Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Campania

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 893 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-rappresentato e difeso dall'avvocato Ra. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ad. Li., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione terza, n. -OMISSIS- resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Viste le istanze di passaggio in decisione senza discussione depositate dalle parti; Relatore all'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Carmelina Addesso; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il signor-OMISSIS-impugna la sentenza in epigrafe indicata che ha respinto il ricorso volto all'annullamento dell'ordinanza di demolizione n. 322 del 6 aprile 2017 relativa a taluni interventi edilizi realizzati nell'immobile di proprietà sito in (omissis), via -OMISSIS-, . 2. A sostegno del gravame l'appellante deduce: I. Erroneità e contraddittorietà della motivazione della decisione impugnata - difetto di istruttoria. Eccesso di potere per violazione del giusto procedimento. Inattendibilità dell'attività di accertamento di eventuali abusi edilizi e della loro imputabilità . Indeterminatezza ed indeterminabilità . Il primo giudice ha erroneamente ritenuto che i c.d. "raster" di Google (termine con cui si indica un certo tipo di immagine della computer grafica) costituiscano idonea prova dell'epoca di realizzazione dell'abuso e che tale circostanza sarebbe sufficiente a legittimare l'omissione della garanzia procedimentale di cui all'art. 7 della l. n. 241/1990; II. Violazione dell'art. 31 e dell'art. 33 del d.p.r. 380/2001. Violazione del principio di tipicità dei poteri sanzionatori. Difetto di presupposti di fatto e di diritto. Violazione degli artt. 3, lett. d), 33 e 34 del d.P.R. 380/2001. Il TAR si è illegittimamente discostato dalla qualificazione dell'intervento operata dall'amministrazione che ha sussunto le opere nella categoria di "ristrutturazione edilizia" e non in quella di "nuova costruzione". Trattandosi di ristrutturazione edilizia e in ossequio al principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, l'amministrazione avrebbe dovuto sanzionare l'intervento ai sensi dell'art. 33 e non dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001; III. Violazione dell'art. 31 del d.P.R. 380/2001. Difetto di presupposto. Il TAR, nel respingere il quinto motivo di ricorso, non ha colto il senso della censura, relativa non tanto alla mancata indicazione, nel provvedimento impugnato, dei dati catastali dei beni oggetto di eventuale futura acquisizione, quanto all'applicabilità del procedimento sanzionatorio ad un abuso non scorporabile dalla parte legittima e, per di più, ricadente in zona vincolata. 3. Si è costituito il Comune di (omissis) che ha insistito per la reiezione del gravame. 4. All'udienza del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 5. L'appello è infondato. 6. Con il primo motivo di appello il ricorrente lamenta la contraddittorietà della sentenza impugnata che, pur riconoscendo che i rilievi estratti da "Go. ea." (i c.d. raster) non hanno carattere certificato e non possono, quindi, costituire prova certa dell'abuso ha, tuttavia, assegnato ad essi un valore indiziario pregnante, tale da legittimare anche l'omissione della garanzia procedimentale di cui all'art. 7 della l.n. 241/1990. 7. Il motivo è infondato. 7.1 Premesso che l'onere di fornire la prova dell'epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull'interessato (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 8 novembre 2023 n. 9612), la rilevanza a fini probatori delle risultanze di Google Earth è stata riconosciuta sia dalla giurisprudenza amministrativa che da quella penale, trattandosi di prove documentali che rappresentano fatti, persone o cose (Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 2023 n. 3024 che richiama Cass. pen. sez. II 17 ottobre 2022 n. 39087; nello stesso senso, Cass. pen. sez. III, 15 settembre 2017, n. 48178; sull'idoneità delle immagini di Google Earth a provare l'epoca dell'abuso cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez.VI, 7 febbraio 2024, n. 1278; id. 8 novembre 2023, n. 9612). 7.2 Come evidenziato dal giudice di primo grado, inoltre, la valenza quanto meno indiziaria dei rilievi fotografici in questione risulta corroborata, oltre che dalla certezza circa l'epoca di acquisizione delle immagini visualizzate (rispettivamente l'11 agosto 2014 e il 29 giugno 2016), anche dalle visure catastali, allegate alla relazione tecnica e richiamate nell'ordinanza impugnata. Queste ultime confermano, in particolare, che l'immobile ha subito nel corso degli anni, per effetto di continui interventi edilizi non autorizzati, una variazione in termini di superficie e di classamento, passando da cat. A/3, classe 2 e consistenza di tre vani nella visura del 14 marzo 2012, a cat. A/3, classe 2, consistenza di otto vani nella visura del 6 maggio 2015 e, infine, a cat. A/7, classe 1, consistenza di otto vani nella visura del 7 settembre 2016. 7.3 A fronte delle evidenze istruttorie sopra richiamate, l'appellante si limita a contestare genericamente l'attendibilità delle rilevazioni fotografiche e a lamentare la violazione dell'art. 7 della l. n. 241/1990, invocando la propria buona fede per aver acquistato l'immobile nello stato di fatto attuale e richiamando, a sostegno, la sentenza del TAR Campania n. -OMISSIS-. 7.4 Gli assunti difensivi non sono, tuttavia, capaci di smentire l'efficacia probatoria dei rilievi fotografici e dei documenti acquisiti in sede istruttoria poiché, da un lato, l'atto di compravendita del 25 maggio 2015 non fornisce alcuna prova dell'originaria consistenza plano-volumetrica e dell'epoca di realizzazione degli interventi che hanno determinato l'attuale conformazione dell'immobile e, dall'altro lato, la sentenza del TAR Campania n. -OMISSIS-è stata riformata da questo Consiglio di Stato con sentenza della sesta sezione n. 5038/2023, le cui statuizioni sono senz'altro applicabili alla fattispecie per cui è causa, data la similarità della vicenda concreta, messa in luce dallo stesso appellante. 7.5 La sentenza sopra citata ha, in particolare, osservato che: - l'ordine di demolizione è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all'indicazione dei presupposti di fatto e all'individuazione e qualificazione degli abusi edilizi; - la natura ripristinatoria (e non anche sanzionatoria) dell'ordine di demolizione e l'impossibilità di configurare in favore dell'attuale proprietario un affidamento tutelabile alla conservazione dello stato di fatto esistente non consentono di assegnare rilievo né alla condizione di buona fede in cui lo stesso eventualmente versi né al tempo trascorso dalla realizzazione dell'abuso; - costituisce jus receptum il principio secondo cui "l'attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art. 7 l. n. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso" (così Cons. Stato, sez. VI, 11 maggio 2022, n. 3707). Tale principio potrebbe conoscere un'attenuazione, se non un correttivo, nei casi di abuso (non per assenza del permesso ma) per totale difformità (dal medesimo) ovvero per variazione essenziale ove fosse controverso e controvertibile - in punto di fatto - l'entità della variazione, ma non nel caso di variazione evidente e vistosa poiché in tal caso opera il meccanismo di cui all'art. 21-octies, comma 2, primo alinea, della l. n. 241 del 1990. 7.6 Le sopra esposte considerazioni, che costituiscono il compendio dei principi costantemente sanciti dalla giurisprudenza, vanno ribadite in questa sede, tenuto conto dell'entità dell'abuso, consistente nella totale trasformazione dell'immobile, con incremento di volume, modifica di sagoma e prospetto, in area assoggettata a plurimi vincoli sul piano ambientale, paesaggistico, sismico e idrogeologico, come dettagliatamente specificato nell'ordinanza impugnata. 7.7 Il primo motivo di appello deve, quindi, essere respinto. 8. Con il secondo motivo di appello il ricorrente deduce l'erroneità della sentenza che ha qualificato l'intervento in questione come nuova costruzione, anziché come ristrutturazione edilizia. Il TAR, discostandosi inammissibilmente dalla qualificazione dell'intervento operata dall'amministrazione, avrebbe erroneamente disatteso la censura relativa alla violazione del principio di tipicità poiché l'amministrazione avrebbe dovuto obbligatoriamente sanzionare l'intervento ai sensi dell'art. 33 e non ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001. 9. La censura è infondata. 9.1 Nella nozione di nuova costruzione possono rientrare anche gli interventi di ristrutturazione qualora, in considerazione dell'entità delle modifiche apportate al volume e alla collocazione dell'immobile, si sia realizzata una modifica radicale dello stesso. Per giurisprudenza costante, infatti, la ristrutturazione edilizia sussiste solo quando viene modificato un immobile già esistente nel rispetto delle sue caratteristiche fondamentali, mentre laddove esso venga totalmente trasformato, con conseguente creazione non solo di un apprezzabile aumento volumetrico (in rapporto al volume complessivo dell'intero fabbricato), ma anche di un disegno sagomale con connotati diversi da quelli della struttura originaria, l'intervento rientra nella nozione di nuova costruzione (Cons. Stato, sez. VII, 15 gennaio 2024, n. 488; sez. VI, 17 novembre 2023, n. 9865; id., 20 ottobre 2023, n. 9123 e 13 gennaio 2021, n. 423). 9.2 In disparte la circostanza che l'ordinanza n. 322/2017 e la relazione tecnica del 27 marzo 2017 recano unicamente la descrizione delle opere eseguite e della disciplina urbanistica violata, senza alcuna qualificazione dell'intervento in termini di ristrutturazione edilizia (qualificazione da cui il TAR si sarebbe erroneamente discostato, a parere dell'appellante), non è revocabile in dubbio che le opere in questione abbiano determinato un radicale stravolgimento dell'immobile, configurando un intervento di nuova costruzione. 9.3 Giova, sul punto, ricordare che l'abuso contestato consiste: 1) nell'aumento di volume per circa 10,00 mq. e di altezza per m. 6,50, realizzato chiudendo la rientranza del fabbricato che prima si presentava a forma di "L" e, attualmente, risulta di forma rettangolare; 2) nel cambio prospettico, con trasformazione di finestre in vani ingressi, aperture di finestre e realizzazione di una rientranza adibita a terrazzo; 3) nella realizzazione di una platea in calcestruzzo (cls.) di circa mq. 320 e di altezza media di m.0,25, in adiacenza al fabbricato; 4) nella pavimentazione con sanpietrini del viale di accesso al fabbricato, di circa mq. 140; 5) nella realizzazione, sul varco di accesso alla proprietà, di un cancello in ferro a due battenti, avente una lunghezza di m. 4,40 e un'altezza media di m. 2,30 e di un cancello pedonale di lunghezza di m. 1,50 e di altezza di m. 2,30, entrambi sorretti da tre colonne in muratura; 6) nella realizzazione, sul viale comune alle proprietà che si immette su Via -OMISSIS-, di un ulteriore cancello in ferro a due battenti, avente una lunghezza di circa m. 4,00 e un'altezza media di m. 2,30, sorretto da due colonne in muratura. 9.4 In ogni caso, la qualifica dell'intervento in termini di ristrutturazione piuttosto che di nuova costruzione è irrilevante ai fini della legittimità dell'ordinanza impugnata poiché la possibilità, contemplata dall'art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, di applicazione della sanzione pecuniaria in sostituzione di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva all'ingiunzione a demolire, sicché in questa fase tale profilo si palesa neutro rispetto all'intimazione ripristinatoria (ex multis v. Cons. Stato, sez. VII, 8 marzo 2023, n. 2417; sez. VI, 25 ottobre 2023, n. 9227). 9.5 La censura deve, quindi, essere respinta. 10. Con il terzo motivo di appello l'appellante deduce che il TAR, nel respingere il quinto motivo di ricorso, non avrebbe colto il proprium della censura. Essa, infatti, non attiene al rilievo formale della mancata indicazione dei dati catastali dei beni oggetto di eventuale futura acquisizione, bensì concerne l'applicabilità del procedimento sanzionatorio e della conseguente confisca ad un abuso che non è fisicamente scorporabile dalle legittime consistenze preesistenti e che, per di più, ricade in zona vincolata, circostanza che comunque ne escluderebbe la futura utilizzazione. 11. Anche tale censura deve essere disattesa. 11.1 Come sopra osservato, l'ingiunzione a demolire costituisce un atto vincolato imposto dall'accertamento della natura abusiva dell'opera realizzata, mentre l'ulteriore valutazione dell'impossibilità di riduzione in pristino e della conseguente sostituzione della sanzione demolitoria con quella pecuniaria costituiscono una mera eventualità della fase esecutiva che non rileva ai fini della legittimità dell'ordinanza. Non occorre, quindi, che il provvedimento ripristinatorio motivi in ordine all'oggettiva possibilità di procedere alla demolizione senza pregiudizio per la parte conforme dell'immobile e all'eventuale fiscalizzazione dell'abuso. L'applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva di cui all'art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, rappresenta, infatti, un'ipotesi subordinata a cui è possibile ricorrere quando emergano difficoltà tecniche in sede di esecuzione della demolizione (Cons. Stato, sez. VI, 5 maggio 2023, n. 4563). 11.2 Non sussiste, inoltre, alcuna incompatibilità tra l'acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale e quanto sancito dall'art. 167 del d.lgs. n. 42/2004 che prevede, invece, la riduzione in pristino degli immobili abusivi realizzati in area vincolata poiché, come osservato dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4170/2018, richiamata dagli stessi appellanti a sostegno dell'asserito contrasto, l'acquisizione gratuita per il caso di inottemperanza dell'ordine di demolizione è prevista, ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, anche per le opere realizzate con variazioni essenziali, tra cui rientrano, ai sensi dell'art. 32 del citato d.P.R., tutte difformità realizzate su opere in zone vincolate, come avvenuto nel caso di specie. 11.3 Anche il terzo motivo di appello deve, in conclusione, essere respinto con conseguente reiezione integrale dell'appello. 12. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento a favore del Comune appellato delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre a spese generali e accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonella Manzione - Presidente FF Cecilia Altavista - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Stefano Filippini - Consigliere Valerio Valenti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3095 del 2022, proposto dal Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il sig. Gi. Li., rappresentato e difeso dall'avvocato Ra. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; sul ricorso numero di registro generale 9253 del 2023, proposto dal Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il sig. Gi. Li., rappresentato e difeso dall'avvocato Ra. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma quanto al ricorso n. 3095 del 2022: della sentenza del Tribunale amministrativo regionale Per La Campania (sezione Terza) n. 01544/2022, resa tra le parti: quanto al ricorso n. 9253 del 2023: della sentenza del Tribunale amministrativo regionale Per La Campania (sezione Terza) n. 05208/2023, resa tra le parti. Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visto gli atti di costituzione in giudizio del sig. Gi. Li.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2024 il consigliere Giuseppe Rotondo e viste le conclusioni delle parti come da verbale viste le conclusioni delle parti come da verbale. FATTO e DIRITTO 1. Il sig. Gi. Li., con nota assunta al protocollo SUAP del Comune di (omissis) (n. 43447 del 4 luglio 2018) chiedeva all'amministrazione il rilascio della autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio di un impianto per la distribuzione di carburanti liquidi e gassosi (benzine, GPL e metano), sul suolo in proprietà in (omissis) (Na) identificato in NCT del Comune di (omissis) al foglio (omissis), p.lle nn. (omissis). 2. Il Comune di (omissis) (S.u.a.p.), con provvedimento del 6 maggio 2021, preceduto dalla comunicazione dei motivi ostativi cui avevano fatto seguiti controdeduzioni e osservazioni da parte dell'istante, concludeva il procedimento con provvedimento di diniego al rilascio del provvedimento. 3. Il sig. Li. proponeva, avverso il diniego, ricorso al T.a.r. per la Campania, sede di Napoli (nrg n. 3079/2021), deducendo vizi formali e sostanziali. 4. Il T.a.r., con sentenza n. 1544 del 7 marzo 2022, accoglieva il ricorso per difetto di istruttoria e di motivazione (omessa valutazione delle osservazioni presentate dal ricorrente; mero richiamo alle ragioni ostative già comunicate; richiamo per relationem a pareri negativi presi in considerazione in precedenti provvedimenti di archiviazione-diniego dell'istanza (prot. 80560 del 26.10.2020 e prot. n. 13575 dell'11.02.2021), successivamente sospesi, in autotutela, dalla medesima amministrazione (per "palesi errori cronologici e sostanziali"). 5. Il Comune di (omissis) proponeva appello avverso la sentenza n. 1544/2022 affidando il gravame a due motivi, così sintetizzati: I) travisamento dei fatti e delle attività procedimentali - errata applicazione della normativa, errata rappresentazione e interpretazione del contenuto dei provvedimenti impugnati e conseguente errore nella motivazione della sentenza; II) errata interpretazione dei provvedimenti e degli atti procedimentali e conseguente errore nella motivazione della sentenza. 5.1. Il Giudice di primo grado avrebbe omesso di considerare che: il Comune, con prot. SUAP 51816 del 10 agosto 2018, trasmetteva al ricorrente la nota ad oggetto richiesta di chiarimenti prot.51151 dell'8 agosto 2018 della V direzione SUE, chiarimenti da rendere entro 30 giorni dal ricevimento della trasmissione, in mancanza si sarebbe disposta l'archiviazione; nei termini indicati nessuna integrazione veniva fornita dal ricorrente; solo in data 10 maggio 2019 allo sportello SUAP giungeva il riscontro con prot. 35653; il procedimento aperto con l'istanza del 4 luglio 2018, non aveva seguito per non avere il ricorrente dato riscontro alle richieste del Comune di cui alla pec del 10 agosto 2018; nel preavviso di diniego del 30 dicembre 2019, basato sulle osservazioni formulate dalla V direzione SUE, prot. 94983 del 19 dicembre 2019, venivano descritti i motivi ostativi; con la nota prot. 66818 del 1 settembre 2020 e la successiva integrativa del 10 settembre 2020 prot.69574, la Polizia municipale riscontrava negativamente l'istanza per la pericolosità della costruenda struttura siccome in contrasto con l'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 32 del 1998; il 14 settembre 2020, prot. 70579, la V direzione S.U.E. rendeva parere negativo sul presupposto che, quanto reso dall'ASI circa la strada di accesso all'impianto, non risolveva il problema della pericolosità e non agevole accessibilità dal momento che confermava trattarsi di strada non destinata alla viabilità ordinaria; che le osservazioni del ricorrente venivano puntualmente riscontrate dall'amministrazione comunale, in particolare con riferimento alla strada di accesso all'impianto di rifornimento carburante da realizzare; l'amministrazione aveva chiarito che non si sarebbe trattato di stabilire semplicemente la natura privata o pubblica della strada quanto, piuttosto, di valutare la sua idoneità alla funzione; nel provvedimento di diniego definitivo non solo si faceva riferimento, per relationem, ai motivi ostativi già comunicati, bensì si trasmetteva in allegato il riscontro della V direzione a firma del dirigente, dove si ribadiva il parere negativo e la valutazione fatta sulla strada di accesso che "non può intendersi come viabilità ordinaria"; erra la sentenza nella qualificazione degli atti poiché le precedenti due archiviazioni non erano state oggetto di revoca bensì, la prima sospesa e la seconda annullata perché contenente errori e refusi. 