie competenze di responsabile della Divisione Crediti la redazione del bilancio di esercizio, alla cui predisposizione non contribuivo in alcun modo. Avevo modo di prendere cognizione dei bilanci durante le annuali Assemblee dei soci B., cui partecipavo in qualità di socio. Inoltre, sempre in tale veste prendevo visione della relazione finanziaria semestrale pubblicata dalla banca stessa" Cioè quello che le ho letto adesso, con quello che le ho letto prima, mi avevano fatto capire invece che questa cosa l'avesse verificata. Lei dice che non è così? IMPUTATO MA. - No, io non l'ho verificata. Ero convintissimo che in quella riserva ci fosse lo spazio, come le ho detto e dico da due giorni. Mi ha colpito il mini aucap, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Avevo capito bene che c'era una differenza tra quello che ha detto e quello che io avevo inteso di qua e le ho letto, com'è mio diritto, la parte. Tutto qua. Ho finito, grazie". Ebbene, ritiene questa Corte che le dichiarazioni contra se - che a questo punto assumono rilievo dirimente in ordine all'elemento soggettivo del reato - contenute al riguardo nell'interrogatorio reso dal MA. ai Pubblici Ministeri il 2.5.2017 (alla presenza altresì del suo difensore fiduciario) abbiano valore di vera e propria prova nei suoi confronti, non limitandosi esse a incidere sulla mera valutazione di credibilità del suo esame dibattimentale, poiché trattasi di dichiarazioni rese dal MA. nell'immediatezza dell'inizio delle indagini preliminari avviate nei suoi confronti (e dunque decisamente più attendibili stante la stretta contingenza temporale: l'avviso di garanzia per i fatti da lui commessi in tesi accusatoria fino all'anno 2014 era stato notificato al MA. in data 24.4.2017) nonché in presenza di tutti i presupposti di cui ai commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p.. Non vi è infatti ragione di discostarsi dal costante e consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui le precedenti dichiarazioni difformi rese dall'imputato nella fase predibattimentale, lette per le contestazioni nel corso del suo esame e conseguentemente acquisite al fascicolo per il dibattimento, possono essere utilizzate come prova contro lo stesso se sono state assunte con le modalità indicate all'art. 503, commi quinto e sesto, c.p.p.; se rivolte invece contro i coimputati possono essere utilizzate solo per stabilire la credibilità del dichiarante medesimo. In questo senso, fra le altre, vanno richiamate Cass. Pen. Sez. 3, n. 50435 del 12/05/2015, imp. S., nonché Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G.. Tale ultimo arresto - nel ritenere utilizzabili come prova le dichiarazioni confessorie rese dall'imputato in sede di interrogatorio innanzi al G.I.P. e impiegate per contestare la ritrattazione dello stesso compiuta nel corso dell'esame dibattimentale - ha precisato in motivazione, con convincente e condivisibile ragionamento richiamante anche vari precedenti conformi, che i primi tre commi dell'art. 503 c.p.p., dettano regole di carattere generale e disciplinano, soprattutto, l'esame delle parti private diverse dall'imputato, come è confermato dalla specifica regolamentazione - per l'imputato - contenuta nel predetto art. 503 c.p.p., commi 5 e 6; ed è proprio per questo motivo che il comma 4 richiama la regola contenuta nell'art. 500 c.p.p., comma 2, secondo la quale le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste (e quindi non si parla di imputato). Viceversa i commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p. dettano una regola completamente diversa per le dichiarazioni rese dall'imputato: "le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dar Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria su delega del Pubblico Ministero sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal comma 3. La disposizione prevista dal comma 5 si applica anche per le dichiarazioni rese a norma dell'art. 294, art. 299, comma 3 ter; artt. 391 e 422". E' chiaro, quindi, che il legislatore "ha trattato in modo diverso le dichiarazioni delle parti private (simili ai testi, come, ad esempio, la P.C) regolamentate nell'art. 503 c.p.p. da quelle rese dall'imputato regolamentate sempre nello stesso art. 503. Per le prime si applicano tutte le regole del precedente art. 500 c.p.p. così come confermato anche dal richiamo del predetto articolo effettuato nell'art. 503, comma 4, per le seconde una regola del tutto diversa che si ricava chiaramente dall'art. 503 c.p.p., commi 5 e 6. In proposito è costante l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo il quale le dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento ai sensi dell'art. 503, commi 5 e 6, assumono piena efficacia probatoria e sono perciò utilizzabili ai fini della decisione ai sensi dell'art. 526 c.p.p. (si vedano Sez. 6, Sentenza n. 1167 dei 21/10/1998 Ud. - dep. 28/01/1999 - Rv. 213329; Sez. 1, Sentenza n. 42449 del 21/10/2009 Ud. - dep. 05/11/2009 - Rv. 245520), Conferma quanto sopra anche il fatto che la L. 1 marzo 2001, attua ti va dei principi del "giusto processo", mentre ha radicalmente mutato il regime di utilizzabilità delle dichiarazioni lette per le contestazioni al testimone, ripristinando l'originale regola di esclusione probatoria (salvo per i casi di cui al comma 4, eccezione, d'altronde, prevista nello stesso art. III Cost.), ha lasciato inalterata la disciplina prevista dall'art. 503 c.p.p. commi 5 e 6" (così, in motivazione, Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G., cit.). Ovviamente una lettura di detta disciplina compatibile con il principio del contraddittorio e ragioni di coerenza sistematica inducono a ritenere che gli effetti della contestazione siano distinti a seconda che essa riguardi il dichiarante (come in ispecie) ovvero altri coimputati: il "precedente difforme", nel primo caso, può essere utilizzato contro il dichiarante se le dichiarazioni contestate sono state assunte - come in ispecie sono state assunte - con le modalità indicate nei commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p.; è solo nel secondo caso/ che, in applicazione dell'art. 500 c.p.p., comma 2 (richiamato dall'art. 503 c.p.p., comma 4), la dichiarazione dell'imputato esaminato può essere valutata unicamente per stabilire la credibilità dello stesso, salvo che ricorrano i presupposti dell'art. 500 c.p.p., comma 4. Ed invero, nel primo caso - precedente difforme utilizzato contro il dichiarante dopo le contestazioni di cui sopra -, che ricorre appunto in ispecie, siamo in presenza di dichiarazioni rese dall'indagato contra se, con l'assistenza del difensore e nel contraddittorio con il P.M.; dichiarazioni, poi, ritrattate in dibattimento e, quindi, sottoposte alle contestazioni del P.M. in base al precedente difforme. E' chiaro, dunque, che, in tal caso, non si viola alcuno dei principi di cui all'art. III Cost., Sul punto - come ricordato sempre dalla citata Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G. - si è in tal senso pronunciata anche la Corte Costituzionale (C. Cost. 1 luglio 2009, n. 197). D'altra parte - fermo restando il carattere probatorio già di per sé dirimente circa l'elemento soggettivo, in ordine alla specifica posizione dell'imputato MA., delle dichiarazioni da questi rese il 2.5.2017 nel corso dell'interrogatorio reso dinanzi ai Pubblici Ministeri alla presenza del suo difensore fiduciario - questa Corte osserva che, più in generale, nessun senso avrebbero logicamente avuto, nel caso di effettivo convincimento dei vertici di B. (incluso il MA.) circa l'effettuato scomputo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza, tanto la "consegna del silenzio" vigente all'interno della banca (un esempio fra i molti è lo scambio di battute -"neanche il tuo cane io deve sapere" - tra Sa.So. e Um.Se. nel corso del comitato di direzione 10.11,2014: cfr. pagg. 30-31 del doc, 110 del P.M.), quanto la costante preoccupazione dello stesso imputato MA. di evitare di correre il benché minimo rischio di allertare gli organismi di vigilanza in ordine all'effettuazione di siffatte operazioni. A titolo esemplificativo, sotto l'ultimo dei due profili ora menzionati, si possono citare le seguenti emergenze processuali a carico del MA.: - deposizione del teste Co.Tu. (subalterno di Em.Gi. alla Divisione Mercati), pag. 70 del verbale stenotipico d'udienza 3.7.2019: "PUBBLICO MINISTERO DOTT. Sa. - Si ricorda, a dire di Mario, il perché di questi consigli? TESTIMONE TU. - Sempre, appunto, perché essendo un po' operazioni cosiddette, chiamiamole, "borderline", non ci fosse proprio la coincidenza dei tre eventi, cioè delibera, sottoscrizione e addebito, nella stessa data, Quindi che Consob e Banca d'Italia potevano in qualche modo dire qualcosa"; - intervento del MA. (corrispondente a "VM9", come egli stesso in sede di esame ha riconosciuto, cfr. pag. 58 verbale stenotipico 11 giugno 2020: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Pagina 42, invece, dice, 42 e a seguire, voce maschile 9, si, sa chi è? - IMPUTATO MA. - Sono io") nel f Comitato di Direzione del 10.11.2014, pagg. 42-44 della relativa trascrizione in atti sub doc. 110 del P.M., ove il MA. disserta con Pi.An. (VM10) in ordine a un'operazione correlata (cfr. sul punto anche pagg. 7-8 del verbale di interrogatorio MA. del 28.2.2017), prospettata dal PI. come possibile, da condursi con un soggetto avente sede in Roma (trattasi, come si vedrà infrat di quella che poi fu l'operazione "So.") e finalizzata a cercare di consentire l'uscita dai fondi esteri di 27 sui 42 milioni di Euro in azioni B. in essi ancora giacenti; ivi il MA. insiste in maniera particolare sulla necessità di non far coincidere l'entità del finanziamento con il valore delle azioni acquistate e di destinare una parte di esso all'acquisto di altri prodotti diversi dalle azioni in modo da non suscitare l'attenzione degli organismi di vigilanza: "VM 9 (Voce lontana) Bon bon non ... più che altro poi... No, cioè, nel senso che ... cioè, che non ci sia il collegamento tra 27 e 15, cioè V M 10 No, no, no, V M 9 (voce lontana) (inc.) piuttosto facciamo 3 milioni in più di finanziamento. V M 10 Ah, sì, sì, sì, V M 9 Capito? Ecco, e, quindi, gli facciamo comprare qualcos'altro E' questo un po'... V M 10 Sì, sì, sì, V M 9 Di non fare importi baciati, questo volevo dire, ecco, tutto qua. Sa. Va bene V M 10 Si può fare una roba ... V M 9 (voce lontana) Cioè, voglio dire, ne fai 25, dopo gli do un fido di 29, con gli altri 4 compra qualcos'altro (voci sovrapposte) (inc.) Sa. Oppure anche se lo portiamo ... V M 9 (voce lontana) E, dopo, gli altri 2, gliene piazziamo un altro, con un finanziamento di 4 (inc.) azioni, ma ... hai capito? Cioè, riesci a fare un misto (voci sovrapposte) (inc.)" - esame dibattimentale dello stesso MA. (cfr. pagg. 60-61 del verbale stenotipico d'udienza 11,6.2020), ove l'imputato, nel commentare proprio quello specifico passo della trascrizione del Comitato di Direzione del 10.11.2014, non si fa remore (come, del resto, già in precedenza nel corso del suo interrogatorio del 2.5.2017, ancor più esplicito sul punto: cfr. pag. 4 del relativo verbale) nel dichiarare che era per lui un'esigenza imprescindibile quella di evitare l'uso di ogni formula atta ad allertare, potenzialmente, gli organismi di vigilanza circa il carattere correlato della ivi ventilata operazione. Considerate, inoltre, le ulteriori discrasie - illustrate nelle pagg. 693 e ss. della gravata sentenza - tra i due interrogatori resi dal MA. il 28.4.2017 e il 2.5.2017 da un lato e il suo esame dibattimentale dall'altro lato, possono ritenersi provate a carico del MA., alla stregua delle considerazioni sopra svolte, quanto meno le seguenti altre rilevanti circostanze, dapprima ammesse nell'immediatezza dell'avvio delle indagini e indi ritrattate - o comunque significativamente ridimensionate - in dibattimento dall'imputato: - rilevanza dell'utilizzo della c,d. "causale generica sentinella": "In questa fase, ulteriore elemento che mi ha permesso di capire la natura correlata (all'acquisto di azioni B.) delle operazioni di finanziamento, è stata la formula che per prassi veniva inserita nella P.E.F., vale a dire espressioni del tipo "acquisto valori mobiliari o immobiliare" oppure "cogliere opportunità nel mercato mobiliare o immobiliare" (cfr. pag. 3 verbale di interrogatorio 28.4.2017), fermo restando che comunque una percentuale tutt'altro che irrilevante dei finanziamenti correlati (pari a poco meno del 40%), in base alla stessa relazione depositata dai consulenti del P.M., non era invece connotata dall'utilizzo di tale causale; - consapevolezza "in tempo reale" dell'esistenza del fenomeno degli storni (fenomeno che, viceversa, in sede di esame dibattimentale - cfr. pagg. 45-46 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 - il MA. ha sostenuto essergli divenuto noto solo nel 2015 quando ormai era divenuto direttore generale della siciliana Ba.Nu.): "Comunque, per i finanziamenti baciati, le condizioni economiche erano di mercato; in genere, lo spread era previsto nella misura del 1-1,5%, da aggiungersi al tasso EURIBOR trimestrale o semestrale del periodo (si trattava sempre di finanziamenti a tasso variabile). Ciò nonostante, la redditività di alcuni di questi rapporti era negativa in conseguenza degli "storni" di competenza e/o di valuta riconosciuti Nel corso delle sedute del CdA è capitato più volte che, in sede di esame della proposta di rinnovo di un finanziamento baciato, all'esito della mia esposizione della relativa proposta, qualche consigliere abbia chiesto spiegazione delle motivazioni di tale redditività negativa. A queste domande, rispondeva sempre il D.G. So. giustificando la redditività negativa con motivi tecnici e, comunque, rassicurava il Consiglio dicendo che avrebbe dato indicazione alla Divisione Mercati di rivedere le condizioni del finanziamento in esame" (cfr. pag. 2 verbale di interrogatorio 2.5.2017); - carattere effettivamente correlato - peraltro agevolmente evincibile già dalle pagg. 41-44 della trascrizione del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, doc 110 del P.M. nonché, più ancora, dalla deposizione del teste Va.Ma. e dall'intercettazione n. progr. 478 dell'8.9.2015, sulla quale v. subito infra - della c,d. operazione "So." (cfr. pagg. 7-8 verbale di interrogatorio 28.4.2017), viceversa negato dal MA. in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 54 e ss. del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020). In relazione all'operazione "So." la difesa, alle pagg. 25-26 della memoria depositata all'udienza del 30.9.2022 a conclusione della propria arringa (nonché nel corso di quest'ultima: cfr. pagg. 71-72 verbale stenotipico 30.9.2022), ha inteso sostenere, allegando a tale atto una P.E.F. redatta in tal senso il 27.11.2014 con delibera favorevole del CdA datata 2.12.2014, che si trattò non già di una operazione di finanziamento correlato (c.d. "baciata") bensì di un'operazione di tutt'altra natura, immobiliare, citando peraltro all'uopo solo un breve stralcio iniziale dell'esame del teste Va.Ma. (A.D. del Gruppo So.) estrapolato dal contesto ben più ampio della sua complessiva deposizione resa all'udienza del 12.12,2019. Dal prosieguo della deposizione Ma., viceversa, emerge chiaramente: - che lo stesso Ma. aveva effettivamente intavolato, con B., iniziali trattative unicamente finalizzate a che detto istituto di credito entrasse, con una trentina di milioni di Euro, a far parte di un sindacato di banche chiamato ad erogare a So. un normale e regolare mutuo immobiliare destinato a finanziare l'acquisto di "un immobile in America, in Throne Building, che è un immobile fatto proprio a trono, dove c'è il Civic Opera House di Chicago, ed era un immobile che costava sui 120 milioni di dollari, e stavamo cercando delle banche per un mutuo" (cfr, pag. 10 esame testimoniale cit., prima parte; le modalità di quello che sarebbe dovuto essere il mutuo immobiliare erogato da B., in realtà mai perfezionatosi a livello di stipula contrattuale fra le due parti, sono poi spiegate dal teste Ma. alle pagg, 11-12 ibidem); - che tuttavia, mentre la prospettata operazione di mutuo immobiliare non venne alla fine mai perfezionata inter partes, accadde che Pi.An. (Direttore della Divisione Finanze di B.) chiese al Ma., verso la metà del mese di dicembre 2014, di comprare a sconto 25 milioni di azioni B. per aiutare la banca a collocarle (cfr, seconda parte pag. 10 esame testimoniale Cit.: "TESTIMONE Ma. - E poi avvenne che, poco prima di Natale, mi pare il 14, guardi, adesso non ricordo, o del 15, il dottor Pi. mi disse: siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni, se vi diamo un finanziamento di 25 milioni, comprereste delle nostre azioni? E io dissi: vabbè, tanto era un'operazione... Veramente prima sembrava dovesse essere un'operazione pronti contro termine, cioè 25 milioni di affidamento che dovevano servire per comprare l'immobile ci venivano dati, però, intanto, dovevamo fare un'operazione pronti contro termine acquistando titoli di Stato come sottostanti; in realtà, poi mi disse: invece di titoli di Stato, perché non prendete le nostre azioni? Rimasi un po'devo dire, perplesso, però poi lo abbiamo fatto (...). Ci tengo a dire, però, che questo finanziamento non ci fu dato, e noi lo abbiamo gestito, cioè non è che ci hanno dato 25 milioni e noi abbiamo visto un dollaro, un euro o una sterlina: entrarono e uscirono per comprare le azioni"); - che, come detto, nessuna operazione di mutuo immobiliare fu alla fine stipulata in concreto tra B. e il Gruppo So. benché le iniziali trattative avessero avuto quell'oggetto (cfr. pag. 12 esame testimoniale cit.: "TESTIMONE Ma. - Con il dottor Pi. si era avviato un rapporto, cercando di aumentare le operazioni da fare. E c'era questa operazione immobiliare che io ho evidenziato, e la Banca (...) mi chiese, dice: vorremmo entrare anche noi a far parte di questo pool di banche per finanziare l'operazione di Chicago, e io dissi va bene nell'ambito di questo... PRESIDENTE - Ma poi sono entrati in questo sindacato di banche? TESTIMONE Ma. - Beh, no, è successo che ci hanno chiesto questa operazione con le azioni, si è ritardato l'acquisto dell'immobile, e poi siamo rimasti con le azioni della banca che si sono deprezzate. PRESIDENTE "Cioè, quindi, questa operazione di finanziamento finalizzata all'acquisto di azioni? TESTIMONE Ma. - Si è deviata su quest'altra. PRESIDENTE - E non ha più avuto nessun nesso con l'operazione immobiliare? TESTIMONE Ma. - No, assolutamente no"); - che in concreto il suddetto finanziamento da 25 milioni dì Euro (con ogni evidenza, atteso quanto sopra, correlato all'acquisto di azioni B.: cfr, ad ulteriore riprova anche pag. 13 della deposizione Ma., laddove il teste riferisce di una promessa verbale di riacquisto delle azioni fattagli da An.Pi. e dal D.G. Sa.So. durante un incontro congiunto) venne erogato alla So. Group International Holding non già dalla capogruppo B. bensì dalla sua controllata irlandese Fi. (cfr. pagg. 10-11 esame testimoniale cit.). Fra l'altro è lo stesso imputato MA., nel corso del suo esame (cfr. pag. 61 verbale stenotipico 11.6.2020), a confermare che "L'operazione che è arrivata il 2 di dicembre, che è andata in delibera (...) l'hanno perfezionata mantenendo i depositi ma non facendo l'acquisto dell'immobile". Nel senso del carattere correlato dell'operazione "So.", già ben evidente da quanto fin qui detto, nonché nel senso della consapevolezza di ciò in capo al MA., milita del resto un ulteriore pregnante elemento probatorio. Trattasi della conversazione telefonica captata n. progr. 478 dell'8.9.2015 tra Fr.Io. (nuovo Direttore Generale di B., subentrato al posto di Sa.So., che nell'occasione - così dice Io. nelle prime battute della conversazione intercettata - doveva incontrarsi fra un'ora proprio con un legale del Gruppo So.) e Pa.Ma., pagg. 160-164 della perizia di trascrizione: (omissis) Per inciso un'altra affermazione resa dal MA. in sede di esame dibattimentale (cfr. pag. 63 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 nonché pag. 48 verbale stenotipico d'udienza 16.6.2020), secondo cui egli avrebbe appreso solo a marzo 2015 dagli organi di stampa del rilascio di lettere di impegno da parte di B., è smentita dal tenore dei seguenti passi del doc 110 del P.M., corrispondente alla trascrizione del file audio del Comitato di Direzione del 10.11.2014, al quale il MA. era presente: (omissis) Con ogni evidenza, invece, quand'anche il tenore del passo del Comitato di Direzione 10.11,2014 corrispondente alla pag. 40 della sua trascrizione (doc, 110 del P.M.) fosse - il che non è - di ambigua interpretazione, certo non può dirsi altrettanto del successivo passo di cui alla pag. 78, ove il parlante, che-anche in tal caso è Em.Gi., platealmente ed esplicitamente collega la necessità di emettere quella che egli chiama "side letter" al timore dell'acquirente di ritrovarsi titolare di azioni B. fortemente deprezzate rispetto al valore nominale da tempo fissato in Euro 62,50, come ormai andavano pubblicamente ventilando alcuni organi di stampa. Ciò posto, non è fondato neppure l'assunto difensivo - cfr, pagg. 174-178 atto di appello - secondo cui difetterebbe il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso specificamente ascrivibile del maggiore capitale finanziato complessivo, sicché risulterebbe impossibile, a detta dell'appellante, valutare la reale offensività di ciascuna condotta e, segnatamente, della condotta del MA.. Al contrario, proprio muovendo da quanto dichiarato anche in sede di esame dibattimentale dallo stesso MA. - cfr. pagg, 35-36 del verbale stenotipico d'udienza 16.6.2020 - circa le sue competenze in tema di deliberazione individuale (fino all'ammontare di Euro 6 milioni) nonché in tema di presentazione delle pratiche di finanziamento ai vari organi collegiali (per le pratiche di valore superiore), risulta puntuale e ineccepibile la ricostruzione, operata dal tribunale di Vicenza alla pag. 700 dell'appellata sentenza, righi 24-38, del volume di finanziamenti correlati - obiettivamente ingente: si tratta di complessivi 800 milioni circa di euro - alla cui realizzazione il MA. ha direttamente prestato, rivestendo di volta in volta l'uno o l'altro dei suddetti ruoli, il suo personale apporto concorsuale. Ne consegue l'infondatezza, altresì, dello strettamente correlato ulteriore assunto difensivo (svolto alle pagg. 177-178 dell'atto di appello) secondo cui il giudicante si troverebbe per ciò stesso nell'impossibilità di "valutare se, sottratto al valore di mercato il capitale asseritamele finanziato per la parte direttamente riferibile a Ma./ il valore (delle azioni B.) sarebbe stato diverso od uguale, con riferimento ai ratios obbligatori" e dunque se la condotta dell'imputato - come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità in tema di aggiotaggio: l'appellante cita in particolare Cass. Pen. Sez. 5, n. 4324 del 08/11/2012 dep. 29/01/2013, Dall'Aglio e altro, nonché Cass. Pen. Sez. 5, n. 45829 del 16/07/2018, imp. F. - possa davvero definirsi "concretamente idonea ad influire sulla formazione della volontà negoziale dell'investitore e meglio persuaderlo della convenienza nell'impiego del denaro con l'investimento del titolo" (cfr. pag. 177 atto di appello, cit.). Le ingenti proporzioni, poco sopra illustrate, del fenomeno delle operazioni di finanziamento correlate alle quali il MA. ha, in una forma o nell'altra, prestato direttamente il suo apporto concorsuale - si tratta in buona sostanza dei due terzi circa del totale - consentono infatti di dare risposta senz'altro affermativa a tale quesito sollevato dalla difesa. D'altra parte è dimostrato in atti - cfr. in particolare, v. meglio infra, le pagg. 67-68, 76-77 e 78 del più volte citato doc. 110 del P.M. (trascrizione del file audio relativo al Comitato di Direzione 10.11.2014) in contrapposizione al doc, 646 del P.M., ossia alla rassicurante lettera ai soci datata 4.12.2014 a firma del Presidente ZO. (sulla quale parimenti v. infra) - come tutti i vertici dirigenziali dell'istituto di credito fossero consapevoli della pesante sopravvalutazione dell'azione B., che andava rivelandosi sempre più illiquida e sempre meno appetibile e che pure, per continuare a sostenere l'apparenza di forza e solidità ostentata dalla banca, andava offerta - e di fatto veniva offerta - dalla rete alla clientela con insistenza "martellante" (per usare un'icastica espressione impiegata dall'imputato GI. durante il Comitato di Direzione del 10.11.2014, cit., cfr. pag, 34 del doc. 110 del P.M.), mentre dall'altro lato andavano significativamente ingrossandosi le fila - peraltro destinate a una sempre più lunga attesa, della quale molti azionisti si dolevano con reclami formali - di coloro che richiedevano alla banca di poter vendere le azioni in loro possesso (a tutto il 10.11.2014 risultavano pendere a tal proposito 313 reclami formali di soci: cfr. pagg. 23-25 del doc, 110 del P.M.); costoro erano resi oggetto di rassicurazioni prive di qualsivoglia corrispondenza con la situazione reale del titolo B.. Ed invero nel ristretto consesso verticistico-dirigenziale del Comitato di Direzione 10.11.2014, alla presenza del direttore generale Sa.So. e di tutti gli altri vicedirettori generali incluso il MA., il direttore della Divisione Mercati Em.Gi. esprimeva - come già visto sopra nel trattarne la posizione - in termini quanto mai chiari la sua inquietudine: a) per i preoccupanti scenari che andavano profilandosi - quanto al drastico calo del valore effettivo del titolo azionario, il cui valore nominale era ancora, all'epoca, fissato a 62,50 euro - qualora non si fosse riusciti a trovare una soluzione al circolo vizioso instauratosi, in virtù del quale, nonostante un protratto massiccio ricorso al finanziamento correlato tale da impattare significativamente sul patrimonio di vigilanza, non solo continuavano ad esservi azioni B. per decine e decine di milioni di Euro da collocare con la massima urgenza (fatalmente, dunque, finendosi con il dover fare ricorso, ancora una volta, anche ai finanziamenti correlati), vuoi perché giacenti in eccesso nel fondo acquisto azioni proprie vuoi perché detenute da fondi esteri, ma altresì incombeva un numero oramai imponente di domande pendenti di vendita di ulteriori azioni B.; b) per il fatto che di tali preoccupanti scenari, nonostante la consegna del silenzio verso l'esterno pretesa in B. sull'argomento, avesse ormai iniziato a scrivere a più riprese - come già accennato saprà - la stampa nazionale (si vedano, entrambi acquisiti al fascicolo del dibattimento, il già citato articolo de "Il." del 24 ottobre 2014 a firma Cl.Ga. nonché un altro articolo del "Co.", di un paio di settimane successivo, a firma Stefano Righi, intitolato "Banche, se Veneto e Vicenza valgono Ubi" (prodotto quale "fonte aperta" dalla difesa del coimputato Pi. all'udienza del 4,2,2020), ove si puntava l'attenzione sul fatto che B. e Ve., società cooperative per azioni non quotate in Borsa in relazione alle quali il valore del titolo azionario era determinato in via unilaterale mediante perizia affidata a uno specialista nominato dalla stessa banca, paradossalmente fossero "gli unici casi di banche che "valgono" di più del loro patrimonio netto iscritto a bilancio"; tale articolo di stampa si concludeva affermando che "si può anche applicare il rapporto di (...) ai titoli della Vicenza e della Veneto. In questo caso i titoli della Vicenza raggiungerebbero un valore di 21,90 euro; quelli di Ve. un valore di 15,20 Euro. Secondo i fautori del credito non quotato - principio condivisibile per i piccoli istituti locali e le Banche di credito cooperativo, assai meno quando le dimensioni diventano, appunto, europee - è una questione di principio. Ma talvolta, come cantava En., quando si dice che è per principio, è per i soldi. Gli stessi che molti azionisti di alcune banche popolari non quotate - tra cui Vicenza e Veneto - faticano a realizzare dalla vendita delle loro azioni, perché illiquide. li problema si trascina da tempo le assemblee della scorsa primavera e le ripetute lettere ai giornali ne sono testimonianza. Molti si sono voltati dall'altra parte, ma oggi una soluzione, europea o italiana, attraverso la Consob o le organizzazioni a tutela dei risparmiatori, andrebbe trovata"). Al riguardo sono illuminanti i seguenti passi dell'intervento del GI. - alla presenza, lo si ripete, del MA. e degli altri vicedirettori generali oltre che del direttore generale So., nessuno dei quali ivi esprime il benché minimo abbozzo di reazione anche solo moderatamente stupita - in seno al Comitato di Direzione 10.11,2014 (la numerazione delle pagine si riferisce sempre alla trascrizione, prodotta dal P.M. quale suo doc. 110, del relativo file audio): (omissis) Stridente è il contrasto tra la preoccupante situazione effettiva del titolo B. - come sopra esposta e in tal guisa ben nota a tutti i dirigenti di vertice della banca, incluso il MA. - e il tenore della lettera ai soci, a firma del presidente ZO., di lì a poco inviata ai titolari di azioni B. recante la data del 4.12.2014, in atti sub doc, 646 del P.M., ove si legge fra l'altro quanto segue: "(...), Abbiamo sempre fatto il nostro dovere di banca al servizio del territorio nell'interesse dei nostri Soci e dei nostri Clienti, ma per continuare lungo questa direttrice non dobbiamo farci distrarre né da chiacchiere né da pettegolezzi. Abbiamo bisogno solo di due cose. La prima riguarda il nostro Paese ed è l'attuazione più veloce possibile di politiche di governo, nazionali e comunitarie (...). La seconda cosa, altrettanto importante, è la fiducia dei Soci in questa Banca che vuole aiutarli a proteggere i loro investimenti. Abbiamo tutelato in questi anni il valore dell'azione Banca (...), evitando la quotazione in borsa dei nostro titolo anche quando tanti lo consideravano conveniente. Ora, dopo che negli ultimi dieci anni i titoli delle banche quotate hanno perso in media il 60% del loro valore mentre quello della nostra azione è cresciuto del 33%, sappiamo che abbiamo avuto ragione e che, i nostri 110.000 Soci ce ne sono grati So che qualche Socio lamenta che i tempi di vendita delle nostre azioni si sono allungati. E' vero, come è vero che, con la crisi, tutti i mercati sono rallentati e la domanda è debole, in ogni settore, persino quello Immobiliare (,..). Gli scenari economici che abbiamo davanti non sono ancora incoraggianti ma siamo una banca forte e sana e non ci fermeremo nel nostro percorso di crescita (...)". Alla stregua delle considerazioni da ultimo esposte, dunque, sono destituite di fondamento anche le argomentazioni difensive svolte alle pagg. 177 -178 dell'atto di appello. Ciò posto, vanno disattese anche le censure sollevate dall'appellante in tema di ostacolo alla vigilanza. Giova anzitutto ricordare che il MA., in sede di esame dibattimentale (cfr. pag. 76 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020), ha sostenuto: - non soltanto di avere provveduto in data 4.7.2012 a ordinare di far caricare nel disco/directory allestito e gestito dall'internal audit per Banca d'Italia (come risulta per tabulas anche dal carteggio via e-mail datato 4.7.2012 di cui al doc. 508 del P.M) il mero elenco - dal quale (basta esaminare il relativo documento, in atti, nulla però può evincersi, di per sé, in ordine alla correlazione o meno delle relative posizioni - dei primi 30 soci di B. per numero di azioni possedute con indicazione per ognuno del controvalore delle azioni, così esaudendo la richiesta rivoltagli a voce il giorno prima dagli ispettori Ge.Sa. e Vi.Te. su impulso proveniente dal capo del team ispettivo Gi.Sc. (richiesta conseguente alla scoperta, da parte degli ispettori, delle peculiari "sfasature temporali" che connotavano la singola posizione Ca.-Lu., in relazione alla quale il MA., a suo dire, ebbe a rispondere candidamente che si trattava di un finanziamento correlato); - ma di avere altresì, la sera stessa del 4 luglio 2012, consegnato egli personalmente a mano al team ispettivo la versione cartacea del medesimo elenco dei primi 30 soci poi caricato nel disco di Banca d'Italia in formato digitale, specificando in più a voce, contestualmente e del tutto spontaneamente, expressis verbis, che, fra quelle 30 posizioni, 14 presentavano finanziamenti correlati per l'acquisto di azioni B.; al che gli sarebbe stato risposto, sempre a voce, di mettere a disposizione di Banca d'Italia tutti i relativi incartamenti integrali, cosa che a detta del MA. sarebbe stata fatta - tanto in cartaceo quanto in digitale mediante caricamento nel disco/directory di Banca d'Italia previa scannerizzazione - già in data 5 luglio 2012 (cfr. pag. 76 cit.: "Il 3 luglio incontro, come da mio appunto, il dottor Te. e il dottor Sa. per realizzo coattivo di azioni, poi ce l'ho io anche l'originale, che è stato fotocopiato in interrogatorio, il 3 luglio me lo chiedono e mi dicono anche: "Su richiesta del dottor Sc. ci mandi l'elenco dei primi trenta soci della banca, con controvatore delle azioni, intanto ce lo mandi e poi ci venga a dire quali sono i finanziamenti in essere e quindi i fascicoli di queste posizioni", "Va bene". Il 4 luglio alla sera, come dagli elenchi che avete in interrogatorio, noi consegniamo tutti i realizzi coattivi e annullamenti che sono stati fatti dall'Ufficio Soci a seguito della richiesta del dottor Te., ai sensi del 16 e 20 dello Statuto, è stato fatto la sera del 4 luglio; io poi quel giorno lì ero da clienti, quando Am. è stato chiamato dal Direttore. Nel frattempo, quando ho consegnato l'elenco dei trenta e fatto caricare all'Audit, il 4 luglio sera, nel disco Bankit, sono salito, gliel'ho dato a mano e gli ho detto; "Di queste, quattordici posizioni hanno affidamenti", "Per cosa?", "95% i finanziamenti per comperare azioni, tipo Ca."f "Ci porti tutti i fascicolilo il giorno dopo ho fatto scannerizzare tutti i fascicoli di tutte quelle operazioni ti alla segreteria e sono stati consegnati a mano e poi caricati nel portale. Ho informato il Direttore Generale, anche per iscritto, il 5 luglio sera, che mi avevano chiesto di questi finanziamenti, ma l'altra cosa che mi è rimasta molto impressa è il primo mail di Ge.Sa. sulle richieste che ha fatto, dove come oggetto mette "info acquisto azioni Po.Vi.". Questo lui ha scritto nella e-mail come oggetto, che poi ce lo siamo girati tra tutti i dirigenti, quindi lui aveva già guardato diverse pratiche e chiedeva domanda di acquisto, la data di ammissione a soci e quant'altro, Poi lui ha fatto tutto con il dottor Am.; io dalla consegna del 5 luglio sera, di tutto quello che è stato fatto, di azioni con finanziamenti per acquisto azioni non ho più parlato con loro, ho seguito tutti gii altri tipi di pratiche ordinarie o crediti anomali o quant'altro"). Ciò che MA. nel suo esame definisce "il primo mail di Ge.Sa. sulle richieste che ha fatto, dove come oggetto mette "info acquisto azioni Po.Vi." fa parte della corrispondenza dì cui al doc. 509 del P.M., che comprende: a) la e-mail per l'appunto inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. della Divisione Crediti di B. alle ore 15.47 del 4.7,2012, testualmente intitolata "RICH IONFO ACQUISTO AZIONI NPOPVI" ed avente il seguente tenore: "Gent.mo dr Am., faccio riferimento alla verifica sugli azionisti B. che, allo stesso tempo, sono affidati dalla banca. Le chiedo cortesemente di verificare se per i nominativi indicati in calce (El., Te.Sa., Br.Fu.) - analogamente a quanto effettuato per i signori Ca. e Lu. - le date di acquisto delle azioni Po. e il tipo di provvista utilizzata" (l'Am. inoltrava per conoscenza tale e-mail al MA. alle ore 16.18 del 4.7.2012; a ciò seguiva, cfr. doc. 510 del P.M., rinvio da parte del MA. a Gi.Em. e a Tu.Co. della Divisione Mercati, nonché per conoscenza al proprio subalterno Ci.Am., di una e-mail in data 4.7.2012 ad ore 16.41, avente il seguente tenore: "Dei 30 primi soci presentati agli ispettori, le richieste per ora di approfondimenti dopo che il sottoscritto ha illustrato con posizione fido/cliente le controparti sono le tre sotto indicate. Prepariamo la documentazione con l'ausilio del collega Ro.Fi., già contattato da Am., e dal quale chiediamo celerità"), b) una seconda e-mail inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. alle ore 18.12 del 5.7.2012 (e inoltrata dall'Am. un paio di ore dopo a Fi.Ro. dell'Ufficio Soci oltre che al MA. e al collega Ba.Al.), intitolata "neh info acquisto azioni-integrazione" ed avente il seguente tenore: "Ad integrazione della precedente richiesta di pari oggi La prego di inserire anche i seguenti nominativi; To.Ma., Bu.Sa."; c) una e-mail indi inviata da Ma.Pa. al d.g. So.Sa. e al direttore della Divisione Mercati Gi.Em. alle ore 20.48 del 5.7.2012 ove, nell'inoltrare ai predetti la nuova richiesta formulata all'Am. dal Sa., il MA. così si esprimeva: "Hanno aggiunto richiesta informazioni. Su To. e Bu. che non fanno parte della lista dei 30 azionisti consegnata. Hanno guardato il Gruppo So. S.p.A. che abbiamo consegnato 20 gg. fa essendo nella lista di clienti con un accordato superiore ai 25 mm di Euro e hanno visto le posizioni. Ciao". In sede di esame il MA. ha proseguito affermando che il team ispettivo ebbe a parlare di posizioni di finanziamento correlato non solo con lui ma anche con il suo subalterno Ci.Am., precisando che di tutto quanto sopra, e in particolare della materiale consegna dei relativi incartamenti integrali in copia agli ispettori in aggiunta alla lista dei primi 30 soci (quest'ultima risultante pacificamente caricata sul disco/directory della Banca d'Italia: cfr., sub doc. 566 del P.M., la e-mail inviata al team ispettivo il 5.7.2012 ad ore 9.04 dal responsabile dell'internal audit Ma.Bo., addetto alla gestione di tale supporto), sarebbe stato a piena conoscenza anche il collega Sa.Re., a sua volta diretto subalterno dell'Am.: "Con me ne hanno parlato con quattro o cinque; il resto, di cui io avevo già parlato, le hanno richieste anche ai dottor Am., le stesse cose. Quindi con me o con il dottor Am.. La struttura era assolutamente informata che avevo consegnato, dei Crediti, tutti i fascicoli, perché hanno fatto le fotocopie e tutto quanto e Sa.Re. è andato a comunicarlo, come ho sentito, anche agli altri dirigenti" (cfr. pag. 77 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020). Sostanzialmente analoghe, nel loro nucleo essenziale, erano state le dichiarazioni rese sul punto dal MA. nei suoi interrogatori resi il 28.4.2017 e il 2.5.2017 dinanzi ai Pubblici Ministeri con l'assistenza del suo difensore fiduciario, con la differenza, però, che ivi l'imputato aveva affermato di avere personalmente discusso a voce con i due ispettori Te. e Sa. solo due delle quattordici posizioni "baciate" in oggetto (a suo dire ammontanti, come valore complessivo, a Euro 234 milioni; cifra, questa, che in effetti a più riprese la difesa in sede di discussione - cfr, in particolare pag, 75 verbale stenotipico 30.9.2022 e pag. 30 della coeva memoria conclusiva - ha dato nel presente giudizio per dimostrata ed evidente già nell'ispezione del 2012 - il che non è, come si vedrà infra - quanto al controvalore delle operazioni correlate che sarebbero state documentate al team ispettivo dalla Divisione Crediti), segnatamente la Ca.-Lu. e la Da., lasciando ai suoi subalterni - Ci.Am., An.Re., Pa.Se., ma di questi ultimi due il MA. si dichiarava non più sicuro nell'interrogatorio del 2 maggio, ribadendo tale incertezza anche nel suo esame dibattimentale dd. 11.6.2020, cfr. pag. 78 del relativo verbale stenotipico - il compito di discutere con gli ispettori le rimanenti posizioni "baciate". Al riguardo, tra la pag. 4 dell'interrogatorio 28 aprile 2017 e le pagg. 5-6 di quello del 2 maggio 2017, possono - come detto - notarsi apprezzabili discrasie; a sua volta, come si è visto, la versione dei fatti resa dal MA. nell'esame dibattimentale è ancora diversa su tale specifico punto. In ogni caso tanto il Se. (cfr, il suo esame dibattimentale alle pagg. 62-72 del verbale stenotipico d'udienza 30,1,2020) quanto il Re. (cfr. il verbale delle s.i.t. dallo stesso rese in data 15.9,2016, acquisito al fascicolo del dibattimento su consenso delle parti all'udienza del 29.9,2020) hanno recisamente negato che ciò sia avvenuto; a sua volta il teste Sa.Re. ha reso in sede di esame (cfr. pagg. 39-40 del verbale stenotipico d'udienza 12.12.2019) dichiarazioni di tenore opposto alle affermazioni del MA. che lo riguardano. Dal canto suo il teste Ci.Am. (il cui esame dibattimentale si è articolato nel primo grado del presente giudizio in due udienze: cfr. pagg. 66-122 verbale stenotipico 11.2.2020 e pagg. 12-88 verbale stenotipico 13.2.2020) ha reso in detta sede un'ampia deposizione, sostanzialmente congruente con la tesi difensiva del MA., i cui contenuti sono stati minuziosamente passati in rassegna (e vagliati analiticamente sia quanto alla loro coerenza intrinseca, rivelatasi in più punti estremamente carente, sia quanto ai pretesi riscontri esterni, rivelatisi in realtà inesistenti) dal giudice di prime cure: cfr. pagg. 454-457, 459-462 e 465-469 sentenza gravata. Ebbene, per ciò che attiene all'ispezione condotta da Banca d'Italia nel 2012 (tema affrontato dalla gravata sentenza, quanto al MA., alla pag. 692 mediante un rinvio "alla trattazione specifica nel capitolo IX" (in realtà sì tratta del capitolo Vili, par. 2., corrispondente alle pagg. 446-475 della sentenza di primo grado) la difesa, in ultima analisi, si fonda sul contrapporre la deposizione del teste Ci.Am. (appartenente alla Divisione Crediti diretta dal MA.), da essa indicato come "unico tra quelli sentiti che non aveva alcun interesse a nascondere qualcosa o a riferire cose diverse dal reale" (cfr, pag. 101 atto di appello) - il quale ha inteso confermare l'assunto del MA. circa l'avvenuto "disvelamento" al team ispettivo di Banca d'Italia di una quindicina circa di operazioni correlate (con asserita pronta consegna agli ispettori della relativa documentazione integrale) - al complesso delle deposizioni - tra loro convergenti, invece, nel senso che siffatto "disvelamento" non abbia mai avuto luogo - rese dai vari appartenenti al predetto team ispettivo; queste ultime deposizioni sarebbero tutte viziate, secondo la difesa, da un'inattendibilità dovuta al "peccato originale che Banca d'Italia vuole emendare in questo processo: ha creduto e ha incentivato la crescita della Banca (...) e ora, a banca collassata, non può permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva o, peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello), definendo di conseguenza l'argomentazione del primo giudice at riguardo come "prima che ingenua, illogica: si può veramente pensare che fianca d'Italia possa pubblicamente, per voce dei suoi ispettori, ammettere di aver quantomeno tollerato che in Banca (...) ci fossero finanziamenti destinati all'acquisto di azioni?" (cfr. pag. 119 atto di appello). Ad avviso di questa Corte il primo giudice ha viceversa fatto buon governo di tale complesso materiale istruttorio (né ha apportato novità apprezzabili l'acquisizione, nel presente grado di giudizio, dei verbali delle dichiarazioni rese dai testi Am. e Sa. - nel distinto procedimento n. 1031/20 R,G. - 5628/15 R.G.N.R. in corso a carico di So.Sa. - in occasione delle udienze, rispettivamente, 8.3.2022 e 18.3.2022; sul punto v. più ampiamente infra). Valgano al riguardo le seguenti considerazioni. 1. Il tribunale ha opportunamente evidenziato "cfr. pag. 699 sentenza gravata - il silenzio serbato sul preteso "disvelamento delle 14 posizioni correlate" dal MA. con l'interlocutore Di.Gr. in una conversazione telefonica captata, la n. progr. 2342 del 29.10.2015 (pag. 182 perizia trascrizione), ove l'imputato da un lato commenta, con una risatina, "La Banca d'Italia le sa leggere le istruttorie o no, a questo punto mi chiedo, hai capito?" ma dall'altro lato, in concreto, si limita a riferire al Gr. - che era stato il D.G. di B. prima dell'avvento di Sa.So. - di avere "consegnato l'elenco dei primi trenta soci finanziati dalla banca all'ispezione della Banca d'Italia", non facendo viceversa parola della qui pretesa e rivendicata rivelazione agli ispettori, da parte della Divisione Crediti, del carattere correlato della metà circa di quelle posizioni: "(...) Pa.: Ma, e fermo, e poi quelle pratiche lì, adesso l'ho trovato, perché ho trovato nei miei file... nei miei file: nel 2012, durante l'ispezione... - V.M.: Sì... - Pa.: ...ho consegnato l'elenco dei primi trenta soci finanziati dalla banca all'ispezione della Banca d'Italia, e ci sono tutti sti nomi qua che mi stanno... Che la Banca d'Italia non ha riportato niente nel verbale che ci ha consegnato nel 2013... - V.M.: Eh, - Pa. (Risatina): Cioè, voglio dire, quindi, signori, son valutazioni di merito creditizio, non mi dice niente neanche la Banca d'Italia, cos'è che volete? - V.M.: Eh già, - Pa.: La Banca d'Italia le sa leggere le istruttorie o no, a questo punto mi chiedo, hai capito? (Risatina) Ecco. - V.M.: Sì... No, no. - Pa.: Vedremo, vedremo, dai. ("?.), Pa.; L'ottimo sarebbe lunedì ... a. - V.M.: Lunedì, lunedì. - Pa.: Beh, domani io vedo l'avvocato, potrei venire anche lunedì, così mi dai dei consigli anche te, dai. - V.M.; Esatto. - Pa.: Lunedì, va bene, dai. - V.M.: Lunedì... - Pa.; Sì. - V.M.: Lunedì sì, pari pari. - Pa.: Va bene. Va bene. (...)". Si noti in effetti che: a) il MA. in tale conversazione parla con Gr. esclusivamente dell'unico documento che nel presente giudizio è effettivamente certo sia stato trasmesso nel 2012 agli ispettori di Banca d'Italia, ossia dell'anodina "lista dei primi trenta soci" (in realtà, cfr. il relativo documento in atti sub doc. 508 del P.M., non erano i primi trenta "soci finanziati", come egli afferma, bensì i primi trenta soci per numero di azioni detenute; fra essi vi erano anche nominativi di grossi azionisti, come Am., con certezza mai resisi destinatari di finanziamenti correlati: cfr. al riguardo pag. 17 verbale stenotipico esame GI. reso il 15.6.2022 in grado di appello), senza viceversa menzionare né consegne di altra documentazione né esternazioni verbali fatte agli ispettori circa quali e quante, di quelle trenta posizioni, godessero di finanziamenti correlati; b) per giunta - e ciò è significativo - MA. precisa a Gr. di essersene ricordato solo consultando i suoi fife (il che risulterebbe quanto meno peculiare - date la rilevanza e la portata potenzialmente dirompente della circostanza, come tale suscettibile di essere nitidamente ricordata anche senza siffatto ausilio - se alla consegna dell'anodina lista dei primi trenta soci si fosse realmente affiancato il preteso "disvelamento" agli ispettori circa il carattere correlato dei finanziamenti sottesi alla metà circa di dette posizioni); c) non regge neppure la giustificazione, offerta dal MA. nel corso del suo esame e ripresa dal suo difensore in sede di discussione (cfr, pag. 75 verbale stenotipico 30.9.2022), secondo cui egli non sì sarebbe dilungato al riguardo col Gr. in quanto la conversazione verteva sui consigli da chiedergli per organizzare la propria difesa nella causa intrapresa dinanzi al giudice del lavoro: tale ultimo argomento ha in realtà solo sfiorato la conversazione in quanto subito rinviato a un loro successivo incontro in Toscana, che i due fissavano proprio in occasione di detta telefonata. Il MA. nel suo esame (cfr. pag. 23 verbale stenotipico 16.6.2020) sostiene poi di avere riferito al Gr. del "disvelamento" in altri contesti ma trattasi di circostanza completamente sfornita di prova. 2. Il tribunale - cfr. pag. 466 e ss. sentenza gravata - ha opportunamente evidenziato come i colleghi della Divisione Crediti Sa.Re., An.Re., Pa. Se., Ma.De., menzionati (cfr. pagg. 108-109 del verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020) dal teste Am. quali persone che egli aveva reso a vario titolo partecipi del riferito "disvelamento" agli ispettori, abbiano viceversa tutti negato di essere stati relazionati in tali termini dall'Am. (mentre quest'ultimo, anche nella successiva, deposizione da lui resa l'8.3.2022 nell'ambito del separato giudizio pendente"' nei confronti di So.Sa., ha insistito sul suo assunto, finanche sostenendo che il MA. "chiese ai colleghi" della segreteria crediti, che era un'unità che dipendeva dal collega Sa.Re. dell'analisi, di stampare fe pratiche e i fidi di garanzie di tutti quanti questi primi 30 soci. So che i colleghi portarono il carrello su nell'ufficio degli ispettori.": cfr. pag. 49 del relativo verbale stenotipico). Sul punto il gravame non si confronta adeguatamente con la motivazione del collegio berico, limitandosi di fatto ad estrapolare, citandoli alle pagg. 105-107 dell'atto di appello, stralci assai parziali della deposizione del solo teste De. (la quale nella sua interezza occupa le pagg. 56-75 del verbale stenotipico d'udienza 19.12.2019) e obliterando gli ulteriori passi della medesima deposizione, illuminanti per chiarezza, citati - per esteso - alle pagg. 467-469 della gravata sentenza, oltre a trascurare totalmente quanto dichiarato al riguardo dai testi Re, Se. e Re.. Tra l'altro osserva questa Corte come lo stesso teste Am., nelle battute conclusive del suo esame dibattimentale nel primo grado del presente giudizio (cfr. pagg. 79-80 del verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020), modifichi - rispondendo alle domande del presidente del collegio - le sue precedenti affermazioni in ordine alle asserite rivelazioni da lui fatte al collega Sa.Re., ridimensionandole in misura sostanziale. 3. Il tribunale ha opportunamente evidenziato come, tra le plurime contraddizioni nelle quali è incorso il teste Am., vi sia quella riguardante l'assenza di ogni cenno al preteso "disvelamento delle 14 posizioni correlate" nell'intervista da lui data all'internal audit nell'agosto 2015 e il fatto che dapprima - cfr. pag. 114 verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020 - egli abbia cercato di motivarla con l'asserito carattere "veloce" del relativo colloquio intercorso con il responsabile dell'audit Ma.Bo., tale da non avergli consentito di riferirgli tutto quanto a sua conoscenza, salvo poi - cfr. pag. 85 verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020 - mutare radicalmente impostazione, contraddicendosi in toto, e sostenere che in realtà egli aveva puntualmente riferito al Bo. in ordine al "disvelamento" ma che questi nulla scrisse. Infine, nella deposizione da ultimo resa in data 8.3.2022 nell'ambito del separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. (cfr. in particolare le pagg. 56-59 del relativo verbale stenotipico), l'Am., forse consapevole dell'insanabile contraddizione nella quale era caduto due anni prima deponendo quale teste nel presente giudizio, ha tentato - così facendo, però, risultando viepiù palesemente contraddittorio - di sostenere al tempo stesso, con l'obiettivo di contemperarle, la tesi dell'estrema "velocità" del suo colloquio con Bo. (dovuta all'avere questi avuto ben 70 interviste da condurre in un ristretto lasso di tempo), con conseguente mancanza del "tempo materiale" per poter riferire tutto al responsabile dell'internai audit, e la tesi, con essa configgente, dell'omissione posta in essere da parte dello stesso Bo. il quale non avrebbe riportato per iscritto tutto quanto pur riferitogli a voce dall'intervistato (al che il P.M. esaminante si è ritrovato a tentare, per vero senza apprezzabile successo, di ricondurre ad unità tale intrinsecamente contraddittoria deposizione, v. pag. 57 ibidem: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Però, Am., io voglio sapere: lei in quel contesto non ha riferito di questi tre episodi perché non ha avuto il tempo o perché invece li ha riferiti ma Bo. non li ha scritti? Sono due cose differenti. Io vorrei capire qual è delle due"). 4. Nella nuova deposizione resa l'8.3.2022 nel separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. il teste Am. si dimostra, in effetti, non meno contraddittorio e non meno "debolmente attendibile" di quanto già egli non si fosse rivelato nell'esame reso nel primo grado del presente giudizio, entrando peraltro anche in parziale, ma significativa, contraddizione con affermazioni rese dallo stesso imputato MA.. A puro titolo esemplificativo si noti come l'Am. ivi fra l'altro sostenga (cfr. pag. 41 deposizione 8.3.2022): a) che "(...) Intanto Ma. viene contattato dagli ispettori per avere l'elenco dei primi 30 soci"? Ma. si fa dare l'elenco dei primi 30 soci. Questo il giorno dopo che avevamo visto Ca.-Lu., quindi il giorno del colloquio con So.. Fa stampare dalle colleghe della segreteria le pratiche di fido piuttosto che i fidi di garanzie di queste posizioni, che i colleghi portano su con il carrello sempre, e va a parlarne con gli ispettori", laddove in realtà si è visto come finanche il MA. sostenga di avere personalmente discusso funditus con gli ispettori solo una minimale frazione di tali posizioni delegando il resto allo stesso Am. e/o, in parte, a taluni subalterni del predetto (a maggior ragione dunque risulta inattendibile l'Am. allorquando - cfr. in particolare pag, 49 della sua deposizione 8.3.2022 cit., - giunge ora ad affermare - per la prima volta, come evidenziato dalla stessa difesa MA. nei suoi motivi nuovi d'appello - qualcosa che nemmeno il MA. sì è in realtà mai lontanamente spinto a sostenere nelle dichiarazioni da lui rese nel corso del presente giudizio, ossia che il prederò imputato avrebbe personalmente "visto i movimenti dei conto corrente con il dottor Sa., dal dottor Sa." relativamente alle posizioni El., Br.Fu. e Te.Sa., riferendo poi un tanto all'Am.); b): che "(...) sempre quel giorno dopo, che era il 5 luglio, mi arriva un'ulteriore e-mail da parte dei dottor Sa., il quale mi dice: "Come già fatto anche per le posizioni precedenti mi fornisca anche qua data acquisto e provvista, anche sulle posizioni Bu.Sa. e To.Ma.". Qui il teste Am., attribuendo al Sa. l'espressione "Come già fatto anche per le posizioni precedenti mi fornisca anche qua", pare voler alludere a una già avvenuta consegna, con conseguente consultazione completa da parte del team ispettivo o comunque da parte di Ge.Sa., quanto meno degli incartamenti riguardanti le posizioni El., Te.Sa. e Br.Fu. (oggetto, come si è visto suprat di una specifica e-mail inviata all'Am. dallo stesso Sa. alle ore 15.47 del 4.7.2012). Tuttavia il teste Am., in questa sua nuova deposizione, non riporta affatto in modo fedele il contenuto della da lui citata nuova e-mail inviatagli dal Sa. alle ore 18.12 del 5.7.2012 (doc. 509 del P.M.), che è invece il seguente, del tutto anodino ed anzi tale da indurre già di per sé a ritenere che la richiesta precedente fosse - quanto meno per il momento - ancora rimasta inevasa: "Buonasera. A integrazione della precedente richiesta di pari oggi La prego di inserire anche i seguenti nominativi: To.Ma., Bu.Sa.". Anzi osserva al riguardo la Corte come in atti vi sia l'evidenza documentale del contrario di quanto afferma sul punto il teste Am., posto che a tale data non si disponeva in realtà nemmeno delle copie degli ordini di acquisto delle azioni detenute da ognuno dei nominativi anzidetti, trattandosi di operazioni più risalenti nel tempo rispetto alla Ca.-Lu. e, quindi, da recuperare in archivio. Eloquenti sono in tal senso i docc. 511 e 512 del P.M., corrispondenti ad altrettante e-mail inviate all'Am. (e in copia al MA.) da Fi.Ro., responsabile della Gestione Soci: - doc. 511: e-mail inviata da Ro.Fi. in data 6 luglio 2012 alle ore 12.02: "Cl., Vi fornisco solo ora le copie degli ordini di acquisto richieste in quanto la documentazione relativa alle operazioni del 2010 è presso il nostro magazzino di Aite di Montecchio Maggiore e i tempi di recupero non sono immediati In allegato quindi copia degli ordini di acquisto di: - El. S.r.l. per 320.000 azioni (...); - Br.Fu. per 160.000 azioni (...); - Te.Sa. per 176.500 azioni (...)") "doc. 512: e-mail inviata da Ro.Fi. in data 9 luglio 2012 alle ore 17.03: "Cl., Vi fornisco le copie degli ordini di acquisto richieste che trattandosi di operazioni del 2010 sono presso il nostro magazzino di Alte di Montecchio Maggiore: Bu.Sa. per n. 81,000 azioni (...); To.Ma. per n. 81.000 azioni (...)". 5. Le considerazioni ora svolte rendono dunque viepiù inattendibile l'intera deposizione del teste Am. sul c,d. "disvelamento delle 14 posizioni correlate", incluso - lo si ribadisce - l'assunto (cfr. pagg. 41 e 49 verbale stenotipico 8.3.2022 cit.) secondo cui, in relazione alle posizioni El., Te.Sa. e Br.Fu., non soltanto sarebbero stati consegnati agli ispettori i relativi fascicoli integrali in formato cartaceo ma altresì lo stesso MA. gli avrebbe riferito di averne ampiamente discusso a voce con l'ispettore Sa., per giunta esaminandone i movimenti di c/c assieme a quest'ultimo (il quale, per parte sua, ha sempre recisamente negato in sede dibattimentale la veridicità di tutte queste circostanze). Non appare inutile ricordare nuovamente, al riguardo, come finanche lo stesso MA., con ciò di fatto sconfessando sul punto tali ultime "inedite" affermazioni dell'Am., sostenga si - da un lato-lato - di avere, con l'ispettore Sa., personalmente parlato della posizione Ca.-Lu., nonché dì avergli personalmente svelato in termini generici a voce, riservandosi di documentarglielo, che complessivamente 14 posizioni nella lista dei primi 30 soci (da luì consegnata, a suo dire, anche a mano in formato cartaceo) corrispondevano a finanziamenti correlati, ma abbia escluso - dall'altro lato - di avere mai avuto, al dì là di questo, altre interlocuzioni dirette e personali sullo specifico argomento con il Sa. (cfr. pag. 76 esame MA. 11.6.2020: "Poi lui (Sa.) ha fatto tutto con il dottor Am.; io dalla consegna dei 5 luglio sera, di tutto quello che è stato fatto, di azioni con finanziamenti per acquisto azioni non ho più parlato con loro, ho seguito tutti gli altri tipi di pratiche ordinarie o crediti anomali o quant'altro)". 6. Manca, in ogni caso, una qualunque attestazione dell'invocata consegna agli ispettori dei fascicoli cartacei concernenti le posizioni oggetto del preteso "disvelamento", laddove esistevano viceversa in B. precise istruzioni - già seguite durante le precedenti ispezioni e nuovamente impartite nel corso dell'ispezione del 2012 - circa la necessità, in caso di consegna di documenti in formato cartaceo, di predisporre un apposito elenco in formato Word ove andavano annotati "o documenti consegnati, la data di consegna e l'ispettore al quale gli stessi sono stati consegnati"; si veda al riguardo, sub doc. 500 del P.M., la dettagliata e-mail inviata in tal senso alle ore 10.11 del 31.5.2012 da Ma.Bo., responsabile dell'internal audit (che aveva in carico la gestione del disco-directory riservato a Banca d'Italia), a tutti i vertici dirigenziali di B. nonché ad alcuni fra i loro diretti subalterni fra cui lo stesso Ci.Am.. 7. per la verità, ferma restando l'assenza di riscontri circa l'assunto dell'imputato MA. e del teste Am. (inattendibili entrambi sul punto per tutto quanto sin qui detto e finanche, da ultimo, in parziale contraddizione reciproca) riguardo a una parallela consegna in formato cartaceo dei relativi incartamenti agli ispettori, lo stesso teste Am. nella seconda parte della sua deposizione resa nel primo grado del presente giudizio, durante il controesame condotto dal difensore della Banca d'Italia avv. Ce. (cfr., pagg. 57-59 verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020), ha finito con il riconoscere che, di fatto, egli non sa se in concreto il caricamento in formato digitale, all'interno del disc of directory della Banca d'Italia previa loro scannerizzazione, dei fascicoli afferenti alle quattordici posizioni "baciate" de quibus (caricamento invocato dall'imputato MA. come avvenuto) abbia realmente avuto mai luogo105. Né certo può bastare l'assenza in atti di solleciti alla consegna degli incartamenti da parte di Banca d'Italia a far ritenere provata la consegna stessa, come invece pare adombrare la difesa a pag. 116 dell'atto di appello. 8. Il tribunale ha poi evidenziato che la testimonianza dell'ispettore Ge.Sa., diversamente da quella del funzionario Cl.Am., risulta complessivamente riscontrata - benché anch'essa parzialmente contraddittoria - da quelle, più lineari e prive di aporie, rese da tutti i suoi colleghi del team ispettivo. La difesa al riguardo obietta che i predetti sarebbero parimenti inattendibili perché comunque tutti appartenenti a Banca d'Italia e dunque portatori dì un ben preciso interesse a non vedere accertata una loro eventuale responsabilità per negligenza o, peggio, connivenza nell'esercizio dell'attività ispettiva. In contrario già basti osservare che tra i suddetti testi ve ne sono due i quali all'epoca dell'ispezione di Banca d'Italia del 2012 erano semplici tirocinanti, ossia recenti vincitori di concorso affidati ai colleghi più anziani in qualità di tutor/supervisori: trattasi di Fe.Fr. (del quale è stato acquisito al fascicolo del dibattimento, ex art. 493 comma 3 c.p.p., il verbale delle s.i.t. rese il 15-11,2018) e Br.Lu. (che nel suo esame dibattimentale - cfr. pagg. 41-54 del verbale stenotipico d'udienza 23.1.2020 - ha fra l'altro dettagliatamente illustrato come fosse strutturato il tirocinio suo e del collega Ferraro). Ebbene, nessuno dei due testi in questione ha riferito - benché siano state loro rivolte puntuali domande sull'argomento - di avere affiancato l'ispettore Sa. nell'assistere a una qualsivoglia conversazione tra il predetto e un esponente della banca in cui il tema fosse quello degli acquisti di azioni da parte di soggetti con provvista attinta da finanziamenti. Per converso il teste Am. - ribadendolo poi nel separato giudizio n. 1031/20 R.G. - 5628/15 R.G.N.R. ancora pendente nei confronti di So.Sa.: cfr. pag. 43 del relativo verbale stenotipico 8,3.2022 - proprio questo ha affermato nel suo esame dibattimentale. 9. Per parte sua il teste ispettore Ge.Sa., giudicato dal tribunale berico come parimenti "debolmente attendibile", in effetti può meritare tale valutazione - e peraltro, come già detto, a differenza del teste Am. il tenore delle affermazioni da lui rese in dibattimento risulta riscontrato da plurimi elementi, ben evidenziati dal giudice di prime cure - per il fatto di non aver saputo dare adeguato conto di talune apprezzabili discrasie riscontrate tra le sue dichiarazioni dibattimentali e quelle rese a s.i.t. durante le indagini preliminari nel 2016 e nel 2017. Vero è infatti che, tanto nell'esame da lui reso nel primo grado del presente giudizio il 21.1.2020 - cfr. ad es. sue pagg. 61 e 65 - quanto nella nuova deposizione da lui resa il 18.3.2022 nel separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. - cfr. ad es. sue pagg. 80-81 e 89 -, l'ispettore Sa. si è di volta in volta giustificato, a fronte delle contestazioni mossegli, replicando di non essere stato lucido al cospetto degli inquirenti e/o di essere giunto impreparato dinanzi ad essi per non avere egli riletto neppure la relazione ispettiva e/o di non avere correttamente inteso quanto richiestogli e/o di essersi spiegato male. Nondimeno va qui evidenziata la piena congruenza tra il tenore dell'esame dibattimentale reso dal teste Sa. il 21.1.2020 e quello dell'esame dibattimentale da lui reso il 18.3.2022 nel separato giudizio pendente a carico di So.Sa., che nulla ha di fatto aggiunto o modificato, sotto tale profilo, rispetto alla sua deposizione originaria: in entrambe le sedi dibattimentali il teste Sa., esponendo una versione dei fatti sempre intrinsecamente coerente benché, come detto, solo parzialmente tale se rapportata ad alcuni passi delle s.i.t. rese nel 2016-2017, ha affermato in estrema sintesi: a) che il circoscritto oggetto dell'ispezione 2012 non verteva in alcun modo sul patrimonio bensì esclusivamente sul rischio di credito dell'intero gruppo B., con l'incarico di vagliare le posizioni in sofferenza, quelle ad incaglio e infine quelle classificate dalla banca come in bonis ma eventualmente suscettibili di essere spostate - previa verifica ispettiva - in una delle altre due categorie; il tutto anche alla luce della peculiarità di B. rappresentata dallo squilibrio del rapporto fra impieghi, ossia finanziamenti erogati, e raccolta (squilibrio che avrebbe reso indispensabile attuare da un lato il deleveraging, ossia la riduzione del rapporto impieghi/raccolta, e dall'altro lato il repricing, ossia la riduzione degli impieghi accordati ai grossi clienti Corporate e Large Corporate e l'incremento degli impieghi accordati ai maggiormente redditizi clienti rientranti nelle categorie Small Corporate e Mid-Corporate), sottolineando egli in più occasioni come né il team ispettivo né tantomeno un singolo ispettore avessero comunque il potere di estendere unilateralmente il perimetro dell'ispezione siccome delineato nella lettera d'incarico a firma del Governatore di Banca d'Italia; b) che tali circoscritte finalità ispettive giustificavano di per sé sole non soltanto il tenore della richiesta, evasa da B., della lista dei primi 30 soci per numero di azioni detenute (trattandosi, e la spiegazione è in sé plausibile, di cercare di verificare l'eventuale esistenza di soci che di fatto godessero, proprio in quanto detentori di cospicui pacchetti azionari, di trattamenti di favore, con conseguente possibile emersione dì un allentamento degli standard creditizi nei confronti di soggetti viceversa non meritevoli) ma altresì il tenore delle sopra citate e-mail inviate dallo stesso Sa. nelle date del / 4 e 5 luglio 2012, Il teste ha più volte ripetuto che le richieste da lui ivi 1/ formulate, lungi dall'avere a che fare con verifiche patrimoniali in realtà escluse dal perimetro dell'ispezione, non modificabile unilateralmente a sua discrezione, erano finalizzate esclusivamente all'esigenza di disporre di un set informativo più ampio circa la meritevolezza del credito, interessando all'uopo verificare da quanto tempo i detentori di cospicui pacchetti azionari rivestissero la qualità di socio e di quale provvista essi avessero potuto concretamente disporre per riuscire ad acquisire un numero sì rilevante di azioni; ancora una volta, però, tutto questo, a detta del Sa., serviva esclusivamente per vagliarne la personale solidità in termini di merito creditizio nonché per escludere l'eventualità di trattamenti di favore a loro vantaggio, non già ad altri fini; tale spiegazione, come detto, è in sé plausibile; c) che comunque le poche e-mail di cui ai docc. 508-510 del P.M. facevano parte di un numero infinitamente maggiore di analoghe comunicazioni da lui complessivamente inviate a mezzo posta elettronica nel corso di un'ispezione sul rischio di credito che lo portò ad esaminare in tutto ben 400 posizioni circa, il che fra l'altro non lo pone, a suo dire, in alcun modo in grado di riferire in quali specifici casi egli si fosse concretamente avvalso della possibilità (che pure era stata genericamente messa a disposizione del team ispettivo, come riconosciuto dal teste, cfr. pag. 59 esame dibattimentale Sa. del 21.1.2020) di interrogare online gli estratti conto; d) che anzi egli non serba memoria del perché avesse chiesto approfondimenti, nelle citate e-mail del 4-5 luglio 2012, proprio con riguardo alle posizioni individuali ivi nominativamente indicate (il teste Sa. si è diffuso in maniera particolarmente ampia su tale tema alle pagg. 82-93 della deposizione da lui resa il 18.3,2022 nel separato giudizio a carico di Sa.So.; nello stesso senso cfr. peraltro già le pagg. 110-111 e 116 della deposizione 21.1.2020 resa nel presente giudizio); il tutto fermo restando che - a suo dire - talvolta venivano presi anche dei nominativi a caso e che comunque egli non crede di avere, di fatto, esaminato alcuna documentazione attinente a quelle particolari posizioni specifiche. Ed invero il teste Sa. - cfr. in particolare le pagg. 91-93 della deposizione 18.3.2022 cit. nel separato giudizio a carico di Sa.So., acquisita nel presente grado di appello - ha sostenuto non essere in realtà affatto insolito che una iniziale richiesta di approfondimento documentale formulata dal team ispettivo possa rimanere non evasa, in tutto o in parte, dalla banca ispezionata senza che ciò abbia riflessi apprezzabili sulla capacità dell'ispezione di giungere/esaustivamente a compimento, qualora si tratti di elementi utili ma non indispensabili all'uopo; e) che egli non ricorda di avere avuto né con il MA. né con il suo subalterno Am. conversazioni vertenti sull'esistenza di una prassi di finanziamenti correlati (e in ogni caso - sempre a detta del teste Sa.: cfr. ad es. pag. 100 della deposizione 18.3.2022 cit. - egli di certo non avrebbe mai intrattenuto da solo siffatte conversazioni poiché ciò esulava dal suo collaudato modus operandi in sede ispettiva; si ricordi al riguardo che nessuno dei componenti il team ispettivo, inclusi i due tirocinanti, ha affermato di avere assistito a conversazioni siffatte); f) che egli in effetti non ebbe alcuna contezza dell'esistenza di una siffatta prassi di finanziamenti correlati fino a quando non fu sentito per la seconda volta - il 17 marzo 2017 - dagli inquirenti, i quali (il teste Sa. lo ribadisce più e più volte in entrambe le deposizioni da lui rese, quella del 21.1.2020 nel presente giudizio e quella del 18.3.2022 nel separato giudizio a carico di So.Sa.) lo spiazzarono - in un'occasione, cfr. pag. 54 della deposizione 21.1.2020, egli usa l'icastica espressione "cascato dal pero" - sottoponendogli in visione documenti da lui indicati come sicuramente mai visti in precedenza; trattasi di documenti relativamente ai quali il P.M. in udienza nel presente giudizio, cfr. pag. 55 deposizione 21.1.2020 cit., ha precisato a sua volta trattarsi della "documentazione consultata dai Consulenti del Pubblico Ministero inerente alle posizioni Ca., Te., Sa., El., mi pare anche Bu. e To.". Oltre alle pagg. 54-55 della deposizione Sa. del 21.1.2020, appena citate, cfr. altresì nello stesso senso le pagg. 87-88 e 98 ibidem. Sempre nello stesso senso si vedano le pagg. 94-95 della deposizione Sa. del 18.3.2022 (in questo caso il P.M. in udienza - cfr pag. 94 ibidem - ha precisato a sua volta che "quello che fu esibito al Teste nel 2017 non è quello che viene richiesto in quella famosa ormai e-mail del 2012"). 10. Rimane, in ultima analisi, insuperato il dato documentale, preciso e puntuale nella sua nuda essenzialità, evidenziato dalla parte civile Banca d'Italia al paragrafo 4., pag. 16, delle sue note di replica depositate in primo grado, il cui tenore sul punto - una volta esaminata in concreto la lista de qua, in atti quale allegato al carteggio via e-mail sub doc. 508 del P.M. - non può che essere condiviso da questa Corte: "(...) la Usta dei 30 principali soci (...) resta l'unico documento agli atti del processo e dalla stessa, come è evidente, non è ricavabile alcuno degli elementi fattuali idonei ad evidenziare il fenomeno nel suo complesso, ma neppure la correlazione dei finanziamenti con l'acquisto delle azioni per quelle specifiche posizioni (...) di tutta la documentazione che Am. asserisce essere stata consegnata all'ispettore Sa. in proposito non vi è alcun riscontro, addirittura non se ne trova neppure traccia nell'elenco della directory che riporta/documenti forniti in ordine cronologico a tutti gli ispettori nel corso degli accertamenti del 2012 (...)". Non esiste infatti, con riguardo ai documenti oggetto del preteso "disvelamento", alcuna comunicazione di tenore analogo al doc. 566 del P.M., corrispondente alla e-mail inviata al team ispettivo di Banca d'Italia il 5-7.2012 ad ore 9,04 dal responsabile dell'internai audit Ma.Bo. (addetto alla gestione del disco-directory dedicato al suddetto team) con la quale si segnalava appunto che - nella directory dedicata sotto Direzione Crediti Ordinari" era stata inserita la lista dei primi 30 soci per numero di azioni detenute. La tesi difensiva non trova riscontri neppure nelle plurime intercettazioni telefoniche di conversazioni intrattenute nel corso del mese di marzo 2017 (come detto fu in tale mese, precisamente il giorno 17, che il teste fu, per la seconda volta in un anno, sentito a s.i.t. dai Pubblici Ministeri vicentini) dall'ispettore Ge.Sa. con vari interlocutori, riportate alle pagg. 701 - 737 della perizia di trascrizione. Trattasi in particolare delle seguenti conversazioni: - n. progr. 19 del 14.3.2017 ad ore 12.19.39 tra Ge.Sa. e "Ca." (presumibilmente trattasi di Ca.Ba., all'epoca capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d'Italia) (pagg. 724-729 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; ivi quest'ultimo, che ha ricevuto la seconda convocazione in Procura, lo annuncia al suo interlocutore che poi gli chiede notizie di altra ispezione al momento in corso; - n. progr. 115 del 19.3.2017 ad ore 20.22.20 sub RIT 54/17 tra Ge.Sa. e Gi.Sc., capo team dell'ispezione di Banca d'Italia del 2012 (pagg. 701-707 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza dello Sc.; la medesima conversazione - della quale il Sa. invero conserva un ricordo quanto mai sbiadito per non dire nullo: cfr. pagg. 90-92 verbale stenotipico d'udienza 21.1.2020 - appare anche, sub RIT 55/17, con il n. progr. 276 del 19,3,2017 (pagg. 710-716 perizia trascrizione), come intercettata sull'utenza del Sa.; ivi quest'ultimo annuncia allo Sc. di essere stato convocato, due giorni prima, per la seconda volta in Procura a Vicenza, al che il suo interlocutore gli replica di esserlo stato per la terza volta e che continuerà a ripetere agli inquirenti sempre le stesse cose già dette loro nelle precedenti occasioni perché altro non vi è da dire. Sa. e Sc. si confermano a vicenda che la loro era stata unicamente un'ispezione sul credito, come tale inidonea a svelare aspetti critici sul ben diverso piano del patrimonio (".. Ge.: dei file, delle cose, Poi se... se,., cioè, francamente, quello che io ho continuato a... ho detto una volta, l'ho detto pure l'ultima volta che quella è un'ispezione sul credito, eh, insomma. - Gi.: Eh, certo. - Ge.: Perché il discorso è che.,. qua le azioni comprate con i prestiti della banca... - Gi.: Eh. - Ge. ...capitale finanziato. Però noi (inc.) sul credito, insomma, se il cliente andava bene tanti approfondimenti non è che... - Gi.: No, assolutamente no. - Ge. (Inc. voci sovrapposte). - Gi.: Assolutamente no. Ma poi credo che quel problema lì sia un problema che sia maturato prevalentemente dopo, cioè dopo le grandi, per effetto della grande ripatrimonializzazione, dopo la (inc.) e dopo... Cioè, non so neanche quanto fosse diffuso, perché non abbiamo fatto degli approfondimenti specifici su quel tema lì. Pronto? ... - Ge.: (Breve interruzione) dei clienti, anche quelli famosi, tipo... erano in due, insomma, poi gli altri francamente non è che mi posso ricordare nomi, cose. Poi in questo caso non tieni un file, non tieni una cosa scritta... - Gi.: Appunto. Appunto ...); - n. progr. 281 del 19.3.2017 ad ore 20.33.11 tra Ge.Sa. e "Ga." (pagg. 717-723 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; il "Ga.", come chiarito dal teste Sa. in sede di esame (cfr. pagg. 70 e ss. verbale stenotipico 21.1.2020), è Ga.Pa., collega ispettore di Banca d'Italia (nonché consulente della Procura di Vicenza ma il teste Sa. esclude - v. pag. 70 ibidem - di essere stato a conoscenza di tale ultima circostanza all'epoca della conversazione, benché avesse inteso che il Pa. stava in qualche modo occupandosi in quel momento proprio di B.: "... E ne ho parlato con il collega, il dottor Ga.Pa., io francamente non sapevo... sapevo che il collega si stava occupando della Vicenza, di queste operazioni, non sapevo a che titolo, poi l'ho scoperto dopo"). Anche in questo caso il Sa. sottolinea a più riprese con l'interlocutore (che concorda con tali sue affermazioni, tanto che Sa. si sente in qualche misura tranquillizzato: cfr. pag. 70 verbale stenotipico 21.1.2020) quale fosse l'oggetto, circoscritto alla mera valutazione del credito, dell'ispezione 2012, riferendogli altresì succintamente quanto accaduto in Procura il 17.3.2017, chiedendogli cosa fosse frattanto in concreto emerso (rimanendo con ogni evidenza stupito e all'apparenza frastornato nell'apprendere dal Pa. l'entità del fenomeno dei finanziamenti correlati come in quel momento - cinque anni dopo l'ispezione - risultava accertata a tutto il 2012) e chiedendogli altresì consiglio sulla necessità o meno di avvisare della nuova convocazione in Procura, e del tenore delle s.i.t. da lui rese, anche il proprio superiore gerarchico dott. La.: "(.,.) V.M.: Ah, io son stato... quando è stato? Venerdì mi hanno chiesto: c'erano un po' di operazioni che... di queste baciate, - Ga.; Sì. - V.M.: Però io francamente all'epoca non Cioè, a parte che facendo... facendola sul credito, questi aspetti di capitali, di patrimonio, non li avevamo visti. - Ga.: Eh certo. - V.M.: Cioè non li abbiamo proprio considerati. Ma io un po' non.. veramente non mi ricordavo neanche i nomi... neanche i nomi dei... - Ga. (Inc. voci sovrapposte). - V.M.: Omissis. - n. progr. 107 del 20.3.2017 ad ore 15.11.57 tra Ge.Sa. "Da." (pagg. 730-737 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; il "Da.", come chiarito dal teste Sa. in sede di esame (cfr. pag. 73 verbale stenotipico 21.1.2020), è Da.Ca., collega ispettore di Banca d'Italia, fermo restando che anche di tale conversazione col Ca., come già di quella con lo Sc., il Sa. invero conserva un ricordo quanto mai sbiadito per non dire nullo (v. ibidem). In essa ancora una volta il teste Sa. rievoca l'oggetto ristretto (perché circoscritto alla verifica della qualità del credito) dell'ispezione Banca d'Italia 2012, indicandolo come preclusivo di ogni possibile scoperta sul fronte della prassi dei finanziamenti correlati e ricevendo riscontro in tal senso dal suo interlocutore: Omissis Il leit motiv di tali conversazioni è dunque sempre rappresentato dal Sa. che, turbato dal fatto di essere stato convocato in Procura a Vicenza già due volte nel giro di un anno, ripete ad ogni suo interlocutore (tutti colleghi della vigilanza di Banca d'Italia) esattamente quanto - come si è visto supra - i, riferirà poi, tre anni dopo, in sede di esame dibattimentale nel presente giudizio (ribadendolo, altri due anni dopo, anche nel separato giudizio pendente a carico di Sa.So.), ossia: che egli ricordava ben poco dell'ispezione del 2012 presso B. al di là di due singole posizioni peculiari (evidente il riferimento alla posizione Ca.-Lu.); che, in ogni caso quell'ispezione aveva ad oggetto unicamente la verifica della qualità dei crediti, sicché anche le posizioni concretamente esaminate lo erano state unicamente a quel fine; che gli inquirenti in data 17 marzo 2017 gli avevano mostrato documenti, a lui prima ignoti, i quali lo avevano colto dì sorpresa rivelandogli una realtà della quale non aveva avuto minimamente modo dì rendersi conto in sede ispettiva. In nessuna di tali conversazioni captate il Sa. confida all'interlocutore di turno di avere visionato, nel corso dell'ispezione 2012, documenti tali da consentire, all'epoca, la scoperta di una prassi di operazioni di finanziamento correlato, o anche soltanto di avere ricevuto a voce informazioni di sorta in tal senso da chi operava in seno a B.. La difesa ha opinato diversamente con riguardo all'inciso "Poi vedendo le carte effettivamente alcune operazioni baciate c'erano" (conversazione n. progr. 281 del 19,3.2017 tra il Sa. e Ga.Pa.) ma, contestualizzandolo e considerando la frase pronunciata dal Sa. nella sua interezza cioè nel 2012, francamente i nomi non me li ricordavo. Poi vedendo le carte effettivamente alcune operazioni baciate c'erano, ma noi in quella fase lì... veramente avevamo visto solo il credito e basta"), è evidente che le "carte" cui si riferisce nella conversazione n. progr. 281 il Sa. sono - come del resto da lui ribadito, v. ampiamente supra, più e più volte nel corso di entrambi ì suoi esami dibattimentali (quello reso il 21.1.2020 nel presente giudizio e quello reso il 18.3,2022 nel separato giudizio pendente a carico dì Sa.So.) - i documenti, a suo dire mai visti fino a quel momento, esibitigli appena due giorni prima dai Pubblici Ministeri vicentini in data 17.3.2017 in occasione delle seconde s.i.t.. Analogamente il "noi le abbiamo viste" proferito dal Sa. nel corso della conversazione n. progr. 107 del 20.3.2017 con Da.Ca. va contestualizzato ("Ge.: Eh, noi le abbiamo viste... insomma, se avevano problemi di credito, se c'erano trattamenti preferenziali..."), nel senso che - come lo stesso teste Sa. ha spiegato in maniera plausibile e convincente in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 73-74 verbale stenotipico 21.1.2020), "... io in questa telefonata confermo che noi queste benedette posizioni le abbiamo viste esclusivamente per verificare se c'era un trattamento preferenziale a favore dei soci e a detrimento della banca, e se il merito creditizio di quelle posizioni era coerente con la classificazione in bonis. Questa è la spiegazione alla telefonata". Sul tema del preteso "disvelamento" operato dalla Divisione Crediti, attraverso l'imputato MA. e il suo subalterno Am., nel corso dell'ispezione Banca d'Italia del 2012 resta infine qui da valutare se e in che termini rivesta un effettivo rilievo l'elemento sopravvenuto rappresentato dalla ricostruzione, effettuata dall'imputato Em.Gi. in sede di rinnovazione del suo esame dibattimentale (cfr. in particolare i verbali stenotipici del 15 giugno e del 17 giugno 2022), dell'episodio occorso il 4 luglio 2012 nell'ufficio del D.G. Sa.So., allorquando lo stesso So. ebbe a far chiamare il dipendente Ci.Am., convocandolo ivi - alla presenza di altre persone fra cui Ma.So. e, per l'appunto, il GI. - e apostrofandolo alquanto bruscamente nel chiedergli che cosa avesse egli riferito al team ispettivo. Il difensore del MA. si è ampiamente diffuso, in sede di discussione finale, su tale sopravvenienza (cfr, al riguardo pagg. 27-32 della memoria conclusiva depositata il 30.9-2022 nonché pagg. 72-75 del coevo verbale stenotipico d'udienza). Secondo la difesa si tratterebbe di un elemento assolutamente determinante in favore della tesi del "disvelamento"; un elemento di per sé stesso idoneo, anzi, a corroborare e suffragare tutto quanto sul punto dichiarato dal MA. e dal teste Am.. Così non è. In tale circoscritto segmento del lungo esame da lui reso in grado di appello Em.Gi., come detto, ricostruisce il concitato confronto del 4.7.2012 tra So. e Am., avvenuto nell'ufficio del So.. Più precisamente: - a pag. 13 e indi a pag. 70 del verbale stenotipico del 15.6.2022 dell'esame reso in grado di appello da GI. si legge quanto segue: "C'è stato un episodio abbastanza critico in cui a So. (eravamo in stanza con So.) venne riferito che Ma. e i suoi uomini avevano rappresentato a Banca d'Italia queste - operazioni, e sicuramente al tavolo c'eravamo io e Ma., e forse Tu., con So. e So. si è molto innervosito (che è un eufemismo) con Ma. e i suoi perché non gli avevano detto, non gli avevano riferito che queste operazioni erano state in qualche modo rappresentate a Banca d'Italia. Questa comunicazione arrivò a So., che era un ex Ispettore Banca d'Italia, e che riferì a So. proprio questo fatto. (...) PARTE CIVILE, AVV. VE. - Un'altra domanda in relazione a quanto è stato riferito circa il dottor So. si sarebbe arrabbiato quando ha saputo che Ma. e altri avevano rappresentato a Banca d'Italia alcune operazioni; a che operazioni si riferiva? IMPUTATO GI. - A una trentina di operazioni baciate che Banca d'Italia aveva chiesto alla Divisione Crediti nelle persone di Ma. e Am. da parte, credo, di Sa.; operazioni baciate tipo Ca., se ricordo bene. "; - a pag. 7 e ss, del verbale stenotipia) del 17.6.2022 GI. ribadisce tale narrazione (correggendosi solo con riguardo alla previamente da lui riferita presenza di MA., in realtà quel giorno pacificamente assente) dichiarando quanto segue: "IMPUTATO GI. - Allora, diciamo che le cose sono andate in questo modo, Non so se mi sono confuso o meno, però ritengo che abbia detto le cose che sto dicendo, però le ripeto per essere estremamente chiaro e preciso. E cioè: ci fu un incontro, in una di queste riunioni di direzione e comitati, con So., e c'era anche So., arrivò una telefonata a So.; So. parlò con So., e So. si innervosì particolarmente perché ci disse che Am. aveva in qualche modo interloquito con Banca d'Italia su una trentina di posizioni baciate. A quel punto So. chiese a tutti di chiamare Ma., che non era in Banca, lo chiese a tutti i partecipanti a quella riunione, io chiese anche a me. Ma Ma. era irraggiungibile. A quel punto chiese alla Segreteria di chiamare Am.; Am. entrò della stanza di So. e fu maltrattato da So., maltrattato pesantemente perché non si doveva permettere di parlare con Banca d'Italia di queste operazioni. Ma. era irraggiungibile, quindi venne chiamato Am.. Questo è il fatto avvenuto nella stanza di So.. Non so se intendesse questo, Avvocato. DIFESA, AVV. Ro. - Sì, perché l'altra volta lei aveva fatto il nome di Ma., non di Am.. Questo è l'appunto che mi ero fatto io. IMPUTATO GI. - No, no, Ma. fu chiamato, ma non partecipò a quell'incontro. DIFESA, AVV. Ro. - Esatto, l'interlocutore fu Am.. IMPUTATO GI. - Fu Am., si DIFESA, AVV. Ro. - Lei ha capito chi era l'autore della telefonata che riceve So. e il contenuto della quale viene trasmigrato a So.? IMPUTATO GI. - Uno degli Ispettori di Banca d'Italia, però non so di chi trattasse, perché non disse il nome So.. DIFESA, AVV. Ro. - Però, che fosse uno del team ispettivo è pacifico? IMPUTATO GI. - E' pacifico, sì". Ebbene, in realtà il GI. si limita a riferire ivi i seguenti eventi occorsi in sua presenza e da lui direttamente percepiti: a) Ma.So. riceve una chiamata (con ogni evidenza proveniente da un componente del team ispettivo di Banca d'Italia, organismo da cui lo stesso So. proveniva continuando a intrattenere rapporti assai amichevoli con alcuni ispettori: ne fa invero menzione anche il teste Am. alla pag. 97 del verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020, ivi ipotizzando, in effetti, che potesse essere stato proprio il So. ad avvisare il So. circa l'incontro avuto il giorno prima da Am. con l'ispettore Sa.); b) subito dopo aver ricevuto tale chiamata (il cui contenuto ovviamente è ignoto al GI.) Ma.So. interloquisce con Sa.So.. Si badi - e ciò è appena evidente leggendo il soprastante passo dell'esame 17.6.2022 di GI. - che quest'ultimo, in realtà, ignora non solo il tenore della telefonata ricevuta dal So. ma finanche il contenuto effettivo della susseguente conversazione So./So.. E' unicamente il So. che sceglie di descrivere agli astanti quanto appena riferitogli annunciando loro che "Am. ha in qualche modo interloquito con Banca d'Italia su una trentina di posizioni baciate", laddove quanto occorso nel suo ufficio il 4 luglio 2012 è in realtà del tutto compatibile anche con l'avere l'Am. interloquito con l'ispettore Sa. unicamente sulla singola posizione Ca. - Lu. (interlocuzione, questa, che - v. infra - è effettivamente documentata in atti). Al riguardo può darsi che il GI., stante la concitazione del momento, non sia stato poi in grado di ricordare l'episodio con assoluta esattezza (anche e soprattutto perché esso non lo coinvolgeva direttamente in prima persona né coinvolgeva direttamente la Divisione Mercati da lui capeggiata, bensì la Divisione Crediti; ed invero in prima battuta il GI. ha creduto pure di ricordare, cfr. verbale stenotipico 15.6.2022, che fosse presente il MA., salvo correggersi all'udienza successiva del 17.6,2022); può tuttavia darsi, invece, che il So. e/o il So., sempre nella concitazione, avessero realmente frainteso la comunicazione proveniente dal team ispettivo di Banca d'Italia; o infine può anche darsi che il predetto So. avesse esagerato apposta, di sua iniziativa, nel riassumere agli astanti quanto udito al telefono dal So. (che prontamente glielo aveva riportato), e ciò magari al fine di poter più efficacemente "maltrattare" in pubblico il frattanto convocato Am. sì da indurlo a ben comprendere, in via preventiva e una volta per tutte, cosa egli non avrebbe mai dovuto riferire al team ispettivo. Sta di fatto - e ciò è un dato del tutto pacifico - che nemmeno l'imputato MA. nè il teste Am. si sono mai lontanamente spinti a sostenere, in sede dibattimentale (l'Am. non lo ha fatto neppure nel separato procedimento pendente a carico di Sa.So.: cfr, pagg. 40-41 e 93-99 del relativo verbale stenotipico 8.3.2022), che tutti e 30 i nomi della lista scritta dei primi soci per numero di azioni detenute, fatta avere at team ispettivo, corrispondessero ad altrettante operazioni di finanziamento correlato. Tanto il MA. quanto l'Am. hanno infatti sempre sostenuto di avere detto al team ispettivo (circostanza, tuttavia, per tutto quanto detto sopra, non riscontrata) che la metà circa di tali posizioni corrispondeva a operazioni di finanziamento correlato. Basti, del resto, soffermarsi sul fatto che quella "lista dei 30 primi soci" annoverava per certo anche nominativi di grossi azionisti, come ad esempio Am., mai resisi destinatari di finanziamenti correlati; tale ultima circostanza è confermata proprio dall'imputato GI. (in questo caso con la piena cognizione di causa derivantegli dal suo ruolo di responsabile della Divisione Mercati) in altra parte del suo esame reso nel presente grado di giudizio: cfr. al riguardo pag. 17 verbale stenotipico 15.6.2022, esame di Em.Gi. reso in grado di appello: ma c'erano anche degli impieghi, ad esempio, ad Am. che non aveva mai fatto baciate; ma ovviamente andargli a dire: "ti alziamo i tassi", Am. ti vendeva le azioni, quindi era comunque un problema". Finanche il teste Am. afferma costantemente, tanto nel presente giudizio così come in quello pendente a carico di Sa.So., che, al momento del tormentato rendez vous con il D.G. So. (il quale gli si era rivolto con tono aggressivo alla presenza di GI., di So. e di alcune altre persone intimandogli di dire cosa avesse riferito agli ispettori) egli aveva parlato funditus con l'ispettore Sa. soltanto della posizione Ca.-Lu., per il resto limitandosi - a suo dire - a raccontargli a voce, genericamente, che quella posizione (concretamente connotata da un ordine di acquisto azioni anteriore di alcuni giorni alla delibera del CdA di erogazione del finanziamento di 21 milioni di Euro successivamente emessa, in ddta 20.12.2011, sulla base di una P.E.F. del 19-12.2011, nonché connotata dall'addebito sul conto Ca.-Lu., avvenuto in data 30.12.2011, del pressoché coincidente importo di Euro 20.038.400,00= per comprare azioni B.) non era un episodio isolato. Si vedano, sul punto, le pagg. 96-97 del verbale stenotipico 11.2.2020 (deposizione resa dal teste Am. in primo grado). In effetti, se vi è un singolo punto della contraddittoria deposizione del teste Am. in sé dotato di intrinseca coerenza (e, soprattutto, di riscontri documentali), esso attiene all'essersi egli interfacciato con l'ispettore Sa., nella data del 3 luglio 2012 (giorno precedente alla sua tumultuosa convocazione ad opera di Sa.So. originata dalla telefonata di un componente del team ispettivo ricevuta da Ma.So.), a proposito della posizione Catta neo-Lu., esaminata dal Sa. in quanto facente parte dell'originario elenco di 100 nominativi inizialmente fornito al team ispettivo e connotata, oltre che dalla coincidenza di importi, dalle peculiari sfasature temporali di cui poco sopra si è detto. Sempre l'Am. ha sostenuto, in entrambe le sue deposizioni, che il Sa. in data 3 luglio 2012 gli chiese, per integrare le proprie cognizioni su tale posizione, la copia dell'ordine di acquisto delle azioni e che egli, ottenutolo tramite il collega Fi.Ro. della Gestione Soci, lo fece avere - sempre in data 3 luglio 2012 - all'ispettore, il quale, esaminandolo, gli evidenziò l'anomalia dell'anteriorità dell'ordine di acquisto suddetto rispetto alla data della P.E.F. e della susseguente delibera del CdA. I riscontri documentali a tale circoscritto segmento della deposizione Am. si rinvengono, oltre che nel già citato doc, 509 del P.M., nei docc. 506 e 507 del P.M., corrispondenti il primo a una e-mail inviata dall'Am. all'ispettore Sa. in data 3 luglio 2012 e il secondo alla successiva trasmissione in pari data all'Am., da parte del suo collega Ro., dell'ordine di acquisto azioni posto in essere il 16.12.2011 dai coniugi Ca.Lo. e Lu.Ro.: - doc. 506: e-mail inviata da Ci.Am. martedì 3 luglio 2012 ad ore 13.12 a Ge.Sa., avente quale oggetto "NOMINATIVO (...) Ca.Lo. LU.RO.", del seguente tenore: - Gent.mo Dottore, sono passato per fornirle la risposta ma ipotizzo che fosse a pranzo. Quando sarà libero ripasserò. Andrò a pranzo tra le 14.00 e le 1430. Mi faccia sapere. Cordiali saluti"; - doc. 507: e-mail inviata da Fi.Ro. martedì 3 luglio 2012 ad ore 17.01 a Ci.Am., avente quale oggetto "Azioni Bp. - Ca./Lu.", del seguente tenore: "Cl., in allegato copia degli ordini di acquisto dei nominativi in oggetto (...)"; - doc. 509: e-mail inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. mercoledì 4 luglio 2012 ad ore 15.47, testualmente intitolata "RICH IO. ACQUISTO AZIONI NPOPVI" ed avente il seguente tenore: "Gent.mo dr Am., faccio riferimento alfa verifica sugli azionisti B. che, allo stesso tempo, sono affidati dalla banca. Le chiedo cortesemente di verificare se per i nominativi indicati in calce (El.Sr., Te.Sa., Br.Fu.) - analogamente a quanto effettuato per i signori Ca. e Lu. - le date di acquisto delle azioni Po. e il tipo di provvista utilizzata". Lo stesso teste ispettore Ge.Sa., in entrambi i suoi esami dibattimentali, pur dichiarando di non ricordare bene il tenore delle sue interlocuzioni con l'Am., ha affermato di ritenere "probabile", proprio alla luce delle anzidette e-mail, che vi fosse stata una interlocuzione fra sé e l'Am. riguardo alla posizione Ca.-Lu., ma ciò sempre e solo in un'ottica finalizzata (nel perimetro circoscritto dell'accertamento ispettivo) alla verifica del rischio e del merito creditizio, destandogli sospetto in tal senso la peculiare sfasatura temporale riscontrata tra la data dell'ordine di acquisto azioni, la delibera di fido del CdA e l'effettivo acquisto delle azioni per pressoché pari ammontare: cfr. al riguardo rispettivamente pag. 67 del verbale stenotipico 21.1.2020 nonché pag. 100 del verbale stenotipia) 8.3.2022 nel separato procedimento a carico di Sa.So.. In ultima analisi non è affatto dimostrato che la telefonata fatta da un qualche componente del team ispettivo in data 4 luglio 2012 a Ma.So. (che per parte sua nulla ha detto al riguardo nel corso del suo esame) vertesse su qualcosa di diverso dalla certa e documentata interlocuzione Sa./Am. sulla singola posizione Ca.-Lu.; interlocuzione a sua volta originata, peraltro (e sul punto le affermazioni del teste Sa. sono in sé plausibili, come detto), dall'esigenza di verificare l'affidabilità e la solvibilità di soggetti che presentavano la "stranezza" estrema di un ordine di/ acquisto azioni effettuato prima ancora di disporre della provvista necessaria, il che, nell'ottica dell'ispezione del 2012 mirata alla valutazione del rischio di credito, poteva senz'altro rappresentare un forte indice di allarme circa "essere stato loro riservato un trattamento dì favore per nulla meritato". Totalmente destituito di fondamento - e in alcun modo conforme all'effettivo contenuto, sopra passato in rassegna, delle dichiarazioni rese da Em.Gi. sull'argomento - è dunque l'assunto della difesa secondo cui il GI. "ricorda come siano state mostrate una trentina di posizioni con 234 milioni di finanziato" (cfr. pag. 30 memoria conclusiva depositata dalla difesa MA. il 30.9.2022). Alla stregua del complesso di considerazioni fin qui svolte merita dunque piena condivisione la conclusione, cui è giunto il tribunale berico, circa la mancata prova del preteso "disvelamento" al team ispettivo - da parte dell'imputato MA. e/o del teste Ci.Am., suo subalterno - di una prassi concernente la stipula di una serie di operazioni di finanziamento correlato. D'altra parte osserva questa Corte che il preteso - ma nient'affatto provato, per tutto quanto detto - "disvelamento" spontaneo agli ispettori di Banca d'Italia, da parte del MA. e dell'Am. nel luglio 2012, di 14 posizioni di finanziamento correlato (in un momento in cui il team ispettivo aveva manifestato perplessità solo in ordine alla singola posizione Ca.-Lu. in quanto connotata dall'essere stato effettuato l'ordine di acquisto azioni prima ancora di entrare nella disponibilità della relativa provvista) costituirebbe oltretutto una circostanza per nulla coerente con quello che invece risulta essere stato, secondo quanto già visto supra l'atteggiamento ben preciso e reiterato del MA. nel corso degli anni, improntato (in maniera, viceversa, del tutto coerente con la sua dimostrata piena consapevolezza del mancato scomputo delle operazioni correlate dal patrimonio dì vigilanza) a una costante raccomandazione nel senso di evitare di allertare gli organismi di vigilanza circa l'effettuazione stessa delle operazioni "baciate". Vanno infine disattese le considerazioni svolte dalla difesa del MA. alle pagg. 149-154 dell'atto di appello sotto la rubrica "COMPREHENSIVE ASSESSMENT EASSET QUALFTY REVIEW", che è il solo paragrafo dell'atto impugnazione concernente le interlocuzioni con la vigilanza avute dall'imputato dopo l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 e prima del suo trasferimento (avvenuto in data 18.12.2014) alla siciliana Ba.Nu.. A tale tema sono dedicate per la specifica posizione MA. le pagg. 692-693 della gravata sentenza (mentre una sua più diffusa trattazione, non concernente il solo MA., è contenuta nel cap. IX della stessa sentenza, cfr, in particolare le sue pagg. 476-519); ivi si evidenzia efficacemente quale sia stato, rispettivamente nel 2013 e nel 2014, l'atteggiamento - del tutto silente quanto al fenomeno delle operazioni di finanziamento correlato - tenuto dal MA. durante le sue interlocuzioni con i testi Ma.Pa. e Vi.Ca. in base alle deposizioni dei predetti (esame Pa.: cfr, verbali stenotipia d'udienza 28.11.2019 e 29.11.2019, con particolare riguardo - per le interlocuzioni avute con il MA. - alle pagg. 8-9 del verbale 29.11.2019, nonché cfr, appunto in atti sub doc. 451 del P.M., a firma dello stesso Pa., acquisito al fascicolo del dibattimento; esame Ca.: cfr. verbale stenotipico d'udienza 16.1.2020, con particolare riguardo - per le interlocuzioni avute con il MA. - alla sua pag. 41). Ebbene, la difesa, nell'indicato paragrafo dell'articolato primo suo motivo di appello, non si confronta minimamente con le ora illustrate emergenze processuali se non per rivendicare: - il carattere non ispettivo, bensì di mero esercizio avente natura prevalentemente prudenziale e non contabile, dell'AQR; - l'impossibilità per il MA. di riferire, in tali sedi, circa fenomeni (gli storni, le lettere di impegno) di cui egli, come detto nel suo esame, v. saprà, avrebbe appreso solo nel 2015 una volta uscito da B.. Nessuno di tali argomenti ha pregio. Sotto il primo dei due profili si veda anzitutto la definizione che dell'AQR fornisce la Banca d'Italia nella sua "nota tecnica sulle modalità di conduzione dell'esercizio di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment)" datata 26 ottobre 2014 (...), ove da un lato-lato - come evidenzia l'appellante - afferma trattarsi di un "esercizio di natura prevalentemente prudenziale, non contabile", ma dall'altro lato evidenzia, fra le altre cose, che "l'AQR può comportare esigenze di capitale, qualora gli accantonamenti addizionali (che derivano o da un insufficiente provisioning sulle posizioni già classificate come deteriorate o dal passaggio da posizioni in bonis verso non deteriorate) portino il coefficiente di patrimonio di migliore qualità (CET1 ratio; al di sotto della citata soglia dell'8 per cento". Del resto lo stesso teste Ca. ha chiarito a più riprese non trattarsi, tecnicamente, di un'ispezione (v. ad esempio, con particolare forza, a pag. 55 del verbale stenotipico cit.) precisando nondimeno (v. pag. 34 ibidem) che "... tutto il 2014, come probabilmente molti sanno, è stato... l'attività di vigilanza è stata impegnata, non solo in Italia ma anche negli altri Paesi europei, a svolgere questo Comprehensive Assessment, che avrebbe dovuto essere, sostanzialmente, un esercizio che chiariva con estrema precisione quali fossero esattamente I problemi del sistema bancario europeo, che creasse, come dire, un livello comune tra tutti i Paesi europei che fino allora avevano delle norme, prassi, legislazioni assolutamente disparate, e che si concludesse con una comunicazione in qualche modo al mercato delle eventuali esigenze di capitale che sarebbero emerse da questo esercizio. Nell'ambito di questo Comprehensive Assessment, che ha impegnato praticamente tutte le strutture della Banca d'Italia, è stato previsto anche un accesso, che in Italia è stato fatto essenzialmente da ispettori e da membri delle società di revisione, presso le banche per compiere una parte di questo Comprehensive Assessment, che è la cosiddetta "Asset Quality Review", ossia una revisione degli attivi delle banche che in realtà si è indirizzato, si è focalizzato prevalentemente nell'esame dei crediti Trattasi dunque, in ogni caso, inequivocabilmente, dello svolgimento di un'attività rientrante a pieno titolo nella nozione di "vigilanza", come ancor più efficacemente esplicitato dallo stesso teste Ca. più avanti nel corso del suo esame nell'illustrare le possibili ed eventuali concrete conseguenze pregiudizievoli, per l'istituto di credito, degli esiti di detto esercizio (v. pag., 60 ibidem): "TESTIMONE CA. - No, il modello... Attenzione. No, io ho detto, vorrei essere preciso, io ho detto: attenzione che la costruzione dell'Asset Quality Review, molto mirata al segmento creditizio, inevitabilmente e più, come dire, blanda, queste parole del Governatore, non mie, sotto il profilo della finanza, sicuramente finisce per essere più pericoloso per un intermediario tradizionale, per un mondo bancario tradizionale come quello italiano che per quello estero. A noi, tutto sommato, se l'Asset Quality Review fosse stata improntata a una severa analisi dell'attività finanziaria delle banche, le banche italiane ne sarebbero uscite alla grande perché non hanno di fatto... perché fanno un lavoro un po' più normale le banche italiane". Sotto il secondo dei due profili basti infine ricordare come supra si sia ampiamente argomentato circa la non rispondenza al vero dell'assunto del MA. secondo cui sarebbe giunto a conoscenza dell'esistenza degli storni e delle lettere di impegno solo nel 2015 una volta uscito da B.. Il trattamento sanzionatorio Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte l'imputato Pa.Ma. va dichiarato assolto: - dai reati di falso in prospetto di cui ai capi I e L per non aver commesso il fatto; - dai reati di ostacolo alla vigilanza di cui ai capi H1 e M1, limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014, per non aver commesso il fatto, fermo restando che, quanto al capo M1 (e analogamente è a dirsi per il capo B1), si ritiene integrata - v. parte generale della presente sentenza, par. 9 - la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Va altresì dichiarato non doversi procedere nei confronti del predetto MA. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo Al, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione; si impone invece nei suoi confronti la declaratoria di penale responsabilità per quanto residua della contestazione di aggiotaggio, atteso l'apporto causale comunque fornito dall'imputato - in relazione ad essa - anteriormente alla cessazione del rapporto dì lavoro con B. avvenuta in data 18.12.2014. Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art. 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre mesi quattro giorni quindici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni due mesi sei di reclusione (stante l'assoluzione del MA. da tale capo limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014), aumentata di complessivi mesi dieci e giorni 15 per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, di mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori, reati di ostacolo dì cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1 e G1; di mesi uno per il reato di ostacolo sub capo M1 stante la sua assoluzione da tale capo limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014; di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub A1). Questo con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione (mesi uno per il solo capo M1 a cagione della parziale assoluzione del MA. da esso), in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve infatti evidenziarsi, come già detto saprà, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, dì applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minore, di mesi uno e giorni quindici (mesi uno per il solo capo M1 a cagione della parziale assoluzione del MA. da esso), ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. Va conseguentemente revocata nei confronti dell'imputato MA., stante la determinazione della pena base per il capo H1 in anni due mesi sei di reclusione, la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, posto che - notoriamente - ai fini dell'applicazione della suddetta pena accessoria, in caso di più reati unificati sotto il vincolo della continuazione, occorre fare riferimento alla misura della pena base stabilita in concreto per il reato più grave, come risultante a seguito dell'eventuale diminuzione per la scelta del rito, qui non ricorrente, e non già alla pena complessiva risultante dagli aumenti operati a titolo di continuazione (cfr., ex multis, Cass. Pen. Sez. 5, n. 28584 del 14/03/2017, Di Corrado e altri; Cass. Pen. Sez. 7, n. 48787 del 29/10/2014, Di Tana e altri). 14.1.3. L'appello nell'Interesse di Pi.An. Il gravame proposto dalla difesa di Pi.An. è parzialmente fondato; ciò con riguardo alle considerazioni già svolte nella soprastante parte generale - par. 8 - quanto al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa. Nelle restanti sue parti il gravame del PI. è infondato, fermo restando che, quanto ai capi I e L di rubrica - corrispondenti ad altrettante fattispecie di falso in prospetto contestate come commesse nelle date del 10 giugno 2013 e del 9 maggio 2014 - risulta maturato il termine di prescrizione, con conseguente pronuncia di non doversi procedere - in relazione a tali due capi - per sopravvenuta loro estinzione. Preliminarmente va dato atto che sono già state approfonditamente vagliate e decise da questa Corte, vuoi nella propria ordinanza 18.5.2022 vuoi nella suestesa parte generale della presente sentenza, alle quali dunque senz'altro si rinvia in toto, le seguenti questioni trattate dalla difesa PI. nel suo atto di appello e nei motivi nuovi depositati il 5.4.2022: - eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti conseguenti per nullità della notifica dell'avviso ex art, 415 bis c.p.p, in relazione ai reati relativi ai fatti concernenti l'anno 2015 di cui ai capi M1 e N1 (eccezione sollevata dalla difesa PI. in grado di appello - associandosi a quella analoga già svolta in precedenza dalla difesa MA. - all'udienza del 16 maggio 2022); si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di incompetenza territoriale (cfr. paragrafo 11 dell'atto di appello, pagg. 146 e ss., nonché motivi nuovi d'appello): si veda la parte generale della presente sentenza, pan 7; - eccezione di non acquisibilità e, comunque, di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (cfr. paragrafo 3.9 dell'atto di appello, pagg. 90 e ss.): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - richiesta subordinata di espletamento di una perizia sull'anzidetto file audio (cfr. paragrafo 3.9 dell'atto di appello, pag. 93): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di formale inutilizzabilità processuale delle deposizioni rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro. per violazione degli artt. 210 e 192 comma 3 c.p.p. in quanto soggetti indagabili per reato connesso o che addirittura, nel caso del teste Ma., sarebbero già indagati, secondo la difesa, per reato connesso (cfr. paragrafo 2 dell'atto di appello, pagg. 8 e ss., nonché motivi nuovi d'appello): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di violazione del principio nemo teneturse detegere (cfr. paragrafo 10 dell'atto di appello, pag. 146, nonché motivi nuovi d'appello) e del principio del ne bis in idem sostanziale (cfr. motivi nuovi d'appello): si veda la parte generale della presente sentenza, par. 11. Al netto di tali questioni si può dunque passare alla trattazione delle seguenti residue parti dell'atto di appello nonché dei motivi nuovi di appello (questi ultimi invero, per tutto quanto fin qui detto, rimangono di fatto circoscritti, ormai, alla valutazione dell'attendibilità, nonché della coerenza intrinseca ed estrinseca, delle deposizioni - pienamente utilizzabili, giusta ordinanza 18.5.2022 di questa Corte - rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro.): - primo motivo (par. 1, pagg. 4-7 dell'atto dì appello): nullità della gravata sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p., per omessa considerazione delle argomentazioni difensive, con particolare riguardo a quelle esposte nelle note d'udienza del 19.1.2021; - secondo motivo (par. 2, pagg. 8-15 dell'atto di appello): carenza assoluta di motivazione in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di attendibilità e coerenza, intrinseca ed estrinseca, delle deposizioni rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro.; - terzo motivo (par. 3 articolato nei sotto-paragrafi 3.1-3,10, pagg. 15-97 dell'atto di appello): malgoverno delle prove da parte del primo giudice con/ riguardo a tutte le ipotesi di reato per le quali l'imputato ha riportato condanna; - quarto motivo (par. 4, pagg. 98-103 dell'atto di appello): nullità della sentenza di primo grado ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At., non essendo tali condotte ricomprese, in tesi difensiva, in alcuno dei capi d'imputazione; - quinto motivo (par. 5, 6, 7, 8, pagg. 103-139 dell'atto di appello): contestazione anche nel merito, in subordine, della fondatezza dell'accusa con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At.; - sesto motivo (par, 9, pagg. 139-142 dell'atto di appello): insussistenza di un concorso del PI. nell'asserita "prassi" dell'effettuazione in seno a B., ad opera di Divisioni non rientranti nella competenza dell'imputato, di operazioni di finanziamento correlato (c.d. "operazioni baciate"); insussistenza di un suo concorso ex art. 110 c.p.p., conseguentemente, nei reati di aggiotaggio, di manipolazione tanto informativa quanto operativa, di ostacolo alla vigilanza e di falso in prospetto; in subordine mancata prova dell'elemento soggettivo dei reati stessi; - settimo motivo (par, 10, pagg. 142-146 dell'atto di appello): trattamento sanzionatorio. Tali motivi, come detto, non sono fondati (tranne quanto già detto supra circa il numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa - con ogni relativa conseguenza - e salva restando la declaratoria, in ordine ai capi I e L riguardanti altrettante fattispecie di falso in prospetto, di non doversi procedere per intervenuta prescrizione). Per esigenze di migliore organizzazione espositiva si procederà anzitutto alla trattazione delle eccezioni di nullità costituenti l'oggetto dei motivi rispettivamente primo e quarto, passando indi a una trattazione congiunta, articolata secondo i singoli filoni di concreta operatività contestati all'imputato dall'Accusa, dei motivi secondo, terzo, quinto e sesto fino a concludere con il trattamento sanzionatorio (settimo motivo). 14.1.3.1. L'eccezione di nullità della gravata sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p.. L'eccezione è infondata. Anche a voler prescindere, infatti, da ogni considerazione in ordine alla sussistenza o meno, nel percorso argomentativo seguito dal primo giudice, di una implicita valutazione delle considerazioni che la difesa aveva consegnato alla memoria depositata il 19.1.2021 (e, più in generale, degli elementi probatori che la medesima difesa aveva introdotto ritenendoli meritevoli di valutazione con riferimento alla posizione processuale dell'imputato PI.) è decisivo osservare come, al di là di isolate e risalenti pronunce di segno contrario (oltre a Cass. Pen. Sez. 1, n. 31245 del 7.7,2009, Pa., constano le sentenze Cass. Pen. Sez. 6, n. 13085 del 3.10.2013 dep. 20.03.2014, Am. e altri; Cass. Pen. Sez. 1, n. 37531 del 07.10.2010, Pi.; Cass, Pen. Sez. 1, n. 45104 del 14.10.2005, Ru.; Cass. Pen. Sez. 1, n. 23789 del 06.05.2005, Ma.), costituisca opinione oramai consolidata nella più recente giurisprudenza di legittimità quella secondo cui la mancata valutazione di memorie difensive (e, più in generale, di elementi probatori valorizzati dalla difesa) non costituisca affatto causa di nullità della sentenza impugnata bensì possa unicamente integrare un vulnus alla congruità e alla correttezza logico-giuridica della relativa motivazione, pregiudicandone la tenuta (cfr. - fra le moltissime - Cass. Pen. Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Ol.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 24437 del 17.1.2019, Ar.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 23097 dell'8.5.2019, Ca.; Cass. Pen. Sez. 4, n. 18385 del 9.1.2018, Ma. e altro; Cass. Pen. Sez. 2 n. 14975 del 16.3.2018, Tr. e altri; Cass. Pen. Sez. 3, n. 5075 del 13.12.2017 dep. 2.2.2018, Bu. e altri; Cass. Pen. Sez. 5, n. 51117 del 21,9,2017, Ma.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 4031 del 23.11.2015 dep. 29.01.2016, Gr.), e, in tal guisa, fondare ragioni di critica destinate "ove debitamente riproposte nell'atto di appello, com'è avvenuto in questo caso - ad essere adeguatamente considerate dal giudice dell'impugnazione. Ad avviso dì questa Corte trattasi di orientamento del tutto persuasivo (oltre che, ormai, largamente maggioritario e più aggiornato) in quanto coerente per un verso con il principio della tassatività delle nullità e per altro verso con la funzione, propria delle memorie difensive (sulle quali, peraltro, diversamente da quanto previsto per le "richieste", non è previsto l'obbligo per il giudice di provvedere, ex art. 121, co. 2, c.p.p.), di ampliamento non già dell'ambito della decisione bensì della relativa argomentazione. A ciò consegue il rigetto della sollevata eccezione di nullità. 14.1.3.2. L'eccezione di nullità della gravata sentenza ex art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At.. L'eccezione di nullità in esame si basa sul fatto che tali specifiche manifestazioni dell'operatività del PI. (sulle quali ci si diffonderà ampiamente infra passando, nel par. 14,1.3.5., all'esame del merito), avendo natura di investimento in fondi esteri unknown exposure e non già natura di erogazione di finanziamenti a soggetti terzi, in nessun modo potrebbero rientrare nell'ambito dei capi d'imputazione formulati a suo carico (il cui testo unicamente all'attività di finanziamento si riferisce), e ciò anche volendo ritenere - seguendo la tesi accusatoria - che attraverso tale investimento in fondi esteri si sia, di fatto, dato vita a una forma di detenzione indiretta di azioni B. (non seguita dallo scomputo integrale del controvalore di esse, viceversa in tal caso dovuto, dal patrimonio di vigilanza). Ritiene questa Corte che l'eccezione di nullità vada disattesa. In primo luogo va osservato che gli apparenti "investimenti" finanziari operati nel 2012 da B. e nel 2013 dalla sua controllata irlandese Fi. nei fondi esteri Op. 1 e 2 e At. non possono definirsi come effettivi investimenti finanziari dal momento che i suddetti fondi, anche al di là del loro essere unknown exposure, sono soprattutto risultati essere non già ordinari fondi collettivi OICVM (caratterizzati da una pluralità dì investitori in essi) bensì entità con riguardo alle quali la stessa B. (ovvero, nel caso di Op., la sua controllata irlandese Fi.) era l'unico "investitore", rectius l'unico soggetto ad iniettare denaro nei loro comparti, i quali peraltro - si badi - alla banca stessa erano, a loro volta, dedicati. Si veda al riguardo - rinviandosi, per una assai più dettagliata disamina, all'esame del merito che verrà condotto infra nel par. 14.1.3.5, - il doc. 418 del P.M. (relazione dell'Internai Audit sulla vicenda dei fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), pag. 4: - Atta data, B. e Fi. rappresentano di fatto gli unici sottoscritto(ri) dei 3 Fondi (100% di Op. I e II e circa il 99% di At.). Si precisa altresì che i contratti di sottoscrizione dei Fondi Op. prevedeva (no) la costituzione, in seno a ciascun Sub-fondo, di un "Investment Committee" i cui membri potevano essere eletti dagli investitori in funzione della loro quota. Detti Comitati non sono mai stati costituiti". Da tale circostanza discende che le relative operazioni - seppur basate, nel loro essere comunque connotate da analoghe finalità e analoghi risultati, su un meccanismo più sofisticato rispetto a quello dell'"ordinaria" pratica dei finanziamenti correlati - sono assai più assimilabili, in concreto, ai suddetti finanziamenti correlati di quanto non lo siano a un investimento finanziario in fondi OICVM. Di fatto, a ben guardare, l'operatività è realmente analoga nell'uno e nell'altro caso: - il comparto del fondo "non OICVM", dedicato alla banca, nel ricevere da questa - suo unico soggetto sottoscrittore - l'iniezione di denaro (corrispondente, per quanto detto sopra, a quello che solo formalmente appare come un ordinario investimento in un fondo), con cui provvede ad acquistare azioni della stessa banca, si ritrova a fungere da depositario dì tali azioni per conto della banca suddetta, la quale ottiene nel contempo l'obiettivo di risultarne, formalmente, non più titolare benché tali azioni siano state acquistate con denaro proprio; - il singolo soggetto finanziato, nel ricevere dalla banca l'iniezione di denaro (corrispondente a quella che solo formalmente appare come un'ordinaria erogazione di finanziamento, dal momento che quest'ultimo non può essere liberamente impiegato per i più disparati scopi ma è vincolato ad essere impiegato nell'acquisto di azioni della banca erogatrice), con cui provvede ad acquistare azioni della stessa banca, si ritrova a fungere da depositario di tali azioni per conto della banca suddetta, la quale ottiene nel contempo l'obiettivo di risultarne, formalmente, non più titolare benché tali azioni siano state acquistate con denaro proprio. Tale accentuata assimilabilità dell'uno all'altro meccanismo fa sì che in ispecie ci si mantenga ampiamente entro il rispetto dei requisiti posti dalla più rigorosa giurisprudenza di legittimità espressasi in subiecta materia, secondo cui la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e l'accertamento contenuto in sentenza si verifica ogni qual volta "il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità, tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa". In tal senso cfr. da ultimo, in motivazione, Cass. Pen. Sez. 1, n. 15560 del 09/03/2022, Ta., nonché, sempre in motivazione, l'ivi richiamata Cass. Pen. Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015 dep. 03/02/2016, Ad. e altri, secondo cui ricorre la nullità quando "Va descrizione dell'accadimento, visto in tutte le sue componenti, per il quale il soggetto viene condannato, venga a trovarsi in rapporto d'incompatibilità, eterogeneità (Cass. Sez. 1, n. 28877 del 4/6/2013, Rv. 256785), o, può soggiungersi, eccentricità, rispetto alla primigenia accusa. In quanto, pur avendo avuto l'imputato ovvio accesso a tutta la massa del materiale processuale utilizzabile, la sua difesa risulta essersi concentrata sul fatto siccome descritto nel capo d'imputazione, costituente specifica e precipua rappresentazione della vicenda di vita addebitata". In senso sostanzialmente conforme cfr., anche Cass. Pen. Sez. 1, n. 28877 del 04/06/2013, Co., secondo cui sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di incompatibilità ed eterogeneità tali da dare luogo un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa. L'eccepita nullità pertanto non ricorre nel caso in esame, e ciò anche non volendo aderire ad altro e più permissivo orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, non può ritenersi diverso il fatto che pure presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, laddove la differente condotta realizzativa sia comunque emersa dalle risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato, di modo che anche rispetto ad essa egli abbia comunque avuto modo di esercitare le proprie prerogative difensive (in tal senso cfr. da ultimo Cass. Pen. Sez. 6, n. 38061 del 17/04/2019, Rango, occupatasi di una fattispecie in cui la responsabilità per il reato di partecipazione a sodalizio criminale di stampo mafioso è stata riconosciuta in ragione del contributo arrecato dall'imputato al fatto estorsivo altrui, emerso solo a seguito dell'istruttoria, e non invece per la condotta di ausilio alla latitanza di uno degli esponenti di vertice del clan, originariamente ascrittagli; analogamente cfr., Cass. Pen. Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di. e altro; Cass. Pen. Sez. 1, n. 35574 del 18/06/2013, Cr.; Cass. Pen. Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lu. e altri). Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte deve dunque ritenersi infondata, sotto ogni profilo, l'anzidetta eccezione difensiva di nullità. 1.4.1.3.3. La conoscenza in capo a Pi.An. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. e la sua partecipazione diretta a tale tipologia di condotte. Molteplici sono gli elementi probatori dai quali si evincono tanto la piena conoscenza in capo al PI. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. quanto la sua stessa partecipazione diretta a tale tipologia di condotte, finalizzata a consentire di escludere dal computo del patrimonio di vigilanza il controvalore delle azioni B. - via via sempre più illiquide - acquistate con la relativa provvista dai soggetti all'uopo finanziati. Ad avviso di questa Corte un'evidenza particolare - e inequivoca - in tal senso è rivestita come minimo dai seguenti elementi fra loro convergenti: a) gli appunti scritti redatti dal teste Ma.So., incaricato della verbalizzazione, circa gli argomenti trattati nel Comitato dì Direzione dell'8.11.2011 (doc. 389 del P.M.) e il contestuale scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp intercorso tra An.Pi. e il d.g. Sa.So. (doc. 810 del P.M.); b) il file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) del Comitato di Direzione del 10.11.2014; c) la vicenda "So."; d) la vicenda Ta.; e) l'appunto redatto per iscritto nel novembre 2014 da Em.Gi., responsabile della Divisione Mercati, prodotto dal P.M. quale suo doc. 663 nonché la deposizione, ad esso relativa, resa dalla teste di P.G. Me.Ro. all'udienza del 4.2.2020; f) l'esplicita chiamata in correità operata al riguardo (cfr. pag. 24 del verbale stenotipico d'udienza 15.6.2022) dal medesimo coimputato Em.Gi., della cui credibilità e coerenza come propalante già si è detto supra nella parte generale - par. 13 - della presente sentenza; g) lo scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp (doc. 811 del P.M.) intercorso tra An.Pi. ed Em.Gi. in data 3 maggio 2015, ossia alla vigilia dell'incontro tenutosi il giorno seguente, 4 maggio 2015, tra il GI. e il presidente di B. Zo.Gi. (per inciso appena due giorni dopo, ossia il 6 maggio 2015, come si evince dall'appunto manoscritto redatto al riguardo dallo ZO., in atti sub doc. 855 del P.M., toccò al PI. incontrarsi con il predetto ZO., in Roma, a seguito - cfr. pag. 105 esame PI. del 3.3.2020 - di sua diretta convocazione ad opera del Presidente di B.; tali incontri dì ognuno dei due vice direttori generali con lo ZO. furono prodromici al loro allontanamento da B., concretizzatosi per ciascuno di essi nella redazione, in sede sindacale ex art, 412 ter c.p.c., di separati verbali di conciliazione datati 8.6.2015, in atti rispettivamente sub docc. 668 e 669 del P.M., attestanti l'accordo ivi raggiunto per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro - autorizzata dal CdA il 4.6.2015 - con decorrenza 3.6.2015); h) il contenuto della conversazione telefonica n. progr. 360 dell'I.9.2015 intrattenuta da An.Pi. con An.Mo. di Ub. (cfr, pagg. 120 e ss. della perizia di trascrizione intercettazioni). Scendendo nei dettagli: a) Gli appunti scritti redatti dal teste Ma.So., incaricato della verbalizzazione, circa all argomenti trattati nel Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (doc, 389 del P.M.) e il contestuale scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp tra An.Pi. e il d.a. Sa.So. (doc. 810 del P.M.). Il doc. 389 del P.M., è un appunto manoscritto redatto dal teste Ma.So. (ex ispettore di Banca d'Italia entrato nel 2008 in B. con mansioni di responsabile della Direzione Segreteria e Affari Generali, indi Direzione Segreteria Generale, privo dunque, in B., di effettive competenze a livello operativo e decisionale) ai finì della successiva verbalizzazione - compito quest'ultimo al quale il So. era istituzionalmente preposto - e concernente la seduta del Comitato di Direzione 8.11.2011, al quale era presente anche Pi.An.; in tale documento manoscritto si legge fra l'altro (cfr. suoi fogli 1 e 2): Omissis Dallo stesso tenore letterale del suddetto doc. 389 del P.M. si evince già con sufficiente chiarezza che in quel passaggio del Comitato di Direzione 8.11-2011, essendo stata rappresentata agli astanti l'esigenza dì reperire capitale aggiuntivo - in ragione di 110 milioni di euro - per raggiungere l'obiettivo (8% di Tier 1) indicato dal responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione Ma.Pe. ed essendosi tuttavia ormai giunti in prossimità della fine dell'anno, fra i presentì tanto Um.Se. (all'epoca vice direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu., di cui sarebbe divenuto direttore generale nel 2012; il Se. ha, in veste di teste, dichiarato alquanto implausibilmente - cfr. pagg. 24-25 verbale stenotipico 31.10.2019 - di non ricordare nulla di tale Comitato di Direzione 8.11.2011 pur dopo aver avuto in visione il doc. 389) quanto Fr.To. (già direttore generale della controllata toscana Ca.Ri., indi fusa per incorporazione in B.; all'epoca egli era il direttore regionale dell'area Toscana di B.) ebbero in sostanza a dire che l'unica maniera possibile di centrare in così poco tempo (di fatto appena una trentina di giorni lavorativi o poco più, al netto del periodo natalizio) un sì ambizioso obiettivo sarebbe stata quella di porre in essere operazioni c.d. "baciate", ossia di finanziamento correlato all'acquisto di azioni. Tale dato letterale, già evidente di per sé, è ulteriormente suffragato dai seguenti elementi: - la deposizione esplicativa (cfr. pagg, 46 e ss. del verbale stenotipico 26.10.2019) resa dall'estensore stesso dell'appunto manoscritto sub doc. 389, ossia il teste Ma.So., che, diversamente da quanto sostiene la difesa, non si ha qui ragione di ritenere inattendibile (tanto meno inutilizzabile: v. sul punto l'ordinanza collegiale 18,5,2022); il fatto - rivendicato dalla difesa - che il So. provenisse da un'esperienza professionale trascorsa per quasi trent'anni in Banca d'Italia, di cui la metà con funzioni ispettive, e avesse dunque senz'altro la piena contezza della vastità ed entità del fenomeno dei finanziamenti correlati in B., non muta la sostanza dei fatti, ossia l'assenza di competenze operative e decisionali di sorta in capo al predetto So.. in effetti assunto dalla banca vicentina con compiti di tutt'altra natura (responsabile della Direzione della Segreteria Generale, cui si era affiancata, più avanti nel tempo, la titolarità dell'Ufficio Reclami) i quali involgevano - tra l'altro - la verbalizzazione delle sedute collegiali; - la deposizione, assai particolareggiata e lineare sul punto, resa in dibattimento dal teste assistito (poiché indagato nel procedimento 7362/2018 RGNR per il reato, interprobatoriamente collegato, di false informazioni al Pubblico Ministero) Fr.To. (cfr. pagg. 17-18 verbale stenotipico 9.11.2019). In verità (e ciò ulteriormente rafforza, ex post, l'interpretazione del già ben poco equivocabile testo del doc, 389 del P.M.) l'ambizioso obiettivo in questione fu poi effettivamente centrato grazie - per l'appunto - a un vero e proprio "cambio di passo" bruscamente impresso all'attività dì collocamento delle azioni. In concreto l'entità del capitale finanziato nel bimestre novembre-dicembre 2011 risultò infatti finanche superiore ai 110 milioni di Euro emersi come "fabbisogno" della banca nel corso del Comitato di Direzione 8.11.2011; cfr. al riguardo i dati obiettivi esposti alla pag. 643 della gravata sentenza: "... La CT della pubblica accusa attesta infatti che al 31 dicembre 2010 le operazioni di capitale finanziato ammontano ad Euro 50 mln; esse registrano un cospicuo incremento nei 2011 raggiungendo l'importo di Euro 243 min. Significativo del cambio di passo impresso alla rete dopo la riunione del novembre 2011 è il raffronto tra l'importo del capitale finanziato al 30 ottobre 2011 pari ad Euro 109.912.486 ed il dato dei mesi di novembre e dicembre 2011f in cui si registrano operazioni finanziate pari ad Euro 134.712.500 (cfr, CT P.M.)". Ebbene, una volta assodato - in base alle considerazioni fin qui svolte - che nel Comitato di Direzione 8.11.2011 si parlò realmente dell'effettuazione di operazioni "baciate" quale unico mezzo per poter conseguire, secondo quanto poi in effetti avvenne, lo sfidante obiettivo ivi indicato come da raggiungere necessariamente entro fine anno, si osserva: a) che An.Pi. era ivi presente; b) che non risultano agli atti sue manifestazioni di stupore, né tantomeno di indignazione o comunque di dissenso rispetto alla linea così tracciata; c) che anzi, al contrario, proprio mentre ciò accadeva il PI. ebbe a scherzare ironicamente con il So. inviandogli un messaggio (in atti sub doc. 810 del P.M.) del seguente tenore: "Quelle di To. sono baciate... tra uomini, che vanno coccolati" al che il So. replicava, dopo nemmeno un minuto, "Come discorso". In ogni caso, come si vedrà subito infra, risultano dimostrati nel presente giudizio non solo il fatto che il PI. ben conoscesse - come minimo sin da allora - il fenomeno delle c.d. operazioni "baciate" ma finanche il diretto coinvolgimento del predetto, negli anni a ciò immediatamente seguenti, in singole operazioni di finanziamento correlato condotte in prima persona, b) il file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Già si è ampiamente illustrato supra il contenuto del file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) contenente la registrazione del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Con riguardo alla posizione PI. non può che ribadirsi dunque ancora una volta, nel rinviare, per il resto, soprattutto alla parte generale (paragrafo 12 della presente sentenza) nonché ai paragrafi relativi alle posizioni degli imputati GI. e MA., tutto quanto già da questa Corte ivi affermato e ampiamente argomentato - con l'ausilio di plurime citazioni di passi della relativa trascrizione, l'interpretazione dei quali, come già si è detto e y diversamente da quanto hanno sostenuto la difesa e lo stesso imputato PI. in sede di esame e dì dichiarazioni spontanee, non lascia davvero adito a dubbi di sorta - circa il fatto che: - dinanzi al consesso dei vice direttori generali, incluso il PI. che, al pari dei colleghi, non ebbe a manifestare stupore alcuno né frappose contrarietà di sorta, vennero affrontati e discussi dal d.g. Sa.So. nella maniera più aperta possibile (ma al tempo stesso con la consegna del silenzio più assoluto verso l'esterno, motivata dal So. anche con la recente pubblicazione di alcuni allarmanti quanto apparentemente ben informati articoli di stampa: cfr, pagg. 30-31 trascrizione cit.) i temi: a) dell'illiquidità dell'azione B. (con il GI. il quale, accorato, ricordava a sua volta - cfr. pag. 78 trascrizione cit. - che "... ormai tutto sanno, dopo l'articolo di oggi sui "Co." (inc.) milioni di persone che l'hanno letto, che (l'azione B.) vale 20,00 Euro"); b) del ricorso che fino a quel momento si era fatto, proprio al fine di ovviare a tale illiquidità e per un complessivo ammontare indicato dal d.g. Sa.So. in "un miliardo e 2" (cfr. pag. 34 trascrizione cit.), ai finanziamenti correlati "apposta per fare" (ibidem), per lo più tuttavia erogati a imprenditori vicentini sicché si rendeva necessario diversificare, sempre secondo il So., tale platea rivolgendosi anche ad altre realtà territoriali; c) dei possibili strumenti ulteriori da mettere in campo, affiancandoli comunque ai finanziamenti correlati, per perseguire detta finalità (dovendosi tenere conto, ad un tempo: dei nuovi stringenti limiti quantitativi apposti ex lege all'entità del fondo riacquisto azioni proprie; del crescente e ormai imponente numero di reclami e di domande pendenti di vendita di titoli presentate dagli azionisti B.; dell'urgente necessità di trovare quanto prima una diversa collocazione al notevole quantitativo di azioni B. risultate ancora indirettamente detenute dai fondi esteri Op. e At.); - anzi fu proprio il PI., in quella sede, a ostentare semmai un atteggiamento cinico e beffardo di fronte alla prospettazione, da parte del collega GI., dei possibili rovinosi effetti delle scelte operate da B. al fine di mascherare la pesante illiquidità del suo titolo (cfr. pagg. 76-77 trascrizione cit.: "VM 8 (GI.): Faccio ... Per esempio, facciamo che siano 500 milioni, a titolo esemplificativo, no, e il valore dell'azione perde il 30%, sono 150 milioni che noi dovremmo ridare a questi qua in dieci anni, metti, no? Quindi, son 30 milioni ... son 15 milioni l'anno, (...). - VM 10 (PI.): Sì, tocchiamoci i coglioni, comunque! (ride)"); - in quella sede il PI., nella trascrizione indicato come "VM10", e il So. (cfr. pagg. 38-41 trascrizione cit.) ebbero - con l'intervento anche del MA., sempre particolarmente sensibile, a suo stesso dire, all'esigenza di evitare dì attirare in qualsiasi modo l'attenzione degli organismi di vigilanza (cfr. pagg. 42-44 trascrizione cit.) - a delineare, sia pure in via embrionale, anche il progetto di quella che poi si sarebbe concretizzata come l'operazione "So.", riproponendosi di ricontattare più seriamente "quella persona che abbiamo visto a Roma", da identificarsi (come ha confermato lo stesso PI. pur negando poi, contro ogni evidenza probatoria come già detto nel trattare la posizione MA., trattarsi di finanziamento correlato: cfr. pag. 43 del suo esame 3.3.2020) nel teste Va.Ma. del gruppo "So.", e ciò al fine specifico (cfr. pag. 41 trascrizione cit.: - VM 10 Sì, lì mi libero di ... serviva per liberarsi dei fondi") di trovare quanto prima una nuova collocazione a una rilevante parte di quelle decine di milioni di Euro in azioni B. ancora giacenti, al 10,11,2014, nei comparti (sotto-fondi) dei fondi esteri Op. e At., sui quali v. infra; - nell'ambito dell'anzidetta ricerca collettiva di possibili strumenti ulteriori da mettere in campo, affiancandoli comunque ai finanziamenti correlati, per ovviare all'illiquidità dell'azione B. il PI., lungi dal manifestare in quel Comitato di Direzione 10.11.2014, come da lui invece sostenuto a mezzo del suo difensore oltre che in sede di spontanee dichiarazioni, ostilità e contrapposizione tout court verso la pratica del finanziamento correlato e/o verso gli obiettivi indicati dal d.g. So. come da perseguirsi ad ogni costo, viceversa ebbe a porsi in un'ottica di cooperazione dialettica col direttore generale, evidenziando pacatamente - dall'alto delle sue riconosciute e indiscusse elevate competenze - gli svantaggi e/o l'impraticabilità sul piano squisitamente tecnico di talune soluzioni ulteriori ipotizzate dal So. e suggerendone delle altre; - in quella sede il PI. diede espressamente atto, nel confermarlo al GI. (indicato nella trascrizione cit. come "VM8") che glielo ricordava (cfr. pag. 40 trascrizione cit.), di avere effettivamente già partecipato con lui in passato alla redazione di talune side letter, strumento del quale il GI.. gli indicava come indispensabile l'adozione (cfr. pag. 40 trascrizione cit.: "Sai, qui, An., bisogna Scusa, apro una parentesi, no? Qui il tema è che la gente ti dice, uno: "Cosa mi rende? Perché lo devo fare?", due: "Se il valore va giù, come mi cautelo?" E, terza cosa, se trovi un accordo, bisogna metterlo su carta, comunque devi fare una side letter, che dovremo firmare io e te ... eh ... come stiamo facendo su altre cose e ... - VM 10 (PI.): Eh, sì, lo abbiamo già fatto, ma... - VM 8: E fare in modo che ... Allora, magari, ci mettiamo un attimo a tavolino e cerchiamo di capire quale potrebbe essere la formula, perché, con questa formula per cui tu li cauteli sull'andamento del valore e li cauteli sul rendimento, ne trovi che ... che ti comprano"; si noti per inciso la piena congruenza con il contenuto dell'appunto manoscritto sub doc. 663 del P.M. - "Trovare formula con An. per baciate" - vergato dallo stesso GI. nella propria agenda, su cui v. meglio infra, proprio nello spazio corrispondente alla data di quel Comitato di Direzione); tale indispensabilità del rilascio di side letter, secondo il GI., derivava dal fatto che nessuno ormai - circolando insistentemente finanche sulla stampa nazionale generalista, da qualche tempo, voci allarmanti circa l'effettivo valore dell'azione B. e circa la sua illiquidità - avrebbe altrimenti più accettato di acquistarne, sia pure utilizzando capitale finanziato, senza ricevere una piena assicurazione al riguardo (cfr. sempre Em.Gi., pag. 78 trascrizione cit.: "... Con questa side letter in cui gli spieghiamo che è cautelato, sennò non te lo comprano questo, perché fuori ... ormai tutto sanno, dopo l'articolo di oggi sul "Co." (inc.) milioni di persone che l'hanno Ietto, che (l'azione B.) vale 20,00 Euro"). Sul fatto che con il termine side letter proprio ciò - anche da parte del PI., che, pure, nel presente giudizio lo nega - si intendesse (ossia il rilascio di vere e proprie lettere di impegno al riacquisto delle azioni B. e/o alla corresponsione di interessi attivi quale corrispettivo per la loro detenzione), e null'altro, sì è già ampiamente argomentato supra nei trattare la posizione MA.. La difesa del PI. obietta che il tribunale vicentino non avrebbe attribuito il giusto rilievo alla congiunzione avversativa "ma ..." pronunciata dal suo assistito nell'occasione, indice a suo avviso di mancata condivisione della tesi del GI.; al riguardo basti osservare che, quand'anche così fosse, questo non varrebbe certo a obliterare il dato, espressamente riconosciuto dallo stesso PI. nel contesto di quel Comitato di Direzione, del pregresso ricorso, anche da parte sua ("Eh, si, lo abbiamo già fatto..."), a tale strumento. Sul tema delle lettere di impegno, inoltre, v. infra per una disamina delle produzioni documentali effettuate al riguardo nel corso dell'udienza 19.9.2022 dal Procuratore Generale. c) la vicenda "So.". Con riguardo alla vicenda "So." (episodio ove fu lo stesso An.Pi. in prima persona, come dettagliatamente spiegato dal teste Va.Ma., a condurre un'operazione avente ad oggetto un finanziamento-finanziamento - in, concreto erogato dalla controllata irlandese Fi. - correlato all'acquisto di azioni B. per 25 milioni di Euro, operazione a sua volta finalizzata a consentire l'indispensabile uscita urgente - per pari ammontare - delle suddette azioni dai fondi esteri ove esse erano state, di fatto, rese oggetto di deposito indiretto in virtù di altra precedente operazione sempre posta in essere dal PI., sulla quale v. infra), basti qui richiamare integralmente il complesso delle articolate considerazioni svolte supra a tal proposito nell'esaminare la posizione dell'imputato MA.. Ad esse va aggiunta l'ulteriore, significativa considerazione per cui al prezzo di vendita unitario dell'azione B. praticato all'acquirente in tale operazione fu applicato uno sconto non indifferente (euro 50,00= in luogo del valore ufficiale unitario di Euro 62,50=: cfr. deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10.2019, pag, 20), proprio così come era stato ventilato tanto da An.Pi. quanto dal d.g. Sa.So. nell'iniziare a delineare in via embrionale, durante il Comitato di Direzione B. del 10.11.2014, quella che poi si concretizzò come l'operazione "So.": cfr. sul punto pag. 39 della relativa trascrizione, in atti sub doc. 110 del P.M., e pag. 43 dello stesso doc. 110. d) la vicenda Ta.. Altra diretta partecipazione materiale alla "prassi" dei finanziamenti correlati in esame, che viene ascritta - fondatamente - dall'Accusa ad An.Pi., è l'operazione conclusa con l'imprenditore lombardo - operante al confine tra Como e Milano - Ed.Ta., la cui deposizione (cfr. verbale stenotipico 10.12.2019 pagg. 60-73) non è affatto scalfita, nel suo delineare una chiara operazione di finanziamento correlato, dal tenore del controesame svolto dalla difesa dell'imputato. Nel caso in questione il finanziamento - così precisa da subito il teste - era inizialmente stato erogato nella misura di 1 milione di Euro alla società della famiglia Ta. denominata Es. S.r.l. (d'ora in avanti Es.) in data 24.7.2013 da B. su richiesta della stessa Es., che voleva utilizzarlo quale finanziamento ordinario per poter fare dei normali investimenti (non in azioni B.). In seguito, tuttavia, proprio il PI. (assieme a Vi.Pi., ex direttore della filiale Cr.It. - come tale noto a Ed.Ta. - frattanto divenuto consulente commerciale per B.) ebbe, in una conversazione a tre che il teste Ta. non riesce a collocare esattamente nel tempo ma comunque successiva non di molto all'erogazione del finanziamento, a chiedere che invece Es. destinasse quel milione di Euro all'acquisto di azioni B.. Il teste Ed.Ta. è chiaro e lineare nell'affermare, in sede di esame diretto, che i due, tanto Pi. quanto PI., insistettero congiunta mente con lui affinché quel finanziamento in origine non correlato all'acquisto di azioni B. divenisse, di lì a poco tempo (l'arco temporale è comunque modesto benché non quantificato - lo si ripete - con assoluta puntualità dal teste; inizialmente il Ta. afferma di non ricordare bene; indi lo colloca nel settembre 2013; indi ancora lo descrive come successivo di un paio di mesi all'erogazione del finanziamento; infine in sede di controesame afferma nuovamente di non ricordare bene), correlato a tale acquisto. Va precisato che il PI. concorse a chiedere al Ta., assieme al Pi., solo il primo fra i più acquisti di azioni B. che lo stesso Ta. complessivamente ebbe a porre in essere: i successivi, infatti, glieli chiese, a suo stesso dire, il solo Pi.. Nondimeno il primo di tali acquisti, come sopra descritto, già rappresenta a tutti gli effetti una vera e propria operazione di finanziamento correlato, in virtù della quale si può affermare che anche in tale occasione (così come accadrà con la cronologicamente successiva operazione "So.") si ebbe il comprovato coinvolgimento materiale, diretto e in prima persona di An.Pi. nel fenomeno dei finanziamenti correlati per così dire "ordinario", ossia non legato alle competenze specialistiche esercitate dal predetto PI. in seno alla Divisione Finanza da lui diretta. Secondo la difesa non sarebbe dato rinvenire alcun apporto causale del PI. in questa operazione perché il suo ruolo sarebbe stato unicamente quello di rassicurare verbalmente il Ta. sul fatto che - all'occorrenza - il fondo riacquisto azioni proprie di B., in quanto ben capiente, non avrebbe avuto difficoltà a riacquistargli celermente le azioni della banca in suo possesso (cfr. pag. 70 deposizione Ta.: "DIFESA, AVV.TO. -...non per l'acquisto delle azioni. E' corretto dire che il dottor Pi. ha soltanto rassicurata sull'operatività del fondo acquisto azioni proprie della banca? TESTIMONE TA. - E' corretto"). In realtà tale circostanza (che peraltro, a ben guardare, si pone già di per sé come l'equipollente verbale di una vera e propria lettera di impegno al celere riacquisto da parte della banca, e ciò a fronte dei dubbi esternati nell'occasione dal Ta. circa la convenienza per sé dell'operazione di acquisto azioni) è bensì stata riferita in sede di controesame dal teste Ta. ma non è certo in grado di obliterare il fatto che, nel corso del suo esame diretto, questi espressamente abbia indicato entrambi i suoi interlocutori Pi. e PI., e non già il solo Pi., come intenti a convincerlo a destinare l'affidamento, già ottenuto a luglio dalla società Es., all'acquisto di azioni B.. Anzi, qualora si contestualizzi l'affermazione resa in controesame dal teste Ta. in seno all'intera verbalizzazione del suddetto controesame appare evidente che egli, lungi dal voler smentire quanto detto in sede di esame diretto circa il carattere congiunto dell'invito rivoltogli a comprare azioni B., intendeva unicamente puntualizzare, in risposta a una precisa domanda della difesa, che il PI. - circostanza invero pacifica - non aveva viceversa preso parte all'originaria erogazione del finanziamento in favore della società Es.. e) l'appunto scritto redatto nel novembre 2014 da Em.Gi., responsabile della Divisione Mercati, prodotto dal P.M. quale suo doc. 663 nonché la deposizione, ad esso relativa, resa dalla teste di P.G. Me.Ro. all'udienza del 4.2.2020 (cfr. pag. 111 del relativo verbale stenotipico). Si tratta di un elemento documentale che ancora una volta dimostra non soltanto la piena conoscenza in capo al PI. del fenomeno delle operazioni c.d. "baciate" (o anche "parzialmente baciate", ossia comunque correlate pur in difetto di una totale coincidenza tra l'ammontare del finanziamento erogato e il controvalore delle azioni B. acquistate) ma altresì il fattivo apporto concorsuale da questi prestato al fine di garantire l'operatività e l'efficacia di tale meccanismo, impiegando il quale, in misura progressivamente sempre più massiccia, B. cercava di ovviare all'accentuata illiquidità del proprio sopravvalutato titolo azionario: "TESTIMONE Ro. (...) Inoltre, sempre con riferimento alla conoscenza in capo a Pi. del fenomeno relativo alla concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie tra la documentazione cartacea sequestrata presso l'abitazione di Gi. vi era un appunto manoscritto, in cui veniva riportata la frase "Trovare formula con An. per baciate" Non ho fatto personalmente questo esame, però so che tale appunto è stato collocato temporalmente nel mese di novembre 2014. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - 663, Presidente, questo l'abbiamo già prodotto. TESTIMONE Ro. - Nel mese di novembre 2014, in ragione di alcune date che erano riportate nella pagina precedente e nella pagina successiva. Nella precedente era scritto CdD 10/11 e sotto Cd A 18/11. Nella pagina invece successiva a questa frase c'era scritto 11/11/2014. In tal senso, in data 10 novembre 2014f si era tenuto il Comitato di Direzione, e in quell'anno, in quella data, quindi 18 novembre 2014, si era tenuta una riunione del Consiglio di Amministrazione della B., I Tale appunto scritto, fra l'altro, si salda perfettamente - come detto - con le parole rivolte dal GI. "VM8") al PI. ("VM10") proprio nel contesto del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014 (cfr. pag. 40 della relativa trascrizione sub doc. 110 del P.M.: "VM 8: E fare in modo che... Allora, magari, ci mettiamo un attimo a tavolino e cerchiamo di capire quale potrebbe essere la formula, perché, con questa formula per cui tu li cauteli sull'andamento del valore e li cauteli sul rendimento, ne trovi che ... che ti comprano"). f) l'esplicita chiamata in correità operata al riguardo dal medesimo coimputato Em.Gi., della cui attendibilità e coerenza quale propalante già si è ampiamente detto supra (nella parte generale della presente sentenza, par. 13), quanto al materiale apporto direttamente fornito anche da An.Pi. in prima persona al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B.. Si veda infatti il seguente passo di pag. 24 del verbale stenotipico d'udienza 15.6.2022: "Quindi questo (ossia le operazioni di equity swap - scambio di titoli B. con titoli Ve. - effettuate nel periodo ricompreso tra il 20.3.2014 ed il 3.10.2014 per consentirne la dismissione dai fondi esteri, sulle quali v. più ampiamente infra) è stato l'unico momento in cui c'è stato da parte della Divisione Mercati, ma più che altro dall'Ufficio Soci, un'interlocuzione con Pi., e quindi sulla Divisione Finanza, sulla prassi delle baciate, al di là di alcune operazioni che Pi. direttamente ha fatto con alcune controparti, soprattutto sulla piazza (...) Milano". D'altra parte già in primo grado l'imputato GI. aveva riferito circa la piena conoscenza da parte del PI. - senza che questi avesse mai ad obiettare alcunché a tale prassi, anzi - del fenomeno del finanziamento correlato, cfr. pag. 70 verbale stenotipico 25.6.2020: PUBBLICO MINISTERO - Quindi quello che lei ha riferito fino adesso, sulle operazioni correlate, le caratteristiche, le necessità, lo svuota fondo e quant'altro, non era un argomento riservato, addirittura segreto rispetto a settori, strutture, persone della banca? Cioè, se ne parlava liberamente? IMPUTATO GI. - Assolutamente liberamente e un modo esplicito. PUBBLICO MINISTERO - E questo vale anche per i coimputati? IMPUTATO GI. - Per tutti, PUBBLICO MINISTERO - Ma., Pi. e Pe.? IMPUTATO GI. - Sì, Ma., Pi. e Pe.. PUBBLICO MINISTERO - Senta, perché Pi., era presente anche lei, se non ricordo male, ha detto che in realtà a lui, sostanzialmente, è stata tenuta segreta questa prassi, questo fenomeno dei finanziamenti correlati? IMPUTATO GI. - Era palese e conosciuto, ripeto, da tutti. q) lo scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp (doc. 811 del P,M.) intercorso tra An.Pi. ed Em.Gi. in data 3 maggio 2015, ossia alla vigilia dell'incontro tenutosi tra quest'ultimo e il presidente di B. Zo.Gi. che aveva in animo di attuare formalmente un nuovo corso di netta "discontinuità" in seno alla banca, allontanandone - come poco dopo in effetti fece: le risoluzioni consensuali dei due rapporti di lavoro sono entrambe datate 8.6,2015 con decorrenza 3.6,2015, come detto supra - proprio GI. (additato come pesantemente responsabile in prima persona, in particolare, del rilascio di plurime lettere di impegno) e PI. (additato come pesantemente responsabile in prima persona, in particolare, della vicenda degli investimenti in fondi esteri - sulla quale v. ampiamente infra - risultati essere non collettivi e dotati di una giacenza di azioni B. nei propri comparti, oltre che unknown exposure); con ogni evidenza i due non stanno parlando dell'attività finanziaria e in particolare della vicenda dei fondi esteri, vicenda alla quale il GI. è d'altra parte ritenuto estraneo dalla stessa Accusa (tale egli è anche a detta del PI.: cfr. pag. 55 dell'esame 3,3.2020 di questi), bensì dell'attività "ordinaria" di finanziamento correlato che coinvolgeva, a vari livelli peraltro fra loro ben differenziati quanto alla conoscenza dell'entità e dei dettagli (fino a giungere al vertice ristretto formato dal d.g. So. nonché dai vice direttori generali e capi di Divisione, qualifica quest'ultima rivestita da GI. così come da PI.), sostanzialmente la pressoché totalità del personale della banca: "Pi.: "Mi raccomando domani con il presidente. Parla a nome di futi e due". Gi.: "Certo" Gi.: "Vedrai risolviamo". Pi.: "Penso anche io. Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori". h) il contenuto della conversazione telefonica n. progr. 360 dell'1.9.2015 intrattenuta da An.Pi. con An.Mo. di Ub. (pagg. 120 e ss. della perizia di trascrizione intercettazioni). Le espressioni usate dal PI. con il suo interlocutore, anche in questo caso, all'evidenza non riguardano - o comunque di certo non riguardano soltanto - l'attività finanziaria e/o la specifica vicenda dei fondi esteri sui quali v. infra, risultando estremamente plastiche ed efficaci nel descrivere il grado del costante coinvolgimento in toto dello stesso PI. in quello che, anno dopo anno, si era oramai andato consolidando come un autentico circolo vizioso generato dalla costante esigenza di trovare modalità sempre più spinte per ovviare in qualche modo all'illiquidità ingravescente del titolo azionario di B., banca ivi definita efficacemente dall'imputato "una baracca che sta in piedi con io sputo" (in stridente contrasto con il tenore - costantemente entusiastico e ottimistico - delle comunicazioni offerte dalla banca stessa all'esterno, in particolare ai soci: cfr, ad es. il già citato doc. 646 del P.M. lettera ai soci del 4.12.2014). Si noti come qui l'imputato rimproveri amaramente ex post se stesso, usando espressioni anche icastiche, per avere proseguito ad oltranza concorrendo nelle condotte illecite pur essendo egli - anche in virtù della sua indubbia preparazione professionale: ad es. il teste An. a più riprese nella sua deposizione del 4.10.2020 afferma che PI. era considerato "l'enfant gàté della banca" per i brillanti risultati conseguiti - da lungo tempo ben consapevole delle loro possibili rovinose conseguenze ("l'avevo, fra virgolette, letta, capito?, che andava... poteva andare in una certa maniera"), sostenendo di essere stato a ciò indotto, da un lato, dal proprio sentimento filoaziendalista e, dall'altro lato, dalla piega ormai consolidata, per certi versi senza ritorno ("e però sei dentro"; "fai parte di un meccanismo"), che avevano preso gli eventi: Pi. (...) perché veramente ho il vomito, perché la vicenda mia è una vicenda che ti assicuro se uno la vive ti... ti chiami coglione, hai capito?, dici: sono proprio un coglione, perché alla fine... Anche perché l'avevo, fra virgolette, ietta, capito?, che andava... potevo andare in una certa maniera. E però sei dentro... An. Eh, immagino. Pi. ...Sei dentro... sei dentro a una situazione, cosa fai? Si, spingi corri fai, vai via sempre a cento all'ora, sacrifichi tutto, eccetera, e poi quando c'è il minimo problema, capito?, eh, purtroppo... Hai visto, anche Pa., è andato via anche lui. An. SI ho sentito. Ho sentito. Pi. E niente... An. No, no, guarda, la situazio... la... la.., la cosa tua... immagino come sia andata e son le classiche robe che... che dopo ti tagliano la corda quando gli hai salvato il culo per anni, no? Pi. Eh, per forza. Certo, certo. Ma infatti io, guarda, non posso... mi chiamo coglione perché... perché dovevo... dovevo, fra virgolette, fermare prima certe cose". An. Mmh. Pi. ...chiamarmi fuori prima... Però poi, sai, eh, purtroppo, ti ripeto, fai parte di un meccanismo, di una situazione, eccetera, per cui... An. Sì. Sì, però... Pi. ...io che sono uno... filoaziendalista... (...) Pi. ...tutto quello che si è fatto per dopo avere la conclusione così... così com'è successo, quello che continua... quello che continua a accadere, perché poi lì non è ancora finita fa questione, è... è deprimente. Deprimente perché... An. Ah. Pi. ...perché (inc. voci sovrapposte) da che pulpito (risatina) che vengono certi discorsi certi ragionamenti, certi scarichi di responsabilità. Er pazzesco. Però... però lo sapevi prima e quindi dovevi essere per forza prima, mi chiamo coglione per quel motivo lì, tutto là. Eh... e va beh, oh, fa parte anche questo delle.. - delle... delle vicende umane. An. Dell'esperienza. Pi. Eh sì. Eh si. Perché poi, ti ripeto, tu mi hai riconosciuto, vedi, quanto abbiamo sempre spinto, quanto abbiamo sempre, capito?, cercato di innovare, di co... di fare per tener su in piedi la baracca. An. Certo. Pi. Perché è una baracca sta in piedi con lo sputo, capito?, per tutta una serie di cose, no?, eh... e dopo poi prendersi a pesci in faccio, perché letteralmente a pesci in faccia, insomma... Però, va beh, è andata così, dai. Omissis A corollario di tutto quanto fin qui illustrato, che già di per sé concorre a formare un solido quadro probatorio circa la compartecipazione del PI. alla complessiva prassi dell'ordinario ricorso al finanziamento correlato, può altresì ricordarsi l'episodio riferito dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale B. (cfr. pag. 20 verbale stenotipico 13.9.2019): "TESTIMONE PA. - Ecco, e io dissi (al d.g. Sa.So. il quale le aveva chiesto, presenti anche Ma.Pe. e An.Pi., di redigere un parere che dichiarasse legittime le operazioni dì finanziamento correlato appena scoperte, in numero peraltro ancora assai circoscritto, dalla società di revisione Kp.): "Questo non te lo posso dare, anzi, dissi, da legale quello che posso suggerirti è di fare immediatamente un audit per verificare se"... Siccome non è che era una posizione, ma erano un gruppo di posizioni, dico: "per verificare se questo fenomeno è un fenomeno più ampio di quello da una semplice estrazione" E il Direttore mi assalì, mi disse che... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Non fisicamente? TESTIMONE PA. - Verbalmente, verbalmente mi disse che si sarebbe trovato un altro avvocato, e che fui dormiva cinque ore per notte, e che noi dovevamo assumerci le nostre responsabilità, e... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Usò questa espressione: dobbiamo assumere.,.? TESTIMONE PA. - Sì, dobbiamo assumerci (e nostre responsabilità. Anzi, no, questo lo disse Pi., mi sembra, le responsabilità, sì; lo disse il dottor Pi., che saltò su e mi disse: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit, andiamo tutti a casa7' Io rimasi allibita, veramente, non sono una persona, voglio dire, che si commuove facilmente, sono abbastanza tosta, ma devo dire che ero sconvolta dopo questo colloquio col Direttore/'. Vero è, al riguardo, che il coimputato PE., nel confermare per tutto il resto con estrema puntualità nel suo esame del 18.6,2020 l'episodio (incluso il violento scatto d'ira del d.g. Sa.So. quale reazione alla frase della Pa. - ivi descritta dal PE. come "molto, molto colpita" - circa l'opportunità di coinvolgere l'Internai Audit), ha viceversa affermato di non rammentare che il PI. avesse nell'occasione proferito la frase "Se facciamo un audit, andiamo tutti a casa"" (cfr. pagg. 58-59 dell'esame dibattimentale reso dal PE. in data 18.6.2020: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Pi.? IMPUTATO PE. - Quella... devo essere sincero... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - No, la ripeta per il verbale. IMPUTATO PE. - Per il verbale, era: "Se coinvolgiamo l'Audit",.. mi pare, l'ho vista sui... "Andiamo tutti a casa", una roba del genere. Questa io non fa ricordo. Quello che ricordo è che sicuramente il concetto della Pa. era: non è un tema solo legale, bisogna fare un'indagine e va coinvolto l'Audit. Questo sicuro, cioè che la Pa. abbia tirato fuori il tema dell'Audit, sicuro. La frase di Pi., sinceramente, non mi ricordo che rabbia detta"). Nondimeno può osservarsi che il PE., nella sua qualità di coimputato, ha tutto l'interesse a negare la circostanza, risultando altrimenti difficilmente spiegabile, da parte sua, la mancata reazione a una frase così dirompente. In conclusione non possono davvero revocarsi in dubbio - diversamente da quanto sostiene a più riprese la difesa: cfr. ad es. pag. 16 dell'atto di appello - la piena conoscenza in capo a Pi.An. di ogni segmento della complessiva prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. - quanto meno fin dall'inizio della fase in cui le fu impressa una forte accelerazione, ossia fin dagli ultimi mesi del 2011, ma in realtà da epoca ancora anteriore, v. infra - e la sua partecipazione (in più di una occasione anche diretta, in prima persona, come si è visto) a tale tipologia di condotte... Né, stante l'esaustività degli elementi probatori fin qui passati in rassegna, vi è in realtà bisogno di chiamare in causa, per valorizzarle, talune ulteriori risultanze processuali - pure indicate come rilevanti dal primo giudice - nei confronti delle quali si sono appuntate le censure, per la verità almeno in parte centrate, della difesa, ossia: a) il passo della deposizione di Ma.So. (pag, 57 verbale stenotipico 29.10,2019) ove il teste afferma che gli pare di ricordare di avere sentito u/7 dottor So. e il dottor Pi. che parlavano di strutturare delle operazioni volte anche ad acquisire capitale Ne stava parlando o il dottor So. o il dottor Pi.. Questo non me lo ricordo, citando al riguardo, dopo un'iniziale difficoltà a rammentarne i nomi, il gruppo imprenditoriale Fe. e il Fo.Ag.. In verità, come ha correttamente puntualizzato la difesa, il teste Lu.Fe. - cfr. suo esame dell'11.7.2019, in particolare pag. 16 - non ha in alcun modo citato il PI. quale partecipe ai finanziamenti correlati riguardanti il suo gruppo imprenditoriale, menzionando unicamente So., Gi. e un capoarea dell'Emilia-Romagna, mentre il teste ispettore Gi.Ma. ha espressamente escluso, in relazione al Fo.Ag., che si fosse in presenza di capitale finanziato, cfr. pag. 68 della sua deposizione 26.10.2019: "Queste operazioni di acquisto non le abbiamo considerate finanziate perché abbiamo ritenuto, insomma, che i soldi non provenivano da un finanziamento ma da una vendita cioè i fondi avevano venduto delle quote e con queste quote avevano avuto la disponibilità per comprare 10 milioni di azioni. Quindi giugno 2012, alcuni Consorzi comprano 10 milioni di azioni non ritenute finanziate da noi"); b) la vicenda Fa.. In realtà, come ha riconosciuto in sede di requisitoria nel presente grado di giudizio lo stesso rappresentante dell'Accusa (cfr. pag. 7 della memoria depositata dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022 nonché pag. 48 del relativo verbale stenotipico), l'imprenditore tessile An.Fa. - era soggetto economicamente molto abbiente, non aveva bisogno di denaro dalla Banca, ma era fui che desiderava investire in modo redditizio, sicuro e a breve termine", sicché non si è qui in presenza di un finanziamenti, correlato all'acquisto di azioni B., le quali furono sicuramente acquistate dall'imprenditore An.Fa. - che aveva esposto proprio al PI. tale sua disponibilità all'acquisto: cfr. pagg. 55-56 deposizione Fa., verbale stenotipico 10.7.2019 - con denaro proprio, investito in parte in azioni della banca e in parte in PCT (pronti contro termine). Risponde inoltre al vero l'assunto difensivo secondo cui la vicenda Fa., per il suo carattere risalente nel tempo, si colloca al di fuori del perimetro del capo di imputazione, che si riferisce al periodo 2012-2015. Nondimeno, restando nell'ambito della vicenda Fa., si pone come ugualmente assai rilevante ex se (perché offre la cifra di quanto il coinvolgimento del PI. nell'illecita operatività "ordinaria" di B. fosse in realtà molto datato e consolidato) il dato documentale emergente dalle produzioni effettuate dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022 aventi ad oggetto le stampe cartacee di alcune e-mail, e relativi allegati, estrapolate dall'hard disk n. 5 già facente parte, come supporto fisico, del fascicolo del dibattimento. Tale dato documentale è indice inequivoco di un diretto coinvolgimento del PI. in prima persona - e ciò, per l'appunto, almeno a far tempo dal 2010, ossia oltre un anno prima dell'accentuata accelerazione, di cui si è detto supra, impressa al volume complessivo delle operazioni correlate a seguito delle decisioni prese nel Comitato di Direzione 8.11.2011 - nella redazione e/o supervisione del testo di talune lettere nelle quali la banca si impegnava ad assicurare all'imprenditore Fa., in relazione ai suoi investimenti presso B. (non da essa finanziati), il beneficio di una assai vantaggiosa remunerazione. Tra le anzidette lettere redatte con l'apporto, quanto meno in termini di supervisione, del PI. vi sono per l'appunto - come è ben documentato rispettivamente dalla e-mail sub ali. 2 e dalla e-mail sub ali. 8 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale - le seguenti: - bozza non sottoscritta dì una lettera datata 15 dicembre 2010 a firma Sa.So. (già prodotta nella sua versione definitiva, sottoscritta cioè dal So., in primo grado dal P.M. quale doc. 90 ed esibita al teste Fa. nel corso del suo esame dibattimentale); - bozza non sottoscritta di una lettera (che il teste Fa. ha spiegato riguardare una distinta e precedente operazione) datata 8 ottobre 2010 a firma Sa.So. (non potuta esibire nella sua versione definitiva, sottoscritta cioè dal So., al Fa. in sede di esame dibattimentale ma alla quale lo stesso teste ha in ogni caso fatto espresso riferimento alla pag. 55 della sua deposizione 10.7.2019 e che è comunque citata nel contesto testuale del doc. 90 del P.M.). La remunerazione riconosciuta all'investitore Fa. corrispondeva in concreto a un tasso attivo quantificato per la più risalente operazione (8 ottobre 2010) in misura pari al 3% netto su base annua (cfr, e-mail 8.10.2010 sub ali, 8 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale, cit.) e indi, a partire dall'operazione ad essa successiva (15 dicembre 2010), quantificato in misura pari al 3,1% netto su base annua e al 3,5428% lordo su base annua (cfr. e-mail 14.12.2010 sub ali. 2 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale, cit.). Il teste Fa. ha spiegato - cfr, pag. 55 della sua deposizione, cit. - che mai egli, pur disponendo di abbondante liquidità propria da investire, si sarebbe indotto ad acquistare, con essa, azioni B. se non gli fosse stata assicurata una siffatta appetibile remunerazione (in aggiunta a una parimenti da lui pretesa garanzia di pronta liquidabilità dei titoli a semplice richiesta, come poi in effetti avvenne nel maggio 2013: cfr. l'all. 6 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale): Omissis Si tratta, a ben guardare, di un contegno pur sempre rientrante, benché in assenza dì un finanziamento correlato, nella medesima ottica (quella cioè per cui B. si è mostrata, nel tempo, sempre più disposta a spendere senza esitazioni denaro della banca - vuoi in forma di finanziamento vuoi in altre forme come quella della non dovuta remunerazione con elevato tasso attivo - pur di assicurare la protratta giacenza presso terzi del massimo quantitativo possibile di azioni proprie). In relazione alla vicenda Fa. l'imputato PI. ha invero sostenuto, in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 40-41 del verbale stenotipico 3.3.2020), che il tasso attivo di interesse riconosciuto all'imprenditore nelle suddette operazioni ebbe a riguardare unicamente la parte di investimento in pronti contro termine e non anche quella in azioni B.. Così non è, viceversa, secondo la ricostruzione del teste Fa. (teste al quale nemmeno la difesa del PI. ha mai inteso muovere censure di inattendibilità e che - in effetti - non vi è ragione alcuna di ritenere poco credibile), il quale in sede di esame ha specificato con estrema chiarezza che il rendimento in questione riguardava anche la parte dell'investimento costituita dall'acquisto di azioni B. (cfr. pagg. 62-63 verbale stenotipico 10.7.2019): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Un particolare, chiedo scusa, signor Presidente. Senta, Ingegnere, lei si ricorda se in questo accordo complessivo per questo investimento con Banca (...) le fu garantito un rendimento anche per quanto riguarda la quota di investimento In azioni Banca (...)? TESTIMONE Fa. - Sh era tutto compreso, era tutto compreso. PUBBLICO MINISTERO. DOTT. Sa. - Anche quella quota? TESTIMONE Fa. - Era tutto compreso. D'altro canto tali affermazioni del Fa. (circa il tasso attivo d'interesse da lui pattuito con B. quale remunerazione del suo investimento complessivo, dunque anche per la parte di esso costituita dalle azioni della banca sono puntualmente riscontrate nei seguenti termini dalle summenzionate produzioni documentali poste in essere il 19.9.2022 dalla Procura Generale: - il testo della prima missiva dell'8 ottobre 2010 (non potuto esibire in primo grado, come detto, né al teste Fa. né all'imputato: cfr. pag. 55 esame Fa. cit.) riferisce senz'altro, nel suo secondo paragrafo, il rendimento annuo all'operazione di investimento intesa nel suo complesso: "Alla scadenza dei primi sei mesi provvederemo a reitare (sic) l'operazione per il periodo da lei gradito come orizzonte temporale dell'investimento ad un tasso fissato e certo che sarà tale da conguagliare il rendimento target obiettivo dell'insieme di operazioni, onde assicurarLe un rendimento annuo netto del complessivo investimento e sino al " mantenimento del suo ammontare massimo del 3% netto su base annua"; - il testo della seguente missiva del 15 dicembre 2010 ribadisce, nel suo terzo paragrafo, ancor più chiaramente il concetto: "Si aggiunga che, anche per il precedente investimento di Eur 70 min, di cui Eur 20 mln circa in azioni di Banca (...) e Eur 50 mln in pct, il rendimento che Le verrà riconosciuto fino alla scadenza (...) sarà pari al 3,1% netto su base annua (3f5428% lordo su base annua) per l'intera durata dell'investimento rispetto a quanto precedentemente concordato (3% netto su base annua corrispondente a 3,4285% lordo su base annua) - si veda lettera di accordo dell'8 ottobre u.s. a firma dei Direttore Generale dott. So.. Più in generale può dirsi che tutte le produzioni documentali effettuate all'udienza 19.9.2022 dal Procuratore Generale ulteriormente confermino, sul tema specifico delle lettere di impegno, quanto - come detto supra - già emerge in ogni caso con chiarezza dal tenore del Comitato di Direzione 10.11.2014, ossia una lunga, risalente e consolidata dimestichezza del PI. con la redazione e/o quanto meno con la supervisione, finalizzata al successivo inoltro a chi di fatto doveva poi sottoscriverle, del testo di lettere che si possono sicuramente definire come lettere di impegno della banca (si noti, per inciso, che anche il teste Fa. nella sua deposizione 10.7.2019, cfr. ad es. pag. 58 del relativo verbale stenotipia), le definisce "side letter", così come esse vengono chiamate dai vertici manageriali di B. nel corso di quel Comitato di Direzione): a volte l'impegno assunto era al solo riacquisto delle azioni B. detenute dai loro destinatari, altre volte l'impegno assunto era finanche alla corresponsione di remunerazioni sotto forma di tassi di interesse attivi - tanto generosi quanto non dovuti - a fronte di tale detenzione. Si vedano ancora a titolo esemplificativo, sempre nell'ambito di tali produzioni documentali dd. 19.9.2022 del Procuratore Generale, due facsimili entrambi risalenti all'anno 2011: l'ali. 1 (missiva 1.9.2011 di Em.Gi. indirizzata ad An.Pi., recante come oggetto la dicitura - estremamente riservata" e come testo la richiesta "Ci dai un occhio"), con un allegato file Word denominato "standard K.docx" a sua volta rappresentato da un facsimile di missiva recante l'intestazione "Egregio Dottore XXX, Vicenza, XXX settembre 2011", ove si assicura al destinatario, in quanto acquirente dì azioni B. per un controvalore di 13 milioni di Euro, un rendimento pari al 4% lordo su base annua oltre ad assicurargli l'accoglimento, da parte della banca, di un'eventuale richiesta di riacquisto; l'ali. 5 (missiva 4.11.2011 di Gi.Ta. - soggetto operante in B. dal 2010 al 2013 con le mansioni di responsabile della Direzione Private e Affluent in seno alla Divisione Mercati - indirizzata ad An.Pi. nonché a Co.Tu. della Divisione Mercati, quest'ultimo avente all'epoca le mansioni di Direttore commerciale e responsabile del coordinamento commerciale della rete - recante come oggetto la dicitura Bozza contratto Riservata" e come testo - La aspettavate ... Eccola, naturalmente da riadattare"), con un allegato file Word denominato "(...)" a sua volta rappresentato da un facsimile di missiva recante l'intestazione Vicenza, 26/10/2011 (...) ...", ove si assicura al destinatario, in quanto acquirente di "ulteriori" 8 milioni di Euro di azioni B., un rendimento pari al 3,5% netto su base annua oltre ad assicurargli l'accoglimento, da parte della banca, di un'eventuale richiesta di riacquisto. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, insomma, non possono revocarsi in dubbio, e ciò quanto meno sin dall'anno 2011, ma in realtà (v. le produzioni documentali effettuate dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022) da epoca ancor più risalente, tanto la piena conoscenza in capo al PI. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato attuata in B., considerata in ogni suo segmento e articolazione (incluso il rilascio di lettere di impegno), quanto la sua stessa partecipazione diretta a tale tipologia di condotte pur nella consapevolezza (cfr. la citata conversazione captata n. progr. 360 dell'I.9.2015) delle sue inevitabili conseguenze. A ciò già di per sé consegue, fra l'altro, l'infondatezza radicale dell'assunto difensivo secondo cui l'operato del PI. avrebbe causalmente inciso, a tutto voler concedere, in proporzione numericamente quanto mai modesta sull'entità e sul volume complessivi delle operazioni poste in essere nell'ambito di B. e illecitamente non scomputate dal patrimonio di vigilanza. A tale ultimo proposito, d'altra parte, non può non osservarsi che, anche non volendo considerare all'uopo, in ipotesi, il concorso (viceversa dimostrato, come sì è visto) del PI. in ogni segmento dell'attività "ordinaria" di finanziamento correlato (non certo solo per i complessivi 25 + 1 milioni di Euro in azioni B. complessivamente acquistati dal gruppo "So." e dall'imprenditore Ta.), limitandosi quindi a valutare le sole operazioni ascrittegli come direttamente rientranti nelle competenze della Divisione Finanza da lui diretta, risulterebbe ugualmente elevata la suddetta proporzione numerica, con conseguente indiscutibile "materialità" della sua condotta, tenuto conto: - del fatto che - come più analiticamente si illustrerà infra al par. 14,1,4.5. - il controvalore originario delle azioni indirettamente detenute tramite i fondi esteri Op. e At., rimasto tale quanto meno per tutto Tanno 2013 prima di ridursi, al giugno-luglio 2014, a 52,4 milioni di Euro, era pari a 60 milioni di Euro (cfr. pagg. 8-21 della deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10,2019; la cifra esatta è pari a Euro 59.972.000,00=); al riguardo tanto la difesa del PI. quanto il predetto imputato in sede di spontanee dichiarazioni rese il 15,7,2022 hanno insistito nel perorare l'assunto della modesta incidenza del suddetto importo sul patrimonio di vigilanza. Ebbene, così non è già in relazione a tale singola posta. Gli acquisti di azioni B. operati tramite i fondi esteri Op. e At. risultarono infatti decisamente determinanti, in prossimità della fine dell'anno 2012, nel consentire di svuotare il fondo riacquisto azioni proprie di B., equivalendo già solo essi, per importo, a un quarto del valore complessivo dell'anzidetto fondo, nell'entità considerevole (240 milioni di euro) che esso aveva all'epoca (la quale venne successivamente di molto ridotta ex lege); - del fatto che in quello stesso scorcio finale dell'anno 2012 il PI., nell'esercizio delle sue specifiche competenze quale direttore della Divisione Finanza, ebbe a curare anche la ben distinta operazione dei finanziamenti alle tre società lussemburghesi Ma. ed altre, immediatamente da esse girati alle tre società italiane Pe., Gi. e Lu.. Operazione, questa, che - come più analiticamente si illustrerà subito infra al par. 14.1.3.4. - da sola consentì, e ciò quando ormai si era giunti ancor più a ridosso del temuto traguardo di fine anno entro il quale andava svuotato il fondo riacquisto azioni proprie, di farne uscire - oltre ai 60 milioni di cui sopra - anche ulteriori 30 milioni di Euro in azioni B. (quindi in realtà l'impatto dell'operato del solo direttore della Divisione Finanza sullo svuotamento del fondo riacquisto azioni proprie a fine 2012 ammontò, trattandosi di 90 milioni di Euro complessivi, addirittura al 37,5% della sua capienza massima dell'epoca); inoltre a quei 30 milioni si aggiunsero nel 2013 altri 3 milioni di Euro in azioni B., questa volta in occasione - cfr. pag. 57 deposizione ispettore Em.Ga. del 26.9.2019 nonché pagg. 22-23 e pag. 25 deposizione ispettore Gi.Ma. del 26.10.2019 - dell'aumento di capitale di quell'anno. 14.1.3.4. I finanziamenti effettuati in favore delle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (girati immediatamente da queste alle società italiane Pe., Lu. e Gi.) negli anni 2012 e 2013, Una peculiare modalità di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., posta in essere - come emerge dall'istruttoria dibattimentale - con il diretto e determinante apporto causale di An.Pi., riguarda i finanziamenti effettuati dalla controllata irlandese Fi. in favore delle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (con i relativi importi girati pressoché immediatamente, a mezzo bonifico, da queste ultime - rispettivamente - alle neocostituite società italiane Pe., Lu. e Gi., le quali a loro volta con tali provviste acquistavano, di lì a poco, corrispondenti importi di azioni B.) tanto nell'anno 2012 quanto nell'anno 2013. Fondamentale al riguardo è anzitutto, nel suo delineare con chiarezza i termini e i passaggi dell'articolata operazione, la deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma. all'udienza del 26.10,2019; cfr. in particolare le pagg. 23-25 del relativo verbale stenotipico nonché l'ivi citato doc. 380 del P.M., costituito da un dettagliato prospetto riepilogativo delle anzidette operazioni redatto dallo stesso teste Ma., grazie al quale si può immediatamente notare la strettissima contiguità temporale esistente tra: a) la data della delibera del finanziamento in favore di ciascuna delle tre società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (10 milioni di Euro a testa), rispettivamente 11.12.2012, 14.12.2012 e 7.12.2012; b) la data del bonifico effettuato (per pari importo, solo lievemente maggiorato) da ciascuna delle suddette tre società lussemburghesi in favore di ciascuna delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., rispettivamente 27.12.2012, 27.12.2012 e 14.12.2012; c) la data dell'acquisto di azioni B. per pressoché pari importo da parte di ciascuna delle suddette tre società italiane, che per tutte e tre è il 27.12,2012 (analoghe strettissime tempistiche connotano le similari operazioni poste in essere, per un minore ammontate pari a tre milioni " complessivi di Euro, uno a testa, tra il mese di luglio e il giorno 2 settembre 2013 in occasione dell'aucap B. di quell'anno). Questa la puntuale ricostruzione del teste Ma.: "(...) PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Senta, per aiutarla e per aiutare anche la comprensione di tutti io le esibirei il documento 380 della produzione del Pubblico Ministero (...), Che cos'è, innanzitutto? TESTIMONE MA. - Questo qua? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Sì (il documento che le ho fatto vedere. TESTIMONE MA. - Questo è un mio riepilogo schematico, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - E' il suo riepilogo, è un appunto fatto da lei quindi? TESTIMONE MA. - Sì, sì, sì, esce dal mio computer. E' un riepilogo, insomma, di quello che è successo sulle tre sorelle Pe., Lu. e Gi. nel 12, nel 13, nel 14 no perché non le trovammo finanziate. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Partiamo da sopra, dal 12, sbaglio? TESTIMONE MA. - Okay, Come vedete ci sono tre date, quelle sono le date di proposta finanziamento e data di delibera di... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - A sinistra? TESTIMONE MA. - A sinistra. Di tre fidi di 10 milioni ciascuno concesso da Po.Vi. Fi., Irlanda, a tre soggetti chiamati Br., Ju. e Ma.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi a sinistra è, diciamo così, il trasferimento di denaro? TESTIMONE MA. - No, no, no, la prima colonna sono le date di delibera del fido. La banca decide in quelle date di dare 10 milioni, 10 milioni e 10 milioni a Br., Lu. e Gi.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quale banca, dottore? TESTIMONE MA. - Irlanda. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Bp.? TESTIMONE MA. - Bp., sì, sì. Però anche qui la PEF viene vista dai Comitato Crediti della Capogruppo. Io cfho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bu. a quattro anni, delibera del Comitato Crediti delta Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo". (...). Okay. Tra il 14 dicembre terza colonna, data bonifico, tra il 14 dicembre e il 27 dicembre 12 queste tre società, Br., Ju. e Ma., mandano in effetti questi bonifici a Gi., Lu. e Pe.: mandano 11.600.000, 11.02S.000, 12.900.000 a Lu., Pe. e Gi.. (...) Ma. si accoppiava con Pe., come vedete dalla quarta e quinta colonna, Ju. si accoppiava con Lu., Br. si accoppiava con Gi.. (...). Cosa entra sui conti di Gi., Lu. e Pe.? Entrano questi bonifici in data 14 dicembre uno, 27 dicembre il secondo, 27 dicembre l'altro, e il 27 dicembre 12 tutti e tre mi comprano, in contropartita al fondo mi comprano una trentina di milioni di azioni. Questo vuoi dire praticamente che quei bonifici che sono entrati in realtà erano frutto del finanziamento che Bp. aveva fatto praticamente alle tre sorelle lussemburghesi, le quali a loro volta avevano trasferito alle tre sorelle italiane un importo leggermente maggiorato e con le quali poi hanno comprato azioni. Sui conti delle italiane non c'erano altre operazioni, cioè nel senso che, comunque sia, era facile stabilire la correlazione 1 a 1 tra il bonifico in entrata e l'acquisto di azioni, perché i conti delle tre italiane erano conti pressoché vuoti. Fatemi controllare, scusate. C'erano alcune partite di 10.000 Euro, 1.200 Euro qua, 10.000 Euro e 500 Euro qua, insomma non c'erano grosse partite che potevano portarmi a ritenere che c'erano tantissimi movimenti dare/avere tali per cui, insomma, non riuscivo a identificare quel bonifico all'acquisto delle azioni. Ma dietro quel bonifico c'è il fido dell'Irlanda, quindi Irlanda dà i soldi alle tre sorelle lussemburghesi, trasferiscono i soldi alle tre sorelle italiane, le quali mi comprano azioni del 2012. Queste azioni del 2012 sono le azioni in contropartita al fondo e quindi contribuiscono nel 2012 all'uso il termine "svuotare" il fondo, anche se questo termine poi arrivò alle mie orecchie alla fine dell'ispezione, contribuiscono a ridurre il fondo di 30 milioni, insieme ai 60 dei fondi At. e Op., insieme ai 10 della Ze. S.r.l.. Un'identica, uguale operazione sulle tre sorelle viene compiuta net 2013 in sede di aumento di capitale; ovviamente gli importi sono diversi, sono più bassi, ma l'operazione viene replicata uguale e identica nella forma e nella sostanza, cosa che cambia è gli importi, e gli importi li potete vedere in quella tabella chiamata "Acquisti primario 13", in cui erogano 3 milioni e mi comprano 3 milioni. Quindi l'Irlanda eroga 3 milioni, Ma., Br. e Ju., che si sono presi i milioni, me li trasferiscono immediatamente a Lu., Pe. e Gi., i quali a loro volta mi comprano, anzi, mi sottoscrivono in quel caso l'aumento di capitale dei 2013. Queste sono le operazioni riguardanti le tre sorelle lussemburghesi e italiane. La struttura di tali operazioni, connotate dalla sopra descritta triangolazione (senza, cioè, che in questo caso si fosse erogato un finanziamento direttamente utilizzato dal soggetto finanziato per acquistare azioni B.), era all'evidenza funzionale a dissimularne assai efficacemente la natura di finanziamento correlato, tanto che il teste Ma. ha ricordato, nei dettagli come la sua attenzione solo per un puro caso si appuntò sulle operazioni suddette, le quali hanno dunque concretamente "rischiato" di superare indenni l'ispezione Bc. del 2015 (cfr. pag. 22 deposizione Ma.). Gli indici della finalizzazione esclusiva di tali triangolazioni a null'altro se non alla realizzazione di una forma particolare - e più sfuggente ai controlli - di finanziamento correlato sono plurimi ed evidenti: - si trattava di società neo-costituite, tanto le tre lussemburghesi quanto le tre italiane, tutte facenti capo al gruppo Fi., i cui titolari, Ma. e De., già nel 2011 avevano peraltro concluso con B., sia pure a quel tempo non nella persona del PI., operazioni di finanziamento correlato c.d. "baciate parziali" (su tale ultimo punto cfr. pag. 45 deposizione teste Gi.Gi., verbale stenotipico 16.7.2019; "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi c'è questa società che è già cliente della banca. Che tipo di operazione impostate e con quali soggetti giuridicamente? TESTIMONE GI. - Vengono impostate due operazioni: una con la Società David e una con la Società Ma.Gi.. Un'operazione... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi Ma. presumo facesse riferimento a Ma. uno dei titolari? TESTIMONE GI. - Sì, sì. E David ad An. De., che era l'altro titolare, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Okay, prego. TESTIMONE GI. - Impostammo un paio di operazioni, se non ricordo male, di valore più ampio rispetto a quella dell'operazione, sempre nell'accezione che dicevo prima, l'operazione... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi parzialmente baciata, sarebbe? TESTIMONE GI. - Esatto. L'operazione era di 600-700 mila Euro, se non ricordo male, e la linea di credito poteva essere di 1 milione, ecco, una roba di questo tipo"); - non era ben chiaro quale fosse il loro oggetto, in ogni caso estraneo all'attività produttiva di beni, né - soprattutto - emergeva quali garanzie esse offrissero, sicché può ben dirsi che la valutazione del merito creditizio nei loro confronti fu effettuata in maniera eufemisticamente definibile come assai sbrigativa. E il Comitato Crediti che sì occupò di esaminare le relative PEF fu - si badi - esclusivamente quello della controllante capogruppo B.: cfr. pagg. 30-31 della deposizione del teste Pi.Ra., verbale stenotipico 21.11,2019 ("PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ecco, ora, siccome l'ho interrotta, ma volevo chiarire questo aspetto, tornando a quello di cui lei ci stava parlando, e le faccio una domanda di carattere più generale: quando c'era da valutare in un'operazione di questo tipo, analoga, insomma, il merito creditizio, autonomamente procedeva Bp. o si appoggiava? TESTIMONE PA. - Sempre appoggiata a... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Cioè, perché? Perché era necessario? TESTIMONE PA. - Perché, per procedura, la parte creditizia era di spettanza della Po.Vi.") nonché pag. 40 ibidem ("PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ma voi avevate, come dire, la struttura, le persone per fare una valutazione di merito creditizio? TESTIMONE Ra. - Avevamo un Comitato d'investimenti, ma che sulla parte creditizia non... semplicemente recepiva qual era la valutazione che aveva espresso la... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - La Capogruppo? TESTIMONE Ra. - Capogruppo. Quindi sulla parte di erogazione del credito si esprimeva soltanto sulla congruità del tasso d'interesse praticato, perché se poi io mi dovevo andare a finanziare a dei tassi superiori a quello che era il tasso che aveva incassato con l'erogazione del prestito, allora a quel punto il Comitato si sarebbe potuto opporre. Ma non sulla parte creditizia, valutazione delle garanzie, solidità del debitore e quant'altro"). Il teste Ra. è in ciò - si noti - pienamente riscontrato dalla deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10.2019, a pag. 24 ("TESTIMONE MA. - Bp., sì, sì. Però anche qui la PEF viene vista dal Comitato Crediti della Capogruppo. Io c'ho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bullet a quattro anni, delibera del Comitato Crediti della Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre -; "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo".") e indi nuovamente a pag. 88; - il teste Ra., direttore generale della controllata Fi., ha in ogni caso efficacemente descritto la penuria estrema di dati disponibili per un serio controllo del merito creditizio da parte del Comitato Crediti della capogruppo B. a Ciò preposto: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Parliamo, quindi, sempre delle Ju., Ma. e Br.. TESTIMONE Ra. - Si PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Lei sa che documentazione aveva a disposizione il Comitato Crediti o, non so, se era il Comitato Crediti competente, ma insomma, per valutare il merito creditizio? Che documentazione ha utilizzato? TESTIMONE Ra. - Credo avesse un business pian di futura redditività dell'azienda, fatta di titoli e di finanziamento, un business pian molto semplice. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - E cioè, contenente cosa? TESTIMONE Ra. - li portafoglio titoli che ho citato prima, da una parte, e al passivo il finanziamento che aveva erogato, più capitale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ai tempo usò un'altra espressione, però fe chiedo che cosa voleva dire. Sempre il verbale del 20 febbraio 2017 disse, con riferimento ai business pian usò un altro aggettivo; "scarso, stringato". TESTIMONE Ra. "Sì, cioè è un foglio con, da una parte, l'attivo e, dall'altra, il passivo del finanziamento. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Non c'era nient'altro da valutare? TESTIMONE Ra. - Io non ho visto nient'altro"; - le sopra citate PEF, analizzate dal Comitato Crediti della capogruppo B., erano oltretutto caratterizzate da una causale quanto mai generica (cfr. pag. 24 deposizione teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 22.10.2019: "TESTIMONE MA. - Bp., sì, si Però anche qui la PEF viene vista dal Comitato Crediti della Capogruppo. Io c'ho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bu. a quattro anni, delibera del Comitato Crediti della Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo" Se volete le apro tutte e tre fe PEF, però... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sono uguali? TESTIMONE MA. - Pressoché uguali, sono pressoché uguali")) causale in ogni caso disattesa: il finanziamento infatti, come si è visto, venne da ognuna delle tre società lussemburghesi destinato, mediante immediato bonifico bancario, alla creazione della provvista - prima inesistente - grazie alla quale le loro consorelle italiane poterono, a strettissimo giro, procedere all'acquisto di azioni B.; - l'apertura dei conti correnti delle società italiane Pe., Lu. e Gi. presso B. fu richiesta al teste Gi.Gi. (all'epoca in B. con mansioni di direttore regionale Lombardia-Liguria-Piemonte basato in Milano, ove la controllata irlandese Fi. si appoggiava - così ha spiegato lo i stesso teste Gi. alla pag. 70 della sua deposizione - in quanto priva di strutture operative proprie) da Ma.Sb., amministratore del gruppo Fi., in epoca subito successiva alla delibera dei finanziamenti in favore delle tre società lussemburghesi e i menzionati conti correnti vennero alimentati proprio con la provvista derivante dai suddetti finanziamenti, frattanto bonificati alle tre società italiane che di lì a pochissimo acquistarono le azioni B. costituenti il loro unico asset (sul punto cfr, pag. 72 deposizione teste Gi., verbale stenotipico 16,7,2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Cosa le disse Sb.? Lei ha avuto mica colloqui con Sb. su questa operazione? TESTIMONE GI. - No, mi disse: "Guarda, sono d'accordo, adesso ci sono da aprire questi tre conti correnti", decidemmo di aprirli poi presso fa sede di via Turati; arrivarono, appunto, questi quattrini e poi si sottoscrissero dai vari amministratori delle tre società le azioni"). Il ruolo di impulso rivestito dall'imputato An.Pi. nelle anzidette operazioni emerge a sua volta con nettezza dall'istruttoria dibattimentale. Il teste Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese Fi., così si è espresso sulle anzidette operazioni nel corso della sua deposizione (cfr. verbale stenotipico 21.11.2019): - pag. 28: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Dottor Ra., senta, vorrei proprio approfondire questa vicenda Ju., Ma. e Br. in tutti i suoi aspetti, per cui se può fare mente locale e ci racconti quello che si ricorda, poi eventualmente le faccio delle domande di precisazione. TESTIMONE Ra. - Quindi immagino debba raccontare come sono nate le operazioni. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Dall'inizio, sì, io partirei da come sono nate, TESTIMONE Ra. - La Divisione Finanza mi ha comunicato che c'era da fare questi finanziamenti. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - La Divisione Finanza è un soggetto inanimato? TESTIMONE Ra. - No, si chiama An.Pi., perché il dialogo ce l'avevo con lui. Mi ha comunicato che dovevo fare questi ..., che la società doveva erogare questi..."; - pag. 32: "TESTIMONE Ra. - Per la parte banca con la persona che ho detto prima, parlavo con An.Pi., mentre invece presso queste società... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Sì, no, per Ma., Ju. e Br.? TESTIMONE Ra. - Con Ma.Sb. di Finanziaria Internazionale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - E perché si è rivolto a Sb.? TESTIMONE Ra. - Perché è la persona che mi è stata indicata da... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Da chi? TESTIMONE Ra. - ...An.Pi. come referente per la parte delle tre società"; - pagg. 36-37: Omissis - pag. 38: Omissis Il teste Ra., nell'escludere che la controllata irlandese Fi. - della quale egli era il direttore generale - disponesse all'epoca dì margini di autodeterminazione, ha altresì affermato - cfr, pagg. 26-27 ibidem - che ""L'unica possibilità di disattendere le indicazioni di Pi. erano di fatto le dimissioni (..,). Bisogna distinguere, secondo me, un periodo che va dal 2003 fino al 2012 e un perìodo successivo al 2012. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Perché bisogna distinguere? TESTIMONE Ra. - Perché nel 2012 l'invasività della Divisione Finanza nella gestione di una parte, non di una totalità ma di una parte, dell'attivo della Fi. era diventata motto presente, molto incisiva, molto pressante. PRESIDENTE - Dal 2003 al? TESTIMONE Ra. - Dal 2012 fino al 2015. E quindi, come dire, bisogna distinguere due fasi: una fase che va dal 2003 fino al 2012, nella quale c'è stata condivisione, c'è stato un allineamento nella gestione strategica dei portafogli, ma c'era un'autonomia pressoché completa nella gestione della società; e poi una nuova fase, che è quella che è iniziata con il 2012, ha visto un crescendo di ... diciamo così, di partecipazione nella gestione, dal 2012 fino al 2015, quando poi l'attività si è sostanzialmente interrotta. ". La difesa ha insistito nel richiedere la declaratoria di inutilizzabilità della deposizione del teste Ra. per asserita violazione degli artt. 210 e 192 comma 3 c.p.p. Trattasi di istanza motivatamente respinta da questa Corte con l'ordinanza 18.5.2022, rispetto alla quale nessuna sopravvenienza è stata acquisita, sicché valgono tuttora le considerazioni ivi svolte (anche con riguardo all'utilizzabilità della deposizione Ra. sulla distinta vicenda dei fondi esteri che verrà analizzata infra), considerazioni che per praticità qui si riportano in nota. Ciò posto, ritiene questa Corte che non siano fondate neppure le subordinate censure difensive di inattendibilità del teste Ra.. Per quanto attiene alla vicenda qui in esame - come pure perciò che concerne la distinta vicenda dei fondi esteri sulla quale v. infra - r riscontri alle dichiarazioni di Pi.Ra. sono plurimi. Già si è detto di come risulti effettivamente dimostrato, nel presente giudizio, che Fi.; a) non era neppure dotata dì una struttura operativa propria, tanto da dover utilizzare all'uopo quella milanese della controllante capogruppo B.; b) non era neppure in grado dì procedere da sé, con un minimo di autonomia, a un'attività delicata e fondamentale come fa verifica del merito creditizio nei confronti dei soggetti aspiranti a ricevere da essa finanziamenti, provvedendovi invece il Comitato Crediti della capogruppo controllante B. (si noti che ciò non fu un unicum circoscritto alla vicenda delle c.d. "tre sorelle" lussemburghesi e delle loro tre controllate italiane; si trattava viceversa della regola generale per Fi.: cfr., pag., 19 della deposizione 26.10.2019 del teste ispettore Gi.Ma., il quale descrive l'analogo iter - anche in quel caso connotato dalla verifica del merito creditizio condotta dal Comitato Crediti della capogruppo controllante B. - seguito nella ben distinta vicenda del finanziamento correlato erogato proprio dalla società irlandese Fi. al gruppo "So.", del quale si è detto supra; a tale ultimo proposito, anzi, si osserva che proprio la vicenda "So." plasticamente conferma gli assunti del teste Ra. in ordine alle pesanti ingerenze esercitate, a far tempo dal 2012, dalla Divisione Finanza della capogruppo controllante B. nei confronti della controllata irlandese Fi., di fatto in più occasioni utilizzata dalla prima come un mero utile strumento tramite il quale poter più agevolmente porre in essere operazioni "scomode"; ed invero lo stesso teste Va.Ma., legale rappresentante del gruppo "So.", nemmeno si aspettava, avendo egli condotto la trattativa esclusivamente con An.Pi. e con il d.g, Sa.So. di B., che alla fine il finanziamento correlato, pari a 25 milioni di Euro, gli venisse erogato da Fi., società a lui fino a quel momento ignota: cfr. pag. 59 deposizione Ma., verbale stenotipico 12.12.