5.2. Si costituiva, per resistere, il sig. Gi. Li.. 5.3. In prossimità dell'udienza, le parti depositavano memorie conclusive. 6. In pendenza dell'appello nrg 3095/2022, il sig. Li. trasmetteva al Comune di (omissis) le seguenti richieste: a) pec del 13 marzo 2022, con la quale chiedeva all'amministrazione resistente di prendere atto della sentenza del TAR Napoli, Sez. III, n. 1544/2022 e di concludere il procedimento amministrativo con un provvedimento favorevole al richiedente; - pec del 4 aprile 2022, con la quale chiedeva "...il rilascio del formale titolo abilitativo, asseritamente formatosi per silenzio-assenso sulla pratica prot. n. 43447 del 4 luglio 2018, ovvero ad attestare il decorso dei termini del procedimento"; - pec del 15 giugno 2022, con la quale invocava l'intervento sostitutivo, a norma dell'art. 2, comma 9 bis, legge n. 241/1990. 6.1. Con provvedimento prot. n. 59269 del 17 giugno 2022, notificato in data 7 luglio 2022 presso indirizzo pec del geom. Bu. (originariamente delegato dal ricorrente per le comunicazioni inerenti la pratica amministrativa), l'amministrazione (SUE), a seguito del riesame indotto dalla sentenza Tar n. 1544/2022, comunicava i motivi ostativi al rilascio del titolo per le seguenti motivazioni: a) " "Contrasto con la l.r. n. 7/2020, art. 15 e con la l.r. n. 8/2013. La strada sulla quale prospetta il progettato distributore non è pubblica. Infatti, le aree oggetto di intervento (per la precisione, p.lle (omissis)) affacciano su uno stradone di servizio realizzata dal Consorzio ASI per consentire l'accesso ai fondi che, a seguito della realizzazione dell'asse di supporto (omissis)-(omissis) sarebbero rimasti interclusi. Ciò è chiaramente e inequivocabilmente attestato dallo stesso Consorzio ASI con propria nota prot. 2756 del 30.06.2020 in cui si afferma "che la strada adiacente agli svincoli dell'ex Asse di Supporta ASI nel territorio comunale dì (omissis) direzione (omissis), è stata realizzata da questo consorzio a seguito di espropriazione per pubblica utilità, al fine di consentire l'accesso su Via (omissis) ai lotti interclusi, compreso il suolo sopra identificato. Risulta di chiara evidenza che trattasi di strada a servizio di lotti interclusi e non di viabilità ordinaria. E' pur vero che le particelle catastali corrispondenti a tali aree rientrano nei decreti di esproprio emanati dal Prefetto della Provincia di Napoli in occasione della realizzazione dell'Asse di Supporto (omissis) -(omissis), ma tale circostanza non costituisce prova del fatto che siano sede di strada pubblica. Ad ulteriore supporto di quanto sopra riportato, giova sottolineare che, ancora oggi, dal mappale della zona le particelle catastali che il Sig. Li. ritiene costituiscano strada pubblica, o addirittura comunale, risultano in parte intestate ai vecchi proprietari e in parte al Consorzio ASI e alcune di esse (vedi la pila 723) sono classificate come "relitto stradale". Nelle osservazioni proposte dal Geom. An. Bu. a nome del Sig. Li. e protocollate in data 09.11.2020 si vuole dimostrare che la strada sia pubblica adducendo come prova il fatto che in quella zona avviene la raccolta dei rifiuti e che tale strada sia inclusa nella toponomastica. Tali circostanze non avvalorano la tesi del Geom. Bu. in quanto, per ciò che attiene la raccolta rifiuti, il Capitolato di Appalto (art. 19) prevede che "Salvo diversa disposizione, i servizi dovranno essere eseguiti entro tutto il territorio del Comune, comprese le zone sparse. Sono oggetto del servizio di asporto dei rifiuti urbani anche quelle aree o immobili ai quali si acceda mediante strada privata il cui sbocco, comunque, sia in area pubblica soggetta al servizio raccolta (secondo regolamento comunale)...", per ciò che riguarda, invece, la toponomastica, il fatto che la strada sia denominata non implica che la stessa sia comunale ma solo che essa è stata individuata ai fini dell'anagrafe della popolazione. Qualora fosse dimostrato che il tratto di strada a cui ci si riferisce è pubblico, la proprietà dello stesso non è di certo del Comune, bensì del Consorzio AS1 per cui ai sensi dell'art. 6 del Regolamento n. 1/2012 "In mancanza del provvedimento di classificazione di cui all'articolo 13, comma 5 del decreto legislativo n. 285 del 1992, la determinazione delle modalità esecutive degli accessi è effettuata dagli Enti proprietari delle strade, tenendo conto delle concrete caratteristiche della strada e del limite di velocità stabilito." Infine, si fa rilevare che lo stesso Geom. Bu., nella istanza presentata al Comune di (omissis) per la realizzazione dell'impianto, nella compilazione dei campi predisposti nell'apposito modello, indica come ubicazione dell'intervento: Strada (omissis)"" . b) "L'accesso all'impianto non rispetta la sicurezza stradale. Non è garantita la sicurezza stradale in quanto l'accesso al distributore avviene da una strada laterale (di servizio) alla rampa di accesso all'asse di supporto Nota - (omissis) (strada ad elevatissimo traffico veicolare) e l'uscita dal distributore può avvenire solo ed esclusivamente immettendosi contromano in un tratto di strada separato da uno spartitraffico". c) Contrasto con l'art. 25 del Regolamento 8/2012. L'art. 25 del già citato Regolamento n. 8/2012 elenca le condizioni di incompatibilità degli impianti esistenti tra le quali figura come incompatibilità assoluta l'esistenza di impianti in corrispondenza di biforcazioni di strade di uso pubblico (incroci ad 19 e ubicati sulla cuspide degli stessi con accessi su più strade pubbliche). Dalla planimetria di inquadramento dell'impianto, emerge in maniera chiara che lo stesso viene collocato proprio in corrispondenza di un incrocio a "Y" in cui la Via (omissis) si biforca in più tratti costituiti dalla rampa di accesso all'Asse di Supporto (omissis) --(omissis), il proseguimento di Via (omissis) verso Via (omissis) e l'accesso alla strada di servizio di cui si discute. Alla luce delle considerazioni svolte, si ritiene che l'istanza non può essere accolta e si comunica l'esito dell'istruttoria ai sensi dell'art. 10 bis della L. 241/90". 6.2. In data 8 luglio 2022, con nota prot. n. 65375, il Comune di (omissis), dato atto che non erano pervenute controdeduzioni ai motivi ostativi, adottava il provvedimento di diniego definitivo. 7. Avverso il silenzio inadempimento del Comune di (omissis), il sig. Li., in data 24 ottobre 2022, proponeva ricorso al Tar per la Campania (nrg 5078/2022) a mezzo del quale chiedeva: a) l'accertamento dell'illegittimità del silenzio inadempimento serbato dal Comune di (omissis) in ordine alle istanze di cui alle pec sopra indicate, nonché dell'obbligo dell'amministrazione intimata di provvedere in ordine alle menzionate istanze con provvedimento favorevole al richiedente. 7.1. Avverso il provvedimento di diniego 8 luglio 2022, prot. n. 653758, lo stesso ricorrente proponeva motivi aggiunti per ottenerne l'annullamento dichiarando di averlo conosciuto soltanto a seguito del suo deposito nel giudizio di primo grado nrg 5078/2022. 7.2. Si costituiva in giudizio il Comune di (omissis) che, oltre a chiedere il rigetto del ricorso, ne eccepiva l'improcedibilità (quanto al silenzio inadempimento) e la tardività (quanto ai motivi aggiunti). 8. Il T.a.r., con la sentenza n. 5208/2023, pubblicata il 25 settembre e notificata il 26 settembre 2023: a) dichiarava improcedibile il ricorso principale proposto avverso il silenzio inadempimento (a seguito del sopravvenuto provvedimento di diniego); b) accoglieva i motivi aggiunti (e per l'effetto annullava gli atti impugnati) in quanto: i) il procedimento di riesame, avviato ex novo dal Comune sulla scorta delle diffide pec, risultava comunicato, non già al destinatario presso l'effettivo domicilio (anagrafico o legale) bensì, al geom. Bu., delegato dal sig. Li. a ricevere le comunicazioni inerenti il (primo) procedimento che, tuttavia, doveva ritenersi ormai chiuso e archiviato; ii) il provvedimento negativo impugnato risultava fondato su una simulata attività procedimentale essendo stato il contraddittorio procedimentale sostanzialmente eluso (il preavviso di diniego non sarebbe stato validamente notificato al sig. Li. Gi.); iii) a seguito della novella di cui alla legge 11 settembre 2020, n. 120 (di conversione del d.l. 16 luglio 2020, n. 76) la violazione da parte dell'amministrazione dell'art. 10-bis della legge n. 241/90 determinerebbe definitivamente l'annullamento del provvedimento discrezionale; iv) i motivi assunti a fondamento del diniego, da un lato, riprodurrebbero le motivazioni di un primo diniego già annullato dallo stesso Tar, con evidente violazione/elusione della decisione del Giudice amministrativo, dall'altra sarebbero "affetti da una evidente - se non contraddittoria - istruttoria, anche in considerazione del precedente parere comunale in ordine alla viabilità "; v) sull'istanza si sarebbe formato il silenzio assenso ai sensi dell'art. 1, comma 3, del d.lgs n. 32 del 1998. 9. Il Comune di (omissis) (con ricorso nrg 9253/2023) proponeva appello avverso il capo di sentenza n. 5208/2023 recante la statuizione di annullamento dei provvedimenti di diniego impugnati mediante motivi aggiunti al ricorso di primo grado (prot. n. 65375 dell'8 luglio 2022 - prot. n. 59269 del 17 giugno 2022). L'appello veniva affidato a quattro motivi, (articolati in complessivi 8 profili di censure), così sintetizzati. I) Error in iudicando. Irragionevolezza della gravata sentenza nella parte in cui ha accolto le doglianze formulate dal Li. in ordine alla violazione dell'art. 10-bis della legge 241/90. Errata e/o falsa rappresentazione dei fatti di causa. Manifesta illogicità del percorso argomentativo e motivazionale posto a fondamento della decisione, anche in virtù del palese travisamento dei fatti di causa. II) Error in iudicando. Erroneità della sentenza gravata nella parte in cui ha accolto il secondo motivo di ricorso proposto dal Li.. III) Error in iudicando. Erroneità della sentenza nella parte in cui accoglie il terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti. IV) Erronea statuizione delle spese. 10. Si costituiva, per resistere, il sig. Li.. 11. In prossimità dell'udienza, le parti depositavano memori conclusive. 12. All'udienza del 7 marzo 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione. 13. Preliminarmente, il Collegio dispone la riunione degli appelli per connessione oggettiva e soggettiva. 14. L'appello 3095/2022 è infondato. 15. L'amministrazione ha indicato i motivi ostativi in plurimi atti ed ha acquisito, in tempi diversi, le osservazioni e le controdeduzioni del ricorrente. 16. Il procedimento si è svolto attraverso un iter piuttosto lungo e complesso, caratterizzato da ripetute interlocutorie con il ricorrente e con numerosi uffici ed enti. Esso è stato caratterizzato da molte richieste di integrazioni documentali, da successive sospensioni/archiviazioni della pratica, poi annullate per refusi ed errori. Dopo circa tre anni, l'amministrazione ha concluso il procedimento con il diniego che si è limitato, nella parte motiva, a un rinvio relazionale ai plurimi e variegati motivi ostativi senza che nel provvedimento finale fossero adeguatamente esplicitati, in modo chiaro ed esaustivo, quali fossero esattamente le ragioni fondanti il diniego all'esito delle numerose interlocutorie. 17. Questa modalità di procedere, sintomatica di un iter articolato e complesso, si è concluso tuttavia con un provvedimento che non ha consentito al ricorrente di comprendere con chiarezza le singole, effettive ragioni sottese al diniego, siccome indicate genericamente, senza alcuna allegazione in ordine logico-espositivo, mediante mero rinvio ai non chiari motivi ostativi, ai quali il ricorrente aveva fornito controdeduzioni che il Comune si è limitato a considerare, con semplice formula di stile, come "insufficienti". 18. L'appello nrg 3095/2022 va, pertanto, respinto. 19. Con l'appello nrg 9253/2023, il Comune di (omissis) contesta la sentenza nella parte in cui è stato accolto il ricorso per motivi aggiunti proposto avverso il sopraggiunto provvedimento di diniego definitivo del titolo. 20. Con un primo ordine di rilievi, il Comune censura la sentenza nella parte in cui il giudice di prime cure ha ritenuto che il preavviso di diniego e il diniego definitivo non fossero stati correttamente notificati al ricorrente, inferendone, per l'effetto, la tempestività del ricorso. 21. Preliminarmente, il Collegio deve esaminare l'eccezione di tardività sollevata dal Comune nel giudizio di primo grado. 21.1. L'eccezione è infondata. 22.2. Il Collegio ritiene che il ricorso per motivi aggiunti possa ritenersi tempestivo in ragione del fatto che, a fronte della formale comunicazione degli atti all'indirizzo pec del delegato (geom. Be.), assume rilevanza decisiva la circostanza che la prova circa la piena conoscenza legale degli atti medesimi - fornita soltanto con la produzione dei certificati di consegna degli atti al gestore-emittente, privi della data di relata di consegna al destinatario (vedi documenti nn. 2 e 3 allegati alla memoria del Comune di (omissis) depositata il 28/12/2022 nel giudizio di primo grado nrg 5078/2022) - può dirsi, al di là di ogni incertezza procedurale, inveratasi, nella peculiarità della fattispecie, soltanto a seguito del deposito nel giudizio di primo grado degli atti prot. n. 65375 dell'8 luglio 2022 e prot. n. 59269 del 17 giugno 2022, cui ha fatto seguito il tempestivo ricorso per motivi aggiunti. 23. Nel merito, l'appello nrg 9253/2023 è infondato. 23.1. I menzionati atti di diniego (prot. n. 65375 dell'8 luglio 2022 e prot. n. 59269 del 17 giugno 2022) sono stati notificati presso l'indirizzo pec del geom. Be., tecnico incaricato e delegato dal sig. Li. di seguire la pratica presso il Comune. 23.2. Il sig. Li. ha ritenuto che tale modalità di comunicazione non potesse considerarsi legittima in ragione del fatto che il procedimento originario, incardinatosi con l'istanza del 2018, dovesse intendersi ormai chiuso e archiviato a seguito del diniego del 6 maggio 2021. Il Tar ha ritenuto corretta questa ricostruzione. 23.3. A seguito della proposizione del ricorso (nrg n. 3079/2021) il domicilio eletto non sarebbe stato più quello pec del geom. Be. bensì quello anagrafico o al più quello legale eletto presso il proprio difensore. 23.4. Ragion per cui, il sig. Li. non avrebbe mai ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento di "riesame" del provvedimento né, tantomeno, la comunicazione dei motivi ostativi e del provvedimento definitivo di diniego (rispettivamente, prot. n. 65375 dell'8 luglio 2022 - prot. n. 59269 del 17 giugno 2022), quest'ultimi conosciuti soltanto al momento del loro deposito nel corso del giudizio di primo grado, da cui sarebbero anche decorsi i termini di impugnazione. 23.5. Le censure dell'appellante sono infondate. 23.6. Occorre tenere distinte le due procedure: la prima, avviata su istanza di parte con la presentazione della domanda unica, in cui era stato indicato il geometra Be. come "referente dell'interessato" per la pratica di "Richiesta attivazione procedura unica per attività produttiva", conclusosi con il provvedimento del 6 maggio 2021, recante la disposizione di chiusura/archiviazione della pratica, annullato dal Tar con la sentenza n. 1544/2022; la seconda, avviata a seguito dell'annullamento giurisdizionale del provvedimento di diniego del 6 maggio 2021 su impulso delle diffide notificate dalla parte appellata, volte a sollecitare il riesercizio del potere di amministrazione attiva. 24. Ebbene, mentre le comunicazioni del Comune, incluso il provvedimento di diniego del 6 maggio 2021, sono state correttamente effettuate all'indirizzo pec indicato dal sig. Li. come proprio referente per la presentazione della pratica; quelle successive all'annullamento giurisdizionale del diniego, afferenti ad un autonomo e rinnovato procedimento amministrativo, avrebbero dovuto essere inviate all'indirizzo personale del sig. Li. oppure presso il domicilio eletto, a far data dalla pubblicazione della sentenza del T.a.r., per le attività consequenziali e conformative alla decisione, meglio indicato anche negli atti di diffida e, pertanto, noti all'amministrazione, anche in ragione della procura che lo stesso sig. Li. aveva rilasciato al proprio legale per essere dallo stesso rappresentato in tutte le attività inerenti la gestione, amministrativa e processuale, del riesame. 24.1. L'incarico a suo tempo conferito al geom. Be. aveva, ormai, perso definitivamente di efficacia avendo raggiunto il proprio scopo a seguito della comunicazione di chiusura e archiviazione della pratica per la quale il geometra era stato indicato come referente dell'interessato. 24.2. A seguito di tale archiviazione, il "vecchio" procedimento non esisteva più . 24.3. L'annullamento giurisdizionale del provvedimento datato 6 maggio 2021 ha creato il presupposto sul quale si sono innestate le diffide con le quali il privato, nel conculcare l'amministrazione, ha dato impulso al nuovo procedimento nel corso del quale l'ufficio avrebbe dovuto farsi carico, nel contraddittorio con l'interessato, di acquisire e considerare tutti gli elementi di fatto, prima trascurati, necessari per una nuova valutazione degli interessi. 24.4. La partecipazione procedimentale (segnatamente, la comunicazione dei motivi ostativi al rilascio del titolo), nell'ambito del nuovo procedimento, andava, pertanto, garantita al sig. Li. con comunicazioni effettuate presso il domicilio da questi eletto successivamente all'atto di chiusura/archiviazione del precedente e ormai estinto procedimento. 25. Occorre, sul punto, precisare che l'attività amministrativa posta in essere dal Comune presenta connotati di discrezionalità, ancorché tecnica, per cui trova applicazione, alla fattispecie, l'art. 21-octies, secondo comma, secondo periodo, della L. n. 241/1990 come novellato dall'art. 12, comma 1, lettera i) del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, ai sensi del quale il mancato rispetto dell'obbligo di preventiva comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, imposto dall'art. 10-bis della L. 7 n. 241/1990, determina l'annullamento del provvedimento discrezionale senza che sia consentito all'amministrazione dimostrare in giudizio che il provvedimento non avrebbe potuto avere contenuto diverso da quello in concreto adottato (facoltà processuale predicabile, invece, a fronte di attività amministrativa prettamente vincolata). 26. Consegue a tanto che l'amministrazione dovrà reiterare il procedimento emendato dei vizi riscontrati, assicurando il corretto contraddittorio con l'istante. 26.1. Deve, al riguardo, anche escludersi che si sia formato il silenzio assenso, atteso l'incedere del nuovo procedimento, scandito dai seguenti passaggi: pec del 13 marzo 2022 (invito rivolto al Comune di prendere atto della sentenza n. 1544/2022); pec datata 4 aprile 2022 (di richiesta rilascio titolo); pec datata 15 giugno 2022 (di intervento sostitutivo); atto prot. n. 59269 del 17 giugno 2022 (che ha sospeso i termini procedimentali, ex art. 10-bis, legge n. 241 del 1990); provvedimento finale prot. 65375/2022 (oggetto dell'appello nrg 9253/2023) datato 8 luglio 2022. 