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Si ricorda se, durante le trattative, se si possono definire così, le venne anticipato che, in realtà, il finanziamento arrivava da questa società? Lei la conosceva questa società irlandese? TESTIMONE Ma. - No, assolutamente no"). Dal canto suo il teste ispettore Em.Ga. ha evidenziato, riguardo a Fi., quanto segue, il che è a sua volta del tutto congruente con la rivendicazione, da parte del teste Pi.Ra., della ben scarsa autonomia della controllata irlandese rispetto alla capogruppo e in particolare rispetto alla Divisione Finanza di quest'ultima: "TESTIMONE Ga. - C'era anche nel mandato di ispezione l'obiettivo dì dare un occhio particolare all'operatività di Br.. Bp. è una società che faceva parte del Gruppo Po.Vi., una controllata di diritto irlandese, che era stata costituita, sostanzialmente, con obiettivi, quando un po'tutte le banche italiane, anche in virtù del particolare regime fiscale di favore che ha l'Irlanda, costituivano società all'estero in Irlanda; che non è mai decollata in maniera significativa, faceva un po' di operatività acquistando titoli originari da cartolarizzazioni, quindi con sottostanti crediti, cose di questo genere, Ma operatività sostanzialmente poco significativa in termini dimensionali. Quindi noi, nel fare le verifiche su Bp., abbiamo verificato che nell'attivo creditizio, premesso che i crediti non erano l'attività core, non dovevano essere l'attività core di Bp., quindi un'attività di elezione; in Bp. abbiamo notato queste posizioni creditizie relative a queste società Br., Ma. e Ju. E abbiamo approfondito queste posizioni". In aggiunta a tutto ciò, e venendo più specificamente alla vicenda delle tre società lussemburghesi, il teste Gi.Gi. (delle cui qualifiche già si è detto supra) a sua volta riscontra il teste Ra. circa il ruolo, per così dire strumentale, rivestito da Fi. - benché autrice materiale dei finanziamenti - nella vicenda suddetta, connotata da un impulso proveniente in realtà da An.Pi. tanto per le operazioni del 2012 quanto per quelle del 2013. - anno 2012 (cfr. pag. 70 del verbale stenotipico 16.7.2019): - TESTIMONE GI. - Fine 2012, quindi io sono a Milano da sette-otto mesi. E il dottor Pi. mi dice: "Guarda che ti chiamerà - che "vi chiamerà" o "ti chiamerà", non ricordo bene - Ra. per l'inquadramento di queste operazioni su queste società". PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi lui citò anche le famose Br., Ma. e Ju.? TESTIMONE GI. - Non ricordo se citò, mi dice "Sarai" o "Sarete" non mi ricordo, "chiamati da Ra. per l'inquadramento di queste operazioni". PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Per inquadrare le operazioni, le citò qualche persona fisica che già lei conosceva o qualche società? TESTIMONE GI. - No, in quel momento, no, Ra. contatta - credo fosse de visu anche, cioè proprio viene a Milano perché ogni tanto poi c'era - il nostro capo dei Crediti della regione, il dottor Ma., e gli disse "Guarda che sono d'accordo con Pi. che inquadreremo... che ti manderò, ti inoltrerò queste pratiche perché? Perché fa Fi. non aveva struttura, e quindi si serviva, sostanzialmente, come service dell'area, o della direzione regionale o dell'area nella quale queste operazioni venivano inquadrate. Quindi Ra. scrive una e-mail e dice: "Caro dottor Ma., ti prego di inquadrare questa linea di credito su questa società, con questa durata, con questo tasso. Le finalità sono queste. I soci di questa società sono questi. Abbiamo fatto i controlli World Check" eccetera, e bla bla bla, eccetera eccetera. E quindi noi, come poi ..."; - anno 2013 (cfr. pag. 73 del verbale stenotipico 16.7.2019): "TESTIMONE GI. - No, poi, a un certo... lì siamo alla fine del 12, quindi lì poi succede che poi c'è l'aumento del capitale delle 13, no? Io ricordo che poi andai dal dottor Pi. e dissi: "Scusami" le società, le tre società devono fare l'aumento di capitale?", "Devono fare l'aumento di capitale" e allora. Sempre al teste Gi., nel corso dell'udienza del 16.7.2019, è stata mostrata la produzione documentale del P.M. costituita dal rapporto dell'Internal Audit relativo all'intervista fattagli il 23 luglio 2015, un passo del quale (primo paragrafo di pag. 2) ha il seguente tenore: "Altra eccezione è costituita dalle operazioni appostate sulla Fi. su input di Pi. a seguito dei rapporti instaurati con Ma. e De.. In base alle informazioni fornitegli dal Sig. Sb., dette operazioni furono costruite e concordate con " So., Pi., Ma. ed ovviamente Ra. appoggiandole sulle tre società lussemburghesi Ju., Ma. e Br.". Ebbene, il teste Gi., su specifica domanda del difensore del PI., ha confermato integralmente tale sua dichiarazione - inclusa dunque la parte relativa all'input proveniente dal predetto PI. - rettificandola unicamente quanto a un dettaglio irrilevante (l'aggiunta del nominativo del Ma. a quello del De.), cfr. pag. 79 verbale stenotipico 16.7.2019: Omissis Un altro significativo riscontro al teste Ra. circa il pieno e diretto protagonismo di An.Pi. nell'operazione in esame (tanto da avere quest'ultimo elaborato una sua versione dei fatti - in buona parte analoga a quella, come vedremo insoddisfacente, da lui offerta nel presente giudizio - per tacitare chi, all'interno di B., gliene chiedeva conto) viene dal teste Gi.Fe., ex militare della GdF passato in B. nel 2006, all'epoca responsabile della Co. (cfr. pagg. 45 e ss. verbale stenotipico 31.1.2020). Il Fe., imbattutosi casualmente in tale operazione nel 2013 nell'ambito di un controllo antiriciclaggio, ha dichiarato quanto segue (cfr. pagg. 45-46 ibidem): "Insomma, è una cosa che volevo capire bene, ma per l'antiriciclaggio volevo capirla bene, cioè all'epoca io non avevo la sensibilità che c'è stata dopo sul tema finanziamenti correlati all'acquisto di azioni. Andai da So., e So. mi rinviò su Pi., mi disse: parlane con Pi.. Quindi andai da Pi., e Pi. mi disse: no, guarda che con Finanziaria Internazionale abbiamo dei discorsi in piedi. E in effetti, la banca, in quei periodo, stava acquistando molte azioni di Sa., tanto che arrivò all'8% di Sa., cioè un po' di azioni furono acquistate direttamente nei/'ambito detta movimentazione del portafoglio proprietario, quindi dalla Divisione Finanza della banca, altre azioni furono acquistate ai blocchi da parte della banca passando per il processo del Comitato Partecipazioni. Per cui, effettivamente, cioè, Pi. me la vendette un po'così, dice: no, guarda, loro stanno comprando, hanno della liquidità a disposizione in questo momento che noi gii abbiamo fornito per fare altre cose, gli abbiamo chiesto di comprare azioni, cioè, anzi, no gli abbiamo chiesto di comprare azioni, ci scambiamo ... Loro comprano azioni detta banca, noi stiamo comprando azioni di Sa., io avevo fatto un po' di ragionamenti anche su ipotesi di market abuse, però eravamo arrivati alta conclusione che non ci fossero problematiche di quel genere, anche perché c'era assoluta trasparenza sul fatto che Po.Vi. stava scalando il capitale di Sa., cioè era diventato il principale azionista di Sa., oltre a Ma.. E quindi la vicenda si chiuse così. Cioè, poi, successivamente, è stato chiaro che... è stato chiaro dopo che ne abbiamo parlato con Bc. e Consob che in realtà l'obiettivo era un altro, PRESIDENTE - Mi scusi, Dottore, ma lei questo accertamento, questo colloquio quando lo ha avuto con So./Pi.? TESTIMONE Fe. - 2013. PRESIDENTE - 2013, quando? TESTIMONE Fe. - Eh, poco dopo l'ispezione fatta in Irlanda, in Fi.. Mi pare, però forse mi sbaglio, estate 2013. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Se posso, perché effettivamente sul punto non aveva detto, nel verbale del 7 ottobre 2015 lei disse: "Nel corso di un incontro con So., da me richiesto per questa vicenda, avvenuto, se ben ricordo, nel giugno del 2013, lo stesso Direttore Cenerate mi invitò a sentire Pi. - Ecco, poi le interlocuzioni si sono svolte di lì a poco rispetto a? TESTIMONE Fe. - Sì, sì, no, era stato tutto motto immediato. La giustificazione dell'operazione che ebbe a fornire nel 2013 il PI. al teste Fe. della Compliance, ossia il suo essere una sorta di operazione di "mutuo soccorso" volta ad aiutare il gruppo Fi. a mantenere il controllo di Sa., società dì gestione dell'aeroporto Ma.Po. di Venezia, rastrellandone azioni, è stata indi riproposta dall'imputato, peraltro con non insignificanti modifiche, nel suo esame dibattimentale del 3.3.2020 (cfr. sue pagg. 88-95). In sede di esame, per la verità, lo stesso PI. ha finito con l'ammettere dì aver concepito lui, personalmente, tale operazione su proposta di Ma.Sb. di Fi. (è anzi a suo dire lo Sb. che, testualmente, gli riporta l'operazione da fare": cfr. pag. 90 esame dibattimentale del 3.3.2020 cit.) e di averla affidata a Fi. soltanto perché veicoli erano lussemburghesi, per cui l'unica società che poteva fare un finanziamento a un veicolo lussemburghese era la Fi. perché era un finanziamento estero su estero, così come faceva la Fi. di mestiere" (cfr. pag. 92 ibidem). Tale operazione, secondo il PI., sarebbe rientrata "in un novero di rapporti a più alto livello tra la Banca (...) e il Gruppo Fi. Il Gruppo Fi.... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - "A più alto livello" che significa? IMPUTATO PI. - Scusi? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - più alto livello" che significa? IMPUTATO PI. - A livello, probabilmente, di CdA o di Direzione Generale, con i responsabili... con gli amministratori delegati e anche i proprietari di quello che all'epoca era il Gruppo Finanziaria Internazionale, cioè Ma. e De., all'epoca, poi rimase solo Ma.. Dico questo perché di fatto la banca aiutò il Gruppo Finanziaria Internazionale a mantenere il controllo del rapporto Sa ve di Venezia, non a caso... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Perché vendevano gli Enti locali, no? IMPUTATO PI. - Scusi? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - La partecipazione degli Enti locali che veniva venduta? IMPUTATO PI. - Comprammo una parte la partecipazione degli Enti locati, che dismisero l'investimento, ma io, poi, come Divisione Finanza, feci parecchie operazioni sul mercato per accrescere la percentuale. Tanto che la Po.Vi. era il secondo azionista di Sa., a un certo punto, con t'8,2% della cosa. Questo era il quadro generale all'interno del quale si staglia questo tipo di operazione. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Okay. Ma, come dire, chiamiamola "scalata" si può dire di B. a." - O l'acquisto semplicemente di B. delta partecipazione di Sa., è un'iniziativa di chi? E' una decisione? IMPUTATO PI. - è un'iniziativa che proviene dal CdA della banca. PUBBLICO MINISTERO, DOTT.. Sa. - Dal CdA della banca? IMPUTATO PI. - Assolutamente sì" (cfr. pagg. 88-89 ibidem). Tuttavia la ricostruzione operata dal PI. nel suo esame dibattimentale - differendo sul punto da quanto egli aveva riferito nel 2013 al teste Fe. - risulta contraddittoria laddove da un lato l'imputato ribadisce il preteso scopo di mutuo soccorso e di aiuto reciproco tra B. e Fi. (cfr. pag. 90 ibidem: "Esattamente la stessa logica che dicevo prima sugli investimenti con gli accordi con investitori istituzionali; tu mi aiuti da un lato e io ti aiuto dall'altro. Lo trovavo anche logico dal punto di vista..."), il che avrebbe logicamente importato che la contropartita del rastrellamento di azioni Sa. da parte di B. fosse l'acquisto di azioni B. da parte di Fi. ovvero delle sue controllate (come appunto il PI. ebbe a riferire nel 2013 al teste Fe., v. supra), mentre dall'altro lato il PI. afferma in sede di esame che l'accordo con Fi. prevedeva viceversa l'acquisto, da parte di quest'ultima, non già di azioni B. (la cui detenzione da parte delle tre società italiane Pe., Gi. e Lu. l'imputato sostiene di avere scoperto solo nel 2013 in quanto riferitagli proprio dal teste Fe. della Co.: cfr. pag. 93 ibidem) bensì di titoli tutt'affatto diversi, emessi da soggetti terzi (cfr - pag. 92 ibidem: "Genericamente, private equity o comunque equity dei nord est, e rinnovabili. Infatti, compravano Co.")) ciò fa però scolorire del tutto il vantato scopo di reciproco sostegno che avrebbe animato l'operazione, non riuscendosi allora a scorgere quale mai potesse essere, così stando le cose, il vantaggio, per così dire, "sinallagmatico" conferito da Fi. a B. in cambio di tutto il prodigarsi di quest'ultima per rastrellare azioni Sa., Ed invero, nonostante i ripetuti tentativi del Pubblico Ministero di riuscire a individuare - in sede di esame dibattimentale del PI. - l'altro capo del preteso rapporto biunivoco dì mutuo soccorso e reciproco sostegno intercorso con Fi. in relazione all'acquisto di azioni Sa., va detto che tale ricerca è rimasta, di fatto, priva di esito (cfr. pagg. 94-95 ibidem). A questo punto l'unica logica spiegazione dell'operazione in esame è e resta, dunque, quella - del tutto lineare - fornita dal teste Ra. (della cui attendibilità, in quanto adeguatamente riscontrato su plurimi aspetti della sua deposizione, già si è detto), secondo la quale l'operazione, concepita e sottopostagli per la materiale esecuzione dal PI., non aveva altro scopo se non quello di aiutare B. a liberarsi di un rilevante quantitativo di proprie azioni: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. "Il 20 febbraio 2017 lei disse questo: "Nel momento in cui ho appreso che le società italiane - chiamiamole S.r.l. - avevano acquistato" Lei non si ricorda i nomi di queste società? TESTIMONE Ra. - Gi., Pe. e Lu.? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sì, quindi si ricorda, Gi., Pe. e Lu., mi pare, ecco, non mi ricordo neanche io! ..." avevano acquistato queste azioni Bp., a fronte delie mie perplessità, Pi. mi ha replicato che era necessario aiutare la banca a comprare le azioni proprie". Questo è accaduto? TESTIMONE Ra. - St. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sì, no, quando: nel primo momento o nel momento in cui è stato evidente che il finanziamento era stato destinato ad acquistare azioni delta banca? TESTIMONE Ra. - Nel momento in cui è apparso evidente che tutta l'operazione era poi finalizzata ad acquistare azioni della Po.Vi.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Della banca, quindi Pi. le dette questa spiegazione? TESTIMONE Ra. - SI" (cfr. pagg. 37-38 verbale stenotipico 21.11.2019). Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità di An.Pi. con riguardo ai finanziamenti erogati nel 2012 e nel 2013, tramite Fi., alle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br.. 14.1.3.5. Le operazioni di investimento nei fondi esteri At. e Op. (Mu. e Mu.). Dall'istruttoria dibattimentale è altresì emerso il diretto e determinante apporto causale di An.Pi. negli investimenti operati, tanto nel 2012 da parte della capogruppo B. quanto nel 2013 da parte della sua controllata irlandese Fi., nei fondi esteri unknown exposure denominati At. (con sotto-fondo/comparto denominato Eu., oggetto di investimento a fine novembre 2012 da parte di B.) e Op. (fondo-ombrello Op., due "raggi" del quale erano il Fo., articolato nei sotto-fondi/comparti Beta, Gamma e Delta, oggetto di investimento a fine novembre 2012 da parte di B., e il Fo.Mu., oggetto di investimento l'anno seguente, 2013, da parte della controllata irlandese Fi.); investimenti tradottisi: - da un lato, e anzitutto, nella protratta giacenza, presso determinati comparti (o sotto-fondi) di tali fondi, di azioni B. per un valore originariamente pari a complessivi Euro 60 milioni, di cui 30 milioni su At. e 30 milioni su Op.; azioni costituenti dunque oggetto di un vero e proprio deposito indiretto e occulto in spregio all'allora vigente circolare 263/2006 di Banca d'Italia che, pur non essendo ancora entrato in vigore l'ancor più stringente regime del c.d. CRR (Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, vigente dall'I.1.2014), già prevedeva comunque l'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza delle azioni proprie detenute a qualsiasi titolo, diretto o indiretto; - dall'altro lato, e in aggiunta a ciò, nella sostanziale effettuazione - tramite altri comparti dei suddetti fondi esteri - di "operazioni creditizie non passate attraverso gli organi competenti. Queste operazioni creditizie, invece di passare attraverso gli organi competenti, erano state fatte in forma di emissione, di sottoscrizione di obbligazioni. Sono stati dati soldi al Gruppo Ma., al Gruppo De Ge., al Gruppo Fu., due gruppi, tra l'altro, De Ge. e Ma. che la banca... che già non pagavano, superando limiti importanti di ammontare" (cfr. pag. 66 deposizione teste ispettore Em.Ga., verbale stenotipico 26.9.2019). Fondamentale al riguardo è ancora una volta, in primo luogo, la deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma. all'udienza del 26.10.2019; cfr, in particolare le pagg. 8-21 del relativo verbale stenotipico, da cui si evince che: - il team ispettivo Bc. entrò in B. "sapendo che c'erano dei fondi che detenevano al 30 giugno 2014, sulla base delle segnalazioni effettuate a Banca d'Italia, a Bc., 55 (rectius 52,4) milioni di Euro di azioni proprie Che poi erano scesi fino a zero al 31 dicembre (...)" (cfr. pagg. 8-9 deposizione teste Ma.); - lo stesso team ispettivo Bc., nella persona proprio dell'ispettore Ma., rapportandosi con l'Ufficio Soci di B. (il cui responsabile era il teste Fi.Ro.), riuscì a ricostruire "le modalità di acquisto di questi 55 (rectius 52,4) milioni che in realtà non furono 55 ma erano 60" (cfr. pagg. 9 deposizione teste Ma.); - gli ispettori, in particolare, ebbero a verificare a tal proposito che in data 27-28 novembre 2012 la banca decide di investire 100 milioni su un fondo chiamato Op., 100 milioni su un fondo chiamato At.. Le modalità con le quali avviene questo investimento nei fondi sono di questo tipo: la banca, o il sottoscrittore, si impegna irrevocabilmente a versare 100 milioni, poi sono i fondi che decidono di chiamare a sé, ricevere i 100 milioni. Op. li riceve subito, i primi giorni di dicembre 2012 riceve questi 100 milioni, si fa dare 100 milioni; At. si fa dare 70 milioni a dicembre e i 30 a gennaio 13. Quindi quello che è importante è che a dicembre 2012 i fondi avevano in pancia, dalle ricostruzioni, 100 milioni cash uno, Op., 70 milioni cash l'altro, At.. 28 novembre... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Novembre 2012? TESTIMONE MA. - Novembre 2012. Dopodiché I fondi acquistano azioni con tre operazioni diverse, si cominciano a muovere praticamente sulle azioni proprie, e questo avviene tutto tra il 27 dicembre 12 e 31 dicembre 12. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi a fine anno? TESTIMONE MA. - Assolutamente sì (...). I fondi acquistano 60 milioni in questo modo. Cominciamo con un'operazione semplice, l'operazione semplice la fa l'Op.: mi compra 29,972.000 Euro dì azioni, se permette arrotondo a 30 altrimenti numeri (...), Op., arrotondo a 30 milioni, ordine 27-28 dicembre, valuta 31 dicembre. Cosa significa? Che il 31 dicembre c'è lo scambio: Op. si prende le azioni dal fondo e fornisce 30 milioni alla controparte. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Direttamente? C'era un intermediario qua? TESTIMONE MA. - Qui in mezzo c'è un broker chiamato Ma.Sp. (...). Op. compra 30 milioni, valuta 31 dicembre. At.. At. fa una stessa identica operazione: ordine il 27-28 dicembre 12, valuta 31.12.12, però At. mi compra 5,5 milioni. In mezzo c'è De.. Mancano all'appello 24,5 milioni. Questi 24,5 milioni hanno una struttura un pochino più complessa, cerco di essere il più possibile semplice (...). At./Eu., se ricordo bene. Quindi 30 Op., 5,5 At., mancano all'appello 24,5. Questi 24,5 milioni nascono in realtà un po' prima delfine dicembre, perché l'Ufficio Soci mi portò delle e-mail, chiesi all'Ufficio Soci: mi fate capire come nasce l'ordine, come nasce l'acquisto, perché questi fondi hanno acquistato? L'Ufficio Soci, nella persona del dottor Ro., mi portò delle e-mail. Queste e-mail partono il 14 dicembre 12 e riguardano uno scambio di e-mail tra il dottor Pi. e due soggetti italiani (...) avevano lo stesso cognome, Ri.Al. e Ri.Em., se ricordo bene, che lavoravano in una banca londinese ma giapponese, banca No. (...). Dopodiché questa operazione, 14 dicembre, le e-mail che seguono riguardano, diciamo, la parte operativa, cioè l'Ufficio Soci della Po.Vi. e il back office di questa banca. Arriviamo quindi all'ordine. L'ordine di No. è di 24,5 milioni, un ordine che corrisponde a 392.000 pezzi di azioni che, controvalorizzate appunto sono 24,5 milioni. Ordine del 27 e 28 dicembre, valuta 31.12. Uguale identico agli altri fondi Op. e At.. Prezzo 62,50, ovviamente, perché la banca non è che poteva vendere a un prezzo più alto o più basso. E l'operazione fini là, quindi No. al 31 dicembre si prende 24 milioni di azioni. Successivamente, quando abbiamo ricevuto praticamente dai fondi At. ed Op. la contabile con la quale loro erano venuti in possesso, diciamo, delle azioni, notai che in realtà la banca depositaria di At. scrive ad At. dicendo: guarda che tu hai acquistato 24,5 milioni di azioni, e su in alto c'è una data che è 28 dicembre 2012, trade date, trade date significa data dell'ordine, insomma, però valuta 2 gennaio. Cosa significa? Significa, ai miei occhi, che No. compra 24,5 milioni il 27 dicembre, valuta 31, ma sotto probabilmente c'era un altro contratto già fatto con At., stessa data ma passiamo il Capodanno, 2 gennaio 2013, 2 gennaio perché l'I gennaio/ insomma, è festa per tutti In questo modo / fondi hanno comprato 60 milioni, Siamo ai 2 gennaio 2013: 30 milioni Op., 5,5 At., di prima, 24,5, fa somma fa 60 milioni. Siamo al primo gennaio 2013 e il 2013 scorre in maniera, diciamo, normale - Ritengo che i fondi avessero in pancia ancora 60 milioni (...). No. compra dalla banca a 62,50 e poi vende, stessa data ma con valuta 2 gennaio, ad At., ovviamente sono banche che non fanno nulla per nulla, le vende non a 62,50 ma a 62,56. Diciamo che due privati possono scambiarsi le azioni di Po.Vi. a qualsiasi prezzo, insomma non sono obbligati". Se non vai sul mercato della banca compri a un prezzo che vuoi, insomma, com'è successo poi su un'altra operazione che, semmai vi può essere utile raccontarvi, 62,56. Se noi moltiplichiamo 62,56 per il numero delle azioni vediamo che No. da questa operazioncina ha guadagnato lo 0,1% di 24,5 milioni, cioè 24.500 euro" Quindi No. ci guadagna da questa bridge, chiamiamola bridge, ponte, operazione ponte, 24.500 Euro per di fatto tenere le azioni un giorno, due giorni, da131.12 ai 2 gennaio, Il 2 gennaio già ce le aveva At./Eu., dai documenti che io ho e dalle evidenze contabili. Il 2013 scorre in questo modo, cioè i fondi hanno 60 milioni in pancia, ritengo che avessero 60 milioni in pancia perché? Perché nel 2013... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Però non si sapeva? TESTIMONE MA. - Non si sapeva" (cfr. pagg. 9-12 deposizione teste Ma.). E' altresì emerso, sempre in sede ispettiva, che i fondi esteri in questione, al di là del fatto di essere fondi appartenenti alla categoria unknown exposure (= a esposizione ignota o non comunicata), ossia non tenuti a comunicare all'investitore come e dove impiegheranno i suoi denari (un connotato, questo, che - come osserva la difesa - non era estraneo neppure a taluni fondi di tutt'altro gestore in precedenza utilizzati da B. con profitto per la propria liquidità), avevano quale loro ben più significativa - e questa sì del tutto anomala - caratteristica quella di non essere fondi collettivi, ossia connotati da una pluralità di investitori, bensì di vedere quale proprio unico investitore (e/o, al più, quale proprio investitore al 90%) la stessa B.. Tale peculiarità - invero determinante nel condurre a ravvisare la penale responsabilità dell'imputato PI., come sì vedrà infra - è stata illustrata con particolare chiarezza dal teste ispettore Em.Ga. alle pagg. 60-62 della sua deposizione resa il 26.9.2019: "TESTIMONE Ga. - A esposizione ignota o non comunicata, insomma, poi fa traduzione... Cioè fondi in cui il gestore ha fa possibilità di non comunicare i sottostanti. Qual è la singolarità? Quindi uno strumento consueto, anche se un po' particolare, però è normale, può capitare. Qua! è la singolarità? La singolarità è che Po.Vi. era, sostanzialmente, l'unico sottoscrittore di questi fondi. Quindi questi fondi, il fondo, per sua natura, anche il fondo più riservato, per sua natura, ha una pluralità di sottoscrittori; cioè c'è una serie di soggetti che sottoscrivono quote di un fondo e conferiscono delle somme perché vengano gestite e investite - Qui, invece, la vera natura giuridica, la sostanza è che non si trattava di fondi: si trattava di gestioni patrimoniali, cioè se il fondo è completamente alimentato da risorse mie non è un fondo, è una gestione patrimoniale di mie risorse. (.... Il Comitato Finanza, in realtà, non ha mai saputo nulla di quello che c'era nei fondi perché / veri asset in cui i fondi erano investiti erano sottofondi che, a loro volta, occultavano i veri strumenti finanziari target strumenti finanziari finali in cui i fondi erano investiti. E in più, il Consiglio di Amministrazione non ha mai verificato che l'obiettivo iniziale per cui questi fondi erano stati... si era deciso di acquistare questi fondi quello che è stato formalizzato, cioè quello di intrattenere relazioni con chi potesse portare liquidità alla banca, si verificava, cioè si era verificato. Cioè, inizialmente, questi fondi erano stati sottoscritti perché il dottor So., Pi., non so chi ha presentato fa richiesta in Consiglio di Amministrazione, aveva detto: "No, vabbé, ci serve avere questo plafond, che è stato progressivamente aumentato, plafond importante perché il rischio è elevato, "Ci serve avere questo plafond perché così intratterremo relazioni con clienti che poi ci potranno portare della raccolta, noi abbiamo bisogno di raccolta", quindi un po' replicando quel meccanismo che la banca aveva utilizzato con Az. nel 2011 -2012, alla fine del 2011: quando la banca aveva avuto dei problemi di liquidità, aveva investito in fondi Az., e Az. Aveva portato, credo, 400 milioni di raccolta. Però i problemi di liquidità, alla fine del 2012f erano venuti meno e, comunque, in ogni caso, il Consiglio di Amministrazione non ha mai verificato che effettivamente i fondi Op. o At. avessero portato quella liquidità, e poi effettivamente non è stata portata". Già le sole acquisizioni dei dati oggettivi, qui riportati, esposti dagli ispettori Gi.Ma. ed Em.Ga. rendono evidente l'infondatezza di una serie di assunti difensivi volti a perorare la bontà e la piena legittimità delle suddette operazioni di investimento nei fondi esteri; assunti ribaditi con forza dalla difesa in sede di discussione finale, secondo cui: a) un soggetto di solida reputazione come la banca internazionale No. ebbe a divenire, in tal modo, investitore e socio di B. (in realtà, come si è visto, No. si tenne le azioni B. appena per due giorni, vendendole immediatamente dopo al fondo At. e finanche lucrando su tale sua rapida intermediazione l'importo di 24.500,00= euro); b) l'operazione era una mera replica di quella fatta in precedenza con i fondi Az., che avevano effettivamente dato ottimi risultati in termini di liquidità, e ciò in quanto Op. e At. avrebbero distribuito i 60 milioni di azioni B. presso la propria clientela, essendo investitori istituzionali (in realtà, come si è visto, i fondi lussemburghesi Op. e At. e per essi i loro sotto-fondi - ovvero comparti-, non essendo fondi collettivi, erano strutturati ben diversamente dai fondi Az. fino a quel momento utilizzati, giacché, di fatto, non avevano la benché minima clientela presso la quale poter distribuire quelle azioni, semplicemente in quanto non esistevano, di fatto, altri loro investitori se non la stessa B.). Quanto poi all'appena ricordato ruolo di mero intermediario e depositario temporaneo (per due soli giorni) svolto da Banca No. nella vicenda dell'acquisto di azioni B. per 24,5 milioni di Euro da parte del fondo At., il protagonismo del PI. è reso evidente, al pari della vera natura dell'operazione (con la quale B. perseguiva l'obiettivo di dare una collocazione occulta a un non certo irrilevante quantitativo di azioni proprie), dal tenore della e-mail inviatagli in data 14.12.2012 ad ore 8.59 da Ri.Al. di No., in atti sub doc. 378 del P.M.: "Ciao An.. Spero tutto ok" Ti volevo segnalare che abbiamo un concreto interesse da investitori per acquisto azioni B.. Stiamo smarcando alcuni passaggi formali interni che dovrebbero essere completati fra oggi e lunedì. A quel punto potremo formalmente farvi un'offerta di acquisto. Avrei bisogno di sapere da te: - Conferma del prezzo che abbiamo già discusso di persona; - Conferma che e ok che acquirente risulterà poi essere SPV di No.; - Conferma su vostra indicazione di size. Mi avevi detto che forse preferivate fare importi rotondi. Aspetto tue notizie, Metto in copia Al.Ri. mio collega di Eq. che seguirà questa operazione (essendo io in vacanza prossima settimana)". Come ha condivisibilmente affermato (v. subito infra) il teste ispettore Gi.Ma. mentre il suddetto doc. 378 gli veniva esibito dal P.M., sarebbe ben bizzarro, in una normale transazione connotata dalla segnalata presenza di reali investitori effettivamente interessati all'acquisto di azioni altrui, che l'entità del pacchetto azionario oggetto della potenziale compravendita non fosse determinata dalle indicazioni dell'acquirente - che è l'aspirante azionista - bensì da quelle del venditore; in più nello stesso doc. 378 del P.M. compare anche una successiva e-mail inviata il 20.12.2012 ad ore 11.08 da Al.Ri. di No. al PI., oltre che all'omonimo suo collega Ri.Al., avente il seguente tenore: "Gentile dott. Pi.. Spero che questa mia email la trovi bene. le chiederei la cortesia di sentirci ai telefono, magari nella mattinata di oggi, per dare seguito alle conversazioni da lei avute con il mio collega Ra.. Mi potrebbe dire su che numero la posso rintracciare e a che ora la posso disturbare?". Se sì fosse realmente in presenza dì una normale e trasparente transazione di compravendita di azioni, condotta alla luce del sole, davvero non sarebbe dato comprendere la ragione di tanta segretezza. Su tutto ciò cfr., per l'appunto, pag. 11 deposizione Ma., verbale stenotipico 26.10.2019: "TESTIMONE MA. - Se andate a pagina... dovete fare tre giri di pagina, ci sono delle frecce" quelle sono le mie frecce. Ri. Ra. scrive a Pi., ma questa è una curiosità, è rimasta tate, insomma, però ovviamente mi avevano un po' incuriosito le modalità di formazione di questa operazione, perché? Perché Ri. Ra., potenziale compratore, dice: "guarda che noi abbiamo un concreto interesse da alcuni investitori per acquistare le vostre azioni"; e poi, al terzo capoverso: "mi conferma su tua indicazione la size? Mi avevi detto che preferivi fare importi rotondi". Ora, mi aveva incuriosito questa cosa perché il compratore non chiede al venditore "che volume vuoi fare?". Insomma, il compratore va dal venditore e gii dice "scusa, voglio comprare 24,S, ce l'hai?" Comunque, al di là di questo, questa fu una curiosità. Oltre al fatto, insomma, nella parte aita di questa pagina ci sono altre frecce con le quali Ri., insomma, dice "sentiamo al telefono"; per altri motivi". D'altra parte, che l'operazione Op.-At. avesse connotati diversi - e volutamente assai più "misteriosi", pure all'interno della stessa Direzione Finanza di B. - rispetto alla pregressa esperienza di investimento con i fondi Az. è dimostrato anche dalla deposizione resa in data 9,1,2020 (pagg. 47-49 del relativo verbale stenotipico) da Pa. Al., subalterno del PI. nell'ambito della Divisione Finanza, con il quale l'imputato, pur trattandosi di uno dei suoi più stretti collaboratori e per di più responsabile della branca Global Markets (veste nella quale l'Al. aveva svolto un ruolo rilevante nelle operazioni di investimento pregresse con i fondi Az.), si dimostrò evasivo e sfuggente, non coinvolgendolo se non per sommi capi: "TESTIMONE AL. (...) a partire dalla fine dei 2011, ci fu un inserimento di una componente di fondi. Nell'ambito di questa componente di fondi, la mia... il mio ruolo è stato soprattutto di portare o di proporre, e poi è stato validato dal Comitato Finanza e dal Consiglio di Amministrazione, investimenti nei fondi Az.. I fondi Az. di riferimento erano collegati a un investimento della banca a fronte di un deposito di liquidità da parte dei fondi medesimi - Ovviamente, questa cosa avveniva a nostro favore, nel senso che raccordo era di acquistare un x dì questi fondi e di avere, dall'altra parte, 3 volte x di liquidità a favore della banca; e in questo ambito io facevo... PUBBLICO MINISTERO - Quindi l'obiettivo strategico era la liquidità? TESTIMONE AL. - Assolutamente, PUBBLICO MINISTERO - Parliamo di azimut? TESTIMONE AL. - Az., assolutamente - E nell'ambito del tema dei fondi Az., la vicenda iniziò nel 2011, e anche quando andai via, nel 2015, mi ricordo che con il nuovo Responsabile della Divisione Finanza feci proprio un incontro con Az., perché Az. era e rimaneva uno dei principali depositanti a livello istituzionale di liquidità nei nostri confronti, Dopodiché, c'è la vicenda dei fondi a cui lei fa riferimento. La decisione di investire in questi fondi non fu una decisione dove io ebbi un ruolo nel dire: andiamo a investire in questi fondi. Non ricordo di aver partecipato a discussioni circa la selezione dei fondi, Non vidi, se non poi, come lei accennava, Dottore, nella parte finale, il tema relativo ai contratti. Furono, come qualsiasi investimento, rappresentati in Comitato Finanza, mi sembra di ricordare, però è un ricordo di memoria, quindi non ho una e-mail o feci una e-mail a questo riguardo, che quando furono presentati questi fondi io domandai a An.Pi. che cosa fossero questi fondi, e,.. PUBBLICO MINISTERO - Ma, quindi, di che periodo parliamo, quando ci fu questa interlocuzione? TESTIMONE AL. - Guardi, secondo me, poteva essere il 2012, nel senso che in Comitato Finanza il mio ricordo è che comunque erano... come si dice? Rappresentati la presenza, l'esistenza di questi fondi come ammontare. Se ricordo bene, la cosa che feci era di domandare al dottor Pi.: ma, An., questi fondi che cosa sono? PUBBLICO MINISTERO - Ma lei... No, finisca, perché poi mi è venuta in mente una cosa da chiedere. Finisca pure, TESTIMONE AL. - Gli domandai: ma che cosa sono? E fui mi disse; questi qui sono fondi dove il Direttore Generale ha espresso la decisione di... decisione di investire. (...). PUBBLICO MINISTERO - Lei a Pi. chiese la spiegazione di che questo tipo di investimento non era partito da una proposta della sua struttura? TESTIMONE AL. - Diciamo che forse sono un po' più naif, nel senso che gli chiesi: ma scusa, ma cos'è questa... questa cosa? Ritorno a quello che vi dicevo, E lui mi disse: è un investimento deciso dal Direttore Generale/'. Il dato nodale, quindi, è rappresentato dal fatto che i fondi e i sotto-fondi in esame non fossero collettivi, non potendo dunque essi nemmeno definirsi a rigore come OICVM, acronimo per "Organismi di Investimento Collettivo in Valori Mobiliari". Già questo offre la misura dell'entità e gravità, in concreto, del tradimento del mandato conferito anno dopo anno dal CdA (per parte sua dimostratosi tutt'altro che vigile e attento nel vegliare sul rispetto del mandato stesso, il che rende del tutto prive di qualsivoglia valore le deposizioni testimoniali rese all'udienza del 30.5.2022 in grado di appello dal sindaco Giacomo Ca. e dal consigliere di amministrazione Gi.Pa., invocate dalla difesa come a sé favorevoli) in occasione dei progressivi cospicui aumenti del plafond, secondo quanto si evince dalle rispettive delibere, qui di seguito elencate e tutte rinvenibili in atti all'interno del composito doc. 102 del P.M.: - verbale CdA del 21.2.2012, in particolare sub aff. 122-123 (viene deliberato il brusco innalzamento del plafond degli investimenti, portato a Euro 500 milioni per gli "investimenti finanziari in quote di OICVM" rispetto agli appena 150 milioni precedenti; il nuovo plafond e le linee guida degli investimenti della banca vengono presentati al CdA dal solo An.Pi.); i primi cospicui investimenti nei fondi At. e Op. avranno luogo proprio alla fine del mese dì novembre dello stesso anno 2012, per giunta in modo tale da rischiare seriamente di superare di alcune decine di milioni di Euro il plafond stesso, benché elevato a 500 milioni di euro: cfr. i docc. 347 e 348 del PM, carteggio Ca./Pi. del 29/11/2012, dai quali si evince che Ma.Ca., subalterno del PI. in seno alla Divisione Finanza, gli segnalava tale concreto pericolo; il PI. gli replicava a stretto giro dì non preoccuparsi in quanto per fine anno avrebbero sistemato la cosa rientrando nel plafond deliberato, e ciò grazie alla dismissione di 60 milioni dai fondi Az. C Prima di allora dismetteremo altri 60 mln di fondi Az. non superando mai il limite. Saluti, An."); - verbale CdA del 5.2.2013, in particolare sub all. 382-383 (ulteriore innalzamento del plafond degli investimenti da 500 a 700 milioni di Euro per gli "investimenti finanziari in quote di OICVM"); anche in tale occasione il nuovo plafond e le linee guida degli investimenti della banca vengono presentati al CdA dal solo An.Pi., non ancora affiancato in tale compito da Da.Es., responsabile del Risk Management; - verbale CdA del 23.7.2013, in particolare sub all. 107 (ulteriore innalzamento del plafond degli investimenti da 700 a 800 milioni di Euro per gli investimenti finanziari in quote di OICVM ... di cui 300 milioni di Euro al massimo allocabili sul plafond di Fi. che avrà la possibilità di investire in asset class che esprimano un profilo rischio/rendimento in linea con le esigenze strategiche del gruppo")) solo questa volta il PI. (che pure prenderà la parola immediatamente dopo per illustrare il programma di offerta di prestiti obbligazionari; v. aff. 108 stesso documento) è sostituito - nella presentazione al CdA del nuovo plafond e delle linee guida degli investimenti finanziari in quote dì OICVM - dal collega Da.Es., responsabile del Risk Management, Nondimeno, come puntualizza il teste Pi.Ra., direttore generale di Fi. (della cui attendibilità già si è detto supra con riguardo alla vicenda delle c.d. "tre sorelle lussemburghesi"), nemmeno in questo caso può certo dirsi che il PI. si fosse defilato dalla scena degli investimenti in fondi esteri, tanto che - cfr. pag. 45 dell'esame Ra. 21.11.2019 - fu proprio il PI. ad avvisarlo che, di quei 300 milioni di Euro, i due terzi andavano necessariamente destinati a uno specifico fondo già individuato, l'Op.. Si noti, d'altra parte, che tra la delibera del 5.2.2013 (di ampliamento del plafond a 700 milioni di euro) e la successiva del 23.7.2013 (di ulteriore suo ampliamento a 800 milioni, di cui un massimo di 300 milioni allocati su Fi., controllata irlandese) erano frattanto intervenute due altre importanti delibere intermedie del CdA datate 193.2013 e 28.5.2013, come si evince anche dal doc. 418 del PM (relazione dell'Internai Audit sui fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), le quali danno contezza di come - a partire dal marzo 2013 - An.Pi. fosse divenuto titolare di una delega piena ad operare nel settore, disgiunta da quella analoga che era stata conferita al d.g. Sa.So.. Delega, si noti, espressamente richiamata, e non già revocata, anche nella delibera CdA del 23 luglio 2013. L'ampiezza dei poteri conferiti dal CdA ad An.Pi. con la delega disgiunta di cui alla delibera 19.3.2013 è ben illustrata nei termini seguenti dal menzionato doc. 418 del PM (relazione dell'Internai Audit sui fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015): "(...) In data 19 marzo 2013 con specifica delibera il Consiglio di Amministrazione ha provveduto a conferire delega ai Direttore Generale e al Responsabile della Divisione Finanza disgiuntamente tra loro per il compimento di ogni atto necessario e o ritenuto opportuno per la formalizzazione degli investimenti finanziari in quote di OICVM sino al massimo di 700 mln ... dando sin d'ora per rato e validato il loro operato. Tale ulteriore delibera si era resa necessaria in quanto la scrivente Funzione (audit) nell'ambito delle periodiche verifiche ispettive circa l'operatività posta in essere dalla Divisione Finanza aveva rilevato la mancata assegnazione di deleghe con riferimento al plafond in parola richiedendo alle strutture della Divisione Finanza di procedere alla formalizzazione delle stesse. La delibera prevedeva inoltre che gli investimenti citati fossero oggetto di analisi e di periodica valutazione da parte del Comitato Finanza ed ALMS su indicazione della Divisione Finanza della Divisione Bilancio e Pianificazione e della Direzione Risk Management e di rendicontazione periodica al Consiglio di Amministrazione. Successivamente in occasione della seduta del 28 maggio 2013 il Consiglio di Amministrazione ha inoltre approvato la revisione dei criteri di inclusione nel plafond citato consentendo anche la sottoscrizione di OICVM che investano in strumenti di capitale purché questi non rappresentino una quota superiore ai 40% del totale del plafond stesso (...)". Come si può notare le delibere del CdA in materia risultano totalmente travalicate e contraddette dai contenuti delle operazioni in concreto concluse con i fondi Op. e At.: essi non sono definibili come OICVM, ossia come fondi collettivi; non sono destinati alla distribuzione di azioni tra i loro pretesi investitori, che non esistono; i loro investimenti in strumenti di capitale hanno ad oggetto azioni proprie di B.. Come si legge nel suddetto doc. 418 del PM ben altra era "la mission del plafond su cui tali investimenti insistono ovvero la strumentalità degli stessi a partnership finalizzate ad acquisire liquidità per il Gruppo". Obiettivo che era viceversa stato perseguito, anche con buoni risultati, con i diversi fondi nei quali si era investito sino a fine novembre 2012. Che il carattere non collettivo dei fondi At. e Op. rappresentasse una scelta incompatibile con un'effettiva volontà di investire (e compatibile, invece, unicamente con la volontà di dare vita a un deposito indiretto occulto di titoli), emerge altresì dal fatto che tale circostanza, una volta appresa, destò l'incredulità del responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione, Ma.Pe., resosi autore di un appunto manoscritto privo di data che è stato acquisito agli atti quale doc, 805 del P.M., da quest'ultimo prodotto all'udienza del 4,2,2020 (la teste di P.G. Me.Ro. ha spiegato durante tale udienza che l'appunto - privo di data ma sicuramente successivo, dato il suo complessivo contenuto, all'entrata in vigore del CRR, ossia all'1.1.2014 - si trovava annotato su un'agenda sequestrata nell'ufficio di Pe.), In tale appunto, assieme ad altre annotazioni, si legge; "Indiretti? Che senso ha investire in un fondo 100% o 90% che investe in azioni banca?". Ed invero lo stesso imputato PI., dopo avere sostenuto per buona parte del suo esame dibattimentale 3.3.2020 che si era trattato di un regolare mirato investimento, finalizzato alla - distribuzione" delle azioni B. tra i vari clienti investitori nei fondi At. e Op. ("imputato Pi. - 2012, quindi stiamo parlando di settembre-ottobre 2012, E invece, con loro trovammo la definizione, per cui la proposta qual era? Che la banca avrebbe investito 100 milioni nel fondo meglio, in determinati comparti dei fondi At. e Op., e Op. e At. avrebbero distribuito 30 milioni di azioni Po.Vi. presso la propria clientela. Questo era l'accordo che fu preso con foro e da cui partì poi l'investimento nei due comparti": cfr., pag. 47 verbale stenotipico 3.3,2020), con lo scopo dichiarato di ampliare e diversificare la platea degli azionisti (per "aumentare la base di investitori istituzionali in relazione agli altri soci della banca. Questo perché? Perché la Banca (...), fino a quel momento lì, aveva una base sociale, in maniera assolutamente preponderante, direi il 95-96%, fatto da individui o da imprenditori, pochissimi nel settore istituzionale, forse la banca in assoluto che aveva meno investitori istituzionali a livello di azionariato in banca. Quindi c'era necessità di andare a spingere, rispetto a questo numero, su investitori istituzionali (...) Quindi sempre di più si doveva cercare di andare a trovare almeno uno zoccolo duro di investitori istituzionali. E questo tipo di attività, di "scouting", diciamo, di ricerca di investitori istituzionali, a me è stato chiesto da parte del Direttore Generale So.": cfr. pagg. 44-45 verbale stenotipico 3,3.2020), ha dovuto riconoscere infine, in risposta a una precisa domanda della presidente del collegio dì primo grado riferita proprio al tenore dell'appunto manoscritto dì Ma.Pe. sub doc. 805 del P.M., la verità, ossia che - al momento della sottoscrizione dei fondi Op. e At. - egli ben sapeva che B. ne era il solo investitore e che dunque non vi sarebbe stata alcuna "distribuzione" delle azioni B. tra plurimi investitori, perché questi ultimi erano in realtà inesistenti (cfr. pag. 132 verbale stenotipico 3.3,2020): "PRESIDENTE - C'è un appunto del dottor Pe., che è stato prodotto dal Pubblico Ministero, che contiene una domanda che anch'io mi sono fatta, mi sono posta; che senso ha investire in fondi, se i fondi comprano azioni della banca? è una domanda che anch'io mi sono posta, è in grado di darci una risposta? IMPUTATO PI. - Col senno di poi, ovvio, certo che non aveva senso, tanto che dopo diciamo bisogna in qualche maniera redimerli, perché non ha senso, anzi, patrimonialmente non c'è logica, Ma questo non era l'obiettivo. Non dovevano i fondi comprare azioni della banca, o meglio, non dovevano mettere delle azioni della banca su comparti in cui la banca stessa aveva investito. Non era questa la logica". Né potrebbe seriamente obiettare l'imputato - come pure egli ha implausibilmente tentato di fare nel corso del suo esame dibattimentale - di avere "sperato" che, prima o poi, la situazione iniziale a lui ben nota (connotata dal carattere non collettivo dei fondi esteri in esame, che vedevano la stessa B. quale foro sostanzialmente unico investitore ed erano oltretutto "chiusi", dunque tali da fornire alla stessa B. soltanto insufficienti e scarne informazioni di primo livello) mutasse consentendo finalmente la comparsa all'orizzonte dell'auspicata vasta platea dì investitori diversificati ai quali "distribuire" le azioni per il momento giacenti nei comparti dedicati ("sotto-fondi") dei fondi medesimi. Investitori, si badi, che ancora non si erano minimamente palesati a tutto il giugno 2014 (ciò dimostrando a fortiori che il solo intendimento del PI. e del So. era in realtà ab origine sempre stato quello di collocare stabilmente a tempo indeterminato le azioni B. nei comparti dei fondi a ciò dedicati al fine di attuare una forma occulta di loro detenzione indiretta), allorquando - v. su ciò più ampiamente infra - l'entrata in vigore del c.d. CRR costrinse infine la Divisione Finanza di B. a chiedere una disclosure tanto ad At. Capital quanto a Op. circa la giacenza di azioni B. presso i comparti dei rispettivi fondi, mentre fu necessario ulteriormente attendere l'ispezione Bc. del 2015 (e le pressioni in tale sede esercitate dal team ispettivo sul d.g. So. e sullo stesso PI.: cfr. deposizione del teste ispettore Em.Ga., pag. 64 verbale stenotipico 26.9.2019) per poter avere contezza di quali fossero i sottostanti ai fondi medesimi. Ebbene, a seguito di ciò risultò che ancora nel mese di maggio 2015 B. e Fi. seguitavano ad essere gli unici sottoscrittori, rispettivamente, del Fondo Op. 1 e Mu. mentre B. seguitava ad essere sottoscrittore al 99% di At., come si evince dal doc. 418 del P,M, (relazione dell'Internai Audit sulla vicenda dei fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), pag. 4: "Alla data, B. e Fi. rappresentano di fatto gli unici sottoscritto(ri) dei 3 Fondi (100% di Op. I e II e circa il 99% di At.). Si precisa altresì che i contratti di sottoscrizione dei Fondi Op. prevedevamo) fa costituzione, in seno a ciascun Sub-fondo, di un "Investment Committee" i cui membri potevano essere eletti dagli investitori in funzione della loro quota. Detti Comitati non sono mai stati costituiti Risulta del tutto inverosimile - e invero anche svilente della sua riconosciuta elevata professionalità - la figura, tratteggiata per sé dal PI. alle pagg. 50-53 del suo esame dibattimentale 3,3,2020, di colui che, dopo avere adottato la consapevole e volontaria decisione di condurre B. a investire un rilevante importo nella sottoscrizione di fondi non collettivi aventi la medesima B. quale loro sostanzialmente unico investitore, si sarebbe poi di fatto limitato, assieme al direttore generale So., ad affidarsi al destino (accettando, quindi, anche l'eventualità, nient'affatto remota e in concreto verificatasi, che l'investitore rimanesse la sola B. per sempre), senza che peraltro i vertici della banca fossero posti - per sua stessa ammissione - nelle condizioni di verificare l'evolversi di tale situazione (e dunque, a tacer d'altro, senza che B. potesse disporre dei dati indispensabili a verificare se, quando e in quale misura dover scomputare dal patrimonio di vigilanza azioni proprie giacenti nei comparti dei suddetti fondi): - cfr. pagg. 50-51 esame PI.: Omissis - cfr. pag. 53 esame PI.: Omissis A ciò si aggiunga che il PI. riconosce anche (cfr. pag., 55 suo esame 3.3.2020) che tutta la vicenda degli investimenti nei fondi At. e Op. prese le mosse dall'esigenza, annunciatagli come impellente dal direttore generale Sa.So., di far uscire dal fondo riacquisto azioni proprie della banca il controvalore di 60 milioni di Euro in azioni B.: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quando lei è stato sentito dal Pubblico Ministero, nel corso dell'interrogatorio, verbale 26 settembre 2017, quindi dopo che ha ricevuto ravviso di conclusione delle indagini preliminari, lei dice: "Con riferimento all'operazione At. e Op., ricordo che tra settembre e ottobre 2012 il dottor So. (...) mi aveva rappresentato la necessità di collocare 60 milioni di Euro di azioni della banca per alleggerire il fondo riacquisto azioni proprie". IMPUTATO PI. - Confermo. Assolutamente sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quindi So. le dice che bisogna...? IMPUTATO PI. - Certo. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - ...come dire, dismettere dal fondo 60 milioni ..? IMPUTATO PI. - Sì, anche perché io non ho contezza di quant'è la capienza del fondo, quindi qualcuno deve dirmelo.". Tutte le affermazioni del PI. da ultimo passate in rassegna si pongono in netta contraddizione col suo assunto di partenza secondo cui la finalità delle operazioni stipulate con i fondi esteri in esame sarebbe stata esclusivamente quella di reperire nuovi "investitori istituzionali a livello di azionariato in banca" e risultano ben più congruenti col tenore, assai diverso sul punto (e collimante invece con la deposizione del teste Fi.Ro. dell'Ufficio Soci: cfr. pag. 54 dell'esame 8.10.2019 di questi), del suo interrogatorio 26.9.2017, il cui verbale è stato prodotto dal P.M. ex art. 503 c.p.p. all'udienza del 23.6.2020, laddove l'imputato sosteneva di avere sempre avuto ben chiaro fin dall'inizio - allorché cioè il d.g. So. chiese a lui e al GI. di attivarsi per collocare, rispettivamente, 60 e 40 milioni di azioni B. - che l'operazione andava ricondotta a una "necessità della banca" (precisamente la necessità di svuotare il fondo riacquisto azioni proprie) e "non un'opportunità di investimento. In questa occasione, come ho già detto, ebbi il sentore di una certa difficoltà della banca sul riacquisto delle proprie azioni dai soci L'operazione di collocamento delle azioni fu poi eseguita presso la B. da Ro." (cfr. pag, 5 interrogatorio cit.). A ben guardare l'imputato, con le sue dichiarazioni rese in sede di esame dibattimentale da ultimo passate in rassegna, ha finito viceversa con il riconoscere la veridicità di quanto affermato tanto dal teste avv. An. Su., responsabile - nell'ambito di Op. - della funzione Legal e Compliance nonché membro del CdA della società di gestione Op., quanto dal teste Al.Ma., quest'ultimo fondatore della suddetta Op. (sulla piena utilizzabilità della deposizione Ma. sì rinvia integralmente all'ordinanza 18.5.2022 di questa Corte, salva restando, e ciò vale anche per il teste avv. An. Su., ogni doverosa valutazione in tema di complessiva attendibilità date le conclamate ragioni di ostilità nutrite da Op. verso B., ben riassunte nella missiva 13.3.2017 dello studio legale Fr.St. di cui al doc. 429 del P.M.), circa il carattere "dedicato" dei fondi in questione e circa il carattere di pressoché unico loro investitore (tranne quote minimali altrui) rivestito da B., il che costituiva altresì la ragione della conclamata inesistenza, nel caso in esame, di un comitato investitori (il teste Ma. ha altresì fatto riferimento a più riprese all'esigenza, a suo dire manifestatagli dall'imputato, di creare un -polmone" nel quale poter accomodare una parte delle azioni B. che erano non quotate, illiquide e difficili da collocare: cfr. pagg. 19-22 del relativo verbale stenotipico): - cfr. pagg. 19-20 deposizione Su., verbale stenotipico 19.11.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quando l'investitore, mi corregga, Mu., era uno solo, cioè la banca? TESTIMONE Su. - Esatto, quindi quello che le stavo tentando di farvi capire, nel senso che è prassi comune, quando si hanno dei comparti con multi investitori, avere questi comitati investimenti, perché chiaramente sono finalizzati al fatto di poter dare una parola a tanti investitori, che sono appunto molteplici e non si conoscono neanche l'uno con l'altro. Diversamente questi qua sono comparti che in gergo vengono definiti e classificati come tailor-made, ossia fatti a misura d'uomo, un po' come una sartoria, cioè disegnati sulla falsariga di ciò che effettivamente il cliente vuole. Quindi, essendo disegnati a loro immagine e somiglianza, anche la politica d'investimento del comparto stesso non è più promossa dal gestore ma è disegnata a loro immagine e somiglianza. Quindi, nel caso specifico della Po.Vi., questo comitato non è stato ritenuto di dover essere costituito, poiché, appunto, avevamo... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Per la peculiarità di... TESTIMONE Su. - Esatto, la peculiarità ... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Della esistenza di un solo investitore? TESTIMONE Su. - Assolutamente, dell'investitore") - cfr pag. 16 deposizione Ma., verbale stenotipico 26.11.2020: - TESTIMONE Ma. - No.. allora, i fondi erano indubbiamente fondi dedicati, su questo non ci sono dubbi. Stiamo parlando di due fondi: il Mu. e il Mu.. (...). Non ricordo ci fossero degli investitori rilevanti, forse in uno dei due fondi - vado a memoria ma dovrei approfondire - a un certo punto era entrato con una piccola quota un altro investitore, che onestamente non ricordo chi fosse, ma era una quota marginale o addirittura irrilevante, Quindi sicuramente fa Banca era... aveva, diciamo cosi... era il principale investitore nei fondi, ed erano fondi dedicati alla Banca/'. I testi Ma. e Su., diversamente da quanto sostiene la difesa, risultano riscontrati anche con riguardo alla circostanza, da entrambi riferita, degli incontri frequenti di An.Pi. con Gi.St., il senior manager di Op. deputato da quest'ultima a trattare il rapporto con B. fino alle sue improvvise dimissioni nel 2014, allorquando lasciò Op. per fondare la concorrente struttura denominata Ka. (struttura presso la quale il PI. si fece parte attiva, nel novembre 2014, per cercare di trasferire in blocco ivi, con una redemption in kind, le azioni B. ancora giacenti nel fondo Op. - che però aveva ormai necessariamente dovuto fare disclosure attorno alla metà dell'anno 2014 - senza peraltro conseguire il suo intento: cfr. al riguardo il doc. 431 del P.M.). Vero è che i due testi Ma. e Su. (quest'ultimo de relato dallo St.: cfr. pagg. 22-23 esame Su., verbale stenotipico 19.11.2019) collocano tali incontri PI. - St. in Milano nelle giornate di martedì, laddove risulta dagli atti che l'imputato, per lo più, il martedì si recasse a Vicenza per assistere al CdA di B.. Nondimeno il dato dei frequenti incontri personalmente intrattenuti dal PI. anche dopo la stipula dei contratti con i responsabili dei fondi esteri è dimostrato (a ben poco rilevando, in ultima analisi, il giorno esatto della settimana in cui essi si tennero) dal contenuto della seguente conversazione telefonica intrattenuta dal predetto PI. con il già sopra menzionato suo ex stretto collaboratore Pa. Al. (anch'egli nel frattempo uscito da B.), il quale - si ricordi il tenore della sua deposizione, saprà passato in rassegna, circa l'essere stato inopinatamente pretermesso dal suo superiore nell'allestire l'operazione Op.-At. - appare qui freddo, distaccato e poco convinto, rispondendo quasi sempre a monosillabi, verso un PI. alquanto agitato e alla ricerca di persone da indicare, nella sua lite civile con la banca, come sommari informatori: Conversazione captata n. progr. 415 del 2.9.2015 ad ore 19,09,19, utenza chiamante intestata a Pi.An., qui "V.M." (pagg. 133-143 perizia di trascrizione): Omissis Né, infine, può in alcun modo accedersi alla tesi difensiva secondo cui il PI., con riguardo alla vicenda dei fondi esteri, sarebbe stato una sorta di mero procacciatore di nominativi di potenziali controparti ma per il resto si sarebbe limitato ad assistere passivamente a operazioni ideate e condotte in piena autonomia dal direttore generale Sa.So. per B. e da Pi.Ra. per la controllata irlandese Fi.. Al di là del fatto che i contratti stipulati alla fine del 2012 con i fondi Op. e At. recano in ogni pagina non soltanto la sottoscrizione del So. ma altresì la sigla del Pi., significativi sono in contrario già diversi dati documentali, i quali riscontrano appieno, sul punto, le deposizioni non solo dei già citati testi Ma. e Su. ma altresì quelle - assai articolate e dettagliate in tal senso - dei testi Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese Fi. (cfr, in particolare le pagg. 45-49 del suo esame 21.11.2019) e Fi.Ro., dell'Ufficio Soci (soggetto, come tale, dotato di poca o nulla autonomia decisionale sullo specifico tema al di là delle attività prettamente materiali da lui poste in essere); cfr. in particolare la pag. 52 dell'esame di Ro. datato 8.10-2019, ove il teste, nel ricordare di avere preso parte il 5.12.2011 a una riunione fatta in videoconferenza con il PI. (ove presenziarono anche Ma.So., che di Op. conosceva da lunghi anni tale Gi.Ma., nonché quest'ultimo, il quale sua volta portò con sé nell'occasione il fondatore e vertice di Op., Al.Ma.), riunione concordemente descritta da tutti i vari altri testi ora citati come conclusasi all'epoca in un nulla di fatto, ha precisato che verso novembre-dicembre del 2012 fu proprio il PI. a ricontattarlo autonomamente per chiedere di poter essere messo in contatto con le persone di Op. da lui conosciute l'anno prima (il che priva dunque di rilievo le due pur assodate circostanze, evidenziate e rivendicate dalla difesa, dell'esito inconcludente della riunione del 5.12.2011 e del fatto che Ma.So., a suo stesso dire, mai ebbe a inoltrare a chicchessia la e-mail inviatagli dall'amico Gi.Ma. il 9.2,2012, in atti sub doc. 350 del P.M., contenente una proposta contrattuale di Op.); sempre il teste Ro., a pag. 62 del suo esame 8.10.2019, ha confermato quanto da lui riferito a suo tempo a s.i.t.: "Nel darmi le tre referenze Pi. mi disse che era già tutto concordato con i rispettivi referenti, anche per gli importi (30 milioni per Ma.); I dati documentali in questione sono i seguenti: - messaggi sms ovvero WhatsApp intercettati sull'utenza telefonica cellulare di An.Pi. dall'11 ottobre 2012 al 23 novembre 2012, in atti sub doc. 311 del P.M., attestanti il fatto che, con l'intermediazione dell'avv. Patrizio Messina dello studio legale Or. (come riferito infatti, puntualmente, anche dal teste Al.Ma.: cfr pag. 15 della sua deposizione 26.11.2020), fu il PI. ad attivarsi per riannodare le fila del rapporto con i rappresentanti di Op. dopo il mancato seguito della riunione 5.12.2011 di quasi un anno prima, oltre a intavolare autonomi rapporti con Ra.Mi., direttore di At. (il quale, significativamente, si rivolgerà via e-mail non già al So. bensì solo al PI. e al suo subalterno Ma.Ca., in data 7.12,2012 e indi in data 21.1.2013, allorquando chiederà di procedere con l'investimento, rispettivamente, dei primi 70 milioni di Euro e dei successivi 30 milioni di Euro "as previously agreed", cioè come da precedenti accordi: cfr, doc. 337 del P.M.), di tutto ciò essendo poi sempre il PI. a informare il So. con messaggi del seguente tenore (tutti appartenenti al doc, 311 cit.): Omissis; - doc. 731 del P.M., costituito da un lungo resoconto dattiloscritto del consigliere d'amministrazione Gi. "Pi." Zi., intitolato "Appunti su situazione B. 2015", ove fra l'altro lo Zi., a pag. 4, riassume i contenuti di un suo incontro a tre del 9.5.2015 con Em.Gi. e An.Pi., entrambi ormai in procinto di uscire da B., i quali gli avevano offerto le rispettive versioni dei comportamenti loro ascritti; è significativo qui il fatto che il PI. confidi allo Zi.: a) di avere - sempre operato per aiutare la rete a svuotare il fondo azioni proprie"; b) che i contratti stipulati da B. con i fondi Op. e At. erano sì stati firmati da Sa.So. ma soltanto perché a quell'epoca il medesimo PI. non era ancora titolare dei necessari poteri (peraltro conferitigli di lì a pochi mesi, come si è visto, dal CdA con apposita delibera 19.3.2013 di ampia delega, disgiunta da quella conferita al So.); lo Zi. infatti annota; "Ordini firmati da SS perché non nei poteri di AP"; - doc. 331 del P.M., rappresentato da una e-mail di risposta inviata il 25.7.2013 da An.Pi. a Pi.Ra., direttore generale di Fi. (il quale aveva appena scritto nei seguenti termini al PI. sottoponendogli per il controllo una bozza di delibera relativa all'operazione di investimento, da parte della controllata irlandese, nel fondo Op. 2: "Caro An., ho buttato giù la delibera per il fondo optimum ... Dagli anche tu per cortesia una lettura per vedere se ti risulta tutto in ordine, Ps Domani mattina vedo To.Fo. (membro del CdA di Fi.) e gliene parlo tu sei riuscito a trovare il presidente? Grazie. Piero"); ivi il PI. replicava via e-mail al Ra. nei seguenti termini, con ciò plasticamente dimostrando chi realmente prendesse le decisioni - non certo il Ra. - anche per gli investimenti operati da Fi.: "Sono a pranzo con lui (ossia con il presidente di Fi., Ad.La.) e So.. Abbiamo concordato di fare investimenti fino a Eur ISO min". La totale assenza di autonomia decisionale di Ra., già supra passata in rassegna quanto alla vicenda delle c.d. "tre sorelle lussemburghesi", è qui palese e il doc. 331 offre fra l'altro un'ulteriore conferma del giudizio di piena credibilità da svolgersi nei confronti del suddetto teste (cfr. puntualmente, al riguardo, pag. 47 della deposizione Ra., verbale stenotipico 21.11.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Invece, con riferimento a questa cosa, che, sì, forse ormai l'ho letta, ci fu un'interlocuzione anche col Presidente del CdA di Bp.? Chi è che spiegò al Presidente del CdA il fine dell'operazione, la strutturazione e quant'altro? TESTIMONE Ra. - Quello che dissi ad An.: "Parliamo di una cifra importante, dev'essere deliberata dal Consiglio di Amministrazione, bisogna in primis informare il Presidente di un'operazione del genere e spiegargliela. E lui mi rispose: "Sono a pranzo con lui e So., gliela spiego io - PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi lei sapeva che, comunque, La. era informato? TESTIMONE Ra. - Sì, per me La. è stato informato in quell'occasione dell'operazione"). Si noti come il protagonismo di An.Pi. sia stato totale anche con riguardo alla dismissione, attraverso vari canali, delle azioni B. detenute dai fondi Op. e At.. Dell'operazione "So." - a ciò finalizzata - sì è già detto ampiamente. Del pari si è già accennato al non riuscito tentativo di redemption in kind tramite il progetto di trasferire in blocco gli asset di B. giacenti nel fondo Op. (che ormai a metà del 2014 si era trovato, a causa dell'entrata in vigore del c.d. CRR, a dover operare necessariamente una disclosure circa le azioni B. presso di sé giacenti: cfr, doc, 379 del P.M.) a una nuova struttura da poco costituita e con esso concorrente, denominata Ka. e facente capo, peraltro, a quello stesso Gi.St. che era stato a lungo il diretto referente del PI. prima di lasciare proprio nel 2014 Op. e dunque aveva il polso dell'intera delicata vicenda (il tutto con l'intermediazione dello studio legale Or. per le trattative all'uopo intraprese con Op. - cfr. deposizione avv. An. Su. 19.11,2019, pag. 36 - in seguito all'invio dì una missiva in tal senso firmata dal PI. oltre che dai formali sottoscrittori dei fondi, So. e Ra.: cfr. docc. 427 e 431 del P.M.). Un altro veicolo progettato ad hoc, utilizzato per liberare i fondi esteri dalle azioni B. ancora da essi detenute, fu rappresentato dall'operazione che gli ispettori di Bc. denominarono equity swap, avente ad oggetto il trasferimento ai fondi esteri di azioni Ve., detenute da vari clienti di B., in cambio di azioni della stessa B., Operazione le cui caratteristiche sono state puntualmente riassunte dal teste ispettore Em.Ga. alla pag. 59 del suo esame, verbale stenotipico 26.9.2019: "E l'altra operazione è quella che abbiamo chiamato di "equity swap", fatta attraverso Ma.Sp., in cui, sostanzialmente, i clienti hanno trasferito a Op. azioni clienti; ci sono tanti clienti che erano al tempo stesso soci di Ve. e soci di Po.Vi., avevano quindi azioni di entrambe; e hanno trasferito a Op., hanno fatto un compenso, hanno trasferito a Op., almeno a Op., forse anche a At., non lo so, non mi ricordo, però è indicato. Hanno trasferito azioni di Ve. in contropartita di azioni di Vicenza, quindi hanno preso in carico azioni di Vicenza dando per eguale ammontare azioni di Ve.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Ma.Sp. è il broker che si era interposto fra le due banche? TESTIMONE Ga. - Sì, che si era già interposto all'epoca, al 2012, in uno degli acquisti. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Dei fondi. TESTIMONE Ga. - Dei fondi, sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Si interpone anche nella cessione da parte dei fondi lussemburghesi". Ancor più dettagliata nel delineare gli snodi dell'operazione equity swap è la deposizione resa il 26.10.2019 dal teste ispettore Gi.Ma., cfr. pagg. 16-18 verbale stenotipico 26.10.2019. Sono agli atti sub doc. 296 del P.M. alcune fra le lettere - ricalcate tutte sul medesimo facsimile, indirizzate a B. e per conoscenza al broker londinese Ma.Sp. (ancora una volta resosi intermediario come già aveva fatto a fine dicembre 2012 all'epoca dell'acquisto di circa 30 milioni di Euro in azioni B. da parte del fondo estero Op.) - con cui vari clienti B. titolari di azioni Ve. chiesero (tra il 20.3,2014 e il 3.10.2014: cfr. la ricostruzione elaborata, con allegata tabella esplicativa, dall'Internal Audit nella nota sub doc. 344 del P.M., pagg. 4-5) di acquistare da Ma.Sp. azioni B. (valore nominale Euro 62,50=) e di vendere contestualmente le loro azioni Ve. (valore nominale Euro 39,50=) alla stessa Ma.Sp.. In tesi difensiva il PI. non ebbe alcun ruolo in tale operazione di equity swap in quanto la stessa sarebbe stata gestita interamente con l'intermediario londinese Ma.Sp. dai dipendente di B. Cl.Br., operante in seno alla rete della Divisione Mercati a sua volta diretta da Em.Gi. (per inciso è effettivamente inesatto, come lamentato dalla difesa, quanto sostenuto al riguardo dall'Accusa, ossia che il Br. sarebbe stato già in quiescenza all'epoca in cui vennero poste in essere tutte le operazioni di equity swap; o meglio il dipendente risultava a quel tempo ancora in servizio presso il Punto Private B. dì Co. tranne che per i soli giorni 1-2-3 ottobre 2014: cfr. al riguardo la citata nota dell'Internai Audit sub doc. 344 del P.M., pag. 4: - Per le operazioni in questione effettuate nei periodo ricompreso tra il 20/03/2014 ed il 03/10/2014 si è provveduto ad acquisire la documentazione di supporto dall'U.O. Finanza di Servizi Bancari riscontrando un azione di coordinamento complessivo di tutte le operazioni in parola del sig. Cl.Br., al tempo operante presso il Pu.Pr. (in quiescenza dal mese di ottobre 2014)"). Particolare rilievo viene attribuito dalla difesa alla deposizione del teste Ti.Ch., che all'epoca curò l'operazione per il broker londinese intermediario Ma.Sp., evidenziando come questi abbia dichiarato di essersi interfacciato in prima persona - a distanza - solo col summenzionato Cl.Br. e di non avere mai frequentato gli uffici milanesi della Divisione Finanza di B. (cfr. pagg. 50-52 e 54 verbale stenotipico 17.9.2020) oltre a non avere mai visto, se non in tribunale durante il dibattimento, la persona fisica di An.Pi., da luì in effetti mai conosciuto; il teste Ch. ha anzi escluso di essersi interfacciata professionalmente in qualsiasi modo, anche solo a distanza, con la figura del PI. (cfr. pag. 55 ibidem). In realtà il teste Ch. non può definirsi attendibile, dal momento che: - egli non ebbe a interagire in prima persona soltanto - come sostiene la difesa - con il dipendente Cl.Br. in relazione agli scambi di azioni B.-Ve. bensì anche, quanto meno, con Fi.Ro. dell'Ufficio Soci (il teste Ch. ammetterà infine di essersi interfacciato anche con il Ro., e di averlo fatto anzi più volte, tanto via e-mail quanto telefonicamente, solo a seguito di specifica contestazione del P.M.: cfr. pag. 59 deposizione Ch., verbale stenotipico 17.9.2020); - lo stesso imputato PI. (cfr. pagg. 82-83 del suo esame 3.3.2020) ha in realtà affermato di essere stato proprio lui a mettere in contatto la rete B. con Ti.Ch. di Ma.Sp., avendo avuto egli cura di "dare il numero, i contatti, insomma, di Ma.Sp." all'Ufficio Soci, non ricorda se in persona di Ro. o di Ro., affinché si mettessero essi a loro volta in contatto con il broker londinese per procedere ad allestire l'operazione di equity swap ("... io quello che feci, feci una cosa semplice: misi in contatto, credo, Ro. o Ro., adesso non mi ricordo" con il broker. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Con? IMPUTATO PI. - Con il broker... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Ma.Sp.. IMPUTATO PI. - con il rappresentante di Ma.Sp."). Tale operazione era stata suggerita al PI., a detta di questi, dal collega Em.Gi., cfr. sempre pagg. 82-83 ibidem. Tuttavia il coimputato e propalante Em.Gi., della cui attendibilità e coerenza già si è detto a più riprese, ha precisato come andarono in realtà le cose tra lui e il PI. al riguardo, ossia nel senso esattamente inverso (cfr, pagg. 23-24 del verbale di esame GI. 15.6.2022 in grado di appello): "La Divisione Finanza si è occupata di fondi, e quindi è un tema su cui io non sono mai entrato, se non quando a un certo punto c'erano dei fondi esteri che avevano delle azioni in portafoglio; questi fondi dovevano scaricare le azioni, quindi si dovevano liberare delle azioni della Banca, e quindi Pi. mi disse se potevamo collocarle sul mercato, quindi ai nostri soci. Eravamo in un frangente in cui le azioni della Po.Vi. erano molto più attrattive e appetibili rispetto a quelle di Ve., per cui questi fondi esteri proposero ai soci della Banca di acquistare azioni Ve. in cambio di azioni della Po.Vi.. Quindi i fondi si sono scaricati delle azioni della Po.Vi. acquisendo azioni Ve. e i soci della Banca hanno acquisito azioni Po.Vi. al posto delle azioni Ve. - Quindi questo è stato l'unico momento in cui c'è stato da parte della Divisione Mercati, ma più che altro dall'Ufficio Soci, un'interlocuzione con Pi., e quindi sulla Divisione Finanza, sulla prassi delle baciate, al di là di alcune operazioni che Pi. direttamente ha fatto con alcune controparti, soprattutto sulla piazza (...) Milano". Con tali elementi probatori ben si salda dunque, senza manifestare in alcun modo le pretese contraddizioni lamentate dalla difesa, anche la deposizione (cfr. pagg. 42-44 verbale stenotipico 6.6.2019) resa dal teste Ro.Ri., della cui utilizzabilità già si è detto nell'ordinanza 18,5,2022 alla quale sul punto si rinvia, e che certo non può essere ritenuto inattendibile - circa la peculiare e ben distinta vicenda dell'equity swap - per il solo fatto di avere egli altresì materialmente effettuato, in qualità di gestore Private operante in B. presso la filiale vicentina di Co., un numero massiccio di operazioni di finanziamento correlato rientranti nella prassi per così dire "ordinaria" della banca. Alla stregua delle considerazioni fin qui esposte non può revocarsi in dubbio il ruolo determinante e di primo piano svolto da An.Pi. nell'intera vicenda dei fondi esteri, dalla sua ideazione sino al momento della dismissione - attuata in varie forme e modalità ma sempre con il suo apporto - delle azioni detenute dai suddetti fondi. 14.1.3.6. I reati di ostacolo alla vigilanza. La difesa ha altresì censurato - cfr. in particolare pagg. 141-142 e 145-146 dell'atto di appello - la declaratoria di penale responsabilità dell'imputato PI. quanto alle condotte di ostacolo alla vigilanza contestategli (in relazione alle quali, come già si è detto nella parte generale della presente sentenza, par. 9, non vi è ragione di non estendere anche ai capi B1 e M1 il ragionamento seguito dal primo giudice per i rimanenti capi nel ritenere integrato il solo comma 2 dell'art. 2638 c.c.). Ciò sulla base delle seguenti argomentazioni: - tutte le operazioni specificamente ascritte alla persona dell'imputato (dalla vicenda delle società lussemburghesi Ma./Ju./Br. a quella dei fondi esteri Op./At. fino alle singole operazioni dì finanziamento correlato concluse con l'imprenditore Ta. e con il gruppo "So.") risultano essere state poste in essere in epoca successiva al 12 ottobre 2012, data di emissione del rapporto ispettivo a chiusura dell'ispezione di Banca d'Italia (peraltro non avente ad oggetto verifiche patrimoniali ma incentrata esclusivamente sul rischio di credito); - quanto all'ispezione Bc. iniziata il 26.2.2015, B. aveva già comunicato alla stessa Bc. le informazioni ricevute dal gestore dei fondi At. e Op. in ordine al preciso ammontare di azioni della banca giacenti presso i comparti (sotto-fondi) degli stessi, e ciò almeno a far data dal luglio 2014, in piena ottemperanza, dunque, agli obblighi informativi imposti dal CRR (Capital Requirements Regulation) di cui al Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (vigente dall'1.1.2014); - in ogni caso le plurime contestazioni di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. avrebbero, a ben vedere, quale unico oggetto sempre la stessa informazione taciuta, vale a dire l'esistenza di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. con il conseguente obbligo di scomputare dal patrimonio di vigilanza il relativo controvalore, sicché, nonostante l'apparente molteplicità dei fatti storici, non ricorrerebbe una pluralità di reati bensì un unico reato, stante la natura di reato eventualmente permanente che connoterebbe la fattispecie criminosa p. e p. dall'art. 2638 comma 2 c.c.; - a sua volta, però, la strumentalità - ravvisata dalla stessa sentenza di primo grado - che connoterebbe la fattispecie di ostacolo alla vigilanza rispetto a quella dì aggiotaggio farebbe sì che la condotta decettiva di cui alle imputazioni si esaurisca tutta nell'evento del delitto di aggiotaggio, con la conseguente esclusione del concorso fra i reati di aggiotaggio e quelli di ostacolo alla vigilanza, dovendosi in ultima analisi trattare questi ultimi alla stregua di un post factum non punibile. Nessuna delle anzidette argomentazioni difensive ha pregio. Osserva al riguardo questa Corte quanto segue. Per ciò che concerne l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 basti porre mente al sopra ampiamente dimostrato pieno coinvolgimento del PI. anche nell'attività per così dire "ordinaria" di finanziamento correlato praticata da B. come minimo dal 2011 (ma, in realtà, già da epoca precedente). Quanto poi alle vicende successive all'ispezione Banca d'Italia del 2012, se è vero che il CRR (Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013) entrò in vigore l'1.1.2014, nondimeno va ricordato che in precedenza, comunque, vigeva la circolare 263/2006 di Banca d'Italia, la quale (come chiaramente ed esaustivamente illustrato anche dal teste ispettore Gi.Ma.: cfr. pag. 13 verbale stenotipico 26.10.2019) già prevedeva l'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza, in quanto sue componenti negative, delle azioni proprie detenute a qualsiasi titolo, diretto o indiretto; eppure nessuna comunicazione venne mai data, per circa un anno e mezzo, agli organismi di vigilanza riguardo alle azioni B. giacenti - per un controvalore di originari 60 milioni di Euro, ridottisi a 52,4 milioni alla data del 30.6.2014 - presso i comparti (sotto-fondi) dei fondi esteri At. e Op.. Come puntualizzato sempre dal teste ispettore Gi.Ma. (cfr. pag. 14 del verbale stenotipico 26.10.2019), la prima richiesta in assoluto rivolta in tal senso da B. ai gestori dei fondi Op. e At. risale alle e-mail inviate loro soltanto in data 27 giugno 2014 da Ma.Ca. (subalterno del Pi. in seno alla Divisione Finanza), rinvenibili in atti, con le relative risposte dei due fondi, sub doc. 379 del P.M.. Esaminando tali documenti si nota che, come riferito sempre dal teste Ma. (cfr. pag. 14 ibidem), entrambi i fondi esteri non si dimostrarono affatto reticenti e riscontrarono pressoché subito tale richiesta - dal canto suo alquanto tardiva - della Divisione Finanza di B. entrambi nel mese di luglio 2014, sicché non appare ascrivibile a contegni omissivi dei fondi stessi la protratta mancata comunicazione pregressa di tale dato, tenuto viceversa ben occultato da B. (e in particolare dalla sua Divisione Finanza) fino ad allora. Peraltro va evidenziato come neppure alla disclosure prontamente operata dai fondi Op. e At. nel luglio 2014 fece seguito in realtà, da parte di B., l'immediato scomputo dal patrimonio dì vigilanza delle azioni proprie così indirettamente detenute (cfr. al riguardo l'e-mail 16.2.2017 inviata al teste di P.G. Mi.To. dal consulente del P.M. Ga.Pa., prodotta all'udienza del 4.2.2020 dalla difesa dell'imputato Ma.Pe., ove il Pa. evidenzia come emergesse, a causa del non ancora avvenuto scomputo, "un'informativa non corretta alla Bc. del CET 1 del Gruppo B. al 15/08/2014" sia pure dandosi atto che, finalmente, nella successiva "segnalazione del 6/10/2014 il dato delle azioni indirettamente detenute aveva concorso al calcolo"). Si noti altresì che l'invio in data 27 giugno 2014 delle suddette e-mail di richiesta ai fondi Op. e At. da parte di Ma.Ca. della Divisione Finanza non fu comunque spontaneo bensì fu sollecitato da un invito pressante a farlo, proveniente dalla Divisione Bilancio e Pianificazione della stessa banca nella persona di Lu.Tr. (subalterno di Ma.Pe.); la missiva redatta dal Tr., datata 19 giugno 2014 e inviata al predetto Ma.Ca. nonché, in copia, al PI., all'altro suo subalterno Pa. Al. e a Ma.Pe., è in atti sub doc. 411 del P.M. e contiene il seguente aut-aut che di fatto non consentiva alternative: (...) Ti rappresento che in caso di mancata risposta da parte dell'Organismo interposto o di risposta parziale e/o incompleta, la Banca dovrà applicare agli investimenti della specie (ossia agli investimenti "indiretti e sintetici detenuti dal nostro Gruppo in soggetti dei settore finanziario") un trattamento prudenziale particolarmente penalizzante (deduzione diretta dal CETI). E' pertanto indispensabile sensibilizzare le controparti affinché rispondano alla richiesta in maniera il più completa possibile ed entro le tempistiche indicate". Si noti altresì che analogo riscontro non era stato dato dalla Divisione Finanza di B., diretta da An.Pi., ad altra e più risalente richiesta inviata via e-mail sempre da Lu.Tr. della Divisione Bilancio e Pianificazione ancora in data 1 febbraio 2013 a Ma.Ca. (in atti sub doc. 410 del P.M.), ove si invitava quest'ultimo, in relazione ai da poco sottoscritti fondi Op. e At., a verificare: a) che gli "investimenti in fondi sottostanti (...) NON investano in strumenti di capitale (...), in modo da poter escludere i predetti investimenti dalla verifica dei limiti previsti dal Regolamento in materia di partecipazioni detenibili dal Gruppo B."; b) di avere "evidenza analitica dei sottostanti i singoli fondi suddetti (...); tale informazione è necessaria ai fini della segnalazione dei Grandi Rischi di gruppo (...)". A tale ultimo proposito va evidenziato, inoltre, come all'avvio dell'ispezione Bc. del 2015 risultasse di essere stata già messa in chiaro - nei sensi e con le tempistiche ora visti - la detenzione di 52,4 (risultati essere originariamente 60) milioni di Euro in azioni B. presso i fondi Op. e At., ma ancora non fossero stati rivelati ì sottostanti dei medesimi fondi, e ciò a dispetto della citata richiesta in tal senso formulata dalla Divisione Bilancio e Pianificazione, in persona di Lu.Tr., già in data 1 febbraio 2013 (lo stesso Tr., in una sua successiva e-mail datata 19 marzo 2013 inviata fra gli altri pure al PI., in atti anch'essa sub doc. 411 del P.M., nuovamente rappresentava - sempre senza ricevere riscontro dalla Divisione Finanza - "che, seppure non presente nella segnalazione dei Grandi Rischi trasmessa, tuttavia nell'elenco delle prime 20 esposizioni a livello di Gruppo al 31.12.2012 (oggetto di segnalazione all'Organo di Vigilanza nell'ambito della Base Informativa "(...)"), figura una "unknown exposure" per un valore (di bilancio e ponderato) di Euro315 milioni stante che in relazione a taluni investimenti in fondi (...) non risultano disponibili i dettagli informativi necessari per attribuire i singoli investimenti sottostanti al fondo (...). Le disposizioni di vigilanza prudenziale affermano peraltro che "in linea generale, la banca deve essere in grado di identificare e controllare nel tempo le attività sottostanti lo schema di investimento" e che la banca può adottare i metodi di cui alle lettere b) (unknown exposure) e c) (structured-based approach) solo se è in grado di dimostrare che la scelta è dovuta esclusivamente alla mancanza di una effettiva conoscenza delle esposizioni sottostanti lo schema". Ebbene, l'informazione, pur dì così vitale importanza, circa i sottostanti dei fondi esteri Op. e At. venne infine fornita dopo l'inizio dell'ispezione Bc. del 2015 e solo a seguito della forte pressione esercitata dal team ispettivo, che dovette all'uopo agitare, nelle sue interlocuzioni con il d.g. So. e con An.Pi., lo spettro dello scomputo, in alternativa, dell'intero investimento dal patrimonio di vigilanza, come ha ben chiarito il teste ispettore Em.Ga., cfr. pag. 64 del verbale stenotipico 26.9.2019. (omissis) Con ogni evidenza, stante l'immediatezza della disclosure seguita solo nel 2015 alle fosche prospettive illustrate dal team degli ispettori Bc. al So. e al PI., la previa resistenza da costoro lungamente frapposta alla rivelazione dei sottostanti non può imputarsi alla pretesa reticenza dei fondi (proprio come la tardività nella disclosure delle azioni in essi giacenti non poteva parimenti imputarsi alle pretese loro reticenze, in realtà inesistenti: v. supra). Va altresì disattesa l'affermazione difensiva secondo cui, nonostante l'apparente molteplicità dei fatti storici, non ricorrerebbe in ispecie una pluralità di reati di opposizione alla vigilanza bensì un unico reato, stante la natura di reato eventualmente permanente che connoterebbe - viene citata al riguardo in particolare Cass. Pen. Sez. 5, n. 6884 del 12/11/2015 dep. 22/02/2016, Gi. e altri - la fattispecie criminosa p. e p. dall'art. 2638 comma 2 c.c.. Al riguardo questa Corte non può che confermare il complesso delle argomentazioni già esausti va mente svolte al riguardo nella parte generale - par. 9 - della presente sentenza, dovendosi qui ribadire come proprio la pronuncia citata dalla difesa (ma trattasi di orientamento ormai consolidato: in tal senso cfr. anche Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.) nel contempo precisi che la fattispecie di cui al comma 2, diversamente da quella di cui al comma 1, non è un reato di condotta bensì di evento e, più in particolare, è - una fattispecie causalmente orientata ai risultato lesivo rappresentato dall'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza", essendo peraltro sufficiente, per la configurabilità del reato in esame, w/a verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute". L'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, dunque, si realizza o con "l'impedimento in toto di detto esercizio" ovvero anche soltanto "con il frapporre al suo dispiegarsi difficoltà di considerevole spessore o con il determinarne un significativo rallentamento: difficoltà o rallentamento che devono dar corpo ad un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza" (così si è chiaramente espressa, in motivazione, la citata Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.). L'evidente e ben marcata differenza di fisionomia (già illustrata da questa Corte nella parte generale della presente sentenza, par. 9) che intercorre tra gli eventi di ciascuna delle singole fattispecie di ostacolo alla vigilanza oggetto dei vari capi di imputazione fa sì - come già questa Corte ha argomentato supra - che tale eccezione difensiva sia destituita di fondamento. Per la stessa ragione, ossia per il fatto che trattasi di un reato di evento (sicché il momento consumativo del delitto di ostacolo va individuato nel verificarsi dell'evento (di ostacolo)), va disatteso l'ulteriore assunto difensivo secondo cui dovrebbe finanche escludersi in ispecie il concorso fra i reati di aggiotaggio e quelli ó& ostacolo alla vigilanza in quanto questi ultimi andrebbero - sempre ad avviso della difesa - semmai assimilati alla figura del post factum non punibile rispetto all'unitaria condotta decettiva. Tutto ciò premesso non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità del PI. quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza ascrittigli. Già si è visto poco sopra in quali termini - puntualmente riepilogati anche dal giudice di prime cure: cfr, pag. 726 sentenza gravata - il teste ispettore Em.Ga. (cfr. pag. 64 della sua deposizione 26.9.2019) abbia descritto il comportamento di ostacolo tenuto nei suoi confronti, anche con una certa qual pervicacia, da An.Pi. oltre che dal d.g. Sa.So. in relazione alla disclosure dei sottostanti dei fondi esteri Op. e At.. Sempre nella gravata sentenza - cfr. sue pagg, 725-726, alle quali qui senz'altro si rinvia - si illustrano più che ampiamente le ulteriori condotte di ostacolo alla vigilanza, rilevanti ai sensi dell'art. 2638 comma 2 c.c., tenute, fra gli altri, dal PI. in occasione: - dell'incontro del 27,3.2013 con l'Autorità di Vigilanza (cfr. al riguardo la deposizione resa dal teste Ma.Pa., pagg. 37-40 del verbale stenotipico 28.11-2019, con particolare riguardo alle pagg. 38-39, da esaminarsi congiuntamente all'Appunto per il Capo del Servizio" redatto dallo stesso Pa. in data 3.4.2013, in atti sub doc. 442 del P.M.: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Viene consegnato a voi di Banca d'Italia dagli esponenti di Banca Popolare che erano presenti a questo incontro. Senta, in questo incontro fu fatto riferimento da Pe., Pi. o So. della possibilità, dell'intendimento, della prospettiva, dell'eventualità che anche, come dire, l'aucap, quello che poi sarà realizzato nella misura di 253 milioni', anche per questa operazione potessero essere concessi i finanziamenti.., TESTIMONE Pa. - No. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - No? TESTIMONE Pa. - No, assolutamente. L'unica... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quindi di questo non fu fatta menzione? TESTIMONE Pa. - L'unico riferimento a operazioni di finanziamento era fegato alla campagna soci e quindi un'operazione finanziata ai sensi del 2358 del Codice Civile, secondo quelle modalità, che richiedono tra l'altro l'autorizzazione dei soci, è l'Assemblea che deve autorizzare questa operazione valutando gli interessi aziendali"); - della successiva riunione tenutasi 20.10.2014 con l'Autorità di Vigilanza in Francoforte (cfr. al riguardo la deposizione resa dal teste Ma.Pa., pagg. 60-62 del verbale stenotipico 28.11.2019): anche in tal caso la delegazione di B. presente a Francoforte, comprensiva del PI., non ebbe a fare cenno alcuno ai molteplici nodi altamente problematici che pure, di lì a poco, nel Comitato di Direzione del 10.11.2014 sarebbero stati ampiamente dibattuti - con la consegna del silenzio più totale verso l'esterno impartita dal d.g. So. - fra i membri del ristretto consesso formato dai vice direttori generali, incluso il PI., oltre che dal So. stesso e da altre personalità di primo livello nell'ambito di B.. A tutto ciò sj aggiunga ancora quanto emerge dai docc. 813-814-815 del P.M., prodotti all'udienza del 4.2.2020. Trattasi delle progressive stesure in itinere della bozza della lettera di risposta da inviare alla Banca d'Italia che aveva chiesto, con nota del 25.10.2014 (a sua volta in atti, prodotta dal P.M. sub doc 648 e doc. 687), chiarimenti sulle azioni proprie di B. alla luce del CRR frattanto entrato in vigore. Alla stesura della risposta a Banca d'Italia (che poi le fu inviata - con modifiche minimali rispetto alla bozza finale sub doc. 815 del P.M. - in data 4.11.2014 e che è in atti sub doc. 404 del P.M.) collaborarono diversi soggetti all'interno di B., ciascuno in relazione all'ambito di sua competenza. Si noti che il segmento della risposta inviata il 4,11.2014 a Banca d'Italia ad essere stato redatto per ultimo risulta essere proprio quello di competenza della Divisione Finanza diretta da An.Pi., il cui incipit - nella bozza finale sub doc. 815 del P.M. - è "Per quanto attiene alle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie..." mentre nella risposta ufficiale del 4.11.2014 diviene "Per quanto attiene alle transazioni alla base della c.d. detenzione indiretta di azioni proprie...". Ancora in data 30 ottobre 2014, infatti (cfr. il doc. 813 del P.M.), Ma.Pe. - la cui Divisione Bilancio e Pianificazione aveva con ogni evidenza il compito di assemblare i vari segmenti nel documento di risposta finale - scriveva al direttore generale So. allegandogli una "bozza lettera risposta a Bankit ancora da completare per il punto che sta scrivendo An.", che dimostra che la redazione del segmento qui in esame fu effettivamente opera di An.Pi. in persona. Ebbene, una volta finalmente redatto dal PI., e ormai si era giunti già al 31 ottobre 2014, tale segmento della bozza finale affidato alla Divisione Finanza, esso si rivela corrispondere (cfr. docc. 815 cit. e 404 cit.) a un esercizio dì assoluta tautologia, non dicendo in realtà nulla a giustificazione delle azioni B. risultate "a seguito della sopra menzionata disclosure del giugno-luglio 2014 indotta dall'entrata in vigore del CRR - giacenti nei comparti dei fondi esteri Op. e At. per l'ammontare di 52,4 milioni di Euro (52,4 milioni che Banca d'Italia, nella sua nota del 25,10,2014 cit., senza usare troppi giri di parole, definiva appunto come oggetto dì detenzione indiretta"); né tantomeno ivi si dice alcunché riguardo al trattarsi di fondi non collettivi che vedevano B. quale sostanzialmente unico investitore (si veda, come detto, la stesura della bozza finale della lettera di risposta sub doc. 815 del P.M.; viceversa nelle stesure sub docc. 813 e 814 il relativo segmento, lo si ribadisce, era ancora in bianco, in attesa di redazione da parte del PI., mentre le parti affidate ai suoi colleghi delle altre Divisioni erano già pronte). Il tenore della richiesta di chiarimenti formulata da Banca d'Italia il 25.10.2014, quanto allo specifico paragrafo concernente la detenzione indiretta di azioni della banca, era il seguente: "(si richiedono) le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali i titoli sono depositati". Nel segmento della risposta a Banca d'Italia rientrante nella sua competenza il PI. si limita invece, di fatto, a indicare appena poco più dei nomi delle controparti At. e Op. e delle date di stipula dei relativi contratti, guardandosi bene dal fornire la benché minima informazione utile alla comprensione della relativa transazione, nonché del carattere non collettivo dei fondi e altresì di quali fossero i loro sottostanti. Infine, quale corollario del già più che solido ed esaustivo complesso di elementi di prova orale e documentale fin qui illustrati, si osserva che proprio il carattere estremamente sofisticato (triangolazioni societarie; fondi non collettivi "chiusi" a investitore unico e dotati di comparti articolati a loro volta in sotto-fondi) degli artifici utilizzati dal PI. nelle operazioni da lui concepite e attuate esercitando le sue specifiche competenze professionali di responsabile della Divisione Finanza implica ex se in capo al predetto una particolarmente accentuata volontà di dissimulazione e occultamento che è perfettamente coerente con le finalità illecite perseguite attraverso il reato di ostacolo alla vigilanza, essendo in tal caso quasi proibitiva la decrittazione dell'operazione finale (basti qui ricordare, a tal proposito, la già sopra vista totale casualità della scoperta, da parte dei team ispettivo Bc. nel 2015, della triangolazione che vide protagoniste le tre società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. e le tre società italiane Pe., Gi. e Lu.). A tal riguardo deve infatti considerarsi che, mentre le normali operazioni correlate generavano comunque flussi informativi (sia pure di dati complessivi) che potevano teoricamente essere intercettati dalle attività di controllo interno ed esterno (si pensi ad esempio alle 17 posizioni dì finanziamento correlato autonomamente intercettate dalla società di revisione Kp.) e che erano indirizzati alla Divisione Bilancio nonché assoggettati a verifica del Dirigente Preposto, viceversa le operazioni riguardanti le c.d. "tre sorelle" lussemburghesi e quelle relative ai fondi esteri presentavano un carattere di insidiosità e un connotato fraudolento talmente accentuati da implicare già logicamente ex se, in capo al loro autore, la volontà di dissimulazione dei dato sottostante. Non è invero privo di significato a tal riguardo nemmeno il fatto, riferito dal teste Ad.Ca. (cfr. pag. 23 del verbale stenotipico 6.2.2020), che il PI. - una volta emersa, nella sorpresa generale (si ricordi anche il tenore incredulo, già visto saprà, dell'appunto manoscritto redatto dal direttore della Divisione Bilancio e Pianificazione Ma.Pe. sub doc. 805 del P.M.), la vicenda dei fondi esteri e di quanto giaceva nei loro comparti - altro non abbia replicato, alle richieste dei colleghi, se non che le operazioni suddette erano - formalmente" corrette, con ciò dimostrando che il valore fondamentale di esse, nella sua ottica, risiedeva proprio nella loro impenetrabilità dall'esterno: - TESTIMONE Ca. - Io ricordo una riunione lunghissima surreale dove si alternavano momenti di... come si dice? Di preoccupazione estrema a momenti di leggerezza. Non ci è stato detto, in quel momento, quanto fosse ampio il fenomeno delle lettere. Sapevamo che c'era questo fenomeno e sapevamo che l'Avvocato Ge. in qualche maniera, stava facendo delle sue valutazioni delle sue analisi. Così come sui fondi esteri d'investimento la parola d'ordine generale era: "Formalmente le operazioni sono corrette" PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Chi lo disse questo? TESTIMONE Ca. - An.Pi., in riunione, disse: "Formalmente le operazioni sono corrette". Simmetricamente, infine, anche le modalità per lo più parimenti sofisticate - sopra meglio illustrate - attraverso le quali fu condotta dal PI. la fase conclusiva della dismissione delle decine di milioni di Euro di azioni B. ancora detenute presso i fondi esteri dopo la disclosure di metà anno 2014 sono indicative della piena volontà del predetto di partecipare alla finalità di occultamento. Anzi si noti come, negli intendimenti del PI., gli effetti della disclosure si sarebbero dovuti in buona sostanza neutralizzare grazie alla poi non riuscita redemption in kind, ossia al progettato trasferimento in blocco delle azioni da Op. alla neo-costituita Ka. di quello stesso Gi.St. che, nella sua precedente incarnazione professionale, si era costantemente occupato, interfacciandosi con il PI., proprio dei fondi Op. ed era probabilmente l'unico, assieme allo stesso PI., a detenere ogni conoscenza in ordine a quella vicenda. Alla stregua delle considerazioni sin qui esposte non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità di An.Pi. in relazione alle ipotesi di ostacolo alla vigilanza ascrittegli. 14.1.3.7. I reati di falso in prospetto. Come detto supra i due reati di falso in prospetto contestati sub capi I e L vanno dichiarati entrambi estinti per intervenuta prescrizione. Non vi sono i presupposti per una pronuncia assolutoria dal momento che la Divisione Finanza, diretta da An.Pi., risulta essere stata in concreto coinvolta a fondo nel gruppo di lavoro - trasversale a quasi tutte le' Divisioni della banca - in concreto deputato al compito dì predisporre i prospetti informativi riguardanti gli aucap e mini aucap 2013 e 2014. Che tale compito rientrasse a pieno titolo nelle formali attribuzioni della Divisione Finanza, diretta da An.Pi., emerge anzitutto dal funzionigramma di B. (in atti sub doc. 261 del P.M,): ivi si legge che tra le varie funzioni della Divisione Finanza, e in particolare della sua unità denominata Documentation, vi erano quelle di - assicurare l'espletamento delle attività di natura amministrativa legate alla predisposizione dei Prospetti Informativi e all'emissione dei prestiti obbligazionari del Gruppo, coordinandosi con le Unità competenti" nonché di "supportare le funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla Clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari secondo quanto previsto dall'art. 31 del Regolamento Intermediari (n. 16190 del 29/10/2007) nella fase di aggiornamento delle stesse". Chetale compito sia poi stato in concreto effettivamente svolto dalla Divisione Finanza in occasione degli aumenti di capitale 2013 e 2014 emerge in maniera inequivocabile dalla deposizione specificamente resa sul punto all'udienza del 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dal 2007 al 2018 dipendente di B. con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza e, dunque, subalterno del PI. nel periodo qui in esame. Cfr. in particolare le pagg. 67-76 del relativo verbale stenotipico, ove il teste illustra il duplice ruolo concretamente rivestito in ambedue le occasioni, 2013 e 2014, dalla suddetta Divisione Finanza: da un lato fornire i dati da essa elaborati in quanto afferenti al profilo prettamente finanziario dell'operazione ("... e poi' anche la Finanza stessa su quelle che potevano essere poi le caratteristiche finanziarie dell'operazione che veniva posta in essere ..."); dall'altro lato curare la reductio ad unitatem di tutti i diversi contributi provenienti dalle varie Divisioni ("... Sì, diciamo la sintesi, nel senso che la collazione di tutti questi contributi eccetera, veniva fatta, appunto, come dicevo, dalla nostra struttura, dalla mia struttura"). A corollario degli elementi già solidi ed esaustivi qui riportati va altresì ribadito, nell'esaminare la posizione dell'imputato An.Pi., quanto già si è osservato più ampiamente supra (paragrafo 14.1.3.6) nel trattare i reati di ostacolo alla vigilanza, ossia che proprio il carattere estremamente sofisticato (triangolazioni societarie; fondi non collettivi "chiusi" a investitore unico e dotati di comparti articolati a loro volta in sotto-fondi) degli artifici utilizzati dal PI. nelle operazioni finanziarie da lui concepite e attuate implica ex se - unitamente al suo protagonismo nella dismissione delle azioni indirettamente detenute tramite i fondi esteri - una volontà di dissimulazione e "occultamento" tanto accentuata da risultare perfettamente coerente con le finalità illecite perseguite attraverso i reati comunicativi non solo di ostacolo alla vigilanza ma anche di falso in prospetto. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte va dunque dichiarata l'estinzione, per intervenuta prescrizione, dei reati di falso in prospetto di cui ai capi I) e L) di rubrica per ciò che concerne la posizione dell'imputato An.Pi.. 14.1.3.8. Il trattamento sanzionatorio. Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato An.Pi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere per i reati di falso in prospetto cui ai capi I e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già sì è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art, 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni tre di reclusione, aumentata di complessivi mesi undici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, dì mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori reati di ostacolo di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, M1 e di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub A1). Questo con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve, infatti, evidenziarsi, come già detto supra, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, di applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minore, di mesi uno e giorni quindici, ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. 14.1.4 L'appello nell'interesse di Zo.Gi. L'appello è parzialmente fondato nei termini di seguito esposti. 14.1.4.1 La competenza (primo motivo di appello/paragrafo 2 dell'atto di Impugnazione). Il primo motivo dì impugnazione (tale dovendosi ritenere quello, numerato sub 2, trattato alle pagine 13-39 dell'atto dì appello, inerente alla asserita incompetenza dell'autorità giudiziaria vicentina) è destituito di fondamento. Sul punto, si rinvia a quanto già evidenziato nel precedente paragrafo 7. 