27. Il Comune dovrà, pertanto, procedere, nel contraddittorio con la parte istante, a una ponderata valutazione di tutti gli elementi di fatto sottesi alle ragioni del diniego, confrontandole con le osservazioni e controdeduzioni dell'interessato, tra cui: a) le criticità inerenti le modalità di accesso all'impianto e di deflusso verso la carreggiata; b) le esigenze di sicurezza stradale, in relazione alle modalità di accesso al distributore (se da una strada laterale di servizio alla rampa di accesso all'asse di supporto (omissis)-(omissis)), alle modalità di uscita dal distributore (se immette "contromano" nella carreggiata); c) la presenza dell'impianto in corrispondenza di biforcazioni di strade di uso pubblico (incroci a Y) e ubicati sulla cuspide degli stessi con accessi su più strade pubbliche, anche alla luce dell'art. 25 del Regolamento n. 8/2012. 28. Per quanto sin qui esposto, anche l'appello nrg 9253/2023 è infondato e va, pertanto, respinto. 29. Sono fatte salve le future determinazioni dell'amministrazione, emendate dei vizi riscontrati all'esito del giudizio di appello nrg 9253/2023. 30. Le spese del presente grado di giudizio, relative ad entrambi gli appelli, possono essere compensate fra le parti, tenuto conto della peculiare natura della controversia. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, previa loro riunione: - respinge, nei sensi in motivazione, l'appello nrg 3095/2022; - respinge, nei sensi in motivazione, l'appello nrg 9253/2023. Compensa fra le parti le spese di entrambi i giudizi. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Giuseppe Rotondo - Consigliere, Estensore Michele Conforti - Consigliere Luigi Furno - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 864 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sezione VI, n. -OMISSIS-, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024, il Cons. Carmelina Addesso e udito per l'appellante l'avv. Gi. Re.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'odierno appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe indicata che ha respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza di demolizione n. 3/2017 avente ad oggetto un locale ad uso cucina delle dimensioni di m. 2,00 x 1,20 e altezza media di m. 2,40. 1.1 Il TAR adito respingeva il ricorso osservando che non poteva sostenersi, in carenza di prova sul punto, che l'opera contestata esistesse già dal 1979, come affermato dal ricorrente. Precisava, inoltre, che le due autorizzazioni edilizie (del 1994 e del 1998), richiamate dal ricorrente a sostegno della legittimità dell'opera, riguardano interventi di mera manutenzione straordinaria, non certo idonei ad assentire la realizzazione di nuovi volumi, e che dalle planimetrie allegate ai predetti titoli si desume solo che il piccolo vano sul terrazzino in questione ha subito nel tempo varie trasformazioni, ma non risulta che sia mai stato rilasciato un titolo edilizio atto a legittimarne l'esistenza. 2. L'appellante chiede la riforma della sentenza sulla base di un unico motivo di appello con cui deduce "Error in iudicando: erroneità della sentenza per illogicità della motivazione. Violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 27 e ss. del d.P.R. n. 380/2001- erronea valutazione e travisamento degli atti e dei fatti - difetto di motivazione e di istruttoria - violazione ed erronea applicazione dell'art. 64 c.p.a.". 3. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) che, con successiva memoria, ha riproposto, in via preliminare, l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, su cui il TAR non si è pronunciato, per la mancata impugnazione dell'ordinanza anche nella parte in cui ha sanzionato l'intervento ai sensi dell'art. 167 d.lgs. n. 42/2004, tenuto conto della natura plurimotivata della stessa. Nel merito, ha insistito per la reiezione del gravame. 4. Con memoria di replica del 7 maggio 2024 l'appellante ha eccepito, a sua volta, l'inammissibilità dell'eccezione formulata dal comune in quanto proposta oltre il termine di decadenza di cui all'art. 101, comma 2, c.p.a; ha eccepito, inoltre, l'infondatezza delle avverse difese con riguardo all'applicabilità della sanzione pecuniaria di cui all'art. 31, comma 4-bis, d.P.R. n. 380/2001; ha insistito, infine, per l'accoglimento dell'appello, eventualmente previa verificazione volta ad accertare l'epoca di realizzazione dell'abuso o, in subordine, l'applicabilità al manufatto per cui è causa del regime delle c.d. "tolleranze costruttive" di cui all'art. 34-bis del d.P.R. n. 380/2001. 5. All'udienza del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 6. L'appello è infondato, circostanza che consente di prescindere, in applicazione del principio della c.d. ragione più liquida, dall'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado riproposta in sede di appello dal Comune. 7. Con un unico e articolato motivo di appello il ricorrente deduce che la sentenza impugnata avrebbe dovuto assegnare la prevalenza alla prova certa costituita dalla piantina catastale del 1979, da cui già risultava il piccolo vano oggetto di contestazione, rispetto alle risultanze di Google street view, dalle quali il tecnico comunale ha tratto la presunzione di realizzazione dello stesso nell'anno 2011. 7.1 Ad avviso dell'appellante, la prova della realizzazione del volume contestato intorno agli anni ' 30 emergerebbe, oltre che dal dato catastale, anche dagli elaborati grafici allegati alle istanze di autorizzazione edilizia n. 66/1994 e n. 150/1998 che parimenti riportano il piccolo locale a uso WC poi trasformato in cucina. A fronte del principio di prova fornito, gravava sull'amministrazione l'onere di provare la realizzazione dell'abuso in epoca diversa e più recente. Sotto tale profilo, il giudice avrebbe omesso la benché minima motivazione sul punto. 7.2 La sentenza sarebbe viziata anche nella parte in cui ha respinto il motivo di ricorso relativo al mancato riscontro, nel provvedimento impugnato, delle osservazioni prodotte successivamente alla comunicazione di avvio del procedimento. Il TAR non avrebbe compreso la censura che non riguardava l'omessa comunicazione di avvio del procedimento, bensì la mancata considerazione delle osservazioni da parte dell'amministrazione che ha omesso una pur minima istruttoria in relazione al contenuto delle stesse. Di qui l'erroneità della sentenza anche nella parte in cui esclude l'obbligo di specifica motivazione dell'ordinanza impugnata che, invece, avrebbe dovuto recare un corredo motivazionale idoneo a confutare gli elementi di prova forniti dalla parte privata in ordine alla risalenza del manufatto. 7.3 Il TAR sarebbe, infine, incorso in errore anche per non aver preso in considerazione alcuna le deduzioni illustrate nella memoria di replica relative all'applicabilità al caso di specie dell'art. 34 bis del d.P.R. 380/2001 atteso che, essendo l'ampliamento contestato di soli mq. 2,4 a fronte di una superficie totale dell'appartamento di circa mq.100, esso rientra nel limite di tollerabilità previsto dalla citata disposizione. 8. Le censure sono infondate. 9. Per giurisprudenza costante, va posto in capo al proprietario (o al responsabile dell'abuso) assoggettato a ingiunzione di demolizione l'onere di provare il carattere risalente del manufatto, collocandone la realizzazione in epoca anteriore alla c.d. "legge ponte" n. 765 del 1967 che ha esteso l'obbligo di previa licenza edilizia alle costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro urbano. Tale indirizzo giurisprudenziale si è consolidato non solo per l'ipotesi in cui si chiede di fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche - in generale - per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione, appunto, di opera risalente ad epoca anteriore all'introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi (Cons. Stato, sez. VI, 8 novembre 2023 n. 9612; id., 6 febbraio 2019 n. 903 e 19 settembre 2023, n. 8428). 9.1 Quanto alle modalità concrete attraverso cui l'onere in questione può essere assolto, si è precisato che la prova deve essere rigorosa e fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 2 gennaio 2020 n. 12; id., 12 aprile 2023, n. 3676; sez. VII, 30 marzo 2023, n. 3304 e 18 aprile 2023, n. 3900). 10. L'appellante sostiene di aver assolto all'onere probatorio sopra indicato mediante la produzione in giudizio di una planimetria catastale risalente al 1979 e degli elaborati grafici allegati alle autorizzazioni edilizie del 1994 e del 1998: tali documenti proverebbero, sempre secondo l'appellante, la realizzazione del locale negli anni Trenta e comunque in epoca antecedente al 1967, superando le contrarie evidenze dell'istruttoria comunale da cui risulta, invece, che la realizzazione si colloca tra aprile 2008 e gennaio 2011. 10.1 In disparte il rilievo che gli atti menzionati possono, al più, provare la presenza del manufatto alla data della loro redazione (rispettivamente nel 1979, nel 1994 e nel 1998), ma non certo collocarne l'epoca di realizzazione a più di cinquant'anni prima, è dirimente osservare che il volume in essi riportato non solo non risulta assentito da alcun titolo edilizio (mancando, peraltro, anche della prescritta autorizzazione paesaggistica), ma nemmeno coincide con quello oggetto dell'ordinanza di demolizione. 10.2 Sia la planimetria che gli elaborati grafici riportano infatti, come precisato dall'appellante, un piccolo volume a uso WC collocato sul terrazzino con tettoia. 10.3 Tale stato di fatto trova riscontro nelle relazioni tecniche allegate alle pratiche edilizie del 1994 e del 1998, atteso che: i) la relazione tecnica allegata all'autorizzazione n. 66/1994 (avente ad oggetto "demolizione e ricostruzione di solaietto di copertura; diversa distribuzione interna con rifacimento di bagno e cucina, revisione infissi esterni, pitturazione facciate") precisa che l'appartamento è composto, oltre che da ingresso, due camere e una piccola cucina, anche da "un piccolissimo WC su di un balconcino, quest'ultimo balconcino coperto da una tettoia ed un terrazzo" (cfr. doc. 3 allegato alla memoria di costituzione di primo grado del comune); ii) la relazione tecnica allegata all'autorizzazione n. 150/1998, afferente all'apertura di un vano finestra, evidenzia, a propria volta, che l'appartamento comprende, oltre a soggiorno- pranzo, cucina, corridoio, due stanze da letto e ripostiglio, anche bagno e terrazzo (doc. 5 allegato al ricorso di primo grado). 10.4 Per contro, l'ordinanza di demolizione contesta la realizzazione, in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica, di un locale ad uso cucina "in luogo del preesistente terrazzino con soprastante tettoia". Di tale contestato ampliamento, conseguente alla trasformazione del terrazzino in locale cucina, non vi è alcuna traccia nella documentazione versata in atti, peraltro coincidente con quella trasmessa dal ricorrente a seguito di comunicazione di avvio del procedimento (doc. 3 allegato al ricorso di primo grado) e puntualmente richiamata nella relazione istruttoria del tecnico comunale incaricato (pag. 1, terzo capoverso, della relazione prot. 22105 del 5 giugno 2016, allegata alla memoria di costituzione del comune del 1 giugno 2017). 10.5 Gli elementi forniti dal ricorrente non sono, pertanto, idonei a superare le evidenze documentali e fotografiche prodotte dall'amministrazione che collocano, invece, l'epoca di realizzazione dell'abuso in data ampiamente successiva al 1967, ossia tra il 2008 e il 2011. 11. Di qui l'infondatezza delle censure afferenti al mancato assolvimento da parte dell'amministrazione dell'onere della prova di realizzazione dell'abuso, alla carente istruttoria e alla mancata considerazione delle osservazioni procedimentali (che si risolvono nella mera trasmissione delle autorizzazioni edilizie e della comunicazione di fine lavori già agli atti dell'amministrazione). 12. Quanto alla mancata applicazione dell'art. 34-bis del d.P.R. 380/2001, in disparte l'inammissibilità del motivo in quanto formulato solo in memoria di replica, è sufficiente osservare che le tolleranze costruttive attengono alle sole divergenze occorse in fase esecutiva per minime imperfezioni, di regola impercettibili, emergenti dalle lavorazioni di cantiere e non riguardano opere realizzate in assenza di titolo edilizio e paesaggistico (Cons. Stato, sez. II, 15/03/2024 n. 2510; id. 3/11/2023, n. 9520; sez. VI, 8/08/2023, n. 7685), come nel caso di specie. 13. Occorre, in ultimo, rilevare l'inammissibilità della censura, articolata dall'appellante in memoria di replica del 7 maggio 2024, afferente al capo della sentenza con cui il TAR ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso relativo all'applicazione della sanzione pecuniaria di cui all'art. 31, comma 4-bis del d.P.R. n. 380/2001 per la natura ipotetica ed eventuale della lesione. 14. La doglianza, infatti, non solo non reca alcuna critica specifica a quanto osservato dal giudice di primo grado, ma è stata formulata unicamente in memoria di replica e non con ricorso in appello, con conseguente inammissibilità della stessa. 15. In conclusione, l'appello deve essere respinto, circostanza che determina la reiezione anche dell'istanza di verificazione formulata dall'appellante. 16. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento a favore del Comune appellato delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre a spese generali e accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonella Manzione - Presidente FF Cecilia Altavista - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Stefano Filippini - Consigliere Valerio Valenti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno  Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1180 del 2023, proposto da An.Cu., rappresentato e difeso dall'avvocato Ge.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Omissis, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Co.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliataria ex lege in Salerno, corso Vittorio Emanuele, 58; e con l'intervento di ad opponendum: Vin.Cu., rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Vuolo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303: diniego di fiscalizzazione degli abusi contestati con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Omissis e del Ministero della Cultura; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 aprile 2024 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Col ricorso in epigrafe, Cu.An. (in appresso, C. A.) impugnava, chiedendone l’annullamento, il provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303, col quale il Responsabile dell’Area Sportello Unico per l’Edilizia, Demanio ed Urbanistica del Comune di Omissis aveva rigettato l’istanza di fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 prot. n. 18518 del 6 ottobre 2020 ed aveva disposto l’esecuzione dell’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. Le opere abusive sottoposte a fiscalizzazione, ex ante contestate con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019, resistite alla relativa impugnazione, respinta dal Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza n. 3204 del 29 marzo 2023 (pronunciata in parziale riforma della sentenza di questa Sezione n. 1934 del 14 dicembre 2020) afferivano alle unità immobiliari in proprietà del ricorrente, ricomprese nell’edificio ubicato in Omissis, via (...), censito in catasto al foglio 24, particella 616, e distribuito su tre livelli fuori terra (piano terraneo, primo e secondo mansardato) ed un livello seminterrato. Si trattava, in particolare, delle seguenti opere, rimaste sine titulo per effetto dell’annullamento del permesso di costruire (PdC) in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e del PdC n. 4279 del 27 marzo 2015, che era stato pronunciato - in accoglimento del ricorso straordinario ex artt. 8 ss. del d.p.r. n. 1199/1971, proposto da Cuono Vincenzo (in appresso, C. V.) e in base al precipuo rilievo dell’illecita prosecuzione degli abusi sottoposti a condono ex artt. 31 ss. della l. n. 47/1985 con istanza del 29 marzo 1986, prot. n. 802 - con decreto del Presidente della Repubblica (d.p.r.) del 27 marzo 2017 (R.S. 2491/P), previo parere conforme del Consiglio di Stato, sez. I, n. 2459 del 29 ottobre 2018: - realizzazione (assentita con l’annullato PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015) ed ampliamento (assentito con l’annullato PdC n. 4279 del 27 marzo 2015) del piano secondo mansardato; - ampliamento (assentito con l’annullato PdC n. 4279 del 27 marzo 2015) del piano primo, mediante realizzazione sul terrazzo esistente di un corpo di fabbrica sormontato da lastrico solare. Il gravato diniego di fiscalizzazione era essenzialmente motivato in base al rilievo che la natura non già formale, bensì sostanziale dei vizi infirmanti i giurisdizionalmente annullati PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e PdC n. 4279 del 27 marzo 2015 impediva ogni ulteriore valutazione circa la rappresentata impossibilità di ripristino dello status quo ante. Nell’avversare siffatta determinazione, il ricorrente deduceva, in estrema sintesi, che il Comune di Omissis: a) in violazione del dictum giurisdizionale di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3204 del 29 marzo 2023, nonché in difetto di istruttoria e di motivazione, avrebbe omesso di valutare - così come richiestogli con l’istanza del 6 ottobre 2020, prot. n. 18518 - la condizione di fiscalizzazione costituita dall’impossibilità di riduzione in pristino, ai fini dell’applicabilità della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, senza tener conto delle analisi strutturali fornitegli dall’interessato dietro proprio apposito invito; b) in difetto del presupposto, di istruttoria e di motivazione, non avrebbe considerato che - come dimostrato dalla dettagliata documentazione tecnica elargita dall’interessato - la rimozione delle opere abusive avrebbe compromesso l’equilibrio statico delle porzioni legittime dell’intero edificio, anche in proprietà di terzi; c) avrebbe richiamato, in termini del tutto inconferenti, l’ordinanza di demolizione n. 2162 del 29 maggio 2023, inerente ad un manufatto (pergolato) a sé stante rispetto alle opere contestate con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019, nonché non sanzionabile in via repressivo-ripristinatoria; d) avrebbe obliterato la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza del 6 ottobre 2020, prot. n. 18518. Costituitosi l’intimato Comune di Omissis eccepiva l’inammissibilità (per carenza di interesse ad agire) e l’infondatezza del gravame esperito ex adverso. Si costituiva, altresì, in giudizio il Ministero della Cultura. Interveniva, infine, ad opponendum C. V., in veste di proprietario confinante col compendio immobiliare in titolarità di C. A., eccependo l’inammissibilità (per omessa notifica nei suoi confronti) e l’infondatezza del ricorso. All’udienza pubblica del 30 aprile 2024, la causa era trattenuta in decisione. Venendo ora a scrutinare il ricorso, esso si rivela infondato per le ragioni illustrate in appresso. Tanto può esimere, quindi, il Collegio dallo scrutinio delle eccezioni in rito sollevate dalle parti resistenti. Innanzitutto, gli ordini di doglianze rubricati retro, sub n. 3.a-b, si infrangono contro il chiaro tenore sia della sentenza di primo grado n. 1934 del 14 dicembre 2020 sia della sentenza di appello n. 3204 del 29 marzo 2023, le quali hanno unanimemente escluso l’applicabilità della fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 alla fattispecie in esame. 