14.1.4.2 La consapevole partecipazione alle operazioni di capitale finanziato (secondo motivo dì appello). Considerazioni introduttive. Parimenti infondato è il secondo, articolato motivo di appello (numerato sub 3 e trattato alle pagine 40-300 dell'impugnazione). Trattasi, va precisato, di una serie di censure che contestano la sentenza impugnata sotto una pluralità di profili, ma che sono tutte accomunate (fatta eccezione per quelle, rubricate al paragrafo 3.4, specificamente inerenti al tema "generale" del capitale finanziato, in relazione alle quali non può che rinviarsi alle riflessioni già svolte, sul punto, al precedente paragrafo 12, comune a tutte le posizioni processuali) dalla finalità di evidenziare le carenze motivazionali asseritamente riscontrabili, nella trama argomentativa della decisione gravata, con specifico riferimento alla posizione di tale imputato. Ad avviso dell'appellante, infatti, il primo giudice avrebbe erroneamente affermato il coinvolgimento di ZO. nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto sulla base dì elementi probatori inadeguati, equivoci e finanche smentiti da specifiche evidenze di segno contrario, evidenze che, diversamente, deporrebbero per l'estraneità di costui rispetto ai fatti addebitatigli. In particolare, oggetto di doglianza sono i passaggi della sentenza nei quali sono state affermate: - l'inerzia del predetto imputato rispetto ad eventuali indici di allarme sintomatici dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato (paragrafo 3.2 dell'atto di appello); - l'attività concretamente gestoria svolta dal giudicabile nella conduzione della banca (paragrafo 3.3 dell'atto di appello); - la conoscenza, da parte dello stesso ZO., del fenomeno del "capitale finanziato" (paragrafo 3.5 dell'atto di appello); - la specifica consapevolezza, in capo al medesimo imputato, delle "operazioni baciate" (paragrafo 3.6 dell'atto di appello). Ebbene, con riferimento a ciascuno di detti "passaggi" dello sviluppo logico del discorso giustificativo della decisione l'appellante ha evidenziato le asserite incongruenze ed aporie motivazionali, richiamando, altresì, gli elementi probatori che sosterrebbero la diversa lettura della vicenda proposta nel gravame e che sarebbero stati dal giudice di prime cure obliterati o, comunque, equivocati nella loro effettiva significazione. Questo, sul rilievo della possibilità - che il medesimo appellante ha denunziato essersi concretizzata nel caso di specie (come evidenziato nella premessa al relativo motivo di appello, sub 3-1) - che una sentenza possa essere viziata da una motivazione, al contempo, carente e contraddittoria rispetto alle emergenze processuali. La memoria conclusiva "note scritte di discussione" 28.9.2022, accompagnata dalle ulteriori "note scritte", in pari data, in materia di "rinnovazione istruttoria dibattimentale in appello"), poi, ha riepilogato gli argomenti oggetto di dettagliata analisi nell'atto di impugnazione, confrontandosi, altresì, con le ulteriori acquisizioni probatorie che hanno avuto luogo nel corso del giudizio di appello. Ebbene, si è in presenza di censure infondate. Al riguardo, una premessa è d'obbligo. Il tribunale ha ricostruito il ruolo concretamente svolto dall'imputato ZO. nella vicenda sub iudice all'esito di una corretta e persuasiva lettura - tanto specifica quanto "d'insieme" - dell'intero, vasto materiale probatorio disponibile, di natura documentale, testimoniale e logica, ovviamente selezionato sulla base della relativa attitudine dimostrativa rispetto al thema probandum. Pertanto, come già evidenziato nella premessa dì metodo, è alla trama argomentativa della sentenza gravata che deve farsi preliminare rinvio, trattandosi della base motivazionale alla quale la presente pronunzia è destinata a saldarsi, in ragione non solo della coerenza dei rispettivi approdi decisionali ma anche dell'omogenea natura dei criteri di valutazione all'uopo impiegati. Ciò posto, ritiene questa Corte che gli esiti dell'originaria istruttoria dibattimentale abbiano offerto ampia dimostrazione del fatto che Zo.Gi., nel concreto esercizio delle prerogative di presidente dell'istituto di credito vicentino, non solo abbia avuto piena contezza del fenomeno delle operazioni correlate, nel suo multiforme, concreto dispiegarsi (comprensivo tanto delle operazioni "baciate", ovvero "parzialmente baciate", quanto degli "impegni al riacquisto", quanto, infine, degli antieconomici rendimenti garantiti agli acquirenti dei titoli, anche attraverso i ccdd. "storni", peraltro utilizzati anche per "sterilizzare" i costi dei finanziamenti, peraltro in modo tanto sistematico da costituire, essi stessi, una eclatante anomalia117) ma, proprio sulla base di detta conoscenza, abbia anche fornito un decisivo contributo alla perpetrazione dei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto che radicano le imputazioni di riferimento, condividendo con il d.g. So. il ricorso ad una strategia operativa - quella, per l'appunto, del sistematico ricorso al finanziamento dell'acquisto dei titoli B. - che recava necessariamente seco inevitabili implicazioni delittuose. A tale ultimo riguardo, com'è stato osservato dal primo giudice - e la considerazione è di tanto stringente logica da non richiedere ulteriori precisazioni - solo nell'ottica della successiva omessa deduzione degli importi finanziati dal patrimonio e, quindi, del pedissequo occultamento di tale operatività alla vigilanza, avrebbe avuto senso porre in essere, da parte della dirigenza di B., un meccanismo operativo tanto scellerato. Peraltro - va precisato sin da subito - ai dati probatori valorizzati dal primo giudice si è aggiunto, all'esito della rinnovazione istruttoria espletata in sede di appello, l'ulteriore, significativo elemento costituito dalla puntuale chiamata in correità del coimputato GI., nient'affatto inficiata, nella sua capacità dimostrativa, dalle deposizioni introdotte, a prova contraria, dalla difesa del giudicabile. In definitiva, a compromettere la posizione del presidente ZO., conducendo ad un giudizio di complessiva concludenza probatoria del tutto coerente con l'ipotesi d'accusa, concorrono, come si dirà di seguito (nel solco, per ragioni di ordine espositivo, dell'articolazione delle deduzioni difensive), una sequela di convergenti elementi, tanto di natura logica (a loro volta ancorati, come si avrà modo di precisare, a solide evidenze fattuali) quanto rappresentativa. 14.1.4.2.1. Il ruolo concretamente svolto da Zo.Gi. nella presidenza di B. e le implicazioni conseguenti (secondo motivo di appello: paragrafi 1 e da 3.1 a 3.3). Come s'è detto, il primo giudice ha puntualmente delineato il ruolo concretamente svolto dal giudicabile, nel lunghissimo periodo della sua presidenza di B., in termini di costante protagonismo, radicalmente esorbitante dai confini della mera rappresentanza istituzionale dell'ente. A tali conclusioni - va precisato sin da subito - il tribunale è pervenuto sulla base di una pluralità di elementi probatori convergenti nel dimostrare come Zo.Gi., rimasto saldamente al vertice della banca dal 1996 al 2015, fosse tutt'altro che un presidente "decorativo" e neppure rispettoso dei limiti propri della funzione di garanzia affidatagli. In effetti, già il rapporto ispettivo redatto da Banca d'Italia all'esito dell'ispezione del 2007-2008, dopo avere sottolineato come i meccanismi del governo societario fossero orientati ad assicurare il mantenimento di una salda conduzione delle assemblee da parte dei vertici, attraverso politiche volte a controllare ed orientare il trasferimento delle azioni, aveva stigmatizzato la funzione predominante esercitata dallo ZO., censurando, da un lato, l'assenza di autonomia del CdA rispetto al suo presidente e, dall'altro, la forte influenza esercitata da quest'ultimo anche sul management, fidelizzato attraverso frequenti riunioni informali e trattamenti remunerativi particolarmente favorevoli ed anche svincolati dai risultati concretamente raggiunti. Il Presidente era definito "leader indiscusso della banca dal 1996", e se ne rimarcava il "ruolo dominante" in seno ad un CdA in cui - precisava la relazione ispettiva - raramente "si riscontrano contributi dialettici da parte dei consiglieri...individuati e scelti in ambienti professionali vicini ai vertici della banca. Inoltre, in tale relazione si segnalava che - L'appiattimento (del CdA) sulle posizioni del Presidente" aveva "conosciuto una significativa accentuazione nella seconda metà del 2007 allorquando il Consiglio ha conferito al dr Zo. un'ampia delega a elaborare le strategie della banca univocamente orientate a promuoverne il ruolo aggregante...". All'esito di tale ispezione - ha opportunamente ricordato il primo giudice - l'autorità di vigilanza aveva persino inviato una lettera post-ispettiva attraverso la quale, proprio per contrastare il debordante protagonismo del presidente, era stato sollecitato il rispristino di una "equilibrata dialettica interna". E tali criticità, anche con specifico riferimento al ruolo predominante del presidente rispetto al CdA - e, più in generale, rispetto alla dirigenza "operativa" - erano state riscontrate pure all'esito della successiva ispezione di follow up del 2009 (cfr relazione ispettiva, doc. 2 del P.M.). L'ispezione sul credito del 2012, poi, aveva confermato come lo ZO. fosse non solo pienamente consapevole delle strategie aziendali, ma anche l'effettivo ispiratore delle stesse, secondo una visione, al predetto presidente prevalentemente riconducibile, di un successo commisurato al numero degli sportelli, alle relazioni con gli Enti pubblici e con le organizzazioni imprenditoriali" (cfr. doc. n. 3 della produzione P.M.). E' bensì vero che - come osservato dalla difesa dell'imputato (da ultimo, in sede di conclusioni) - nella relazione ispettiva di riferimento non si dà più conto di ingerenze operative dello stesso giudicabile; tuttavia, in disparte l'ambito assai circoscritto (in quanto limitato al credito) dell'attività ispettiva in questione, nulla autorizza ragionevolmente a ritenere che si fosse improvvisamente realizzata una significativa cesura rispetto ad un radicato modo di interpretare la presidenza da parte del giudicabile. Né, a fronte delle problematicità segnalate dalla Vigilanza, può assumere rilievo, in senso contrario, la circostanza (da ultimo valorizzata dalla difesa nelle note conclusive 28.9,2022) costituita dal fatto che tali "deviazioni" non si fossero poi tradotte nell'adozione, nei confronti dell'imputato, di alcun "provvedimento sanzionatorio o interdittivo ... rispetto all'assetto di governance dell'impresa bancaria" (cfr note scritte di discussione, pag. 20), stante l'inequivoco tenore delle citate osservazioni critiche. Del resto, sul punto, è decisiva la testimonianza, già adeguatamente valorizzata dal primo giudice, resa dal teste ispettore Ga., responsabile della squadra ispettiva Bc., trattandosi di deposizione che compendia efficacemente, nella sua icasticità, quanto accertato al riguardo: "... il presidio del Presidente sui fatti aziendali e sulla gestione aziendale era molto forte. Era un fatto notorio - e l'ispezione me ne ha dato consapevolezza - che nulla in azienda si muovesse senza che Zo. fosse stato informato", in proposito, è appena il caso di precisare che non siamo affatto di fronte ad una semplice opinione (per quanto resa da soggetto tecnicamente assai attrezzato a comprendere le dinamiche operative di quelle assai complesse strutture che sono gli istituti di credito), bensì al giudizio rassegnato da un esperto ispettore che aveva appena ispezionato proprio B.. E tanto basterebbe, tenuto conto dell'autorevolezza della fonte (l'ente di vigilanza Banca d'Italia, per l'appunto, per il tramite degli esperti ispettori inviati a verificare la gestione di B. ed a lungo presenti, a stretto contatto con i funzionari della banca ispezionata, presso la sede dell'istituto, tanto da averne potuto cogliere appieno le dinamiche operative). Ma v'è assai dì più. In effetti, ulteriori, significative evidenze probatorie acquisite al giudizio hanno confermato come al timone dell'istituto di credito, con riferimento a tutti gli aspetti della vita della banca - a partire dalle questioni strategiche, passando agli snodi essenziali della operatività dell'ente e fino a tematiche di ben minore cabotaggio, talune (è il caso della organizzazione delle cene sociali) solo apparentemente "spicciole", ove si consideri che viene in esame l'operatività di una banca popolare di una ricca città di provincia, ovverosia di un istituto di credito per definizione strettamente legato al territorio di riferimento ed al locale tessuto produttivo, donde l'importanza della accorta "gestione" dei rapporti con gli imprenditori dell'area - vi fosse proprio il presidente ZO.. Il giudice di prime cure, sul punto, ha fornito un articolato resoconto delle emergenze istruttorie. In sintesi - e rinviando, per il resto, alla sentenza impugnata - va evidenziato che è emerso che era l'imputato; - a selezionare all'ingressi nel CdA e nel Collegio sindacale. Al riguardo, vanno richiamate, oltre all'efficace descrizione delle dinamiche di cooptazione fornita dal coimputato Zi., le deposizioni rese, nell'istruttoria di primo grado, dai testi Ma., Co., Ro., Ti., Do. e, in sede di rinnovazione istruttoria nel giudizio di appello, dal teste An.. Il teste Lo. ha riferito della propria emarginazione conseguente al rifiuto rispetto al "metodo Zo." di selezione dei consiglieri. Parimenti significativa di tale pervasivo controllo sulla composizione del CdA, poi, è anche la vicenda della originaria opposizione da parte del coimputato Zi. rispetto all'inserimento in CdA del consigliere Mo.: a seguito della propria iniziale astensione - peraltro poi commutata, per effetto di "opportune" pressioni, in voto favorevole - lo Zi., come da lui stesso precisato, era stato anch'egli sostanzialmente emarginato. - a dirigerne le sedute con assoluta fermezza ed in termini che, di fatto, non ammettevano repliche, tanto che dalla lettura dei relativi verbali si coglie il difetto di ogni reale dialettica interna, essendosi in presenza di delibere adottate sistematicamente all'unanimità. Sul punto, il primo giudice ha opportunamente richiamato - in quanto sintomatiche di tale supina adesione dell'organo collegiale rispetto ai desiderata del presidente - le vicende relative alla fissazione del valore dell'azione in sede di CdA 1.4.2014 ed alla fallimentare operazione immobiliare inerente all'acquisto della sede di Cortina d'Ampezzo. A tale riguardo, considerate le obiezioni difensive articolate sul punto, una breve precisazione è d'obbligo: è del tutto evidente che l'attenzione del presidente per il patrimonio immobiliare dell'istituto (e, più in generale, per i vantaggi di immagine che sarebbero derivati alla banca dalla collocazione delle filiali in località ed in immobili di assoluto pregio) è più che giustificata e, quindi, non può certo costituire elemento neppure latamente indiziario. Sennonché, tale episodio è stato opportunamente evocato dal primo giudice in quanto indicativo dell'assoluta subordinazione dell'organo collegiale rispetto alle indicazioni del presidente finanche nel caso - quale, pacificamente, quello in esame di proposte già in partenza economicamente insostenibili. Nella fattispecie, invero, la perdita, conseguente alla operazione in esame, di oltre venti milioni di Euro, corrispondenti al finanziamento all'uopo erogato da B. alla società Pe. s.r.l. della famiglia Ca., era stata sostanzialmente preannunciata dalle valutazioni effettuate dal coimputato MA. il quale, in effetti, aveva opportunamente segnalato l'incapacità di detta società di rimborsare il finanziamento (La vicenda - va precisato - è dettagliatamente descritta alle pagine 588 e ss. della sentenza impugnata, nella quale, peraltro, è evocata anche la significativa intercettazione intercorsa, in data 21.9.2015, tra il sindaco Pi. ed il consigliere To., anch'essa ivi riportata, nei passaggi di interesse). IL Coerente con tale decisa modalità di conduzione dell'organo collegiale, secondo la ricostruzione del tribunale, poi, è anche la descrizione della presidenza ZO. fattane dal teste Gr., all'udienza 30.1.2020, là dove costui, pur escludendo, nel periodo della sua gestione, ingerenze operative dell'imputato, come ripetutamente evidenziato dalla difesa, ha confermato le precedenti dichiarazioni in occasione delle quali aveva riferito, secondo quanto già riportato dal primo giudice, che "... quello del presidente del CdA era un ruolo che stava stretto alla persona di Zo.... in realtà Zo. svolgeva un ruolo di impulso rispetto al CdA della banca e di indirizzo della direzione generale della banca medesima... ed ha rievocato la politica di forte espansione tenacemente perseguita dall'imputato. Quindi, nel corso della sua rinnovata escussione del 5.7.2022, il medesimo Gr. ha descritto le difficoltà che ('"esuberanza" dello ZO. gli aveva provocato più volte con Banca d'Italia, costringendolo a rimediare alle improvvide iniziative del presidente (cfr. pag. 43: Omissis). La più evidente riprova di una condizione di sostanziale soggezione del CdA al suo vertice, del resto, la si ricava dall'unanime consenso espresso a fronte della proposta dell'imputato di cooptare in consiglio il d.g. So. come consigliere delegato e, questo, nonostante si fosse nel febbraio del 2015, ovverosia in un torno di tempo nel quale erano oramai manifeste le condizioni, nelle quali versava l'istituto di credito, di estrema criticità (il tribunale, al riguardo, ha puntualmente evidenziato che: il bilancio 2014 registrava una perdita di circa 800 milioni; l'istituto aveva superato il Comprehensive Assessment solo grazie alla conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza nella seduta 26,10,2014; la vigilanza stava approfondendo le questioni del riacquisto di azioni effettuato, per circa 200 milioni di Euro, in costanza di aumento di capitale e della detenzione indiretta di azioni proprie da parte dei fondi lussemburghesi). Come sopra accennato, il giudice di prime cure ha, inoltre, opportunamente rievocato (cfr. pagine 590-591 della sentenza impugnata) il ruolo predominante svolto dall'imputato, nella seduta del CdA 1.4.2014, con riferimento alla determinazione del prezzo dell'azione, determinazione adottata in deroga alle stesse regole procedurali interne della banca. Altrettanto dicasi per la gestione del licenziamento del medesimo So., di cui si tratterà meglio più oltre, licenziamento deciso direttamente dallo ZO. e solo successivamente ratificato con voto unanime (peraltro in violazione sia delle regole statutarie che attribuivano al CdA la relativa competenza, sia della normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, come puntualmente osservato dal tribunale); e, questo, nonostante la richiesta del consigliere Zi. di valutare il licenziamento piuttosto che la risoluzione consensuale (richiesta che, riportata nelle trascrizioni audio della seduta del CdA, è tuttavia significativamente assente nel relativo verbale). E' bensì vero, sul punto, che, come la difesa dell'imputato non ha ripetutamente mancato di osservare, un forte segnale di "discontinuità" nella guida della banca era sostanzialmente preteso dall'organo di vigilanza e che (come parimenti sostenuto dalla medesima difesa, da ultimo in sede di discussione) i "tempi di reazione" erano necessariamente assai stretti, dovendosi mirare, anche attraverso una celere rimozione del vertice esecutivo, a scongiurare (o, più verosimilmente, a contenere) il danno reputazionale che sarebbe potuto derivare all'istituto dai riflessi pubblici di una discussione sul punto. Ma è agevole replicare che nulla impediva allo ZO. di coinvolgere rapidamente il CdA in una riservata valutazione della questione (anche ricorrendo a quei mezzi tecnici, quali il collegamento a distanza, che, in precedenza, l'imputato non aveva mancato di utilizzare in frangenti di certo meno preoccupanti) invece di limitarsi a consultare taluni collaboratori e solo alcuni tra i consiglieri di amministrazione di più stretta fiducia per poi chiamare il CdA ad una oramai inevitabile conferma di quanto già da lui deciso; - ad individuare le figure dei manager da assumere (sul punto, il primo giudice ha correttamente evidenziato come Gr., So., Fa. e Ro., ma anche i coimputati Gi. e Pi., fossero stati "selezionati" dall'imputato; ha precisato, inoltre, che Ra.Fo. era stato invitato direttamente da ZO. a svolgere l'incarico di presidente di un comitato che avrebbe dovuto curare lo sviluppo dell'attività dell'istituto di credito nel nordovest e che il medesimo Ra.Fo. era stato nominato presidente di Mo., società immobiliare del gruppo B.); - a controllarne/influenzarne l'operatività, a differenza del precedente presidente, Br.. Significativa, sul punto è la deposizione resa dal teste Pa., vice responsabile della divisione marketing (TESTIMONE PAOLI - No, direi un Presidente esecutivo in maniera importante. Cioè non è un Presidente di rappresentanza per le riunioni in ABI, ma era un Presidente assolutamente operativo, era in banca tutti i giorni, se non era in sede a Vicenza era in sede a Roma ... - cfr. udienza 14.7.2020, pag. 52), anche perché, avendo fatto tale teste ingresso in B. nel 2014, trattasi di deposizione che si riferisce proprio al periodo della "direzione So.". Ma rilevanti sono anche le deposizioni rese, oltre che dal predetto Pa. (il quale ha anche significativamente descritto Zo. come un presidente operativo, che si occupava finanche delle campagne pubblicitarie, circostanza, quest'ultima, anche documentalmente provata dall'appunto contenuto nell'agenda di Ma.So.), dai testimoni Se., Sa., Me. ed Am., così come significativi sono i riscontri documentali evocati dal primo giudice (trattasi dei documenti richiamati alle pagg. 596-598 della sentenza impugnata). Aggiungasi che lo ZO., quando il gestore private Ri. si era dimesso a seguito del trasferimento dalla filiale B. di Vicenza-Co. ad un'altra sede cittadina, dopo un breve incontro con tale funzionario nell'abitazione del presidente ove il primo era stato convocato e nel corso del quale aveva spiegato all'imputato le ragioni della sua scelta, ne aveva immediatamente disposto la riassunzione e la ricollocazione nella medesima sede; - a "preparare" le sedute del CdA attraverso una puntuale, previa interlocuzione con il d.g. So.. Del fatto che Sa.So. fosse stato prescelto dallo ZO. si è già detto. Con riferimento alle modalità di stretta collaborazione tra i due, poi, di assoluto rilievo sono le deposizioni (in particolare, quelle dei testi Ro. e Ro.) richiamate dal tribunale122, dalle quali complessivamente si ricava come tra il presidente ed il d.g., non vi fosse solamente una forte consonanza di intenti ma anche un indissolubile legame operativo, peraltro ammesso dallo stesso So. nel corso delle comunicazioni captate, dal tenore davvero inequivoco, che saranno più oltre riportate. La conversazione n. progr. 235 intercettata il 26.8.2015, intercorsa tra il coimputato Zi. e Pa.Ba., del resto, ne costituisce l'ennesimo, significativo riscontro, là dove il primo ha descritto il rapporto tra presidente e direttore generale come quello di soggetti che "viaggiavano a braccetto". E, anche in tal caso, mette conto osservare che si è in presenza di una affermazione davvero significativa, trattandosi non già di una valutazione (in quanto tale caratterizzata da insuperabili profili di opinabilità) resa da un soggetto estraneo alle dinamiche operative dell'istituto, bensì di un icastico giudizio (del tutto sincero, in quanto captato dagli investigatori all'ascolto) proveniente da un consigliere di amministrazione il quale, peraltro, come si è appreso nel corso del processo, era tanto sensibile alla sorte di B. ed impegnato nella vita dell'istituto da ambire ad assumerne la presidenza, succedendo a ZO., A corredo di tali elementi, poi si collocano le dichiarazioni di quei soggetti - anche costoro intranei all'istituto di credito o, comunque, pienamente inseriti nel contesto produttivo vicentino del quale la banca era il polmone finanziario e, quindi, ben consapevoli di quanto andavano dicendo - che hanno descritto l'imputato come "padre padrone" (è il caso di quanto riferito dal funzionario B. Ro., ovvero dall'imprenditore Ro., nonché dell'espressione proferita dal d.g. So. nel corso di una intercettazione telefonica), ovvero come "monarca assoluto" della banca (è il caso del sindaco Pi., intercettata nel corso di una conversazione con il consigliere To.. Sul punto, con riferimento alla inattendibile "smentita" dibattimentale di tale definizione, sì rimanda a quanto più oltre evidenziato): se è vero, infatti, che tali definizioni, a stretto rigore, come sistematicamente rimarcato dalla difesa del giudicabile, non si emancipano dal rango di valutazioni, è altrettanto indubitabile che, provenendo da soggetti qualificati (i quali, evidentemente, ancoravano le predette affermazioni a vicende da costoro vissute nella quotidianità dell'ambiente di lavoro), si è in presenza di giudizi che scaturivano da solide evidenze fattuali, significativi di una modalità di interpretazione del ruolo presidenziale tutt'altro che formale. Si è in presenza, quindi, di apprezzamenti di significazione tutt'altro che incerta e, anzi, di indubbia efficacia probatoria. Peraltro - osserva questa Corte - non sembra affatto errato spingersi a sostenere che è proprio la larga condivisione di un siffatto giudizio tra soggetti, a diverso titolo, tutti ben informati dei concreti assetti gestionali dell'istituto di credito e, specificamente, delle dinamiche della conduzione della banca, ad integrare, essa stessa, una importante evidenza fattuale. A tali elementi, poi, si aggiungono le significative, coerenti dichiarazioni rese dal coimputato GI., il quale, offrendo una ulteriore "lettura dall'interno" delle dinamiche in atto nel "board ristretto" dell'istituto - lettura particolarmente utile in quanto, per un verso, proveniente proprio da un soggetto apicale nell'organigramma della banca; e, per altro verso, non influenzata da quel palpabile imbarazzo se non anche, come s'è detto, da quella ritrosia al limite della reticenza riscontrabile in numerose deposizioni di alti funzionari che hanno agito a stretto contatto con il più elevato management aziendale (e, ancor più, di numerosi consiglieri e membri del collegio sindacale di amministrazione dell'istituto, evidentemente condizionati anche dal ruolo di responsabilità rivestito da costoro nella banca, peraltro all'origine delle sanzioni amministrative loro irrogate dalla vigilanza) - ha individuato proprio nello ZO. l'effettivo vertice operativo di B. e, nel CdA un organo collegiale sostanzialmente supino. In effetti, nel memoriale prodotto a sostegno della richiesta di rinnovazione dell'esame, il predetto GI., con specifico riferimento alla posizione di Zo.Gi., ne ha definito con nettezza il profilo operativo, icasticamente affermando che il presidente era "il vero amministratore delegato della banca" - in quanto tutte le decisioni di un qualche rilievo necessitavano della sua approvazione o erano, comunque, da questi condivise. Ciò egli ha fatto: - dopo avere ricostruito l'operatività della banca nelle operazioni correlate come una prassi diffusa e consolidata a partire dagli anni 2011-2012 (ovverosia - come da questi precisato - dal momento nel quale le azioni B. avevano cessato di essere attrattive per i clienti, sia in termini di dividendi che di incremento di valore, sicché si era manifestata una situazione di crisi strutturale del mercato secondario del titolo); - e dopo avere precisato, altresì, che la scelta di astenersi, illegittimamente, dall'operare le decurtazioni dal patrimonio di vigilanza degli importi finanziati per l'acquisto delle azioni medesime era funzionale a migliorare i requisiti di capitale, ad esaudire le richieste di vendita dei soci ed a sostenere il prezzo delle azioni, soggiungendo, inoltre, che le indicazioni impartite dal d.g. So. al management erano nel senso di mantenere riservata all'esterno tale operatività della banca (donde l'impiego, nelle pratiche di fido, della dicitura anodina operazioni mobiliari/immobiliari, divenuta, all'interno della banca, vero e proprio sinonimo di "operazioni correlate"). Più nel dettaglio, il GI. ha ricordato come il d.g. So. fosse solito trascorrere l'intero pomeriggio del giorno precedente alle sedute del CdA, ovvero l'intera mattina di tale giorno, con il presidente, per discutere e concordare le delibere che sarebbero state presentate all'organo collegiale, precisando dì essere direttamente a conoscenza di tale prassi perché era stato ripetutamente convocato allorquando le delibere provenivano dalla "Divisione Mercati". In quelle occasioni, ZO. era solito approvare, modificare o cancellare il testo della bozza del provvedimento ed il d.g. So. costantemente interveniva a sostegno. Ebbene, si è chiaramente in presenza di dichiarazioni che, ben lungi dal delineare, come vorrebbe la difesa dell'imputato, ì contorni di una ordinaria operatività del presidente (ovverosia una operatività necessariamente caratterizzata da quei periodici contatti con il d.g. finalizzati a consentirgli di acquisire le informazioni necessarie ad assolvere il ruolo non operativi assegnatogli dalla normativa di riferimento), attestano l'esistenza (quantomeno) di una irregolare diarchia nella conduzione della banca, peraltro plasticamente confermata anche dalla retribuzione riconosciuta allo ZO. (il quale percepiva un compenso annuo di circa 1 milione 110 mila Euro annui, a fronte di quello medio dei singoli consiglieri che si aggirava intorno ai 140 mila Euro annui, ovverosia una retribuzione quasi equivalente a quella del d.g., So., i compensi annui del quale oscillavano tra 1 milione e 300 mila Euro ed 1 milione 500,000 euro126), E, a sostegno di tali dichiarazioni, il propalante ha richiamato plurimi documenti dai quali, in effetti, ad onta delle generiche contestazioni difensive127, è possibile ricavare l'attiva partecipazione del coimputato nella quotidiana operatività della banca, al di fuori, quindi, del perimetro delle attribuzioni proprie di un ruolo di rappresentanza e di garanzia. Trattasi, segnatamente: - della lettera da inviare ai soci a giustificazione dei ritardi nell'evasione delle richieste di vendita delle azioni prodotta (cfr. documento allegato al memoriale, sub 4.1.1); v della missiva inviata dal d.g. della società immobiliare del gruppo al vicedirettore Ca. inerente ad una richiesta di ZO. in merito agli immobili facenti capo al Gruppo Banca (...) (missiva prodotta sub 4.1.2); - della comunicazione in materia di avviamenti con la quale il coimputato PE. riferiva al d.g. So. che l'argomento avrebbe dovuto essere trattato con ZO. (comunicazione di cui al documento allegato sub 4,1.3); - di mail ed allegati documenti attestanti il coinvolgimento del presidente nelle decisioni in materia di "codice etico" e di "riorganizzazione della sede centrale" (di cui alle produzioni sub 4.1.4, e 4.1.5). Ebbene, si è in presenza, com'è evidente solo ad una veloce lettura di tali produzioni, di documenti che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa dell'imputato (cfr. pagg. 6-9, 11-12 della memoria inerente agli esiti della rinnovazione istruttoria; cfr., inoltre, le considerazioni svolte nella memoria conclusiva), sono di significato tutt'altro che trascurabile ed incerto. Quindi, rievocando le fasi finali della propria permanenza presso l'istituto di credito, il GI. ha riferito che lo ZO., coerentemente con i suggerimenti offertigli dall'avv. Ge. (e, al riguardo, il dichiarante ha richiamato il documento in allegato al memoriale sub 4,6,1., ovverosia la nota riservata datata 11.5,2015, inviata dall'avv. Ge. al presidente Zo., nella quale si suggeriva anche l'esecuzione di un "forensic sulle mail aziendali", ovverosia di "un'attività di sana e prudente ricerca dello stato di conoscenza tra i funzionari e dirigenti dei fatti cui alludono gli ispettori presenti in Banca" - così a pagina 4 della predetta nota), aveva tentato di affrontare il problema che allora stava emergendo dei finanziamenti "baciati", operando una netta discontinuità gestionale, ma, così, sostanzialmente, scaricando le relative responsabilità solo su altri. In questo contesto di predisposizione di una sorta di exit strategy - ha soggiunto il dichiarante - lui stesso aveva appreso della richiesta, proveniente dal medesimo ZO., di cancellazione delle mail presidenziali, richiesta della quale gli aveva riferito un impiegato del SEC di Padova, Ba.St., e che, poi, non era stato possibile attuare. E, a sostegno di tali affermazioni, il GI. ha prodotto un documento di significativo rilievo, ovverosia la stampa della chat inerente alle comunicazioni scambiate, sul tema, proprio con il predetto Ba., comunicazioni che, in effetti, confortano dette propalazioni etero-accusatorie (cfr. documento allegato al memoriale, sub 4.6.2.: "Ciao Stefano. Una curiosità. Tu avevi detto a Ca. che Zo. ti aveva chiesto di cancellare le sue mail? Grazie mille, Abbi pazienza" - "Non mi ricordo bene l'episodio. Devo pensarci un attimo per richiamare la cosa alla memoria" .... ..."Mi sembra che la Li. avesse chiesto se era possibile. Ma le era stato risposto che non si poteva fare perché comunque rimanevano le tracce della cancellazione e sarebbero servite direttive. Secondo me avevano chiesto ai ragazzi che gestivano le mail"). Peraltro, significativa dell'esistenza di una attività di occultamento di elementi a che potessero evidenziare un coinvolgimento del Presidente è anche la conversazione intercorsa tra Bo. e MA. nel corso della quale il primo si faceva latore della richiesta, proveniente da ambienti del CdA, di modificane quanto dallo stesso MA. riferito in sede di intervista "audit" in ordine al fatto che il d.g. So. fosse solito attestare la conoscenza della prassi del capitale finanziato in capo allo Zo. (nel citato colloquio allusivamente indicato come "chi di dovere"). Trattasi, complessivamente, di un protagonismo che davvero mal si concilia con la tesi di un presidente confinato in un ruolo di rappresentanza e che, al contrario, appare coerente con la vera e propria attività gestoria evocata dallo stesso propalante e rispecchiata dagli ulteriori elementi citati. Infine, il GI. ha descritto i rapporti intercorrenti tra il presidente ed il d.g. So. in termini di strettissima collaborazione, in stringente aderenza, peraltro, ad ulteriori evidenze probatorie (si pensi, per tutte, alla già evocata affermazione del coimputato ZI., secondo la quale i due "viaggiavano a braccetto"), soggiungendo che il presidente ed il d.g. erano anche legati da una sorta di reciproca riconoscenza: da un lato, infatti, il primo aveva trovato in So. una sponda per vanificare la proposta del precedente d.g., Co., allorquando costui intendeva promuovere la fusione con il Ba.Po.; dall'altro, il secondo aveva beneficiato della comprensione dello ZO. con riferimento alla manipolazione dei bilanci della Sec, se non anche ad una presunta vicenda "di mazzette" relativa ai rapporti con i fornitori della Ca.. Peraltro, con specifico riferimento alla questione dei bilanci SEC, la deposizione del teste Gr. ha puntualmente confermato le propalazioni del GI., là dove l'ex direttore generale, nel corso della sua rinnovata escussione dibattimentale, ha rievocato tanto la falsificazione dei bilanci di tale società ascrivibile al So. quanto la decisione dello ZO. di graziarlo perché "non aveva rubato" e, quindi, a giudizio del presidente, il "peccato commesso" non era dei più gravi. Trattasi, a ben vedere, dì elemento di estrema significazione, in quanto appare ben difficilmente spiegabile, se non proprio nella prospettiva indicata dal GI., il comportamento di un presidente che, reso edotto di tale grave mancanza, evidentemente sintomatica di un assai pericolosa "disinvoltura" nella redazione dei bilanci di una "controllata", non si fosse preoccupato che un siffatto approccio potesse essere replicato anche con riferimento alle scritture di B.. Il rinnovato esame dibattimentale del medesimo GI., poi, ha consentito di saggiare ulteriormente l'affidabilità della fonte (posto che l'escussione di quest'ultimo nel contraddittorio delle parti non ha fatto emergere criticità ed incoerenze della narrazione e, men che meno, falsità di sorta), oltre che di arricchire il contributo di conoscenza originariamente dal propalante affidato al citato memoriale. Il GI., infatti, non solo ha confermato il forte protagonismo operativo dello ZO. nella conduzione della banca, rendendo le seguenti, puntuali affermazioni: particolare, che io sono l'ultimo arrivato in Banca perché sono arrivato a fine 2007, fare questo, che io debba dire che il Presidente era il vero Amministratore Delegato della Banca. Quindi questa è una cosa particolare, no? Nel senso che tutti sapevano che il Presidente interveniva su qualunque decisione importante in Banca, qualunque: non c'era una delibera di Consiglio di Amministrazione che non passasse sotto il suo vaglio. Il Presidente era presente, era presente nei gangli organizzativi. So. non muoveva un dito senza che il Presidente sapesse. I consigli di amministrazione venivano condotti e guidati da Zo., Quindi, voglio dire, io dico quello che ho visto: io ho visto organigrammi della Banca che non potevano essere deliberati, se il Presidente non li avesse convalidati e non li avesse visti. Ovviamente questa è una mia posizione che ho cercato anche di oggettivare con dei documenti perché, se no, sarebbe la mia posizione contro la posizione di altri quattro cinque Imputati Purtroppo sono dovuto andare a fare le analisi, andare a tirare fuori i documenti per comprovare quello che sto dicendo..."; ma, come si dirà più oltre, ha ribadito ed approfondito quanto anticipato nel memoriale, in particolare con specifico riferimento alla piena conoscenza in capo al presidente del sistematico ricorso al capitale finanziato. Deve allora necessariamente convenirsi che i dati valorizzati dal tribunale ed in precedenza succintamente richiamati - elementi ai quali si è aggiunto il significativo contributo conoscitivo fornito dal coimputato GI., siccome testé rievocato - costituiscano la più sicura conferma, ove mai ve ne fosse bisogno, del puntuale giudizio già reso dall'ente di vigilanza Banca d'Italia con riferimento alla governance dell'istituto di credito e, segnatamente, alla ingombrante presenza di un presidente che, al contempo, individuava gli obiettivi strategici della banca e ne seguiva la realizzazione, preoccupandosi, altresì, di ogni questione operativa. Pertanto, si è in presenza - va precisato per completezza - di una situazione tutt'affatto differente rispetto a quella, propria di una presidenza meramente "formale", evocata dall'appellante attraverso la produzione, in allegato all'atto di appello, della richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica dì Treviso in data 2.4.2020 con riferimento alle analoghe contestazioni mosse al Presidente del CdA di Ve., Tr.Fl.. In effetti, ai convergenti dati probatori valorizzati dal primo giudice, l'appellante ha contrapposto (al paragrafo 3.3, let.re b-j, pagg. 76-137 dell'atto di impugnazione) elementi (poi in larga parte ripresi ed ulteriormente valorizzati nelle citate "note scritte di discussione" in data 28.9.2022 - cfr. pagg. 18 e ss.) asseritamente di segno contrario - in quanto ritenuti tali da escludere che l'imputato potesse essere definito come il "monarca" dell'istituto e, anzi, considerati idonei a dimostrare che costui non esorbitasse affatto dalle attribuzioni della presidenza e non svolgesse, pertanto, alcun ruolo operativo (come sostenuto al conclusivo punto 3.3 lett. k) - ma, in realtà, tutt'altro che adeguati a legittimare una differente lettura del ruolo concretamente svolto dallo ZO.. Trattasi, segnatamente: - della conversazione n. 526, intercorsa tra il coimputato MA. ed il collega Cu. (par. 3.3, lett. b); - di specifici "passaggi" delle deposizioni dei testi Gr., Do., Li., Lo., So., Me., Bi., An., Tu., Fa., Se. e Ro. (par. 3.3., lett. c); - della mancata partecipazione dell'imputato ai Comitati Esecutivi ed ai Comitati di Direzione (par. 3.3, lett. d); s dell'estraneità dell'imputato rispetto alla erogazione del credito (par. 3.3, lett. e); - del ruolo corretto tenuto dal presidente in relazione alla svalutazione del valore dell'azione da 62,50 a 48 Euro deliberato nell'aprile del 2015 (par. 3.3, lett. f); - dell'estraneità del giudicabile all'iniziativa di creazione della "task force gestione soci" costituita nella primavera del 2015 (par. 3.3, lett. g); - della tempestiva attività svolta dal medesimo ZO. per corrispondere alle richieste degli ispettori Bc. che intendevano approfondire le questioni delle "lettere di garanzia" e dei "fondi lussemburghesi" (par. 3.3 lett. h); - del reale comportamento tenuto dal predetto con riferimento alle dimissioni del d.g. So. e dei coimputati GI. e PI. (par. 3.3, lett. i) e della condotta assunta dal presidente dal momento della nomina del nuovo Direttore Generale e Consigliere Delegato, Fr.Io., sino alle sue dimissioni (par, 3.3, lett. j). In effetti, detti elementi non legittimano affatto le conclusioni che pretende trarne l'appellante. Sul punto, una precisazione è d'obbligo: quelli evocati dalla difesa a sostegno delle considerazioni svolte ai predetti punti 3.3 lettre b, c, e, f, g, h, i dell'impugnazione sono, in larga parte, contributi testimoniali che scontano - come già premesso ed a differenza di quanto direttamente verificato, con riferimento all'effettivo ruolo svolto dal presidente ZONIIM, dagli ispettori di Banca d'Italia (peraltro anche in periodi significativamente antecedenti rispetto all'arco temporale in cui si collocano i fatti oggetto di addebito) - un più o meno marcato deficit di affidabilità, in quanto provengono da soggetti a diverso titolo coinvolti nella vicenda in esame (in qualità di componenti del CdA, come nel caso di An., Do., Co., Ro., ovvero di membri del Collegio Sindacale; ovvero di dipendenti dell'istituto di credito impegnati in settori "sensibili" rispetto al tema del capitale finanziato, come nel caso, in particolare, di Ri., di Fa. e di Tu., o comunque, strettamente legati al vertice dell'istituto, come So., il quale, peraltro, nel complesso, come si vedrà più oltre, ha reso dichiarazioni assai significative nell'evidenziare la diffusa conoscenza, ai vertici operativi della banca, del fenomeno delle operazioni correlate; ovvero ancora di professionisti intervenuti in momenti decisivi della vicenda in esame, ed è il caso del professor Bi. e dell'avv. Ge.). Si è in presenza, pertanto, di deposizioni (massimamente quelle dei consiglieri di amministrazione e dei membri del collegio sindacale, ma anche quelle di coloro che hanno offerto la propria stretta collaborazione ai vertici operativi della banca maggiormente coinvolti nella concreta gestione dei finanziamenti correlati) alle quali - va ribadito - è doveroso approcciarsi con estrema prudenza. Ciò posto - e passando al merito delle considerazioni difensive - gli elementi valorizzati nell'appello, ancorché ampiamente enfatizzati nella relativa esposizione, assumono, in ottica difensiva, davvero scarso rilievo rispetto al tema in oggetto: - così è per la conversazione n. 526 (par, 3.3, lett. b), intercorsa tra il coimputato MA. ed il capo-area Fr.Cu., posto che non è certo pensabile che l'imputato - il quale, com'è pacificamente emerso, di questioni significative interloquiva pressoché esclusivamente con il d.g. So. - si intrattenesse con un "semplice" capo-area su questioni inerenti alla conduzione dell'istituto di credito; - così per i passaggi, evocati nell'appello (par. 3.3, lett. c), delle deposizioni dei testi Gr., Do., Li., Lo. e So., Bi., Me., An., Tu., Fa., Se. e Ro.. In particolare, le dichiarazioni del Gr., richiamate nella parte in cui il predetto ha rivendicato la propria autonomia rispetto al presidente Zo., sono state nondimeno trascurate là dove il medesimo dichiarante ha significativamente delineato il ruolo dell'imputato in termini di forte protagonismo. Peraltro, il medesimo teste Gr., in occasione della rinnovata escussione in sede di giudizio di appello, con riferimento alle modalità di esercizio della presidenza da parte dello, ZO., dopo avere richiamato il perimetro assai circoscritto delle attribuzioni presidenziali delineato dalla disciplina di Banca d'Italia, ha precisato che lui stesso era solito discutere con l'imputato delle questioni di una certa importanza, soggiungendo che, con riferimento alla tematica della quotazione in borsa, era stato proprio lo ZO. a esprimersi in senso contrario. Aggiungasi che detto teste ha velatamente (ma in modo chiaramente percepibile da parte di un ascoltatore avvertito delle dinamiche proprie del contesto di riferimento) operato una distinzione, a ben vedere nient'affatto casuale, tra quello che avveniva, nei rapporti con il presidente, durante la sua gestione, insofferente di ogni indebita intromissione e quello che, diversamente, sarebbe potuto avvenire durante la gestione So., il quale, peraltro, come riferito dallo stesso Gr. innanzi al tribunale, aveva uno stretto rapporto con lo ZO. che ne apprezzava il decisionismo, fermo restando che il rapporto tra i due, siccome puntualmente descritto dal teste Pa., era caratterizzato dal timore reverenziale nutrito dal d.g. (non diversamente, del resto, da tutto il personale della banca) nei confronti di un presidente assai autorevole, se non addirittura autoritario. D'altra parte, tale avvicendamento era avvenuto in concomitanza con la crisi finanziaria e del mercato secondario, per cui è ragionevole ritenere che la mancata ingerenza dell'imputato nell'operatività dell'istituto durante la gestione Gr. potrebbe non essersi affatto riprodotta nel periodo successivo, quando il direttore generale era persona, per un verso, meno rigorosa del predetto Gr. e, per altro verso, maggiormente condizionata nella sua gestione dell'istituto dall'inasprirsi della crisi che rischiava di vanificare le ambizioni di ZO. (non più contenute dalla concretezza e dal realismo di Gr.). E, sul punto, significative sono le già richiamate dichiarazioni rese dal teste Pa., relative proprio al periodo successivo all'avvicendamento Gr.-So. - In ogni caso, a ben vedere, quella resa dal teste Gr. è una deposizione davvero inconciliabile con la tesi di un imputato "confinato" in un ruolo di semplice rappresentanza. Di trascurabile significato, poi, sono anche i passaggi richiamati delle deposizioni dei testi: Do., essendosi questi limitato a dichiarare che l'imputato gli aveva riferito che si occupava solamente di "strategia" (circostanza, peraltro, anch'essa incoerente con un quell'incarico poco più che meramente formale che, nella prospettiva in precedenza delineata, potrebbe giustificare l'ignoranza della pervasiva prassi delittuosa in essere, da anni, presso B.); Li. e Lo., trattandosi, in tali casi, dì dichiarazioni che, per i ruoli dei dichiaranti (la prima, segretaria personale dell'imputato; la seconda, dapprima responsabile della direzione comunicazione e, successivamente, membro del CdA di fondazioni "partecipate" da B.) consentono di conoscere, per un verso, (e abitudini lavorative del giudicabile e, per altro verso, gli interessi da questi coltivati rispetto ad attività culturali e benefiche, ma nulla predicano di specifico in relazione al tema oggetto di prova; nonché So., quello evocato dall'appellante essendo un breve passaggio, sostanzialmente irrilevante, della ben più articolata deposizione resa da tale testimone (eccezion fatta per quanto riferito in ordine alle pratiche di fido, delle quali, tuttavia, il So. non si occupava direttamente, donde lo scarso rilievo, sul punto, di detta dichiarazione). Altrettanto dicasi per deposizione del teste Bi., in quanto la circostanza che tale professionista interloquisse solamente con il d.g. e non avesse subito pressioni di sorta dall'imputato nell'ambito delle valutazioni demandategli in punto di determinazione del valore del titolo B., non contrasta affatto con le evidenze probatorie valorizzate dal primo giudice, al pari del fatto che, secondo quanto riferito dal medesimo Bi., lo ZO. si esprimesse, con riferimento al tema "valore dell'azione", in termini "atecnici". Peraltro, non è affatto irrilevante evidenziare, ai fini della comprensione del ruolo dello ZO. e del CdA nella determinazione del prezzo (sovrastimato) dell'azione, come il Bi., nell'interloquire con il PE. (e, quindi, non solo con il So.), avesse avuto modo di precisare che l'attribuzione del valore del titolo nei termini poi definiti di 62,5 Euro fosse stata conseguenza di una scelta della banca assai opinabile. In effetti il tenore della mail inviata dal professore al Responsabile della Divisione Bilancio PE. il 29.4.2013 non lascia adito a dubbi: "Gentile dott. Pe., mi sembra esagerata l'enfasi data alle mie considerazioni sul prezzo di 62,5 rispetto a quanto riportato nella mia valutazione. Sarei più prudente. Così come è messa sembra che il perito vi dica che 62,5 è runico prezzo da scegliere, mentre l'aver evidenziato una forchetta di valori dell'adozione del criterio reddituale va semmai nel senso contrario....In breve consiglierei una maggiore prudenza di lettura della perizia e segnalerei tra i rischi quello di non riuscire a realizzare il piano"). Aggiungasi che lo stesso Bi. ha riferito come il tema dell'incremento di valore del titolo fosse un obiettivo perseguito dallo ZO. e dal So. ("Zo. e So. avevano espresso un aspetto di ispirazione verso un incremento del titolo B. anche se non ho ricevuto pressioni sollecitazioni o inviti a raggiungere un determinato risultato finale"...), i nomi dei quali, d'altronde, come opportunamente evidenziato dal P.G. nella memoria conclusiva, nella narrazione del teste ricorrono sempre abbinati, quasi come - una endiadi", ad ulteriore riprova dello stretto collegamento operativo tra i due. Analoghe conclusioni, poi, si impongono con riferimento alle dichiarazioni rese dai testi Me., An., Tu. e Fa., ove si consideri la genericità delle circostanze da costoro riferite e, nondimeno, specificamente valorizzate dall'appellante (cfr. al riguardo, quanto precisato alle pagg. 84-87). In ogni caso, si è in presenza di dichiarazioni che, a ben vedere, risultano tutt'altro che incompatibili con quanto aliunde emerso a carico dello ZO., Che, infatti, il Me. - amministratore di Pa.Fi. - avesse poi trattato della lettera dì garanzia con il So. è circostanza del tutto coerente con il ruolo del direttore generale, pacificamente risultato il vero e proprio regista delle operazioni dì capitale finanziato. Peraltro, non può trascurarsi di considerare che il medesimo Me. ha riferito di essersi incontrato con il d.g. dopo l'allontanamento di quest'ultimo da B., soggiungendo che il So., nell'occasione, gli aveva riferito come il presidente fosse ben consapevole della prassi invalsa presso la banca ma intendesse scaricare ogni responsabilità proprio sullo stesso d.g., quale "capro espiatorio"134. Quanto, poi, ai passaggi delle dichiarazioni del teste Tu. evocati dal difensore, il tema ivi affrontato (interessamento da parte dello ZO. in relazione alle questioni della pinacoteca del comune di Prato e della chiusura del banco-pegni della medesima località) è davvero obiettivamente trascurabile. Non è in discussione, infatti, che il giudicabile si occupasse di tali questioni "di contorno" (questioni che, al contrario, è pacifico che suscitassero il vivo interessamento dell'imputato, assai sensibile a tutto ciò che potesse accrescere il prestigio della banca), bensì che costui esorbitasse, nel l'interpreta re il proprio ruolo presidenziale, da tali ambiti. Infine, la circostanza, riferita dal teste Fa., che al presidente pervenissero i comunicati già predisposti è assolutamente "in linea" con la presenza, presso B., di una struttura amministrativa obiettivamente articolata, ma non implica affatto che lo ZO. si limitasse ad apporre una "inconsapevole" firma in calce a detti documenti. Del resto, il teste An., anch'egli nuovamente escusso nel dibattimento d'appello, non solo ha precisato che era stato l'imputato ad inserirlo, dapprima, nel CdA di Ba.Nu. (dove aveva poi assunto il ruolo di vicepresidente) e, quindi, in quello di B. (il che ulteriormente conferma il protagonismo del giudicabile nella selezione dei soggetti destinati a ricoprire ruoli di responsabilità nell'istituto), ma, nell'evidenziare come lo ZO. avesse espresso forte contrarietà alla proposta di So. di bloccare la valutazione del titolo B. e nel precisare, inoltre, che il rapporto tra l'imputato ed il d.g. era di "esclusività", in quanto il presidente faceva sostanzialmente da "cerniera" tra la dirigenza ed il CdA135, ha implicitamente avvalorato la ricostruzione di una modalità di esercizio delle attribuzioni presidenziali da parte del giudicabile tutt'altro che di mera rappresentanza, contribuendo a chiarire come, all'interno della più alta dirigenza dell'istituto, fosse sostanzialmente riscontrabile una duplicità di livelli: quello, di massimo vertice, relativo alla coppia "ZO.-So."; e quello, più propriamente riconducibile alla ordinaria dinamica di un board ristretto, inerente ai rapporti tra il d.g. e gli altri dirigenti apicali. Infine, in relazione alle deposizioni dei testi Se. e Ro., deve osservarsi, con riferimento al primo (Se.), che il passaggio valorizzato dall'appellante evidenzia unicamente che l'imputato non era esperto di "operatività tecnica" e, segnatamente, di "merito creditizio", non già che costui non fosse - come peraltro espressamente affermato dal medesimo teste, nei passaggi di poco precedenti della stessa deposizione - "presente e interventista". Anzi, è opportuno precisare che tale teste ha precisato che l'imputato "era presente in ogni ganglio operativo, scendeva sulle strutture". Del resto, la mail inviata da Gi. ad alcuni colleghi della Direzione Generale il 13.9.2010 nella quale il primo, in relazione alla riunione che avrebbe avuto luogo la sera stessa, esplicitamente affermava ".. Il Presidente sarò (sarà) duro con i capi area...", ne è un'evidente conferma. Peraltro, non è affatto inutile sottolineare come, a far giustizia della tesi di un presidente incapace di comprendere, al di là delle specifiche questioni più propriamente tecniche, significato e portata delle tematiche che vengono in rilievo nel presente giudizio, siano le stesse parole dell'imputato, più oltre evocate, dalle quali si apprende come costui fosse ben consapevole dell'importanza e delle relative implicazioni, anche sul patrimonio di vigilanza, del - Fondo acquisto azioni proprie" (ovverosia, come s'è detto, di uno dei più importanti temi inscindibilmente collegati alla generale questione del capitale finanziato). Ne consegue che descrivere lo ZO. - il quale, per moltissimi anni, ha guidato l'istituto di credito vicentino, orientandone con decisione la politica espansionistica che aveva portato la banca a divenire uno dei gruppi bancari più importanti d'Italia - come un "semplice" imprenditore del settore vinicolo "prestato" al circuito bancario e privo di alcuna competenza in materia (e, quindi, fare leva su tale radicale difetto di conoscenze ed esperienza, per tentare di accreditare la tesi di un presidente facile vittima di un direttore generale infedele) appare davvero un fuor d'opera. Del resto, non pare affatto inutile richiamare, a riprova di una effettiva competenza del giudicabile che andava ben oltre ai "fondamentali" in materia, quanto riferito dal teste Fa., là dove questi, peraltro nell'ambito di contributi dichiarativi, come s'è detto (e come ancora si dirà più oltre), costantemente ispirati ad un approccio "riduzionistico", non solo in ordine alla effettiva conoscenza del fenomeno in esame all'interno della struttura di B. ma anche (e conseguentemente) delle altrui responsabilità in ordine a tale prassi, nel rievocare un incontro che aveva avuto con il presidente nel corso del CdA del 10-11.2014 ha precisato che tale incontro era stato richiesto dalla segreteria di ZO. in quanto quest'ultimo aveva la necessità di approfondire, attraverso i dati di riferimento, l'evoluzione dei "Price Book Value" di banche popolari quotate e non quotate ed ha significativamente soggiunto, a richiesta del difensore della parte civile, che il presidente mostrava di conoscere il concetto in esame, consistente nel parametro di sopravvalutazione o sotto valutazione di un'azione". Con riferimento al secondo testimone (Ro.), poi, si è trattato di una fonte dichiarativa che, pur avendo successivamente ridimensionato (senza, peraltro, fornirne convincente ragione) il senso delle espressioni precedentemente rese ("non si muove foglia senza il suo consenso" - "padre padrone della banca") ed escludendo quelle interferenze dell'imputato nelle procedure di vendita delle azioni che, pure, in precedenza, aveva linearmente descritto (donde, ad avviso della Corte, l'inattendibilità di tale revirement, peraltro contraddetto dall'esplicito tenore delle mail - trattasi dei significativi documenti nn.ri (...) e (...) della produzione del P.M. - esibite a detto teste nel corso della relativa escussione141) ha nondimeno ribadito che lo ZO. interpretava il proprio ruolo in modo tutt'altro che passivo. In relazione, da ultimo, alle dichiarazioni rese dal teste Br. (e diffusamente richiamate nella memoria conclusiva inerente alla rinnovazione istruttoria), è sufficiente ribadire quanto già detto in ordine alla complessiva inattendibilità di tale fonte, trattandosi di soggetto legato da una stretta collaborazione decennale con l'imputato ed evidentemente influenzato dall'interesse a ridimensionare il proprio ruolo in relazione alla vicenda del "default" di B. per sottrarsi alle responsabilità, non solo di ordine "morale" ma anche amministrativo, sullo stesso gravanti connesse alla posizione di membro del CdA e queste ultime all'origine delle sanzioni irrogategli da Consob; - così per la mancata partecipazione del giudicabile ai comitati esecutivi e di direzione (pan 3.3, lett. d). Ed invero, a parte il fatto che lo ZO. ha sicuramente presenziato (circostanza pacifica e non contestata - cfr. atto di appello, pagg. 96-97) alla riunione 11-11.2014, convocata dopo la pubblicazione del citato articolo di stampa sul quotidiano "(...)" ed anche a voler ammettere che lo ZO. non fosse intervenuto al comitato di direzione 20.4.2015 (con la conseguenza che quello del teste Am. in ordine alla presenza del presidente sarebbe un ricordo errato, come minuziosamente argomentato dalla difesa alle pagg. 97-98 dell'atto impugnazione), deve osservarsi come, per quanto detto in ordine ai rapporti dell'imputato con il vertice del management aziendale (e, segnatamente, con il d.g. So.), non fosse certo in occasione delle riunioni predette che il presidente acquisiva contezza delle problematiche della banca (bensì, come meglio si dirà più oltre, in occasione dei continui contatti riservati che intratteneva con il d.g.). E' agevole osservare, del resto, che la diretta partecipazione del presidente a tali incontri avrebbe pesantemente "oscurato" la posizione del direttore generale, compromettendone l'autorevolezza. Donde il rilievo davvero trascurabile delle deduzioni difensive sul punto; - così, ancora, per l'assenza di interventi diretti nell'erogazione del credito (par. 3.3, lett. e). Trattasi, invero, di circostanza, al contempo, pacifica e irrilevante. Questo, ove si abbia la debita attenzione, per un verso, al ristretto livello nel quale venivano adottate le relative decisioni strategiche; per altro verso, alla riservatezza che contraddistingueva tale operatività illecita; e, per altro verso ancora, con specifico riferimento alla posizione dello ZO., alle considerazioni svolte in ordine alla separata interlocuzione che egli costantemente intratteneva pressoché esclusivamente con il d.g. So. (donde anche l'irrilevanza della intercettazione della comunicazione intercettata n. 259, richiamata alle pagg. 101-105 dell'appello e non considerata dal primo giudice, nel corso della quale il coimputato MA. negava di avere mai personalmente interloquito, sul punto, con il presidente)-Peraltro, va rimarcato, in senso contrario, che l'ascolto dell'audio dell'intervento dell'imputato nel corso del CdA del 5.11.2013 consente univocamente di apprezzare il profilo di un presidente pienamente cosciente anche delle problematiche inerenti alla gestione del credito e delle implicazioni di tale tema con quello del mercato secondario, come si evince agevolmente dal seguente passo della relativa trascrizione: "....quando c'è una pratica che cominciano i milioni di Euro bisogna fermarsi e leggerla bene perché non possiamo e devono essere ancora più severi nella selezione del credito perché le banche che vanno meno peggio sono quelle che sono state più severe nella selezione del credito. Noi abbiamo aiutato ma finché aiuti quello da 20 mila Euro va bene ma quando uno viene coi 20 milioni o i 30 milioni e li perdi dove vai? Ti attacchi a un capannone dopo. Allora se uno ha bisogno di quattrini e vende e non c'è più nessuno che ti compra l'azione perché non aumenta il valore e perché gli dai una redditività molto bassa cosa fai tu? Dimmi cosa fa il Consiglio? Cosa fai?..." (cfr. pag. 5 della trascrizione); - così, inoltre, per il ruolo rivestito dall'imputato al momento della svalutazione del valore del titolo (par. 3.3, lett. f), nell'aprile del 2015 (allorquando il predetto era stato rispettoso delle indicazioni fornite, in particolare, dall'esperto prof. Bi.), essendosi in presenza di una determinazione inevitabile, in quanto adottata in un contesto di crisi oramai conclamata. Aggiungasi che il primo giudice ha dato puntualmente conto, con riferimento alla precedente determinazione del prezzo dell'azione, dell'intervento del giudicabile - cui aveva fatto seguito, al solito, la supina adesione da parte del CdA - teso a privilegiare, tra i criteri per la determinazione di detto prezzo, il criterio reddituale, peraltro in deroga alle stesse regole procedurali nell'occasione adottate dalla banca, regole che sconsigliavano in modo esplicito l'enfatizzazione di un criterio rispetto ad un altro; inoltre, ha opportunamente evidenziato come il comunicato stampa diramato per annunciare tale determinazione non avesse minimamente fatto cenno alla suddetta deroga procedurale, peraltro all'origine dell'attribuzione di un valore del titolo (62,5 euro) nettamente superiore a quello (49,3) cui avrebbe condotto l'adozione di altro criterio (quello del Market Approach); - così, poi, per la mancata diretta partecipazione alla iniziativa di attivazione della "task force" del 2015 (par. 3.3, lett. g), essendosi in presenza di una decisione strettamente operativa (peraltro pressoché immediatamente naufragata). In ogni caso, è decisivo osservare come, in una fase di tanto eclatante criticità, il palese protagonismo del presidente (aduso ad assumere condotte tutt'altro che improvvisate) sarebbe risultato certamente inopportuno, se non anche pericolosamente controproducente per la posizione di quest'ultimo. Del resto, il varo della "task force" si colloca nel medesimo contesto temporale di ulteriori iniziative alle quali prese parte anche l'imputato (intende farsi riferimento alle interlocuzioni con l'avv. Ge., incontrato dallo ZO. il 6.5.2015 presso la sede B. di Roma) e che portarono alla decisione di adottare un segnale di forte discontinuità nel management; - così per il contegno tenuto dall'imputato in relazione alla scoperta delle lettere di garanzia ed alla criticità dei fondi lussemburghesi (par.3.3 lett. h), trattandosi, anche in tal caso, di condotte assunte, nel pieno dell'ispezione Bc., in una situazione di crisi oramai conclamata, sicché qualsivoglia comportamento finalizzato ad ostacolare l'emersione di tali questioni sarebbe stato davvero "suicida". Ed è proprio in questi termini che può leggersi anche la decisione di denunziare i fatti all'a.g. (peraltro solo nel mese di agosto del 2015), donde l'irrilevanza, sul punto, anche di tale elemento; - così, ancora, per le "dimissioni" del d.g. So. e degli imputati GI. e PI. (par. 3.3, lett. i), posto chetali iniziative, al contrario, depongono nel senso di una decisa iniziativa del presidente il quale, con specifico riferimento all'allontanamento del direttore generale, agì con assoluta determinazione, addirittura sostanzialmente ponendo il CdA, come s'è detto, dì fronte al fatto compiuto; - così, infine, per il comportamento tenuto dall'imputato, negli ultimi mesi, durante la "gestione Io." (par. 3.3, lett. j). Se è vero, infatti, che il giudicabile, in questo periodo, non risulta avere frapposto ostacoli agli accertamenti in corso, è del tutto evidente che, in quel contesto, nessuna differente condotta avrebbe avuto alcun senso, sicché del tutto ragionevolmente il tribunale, ad onta di quanto censurato, sul punto, dalla difesa, ha omesso di considerare specificamente tale circostanza. In altri e decisivi termini, sostenere, come vorrebbe l'appellante, che l'imputato svolgesse, nella presidenza di (...), se non un ruolo di mera rappresentanza, una funzione strettamente "istituzionale" e che, conseguentemente, non fosse coinvolto nella concreta operatività dell'istituto, è conclusione radicalmente contraddetta da una ragionata analisi del panorama probatorio disponibile che, come s'è visto, predica di una costante e "debordante" presenza dell'imputato nella vita della banca. D'altronde, l'intervento effettuato dallo ZO. in occasione della citata seduta del CdA del 5.11.2013 - trattasi sostanzialmente di un lungo monologo, la cui registrazione audio è stata anche ascoltata in udienza nel corso dell'esame del coimputato GI. - restituisce la più vivida immagine di un presidente assolutamente consapevole tanto della generale situazione di difficoltà in cui versava l'intero settore delle banche popolari (settore rispetto al quale l'imputato, nell'occasione citata, si poneva come un vero e proprio punto di riferimento, nel riportare ai consiglieri le interlocuzioni occorse con i vertici di altre banche popolari e con lo stesso presidente delle Associazioni delle Ba.Po.), quanto, più specificamente - ed è ciò che maggiormente rileva in questa sede - dello stato di profonda sofferenza nel quale si dibatteva B. a causa della crisi del mercato secondario, tanto da spingersi a sostenere l'ineluttabilità di una radicale riforma del settore, nella evidente speranza che ciò potesse assicurare a B. una via d'uscita dalla oramai cronica situazione di illiquidità del titolo e da impegnarsi personalmente in tal senso. Certamente, si trattava di temi "strategici" e non immediatamente gestionali; tuttavia, le ricadute operative erano immediate e di assoluto rilievo. Peraltro, nel corso di tale intervento, è dato cogliere la piena contezza, in capo al giudicabile: - non solo della gravità della situazione del mercato del titolo B. e della conseguente sopravvalutazione del valore dell'azione, dato che una delle (rare) interruzioni del discorso dell'imputato (interruzione posta in essere, come precisato all'udienza del 17.6.2022 dalla difesa ZO. nel produrne la trascrizione effettuata a sua cura e come confermato dall'imputato GI. durante l'ascolto in aula del relativo file audio, da Gi.Fa., già per anni al vertice della segreteria particolare del Direttorio della Banca d'Italia, indi andato in pensione e divenuto, nel corso di quello stesso anno 2013, consulente di B., nonché presente con regolarità, secondo quanto affermato da GI., ai consigli di amministrazione della Banca, anche se, a suo dire, egli si limitava a stare "a disposizione nella stanza antistante il Consiglio"; il Fa. è stato infatti escusso come teste in primo grado all'udienza del 14.7.2020) consiste proprio in un puntuale intervento dell'interlocutore Fa. in tal senso: "...le popolari italiane ancora non sono interessanti oggi probabilmente (e non "forse'", come erroneamente riportato nella citata trascrizione) il valore detrazione è sopravvalutato..." (cfr. trascrizione citata, pag. 7). Ed invero il predetto Fa., al di là del già chiaro tenore del suo intervento di fronte a ZO. nel CdA del 5.11,2013 (intervento che, peraltro, egli, in sede di deposizione testimoniale, resa il 14.7.2020, ha sostenuto, in contrasto con la documentazione audio in atti, citatagli in aula, di non ricordare affatto: cfr. pagg. 44-45 verbale stenotipico cit.), è stato - sul punto - finanche più esplicito nel corso della deposizione testimoniale suddetta, allorquando ha dichiarato quanto segue, pur cercando a un certo punto di attenuare in parte l'iniziale peso della sua affermazione (cfr. pag. 21 del relativo verbale stenotipico): "TESTIMONE Fa. - Guardi, parlando con I miei col leghi (della Banca d'Italia) mi è stato segnalato, mi dissero: guarda, lì il problema vero è l'azione che è sopravvalutata, il valore dell'azione che era sopravvalutata. - PRESIDENTE - Con quali colleghi ha parlato, mi scusi? - TESTIMONE Fa. - Ho parlato con colleghi della vigilanza. - PRESIDENTE - Sì. Qualcuno, qualche nome? - TESTIMONE Fa. - No. - PRESIDENTE - Non ricorda nessun nome? - TESTIMONE Fa. - No. Insomma, erano colleghi con i quali si aveva consuetudine di scambiare... - PRESIDENTE - Sì, giusto per identificarli. - TESTIMONE Fa. - No, no. L'azione era sopravvalutata, come però lo era per tutte le banche popolari, era un problema diciamo comune a tutta la categoria delle banche popolari, ma la sopravvalutazione allora non era completamente fuori linea, c'era una j sopravvalutazione ma... così"; - ma anche delle implicazioni patrimoniali di tale crisi con riferimento al fondo acquisto azioni proprie ("....il problema delle popolari così come sono concepite è che quando cominciano a venderti le azioni e tu non le compri perché non hai più il fondo di acquisto azioni proprie che va a deprimere il patrimonio, ehhh tu sei finito, sei finito..." - cfr. trascrizione prodotta dalla difesa ZO.; foglio 6). Come si è visto, infatti, la strategia del ricorso al "capitale finanziato" ha rappresentato, nelle intenzioni dei vertici aziendali, la risposta alle difficoltà del mercato secondario del titolo e, quindi, lo strumento per assicurare la "sopravvivenza" dell'istituto di credito. Ed i piani aziendali, pacificamente irrealizzabili (e non certo solo "sfidanti", secondo l'eufemistica espressione adottata da taluni testimoni - cfr. dep. Fa., udienza 15.6.2022, pag. 12; cfr. dep. Ca., udienza 6.2.2020, pag. 68, cfr. inoltre, infra), erano predisposti in tal modo - esattamente come esplicitato dal chiamante in correità GI. - proprio in quanto funzionali a sostenere il valore dell'azione, palesemente sopravvalutata, in una sorta di dissennata rincorsa verso il baratro. Né, del resto, quella del 5.11.2013 è stata fa sola seduta del CdA durante la quale gli interventi del presidente ZO. hanno palesato la piena e consapevole partecipazione dello stesso alla gestione della banca, ben al di là, quindi, dì quel ruolo formale che, nell'appello, vorrebbero ritagliargli i difensori. In particolare, in occasione della seduta del 28.10.2014, ZO. e So. risultano essere intervenuti proprio sul tema della difficoltà di collocare le azioni e, in quel contesto, il d.g. ha effettuato un palese - ancorché non esplicito - riferimento a mutui al quale erano "appiccicate" le azioni, ovverosia a finanziamenti correlati da effettuare in sede di aumento di capitale; "... (Zo.): davamo una certa velocità, adesso questo è come dover passare per un buco stretto, è dura. (So.) Ecco un'altra considerazione, Purtroppo è che la crisi continua, la crisi c'è. E quindi se prima, fino a due anni fa, i 6250 Euro, pari a 100 azioni, era abbastanza normale e facile che uno li appiccicava al mutuo, al mutuo di 100.000, 110.000, 80.000, oggi per un reddito di 1500; 2000 Euro al mese, che già il rapporto rata reddito fa fatica a pagare la rata, aggiungere 6250, vi assicuro che è complicato, no? Dicono; ma non possiamo comprarne meno? Noi non ci interessa diventare soci basta essere, avere un po' di azioni. Quindi....(Zo.) se hanno azioni e non sono soci non possono avere (So.) le agevolazioni....piuttosto se necessario andiamo in assemblea e portiamo la proprietà minima a 50 azioni...). Ma significative della consapevolezza delle dinamiche operative della società sono anche le registrazioni sia della seduta del CdA 19.3.2013, in occasione della quale l'imputato aveva spiegato agli interlocutori come la decisione di pagare il dividendo in azioni fosse stata adottata per svuotare il fondo acquisto azioni proprie: "(Zo.)....solo che gli ultimi due anni li abbiamo dati in azioni, in azioni che avevamo in portafoglio, nel fondo acquisti azioni proprie per svuotare più o meno questo fondo, in modo da ricominciare dal 1 gennaio o subito dopo le...subito dopo l'assemblea, per essere più corretti, perché c'è il periodo dove non commercializziamo, non vendiamo e non acquistiamo le azioni..."); sia della seduta del CdA 4.3.2014, nel corso della quale il presidente, con riferimento all'aumento di capitale che era in procinto di essere lanciato, si era esposto al punto da precisare che, in attesa dell'approvazione da parte delle autorità dì vigilanza, sarebbe stato necessario spingere sulla rete commerciale al contempo assicurandosi che venisse mantenuta la segretezza di tale operatività: "... (Zo.) noi chiederemo alla Consob Banca d'Italia di approvare la....quando ....un po' prima....intanto si fa formazione sulla rete, che non devono parlare, devono spiegare bene come dicevano....perché bisogna fargli capire....che è un po' complessa, ma insomma, quando poi... quando è entrata nella testa poi non è così complicato, non è così difficile dai..."): sia, infine, della seduta del CdA 11.6.2013. posto che il giudicabile, con riferimento ancora una volta alle operazioni di aumento di capitale, si era dimostrato pienamente consapevole e partecipe finanche dei passaggi più strettamente operativi dell'operazione, peraltro gestiti, ancora una volta, nel segno dell'illegalità, in quanto in contrasto con le prescrizioni ricevute all'atto della relativa autorizzazione: (Za.) ....scusa presidente....ma viene mandata una lettera ai soci? (So.) sì (Za.)...ecco perché non tutti leggono i giornali (Zo.)...prima di mandare la lettera dovevamo avere un'autorizzazione., la lettera è pronta? (So.) è tutto già predisposto...adesso la vediamo.... sì sì questa è l'ultima autorizzazione sì... (Zo.) bisogna partire veloci con le lettere, perché sennò i soci si lamentano se vogliamo prorogare di un mese è possibile? No non non, ma riteniamo di non aver problemi (Zo.) Adesso i soci vengono tutti contattati dai nostri dipendenti, oltre che con la lettera. (So.) oltre che la lettera, c'è un'azione, una campagna molto dettagliata...)". Infine, l'audio della seduta del 18.6.2013 costituisce chiara conferma non solo della ingerenza dell'imputato nelle concrete dinamiche operative dell'istituto ma - come si avrà modo di ribadire più oltre - della stessa conoscenza del capitale finanziato, là dove riscontra le dichiarazioni del GI. in ordine alla richiesta di sottoscrizione di operazioni finanziate avanzata dall'imprenditore siciliano Co., Solo in tale prospettiva, infatti, è possibile attribuire un senso all'invito alla cautela ed alla riservatezza formulato dall'imputato al GI. in vista della interlocuzione con tale potenziale investitore: "... (Zo.) ... le prime sensazioni e ... mi raccomando attenzione per quel signore e noi non facciamo mai doppio conto. O è un correntista di Vicenza o è un correntista di banca nuova. I doppi conti non vanno bene. (Gi.) Già gli ho anticipato di aver parlato con i colleghi di banca nuova...(ZO.) meglio esser prudenti perché chiacchiera chiacchiera. (GI.) gli darò tutte le informazioni che ho recuperato oggi e poi... (ZO.)...però non si sa mai insomma... .mi ha fatto un discorso, mi ha detto: casomai possiamo fare 5 milioni, poi 2/3 milioni li mettiamo noi in azioni...(GI.) ma l'ha fatto (ZO.) anche a lei? Attenzione ... (GI.) io gli ho detto che se si tratta di fare un finanziamento per quei 3 milioni va bene, ma poi per il resto non ci interessa perché non abbiamo azioni da dargli. (ZO.) e cosa ha detto? Non ha più parlato....)". Quindi, riassumendo: Zo.Gi., è stato tutt'altro che un presidente "istituzionale" e men che meno un presidente "di facciata" o "decorativo", occupato solamente, come assai riduttiva mente vorrebbe la difesa (sulla base di un lettura parziale e - soprattutto - oltremodo parcellizzata del materiale probatorio complessivamente disponibile), da un lato, a curare l'immagine dell'istituto di credito, attraverso una maniacale attenzione prestata a questioni di dettaglio (gli arredi degli immobili dell'istituto; i menù delle "cene sociali" ecc.) e, dall'altro, a delineare "strategie operative", senza poi curarsi degli snodi essenziali della gestione della banca. Piuttosto, durante il lungo periodo nel quale ha ricoperto la presidenza dell'istituto di credito vicentino, è stato l'anima della banca, anzi, "è stato la banca" (realmente efficace, invero, è la descrizione dell'imputato offerta dall'imprenditore RO., riportata a pag. 623-624 della sentenza impugnata: Mera il capo, il padrone il padrone della banca, era il presidente della banca, il riferimento di tutti..."): l'ha rappresentata nelle interlocuzioni con gli ambienti politici ed istituzionali; ne ha assicurato lo stretto legame con il tessuto imprenditoriale, non solo locale; ma, soprattutto, per quel che specificamente rileva in questa sede, ne ha ispirato la politica aziendale - per scelta diretta dell'imputato orientata ad una insostenibile espansione territoriale, implicante una moltiplicazione delle strutture e degli sportelli sul territorio e tale da assorbire consistenti quote di capitale ("la banca sono le sue strutture", infatti, era il principio ispiratore del presidente, tanto da averlo indotto a cassare ogni proposta di recuperare liquidità dalla vendita di asset immobiliari, come ricordato dal GI.144; si ricordi, ancora, l'operazione relativa alla sede di Cortina d'Ampezzo) - seguendone anche direttamente l'attuazione, nonostante la consapevolezza della situazione di crisi in cui versava l'istituto, non solo con specifico riferimento al mercato secondario del titolo. Tali conclusioni, come s'è visto, si impongono alla stregua di solide evidenze fattuali, corroborate da coerenti valutazioni provenienti da soggetti assai ben informati del tema in esame (Valutazioni, quindi, non certo derubricabili a meri, opinabili apprezzamenti). Chiaramente sintomatico di un siffatto approccio alla presidenza da parte del giudicabile è anche un passaggio dell'intervento effettuato dall'imputato nel CdA del 5.11,2013, nel quale emerge addirittura la diretta partecipazione ad un incontro con i capi area: "Io personalmente sono convinto che se vogliamo che il mondo cooperativo vada avanti a livello di banche popolari dobbiamo dare, perché quando abbiamo fatto la riunione dei capi area ho fatto una domanda ho detto "voi dovete rispondermi perché le persone devono investire sulle banche popolari?.....Perché vanno su il valore delle azioni.. Fino a 4/5 anni fa è andata bene, adesso francamente non è più così..."(cfr. trascrizione citata, pag. 1). Tutto ciò il giudicabile ha fatto assicurandosi il più saldo controllo dell'istituto, mediante la scelta di manager di fiducia (la sorte dei quali ha autonomamente decretato, anche al di fuori del ristretto ambito delle sue competenze) ed attraverso il netto rifiuto opposto alla proposta di quotazione in borsa avanzata ripetutamente dal d.g. Gr. (soluzione che - va detto per inciso - avrebbe scongiurato l'esito fallimentare poi verificatosi) e menando vanto, nella interlocuzione con i soci, di tale scelta. Quando, poi, la situazione era oramai divenuta insostenibile e solo una radicale riforma del settore avrebbe potuto salvare B., lo ZO. si è bensì impegnato attivamente in tal senso (circostanza che costituisce l'ennesima conferma della centralità del ruolo ricoperto dal giudicabile, non solo nell'ambito delle dinamiche interne alla banca vicentina, ma nell'intero "circuito" delle banche popolari); ciò ha fatto, tuttavia, animato dall'intenzione di assicurarsi che tale riforma venisse pilotata - secondo gli auspici dell'imputato anche attraverso l'inserimento, nella commissione che se ne sarebbe dovuta occupare, di nomi a lui graditi (nomi, peraltro, che lo stesso ZO. aveva già autonomamente individuato) - verso un esito nel quale l'ingresso di nuovi soci avrebbe dovuto convivere con il vecchio sistema di governance, in modo che fosse comunque assicurato il perpetuarsi del controllo della banca (sul punto, è d'uopo il richiamo a quanto prospettato dall'imputato ai consiglieri nel corso della seduta del CdA poco sopra evocata, alla trascrizione della quale, in questa sede, s'impone un formale rinvio). In conclusione, la ricostruzione delle modalità dì esercizio della presidenza da parte dell'imputato quali espressione di una costante ingerenza nell'operatività dell'istituto è stata dal primo giudice ancorata a solide evidenze probatorie, peraltro successivamente implementate, nel dibattimento d'appello, dalle dichiarazioni dei propalante GI., sicché, su) punto, non pare davvero possibile nutrire perplessità di sorta. Se così è - e, per quanto sin qui detto, non pare davvero possibile opinare diversamente - possono apprezzarsi in termini di evidenza tanto l'inconsistenza fattuale quanto l'insostenibilità logica della tesi difensiva secondo la quale l'imputato, confinato in un ruolo meramente decorativo e dì mera rappresentanza - o, al più, impegnato a vagheggiare strategie aziendali (sul punto, l'appello richiama, in particolare, la deposizione del teste Do. in ordine agli interessi meramente "strategici" dell'imputato146), ma senza avere alcuna concreta possibilità di incidere sulla realizzazione di tali progetti - non avrebbe avuto alcun sentore del fenomeno del capitale finanziato, fenomeno la responsabilità del quale sarebbe tutta esclusivamente addebitabile al vertice immediatamente esecutivo di B., ovverosia al d.g. So. oltre che, com'è ovvio, ai suoi più stretti collaboratori (stante l'evidente impossibilità, per costui, di attuare "in solitudine" scelte dalle ricadute operative e gestionali tanto complesse). In effetti, nella prospettiva sostanzialmente sottesa all'atto d'appello (ed esplicitamente rappresentata in questi termini in sede di conclusioni), il presidente, dedicandosi a seguire iniziative culturali e benefiche o, comunque, ad un ruolo dì generica rappresentanza e di mero indirizzo, sarebbe rimasto vittima inconsapevole di una sorta di "congiura del silenzio" per effetto della coordinata azione di dirigenti infedeli i quali, peraltro - non può non rilevarsi - non avrebbero agito per trarne un immediato vantaggio, se non quello di assicurarsi il mantenimento delle rispettive posizioni - tutt'altro che precarie, in verità - nel board ristretto della banca, bensì per scongiurare la crisi dell'istituto di credito o, quantomeno, per differirne gli effetti. Questo, con l'inevitabile corollario (non esplicitato dall'appellante ma imposto dalle evidenze processuali) che tale "congiura" ai danni del presidente sarebbe stata posta in essere pressoché dall'intera dirigenza operativa della banca. Ora, non v'è chi non veda che si tratta di una ipotesi intrinsecamente irragionevole e davvero inconciliabile con la vastità, la risalenza e le complesse implicazioni del fenomeno in esame, necessariamente tali da coinvolgere l'operatività (come s'è già visto analizzando le posizioni dei coimputati MA., GI. e PI.) pressoché dì tutte le articolazioni operative dell'istituto (ovverosia "il mercato", "la finanza", il "credito" e, come si dirà più oltre, anche "il bilancio"). Al riguardo, infatti, sono davvero illuminanti le puntuali considerazioni dell'ispettore Ga.: "....Sì, So. sostanzialmente riferisce, come dire, di una piena consapevolezza da parte della struttura direttiva di Po.Vi. del fenomeno Ma del resto, insomma, come dire, io non faccio fatica a credergli perché, ripeto ancora, le dimensioni del fenomeno, la persistenza nel tempo, la persistenza nel tempo soprattutto, il fenomeno è durato anni, l'estensione del fenomeno, sono cose che è obiettivamente impossibile, impossibile che siano gestite all'insaputa di un coordinamento da parte dell'alta direzione, e non solo di un solo soggetto ma, insomma, di una serie di soggetti: devono coordinare una struttura, una rete commerciale che deve fare queste operazioni, è necessario, come dire, una piena comunione di intenti da parte del vertice aziendale ...". Peraltro - va precisato - la situazione di estrema difficoltà nella quale versava l'istituto non era nota solo ai vertici operativi della banca, ma anche ai funzionari che occupavano ruoli che li ponevano quotidianamente a contatti con le "conseguenze pratiche" della crescente, inarrestabile inappetibilità del titolo: davvero significative, sul punto, sono le dichiarazioni rese dal teste Ro., addetto all'ufficio soci, il quale ha efficacemente descritto il contesto di sostanziale paralisi nell'ordinario avvicendamento dei soci, riferendo di "valanghe" di richiesta di vendita segnalate come urgenti a partire dagli anni 2011-2012 e precisando che ciò aveva anche fatto "saltare" il criterio cronologico in precedenza seguito per l'evasione delle relative pratiche. Evidentemente consapevole della debolezza logica di siffatta prospettazione alternativa, la difesa ha puntellato tale ricostruzione della vicenda sostenendo che il presidente sarebbe stato tenuto all'oscuro della prassi delle operazioni correlate per effetto di quella sorta dì "muro invalicabile" che il d.g. So. avrebbe appositamente eretto per "confinare" il presidente, impedendogli di interloquire con i restanti membri del management e, in tal guisa, scongiurando il rischio che lo stesso ZO. potesse acquisire contezza di tale prassi dagli altri top manager di B. (ai quali il So. riferiva, per rassicurarli, che il presidente, contrariamente al vero, condivideva la prassi delle "baciate"). In buona sostanza, il So. avrebbe ingannato, al contempo, "a monte", il presidente, nascondendogli il sistematico ricorso alla concessione di finanziamenti per l'acquisto dei titoli B.; e, "a valle" i suoi più stretti collaboratori, millantando con costoro di fruire, al riguardo, del pieno appoggio di ZO.. Di talché il presidente sarebbe rimasto estraneo rispetto a quel "comitato ristretto" responsabile, secondo la stessa difesa dell'imputato, "dell'operatività occulta all'interno di B.". E, a corroborare tale impostazione, concorrerebbero, secondo la difesa, le deposizioni dei testimoni Ca., To. e Tu., là dove costoro hanno riferito che il So. era assai accorto nel riservare a sé stesso le interlocuzioni col Presidente (il teste Ca. avendo precisato, peraltro, che il d.g. veniva immediatamente informato di eventuali contatti tra i dirigenti e lo ZO. ed era solito chiedere immediate spiegazioni al riguardo). Inoltre, la medesima difesa, anche da ultimo151, ha richiamato la deposizione resa dalla teste Pi. innanzi a questa Corte là dove costei ha avuto modo di rievocare una conversazione intrattenuta col GI. nel corso della quale questi le aveva riferito che il So., richiesto di precisare se effettivamente il presidente fosse a conoscenza delle "baciate", aveva bensì rassicurato l'interlocutore sostenendo che, seduta stante, avrebbe telefonato allo ZO. per acquisirne il rinnovato consenso, ma aveva poi effettuato la chiamata al presidente ponendosi al riparo dall'ascolto del vicedirettore, così ponendo io/ essere una condotta dalla quale, ad avviso della teste, non poteva certo trarsi la conferma dell'effettivo coinvolgimento dello stesso ZO. nella prassi in esame. Ed un analogo episodio, parimenti richiamato dal difensore, è stato quello descritto nel corso di una conversazione telefonica intercorsa tra Bo. e Fe., in occasione della quale si era fatto esplicito riferimento ad una telefonata che il So. aveva intrattenuto con lo ZO. senza che i presenti potessero ascoltarlo (nell'occasione il d.g. si sarebbe recato in bagno). Ancora, lo stesso Gi. - ha soggiunto la difesa - nel corso dell'esame reso il 17.6.2022, nel sostenere che se avesse riferito qualcosa al Presidente ovvero al CdA avrebbe messo a serio repentaglio il proprio posto di lavoro, avrebbe corroborato tale impostazione. Infine, la medesima difesa, richiamando le deposizioni rese dai testimoni An. e Tu. ed il resoconto del coimputato ZI., ha evidenziato, a riprova dell'estraneità dell'imputato al "comitato ristretto" responsabile delle operazioni "baciate", la scansione degli eventi verificatisi tra la fine di aprile e l'inizio di maggio del 2015: quando l'imputato, informato da Ca. e An. di quanto andava emergendo, ne aveva chiesto conto al So. ed al GI., costoro, invece di richiamare il presidente ad una comune assunzione di responsabilità, come sarebbe stato lecito attendersi se fossero stati tutti d'accordo, si erano accusati reciprocamente dell'ideazione delle operazioni. Ebbene, nonostante tali osservazioni (come si vedrà, tutt'altro che decisive), l'insostenibilità dell'impostazione difensiva permane invariata. Non solo, infatti, il protagonismo del giudicabile nella operatività aziendale, siccome in precedenza delineato, fa giustizia, in punto di fatto, di tale ipotesi, ma trattasi di ricostruzione che, non appena sottoposta a quel più approfondito vaglio sollecitato dagli argomenti valorizzati dalla difesa, manifesta tutta la sua inconsistenza sul piano della logica più elementare. Come s'è detto, la tesi della conventio ad excludendum del presidente ZO. ordita dal d.g. So. confligge, anzitutto, con la semplice osservazione che il fenomeno del capitale finanziato era ben noto all'interno delle strutture operative della banca e, in particolare, era di pubblico dominio nell'ambito della rete commerciale dell'istituto (costituita - sarà bene ribadirlo - non già da pochi impiegati confinati in un ufficio isolato, ma da alti dirigenti, numerosi funzionari e migliaia di addetti sparsi sul territorio) chiamata ad attuare con prontezza le direttive di collocamento delle azioni, anche attraverso appositi - finanziamenti, impartite alla catena commerciale del d.g. So. per il tramite del vicedirettore GI. (come da questi convincentemente illustrato. Assolutamente significative, sul punto, sono le dichiarazioni rese dai testi Pi., Ba., Ni. e Ba.. S'è visto, del resto, che le disposizioni in ordine al mantenimento del segreto di tale prassi erano destinate ad operare all'esterno - e, segnatamente, nei confronti della vigilanza - attraverso il divieto di lasciarne traccia scritta, non certo nei confronti di una rete commerciale tanto ramificata. Lo stesso teste Mo., del resto, nel corso della sua rinnovata escussione dibattimentale - pure connotata, come si dirà più oltre, da un marcato ed interessato approccio "riduzionistico" nella descrizione della conoscenza del fenomeno (là dove ha riferito come delle "baciate" non si parlasse apertamente) - non ha potuto negare come non fossero mancati i riferimenti, ancorché allusivi, a tale fenomeno (ad esempio nel corso dei contatti informali tra i capi area, ecc.). Analogamente, il teste Fa., anch'egli in sede di rinnovata escussione e parimenti nell'ambito di una deposizione orientata al sistematico ridimensionamento della diffusa conoscenza dei fatti e delle singole responsabilità, ha riferito come, prima del periodo di forte tensione in cui va collocata la seduta del comitato del 14,4,2014, il fenomeno delle "baciate" fosse noto e tollerato, in quanto "prassi comune alle banche popolari". Aggiungasi che, come evidenziato dal tribunale, il fenomeno in esame, nelle sue linee generali, era comunque noto: - sia all'interno del CdA (diversamente da quanto sostenuto dai plurimi consiglieri escussi) - come, peraltro, significativamente affermato dallo stesso So. nel corso di una rilevante conversazione intercettata - se non altro a quei componenti dell'organo collegiale che ne avevano consapevolmente fruito e, ragionevolmente, anche a coloro che avevano più stretti rapporti con il contesto di imprenditori locali che avevano acquisito, nel tempo, "pacchetti" di azioni di valore rilevantissimo; - sia all'interno del Collegio Sindacale, almeno nella persona del suo presidente e nelle sue linee generali (significativo, al riguardo, nonostante la percepibile cautela lessicale ragionevolmente dettata dalla consapevolezza della registrazione, è il seguente passaggio della seduta del comitato per il controllo 22.11.2013: "... (Es.) No...caro presidente del collegio sindacale, lei sa molto bene che il fondo a fine anno ...Cosa succede? Non mi fate parlare ... (Za.) ... diventa a zero ... (Es.) ... bravo (Za.) ... zero ... Allora li (inc.) ... (Es.) ecco, bravo ...grazie ho finito ...)". Peraltro, le sentenze della Cassazione civile che hanno confermato le sanzioni irrogate da CONSOB nei confronti di numerosi membri del CdA (oltre che dei sindaci), per un verso, hanno evidenziato la sussistenza di una sequela di indici di allarme che ben avrebbero dovuto rendere percepibile la connessione tra le richieste di finanziamento e gli acquisti di azioni; e, per altro verso, hanno messo in evidenza come la CONSOB, già nel 2014, avesse sollecitato un adeguato controllo sui legami intercorrenti tra i componenti del CdA ed i sindaci, da un lato, ed i soggetti beneficiari dei finanziamenti, dall'altro, richiesta, questa, che non poteva non costituire un palese segnale di allarme di possibili anomalie (cfr. Cass. civile 4519/22 su ricorso Br.). Né, d'altro canto, è minimamente emerso che il d.g. avesse diffidato alcuno, tra i dirigenti/funzionari di B., dal riferire alcunché al presidente ZO.. Anzi, vi sono elementi di segno nettamente contrario, ove si consideri che il teste Ba. ha riferito come, interpellato dallo ZO. prima che quest'ultimo si incontrasse con Be., non avesse esitato a riferire al presidente delle operazioni correlate effettuate da tale investitore. Pertanto, confidare che il presidente potesse restare all'oscuro di una prassi la cui conoscenza era tanto diffusa pare, a dir poco, inverosimile. Se, poi, sì tiene debitamente conto del coinvolgimento nella sottoscrizione di operazioni di capitale finanziato di larga parte dell'imprenditoria vicentina, ovvero di quel contesto produttivo del quale l'imputato era campione, e si consideri, inoltre, che fra i sottoscrittori v'erano amici di vecchia data del giudicabile (e finanche il di lui cognato), non v'è chi non veda come l'ipotesi difensiva di uno ZO. pressoché unico soggetto ignaro di un fenomeno, per il resto, pressoché notorio, finisca davvero per dissolversi nell'assoluta irrealtà. In questa prospettiva, quindi, le osservazioni dell'appellante basate sulle dichiarazioni valorizzate dalla difesa ed in precedenza evocate (trattasi, segnatamente, delle deposizioni Ca., To., Tu., Pi.), pure convergenti nel delineare l'estrema attenzione con la quale il So. aveva riservato alla propria persona le interlocuzioni con il presidente, lungi dal dimostrare l'esistenza di un piano orchestrato dal d.g. per "isolare" il presidente stesso, onde poterlo più agevolmente ingannare con riferimento alla questione di vitale importanza del capitale finanziato, trovano ben più agevole spiegazione in una condotta conseguente ad una impostazione degli assetti dirigenziali fortemente gerarchizzata, condotta, peraltro, con ogni probabilità, esasperata dal timore del d.g., di essere "scavalcato" dai vicedirettori. Ed è proprio in quest'ottica che può trovare agevole spiegazione anche la vicenda delle telefonate (probabilmente, peraltro, trattasi dello stesso episodio) alla quale hanno fatto riferimento la teste Pi. in sede di deposizione e gli interlocutori della citata conversazione intercettata n. 114, nel senso che una interlocuzione effettuata, con il presidente, alla presenza di terzi e ponendo lo ZO. a conoscenza del fatto che i più stretti collaboratori del d.g. non avevano fiducia nel loro "capo", avrebbe finito irrimediabilmente per compromettere l'autorevolezza dello stesso d.g. agli occhi del medesimo presidente. Quanto, poi, alle dichiarazioni rese dal GI., sì è in presenza di un contributo narrativo impropriamente evocato, posto che, a rileggere il relativo passaggio dell'esame, si coglie chiaramente che il propalante intendeva riferirsi alla impossibilità, pena l'immediato allontanamento dalla banca, di investire il CdA della questione del capitale finanziato, in quanto si sarebbe trattato di una iniziativa, peraltro del tutto irrituale, assunta in plateale violazione della "direttiva" secondo la quale il tema in esame non sarebbe dovuto mai emergere formalmente (cfr. verbale udienza 17.6.20220, pag. 32: IMPUTATO GI. - Eravamo molto preoccupati della regolarità di questo tipo di operazione, e quindi volevamo essere sicuri che fossimo coperti da Zo., dal Consiglio di Amministrazione e dal Collegio Sindacale. DIFESA, AVV. Ma.Gi. - E non ha mai sentito l'esigenza lei, o qualcun altro che aveva queste preoccupazioni, di parlarne apertamente in CdA? Dato che lei continua a dire che il CdA era a conoscenza. IMPUTATO GI. - No, ma ero fuori dalla Banca il giorno dopo. DIFESA, AVV. Ma.Gi. - Come? IMPUTATO GI. - Ero fuori dalla Banca il giorno dopo. Questa è un'operatività che doveva rimanere occulta non dichiarata, non scritta, di cui non si doveva parlare, per cui tutti si nascondevano dietro a formalismo di una comunicazione ufficiale. Per cui, nella sostanza: tutti sapevano, ma formalmente non dovevano esserci comunicazioni ufficiali. Se io ne avessi parlato col Presidente, coi Consiglieri in Consiglio di Amministrazione, il giorno dopo sarei stato messo fuori dalla Banca ..."). Non è certo in questo passaggio delle parole del chiamante in correità, quindi, che può trovare sostegno la tesi di un presidente confinato in un ruolo puramente formale ed all'oscuro dell'andamento della gestione dell'istituto di credito vicentino. Infine, con riferimento alle osservazioni critiche fondate sull'asserita incoerenza della condotta del So. e del GI. (là dove costoro non avrebbero invitato il presidente ad una assunzione di responsabilità) è sufficiente evidenziare, per un verso, che non è certo dalla voce dì testimoni (è il caso del teste An.) che non conoscevano le reali dinamiche della gestione del capitale finanziato in atto, a vari livelli, presso l'istituto, che possono ricavarsi elementi decisivi per comprendere la natura dei rapporti, sul punto, tra il presidente, il d.g. So. ed il vicedirettore GI. (essendosi già detto, peraltro, che i primi due erano soliti incontrarsi riservatamente per discutere delle questioni inerenti all'istituto di credito), mentre assai più convincenti, in proposito, sono le informazioni che si ricavano dalle già evocate intercettazioni delle conversazioni intrattenute dal medesimo d.g.; e, per altro verso, che è dalla puntuale descrizione degli accadimenti restituita dall'esame del GI. - il quale ha efficacemente rievocato la surreale situazione creatasi allorquando, il 4.5.2015, si era incontrato con lo ZO., in termini che è opportuno, di seguito, riportare integralmente - che si trae la prova dell'effettivo assetto dei rapporti, al vertice dell'istituto, in relazione al delicato tema della gestione dell'operatività illecita: Omissis In un contesto basato sulla continua dissimulazione, sull'occultamento dell'operatività illecita, su interlocuzioni, al vertice, "separate" (si è già detto - peraltro anche sulla base delle dichiarazioni del teste An. - che il d.g. So. faceva da "cerniera" tra il presidente ed il resto del management) e, finanche, sulla plateale menzogna, voler arguire l'estraneità dello ZO. rispetto al fenomeno in esame dalla apparente incoerenza della condotta di protagonisti che tentavano, disperatamente, di ridimensionare le proprie responsabilità, anche a scapito dei colleghi; pretendere che il GI. - il quale, messo alle strette, si era visto obbligato a richiedere un colloquio con lo ZO. nella speranza di salvare il proprio posto in B. - aggredisse frontalmente il presidente dell'istituto inchiodandolo alle sue responsabilità (e decretando, in tal guisa, il proprio definitivo allontanamento dalla banca), pena l'incoerenza di quanto dal medesimo GI. poi dichiarato in sede processuale, pare, a questa Corte, davvero insostenibile. A fortiori, tali considerazioni si impongono con riferimento all'incontro del quale ha riferito il teste An. nel passaggio della sua deposizione evocato dalla difesa (cfr. pagg. 54-55 delle "note scritte di discussione"), incontro nel corso del quale, peraltro, secondo detto teste, il chiamante in correità aveva sostenuto, alla presenza anche dello stesso ZO., come il So., nel tempo, avesse ripetutamente affermato che il presidente era a conoscenza del fenomeno in esame (e tutto ciò, stando al racconto dello stesso An. - il quale, in effetti nulla ha riferito sul punto - senza che il predetto ZO. obiettasse alcunché, circostanza, questa, che pare anch'essa tutt'altro che irrilevante). In definitiva, ipotizzare, come vorrebbe l'appellante, che l'imputato sia rimasto vittima di una sorta di tradimento da parte del So. e dei più stretti collaboratori di quest'ultimo (tradimento, peraltro, pressoché con certezza destinato a venire alla luce, stante la inevitabile, diffusa conoscenza del capitale finanziato all'interno della rete dell'istituto e considerata la protrazione nel tempo, per anni, di tale illecita operatività) costituisce una interpretazione della vicenda radicalmente smentita, sul piano della razionalità e nei termini di minima ragionevolezza, dalla sensata lettura delle complessive emergenze istruttorie, non già da una mera, meccanicistica applicazione di astratti criteri logici. In effetti, ove si considerino: - la natura risalente, pervasiva e sistematica del fenomeno del ricorso all'erogazione di finanziamenti destinati all'acquisto di azioni proprie B. (o ad altri rimedi, come le "lettere di impegno al riacquisto"), fenomeno divenuto, nella prospettiva dell'alta dirigenza dell'istituto di credito, man mano che le difficoltà del mercato secondario delle azioni della banca da sporadiche divenivano "strutturali", l'unico rimedio concretamente praticabile, se non per superare tale stato di grave criticità, assicurando la liquidità del titolo e scongiurando il default della banca, quantomeno per differirne la manifestazione e, così, procrastinarne gli effetti deflagranti (in un contesto, peraltro, nel quale non si intendeva invertire la rotta rispetto alla politica di espansione territoriale dell'istituto, anche perché ciò avrebbe rivelato la sopravvenuta condizione di difficoltà della banca); - le inevitabili implicazioni in tema di omesse decurtazioni e di comunicazioni decettive all'organo di vigilanza di tale metodico ricorso al finanziamento dell'acquisto di azioni proprie (s'è visto, infatti, che le condizioni patrimoniali dell'istituto rendevano indispensabile, per "reperire capitale" onde assicurare il rispetto dei parametri di riferimento, omettere le dovute decurtazioni dal patrimonio di vigilanza degli importi erogati a titolo di finanziamenti destinati all'acquisto di azioni B.); - il ruolo dall'imputato rivestito in concreto - e, quindi, anche ben ai di là della carica formale di mera garanzia in ordine al corretto funzionamento del CdA siccome delineato dalla disciplina di riferimento dettata dalle circolari di Banca d'Italia - nella gestione della banca, caratterizzato da ripetuti sconfinamenti nell'operatività dell'istituto di credito; - lo strettissimo legame operativo sussistente tra l'imputato ed il d.g. So.. con il quale il primo si incontrava costantemente per essere aggiornato sulle tematiche di rilievo e per preparare le sedute del CdA (davvero emblematico di tale legame, del resto, è quanto dallo stesso So. riferito, in tempi non sospetti, al socio Lo.Tr., allorché questi lo aveva interpellato circa la conoscenza da parte dello ZO. della natura "baciata" delle operazioni sottoscritte dal medesimo Lo.: PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. -..TE in un'altra occasione lei disse allora: "Rammento bene che lo stesso So. mi disse: Io non posso neanche andate a fare la pipì senza che Zo. lo sappia' a confermare - dice lei - il controllo che Zo. aveva all'Interna della banca". TESTIMONE LO.TR. - E' vero anche questo. E se non sbaglio, anche la seconda me l'ha detta durante anche una telefonata. Se non sbaglio." 