8.1. In particolare, questa Sezione ha statuito che: «A ripudio delle proposizioni attoree, milita, innanzitutto, l’approccio ermeneutico restrittivo suggellato in subiecta materia dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 17 del 7 settembre 2020. “La disposizione in commento - recita la pronuncia richiamata - fa specifico riferimento ai vizi ‘delle proceduré, avendo così cura di segmentare le cause di invalidità che possano giustificare l’operatività del temperamento più volte segnalato, in guisa da discernerle dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l’an e il quomodo dell’attività edificatoria. Non a caso il tenore della norma impone, sia pur per implicito, all’amministrazione l’obbligo di porre preliminarmente rimedio al vizio, rimuovendolo attraverso un’attività di secondo grado pacificamente sussumibile nell’esercizio del potere di convalida contemplato in via generale dall’art. 21 nonies comma 2 della legge generale sul procedimento. La convalida per il tramite della rimozione del vizio implica necessariamente un’illegittimità di natura ‘proceduralé, essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest’ultimo; ius superveniens che, in quanto riguardante il contesto normativo generale, certamente esula da concetto di ‘rimozione del viziò afferente la singola e concreta fattispecie provvedimentale. Il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all’impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto sarebbe suscettibile di convalida, e che per le motivate valutazioni espressamente fatte dall’amministrazione, non risulta esserlo in concreto. Diversamente da quanto sostenuto dall’orientamento giurisprudenziale “estensivo” del quale si è dato sopra atto, in casi siffatti il sindacato del giudice chiamato a vagliare la legittimità della operata fiscalizzazione dell’abuso deve avere ad oggetto proprio la natura del vizio. La “motivata valutazione” dell’amministrazione infatti afferisce al preliminare vaglio amministrativo circa la rimovibilità (anche) in concreto del vizio, ex art. 21 nonies comma 2, e rileva non già rispetto al binomio fiscalizzazione/demolizione, quanto in relazione al diverso binomio convalida/applicazione dell’art. 38, costituente soglia di accesso per applicazione dell’intero impianto dell’art. 38 (e non solo dell’opzione della fiscalizzazione). La descritta esegesi è confermata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Quest’ultima, nella sentenza 209/2010 ha avuto modo di chiarire, giudicando della legittimità di una norma di interpretazione autentica di una disposizione provinciale di tenore identico a quella nazionale che qui si discute (interpretazione autentica tesa ad estendere la fiscalizzazione ai vizi sostanziali), che ‘l'espressione ‘vizi delle procedure amministrativé non si presta ad una molteplicità di significati, tale da abbracciare i ‘vizi sostanzialì, che esprimono invece un concetto ben distinto da quello di vizi procedurali e non in quest'ultimo potenzialmente contenutò. Del resto depongono in tal senso anche considerazioni di carattere sistematico. La tutela dell’affidamento attraverso l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può infatti giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito. A ciò si aggiunge, nei casi in cui l’annullamento del titolo sia intervenuto in sede giurisdizionale su istanza di proprietario limitrofo o associazioni rappresentative di interessi diffusi (giova sottolineare che l’art. 38 non si sofferma sulla natura giurisdizionale o amministrativa dell’annullamento), che la tutela dell’affidamento del costruttore, attraverso la fiscalizzazione dell’abuso anche in relazione a vizi sostanziali, di fatto vanificherebbe la tutela del terzo ricorrente, il quale, all’esito di un costoso e defatigante giudizio, si troverebbe privato di qualsivoglia utilità, essendo la sanzione pecuniaria incamerata dall’erario. Il punto di equilibrio sin qui individuato nel delicato bilanciamento fra tutela dell’affidamento, tutela del territorio e tutela del terzo non è, ad avviso di questa Adunanza plenaria, depotenziato dalla giurisprudenza della Corte EDU sul carattere fondamentale del diritto di abitazione e sul necessario rispetto del principio di proporzionalità nell’inflizione della sanzione demolitoria (si veda, da ultimo, Corte EDU, 21/4/2016 Ivanova vs. Bulgaria). Nell’ordinamento interno, caduto il dogma dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi a seguito della nota sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 500/99, si è affermato, anche per via legislativa, che il’bene della vità cui il privato aspira è meritevole di protezione piena a prescindere dalla qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo della posizione giuridica al quale esso di correla. E’ quindi ben possibile che, a prescindere dalla qualificazione giuridica della posizione giuridica del costruttore che dinanzi all’annullamento in sede amministrativa o giurisdizionale del permesso di costruire reclami il ristoro dei danni conseguenti al legittimo affidamento dal medesimo riposto circa la legittimità dell’edificazione realizzata (sul punto le Sezioni unite sono ferme nel ritenere che trattasi di diritto soggettivo: SSUU, 24 settembre 2018, n. 22435; 22 giugno 2017, n. 15640; 4 settembre 2015, n. 17586; 23 marzo 2011, n. 6596), l’illecito commesso dall’amministrazione comporti il sorgere di un’obbligazione all’integrale risarcimento, per equivalente, del danno provocato. Obbligazione che interviene a ridare coerenza, ragionevolezza ed effettività al sistema delle tutele, ove la conservazione dell’immobile nella sua integrità si ponga in irrimediabile conflitto con i valori urbanistici e ambientali sopra ricordati. Al quesito posto dall’ordinanza di rimessione deve quindi rispondersi nel senso che ‘i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozioné”. Sulla base di tali premesse, va ribadito l’indirizzo rigoroso invalso anche presso la Sezione. In particolare, come osservato nella sentenza n. 1417 del 10 ottobre 2018 (confermata in appello da Cons. Stato, sez. VI, 8 ottobre 2019, n. 6852), “la regola immanente all’art. 38, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001 è rappresentata dall’operatività della sanzione reale, la quale, in quanto effetto primario e naturale derivante dall’annullamento del permesso di costruire (così come dalla sua mancanza ab origine: cfr. art. 31, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 cit.), non richiede all’amministrazione un particolare impegno motivazionale, ma rinviene nella legalità violata la sua giustificazione in re ipsa. Nel caso di annullamento del titolo abilitativo edilizio, in disparte l'ipotesi di vizi di ordine meramente procedurale e formale, non ricorrente nella fattispecie in esame, il modello legale tipico di atto consequenziale è, infatti, proprio quello dell'ordine di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto unico atto idoneo ad arrecare una piena soddisfazione all'interesse pubblico alla rimozione delle opere in contrasto con la disciplina urbanistica; cosicché, ove lo sviluppo attuativo del pregresso annullamento del permesso di costruire si incanali nell’alveo naturale della riduzione in pristino, alcun onere di specifica motivazione ricade sull’amministrazione procedente, il cui operato è obbligatoriamente scandito dallo stesso legislatore; mentre, solo in presenza di circostanze peculiari ed eccezionali, idonee ad accreditare l’oggettiva impossibilità di attuare la misura ordinaria della riduzione in pristino, sarà possibile accedere alla misura residuale della sanzione pecuniaria, occorrendo, però, in siffatta evenienza giustificare la deroga alla soluzione di ‘tutela realé privilegiata dal legislatore mediante una congrua motivazione che dia adeguatamente conto delle valutazioni effettuate (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 21 marzo 2006, n. 3124; sez. VIII, 7 gennaio 2015, n. 34; 10 marzo 2016, n. 1397; 7 aprile 2016, n. 1746; 8 luglio 2016, n. 3490; sez. IV, 4 gennaio 2017, n. 68; TAR Veneto, Venezia, 21 aprile 2016, n. 417)”». 8.2. Nello stesso senso, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha statuito che: «La sentenza di prime cure ha fatto piana e corretta applicazione dell’orientamento consolidatosi a seguito della nota pronuncia dell’Adunanza plenaria, n. 17 del 2020, secondo cui l’art. 38 cit. fa specifico riferimento ai vizi "delle procedure", avendo così cura di segmentare le cause di invalidità che possano giustificare l'operatività del temperamento più volte segnalato, in guisa da discernerle dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l'an e il quomodo dell'attività edificatoria. Non a caso il tenore della norma impone, sia pur per implicito, all'amministrazione l'obbligo di porre preliminarmente rimedio al vizio, rimuovendolo attraverso un'attività di secondo grado pacificamente sussumibile nell'esercizio del potere di convalida contemplato in via generale dall'art. 21 nonies, comma 2, della legge generale sul procedimento. La convalida per il tramite della rimozione del vizio implica necessariamente un'illegittimità di natura "procedurale", essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest'ultimo; ius superveniens che, in quanto riguardante il contesto normativo generale, certamente esula da concetto di "rimozione del vizio" afferente la singola e concreta fattispecie provvedimentale. Il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all'impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto, sarebbe suscettibile di convalida e che, per le motivate valutazioni espressamente fatte dall'amministrazione, non risulta esserlo in concreto. Nel caso di specie, se per un verso (peraltro dirimente, a fini di inapplicabilità della norma evocata) i vizi che hanno portato all’annullamento delle sanatorie non hanno il predetto mero carattere procedurale, riguardando piuttosto la consistenza e la sostanza degli abusi, per un altro verso non appaiono oggetto di adeguata smentita le puntuali considerazioni svolte dalla sentenza appellata in merito alla insussistenza della presunta impossibilità tecnica della demolizione della porzione abusiva (piano secondo mansardato) dell’edificio. In proposito, rispetto alle relazioni tecniche di parte depositate in giudizio dall’odierno appellante, assumono rilievo preminente sia la nota del Responsabile dell’Area Governo del Territorio, Patrimonio e Demanio del Comune di Omissis prot. n. 24008 del 29 novembre 2019 (ove si rileva che “trattasi di opere di sopraelevazione, autonome ed indipendenti, la cui eliminazione anche in base alle progettazioni che versano agli atti non può ritenersi di pregiudizio né alla parte conforme dell’edificio né alle proprietà viciniori”), sia la relazione tecnica di parte prodotta dall’odierno appellato costituito, ove si illustra come il secondo piano mansardato del fabbricato in questione non sia collegato strutturalmente all’adiacente corpo di fabbrica in proprietà di V. C., cosicché la sua rimozione sarebbe insuscettibile di compromettere l’equilibrio statico di quest’ultimo». 8.3. Ciò posto, il Comune di Omissis, nel ripudiare la proposta fiscalizzazione, ha fatto buon governo delle regole applicative dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 declinate in via pretoria nelle pronunce citate sulla scorta dell’indirizzo nomofilattico sancito da Cons. Stato, ad. plen., 7 settembre 2020, n. 17, allorquando ha arrestato ogni valutazione circa la possibilità o meno del ripristino dello status quo ante al rilievo ostativo pregiudiziale della natura sostanziale - e, quindi, non emendabile in via pecuniaria - dei vizi infirmanti i giurisdizionalmente annullati PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e PdC n. 4279 del 27 marzo 2015. 8.4. Né vale a menomare il superiore approdo l’inciso, contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3204 del 29 marzo 2023, secondo cui «l’ordine di demolizione delle opere edilizie costituisce un atto dovuto, mentre la valutazione di non procedere alla rimozione delle parti abusive, nel caso in cui questa sia pregiudizievole per le parti legittime, è soltanto un'eventualità della fase esecutiva, successiva e autonoma rispetto all'ordine di demolizione». Tale inciso sta, infatti, a indicare soltanto che la monetizzazione dell’abuso esulava dalla fase di irrogazione della sanzione demolitoria - la quale aveva formato oggetto del giudizio definito con la suindicata pronuncia -, afferendo, invece, alla successiva fase della sua esecuzione. Sta, cioè, a rappresentare la carenza di interesse concreto e attuale a dolersi di una determinazione non ancora assunta né assumibile al momento dell’allora gravata ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. 8.5. Ad ulteriore ripudio delle proposizioni attoree, è appena il caso di rammentare che la Sezione, nella sentenza n. 1934 del 14 dicembre 2020, ha affermato anche che: «... l’invocata fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 neppure sarebbe configurabile, allorquando a formare oggetto dell’annullamento giurisdizionale sia non già un titolo edilizio rilasciato preventivamente alla realizzazione dell’intervento in progetto, bensì - come, appunto, nella specie - un titolo edilizio rilasciato in sanatoria, posteriormente alla realizzazione di opere abusive, rispetto al cui mantenimento in loco non è ragionevolmente predicabile la generazione di alcun legittimo affidamento in favore del relativo autore o proprietario. In questo senso, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 21 novembre 2016, n. 5364 ha statuito che: “L'art. 38 del d.p.r. n. 380/01, prevedendo una ipotesi di sanatoria mediante pagamento di una sanzione pecuniaria per le ipotesi di annullamento del permesso di costruire, è volto a tutelare l'affidamento del soggetto che abbia edificato in virtù di titolo edilizio solo successivamente annullato. Detto disposto normativo non può trovare applicazione nel caso in cui le opere siano state realizzate ab initio ‘sine titulò, rilasciato solo successivamente a sanatoria e annullato in sede giurisdizionale, in quanto difettano i presupposti per la tutela dell'affidamento dell'istante (Cons. Stato, Sez. VI, 10 ottobre 2014, n. 5261)”». Stante la natura plurimotivata del provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303, l’acclarata legittimità del rilievo di inapplicabilità dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 ai titoli edilizi infirmati da vizi sostanziali induce a predicare l’inammissibilità del profilo di censura rubricato retro, sub n. 3.c, e rivolto avverso l’ulteriore rilievo di emissione dell’ordinanza di demolizione n. 2162 del 29 maggio 2023: ciò, in quanto, in presenza di un atto sorretto da autonome ragioni giuridico-fattuali, è bastevole l’intangibilità anche di una sola delle argomentazioni poste a suo fondamento, perché l’atto medesimo possa resistere al richiesto sindacato giurisdizionale su di esso, con conseguente assorbimento - per carenza di interesse e per finalità di economia processuale - delle censure dirette a contestare ogni ulteriore nucleo motivazionale del provvedimento gravato. Non riveste, infine, portata invalidante la denunciata obliterazione del preavviso ex art. 10 bis della l. n. 241/1990 (cfr. retro, sub n. 3.d). Al riguardo, giova rammentare che l'ultimo periodo dell'art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241/1990, come modificato dall'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020, conv. in l. n. 120/2020, stabilisce che «la disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10 bis». Nei casi di violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990, è, cioè, esclusa l'applicazione del solo secondo periodo dell'art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241/1990, a tenore del quale «il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». Rimane, invece, applicabile la disposizione contenuta nel primo periodo dell’art. 21 octies, comma 2, della l, n. 241/1990, in base alla quale «non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». In questo senso, il Cons. Stato, sez. III, 29 luglio 2022, n. 6708 e 23 dicembre 2022, n. 11289 ha precisato che solo in caso di provvedimento discrezionale l'eventuale violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990 determina l'annullamento del provvedimento, così inquadrando la portata dell'art. 21 octies, nella versione successiva alla riforma di cui all'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020. Ed invero, seppure la centralità del contraddittorio procedimentale consente l'emersione di fatti e circostanze che, sottoposte alla valutazione dell'amministrazione, possono indurre ad una favorevole conclusione del procedimento, questo aspetto diviene recessivo quando, in presenza di specifici presupposti individuati dal legislatore, una sola può essere la scelta legittima dell'amministrazione in conformità con la legge (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 2 febbraio 2023, n. 752). Nello stesso senso, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 22 agosto 2023, n. 4838 ha affermato che: «Le previsioni di cui all'art. 10 bis l. n. 241/1990 devono essere coordinate con quelle di cui all'art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990. Il primo periodo del comma due del predetto art. 21 octies opera tuttora in relazione alla violazione procedimentale del menzionato art. 10 bis. Ciò anche dopo le modifiche introdotte dall'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 120/2020, le quali incidono propriamente sull'applicazione del secondo periodo del comma due dell'art. 21 octies L. n. 241/1990 in esame, secondo cui "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato [...]". La lettura coordinata dei menzionati artt. 10 bis e 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990, esclude che il provvedimento sia annullabile qualora, per la natura vincolata o comunque per la dimostrata non modificabilità del suo contenuto dispositivo, in sede di riedizione del potere non si potrebbe addivenire ad una decisione differente da quella in concreto adottata. In questi casi, l'attivazione del contraddittorio procedimentale - per il tramite della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza - risulterebbe non utile, in quanto non contribuirebbe in alcun modo a modificare il contenuto sostanziale della decisione. Ne consegue che l'annullamento del provvedimento negativo in relazione esclusivamente al vizio formale della mancata comunicazione del preavviso di rigetto ed una volta accertata l'infondatezza della pretesa sostanziale azionata dal privato, si tradurrebbe in un'antieconomica duplicazione di attività amministrativa, tenuto conto che, dopo la caducazione dell'atto impugnato, nella fase di riedizione del potere, la nuova decisione da assumere non potrebbe avere un contenuto ed un dispositivo diverso da quello proprio della decisione annullata (cfr. Cons. Stato, sez. II, 18 marzo 2020, n. 1925; 12 febbraio 2020, n. 1081; 17 settembre 2019, n. 6209; sez. III, 19 febbraio 2019, n. 1156; sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 256 e 27 settembre 2018, n. 5562...)». Ebbene, nel caso in esame, alla luce delle considerazioni svolte, il diniego di fiscalizzazione dell'abuso, siccome fondato sul rilievo oggettivo e preclusivo della natura sostanziale dei vizi infirmanti i titoli edilizi giurisdizionalmente annullati, costituiva l'esito vincolato del procedimento, con la conseguenza che il provvedimento in questa sede impugnato non può essere annullato, pur in difetto del preavviso di rigetto (cfr., in termini, TAR Umbria, Perugia, 2 aprile 2024, n. 225). In conclusione, alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso in epigrafe va, nel complesso, respinto. Quanto alle spese di lite, appare equo compensarle interamente tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Nicola Durante - Presidente Olindo Di Popolo - Consigliere, Estensore Laura Zoppo, Referendario L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Olindo Di Popolo Nicola Durante IL SEGRETARIO