163. Del resto, le conversazioni effettuate dal So. ed intercettate dagli investigatori che saranno specificamene richiamate nel paragrafo seguente, ove sottoposte ad una ragionevole lettura, sono assolutamente coerenti con tali conclusioni (ad onta della contraria interpretazione offertane dalla difesa nella memoria conclusiva, là dove, peraltro, ne sono state richiamate solo talune - cfr. memoria conclusiva, pagg. 35 e ss.); - e, più in generale, il vero e proprio timore reverenziale che la figura dell'imputato ispirava nell'intera dirigenza dell'istituto di credito, l'ipotesi - pure, tenacemente, sostenuta dalla difesa - dell'estraneità del più alto esponente di B. rispetto ad un fenomeno di tale portata già si prospetta, alla stregua di una prima valutazione d'insieme, radicalmente infondata e scopertamente difensiva. Per contro - e specularmente - le effettive modalità di gestione della presidenza da parte del giudicabile finiscono necessariamente per rappresentare, nella peculiare concretezza del caso di specie, sotto il profilo razionale, un dato probatorio a carico di indubbia significazione, A ben vedere - e concludendo sul punto - attribuire rilievo alla posizione concretamente rivestita dallo ZO. nella compagine societaria onde comprendere il ruolo svolto da costui nell'operatività delittuosa sub iudice, ben lungi dall'essere, come vorrebbe l'appellante, il frutto avvelenato di un grave errore di metodo (quello conseguente ad una cieca, aprioristica e, in quanto tale, inaccettabile applicazione di presunte massime di esperienza, secondo le quali il presidente di una banca "non potrebbe non conoscere" le prassi operative in atto presso la "propria" struttura aziendale o, comunque, alla semplicistica applicazione di comode scorciatoie deduttive), discende, nei dovuti termini di minima ragionevolezza, dalla congiunta valutazione di solide evidenze probatorie. Il fortissimo protagonismo dell'imputato nell'esercizio delle funzioni presidenziali, infatti, è un dato pacificamente emerso nel corso dell'istruttoria e, quindi, per nulla ancorato, come ancora vorrebbe la difesa, ad elementi incerti, equivoci o. addirittura, a "voci correnti nel pubblico". Il tribunale, quindi, non è affatto incorso in un corto circuito logico-giuridico; non ha fondato l'efficacia di prova (beninteso indiretta) di tale elemento su una inammissibile (in quanto intrinsecamente fallace) catena di indizi. In un quadro probatorio pure caratterizzato da palpabili resistenze di molti testimoni a fare emergere chiaramente i reali contorni della posizione presidenziale (davvero emblematica di siffatta resistenza è la inverosimile spiegazione offerta a questa Corte dalla teste Pi. - "stavo scherzando" delle affermazioni dalla stessa effettuate nel colloquio intercettato ove, al riparo da orecchie indiscrete, aveva icasticamente definito il presidente ZO. come "monarca assoluto") sono nondimeno emerse chiare ed inequivoche evidenze del fatto che l'imputato era tutt'altro che un presidente decorativo, bensì fortemente incidente nell'operatività dell'istituto di credito. Pertanto, non può certo fondatamente negarsi il rilievo di tale elemento indiziario. Sennonché, come si dirà di seguito, l'istruttoria dibattimentale ha offerto ulteriori e più consistenti riscontri della fondatezza dell'impostazione d'accusa. 14.1.4.2.2. La conoscenza da parte dello ZO. delle operazioni di capitale finanziato e le relative censure difensive (Secondo motivo di appello: paragrafi 3.2, 3.5 e 3.6). In effetti, l'istruttoria dibattimentale ha consentito di verificare la conoscenza, in capo all'imputato, del fenomeno del capitale finanziato non unicamente, in via indiretta, in forza di pur stringenti considerazioni di natura logica inerenti alle modalità di concreto esercizio del ruolo presidenziale, ma anche per effetto di ben più tangibili elementi (elementi che, peraltro, finiscono a loro volta per avvalorare ulteriormente le conclusioni "razionali" testé esposte). Non solo, infatti, l'imputato, come si avrà modo di ribadire, era pienamente cosciente dello stato di crisi del mercato secondario del titolo di B., ovverosia - va sottolineato ancora una volta - di quella che è risultata la più significativa causa del ricorso al finanziamento degli acquisti del titolo azionario della banca (tanto che la consapevolezza delle ragioni di una così grave difficoltà finisce quasi per implicare, sul piano logico, anche la conoscenza dell'unico rimedio escogitato, ed a lungo attuato, per fronteggiarla); ma vi sono ulteriori, specifiche prove - dirette ed indirette i che il giudicabile fosse pienamente avvertito proprio della prassi delle "operazioni baciate". Al riguardo, occorre necessariamente ribadire, onde consentire un corretto apprezzamento di tali emergenze processuali, coerente con il contesto nel quale si collocano i fatti oggetto di prova, che l'operatività dell'istituto di credito relativamente alle operazioni correlate era caratterizzata, verso l'esterno, da estrema riservatezza, a riprova della assoluta consapevolezza, in capo ai vertici aziendali, della complessiva illiceità della prassi instaurata e, soprattutto, delle sue ricadute di natura penale. Di qui non solo la decisione di omettere ogni riferimento scritto alla correlazione tra finanziamenti ed azioni (con conseguente ricorso, nelle PEF, alla generica formula di cui s'è detto), ma anche l'adozione di un linguaggio cauto e sorvegliato in occasione delle sedute degli organi collegiali. Se, infatti, all'interno delle strutture operative della banca (e, in particolare, nell'ambito della rete commerciale dell'istituto di credito, chiamata a collocare le azioni "ad ogni costo", in attuazione delle direttive impartite, per il tramite del GI., dal d.g. So.), vi era una conoscenza del fenomeno delle "baciate", al contempo, diffusa ed imprecisa (ai funzionari facendo difetto quella "visione d'insieme" indispensabile per comprendere la vastità del fenomeno ed intuirne tutte le implicazioni), i vertici operativi erano assai attenti ad evitare che, extra moenia, potessero filtrare informazioni sul punto. Le dichiarazioni rese in proposito dall'imputato GI. sono assai chiare e combaciano con quanto già evidenziato, al riguardo, dal primo giudice. In questa sede, va solo aggiunto che lo stesso imputato PE., nel corso del proprio rinnovato esame, ha avuto modo di precisare come la consapevolezza, in capo al vertice operativo dell'istituto, della illiceità della prassi delle "baciate" e, comunque, della necessaria deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza fosse fuori discussione. Questo spiega, ad avviso della Corte, l'adozione di procedure informatiche che, di fatto, impedivano radicalmente che operazioni di finanziamento per l'acquisto dì azioni proprie potessero essere "registrate" come tali dal sistema informatico in uso presso B. (non esistendo un "codice prodotto" che ne consentisse la individuazione, diversamente da quanto previsto per il "mini aucap" in relazione al quale tale codice era stato appositamente introdotto). In un contesto connotato da tanto palpabile cautela, quindi, non deve affatto sorprendere la quasi totale assenza dì documentazione scritta, ovvero di (registrazioni dì interventi in sede di organi collegiali, caratterizzati da riferimenti trasparenti alle "operazioni baciate". Quasi totale assenza, si è detto, giacché in effetti si rinviene qualche significativa eccezione in atti, non a caso rigorosamente circoscritta ai consessi più ristretti e riservati all'alta dirigenza di B.. Si veda, sul punto, il già sopra ricordato passaggio della registrazione audio del Comitato di Direzione 10.11,2014 (pagg. 67-68 della relativa trascrizione sub doc, 110 del P.M.) ove VM8 - Gi.Em., vertice della Divisione Mercati - così replica al d.g. So., alla presenza altresì, fra gli altri, di Pi.An. (vertice della Divisione Finanza), di Ma.Pa. (vertice della Divisione Crediti) e di FA. An. (stretto collaboratore dell'assente Pe.Ma. in seno alla da lui capeggiata Direzione Pianificazione e Bilancio, ove il FA. gestiva la Pianificazione Strategica): "VM8: Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore dell'azione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati". Sì noti, significativamente, che, all'inizio di detto Comitato di Direzione, il d.g. So. si era premurato, ad ogni buon conto, di ammonire gli ivi presenti vertici dirigenziali ben selezionati (con particolare riguardo al suo diretto interlocutore Um.Se., direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu., che prendeva parte al Comitato in collegamento a distanza dall'isola) circa la necessità assoluta di non lasciar trapelare alcunché all'esterno di quel ristretto consesso: - Sa.: Sì. Io non ho fatto premesse di sorta, ma è chiaro che quello che ci diciamo qui, ovviamente, eh, neanche il tuo cane lo deve sapere, eh. - Um.: Va bene." (cfr. pagg. 30-31 trascrizione cit.). Trattasi - come questa Corte ha già avuto modo di evidenziare nell'ordinanza 18 maggio 2022 - di sollecitazione specificamente finalizzata a garantire che il contenuto dei colloqui che, di lì a poco, avrebbero avuto luogo, sarebbe rimasto patrimonio esclusivo dei partecipanti all'incontro (e, più in generale, per effetto della relativa documentazione, della dirigenza dell'istituto di credito), tant'è vero che più avanti nella registrazione (cfr. sempre pag., 31 trascrizione cit.) il d.g. So. esplicitava ancor meglio il concetto: "Sa.: Eh. Già stanno facendo la caccia a chi fa uscire informazioni, perché dicono che sia uno di noi che dà le informazioni ai giornalisti e che dà le informazioni al... Eh, quindi... eh ... cerchiamo di non ... di non ... eh ... dare alibi, dare alibi ai consiglieri che dicono che è uno della direzione che dà ... che dà informazioni, perché solo uno della direzione può sapere di questo, di quest'altro e di quell'altro, eh. Mi raccomando! - Um.: D'accordo. - Sa.: Bene". Ebbene, effettuata tale precisazione "di contesto", osserva questa Corte come, con riferimento al tema della conoscenza, in capo allo ZO., della prassi delle "operazioni correlate", fatto salvo il doveroso richiamo alle puntuali osservazioni già svolte, in proposito, dal primo giudice, meriti di essere in primo luogo richiamato il contenuto della deposizione resa dall'ispettore Ga., In effetti, detto teste, nel rievocare i plurimi colloqui intercorsi con il presidente, sebbene abbia affermato come questi si fosse poi ripetutamente dichiarato all'oscuro del fenomeno del capitale correlato, ha precisato come, in occasione del primo contatto, avvenuto in data 7 maggio 2015, l'imputato avesse sostanzialmente ammesso di essere al corrente di (sia pure sporadici) casi di finanziamento di acquisti di azioni (cfr. dep. Ga., udienza udienza 26.9.2019, pag. 65 del verbale stenotipico: ".. Perché qui c'è un tema, cioè quando ho avuto modo di discutere con il Presidente Zo., e ho rappresentato gli elementi che stavano emergendo, la mia impressione fortissima - poi impressione confermata anche dalle verbalizzazioni del Consiglio di Amministrazione, però impressione forte che ho avuto sia nell'occasione del 7 maggio sia negli incontri che ho avuto successivamente - è che il Presidente fosse molto colpito dal fenomeno dei fondi; cioè, mentre di fronte al fenomeno dei finanziamenti ha cercato sostanzialmente di minimizzare, dicendo: io pensavo che qualche ipotesi del genere ci potesse essere, però, insomma, non di questo,., probabilmente c'era, però non era un fatto che mi preoccupava, ritenevo non fosse un fenomeno rilevante, non ho mai avuto elementi per ritenere che fosse rilevante. Glissava, diciamo..."). Trattasi, com'è evidente, di deposizione di assoluto rilievo tanto per la fonte da cui promana (trattandosi di soggetto di indiscutibile attendibilità, in considerazione del ruolo ricoperto e, quindi, dell'estraneità rispetto alle dinamiche interne all'istituto vicentino), quanto per l'eclatante portata del suo contenuto, sostanzialmente equiparabile ad una sorta di confessione stragiudiziale. Del resto, del tutto coerenti con le dichiarazioni del teste Ga. sono i ricordi del di lui collega Ma., il quale, presente al citato colloquio, ha rievocato l'incontro in questione riferendo che l'imputato, alla rappresentazione del dirompente problema dei finanziamenti correlati, aveva replicato, senza scomporsi eccessivamente, che anche altre banche operavano in tal senso Presidente non colse un po' il livello di serietà di questo fenomeno e mi ricordo che disse, una cosa che mi ricordo che disse: ma tanto lo fanno anche altre... so che lo fanno anche altre banche. E la cosa finì lì, la discussione finì lì su questi finanziamenti, diciamo, correlati ..."). Non può sorprendere, quindi, che l'imputato, il quale, in sede di interrogatorio, aveva ammesso che Ga. gli aveva segnalato, nel corso del colloquio, l'emersione di un importo di operazioni finanziate "importante", in sede processuale abbia poi negato la circostanza, esplicitamente limitando l'oggetto dell'interlocuzione con l'ispettore al tema dei fondi esteri e delle lettere di impegno. Del tutto convergenti con le suddette dichiarazioni, poi, sono le prove costituite dagli esiti di intercettazione delle comunicazioni telefoniche intrattenute dal d.g. So., conversazioni dal tenore davvero inequivoco e dalla sicura capacità probatoria, solo a considerare che il direttore generale, allorché era sottoposto a captazione, era solito impiegare anche una utenza intestata a terzi, donde l'impossibilità di ipotizzare, con un minimo di fondamento, che costui, sospettando di essere intercettato, callidamente intendesse coinvolgere il presidente per "alleggerire" la propria posizione. Assolutamente significativo, innanzitutto, è il colloquio intrattenuto il 31.8.2015, di cui al progressivo n. 459 (cfr. pagg. 24 e ss, dell'elaborato di trascrizione) che, di seguito, si riporta nei passaggi più significativi: (omissis). Sul punto, va doverosamente precisato che la Pi., nel corso dell'escussione innanzi a questa Corte, chiamata a fornire delucidazioni con riferimento a tale colloquio, ha giustificato l'espressione con la quale aveva escluso che il presidente potesse essere all'oscuro del fenomeno del capitale finanziato ("No, ma scusa un attimo ... no, ma scusa un attimo: come faceva a non sapere, uno che ha governato come un monarca assoluto ...") sostenendo che si era trattato di una semplice "battuta" e soggiungendo che, al contrario, a suo giudizio, ZO. era una "vittima". Sennonché, la spiegazione delle proprie parole offerta dalla teste è tutt'altro che convincente, ove sì presti la dovuta attenzione al complessivo tenore del colloquio. Si trattava, infatti, di una allarmante vicenda, ancora tutta in divenire e che, peraltro, aveva immediate implicazioni anche per la posizione dei singoli consiglieri. Davvero significativo è il passaggio del colloquio in cui la medesima Pi. affermava: No, sai qual'è il guaio? E'che o si sa... se si salva fui ci salviamo tutti... sennò sprofondiamo tutti, Non vorrei però che si salvasse lui e sprofondassimo tutti.."), essendosi in presenza di affermazione che, a ben vedere, fornisce una corretta chiave di lettura delle dichiarazioni rese dalla teste e, più in generale - ed è bene ribadirlo ancora una volta - dell'atteggiamento tenuto da molti membri del CdA e del Collegio Sindacale nel corso delle rispettive escussioni (ivi comprese quelle rese in sede di rinnovazione istruttoria), sistematicamente improntato alla negazione della conoscenza, in capo ai predetti, non solo del fenomeno del capitale finanziato ma anche di elementi che potessero costituire segnali di allarme in tal senso. Inoltre, merita di essere evocata, in quanto anch'essa contenente chiari riferimenti allo stretto rapporto intercorrente tra il d.g. So. ed il presidente ZO. nella conduzione dell'istituto di credito, anche con riferimento al fenomeno del capitale finanziato, la conversazione n. 153 del 25.8.2015 (riportata a pag. 227 e ss. della perizia di trascrizione) tra Zi.Gi. il suo commercialista, Lu.Bo., nel corso della quale i due commentavano sarcasticamente l'atteggiamento "negazionista" assunto da Zo. in relazione alle irregolarità accertate in sede ispettiva ed alludevano esplicitamente al potere di "ricatto" del So. nei confronti del presidente: (omissis) Ebbene, a tali elementi di prova, assai significativi e chiaramente convergenti con le pregnanti dichiarazioni rese dal teste Ga. ed in precedenza richiamate, sono venute a saldarsi le coerenti propalazioni del coimputato GI.. In effetti, in sede di esame, costui ha ribadito quanto "anticipato" nel memoriale circa la piena consapevolezza del fenomeno in esame da parte del presidente, ripercorrendo diffusamente tali "anticipazioni" e convincentemente replicando alle obiezioni mossegli, al riguardo, in sede di controesame. Per un inquadramento generale del contributo dichiarativo offerto dal predetto con riferimento alla posizione ZO. è opportuno richiamare l'incipit dell'esame del propalante: "....PRESIDENTE - Va bene; con questo avrei chiuso le domande della Corte sulla posizione Zi.. Adesso volevo passare a esaminare la posizione Zo., cioè, a parte quello che lei ha già detto in primo grado, se e in base a quali elementi lei sostiene che il dottor Zo. sapesse o partecipasse a determinate scelte, quantomeno, che hanno avuto ricadute su questa vicenda penale sostanzialmente, IMPUTATO GI. - Presidente, interlocuzione diretta, quindi premetto: So. diceva a me e ai capi area e direttori regionali, a Ma., ai Vice Direttori Generali, che Zo. era a conoscenza di questo tipo di operatività e chi avrebbe dovuto sapere sapeva. Quindi questa è la premessa. Interlocuzione diretta con Zo. sulle operazioni baciate l'ho avuta, è stata sporadica: l'ho avuta sulla questione Co., che era un imprenditore siciliano, che si è presentato a Vicenza per ottenere un affidamento, dicendo "Io con questo affidamento, non so se 4 o 5 milioni, compro 2 milioni di azioni", 2 milioni di Euro di ammontare di azioni il Presidente, prima di entrare, mi disse che fa persona era poco affidabile perché parlava, quindi io dissi a questo Co.: "Non ce ne abbiamo più di azioni"; poi il Presidente in Consiglio di Amministrazione, prima che iniziasse il Consiglio di Amministrazione, questa cosa è stata registrata; mi chiese lumi e io gli dissi appunto cosa avevo riferito a Co., e che quindi lui era d'accordo nel non procedere con questa operazione. Quindi questo è l'episodio chiaro con Zo.. Quando io, nel periodo finale della mia esperienza in Banca, quindi stiamo parlando del maggio 2015, che successe il 4 maggio del 2015, il 30 aprile del 2015 eravamo a Vicenza io e Pi., fummo chiamati la sera da So. che ci disse: "Il Presidente vi vuole far fuori". E noi chiedemmo il perché: "Perché ci vuole far fuori il Presidente?", "Eh, sì, perché in pratica da Bc. due cose sono venute fuori": le lettere d'impegno, le baciate, e poi c'era anche il discorso per quanto riguarda Pi. dei fondi. Quindi il Presidente mi ha chiesto: "Ma lei ne so qualcosa?" e noi gli abbiamo detto: "Ma tu cosa bai risposto?", "Eh, no, che avrei approfondito, che non ero sicuro". Quindi ci ritrovammo io e Pi. di fronte a una situazione molto particolare, nel senso che Zo., che avrebbe dovuto sapere, parlava con So., che sapeva di questo tipo di operatività, e si negavano - secondo quello che ci dicevo So. - a vicenda la conoscenza dell'operatività. Quindi io chiamai Zo. di fronte a Pi.. lo non chiamavo Zo., semmai mi chiamava luì col cellulare per gli auguri oppure per farmi incontrare dei clienti. Chiamai Zo. e chiesi un appuntamento. Ottenni questo appuntamento per il 4 maggio e, prima dì incontrare Zo., passai da Gr., perché ero andato a Roma per il Primo Maggio dai miei, e passai da Firenze la domenica, e poi lunedì incontrai Zo.. E ricordo chiaramente, perché anche fisicamente Zo. mi lo mostrò dicendo, io, scusi, mi portai le carte che dimostravano che era un'operazione diffusa, quindi mi portai gli storni; mi portai Da., mi portai le lettere Fa., quindi andai lì dicendo: "Ma cosa state dicendo voi due?" e Zo. mi disse: "Guardi, dottor Gi., io non sapevo delle operazioni baciate (intendendo probabilmente quelle 100 e 100) ma sapevo delle operazioni parziali" E mi fece proprio il cenno così, cioè di arrotondamento per fare acquistare azioni, quindi: ti concedo, non so, 10.000 Euro, tu hai bisogno 10.000 Euro, te ne do 1Z.000,13.000,14.000 e con quei 3-4.000 Euro compri azioni Davanti a Br. perché ovviamente ci voleva il testimone. Io sono andato lì, come dire, cercando di capire perché stava succedendo questa cosa e perché dovessi essere fatto fuori dalla Banco. Zo. si presentò con testimone Br., e mi affermò in modo chiaro e inappuntabile che lui era a conoscenza delle operazioni, come dire, parziali, non quelle 100 e 100. Ma poi, andando in corso nelle udienze di primo grado, sempre sentendo questi audio in CdA, ma So. ne parlava di queste operazioni parziali al CdA. Abbiamo fatto sentire due audio in cui proprio So. diceva, sempre usando io stesso termine: "azioni appiccate ai mutui", quindi ai finanziamenti. Quindi anche nel corso del primo grado io ho avuto la conferma che So. aliene parlasse a Zo. di questo tipo di operatività. Poi, se li regista dell'operatività fosse So. e un'operatività avallata da Zo. o il contrario, questo non glielo so dire perché comunque erano discorsi che facevano tra loro. Sicuramente Zo. ne era a conoscenza. PRESIDENTE - Vuole aggiungere altro su questo? IMPUTATO GI. - Su Zo.? PRESIDENTE - Sulla posizione Zo., sì, in questo momento. IMPUTATO GI. - L'ultima cosa. Anche in tema dì lettere, sentendo questi audio, 0 un certo punto il Presidente, perché anche queste lettere d'impegno che sicuramente non hanno avuto una diffusione così ampia come le correlate e le baciate, quindi ho ascoltato un CdA in cui c'era un cliente della Po.Al. che voleva in qualche modo vendere te proprie azioni; la Po.Al., e quindi la Banca, gli prometteva e gli garantiva verbalmente l'impegno a venderle, e Zo. dice a tutto il CdA: "Fattelo mettere per iscritto". Quindi ha consigliato a questo cliente esattamente la stessa prassi che utilizzavamo noi per quanto riguarda le lettere d'impegno, E questo in qualche modo mi ha fatto intuire che anche sulle lettere Zo. fosse a conoscenza di questa prassi. PRESIDENTE - Poi lei ha parlato sempre nel suo memoriale della conoscenza, secondo lei, di Zo. anche di tutte le problematiche del mercato secondario, giusto? IMPUTATO GI. - Sì, si PRESIDENTE - E anche della rilevanza di questo fenomeno, di questo problema. IMPUTATO GI. - Zo. diceva proprio che era un problema drammatico per la Banca e che, se non fossimo riusciti, se la Banca non fosse riuscita a gestirlo, la Banca avrebbe chiuso - Questo in CdA, quindi anche questo è stato ascoltato in primo grado...". Significative, poi, sono anche le risposte che il propalante ha fornito alle domande rivoltegli dal suo legale: (...) DIFESA, AVV. Mi. - Il Presidente Zo. interveniva rispetto ai soci e rispetto a questa problematica, che mi pare di capire sempre più esasperata, del ritardo nell'evasione delle domande di cessione? IMPUTATO GI. - Il Presidente Zo. è intervenuto puntualmente chiedendo varie cose: primo, "convincete i soci a non vendere". Mi ricordo che se la prese anche con i consiglieri di amministrazione che andavano da lui a dire: "Ci stanno questi soci che vogliono vendere, dobbiamo evadere la richiesta". E in un incontro in Palazzo Thiene, prima in Consiglio di Amministrazione fece una premessa, poi a Palazzo Thiene riprese questi consiglieri proprio per dire: "Voi dovreste difendere la Banca, convincete i soci a non vendere, non venite qua a chiedermi di evadere le loro richieste di vendita". Questo lo chiedeva in primis ai consiglieri, soprattutto di Vicenza Nord, e lo chiedeva poi alle aree, perché lui incontrava le aree e le direzioni regionali, e gli chiedeva: "Guardate che la Banca è buono, siamo su un buon territorio, il valore dell'azione è congruo, dovete convincerli a non richiedere una cessione. Se poi, diceva, questi clienti hanno bisogno di liquidità, finanziateli". Quindi, come dire: un fenomeno di baciate ex post, per cui una persona voleva vendere 100:000 Euro di azioni perché aveva un problema, ad esempio, di salute, e allora il Presidente chiedeva di finanziarlo, quindi diceva: "invece di fargli vendere le azioni, finanziate questi 100.000 Euro. DIFESA, AVV. Mi. - Lei c'era, e quindi ha vissuto, lei si ritrova con quanto dichiarato dall'imputato Zo. circa una sua presenza non operativo, a tratti sporadica, in Banca, di rappresentanza? Si ritrova con questo ruolo di Zo.? IMPUTATO GI. - E' particolare, che io sono l'ultimo arrivato in Banca perché sono arrivato a fine 2007, fare questo, che io debba dire che il Presidente era il vero Amministratore Delegato della Banca. Quindi questa è una cosa particolare, no? Nel senso che tutti sapevano che il Presidente interveniva su qualunque decisione importante in Banca, qualunque: non c'era una delibera di Consiglio di Amministrazione che non passasse sotto il suo vaglio, Il Presidente era presente. era presente nei gangli organizzativi So. non muoveva un dito senza che il Presidente sapesse - I consigli di amministrazione venivano condotti e guidati da Zo.. Quindi, voglio dire, io dico guelfo che ho visto: io ho visto organigrammi della Banca che non potevano essere deliberati se il Presidente non li avesse convalidati e non li avesse visti. Ovviamente questa è una mia posizione che ho cercato anche di oggettivare con dei documenti perché, se no, sarebbe la mia posizione contro la posizione di altri quattro cinque Imputati Purtroppo sono dovuto andare a fare le analisi, andare a tirare fuori i documenti per comprovare quello che sto dicendo ...". Tanto premesso, e passando ad analizzare più nel dettaglio le propalazioni complessivamente rese del GI. (nel memoriale a sua firma e nel corso dell'esame), va precisato come questi abbia dichiarato che il presidente non solo era perfettamente a conoscenza della prassi dello "svuotafondo" ma che la sosteneva apertamente, trattandosi di rimedio funzionale a "fare mercato, ovvero a consentire al socio la possibilità di vendere le azioni in quanto, in difetto, nessuno avrebbe più avuto fiducia nella Banca, bloccando la crescita degli impieghi e le operazioni straordinarie di acquisizione di Banche/Sportelli" (cfr. memoriale citato, pag. 31) ed ha precisato che, a decorrere dal 2012, tale prassi era divenuta indispensabile, poiché il titolo B. aveva cessato di aumentare di valore, era stata interrotta la erogazione del dividendo e, infine, le vendite finalizzate a monetizzare il controvalore delle azioni della banca erano divenute frequenti (posto che, in una fase di crisi economico-finanziaria generale, l'azione dell'istituto era uno dei pochi strumenti finanziari ad avere conservato valore). E, a conferma della consapevolezza del coimputato ZO. in merito alla correlazione tra azioni della banca e finanziamenti, sotto varie forme, il GI. ha prodotto (in allegato al memoriale, con numerazione da 4.2.1 a 4.2.8) ulteriori documenti costituiti, segnatamente: - da comunicazioni dalle quali si ricavava la conoscenza da parte dello ZO. della vicenda Da. e della risposta - concordata tra il collegio sindacale e la funzione di Compliance - fornita a costui (allegato 4.2.1); - da comunicazioni attestati la conoscenza in capo allo stesso ZO. della richiesta di vendita di azioni da parte di un socio-socio - tale La.Re. - poi prontamente "tacitato" a seguito della missiva da costui inviata all'attenzione del presidente (ali. 4,2,2); v dalla comunicazione epistolare indirizzata al presidente da un altro socio - tale Bo.Sa. - nella quale questi lamentava la mancata evasione della richiesta di vendita delle azioni, esplicitamente denunziando l'illiquidità del titolo ("...adesso mi trovo con 30.000 Euro di vostri titoli che, nonostante le rassicurazioni a parole, sono di fatto un capitale non liquido.." - allegato 4.2.3); - da comunicazioni mail attestanti il coinvolgimento della presidenza (la mail di riferimento risulta inoltrata alla segretaria di ZO., Li. Camilla) nelle operazioni di vendita di azioni ad un gruppo imprenditoriale (Fr.) che, nonostante fosse in grave difficoltà, la banca continuava a finanziare (allegato 4.2.4); - dalla "denunzia" del presidente dell'Ad., La., pubblicata sul social network Twitter, in data 30.10.2014 (evidentemente derivante dalle dichiarazioni dei soci pubblicate sui quotidiani in ordine ai finanziamenti in cambio dell'acquisto di azioni, posto che l'articolo a firma Ga. pubblicato da "Il.", come s'è detto, risaliva al precedente 27,10,2014): "Po.Vi., Immarcescibile Zo., si guadagnerà una denunzia per il reato di estorsione?", denunzia inoltrata dalla segreteria al Presidente e, successivamente, su disposizione dello stesso ZO., trasmessa dalla segreteria all'avv. Am. (allegato 4.2.5); - da ulteriori sollecitazioni alla vendita di azioni provenienti da soci (Pr. - allegato 4.2.6; Ce. - Mo. - allegato 4.2.7), in un caso con comunicazione di vera e propria azione legale e con la precisazione che la banca aveva concesso finanziamenti a fronte della mancata vendita delle azioni (doc. 4.2.7.); - dalla traccia del discorso rivolto al personale in occasione delle festività natalizie 2014 nel quale era palese il riferimento alla difficoltà nella evasione delle richieste di vendita delle azioni provenienti dai soci e si precisava: "se poi qualche socio avesse necessità urgenti la Banca gli è sicuramente vicina" ... allegato 4.2.8). Del resto, a fugare qualsivoglia perplessità sul punto e a confermare quanto sostenuto dal chiamante in correità in ordine alla piena conoscenza della prassi dello "svuotafondo" in capo al presidente è decisivo il richiamo alle dichiarazioni rese dallo stesso imputato in occasione dell'interrogatorio investigativo 22.3.2017 (prodotto dal P.M. all'udienza dell'11.6.2020 e acquisito ex art. 513 c.p.p.), là dove ZO. pur dichiarando di non essere in grado di "descrivere esattamente l'andamento del FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE nel corso dei vari anni" (cfr, verbale interrogatorio 22,3.2017, pag. 4) ha chiaramente ammesso di essere a conoscenza delle relative problematiche, per essere stato informato proprio da So. ("...é capitato che So. mi abbia dato informato dell'andamento del FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE in occasione dei colloqui che, nel corso del tempo, ho avuto periodicamente con il medesimo... Preciso che non mi occupavo dell'andamento e della gestione dei FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE"), soggiungendo di essere perfettamente consapevole dei risvolti dell'andamento del fondo con riferimento proprio al tema del patrimonio di vigilanza ("... tuttavia, ero interessato all'entità dell'utilizzo del FONDO in quanto, come detto, comportava effetti negativi sul patrimonio e sul bilancio della banca..."). Inoltre, il GI., come s'è visto, ha esplicitamente affermato la piena consapevolezza, da parte del presidente, del fenomeno del capitale finanzialo. In effetti - ha precisato il propalante - ZO. era cosciente non solo, come detto, dell'andamento ciclico del mercato secondario e dei ritardi/problemi relativi all'evasione delle richieste di vendita delle azioni (e, sul punto, il dichiarante ha richiamato e prodotto lettere di reclamo dei soci, con la precisazione che in una di tali missive - segnatamente, quella del socio Gr.Ma. - oltre ad evidenziarsi le forti contraddizioni tra il successo dell'aumento di capitale e le difficoltà del mercato secondario, si poneva l'accento anche sulla sopravvalutazione del prezzo dell'azione, richiamandosi, sul punto, il severo giudizio consegnato alla stampa dal noto economista Zi.), ma anche - e specificamente - dell'erogazione di "finanziamenti correlati" avendo egli raccolto, in proposito, dichiarazioni ammissive dal coimputato nelle seguenti occasioni, nelle quali aveva direttamente affrontato con ZO. tale argomento. Trattasi, segnatamente: - dell'interlocuzione relativa alla richiesta dell'imprenditore siciliano Co. (interlocuzione specificamente affrontata nella sentenza di primo grado e ricostruita dal GI. in termini coerenti con la lettura dell'episodio offerta dal primo giudice e della quale si tratterà anche più oltre); - dell'incontro avvenuto il 4.5.2015, alla presenza del vicepresidente Br. - il quale, dal canto suo, nel corso della propria escussione all'udienza del 24,6.2022, come si accennava, ha negato di conservare memoria di tale importante incontro, a di poco sorprendentemente, ove si consideri il grave frangente in cui esso aveva avuto luogo. Ebbene, in occasione di tale interlocuzione - ha precisato il GI. - il presidente aveva ammesso di essere a conoscenza del fenomeno del finanziamento dell'acquisto di azioni, sia pure limitando detta conoscenza alle sole "baciate parziali"; - del colloquio intrattenuto durante un intervallo dell'udienza 5.6.2019 del processo di primo grado, allorquando lo ZO., mentre si trovavano nell'automobile condotta dal coimputato ZI., aveva ribadito di essere stato a conoscenza delle sole "baciate parziali". Infine, anche con riferimento alla prassi consistita nel rilascio delle lettere di impegno, il GI. ha affermato di avere acquisto contezza della piena consapevolezza, in capo al coimputato, della prassi di ricorrere a tale t "strumento" per convincere i potenziali acquirenti delle azioni dell'istituto a rilevare titoli della banca, là dove ha evocato l'audio della seduta di CdA del 5.11.2013 nel corso della quale lo ZO. aveva riferito di aver consigliato ad un suo amico, nonché socio della Po.Al., di farsi rilasciare una lettera di tale natura. A ben vedere, il mero ascolto di tale audio (e, così, la lettura della relativa trascrizione) non offre conforto, in termini di certezza, rispetto alle dichiarazioni del GI., in quanto il passaggio evocato, anche per la sua brevità, è suscettibile di non univoca lettura, poiché non implica necessariamente un implicito riferimento alla prassi, invalsa presso B., del ricorso alle vere e proprie lettere di impegno (cfr. pag. 8 della relativa trascrizione: "....Quando comincia il passaparola della crisi hai finito, hai finito". La banca popolare dell'Alto Adige - conosciamo un azionista, giusto? Un socio non compra le azioni. Adesso fanno la fusione perché pensano che con due debolezze non fanno e allora gli ha detto ma per marzo gliele compriamo e allora è venuto da me questo qua e mi ha detto per marzo me le comprano e allora dice cosa vuoi aspetto qualche mese. E allora ho detto fattelo mettere per iscritto. Ha detto: ci provo. Se vuoi scommetto che non le mettono niente. Questa è la Ba.Po.. Perché il problema vale per tutti ma ricordatevi che vale anche per noi....."). In teoria (nel solco di quanto suggerito dalla difesa), infatti, si potrebbero spiegare le parole proferite, nel frangente, dall'imputato come un semplice, generico suggerimento a farsi assicurare per iscritto che il problema si sarebbe risolto nei tempi (brevi) che i responsabili della banca altoatesina avevano prospettato al cliente. Peraltro, va precisato che quella proposta dal chiamante in correità è una lettura del senso delle affermazioni dello ZO. non certo azzardata, sicuramente non smentita dal dato documentale e che, anzi, ove doverosamente interpretata alla luce del contesto complessivo del discorso in cui si inserisce (i passaggi della registrazione immediatamente precedenti riguardano, come si è visto, il pericolo che il "passaparola" tra i soci possa generare la crisi e, quindi, in sostanza, dare l'avvio ad una vendita in massa delle azioni della banca), appare davvero quella più convincente, tenuto peraltro conto del fatto che la descrizione del meccanismo effettuata dall'imputato (ovverosia richiedere un impegno "scritto") ben si attaglia al sistema delle "Mettere di impegno" invalso proprio presso B.. Ove poi si consideri che trattasi di interpretazione che trova significativo riscontro nelle già citate conversazioni intercettate nn.ri 1587 e 1570 intrattenute dal d.g. (nelle quali, come s'è visto, è parimenti evocata la conoscenza in capo all'imputato delle lettere di impegno) deve necessariamente convenirsi nel senso della assoluta ragionevolezza della lettura della vicenda proposta dal chiamante in correità. Sul punto, va precisato, per sgomberare il campo da ogni possibile equivoco, che è certamente vero che lo stesso GI., come evidenziato dalla difesa dello ZO. (cfr. pag. 26 delle note relative alla "rinnovazione istruttoria"), con riferimento alle "lettere di impegno", ha dichiarato, in sede di rinnovazione istruttoria, che non aveva avuto "percezione che il Presidente fosse a conoscenza di queste lettere". Nondimeno, come può agevolmente arguirsi dalla lettura del relativo passaggio dell'esame dello stesso GI., trattasi di affermazione che, ben lungi dal contraddire quanto dal medesimo propalante riferito in relazione al citato file audio 5.11.2013, delinea unicamente quale fosse la consapevolezza di costui con riferimento a tale questione ed al coinvolgimento, sul punto, del presidente, al momento dell'esercizio della vicepresidenza di B. (e, indirettamente, vale a confermare l'attendibilità della fonte). Ebbene, con riferimento al complessivo contributo dichiarativo offerto dal coimputato GI., si è in presenza di dichiarazioni che, ben lungi dal poter essere sbrigativamente derubricate al rango di "vacue suggestioni" (così nelle "note scritte di discussione", pag. 68), convergono nel ribadire la conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno del "capitale correlato". Trattasi di dichiarazioni precise, oltre che corroborate dal pertinente richiamo ad elementi documentali, taluni dei quali - ad onta delle considerazioni difensive, che, in senso contrario, ne hanno sostenuto la inconsistenza probatoria (cfr. note scritte relative alla rinnovazione dibattimentale, pagg. 19 e ss.) - sono, come s'è visto, di obiettiva significazione. D'altra parte - e trattasi di profilo che, ad avviso di questa Corte, è bene che sia costantemente tenuto presente per non smarrire la "dimensione sistemica" del fenomeno dei finanziamenti correlati e, quindi, non compromettere l'esatta comprensione della complessa vicenda in esame - la crisi del mercato secondario del titolo B. aveva inevitabili, immediate ricadute anche sulla determinazione del valore dell'azione (il cui deprezzamento avrebbe ineluttabilmente aggravato tale crisi) e, ove non contrastata con ogni mezzo, avrebbe compromesso non solo l'immagine della banca, ma anche la sua capacità di porsi, secondo la visione strategica perseguita tenacemente da ZO. (in passato addirittura in controtendenza rispetto alla più realistica prospettiva della dirigenza di B. - cfr. deposizione Gr.), come "struttura aggregante", in grado di ampliare ulteriormente la propria dimensione territoriale (in termini di diffusione degli "sportelli" nel territorio nazionale) e di accreditarsi come gruppo bancario di primaria importanza. In altri termini, il ricorso al capitale finanziato, la crisi del mercato secondario, la sopravvalutazione del prezzo del titolo (sostenuta anche attraverso piani industriali del tutto irrealistico altro non sono, nella concretezza della vicenda sub iudice, che diverse "sfaccettature" di un medesimo fenomeno, con l'ulteriore conseguenza che parlare della prassi dello "svuotafondo" e del ricorso alle lettere di impegno significa null'altro che riferirsi ad alcuni aspetti specifici del più generale problema dei finanziamenti correlati. Ed è proprio tenendo a mente tale "dimensione sistemica" che debbono vagliarsi le propalazioni del GI., onde poterne adeguatamente cogliere la reale, complessiva capacità dimostrativa. A tali rilevanti dati probatori, poi, si aggiungono gli ulteriori elementi, già puntualmente valorizzati dal primo giudice, in quanto indici sintomatici di una conoscenza effettiva del capitale finanziato e della sua diffusione da parte dello ZO. e, segnatamente: - i rapporti dell'imputato con svariati soci titolari dì partecipazioni di rilievo con B. e la conoscenza delle operazioni finanziate da costoro effettuate (è il caso di Be.De., Do.Ir., dei fratelli Ra., di Fr.Zu. e Fe.Ri., di Gi.Ro.), ovvero dell'esistenza di lettere di impegno al riacquisto, come nel caso di Re.Ca. (cfr. sentenza impugnata, pagg. 614-624); - il coinvolgimento dello ZO. nella vicenda della richiesta di conclusione di operazione "baciata" avanzata dall'imprenditore catanese Ri.Co. (cfr. sentenza impugnata, pagg. 624-626), ovverosia della vicenda evocata anche dal propalante GI.; - gli stretti rapporti intercorrenti tra lo ZO. e il gestore private della filiale dì Co., Ro.Ri., ovverosia il più attivo promotore di operazioni "baciate" (cfr. sentenza gravata, pagg. 626-628); - il contenuto dì alcuni messaggi SMS intercorsi tra i vertici operativi della banca ed inerenti proprio ad alcune operazioni correlate 172; - la consapevole, fattiva partecipazione dell'imputato alla pianificazione dell'aumento di capitale 2014 (caratterizzata, come s'è detto, dalla sistematica violazione della disciplina per il collocamento dei titoli), partecipazione, peraltro, che aveva visto lo ZO. significativamente intervenire nel CdA del 4.3.2014 a sostegno delle irregolari modalità di raccolta delle adesioni, posto che il predetto, nell'occasione, aveva sostenuto la necessità di tenere nascosta l'attività di preventivo contatto dei potenziali investitori, onde rispettare formalmente il principio dell'effettività della iniziativa del cliente (la già citata registrazione audio della seduta, invero, documenta la pronunzia della frase "Noi chiederemo alla Consob e alla Banca d'Italia di approvare, quando. Un po' prima, intanto si fa formazione sulla rete, che non devono parlare, devono spiegare bene come..."). Nel corso della medesima seduta, peraltro, il d.g. So. aveva illustrato la possibilità del ricorso al time-deposit per consentire la sottoscrizione dell'aumento di capitale; - la gestione dell'allontanamento di So., "ricompensato" con un lauto emolumento, gestione ragionevolmente interpretata dal primo giudice - sulla scorta, peraltro, di coerenti esiti di intercettazione (il riferimento è alla già citata conversazione Pi.-To.), dai quali si ricava come una tale interpretazione fosse diffusa tra soggetti collocati in posizioni di notevole responsabilità all'interno dello stesso istituto di credito e, quindi, "informati sui fatti" - quale espressione dell'intendimento dell'imputato di "comprare il silenzio" del direttore generale (cfr. sentenza gravata, pagg. 606 e ss). Peraltro, non può non sottolinearsi come le modalità di gestione dell'allontanamento del So., come visto lautamente "premiato" per la sua fallimentare gestione, si differenzino significativamente anche da quelle poi adottate dall'istituto di credito per il ben più sommario allontanamento dei vicedirettori GI. e PI. e, questo, senza che possa essere soltanto la differenza di "rango" tra costoro a giustificare tale diversità di "registro"; - l'inerzia del giudicabile tanto a fronte delle dimissioni di An.Vi. quanto a seguito della denunzia effettuata, dal socio Da., in occasione dell'assemblea del 26.4.2014 (cfr. sentenza impugnata, pagg, 628-632). A ciò deve aggiungersi la ricezione, da parte dell'imputato, di missive anonime (trattasi dei documenti 650, 651 e 652 della produzione del P,M., dettagliatamente richiamati a pag. 631 della sentenza impugnata) nelle quali il fenomeno era oggetto di denunzia, anche assai esplicita (è il caso, in particolare, della lettera dell'11.3.2014 - doc, 651, su cui v. più ampiamente infra - nella quale il ricorso sistematico al finanziamento per l'acquisto di azioni, anche in occasione dell'aumento di capitale, era stigmatizzato in modo plateale ed accompagnato da riferimenti a condotte quasi "estorsive"; ma anche il documento 652 è di inequivoco tenore sul punto). In definitiva, si è in presenza di una sequela di elementi, di natura logica e rappresentativa, che, oltre ad essere tutti coerenti (tanto nella loro specifica significazione, quanto ove debitamente sottoposti a congiunta valutazione) con la effettiva consapevolezza, da parte del giudicabile, del ricorso alla "strategia" del capitale finanziato, sono poi convergenti con le più puntuali e specifiche evidenze costituite, con riferimento a tale thema probandum, dalle evocate dichiarazioni del teste Ga., dagli esiti dell'attività di intercettazione telefonica di cui s'è detto, oltre che delle già citate propalazioni del coimputato GI. (le quali ultime - va precisato - costituiscono, in proposito, una significativa prova diretta, avendo trovato plurimi riscontri esterni individualizzanti proprio in tali ulteriori dati probatori). Ebbene, a fronte di tale sequela di convergenti e concludenti elementi, le obiezioni difensive, volte a sostenere che l'imputato non avrebbe neppure avuto contezza, ancor prima che del "capitale finanziato", finanche della esistenza dei relativi "indici di allarme", appaiono, quindi, radicalmente insostenibili, in quanto fondate, nell'ambito di una lettura volutamente "parcellizzata" del compendio probatorio, sulla valorizzazione di singole emergenze istruttorie che, per un verso, sono del tutto inidonee a smentire le considerazioni sin qui svolte, in ordine alla posizione dell'imputato, sulla base di una razionale lettura d'insieme del panorama delle evidenze disponibili; c. per altro verso - ed in ogni caso - sono anche dì intrinseca, assai limitata capacità dimostrativa. Ciò, a ben vedere, esimerebbe dal considerarle specificamente. Sennonché, ragioni di completezza ne rendono opportuna una analisi dettagliata. In particolare, la difesa, sub 3.2, ha sostenuto l'inconsapevolezza di siffatti indici sintomatici sul rilievo, nell'ordine: - dell'inerzia degli organi di controllo - e, in particolare dell'Audit - tale da avere impedito all'imputato, al pari dei membri del CdA, di cogliere segnali di allarme del fenomeno del capitale finanziato. A sostegno di tale impostazione, l'appellante ha richiamato le deposizioni dei testi Do., Za., Ga., Ma., Bo., Es., Fe., Pi., Gr., Cu. (cfr. atto di appello paragrafo 3.2, lett. a). Ora, non v'è chi non veda come si sia in presenza di considerazioni del tutto inidonee ad inficiare la evidente capacità dimostrativa degli elementi valorizzati dal primo giudice (ai quali - non va trascurato - si saldano le circostanziate accuse del coimputato GI.), trattandosi di obiezioni scarsamente significative, anche per la loro assai limitata consistenza intrinseca. Con riferimento all'inerzia degli organi di controllo, infatti, è decisivo osservare che è proprio la accertata ingerenza dello ZO. nella gestione operativa della banca, per il tramite del d.g. So. ed in forza di una pacificamente accertata sinergia gestionale tra i due, a rendere sostanzialmente irrilevanti, "a monte", le considerazioni difensive predette. Era dalle sistematiche interlocuzioni che l'imputato intratteneva con il d.g. So. (alle quali ha fatto cenno lo stesso imputato nel corso del già citato interrogatorio 22.3.2017), infatti, che il primo acquisiva le informazioni che gli consentivano di "prendere il polso" della banca (ovverosia di monitorare quale fosse la reale situazione dell'istituto di credito, specie sotto i profili finanziario e patrimoniale) e, quindi, di partecipare attivamente (attraverso la condivisione con il d.g. So. delle relative iniziative) alla politica d'impresa, come si è in precedenza evidenziato. Donde lo scarso interesse - se non ai fini della più ampia comprensione delle dinamiche operative degli organi di B. - di indagare quale fosse il livello di conoscenza del fenomeno in esame da parte degli altri membri del Cda, ovverosia di comprendere se costoro (o almeno alcuni di essi) fossero consapevoli di quanto andava accadendo nella erogazione del credito correlato all'acquisto di azioni dell'istituto e delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, oppure si trovassero unicamente in una condizione nella quale la presenza di taluni segnali d'allarme avrebbe loro imposto di procedere a doverosi approfondimenti sul punto (come, peraltro, precisato nelle pronunzie della Suprema Corte di conferma delle sanzioni amministrative irrogate nei confronti di molteplici consiglieri oltre che dei sindaci). Ha davvero poco senso, infatti, ricostruire l'effettivo ruolo rivestito dal presidente nella vicenda delittuosa in esame assimilandone la posizione a quella di qualsivoglia altro membro del CdA, se non allo scopo di accreditare l'inverosimile lettura della vicenda secondo la quale, come s'è detto in apertura, l'imputato sarebbe stato una vittima inconsapevole delle malefatte di un management infedele. In ogni caso, come s'è detto, quelle esposte al paragrafo 3.2 dell'appello sono argomentazioni di ben scarsa, intrinseca significazione probatoria con riferimento alla posizione processuale dello ZO.. Certamente ciò vale con riferimento alla pur indubbia inerzia degli organi di controllo, solo a considerare che tale inerzia è risultata in larga parte dovuta non solo all'inadeguatezza dei meccanismi di controllo interni, specie sotto lo specifico profilo della assenza di autonomia dell'organismo di vigilanza (si veda, sul punto, quanto più oltre precisato con riferimento all'appello proposto da B. in l. c.a.), ma anche alla diretta responsabilità dei vertici aziendali. Quando, infatti, il responsabile dell'Audit, Bo., da tempo avveduto di quanto andava accadendo, aveva manifestato qualche velleità di intervento, erano bastate le "istruzioni" bruscamente impartitegli da So. per farlo desistere da qualsivoglia iniziativa in proposito. In definitiva, quindi, tale inerzia va fatta risalire alla volontà del vertice operativo di B. (ovverosia al So., il quale, nondimeno, come s'è detto, operava in stretta sinergia con il presidente), sicché, sul punto, si è in presenza di circostanza, bensì provata, ma del tutto irrilevante in relazione alla posizione dello ZO.. Il fatto, poi, che il teste Ga. abbia riferito di avere ricevuto dal segretario generale del CdA So. la confidenza che quest'ultimo era pienamente a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato, lungi dal deporre, come vorrebbe l'appellante, in senso favorevole all'imputato, conferma il convincimento che il tema in esame, come già detto, fosse largamente conosciuto (sia pure con differenti livelli di comprensione della relativa entità e delle conseguenti implicazioni) tra i soggetti che, a vario titolo, rivestivano ruoli di responsabilità nell'organigramma dell'istituto di credito, anche se non direttamente coinvolti nella politica di collocamento dei titoli B. (oltre che da tutti i funzionari addetti alla "commercializzazione" dei titoli) e, così, a ben vedere, concorre anch'esso a compromettere, sul piano logico, la posizione dello ZO., a meno che non si voglia ritenere - nel solco della implausibile ricostruzione che è implicita nell'impugnazione - che quest'ultimo sia rimasto vittima di una "congiura" da parte di pressoché tutti i suoi più stretti collaboratori, compresi quelli che neppure indirettamente erano implicati in tale fenomeno, come nel caso di So. (il quale, va precisato, svolgeva una funzione - quella di segretario generale del CdA - che lo qualificava come il più stretto collaboratore della presidenza con specifico riferimento alla attività di direzione del CdA stesso). Di centrale rilievo, infatti, sono le dichiarazioni dello stesso So. dalle quali emerge non solo la risalente, comune consapevolezza del fenomeno in esame in capo all'alta dirigenza di Bp., ma anche il coinvolgimento dei vertici aziendali nella "gestione" della prassi del ricorso alle "baciate". E' anche alla stregua di tali dichiarazioni che, a giudizio di questa Corte, si ricava l'assoluta inverosimiglianza della estraneità del solo ZO. rispetto alla conoscenza di un siffatto fenomeno; - di una lettura della "vicenda Da." secondo la quale la denunzia effettuata da tale socio (il quale, durante l'assemblea - va precisato - aveva esplicitamente chiesto "al Collegio Sindacale ed alla Vigilanza della Banca d'Italia di verificare se nel recente passato la Po.Vi. ha fatto affidamenti o dato garanzie dirette o indirette a soci o non soci affinché questi potessero sottoscrivere in toto o in parte azioni o obbligazioni convertibili della Banca (...)" - cfr. doc. 153 della produzione del P.M.) non avrebbe costituito un serio "campanello di pericolo" perché trascurata tanto dal collegio sindacale (a causa del doloso occultamento dei dati da parte del responsabile Audit, Bo.), quanto da parte degli ispettori di Banca d'Italia (cfr, atto di appello, paragrafo 3.2, lett. b). Osserva, in senso contrario, questa Corte, che se è vero che quanto denunziato da tale socio non ebbe riscontro nell'attività di controllo del Collegio Sindacale (come esattamente sostiene l'appellante, richiamando le deposizioni Za., Fe., Tr., Am. e comunque evocando, a sostegno della tesi secondo la quale tali denunzie non avevano suscitato allarme nei presenti all'assemblea, le deposizioni dei testi Co., Ro. e Do. - cfr. atto di appello, pagg. 60-63), è decisivo osservare - in disparte ogni considerazione in ordine alle ragioni che possono avere indotto gli organi di controllo interno ad adottare una risposta a dir poco inadeguata (essendo davvero difficile dissipare il sospetto di una linea di condotta consapevolmente omissiva, stante la diffusa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato siccome in precedenza descritta) - come contrasti con la logica più elementare ritenere che un presidente tanto presente nella vita dell'istituto e così avvertito delle gravi difficoltà nelle quali si dibatteva il mercato secondario delle azioni B., qual era Zo.Gi., non prestasse la benché minima attenzione alle gravi ed esplicite accuse mosse dal socio Da. se non, per l'appunto, in quanto aventi ad oggetto circostanze tutt'altro che sconosciute e volutamente "silenziate". Questo, a fortiori, ove si consideri debitamente che tale vicenda si inseriva nel medesimo contesto temporale delle analoghe denunzie costituite dagli scritti anonimi pervenuti all'imputato (cfr., a tale ultimo riguardo, infra). Ed è proprio l'esplicito tenore della denunzia del Da. ad impedire di prestare fede alle dichiarazioni - pure ampiamente valorizzate dalla difesa dell'imputato - rese, in sede di rinnovazione dibattimentale, dai testi Ca., Pa., Pa. e Mo., là dove costoro - peraltro interessati, per i ruoli rispettivamente rivestiti in B., ad offrire una siffatta lettura della vicenda - hanno ridimensionato, sotto il profilo della "capacità di allarme", le accuse formulate da tale socio; - della mancata conoscenza, in capo allo ZO., tanto della vicenda relativa alle dimissioni del dipendente Vi., tenuta all'oscuro del Presidente e del CdA per volontà, ancora una volta, del d.g. So. con la complicità di Bo. (cfr. atto di appello, paragrafo 3.2, lett. c), quanto delle lettere anonime inviate a B. negli anni 2013-2014 (cfr. atto di appello, paragrafo 3.2, lett. d). Ebbene, le argomentazioni difensive in ordine alle dimissioni del dipendente Vi. (private banker dimessosi per le pressioni ricevute dalla dirigenza B. affinché promuovesse "operazioni baciate"), secondo le quali lo ZO. mai sarebbe stato portato a conoscenza in modo esaustivo di tale vicenda e delle relative implicazioni, in quanto al predetto ed al CdA sarebbero stati sottaciuti i relativi esiti di indagine a causa dell'intervento dì So. nei confronti del "solito" Bo., sono tutt'altro che persuasive. La difesa, sul punto, ha richiamato le deposizioni Li., Va., Fi., Fe., Ca., Po., Fe., Do., Za. e dello stesso Bo. per sostenere che tale vicenda, "lungi dal costituire un indice di allarme" confermerebbe che lo ZO. non era mai stato notiziato del fenomeno del capitale finanziato (così, nell'appello a pag. 69). Ebbene, anche in tal caso, pare davvero inverosimile che l'imputato non abbia dato peso al contenuto tanto circostanziato della denunzia delle ragioni delle dimissioni del consulente (denunzia trasmessa, via PEC, tanto al presidente, quanto al CdA, quanto, ancora, all'ufficio - Compliance"), specie ove si tenga a mente, da un lato, l'esplicito tenore, davvero allarmante, della segnalazione in questione, puntualmente evocata dal P.G. in sede di requisitoria175 (in effetti, l'avv. Es. aveva riferito che il suo assistito "aveva interrotto il rapporto di lavoro...in considerazione delle irregolarità che gli veniva richiesto di compiere dai funzionari a lui sovraordinati", precisando, al riguardo, che il predetto Vi. "era continuamente richiesto di reperire clienti disposti a sottoscrivere le cd " "operazioni baciate" nelle quali la Banca erogava un finanziamento al cliente a condizioni spesso particolarmente vantaggiose affinché questi acquistasse azioni della banca stessa", soggiungendo, sul punto, che si trattava di un sistema che aveva movimentato "svariati milioni di euro" e del quale il medesimo Vi. aveva verificato "la piena conoscenza da parte di molti funzionari operativi ed anche della funzione del personale al momento di dare le dimissioni e concludendo, infine, come fosse intenzione del proprio cliente rinnovare "ai vertici dell'istituto le segnalazioni all'epoca inascoltate" e mettere "sin d'ora a disposizione", per il tramite dello stesso legale, "tutte le informazioni in suo possesso nell'auspicio che la banca voglia procedere agli opportuni interventi a tutela degli azionisti e della clientela .." - cfr, doc. 420 produzione P.M.); dall'altro lato, la piena padronanza, da parte del predetto, della situazione di grave difficoltà del mercato secondario delle azioni B. (che - va ribadito ancora una volta - costituiva la principale ragione del ricorso al "capitale finanziato"); e, dall'altro lato ancora, la circostanza che il Presidente ZO., letta la predetta denunzia il 7,7,2014, non ne aveva disposto l'inoltro al responsabile dell'Audit Bo. (al quale era poi pervenuta comunque, tramite il responsabile della "Compliance", Fe.), bensì ai soli vertici dell'ufficio legale, avv. Pa., e della Divisione Risorse, Ad.Ca. (soggetti che si andavano ad aggiungere agli ulteriori destinatari già individuati dalla segreteria, So., So., Fe., Gi., Va. e Ro.), così sostanzialmente derubricando la vicenda ad una questione legale relativa al personale (questione, pure, certamente sussistente, ma del tutto trascurabile rispetto alla assoluta gravità di quanto denunziato dal legale del Vi.) o, comunque, ad un reclamo (del resto, la risposta all'avv. Es. era poi stata resa dall'Ufficio Reclami, come precisato dal teste Fe.), né aveva poi chiesto informazioni sugli sviluppi della questione. Il medesimo giudizio di sostanziale irrilevanza, poi, si impone con riferimento alle considerazioni difensive in ordine alle lettere anonime (cfr. atto dì appello pagg. 69-73) che contenevano espliciti riferimenti non solo alle pressioni esercitate per indurre alla sottoscrizione di capitale, ma anche ai finanziamenti all'uopo erogati dalla banca. Questo, senza che possa ritenersi minimamente credibile, quanto alla già citata missiva (doc. 651 produzioni / del P.M.), recante la data dell'11 marzo 2014 e ricevuta il 13 marzo 2014 - / ovverosia alla lettera che conteneva il più esplicito riferimento alle "baciate" ("Presidente, perché continuare in questa folle corsa a dimostrare le forze di una banca che non ci sono o se sembrano esserci derivano da numeri manipolati ad arte. Perché deliberare un aumento di capitale in 15 minuti, senza un consorzio, come aver deciso in quale ristorante andare a mangiare. Perché non capire che i soldi drenati nell'ultimo aumento sono stati tanti e sarà Impossibile ritrovarli anche stressando rete e clienti. Come fai a non sapere che l'ultimo aumento di capitale è avvenuto a forza di finanziamenti di centinaia di migliaia di Euro ad aziende che non potevano dire di no, giustificati dai motivi più svariati. Ma se venisse Banca d'Italia e notasse (verifica più che facile da fare) che l'80% dei prestiti erogati ad aziende è stato, nonostante la richiesta fosse partita con altri intenti utilizzato per sottoscrivere azioni della Banca, cosa potresti direi Non ti sentire intoccabile.....Come fai a pensare di fare un aumento di capitale non rinnovando le obbligazioni in scadenza, stravolgendo il profilo di rischio del cliente, forse siamo la banca che opera più variazioni MIFID in assoluto, che logica che deontologia c'è alla base di tutto questo......invia segnali di lucidità e correttezza altrimenti è giusto che l'opinione pubblica (i giornali) e l'organo deputato (Banca Italia) sappiano cosa è accaduto e cosa sta accadendo") e che era pervenuta in epoca che avrebbe consentito l'adozione di "contromisure", se non tempestive, "meno tardive" - l'ipotesi che di tale corrispondenza il presidente non avesse avuto conoscenza per effetto dì una sorta di "censura preventiva" operata dal d.g. So.. Ciò, in particolare, ove sì consideri: in primo luogo, che, come precisato dal teste di P.G. Ta.Vi., la suddetta missiva era poi stata inoltrata dallo stesso So. ad altri soggetti (segnatamente, al vicedirettore Ca. e al dipendente Va.); e, in secondo luogo - e trattasi, a ben vedere, di circostanza di decisivo rilievo - che la missiva in questione era pervenuta non già a mezzo mail (come sostenuto dalla difesa ZO.) bensì a mezzo posta cartacea e, una volta ricevuta nonché regolarmente protocollata in data 13 marzo 2014 dalla Segreteria della Presidenza B., era stata scannerizzata, (come si desume dall'indicazione "Allegati: scan pdf) per poi essere in tale veste trasmessa, quale allegato, ad una mail inviata dalla Segreteria della. Presidenza B. in data 14 marzo 2014 al d.g. So.. Il tutto è provato per tabulas dal citato doc. 651 del P.M.. Segnatamente, risulta ben chiara l'apposizione, sulla missiva anonima cartacea poi scannerizzata, del regolare timbro di protocollo della Segreteria della Presidenza con data 13 marzo 2014; eloquente è poi, sul fatto che la missiva anonima fosse pervenuta in formato cartaceo a mezzo del servizio postale ordinario, l'oggetto (sul quale v. subito infra) della mail inviata dalla stessa Segreteria, il giorno seguente alla sua ricezione, al d.g. So.. Sicché trova radicale smentita l'ipotesi (più esplicitamente illustrata in sede di discussione, rispetto a quanto adombrato a pag. 71 dei motivi di appello, in difetto, peraltro, di qualsivoglia riscontro che possa emanciparla dal rango di mera illazione) che detto scritto non sarebbe mai stato stampato a beneficio del presidente e, al contrario, sarebbe stato immediatamente inoltrato al d.g. So., in esecuzione di una sorta di censura attuata, in danno dell'imputato, dal d.g., avvalendosi della collaborazione di una segretaria (la dott.ssa Li.) infedele. In effetti, non può certo fondatamente valorizzarsi, a sostegno di siffatta ricostruzione, la mera circostanza che su detta missiva, mai sequestrata (e "recuperata" soltanto in sede di esame dell'account di posta elettronica del So.), non risultassero apposte annotazioni manoscritte dell'imputato. Del resto, anche ove non intendesse prestarsi fede alle dichiarazioni della teste Li., la quale ha riferito che ogni lettera indirizzata al presidente era verificata e collocata, ordinatamente, secondo le priorità desumibili dal contenuto, sulla scrivania dello ZO., senza eccezione alcuna177, la circostanza che la segreteria avesse provveduto a protocollare la missiva in esame, come si ricava dal timbro apposto sul documento, costituisce la più evidente smentita, sul piano logico, della tesi della sottrazione di corrispondenza in danno del giudicabile per effetto di una callida determinazione del direttore generale. Aggiungasi, del resto, che è lo stesso contenuto della mail di trasmissione al d.g. (tanto con riferimento al testo: "Egregio Direttore, come da Sua richiesta..", quanto alla puntuale descrizione dell'oggetto; "Lettera anonima ricevuta il 13 marzo 2014 - timbro postale di Firenze datato 11 marzo 2014 - riservata") a confliggere con la tesi secondo la quale si sarebbe trattato di una trasmissione clandestina, effettuata a tutto discapito del presidente di B.; - della assenza, nell'articolo apparso sul quotidiano economico "Il." del 27 ottobre 2014, a firma Ga., di effettivi riferimenti al fenomeno del capitale finanziato (tale non potendosi ritenere quanto riferito al giornalista dall'imprenditore di Sc.Pa.Tr., il quale aveva dichiarato che, a fronte del proprio rifiuto di acquistare azioni, si era visto ridurre i finanziamenti) e, comunque, dell'assenza di riscontri a quanto denunziato da parte della direzione generale e delle funzioni di controllo, sicché tale articolo non avrebbe potuto, in concreto, rappresentare un "serio e specifico segnale d'allarme" (paragrafo 3.2, lett. e). In proposito, è decisivo osservare, in senso contrario, che tale intervento, effettuato sulla più autorevole testata giornalistica specializzata, aveva prodotto nell'intero settore bancario e, a fortiori, all'interno di B., una vastissima eco. Inoltre, non è affatto vero che detto articolo, pur non facendo esplicito riferimento alle operazioni "baciate", non contenesse un chiaro riferimento al fenomeno del capitale finanziato. Sul punto, infatti, al di là della precisa deposizione resa dal teste ispettore Ga., è dirimente la lettura di tale scritto, dalla quale è possibile direttamente apprezzare come il giornalista, oltre ad affrontare i temi, evidentemente connessi, dell'"anomalia del fondo acquisto azioni proprie" (così, espressamente, nell'"occhiello" dell'articolo), della illiquidità del titolo azionario (definito dall'ex consigliere Consob, Sa.Br., il cui parere era ivi richiamato, un "prodotto palesemente fuori mercato", per effetto di una valutazione del titolo u fuori dal mondo"179) e del valore dell'azione, avesse riportato le dichiarazioni rese da un imprenditore del settore degli imballaggi e delle spedizioni (tale Pa.Tr., di Sc.) il quale aveva sostanzialmente riferito di avere ricevuto la proposta di finanziamento per l'acquisto di azioni ("..A noi sono venuti ripetutamente a offrire azioni dell'istituto in cambio di finanziamenti - Io mi sono rifiutato e dopo pochi mesi mi sono stati ridotti i finanziamenti.."), soggiungendo, peraltro, essergli noto che si trattava di un caso tutt'altro che isolato ("La mia esperienza porta a pensare che non abbiano fatto così solo con le aziende. Questa primavera un mio dipendente aveva bisogno di un mutuo per l'ampliamento di casa, e quando lo ha chiesto si è sentito dire che se avesse comprato azioni della banca gli avrebbero dato un tasso di favore. Altrimenti sarebbe stato molto più alto..."). E' fuori discussione, pertanto, che si trattasse di un articolo che costituiva un serissimo indice di allarme per qualsivoglia vertice aziendale, a fortiori se pienamente consapevole, come lo ZO., della difficoltà del mercato secondario del titolo. Le deposizioni assunte, poi, hanno confermato l'impatto deflagrante che tale pubblicazione aveva avuto, anche all'interno del CdA (là dove, peraltro, in modo assai poco ragionevole, si era discusso, come riferito dal teste Br., di avviare un'azione legale nei confronti del giornalista ancor prima di interrogarsi sulla fondatezza, anche parziale, della notizia). Sicché escludere che tale articolo costituisse (specie per un presidente di certo cosciente della effettiva illiquidità dell'azione B.) un serio segnale d'allerta per l'assenza di un esplicito riferimento alle "operazioni baciate" costituisce ipotesi davvero surreale. Peraltro, è appena il caso di considerare che, nel medesimo periodo (11 novembre 2014), era stato pubblicato, su una testata di autorevolezza e diffusione assolute ("Co."), come ampiamente ricordato supra nel trattare la posizione dell'imputato Ma., anche un altro articolo - prodotto quale fonte aperta dalla difesa dell'imputato Pi. all'udienza del 4.2,2020 - dal contenuto assai allarmante con riferimento a B. (ed a Ve.) nel quale sostanzialmente si denunziava, con dovizia di particolari, l'eccessiva, inverosimile patrimonializzazione delle banche venete per effetto di una attribuzione alle azioni di valori sovrastimati (quanto a B. si ipotizzava un reale valore di 21,90 euro), tanto che - precisava il giornalista, Stefano Righi - le azioni di tali banche erano sostanzialmente "illiquide". Considerazioni del medesimo tenore si impongono - conseguentemente - anche con riferimento alle censure che l'appellante ha mosso alla sentenza impugnata con specifico riferimento alla affermata conoscenza del ricorso al capitale finanziato e, più specificamente, alle "operazioni baciate" (rispettivamente ai punti 3.5 e 3.6 dell'atto di impugnazione), in quanto, anche in tal caso, gli elementi valorizzati dalla difesa non confortano minimamente la lettura dei fatti secondo la quale l'imputato avrebbe ignorato l'esistenza delle "operazioni baciate". Segnatamente, l'appellante ha evidenziato (al paragrafo 3.5): - che, nell'ambito del "campione" di clienti i quali avevano effettuato operazioni "baciate" escusso in dibattimento, pressoché tutti i testimoni avevano escluso un ruolo attivo dell'imputato nel consigliare/proporre tale tipo di operazioni (l'appellante ha richiamato espressamente le deposizioni Fe., Ca.Em., Ca.Pi., Br., Bo., Fa., Fe., Bu., De., Da., Va., Ro., Br., Ta., Fa., Ma., Ri., De., Co., Ti.Da., Ti.An., Ma., Tr., Se., To., Ba., Se., Ca. - paragrafo 3.5, lett. a):). Ebbene, la circostanza che non fosse stato lo ZO. a proporre/consigliare tali operazioni ai testimoni evocati dalla difesa, non riveste alcun significato, solo a considerare che le proposte in tal senso erano solitamente avanzate, alla migliore clientela, non già dal presidente, bensì dalla più alta dirigenza commerciale dell'istituto (si pensi a quanto avvenuto con riferimento alla operazione sottoscritta dal coimputato ZI. ed a questi proposta dal GI., il quale ultimo, del resto, ha anche dettagliatamente descritto il contesto - spesso un appuntamento al domicilio dei migliori clienti - nel quale venivano formulati gli inviti all'acquisto delle azioni B.). Peraltro, va rammentato che il teste Ro. ha dichiarato che l'imputato, in occasione di incontri conviviali, lo aveva ripetutamente rassicurato che non avrebbe avuto problemi in relazione alla operazione (una "baciata" per l'importo di 5 milioni di euro) che aveva effettuato. Sebbene detto teste non abbia affermato con certezza di avere citato, nelle interlocuzioni con l'imputato, tate finanziamento ("certamente si ma non è venuto il presidente Zo. a chiedermi di fare questo finanziamento....Si parla delle azioni ma non proprio del finanziamento. Io non mi ricordo, può essere che abbiamo parlato anche di questa operazione..."), ha comunque riferito che si trattava di un presupposto implicito ("Erano tutte sottintese. Tutti i finanziamenti erano/ operazioni che si facevano, e che non avevamo bisogno...io non lo facevo, ripeto, a scopo di lucro, lo facevo per avere un buon rapporto con la banca ..."); - che le c.d. "cene di Lo." altro non erano che sporadici appuntamenti conviviali nel corso dei quali mai il presidente aveva fatto cenno, in alcun modo, al fenomeno in esame (e, al riguardo, nell'appello si richiamano le deposizioni Mo., Lo.Tr., Ra.Gi. e Ra.Si., sottolineando, per contro, l'inattendibilità di quanto riferito da Lo.Tr. e da Lo.Da. - paragrafo 3.5, lett. b). A ben vedere, che non si affrontasse esplicitamente il tema del capitale finanziato in occasione di tali cene è circostanza assai poco significativa, tenuto conto proprio del contesto conviviale in questione (che induceva a non parlare di "banca", ovverosia "di lavoro", come precisato dal teste Mo.181). Nondimeno, tanto Ra.Gi. quanto Ra. Silvano hanno riferito che, al margine di tali eventi, erano soliti chiedere garanzie al presidente, il quale non mancava di tranquillizzarli, circostanza che, tenuto conto della serietà dell'imputato e dell'importanza" di tali interlocutori (i quali detenevano un pacchetto di azioni per circa 90 milioni di euro), induce ragionevolmente ad escludere che il giudicabile ignorasse la tipologia di operazione da costoro effettuata. Peraltro, il teste Ra. ha pertinentemente osservato, per confortare la tesi secondo la quale le rassicurazioni che lui stesso ed il fratello sollecitavano dallo ZO. non riguardassero affatto, in generale, la tenuta dell'azione, bensì "le loro operazioni correlate", come non avrebbe avuto alcun senso, all'epoca, dubitare sulla tenuta del titolo di B. (""Zo., in queste occasioni, ci tranquillizzava dicendoci che, finché c'era lui in banca, non avremmo dovuto preoccuparci di niente. Questo tipo di rassicurazioni ce l'ha data in più di una occasione anche prima delle assemblee degli azionisti. Evidenzio che, come ho già precisato, noi non avevamo finanziamenti o ragioni di esposizioni con fa banca ai di fuori delle operazioni che ho descritto. Pertanto le rassicurazioni di ZO. erano chiaramente rivolte a queste operazioni proposte da So. e GI., peraltro quanto ZO. ci dava queste rassicurazioni facevamo esplicito riferimento alle "operazioni concluse"(....) Rammento che mi rivolgevo a ZO. con espressioni del tipo "Presidente, possiamo stare tranquilli sulle operazioni che abbiamo fatto?" Di sicuro non parlavamo di informazioni sulla tenuta dell'azione. Del 1 resto, net 2012 (ovverosia quando avevano iniziato ad interrogare l'imputato, la loro prima operazione finanziata essendo collocabile nel 2011) nessuno sollevava dei dubbi sulla tenuta in sé dell'azione,."182). Pertanto, da tali deposizioni non si ricava affatto l'inattendibilità di quanto dichiarato dal teste Lo.Tr. in ordine alle rassicurazioni dallo stesso ricevute da So. e da Gi. circa il fatto che il presidente fosse consapevole delle "operazioni baciate"; - che dal contenuto delle deposizioni degli "amici del presidente" Ca., Ri., Ir., Ra.Fo. e Be.De. e del familiare dello ZO., Zu., non si sarebbero potuti affatto ricavare elementi a carico dell'imputato (paragrafo 3.5, lett. c). Per contro, ad avviso di questa Corte, il tribunale ha convincentemente valorizzato tali deposizioni. Quanto al Ca., avendo questi goduto di tassi vantaggiosi per il rinnovo dei "time deposit" ed essendo destinatario di due lettere di impegno (a fronte di un prestito obbligazionario) che gli garantivano un rendimento determinato previa esplicita autorizzazione di ZO., trattasi di deposizione che, in ogni caso, evidenzia l'ingerenza dell'imputato nella operatività della banca con riferimento ai "grandi investitori". La deposizione del Ri., amico di vecchia data dell'imputato, poi, è tutt'altro che generica là dove riferisce che lo ZO., appreso che costui aveva sottoscritto un acquisto finanziato di azioni B. per 150.000 Euro, si era dimostrato compiaciuto. Altrettanto dicasi per quanto riferito dallo Zu., posto che lo strettissimo legame familiare intercorrente con l'imputato rende davvero irrealistico ritenere che quest'ultimo non conoscesse la fonte della provvista impiegata dal cognato per l'operazione, ancorché questi abbia poi sostenuto di non averlo ragguagliato dì tale acquisto di azioni. In ogni caso, qualora, come sotteso all'impostazione difensiva (ed esplicitato in sede di discussione, là dove, come s'è detto, si è ricostruita la vicenda sub iudice prospettando una i sorta di "isolamento" dello ZO. posto in essere dal d.g. So. il quale, interessato a gestire detto fenomeno all'insaputa del presidente, avrebbe eretto un muro invalicabile tra costui e l'alta dirigenza della banca), il d.g. So. avesse realmente inteso mantenere all'oscuro il presidente circa il ricorso alle operazioni baciate, sarebbe stato davvero assurdo che contratti di tal genere fossero stipulati con un soggetto tanto legato allo ZO. quale, per l'appunto, il di lui cognato. La deposizione delle teste Ir., poi, per quanto stringata, non può affatto ritenersi irrilevante, avendo comunque la donna riferito di avere intavolato proprio con lo ZO., il quale l'avrebbe poi dirottata sul d.g., la trattativa che sarebbe sfociata in una "baciata" da 3,5 milioni. Inoltre, quanto al Be.De., se è vero che questi ha sostenuto di non avere mai parlato con il presidente delle proprie "baciate", vanno richiamate le contrarie dichiarazioni rese dai testi Gi. e Ba., siccome già valorizzate dal primo giudice in ordine alla conoscenza, in capo al giudicabile, delle operazioni finanziate riferibili a tale socio. In particolare, va precisato che, come affermato dal teste Gi., il Be., da un lato, era in strettissimi rapporti con l'imputato (con il quale era solito incontrarsi finanche durante le vacanze); e, dall'altro, era un'"diffusore" della banca, un "portatore di contatti" (o, come riferito dal Gi. alla stregua dell'efficace espressione con la quale lo stesso Be. era solito definirsi, "un soldato della banca") nel senso che si impegnava per la promozione dell'istituto su nuovi territori (segnatamente, la Lombardia), sicché si è in presenza di specifici elementi di fatto che rendono davvero impensabile che lo ZO. non fosse a conoscenza degli investimenti in titoli B., finanziati dall'istituto, effettuati da tale soggetto. Peraltro, non ci si può esimere dal sottolineare che il Be.De. - il quale, secondo il Gi., nell'aprile del 2015, dopo la svalutazione del titolo, aveva telefonato manifestando veementemente tutto il proprio disappunto185 - richiesto di riferire quale fosse stato il tenore del colloquio che, portatosi fino a Vicenza, aveva intrattenuto, proprio nel predetto mese di aprile, con il presidente Zo., ha assai poco persuasivamente riferito di non serbare memoria dell'episodio (...Non rammento gli argomenti di detto colloquio con Zo. ..."). Infine, che il tribunale abbia omesso di considerare le deposizioni Ha. e Ra.Fo. discende dalla sostanziale irrilevanza di tali dichiarazioni (attesa la genericità di quanto riferito dall'Ha. e considerato che dall'estraneità del presidente rispetto all'operazione effettuata dal Ra.Fo. non è certo arguibile il difetto di conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte dello ZO.). Del resto, non può certo trascurarsi di considerare che opportunamente il primo giudice ha valorizzato la deposizione di Se.Pi., assai significativa circa la conoscenza delle "badate" da parte del presidente, senza che possa svalutarsi detto contributo dichiarativo sul presupposto, sotteso all'impostazione difensiva, di una indimostrata ostilità successivamente maturata da tale teste verso il giudicabile (ostilità, peraltro, che sarebbe dovuta essere di intensità tanto accesa da giustificare dichiarazioni false così gravi, specie tenuto conto dello stretto legame di amicizia tra il teste ed il figlio dell'imputato), ovvero sulla base delle incongruenze parimenti segnalate dalla difesa, a ben vedere trascurabili e, comunque, agevolmente spiegabili (e spiegate dallo stesso testimone, quanto alla questione della telefonata tra So. e ZO., come frutto di un refuso188; e, quanto all'incontro a castello d'Albola, in ragione di un progressivo affioramento dei ricordi, peraltro obiettivamente ragionevole in relazione a vicende tanto complesse. Del resto, il teste ha riferito che aveva soggiornato più volte presso tale residenza, sicché, anche sotto tale profilo, il mancato iniziale ricordo non può destare particolare sorpresa); - che, tra i familiari del presidente i quali (a differenza, peraltro, dell'imputato, della sua stretta famiglia e delle aziende del gruppo) avevano compiuto operazioni "baciate", era soltanto annoverabile il già evocato Fr.Zu., il quale, come visto, aveva riferito di non aver mai parlato di operazioni correlate con il presidente della banca (paragrafo 3.5, lett. d). Trattasi, com'è evidente, di circostanza di nessun rilievo sul punto, non essendo in discussione la effettività dell'apporto di capitali "reali" fornito dallo ZO. e dai suoi familiari alla banca; - che la "vicenda Ma." (inerente all'acquisto di azioni B. con finanziamento della banca) vedeva del tutto estraneo lo ZO. (paragrafo 3.5, lett. e). E' agevole osservare, in proposito, che l'estraneità dell'imputato ad una specifica operazione non rileva affatto, sotto il profilo probatorio, con riferimento alla questione in esame, inerente alla conoscenza di un ben più vasto e radicato fenomeno; - che dall'esame dei dirigenti e dei funzionari B. i quali, a diverso titolo, avevano contribuito alla diffusione del fenomeno del capitale finanziato non emergevano affatto elementi di responsabilità a carico del presidente, non avendo costoro mai parlato con ZO. delle "operazioni baciate" o, comunque, ascoltato il presidente affrontare tale argomento (l'appello, sul punto, ha richiamato le deposizioni Ri., Gi., Tu., To., Se., Pa., Ro., Cu., Ba., Te., Ve., Ca., Da., Pi., Bosso, Ip., Gi.n, Ma., Si., Ni., Pr., Ro., Be., St., Sa., Me., Ta., Pa., Gi., Ba. - paragrafo 3.5, lett. f). Ebbene, fermo restando che, come già anticipato, le dichiarazioni dei funzionari di B. scontano un più o meno marcato deficit di affidabilità; tenuto conto del differente grado di coinvolgimento di taluni di costoro in "segmenti", anche importanti, della operatività illecita di B. (pur se non accompagnato dalla consapevolezza della vastità di tale prassi e delle relative implicazioni), si è in presenza, in ogni caso, di deposizioni che, con specifico riferimento alla posizione dello ZO., risultano davvero di trascurabile rilievo, posto, per un verso, che il presidente non si occupava certo delle singole operazioni finanziate; e, per altro verso, che costui, come ripetutamente evidenziato, non intratteneva rapporti diretti (se non in casi assolutamente sporadici), con i funzionari della banca, limitandosi ad interloquire unicamente con i massimi vertici operativi (e, segnatamente - lo si è già detto - con il d.g.). In ogni caso, sebbene il teste Pa. non abbia riferito di avere assistito al diretto coinvolgimento dell'imputato in discussioni inerenti alle operazioni "baciate", la deposizione di costui merita dì essere evidenziata, provenendo da un alto funzionario di B. che, non essendo in alcun modo coinvolto direttamente nella operatività in esame (trattandosi di vicedirettore della divisione marketing), risulta obiettivamente attendibile: "..TESTIMONE PA. - Allora, sicuramente questo tipo di operatività e questo tipo di operazioni con gli imprenditori era impossibile che né il Presidente, né So.", non ne fossero a conoscenza. Era evidente perché? Perché parlavano con gli imprenditori quotidianamente, sotto tanti aspetti, che potevano riguardare una sponsorizzazione o un evento o c/n... Cioè, c'era un forte legame col territorio, quindi gli imprenditori parlavano continuamente con Zo., li vedevo comunque entrare in banca e andare a parlare comunque con i vertici della banca. Quindi è impensabile che non ci fosse consapevolezza di quello che stava accadendo e di questo tipo di operazioni, proprio per il ruolo che avevano sia il Presidente, sia So., nella gestione della banca..." (cfr. dep. Pa., udienza 10.9.2020, pag. 52); s che né gli organi dì controllo interno (Audit, Comptiance, Risk Manager) e neppure i membri del collegio sindacale e del CdA avevano reso deposizioni a carico dello ZO. circa la conoscenza del capitale finanziato (paragrafo 3.5, lett. g). In proposito, si è in presenza di considerazione bensì fondata sulla corretta lettura delle deposizioni di riferimento, ma, anch'essa, in concreto, di scarsi significazione. In disparte, anche in tal caso, l'attendibilità di contributi dichiarativi provenienti da soggetti coinvolti indirettamente (per i doveri di controllo su di loro incombenti) nei fatti sub iudice - soggetti i quali, ammettendo la conoscenza del fenomeno delittuoso in capo a ZO., avrebbero inevitabilmente finito per coinvolgere le loro stesse persone in un ambito di responsabilità di tipo quantomeno "morale" - è dirimente la considerazione, già ripetutamente espressa in precedenza, in ordine al fatto che era al di fuori del perimetro del CdA - e, segnatamente, in occasione delle continue interlocuzioni con il d.g. So. - che l'imputato affrontava le questioni più delicate; - che, infine, il solo GI., tra tutti i coimputati, aveva reso dichiarazioni che attribuivano allo ZO. la consapevolezza di tale fenomeno, non ricavandosi dalle dichiarazioni degli imputati PI., MA. e PE. alcunché di pregiudizievole per il presidente (paragrafo 3,5, lett. j); Ebbene, anche in tal caso, quello segnalato dall'appellante è un elemento di ben scarso peso, tenuto conto della veste processuale dei predetti soggetti e del convergente obiettivo difensivo di costoro di "scaricare" ogni responsabilità sul d.g., invocando, in loro favore, analogamente all'imputato ZO., profili di più o meno marcata inconsapevolezza del fenomeno in questione; - che da quanto sostenuto dal coimputato MA. e dal dirigente Ca. nel corso delle conversazioni di cui alle intercettazioni, rispettivamente, n. 259 e 526, si ricaverebbe la mancata conoscenza, in capo al presidente, del capitale finanziato (ancora paragrafo 3,5, lett. j). Al riguardo, valgano le seguenti considerazioni. Della telefonata n. 526, intercorsa tra Ca. e Cu., s'è già detto, sicché si rimanda alle considerazioni svolte sul punto. Quanto, poi, alla conversazione n. 259, svoltasi tra il coimputato MA. e il responsabile Audit Bo. - conversazione, peraltro, che, come s'è detto, costituisce significativa espressione del tentativo di quest'ultimo di farsi da tramite con il primo per indurlo a modificare quanto riferito in sede di audit poiché pregiudizievole per il presidente - deve osservarsi come il mancato esplicito riferimento al nome dello ZO. quale soggetto informato del fenomeno in esame (secondo quanto riferito al medesimo MA. dal So.) appaia di rilievo davvero trascurabile. Anzi, a leggere con la dovuta attenzione la trascrizione del colloquio (del quale, di seguito, si riportano i passaggi più significativi, rimandandosi, per il resto, alla perizia di trascrizione) è possibile cogliere come il medesimo MA. avesse interpretato proprio in tal senso (l'unico ragionevole, del resto) l'indicazione del So. di avere informato - chi di dovere", dando, per l'appunto, per "scontato" che il d.g., con tale espressione, intendesse effettivamente riferirsi al presidente: (......) Omissis (......) E, del resto, lo stesso MA., in occasione dell'esame reso nel corso del giudizio di primo grado, si è univocamente espresso in tal senso (cfr. esame Ma., udienza 16.6.2020, pagg. 18-19). - che dall'appunto manoscritto riguardante Em.Gi. sequestrato presso l'ufficio del presidente si ricaverebbe, ancora una volta, come costui fosse all'oscuro del fenomeno delle baciate. Al riguardo, deve osservarsi, in senso contrario, che desumere dall'intitolazione ("Dichiarazioni Gi.") e dal contenuto degli appunti redatti dall'imputato in occasione dell'incontro con il coimputato del 4.5.2015 - in atti quale doc, 857 del P.M. - l'ignoranza da parte del presidente dell'argomento affrontato in occasione di detto incontro è conclusione tanto ardita da non richiedere specifica confutazione: l'imputato, infatti, aveva tutto l'interesse a manifestare la propria estraneità all'accaduto (di cui, peraltro, in occasione di detto colloquio, secondo quanto riferito dal GI., non aveva potuto negare una sia pur parziale conoscenza, quella, per l'appunto, delle "baciate parziali"). Quindi (al successivo paragrafo 3,6), l'appellante ha sostenuto come l'ignoranza da parte dello ZO. della prassi delle "operazioni baciate" potesse ricavarsi da una serie di elementi emersi nel corso dell'istruttoria e, in particolare, ha evidenziato: - che lo ZO. non si ingeriva affatto nella vendita delle azioni (paragrafo 3.6, lett. b), non deponendo in senso contrario l'interessamento rispetto alla operazione di vendita delle azioni detenute dal coimputato ZI., trattandosi di una operazione effettuata da un membro del CdA e che, parimenti l'imputato non si interessava, se non nell'ambito di una normale interlocuzione propria di un "presidente scrupoloso", dell'andamento della divisione estero (paragrafo 3.6, lett. c). Trattasi, anche in tal caso, di considerazioni sostanzialmente irrilevanti. Il mancato coinvolgimento del presidente nel collocamento delle azioni e l'assenza di ingerenza nella gestione degli investimenti esteri, infatti, discendono unicamente, in termini di evidenza, dal ruolo non operativo dell'imputato (fermo restando, peraltro, quanto emergente dalla mail, più oltre richiamata, inerente all'incremento della partecipazione azionaria "delle Za."); - che il commento effettuato nel CdA 11.11.2014 relativo all'articolo de "Il." che aveva messo in dubbio il valore dell'azione - commento caratterizzato dal biasimo per lo scritto, in ragione delle modeste oscillazioni del titolo B. rispetto a quelle di altri titoli bancari - deponeva nel senso della buona fede dell'imputato (paragrafo 3,6, lett. d). Ebbene, degli effetti della pubblicazione del menzionato articolo si è già detto. L'effettiva buona fede dell'imputato, a ben vedere, avrebbe implicato una ferma richiesta di approfondita indagine, non già una reazione scandalizzata (peraltro del tutto contraddittoria con la già evidenziata piena consapevolezza delle condizioni critiche del mercato secondario); - che le dichiarazioni rese dal funzionario Gi. - là dove costui aveva riferito che il presidente aveva dato l'indicazione di sostenere con finanziamenti i soci intenzionati a vendere il titolo - non si sarebbero dovute interpretare come inerenti ad una operazione di finanziamento correlato (in questo caso ex post), bensì come un ausilio economico prestato, in attesa della realizzazione della vendita, a coloro che, per bisogno dì liquidità, intendevano liberarsi dell'azione (paragrafo 3.6, lett. e). In proposito, vale osservare, in senso contrario, che l'interpretazione data dal primo giudice delle dichiarazioni rese dal Gi. è la più coerente con le complessive emergenze istruttorie in ordine alla più volte evocata cognizione, da parte dello ZO., della sostanziale illiquidità del titolo B.; - che i documenti richiamati, in sentenza, per avvalorare il ruolo operativo svolto dall'imputato non predicavano affatto in senso coerente con l'ipotesi d'accusa. E, al riguardo, l'appellante ha richiamato, in particolare, gli appunti So., la mail del 25.9.2010, nonché i documenti nn.ri 322 e 320 della, produzione del p.m, (paragrafo 3.6, lett. f). Ora, la lettura "neutra" offerta dalla difesa dei documenti citati alle pagg. S63 e ss. dell'atto di appello è, per l'appunto, "neutra" (peraltro, il documento 320 del P.M. - ovverosia la mail nella quale Ro. scriveva a Ro. che il presidente sosteneva "che occorre incrementare il possesso azionario delle Za." - ovverosia di soggetti che erano "soci storici" - obiettivamente orienta nel senso dell'ingerenza dell'imputato in temi operativi di rilievo); - che quanto affermato nel corso della seduta del comitato di direzione 10.11.2014, con specifico riferimento all'incontro previsto tra il Presidente e la "fondazione Lucca", non era inerente alla ricerca di un interlocutore che, acquisendo azioni B., potesse contribuire alla pratica di "svuotafondo"(ancora paragrafo 3.6, lett. f). Diversamente, deve osservarsi che è la lettura delle interlocuzioni immediatamente precedenti, inerenti proprio al predetto tema dello "svuotafondo", a rendere decisamente più ragionevole che tale fondazione potesse essere coinvolta in tale operatività in occasione del prossimo incontro che il presidente, di lì a poco, avrebbe avuto con i vertici di tale ente (senza che alla congiunzione "però" possa attribuirsi significato dirimente in senso contrario. E, in ogni caso, trattasi di circostanza di ben trascurabile rilievo); - che i rapporti con il d.g. So. non potevano affatto essere letti in termini di "insana complicità" tra i due e che i messaggi SMS valorizzati in sentenza (nn.ri 653, 654, 655) non erano passibili di univoca interpretazione, a quella proposta dal tribunale affiancandosi quella, opposta, secondo la quale si sarebbe trattato di comunicazioni volte a sollecitare il d.g. a "spianare la strada" ai finanziamenti", non già a sollecitare il medesimo d.g. a riferire allo ZO. che detti finanziamenti erano specificamente destinati all'acquisto di azioni B. (paragrafo 3.6, lett. g). A ben vedere, la ricostruzione difensiva dei rapporti con So. - ricostruzione secondo la quale tali rapporti sarebbero stati espressione di reciproca stima e non già di "insana complicità" - è coerente con una lettura praticabile solo sul piano astratto, ovverosia avulso dal complessivo panorama probatorio acquisito al giudizio. Trattasi, infatti, di lettura che, non appena "calata" nel reale contesto operativo siccome delineato dalle emergenze istruttorie, trova piena smentita nelle evidenze fattuali disponibili (ivi compreso il trasparente tenore delle comunicazioni intercettate effettuate dal d.g. So.), oltre che nelle considerazioni logiche in precedenza evocate. - che le intercettazioni valorizzate a carico dello ZO. non erano significative (paragrafo 3.6, lett. h), perché generiche (è il caso della conversazione del 26.8.2015 tra Zi. e Ba. nella quale si diceva che So. e Zo. "viaggiavano a braccetto"), ovvero perché inattendibili (in quanto inerenti a conversazioni tenute da soggetto - il d.g. So. - interessato a sminuire il proprio ruolo, coinvolgendo il presidente), ovvero ancora perché inerenti a tematiche differenti dal capitale finanziato (è il caso della conversazione n. . 300 intercorsa tra il d.g. e la segretaria di ZO., relativa all'aumento di capitale). Ora, delle comunicazioni intercettate intrattenute da So. e delle relative affidabilità e concludenza si è già detto, sicché non resta che rinviare alle considerazioni esposte al riguardo. Analoghe considerazioni debbono svolgersi con riferimento alla citata conversazione intercorsa tra il coimputato ZI. e Ba., di significato tutt'altro che vago ed opinabile, considerata la conoscenza che lo ZI., in ragione del ruolo ricoperto, aveva delle modalità operative del presidente; - che la risoluzione del rapporto con il d.g. So. non era stata una iniziativa personale ma era stata preceduta da incontri con PI., GI. e con l'ispettore Ga. e dall'ascolto del parere dei legali Do., An., Am., alla presenza dei consiglieri Br. e Ma.. In ogni caso, come anche diffusamente ribadito nelle "note scritte sulla rinnovazione istruttoria" (cfr, pagg. 33-34), si era trattato di decisione assunta con la necessaria rapidità, nel solco delle indicazioni di Bc., come precisato dal teste An. (cfr, dep. An., udienza 5.7.2022, pag. 31), nell'interesse esclusivo dell'istituto di credito, e nel rispetto delle indicazioni fornite dagli ispettori. Quanto alla clausola di riservatezza era un dettaglio neutro, funzionale ad assicurare il necessario riserbo (paragrafo 3.6, lett. i). Ebbene, anche sul punto non può che rinviarsi a quanto già in precedenza evidenziato in ordine al significativo e pressoché esclusivo protagonismo dell'imputato nella gestione dell'uscita di scena del direttore generale, gratificato con un trattamento economico inspiegabile ed illegittimo, con fa doverosa precisazione che l'acquisizione del parere di alcuni esponenti di vertice del CdA versati in materie giuridiche nulla toglie alla riferibilità allo ZO. delle modalità di definizione dell'accordo. Se, infatti, la decisione di operare una soluzione di continuità può ragionevolmente ricollegarsi anche ai desiderata di Bc., sono le concrete modalità di attuazione dell'allontanamento (e, in particolare, la ricchissima "buonuscita") a legittimare - unitamente, beninteso, al complessivo quadro probatorio disponibile - la interpretazione di tale evento datane dal primo giudice (ovverosia, l'intenzione dell'imputato di "comprare il silenzio" del direttore generale). E, sul punto, non può non richiamarsi la conversazione intercettata n. progr 271 del 6.9.2015, in precedenza evocata, nella quale si faceva riferimento ad un "patto di non aggressione" stipulato tra ZO. e So.; - che i rapporti intrattenuti con taluni clienti, in realtà, non dimostravano il coinvolgimento del presidente nella vicende gestorie e neppure la conoscenza del capitale finanziato: così era per Pi., a leggerne bene la deposizione ed a valutarne attentamente l'attendibilità; così per Be.De., il quale aveva negato di avere parlato con ZO. delle operazioni correlate, smentendo così quanto riferito, de relato, dal teste Gi.; così per la Ir. e per i fratelli Ra.; così, infine, per Gi.Ro. (paragrafo 3.6, lett. j). Ebbene, anche sul punto si impone il rinvio alle considerazioni in precedenza spese; - che l'imprenditore catanese Co. aveva negato di avere parlato di finanziamenti per l'acquisto di azioni B. con ZO. e che, ogni caso, il presidente, nell'occasione dell'incontro con il predetto Co., si era limitato a dirottare l'interlocutore sul vicedirettore GI. (ancora paragrafo 3.6, lett. j). Al riguardo, osserva questa Corte che l'interlocuzione con l'imprenditore catanese Co. è stata puntualmente ricostruita e convincentemente interpretata dal primo giudice. Il chiamante in correità, del resto, in sede di rinnovazione istruttoria nel giudizio di appello (nel memoriale e, quindi, nell'esame), ha fornito una versione dell'episodio in questione del tutto coerente con la lettura offertane nella sentenza impugnata. Pertanto, le stringatissime, contrarie dichiarazioni del Co. acquisite nel corso del giudizio di primo grado non valgono ad incrinare tale interpretazione dell'episodio (interpretazione, peraltro - va doverosamente sottolineato - avvalorata dal tenore del fife audio all'uopo valorizzato dal primo giudice, posto che l'invito alla prudenza effettuato dallo ZO. nel corso del colloquio ha senso unicamente ove l'acquisto delle azioni B. richiesto dal Co. avesse dovuto avere luogo proprio attraverso un finanziamento da parte dell'istituto di credito); - che i rapporti intrattenuti, per mere ragioni professionali, con il gestore private Ri., tra i maggiori artefici di operazioni baciate, non implicavano affatto che lo ZO. fosse a conoscenza delle operazioni compiute da costui (paragrafo 3.6, lett. k). Ora è bensì vero che gli stretti rapporti intrattenuti con il gestore private Ri. non implicavano necessariamente che l'imputato conoscesse la tipologia di operatività attuata da tale gestore (uno dei massimi promotori di "operazioni baciate"); trattasi, nondimeno, di legami che rendono certamente ragionevole una siffatta conclusione, peraltro coerente con quanto riferito da Ti.Da. (là dove questi, cliente del Ri., ha dichiarato, ancorché in relazione ad un fatto avvenuto nei primi mesi del 2015, che il predetto gestore gli aveva garantito di avere parlato allo ZO. delle operazioni "baciate" effettuate dal medesimo Ti., ottenendo dal presidente la rassicurazione che tali operazioni sarebbero state "chiuse", secondo la volontà del cliente). In definitiva, riassumendo: la difesa ha sistematicamente valorizzato elementi tutt'altro che legittimanti, in relazione alla posizione dell'imputato ZO., una lettura della vicenda processuale differente da quella accolta nella sentenza impugnata. Non solo, infatti, nessun dato probatorio addotto a sostegno della tesi difensiva è idoneo a dimostrare la asserita inconsapevolezza, da parte dell'imputato, del "capitale finanziato", ma neppure ad inficiare, indebolendola, la capacità dimostrativa degli elementi raccolti a carico del giudicabile, consentendo una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella posta a fondamento dell'ipotesi d'accusa che sia dotata di minima verosimiglianza. In effetti, non v'è alcuna tra le numerose circostanze evocate nell'impugnazione che si ponga in termini di reale incompatibilità (e, a ben vedere, neppure di significativo contrasto) con l'impostazione d'accusa, neppure quella, pure obiettivamente suggestiva, costituita dalla decisione di investire consistenti risorse personali nelle azioni dell'istituto e dalla quale dovrebbe trarsi, a lume di ragione, la mancata consapevolezza del fenomeno del capitale correlato da parte dell'imputato. A tale ultimo riguardo, invero, è agevole osservare, in senso contrario, che lo ZO. era responsabile da anni, al più alto livello, della guida dell'istituto di credito, avendo ispirato tutta la politica industriale e commerciale di B., all'immagine della quale, peraltro, aveva indissolubilmente legato il proprio prestigio di imprenditore e di vero e proprio "rappresentante" del territorio, l'istituto di credito avendo finito per assumere, nell'immaginario locale, a torto o a ragione, i connotati di una sorta di "istituzione" del luogo. Il giudicabile, pertanto, non era minimamente nelle condizioni di liquidare (e neppure di ridurre) le partecipazioni azionarie detenute nella banca, pena la plateale sconfessione di tutta la propria gestione e la conseguente denunzia della condizione di crisi insanabile nella quale tale sconsiderata conduzione aveva precipitato l'istituto di credito. Peraltro, non è inutile osservare, sotto tale profilo, che le evidenze istruttorie hanno restituito il quadro di un imputato che, a lungo e fin quasi alle soglie del deflagrare dello scandalo, ha ritenuto di poter traghettare l'istituto al di fuori della situazione di crisi - evidentemente sottovalutata nella sua gravità - che attanagliava B. e, questo, finanche confidando nella propria capacità di orientare, nel senso auspicato, quella radicale riforma del settore del "credito popolare" che, oramai, si prospettava come ineludibile, tenuto conto della situazione di comune difficoltà che attanagliava l'intero comparto. Per contro, la tesi dell'ignoranza, da parte dell'imputato, non solo delle eclatanti dimensioni del fenomeno del capitale finanziato, ma finanche dell'esistenza stessa di detto fenomeno, tesi che si tenta di accreditare nell'atto di impugnazione (nell'evidente consapevolezza, del resto, che una siffatta conoscenza avrebbe comunque integrato i presupposti per l'adozione di doverose contromisure da parte del soggetto cui istituzionalmente competeva la rappresentanza dell'ente e la conduzione del CdA) contrasta radicalmente tanto con le emergenze probatorie valorizzate dal primo giudice ed in precedenza richiamate, quanto con le evidenze sopravvenute nel corso del giudizio di appello (segnatamente, la chiamata in correità effettuata dal coimputato GI.) e con la relativa, razionale interpretazione. L'unica lettura dei dati disponibili logicamente sostenibile, infatti, orienta univocamente, nei dovuti termini di certezza processuale, nel senso non solo della consapevolezza, in capo all'imputato, della prassi del ricorso al finanziamento dell'acquisto di azioni proprie da parte dell'istituto di credito e delle conseguenti, inevitabili implicazioni delittuose in termini di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, ma anche in quello della cosciente partecipazione dello ZO. a detta operatività delittuosa, in termini di concorso dell'imputato con il d.g., nella decisione di ricorrere a tale prassi nella speranza di superare, in tal modo, la crisi in cui versava B., o comunque, di differirne nel tempo la manifestazione, in tal guisa non compromettendo la propria immagine di presidente simbolo della banca (cfr. in ordine ai requisiti del contributo del compartecipe alla consumazione del delitto di aggiotaggio, consistente anche in un contributo agevolatore tradottosi nel rafforzamento del proposito del correo, Cass. Sez. V, n. 9369 del 20.11.2013, Tonini; ma altrettanto può dirsi, coerentemente con i principi generali in materia di concorso di persone nel reato, con riferimento alle ulteriori ipotesi delittuose contestate). Questo, in considerazione della effettiva co-gestione, da parte dello ZO., dell'istituto di credito, quantomeno con riferimento alle iniziative ed alle decisioni più impegnative, siccome inequivocabilmente delineata dalle acquisizioni istruttorie. 14.1.4.2.3 La partecipazione dello ZO. all'operatività delittuosa: brevi considerazioni conclusive. In altri e decisivi termini - e concludendo sul punto - l'affermazione di penale responsabilità di Zo.Gi. in ordine alla partecipazione del predetto giudicabile alla commissione dei delitti di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto siccome oggetto di addebito non trova affatto semplicistico fondamento nell'astratto richiamo al ruolo di vertice da questi occupato nell'organizzazione gerarchica d'impresa (ovverosia in un elemento che, di per sé, avrebbe potuto unicamente giustificare l'inferenza abduttiva posta a fondamento di una ragionevole ipotesi d'accusa) ed ancora meno, come da ultimo sostenuto dalla difesa (cfr. '"note scritte di discussione", pagg. 47-48), in una acritica adesione, da parte del primo giudice, ad una impostazione d'accusa espressione di una "cripto-contestazione di associazione per delinquere", fondata su elementi evanescenti quali "un alone di generico autoritarismo oppure la "tendenziale nocività per Banca" delle prospettive espansionistiche della strategia d'impresa dell'imputato, bensì riposa saldamente, all'esito della doverosa sperimentazione nell'agone dibattimentale, sull'esito positivo della scrupolosa verifica di siffatta ipotesi. Sono infatti emerse, alla stregua di un variegato panorama probatorio, costituito da elementi logici, dichiarativi e documentali, non solo quella diretta ingerenza dell'imputato nell'attività di gestione dell'istituto di credito che fonda la prova logica delineata sub 14.1.4.2.1, ma anche (in forza di ulteriori, più specifici dati probatori), la effettiva conoscenza e la piena condivisione, da parte del giudicabile, del ricorso ai variegati meccanismi di finanziamento dell'acquisto dei titoli B. attuati dall'alta dirigenza dell'istituto come contromisura per garantire la liquidità del titolo e, più in generale, per assicurare il reperimento del capitale indispensabile onde corrispondere ai requisiti patrimoniali imposti dalla evoluzione della relativa disciplina normativa, al contempo senza rinunziare alla politica di espansione aziendale tenacemente perseguita, contro ogni evidenza, per esplicita volontà dell'imputato medesimo. 14.1.4.3 Il dolo dei reati contestati (terzo motivo di appello). Anche il terzo motivo di impugnazione (numerato sub 4 e trattato alle pagine da 300 a 336 dell'atto di appello e, quindi, compendiato nelle considerazioni conclusive esposte, sul punto, alle pagg. 84 e ss, delle "note scritte di discussione") e specificamente inerente alla contestazione dell'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito non può trovare accoglimento. In effetti, sul punto l'impugnazione non fa che riproporre, in sintesi, leggendole "attraverso le lenti" del dolo, le ragioni esposte a sostegno del precedente motivo di appello in ordine al difetto di consapevolezza, in capo all'imputato, del fenomeno del capitale finanziato e, comunque, dell'entità di tale fenomeno, tale da implicare una alterazione dei coefficienti patrimoniali della banca. Questo, anche sul rilievo della eterogenea natura delle operazioni accomunate nella definizione dì "operazioni correlate" e della difficoltà di esatta definizione del perimetro delle "baciate", perimetro dai consulenti del p.m. individuato in assenza di solidi ancoraggi normativi all'uopo adeguatamente valorizzagli. Ebbene, premesso che, a tale ultimo riguardo, non possono che richiamarsi le considerazioni già spese, sul punto, al precedente paragrafo 12; e considerato, altresì, che questa Corte ritiene di avere testé offerto adeguata contezza della piena consapevolezza, in capo al giudicabile, dell'esistenza e della vastità delle dimensioni del fenomeno in esame, sono sufficienti, in proposito, considerazioni davvero stringate. In particolare, le argomentazioni spese dal primo giudice in ordine alla conoscenza vaga ed aspecifica di detto fenomeno da parte dei coimputati ZI. e PE. (considerazioni, peraltro, che, come si avrà modo di precisare, non si attagliano affatto alla posizione del predetto PE.) non possono certo essere estese alla posizione del presidente, ove si abbia attenzione al ruolo da quest'ultimo in concreto ricoperto (profilo, questo, che sarebbe davvero ultroneo ripercorrere nuovamente) di soggetto che concorreva, nell'ambito di uno stretto sodalizio operativo con il d.g. So., nella "gestione informata" dell'istituto. In definitiva, l'"avallo" delle decisioni del So. al quale ha fatto ripetutamente riferimento l'appellante, censurando la genericità di siffatta espressione contenuta nell'imputazione, va necessariamente letto, alla stregua delle complessive evidenze disponibili, nei termini di una vera e propria "copertura", ovverosia di una consapevole approvazione delle scelte operative delittuose che orientavano la gestione del d.g.. E tale, a ben vedere, è stata l'interpretazione offertane dal primo giudice, sicché, nella sentenza impugnata, sul punto, non è dato ravvisare alcuna incertezza. Di qui l'inconsistenza, in punto di fatto, delle obiezioni difensive (astrattamente del tutto condivisibili) in ordine alla necessità che, nell'oggetto del dolo, rientri la conoscenza dei "dati falsi" (e, quindi, dell'esistenza e dell'entità delle operazioni correlate). Certamente, l'imputato non era aggiornato "in tempo reale" dell'esatto ammontare e delle variazioni di tali dati; né, del resto, sarebbe stato possibile che ciò avvenisse (considerazione che vale, peraltro, per lo stesso d.g. So.), trattandosi, com'è evidente, di elementi suscettibili di variazioni continue che non potevano certo essere monitorate ininterrottamente dai vertici aziendali. Tuttavia, la conoscenza, da parte del presidente dell'istituto di credito, dell'entità eclatante del fenomeno in esame (tale da comportare l'alterazione dei valori patrimoniali del bilancio, dei titoli B., delle informazioni contenute nei prospetti relativi agli aumenti di capitale e di quelle fornite alle autorità di vigilanza) è conclusione che non può essere seriamente revocata in dubbio e che necessariamente discende dal pieno, consapevole coinvolgimento di ZO. nella decisione di ricorrere massicciamente al finanziamento dell'acquisto delle azioni B. al fine di evitare la deflaorazione della crisi dell'istituto. Si è infatti trattato - e va ancora una volta ribadito - di una decisione adottata ai massimi livelli della "catena di comando" dell'istituto di credito come unica contromisura praticabile per scongiurare (o, almeno, differire) il default della banca, nella speranza - della quale v'è pieno riscontro proprio nelle parole del presidente ZO. (il riferimento è alla ripetutamente evocata trascrizione della seduta del CdA 511.2013) - che, prendendo tempo, si concretizzasse quella radicale riforma del settore che avrebbe potuto offrire una via d'uscita dalla crisi. E ciò fa giustizia, ancora una volta sul piano della concretezza delle evidenze disponibili, delle considerazioni difensive (acute e, in linea teorica, anch'esse del tutto condivisibili) in ordine alla necessità della effettiva conoscenza del fenomeno in esame e delle sue dimensioni (o, quantomeno, di "precipui e specifici" segnali d'allarme in tal senso) affinché la responsabilità dolosa non degradi in un rimprovero sostanzialmente colposo. Nessuna incertezza è possibile fondatamente nutrire circa la consapevolezza, in capo all'imputato, del massiccio ricorso allo strumento dei finanziamenti correlati. Nessuno stato di dubbio, al riguardo, può anche solo ragionevolmente ipotizzarsi. E, questo, occorre rimarcarlo, in ragione di quel pieno coinvolgimento del presidente nella decisione di ricorrere al capitale finanziato per assicurare la liquidità del titolo B., sostenere il valore dell'azione e recuperare surrettiziamente capitale ai fini del rispetto dei requisiti di vigilanza, coinvolgimento, del quale s'è in precedenza dato conto (senza indulgere affatto - si ritiene - nell'"applicazione pigra" dei "meccanismi presuntivi" denunciati dalla difesa), che inevitabilmente implicava la consapevole, volontaria adesione: - tanto alla diffusione di notizie false ed al compimento di operazioni simulate idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo del titolo B. e, in tal guisa, ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca; - quanto (e conseguentemente) alle condotte decettive poste in essere, nei confronti degli organi di vigilanza, allo scopo di occultare l'esistenza del capitale finanziato, onde potere proseguire indisturbati in tale dissennata prassi operativa. Donde il ricorrere, nell'agire del giudicabile, degli estremi tutti del dolo (peraltro generico, quanto alle fattispecie ex art. 2637, 2638 co.2 c.p. - cfr. con riferimento all'aggiotaggio, Cass. Sez. V, n. 28932 del 4.5.20122 Ta. e altri, Cass. Sez. III, n. 880 del 17.3.1966, Gualco; specifico, quanto all'ipotesi ex art. 2638 co. 1 c.c. - Cass. Sez. V, n. 21067 dell'11.3.2004, Do., ipotesi, questa, peraltro, non rilevante nel presente giudizio, potendosi ravvisare unicamente la fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 2638 c.c., come precisato al precedente paragrafo 9) richiesto dalle fattispecie incriminatrici di riferimento. 14.1.4.4 Il trattamento sanzionatorio (quarto motivo di appello) Quanto al quarto motivo di gravame (numerato sub 5 e trattato alle pagine da 336 a 344 dell'impugnazione), inerente al trattamento sanzionatorio, la doglianza è parzialmente fondata, nei termini di seguito esposti. Il tribunale, nel l'orientare l'esercizio della discrezionalità in punto di dosimetria della sanzione, ha valorizzato, quanto allo ZO., il ruolo egemonico da questi esercitato sul management e sugli organi sociali della banca, in ciò individuando le ragioni di una pena base più alta rispetto a quella riservata ai correi. Trattasi di aspetto che non può essere trascurato. Nondimeno, al doveroso apprezzamento della posizione di predominio concretamente rivestita dall'imputato all'interno dell'ente bancario (ben oltre - come s'è visto - rispetto al ruolo, pure apicale, a questi riconosciuto dall'organigramma aziendale) non può non accompagnarsi, nell'ambito di una valutazione debitamente ispirata all'esigenza di calibrare la risposta punitiva al complessivo profilo del giudicabile, la considerazione delle seguenti circostanze. Si è in presenza, anzitutto, di soggetto anziano, immune da pregiudizi di sorta, il quale ha guidato a lungo - e, per molto tempo, con successo - un istituto di credito divenuto, da piccola banca di provincia, uno tra i più importanti enti creditizi del panorama nazionale. Parallelamente, il giudicabile ha esercitato brillantemente, per decenni, senza incorrere in violazioni di sorta, l'attività di impresa in settore tutt'affatto differente. E' certamente vero, poi, che lo ZO., a fronte delle difficoltà ingravescenti nelle quali, dopo la notoria crisi del settore bancario, versava anche B., non ha in alcun modo inteso prendere atto - e in ciò, a ben vedere, va individuata la sua "colpa d'origine" - della necessità dì un serio ridimensionamento delle ambizioni che ne avevano orientato T'espansionistica" politica d'impresa; ed è altrettanto vero che, in luogo di gestire prudentemente tale situazione di difficoltà, ponendo in essere una sorta di "ripiegamento strategico" in attesa di tempi migliori, ha preferito optare, in concorso con il So. e trascinando al seguito l'alta dirigenza della banca, per lo sconsiderato, sistematico ricorso ai finanziamenti correlati (peraltro incrementando una prassi non ignota allo stesso istituto di credito e, più in generale, al circuito delle "popolari"), con tutte le conseguenti implicazioni di penale rilevanza che si sono viste. Tuttavia, l'imputato ha agito in tal guisa essendo sempre convinto - ancorché, da un certo momento in avanti, in modo, obiettivamente, del tutto irrazionale - che il default della banca potesse essere comunque scongiurato e senza mai essere animato (al pari dei coimputati, del resto) da finalità di locupletazione personale. Peraltro, mai il giudicabile ha fatto ricorso a finanziamenti correlati e, anzi - s'è detto anche questo - ha personalmente iniettato liquidità molto consistenti nella banca (sebbene vi sia stato sostanzialmente costretto anche dall'esigenza dì non adottare condotte di "disimpegno", ovvero di tiepida adesione, che sarebbero sinistramente suonate, all'esterno, come inequivoco sintomo di un imminente crollo). Il comportamento processuale, infine, è stato esemplare, avendo costui presenziato a tutte le udienze, nonostante l'età oltremodo avanzata. In definitiva, se la posizione dell'imputato è stata differente rispetto a quella dei correi sotto il profilo della responsabilità delle scelte di fondo (ma non, ovviamente, sotto quello dell'operatività concreta, necessariamente riservata al management), ciò appare comunque "compensato" dalle peculiari caratteristiche soggettive del giudicabile testé evocate (oltre che dal concreto protagonismo dei coimputati nell'attuazione della prassi delle "baciate"). Di qui la irrogazione del medesimo trattamento sanzionatorio riservato ai correi (fatta eccezione per GI. e fatte salve le diversità riferibili, quanto, al MA., alle disposte parziali assoluzioni derivanti dalle peculiarità del caso). Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art, 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni tre di reclusione, aumentata di complessivi mesi undici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, di mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori reati di ostacolo di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, GÃ?, M1 e di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub Al). Questo, con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve, infatti, evidenziarsi, come già detto supra, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, di applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minora, di mesi uno e giorni quindici, ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. 14.1.4.5 Ancora sul trattamento sanzionatorio (quarto motivo di appello). L'asserita violazione dei principi del nemo tenetur se detegere e del divieto di bis in idem sostanziale. Le ulteriori doglianze inerenti al trattamento sanzionatorio, formulate con specifico riferimento alla asserita violazione dei principi del nemo tenetur se detegere e del divieto di bis in idem sostanziale (ed articolate nella "prosecuzione" del quarto motivo di appello, sub 6, alle pagine 346-362 dell'impugnazione), sono infondate. E, sul punto, non può che rinviarsi a quanto già esposto nel relativo paragrafo. 14.1.4.6 La confisca (quinto motivo di appello) Il quinto motivo di appello (trattato al paragrafo 7 dell'atto di impugnazione, alle pagine 363-376 dell'atto di impugnazione) è fondato. Come s'è visto, l'appellante contesta la legittimità della confisca per equivalente - disposta dal tribunale per un ammontare pari all'entità dei finanziamenti erogati per le operazioni "baciate" (considerando tali finanziamenti come i "beni utilizzati per commettere il reato", alla stregua della lettera dell'art. 2641 c.c. e delle considerazioni svolte, sul punto, dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza 112/19) - per una duplicità di, ragioni (peraltro ribadite e compendiate, da ultimo, nella memoria 28.9.2022) e, segnatamente: - in primo luogo, sul rilievo della mancata previa verifica della concreta praticabilità della confisca diretta. Nella prospettiva dell'appellante, infatti, resistenza di una procedura concorsuale non avrebbe affatto precluso la confisca diretta dei beni della società (Cass. Sez. V, 21.1.2020, n. 5400; Cass. Sez. n. 6391 del 4-18.2.2021), tenuto conto, peraltro, da un lato, che, con riferimento al supposto "conflitto" ravvisabile tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura e quello discendente dal sequestro, la giurisprudenza di legittimità aveva avuto modo di affermare la prevalenza del vincolo del sequestro (Cass. Sez. III, 18.1.2020, n. 15776); e, dall'altro, che neppure era dato ravvisare, nell'ipotesi in questione, l'ostacolo della riferibilità dei beni da sottoporre a confisca a soggetto estraneo al reato, avendo l'istituto di credito pacificamente tratto profitto dalla commissione dei reati; - in secondo luogo (ed in ogni caso) in considerazione del fatto che sottoporre a confisca i finanziamenti concessi dalla B. per l'acquisto delle azioni proprie in quanto "beni utilizzati" per commettere i reati di cui agli artt. 2637, 2638 c.c., avrebbe comportato la violazione dei principi costituzionali: la natura sostanzialmente punitiva della confisca (già espressamente evidenziata dal giudice delle leggi, con riferimento all'illecito amministrativo ex art. 187 bis TUF, nella sentenza 112/19) imporrebbe, infatti, l'adozione di una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni di riferimento (2641 c. 1, 2 c.c.), con conseguente revoca della confisca disposta nei confronti di Zo.Gi., esito, questo, del resto, da ultimo avvalorato, come si precisa nei motivi nuovi, dalla recente modifica legislativa dell'art. 187 TUF per effetto della Legge Europea 238/21 (là dove è stato escluso che possa disporsi la confisca del prodotto del reato di abuso finanziario nonché dei beni utilizzati per commetterlo), essendosi in presenza di innovazione legislativa inequivocabilmente attestante come, anche in materia penale, la confisca non possa eccedere il profitto dell'illecito. Ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, poi, sarebbe ravvisabile nella "rigidità" del criterio di quantificazione dell'oggetto della confisca, trattandosi di criterio non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto eventualmente da questi conseguito, con violazione, quindi, dei parametri di cui agli artt. 3, 27 Cost.. Ebbene, se il primo argomento agitato nell'impugnazione è infondato (dovendosi aderire, in presenza di tema controverso nella stessa giurisprudenza di legittimità, all'orientamento incline a ritenere non aggredibili le somme riferibili a B. in quanto non più nella disponibilità della/ società, bensì vincolate dalla procedura concorsuale, con conseguente impossibilità di ablazione in via diretta nei confronti della persona giuridica, da equipararsi ad un soggetto terzo per effetto dello spossessamelo causato dal fallimento (cfr Cass. Sez. II, n. 19682 del 13.4.2022, dep. 19,5.2022 Os. più altri; cfr. altresì, Cass. Sez. 3 -, n. 14766 del 26/02/2020, PM. c/ Sa.Lu., Cass. Sez. 3 n. 47299 del 16/11/2021, Fallimento Be. srl, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 45574 del 29/05/2018, Cass. Sez. 3, n. 51462 del 04/10/2019, PM in proc. Sa., non mass.), colgono nel segno le ulteriori riflessioni là dove è stata evidenziata la marcata frizione, nel caso di specie, della disposizione ex art. 2641 c.c., con i principi costituzionali. Al riguardo, infatti, deve premettersi che, in forza delle univoche indicazioni fornite tanto dai Giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. 112/19) che da quello della nomofilachia (cfr. Cass. Sez. V, n. 42778 del 26,5,2017, dep. 19.9.2017, Consoli e altro), costituisce oramai ius receptum il principio secondo il quale, nei reati finanziari, i beni utilizzati per commettere i reati siano costituiti dalle somme di denaro investite nelle operazioni all'origine della commissione delle attività criminose. Sicché le perplessità che pure non sarebbe irragionevole nutrire sul punto (segnatamente, in ragione della obiettiva difficoltà di applicare a tale categoria di reati, connotati da evidenti profili di "immaterialità", una nozione - quella, per l'appunto, di beni strumentali rispetto alla commissione dei reati - che pare presupporre il ben più diretto rapporto di "strumentalità" proprio dei consueti instrumenta sceleris) debbono, necessariamente, essere accantonate. Del tutto fuori discussione, poi, alla luce di approdi oramai condivisi e consolidati della riflessione giuridica in materia, tanto costituzionale (Corte Cost. ordinanza 97/09) che di legittimità (Cass. Sez. Un, 25.6.2009, 38691; Cass. Sez. Un. 31.1.2013, n. 18374, cass. Sez. III, n. 11086 del 4.2.2022, Pu., cass, Sez. III, n. 39950, 8.5.2021, Ca., Cass. Sez. III, n. / 33429 del 4.3.2021, Ub.) è la natura sanzionatoria della confisca per/ equivalente. Ebbene, se tali premesse sono fondate - e, per quanto detto, non pare possibile opinare diversamente - l'obiezione difensiva va condivisa. In effetti, qualora i "beni utilizzati" per commettere il reato siano costituiti da somme di denaro (peraltro, nella specie, di entità elevatissima) costituenti provviste non già nella originaria disponibilità degli imputati, bensì, come nel caso sub iudice, di soggetto terzo B., disporre la confisca per equivalente nei confronti degli imputati significherebbe adottare un provvedimento sanzionatorio manifestamente sproporzionato, oltre che del tutto disancorato, per l'automaticità del relativo criterio di commisurazione, dal disvalore dell'illecito (nonché dei singoli contributi concorsuali), con conseguente violazione dei principi costituzionali in materia di rieducazione del condannato, essendo ragionevolmente applicabili al caso di specie le riflessioni svolte dalla Corte Costituzionale nella evocata sentenza 112/19 e, più in generale, le considerazioni espresse, in materia di requisiti della pena (segnatamente, con riferimento ai parametri ex artt. 3 e 27, co. 1, 3 Cost.), nelle precedenti pronunce del Giudice delle leggi. In definitiva, a venire in rilievo, nella peculiarità della vicenda sub iudice, ad avviso di questa Corte territoriale, è l'eclatante sproporzione tra l'afflittività insita nel provvedimento ablatorio disposto dal tribunale e la condotta posta in essere dagli imputati, condotta che, per quanto grave, è già adeguatamente punita dall'apparato sanzionatorio detentivo di riferimento, tale da prevedere una ampia forbice edittale del tutto idonea ad assicurare che la risposta punitiva sia doverosamente calibrata rispetto all'entità dell'offesa arrecata dal reato al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice e al contributo offerto da ciascun correo alla perpetrazione dei delitti. In definitiva, aggiungere alla pena detentiva prevista dalle fattispecie di reato una tanto smisurata sanzione significherebbe "sfregiare" il "volto costituzionale" di quest'ultima, che, per essere effettivamente orientata alla rieducazione secondo le coordinate imposte ex art, 27 Cost., deve necessariamente caratterizzarsi per intrinseci requisiti di proporzione e ragionevolezza. A fortiori ove si consideri che, nel caso di specie, gli imputati non hanno tratto alcun profitto economicamente valutabile dalla commissione dei reati, avendo operato, utilizzando risorse dell'istituto, nell'interesse esclusivo di B. (profilo, questo, che sarà più approfonditamente affrontato nel trattare dell'appello proposto nell'interesse dell'ente), ancorché - come pure è evidente - sì sia trattato di una "lettura" dell'interesse della banca t radicalmente contraria al rispetto di quelle regole di sana e prudente gestione che avrebbero dovuto orientarli nella conduzione dell'istituto di credito. In siffatta prospettiva, quindi, non ogni risorsa economica andrebbe esclusa dal novero "dei beni utilizzati per commettere il reato" suscettibili di confisca per equivalente, bensì le sole somme che, per la loro entità eclatante e, soprattutto, per la loro non riferibilità all'imputato, bensì ad un soggetto terzo, non potrebbero essere apprese, per un ammontare pari al loro valore, senza che ciò implichi l'irrogazione di una sanzione "incostituzionale" per le ragioni anzidette, tenuto conto dell'apparato sanzionatorio detentivo già direttamente previsto per le fattispecie di riferimento. E, nella peculiare vicenda sub iudice, l'ammontare esorbitante (963,000.000 di euro) dell'importo al quale è stata parametrata la confisca per equivalente - e, quindi, la sproporzione di una sanzione che implicasse, oltre alla irrogazione della sanzione detentiva, anche il suddetto provvedimento ablatorio - è tale da non richiedere ulteriori precisazioni, tanto più ove - nel solco di quanto evidenziato, sia pure con opposta finalità191, dalla parte civile Banca d'Italia - si ipotizzasse di ricorrere all'indice di ragguaglio ex art. 135 c.p.. Operando in tal guisa, infatti, l'importo in questione risulterebbe equivalere ad una durata della reclusione pressoché incalcolabile, immensamente superiore rispetto a quella (30 anni di reclusione, pari a "soli" 2.700.000 Euro circa) prevista dall'ordinamento quale limite massimo della pena detentiva (ad esclusione dell'ergastolo, beninteso), con la conseguenza che la lesione del bene giuridico - pure, com'è evidente, di indubbio rilievo - della tutela della solidità e della affidabilità del mercato e dei sistemi bancari, finirebbe per trovare una risposta sanzionatoria incommensurabilmente superiore a quello della stessa vita (sempre fatta eccezione per le ipotesi di delitti puniti con la pena dell'ergastolo), esito, questo, tanto irragionevole da non richiedere, sul punto, ulteriori commenti. Senza contare, infine, la mancanza dì razionalità e di efficacia (anche sul piano della prevenzione) di una sanzione di fatto inesigibile. Considerazioni più articolate, invece, si impongono con riferimento ai rimedi approntati dall'ordinamento per ricondurre nell'alveo della proporzione la sanzione irrogata. Al riguardo, l'appellante ha suggerito la proposizione di questione di legittimità costituzionale ovvero, in via gradata, ha sollecitato una interpretazione costituzionalmente orientata che dovrebbe condurre alla revoca della confisca. Ed è proprio quest'ultima la strada che si ritiene qui praticabile, attraverso una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata che, come si dirà, conduce alla diretta disapplicazione della disposizione ex art. 2641 c.c.. In proposito, infatti, va precisato che disporre, nel caso di specie, la confisca per equivalente non solo confliggerebbe con i principi costituzionali in precedenza evocati, ma si porrebbe anche in diretto contrasto con quelli convenzionali e, segnatamente, con la disposizione di cui all'art. 49, par. 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, disposizione che - veicolata, com'è noto, nell'ordinamento interno attraverso l'art. 117 Cost. - prescrive, per l'appunto, che le pene debbano essere proporzionate rispetto al reato. Se ciò corrisponde al vero, la soluzione più appropriata non potrà essere, ad avviso di questa Corte, quella della proposizione di incidente di costituzionalità (peraltro, fino a tempi recentissimi, costantemente ritenuto inammissibile dalla Corte Costituzionale là dove l'art. 49 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea fosse stato evocato per denunziare l'illegittimità di norma non rientrante tra le materie del "diritto europeo" - cfr., da ultimo, sentenza Corte Costituzionale 30/2021), bensì, nel solco della recentissima sentenza della Grande Sezione della Corte GUE 8.3.2022 nel procedimento C-205/20 (e col conforto dei conformi opinamenti di autorevole dottrina che ha avuto modo di sottolineare la portata radicalmente innovativa di tale pronunzia), la diretta disapplicazione della disposizione ex art. 2641 c.c.. Nella citata sentenza, infatti, mutando il precedente orientamento in materia (espresso da Corte GUE, VA sezione, sentenza C-384/17 nel caso "Li.") la Corte di Lussemburgo ha precisato come, qualora le disposizioni nazionali contrastino con il principio di proporzionalità della sanzione, avente valore "imperativo", spetti al giudice nazionale garantire la piena efficacia di tale principio, con l'effetto che, ove non vi sia spazio per procedere a un'interpretazione della normativa nazionale conforme a tale requisito, dovrà "disapplicare, di propria iniziativa, le disposizioni nazionali che appaiono incompatibili con quest'ultimo", in modo da giungere/alla irrogazione di sanzioni proporzionate che permangano, al contempo, effettive e dissuasive. Né può ritenersi che ostino a tale disapplicazione i principi di certezza del diritto e di legalità delle pene, ove si consideri, per un verso, che il primo non è affatto compromesso dell'esigenza di adeguare la sanzione secondo le insopprimibili esigenze di proporzione; e, per altro verso, che il secondo costituisce limite invocabile unicamente pro reo (sicché sarebbero evocate davvero a sproposito, nel caso in esame, le pronunce inerenti alla nota vicenda "Ta.", nella quale si discuteva della possibilità di applicare sanzioni penali a carico dell'imputato nonostante fosse maturato il termine di prescrizione del reato secondo le regole del diritto nazionale). Trattasi, peraltro, di interpretazione che, ad avviso di questa Corte, riceve ulteriore conferma anche dalla più recente evoluzione normativa sovra nazionale. Intende farsi riferimento al Regolamento (come tale self executing) 1805/18 UE - peraltro successivo, quanto alla sua entrata in vigore, tanto alla sentenza della Corte Costituzionale 112/19 quanto alle Sentenze Consoli della Suprema Corte, in quanto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea il 28 novembre 2018 ma applicabile dal 19 dicembre 2020 - che, intervenendo in materia di "cooperazione internazionale", ha stabilito un principio di portata generale proprio in tema di confisca, là dove ha previsto quanto segue - nel considerando n. 21, nell'art. 1 par. 3 e nella norma di chiusura contenuta all'art. 41 - in ordine a tutti i provvedimenti giurisdizionali di confisca e di congelamento (id est sequestro) emessi da Stati membri: - considerando n. 21: "Nell'emettere un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca, l'autorità di emissione dovrebbe assicurare il rispetto dei " principi di necessità e di proporzionalità. A norma del presente regolamento, un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca dovrebbe essere emesso e trasmesso all'autorità di esecuzione di un altro Stato membro solo se avrebbe potuto essere emesso e utilizzato unicamente in un caso interno, L'autorità di emissione dovrebbe essere responsabile di valutare sempre fa necessità e la proporzionalità di tali provvedimenti, dal momento che il riconoscimento e l'esecuzione di provvedimenti di congelamento e di provvedimenti di confisca non dovrebbero essere rifiutati per motivi diversi da quelli previsti dai presente regolamento"; - art. 1 par. 3: "Nell'emettere un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca, le autorità di emissione assicurano il rispetto dei principi di necessità e di proporzionalità"; - art. 41: "Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri conformemente ai trattati". Si è dunque di fronte all'enunciazione - in forma generale e diretta - dì un principio di proporzionalità che tutti i provvedimenti aventi questa natura debbono rispettare necessariamente. In effetti, tale regolamento 1805/18 UE (oltre a costituire una base normativa in grado di superare la tradizionale obiezione della Corte Costituzionale siccome in precedenza evocata), offre un formidabile riscontro di diritto positivo in ordine alla praticabilità della soluzione, indicata dalla Grande Sezione della Corte GUE nella citata pronunzia, della disapplicazione diretta della norma interna, foriera, ove applicata dai giudici nazionali nel caso oggetto di giudizio, della irrogazione di sanzione sproporzionata. Ora, non sfugge di certo a questa Corte che una siffatta disapplicazione (come segnalato da una autorevole dottrina, peraltro concorde nell'interpretazione della facoltà di diretta disapplicazione di sanzioni penali sproporzionate riconosciuta ai giudici nazionali per effetto della sentenza della Grande sezione della Corte GUE in precedenza evocata) potrebbe essere foriera, nell'immediato, di quelle incertezze e disparità di trattamento inevitabilmente conseguenti a decisioni adottate dalle singole autorità giudiziarie, prive, in quanto tali, di efficacia erga omnes; e che, diversamente, la proposizione di eccezione di incostituzionalità potrebbe consentire alla Corte Costituzionale, che dovesse convenire con il giudice remittente, di intervenire, anche "chirurgicamente", sulla disposizione "incriminata". Nondimeno, si tratterebbe di una soluzione in contrasto quanto enunciato dalla citata pronunzia della Corte GUE, che, nel rispetto del primato del diritto sovranazionale, impone alle autorità giudiziarie nazionali di assicurare che venga data celere attuazione al principio di proporzione del trattamento sanzionatorio. Un ultimo cenno, infine, va dedicato alle ragioni all'origine della decisione di questa Corte di procedere alla integrale disapplicazione della confisca e non già ad una riduzione del relativo ammontare. Ebbene, trattasi dì decisione che si impone proprio in considerazione: - da un lato, della già evidenziata piena idoneità del trattamento sanzionatorio "principale" (quello, per intendersi, costituito dalla sanzione detentiva prevista per i reati in contestazione) ad esaurire adeguatamente la risposta punitiva dello Stato nel rispetto della suddetta esigenza di proporzione rispetto alle singole responsabilità; - e, dall'altro lato, dell'assenza di profitto alcuno suscettibile di valutazione economica al quale ancorare l'individuazione di una corrispondente quantificazione dell'importo da sottoporre a confisca che sia stato tratto, oltre che dalla banca (al di là - come precisato dal tribunale - dell'utilità derivante a B. dal reato di cui al capo N1 e già "coperta" dalla confisca disposta, per il corrispondente valore, nei confronti dell'ente, come si dirà più oltre), dagli stessi imputati. Di qui, in accoglimento del relativo motivo di appello, la revoca della confisca disposta, per l'ammontare di 963 milioni di Euro, nei confronti dello ZO. (e dei coimputati). 14.1.4.7 La rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale (sesto motivo di appello) Sulla richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale si rinvia a quanto evidenziato nella relativa ordinanza di questa Corte in data 18.5.2022. 14.1.5 L'appello nell'interesse di Zi.Gi. L'appello è infondato. La difesa di Zi.Gi., come s'è detto, sostiene che tale imputato non avrebbe fornito contributo alcuno alla commissione dei reati in esame. Questo, sul presupposto che le operazioni di acquisto di azioni B. effettuate dal predetto imputato tanto sul mercato secondario, nel 2012, quanto, l'anno successivo, su quello primario, in sede di Aucap 2013, non rientrerebbero nel novero delle operazioni correlate. Più nel dettaglio, richiamate le considerazioni critiche svolte, sul punto, dai consulenti degli imputati prof. Pe. e prof. Gu. in relazione alla necessità, perché possa ravvisarsi la "correlazione", per un verso, della sussistenza del "nesso teleologico" tra finanziamento ed acquisto dei titoli e, per altro verso, dell'assenza di merito creditizio in capo all'investitore, l'appellante ha in primo luogo contestato, per le ragioni già evidenziate, fa natura correlata dell'operazione di acquisto di azioni B. per il controvalore di 10 milioni di Euro effettuata da Ze. s.r.l. nel 2012. Trattasi di obiezione inconsistente. In effetti, tenuto conto del perimetro delle operazioni correlate siccome tracciato nel relativo paragrafo (là dove si è evidenziato il carattere essenzialmente oggettivo dei parametri interpretativi di riferimento) e rinviando, comunque, con specifico riferimento ai concreti connotati delle operazioni di acquisto/sottoscrizione di azioni B. effettuate dallo Zi. con fondi all'uopo messigli a disposizione dall'istituto di credito, a quanto più oltre meglio precisato in proposito nel trattare l'appello proposto dal p.m. (cfr. infra), sono sufficienti, sul punto, le considerazioni che seguono. Innanzitutto, va precisato come la circostanza che il finanziamento di 12,5 milioni di Euro erogato, nel 2012, da B. a Ze. s.r.l. fosse inequivocabilmente finalizzato anche a consentire l'acquisto delle quote di Ar. (per un valore di 2,5 milioni di euro) - il tutto, nelle intenzioni dell'imputato, nell'ambito della programmazione di ulteriori investimenti, peraltro, all'epoca, non ancora definiti (come, del resto, indicato nella relativa "pef") - costituisca elemento palesemente inidoneo ad escludere la natura "correlata" dell'operazione in esame. Questo ove si consideri, per l'appunto, che larghissima parte del credito (10 milioni su 12,5) è stato effettivamente concesso ed utilizzato proprio per l'acquisto di azioni B.. Ciò inequivocabilmente si ricava, innanzitutto, come osservato dal tribunale, dal complessivo tenore delle deposizioni rese dai testi Ma., Ba., Cr. e Ba., le dichiarazioni dei quali, del resto, hanno trovato puntuale riscontro negli elementi di natura documentale, acquisiti al giudizio ed anch'essi puntualmente evocati dal primo giudice. Non v'è dubbio, infatti, che la ricostruzione dell'operazione in questione siccome complessivamente delineata dalle citate deposizioni trovi inequivoco conforto, in primo luogo, nel più favorevole trattamento relativo agli interessi previsti con riferimento alla maggior "quota" di credito destinato all'acquisto dei titoli della banca (rispetto a quelli pattuiti relativamente alla parte di fido concesso per l'acquisto delle quote di Ar.) e, in secondo luogo, nella previsione del relativo "storno". Trattasi, in effetti, di circostanze univocamente dimostrate: - dalla richiesta di storno (peraltro per l'importo, assai consistente, di oltre 112 mila euro); - dal documento "storia azioni "extra" ad aprile 2015" predisposto da Zi.Gi. e contenente un chiaro riferimento alla "doppia contabilizzazione degli interessi"; - dal prospetto riassuntivo estratto dal computer presente presso la sede della predetta Ze. s.r.l.; - oltre che dall'esplicito riferimento alla previsione del relativo rimborso contenuto nelle comunicazioni inviate dalla società dell'imputato, ovverosia da una sequela di convergenti elementi documentali l'esatta interpretazione dei quali è stata puntualmente offerta nella sentenza impugnata che, pertanto, sul punto, va integralmente richiamata. A ben vedere, infatti, le contrarie considerazioni svolte nell'atto di appello (segnatamente, alle pagine 21-23) appaiono davvero pretestuose, ove si consideri: - quanto al tenore degli SMS nn.ri 661 e 665, che, diversamente dalla lettura offertane dall'appellante, si è in presenza di comunicazioni il contenuto delle quali (sms 661, inviato da Gi. a So.; "faccio anche Zi., Ma. d'accordo, Vedi problemi? li fratello ha già in atto operazione"; sms 665, inviato da Ma. a So.; "ti ricordo Zi. di parlarne al presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria"), ove letto alla luce della complessiva prassi operativa disvelata dall'istruttoria dibattimentale - ivi comprese le dichiarazioni, più oltre meglio richiamate, rese dal coimputato GI. (anche con riferimento al ruolo svolto dal MA. nella presentazione delle pratiche di finanziamento inerente alle più consistenti operazioni baciate) - è esattamente coerente con la natura correlata dell'operazione in questione; - quanto alla tabella di cui al citato documento n. 737, per un verso, che il rinvenimento di detto documento nel computer di Ze. s.r.l. priva di ogni rilievo la mancata identificazione del soggetto che ebbe materialmente a redigerlo; e, per altro verso, che il suo contenuto - e, soprattutto, la peculiare natura dell'operazione in questione (trattandosi, secondo l'immaginifico gergo talvolta adottato al riguardo, di c.d., "baciata parziale") - rende davvero trascurabile l'osservazione difensiva - peraltro dall'appellante ancorata alle dichiarazioni del coimputato MA. (cfr, atto di appello, pag. 23) - in ordine alla prassi relativa al riconoscimento di un unico tasso di interesse per ciascuna linea di credito; - quanto alla mail di cui al documento n. 121 della produzione del p.m., che le relative osservazioni difensive (relative, segnatamente, alla possibilità di attribuire significato alla lamentela ivi esposta circa l'imposta di bollo unicamente con riferimento ad una richiesta di mitigazione dei tassi e non già di rimborso degli stessi) hanno assai scarsa rilevanza, posto, da un lato, che dette osservazioni si scontrano con il tenore letterale della comunicazione in questione (che, per l'appunto, contiene un espresso riferimento al "rimborso a suo tempo concordato") e, dall'altro lato, che l'effettivo assetto di interessi concordato aveva ad oggetto l'impegno, per l'appunto, alla integrale restituzione degli interessi (si vedano, sul punto, oltre alle dichiarazioni del GI., più oltre richiamate, le considerazioni svolte, nel trattare l'appello del P.M., con riferimento alla natura delle operazioni concluse dallo ZI. con B.); - quanto, infine, al memoriale redatto dall'imputato di cui al documento n. 731 della produzione del p.m., che le spiegazioni fornite, al riguardo, dallo stesso ZI. in sede di esame (là dove questi ha sostenuto di essere incorso in un errore nella rievocazione dei fatti con riferimento alla loro collocazione temporale), oltre ad essere assai confuse, confliggono, anche in tal caso, con il chiaro contenuto di detto appunto (contenuto, peraltro, del tutto coerente con il tenore della conversazione n. 153 nella quale lo ZI. confermava all'interlocutore Bocca di essere stato finanziato da B. per l'acquisto dì azioni). Del resto, come testé accennato, lo stesso coimputato GI., tanto nel memoriale prodotto nel corso del giudizio di appello quanto nel corso dell'esame svoltosi all'udienza 17.6.2022, ha espressamente confermato il "collegamento" sussistente tra la gran parte del finanziamento in questione (10 milioni di euro) e l'acquisto dei titoli di B. per avere egli stesso sollecitato allo ZI. la conclusione di tale operazione, operazione della genesi e dello sviluppo della quale detta fonte ha offerto una dettagliata ricostruzione. E, con riferimento alle obiezioni difensive in tema di interessi, il propalante, rispondendo ad una specifica richiesta di chiarimenti rivoltagli dalla Corte, ha precisato, in termini davvero inequivoci, che l'accordo intercorso tra l'istituto di credito e lo ZI. implicava lo storno integrale degli interessi, avendo quest'ultimo aderito alla proposta di acquisto delle azioni all'espressa condizione di non rimetterci alcunché (pur avendo egli espressamente riferito che non intendeva lucrare da detta operazione). Conclusivamente, la circostanza che, nelle intenzioni dell'imputato, le azioni B. che lo stesso ZI. si era determinato ad accettare, aderendo all'invito in tal senso rivoltogli dal coimputato GI., fossero destinate alla successiva liquidazione - e, questo, al fine di ricavarne la liquidità necessaria a concretizzare quelle ulteriori operazioni di investimento (Do., Sa., Ne.) rispetto alle quali, all'epoca, si era ancora in fase di trattativa - non muta affatto la natura "correlata" del finanziamento. Analoghe considerazioni, poi, si impongono in relazione alla partecipazione all'aumento di capitale 2013 posto che, anche in tal caso, l'imputato ha beneficiato dì un apposito finanziamento (sotto il profilo dell'ampliamento della linea di credito originariamente accordatagli). Di qui l'irrilevanza anche delle ulteriori considerazioni svolte nell'impugnazione (segnatamente, a pag. 20) in ordine all'assenza, con riferimento a tali operazioni, di taluni degli indici usualmente ricorrenti nel fenomeno del capitale finanziato. In definitiva, quindi, non v'è alcun dubbio che l'imputato ha posto in essere operazioni correlate. Né può negarsi che lo ZI., nella sua veste di membro del consiglio di amministrazione dell'istituto di credito, abbia autorizzato finanziamenti destinati (nell'accezione già precisata) ad operazioni correlate. Infine, neppure può contestarsi che si sia obiettivamente trattato, nel complesso, di comportamenti che, di fatto, sono andati ad inserirsi in quella più vasta e strutturata operatività, posta in essere dai vertici operativi dell'istituto di credito, tesa alla manipolazione del mercato, la ricaduta della quale si è poi tradotta anche nell'occultamento alle autorità di vigilanza di quanto, da tempo, andava accadendo nella dissennata gestione dell'istituto di credito. Ne discende che le condotte che radicano, sotto il mero profilo della materialità degli accadimenti, gli addebiti elevati a carico dello ZI. risultano indubbiamente sussistenti. In effetti, l'invocata, radicale estraneità dell'agire dello ZI. - nelle sue coincidenti vesti di consigliere di amministrazione dell'istituto di credito berico e di investitore coinvolto in "operazioni baciate" - alla manipolazione del mercato ed al conseguente sviamento delle attività di vigilanza non trova, sotto il profilo fattuale, riscontro in atti, risultando piuttosto provato l'esatto contrario, pur nei ristretti limiti delineati nelle imputazioni di riferimento. A ben vedere, una volta chiarita la natura correlata delle consistenti operazioni di acquisto/sottoscrizione di titoli B. effettuate dall'imputato (analogamente al fratello), neppure può fondatamente dubitarsi che una i tanto consistente partecipazione al "capitale finanziato" da parte di membro del Cda, peraltro per importi - e trattasi di profilo tutt'altro che irrilevante - di molto superiori a quelli relativi alle analoghe operazioni poste in essere da altri consiglieri non esecutivi (le pur consistenti operazioni riferibili ai consiglieri Do. e Mo., infatti, sono significativamente inferiori), possa essere stata interpretata, dalle varie componenti della struttura amministrativa della banca, come una forma di "avallo" della prassi esistente in tal senso. Questo, proprio in ragione del ruolo rivestito dallo ZI. all'interno della compagine societaria e dell'ammontare considerevole delle operazioni correlate da questi poste in essere. Aggiungasi che l'imputato (al pari degli altri consiglieri, peraltro) ha ripetutamente "ratificato" le proposte di finanziamento destinate all'esecuzione di operazioni baciate (interamente, ovvero parzialmente), donde, anche sotto tale profilo, la possibilità di ravvisare, di fatto, un contributo causalmente efficiente rispetto alla attuazione del disegno manipolativo concepito dai vertici aziendali. Così come, nell'approvare, sempre nella sua veste di membro del CdA, talune comunicazioni destinate alle autorità di vigilanza dal contenuto decettivo egli ha parimenti contribuito, sempre sul piano squisitamente fattuale, a vanificarne l'attività di controllo. Donde il difetto dei presupposti per la modifica della formula assolutoria adottata, per difetto dell'elemento soggettivo dei reati contestati, dal primo giudice (sul rilievo di quelle specifiche considerazioni che saranno più oltre oggetto di approfondimento in sede di valutazione dell'appello proposto dal p.m."). 15 Gli appelli del P.M. 15.1 L'appello inerente alla posizione di Zi.Gi. L'appello è infondato. Al riguardo, è d'uopo la premessa che segue. Si è già avuto modo di precisare che il tribunale ha affermato la natura/ correlata delle operazioni effettuate da Zi.Gi. per il tramite di Ze. S.r.l. e, segnatamente, dell'acquisto di azioni B., effettuato, nel 2012, impiegando in larga parte un fido di 12,5 milioni di Euro appositamente concesso dalla banca, nonché della sottoscrizione di titoli B. in occasione dell'aumento di capitale 2013 per effetto di una apposita estensione del fido, pari a 1,5 milioni di Euro. Trattasi di una ricostruzione che il primo giudice ha saldamente ancorato, come detto, ad una pluralità di convergenti elementi probatori, di natura testimoniale (in particolare, le deposizioni dei testi Ba., Cr. e Ba.), tecnica (la consulenza dei cc.tt. del P.M.), documentale (la richiesta di storno; l'annotazione redatta da Zi.Gi.; il prospetto riassuntivo estratto dal computer della segretaria di Ze. s.r.l. il contenuto dell'e-mail inviata dalla segretaria di Ze. s.r.l., Ca.Ro. alla filiale B. di cui al documento n. 121; il pro-memoria redatto dallo stesso imputato), nonché al tenore della conversazione telefonica n. 153 (sostanzialmente "confessoria") intercorsa tra tale imputato e l'interlocutore Lu.Bo. e, infine, alle stesse dichiarazioni rese dall'imputato in sede di esame dibattimentale. A tali evidenze probatorie ed in assoluta coerenza con le stesse, poi, deve aggiungersi l'elemento sopravvenuto costituito dalle recenti propalazioni auto ed eteroaccusatorie rese dal coimputato GI. in occasione dell'esame reso all'udienza 17.6.2022, là dove costui, nel rendere completa confessione (così ampliando, precisando e, su taluni punti essenziali, rettificando quanto già riferito in sede di esame svolto innanzi al tribunale di Vicenza) ha puntualmente rievocato anche l'operazione relativa all'erogazione del finanziamento da 12,5 milioni effettuato in favore dello ZI. (operazione al dichiarante ben nota per averla egli direttamente proposta all'interlocutore), ribadendone, con puntuali riferimenti concreti, la natura correlata. Ebbene, questa Corte ha già evidenziato come, in presenza di tali, convergenti emergenze istruttorie, le osservazioni critiche mosse dalla difesa di Zi.Gi. non consentano affatto di contestare, con il benché j minimo fondamento, la natura correlata delle operazioni di acquisto/sottoscrizione di azioni B. concluse dal predetto giudicabile. Va decisamente escluso, infatti, che il ricorrere di un interesse personale dell'imputato - tanto se di natura economica (per vero, nel caso in questione, insussistente), quanto se di altra tipologia (ivi compreso, quindi, l'obiettivo "politico" di acquisire una importante partecipazione in vista di una eventuale - scalata" alla presidenza dell'istituto) - che fosse concorrente con quello di favorire la banca (fornendole, con l'acquisto di un consistente pacchetto azionario, un apprezzabile ausilio nella circolazione/collocazione delle azioni) valga a relegare al di fuori del perimetro del "capitale finanziato" le operazioni di acquisto delle azioni che fossero state realizzate impiegando risorse erogate dallo stesso emittente dei titoli. Sul punto, pertanto, non può che rimandarsi a quanto già argomentato su tale specifico argomento, onde evitare ripetizioni che sarebbero davvero superflue. Ciò posto, il giudice di prime cure ha escluso la responsabilità penale dello ZI. ravvisando il difetto di consapevolezza, in capo a costui, della diffusività del ricorso al meccanismo del capitale finanziato. Questo, non solo in considerazione dell'accertata estraneità del predetto rispetto alla concertazione, intercorsa ai massimi livelli dell'istituto di credito, delle condotte di manipolazione del mercato e di sviamento delle autorità di vigilanza, ma per la dirimente ragione rappresentata dall'assenza di elementi che inducessero a ritenere, nei dovuti termini di univocità, che il predetto imputato versasse, sotto il profilo della consapevolezza di tale operatività delittuosa, in una situazione significativamente differente rispetto a quella, assolutamente vaga e generica, in cui si trovavano altri membri del CdA, taluni dei quali, pure, avevano posto in essere analoghe operazioni correlate. In effetti, nella prospettiva del tribunale, solo una situazione di effettivo e precipuo allarme in ordine ad attività delittuose "in itinere" avrebbe consentito di ravvisare gli estremi della penale responsabilità, peraltro sulla base di un inquadramento di tale responsabilità - ovverosia ex art. 40 c.p. - esorbitante rispetto al perimetro dell'imputazione, in effetti espressione di un addebito che - pur scontando taluni profili di ambiguità inevitabilmente derivanti della portata semantica di taluni vocaboli all'uopo adottati (intende farsi riferimento, segnatamente, all'impiego del verbo "avallava", ovverosia di un termine che implica anche, in certo qua) modo, profili di tolleranza dell'altrui agire) - è stato dalla pubblica accusa elevato con riferimento ad un concorso mediante condotta commissiva. Tale decisione è stata oggetto di impugnazione da parte del P.M. sul rilievo, in primo luogo, dell'asserita erronea individuazione dei criteri che avevano fondato l'imputazione di responsabilità penale: - da un lato, infatti, secondo l'impostazione d'accusa, l'imputato, membro del CdA, concludendo egli stesso "operazioni baciate" avrebbe "avallato" la prassi illecita del capitale finanziato, così contribuendo a rassicurare i dipendenti dell'istituto dì credito circa l'esistenza di "una copertura da parte dell'organo amministrativo"; - e, dall'altro lato, proprio in quanto componente del consiglio, deliberando la concessione dei finanziamenti che avevano reso possibili tali operazioni ed approvando i documenti e le comunicazioni inviate agli organi di vigilanza, lo stesso giudicabile avrebbe concorso nella perpetrazione dei delitti di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza. E' stato sulla base di tale impostazione d'accusa, quindi, che il p.m., appellante ha ripercorso le acquisizioni istruttorie lamentandone la mancata valutazione "sintetica" da parte del giudice di prime cure; sostenendone, per contro, l'idoneità a fondare l'affermazione di colpevolezza dell'imputato; ed invocando - infine e conseguentemente - la riforma della sentenza impugnata. In effetti, come questa corte ha già avuto modo di precisare nell'ordinanza adottata in esito alle richieste istruttorie, l'appello proposto avverso l'assoluzione di Zi.Gi. ha espressamente sollecitato il giudice del gravame ad operare quella lettura complessiva dell'intero compendio probatorio disponibile asseritamente omessa dal primo giudice, il quale, nella prospettiva dello stesso appellante, ne aveva unicamente offerto una (peraltro pertinente, ad avviso della stessa pubblica accusa) valutazione analitica. Tanto premesso, ritiene questa Corte che difettino i presupposti per l'invocata riforma della sentenza impugnata. Per vero, ove si abbia la dovuta attenzione: - per un verso, alla natura assolutamente specialistica delle tematiche coinvolte dalla regiudicanda (e, sul punto, non può non rimandarsi a quanto già ripetutamente evidenziato, oltre che nei precedenti paragrafi, nella trama argomentativa della sentenza impugnata, segnatamente in ordine al perimetro ed alle caratteristiche delle operazioni correlate ed alle conseguenti implicazioni in punto di disciplina prudenziale); - per altro verso, al ruolo concretamente rivestito dall'imputato all'interno della compagine dell'istituto di credito (trattandosi di consigliere di amministrazione privo di deleghe operative); - e, per altro verso ancora, al concreto, peculiare atteggiarsi delle dinamiche gestionali della banca in questione, caratterizzate, da un lato, dalla rigorosa delimitazione ai livelli apicali della presidenza e del management più elevato della compiuta conoscenza del fenomeno del capitale finanziato e delle conseguenti determinazioni operative; e, dall'altro (come peraltro già stigmatizzato dalla Banca d'Italia all'esito di precedenti verifiche), da quell'atteggiamento di sconcertante passività e totale accondiscendenza del consiglio di amministrazione (fatte salve talune, sporadiche eccezioni) che si traduceva, all'esito di un simulacro di discussione, in approvazioni unanimi delle proposte presidenziali, deve necessariamente convenirsi con le conclusioni cui è pervenuto il tribunale. Trattasi, a ben vedere, di conclusioni che, ben lungi dal costituire l'esito di un apprezzamento meramente "parcellizzato" delle prove disponibili (ovverosia, come sostenuto dall'appellante, di una valutazione atomistica illogicamente sottratta ad una successiva visione d'insieme), rappresentano l'unico approdo coerente con il rigoroso standard probatorio idoneo a legittimare, nei dovuti termini di tranquillante certezza, l'affermazione di penale responsabilità. In effetti, le circostanze valorizzate nell'impugnazione e, segnatamente: - la natura correlata tanto dell'operazione effettuata nel novembre del 2012 tramite Ze. S.r.l., peraltro caratterizzata dalla significativa entità, pari a 10 milioni di Euro, del relativo ammontare (dei 12, 5 milioni erogati, infatti, solo 2,5 milioni erano stati impiegati per rilevare le quote della società Ar., la restante parte venendo destinata all'acquisto di azioni dell'istituto), quanto dell'ulteriore dell'operazione relativa alla partecipazione all'aumento di capitale 2013 per il tramite di un apposito incremento della linea di credito già in essere; - i vantaggi riconosciuti all'imputato in relazione alle citate operazioni correlate, segnatamente con riferimento agli interessi praticati dall'istituto di credito (stante la differenziazione tra quelli relativi, da un lato, alla parte di finanziamento impiegato per l'acquisto delle azioni B., in ordine ai quali era anche previsto il rimborso e, dall'altro, alla quota di fido concesso per rilevare la partecipazione in Ar.); - la circostanza che analoghe operazioni fossero state poste in essere dal fratello dell'imputato, Gi.Zi., e che anche quest'ultimo avesse fruito di un trattamento di favore (a tale ultimo riguardo, il riferimento è all'"annullamento" dell'operazione ed agli "storni" di interesse formalmente applicati); - il fatto che il giudicabile, con ogni probabilità, fosse consapevole dell'esistenza di ulteriori soci finanziati dall'istituto di credito i quali, peraltro, traevano vantaggi da tali operazioni (tanto da essersi preoccupato di precisare, in occasione dell'adesione alla proposta di "baciata" da 10 milioni di Euro, come non fosse sua intenzione "guadagnare" alcunché, evidentemente alludendo, con tale precisazione, alla volontà di differenziarsi dagli altri investitori che, al contrario, da tale tipologia di operazioni traevano profitto); - il trattamento di favore che egli aveva rivendicato come una sorta di contropartita della pregressa disponibilità manifestata nel concludere operazioni correlate allorquando, successivamente, nel dicembre del 2014, aveva richiesto ed ottenuto da B. un finanziamento senza garanzia (intende farsi riferimento al prestito inerente all'operazione poi effettuata con Ub. descritta dal teste Vi., allorché questi ha ricordato come l'imputato gli avesse riferito che il finanziamento gli era stato concesso da B. perché aveva un "credito nei loro confronti sicché l'operazione "gli era dovuta"); - la censurabile sottovalutazione della vicenda relativa alla mail inviata da Mi.Ga., valgono bensì a dimostrare come Zi.Gi. avesse contezza della sussistenza della prassi, più o meno diffusa, circa la concessione, da parte dell'istituto di credito vicentino, di finanziamenti destinati, in tutto o in parte, all'acquisto di azioni proprie della banca (ed il tenore delle conversazioni nn.ri 222 e 543 richiamate dal p.m., in effetti, orienta certamente in tal senso, ma non prova nulla di più), ma non consentono affatto di concludere che lo ZI. fosse consapevole dell'entità del fenomeno del capitale finanziato neppure in termini di ordine di grandezza approssimativo e, soprattutto, delle conseguenti implicazioni sul bilancio (e, segnatamente, sul regime prudenziale dell'istituto di credito). E men che meno legittimano la conclusione che il medesimo imputato - sempre che fosse a specificamente informato della sussistenza degli obblighi di decurtazione dei finanziamenti destinati all'acquisto di azioni proprie dal patrimonio di vigilanza/fondi propri - fosse poi cosciente dell'effettivo mancato rispetto della normativa prudenziale in questione. In effetti, va ancora una volta precisato che la conoscenza dell'esistenza di una prassi, più o meno diffusa, in ordine al "capitale finanziato" (conoscenza che, nelle sue linee generali, come si è più volte evidenziato, era evidentemente ben nota all'interno dell'istituto di credito, specie nella catena della "rete commerciale", se non altro per l'esigenza che le decisioni di vertice sul collocamento delle azioni si traducessero in concrete, ramificate operazioni di collocamento dei titoli presso la clientela) costituisce condizione necessaria ma non sufficiente per desumere la consapevolezza dell'esistenza di una strutturata attività di manipolazione dei titoli B., posto che tale consapevolezza avrebbe richiesto anche la disponibilità di informazioni adeguate in ordine all'entità del fenomeno in esame, alla conseguente incidenza sul valore dell'azione ed alle sue ricadute concrete sotto il profilo del patrimonio di vigilanza/fondi propri). E, questo, a tacere del fatto che, sul piano logico, sarebbe difficilmente comprensibile la decisione, specie se adottata da un attento investitore professionale quale Zi.Gi., di acquisire (ancorché tramite finanziamento senza interessi, pur sempre implicante l'obbligo di restituzione del capitale erogato) una partecipazione azionaria tanto consistente (a fortiori nell'ottica di una scalata alla presidenza) ove costui fosse stato realmente consapevole sia della effettiva e non transeunte situazione di illiquidità del titolo sia, più in generale, della precarietà delle condizioni patrimoniali della banca. Al profilo di tale imputato, infatti, non possono certo attagliarsi le considerazioni che, al contrario, ben si addicono alla posizione del coimputato ZO. (nell'impugnazione del quale - come s'è detto - sono stati rivendicati gli ingenti conferimenti di capitale effettuati, peraltro integralmente con risorse del giudicabile, nell'acquisto di azioni dell'istituto, ritenendoli sintomatici di atteggiamento ispirato da buona fede). Se, infatti, il presidente di B. non era affatto nelle condizioni di liquidare (e neppure di ridurre) le partecipazioni azionarie detenute nella banca per le decisive ragioni personali di cui s'è detto, la posizione di Zi.Gi., sul punto, era di tutt'altra natura, non avendo egli affatto legate, a differenza dello ZO., la propria persona e le proprie prospettive imprenditoriali in modo indissolubile alla banca (nella quale rivestiva un ruolo bensì importante, ma non certo rappresentativo). Trattasi, a ben vedere, di differenza tanto evidente da non richiedere ulteriori considerazioni. E' bensì vero che le emergenze istruttorie - ivi compreso quanto riferito dal coimputato GI. nel corso dell'esame reso in sede di giudizio di appello - hanno consentito di verificare come l'esistenza di tensioni sul mercato secondario dei titoli di B. fosse questione che, come da ultimo precisato dal propalante, ripetutamente era stata trattata in CdA ed evidentemente rappresentata all'imputato (o, comunque, dallo stesso ZI. certamente intuita al momento della proposta avanzatagli di concludere l'operazione "baciata" del 2012, posto che, in difetto, non avrebbe avuto alcun senso detta sollecitazione all'acquisto dei titoli e tenuto conto che, come pure s'è avuto modo di apprendere dall'istruttoria dibattimentale, sino agli anni 2008-2010 le azioni B. erano molto richieste dal mercato, tanto che il ricorso alle "baciate" era puramente occasionale e dettato da ben differenti finalità). In effetti, l'ascolto, effettuato all'udienza in data 17.6,2022, della registrazione dell'intervento effettuato dall'imputato ZO. nel corso della seduta del CdA 5.11.2013 non lascia adito a dubbi, stanti i palesi ed insistenti riferimenti in proposito, ivi compreso quello, effettuato dal consulente di B., Gi.Fa. ed in precedenza evocato, in ordine ad una probabile sopravvalutazione del prezzo dell'azione (cfr. pag. 7 della relativa trascrizione, effettuata a cura della difesa ZO. e da essa prodotta alla stessa udienza del 17.6.2022). Nondimeno, proprio per la sorprendente, ma verificata superficialità delle modalità di funzionamento di tale organo collegiale - modalità che, in effetti, sono state ripetutamente evidenziate, da ultimo dal coimputato GI. nel corso della sua più recente escussione (e che, peraltro, hanno fondato, nei confronti di numerosi componenti del medesimo consesso oltre che del collegio sindacale, l'irrogazione di sanzioni amministrative la legittimità delle quali è stata recentemente confermata dalla suprema Corte) - va escluso che i consiglieri di amministrazione fossero stati messi a parte, per ragioni legate all'ufficio ricoperto, delle effettive condizioni nella quale versava l'istituto di credito in relazione al tema del capitale finanziato e delle conseguenti implicazioni operative. Questo, anche tenuto conto, con specifico riferimento al tema costituito dal valore dell'azione B., dell'esistenza di una perizia di stima che, anche per la sua provenienza da uno dei massimi esperti in materia, appariva assolutamente tranquillante. Con particolare riguardo alla posizione del predetto ZI., poi, una siffatta, puntuale conoscenza neppure risulta aliunde acquisita. In particolare, trattasi di consapevolezza che non può automaticamente desumersi dal fatto che costui, all'atto della conclusione delle "operazioni baciate" del 2012 e del 2013, avesse agito "per fare un favore alla banca". Difettano, invero, univoche evidenze del fatto che il giudicabile avesse contezza non già di una situazione, più o meno temporanea, di difficoltà di funzionamento, rispettivamente, del mercato secondario e di quello primario, bensì dello stato di effettiva illiquidità del titolo azionario e della (conseguente) incapacità della banca di incrementare le proprie risorse in sede di aumento di capitale, ovverosia dì quella situazione complessiva di crisi strutturale che era intenzione dell'alta dirigenza dell'istituto sterilizzare ed occultare proprio attraverso il sistematico, perverso ricorso al capitale finanziato. In altri e decisivi termini, non v'è prova del fatto che lo ZI. disponesse di elementi di conoscenza, sul punto, significativamente maggiori rispetto a quelli in possesso dei "colleghi" consiglieri. Al riguardo, infatti, non assume particolare significato il radicato collocamento dell'imputato nel tessuto imprenditoriale vicentino (in quanto già presidente della articolazione territoriale di Confindustria), essendosi in presenza anche in tal caso, di uno status (quello di soggetto intraneo al locale ambiente economico-finanziario) non sostanzialmente difforme rispetto a quello dei restanti componenti del Consiglio, parimenti ben introdotti nel circuito d'impresa e, taluni, finanche dotati di competenze specialistiche di assoluto rilievo. Né può attribuirsi eccessivo rilievo - men che meno al fine di farne discendere una sostanziale differenza di posizioni tra lo ZI. e gli ulteriori esponenti del Consiglio di amministrazione di B., parimenti finanziati dall'istituto di credito - alla circostanza che l'imputato fosse un imprenditore aduso ad operare investimenti sui mercati finanziari con conseguente conoscenza dei "fondamentali" in materia. Questo, solo a considerare che, all'interno del medesimo CdA, v'erano soggetti, come testé evidenziato, le competenze tecniche dei quali erano decisamente superiori rispetto a quelle dello stesso giudicabile e che, nondimeno, sono stati convincentemente ritenuti dalla medesima autorità giudiziaria vicentina (si veda il provvedimento di archiviazione adottato su richiesta della stessa Procura berica, pur consapevole degli addebiti e delle sanzioni applicate dall'autorità amministrativa nei confronti di altri componenti del Consiglio di Amministrazione) privi di una chiara visione del fenomeno in esame, con conseguente archiviazione delle relative posizioni (cfr. ordinanza di archiviazione GIP tribunale di Vicenza 30.3.2022, prodotto dalla difesa dell'imputato PE. in allegato alla memoria 12.5.2022 in materia di rinnovazione istruttoria). In altri termini, il panorama probatorio che viene restituito dall'istruttoria dibattimentale (anche alla luce dell'implementazione avvenuta in sede di appello) dimostra: - per un verso, l'effettiva esecuzione, da parte dell'imputato, di operazioni correlate (come, del resto, da questi "ammesso" nel pro-memoria rinvenuto, in sede dì perquisizione, nei supporti informatici dell'imputato e relativo alla ricostruzione dell'incontro che il predetto aveva avuto il giorno 8 maggio con il presidente ZO., presenti il vicepresidente Br. e l'avv. Am.); - e, per altro verso, la consapevolezza, in capo al medesimo giudicabile, che la banca versasse, in quello specifico frangente (e, più in generale, nel periodo, in cui si collocano i fatti sub iudice), in una condizione di difficoltà (peraltro comune all'intero settore del credito) e, pertanto, avesse necessità dì un sostegno nell'assicurare una adeguata circolazione delle azioni, ma non consente affatto di concludere che il medesimo ZI. ritenesse che tale necessità fosse strutturale e non transeunte (e, più specificamente, che non derivasse, almeno significativamente, da un aumento di richieste dì vendita da parte degli azionisti legate ad un contesto dì difficoltà economica generale conseguente alla crisi internazionale in atto e non già ad una situazione di strutturale illiquidità del titolo che aveva cessato di essere appetibile per ragioni "intrinseche") e, soprattutto, che all'esecuzione di siffatte operazioni correlate non conseguisse la dovuta attuazione delle "contromisure" prudenziali ed il conseguente rispetto della disciplina inerente ai rapporti con gli enti di vigilanza. Le conversazioni intercettate che hanno visto coinvolto l'imputato212, del resto, specie se doverosamente analizzate nella loro complessiva significazione, restituiscono l'immagine di un soggetto non solo sinceramente preoccupato per le sorti dell'istituto di credito, ma anche, ed è quel che più rileva (visto che nessuno dei coimputati ha operato scientemente per pregiudicare la sorte della banca, essendo stati, piuttosto, tutti animati dalla intenzione di traghettare l'istituto di credito fuori dalle secche della crisi, anche a costo di perpetrare i reati sub iudice), effettivamente incredulo delle dimensioni e delle implicazioni del fenomeno del capitale finanziato. Aggiungasi che lo stesso coimputato GI., pur molto severo, anche nei giudizi da ultimo resi, nei confronti, tra gli altri, dei componenti del CdA di B., ha bensì evidenziato come costoro, ai quali non era ignota l'esistenza delle operazioni correlate, fossero nelle condizioni, ove realmente interessati, di approfondire il tema in esame e, così, di giungere a comprendere gli esatti termini della crisi nella quale versava l'istituto di credito; tuttavia, non ha affatto riferito di una effettiva consapevolezza, in capo a costoro, della esatta j dimensione del fenomeno, né dell'omessa decurtazione dal patrimonio di vigilanza degli importi dei finanziamenti. In definitiva, gli elementi disponibili, anche ove doverosamente sottoposti alla valutazione d'insieme sollecitata dalla pubblica accusa (valutazione, peraltro - va doverosamente precisato - che non è stata affatto omessa dal primo giudice), sono tutt'altro che sintomatici di quella conoscenza approfondita non solo della sistematicità e della complessiva entità delle operazioni correlate effettuate presso B. ma anche - e soprattutto - delle conseguenti implicazioni sui coefficienti patrimoniali prudenziali che costituiscono l'indispensabile presupposto della reale comprensione, da parte dell'odierno giudicabile, del fatto che, presso B., fosse in atto una prassi operativa di sistematica manipolazione del mercato e di conseguente occultamento alla vigilanza di quanto, sul punto, andava accadendo. Di qui l'impossibilità dì ravvisare nelle operazioni di capitale finanziato poste in essere dallo ZI. la inequivoca dimostrazione dì una volontaria adesione e di una consapevole, fattiva partecipazione alle attività delittuose che radicano le imputazioni di riferimento, con conseguente impossibilità dì riconoscere, alla base dell'agire dell'imputato, la sussistenza dell'indispensabile "dolo di partecipazione". Non ignora questa Corte come non sia affatto necessario, per affermare la penale responsabilità del compartecipe, che questi abbia previamente concertato con i concorrenti l'attività delittuosa, né che egli abbia avuto contezza dell'esatta identità dei correi e neppure delle specifiche modalità esecutive della condotta delittuosa nel suo complesso; nondimeno, è pur sempre necessario che costui abbia avuto la consapevolezza di agire, in comune, per una finalità unitaria e conoscendo, quantomeno a grandi linee, il ruolo svolto dagli altri partecipi (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 40274 del 5.10.2021, Catalano, Cass. Sez. II, n. 18745 del 15.1.2013, Am., Cass. Sez. VI, n. 46309 del 9.10.2012, P.G. in proc. An., Sez. V, n. 25894 del 15.5.2009, Ca. e altri, Cass. Sez. VI, n. 37337 del 10.7.2003, D'A. Cass. Sez. VI, 25705 del 21.3.2003, Sa. e altri) o, comunque, che egli abbia, anche solo unilateralmente (cfr. sul punto, Cass. Sez. III n. 44097 del 3.5.2018, I.), deciso di convergere sull'evento finale perseguito dai concorrenti (peraltro tale da includere, quanto al reato ex art. 2638, co. 2 c.c., la realizzazione dell'attività di ostacolo, specificamente oggetto di dolo). Ebbene, trattasi di requisiti che, nella specie, non sono affatto ravvisabili con riferimento alla posizione dello ZI.. E' solo per completezza, quindi, che si precisa (analogamente a quanto effettuato dal giudice di prime cure nell'ampia digressione contenuta alle pagg. 771-773 della sentenza impugnata) che a non diverse conclusioni dovrebbe pervenirsi qualora l'addebito elevato a carico dell'imputato dovesse essere ricondotto al paradigma ex art, 40 cpv. c.p. (riferimento, questo, in ogni caso, estraneo rispetto al perimetro dell'imputazione - come, peraltro, ulteriormente si ricava dalle puntualizzazioni effettuate, con riferimento al criterio di imputazione della responsabilità penale sotteso all'impostazione d'accusa, dallo stesso P.M. appellante - donde la natura di mera precisazione delle presenti considerazioni). L'evidenziata assenza di elementi univocamente sintomatici della consapevolezza, in capo allo ZI., di una attività, in itinere, di manipolazione del titolo e del mercato e di una conseguente azione di sviamento della vigilanza, infatti, escluderebbe in ogni caso la sussistenza del presupposto per ravvisare, a carico del giudicabile, una responsabilità omissiva di rilievo penale. Pertanto - e concludendo sul punto - difettano, ad avviso di questa Corte, margini di sorta per l'invocata riforma della pronunzia assolutoria impugnata (cfr. sulla necessità, in tal caso, di motivazione rafforzata, da ultimo, Cass. Sez. IV n. 2474 del 15.10.2021 dep. 21.10.20121, Ma., Cass. Sez. IV, n. 24439 del 16.6.2021, dep. 22.6.2021, Fr.), pronunzia che, anzi, appare pienamente persuasiva, in quanto coerente con una attenta valutazione (tanto analitica quanto sintetica) del complessivo compendio probatorio disponibile. 15.2 L'appello inerente alla posizione di Pe.Ma. Come s'è detto, il P.M. ha proposto appello avverso la sentenza che ha mandato assolto Pe.Ma. per difetto dell'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito, censurandone il percorso argomentativo sul rilievo: - per un verso, della mancata debita considerazione, da parte del primo giudice, dì talune evidenze probatorie dalle quali sarebbe stato possibile desumere la consapevolezza, in capo al giudicabile, del radicato ricorso al finanziamento degli acquisti delle azioni B. (segnatamente, nell'ordine: la partecipazione alla seduta del comitato di direzione 8.11.2011; il coinvolgimento dell'imputato nelle ulteriori sedute degli organi collegiali manageriali della banca nei quali si affrontava, sotto diversi profili, il fenomeno del capitale finanziato; gli esiti delle attività di intercettazione telefonica ed il contenuto delle comunicazioni SMS; le dichiarazioni rese dal responsabile Audit Bo. in occasione della riunione indetta dal d.g. So., nel febbraio 2015, in vista dell'avvio dell'ispezione Bc.; il tenore della discussione svoltasi in occasione del comitato di direzione 10.11.2014); - e, per altro verso, della sopravvalutazione di elementi probatori asseritamente a discarico ("episodio KP."; le deposizioni dei colleghi Fa., Tr., Mo. e Li.; la condotta tenuta dall'imputato in relazione alla disclosure inerente ai fondi At. ed Op.; e, infine, la valutazione espressa dal medesimo PE., in sede di CdA 1.4.2014, in ordine alla stima del valore dell'azione proposta dal prof. Bi.). Conseguentemente, l'impugnazione ha proposto una rilettura critica di tali snodi dell'istruttoria dibattimentale idonea, ad avviso dell'appellante, a legittimare il ribaltamento della decisione assolutoria adottata dal primo giudice, donde le coerenti conclusioni rassegnate dalla pubblica accusa con richiesta di condanna del PE. in relazione a tutti i reati ascrittigli. Sul punto, non può che rimandarsi a quanto esposto saprà, là dove sono state ripercorse le argomentazioni svolte a sostegno del gravame, con la doverosa precisazione che agli elementi valorizzati dal p.m. nell'atto di appello si sono poi aggiunte le dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie del coimputato GI.. L'appello è fondato. Al riguardo, va sin d'ora precisato che, ai fini della corretta lettura del ruolo svolto dal PE. nei fatti per cui è processo, assume dirimente rilievo il tema della consapevolezza, in capo a costui, della risalente prassi del ricorso al capitale finanziato da parte del management di B., prassi che - s'è detto anche questo - inizialmente invalsa per raggiungere l'obiettivo di svuotamento del fondo azioni proprie ai fini di dimostrare elevati standard di efficienza gestionale era poi divenuta essenziale per corrispondere all'esigenza, via via sempre più pressante, di assicurare la liquidità del titolo, il tutto senza rinnegare le politiche di espansione tenacemente perseguite dal presidente ZO.. Solo qualora fosse provata tale conoscenza avrebbe senso - com'è evidente - interrogarsi sulla cosciente e volontaria adesione a siffatta operatività, E' essenzialmente sul versante della conoscenza dell'esistenza e dell'entità del capitale correlato, infatti, che è stata decisa, in primo grado, la sorte processuale del giudicabile ed è su questo medesimo versante che, del tutto coerentemente, si sono concentrati, nel giudizio di appello, gli sforzi argomentativi delle parti (cfr. quanto alla difesa PE., i ragionamenti svolti, in particolare, alle pagg. 28-87 delle considerazioni "in fatto" contenute nella memoria difensiva 4.2.2020; cfr., altresì, quanto evidenziato nella articolata memoria conclusiva 30.9.2022; si vedano, infine, le deduzioni "di replica" contenute nella memoria 7.10.2022). Di seguito, pertanto, si affronteranno, nell'ordine, le questioni della conoscenza, da parte del predetto imputato, di tale fenomeno e della fattiva cooperazione fornita dal medesimo all'attuazione della suddetta prassi. 