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2357 del 2024, proposto da: Co. Consorzio Ge. In., in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ce., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; contro Comune di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ma., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; nei confronti Sa. - Se. per l'a. S.r.l., in liquidazione, non costituita in giudizio; per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione sesta, n. 1272/2024. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Caserta; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 105, comma 2 e 87, comma 3, cod. proc. amm.; Relatore il Cons. Laura Marzano; Uditi, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, l'avvocato Pa. Ce. e l'avvocato Ma. Me. in sostituzione dell'avvocato Pa. Ma.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Co., Consorzio Ge. In. in liquidazione (per brevità "Consorzio"), ha impugnato la sentenza n. 1272 del 26 febbraio 2024 con cui il Tar Campania, sezione VIII, ha dichiarato il difetto di giurisdizione sul ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto per l'annullamento dell'ordinanza del comune di Caserta n. 54542 del 3 maggio 2023 di sgombero e rilascio del compendio immobiliare denominato "parcheggio interrato di Piazza (omissis)" ubicato in Caserta, al Viale (omissis) e della nota n. 61752 del 19 maggio 2023 a firma del dirigente ing. Lu. Vi.. Il Comune appellato si è costituito nel presente grado di giudizio eccependo l'inammissibilità dell'appello. Alla camera di consiglio del 28 maggio 2024, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione. Devono essere tratteggiati i fatti di causa. 2. Il Consorzio, costituito nel 1990, a seguito di procedura ad evidenza pubblica si è aggiudicato il servizio di progettazione, costruzione e successiva gestione - in regime di concessione - dell'infrastruttura di parcheggio sotterraneo attualmente ubicata sotto il piazzale del museo Reggia di Caserta. Il comune di Caserta, nella qualità di ente procedente, avendo adottato i provvedimenti volti a regolare i rapporti e le obbligazioni tra le parti, affermava di avere disponibilità dei luoghi e di essere titolare del potere di definirne la destinazione e l'utilizzo. L'amministrazione comunale, infatti, promuoveva e ratificava ogni iniziativa relativa all'utilizzo e alla destinazione ad uso pubblico del bene. In virtù di tanto, la società realizzava l'infrastruttura e ne avviava la gestione, proseguita negli anni fino ad oggi. Nello specifico, la vicenda ha avuto il seguente svolgimento. Con delibere CIPE del 3 agosto 1988 e 29 marzo 1990 venivano stanziati i fondi relativi alla realizzazione dei progetti per due parcheggi sotterranei da ubicare in via (omissis) ed in piazza (omissis) a Caserta. Con successiva delibera del Consiglio comunale n. 106 del 18 ottobre 1990, integrata con delibera di Giunta n. 807 del 21 giugno 1991, l'amministrazione decideva di unificare i due parcheggi e deliberava di affidare la realizzazione del Piano parcheggi e viabilità connessa all'Associazione te. d'I. costituita dalla società It. spa (subentrata all'I. spa, entrambi soggetti interamente pubblici) e dal Consorzio CO.: in esecuzione delle menzionate delibere il comune di Caserta, con atto notarile n. 76636 del 10 ottobre 1991, stipulava apposita convenzione con la suddetta ATI. Con convenzione n. 197/90, stipulata il 13 marzo 1992 tra il comune di Caserta e l'Agenzia per la promozione dello sviluppo del mezzogiorno, veniva finanziato il progetto per la realizzazione del parcheggio sotterraneo sito in Caserta, alla piazza (omissis). In particolare, in tale atto il comune di Caserta assicurava, sotto la propria responsabilità, che "per l'esecuzione dell'opera come risultante dal progetto esecutivo non sussistevano impedimenti di sorta per l'espletamento di tutti gli adempimenti di legge e regolamentari per consensi, autorizzazioni, permessi, pareri di qualunque Autorità, di Enti o di terzi comunque in causa per le opere di che trattasi". Nella stessa convenzione era previsto, all'art. 2, che "il Concessionario provvederà in primo luogo alla realizzazione ed alla successiva gestione del parcheggio ubicato in Piazza (omissis), quale risulta dall'unificazione dei precedenti progetti di due distinti parcheggi in Piazza (omissis) e Via (omissis) ai sensi della predetta delibera consiliare del 18 ottobre 1990, n. 106". Ancora prima del completamento delle opere il comune aveva richiesto al Consorzio di avviare le attività di gestione del parcheggio ed aveva riconosciuto in favore di quest'ultimo il diritto al rimborso di alcuni oneri conseguenti alla gestione in perdita dello stesso. Nell'attesa della sottoscrizione degli atti aggiuntivi alla convenzione di concessione, su espressa richiesta del comune, nel 2001, veniva avviata la gestione provvisoria del parcheggio. L'amministrazione comunale, tuttavia, non provvedeva a stipulare gli atti aggiuntivi previsti dall'atto di concessione, né si adoperava per costituire il diritto di superficie previsto in convenzione, talché il Consorzio - viste le difficoltà finanziarie causate dai ritardati pagamenti da parte del comune - era costretto a sospendere la gestione del parcheggio. Il comune di Caserta richiedeva però immediatamente la riattivazione del servizio, ritenendo "assolutamente necessario che tutte le attività connesse alla gestione del parcheggio non vengano interrotte". In particolare, con nota del 28 aprile 2008, il comune rappresentava al consorzio appellante che "data la complessità del rapporto e le notevoli implicazioni che la gestione del parcheggio comporta nel sistema della mobilità cittadina appare non opportuno prevedere la sua chiusura". A seguito di numerosi solleciti volti a compulsare la costituzione del diritto di superficie, con Protocollo di intesa del 21 luglio 2009, il comune di Caserta e il Demanio si impegnavano ad effettuare una permuta di edifici ed aree delle loro rispettive proprietà : tra i beni oggetto dell'accordo figuravano anche cui l'area denominata "campetti antistanti la Reggia" e il "sottostante parcheggio interrato a due piani", che venivano inclusi tra i beni demaniali da trasferire all'ente locale. Solo in quel momento emergeva, dunque, che il comune di Caserta, fin dagli anni '90, aveva compiuto atti di disposizione di un suolo di proprietà del demanio statale e che, in assenza di un trasferimento da parte dello Stato, il comune mai avrebbe potuto legittimamente costituire il diritto di superficie in favore del concessionario, né adottare una serie di provvedimenti relativi alla definizione dei rapporti con il concessionario. In data 5 giugno 2012, il comune di Caserta trasmetteva al concessionario una nota con cui l'Agenzia del demanio aveva richiesto al comune "la riconsegna del menzionato complesso demaniale libero di persone e cose". Con successivo provvedimento prot. n. 61463 del 31 luglio 2012, il comune di Caserta disponeva "di annullare l'atto di concessione della gestione del parcheggio; di dichiarare che tale atto è comunque nullo per le ragioni sopra indicate; di dichiarare risolta e comunque priva di validità e di effetti, per le ragioni di cui in premessa, la convenzione del 1991; in ogni caso, per le ragioni indicate nel paragrafo sugli inadempimenti e sulle violazioni del Consorzio Co., di dichiarare la decadenza della concessione di gestione e della convenzione accessiva; di ordinare al Consorzio Co. di liberare il parcheggio sotterraneo di piazza (omissis) e di restituirlo al Comune di Caserta entro 60 giorni dalla notifica e comunicazione del presente provvedimento; di riservarsi ogni determinazione in ordine ai rapporti patrimoniali con il Consorzio Co. all'esito di una più approfondita verifica anche in ordine allo stato del parcheggio al momento della sua restituzione". In sintesi, l'Agenzia del demanio, in qualità di proprietaria dei suoli, chiedeva la riconsegna dell'immobile; viceversa, il comune ne chiedeva la restituzione in proprio favore. Di fatto, nella vigenza del rapporto concessorio con il comune di Caserta e stante la confusione circa la proprietà del bene alla luce del Protocollo di intesa del 2009, il concessionario non avrebbe potuto retrocedere l'infrastruttura ad un ente terzo, pena la violazione degli obblighi contrattualmente assunti con la convenzione stipulata nel 1991. La situazione restava invariata sino al 2017, allorquando - nella pendenza di alcuni giudizi - l'Agenzia del demanio dava parere favorevole al trasferimento della proprietà in favore del comune di Caserta, che dava atto dell'acquisizione del bene al proprio patrimonio con delibera consiliare del 12 luglio 2017, n. 71. Poco dopo, con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 17 aprile 2018, il comune di Caserta approvava il "Piano delle Alienazioni e delle Valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali", inserendo tra gli immobili suscettibili di alienazione l'infrastruttura adibita a parcheggio ed oggetto del provvedimento per cui è causa. La pendenza del contezioso in ordine alla legittimità dell'annullamento in autotutela dell'atto di concessione - conclusosi solo nell'anno 2021 - e l'incertezza sulla validità o meno degli impegni contrattuali assunti, hanno impedito al concessionario (ma anche al comune) di assumere determinazioni in ordine al rilascio dell'infrastruttura, perdurando la vigenza degli impegni contrattuali - la cui nullità è stata accertata in via definitiva solo nel 2021 - che imponevano la prosecuzione nella gestione per ragioni di interesse pubblico. Il comune, peraltro, dall'avvenuta adozione del menzionato provvedimento di annullamento in autotutela del 2012 fino alla notifica dell'ordinanza di sgombero oggetto del presente giudizio - dunque per oltre 10 anni - ha consentito la prosecuzione della gestione dell'infrastruttura, pur avendo annullato l'atto concessorio. Il provvedimento di annullamento in autotutela veniva impugnato innanzi al Tar Campania il quale accertava che l'amministrazione comunale di Caserta non aveva titolo per disporre delle aree in questione e che pertanto tali beni erano insuscettibili di formare oggetto di atti di disposizione materiale e giuridica da parte del comune stesso: pertanto con sentenza n. 2661 del 14 maggio 2014, il Tar respingeva il ricorso e affermava, tra l'altro che "le obbligazioni assunte dal Comune concedente in ordine alla costituzione di un diritto di superficie, indispensabile per la costruzione e la successiva gestione del parcheggio, hanno geneticamente un oggetto giuridicamente impossibile, attesa la natura demaniale dell'immobile, non rientrante nella disponibilità dell'ente comunale. Pertanto, la relativa convenzione risulta affetta da nullità per impossibilità dell'oggetto, in base agli artt. 1418 e 1346 c.c." e osservava che "il comportamento delle amministrazioni dello Stato nel corso degli anni, pur manifestando la conoscenza dell'iniziativa fin dalla sua origine, palesa una tollerante inerzia per le iniziative del Comune e, tutt'al più, la disponibilità ad esplorare possibili soluzioni, senza tuttavia mai pervenire all'adozione di atti definitivi dai quali sia possibile evincere una manifestazione espressa di volontà equipollente ad una cessione o concessione dell'area in questione". In sintesi, il Tar Campania affermava la legittimità del provvedimento di annullamento in autotutela stante la indisponibilità del bene oggetto di convenzione e accertava che tale circostanza era ben nota a tutte le amministrazioni resistenti fin dal momento della stipula della convenzione con il concessionario. La sentenza veniva sostanzialmente confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5231 del 24 luglio 2019, ancorché con motivazione parzialmente diversa da quella del primo giudice. Ulteriore conferma della statuizione avveniva a seguito di ricorso per cassazione, concluso con ordinanza di rigetto n. 36595/2021. In definitiva, all'esito dell'intero contenzioso, veniva accertato che il comune non aveva disponibilità delle aree oggetto di affidamento in concessione e che pertanto la progettazione, costruzione e gestione del parcheggio era avvenuta, ab origine, sine titulo. A seguito della cessazione del rapporto concessorio e fino all'adozione dell'ordinanza impugnata nel primo grado di giudizio, il comune di Caserta non ha assunto determinazioni chiare in ordine alla natura e all'uso cui intende destinare il bene. Il parcheggio, infatti, è stato inserito tra gli immobili suscettibili di alienazione e facenti parte del patrimonio disponibile non strumentale all'esercizio di funzioni istituzionali. Il nuovo Piano delle alienazioni e valorizzazioni adottato nel mese di gennaio 2022 e relativo al triennio 2022-2024 ha poi qualificato il bene come suscettibile di valorizzazione. L'infrastruttura, in seguito, è stata sottoposta a procedura esecutiva da parte della società Sa. in liquidazione, che vantava crediti nei confronti del comune per un ammontare complessivo di circa 43 milioni di euro ed aveva pertanto individuato nell'area in questione il bene da sottoporre ad esecuzione forzata. Il relativo pignoramento immobiliare veniva regolarmente trascritto nel mese di gennaio 2023, per poi cessare i propri effetti in conseguenza dell'adempimento parziale da parte Comune. Tali essendo gli antefatti, con ordinanza dirigenziale n. 5454 del 3 maggio 2023 il comune di Caserta premesso che "è interesse dell'ente comunale rientrare nel possesso e nella disponibilità del parcheggio interrato nell'area sottostante Piazza (omissis), bene immobile che il Comune intende valorizzare mantenendone in ogni caso l'uso pubblico" ed osservato che "l'articolo 283 comma 2 del codice civile, nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce che spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del patrimonio dello stesso, e che essa alla facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso" ed ancora che "l'autotutela patrimoniale delle amministrazioni pubbliche è esercitabile nei confronti dei beni appartenenti anche al demanio e al patrimonio indisponibile dell'ente comunale per effetto del combinato disposto degli articoli 826 comma 3 e 828 (...) la facoltà di autotutela esecutiva amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene", ha ordinato al Consorzio il rilascio dell'area denominata "Parcheggio interrato di piazza Carlo 12 III", ubicato in Caserta, viale (omissis) intimando "di lasciare entro 15 giorni il compendio immobiliare libero da cose e/o persone al fine di consentirne il pieno e libero utilizzo da parte del Comune di Caserta per le proprie finalità pubbliche". Infine avvertiva che, decorso inutilmente il termine di 15 giorni dalla data della notifica del provvedimento, l'amministrazione avrebbe proceduto all'esecuzione forzata con l'ausilio della forza pubblica. Ancora, in data 8 maggio 2023, la società Sa., stante il perdurante inadempimento del comune di Caserta, provvedeva a notificare un nuovo pignoramento per la parte residua del credito: la procedura esecutiva veniva poi rinnovata con notifica del precetto e pignoramento del 29 febbraio 2024. 3. Con il ricorso introduttivo del giudizio incardinato innanzi al Tar Campania l'appellante, nella qualità di gestore di fatto del parcheggio interrato sito in Caserta, alla piazza (omissis) di Borbone, ha impugnato l'ordinanza dirigenziale di sgombero adottata dal comune di Caserta in data 3 maggio 2023, n. 5454, chiedendone l'annullamento. Tra i motivi di ricorso deduceva l'illegittimità del provvedimento in quanto, a suo dire, il potere di polizia demaniale sarebbe stato esercitato su un bene immobile facente parte del patrimonio disponibile dell'amministrazione: sarebbe mancato pertanto il presupposto per l'esercizio del potere autoritativo. Osservava che la natura disponibile del bene si evincerebbe dagli atti di pianificazione delle risorse, adottati dall'amministrazione comunale, che ha inserito il cespite nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare, sicché sarebbe provato che l'immobile in questione ha natura di bene disponibile e non strumentale all'esercizio delle funzioni. Con ordinanza n. 902 del 25 maggio 2023, il Tar accoglieva la domanda cautelare rilevando che, "ad un primo sommario esame, sembra sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo, non essendo in contestazione il difetto di attribuzione in capo al Comune quanto, piuttosto, il non corretto esercizio, in relazione ai presupposti di fatto, del potere in concreto esercitato"; e che "sembra fondata la censura con la quale parte ricorrente lamenta che, a fronte di un bene appartenente al patrimonio disponibile del Comune (come sembrerebbe evincersi dall'inclusione dello stesso nel Piano delle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile di cui alla delibera di G.C. n. 14 del 28 gennaio 2022 e, prima ancora, alla delibera di C.C. n. 24/2018 - cfr. art. 58, comma 2 del d.l. n. 112/2008), l'attivazione del potere di autotutela esecutiva ex art. 823, comma 2 c.c. non era consentita". Il comune di Caserta, nel costituirsi in giudizio in primo grado, ha depositato l'atto, adottato il 19 maggio 2023 dal dirigente dell'ente locale ing. Vi., in cui si afferma che "da verifiche effettuate è emerso che l'impianto denominato Piazza (omissis) è inserito nell'inventario come beni immobili di uso pubblico per natura o destinazione e pertanto lo stesso non ricade nei beni immobili patrimoniali disponibili". L'atto richiama, sul punto, la delibera di Giunta comunale n. 183/2019, successivamente impugnata con ricorso per motivi aggiunti. Con la sentenza n. 1272 del 26 febbraio 2024 il Tar ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, individuando quale giudice munito di giurisdizione quello ordinario: la motivazione si fonda sul richiamo dell'ordinanza regolatoria delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 255 del 4 gennaio 2024. 4. L'appello è affidato a due motivi. Con il primo motivo si deduce error in iudicando in relazione alla declinatoria di giurisdizione. In sintesi l'appellante fa presente che uno dei motivi di ricorso investiva l'illegittimità del provvedimento impugnato per carenza dei presupposti per l'esercizio del potere: si trattava, infatti, di un provvedimento emanato dall'amministrazione comunale nell'esercizio del potere autoritativo di polizia demaniale su un bene facente parte del patrimonio disponibile e che a fronte di un siffatto provvedimento, il destinatario dell'atto non può che assumere una posizione giuridica di interesse legittimo. Quindi lamenta che, nella sentenza, il Tar avrebbe declinato la giurisdizione richiamando un precedente delle sezioni unite della Corte di Cassazione, che avrebbe deciso una fattispecie del tutto diversa da quella in esame. Nel caso di specie infatti non sarebbe possibile affermare che il provvedimento impugnato sia stato adottato dall'amministrazione nella gestione di un rapporto iure privatorum, né potrebbe esservi ricondotto in via esegetica qualificandolo, a posteriori, come mera "diffida". In definitiva ritiene che il provvedimento impugnato in primo grado si configuri come atto autoritativo illegittimo, in quanto viziato per carenza di potere in concreto, con conseguente radicamento della giurisdizione amministrativa. Con il secondo motivo sono riproposti i motivi formulati in primo grado. 