15.2.1 La conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte di Pe.Ma.. In proposito, sì impongono le seguenti osservazioni preliminari, di ordine, rispettivamente, fattuale e logico. Sotto il primo profilo (quello della premessa fattuale) è stato più volte evidenziato come l'esistenza della concessione di finanziamenti per l'acquisto delle azioni dell'istituto di credito costituisse oggetto di diffusa, se non addirittura capillare, conoscenza all'interno delle varie articolazioni di B. e in particolare, a tutti i livelli della rete commerciale dell'istituto, trattandosi di struttura chiamata ad attuare le direttive - sempre più stringenti a partire dall'anno 2011 - di collocamento "a tutti i costi" delle azioni impartite dalla più alta dirigenza della Banca (il teste Tu. ha significativamente precisato, sul punto, che persino i "cassieri" ne erano consapevoli214; il teste Premi, dal canto suo, ha altrettanto efficacemente specificato che "il 99% del personale" della banca ne era a conoscenza, soggiungendo come, del resto, fosse un sistema impossibile da tenere celato, sia per la sua amplissima diffusione, sia perché implicava il contributo delle più diverse professionalità), sebbene - lo si è precisato in precedenza - si trattasse di conoscenza che solo ai "piani" più alti dell'istituto, ove si disponeva di una visione di insieme del fenomeno in esame, era corredata da precise coordinate circa l'esatta entità (peraltro oggetto di continua evoluzione) del capitale finanziato. Sul punto, pertanto, ogni ulteriore digressione sarebbe superflua. Sotto il secondo profilo (quello della valutazione razionale), poi, è d'uopo la seguente considerazione: se è vero - come pure si è ripetutamente evidenziato - che il ricorso sistematico alla concessione di finanziamenti destinati all'acquisto delle azioni dell'istituto è stato lo strumento impostosi per fronteggiare la situazione di ingravescente illiquidità del titolo, non più scongiurata dall'impiego delle risorse del "fondo acquisto azioni proprie" (fondo che, del resto, era necessario "svuotare" periodicamente per assicurare il rispetto dei ratios patrimoniali imposti dalla sempre più stringente disciplina in materia e, al contempo, sostenere il valore dell'azione), è giocoforza concludere, alla stregua della logica più elementare, che le operazioni di capitale finanziato e, in particolare, le "campagne svuotafondi", costituissero oggetto, dapprima, di una adeguata pianificazione e, quindi, di una conseguente attuazione, costantemente monitorata, non essendo ragionevolmente ipotizzabile che siffatte operazioni fossero poste in essere "alla cieca", ovverosia ignorandone presupposti ed effetti. Trattasi, d'altronde, dì conclusione che trova piena conferma nel più volte evocato intervento tenuto dal d.g. So. in occasione della seduta del Comitato dì Direzione 8 novembre 2011 siccome restituitoci dalla sintetica (ma assai precisa) ricostruzione consentita dalle annotazioni del So., là dove, pur nella doverosa sintesi imposta dalle caratteristiche di detto scritto (un semplice appunto pro memoria, in ogni caso redatto da soggetto particolarmente affidabile in quanto istituzionalmente incaricato della verbalizzazione delle sedute), non fa difetto un esplicito riferimento proprio alla esigenza di costante verifica dell'andamento di tali operazioni ("...dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. Abbiamo degli impegni nei confronti di B. e CdA........al corporate bisogna farle bene e poi vanno mantenute..."). Sennonché il tribunale, dopo avere correttamente riconosciuto (cfr. pag. 735 della sentenza impugnata) che il monitoraggio dei dati contabili rilevanti ai fini del rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione non solo agli attivi ponderati (RWA) ma anche all'andamento del fondo acquisti azioni proprie costituiva una incombenza assegnata alla direzione "Pianificazione Strategica" (affidata alla guida del Fa.), ovverosia ad una articolazione aziendale facente capo alla Divisione Bilancio diretta dal PE., ha nondimeno affermato (cfr., pag. 751 della sentenza impugnata), pur in presenza dell'esplicito tenore dell'appunto del So. testé richiamato, come il - monitoraggio del capitale finanziato" non fosse "univocamente riconducibile" all'intervento di detta direzione e, segnatamente, del suo responsabile Fa. (intervento dal quale, in effetti, sarebbe stato indirettamente desumibile il coinvolgimento del PE.). Ebbene, occorre necessariamente prendere atto che, nel pervenire a tale approdo, il primo giudice non si è minimamente confrontato con le necessarie implicazioni (davvero difficilmente sostenibili, a ben vedere, sul piano della razionalità) di una siffatta conclusione. In effetti, posto che: - per un verso, è impensabile che il d.g. So. ed il vicedirettore Gi. provvedessero personalmente a valutare le operazioni di finanziamento con specifico riferimento agli effetti di dette operazioni sul patrimonio di vigilanza, limitandosi costoro, in effetti, a verificare (in particolare attraverso l'analisi del report c.d. "colorato", predisposto dall'ufficio soci216) quale fosse l'andamento degli acquisti e delle vendite e ad impartire le conseguenti disposizioni; - per altro verso, non v'è traccia alcuna dell'esistenza di una struttura separata ed occulta alla quale fosse stata affidata la tenuta della contabilità relativa alle implicazioni sui ratios patrimoniali delle operazioni inerenti ai finanziamenti correlati (posto che il monitoraggio del quale, come peraltro precisato dal teste Ba., si occupavano l'ufficio soci e, all'interno della Direzione Commerciale, il funzionario Tu., era evidentemente riferibile all'andamento delle operazioni di collocamento delle azioni, non già alle relative ricadute sui requisiti di vigilanza); - e, per altro verso ancora, l'unica articolazione dell'istituto di credito in grado (per le competenze tecniche dei suoi componenti) di svolgere un siffatto controllo (peraltro di natura assolutamente identica rispetto a quella dell'analogo compito affidatogli in via "istituzionale") era proprio la "Direzione Pianificazione Strategica"218 (si veda, sul punto, la deposizione del To., riportata, più oltre, in nota e, segnatamente, il passaggio nel quale il predetto, con riferimento alle valutazioni funzionali alla vigilanza, ha affermato: "....erano mobili perché il Tier 1 è di fatto un rapporto fra il capitale, fra il patrimonio e le attività a rischio; le attività a rischio poi devono essere ponderate a seconda della forma tecnica e, perciò, è un calcolo complicato e sofisticato che solo Pe. era in grado di poter poi dare il risultato finale, perché aveva gli uomini che gliele fornivano..."; si veda, inoltre, proprio con riferimento alla discussione svoltasi in occasione del comitato di direzione 8 novembre 2011, quanto riferito dal coimputato GI. già nel corso del dibattimento di primo grado circa il fatto che la "Divisione Mercati" facesse necessario affidamento, anche in materia di ratios patrimoniali, sui dati elaborati dalla "pianificazione"219; si veda, infine, quanto riferito, al riguardo, in sede di rinnovazione istruttoria, dal teste Tr., in ordine al monitoraggio delle azioni proprie sotto il profilo della verifica del rispetto dei ratios patrimoniali), è inevitabile concludere che un siffatto monitoraggio dovesse essere assicurato proprio da tale Direzione, non essendo in alcun modo logicamente sostenibile alcuna altra ipotesi alternativa. Trattasi, a ben vedere, di una significativa - per quanto indiretta - prova (logica) del coinvolgimento della "Divisione Bilancio" (per il tramite della sua articolazione interna costituita dalla citata "Direzione") nelle operazioni di monitoraggio del capitale finanziato, sia pure non a livello operativo, bensì di pianificazione e controllo (segnatamente, sotto il profilo dei risvolti in tema di ratios patrimoniali). L'assoluta importanza di siffatte operazioni occulte per la sopravvivenza stessa dell'istituto di credito; le gravissime implicazioni (anche di ordine penale) del necessario nascondimento di tale prassi alle autorità di vigilanza (le interlocuzioni con le quali rientravano nella competenza proprio dell'imputato PE.); e, infine, le caratteristiche dì marcata gerarchia proprie dell'organizzazione aziendale in esame, orientano, poi, sempre sul piano logico, nel senso della implausibilità della tesi secondo la quale il predetto PE. - massimo responsabile, lo si ripete, della "Divisione Bilancio" - sarebbe stato tenuto all'oscuro di una siffatta attività (sistematicamente svolta da una struttura aziendale affidata, in ultima analisi, proprio alla sua responsabilità) per effetto di una sorta di (irragionevole) conventio ad excludendum. della quale, peraltro (e trattasi di circostanza decisiva), non v'è riscontro di sorta. Dell'amplissimo compendio probatorio disponibile, infatti, nessun elemento, tanto di natura documentate quanto testimoniale (ivi comprese, pertanto, le dichiarazioni dei più stretti collaboratori dell'imputato, pure ispirate, si avrà modo di evidenziarlo, dal percepibile - e in certa misura umanamente comprensibile - intento di non nuocere al giudicabile ma, soprattutto, dall'interesse di allontanare dalle rispettive persone, peraltro rimaste esenti da ogni contestazione, qualsivoglia sospetto di una consapevole collaborazione alla prassi in esame) ha fatto emergere l'esistenza di direttive orientate ad escludere il PE. (ovvero altri dirigenti apicali della banca) dalla conoscenza del fenomeno del capitale finanziato. Piuttosto, come si dirà più oltre, può dirsi ampiamente provato l'esatto contrario. Che, poi, i "flussi informativi" ufficiali che giungevano al PE. non dessero conto di siffatta operatività, come ripetutamente osservato dalla difesa del predetto (cfr., in particolare, memoria difensiva, pag. 22), è circostanza del tutto irrilevante, ove si consideri che - come pure pacificamente emerso - vigeva una severa direttiva interna volta ad evitare che potessero essere lasciate tracce documentali di tale fenomeno. Ne consegue che le argomentazioni spese dalla difesa221 per sostenere che la pluriennale gestione del capitale finanziato potesse tranquillamente prescindere dal contributo della Divisione Bilancio (articolazione, assolutamente essenziale, sbrigativamente equiparata agli organi di vigilanza e di controllo interni, tenuti all'oscuro del fenomeno in questione) non hanno davvero alcuna consistenza (fermo restando, in ogni caso, che è pure emerso - con specifico riferimento al ruolo dell'Audit e del suo responsabile, Bo. - come le strutture deputate al controllo interno, acquisita la consapevolezza del fenomeno, fossero rimaste inerti, soprassedendo da ogni intervento doveroso). Tanto premesso, è all'interno di una siffatta cornice di ordine fattuale e logico che, ad avviso della Corte, può più utilmente collocarsi la disamina degli (ulteriori) elementi probatori - diretti ed indiretti, documentali, dichiarativi e logici - specificamente emersi a carico dell'imputato in ordine alla effettiva conoscenza non solo dell'esistenza del capitale finanziato "occulto" (posto che la conoscenza di finanziamenti "dichiarati" all'uopo concessi in occasione degli aumenti di capitale - ed oggetto di conseguente decurtazione dal capitale di vigilanza - non è certo in discussione) ma anche della sua significativa entità, non prima, tuttavia, di avere doverosamente precisato come il PE., nella sua qualità di responsabile della Divisione Bilancio e di dirigente preposto, fosse ben avvertito (come, del resto, da luì stesso ammesso nel corso dell'esame reso in sede di rinnovazione istruttoria): - da un lato, della necessità che ad eventuali operazioni di erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni conseguisse la corrispondente decurtazione dal patrimonio di vigilanza (un tanto essendo stato esplicitamente previsto per le operazioni di tale natura effettuate in sede di aumento di capitale); - e, dall'altro, che le ordinarie procedure di "registrazione" adottate dall'istituto di credito non prevedessero la possibilità di regolare "tracciamento" contabile di operazioni di capitate finanziato, in assenza di quel codice prodotto - peraltro espressamente introdotto in sede di miniaucap anche con la collaborazione dell'imputato - che, al contrario, ne avrebbe consentito la evidenziazione informatica. E, sul punto, l'imputato, per giustificare tale carenza (altrimenti a lui addebitabile in ragione della specifica funzione ricoperta), si è limitato a sostenere (del tutto tautologicamente, all'evidenza) che l'assenza di siffatte procedure discendeva dal fatto che operazioni di finanziamento per l'acquisto di azioni proprie non erano contemplate dalla "normativa interna della banca" e che "non c'era una procedura", a fronte, peraltro, di una situazione di incertezza circa l'applicabilità o meno alle banche popolari delle disposizioni di cui all'art. 2358 c.c. (applicabilità che - va precisato - all'interno dell'istituto era esplicitamente esclusa proprio per avvalorare la tesi, nei confronti degli appartenenti alla rete di vendita, della concedibilità dei finanziamenti correlati). Ebbene, nell'analisi del compendio probatorio non può che prendersi le mosse dal già citato documento redatto dal So. ai fini della successiva verbalizzazione ed inerente alla seduta del Comitato di Direzione 8.11.2011, documento che è utile riportare per esteso nella parte di interesse: Omissis Ora, come si evince agevolmente dal tenore dell'appunto (e come del resto precisato dal suo estensore So., oltre che dal To.: di ciò si è già dato dato conto sapra), si tratta di un passaggio della riunione inequivocabilmente dedicato all'esigenza di reperimento di capitale aggiuntivo per raggiungere l'obiettivo indicato dal PE. (8% di Tier 1) e nel quale è esplicito il riferimento alla necessità di ricorrere all'esecuzione di "operazioni baciate". Occorreva, infatti, come anche esplicitato dal predetto To., collocare oltre 100 milioni di azioni (per l'esattezza 110, secondo quanto più precisamente riferito dal PE.) nel volgere solo di poco più di un mese. Dopo gli espliciti, coerenti interventi dei responsabili di Ca. e Ba.Nu., To. ("Da noi sono baciate, non sono facili da proporre") e Se. ("anche da noi sono baciate") - interventi che, nella loro "trasparenza" (ed anche alla luce della successiva assenza di reazioni da parte del d.g.), sono già decisivi nel provare l'assenza di alcuna strategia aziendale volta ad escludere il PE. dalla conoscenza del fenomeno del capitale finanziato - seguiva la pronta "sintesi" del d.g. So. ("Dobbiamo veramente monitorare giornalmente. Dobbiamo continuare a spingere sul retail e si deve pianificare. Al corporate bisogna farle bene e poi vanno mantenute. Il soggetto deve essere credibile... ") che non lascia davvero dubbi circa le conclusioni concordemente raggiunte nell'occasione: effettuare operazioni "baciate", ovviamente avendo cura di scegliere interlocutori affidabili "credibili") sotto il profilo del merito creditizio, in attuazione di una strategia che richiedeva tanto una adeguata pianificazione quanto un costante monitoraggio del suo andamento, strategia che, nella prospettiva del massimo dirigente B., avrebbe dovuto necessariamente coinvolgere (dato il poco tempo a disposizione ed il significativo volume del valore in gioco), sia il settore "Retail sia quello - Corporate". E, in effetti, come puntualmente evidenziato dal primo giudice a pag. 303 della sentenza impugnata, lo stesso To., finita la riunione, aveva convocato i capi area impartendo disposizioni in tal senso, tanto che, a seguire, erano state concluse alcune operazioni baciate significative (si tratta delle operazioni con Co. Spa, Be.Ma., Ta.Ra. e Ro.). D'altronde, che quella testé esposta sia, ad onta delle contrarie considerazioni difensive (si veda, sul punto, la memoria difensiva, pagg. 29-41), l'unica "lettura" dell'appunto di So. ragionevolmente proponibile lo si ricava dalla debita considerazione (del tutto obliterata dal tribunale vicentino, peraltro) delle comunicazioni mail (significativo è il documento n. 166 della produzione del P.M., documento erroneamente definito come il report "colorato" nell'atto di appello, secondo quanto censurato dalla difesa, ma senza che ciò abbia alcuna rilevanza pratica, posto che correttamente l'appellante ne ha poi richiamato il contenuto 227) intercorse tra la più alta dirigenza dell'istituto di credito (ivi compreso il PE.) nei mesi precedenti rispetto all'incontro dell'8 novembre e tali da evidenziare la situazione di estrema difficoltà nella quale, già allora, versava il mercato secondario delle azioni, nella specie caratterizzato da domande di cessione dei titoli il cui valore complessivo, nel primo semestre dell'anno (pari a 158 milioni), aveva di gran lunga superato (di ben 110 milioni, ammontare significativamente corrispondente a quello che sarebbe poi stato evocato, occasione di detta riunione, dal PE.) quello delle richieste di acquisto (pari a 48 milioni). Anche l'appunto redatto dal funzionario Co.Tu. di cui al documento n. 884 della produzione del P.M. (richiamato a pag. 303 della sentenza impugnata ed erroneamente ivi indicato con il n. 881), da un lato, attesta in termini di evidenza la situazione di crisi economico-finanziaria che, sin dal 2011, affliggeva la banca e, dall'altro, riconduce il ricorso alla operatività in azioni proprie direttamente al sensibile incremento delle richieste di vendita dei titoli, manifestatosi in quel periodo, ed alla conseguente saturazione del "fondo acquisto azioni proprie". L'andamento di detto fondo, del resto, era monitorato dalla Divisione del PE. in vista delle periodiche segnalazioni alla vigilanza, come, del resto, riconosciuto dalla stessa difesa dell'imputato. Inoltre, non va dimenticato che il medesimo Tu. ha riferito che aveva ripetutamente affrontato con il PE. il tema delle crescenti difficoltà del mercato secondario (ancorché detto teste abbia poi collocato temporalmente - peraltro non senza approssimazione - tali comunicazioni nel periodo 2013-2014), difficoltà che, come s'è ripetutamente evidenziato, solo il sempre più spasmodico ricorso ai finanziamenti correlati consentiva dì fronteggiare. Se questo è lo scenario di riferimento, emerge davvero in termini di evidenza il coinvolgimento del PE. nell'approntamento della strategia da attuare (sotto il profilo, segnatamente, della individuazione dell'entità del "buco" da coprire) per raggiungere gli indispensabili obiettivi di capitale al contempo assicurandone, per il tramite dei suoi collaboratori facenti capo alla Direzione Pianificazione ("....Dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di B.I. e CdA.."), il relativo monitoraggio, funzionale a garantire il certo raggiungimento di quegli standard imprescindibili per rispettare gli impegni con l'autorità di vigilanza. Quella fornita dal PE. nel corso dei Comitato 8.11.2011, del resto, costituisce una indicazione - e non è certo irrilevante sottolinearlo, come, del resto, si è già fatto saprà - poi puntualmente soddisfatta da un vero e proprio "cambio di passo" impresso all'attività di collocamento delle azioni, ove si abbia attenzione all'entità del capitale finanziato nel bimestre novembre-dicembre 2011, finanche superiore alle stesse indicazioni dell'imputato231. Ed allora, la tesi sostenuta dal medesimo PE. - tesi secondo la quale, sostanzialmente, costui non avrebbe inteso appieno il senso del riferimento alle operazioni "baciate" effettuato nell'occasione, posto che allora ignorava finanche il significato di detta espressione232 - appare, a dir poco, inverosimile: a prescindere dal dato (a ben vedere difficilmente superabile) costituito dall'esplicito riferimento, negli appunti del So., proprio a tale tipologia di operazioni (ed anche a volere trascurare la circostanza costituita dall'assenza, nel medesimo pro memoria, di annotazioni circa quelle richieste di chiarimenti delle quali sarebbe stato ragionevole attendersi che nello scritto fosse stata lasciata traccia, qualora l'imputato, non comprendendo quanto gli interlocutori andavano precisando, avesse preteso le necessarie delucidazioni), supporre che il giudicabile ritenesse che il collocamento delle azioni deciso in occasione di quell'incontro dovesse avvenire "regolarmente" (ovverosia senza ricorrere al finanziamento) costituisce ipotesi tanto implausibile da non meritare ulteriori commenti. Questo, solo a considerare: - per un verso, la gravità dello squilibrio che affliggeva il mercato secondario del titolo B.; - per altro verso, il brevissimo tempo a disposizione per effettuare un collocamento tanto massiccio (110 milioni) di azioni dell'istituto; - e, per altro verso ancora, la circostanza costituita dal fatto che - come s'è visto - le operazioni di finanziamento, all'epoca, costituivano tutt'altro che una novità, essendo state ripetutamente attuate negli anni precedenti (ancorché prevalentemente per il differente obiettivo dell'abbellimento del bilancio"), peraltro per importi già significativi. In sintesi: ipotizzare che il PE. ritenesse che un collocamento di azioni di siffatta entità potesse essere "assorbito" dalle normali dinamiche del mercato secondario - come da questi sostanzialmente ribadito anche nel corso dell'esame reso in sede di rinnovazione istruttoria (là dove il giudicabile ha nuovamente affermato che il d.g. So., nell'occasione, non aveva chiesto di ricorrere a finanziamenti correlati ed ha precisato che, alla fine, il fondo non era stato del tutto svuotato in quanto si era deciso di pagare il dividendo con azioni) - sconfina, obiettivamente, nell'irrealtà. Se così è - e la univoca significazione delle circostanze esposte non rende plausibile una diversa ricostruzione dell'episodio - non sì comprende davvero come il primo giudice abbia potuto ritenere "non inverosimile" (cfr. pag. 751) la versione proposta dal PE., trattandosi, per contro, di spiegazione che, ad avviso di questa Corte, risulta del tutto inattendibile e scopertamente difensiva. Del resto, esaminato nel corso del giudizio di primo grado, il teste So. ha significativamente dichiarato (peraltro nell'ambito di una deposizione assai "faticosa" - come può agevolmente apprezzarsi dalla lettura dei relativi passaggi della deposizione stessa - anche per la palpabile preoccupazione del testimone di rimarcare la propria mancanza dì consapevolezza dell'entità del fenomeno in esame) che aveva avuto modo ripetutamente di confrontarsi con il PE. circa i problemi del capitale e dei requisiti di vigilanza, problemi che, per tutto quanto si è detto, necessariamente implicavano, per la crescente importanza di tale prassi, anche la questione delle "operazioni baciate". D'altro canto, non può certo trascurarsi di considerare che l'imputato era tutt'altro che una presenza occasionale in sede di Comitato di Direzione (le cui riunioni, svoltesi con regolarità sino al 2011 e, quindi, sostituite da più informali convegni denominati "riunioni di direzione", ripresero ad essere convocate dal 2014), ovverosia in occasione di quei momenti di riflessione collettiva e di raccordo tra i vertici operativi dell'istituto nei quali venivano affrontati, tra gli altri, i temi (inscindibilmente connessi) del capitale, dell'andamento del fondo acquisto azioni proprie e dei ratios patrimoniali. Le deposizioni sul punto sono plurime e convergenti (si veda quanto dichiarato dai testi So., Am., Tu., Fa., Ca., nei puntuali richiami effettuati dal P.M. alle pagine 15-17 dell'atto di appello). Ebbene, nel corso di tali riunioni è risultato ricorrente il riferimento anche alle operazioni correlate, come riferito dai testi, Am., Ba., e, ancora, So. (il quale, peraltro, ha specificamente riferito di rammentare la discussione inerente alle operazioni correlate "Ag." e "Fe.", sebbene vada poi doverosamente precisato come, alla stregua di quanto in precedenza sottolineato, l'acquisto di titoli da parte di "Ag." non sia inquadrabile nel novero delle "operazioni correlate"). E' bensì vero che, come, peraltro, rimarcato dal primo giudice, non sono emerse prove dirette della presenza dell'imputato a specifiche riunioni (ulteriori rispetto a quella dell'8.11.2011) nelle quali venne esplicitamente affrontato il tema del capitale finanziato. Nondimeno: - lo stabile inserimento del giudicabile nei consessi di più alta direzione di B.; - la progressiva decisività, per la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito, del ricorso al capitale finanziato (con tutte le inevitabili implicazioni in punto di valutazioni previsionali e successivi monitoraggi, nonché in ordine alle conseguenti comunicazioni decettive alla vigilanza); - l'insostenibilità, sul piano logico, dell'ipotesi secondo la quale la trattazione dì argomenti inerenti alle asfissianti difficoltà di reperimento del capitale - posto che la banca era divenuta, secondo l'efficace espressione proferita dal coimputato PI. in occasione della già menzionata conversazione intercettata n. 360 di data 1.9.2015, - una baracca (che) sta in piedi con lo sputo" - non comportasse necessariamente la previa conoscenza e la costante considerazione, quantomeno a livello implicito, delle questioni relative al "capitale finanziato" da parte di colui che rivestiva il ruolo di massimo responsabile della contabilità e delle comunicazioni alla vigilanza e che, come s'è visto, interveniva alle riunioni proprio per indicare quali fossero i livelli di capitale indispensabili (si veda, sul punto, a titolo esemplificativo, quanto precisato dal To. e riportato, precedentemente, in nota) o, comunque, vi partecipava indirettamente per il tramite di suoi collaboratori; - e, infine, come pure pertinentemente osservato dall'appellante, l'impossibilità di esigere dai testimoni escussi, a distanza di anni, il nitido ricordo di quali fossero i dirigenti presenti in occasione di specifici incontri, nonché della data e dell'ordine del giorno di detti convegni periodici, tenutisi in un ampio arco temporale, sono tutti elementi, di ordine fattuale e logico, che, ove doverosamente sottoposti a congiunta valutazione, lungi dal privare di rilevanza probatoria il dato della ricorrente partecipazione del PE. alle sedute del "comitato di direzione" (ove non assistita dalla dimostrazione della specifica trattazione del tema del capitale finanziato nella singola riunione alla quale v'è prova che il giudicabile fosse presente), conferiscono a tale regolare presenza effettivo rilievo in ottica accusatoria. Sicché le contrarie considerazioni svolte dalla difesa sul punto, essenzialmente fondate sulla svalutazione tanto dei ricordi del So. (il quale avrebbe rammentato, peraltro a seguito di insistenti domande, solo due operazioni correlate trattate alla sua presenza), quanto del significato del citato documento n. 166, quanto, ancora, delle dichiarazioni rese dai citati testimoni (Ba., Tu., Am., Ca., Fa.) è frutto di una lettura atomistica e davvero fuorviante delle evidenze probatorie disponibili. Del resto, una esplicita riprova della conoscenza, in capo al PE., dell'esistenza di un eclatante ricorso al capitale finanziato è possibile trarla dalla conversazione (anch'essa incomprensibilmente trascurata dal primo giudice) n. 359 di data 1.9.2015, effettivamente tale da orientare nel senso del coinvolgimento anche di tale imputato nel "board ristretto" dell'istituto di credito implicato nell'operatività delittuosa. Nel corso di siffatto colloquio, invero, il coimputato GI., dialogando con il sindaco Pi.La. e facendo inequivoco riferimento alle operazioni di capitale finanziato, ancorché non esplicitamente evocate, affermava: "No, perché, La., da quando...cioè, lui in pratica...il casino è successo perché ha detto al presidente che non sapeva niente di queste cose, che i responsabili eravamo io e Pi... Invece è il contrario, era lui che orchestrava questo tipo di operatività. Come faccio a sen.." - Pi.: "Cioè, lui chi?" " GI.: "So.......Eh nel senso che veramente, Poi, voglio dire, La., presenti tutti, nel senso che lui in Comitato di Direzione (inc.) Ca." Ma..Pe.. ecc., dava ordini, cioè diceva...." Bisogna fare queste cose" Guarda, quando io mi sono opposto, perché non ce la facevo più, a settembre del 2015....del 2014, l'anno scorso..". Trattasi, all'evidenza, di dialogo di significativo rilievo probatorio, essendosi in presenza di precise affermazioni poste in essere da un soggetto il quale, nell'occasione, non solo ammetteva espressamente il proprio coinvolgimento nell'operatività delittuosa (poi, come detto, oggetto di piena, definitiva e convincente assunzione di responsabilità nel corso del giudizio di appello) ma effettuava un esplicito riferimento alla posizione (tra gli altri) del PE., peraltro in modo del tutto incidentale (l'intenzione perseguita dal dichiarante essendo palesemente quella di rendere partecipe l'interlocutrice della riconducibilità al d.g. So. della decisione del massiccio ricorso a) capitale finanziato) e senza manifestare alcuna animosità nei confronti del collega. In effetti, il contenuto del colloquio in esame è idoneo a rivelare come, nella prospettiva del GI., tanto lo stesso propalante, quanto gli altri più stretti collaboratori del So. (ivi compreso, pertanto, il predetto PE.) fossero stati destinatari di forti pressioni, se non di veri e propri diktat, da parte del massimo dirigente di B. (di diktat, in effetti, ha parlato espressamente il teste assistito To.), ordini ai quali tutti costoro non erano stati in grado di sottrarsi. Di qui l'attendibilità di quanto affermato dal GI. nel corso della telefonata. Peraltro, nel corso di tale colloquio è emerso il chiaro riferimento alla pratica degli "storni", esplicitamente evocata dal GI. come sintomatica della conoscenza, in capo al PE., dell'operatività delittuosa in esame. Di seguito i passaggi del colloquio all'uopo significativi (con la precisazione che VM si identifica nel GI.): Omissis Si è in presenza, a ben vedere, di elemento a carico di tutt'altro che scarsa significazione, specie ove sì consideri che l'entità eclatante degli "storni" runa marea" secondo l'efficace espressione del Risk Manager Es., di cui s'è detto) - ovverosia, giova ripeterlo, dello strumento utilizzato per azzerare i costi dei finanziamenti a carico dei clienti che avevano concluso operazioni "baciate", ovvero per ricompensarli con laute remunerazioni - era indiscutibilmente tale da denunziare l'esistenza di una anomalia tanto marcata da non potere certo essere trascurata. Per vero, posto che la pratica in questione era "istituzionalmente" finalizzata a porre rimedio ad errori nella gestione dei rapporti di dare-avere con la clientela, un tanto consistente ed inspiegabile incremento di siffatto, necessariamente residuale, rimedio non poteva che essere attribuito - specie da parte di esperti dirigenti, quale indiscutibilmente era il PE. - ad una anomala operatività dei finanziamenti (a meno di non voler ipotizzare, contro ogni logica, l'improvviso "impazzimento" degli impiegati di B. addetti a tale settore). E' bensì vero, al riguardo, che la difesa dell'imputato, evocando la deposizione del teste Tr., ha contestato la correttezza di quanto sostenuto dal GI. nel corso del citato colloquio, con particolare riferimento alla competenza della Ragioneria in tema di "storni", in quanto tale ufficio si sarebbe limitato a ricevere i dati di riferimento e ad inserirli in una "procedura informatica" (cfr. memoria difensiva, pagg. 109-112), traendone quindi la conclusione della falsità di quanto affermato dal predetto GI. nel corso del citato colloquio telefonico (cfr. memoria conclusiva, pagg. 112-116). Tuttavia, l'obiezione si basa su un equivoco: evidentemente, il GI. non intendeva affatto alludere ad una responsabilità diretta della Ragioneria nell'implementazione del ricorso a siffatto rimedio, bensì alla passiva ricezione dei dati degli "storni" ed all'altrettanto passiva gestione contabile di evidenze palesemente inattendibili, ovverosia ad una condotta evidentemente ritenuta sintomatica di adesione alla irregolare prassi sottostante. Del resto, se diverso fosse stato l'intendimento del predetto nell'alludere al "controllo della Ragioneria", è ragionevole ritenere che l'interlocutrice (esperta commercialista e, soprattutto, componente del Collegio Sindacale e, quindi, ben a conoscenza della ripartizione delle competenze delle varie articolazioni dell'istituto) avrebbe manifestato, sul punto, il proprio dissenso. Al contrario, la Pi. risulta avere assentito alla ricostruzione del GI. (Sì, sì, sì"). D'altronde, deve anche osservarsi - a conforto della attendibilità di quanto sostenuto dal medesimo GI. nel corso della citata conversazione ed a riscontro del fatto che quella testé esposta sia l'unica interpretazione ragionevole e corretta delle suddette evidenze probatorie - che la diffusa consapevolezza, all'interno di B., dell'anomalia operativa inerente alla gestione dei finanziamenti rappresentata dagli "storni" è stata confermata in sede giurisdizionale. Il riferimento è al provvedimento 2.11.2015 del Tribunale di Vicenza - Giudice del lavoro dott. Campo (in atti tanto sub docc. 139 e 668 del P.M. quanto sotto forma dì produzione documentale effettuata dalla difesa dell'imputato GI. all'udienza del 9.1.2020) là dove l'autorità giudiziaria berica, nel rigettare la domanda cautelare avanzata da B. nei confronti del GI. (il relativo ricorso per sequestro conservativo ante causam - con subordinata istanza ex art. 700 c.p.c. - e la memoria di costituzione del resistente GI. sono in atti quali docc. 137 e 138 del P.M.) in relazione al pregiudizio patrimoniale asseritamente arrecato dal predetto vicedirettore all'istituto di credito a seguito dell'improprio ricorso alla procedura di "storno", ha precisato, alla luce della documentazione tutta disponibile (ivi compreso il "Manuale Gestione Storni della Clientela" richiamato dal teste Tr. e prodotto in copia nel primo grado del presente giudizio, all'udienza del 9.1.2020, dalla difesa dell'imputato GI.), per un verso, che "le informazioni sui fa utilizzazione impropria dello storno fossero già a conoscenza della società"; e, per altro verso - ed è quello che, in questa sede, maggiormente rileva " che tale prassi si era protratta nel tempo ed aveva ottenuto "l'avallo...dagli organi di controllo interno" e, segnatamente, proprio della Ragioneria Generale, chiamata ad una verifica di "congruenza sui suoi conti economici appostati per la singola richiesta" come da punto n. 3.3. del manuale operativo" (cfr, provvedimento citato, pagg. 7-8). Vale richiamare, concludendo sul punto, il seguente, assai esplicito passaggio del citato provvedimento giurisdizionale, là dove, a pagina 8, il giudice civile ha sostenuto che "...di fronte ad una operazione non corretta...la Ragioneria generale aveva il potere, e il dovere di bloccarla e questo a maggior ragione nei casi, come quelli segnalati dalla società ricorrente, in cui era palese l'utilizzazione di questo strumento per "opportunità commerciali" e comunque in assenza dei presupposti del manuale operativo", così chiarendo quale fosse, in materia, la competenza della "Ragioneria", assai più puntualmente della fuorviante descrizione fattane dal teste Tr. (le cui affermazioni in ordine al fatto che l'aumento della frequenza degli stomi - aumento del quale, pure, si era evidentemente accorto - non lo aveva affatto allarmato, appaiono davvero inattendibili242) e coerentemente con quanto sostenuto dal GI. nel colloquio telefonico in precedenza evocato. Né può valorizzarsi, in senso contrario, quanto sostenuto dal consulente della difesa PE., dott. Pa., là dove costui, con specifico riferimento alla materia degli storni ed alle relative competenze affidate alla Divisione Bilancio e Pianificazione (ed al relativo responsabile), ha evidenziato che - non rientrava nell'alveo delle responsabilità affidate agli stessi alcuna attribuitone in ordine alla verifica delle competenze autorizzale in materia di concessione di sconti/abbuoni alla clientela" (cfr. elaborato di consulenza, pag. 60): a venire in rilievo, infatti, non è certo il profilo di eventuali autorizzazioni preventive all'esecuzione di dette operazioni, bensì quello, tutt'affatto differente, inerente all'omissione di qualsivoglia successivo intervento pur in presenza di un incremento eclatante del ricorso alla pratica in esame (ammesso dallo stesso Pa., che, sul punto, a pag., 61 dell'elaborato di relazione, ha parlato di "crescita significativa"), evidentemente sintomatico di una anomalia certamente meritevole, quantomeno, di doveroso approfondimento (e, questo, a prescindere dall'incidenza di tale pratica sul decremento della voce dì conto economico "Interessi attivi e proventi assimilati" - cfr. relazione Pa., pag. 60). Aggiungasi che nello stesso senso - ovverosia a sostegno della tesi del coinvolgimento del vertice ristretto del management B. nelle operazioni di capitale finanziato - depone, a ben vedere, anche la conversazione n. 259 in data 28.8.2015, inerente ad un colloquio intercorso tra il responsabile dell'Audit Bo. ed il coimputato MA. (colloquio trascritto, nella parte di interesse, a pag. 22 dell'atto di appello, cui si rinvia; l'intera conversazione può leggersi in ogni caso alle pagg. 144-159 della perizia di trascrizione), ancorché non contenente, a differenza di quella in precedenza evocata, l'esplicito riferimento alla persona del PE. (in detto colloquio risultando citato il solo Ca., nella specie indicato con il prenome di "Ad.") ed all'esatto contesto (circostanza, anche questa, espressamente stigmatizzata dalla difesa - cfr. memoria conclusiva, pag. 117) nel quale tali comunicazioni avrebbero avuto luogo. In analoga direzione, poi, orienta anche il ben più esplicito tenore della comunicazione SMS/WhatApp intercorsa tra i coimputati PI. e GI. in data 3.5,2015: trattasi del messaggio, del quale già si è detto supra, di cui al doc, n. 811 della produzione del P.M. (elemento, anch'esso, trascurato dal primo giudice nella valutazione della posizione del PE.), nel quale il primo si raccomandava con il collega, in vista dell'appuntamento che il medesimo GI. era riuscito a concordare con ZO. per il giorno successivo (trattasi dell'incontro del quale si è ampiamente trattato con riferimento alla posizione di quest'ultimo imputato), affinché ribadisse al presidente il coinvolgimento di tutto il gruppo dirigente di B. nell'operatività delittuosa Cmi raccomando domani con il presidente. Paria a nome di tutti e due... deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori .."). Ebbene, anche in tal caso, ad onta del mancato espresso riferimento alla posizione del PE. (al pari del resto, degli altri manager dell'istituto), si è in presenza di elemento che, a dispetto di diverse considerazioni difensive in ordine ad una asserita equivocità del dato243, in realtà tutt'altro che vago nella sua significazione, conforta l'impostazione d'accusa in ordine al consapevole coinvolgimento del board ristretto della banca (del quale faceva necessariamente parte il massimo responsabile della Divisione Bilancio, nonché dirigente preposto e responsabile delle comunicazioni alla vigilanza, Ma.Pe.) nella prassi del capitale finanziato. Aggiungasi che non trascurabile rilievo probatorio deve attribuirsi alle dichiarazioni testimoniali (anch'esse del tutto obliterate dal primo giudice in sede dì valutazione della posizione del PE.) rese dal teste Bo. con riferimento alla riunione, indetta dal d.g. So. nel febbraio del 2015 in previsione dell'avvio dell'ispezione Bc.: nell'occasione - ha ricordato il dichiarante - lui stesso aveva evidenziato ai colleghi i rischi connessi a tale verifica, facendo espresso riferimento alla criticità rappresentata proprio dal capitale finanziato e richiamando, sul punto, la relazione che aveva sottoscritto il precedente 4.9.2014, riassuntiva di quanto pochi mesi prima accertato dall'Audit con specifico riferimento alla allarmante dimensione del fenomeno in esame (in effetti, nella relazione predetta - peraltro esplicitamente predisposta a seguito delle dimissioni del "gestore private". Vi. - si riferiva di finanziamenti correlati per l'importo di oltre 422 milioni di euro) ed ai conseguenti, gravi rischi per l'istituto. Ebbene - ha precisato il teste - se, nell'occasione, il d.g. So. aveva sbrigativamente minimizzato il rilievo della questione (avendo questi, sul punto, replicato: "la gestiamo"), nessuno degli altri partecipanti alla riunione aveva manifestato la benché minima reazione rispetto ad una notizia che, al contrario, ove fosse stata realmente ignorata dai presenti, avrebbe dovuto suscitare il più vivo allarme di costoro.244 E' bensì vero, al riguardo, che il P.M. ha sottolineato come il PE. fosse "certamente" presente a tale riunione, mentre, sul punto, il teste Bo., dopo una iniziale affermazione in tal senso effettuata in termini di sicurezza, in sede di controesame ha manifestato profili di perplessità, sebbene debba pure doverosamente sottolinearsi come, alla fine, sottoposto a riesame, il testimone abbia sostanzialmente ribadito quanto riferito in apertura circa la effettiva presenza del giudicabile alla suddetta riunione. Nondimeno, anche a voler ipotizzare che il PE. Non avesse preso parte ad un tanto importante convegno (ipotesi - ancorché fortemente sostenuta dalla difesa - francamente implausibile, proprio in ragione del rilievo assolutamente decisivo di detto incontro, visto che si trattava di impostare la "linea difensiva" da assumere nel corso dell'ispezione che - già preannunciata - di lì a poco avrebbe avuto luogo ed avrebbe portato a smascherare la prassi del capitale finanziato, rivelandone, a cascata, tutte le gravissime implicazioni), è assolutamente irrealistico ipotizzare che il PE. non fosse poi stato prontamente informato di quanto emerso nel corso di detto incontro. Inoltre, assoluto rilievo va riconosciuto alla trascrizione (cfr, documento 110 della produzione del P.M.) della seduta del comitato di direzione 10.11.2014, in precedenza più volte evocata e, in particolare, a quel passaggio nel quale viene effettuato un esplicito riferimento alla persona del PE. - nell'occasione di certo assente - come interlocutore con il quale, ad avviso del coimputato GI., sarebbe stato necessario approfondire la questione trattata ("...però bisogna confrontarsi con Ma...."). Trattasi, in questo caso, dì elemento sul quale il primo giudice ha sbrigativamente argomentato, sostenendone l'equivocità (cfr. sentenza impugnata, pag. 753: "... si tratta di un elemento che non si presta ad univoca lettura ..."), ma che, ad avviso di questa corte, ove doverosamente valutato alla luce di una interpretazione razionale e, soprattutto, non frammentaria della registrazione in esame, si rivela tutt'altro che di incerta significazione. Il dato di partenza (che, peraltro, non è sfuggito al primo giudice nell'analisi della posizione del coimputato PI.) è costituito dal fatto che, nell'occasione, i top manager della banca presenti alla riunione ebbero ad analizzare compiutamente - peraltro, va sottolineato, con un tono dal quale si evince un clima di condivisione e di ricerca di soluzioni concordate nient'affatto irrilevante ai fini della compiuta comprensione della dimensione "collegiale" delle responsabilità nella gestione del tema in esame - gli aspetti problematici del capitale finanziato (esaminato in pressoché tutte le sue caratteristiche: dalla natura di "portage" di gran parte delle operazioni, all'obbligo di riacquisto da parte della banca, assicurato anche mediante il rilascio di lettere di garanzia, ivi denominate side-letter; dalla remunerazione da riconoscersi alle controparti, alla sopravvalutazione del valore dell'azione, ecc.), capitale che, come espressamente riconosciuto dal d.g. So., aveva all'epoca raggiunto la dimensione monstre di oltre un miliardo di Euro (si vedano, sul punto: l'oramai noto passaggio della registrazione nel quale So. afferma ... "abbiamo fatto un miliardo e 2 apposta per fare..." - cfr. doc. 100 P.M., pag. 34; la consulenza dei CCTT del P.M. e, più specificamente, quanto riferito sul punto dai predetti consulenti all'udienza 12.11,2019, pag. 30 del verbale stenotipico; e, infine, la già citata conversazione 459 del 31.8.2015). A tale riunione, peraltro, si era giunti all'esito di un approfondito vaglio, del quale era stato reso partecipe anche il PE. (direttamente coinvolto nel relativo flusso di comunicazioni, oltre che indicato dallo stesso Fa. come il soggetto con il quale il medesimo teste aveva interloquito sul punto) circa l'impatto negativo per il "margine di interesse" della banca derivante proprio dalle operazioni correlate, vaglio che aveva impegnato le strutture della banca a partire dalla metà del mese di agosto precedente e che si era concluso con l'individuazione di un elenco dì operazioni che avrebbero dovuto essere oggetto di "repricing/chiusura al fine di ottimizzare il margine di interesse" (così, espressamente, nella comunicazione mail di cui al doc. n. 516 della produzione del P.M., inviata dal Fa. al GI. e trasmessa, per conoscenza, anche al PE.). Il riferimento, in proposito, è alle mail di cui ai documenti n. 294, 524, 513, 516, 521, 519, esplicitamente analizzati, nel loro specifico contenuto, alle pagg. 27-28 dell'appello del P.M., al quale, sul punto, per brevità, non può che farsi rinvio, con la precisazione che una di tali mail - ovverosia quella in data 24,8.2014 di cui al documento n. 294 della produzione del P,M., contenente anche l'esplicito riferimento alle azioni acquistate per il tramite della Divisione Finanza: "... Ci sono azioni anche sul lato Finanza .." - risulta inviata proprio dal PE. al GI. e, per conoscenza estesa, anche ad Am., Ba., Mo., Fa. Ro., Tu. e Va. (sicché trova documentale smentita la tesi difensiva della estraneità dell'imputato a tale attività di analisi propedeutica alla riunione in esame). Ebbene, era proprio sulla base di tale approfondita analisi preliminare che il d.g. So., nel corso della riunione del 10.11.2014 (facendo in quella sede esplicito riferimento proprio a tale valutazione preliminare) affrontava il tema del margine di interesse nei seguenti termini: Sa. "...Noi dobbiamo selezionare molto di più nostri impieghi, e poi vedremo, io ho fatto fare un lavoro da Risk e.. e.. e.. dalla pianificazione, dove abbiamo visto che, / nostri impieghi, ci sono degli impieghi che, per effetto della Q. R., ci assorbono tanto di quel capitale e ci mandano in perdita in misura rilevante e significativa, no? E, quindi, questi qui è chiaro che vanno smontati. Non possiamo, smontarli perché ci sono azioni dietro. ma non possiamo neanche tenerci tutto questo popò di problema. Quindi, dobbiamo risolverai problema del... delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere, nominativo per nominativo, no? Li abbiamo bene individuati, questi veramente ci fanno male, male, male, male, sia come margine di interesse, ma anche, soprattutto, come...eh.., stress test da Q. R., che, indubbiamente, ogni anno, ogni anno, dovremmo... dovremmo subire. Allora, l'idea qui qual era? Era quella, innanzitutto, di individuare queste posizioni e andarle... e andarle a smontare, capire se... Seguitemi col ragionamento, noi prendiamo questi... queste azioni che sono finanziate, andiamo a smontare il finanziamento. Smontando il finanziamento, abbiamo un recupero importante sul margine di interesse, perché, ovviamente, sono finanziate eh... a un tasso molto basso, abbiamo un recupero sulla commissione, perché poi le commissioni sono quelle che dobbiamo ristornare nel caso in cui il margine d'interesse non sia sufficiente a remunerare il pacchetto di azioni che questi ci prendono, e abbiamo un beneficio, ovviamente, sulla Q. Come possiamo collocare queste azioni? Supponiamo di collocare queste azioni, invece, non più sul mondo, sul versante degli impieghi, ma sul versante della raccolta. Se noi utilizziamo il versante della raccolta, banalmente, con le forme tecniche più semplici, poi vedremo le forme tecniche più strutturate, esempio, un time deposit, quindi noi diciamo al nostro cliente; "Guarda, non ti faccio più il finanziamento, ti faccio un time deposit" a che tasso? E' un tasso importante, quindi andiamo a rimontare per un attimo l'aggravio sul margine di interesse. L'ho smontato sui... sul finanziamento, però sono disposto a portarmelo a casa come onere per quanto riguarda un maggior costo di raccolta, però ho un beneficio sul capitale, perché questo non mi assorbe più cet one che, invece, il finanziamento cet one me lo assorbe, e ho un beneficio sulla Q. R., perché non impatta, ovviamente, sulla Q. R. lo stress test. Quindi, se noi riusciamo a toglierci e a ridurre questi finanziamenti importanti con azioni sottostanti, andiamo a liberare il cet one, andiamo a liberare... eh... ora vedremo in che misura... eh... il rischio che deriva dalla Q. R, stress test. se lo andiamo a dirottare sul... sulla raccolta. Parlo del time deposit, che è quello più semplice, però l'obiettivo, anche qui, è quello di frazionarlo in continuazione, Quindi, noi dobbiamo frazionare in continuazione il nostro capitale, perché, se noi facciamo time deposit alla stregua di come facciamo oggi i finanziamenti ponti, i 30, i 20, insomma, ci son clienti che hanno più di 50 milioni e, e capisco, noi dobbiamo frazionarlo. Se noi lo frazioniamo nel mondo private, lo frazioniamo nel wealth management o, meglio ancora, se noi riusciamo a trovare un prodotto, uno strumento, dove... Perché l'altro tema è quello che fa rete dice: "Va bene, allora facciamo questo, però non facciamo più raccolta indiretta", dove, invece, noi dobbiamo fare raccolta indiretta perché bisogna fare il commissionale. Allora, l'idea sarebbe quella di trovare un prodotto che faccia raccolta indiretta, nel prodotto che fa raccolta indiretta ci mettiamo dentro anche le nostre azioni e gli affluent, il private e soprattutto il wealth management va a vendere e va a collocare quote di questi fondi, quote di queste SICAV, no, che hanno in pancia azioni, azioni nostre che abbiano comunque un rendimento che sia... che sia collocabile piuttosto che altri investitori istituzionali. Quindi, il ragionamento che... che ponevo è questo. Intanto, se condividiamo quello di switchare, di spostare le azioni dagli impieghi ai., al... alla raccolta, che sia diretta o indiretta, e con che modalità, andando a vedere, poi, ovviamente, l'aggravio di qua in termini di, probabilmente, margin press, però andiamo sicuramente a liberare, a liberare il cet one, quindi andiamo a liberare tutti questi impieghi che ci assorbono pesantemente e, soprattutto, ci assorbono in termini di A. Q. R.. Non so se mi son spiegato...". In buona sostanza, il d.g. insisteva sulla necessità di "smontare" le operazioni di finanziamento correlato (ovverosia - per restare al lessico del So. - quei finanziamenti che avevano "le azioni appiccicate"), distribuendo i titoli tra la clientela in abbinamento ad operazioni di raccolta e, quindi, "spostando" le azioni in questione dal versante degli "impieghi" a quello della "raccolta Seguiva l'intervento del GI. (Vm 8): V. M. 8 - Po. ..Posso Sa. una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi, comunque le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo, nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100 il valore.. eh ...delle azioni era 100 e va a 70, tu quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque, noi dobbiamo fare in modo che Asti impieghi vadano scaricati. Allora, io credo che un po' possa essere comunque un'attività di... di collocamento retail, quello che vogliamo,' l'alternativa è... però bisogna confrontarci con Ma., è: annullo le azioni e l'impiego. Dove vado a trovare... Ovviamente, avrò molto meno capitale. Dove vado a trovare.. - eh ...uhm quella copertura per il minor capitale che ho togliendo parti di attivo, cioè, vendendo parti di attivo? Adesso parliamo qui di partecipazioni, no? Cioè, io... qual è il problema mio? Che io ho 100 di impiego che vanno via, 100 di capitale che vanno via, ovviamente il minor capitale assorbito è molto meno rispetto a...al capitale che... che perdo, perché perderò ipotizziamo 100 milioni, perdo 100 milioni di capitale da una parte e ne acquisto 8 milioni di e... 8, 10 milioni di minor assorbimento dall'altro, no? Quindi runica cosa è... per rimanere con i ratio stabili, è di ... eh tagliare pezzi di attivo che assorbono capitale..". In estrema sintesi, il vicedirettore GI., per raggiungere lo stesso obiettivo ("smontare te baciate grosse") individuato dal d.g., proponeva di operare sul fronte del collocamento "retail", evidenziando come, per fronteggiare la conseguente riduzione dei fondi propri ("avrò molto meno capitale"), si sarebbe dovuto operare "togliendo parti di attivo", ovverosia riducendo proporzionalmente le attività di rischio ponderate per rimanere - con i ratio stabili", nonostante il decremento del capitale. Ed era proprio con riferimento a tale prospettiva - prospettiva che, in ultima analisi, avrebbe necessariamente comportato un significativo ridimensionamento del ruolo e delle ambizioni della banca, ripotata ad una dimensione locale, con conseguenti, inevitabili ricadute sul sistema di go°emance dell'istituto, i cui vertici sarebbero stati ragionevolmente travolti (donde, l'immediato accantonamento di tale ipotesi da parte del d.g. So. il quale, in effetti, la ignorava platealmente, come si comprende dalla lettura della registrazione della seduta) - che il medesimo vicedirettore evidenziava la necessità di interloquire con il PE. C dobbiamo confrontarci con Ma...."). Dal tenore dell'intervento del GI., in effetti, è dato cogliere la serietà della situazione e la piena consapevolezza, in capo a costui, del gravissimo rischio che la situazione del capitale finanziato, per la sua eclatante dimensione, rappresentava per l'istituto. Di qui la proposta, davvero da ultima spiaggia, del vicedirettore (il quale aveva evidentemente di mira l'obiettivo di ridimensionare il valore complessivo del fenomeno in esame, anche a costo di archiviare i "sogni di gloria" che avevano animato la continua crescita dimensionale della banca vicentina), proposta, peraltro, della cui impraticabilità per ragioni "tecnico-contabili" aveva poi preso atto lo stesso y GI. (sul punto, vedi infra). Se ciò corrisponde a verità - e non pare davvero possibile opinaoe diversamente (discostandosi, cioè, da una ricostruzione che trova fondamento in un documento di tanto lineare lettura, oltre che nelle pregresse comunicazioni mail, espressione di un lavoro di analisi propedeutico all'incontro che, come affermato dal So., aveva coinvolto anche la "pianificazione" affidata al Fa., ovverosia una struttura facente capo alla Divisione Bilancio diretta dal PE.) - risulta oltremodo incomprensibile l'esito cui è pervenuto il primo giudice (in linea con quanto sostenuto, sul punto, dalla difesa dell'imputato nei passaggi della memoria citata dedicati all'argomento e, segnatamente, nei paragrafi 4.6-4.7 di detto scritto difensivo) là dove ha concluso (nel solco, come detto, della linea difensiva dell'imputato251) che l'intervento del PE. siccome auspicato dal coimputato GI., essendo limitato alla individuazione degli "attivi" da "tagliare", non avrebbe implicato la necessaria consapevolezza del capitale finanziato. Ragionare in tal guisa, infatti, significherebbe ammettere che il giudicabile potesse essere coinvolto nella soluzione di un problema gravissimo (è d'uopo rammentare ancora una volta l'entità eclatante del capitale finanziato, risultata pari, nel complesso, ad oltre un miliardo di euro) - soluzione dalla quale, in ultima analisi, dipendeva la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito - ignorandone presupposti, implicazioni e conseguenze. E, al contempo, dovrebbe condurre ad ipotizzare che il GI. e, per suo tramite, il d.g. So., si sarebbero esposti al rischio, più che concreto e gravido di imprevedibili conseguenze, di dovere fornire spiegazioni ad un interlocutore perfettamente in grado di comprendere le implicazioni (anche di natura penale) di una prassi tanto radicata da avere originato una quota immensa di capitale finanziato (l'esistenza del quale - ponendosi in questa prospettiva - sarebbe stata costantemente occultata allo stesso PE., ad onta delle serie responsabilità gravanti sul predetto con specifico riferimento alle interlocuzioni che da tempo questi intratteneva con la vigilanza), affrontandone la scontata e difficilmente controllabile reazione. Trattasi - com'è evidente - di una ipotesi ricostruttiva a dir poco bizzarra. E, questo, a tacere del fatto che, alla riunione in esame, aveva preso parte lo stretto collaboratore del PE., An.Fa. (il medesimo funzionario che aveva curato lo studio che aveva preceduto l'incontro, come affermato dallo stesso So.), il quale, sia pure momentaneamente, assentatosi nel corso dell'incontro in questione, al rientro era stato ragguagliato dallo stesso d.g. So. di quanto discusso in sua assenza ("Sa.: Va bene. Ascolta, An., abbiamo parlato del...del tema di spostare, di togliere quello che hai fatto con... con il Risk, di togliere le azioni dagli impieghi. An. voce lontana Si? Sa. E girarlo sulla raccolta. An. voce lontana Si? Sa. Poi ti... eh... eh abbiamo detto che conviene, a sto punto, per evitare concentrazioni o altro, di metterlo sul prestito titoli. Quindi, rimetteremo in piedi il prestito titoli ... eh... con azioni attaccate. Il prestito titoli, poi, ci serve per far liquidità e per ridurre comunque la raccolta onerosa. E... E proviamo.... E proviamo a ragionare su questa ipotesi qua, dopo foro.." - cfr. doc. 110, pagg. 79). A tale congerie di elementi probatori - taluni dei quali, come s'è detto, del tutto trascurati dal primo giudice, quantomeno con specifico riferimento alla posizione del PE. - si sono poi aggiunte, nel corso del dibattimento di appello, le dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie del coimputato GI., obiettivamente assai significative (ancorché inspiegabilmente trascurate dalla pubblica accusa, in sede di requisitoria) nella loro obiettiva idoneità ad implementare il compendio probatorio valutato dal tribunale, peraltro già di univoca significazione. Questi, dapprima nel memoriale 30.5.2022 e, successivamente, nel corso della rinnovata escussione dibattimentale nel contraddittorio delle parti, dopo avere evidenziato lo stretto rapporto sussistente tra il PE. e il d.g. So.252 ed avere precisato, altresì, che il medesimo coimputato, da un lato, aveva accesso diretto "ai sistemi informativi" di B., ovverosia alle "tecnologie/strumenti che permettono di tracciare/controllare/consuntivare tutte le operazioni di una banca" e, dall'altro, costituiva l'"interfaccia primaria con Banca d'Italia e Bc." e condivideva le risposte da dare agli Enti regolatori con il collaboratore Fa., ha evidenziato come il responsabile del bilancio, direttamente o per il tramite dei colleghi con i quali più strettamente collaborava, fosse solito partecipare alle riunioni ed ai comitati di direzione, ivi compresi gli incontri nei quali si era affrontato il tema del capitale finanziato, fenomeno del quale, pertanto, il PE. era pienamente consapevole, al pari, del resto, di tutti gli altri componenti dell'alta dirigenza dell'istituto di credito. Al riguardo, non è inutile riportare, preliminarmente, alcuni passaggi dell'esame del predetto GI., là dove costui - peraltro in modo assai efficace - per un verso, ha delineato il contesto operativo nel quale si collocano i fatti sub iudice; per altro verso, ha richiamato le plurime, ma strettamente connesse ragioni all'origine della scelta di ricorrere massicciamente alla concessione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso ancora, ha rimarcato la condivisione della prassi in esame tra i massimi dirigenti della banca, spiegandone le necessarie motivazioni tecniche: "......IMPUTATO GI. - Cerco di essere sintetico. Presidente. Io sono arrivato in Banca a fine 2007 come Responsabile Divisione Mercati e Vice Direttore Generale. I primi comitati crediti del 2008 abbiamo trovato, io e c'era il collega Pa. Ma., delle operazioni baciate, quindi erano già preesistenti in Banca delle operazioni in cui si finanziava il cliente per acquistare azioni della Banca. Personalmente ho avuto anche incontri con Gr. e anche con So., con della clientela del vicentino, che aveva/70 già in atto operazioni baciate, o gli venivano proposte in questi incontri delle operazioni baciate. Quindi partiamo già dal 2007, quando sono arrivato. Erano - dalla mia consapevolezza di quello che stava succedendo in Banca all'epoca, anche perché io ero nuovo - delle operazioni sporadiche. Dopodiché, questo fenomeno e questa prassi si è pian piano ampliata e diffusa, anche perché non poteva essere tenuta ristretta a poche persone, data l'esigenza di cui parlavo prima, no? Quindi di fare molto capitale per acquisire" per incrementare gli impieghi e quant'altro. Quindi, dal 2011-2012, questa prassi si è incrementata, quindi si è necessariamente diffusa su tutta la Banca perché gli obiettivi di capitale aumentavano sempre di più. Quali erano? In parte l'ho detto e lo ripeto, quali erano gli obiettivi finali delle operazioni baciate? Sicuramente il raggiungimento di ratios patrimoniali richiesti dalla Vigilanza; il sostegno al prezzo dell'azione, nel senso che ovviamente, se fosse stato trasparente e chiaro che le richieste di vendita fossero maggiori delle richieste di acquisto da parte dei soci" quel prezzo delle azioni non si poteva tenere. E quindi bisognava andare in Assemblea a dire: "signori, il prezzo non è più 62 e mezzo, è 30". E sarebbe finita l'epoca della Presidenza Zo. perché comunque la Banca doveva in qualche modo chiudere un certo percorso e riaprirne un altro. Quindi sicuramente c'era un tema di prezzo delle azioni, e un terzo macro obiettivo era quello comunque di soddisfare le richieste dei soci per non generare malcontento. Questo terzo macro obiettivo ovviamente in parte si sovrappone con l'esigenza comunque di non diminuire il prezzo detrazione (...........) PRESIDENTE - Se capisco bene, è implicito, mi sembra: il prezzo dell'azione era sopravvalutato? IMPUTATO GI. - Il prezzo dell'azione era molto sopravvalutato, Presidente, Però, anche qui, quello che ci diceva Zo., e lo diceva anche ai soci, che all'inizio degli anni Duemila, quindi stiamo parlando 2002-2004-2005, i moltiplicatori di Borsa delle banche quotate viaggiavano intorno al 2x, cioè: la quotazione in Borsa delle banche arrivava fino a 2 volte il patrimonio, quindi poteva essere 1,5-1,6-1,8, anche 2. E all'epoca - ci diceva Zo. - alla Banca fu proposto di quotarsi e lui decise di non quotarsi - Adesso le altre banche erano - quindi adesso stiamo parlando degli anni dal 2010-2015 - a 0,4-0,6-0,8 il patrimonio, mentre noi eravamo a 1,2-1,3-1,4 - Quindi la giustificazione di tenere così alto il prezzo dell'azione è che, una volta superata la crisi, i moltiplicatori di Borsa potessero tornare ai livelli del 2002-2004, e quindi la nostra Banca, come prima era sottovalutata e adesso sopravvalutata, si sarebbe ritrovata nella media. Però, insomma, ai tempi in cui io ero Vice Direttore Generale, razione della Banca era notevolmente sopravvalutata; tant'è che uscivano articoli di giornale che noi avevamo la capitalizzazione di Borsa come Ba.In., PRESIDENTE - Si è detto anche che venivano indicati degli obiettivi particolarmente "sfidanti", più o meno è stata usata questa espressione: qual era la necessità di indicare questi obiettivi costantemente crescenti, per cui voi avevate anche difficoltà ad assecondare? Così ho capito dalla lettura del verbale di primo grado. IMPUTATO GI. - Presidente, io non ho mai avuto rapporti con chi poi ha periziato le azioni. Però uno dei tasselli che ho appreso fossero fondamentali per sostenere il prezzo delle azioni, e comunque avere dei piani industriali particolarmente ambiziosi, in modo da dimostrare una redditività futura della Banca in linea con quel prezzo. Io so solo che come Vice Direttori Generali ci ritrovavamo degli obiettivi realizzabili, e ogni piano aveva degli obiettivi realizzabili. Quindi questo da quando sono arrivato. E, nonostante questi piani industriali, quindi questi piani strategici, fossero puntualmente smentiti. Quindi si poneva l'asticella a 100, noi, non so, raggiungevamo 70, e il piano successivo andava a 120 come obiettivo, no? Per dire. E quindi ci ritrovavamo nell'impossibilità di poter raggiungere quegli obiettivi, nonostante le indicazioni del piano fossero quelle. PRESIDENTE - Ma gli obiettivi venivano elevati per necessità della Banca oppure per? IMPUTATO GI. - Per tenere alto il prezzo dell'azione. PRESIDENTE - Solo per tenere alto il prezzo? IMPUTATO GI. - Dopodiché, la Banca aveva dei gap, ma erano gap strutturali, nel senso che eravamo una banca d'impiego quando mancava liquidità sul sistema. Siccome la situazione è esattamente l'opposta rispetto a quella che è ora, quindi il costo della raccolta che non veniva in qualche modo fornita dalla clientela si doveva prendere sul mercato dell'ingrosso e costava tantissimo, Quindi questo era un problema strutturale: banca d'impiego che concedeva molti crediti al territorio. Poi avevamo questo problema delle azioni, cioè caricare i portafogli di risparmi dei clienti sulle azioni vuol dire non avere commissioni, e quindi c'era un problema di redditività, c'era un discorso delle baciate, quindi dei tassi sugli impieghi bassi. Quindi anche questo fattore della compagine sociale determinava un problema di redditività. Però, essendo a conoscenza di questi problemi strutturali, la Banca avrebbe dovuto dal mio punto di vista anche tarare gli obiettivi dei piani industriali in linea con questi problemi strutturali. PRESIDENTE - La crisi del mercato secondario e anche lo svuotafondo era un problema conosciuto, diffusamente conosciuto? IMPUTATO GI. - Il problema dello svuotafondo nei primi anni, quindi dal 2007 al 2010, non era un problema critico, era comunque una volontà di So. di chiudere a zero il fondo riacquisto azioni proprie per in qualche modo mostrare che fosse un bravo Direttore Generale. Dico per inciso che c'erano dei grossi dubbi su So. nel territorio all'epoca, quindi che fosse un bravo Direttore Generale e potesse soddisfare in qualche modo anche le comunicazioni positive di Zo. al territorio. Quindi nei primi anni non era un'urgenza, non era una criticità, però si doveva chiudere a zero il fondo riacquisto, anche attraverso operazioni baciate. Per vari motivi, quindi la crisi del mercato, la necessità dei soci di vendere le azioni per liquidare, la volontà comunque di acquistare banche, la volontà di acquistare sportelli: ricordo che con l'ispezione 2012 la Banca d'Italia tolse il vincolo da parte della Banca di non acquistare sportelli, mentre fino al 2012 questo vincolo era ancora vivo. Quindi c'erano velleità di crescita, di espansione, di arrivare a 200.000 soci e 1.000 sportelli, e quindi questa volontà qui in qualche modo non veniva bilanciata da una richiesta di acquisto di azioni da parte dei soci. E ovviamente, siccome il fondo riacquisto azioni proprie impatta sui requisiti patrimoniali, c'è la necessità di svuotarlo per fine anno. PRESIDENTE - Io non penso di dover ripercorrere le sue dichiarazioni in primo grado, e poi lascerò anche spazio alle Parti. Questo è un po' il problema, il fenomeno generale - Adesso volevo passare a un secondo punto, che era quello di dichiarazioni che lei fa nel memoriale e che possono riguardare più specificamente la posizione di terzi. (....) IMPUTATO GI. - Presidente, premetto che non c'è volontà da parte mia, come dire, non voglio fare il male di nessuno, okay? Quindi io voglio solo chiarire quello che succedeva in Banca all'epoca. E sono rimasto molto sorpreso anche dalle dichiarazioni di Zo. e dalle dichiarazioni di Pe. che non sapessero di questo tipo di operatività in Banca. Come dire: era impossibile per me e per la rete commerciale portare avanti questo tipo di operatività senza che tutta la Banca, almeno i vertici della Banca ne fossero a conoscenza, E' impossibile, però se uno riuscisse a immedesimarsi all'interno del contesto della Po.Vi. in quei sette anni, dal 2007 al 2015, avrebbe la piena percezione di come questa possibilità non fosse realizzabile; e cioè, che la rete commerciale, quindi le filiali potessero operare in modo autonomo, riuscendo a nascondere questa operatività al bilancio, riuscendo a. nascondere questa operatività nei confronti di Zo. e del Consiglio di Amministrazione, e portando avanti questa politica di operazioni baciate, senza che emergesse neanche una voce, una sollecitazione, uno stimolo. Quindi, siccome questa ipotesi è stata non solo dichiarata da Zo. e Pe. in primo grado, è stata reiterata negli appelli; mi sono sentito in dovere di dover controbattere a queste affermazioni. Ma io voglio dire, ma al di là di me, lo devo fare per la mia famiglia, per i miei, per le persone che lavoravano con me e per la trasparenza che in qualche modo mi è vicina. Quindi io, ripeto, non voglio essere io ad accusare nessuno, ma le mie responsabilità e le responsabilità della Divisione Mercati si fermano, e me le assumo queste responsabilità, si fermano rispetto a responsabilità di altri che sapevano, condividevano e portavano avanti anche loro un certo tipo di attività, che poi in qualche modo chiudesse il cerchio delle operazioni baciate. Parlo di operazione correlate e baciate, non parlo ovviamente di fondi perché non ne sono a conoscenza. Ovviamente io sono un Imputato condannato, e quindi per poter ribattere a queste affermazioni ho dovuto studiare. Ecco perché questa famosa storia degli hard disk; nel senso che poi sono dovuto andare ad approfondire queste e-mail; e-mail che tra l'altro potevano essere solamente analizzate da me, cioè da qualcuno che in Banca lavorava, perché dall'esterno sarebbe stato molto complicato estrarre da quelle e-mail delle indicazioni di responsabilità o meno. Quindi ho avviato questo percorso di studio e di analisi, non facile perché stiamo parlando di più di 1 milione di e-mail in quegli hard disk. E ci sono tre cose che volevo dire per quanto riguarda il Bilancio e Pe.. La prima cosa, che è incrementale rispetto a quelle che ho detto in primo grado, che comunque andavano già in questa direzione, Presidente: in riunioni di direzione e comitati di direzione non si parlava di baciate. Falso. Nei comitati di direzione e nelle riunioni di direzione si parlava di baciate. Ovviamente non sempre, in maniera progressiva dal 2012 fino ai 2014, ma si parlava di baciate - Io ricordo esattamente che in alcune occasioni, in chiusura, quindi una volta chiusi questi comitati e queste riunioni, Pe. venne da me e mi disse: "Ma quant'è 'sta roba? Di quanto stiamo parlando?". E io gli dissi: "Per quanto ne so, quindi operazioni fatte da me, stiamo parlando di 200-300 milioni'' Da me, quindi Gi. che incontrava i clienti. Quindi, ipotizzando che la Banca fosse molto più complicata e molto più estesa, questi 200-300 milioni si potevano moltiplicare per 2, 3, 4. Quindi le operazioni conosciute da me erano 200-300 milioni, e lo/ dissi chiaramente a Pe.. E questo, però, ovviamente è la pareva mia contro la parola di Pe., Quindi ho dovuto cercare dei documenti e degli atti che confermassero queste mie dichiarazioni. Parliamo allora del mercato secondario. Il mercato secondario, ci sono delle analisi, di cui ha parlato anche Fa. l'altro giorno, fatte nel maggio 2014, proseguite ad agosto del 2014, So. mi scrisse a Ferragosto, e portate avanti dopo l'AQR, quindi dopo l'Asset Quality Review, e con un risultato che venne condiviso da So. nel Comitato di Direzione del novembre 2014. Questa successione di analisi - che adesso ovviamente non sto ad aprire documenti magari lo vedremo dopo - dimostra in modo inoppugnabile una gran quantità di soci che avevano degli ammontari importanti di capitale, quindi di azioni, degli ammontari importanti di finanziamenti equivalenti. So. parla di 1 miliardo in un Comitato di Direzione. Probabilmente non è 1 miliardo ma siamo intorno ai 700-800 milioni perché quegli impieghi di cui parla lui appiccicati alle azioni non erano solo operazioni baciate, ma c'erano anche degli impieghi, ad esempio, ad Am. che non aveva mai fatto baciate; ma ovviamente andargli a dire: "ti alziamo i tassi", Am. ti vendeva le azioni, quindi era comunque un problema, Secondo aspetto, Terzo aspetto. Io ho ricordato durante queste analisi che alla fine dell'aumento di capitale 2013 mi incontrai con Ma. per i corridoi della Banca. Era stato addebitato l'aumento di capitale, quindi come funzionava? C'era stato l'aumento di capitale fino ai primi, gli ordini della rete venivano presi fino ai primi di agosto, quindi l'ordine di acquisto, e poi c'era un momento di regolamento, che era un'unica giornata, in cui venivano addebitati i conti, e la liquidità e i risparmi dei correntisti si tramutavano in azioni, Quindi, se uno avesse 10.000 Euro sul conto corrente di risparmi, di depositi, l'addebito di, ad esempio, 5.000 Euro di azioni avrebbe comportato che questo cliente post-addebito avrebbe avuto 5.000 Euro di depositi, di liquidità, sul conto corrente e 5.000 Euro di azioni. Quindi questo cosa comportava? Comportava un decremento della raccolta. Quindi io incontrai Ma., e Ma. mi disset "Ma, Em., ma hai visto come sono saliti gli impieghi con l'addebito?", cioè quante baciate sono state fatte con l'aumento di capitale? Perché ovviamente normalmente dovrebbe accadere che con l'addebito va giù la raccolta. I depositi dei clienti; se invece c'è un incremento degli impieghi, quindi dei crediti, quindi dei finanziamenti, vuol dire che quelle sono operazioni baciate, E mi ricordo questo fatto di Ma. che me lo disse per avvertirmi, per dirmi: "ma ci stiamo rendendo conto?". Allora cosa ho fatto? Sono andato a prendere le e-mail del Controllo di Gestione, quelle che l'Avvocato Mi. ha fatto vedere a Mo. lunedì, in cui sia nei 2013 sia nel 2014 c'è questo fenomeno. Ma stiamo parlando non di poche cose, stiamo parlando, sommando il 2013 e il 2014, di 350 milioni di crescita degli impieghi che, rapportata agli aumenti di capitale, dà una percentuale dell'intorno del 28%, che è più o meno la stessa percentuale che Consob nell'ispezione dice, afferma che fosse stata fatta attraverso baciate. Quindi Consob dice: siamo intorno al 25% di baciate sull'aumento di capitale, qui ci ritroviamo con il 28%, quindi siamo più o meno lì. Quindi questo oggettiva il fatto che tutta la Banca, perché questa e-mail è indirizzata a So. in copia conoscenza, i Vice Direttori Generali, Pe., gli uomini di Pe., la Divisione Mercati, il Risk Management, che tutta la Banca era a conoscenza che il collocamento delle azioni del capitale avvenisse attraverso baciate. PRESIDENTE - E So. si confrontava con qualcuno e con chi per le comunicazioni da indirizzare agli Organi di Vigilanza? IMPUTATO GI. - Io ricordo che tutte le comunicazioni di Vigilanza e comunque di Banca d'Italia in qualche modo poi dovessero arrivare a So. in Segreteria Generale, ex Ispettore Banca d'Italia, che poi le inoltrava alle strutture della Banca deputate. Per quanto riguarda le segnalazioni di vigilanza e l'interlocuzione con Banca d'Italia, la struttura e la divisione principe era quella di Pe.. PRESIDENTE - Lei poi scrive - l'abbiamo sentito già l'altra volta - che c'era una partecipazione di collaboratori di Pe. alle riunioni della Divisione Mercati; questo riguarda Mo. o riguarda anche altre figure? IMPUTATO GI. - Mo. partecipava a tutte le riunioni della Divisione Mercati che si tenevano mensilmente per condividere con fa rete, quindi i capi area e i direttori regionali, i risultati e dettare le linee guida per il mese successivo, quindi le priorità commerciali, non so: insistiamo sui mutui, vanno fatti più conti correnti eccetera eccetera. Mo. partecipava a tutte queste riunioni, perché preparava lui il materiale e le calendarizzava lui, Mo.. E' accaduto che due/tre volte l'anno a queste riunioni della Divisione Mercati potesse partecipare anche Pe., potessero partecipare Pe. Fa. solitamente anche con So., anche in funzione degli obiettivi di budget, quindi per dettare quelli che fossero gli obiettivi di budget condivisi in Consiglio di Amministrazione. PRESIDENTE - Lei ha sentito l'altra volta? Mo. dice: Io sono rimasto stupito nello scoprire l'entità del fenomeno Se ha da dire qualcosa, non necessariamente, IMPUTATO, GI. - No, io quello che dico in queste riunioni della Divisione Mercati si parlava in modo molto chiaro di capitale e di modalità per raggiungerlo e quindi di operazioni baciate - Quindi mi stupisco che Mo. possa aver detto che non se ne parlava all'interno di queste riunioni della Divisione Mercati. Lui parla di "allusioni", non so sinceramente cosa voglia dire: o se ne parlava o non se ne parlava. Io ero lì e se ne parlava. Dopodiché, con quale frequenza? Sempre maggiore con l'andare degli anni e del tempo. In alcuni casi, a chiusura delle riunioni della Divisione Mercati, io mandavo un messaggio a So. per partecipare, perché lui comunque voleva essere sicuro che suoi messaggi fossero i messaggi che poi venivano declinati sulla rete; chiamavo So., So. veniva solitamente con Ca. a chiudere la riunione, e anche lui parlava di capitale e di finanziamenti per raggiungere gli obiettivi di capitale. Tanto premesso, passando ad analizzare più nel dettaglio il contributo dichiarativo fornito dal chiamante in correità con specifico riferimento alla posizione del coimputato PE., osserva questa Corte come esigenze di chiarezza suggeriscano di attenersi all'ordine espositivo adottato nel memoriale, posto che detto documento ha poi costituito la traccia seguita nel corso dell'esame dell'imputato. Ebbene, in detto documento il GI. ha anzitutto evidenziato gli stretti rapporti intercorrenti tra il PE. ed il d.g. So. e, a tal fine, ha richiamato alcune evidenze documentali. Trattasi, segnatamente: - dei documenti allegati alla memoria sub 2.2.1, 2.2.2, e 2.2.3 ed inerenti al coinvolgimento della struttura del PE. nella comunicazione degli obiettivi della rete di vendita, obiettivi che - come s'è ripetutamente precisato - erano perseguiti anche attraverso il sistematico ricorso al capitale finanziato; - del documento 2.2.4, costituto da una mail nella quale, rispondendo al vicedirettore Ca. che manifestava la propria contrarietà rispetto al sistema incentivante, il PE. rispondeva in modo netto "ne discuteremo con il direttore", così manifestando, ad avviso del GI., la propria "vicinanza" al d.g.). Quindi, il propalante ha esplicitamente affermato la piena conoscenza, in capo al coimputato, sia della "prassi svuotafondo" e delle ragioni ad essa sottese, sia delle difficoltà, da mantenere nascoste all'esterno, nelle quali si dibatteva il mercato secondario dei titoli B., anche in tal caso richiamando, a sostegno delle proprie affermazioni, specifici supporti documentali e, segnatamente: - quanto al primo profilo, i documenti 2,3.1 e 2,3.2 (costituiti, rispettivamente, dalla richiesta, avanzata dal d.g. So. su elaborazione di Pe., di raggiungere l'obiettivo di Tier 1 pari all'8% a fine 2011 e del documento, predisposto dal Mo., nel quale si monitorava l'attuazione della direttiva del d.g. secondo cui ad ogni delibera di credito avrebbe dovuto essere associata l'acquisizione di un socio, direttiva, peraltro, che implicava necessariamente il blocco delle predette delibere fino all'acquisizione di un nuovo socio); - e, quanto al secondo profilo, il documento 2.3,3 (costituito da una mail inviata, in vista di una riunione con Bc. a Francoforte, dal So. al PE. e contenente - corredato dalla significativa indicazione "non illustrabile" - anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci), nonché dei documenti 2.3.3 bis, 2.3.3, ter (relativi alla predisposizione della risposta ai reclami dei soci, risposta nella quale si adduceva la responsabilità dei ritardi ad un mero mutamento della regolamentazione di riferimento avvenuta nel 2014, quando, al contrario - ha precisato il GI. - era notorio che tali difficoltà derivavano dalla risalente crisi del mercato secondario del titolo B.). Quanto, poi, alle Riunioni di Direzione, il propalante ha affermato come il coimputato PE. fosse solito prendervi parte, personalmente ovvero per il tramite dei suoi stretti collaboratori, Fa. e Mo.. E, a sostegno, ha prodotto i documenti in allegato alla memoria sub 2,4.1, 2.4.2, 2.4.3., 2.4.3 bis, 2.4.4., 2.4.5. relativi anche all'incontro, tenutosi a Roma, nel quale il So. aveva minacciato l'eliminazione delle direzioni regionali se non avessero raggiunto gli obiettivi assegnati, tra i quali i requisiti di capitale, anche attraverso le operazioni finanziate. Passando, quindi, ad analizzare l'intervento del PE. nel corso del più volte citato Comitato di direzione dell'8.11.2011, il GI. ha precisato - del tutto coerentemente, peraltro, con la lettura che di tale momento di "riflessione collettiva" è stata in precedenza proposta - che il coimputato era intervenuto con la funzione di fare da - guida della discussione per far in modo che si raggiungessero gli obiettivi di capitale, anche con finanziamenti correlati" (così si legge a pag. 16 della memoria): era stato in tale veste, infatti, che il responsabile del bilancio aveva assegnato un "obiettivo complessivo, tra Vicenza, Prato e Palermo di 110 mln di euro". Nell'occasione - ha precisato il dichiarante - nessuno aveva contestato che per collocare le azioni sarebbe stato necessario ricorrere anche alle "baciate" (come espressamente evidenziato da To. e da Se., tra i più in difficoltà nel collocamento, visto che nelle zone di loro competenza - la Toscana e la Sicilia - "B. non era conosciuta e non c'era alcun senso di appartenenza da parte del territorio") e, pertanto, il d.g. So. aveva rapidamente tratto le conclusioni, assegnando il monitoraggio di tale collocamento, da effettuare anche attraverso i finanziamenti, "a Fa. (cioè a Pe.)". Di seguito (si vedano le pagg. 16-17 del memoriale), il GI. ha rievocato la partecipazione del Fa. al Comitato di Direzione 10.11.2014 ed ha spiegato il significato del riferimento effettuato dallo stesso dichiarante alla necessità di confrontarsi con Ma.": il tema era quello della necessità di "smontare" le baciate e la proposta dello stesso GI. di fronteggiare la riduzione del capitale abbinato alle baciate attraverso la riduzione degli attivi della Banca, essendo i requisiti patrimoniali una frazione tra numeratore-capitale e denominatore-attivi" avrebbe necessariamente richiesto l'interlocuzione col PE., trattandosi del soggetto che "sapeva come poter tarare gli obiettivi relativi ai requisiti di capitale tra aumenti di capitale, svuotafondo, riduzione degli attivi rischiosi e riduzione dei finanziamenti baciati". Quindi, ha precisato di serbare il ricordo di un momento dì specifico confronto che aveva avuto, sul punto, con il PE.: a margine di una riunione di direzione tenutasi nel secondo semestre 2014, infatti, avevano esplicitamente affrontato tale argomento e, nell'occasione, avevano concordemente convenuto - che l'ammontare di riduzione degli attivi non sarebbe stato sufficiente a colmare il venir meno del capitale dei principali soci della banca". Quindi, nel corso dell'esame innanzi a questa Corte, ha rievocato nuovamente tale episodio. Ebbene, trattasi - com'è evidente - di una ricostruzione assolutamente sovrapponibile a quella già delineata dalle acquisizioni documentali e testimoniali nella disponibilità del primo giudice, ma che, nondimeno, è tutt'altro che irrilevante, provenendo da un diretto protagonista dell'episodio (e, segnatamente, proprio da colui che, nel corso della riunione, aveva evocato il PE.). Inoltre, il GI., da un lato, ha precisato che l'intervento degli esponenti della Divisione Pianificazione e Bilancio nelle riunioni della Divisione Mercati era costante, soggiungendo che costoro ne riportavano gli esiti al loro responsabile, PE. (cfr, pagina 18 del memoriale); e, dall'altro, ha convenuto che i piani industriali B., lungi dall'essere meramente ottimistici, ovverosia "sfidanti e non sempre di facile composizione" (come pure eufemisticamente ammesso dallo stesso CdA in risposta a Banca d'Italia con riferimento al Piano 2012-2014), fossero "irrealizzabili", "utopistici" e, ciononostante, fossero stati costantemente approvati. Questo, per la impellente necessità di "alimentare e sostenere il prezzo dell'azione" e, al contempo, "stressare le strutture commerciali", tenendole continuamente sotto pressione (cfr. pag. 19 del memoriale). E, anche sul punto - è appena il caso di rilevarlo - le affermazioni del propalante collimano con le risultanze istruttorie. Quindi, alle pagine 19-21 del memoriale, il chiamante in correità ha rievocato il coinvolgimento delle strutture dipendenti dal PE. nello studio di fattibilità del progetto del d.g. So. di eliminazione degli "impieghi poco redditizi" (trattasi della valutazione propedeutica alla Riunione del Comitato di Direzione 10.11.2014 di cui s'è detto); studio che, tuttavia, aveva evidenziato l'impraticabilità di tale eliminazione per tutti quegli impieghi costituiti dai finanziamenti concessi a soggetti - intoccabili perché azionisti della Banca" (tra cui il propalante ha specificamente ricordato "El., Ze., It., Za., Ro."): ebbene - ha precisato il GI. - tra le posizioni intoccabili espressamente valutate e riportate nel documento Excel all'uopo predisposto vi erano parti di operazioni correlate caratterizzate dalla corrispondenza tra importo del finanziamento erogato e valore delle azioni B. possedute dal soggetto finanziato (ad esempio "Ma.An., Ol.An., Na.Fa."), sicché il tema del capitale correlato emergeva, da tale studio, in termini dì evidenza. E, a sostegno di ciò, il GI. ha richiamato i documenti allegati al memoriale sub 2.7.1, 2.7.2 e 2.7.2 bis. Ciononostante - ha proseguito il dichiarante - il d.g. So., consapevole che questo fosse uno degli aspetti più problematici, con la collaborazione della "Pianificazione" e del "Risk" aveva continuato a lavorare per far emergere gli impieghi poco redditizi, questa volta anche valutando l'impatto dell'assorbimento di capitale. All'esito di tale approfondimento, era risultato un ammontare pari a circa un miliardo di Euro (come da tabella allegata al memoriale sub 2.7.3.) e, nell'occasione, era emerso, abbinando a tali impieghi il possesso azionario, nominativo per nominativo, che molti di questi impieghi erano correlati all'acquisto di azioni (come da documento allegato sub 2-7.4). Quindi, il GI. ha precisato che la Direzione Pianificazione e Bilancio aveva accesso ai dati relativi alle azioni ed ai finanziamenti (come, peraltro, confermato dal lavoro di studio, testé evocato, effettuato su richiesta del d.g. So.) ed ha richiamato due mail - prodotte in allegato al memoriale, sub 2.8.1 e 2.8.2. - relative all'analisi, "effettuata da Pianificazione/Bilancio", dell'andamento giornaliero della raccolta e degli impieghi alla data di regolamento dell'aumento di capitale 2014. Trattasi - ha precisato il GI. - di documenti attestanti la consapevolezza piena del fenomeno dei finanziamenti correlati con riferimento agli aumenti di capitale 2014 (in particolare, l'allegato 2.8.2. dimostrerebbe che l'Aucap 2014 era stato finanziato dalla banca stessa per l'ammontare di 168 milioni di euro). Quindi, come anticipato, nel corso dell'esame il GI. ha sostanzialmente ribadito quanto anticipato nel memoriale, soffermandosi più diffusamente sulle circostanze di maggior rilievo, specie nel rispondere alle sollecitazioni delle difese dei coimputati (e, per quello che specificamente rileva in questa sede, della difesa del PE.) ed ulteriormente puntualizzando quanto oggetto di "anticipazione scritta" (come nel caso dei periodici incontri per il jogging con i colleghi Fa. ed Es. in occasione dei quali erano ricorrenti i riferimenti alla prassi delle "baciate" in atto presso l'istituto - cfr. esame GI., udienza 15.6.2022, pag. 45). Ebbene, le risposte fornite sono state sempre coerenti con le citate "anticipazioni", non sono emerse contraddizioni e tantomeno il propalante è stato smentito nella interpretazione dei documenti dallo stesso prodotti al di là di talune, inevitabili contestazioni circa le conclusioni desumibili da alcuni di detti documenti. A tale ultimo riguardo, infatti, non può che ribadirsi come l'assenza di esplicita, dati documentali in ordine al capitale finanziato rispondesse ad una precisa direttiva aziendale, sicché non può certo destare sorpresa la circostanza che i documenti valorizzati dal propalante non siano di immediata comprensione (e ciò anche per la natura oltremodo "tecnica" del loro contenuto), ovvero si prestino ad interpretazioni parzialmente differenti. A ben vedere, quello che rileva è che nell'ambito di un pieno ed incondizionato disvelamento delle proprie responsabilità, espressione di un effettivo ripensamento critico maturato da persona soggettivamente attendibile (sul punto si richiamano le considerazioni già spese nel paragrafo 13 della presente sentenza), il GI. abbia delineato - in modo coerente, va ribadito, con le plurime evidenze probatorie logiche, documentali e testimoniali complessivamente disponibili - quale sia stato il ruolo rivestito, tra gli altri, dal coimputato PE., fornendo, in proposito, senza alcuna animosità (e, anzi, in maniera oltremodo pacata e tale da rendere evidente quanto fosse stata sofferta la determinazione alla "collaborazione" progressivamente maturata), il contributo, assai utile per la compiuta comprensione delle dinamiche operative collegiali del board ristretto dell'istituto di credito, proprio di un soggetto coinvolto, ai massimi livelli, nell'operatività delittuosa. In effetti, le pur articolate contestazioni mosse dalla difesa del PE. per contestare attendibilità e concludenza delle propalazioni d'accusa non colgono affatto nel segno. In particolare: - quanto alla obiezione inerente alla portata innovativa (rispetto alle dichiarazioni rese nel dibattimento di primo grado) da riconoscersi esclusivamente in ordine alla ammissione di personale responsabilità del medesimo GI. (cfr. memoria conclusiva difesa PE., paragrafo 4.1, pagg. 42 e ss.), è sufficiente la lettura di quanto riferito dallo stesso chiamante in correità innanzi a questa Corte per convincersi del contrario; - quanto alla contestazione circa la diffusa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato (paragrafo 4.2.1 della memoria citata), non può che farsi riferimento alle considerazioni già spese al riguardo (anche in relazione alla posizione dei coimputati, segnatamente lo ZO.), tali da fugare qualsivoglia perplessità circa la suddetta ampia consapevolezza (nel settore dei "mercati" - lo si è visto - finanche capillare); - quanto, poi, alla confutazione in ordine al fatto che, in occasione dei Comitati di Direzione, si parlasse di "baciate" (paragrafo 4.32.2. della memoria), vale, ancora una volta, il rinvio alle osservazioni già esposte sul punto; - quanto, ancora, alle dichiarazioni relative ai colloqui "informali" intrattenuti con il Fa. e l'Es. in ordine alle "baciate", le diverse versioni rese da costoro, là dove hanno sostenuto di avere acquisito contezza del fenomeno solo verso la metà del 2015 (paragrafo 4,2.3. della memoria), non appaiono minimamente credibili in quanto evidentemente orientate dalla finalità di stornare qualsivoglia sospetto dalle rispettive persone, nel solco di un contegno che - lo si è già detto - ha trovato ampia diffusione; - quanto alla asserita falsità dell'affermazione che i piani industriali sarebbero stati manipolati per tenere alto il prezzo dell'azione (paragrafo 4.2.4 della memoria), non può che rinviarsi alle riflessioni in precedenza svolte al riguardo (segnatamente in relazione alla posizione del coimputato ZO., sulla base, in particolare, oltre che di considerazioni di natura logica, delle puntuali dichiarazioni, in proposito, del teste Ca.); - quanto, infine, alla contestazione circa i colloqui intercorsi tra il propalante ed il PE. in ordine al volume delle operazioni finanziate (paragrafi 4.2.5 e 4.2.6 della memoria), il rinvio è alle considerazioni che saranno esposte più avanti. Inoltre, la contestazione della significazione dei documenti prodotti dal GI. a sostegno delle proprie dichiarazioni (cfr. capitolo 4.3 della memoria, pagg. 62-84), se può essere condivisa con riferimento a taluni di essi, effettivamente dotati di una generica attitudine probatoria di mero "contesto" (è il caso dei documenti costituenti gli allegati 2.2.1, 2.2.2, 2.2.3, 2.2.4), non può affatto trovare avallo in relazione ad altra parte della produzione del predetto coimputato. Ciò è particolarmente vero con riguardo ai documenti 2.3.1, 2.3.2, e 2.3.3 che, effettivamente, orientano (in linea anche con le considerazioni di carattere logico effettuate in proposito) per il coinvolgimento della struttura facente capo al PE. nel monitoraggio di momenti essenziali della dinamica del capitale finanziato, con la doverosa precisazione, inoltre, che il documento 2.3.3 - ovverosia la mail inviata dal So. al giudicabile in vista della partecipazione di costui alla riunione Bc. a Francoforte, corredata dalla significativa indicazione "non illustrabile" e contenente anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci - costituisce, come si è già detto, elemento obiettivamente connotato da elevata specifica attitudine dimostrativa (al di là di quello che può poi essere stato l'effettivo contenuto della riunione in questione). Altrettanto è a dirsi, poi, con riferimento alle produzioni 2.3-3. bis e ter in quanto - ad onta, anche in tal caso, delle obiezioni difensive - trattasi di documenti dai quali si trae la rinnovata conferma della conoscenza, in capo all'imputato, della condizione di grave crisi del mercato secondario del titolo B., ovverosia - è bene ripeterlo nuovamente - di un aspetto inscindibilmente connesso al tema del capitale finanziato (del quale - lo si è già visto - l'ingravescente illiquidità del titolo azionario costituiva una delle principali cause). I documenti 2.4.1, 2.4.2., 2.4.3, poi, sono inerenti alla partecipazione dell'imputato e dei suoi collaboratori alle riunioni di direzione (ivi compreso l'incontro di Roma di cui s'è detto e nel quale, anche secondo i testi evocati dalla difesa, il So. si era espresso in modo assai incisivo sul tema del capitale, ancorché detti testimoni non abbiano menzionato espliciti riferimenti, da parte del d.g., alle operazioni correlate), sicché trattasi di dati che comunque corroborano, sia pure in tali termini più generali, la narrazione del propalante. Il documento 2.4.4, e soprattutto, quello 2.4,5 (trattasi di comunicazione in vista del comitato di direzione 10.11.2014), confermano come larga parte dei finanziamenti riguardasse proprio gli azionisti, donde il non trascurabile significato del dato. Ancora, i documenti 2.7.1, 2.7.2, 2.7.2 bis, 2.7.3, 2.7.4. riscontrano l'esistenza di un accurato lavoro, da parte delle strutture della banca (ivi compresa la "pianificazione") sul "margine di interesse", inerente anche ad operazioni rispetto alle quali la coincidenza tra ammontare dei finanziamenti e valore delle azioni possedute era tale da costituire, se non la prova, quantomeno un importante indice di allarme circa la natura finanziata degli acquisiti dei titoli; del resto, la dicitura "operazioni "particolari" contenuta nel documento 2.7.1., tenuto conto del lessico volutamente ambiguo ed allusivo imposto per trattare del "capitale finanziato" all'interno di B., deve evidentemente ritenersi riferita proprio a situazioni del genere (nonostante la contraria affermazione, evocata dal difensore, dell'inattendibile teste Fa.). Il significato di tali dati, quindi, è evidente, nonostante la difesa ne abbia proposto una lettura riduttiva e, soprattutto, "sganciata" dal complessivo contesto di riferimento. Altrettanto significative, infine, sono le produzioni 2.8.1 e 2.8.2 dalle quali, in effetti, si ricava, con riferimento al "contributo" offerto da Ba.Nu., l'incidenza significativa dei finanziamenti sull'esito positivo dell'aucap 2014, sicché - anche in tal caso nonostante le specifiche obiezioni difensive (relative alla minor somma di capitale finanziato poi riscontrato con riferimento alla predetta Ba.Nu. rispetto ai dati evinciteli da tali comunicazioni) - le produzioni effettuate a sostegno delle dichiarazioni del GI. corroborano l'attendibilità della fonte. Infine - è stato già anticipato, ma giova ripeterlo - le propalazioni del GI. hanno trovato piena conferma nelle prove a carico del PE. già acquisite nel corso del giudizio di primo grado, sicché l'esigenza dei riscontri alla chiamata di correo appare, sotto questo profilo, più che soddisfatta. Ciò posto, prima di passare alle conclusioni, si impone una analisi specifica, ancorché sintetica, di quelle evidenze che il primo giudice ha valutato come favorevoli all'imputato e che, diversamente, si rivelano, in quest'ottica, prive di rilievo (se non, addirittura, di segno contrario). E' il caso, anzitutto, delle deposizioni dei testi Fa., Tr., Mo. e Li., ampiamente richiamate dalla difesa dell'imputato (si vedano, segnatamente, le considerazioni svolte ai paragrafi 3.2 -3.5, pagg. 18-41 della memoria conclusiva). Ebbene, premesso quanto già ripetutamente esposto in ordine alla difficoltà incontrata (dapprima in sede di indagine e, successivamente, nel corso del giudizio) nell'ottenere dai contributi dichiarativi resi dai partecipi delle strutture di B. coinvolti, con ruoli non marginali, nelle operazioni di "capitale finanziato", informazioni realmente utili per il necessario regolamento di confini in punto di responsabilità individuali, deve osservarsi, quanto alle dichiarazioni del Fa. - là dove costui, come precisato in sentenza, ha riferito che tanto lui stesso quanto il PE. avevano acquisito la conoscenza dell'entità del capitale finanziato solo nel corso dell'ispezione della Bc. del 2015 ed ha precisato che, in precedenza, tale conoscenza era assolutamente generica, poiché derivata dalle sporadiche allusioni a tale fenomeno effettuate in sede di Comitato di Direzione - si è in presenza di affermazioni, alla luce di quanto sin qui detto, del tutto inaffidabili. Il primo giudice, sul punto, ha obliterato ogni valutazione di attendibilità, attendibilità che, per contro, va radicalmente esclusa, essendosi in presenza del collaboratore dell'imputato che, come s'è detto, curava la valutazione degli effetti dell'andamento del fondo sul patrimonio di vigilanza e che, quindi, svolgeva un'attività di assoluto rilievo ai fini del monitoraggio delle implicazioni del capitale finanziato sui requisiti prudenziali. Peraltro, lo stesso Fa., nel corso della rinnovata escussione dibattimentale innanzi a questa Corte, non ha potuto negare che in occasione del comitato "del 14.11.2014" (rectius del 10.11.2014) - ovverosia in una situazione di forte tensione - era stato specificamente affrontato il tema del capitale correlato, sostenendo che tale fenomeno, in precedenza, era tollerato (e, quindi, non certo ignorato) in quanto vera e propria prassi delle popolari. Quanto alla testimonianza resa dal Tr., poi, deve osservarsi che, con riferimento al PE., i passaggi più significativi di detto contributo dichiarativo riguardano, in primo luogo, il fatto che, ad avviso di tale teste, l'imputato mai gli avrebbe rappresentato (espressamente o implicitamente) di essere a conoscenza del fenomeno e, in secondo luogo, la circostanza che il medesimo giudicabile si sarebbe dimostrato sorpreso allorquando gli ispettori ebbero ad illustrare le evidenze emerse In relazione ai fondi At. ed Op., Ebbene, irrilevante la questione dei fondi (rispetto ai quali non è in discussione l'estraneità dell'imputato), trattasi, per il resto, anche a volersi prestar fede ad un testimone, complessivamente, anch'egli poco affidabile (in quanto parimenti partecipe della complessiva vicenda in esame, in qualità di collaboratore dell'odierno imputato, essendo egli responsabile della Ragioneria Generale), di contributo privo di sostanziale portata, com'è evidente alla luce del concreto contenuto di tali dichiarazioni. In relazione alla deposizione del Mo., poi, il tribunale ha evidenziato come costui avesse riferito che, prima della ispezione Bc., vi era consapevolezza bensì dell'esistenza, non già delle dimensioni del fenomeno in esame, soggiungendo, con specifico riferimento alla posizione del PE., che detto imputato era a conoscenza dello slogan di So. secondo il quale era necessario che ogni cliente affidato possedesse azioni B. per un controvalore pari ad almeno il 10%, Ebbene, rispetto a tale deposizione non possono non avanzarsi rilievi critici, in punto di attendibilità, del tutto analoghi a quelli relativi alla deposizione del collega Fa.. Questo, solo a considerare il fatto che il predetto Mo., per le sue funzioni di stretta collaborazione con la Divisione Mercati, alle riunioni mensili della quale partecipava stabilmente, era il soggetto, tra quelli appartenenti alla Divisione diretta dal PE., maggiormente coinvolto dai flussi informativi "informali" relativi alle pressanti iniziative di collocamento dei titoli che coinvolgevano tutta la rete commerciale. Si è in presenza, quindi, di dichiarazione alla quale non può certo attribuirsi particolare significato in chiave difensiva. Peraltro, giova evidenziare come, in sede di rinnovazione istruttoria, tale teste, nel ribadire, comunque, che, sia pure in modo allusivo ed in contesti informali, delle "baciate" si parlava all'interno della banca, abbia anche confermato - e trattasi di elemento tutt'altro che trascurabile, ove si consideri debitamente la più volte evocata "dimensione sistemica" del fenomeno in questione - le significative tensioni riscontrabili sul mercato secondario del titolo a partire dall'anno 2012. Infine, quanto al teste Li., costui ha sostenuto che il PE., all'inizio dell'ispezione, gli aveva riferito, peraltro esprimendosi in termini di mera probabilità, di essere a conoscenza di un ammontare del capitale finanziato non superiore a quello del fondo acquisto azioni proprie e, dunque, nei limiti dei 200 milioni. Ebbene, a parte il fatto che si tratterebbe di un importo comunque assai consistente (corrispondendo quasi alla consistenza massima del fondo azioni proprie nella fase precedente rispetto alla successiva riduzione prevista normativamente), tale da incidere significativamente sui requisiti di vigilanza, è decisivo osservare che l'interlocuzione tra i due si colloca in una fase di crisi oramai manifesta, quando tutti ragionevolmente miravano ad escludere (o, quantomeno, a ridimensionare) l'apporto da ciascuno fornito alla attuazione della prassi del capitale finanziato (si pensi alla già evocata distruzione, da parte di Am., dei documenti che potevano comprometterlo). Non v'è chi non veda, pertanto, come si sia in presenza di una deposizione priva di reale consistenza favorevole. In effetti, l'imputato (al pari dei suoi più stretti collaboratori, donde - va ribadito ancora una volta - la scarsa attendibilità delle dichiarazioni di costoro) aveva tutto l'interesse, in ottica autodifensiva, ad apparire all'oscuro quantomeno delle dimensioni del fenomeno in esame, onde avvalorare la tesi della propria estraneità ai fatti, o, comunque, di un coinvolgimento del tutto marginale. Venendo, quindi, alla disclosure relativa ai fondi At. ed Op., verificatasi nel giugno del 2014, coglie nel segno la censura articolata, sul punto, nell'atto di impugnazione del p.m.: non solo si è trattato di condotta doverosa (in quanto conseguente ad uno specifico obbligo); ma - e trattasi di considerazione, sul punto, davvero dirimente - è decisivo osservare come un differente contegno avrebbe comportato effetti ancora più pregiudizievoli per la banca, la quale si sarebbe vista costretta a detrarre dal patrimonio di vigilanza l'intero ammontare dell'investimento effettuato nei fondi lussemburghesi, pari a circa 350 milioni dì Euro, a fronte di una detenzione di azioni ammontante ad un valore di circa 50 milioni di euro259. L'irrilevanza di tale elemento, quindi, è tanto evidente da non richiedere ulteriori commenti. Considerazioni più articolate si impongono, invece, con riferimento alla "vicenda Kp.", alla quale il primo giudice, in relazione all'imputato, ha dedicato le osservazioni contenute alle pagg. 746-748 della sentenza impugnata. In estrema sintesi, il tribunale ha interpretato la condotta tenuta dal PE. in quel delicato frangente come insuscettibile di univoca interpretazione, al contempo riconoscendo come più probabile una lettura del complessivo contegno del giudicabile come sintomatico di mancata conoscenza dell'entità effettiva del capitale finanziato. Si ricorda che il PE., secondo la teste Pa., le aveva bensì chiesto un "parere legale", ma senza affatto suggerirle di attestare la legittimità delle operazioni di finanziamento per l'acquisto delle azioni cadute sotto la lente della società di revisione; quindi, in occasione della successiva riunione, allorquando il Pi., alla proposta della medesima Pa. di avviare "un audit", aveva reagito proferendo la frase "Ma sei matta! Un Audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa", ed anche il So. aveva dato in escandescenze, era rimasto calmo, dando così mostra di non essere allineato agli altri vertici aziendali. Trattasi, ad avviso di questa Corte, di una lettura delle emergenze processuali disponibili davvero poco persuasiva e, anzi, a ben vedere, frutto di un marcato travisamento della prova. Ed invero, tralasciando quanto sin qui detto in ordine alle prove positive (dirette ed indirette, logiche, testimoniali e documentali) inerenti alla conoscenza effettiva dell'esistenza e della entità eclatante del capitale finanziato in capo al PE. e limitando l'analisi alla vicenda in esame (ed agli accadimenti ad essa immediatamente precedenti), non può non rilevarsi quanto segue. La società Kp. era impegnata nella revisione del bilancio 2014 e, in tale contesto operativo, si era determinata ad effettuare laboriosi approfondimenti, peraltro mai svolti in occasione delle analoghe attività espletate negli anni precedenti, approfondimenti che, a seguito dì appositi "incroci informatici" dei dati disponibili negli archivi dell'istituto, avevano portato all'emersione di alcune (17) "posizioni correlate", attinenti non solo all'aumento di capitale ma anche alle operazioni di acquisto azioni effettuate nel corso del medesimo anno. Con ogni probabilità (sebbene talune incertezze, sul punto, non siano state del tutto dissolte dall'istruttoria dibattimentale) ad orientare in tal senso l'attività di revisione erano stati significativi "campanelli d'allarme" che non potevano essere ignorati. In ogni caso, le evidenze emerse nell'occasione - ciò va precisato per il rilievo che tale circostanza è destinata ad assumere ai fini del dovuto apprezzamento della serietà di quanto andava emergendo - erano il frutto di verifiche eseguite su un mero campione e, quindi, erano del tutto prive di valore statistico (sicché era assai probabile che - come poi puntualmente avvenuto - una più analitica disamina avrebbe potuto portare alla luce una situazione assai più compromessa). Ebbene, all'emersione di tali evidenze aveva fatto seguito, su input della società di revisione, interessata ad acquisire il "punto di vista" della banca su tali evidenze di "correlazione", il coinvolgimento del PE. (immediatamente informato da Vi.An., di Kp., del problema che andava emergendo) e, per il tramite dello stesso imputato, del d.g. So., dell'ufficio legale di B. (nella persona della Pa.) e, infine, dello stesso Collegio Sindacale. A questo punto, gli eventi si erano succeduti freneticamente: la Pa., a fronte delle plurime richieste di parere (secondo la teste, anche il d.g. So. si era attivato in tal senso) e dopo essersi consultata con l'avv. Te. (alla presenza dello stesso PE.), aveva rifiutato di attestare la regolarità di quanto stava venendo alla luce, sostenendo trattarsi di prassi in contrasto con l'art. 2358 c.c., per poi ribadire tale decisione anche nella "famosa" riunione con il d.g. So. e gli imputati PI. e PE.. Si tratta proprio dell'incontro in occasione del quale, come efficacemente rievocato dalla teste, il So., si era "arrabbiato tantissimo", l'aveva aggredita verbalmente e l'aveva finanche minacciata di licenziamento (affermando espressamente che "si sarebbe trovato un altro avvocato") ed il PI., dal canto suo, alla proposta della stessa Pa. di svolgere un approfondimento Audit, aveva replicato "Ma sei impazzita? Sei matta? Se facciamo un Audit andiamo tutti a casa"263. Ciononostante, era stata alla fine trovata una sorta di soluzione di compromesso che, elaborata, con l'ausilio dell'avv. Te., dalla Pa., dal PE. e dal GI. (anche se poi riversata in un documento sottoscritto solo da quest'ultimo), aveva soddisfatto le esigenze di Kp., sicché la società di revisione si era determinata a certificare il bilancio. Sennonché, deve osservarsi che, nella risposta fornita da B., la banca si era limitata a fornire l'assicurazione che l'istituto, nell'erogazione dei finanziamenti, aveva sempre rigorosamente verificato il merito creditizio dei soggetti affidati (profilo, questo, com'è evidente, del tutto marginale rispetto al nucleo essenziale del problema della correlazione), per il resto sostanzialmente limitandosi a comunicare che avrebbe avviato "ogni opportuno approfondimento volto a verificare nei tempi tecnici necessari se vi siano casi in cui all'apparente contestualità dell'operazione corrispondano comportamenti irregolari", approfondimento il cui esito sarebbe stato "sottoposto agli organi competenti" ed informando la stessa società che avrebbe avuto "accesso alla relativa documentazione". In tal senso ricostruita la successione degli eventi, emerge platealmente l'insostenibilità della interpretazione della condotta del PE.. Ad ammettere che il giudicabile fosse stato all'oscuro della reale dimensione del fenomeno, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che il predetto, di fronte alla eclatante reazione del PI. per effetto di una richiesta (quella di un approfondimento "audit") del tutto ragionevole, si sarebbe per primo dovuto allarmare, ben più della collega Pa., Questo, solo a considerare le gravissime prospettive che iniziavano a delinearsi non solo per l'istituto di credito ma per la stessa persona dell'imputato, tenuto conto del ruolo dal predetto rivestito di responsabile del bilancio e delle comunicazioni alla vigilanza. La condotta scomposta del So. e del PI., invero, rivelava chiaramente, ove mai ve ne fosse stato bisogno, agli occhi di un esperto dirigente quale PE., tutt'altro che incapace di cogliere la gravità dei fatti, che le posizioni irregolari incappate nella verifica della società di revisione ragionevolmente erano solo una minima frazione di un ben più vasto e radicato fenomeno, con la conseguenza della assoluta inattendibilità dei bilanci e delle comunicazioni predisposte dallo stesso PE., in questa prospettiva evidentemente vittima di un gravissimo, coordinato e risalente inganno ad opera degli altri più alti dirigenti e delle strutture della banca coinvolte in tale operatività. In un siffatto scenario, quindi, la reazione controllata dell'imputato nel corso dell'incontro non trova davvero alcuna plausibile giustificazione, al pari, del resto, del successivo tentativo del giudicabile di tranquillizzare la Pa. (la quale ipotizzava persino di dimettersi) durante il viaggio di ritorno, minimizzando la serietà di quanto andava emergendo. Ma v'è di più. Come s'è visto, quando ebbe a verificarsi la "vicenda Kp." (siamo nella prima metà di marzo 2015) aveva da poco avuto luogo la riunione indetta dal So. in vista dell'ispezione Bc., riunione in occasione della quale il "responsabile Audit" Bo., richiamando la propria relazione datata 4.9.2014, aveva manifestato serie preoccupazioni per l'entità del fenomeno del capitale finanziato quale sino ad allora accertato. E, come s'è detto, il PE. aveva preso parte a tale riunione (o, comunque, è assolutamente ragionevole ritenere che di quanto emerso in quella sede fosse stato prontamente informato). Sicché, anche sotto tale profilo, la condotta pacata e rassicurante tenuta dall'imputato al cospetto della Pa. risulta ancor più difficilmente leggibile come espressione di estraneità rispetto al resto dell'alta dirigenza della banca (e, in particolare, rispetto al So. ed al PI.). Assai più probabile - ad avviso di questa Corte - è che l'imputato abbia assunto detto contegno per contribuire, in tal guisa, a non recidere definitivamente i contatti con la Pa., mirando, d'intesa con il So. (o, comunque, interpretando in tal senso gli intendimenti di quest'ultimo), ad indirizzare l'operato della collega verso approdi il meno pregiudizievoli possibile per l'istituto di credito (ovviamente nell'ottica degli imputati). E, in effetti, alla fine, le cose erano andate proprio nel senso auspicato, posto che era stata trovata una "soluzione di compromesso", ove si consideri che la missiva inviata a Kp. (predisposta, oltre che dalla Pa., dall'avv. Te. e dal coimputato GI., anche dallo stesso PE., ancorché significativamente sottoscritta, come s'è detto, dal solo GI., la posizione del quale, evidentemente, già era considerata quella meno difendibile) si limitava a rappresentare l'impegno dell'istituto di credito a svolgere gli approfondimenti necessari per chiarire le posizioni segnalate. Ne consegue che la interpretazione della vicenda Kp. adottata dal primo giudice (sostanzialmente adesiva rispetto alla lettura fattane dalla difesa del PE. ed esplicitata al paragrafo 4.4, della memoria difensiva, pagg. 65-75), è nettamente contraddetta dalla razionale lettura delle esposte emergenze dibattimentali. Infine, in ordine all'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014, vale osservare come, se è vero che l'imputato, nell'occasione, ebbe a svolgere osservazioni critiche, ciò non contrasta affatto con il coinvolgimento del medesimo nell'attività delittuosa. Infatti, è di certo verosimile che il predetto, evidentemente consapevole del baratro nel quale l'istituto di credito stava precipitando, ritenesse opportuno "frenare" la deriva circa la sopravvalutazione del prezzo dell'azione e mirasse, quantomeno, ad un "congelamento" della situazione. E, a ben vedere, ponendosi in questa prospettiva, la circostanza in esame finisce per assume un significato opposto a quello assegnatole dal primo giudice. Del resto, anche il GI. - come s'è detto - si sarebbe fatto proponente, in occasione del Comitato di Direzione di appena pochi mesi dopo, di una soluzione drastica (e risultata, alla stregua delle stesse dichiarazioni di costui, impercorribile) per smontare le "baciate", anche a costo di un radicale ridimensionamento dell'istituto. Nondimeno, nessuna dissociazione del predetto PE. (al pari, del resto, del coimputato GI.), ha avuto successivamente luogo. Per contro, come evidenziato dal P.M. nell'atto di appello, è emerso che PE. ha più volte ammesso, secondo quanto precisato dal teste Ca., come l'elaborazione di piani industriali irrealistici costituisse il contributo offerto dallo stesso imputato - significativamente definito dal teste, proprio con riferimento alla elaborazione dei piani in questione, il "braccio armato" del d.g. So. - per sostenere surrettiziamente il prezzo dell'azione. Sicché, anche sul punto, ha obiettivamente errato il primo giudice nel riconoscere portata favorevole all'imputato a tale circostanza. Deve, allora, necessariamente concludersi nel senso che tutti gli elementi significativi disponibili (tanto di natura logica, quanto documentale, quanto, ancora, dichiarativa) convergono - ove interpretati nella loro univoca, razionale significazione e debitamente sottoposti a complessiva lettura - nel collocare il PE. all'interno di quella struttura di vertice del management aziendale che non solo era a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato e della sua eclatante portata, ma che aveva fattivamente cooperato, secondo le capacità e nell'ambito delle "competenze" proprie di ciascun alto dirigente, affinché tale prassi potesse trovare, al contempo, concreta attuazione nell'operatività interna di B. ed adeguata copertura "esterna" (segnatamente, nei confronti della vigilanza). Può certamente essere vero che il PE. non avesse costantemente la precisa cognizione delle esatte (e costantemente variabili) dimensioni del fenomeno, posto, per un verso, che il relativo monitoraggio veniva curato, come detto, dal Fa. e, per altro verso, che il Mo. (il quale - come s'è detto - partecipava alle riunioni periodiche della Divisione Mercati, ove - lo si è visto - la questione era spesso trattata) godeva di un significativo grado di autonomia e considerato, in ogni caso, che il contributo fornito (tramite il predetto Fa.) dalla Divisione Bilancio era quello di un vaglio, necessariamente periodico, finalizzato al tema specifico delle ricadute sul patrimonio di vigilanza (mentre, come ha ricordato il teste Ba., il monitoraggio sulle singole operazioni era effettuato dalla Divisione Mercati e dall'ufficio soci, secondo le rispettive competenze). Lo stesso imputato, del resto, in sede di rinnovazione istruttoria, ha precisato come non avesse interesse ad avere informazioni specifiche sulla movimentazione mensile del fondo azioni proprie, trattandosi di dato che assumeva concreto rilievo ("entrava nei radar") verso il mese di settembre, quando diveniva significativo ai fini delle valutazioni di competenza della Divisione267. In questa prospettiva, peraltro, trovano agevole spiegazione le interlocuzioni del giudicabile con il GI. (secondo quanto da quest'ultimo riferito, ma decisamente negato dall'imputato268), allorquando, all'esito di vari Comitati di Direzione, il primo aveva interpellato il secondo sull'ammontare delle correlate, ottenendo dal coimputato l'aggiornamento dell'entità delle operazioni riconducibili allo stesso interlocutore ("...Nei comitati di direzione e nelle riunioni di direzione si parlava di baciate. Ovviamente non sempre, in maniera progressiva dal 2012 fino al 2014, ma si parlava di baciate - Io ricordo esattamente che in alcune occasioni, in chiusura, quindi una volta chiusi questi comitati e queste riunioni, Pe. venne da me e mi disse: "Ma quant'è 'sta roba? Di quanto stiamo parlando?". E io gli dissi: "Per quanto ne so, quindi operazioni fatte da me, stiamo parlando di 200-300 milioni" Da me, quindi Gi. che incontrava i clienti. Quindi, ipotizzando che la Banca fosse molto più complicata e molto più estesa, questi 200-300 milioni si potevano moltiplicare per 2, 3, 4. Quindi le operazioni conosciute da me erano 200-300 milioni, e lo dissi chiaramente a Pe.. E questo, però, ovviamente è la parola mia contro la parola di Pe. ..."). E' bensì vero che l'imputato ha negato tali ripetute interlocuzioni, riferendo unicamente di una richiesta, da lui rivolta al GI., circa l'entità del capitale finanziato, richiesta che, peraltro, il giudicabile ha collocato nel marzo del 2015, dopo la vicenda Kp.269 (ovverosia in un'epoca nella quale l'evento in questione è destinato ad assumere, in chiave accusatoria, assai minore significato). Trattasi, tuttavia, di contestazione che si scontra con la precisione della chiamata di correo, peraltro complessivamente assistita dalle evidenze probatorie di cui s'è detto. Aggiungasi che vi era anche un comprensibile interesse dello stesso giudicabile a non "compromettersi" eccessivamente, per scongiurare eventuali future contestazioni, potendo egli fare affidamento, in relazione al monitoraggio delle ricadute del capitale finanziato sui requisiti del patrimonio di vigilanza, sulla collaborazione del Fa.. Trattasi, peraltro, di uria lettura del comportamento del PE. siccome improntata a cautela del tutto coerente con il quadro complessivo disvelato dall'istruttoria (caratterizzato, nel corso dell'operatività illecita, dall'adozione di prassi di occultamento del fenomeno in esame; quindi, successivamente al disvelamento di detta operatività, dal tentativo, da parte dei soggetti a diverso titolo in essa coinvolti, di "sfilarsi" da ogni coinvolgimento). Sennonché, come s'è visto, la conoscenza di tale fenomeno in capo all'imputato non era affatto vaga, bensì sufficientemente precisa circa l'entità comunque rilevante dei valori in gioco e, quando ve n'è stato bisogno, costui ha fornito significativi contributi tali da rivelare il suo dominio informativo della prassi delle "correlate". Le contrarie dichiarazioni rese dal PE., là dove il giudicabile, anche da ultimo, ha negato di avere avuto contezza del capitale finanziato prima del marzo 2015, individuando nell'esito della verifica espletata da Kp. il momento a partire dal quale aveva appreso di tale prassi (cfr. esame PE., ud. 8.7.2022, pag. 82), infatti, risultano chiaramente smentite dalle evidenze probatorie esposte e palesemente ispirate da intenti difensivi. Così come del tutto inverosimili si palesano le affermazioni secondo le quali il predetto non avrebbe avuto sentore delle gravissime difficoltà nelle quali versava il mercato secondario delle azioni B. sin dal 2011, avendo egli persino tentato di accreditare la tesi secondo la quale, finanche negli anni successivi al 2011, si sarebbe stati in presenza di una normale "ciclicità" della dinamica dell'andamento del fondo acquisto azioni proprie, essenzialmente spiegabile in termini di convenienza finanziaria (convenienza, a suo giudizio, rappresentata dal vantaggio di acquistare azioni B. a fine anno, prima del c.d. blocking period, per poi rivenderle nel volgere di pochi mesi, dopo avere riscosso i dividendi e fruito dei vantaggi conseguenti all'aumento di valore dell'azione siccome annualmente deliberato dal CdA). Sul punto, infatti, affermazioni del PE., sebbene, ove analizzate sul piano della astratta razionalità economica, siano fondate (e, probabilmente, siano anche aderenti alle dinamiche dell'andamento degli acquisti dei titoli B. nel periodo ante crisi), qualora, invece, doverosamente rapportate alla concretezza del caso sub iudice finiscono per rasentare la temerarietà. Questo, solo a considerare: - da un lato, che l'ultimo anno nel quale erano stati pagati i dividendi (peraltro in azioni) era stato proprio il 2011; che il valore dell'azione dall'anno 2010 non era più cresciuto; e, infine, che il bilancio della Banca si era chiuso con perdite, nel 2013, di 28 milioni e, nel 2014, di ben 758 milioni; - e, dall'altro lato, che il documento n. 166 in precedenza evocato, ancorché riferibile al primo semestre dell'anno 2011, attestava uno squilibrio tra richieste di vendita e di acquisto del titolo tanto eclatante da non poter non destare seria preoccupazione in un dirigente esperto quale l'imputato. Trattasi, peraltro, di spiegazione che davvero mal si concilia con quanto riferito dallo stesso PE. in differenti passaggi del proprio esame, tanto là dove costui ha sostenuto che le difficoltà di svuotamento del fondo, pure non gravi, richiedevano comunque un impegno importante della rete, tale da generare un'"area grigia" (anche se poi ha individuato le criticità come inerenti essenzialmente a probabili violazioni della disciplina MIFID) e, nel rievocare la predisposizione della lettera di risposta a Banca d'Italia del 4.11.2014, ha ricordato che si trattava di difficoltà note; quanto nella parte in cui, nel corso del giudizio di primo grado, ha ammesso come, in occasione di plurime riunioni di Comitato, fossero state ricorrenti le richieste di spiegazioni rivolte al GI. in ordine alle ragioni per le quali lo svuotamento del fondo azioni proprie procedesse a rilento. Del resto, era pacificamente prevedibile che le operazioni di aumento di capitale deliberate negli anni 2013 e 2014 provocassero (come peraltro precisato dallo stesso PE.) un contraccolpo negativo sull'andamento del mercato secondario del titolo B., avendo l'effetto indiretto di ridurre ulteriormente la platea dei potenziali acquirenti delle azioni della banca (trattandosi di investitori già ragionevolmente interessati dal collocamento dell'azione sul mercato primario), circostanza che, unitamente alla drastica riduzione (da 240 milioni a 60 milioni) dell'entità del fondo intervenuta nel 2014, contribuiva a creare le condizioni di una "tempesta perfetta". Anzi, non può non rilevarsi come l'inconsistenza di tali dichiarazioni, qualora letta congiuntamente alla sostanziale assenza di spiegazioni in ordine ad elementi probatori di indubbio rilievo (intende farsi riferimento, in particolare, al documento 2.3.3, allegato alla memoria del GI., contenente - corredato dalla significativa indicazione "non illustrabile" - anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci), finisca, a sua volta, per costituire un ulteriore, sia pure indiretto, significativo elemento di prova a carico. Di qui la conclusione circa la prova della conoscenza, in capo al giudicabile, dell'esistenza e dell'entità significativa del "capitale finanziato" (con conseguente irrilevanza delle considerazioni difensive in ordine "ai controsegnali" che avrebbero rassicurato l'imputato circa l'assenza di irregolarità di sorta negli acquisti dei titoli di B.). 