5. L'appello è fondato. La narrazione dei fatti di causa si è resa necessaria per perimetrare l'oggetto del presente giudizio e per chiarire quale sia l'origine del provvedimento impugnato in primo grado. L'ordinanza dell'11 maggio 2023, adottata dal dirigente del comune di Caserta, rappresenta l'atto conclusivo di un rapporto concessorio che, essendo stato dichiarato nullo dal giudice amministrativo, impone al comune di rientrare nella disponibilità del bene concesso. Osserva il Collegio che, nel caso di specie, il comune non ha agito in posizione paritetica con il concessionario bensì esercitando poteri chiaramente autoritativi: la differenza tra la vicenda esaminata dalle sezioni unite e la fattispecie in esame è, peraltro, agevolmente ricavabile proprio dall'ordinanza richiamata dal Tar, di cui si dirà nel prosieguo. Dal provvedimento impugnato in primo grado risulta testualmente che lo stesso è stato adottato ai sensi dell'art. 823, comma 2, del codice civile, il quale nel disciplinare la condizione giuridica del demanio pubblico stabilisce che "spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che ne fanno parte del demanio pubblico. Essa ha la facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso, regolati dal presente codice". Richiamata e trascritta la suddetta norma il dirigente prosegue ricordando: "che l'autotutela patrimoniale delle Amministrazioni pubbliche è esercitabile nei confronti di beni appartenenti anche al patrimonio indisponibile dell'ente comunale per effetto del combinato disposto degli artt. 826, comma 3, e 828 c.c."; che "nella fattispecie, ricorre la facoltà di autotutela esecutiva amministrativa per rientrare nel possesso della disponibilità del bene sopra citato"; che "l'art. 21ter, comma 1, della legge n. 241/90, prevede che "nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti. Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. Qualora l'interessato non ottemperi, le pubbliche amministrazioni, previa diffida, possono provvedere all'esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste dalla legge"". Dunque il dirigente ha inteso spendere il potere di autotutela esecutiva sul presupposto, affermato nel provvedimento, che il bene di cui è ordinato lo sgombero appartenga al patrimonio indisponibile del comune. La ricorrente, invece, già in primo grado sosteneva che il bene in questione apparterrebbe al patrimonio disponibile del comune, ricavando tale qualificazione dal "Piano delle Alienazioni e delle Valorizzazioni del patrimonio immobiliare disponibile non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali", approvato con delibera del Consiglio comunale n. 24 del 17 aprile 2018, in cui l'infrastruttura adibita a parcheggio ed oggetto del provvedimento per cui è causa risulta inserita tra gli immobili suscettibili di alienazione (detta circostanza è, peraltro, contestata dal comune nelle sue difese, richiamando la delibera di Giunta comunale n. 183 dell'11 novembre 2019 che riporterebbe una diversa collocazione del bene in questione nell'elenco dei beni comunali appartenenti al patrimonio disponibile ed indisponibile dell'Ente), con la necessaria conseguenza dell'impossibilità per il comune di avvalersi dell'autotutela esecutiva, dovendo viceversa, a suo dire, procedere con gli ordinari rimedi civilistici a tutela della proprietà e del possesso. Dunque l'oggetto del giudizio postula un duplice accertamento: quello riguardante la legittimità del potere esercitato in concreto e quello riguardante la natura del bene di che trattasi: se appartenente al patrimonio disponibile, l'autotutela non poteva essere esercitata, se appartenente al patrimonio indisponibile, come affermato nel provvedimento dal dirigente, l'autotutela era ammissibile. Osserva il Collegio che il principio affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione nell'ordinanza n. 255/2024, richiamata dal Tar, è pienamente condiviso dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. tra le tante, sez. VII, 16 aprile 2024, n. 3449; id., 30 aprile 2024, n. 2980), tanto che l'incipit del principio affermato dalle sezioni unite, non riportato dal Tar nel virgolettato, è il seguente: "Costituisce principio acquisito, tanto nella giurisprudenza della Suprema Corte, quanto nella giurisprudenza amministrativa, che il potere di autotutela....". É infatti pacifico, come afferma la citata ordinanza, che il potere di autotutela, attribuito all'amministrazione in relazione ai beni demaniali, è esteso, in virtù del combinato disposto degli artt. 823 e 825 c.c., ai beni del patrimonio indisponibile, mentre resta escluso per la tutela dei beni del patrimonio disponibile, rispetto ai quali l'amministrazione potrà avvalersi solo delle ordinarie azioni a tutela della proprietà e del possesso. Pertanto, in presenza di beni del patrimonio disponibile di proprietà del comune, occupati sine titulo, gli atti posti in essere dall'amministrazione comunale non possono ritenersi riconducibili all'esercizio di un potere autoritativo a tutela di un bene pubblico, quale è quello attribuito dall'art. 823 con riferimento ai beni demaniali e ai beni patrimoniali indisponibili, quanto piuttosto all'esercizio di un potere di autotutela del patrimonio immobiliare, posto in essere iure privatorum. L'affermazione consequenziale contenuta nell'ordinanza in rassegna, secondo cui "Si tratta, in altre parole, di atti di diffida di natura paritetica volti alla tutela della proprietà comunale, a fronte dei quali sussistono posizioni di diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sulle relative controversie", sulla quale il Tar ha fatto acriticamente leva per declinare la giurisdizione, è tuttavia correlata alla fattispecie concreta ivi dedotta in giudizio che, come risulta dalla parte in fatto della stessa ordinanza, riguardava una "azione di manutenzione nel possesso di un fabbricato e di terreni", in relazione ai quali il comune proprietario aveva ordinato "di rimuovere dalle dette particelle... qualsiasi oggetto e bene di proprietà entro 10 giorni dal ricevimento; con avvertenza che decaduto tale termine il Comune di... provvederà a rimuovere la recinzione della particella sopra citata nonché il manufatto esistente" aggiungendo che, in riferimento a tale missiva, il ricorrente aveva dedotto "che l'ordine con essa rivolto non trovava giustificazione nell'esercizio di un potere autoritativo dell'ente, costituendo, pertanto, una molestia al proprio possesso, nel quale chiese di essere mantenuto". Nel caso di specie, invece, è del tutto evidente che non si tratti di azione possessoria bensì di ordinanza di sgombero di un immobile di proprietà pubblica, adottato nell'esercizio di poteri autoritativi. Ciò posto, premesso che l'autorità amministrativa è titolare, in astratto, dei poteri di autotutela esecutiva, come ricordato anche dalle sezioni unite, ciò che discrimina la legittimità dell'uso di tale potere in concreto, è la natura del bene a tutela del quale esso viene esercitato. Nel declinare la giurisdizione il Tar ha compiuto un salto logico, omettendo di accertare proprio la natura del bene di cui è stato ordinato lo sgombero, al fine di verificare "se" quel potere concretamente esercitato, potesse essere esercitato oppure no. In altri termini il primo giudice, che sembrerebbe essersi orientato nel senso di ritenere l'ordinanza impugnata come riferibile ad un bene del patrimonio disponibile, quindi emessa in carenza di potere in concreto, anziché rispondere alla domanda di giustizia formulata dalla parte ricorrente, che sosteneva appunto tale tesi, erroneamente si è spogliato della giurisdizione. Osserva il Collegio che la risposta che, in questo caso, il giudice amministrativo deve dare è se il comune, nel caso di specie, possa esercitare i poteri autoritativi. Se la risposta dovesse essere positiva perché il bene viene fatto rientrare nel patrimonio indisponibile dell'ente, il ricorso (salvo l'esame delle ulteriori censure non scrutinate) andrebbe respinto in quanto, una volta verificato che l'area continua ad essere abusivamente adibita ad uso privato, legittimamente e doverosamente il comune deve attivare il proprio potere di autotutela esecutiva di cui all'art. 823 del codice civile, esercitabile anche a tutela dei beni del patrimonio indisponibile (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4554). Siffatto provvedimento avrebbe natura doverosa e vincolata e non necessiterebbe né della preventiva comparazione con gli interessi del privato occupante, non potendosi giammai ingenerare un affidamento "legittimo" in presenza di una situazione connotata da evidente abusività, né di specifica motivazione, se non quella necessaria a dare atto dell'accertamento dell'abusiva occupazione e nei confronti del quale non è configurabile il vizio di eccesso di potere, perché l'esercizio del potere di autotutela esecutiva si giustifica unicamente in ragione della perdurante occupazione sine titulo del bene pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 29 gennaio 2024, n. 862). Né, in tal caso, rileverebbe una eventuale iniziale tolleranza in merito all'occupazione del bene (tolleranza tutt'altro che sussistente nel caso di specie) non radicando un simile contegno dell'amministrazione alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo in capo all'occupante sine titulo (cfr., per il principio, Cons. Stato, sez. V, 26 settembre 2013, n. 4775). Se, viceversa, la risposta dovesse essere negativa, l'atto impugnato non potrebbe che essere annullato. Soltanto sulla successiva attività che il comune dovesse porre in essere affidandosi (questa volta correttamente) agli ordinari rimedi civilistici, mediante azioni petitorie o possessorie, si radicherebbe correttamente la giurisdizione del giudice ordinario: si tratta, tuttavia, di attività che, nel caso di specie, non risulta ancora posta in essere e che, esula, quindi dal thema decidendum. A maggior chiarimento di quale sia l'accertamento che il giudice deve compiere, valga richiamare una recente pronuncia (Cons. Stato, sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1337), che ha affrontato il tema della corretta qualificazione del potere esercitato dal comune, in una fattispecie in cui era stato ingiunto lo sgombero di un immobile acquisito al patrimonio pubblico. Nella fattispecie ivi esaminata il Tar aveva accolto il ricorso sull'assorbente rilevo dell'illegittimo ricorso all'autotutela esecutiva con riferimento a un bene del patrimonio disponibile, sicché il comune non avrebbe potuto esercitare poteri autoritativi, ma avrebbe dovuto agire innanzi al giudice ordinario, ricorrendo agli strumenti previsti dalla legge per la tutela della proprietà e del possesso. Il Consiglio di Stato ha innanzitutto sciolto il dubbio sulla giurisdizione con le seguenti argomentazioni: - il provvedimento con il quale l'amministrazione comunale ordina lo sgombero di un immobile abusivamente realizzato, acquisito al patrimonio pubblico a seguito di inottemperanza all'ordine di demolizione, "costituisce esercizio di poteri pubblicistici di repressione dell'abusivismo e conseguentemente la giurisdizione appartiene al Giudice amministrativo" (C.g.a., sez. giur., 20 marzo 2020 n. 194); - l'atto di sgombero dell'immobile abusivo che sia stato acquisito al patrimonio comunale per inottemperanza all'ordine di demolizione notificato al privato - che si inserisce nell'ambito dei provvedimenti repressivi dell'abusivismo ordinariamente di competenza dirigenziale - ha dunque natura provvedimentale e autoritativa, essendo riconducibile all'esercizio di poteri pubblicistici dell'ente locale, il che dà luogo alla potestas iudicandi del giudice amministrativo sulle relative controversie; - a tal riguardo le sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 19889 del 22 settembre 2014, hanno chiarito che: "la giurisdizione in relazione al provvedimento di demolizione (e, per quel che concerne la fattispecie in esame, in relazione a quello "propedeutico" di sgombero) adottato dalla P.A. spetta al giudice amministrativo, e ciò a prescindere dalle ragioni addotte in tale provvedimento - che saranno eventualmente sindacate dinanzi a quel giudice - onde ogni eventuale contestazione circa la spettanza del relativo potere in capo alla Amministrazione che ha adottato il provvedimento ovvero circa le modalità con cui esso è stato esercitato (...) configura questione devoluta al giudice amministrativo"; - la giurisprudenza (cfr. C.g.a., sez. giur. 3 aprile 2018, n. 178), muovendo dalla considerazione per cui l'art. 823 c.c. ammette il ricorso dell'amministrazione all'esercizio dei poteri amministrativi al solo fine di tutelare i beni del demanio pubblico e del patrimonio indisponibile, ha affermato che il potere di autotutela esecutiva presuppone il previo accertamento della natura del compendio immobiliare oggetto di tutela recuperatoria, sicchè "l'Amministrazione può, ove richiesto, adottare solo i rimedi di carattere ordinario. Ipotesi che ricorre nella controversia oggetto dell'appello, non avendo l'immobile di cui si discute i requisiti che ne consentirebbero la qualificazione come bene appartenente al patrimonio indisponibile. Con la conseguenza che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia in ordine all'ordinanza di sgombero di un immobile che si colloca nell'alveo del patrimonio disponibile del comune, essendo stata tale ordinanza emessa in carenza assoluta di potere e, pertanto nulla, con conseguente lesione di diritti soggettivi tutelabili innanzi al giudice ordinario" (C.g.a., 3 aprile 2018, n. 178; anche Cons. Stato, sez. VII, 19 maggio 2023, n. 4987; Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934); - non sembra dubitabile che ogni qualvolta in cui l'atto di sgombero costituisca "nient'altro che il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), del connotato dell'esecutorietà, ossia della possibilità di essere portati ad esecuzione coattivamente ad opera della stessa amministrazione e senza l'intermediazione dell'autorità giudiziaria" (Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 316), esso viene a configurarsi a guisa di vero e proprio provvedimento amministrativo, esecutivo di precedenti misure repressive di opere abusive, attratto, come tale, al sistema tipizzato delle sanzioni in materia edilizia, vertendosi in un'ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti in materia urbanistica ed edilizia ai sensi dell'art. 133, lett. f), c.p.a. (cfr. C.g.a., n. 194 del 2020 cit.). Ciò posto, la sentenza ha confermato la decisione del Tar attraverso i seguenti snodi argomentativi: - sebbene, come detto, l'amministrazione possa legittimamente agire seguendo le regole proprie dell'esercizio dei poteri autoritativi di sgombero nell'ambito del procedimento repressivo-ripristinatorio degli abusi edilizi così come tratteggiato dalla disciplina del d.P.R. n. 380 del 2001 al fine di ottenere il rilascio dell'immobile occupato da soggetti privati (il più delle volte gli ex proprietari), onde eseguire concretamente l'immissione in possesso finalizzata alla successiva demolizione dello stesso oppure, a determinate condizioni, al suo utilizzo per fini pubblici, di tanto, però, non vi è alcuna evidenza nell'ordinanza di sgombero impugnata; - se è vero che l'atto di sgombero è certamente strumento idoneo a perseguire il mancato rilascio dei beni, spesso occupati, anche dopo l'acquisizione, dagli stessi soggetti che hanno perpetrato l'illecito edilizio, deve, tuttavia, rilevarsi come il provvedimento impugnato non contenga alcun riferimento all'esercizio dei poteri repressivi in materia edilizia ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. 380 del 2001, né cenno alcuno all'abusività dei manufatti o a eventuali ordinanze di demolizione che non risultano nel frattempo neanche adottate (né la difesa dell'amministrazione ha dato prova contraria), avendo il comune soltanto disposto che l'ufficio tecnico avesse cura di provvedere alla loro adozione; - l'ordinanza di sgombero si limita, infatti, a enunciare che sui lotti occupati senza titolo dei ricorrenti in cui è suddiviso il terreno "vi sono dei manufatti edili diversi tra loro per tipologia, forma e utilizzo di materiali costruttivi con annessa strada interpoderale delimitata da due cancelli metallici, uno posizionato in corrispondenza della complanare, l'altra a delimitazione della spiaggia" e a richiamare succintamente alcune risalenti ordinanze con le quali, rispettivamente, si vietò di disporre con atto tra vivi dell'immobile, se ne dispose l'acquisizione di diritto al patrimonio del comune e si ordinò, a suo tempo, lo sgombero dell'area già occupata; ma non contiene il benché minimo riferimento alla commissione di abusi edilizi o indicazione sulla loro concreta consistenza; - solo in sede di giudizio, con le deduzioni processuali contenute negli atti di causa, il comune ha sostenuto che l'impugnata ordinanza di sgombero sia riconducibile ad attività esecutiva del procedimento repressivo e sanzionatorio di illeciti edilizi avviato nel 1992 con l'acquisizione del bene al patrimonio disponibile a seguito del contestato frazionamento per finalità edificatorie, viceversa il provvedimento non contiene alcun riferimento che consenta di ricondurlo all'esercizio dei poteri pubblicistici afferenti alle funzioni di controllo e sanzione in materia edilizia, avendo soltanto ordinato il rilascio del bene disponibile di sua proprietà occupato sine titulo, dichiarando espressamente di agire con lo strumento in parola per far fronte alla "occupazione di immobile di proprietà comunale"; - in assenza di elementi che consentano di configurare l'ordinanza in questione come il terminale esecutivo dei provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, di per sé dotati, in quanto estrinsecazioni dei poteri di vigilanza e di repressione urbanistico-edilizia sul territorio (cfr. art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001), del connotato dell'esecutorietà, "non resta che ricondurre l'azione intrapresa dal comune, per come concretamente esercitata, ai poteri di autotutela disciplinati dall'art. 823 comma 2 del codice civile"; - "in tal caso, tuttavia, al cospetto di un bene al patrimonio disponibile del comune - quale pacificamente è il terreno oggetto della presente controversia acquisito gratuitamente al patrimonio dell'ente a seguito dell'illegittimo frazionamento per pretese finalità edificatorie contestato ai ricorrenti - il comune non avrebbe potuto esercitare l'autotutela amministrativa per le ragioni correttamente indicate dal primo giudice ma il recupero del bene avrebbe dovuto seguire, invece, le vie contrassegnate dagli strumenti giurisdizionali ordinari, a mezzo delle azioni possessorie o della rei vindicatio civilistica (Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934)"; - "i poteri di tutela esecutoria dell'amministrazione in presenza di occupazioni da terzi sono da ritenersi sine titulo quando la pubblica amministrazione agisca in area appartenente al patrimonio disponibile, dove l'esercizio di tale potere autoritativo non trova fondamento: l'autotutela demaniale si collega, infatti, al regime dominicale del bene pubblico, in coerenza con le funzioni amministrative di disciplina, ordinata gestione e uso del bene medesimo e con l'esigenza di "reagire" rispetto a condotte appropriative o usurpative di carattere privato". Quindi la sentenza ha concluso che sussiste una effettiva e comprovata divergenza, nei sensi sopra indicati, fra l'atto di sgombero e la sua funzione tipica, essendo stato il potere esercitato per finalità diverse da quelle enunciate dalla norma di cui all'art. 823 c.c., attributiva dello stesso. Come si evince (anche) dalla decisione innanzi riportata, l'accertamento del giudice, ove si controverta di esercizio dei poteri di autotutela esecutiva, va svolto "in concreto", avendo riguardo alla fattispecie dedotta in giudizio e alle caratteristiche degli atti adottati. In conclusione l'appello è fondato e va accolto. Come noto, laddove sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, declinata in primo grado dal Tar, il giudice di secondo grado non può che annullare la sentenza impugnata, senza ulteriore trattazione della causa (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7510), poiché, nel caso di erronea declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella sentenza di primo grado, la causa deve essere rimessa al Tar e da questi decisa, ai sensi dell'art. 105 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6492). Pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice di primo grado, secondo le modalità di cui all'art. 105, comma 3, del codice del processo amministrativo, non potendo il Consiglio di Stato pronunciarsi nel merito (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 847). 