15.2.2. Il concorso del Pe. nell'operatività delittuosa Le considerazioni testé svolte, quindi, orientano univocamente nel senso del coinvolgimento del PE. nella attività delittuosa. Sul punto, tuttavia, sono indispensabili le seguenti precisazioni. Il capo di imputazione addebita all'imputato di avere contribuito "attivamente" alla perpetrazione dei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto. Dal canto suo, la difesa del giudicabile non ha mancato di osservare, in senso contrario, come ì rimproveri astrattamente addebitabili al PE. si sarebbero potuti in teoria risolvere unicamente "in presunti contributi di tipo omissivo non tanto per non avere impedito che altri realizzassero condotte illecite" - non essendo ravvisabile, ad avviso della stessa difesa, a carico del dirigente preposto e, tantomeno, del responsabile della "Divisione Bilancio e Pianificazione", alcuna "posizione di garanzia277 - piuttosto "per non avere dato atto" nei documenti espressione della sua funzione (bilanci, dati contabili destinati alle Autorità di vigilanza, ecc.) dell'esistenza di capitale finanziato..". Trattasi, a ben vedere, di questione che, ove doverosamente esaminata attraverso il prisma della concreta, peculiare dinamica dell'attività delittuosa siccome disvelata dai complessivi esiti dell'istruttoria, appare priva di reale consistenza. Al riguardo, una premessa è d'obbligo. Il ruolo rivestito dall'imputato all'interno della compagine di B. - e, segnatamente, l'incarico affidatogli di dirigente preposto - implicava necessariamente l'attribuzione, in capo al predetto, di una posizione di garanzia, ancorché il tribunale abbia affermato il contrario. In effetti, appare davvero arduo sostenere che non gravassero sull'imputato, una volta provatane - come si ritiene di avere fatto - la piena conoscenza del sistematico ricorso al capitale finanziato per valori complessivamente eclatanti, precisi doveri di intervento. A meno che non si voglia relegare - contro lo spirito e, come si vedrà, la stessa lettera della legge - il ruolo del dirigente preposto in ambiti meramente formali, infatti, è giocoforza concludere come, in una situazione quale quella in atto, da anni, presso l'istituto di credito vicentino, sul dirigente preposto incombessero specifici obblighi di intervento (eventualmente previo approfondimento della questione in esame) e, in ultima analisi, di franca dissociazione da una prassi tanto marcatamente irregolare. A fronte, per un verso, della conoscenza di un così diffuso ricorso al capitale finanziato (tale da alterare il valore dell'azione e, comunque, da indurre in errore ì terzi circa la solidità della banca berica) e delle ragioni all'origine di tale prassi, vitali per la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito; e, per altro verso, della consapevolezza circa la doverosità dell'obbligo di decurtazione dal patrimonio di vigilanza degli importi dei finanziamenti destinati all'acquisto di azioni dell'istituto, ipotizzare che l'imputato potesse rimanere inerte, limitandosi ad elaborare i flussi informativi "ufficiali", della radicale inattendibilità dei quali era ben cosciente, senza incorrere in alcuna responsabilità, anche di natura penale, costituisce prospettazione del tutto irragionevole, prima ancora che giuridicamente infondata. In ogni caso, sotto tale secondo aspetto, va rimarcato che le funzioni ricoperte dal PE., tanto con riferimento alla direzione della "Divisione Bilancio" quanto al ruolo di "dirigente preposto", implicavano obblighi ben precisi. In particolare, l'art. 154 bis, co. 5, TUF, prevedeva l'idoneità dei documenti e delle procedure adottate dall'istituto a fornire una rappresentazione veritiera e corretta circa la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società. E' bensì vero che tale veridicità doveva intendersi limitata, a seguito della modifica normativa introdotta dal D.L.vo 303/06 che ha eliminato il riferimento alla "corrispondenza al vero", alla attestazione della corrispondenza dei dati comunicati con quelli risultanti dalla contabilizzazione interna; tuttavia, non pare francamente sostenibile che la conoscenza, aliunde acquisita, di una tanto marcata inattendibilità dei dati provenienti dai "flussi informativi" ufficiali potesse consentire l'apposizione di un "timbro" di conformità, senza imporre al dirigente preposto di attivarsi quantomeno per un approfondimento in proposito. In ogni caso, è dirimente osservare che sul dirigente preposto incombevano, ex art. 154 bis, co. 3, 5 lett. a), TUF, specifici doveri di controllo (anche in ordine alla adeguatezza delle procedure adottate dall'istituto di credito per la formazione dei documenti contabili e, quindi, anche alla idoneità di dette procedure ad "intercettare" adeguatamente fenomeni, aventi implicazioni contabili, altrimenti non rilevabili), ancorché all'imputato, nello specifico, fosse consentito assolverli avvalendosi della collaborazione di altre strutture della banca (segnatamente, l'Audit, in ragione di accordi organizzativi interni, come del resto precisato dallo stesso PE.279 ed evidenziato nella "consulenza Pa."). Ne consegue che, in presenza di una eclatante dimostrazione dell'inadeguatezza delle procedure interne ad intercettare un fenomeno tanto marcato, non può esservi alcun dubbio che sull'imputato gravasse un obbligo di intervento. Donde l'insostenibilità di un atteggiamento di "indifferenza" rispetto al contenuto delle comunicazioni rivolte all'esterno. Sotto tale profilo, pertanto, vi sarebbero i presupposti tutti per ravvisare gli estremi dell'elemento materiale del concorso omissivo, ex art. 40 cpv. c.p.. In siffatta prospettiva, invero, sarebbe l'inerzia a fronte della piena conoscenza dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato e delle sue gravissime implicazioni sul patrimonio di vigilanza della banca a legittimare l'addebito della responsabilità omissiva, senza alcuna necessità di dilatare la posizione di garanzia riconducibile al ruolo di dirigente preposto sino al punto di ricomprendervi (del tutto erroneamente, alla stregua della modifica normativa intervenuta con riferimento alla disposizione testé evocata del testo unico) la responsabilità per la veridicità sostanziale dei dati contabili. Sennonché, come si diceva, la questione assume, nella concretezza del caso in esame, ben scarso rilievo. Ed infatti: - per un verso, i complessivi esiti dell'istruttoria dibattimentale, come anche implementata nel corso del giudizio di appello (alla stregua, in particolare, delle dichiarazioni del coimputato GI.), hanno restituito i lineamenti di un effettivo concerto tra tutti i manager apicali dell'istituto di credito in ordine al sistematico ricorso al capitale finanziato quale strumento per assicurare la liquidità del titolo della banca, preservarne (l'apparente) valore e, al contempo, proseguire nella politica di espansione territoriale tenacemente perseguita dalla presidenza ZO., politica che, ove accantonata, avrebbe necessariamente significato, come efficacemente chiarito dal medesimo GI., la rinunzia, da parte dello stesso ZO., alla guida dell'istituto di credito - Si è trattato, a tutti gli effetti, di un accordo intervenuto nei fatti, senza, pertanto, che si fosse resa necessaria una specifica decisione assunta in occasione di una apposita riunione (e, tantomeno, la sua formalizzazione in un documento ufficiale). In definitiva, si è sostanzialmente verificata, a partire dagli anni 2011-2012, la progressiva implementazione di una più risalente operatività, adottata quando ancora non vi erano problemi di liquidità delle azioni ma si era soliti ricorrere a questo "sistema" per svuotare il fondo a fine anno c. in tal guisa, dare prova, da parte del più alto management di efficienza gestionale. Come s'è avuto modo di apprendere dagli esiti dell'istruttoria dibattimentale, infatti, le crescenti difficoltà nel ricollocare le azioni dell'istituto, oggetto di sempre maggiori richieste di vendita a partire dal 2011; la connessa esigenza di sostenere il valore del titolo; e, infine, la conseguente necessità di reperire capitale per rispettare i ratios patrimoniali, hanno spinto i vertici della banca a ricorrere sistematicamente al finanziamento dell'acquisto dei titoli, dando così vita ad una spirale perversa e, di fatto, insuscettibile di interruzione, originando una prassi divenuta addirittura essenziale per la stessa sopravvivenza della banca (specie allorquando, per effetto delle normativa europea, l'ammontare del fondo azioni proprie era stato drasticamente ridimensionato); - e, per altro verso, all'artificioso, massiccio sostegno della domanda di titoli divenuti illiquidi attraverso l'erogazione di appositi finanziamenti ed al successivo, sistematico occultamento di tale pratica ha contribuito anche la struttura diretta dall'imputato, tanto con l'esecuzione dell'indispensabile monitoraggio del "capitale finanziato" e con la conseguente, essenziale simulazione delle previsioni di ricaduta sul piano dei ratios patrimoniali, quanto con la successiva, consequenziale dissimulazione di tale fenomeno in occasione delle periodiche comunicazioni alla vigilanza. Tutto ciò ha avuto luogo con il consapevole, fattivo coinvolgimento anche del PE.. In un siffatto contesto, lo specifico apporto fornito dal predetto all'operatività delittuosa in esame è stato segnatamente rappresentato da condotte caratterizzate da profili non solo meramente "omissivi" (con riferimento, ad esempio, al mancato adeguamento delle procedure di contabilizzazione delle operazioni di capitale finanziato ed alla omissione della predisposizione di adeguati controlli sul punto nonché della successiva verifica della relativa efficacia, carenze, comunque, specificamente imputabili alla sua responsabilità di dirigente preposto), ma anche - e soprattutto - marcatamente attivi, avendo egli predisposto le false comunicazioni ripetutamente inviate alla vigilanza e fornito i dati contabili poi confluiti nelle comunicazioni al pubblico che radicano gli addebiti di aggiotaggio informativo e di falso in prospetto e, comunque - giova ripeterlo - avendo il predetto coordinato l'azione di una divisione chiamata (specie con l'agire del collaboratore Fa. ma, come si è visto, anche mediante il personale intervento dello stesso giudicabile) a cooperare al fenomeno in esame in sede di "monitoraggio" del capitale finanziario. Nella concretezza della vicenda sub iudice, quindi, le diverse condotte fattive ed omissive) nelle quali si è tradotto il contributo fornito dal giudicabile al fenomeno del capitale finanziato, già difficilmente "separabili" sul piano della mera astrattezza, finiscono per "saldarsi" in un contegno necessariamente unitario, smentendo, quindi, quell'alternativa secca tra azioni ed omissioni prospettata dalla difesa. Di qui la sussistenza dei presupposti tutti per ravvisare, nell'agire del predetto PE., gli estremi del concorso (attivo) nell'operatività delittuosa, senza, pertanto, alcuna reale necessità di valorizzare la posizione di garanzia pure sussistente, per quanto detto in proposito, in capo al giudicabile, posto che, con riferimento all'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito, sono sufficienti le seguenti considerazioni, davvero stringate. Si è già detto, infatti, che l'affermazione della penale responsabilità del compartecipe non richiede affatto il previo, comune concerto dell'attività delittuosa, essendo sufficiente che l'imputato sia stato consapevole di agire in comunione di intenti con i correi, conoscendone, quantomeno a grandi linee, i singoli ruoli (cfr. ex plurimis, le già citate Cass. Sez. V, n. 40274 del 5.10.2021, Catalano, Cass. Sez. II, n. 18745 del 15.1.2013, Ambrosiano, Cass. Sez. VI, n. 46309 del 9.10.2012, P.G. in proc. An., Sez. V, n. 25894 del 15.5.2009, Catanzaro e altri, Cass. Sez. VI, n. 37337 del 10.7.2003, D'A. Cass. Sez. VI, 25705 del 21.3.2003, Sa. e altri), essendo, peraltro, comunque bastevole, a tali fini, anche una unilaterale, successiva decisione di convergere sull'evento finale perseguito dai concorrenti (cfr. sul punto, Cass. Sez. III n. 44097 del 3.5.2018,1.). Ebbene, non v'è dubbio che l'atteggiamento psicologico a fondamento dell'agire del PE. soddisfi ampiamente tali condizioni. L'imputato, infatti, non solo ha scientemente trascurato ogni considerazione del sistematico ricorso al capitale finanziato, della cui entità eclatante, pure, era ben consapevole, ma, per il tramite dei propri collaboratori - ed anche, come s'è visto, con il proprio diretto intervento - ha fornito un decisivo contributo all'attuazione del fenomeno del capitale finanziato (sotto il profilo del relativo monitoraggio e, quindi, della indispensabile individuazione dell'ammontare dei finanziamenti necessari al raggiungimento degli obiettivi di capitale ai fini del rispetto dei parametri prudenziali). Tutto ciò egli ha fatto nella piena consapevolezza che la concessione di un tanto consistente credito per l'acquisto dei titoli B. non seguita dalla doverosa decurtazione dei relativi importi dal patrimonio di vigilanza avrebbe, per un verso, significativamente alterato il valore del titolo (occultandone il marcato deprezzamento); e, per altro verso, dissimulato all'esterno la reale situazione di grave crisi nella quale versava l'istituto di credito. Inoltre, nella sua veste di responsabile della Divisione Bilancio - e, segnatamente, nel curare le comunicazioni dirette alle autorità di Vigilanza - ha fornito un apporto decisivo nell'occultamento della prassi in esame, avendo specificamente di mira proprio la realizzazione dell'evento dì ostacolo (che costituisce, specificamente, l'oggetto del dolo del reato ex art. 2638, co. 2, c.c.), in tal guisa assicurando che tale prassi potesse essere continuativamente replicata. Ogni ulteriore digressione sul punto, pertanto, sarebbe davvero superflua. Da ultimo, una considerazione in diritto. E' noto come il ribaltamento in appello della decisione assolutoria in primo grado (c.d. "overturning sfavorevole") implichi la rinnovazione delle prove dichiarative decisive. Il principio, oggetto di consolidata interpretazione della giurisprudenza di legittimità (a partire dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 27620 del 28.4.2016, Da.) è stato successivamente tradotto in coerente disposizione di legge (art. 603, co.3 bis c.p.p.). Ebbene, nel caso di specie, è stata disposta, giusta ordinanza di questa Corte in data 18.5.2022, la riassunzione delle deposizioni che, nella prospettiva del primo giudice, avevano rivestito importanza ai fini della relativa pronunzia. Dette deposizioni, peraltro, non hanno assunto affatto decisivo rilievo ai fini della diversa decisione cui è pervenuta questa Corte. Piuttosto, la opposta "lettura" del ruolo concretamente rivestito dal PE. nei fatti per cui è processo è scaturita dalla congiunta valutazione di elementi di natura logica, prove documentali (rispetto alle quali non è certo previsto alcun obbligo di rinnovazione dell'attività di acquisizione - cfr. Cass. Sez. III, n. 36905 del 13.10.2020, Ve.), esiti di intercettazione di comunicazioni (talvolta, peraltro, obliterati dal giudice di prime cure: è il caso della conversazione GI./Pi. n. progr. 359 dell'1.9.2015, ma anche del messaggio SMS GI./PI. in atti sub doc. 811 della produzione P.M.), nonché di deposizioni il cui tenore era del tutto incontestato, ovvero che, con riferimento alla posizione processuale in esame, erano state pretermesse dal tribunale (intende farsi riferimento al passaggio della deposizione resa dal teste Bo. in ordine all'incontro tenutosi in vista dell'ormai prossima ispezione Bc.). Va precisato, infatti, con riferimento alle prove testimoniali, che si è in presenza, nel complesso, di elementi che, di perse inidonei a formare oggetto di opposte valutazioni in punto di responsabilità dell'imputato, hanno tuttavia assunto ben più pregnante significato proprio alla stregua dì tale complessiva valutazione. A ciò si sono aggiunte - come si è visto - le significative dichiarazioni rese, nel corso del giudizio di appello, dal coimputato GI., il cui contributo dichiarativo è stato oggetto di ampia "sperimentazione" nell'agone dibattimentale innanzi a questa Corte. Nessun pregiudizio alle ragioni difensive, pertanto, è dato, nella specie, ravvisare, con riferimento al ribaltamento della decisione di prime cure. 15.2.3 Il trattamento sanzionatorio Venendo, infine, al trattamento sanzionatorio, nel valutare tutti gli indici di riferimento rilevanti a tali fini, occorre necessariamente prendere le mosse dal ruolo essenziale ricoperto dal giudicabile nel verificarsi del fenomeno delle operazioni "baciate": se è vero che l'attuazione concreta di tale prassi ha più direttamente investito altre figure professionali (i vertici aziendali ed i responsabili delle Divisioni Mercati e Crediti), in ragione delle rispettive competenze, è altrettanto indubbio che i coimputati hanno potuto fare affidamento proprio sul decisivo apporto omissivo ed attivo fornito loro dal responsabile della Divisione Bilancio nei termini di cui s'è detto. I fatti, poi, sono di evidente gravità, per la prolungata durata delle condotte delittuose e, soprattutto, per gli esiti che hanno poi cagionato. Trattasi di elementi che dovrebbero orientare la dosimetria sanzionatoria nel senso del rigore. Nondimeno, neppure possono trascurarsi, in senso contrario, non solo il positivo profilo soggettivo del giudicabile, immune da precedenti di sorta, ma anche - e soprattutto - la circostanza che il PE. è stato, di fatto, trascinato (al pari dei correi GI., MA. e PI.) in una sconsiderata operatività illecita dalla volontà dei massimi responsabili aziendali e, con ogni probabilità, da un malinteso spirito di corpo, che lo ha indotto a piegare il proprio ruolo a quelli che gli parevano essere gli impellenti interessi "immediati" della Banca. Se, infatti, le specifiche qualità professionali del giudicabile lo rendevano tra i dirigenti più attrezzati per cogliere la assurdità di una prassi pressoché inevitabilmente destinata, per la sua crescente entità, ad esitare nel default dell'istituto, non emerge che a tale acuta consapevolezza si sia accompagnata una altrettanto marcata volontà di attuazione dell'operatività delittuosa in esame, sicché l'intensità del dolo non ne risulta altrettanto amplificata. Quanto al comportamento processuale tenuto dal giudicabile, poi, si è trattato di contegno improntato a correttezza e misura. Ricorrono, pertanto, le condizioni per riconoscere al PE. le attenuanti generiche, ancorché in regime di mera equivalenza, tenuto conto della obiettiva gravità dei fatti. Ciò posto, la valutazione dei criteri tutti ex art. 133 c.p. e, segnatamente, degli elementi testé richiamati, induce questa Corte a stimare adeguato ai fatti delittuosi ed al contributo prestato dall'imputato alla complessiva vicenda delittuosa in esame un trattamento sanzionatorio (tenuto ovviamente conto delle maturate prescrizioni) che, tanto con riferimento alla pena base (da quantificarsi nella misura di anni tre di reclusione in relazione all'addebito sub H1), quanto all'entità degli aumenti da irrogarsi a titolo di continuazione (mesi uno e giorni quindici per le ulteriori condotte di ostacolo; giorni quindici di reclusione per la residua condotta di aggiotaggio) non si discosta da quello da riservarsi ai coimputati PI. e MA. (fatte salve le diversità riferibili, quanto al MA., alle disposte parziali assoluzioni derivanti dalle peculiarità del caso), con conseguente pena finale da irrogarsi nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione. 16 L'appello nell'interesse dì B. in l.c.a. L'appello è parzialmente fondato, nei termini di cui alla motivazione che segue. 16.1 Anzitutto, destituito di fondamento è il primo motivo di appello, volto a contestare che i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza siano stati effettivamente commessi "nell'interesse" ed a "vantaggio" di B.. Al riguardo, si impongono, anzitutto, le seguenti considerazioni preliminari. Com'è noto, il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, nel l'introdurre una forma di responsabilità dell'ente bensì connessa a quella, penale, propria dell'autore di tale delitto, ma anche del tutto autonoma, ha previsto, ex art. 5 D. L.vo cit., che la connessione in parola operi su due piani distinti: - da un lato, occorre che la persona fisica che ha commesso il reato abbia agito nell'"interesse" o a "vantaggio" dell'ente; - dall'altro, è necessario che l'autore del fatto rivesta un ruolo apicale all'interno dell'ente medesimo (trattasi dell'ipotesi ex art, 5 lett. co. 1 lett. a), d.L.vo cit.) - ovvero che costui sia sottoposto all'altrui direzione (è il caso previsto ex art. 5, co. 1, lett. b), D. L.vo cit.). Ebbene, come è stato efficacemente precisato dalla giurisprudenza di legittimità "... la lettera a) tipizza il ad. principio di identificazione, per il quale l'ente si identifica nel soggetto in posizione apicale e così, dunque, é come se avesse direttamente commesso il reato. E tuttavia previsto un contemperamento: l'ente non risponde se prova la sussistenza di tutti e quattro i criteri appositamente previsti dal successivo art. 6, co. 1, ossia l'esistenza e la corretta attuazione di modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la commissione di reati della specie di quello verificatosi. Nel caso dei soggetti di cui alla ietterà b), invece, ci troviamo di fronte ad una vera e propria fattispecie colposa, prevista dall'art. 7 del decreto, a norma del quale l'ente risponde se non ha rispettato i propri obblighi di direzione o di vigilanza, I quali fanno capo al modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal decreto e considerato dai commi 2, 3 e 4 dell'art. 7..." (così, efficacemente, Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018, dep. 9.8.2018, Co.Me. s.a.c.). Quanto, poi, alla natura della responsabilità dell'ente, è consolidato il principio per cui trattasi di un tertium genus di responsabilità che, "...coniugando i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un sistema di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza (Sez. Un., n. 38343 del 24 aprile 2014, P.G., R.C., Es. e altri Rv. 261112). Parimenti, si è chiarita anche la natura autonoma della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ponga in essere il reato-presupposto. Ai sensi dell'art. 8 del decreto, rubricato per l'appunto "autonomia della responsabilità dell'ente", la responsabilità dell'ente deve essere, infatti, affermata anche nel caso in cui l'autore del suddetto reato non sia stato identificato, non sia imputabile ovvero il reato sia estinto per causa diversa dall'amnistia (Sez. 5, n. 20060 del 4 aprile 2013 P.M. in proc. Ci., Rv. 255414; Sez. 6, n. 28299 del 10 novembre 2015, Bo., Rv. 267048). Ciò significa che la responsabilità amministrativo penale da organizzazione prevista dal D.Lgs. n. 231/2001 investe direttamente l'ente, trovando nella commissione di un reato da parte della persona fisica il solo presupposto, ma non già l'intera sua concretizzazione. La colpa di organizzazione, quindi, fonda una colpevolezza autonoma dell'ente, distinta anche se connessa rispetto a quella della persona fisica....." (cfr. così, ancora, la già citata Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018 dep. 9.8-2018, Co.Me. s.c.a.). Inoltre, con riferimento alla nozione di "interesse" e di "vantaggio", costituisce ius receptum il principio secondo il quale i predetti criteri, lungi dall'essere sovrapponibili, sono alternativi tra loro ed esprimono, rispettivamente, l'esito di una differente valutazione (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a., Cass. Sez. II n. 3615 del 20.12.2005, D'A.). L'"Interesse", infatti, è espressione di una "valutazione teleologica del reato", da effettuarsi ex ante (ovverosia al momento di commissione del reato) secondo un "metro di giudizio marcatamente soggettivo", ma sempre ponendosi nella prospettiva del soggetto collettivo e non esclusivamente dell'autore del reato (come, del resto, si ricava dal fatto che la responsabilità dell'ente sussiste, ex art. 8 co. 1, lett. a D. L.vo cit., anche quando l'autore del reato non è identificabile o non è imputabile, nonché dal progressivo inserimento nel catalogo dei reati presupposti anche di ipotesi di responsabilità dell'ente per reati di natura colposa - cfr. sul punto, la già citata Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.; cfr. Cass. Sez. V, n. 40380 del 26.4,2012, Se.); il "vantaggio", invece, ha "una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito - (cfr. " Cass. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014, R.C., Es. e altri). L'"interesse", quindi, indica la finalizzazione del reato al perseguimento di una utilità (senza peraltro che sia necessario che l'utilità venga raggiunta); il "vantaggio", per contro, rappresenta il risultato obiettivamente positivo, non necessariamente di natura patrimoniale, scaturito dall'attività delittuosa. In altri e decisivi termini e concludendo sul punto, "... il richiamo all'interesse dell'ente valorizza una prospettiva soggettiva della condotta delittuosa posta in essere dalla persona fisica da apprezzare ex ante, mentre il riferimento al vantaggio evidenzia un dato oggettivo che richiede sempre una verifica ex post." (così si esprime Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018, dep. 9.8.2018, Co.Me. s.p.a., si veda, inoltre, Cass. Sez. V, n. 10256 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.) In tal senso sinteticamente individuate le coordinate interpretative che debbono orientare il vaglio della regiudicanda e passando, quindi, a fare concreta applicazione di tali criteri nella vicenda sub iudice, osserva, anzitutto, questa Corte, come i requisiti costituiti, rispettivamente, dall'"interesse" dell'ente alla commissione dei reati presupposto e dal "vantaggio" tratto dal medesimo ente da tali reati siano stati dal tribunale di Vicenza correttamente ravvisati, nel solco dell'imputazione: - quanto al delitto ex art. 2637 c.c., nel mantenimento del valore dell'azione e nell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto di credito; - e, quanto al reato ex art. 2638 c.c., nello svolgimento dell'attività bancaria in assenza di interventi della Banca d'Italia (e, nel periodo 2014/2015, di Bc.) i coerenti con la situazione reale dell'istituto, nonché nell'ottenimento dell'autorizzazione dell'autorità di vigilanza alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale di classe 1 e, infine, nel rafforzamento patrimoniale derivante dall'operazione di aumento di capitale del 2014. Ebbene, l'appellante, come s'è detto, si duole della ricostruzione operata dal primo giudice in ordine al presupposto per l'affermazione di responsabilità di B. costituto dall'essere stati perpetrati i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza nell'interesse dell'istituto di credito vicentino. Più nel dettaglio, nel gravame si sostiene che il fenomeno sottostante alle, condotte delittuose sarebbe stato, ab origine, radicalmente pregiudizievole per la banca, sicché difetterebbe il presupposto dell'interesse/vantaggio derivante, per l'ente, dalla commissione dei reati in questione. In effetti, in disparte il riferimento generale alla nozione di interesse/vantaggio pure contenuto nell'appello, tutte le considerazioni svolte, nell'impugnazione, da pag. 10 a pag. 43 del relativo atto (sostanzialmente, l'intero primo motivo), altro non sono che una (peraltro condivisibile) ricostruzione di un fenomeno-fenomeno - quello del capitale finanziato e delle concrete caratteristiche che, nel caso di specie, tale fenomeno ha progressivamente assunto - contrastante con una sana gestione dell'attività creditizia e foriero di serio pregiudizio economico per l'istituto di credito. In questa prospettiva, pertanto, anche il successivo occultamento di tale fenomeno sarebbe stato parimenti dannoso per la B. perché, grazie a tale occultamento, l'istituto avrebbe potuto effettuare operazioni fruendo di autorizzazioni che la Banca d'Italia, ove adeguatamente informata, non avrebbe rilasciato. L'interesse dell'ente, pertanto, andrebbe verificato alla stregua di tali dati oggettivi e, conseguentemente, non sarebbe ravvisabile (alfa stregua, peraltro, della valutazione - ritenuta dall'appellante del tutto condivisibile - operata in fattispecie analoga dall'autorità giudiziaria senese, in sede di archiviazione, nel procedimento relativo alla gestione dell'istituto di credito Mp., per i reati 2622, 2638 ex. e 185 D. L.vo 185/98, come da provvedimento allegato all'appello). In altri termini, osservando il fenomeno in esame da siffatta visuale, tutto ciò che si pone in contrasto con una sana gestione aziendale non potrebbe essere compiuto nell'interesse dell'ente. Ne deriva - ad avviso dell'appellante - che il tribunale berico, nel sostenere che l'occultamento della situazione reale avrebbe giovato a B., sarebbe sostanzialmente incorso in un paralogismo. Sennonché è agevole osservare, in senso contrario, come l'argomentazione difensiva, pur prima facie suggestiva, sconti un radicale errore di prospettiva, oltre a trascurare, in punto di fatto, la circostanza (tutt'altro che marginale e, anzi, a ben vedere, di per sé già dirimente) che le "baciate" non esaurivano certo le operazioni di capitale finanziato (posto che una buona parte dei titoli di B. sono stati in ogni caso collocati, tanto sul mercato primario che su quello secondario, senza la necessità del ricorso ai finanziamenti e che ciò è potuto avvenire solo grazie alla prosecuzione dell'attività di impresa consentita proprio dalla prassi del capitale finanziato). Per vero, a fondare la responsabilità dell'ente, non sono affatto, genericamente, le operazioni di capitale finanziato poste in essere "a monte" del fenomeno delittuoso sub iudice, bensì le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza (e, tra le prime, segnatamente, quelle di aggiotaggio informativo) che, realizzate "a valle" dei finanziamenti "correlati," radicano gli addebiti di riferimento. Nel caso in esame, infatti, i reati presupposto, lungi dall'essere stati finalizzati a porre in essere, in assenza delle condizioni di sostenibilità finanziaria, operazioni bancarie pregiudizievoli per i "fondamentali" dell'ente, sono stati ideati e perpetrati allo scopo di occultare tale scorretta operatività (che, in sé stessa, prescindeva totalmente dall'attività delittuosa in esame), consentendo all'istituto di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria (si veda, per un analogo caso di affermato interesse di un istituto di credito all'occultamento delle "lacune sul piano della tenuta finanziaria e patrimoniale" della società, la già citata Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.); In altri termini, come ben precisato dal primo giudice - senza, peraltro, che le relative considerazioni siano state oggetto di reale, argomentata censura nell'impugnazione (che, in effetti, sul punto, si limita alla sostanziale riproposizione delle argomentazioni già motivatamente disattese dal tribunale) - una volta che la dirigenza dell'istituto vicentino aveva spregiudicatamente iniziato ad incrementare il precedente, ben più sporadico ricorso al meccanismo di finanziamento per l'acquisto delle azioni proprie (finendo per ricorrervi non soltanto, come fatto in passato, per contingenti necessità, bensì come usuale modalità di gestione del mercato degli strumenti finanziari anche a costo di porre necessariamente in essere attività collegate - quali lo storno degli interessi, il rilascio di lettere di impegno e, addirittura, il riconoscimento di interessi in favore dei soggetti finanziati - complessivamente tali da depauperare le risorse dell'istituto medesimo), l'occultamento di tale prassi attraverso la perpetrazione delle condotte delittuose oggetto di addebito è stato indubbiamente funzionale a consentire la perdurante operatività dell'istituto di credito. In definitiva, i reati di aggiotaggio ed ostacolo alla vigilanza hanno assicurato all'istituto di credito: - per un verso (quanto al reato di aggiotaggio), l'apparente liquidità del titolo, il mantenimento del valore dell'azione e l'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto di credito, evitando che fossero destinate a riserve consistenti risorse; - e, per altro verso (quanto al reato di ostacolo alla vigilanza), la prosecuzione dello svolgimento dell'attività bancaria in assenza di interventi della Banca d'Italia coerenti con la (precaria) situazione reale dell'istituto (interventi, peraltro, che avrebbero anche potuto comportare il divieto della distribuzione di utili, oltre all'attivazione di procedure sanzionatone in relazione all'esubero delle azioni detenute), nonché l'ottenimento delle autorizzazioni delle autorità di vigilanza necessarie sia alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale di classe 1 sia agli aumenti di capitale 2014. Ebbene, ponendosi in siffatta prospettiva - l'unica aderente alla concreta dinamica dei fatti - l'interesse della società alla perpetrazione dei reati in esame emerge davvero in termini di evidenza. In effetti, una volta effettuate "operazioni baciate" e omesse le relative decurtazioni dal patrimonio di vigilanza (operazioni, isolatamente considerate, lo si ripete, non costituenti reato, se non quando, per la loro sistematicità, hanno determinato l'apparenza della liquidità del titolo ed hanno inciso sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca, integrando gli estremi dell'aggiotaggio manipolativo) è davvero arduo negare che le successive condotte delittuose di aggiotaggio informativo e di ostacolo alla vigilanza abbiano consentito alla società di proseguire nell'attività dì impresa. Peraltro, una volta avviata la "spirale" perversa del ricorso al capitale finanziato anche le successive condotte di aggiotaggio manipolativo sono state indubbiamente funzionali ad assicurare la prosecuzione dell'attività creditizia. E' stato proprio attraverso le condotte di false prospettazioni al mercato ed alla vigilanza, infatti, che B. ha scongiurato gli effetti pregiudizievoli che sarebbero derivati dal disvelamento della dissennata politica di impresa di continuo ricorso al capitale finanziato e, in tal guisa, ha potuto proseguire nell'attività bancaria, assicurandosi - sia pure solo temporaneamente - tanto l'afflusso di nuovo capitale quanto il mantenimento di quello esistente, come efficacemente sintetizzato dal primo giudice. E, questo, a tacere del fatto che le attività decettive erano funzionali a nascondere carenze patrimoniali non unicamente derivanti da "operazioni baciate". Né tali conclusioni contrastano: - sia con l'accezione oggettiva che, come s'è detto, deve riconoscersi alla nozione di "interesse" rilevante ex art, 5 D.L.vo 231/01 (nel senso che non deve confondersi l'interesse dell'ente con quello proprio dell'autore dei reati); - sia con il momento (ex ante rispetto all'attività delittuosa) nel quale la relativa valutazione deve essere effettuata, secondo i parametri di riferimento sopra richiamati. A ben vedere, infatti, ove si effettui il relativo vaglio doverosamente tenendo a mente la concretezza della vicenda in esame - ovverosia calibrando il giudizio alla luce della situazione esistente al momento della commissione dei fatti di reato e non già astraendo dal contesto specifico di riferimento (e, sul punto, non può che richiamarsi la puntuale ricostruzione dei fatti siccome operata dal primo giudice) - è giocoforza concludere che l'attività delittuosa è stata posta in essere proprio in quanto logicamente ritenuta l'unico rimedio per consentire alla banca vicentina di proseguire nell'attività d'impresa, scongiurando la crisi o, comunque, differendone sensibilmente la manifestazione. E, quindi, per assicurare, proprio in quella logica di perseguimento del "profitto a tutti i costi" siccome efficacemente evocata dallo stesso appellante (cfr atto di appello, pag. 6), la prosecuzione dell'attività d'impresa, anche mediante comportamenti devianti. Il tribunale, pertanto, non ha affatto confuso l'interesse dell'ente con quello, personale, degli autori del reato, ma ha correttamente esaminato (ex ante) detto tema di indagine attraverso il prisma della effettiva situazione critica nella quale versava la B. allorché ha avuto concretamente attuazione il programma criminoso. Ovverosia, ha effettuato una analisi che, prendendo debitamente le mosse dalla considerazione critica del concreto contesto di riferimento, ha correttamente valutato il presupposto di responsabilità costituito dall'interesse dell'ente non già in modo astratto, bensì alla luce della specifica situazione di riferimento, il tutto secondo un criterio di riferimento debitamente oggettivo, in quanto misurato nella specifica prospettiva della società (necessariamente indagata alla luce dell'obiettivo - condiviso e scientemente perseguito dai vertici aziendali responsabili delle condotte delittuose - di assicurare la perdurante operatività dell'istituto di credito, superando le oravi criticità in atto e senza affatto confondere tale interesse con oli ulteriori scopi, di natura meramente personale, propri degli autori del reato. In quest'ottica, quindi, il fatto che all'origine delle serie difficoltà operative che la dirigenza dell'istituto di credito ha inteso "aggirare" attraverso la commissione dei reati in esame vi fossero scelte gestionali dissennate e radicalmente contrarie all'interesse ad una corretta e sana attività creditizia costituisce circostanza tanto pacifica quanto estranea allo specifico e differente (ancorché collegato) tema in esame. Altrettanto dicasi per le pur articolate argomentazioni difensive in ordine alla natura pregiudizievole per l'istituto di credito della prassi di ricorrere al capitale finanziato siccome concretamente adottata dalla dirigenza della banca. Ed analoghe conclusioni, poi, si impongono in relazione a quanto pur dettagliatamente sostenuto nell'atto di appello (segnatamente, alle pagg. 10-24, 25-30) in ordine al pregiudizio derivante alla banca vicentina: - dall'apparente rafforzamento patrimoniale conseguente agli aumenti di capitale 2013-2014; - dai finanziamenti "corredati" dalla pratica degli storni; - dall'applicazione di tassi di interesse "in perdita"; - dall'impegno al riacquisto, con conseguente trasformazione dell'azione in una sorta di obbligazione; - e, infine, dalla eccentricità rispetto al preteso interesse di B. dell'operatività sui fondi lussemburghesi. In definitiva, tutte le considerazioni critiche che esauriscono il primo motivo di gravame si risolvono nella riproposizione di un approccio al profilo della responsabilità dell'ente che sconta l'errore metodologico di sovrapporre la natura delle operazioni di capitale finanziato (certamente pregiudizievoli per una sana gestione dell'attività creditizia) all'obiettivo - individuato e pervicacemente perseguito dalla più alta dirigenza dell'istituto di credito (una volta che dette operazioni avevano iniziato a rappresentare una modalità ordinaria di "gestione" delle problematiche inerenti al mantenimento del valore delle azioni ed alla relativa collocazione e circolazione) - di proseguire nella gestione dell'attività bancaria occultando al mercato ed agli organismi di vigilanza dette difficoltà. In altri e decisivi termini, l'impostazione difensiva risulta sostanzialmente fondata su un equivoco: - da un lato, infatti, palesemente confonde le operazioni di capitale finanziato con i successivi reati di occultamento; - dall'altro - e conseguentemente - valuta l'interesse della B. in senso astratto, normativo, sotto il profilo del "dover essere" (ovverosia delle corrette modalità di esercizio dell'attività di impresa bancaria), del tutto prescindendo da quella situazione concreta che, al contrario, deve costituire il fuoco dell'attività di accertamento della responsabilità dell'ente. Del resto - e trattasi, sul punto, di considerazione davvero conclusiva - la tesi sostenuta nell'appello finisce, come suole dirsi, per "provare troppo". Opinando in tal guisa, infatti, si dovrebbe necessariamente concludere nel senso della impossibilità di ravvisare - sempre e comunque - la responsabilità dell'ente in relazione ai delitti di aggiotaggio, manipolativo ed informativo, nonché di ostacolo alla vigilanza, allorché posti in essere per occultare una pregressa/contestuale gestione irregolare dell'attività bancaria. Ma, allora, non si comprenderebbe l'inserimento di tali reati nel catalogo dei "reati-presupposto", posto che, in effetti, non residuerebbero margini significativi per una responsabilità dell'ente per siffatti delitti. Sicché, anche ove sottoposte ad un vaglio di "razionalità", le considerazioni difensive (anche là dove richiamano le valutazioni dell'autorità giudiziaria senese nel provvedimento di archiviazione reso nel procedimento 2973/13 a carico dell'istituto di credito Mp. - cfr. atto di appello, pag. 36 e decreto di archiviazione ad esso allegato) non possono affatto ritenersi persuasive. Che, poi, l'attività delittuosa sia stata anche funzionale ad assicurare il mantenimento dì posizioni apicali ai vertici aziendali è affermazione certamente convincente; trattasi, tuttavia, di circostanza che, non escludendo affatto il concorrente interesse della società, non elide certo la sussistenza dell'illecito dell'ente (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 1, n. 43689 del 26/06/2015, dep. 29/10/2015, Fe., là dove è stato precisato che: "la responsabilità da reato dell'ente deve essere esclusa qualora i soggetti indicati dall'art. 5 comma primo lett. a) e b) D.Lgs. n. 231 abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi, in quanto ciò determina il venir meno dello schema di immedesimazione organica e l'illecito commesso, pur tornando a vantaggio dell'ente, non può più ritenersi come fatto suo proprio ma un vantaggio fortuito, non attribuibile alla volontà della persona giuridica"; cfr altresì, Cass. Sez. VI, n. 15443 del 19.1.2021 dep. 23.4.2021, Ec.Se.: "Ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, è sufficiente la prova dell'avvenuto conseguimento di un vantaggio ex art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2001 da parte dell'ente, anche quando non sia possibile determinare l'effettivo interesse da esso vantato "ex ante" rispetto alla consumazione dell'illecito, purché il reato non sia stato commesso nell'esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi") cfr. infine, Cass. Sez. 6, n. 54640 del 25.9.2018, dep. 6.12.2018, Pa.: "Sussiste la responsabilità da reato dell'ente anche qualora l'autore del reato presupposto abbia agito per un interesse prevalentemente proprio. (In motivazione, la Corte ha ritenuto sussistente un marginale interesse della società rispetto alla condotta corruttiva dell'imputato, da questi realizzata principalmente per tutelare la sua immagine all'interno della società, ma comunque suscettibile di consentire all'ente di evitare l'irrogazione di penali e sanzioni, pur se di minima consistenza". Donde l'infondatezza del primo motivo di appello. E' solo per completezza, quindi, che va precisato come, nel caso di specie, l'attività delittuosa abbia anche arrecato un concreto vantaggio a B.. Il tribunale, sul punto, ha speso solo poche parole, evidenziando come, nel caso di specie, per un verso, venissero in rilievo condotte in relazione alle quali, all'epoca dei fatti, la formulazione dell'art. 25 ter D.L.vo 231/01 allora vigente non contemplasse il criterio del vantaggio, ancorché la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Sez. V, n. 10625 del 28.11.2013) avesse precisato che si trattava di un mero problema di tecnica di redazione del testo di legge dal quale non era affatto lecito inferire l'esistenza di una deroga prevista, in ambito societario, agli ordinari criteri di imputazione ex art. 5; e, per altro verso, la questione non assumesse rilievo dirimente "poiché resta assorbente il ricorrere, in tutti i reati presupposto che vengono in considerazione, di un interesse dell'ente, sicché la concretizzazione di un vantaggio, ove conseguito, si pone come ulteriore conferma del ricorrere di un interesse ex ante (così a pag. 779 della sentenza impugnata). Ebbene, osserva questa Corte, al riguardo, come, doverosamente prescindendo dal fallimentare esito "definitivo", esiziale per la stessa sopravvivenza dell'ente, conseguente al sistematico ricorso al capitale finanziato e tenendo a mente, per contro, il fatto che l'attività delittuosa ha consentito all'istituto di credito, per anni, di proseguire nell'attività di impresa e, in tal guisa, di recuperare ingenti risorse attraverso il collocamento di azioni (tanto sul mercato primario quanto su quello secondario) anche prescindendo dalla concessione di finanziamenti (e, al riguardo, è sufficiente richiamare i dati sugli aumenti di capitale per comprendere l'entità davvero significativa delle azioni "interamente liberate" collocate sul mercato), debba giocoforza concludersi nel senso che l'istituto di credito vicentino ha tratto, a lungo, effettivo ed assai concreto giovamento dall'attività delittuosa di manipolazione delle azioni e del mercato e di conseguente occultamento alle autorità di vigilanza di siffatta operatività illecita. Ponendosi in questa prospettiva (ovverosia effettuando bensì una valutazione ex post rispetto alla commissione dei reati ma sottraendosi, al contempo, all'abbaglio che deriverebbe dall'analizzare il fenomeno in esame privilegiando, quale punto di osservazione, quello coincidente con la fase finale della parabola della vita di B.) deve necessariamente concludersi nel senso del ricorrere, nel caso di specie, anche del requisito del "vantaggio", vantaggio che, d'altronde, - come già acutamente osservato dal primo giudice, costituisce un ulteriore riscontro dell'interesse perseguito dall'ente attraverso l'operatività delittuosa in esame. 16.2 Destituito di fondamento è anche il secondo motivo di impugnazione. Al riguardo, va anzitutto premesso che il primo giudice ha ripetutamente osservato: - per un verso, come, nel modello adottato da B., nulla dì realmente specifico fosse previsto con riferimento alla prevenzione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, fin dalla fase di protrazione dei rischi; - per altro verso, come il modello non fosse attuato e presidiato da un organismo di vigilanza realmente idoneo allo scopo (sotto lo specifico profilo della dotazione di adeguati poteri e, soprattutto, degli indispensabili requisiti, dì indipendenza); - e, per altro verso ancora, come la commissione dei reati non sia stata conseguenza dell'elusione del modello in questione, "avendo gli imputati e, in particolare i vertici della banca....potuto operare senza sottostare ad alcun tipo di vaglio o riscontro....grazie all'assenza e comunque all'ineffettività dei già lacunosi controlli previsti e ad una situazione dei presidi interni a B. connotata da diffusi elementi di opacità, dalla assoluta inadeguatezza dei controlli e dalla compiacenza degli stessi soggetti che avrebbero dovuto fungere da controllori" (cfr. pag. 802 della sentenza impugnata). Per contro, nella prospettiva dell'appellante (che dedica ad argomentare le relative censure le pagine da 43 a 60 dell'atto di impugnazione) si sostiene che il modello organizzativo sarebbe stato effettivamente adeguato a prevenire i reati in esame, anche in ragione della sussistenza di un organismo di vigilanza caratterizzato da autonomia e dotato di effettivi poteri di controllo, tanto che la commissione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza sarebbe stata unicamente l'effetto dell'elusione fraudolenta di tale modello. E, per sostenere siffatte conclusioni, l'appellante, dopo alcune considerazioni preliminari in punto di criteri di valutazione della "colpa di organizzazione" - colpa che, si precisa nel gravame, dovrebbe necessariamente trovare un insuperabile limite nella "inesigibilità" della condotta alternativa lecita - ha descritto struttura e contenuti del modello organizzativo vigente in B. (sia nella versione "base" del 2012, sia in quella successivamente aggiornata). Nondimeno, ad avviso della Corte, gli elementi disponibili depongono in senso radicalmente contrario. Per vero, ove si consideri, - che il modello organizzativo altro non rappresenta che uno strumento di gestione del rischio da commissione di (determinati) reati, ovverosia un dispositivo finalizzato a scongiurare la perpetrazione di attività delittuose poste in essere, come s'è detto, nell'interesse o a vantaggio dell'ente medesimo e, quindi, ad evitare le conseguenze sfavorevoli costituite, per l'ente in questione, dalle relative dalle sanzioni; - e che, pertanto, un modello organizzativo adeguato - la sussistenza del quale vale, unitamente alle altre condizioni, ad escludere la "colpa di organizzazione" (e, quindi, la responsabilità dell'ente, ex art. 6, co. 1 lett. a), D.l.vo 231/01) - deve essere caratterizzato dall'adozione e dalla conseguente attuazione di contro-misure di "prevenzione" idonee ed efficaci, contromisure che, per essere ritenute tali, non solo devono rispondere ai parametri astrattamente delineati ex artt. 6, 7 D.L.vo citato, ma devono poi essere adeguate alla concreta situazione di riferimento, deve necessariamente concludersi come, caso sub iudice, detto modello risulti caratterizzato da prescrizioni per lo più generiche e, quindi, manifesti gravi lacune tanto sotto il versante dell'idoneità quanto sotto quello dell'efficacia. In proposito, con specifico riferimento al modello relativo all'anno 2012 il richiamo è, segnatamente, ai paragrafi: 2.5, relativo alla "Mappatura delle aree a rischio"; 2.6, relativo alla "Analisi del sistema di controllo interno e definizione dei protocolli"; nonché, in relazione alla parte 4, inerente ai "Protocolli" (ovverosia alle sezioni del modello organizzativo contenenti le previsioni più specifiche), ai paragrafi: 4.2.1, inerente alla "Gestione delle operazioni societarie" (pagg. 61-66); 4.2.2, inerente alla "Gestione dei rapporti con le autorità di vigilanza" (pagg. 66 e ss.); 4.2.6 - inerente alla "Gestione della Co.Ge. e predisposizione del bilancio" (pagg. 80 e ss,); 4.2.7, inerente alla "Gestione delle attività sui mercati finanziari" (pag. 84 e ss.); 4.2.12 inerente alla "Gestione dei finanziamenti agevolati verso la clientela" (pag. 108 e ss.). Ebbene, dopo il richiamo alla disciplina di settore e la individuazione delle aree dì rischio, il modello in esame contiene indicazioni di portata assolutamente generale per prevenire la commissione dei delitti in questione, in larga parte risolvendosi nella previsione della adozione di una organizzazione interna basata sui criteri di ripartizione di competenze e segregazione funzionale in ordine a specifiche attività, nonché di cura di adempimenti formali, ovvero nell'impartire divieti attinenti a profili marginali rispetto all'esigenza di prevenire i reati in esame. Più nel dettaglio, dall'analisi delle previsioni contenute in detto modello emerge, con specifico riferimento al rischio di commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, l'assenza di previsioni puntuali riferibili, oltre che alle modalità di predisposizione dei bilanci (segnatamente, in relazione al computo dei requisiti patrimoniali anche ai fini del patrimonio di vigilanza) e di erogazione del credito, a profili essenziali dell'operatività della banca, sempre in relazione al pericolo di commissione dei suddetti delitti. Trattasi, segnatamente: a) dei meccanismi di controllo delle operazioni di collocamento delle azioni dell'istituto, azioni il cui valore - va ribadito - era affidato alla autodeterminazione da parte della banca. Davvero pertinente, sul punto, è il richiamo effettuato dal primo giudice alla deposizione resa dal teste Ro., là dove costui ha riferito che, quando aveva tentato di introdurre un meccanismo di informatizzazione della procedura per la gestione degli acquisti/vendite delle azioni, era stato minacciato dì licenziamento; b) degli impieghi ai quali erano destinati i finanziamenti concessi dall'istituto medesimo rispetto alla collocazione delle azioni (a mero titolo di esempio: non era contemplata la diretta verifica delle operazioni di finanziamento; né erano disciplinate interlocuzioni con la clientela finanziata, neppure in relazione agli aumenti di capitale); c) del flusso di informazioni interne (sempre a titolo meramente esemplificativo: manca la previsione di report periodici provenienti dai settori più a rischio in relazione alle fattispecie in esame; né constano presidi organizzativi tali da assicurare che all'OdV potessero giungere segnalazioni con modalità tali da assicurare garanzie reali di riservatezza, l'unico "canale" di comunicazione previsto essendo costituito da un indirizzo e-mail ed essendo rimasta confinata nell'ambito della mera dichiarazione di intenti, in assenza di qualsivoglia forma di concretizzazione, la previsione di cui al paragrafo 2.7.3 (cfr. pag. 25 del modello in questione), secondo la quale la Banca "garantisce i segnalanti da qualsiasi forma di ritorsione discriminazione o penalizzazione e assicura in ogni caso la massima riservatezza circa la loro identità fatti salvi gli obblighi di legge e la tutela dei diritti della banca o delle persone accusate erroneamente o in mala fede ..". Peraltro, l'istruttoria dibattimentale ha consentito effettivamente di verificare come i dipendenti non avessero effettuato segnalazioni, con riferimento alla vendita delle azioni proprie da parte dell'istituto, proprio per il timore di ripercussioni); d) e, soprattutto, del flusso di informazioni esterne. In particolare, va segnalata l'assenza di puntuali prescrizioni in ordine alla verifica della fondatezza delle comunicazioni rivolte al mercato ed agli organi di vigilanza, del tutto insufficienti dovendosi evidentemente ritenere le generiche previsioni previste nel "Regolamento per la comunicazione delle notizie rilevanti "price sensitive" della Banca (...)" che attribuiva le comunicazioni alla funzione "Comunicazione Esterna", incaricata della "cura della gestione della comunicazione esterna commerciale e di prodotto sulla base delle direttive della funzione commerciale, in coerenza con le strategia definite dalla Direzione generale" (così, specificamente, nell'atto di appello, pag. 56). In effetti, il rischio di abusi nel ricorso al meccanismo del capitale finanziato - rischio particolarmente concreto, come s'è visto, trattandosi di banca popolare non quotata - avrebbe imposto una specifica attenzione a tali profili e, tra essi, in particolare, a quello inerente al controllo ed alla verifica delle informazioni veicolate dalla società verso l'esterno. Ove si consideri, infatti, che il delitto di aggiotaggio è stato efficacemente definito un "delitto di comunicazione" (cfr. Cass. Sez. V, 18.2.2013, dep. 30.1.2014, Impregilo S.p.a., pag. 7), è proprio su tale versante che il modello - e, quindi, il controllo - avrebbe dovuto mostrare la propria adeguatezza. Con specifico riferimento al delitto di aggiotaggio informativo, invero, la predisposizione di un effettivo presidio avrebbe reso indispensabile l'attribuzione all'OdV di poteri di verifica preventiva circa la fondatezza delle notizie destinate ad essere diffuse al mercato. Diversamente, nel modello adottato da B. nessuna efficace verifica risulta prevista sul fronte delle comunicazioni "esterne" (ivi compresi i comunicati stampa) ad opera di un organismo di vigilanza interno che fosse effettivamente munito (come si dirà meglio più oltre) di reali requisiti di autonomia. In particolare, in materia di rapporti con le autorità di vigilanza (e, più in generale, con l'esterno), a parte il generico riferimento ai doveri di collaborazione e di trasparenza nei confronti degli esponenti di dette autorità (si veda, per il modello relativo all'anno 2012, quanto ivi previsto a pag. 68), le uniche disposizioni puntuali che è dato rinvenire nel modello attengono al divieto di effettuare/ricevere regali ed omaggi (cfr. documento citato, pag. 68). Per contro, non solo non risulta contemplata possibilità alcuna di espressione di una sorta di "dissenting opinion" sul "prodotto finito" tale da "mettere in allarme i destinatari" (per ricorrere all'efficace lessico adottato dal giudice della nomofilachia nella sentenza da ultimo citata, peraltro successivamente contraddetta, nell'ambito del medesimo procedimento, da Cass. Sez. VI, n. 23401, 11,11,2021, Impregilo, limitatamente alla impossibilità che tale opinione dissenziente possa sconfinare nelle attribuzioni operative spettanti alla assemblea ed agli altri organi societari284), siano essi le autorità di vigilanza, ovvero il pubblico; ma - ed è quel che più rileva in questa sede - neppure consta che tali comunicazioni venissero previamente comunicate all'ODV per una preliminare valutazione o, comunque, per l'opportuna conoscenza. Né - è stato pure convenientemente evidenziato dal tribunale - erano previsti controlli a sorpresa nei confronti delle attività aziendali sensibili. E tali conclusioni non mutano se, dal modello adottato per l'anno 2012 (in vigore sino all'agosto 2014), si estende l'analisi alle versioni successive, essendosi comunque in presenza di documenti rispetto ai quali, come puntualmente osservato dal primo giudice, si ripropongono, sostanzialmente invariate, le medesime carenze. Peraltro, con specifico riferimento a tali carenze, va ribadito quanto anticipato in premessa in ordine al difetto, nell'atto di impugnazione, di considerazioni realmente critiche rispetto alle puntuali osservazioni del primo giudice, posto che le censure contenute nell'appello si risolvono nel richiamo al contenuto del programma; programma che, tuttavia, anche in proposito, risulta connotato da previsioni del tutto generiche. E tanto basterebbe. Ma v'è di più. Il modello in esame, infatti, introduceva un organismo di vigilanza286 privo di autonomia effettiva rispetto alla direzione societaria, donde un ulteriore, decisivo profilo di inadeguatezza di tale strumento organizzativo. Nello specifico, la direzione dell'ODV era affidata (cfr. modello 2012 citato, pag. 23), al "Responsabile pro tempore della Direzione Internal Audit" (nel caso di specie, il dipendente Bo.), affiancato da due soggetti esterni che non abbiano alcun rapporto di lavoro dipendente con il Gruppo Banca (...)" (nel caso di specie, due avvocati). Era previsto, inoltre, che il Presidente di tale organismo non rivestisse "cariche sociali nelle società del Gruppo medesimo" (cfr. ancora, documento citato, pag. 23). Sul punto, il tribunale ha specificamente osservato che tanto il presidente che i due ulteriori componenti dell'organismo erano soggetti privi della necessaria indipendenza: - il primo, in quanto dipendente gerarchicamente dai d.g. So. e funzionalmente dal Cda, ovverosia proprio dai "poteri" che avrebbe dovuto controllare; - i secondi, in quanto soggetti che avevano ricevuto retribuzioni da società riconducibili a B., con conseguente sussistenza di elementi oggettivamente tali da minarne l'autonomia di giudizio. Significativa di tale legame tra OdV e vertici aziendali, del resto, è la circostanza (convenientemente richiamata dal primo giudice alle pagg. 796-797 della sentenza) costituita dal fatto che la relazione sulle attività svolte dall'ODV era effettuata, in sede di CdA, proprio dal direttore generale. Ebbene, anche su tali convincenti argomentazioni l'atto di appello ha omesso ogni specifica, reale considerazione critica, essendosi limitato a ribadire, all'uopo richiamandosi alle previsioni contenute nel modello, tanto l'autonomia dell'organismo di vigilanza quanto la disponibilità, in capo a tale soggetto, di adeguati poteri. Per contro, trattasi di profilo di essenziale rilievo, solo a considerare l'assoluta centralità rivestita da un OdV dotato di effettivi, penetranti poteri e, soprattutto, assistito da un effettivo statuto di autonomia (necessariamente intesa come assenza di subordinazione del controllante al controllato e, comunque, di ragioni di condizionamento) perché possa affermarsi l'idoneità del modello organizzativo. Peraltro, l'inadeguatezza del modello in esame, anche a tale specifico riguardo, emerge in termini ancora più marcati solo a considerare che, come s'è detto, le pregresse segnalazioni di Banca d'Italia avevano stigmatizzato la scarsa autonomia delle articolazioni societarie rispetto ad un presidente a dir poco "ingombrante". Ulteriore conferma dell'inadeguatezza con riferimento all'effettiva indipendenza ed ai poteri dell'OdV, del resto, la si ricava, sul piano logico, per un verso, dalla durata della condotta illecita (come visto protrattasi per alcuni anni) e dal numero elevato dei soggetti coinvolti; e, per altro verso, dalla condotta tenuta dal Bo.: sebbene a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato sin dal 2012, costui aveva sostanzialmente ignorato tale circostanza, non facendola mai oggetto di verifica, ovvero di approfondimento, ovvero ancora anche di semplice discussione all'interno dell'OdV. E' stato lo stesso Bo., del resto, a descrivere l'attività svolta dell'OdV in termini sostanzialmente minimali, soggiungendo di non avere riferito in tal senso, neppure nel corso dell'ispezione del 2015, in quanto intimidito e condizionato dal d.g. So.. In effetti - come parimenti già osservato dal primo giudice - i verbali delle riunioni dell'OdV (l'ultimo dei quali, peraltro, si ferma al 21.5.2014 - cfr. documento 897 del p.m.) non sono che la plastica espressione di un organismo che interpretava il proprio ruolo in modo meramente formale, posto che non offrono la benché minima contezza di alcuna programmazione di attività di verifica, né evidenziano che fossero state rilevate criticità, neppure in relazione ai casi più eclatanti. Aggiungasi che nessuna concreta garanzia di riservatezza delle comunicazioni da inviare all'OdV era assicurata, al di là di generiche affermazioni in tal senso. D'altronde, come già detto, a tale organismo non risulta giunta alcuna segnalazione in ordine a questioni problematiche e rilevanti ai fini in esame e, questo, nonostante le numerose lamentele dei dipendenti per le continue pressioni sulla rete per la negoziazione di azioni, pressioni delle quali persino i sindacati si erano occupati (cfr. lettera inviata alla Direzione Generale - doc, p.m. 91) Quando, poi, dal 2013, la funzione di vigilanza era stata attribuita al Collegio Sindacale (con assunzione formale della carica in data 12.5,2014) la situazione, sotto tale profilo, non era affatto migliorata. In effetti, detto organismo - come puntualmente osservato dal tribunale (alle pertinenti considerazioni del quale, sul punto, non può che farsi rinvio) - difettava anch'esso di reale indipendenza, in quanto costituito secondo logiche di cooptazione e composto da sindaci alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) avevano importanti interessenze con il presidente. D'altronde, il sindaco Za. - il quale, di lì a poco, avrebbe assunto le funzioni di presidente dell'OdV - aveva bensì partecipato all'assemblea dei soci del 26.4.2014, assemblea in occasione della quale il socio Da. aveva denunziato il fenomeno delle operazioni correlate; nondimeno, una volta assunta la direzione dell'OdV, non aveva ritenuto di avviare, in proposito, alcuna attività di serio approfondimento (come emerso, peraltro, anche all'esito della rinnovata escussione del teste Za.), analogamente, del resto, alla condotta che avrebbe tenuto successivamente alla seduta del Cda del 4.11.2014 nel quale si era discusso dell'articolo de "Il." a firma Ga.. In definitiva, l'istruttoria dibattimentale ha restituito l'immagine di una "osmosi" di fatto pressoché completa tra l'OdV ed i vertici aziendali, tanto da rendere del tutto impalpabili i margini di autonomia ed effettività dell'attività di controllo svolta da tale organismo. Dì qui la conclusione circa l'inadeguatezza, anche sul punto, del modello adottato da B., sia sotto il profilo astratto, sia - ed a fortiori - ove doverosamente "calato" nella concretezza della struttura societaria in esame. Del resto - e conclusivamente - vale osservare che la riprova di detta inadeguatezza la si ricava anche dalla semplice constatazione che - ad onta delle contrarie considerazioni spese, in proposito, nell'atto di appello, anche in tal caso, tuttavia, senza l'indicazione di concreti elementi a sostegno293 - la commissione dei reati non ha affatto richiesto alcuna condotta elusiva e fraudolenta del modello in esame. Molto più semplicemente, detto modello non ha rappresentato ostacolo di sorta per la consumazione delle condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza (in particolare, per quanto concerne le comunicazioni al mercato ed alla vigilanza), tanto che gli autori delle condotte delittuose non si sono minimamente dovuti preoccupare di "aggirarlo" e, questo, proprio perché il modello in questione costituiva un presidio non solo del tutto formale ma anche radicalmente "fuori fuoco" rispetto alle condotte sub iudice. Conclusivamente, non corrisponde a realtà sostenere che il tribunale sia giunto alla conclusione dell'inadeguatezza del modello adottato da B. sul mero rilievo dell'avvenuta consumazione dei reati. L'affermazione di responsabilità non si è affatto basata su un tale "corto circuito" logico-giuridico, Piuttosto, è derivata dal doveroso apprezzamento della concreta inadeguatezza del modello in esame, all'esito di una valutazione correttamente effettuata sulla base di un giudizio rigorosamente normativo in ordine alla introduzione, presso l'istituto di credito vicentino, nel periodo in esame, di un sistema di controllo e di verifica che, con specifico riferimento ai delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, se non meramente apparente era, comunque, gravemente deficitario. Che, poi, il modello adottato dall'istituto di credito vicentino abbia seguito lo schema predisposto dall'ABI - profilo, questo, sul quale, pure, l'atto di appello si sofferma diffusamente294 - è circostanza, al contempo, incontestata ed irrilevante. A tale riguardo, infatti, è ancora una volta la giurisprudenza di legittimità a fornire le coordinate da seguire per rispondere alle censure difensive. E' stato infatti precisato, con argomenti del tutto persuasivi, come nessun rinvio per relationem a schemi predisposti dalle associazioni di categoria (e ancor meno, quindi, a presunte "best practices", nella specie, peraltro, neppure evocate) possa ritenersi operato dalla previsione ex art. 6, co. 3 D.L.vo cit., là dove pure è previsto che i modelli di organizzazione possano (e non debbano) essere adottati sulla scorta di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative del settore, spettando al giudice - il quale, beninteso, non potrà fare leva su personali convincimenti, ovvero su soggettive opinioni - la verifica dell'adeguatezza del modello, una volta doverosamente "calato nella realtà aziendale nella quale è destinato a trovare attuazione" (cfr. la già citata Cass. Sez. V, n. 4677 18.12.2013, dep. 30.1.2014, Impregilo, pag. 6). 16.3 Diversamente, il terzo motivo di appello, inerente al trattamento sanzionatorio, è fondato nei termini di cui alla seguente motivazione. In effetti, insussistenti le condizioni per riconoscere l'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b), D, L. vo 231/01 per le persuasive ragioni indicate dal primo giudice (trattasi dell'assenza di modifiche risolutive apportate al modello 231 nella versione del 2016295 e, soprattutto, della mancata dimostrazione della concreta operatività di tale modello, senza che possa incidere in senso contrario la circostanza, che, dopo pochi mesi, proprio per le conseguenze finali dei reati perpetrati, l'ente è stato sottoposto a l. c.a. con conseguente impossibilità di ulteriore sperimentazione, "sul campo", di tale versione), osserva questa Corte che una determinazione dell'ammontare della sanzione debitamente ispirata a criteri di equità e moderazione non possa prescindere dalla adeguata considerazione delle critiche condizioni economiche e patrimoniali dell'ente in questione (nel rispetto, del resto, del criterio normativo espressamente dettato dall'art. 11, co. 2, D.L.vo citato). Ebbene, nello specifico, come teste ribadito, si è in presenza di istituto di credito posto in liquidazione coatta amministrativa. Donde la sussistenza dei presupposti per la mitigazione della sanzione, mitigazione da conseguirsi, ad avviso di questa Corte, in ragione, per un verso, della riduzione delle quote conseguente alla attenuante ex art. 12 co. 2, lett. a), D. L.vo 231/01 che, già riconosciuta dal tribunale, dovrà tuttavia trovare applicazione nella sua massima estensione, essendosi l'ente seriamente prodigato per ridurre le conseguenze dannose cagionate dall'illecito; per altro verso, dì una diversa, più favorevole determinazione degli aumenti derivanti dalla pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo 231/01; e, per altro verso ancora, di una riduzione dell'importo della singola quota. In definitiva, ritiene questa Corte congrua una sanzione così determinata: la pena base di 600 quote, già congruamente fissata dal primo giudice per l'ipotesi di aggiotaggio, deve essere ridotta, ex art. 12, co. 2, lett. a), D. Lvo 231/01, a 300 quote, per poi essere complessivamente aumentata di 24 quote per gli ulteriori reati di aggiotaggio, con aumenti di otto quote per ciascuno di tali residui reati (sul punto dovendosi precisare che la prescrizione di talune condotte di aggiotaggio, intervenuta successivamente alla contestazione, è irrilevante ai fini della responsabilità dell'ente, come insegna la giurisprudenza di legittimità, già correttamente richiamata dal primo giudice), nonché di complessive 270 quote per i reati di ostacolo, con aumenti di 30 quote per ciascuna delle relative condotte, il tutto per un numero di quote finali pari a 594. Per le ragioni già esposte, poi, si ritiene congruo ridurre l'importo della singola quota nella misura di 350 Euro. Di qui la rideterminazione della complessiva sanzione nella misura finale di Euro 207.900,00. 16.4 Il quarto motivo di impugnazione, inerente alla confisca, non può essere accolto. Al riguardo, deve osservarsi che il tribunale di Vicenza, dopo avere persuasivamente circoscritto il perimetro della nozione di profitto (correttamente includendovi unicamente l'incremento patrimoniale derivante dal reato, ovverosia l'accrescimento della sfera patrimoniale dell'ente ritenuto di derivazione causale diretta dal reato presupposto) ha disposto la confisca, limitatamente all'illecito di cui al capo N2 (l'unico per il quale ha ritenuto obiettivamente possibile procedere all'indispensabile quantificazione), individuando il profitto nell'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate, a seguito dell'aucap, dai soci che avevano effettuato acquisti a seguito delle sollecitazioni ricevute, in tal senso, da parte dell'istituto di credito e che non avrebbero potuto sottoscrivere detto aumento di capitale ove fosse stato applicato il test di adeguatezza bloccante (detratti, ovviamente, gli importi finanziati dalla stessa banca). Ciò alla stregua delle deposizioni dei testi Gr. e Me. e degli esiti dei calcoli effettuati da costoro, oltre che di quanto evidenziato nella relazione ispettiva CONSOB. Sennonché, la difesa ha obiettato che quello individuato dal tribunale sarebbe, più propriamente, il profitto del reato di falso in prospetto, non ricompreso nel novero dei delitti presupposto, in quanto, con riferimento al delitto di ostacolo alla vigilanza, solo indirettamente sarebbe possibile individuare un nesso di derivazione causale tra le relative condotte delittuose ed il suddetto incremento patrimoniale. Trattasi di obiezione che, pur suggestiva, è destinata a rivelarsi, non appena sottoposta ad una analisi minimamente aderente al concreto dipanarsi della vicenda sub iudice, radicalmente infondata. Se, infatti, costituisce ius receptum il principio secondo il quale il profitto confiscabile ex art, 231/01 deve derivare causalmente, in modo diretto ed immediato, dal reato presupposto (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. 23013 del 22.4.2016, Gigli e altro, Sez. III, n. 33816 del 18.9.2020, 2., Cass. Sez. VI, n. 33226 del 14.7.2015, Azienda Agraria Gr. di Gu.Le.), non può fondatamente revocarsi in dubbio come, nel caso di specie, sia stato il reato di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB a consentire all'ente di lucrare i vantaggi derivanti dall'acquisto di azioni effettuato, in sede di sottoscrizione dell'aumento di capitale, da parte di soggetti che, ove fosse stato applicato il test di adeguatezza bloccante, non avrebbero potuto acquistare i titoli dell'istituto. In altri termini, è stata proprio la condotta di ostacolo che ha consentito a B. di condurre in porto l'aumento di capitale 2014, sottraendosi ai controlli di adeguatezza e, in tal guisa, acquisendo capitali che, altrimenti, non sarebbe stato possibile "rastrellare", peraltro per il significativo importo complessivo che è stato correttamente stimato nella misura di Euro 106.012.687,50, corrispondente alla quota di acquisiti di azioni non finanziati effettuati dagli investitori che non avrebbero superato il test di adeguatezza bloccante. Sul punto, il pertinente richiamo del primo giudice è al documento 252 del p.m. ed alla deposizione del teste Me.. In effetti, la scansione degli accadimenti - puntualmente riportata alle pagg. 524 e ss, della sentenza impugnata - è assai chiara: in data 8.5.2014 CONSOB autorizzava il prospetto e, tra il 12 maggio e l'8 agosto successivi, si procedeva all'adesione. Sennonché, durante lo svolgimento delle relative operazioni, avevano luogo interlocuzioni tra B. e CONSOB: in particolare, con nota 16 maggio, CONSOB chiedeva informazioni tanto in relazione all'aucap (con specifico riferimento alle modalità operative adottate per l'adesione ed ai relativi controlli di adeguatezza ed appropriatezza) che al miniaucap (ed alla relativa prestazione di consulenza in relazione agli ordini dei clienti), sollecitando l'invio di un prospetto mensile, per tutto il periodo di offerta al pubblico, che avrebbe dovuto contenere, tra l'altro, l'indicazione del numero delle operazioni risultate adeguate o appropriate o non appropriate rispetto al profilo del cliente, con l'indicazione del relativo controvalore, A tale richiesta, faceva poi seguito la comunicazione 23.5.2014 nella quale B. precisava, tra l'altro, come, onde non interferire con il diritto di opzione, fosse stata esclusa l'applicabilità della valutazione dì adeguatezza di cui all'art. 40 del regolamento intermediari, soggiungendo, nondimeno, che era stato fatto divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale in favore dei titolari del diritto di opzione ed in relazione all'adesione all'aumento di capitale. Tuttavia, contrariamente a tali assicurazioni, il collocamento delle azioni, come è stato dettagliatamente evidenziato dal primo giudice (cfr. pagg. 530 e ss. della sentenza impugnata), aveva poi avuto massicciamente luogo per effetto di una accurata attività dì pianificazione commerciale tradottasi in una forma di surrettizia e martellante consulenza che non solo non era stata accompagnata dai presidi organizzativi previsti dalla disciplina mifid ma, soprattutto, mai era stata comunicata nel corso delle interlocuzioni con l'autorità di vigilanza che, pure, avevano scandito tutte le operazioni di aumento di capitale. Emerge, allora, davvero in termini di evidenza, come il profitto complessivo sopraindicato non sia stato conseguenza immediata del reato di falso in prospetto (reato perpetrato, come da imputazione di riferimento, il 9.5,2014, ovverosia al momento della approvazione del prospetto relativo all'aumento di capitale), bensì del successivo delitto di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB (delitto, in effetti, posto in essere nel periodo, decorrente dal 23 maggio, protrattosi per tutta la durata dell'operazione di aumento di capitale e delle concomitanti interlocuzioni con la predetta autorità di vigilanza): ove CONSOB fosse stata notiziata delle reali, illegali modalità di attuazione dell'aumento di capitale, infatti, sarebbe necessariamente e prontamente intervenuta, impedendo che ciò avesse luogo. Donde la sussistenza dei presupposti tutti del provvedimento di confisca adottato dal primo giudice, ex art. 19 D. L.vo 231/01, per l'importo di Euro 74.212.687,50 (per effetto della corretta detrazione dalla predetta somma di 106.012.687,50 dell'entità degli importi complessivamente restituiti, pari ad Euro 31,8 milioni), provvedimento che, pertanto, va confermato. 16.5 Il rigetto della richiesta di assoluzione dell'ente comporta l'infondatezza del quinto motivo, inerente alla condanna alle spese processuali di primo grado. 17. Gli appelli delle parti civili 17.1 Gli appelli proposti dalle parti civili Pa.La. e PA.Gi. (rappresentate dall'avv. Da.), Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi. (rappresentate dall'avv. Fa.), Va.Gi. An., RO.El. e Va.De. (rappresentate dall'avv. Cu.) con riferimento alla pronunzia assolutoria nei confronti dell'imputato Pe.Ma. meritano accoglimento. Sul punto, si rimanda alle considerazioni già svolte sub 15.2 in punto di fondatezza dell'appello proposto dal P.M. Dall'accoglimento dell'appello discende la condanna del PE., in solido con i coimputati ZO., GI., PI. e MA., al risarcimento dei danni cagionati a dette parti civili, danni da liquidarsi in separato giudizio civile nei termini di cui alla sentenza impugnata, nonché al pagamento, in favore delle predette parti civili, della somma già loro liquidata in prime cure a titolo di provvisionale (5% del valore nominale delle obbligazioni/azioni acquistate, per un valore in ogni caso non superiore ad Euro 20.000 per ciascuna parte). 17.2 L'appello della parte civile Bi.Ce. è infondato. Al riguardo, va preliminarmente osservato che, come precisato nell'atto di impugnazione (cfr. pagg.1-3), Bi.Ce., dopo avere instaurato il giudizio innanzi al tribunale civile instando per la declaratoria di nullità del negozio costituito dal finanziamento erogatogli per l'acquisto delle azioni B., ha trasferito l'azione civile nel processo penale. Quindi, in sede penale, il tribunale di Vicenza ha correttamente concluso per l'improcedibilità delle azioni civili proposte, a fini risarcitori, nei confronti di B. in liquidazione, ex artt. 83 T.U.B., 201 l.f.. Tuttavia, ad avviso della parte civile appellante, il primo giudice avrebbe erroneamente incluso tra le azioni risarcitone dichiarate improcedibili anche quella, tutt'affatto diversa, proposta dal medesimo BI.. Ebbene, se è certamente vero che la domanda avanzata dal predetto BI. non aveva natura risarcitoria (in quanto finalizzata alla declaratoria di nullità del contratto di finanziamento per illiceità della causa), è altrettanto vero che, conseguentemente, si è trattato di una domanda radicalmente estranea all'ambito di esercizio dell'azione civile nel processo penale, come peraltro espressamente osservato dal primo giudice con j riferimento a tutte le domande "di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni" (cfr. pag. 822 della sentenza impugnata). Com'è noto, infatti, le uniche azioni che possono legittimare la costituzione di parte civile sono, ex art. 74 c.p.p., quelle aventi ad oggetto pretese restitutorie/risarcitorie fondate sulla commissione di un reato. Dal difetto (originario) dei presupposti per l'ammissione della costituzione della parte civile - difetto rilevabile senza preclusioni temporali, ove si consideri che il controllo sui presupposti di legittimità formale e sostanziale richiesti per l'esercizio dell'azione civile in sede penale è consentito pur dopo l'ordinanza di ammissione della costituzione, avente per sua natura efficacia provvisoria (cfr. Cass. Sez. VI, n. 32478 del 5.7.2016, Tr.) - discende, l'infondatezza della censura articolata nel gravame. La decisione del tribunale berico, quindi, va integralmente confermata con conseguente condanna di Bi.Ce. al pagamento delle spese processuali. 17.3 L'appello proposto dalle parti civili Cr.La. e Co.An. Cr.La. e Co.An. hanno censurato la sentenza gravata sul rilievo dell'avvenuto accoglimento della domande risarcitone limitatamente al pregiudizio subito per effetto del reato stigmatizzato, in imputazione, sub Al), il tutto a fronte di una costituzione di parte civile effettuata in relazione a tutte le imputazioni, ivi comprese, quindi, quelle rubricate ai capi I) ed L), avendo i predetti appellanti sottoscritto tanto l'aumento di capitale per l'anno 2013 (di cui al predetto capo I), quanto quello del successivo anno 2014 (di cui al predetto capo L). Sennonché, lungi dall'essersi in presenza di una sentenza che abbia - sia pure implicitamente - accolto la domanda risarcitoria con esclusivo riferimento alla lesione cagionata a dette parti dalla sola condotta delittuosa di aggiotaggio di cui al capo Al), osserva questa Corte che il provvedimento impugnato è affetto, sul punto, da una mera omissione materiale. Dalla congiunta valutazione dell'atto di costituzione dei predetti Cr. e Co. e del contenuto della pronunzia del tribunale di Vicenza (caratterizzata dalla esposizione, necessariamente cumulativa, delle ragioni della decisione in punto di statuizioni civili, con conseguente rinvio, per le singole posizioni, all'elenco allegato al dispositivo) emerge, infatti, in termini davvero inequivoci, come in detta sentenza sia stata unicamente omessa l'indicazione, nella tabella riportata a pag. 1068 relativa alle parti civili rappresentate dall'avv. Sp. e costituite in relazione ai capi A1, I ed L, dei nominativi dei predetti Cr. e Co., inseriti unicamente nella distinta tabella riguardante le parti civili costituitesi per il solo reato sub A1. Nessun rigetto parziale (ancorché implicito ed immotivato) della domanda avanzata da dette parti civili con riferimento ai citati capi I) ed L), quindi, è dato, nella specie, ravvisare; bensì, una mera materiale aporia, alla quale può e deve porsi rimedio, da parte del giudice dell'impugnazione, ricorrendo alla relativa procedura di correzione, ex art. 130 c.p.p. (e la censura mossa alla sentenza del tribunale di Vicenza dalle citate parti civili, pertanto, deve essere interpretata tal senso). Donde la correzione, come da separato provvedimento. 18 La liquidazione dei compensi spettanti ai difensori delle parti civili. Nel liquidare i compensi ai difensori delle parti civili la Corte ha ovviamente tenuto conto tanto delle caratteristiche tutte del giudizio, quanto dell'aumento da riconoscersi ai professionisti in ragione della pluralità di parti assistite. Segnatamente, con eccezione della liquidazione disposta per alcune parti che hanno adottato iniziative più significative nella fase introduttiva (le plurime parti difese dagli avvocati Cu., Da. e fa.) o nel corso del processo (Banca d'Italia, Consob), è stata riconosciuta una liquidazione "base" di Euro 1800,00 (di cui Euro 450,00 per esame e studio; Euro 675,00 per la fase istruttoria; Euro 675,00 per la fase decisionale), importo, questo, calcolato tenendo debitamente conto della circostanza costituita, pur a fronte della complessità del processo, dal fatto che l'impegno richiesto dal procedimento di appello è stato, per le parti civili, in concreto, contenuto, con riferimento alle fasi istruttoria e decisionale (la prima, invero, non ha visto significativi interventi di dette difese che, a volte, non hanno neppure partecipato alle udienze; la seconda, poi, si è per lo più essenzialmente esaurita nel deposito delle conclusioni). Di qui l'adozione dei valori medi unicamente in relazione alla fase di "studio" e la riduzione per le restanti voci. Rispetto a tale liquidazione "base", poi, l'aumento per la pluralità di parti è " stato concretamente modulato al fine di scongiurare le marcate distorsioni dell'effetto moltiplicativo previsto dalla legge che si sarebbero inevitabilmente prodotte pur a fronte di attività del tutto omogenee e dell'assenza di "specifiche e distinte questioni di diritto". Donde la decisione di contenere, nel solco della determinazione, sul punto, del primo giudice, l'entità dell'aumento, per ogni parte ulteriore, sino a dieci parti, nella misura del 10% di detta "quota base", nonché nella misura di un ulteriore 5% per ciascuna parte aggiuntiva, sino al limite di 30 parti, con conseguenti singole liquidazioni, come da dispositivo. Oltre tale numero di parti (30 parti assistite, che costituisce anche il limite massimo preso in esame dalla legge), l'assoluta serialità dell'attività svolta per la difesa in sede processuale di parti titolari di posizioni assolutamente omogenee, o addirittura coincidenti, ha indotto la Corte ad escludere l'adozione di ulteriori aumenti, che pure sono stati calcolati forfettariamente dal giudice di primo grado, ma la cui concreta applicazione rientra pur sempre nella discrezionalità riconosciuta al giudice di merito dalla giurisprudenza di legittimità. P.Q.M. Visto l'art. 605, 592 c.p.p. In parziale riforma della sentenza emessa in data 19/3/2021 dal Tribunale di Vicenza, appellata: - dalla Procura della Repubblica di Vicenza; - dagli imputati Gi.Em., Ma.Pa., Zo.Gi., Pi.An., Zi.Gi.; - dalla Banca (...) in L. C.A., dichiarata responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti ai sensi del D.Lvo 231/2001); - dalle parti civili Bi.Ce.; Cr.La. e Co.An.; Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi.; Pa.La. e Pa.Gi.; Va.Gi., Ro.El. e Va.De., statuisce nei seguenti termini: 1) quanto a Zo.Gi., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 3 e mesi 11 di reclusione; 2) quanto a Pi.An., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a luì ascritti al capo A1), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 3 e mesi 11 di reclusione; 3) quanto a Ma.Pa., assolve l'imputato dai reati di cui ai capi I) ed L), nonché dai reati ascrittigli ai capi H1) e M1), limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18/12/2014, per non aver commesso il fatto; ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce e ridetermina la pena inflitta all'imputato ad anni 3 mesi 4 e giorni 15 di reclusione; 4) quanto a Gi.Em., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c. e riconosciute le attenuanti generiche in regime di prevalenza, riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 2 mesi 7 e giorni 15 di reclusione; 5) quanto a Pe.Ma., in accoglimento dell'appello proposto dalla Procura della Repubblica e dalle parti civili rappresentate dagli avvocati Cu., Da. e FA., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo A1), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; dichiara l'imputato responsabile dei residui reati ascrittigli e ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riconosciute le attenuanti generiche in regime di equivalenza e unificati, infine, i predetti reati sotto il vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di anni 3 e mesi 11 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio. Rigetta l'appello della Procura della Repubblica nei confronti di Zi.Gi. nonché l'appello proposto avverso la sentenza di primo grado dal medesimo imputato che condanna al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio. Revoca le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici nei confronti degli imputati MA. e GI.. Revoca la confisca per equivalente disposta ai sensi dell'art. 2641 comma II c.c. nei confronti degli imputati per l'intero suo importo pari ad Euro 963.000.000. In parziale accoglimento dell'appello dall'ente Banca (...) in Lea riduce ad Euro 207.900 la sanzione pecuniaria nei confronti del predetto ente quale responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato allo stesso ascritti ai sensi del D,lvo n. 231/2001, ritenuta l'unitarietà delle ipotesi di aggiotaggio. Revoca la provvisionale disposta in favore dì Banca d'Italia e Consob. Rigetta l'appello proposto da Bi.Ce. e condanna l'appellante al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 130 c.p.p., dispone la correzione dell'errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza di primo grado nella parte in cui condanna gli imputati al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese di assistenza e difesa in favore della parte civile Bi.Ce.. Revoca nei confronti di Zo.Gi. e Gi.Em. la condanna al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese di assistenza e difesa di parte civile disposta in favore delle parti civili Ab. S.r.l., Bu.Sa. e To.Ma., rappresentate dall'avv. Mo.Gi.. Condanna gli imputati in solido tra loro al pagamento delle spese di assistenza e difesa delle parti civili liquidate come da documento allegato al dispositivo nonché come di seguito specificato: - in favore di Banca d'Italia, la somma di Euro 5670 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore di Consob, la somma di Euro 3150 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. Cu., la somma di Euro 3510, a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. Da., la somma di Euro 2970 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. FA., la somma di Euro 3780,00 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge. Dispone il pagamento in favore dello Stato delle spese di costituzione e patrocinio delle parti civili Ci., che liquida nella misura di Euro 1800 oltre al rimborso spese generali (15%), Iva e epa come per legge. Conferma nel resto. Letto l'art. 544 comma III c.p.p. indica il termine di gg. 90 per il deposito della motivazione. Così deciso in Venezia il 10 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

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