5. In ragione della particolarità della questione di giurisdizione esaminata, si può disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tar della Campania, dinanzi al quale il giudizio dovrà essere riassunto entro il termine di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 94 del 2017, proposto da -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Bu. Vi., Ma. Fr., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Bu. Vi. in Perugia, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; e con l'intervento di ad adiuvandum: -OMISSIS- S.r.l. unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Va. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento emesso dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, di diniego di accesso alle agevolazioni ex art. 14, comma 1, lett. c), del D.M. 592/2000, con riguardo ad un'attività di ricerca industriale Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. -OMISSIS- s.r.l. in data -OMISSIS- presentava domanda di accesso alle agevolazioni di cui all'art. 14, comma 1, lett. c) del D.M. n. 593/2000, riconosciute in relazione alla "attribuzione di specifiche commesse o contratti per la realizzazione delle attività di cui al comma 6 del medesimo art. 14" - ovvero un'attività di ricerca industriale commissionata al laboratorio -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l. (già -OMISSIS- s.p.a.). Con nota prot. -OMISSIS-del -OMISSIS- il Ministero dell'Università e della Ricerca (di seguito "MIUR"), comunicava l'ammissibilità del progetto di ricerca ad una agevolazione complessiva di euro 206.582,75 nella forma del credito d'imposta, richiedendo quindi "ai fini dell'effettivo riconoscimento della predetta agevolazione" una serie di integrazioni documentali. 2. -OMISSIS- s.r.l. inviava il contratto di ricerca stipulato con -OMISSIS- s.p.a. in data -OMISSIS- con oggetto denominato come "Studi, analisi, ricerche, progettazioni e sviluppo sperimentale, volti al potenziamento dei servizi di ricerca industriale e di ingegneria integrata a favore delle p.m.i., anche in termini di strumentazioni, attrezzature e software, per conseguire un notevole miglioramento dei suddetti servizi forniti all'utenza nell'ottica dell'integrazione di sistemi aziendali"; il MIUR con nota del -OMISSIS- preavvisava la società circa la "...non accoglibilità del contratto stipulato con il -OMISSIS-oratorio -OMISSIS- s.p.a." in ragione del parere acquisito dal Gruppo di Lavoro incaricato dell'istruttoria, secondo cui "Dall'esame del documento tecnico allegato al contratto risulterebbe che il progetto si propone l'integrazione di energia geotermica con l'energia prodotta da motori a combustione interna o esterna tipo Stirling, alimentati da biogas prodotto da rifiuti organici di un edificio per coprire i fabbisogni energetici dell'edificio stesso. Il progetto, a partire dal suo titolo risulta generico, velleitario, inadeguato come presupposti, attività, contenuti e obiettivi e mancante in modo assoluto non solo dei requisiti scientifici ma anche dei presupposti tecnici necessari". -OMISSIS- provvedeva ad inviare le proprie osservazioni con missiva del -OMISSIS-, alla quale allegava documentazione integrativa; inoltre modificava il titolo del progetto. 3. In seguito il MIUR comunicava la sospensione della valutazione istruttoria delle varie domande di agevolazione a vario titolo connesse con il laboratorio -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l.; infatti l'Amministrazione il -OMISSIS- aveva effettuato una segnalazione alla Procura della Repubblica in merito ad eventuali illeciti o irregolarità emersi in seguito ad una serie di operazioni ritenute "sospette" dal Gruppo di Lavoro che si era trovato ad esaminare l'istruttoria di numerose domande di finanziamento in cui l'istante o il -OMISSIS-oratorio di ricerca -OMISSIS- -OMISSIS- (ex -OMISSIS- srl) erano alternativamente soggetto proponente la domanda di finanziamento ovvero laboratorio contraente del contratto di ricerca. In buona sostanza i due soggetti presentavano plurime domande di ammissione a finanziamento e si candidavano talvolta come -OMISSIS-oratorio, talvolta come soggetto beneficiario, quindi in alcuni casi la prima affidava commesse alla seconda e in altri viceversa. Da accertamenti risultava poi che il medesimo -OMISSIS- dal 2010 era stato Presidente del CdA del laboratorio contraente e Amministratore Unico della ricorrente, ed inoltre aveva incarichi sia nell'azienda Commissionaria che nel -OMISSIS-oratorio affidatario, cosi come alcuni suoi familiari. 4. Il MIUR, con nota prot. -OMISSIS- del -OMISSIS-2016 preannunciava, nuovamente, il rigetto della domanda di agevolazione segnalando: - che dopo il primo preavviso di non accoglibilità la società istante, in sede di invio di documentazione integrativa, aveva cambiato il titolo e l'oggetto del progetto e dunque quello originario doveva ritenersi abbandonato perché le relative criticità non erano state sanate; - in merito al nuovo progetto, che "Dalla documentazione integrativa trasmessa è evidente che essa tratta del tentativo di trasferire conoscenze tecnico scientifiche dal -OMISSIS-oratorio Affidatario al Soggetto Beneficiario, senza alcun ulteriore sforzo di ricerca industriale in quanto dagli obiettivi realizzativi e dalle attività svolte si è in presenza di una palese ed evidentissima attività di progettazione e sviluppo industriale. Infatti, tutta la documentazione non evidenzia significativi elementi di innovatività scientifica e tecnologica riconducibili ad attività di Ricerca Industriale. Le attività descritte si configurano palesemente come una concretizzazione di metodi e tecniche presenti allo stato dell'arte ai fini della realizzazione del nuovo progetto e non possono che considerarsi di prevalente ricerca industriale. (..) I brevetti allegati sono, altresì, una evidenza ulteriore che il progetto tratta della concretizzazione di conoscenze già note e, non sono in alcun modo, nel caso di specie, evidenza del fatto che l'attività svolta nell'ambito del progetto sia di prevalente Ricerca industriale. Anche il nuovo progetto presentato, seppur dal punto di vista della creatività appare di un qualche interesse, non ha alcun elemento caratterizzante che lo configuri come progetto a contenuti di prevalente Ricerca Industriale ma piuttosto esso appare essere in tutta la sua descrizione un esempio di progettazione creativa e sviluppo industriale con al più elementi di sviluppo sperimentale. (..) In definitiva, alla luce di quanto sopra descritto, anche la documentazione presentata per il progetto dal nuovo titolo è tale da potersi considerare correlata ad una iniziativa di progettazione, sviluppo industriale e, al più, con presenza di attività di sviluppo sperimentale; essa è assolutamente carente di tutte le caratteristiche che ragionevolmente possono far ritenere la stessa di prevalente Ricerca Industriale.". 5. -OMISSIS- s.r.l. presentava le proprie osservazioni il -OMISSIS- 2016, alle quali allegava anche la rendicontazione relativa alle spese del progetto di ricerca per il quale è stata richiesta l'agevolazione di che trattasi, nonché documentazione relativa ai brevetti riconosciuti in riferimento alla stessa attività oggetto di finanziamento. 6. In data -OMISSIS- 2016 seguiva il provvedimento definitivo, con il quale il MIUR comunicava la non accoglibilità dell'istanza di agevolazioni, facendo altresì riferimento al verbale della Commissione del -OMISSIS- 2016 e affermando che dalla documentazione integrativa presentata emergeva palese "che l'attività di ricerca presentata, non solo non è assolutamente di prevalente ricerca industriale, ma alla luce dei fatti rilevati, dalla carenza documentale e dall'analisi del materiale prodotto, non vi è alcuna prova che essa sia stata svolta, anzi tutt'altro. In ogni caso l'eventuale attività di ricerca industriale svolta non è in alcun modo documentata. Del resto lo sviluppo di un brevetto già depositato non richiede, in gran parte dei casi, prevalenza di attività di ricerca industriale (che magari è stata già svolta precedentemente alla domanda di brevetto) ma solo sviluppo industriale (attività routinaria di aziende di progettazione e di laboratori di ricerca) e/o sviluppo pre- competitivo (...) in ogni caso non erano presenti nella documentazione di rito e non sono presenti nella documentazione successivamente prodotta, elementi che possano far ritenere che sia stata svolta attività di ricerca industriale per "sviluppare" tale brevetto". 7. -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento del -OMISSIS- 2016 articolando tre motivi di impugnazione. 7.1. Con un primo motivo si censura la violazione dell'art. 10 bis della l. 241/90 e il difetto di motivazione, oltre all'asserita violazione del principio di partecipazione e della leale collaborazione tra cittadino e P.A., affermando che l'esito finale di non finanziabilità sarebbe stato reso sulla base di un parere del Gruppo di esperti del -OMISSIS- 2016, quindi successivo al preavviso di rigetto, che la ricorrente aveva potuto conoscere solo in sede di provvedimento negativo finale, così impedendo il contraddittorio su tale ultimo parere; inoltre l'Amministrazione non avrebbe in alcun modo controdedotto in merito alle osservazioni presentate dalla ricorrente il -OMISSIS- 2016. 7.2. Con un secondo motivo si asserisce la violazione degli artt. 3 e 6 del d.lgs. 297 del 27 luglio 1999, degli artt. 3, 5 e 7 del decreto interministeriale n. 275 del 22 luglio 1998, e degli artt. 2 e 14 del d.m. 593 dell'08 agosto 2000; nonché infine la violazione del principio dell'affidamento. Dal quadro normativo sopra richiamato emergerebbe che il Ministero aveva escluso da finanziamento il progetto della ricorrente operando illegittimamente un inedito controllo sul contenuto del contratto allorchè il progetto era già stato ritenuto ammissibile: la verifica sul contenuto del contratto di ricerca sarebbe non già condizione per l'ammissibilità della domanda bensì soltanto per la liquidazione del beneficio, perché l'ammissibilità del progetto avrebbe dovuto essere deliberata solo sulla base della domanda, avendo la procedura di verifica carattere esclusivamente automatico. Inoltre la scelta di non finanziare il progetto sarebbe stata presa dal Ministero "appiattendosi" sui pareri espressi rispettivamente il -OMISSIS-2016 e il successivo -OMISSIS- dal Gruppo di Esperti, nonostante tale organo non abbia alcuna competenza circa la valutazione dei progetti di ricerca, né sarebbe prevista per legge l'emissione di un suo parere nell'ambito della procedura di che trattasi. 7.3. Infine con il terzo motivo la ricorrente censura il difetto di motivazione, la violazione del principio dell'affidamento, l'eccesso di potere per sviamento, il travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, l'ingiustizia manifesta. Innanzitutto poiché la domanda di finanziamento sarebbe stata presentata ai sensi dell'art. 2 del D.M. 593 del 2002 sarebbero senz'altro ammissibili le attività di ricerca industriale non esclusiva, come quella in oggetto. Inoltre già dal titolo del progetto emergerebbe pacificamente che il progetto presentato da -OMISSIS- avrebbe carattere di ricerca industriale; il rilascio dei brevetti depositati nel procedimento dimostrerebbe peraltro come l'attività di ricerca per la quale è stata richiesta l'agevolazione rientrerebbe pienamente tra quelle ammissibili perché attesterebbe che il risultato della ricerca è dotato di novità, originalità ed industrialità anche ai sensi del Codice della Proprietà Industriale. Infine il medesimo rilascio di detti brevetti dimostrerebbe che l'attività di ricerca sia stata effettivamente svolta, in contrasto con quanto ritenuto dal MIUR nel provvedimento definitivo. 8. La ricorrente con atto di cessione del -OMISSIS- 2017 ha ceduto a -OMISSIS- s.r.l.s. l'intero ramo di azienda inerente i Servizi di Progettazione di Ingegneria Integrata, con tutti i cespiti occorrenti per lo svolgimento dell'attività aziendale ceduta. Quindi la cessionaria ha notificato il -OMISSIS-2020 e depositato nel presente giudizio il successivo 28 agosto atto di intervento ad adiuvandum, precisando che secondo la prevalente giurisprudenza, in conformità alle previsioni di cui all'art. 2558 c.c., la cessione del complesso dei beni funzionalmente organizzati per l'esercizio di un'impresa determina l'automatico subentro del cessionario nella titolarità dei rapporti contrattuali - di carattere non personale - che attengono all'azienda ceduta. Pertanto la cessionaria sarebbe dotata di legittimazione ad intervenire nel presente giudizio in quanto titolare nei confronti del MIUR del diritto di credito al finanziamento oggetto del presente giudizio. 9. Si è costituito il giudizio il Ministero dell'Istruzione e della ricerca, che ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, trattandosi di domanda di contributo economico soggetto a procedura di valutazione automatica, nella cui valutazione la P.A. era priva di discrezionalità, dovendo limitarsi ad accertare la ricorrenza dei presupposti di legge. Quindi l'Amministrazione ha contestato la legittimazione all'intervento di -OMISSIS- srl, in quanto la cessione di azienda è avvenuta in epoca successiva all'emanazione del provvedimento impugnato, che aveva escluso il sorgere del credito: discende da ciò che il credito non può essere stato trasferito nel patrimonio della cessionaria perché inesistente nel patrimonio della cedente. Al contrario se la società fosse effettivamente titolare del diritto di credito sarebbe cointeressata, quindi avrebbe dovuto impugnare il provvedimento del -OMISSIS- 2016 autonomamente. Nel merito la difesa erariale confutava partitamente i singoli motivi di impugnazione. 10. Nel frattempo era emerso che il Sig. -OMISSIS-, legale rappresentante di -OMISSIS- srl e di -OMISSIS-srls, in concorso con altri soggetti tra cui il figlio -OMISSIS-, era stato rinviato a giudizio avanti al Tribunale di Perugia (R.G.N.R. -OMISSIS-/13) per il reato di cui all'640 bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) integrato mediante presentazione di domande di finanziamenti per attività di ricerca in concreto mai svolta nonchè emissione di fatture per operazioni inesistenti. Da documentazione versata in atti risultava che nel maggio 2018 il predetto procedimento si trovava nella fase dell'udienza preliminare. 11. Con sentenza n. -OMISSIS- 2018 il Tribunale di Perugia ha dichiarato il fallimento della ricorrente, evento poi dichiarato nel presente giudizio con memoria del 21 settembre 2020; questo Tar con sentenza n. -OMISSIS- 2020 ha dichiarato l'interruzione del processo con decorrenza dalla data in cui la parte ha fatto la dichiarazione nella memoria, ovvero il 21 settembre 2020. 12. -OMISSIS-, interveniente ad adiuvandum, ha riassunto il processo con atto notificato in data 27 dicembre 2020 e depositato il 5 gennaio del 2021; senonchè il Tar Umbria con sentenza n. -OMISSIS- 2022 ha dichiarato l'estinzione del processo per mancata riassunzione nel termine perentorio di 90 giorni decorrenti dalla data di conoscenza legale dell'evento interruttivo, ovvero dalla memoria del 21 settembre 2020. 13. A seguito di appello, il Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS- 2023 ha riformato la sentenza di primo grado in punto di decorrenza dell'interruzione del processo, considerando che "a seguito dell'intervenuto mutamento del quadro normativo verificatosi a far tempo dal 1° settembre 2021, per l'entrata in vigore dell'art. 143, comma 3, del d.lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi dell'impresa e dell'insolvenza, in attuazione della l. n. 155/2017), il quale ha previsto che a seguito dell'apertura della liquidazione giudiziale (già dichiarazione di fallimento), il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l'interruzione è dichiarata dal giudice." Sulla base di tale principio la conoscenza legale dell'evento interruttivo doveva ritenersi fissata non già dalla data di deposito della memoria della ricorrente, bensì dalla pubblicazione della sentenza con cui il Tar Umbria aveva dichiarato l'interruzione, ovvero il -OMISSIS-: rispetto a tale data la riassunzione doveva ritenersi sicuramente tempestiva. Il Consiglio di Stato ha ritenuto altresì che, vertendosi in uno dei casi tassativi di rimessione in primo grado, "All'esito del rinvio, pertanto, il primo giudice andrà a esaminare per la prima volta tutte le altre questioni di rito e di merito, compresa quella della possibilità, per l'interveniente ad adiuvandum, di riassumere il giudizio interrotto", ed ha rimesso il processo al Tar Umbria. 14. In vista della discussione del ricorso le parti hanno depositato memorie. All'udienza pubblica del 9 aprile 2024, uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Deve essere disattesa l'eccezione di difetto di giurisdizione spiegata dalla difesa erariale sul presupposto che, essendo il contributo disciplinato direttamente dalla legge, all'Amministrazione è demandato esclusivamente il compito di accertare la sussistenza dei presupposti specificamente indicati dalla normativa, senza spendita di alcun potere discrezionale. Sul punto è noto l'orientamento giurisprudenziale in tema di contributi pubblici secondo cui la controversia deve essere devoluta al Giudice Ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, ed alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l'effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l'an, il quid, il quomodo dell'erogazione, ovvero qualora la vertenza attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento dei beneficiari alle condizioni statuite in sede di lex specialis, in quanto in tal caso il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione; al contrario è configurabile una situazione soggettiva d'interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la questione riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse (cfr. fra le tante, T.A.R. Marche, sez. I, 27 febbraio 2024, n. 187, T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 04 dicembre 2023, n. 6660, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 05 giugno 2023, n. 1383). Nel caso de quo è oggetto di contenzioso il provvedimento con cui si dichiarava la "non accoglibilità del contratto" ovvero in buona sostanza la non meritevolezza del progetto, principalmente perché l'attività oggetto del contratto di ricerca non era stata ritenuta di ricerca industriale, bensì di mero sviluppo industriale, oltre alle perplessità circa l'effettivo svolgimento dell'attività . Trattavasi evidentemente di valutazione di merito, non a caso svolta dalla Commissione di esperti istituita con Decreto del MIUR n. -OMISSIS- 2005, collegio che quindi valutava il contenuto del progetto in maniera approfondita facendo uso anche di discrezionalità tecnica. Deve quindi confermarsi la giurisdizione del presente Giudice, trovandosi la società ricorrente in posizione di interesse legittimo rispetto all'erogazione di un contributo la cui attribuzione dipende da provvedimenti discrezionali. 2. Come chiarito dal Consiglio di Stato, che riteneva la riassunzione del processo tempestiva, va preliminarmente esaminata la questione della legittimazione dell'interveniente a riassumere il processo interrotto, giacchè se si ritenesse che l'interveniente fosse carente di tale potere, il processo dovrebbe dichiararsi estinto, con la conseguente perdita di interesse alla delibazione delle ulteriori questioni. 2.1. Secondo un orientamento "Nel processo amministrativo, chi sia intervenuto "ad adiuvandum" non può ampliare la materia del contendere e non può sottoporre al collegio istanze processuali autonome e diverse da quelle del ricorrente in ordine allo svolgimento del giudizio. Pertanto sono inammissibili le istanze processuali dell'interventore relative allo spostamento della udienza, formulate sotto forma di istanza di differimento dell'udienza al 28.9.2023 e di anticipazione al 14.9.2023, e le istanze inerenti la composizione del Collegio giudicante, sottoposte in data anteriore alle istanze analoghe di parte ricorrente, come già osservato con i decreti presidenziali 13.9.2023 nn. 3752 e 3753." (Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2023, n. 8487). Dunque l'interventore ad adiuvandum non potendo estendere l'oggetto del processo non potrebbe neppure riassumere il processo interrotto in assenza di iniziativa delle altre parti costituite. 2.2. Senonchè lo scrutinio della sussistenza della legittimazione dell'interveniente alla riassunzione del processo presuppone la qualificazione dell'effettiva tipologia dell'intervento spiegato da -OMISSIS-, che sebbene espressamente qualificato ad adiuvandum dalla parte non ne presenta i requisiti di sostanza. Nel processo amministrativo è espressamente contemplato l'intervento volontario oppure jussu iudicis del controinteressato pretermesso (art. 28 primo comma cod. proc. amm.) ovvero l'intervento di chi vanta un interesse dipendente dalla posizione giuridica di un'altra parte e ne sostiene o avversa le ragioni (intervento ad adiuvandum o ad opponendum). In particolare "l'intervento ad adiuvandum può essere svolto da colui il quale vanti una posizione di fatto, dipendente o collegata alla situazione fatta valere con il ricorso principale (cd. intervento adesivo-dipendente), escludendosi invece tale possibilità nei riguardi del cointeressato (cd. intervento autonomo/principale), cioè di colui il quale vanti un interesse personale e diretto all'impugnazione del provvedimento oggetto di censura" (Cons. Stato, sez. III, 04 aprile 2023, n. 3442). In altri termini le condizioni che legittimano la proposizione dell'intervento adesivo sono rappresentate: dalla alterità dell'interesse vantato rispetto a quello che legittimerebbe alla proposizione del ricorso in via principale, visto che l'intervento è volto a tutelare un interesse diverso, ma collegato, rispetto a quello fatto valere dal ricorrente principale - cosicchè la posizione dell'interessato è meramente accessoria e subordinata rispetto a quella della parte principale - e dalla configurabilità di un vantaggio derivante, anche in via mediata e indiretta, dall'accoglimento del ricorso principale. E', pertanto, inammissibile l'intervento ad adiuvandum promosso da chi sia ex se legittimato a proporre direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l'interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all'impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che deve essere azionato mediante proposizione di ricorso principale nei prescritti termini decadenziali. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 settembre 2022, n. 8114, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 10 marzo 2023, n. 4169, T.A.R. Umbria, 05 luglio 2023, n. 435). 2.3. -OMISSIS-srl, pur potendo identificare il proprio interesse in senso tecnico come dipendente e/o collegato a quello del ricorrente principale - dato che, quale cessionario di azienda della ricorrente deriva il proprio interesse dal contratto di cessione con quest'ultima - e dunque potendo definirsi in astratto quale interveniente ad adiuvandum, non vanta un interesse indiretto all'accoglimento del ricorso, nè ha una posizione diversa ma collegata al ricorrente principale, ma ha precisamente il medesimo interesse di quest'ultimo. La società interveniente, quale successore a titolo particolare nel diritto (rectius, nell'interesse) controverso, all'esito della cessione è l'unico titolare di tale interesse perché -OMISSIS- si è disfatta in suo favore del relativo ramo di azienda. L'interveniente può qualificarsi quale cointeressata all'impugnazione principale, sebbene in via solamente successiva, poiché quale potenziale destinataria del finanziamento in seguito alla cessione di azienda si trova ora nell'identica posizione della ricorrente, ma non era onerata dell'impugnativa del provvedimento nei termini - come opinato dalla difesa erariale - perché essendo stata operata la cessione solo successivamente, allora non era portatrice di alcun interesse neppure di mero fatto all'impugnazione. Dunque deve dichiararsi la legittimazione di -OMISSIS-ad intervenire nel presente processo quale successore a titolo particolare di -OMISSIS- srl, ed in virtù di tale interesse qualificato all'annullamento del provvedimento impugnato era senz'altro legittimata a riassumere il processo interrotto perché abilitata alle medesima facoltà spettanti alle altre parti processuali. 3. Ciò chiarito deve procedersi all'esame del merito del ricorso, che si appalesa integralmente infondato. 4. Non può essere condiviso il primo gruppo di censure, incentrato sulla presunta obliterazione delle garanzie procedimentali correlate al preavviso di rigetto, unitamente all'asserita omessa valutazione delle osservazioni della parte privata con riguardo al contenuto del provvedimento finale. 4.1. Innanzitutto, non corrisponde al vero che il provvedimento finale sarebbe stato adottato sulla base del verbale del gruppo di lavoro del -OMISSIS- 2016 - dunque in una riunione successiva all'invio del preavviso di rigetto - recante motivazioni nuove e non condivise con la ricorrente, che sulle stesse avrebbe dovuto potersi difendere prima dell'adozione del provvedimento di diniego definitivo. Il preavviso di diniego del -OMISSIS-2016 era basato principalmente su tre ragioni: a) le perplessità sul ruolo di amministratore/socio svolto dallo stesso soggetto (-OMISSIS-) sia nella società beneficiaria del contributo sia nel laboratorio affidatario, i quali enti in altre domande di finanziamento si scambiavano i ruoli; b) la riconducibilità delle attività svolte a mera progettazione e sviluppo industriale, senza alcun significativo elemento di innovatività scientifica e tecnologica che afferisse alla richiesta attività di ricerca industriale; c) l'irrilevanza sotto il precedente profilo dei brevetti ottenuti dalla ricorrente nel medesimo campo oggetto di ricerca, brevetti che anzi confermavano l'assenza di attività originale ulteriore rispetto ai brevetti stessi. Tali argomenti erano i medesimi su cui si basava anche il provvedimento finale di rigetto e su cui aveva abbondantemente interloquito la ricorrente nelle osservazioni dell'ottobre 2016, senza apportare alcun elemento che inducesse il Ministero a determinarsi differentemente. 4.2. Peraltro il contenuto del verbale del gruppo degli esperti non introduceva alcun sostanziale elemento di novità rispetto a quanto già oggetto di discussione tra le parti, dato che oltre a specificare ulteriormente il concetto di ricerca industriale e il contenuto della circolare 2474 del 2005 sullo svolgimento dell'istruttoria dei progetti - di cui si dirà infra - il Gruppo di lavoro svolgeva alcune osservazioni sul contenuto della relazione illustrativa inviata da -OMISSIS- nel 2011 (in risposta al primo preavviso di rigetto) sostenendo che detto scritto era una sorta di "collage" di testi scientifici e tesi di laurea reperibili in argomento sul web, e che non apportava alcun elemento di novità idoneo a dimostrare l'esistenza di effettiva ricerca industriale. In conclusione l'interlocuzione tra il Ministero e la parte privata era stata varia ed approfondita, e comunque le osservazioni critiche del Gruppo di lavoro attenevano a difetti strutturali del progetto, certamente non superabili con l'eventuale presentazione di deduzioni difensive già comunque presentate in precedenza sui medesimi argomenti. 5. Non è meritevole di positiva valutazione neppure il secondo motivo di ricorso laddove pretende di trarre dalla normativa applicabile argomenti a favore dell'esercizio da parte del Gruppo di lavoro di un controllo non previsto dalla lex specialis che aveva portato all'esclusione del progetto della ricorrente in seguito ad una valutazione sul contenuto del contratto di ricerca, mentre secondo la ricorrente l'ammissibilità del progetto avrebbe dovuto essere riconosciuta solo sulla base delle mere dichiarazioni della ricorrente, o comunque della comprova dell'avvenuta stipulazione del contratto senza poterne valutare i contenuti. 5.1. Il D.M 275 del 1998 agli artt. 4 e 5 opera una scansione ben precisa degli adempimenti procedurali prodromici all'ammissibilità a finanziamento del contratto di ricerca: - scaduti i termini per la presentazione delle domande, il Ministero controlla il contenuto delle dichiarazioni entro i 60 giorni successivi e la formazione di un elenco dei soggetti ammissibili sulla base delle eventuali priorità ; - i soggetti collocati nell'elenco entro i 30 giorni successivi inviano al Ministero copia dei contratti di ricerca ovvero in alternativa una dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante della beneficiaria del finanziamento, attestante l'avvenuta stipula del contratto con i laboratori di ricerca o altri soggetti, di cui vanno indicati gli estremi identificativi, oltre all'attività di ricerca oggetto del contratto; - solo sulla base delle sopra indicate comunicazioni o documentazioni il MIUR forma l'elenco dei soggetti beneficiari, che pubblica nella Gazzetta Ufficiale, dandone comunicazione anche per via telematica ai soggetti medesimi. E' vero che il procedimento di cui sopra non contempla espressamente alcuna forma di controllo approfondito da svolgersi in via preventiva sul contenuto del contratto, ma ai sensi dell'art. 7 sono previste forme di controllo e di monitoraggio a campione che successivamente potranno portare alla revoca del beneficio. 5.2. Non può tuttavia condividersi l'interpretazione di tali disposizioni secondo cui il contenuto del contratto di ricerca condizionerebbe non l'ammissibilità della domanda bensì solo la liquidazione del beneficio: è evidente il palese contrasto con il buon andamento della PA e l'economia degli atti giuridici di una lex specialis che per ipotesi consentisse, in assenza di idonee verifiche, di attribuire un beneficio economico ad un progetto non meritevole - salvo il recupero delle provvidenze in un secondo momento all'esito di un controllo più approfondito - con l'evidente rischio di non recuperare in seguito soldi pubblici messi a disposizione in carenza di adeguata istruttoria. 5.3. Proprio per porre rimedio all'inadeguatezza di un'istruttoria di progetti spesso scientificamente complessi operata mediante procedura standardizzata, nel 2005 con Decreto del MIUR n. 3247/Ric del 6 dicembre 2005, è stato istituito formalmente un Gruppo di Lavoro incaricato di esaminare la documentazione trasmessa dai soggetti proponenti nell'ambito delle domande di agevolazione "ai fini del più efficace svolgimento delle complessive attività di selezione, controllo e monitoraggio, previste ai sensi dell'art. 14 del decreto ministeriale n. 593 dell'8 agosto 2000, comma 2, è istituito uno specifico Gruppo di esperti con il compito di assicurare il necessario supporto alle attività di competenza del Ministero". Quanto invece alla necessità "di rendere più efficace l'attività di individuazione delle richieste ammissibili alla concessione delle agevolazioni descritte" con la circolare n. 2474 del 17 ottobre 2005, pubblicata sulla G.U. n. 251 del 27 ottobre 2005, è stata modificata la fase di valutazione preventiva dell'ammissibilità delle domande che ha previsto - per l'agevolazione di interesse nella presente sede - l'obbligo di invio nella fase antecedente alla formazione dell'elenco delle domande finanziabili del contratto di ricerca che dovrà obbligatoriamente contenere: l'indicazione dettagliata e motivata della criticità tecnico- scientifica dell'iniziativa, la descrizione dettagliata degli obiettivi, attività e programma delle attività, il diagramma temporale dell'iniziativa, il quadro economico dettagliato dei costi, le modalità di pagamento, oltre a numerose altre informazioni sull'altro contraente. 5.4. Quindi nel 2007 la domanda di finanziamento presentata dalla ricorrente era sottoposta all'approfondita istruttoria preventiva svolta dal Gruppo di esperti all'uopo nominato, e sulla base di tali parametri il progetto presentato da -OMISSIS- veniva ritenuto incompleto, non conforme agli obiettivi e quindi non accoglibile. Né poteva ritenersi sorto alcun legittimo affidamento della ricorrente all'erogazione del beneficio, dato che l'ammissibilità solo provvisoria del progetto era stata deliberata in assenza di controlli documentali, al cui invio era seguito subito, già nel gennaio 2011, il preavviso di diniego dell'accoglibilità della misura. 6. Anche il terzo motivo deve essere respinto. 6.1. La domanda di ammissione a beneficio è stata presentata ai sensi del D.M. 593 del 2002 che all'art. 2 comma 2 prevede: "L'intervento di sostegno può estendersi anche a non preponderanti attività di sviluppo precompetitivo consistenti nella concretizzazione dei risultati delle attività di ricerca industriale in un piano, un progetto o un disegno relativo a prodotti, processi produttivi o servizi nuovi, modificati, migliorati, siano essi destinati alla vendita o all'utilizzazione, compresa la creazione di un primo prototipo non idoneo a fini commerciali" tuttavia tale previsione va letta in combinato disposto con il comma 3, che prevede che le predette "attività di sviluppo precompetitivo sono ammissibili purché necessarie alla validazione dei risultati delle attività di ricerca industriale". Quindi non solo le attività di ricerca industriale devono sussistere, ma devono essere altresì preponderanti, perché le eventuali attività di sviluppo precompetitivo devono avere valenza strettamente ancillare rispetto alla ricerca industriale. Già da tale considerazione discenderebbe il rigetto di tale motivo di censura, dato che non è controverso che la ricerca industriale non fosse preponderante nel progetto in esame, ma il Gruppo di esperti ha ritenuto completamente assente tale attività dal contratto di ricerca, che involgerebbe al più attività di sviluppo industriale. 6.2. Peraltro rispetto a tale valutazione caratterizzata da discrezionalità tecnica, il sindacato di questo Tribunale deve arrestarsi al riscontro di eventuali elementi sintomatici di illogicità, irragionevolezza, travisamento, che appaiono palesemente assenti nel caso de quo e del resto non sono stati neppure enunciati in maniera specifica dalla ricorrente. Né il titolo del progetto di ricerca né l'avvenuta presentazione di una domanda di brevetto in materia analoga bastavano a dimostrare che trattavasi di attività di ricerca industriale, come ritenuto in maniera ragionevole dal Gruppo di esperti che sul punto ha motivato diffusamente. E' pienamente condivisibile il ragionamento per cui, se una domanda di brevetto riguarda una determinata attività di ricerca, allorchè tale brevetto sia rilasciato la ricerca è evidentemente conclusa e quella stessa attività non può costituire l'oggetto di un ulteriore contratto di ricerca da finanziarsi con il beneficio in contestazione, ma al più, come ritenuto dall'Amministrazione può implicare attività ulteriore di mero sviluppo industriale. Peraltro è la stessa ricorrente ad ammettere l'identità dell'attività oggetto di brevetto e di quella oggetto del contratto di ricerca, allorchè sostiene che la prova dell'effettuazione dell'attività di ricerca industriale assegnata a -OMISSIS- -OMISSIS- è l'avvenuto rilascio del brevetto. Dunque la domanda di agevolazione è diretta a finanziare non una nuova attività di ricerca, ma attività già svolta e oggetto di privativa, ed è stata correttamente ritenuta non ammissibile dall'Amministrazione. 6.3. Le osservazioni della Commissione di esperti in merito alla mancata documentazione dell'effettuazione dell'attività di ricerca non sono neppure confutate in maniera convincente né nel ricorso né nelle osservazioni del 2016: d'altro canto il documento denominato "relazione dettagliata delle attività svolte" datata -OMISSIS- 2012, che avrebbe dovuto, a ricerca conclusa, dare conto dei costi delle attività e dei risultati raggiunti non conteneva nulla di tutto ciò, ma si limitava a riportare stralci di documenti scientifici collazionati, ed in punto di costi riferiva dell'avvenuta emissione di una serie di fatture da parte del laboratorio contraente senza una specifica analisi degli importi. 7. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la ricorrente e l'interveniente ad adiuvandum in solido al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero, che si liquidano complessivamente in euro 2.000 (duemila/00), oltre agli oneri ed accessori di legge. Nulla per la controinteressata non costituita. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e le altre parti di causa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Davide De Grazia - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8671 del 2022, proposto dalla sig.ra Lu. Qu., rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ad., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via (...), nei confronti - della società Im. Sa. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; - del Condominio Pa. Sa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Sesta, n. 6212/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta, della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania e del Condominio Pa. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024, il Cons. Ezio Fedullo e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso allibrato al numero 357/2020 del Registro Generale del T.A.R. per la Campania, il dott. St. Sa., quale amministratore unico della società Do. S.r.l. nonché in proprio quale residente nel Condominio Pa. Sa. sito in Caserta alla via (omissis), e la sig.ra Qu. Lu., quale residente nel medesimo Condominio, agivano per l'annullamento della "autorizzazione in deroga al progetto di autorimessa privata con superficie compresa tra 300 e 1.000 mq. ex art. 7 DPR 151/2011 rilasciato alla Im. Sa. s.r.l. il 13/09/2019 dal Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta prot. n. 0014751", nonché dei relativi atti presupposti. Veniva premesso in ricorso che la società Do. S.r.l. era proprietaria di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto-quinto e seminterrato del più ampio fabbricato condominiale denominato "Condominio Sa.", avendoli acquistati con atto del 4 luglio 2018, mentre le due persone fisiche ricorrenti erano stabili residenti nel medesimo Condominio. Esponeva quindi la parte ricorrente che, mediante gli atti impugnati, era stata illegittimamente concessa una deroga alla normativa antincendio, ai sensi dell'art. 7 d.P.R. n. 151 del 1° agosto 2011, con riferimento ad una autorimessa all'interno dell'edificio condominiale benché realizzato successivamente alla entrata in vigore del suddetto d.P.R.. Mediante gli articolati motivi di ricorso, veniva evidenziato che, in primo luogo, la ditta realizzatrice del complesso immobiliare, a seguito della costituzione del relativo Condominio, non aveva più titolo a richiedere ed ottenere la deroga, con la conseguenza che la relativa istanza, non provenendo da soggetto legittimato (da identificarsi appunto nel Condominio), non poteva che essere archiviata. Con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente deduceva che la deroga prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 non poteva applicarsi ai nuovi fabbricati, come confermato dagli artt. 11, comma 4, e 4, comma 6, del medesimo d.P.R., con la conseguenza che il costruttore avrebbe dovuto dichiarare ab origine l'esistenza di un garage avente metratura superiore a 300 mq. e che le opere rientravano quindi nel campo di applicazione della normativa antincendio, con particolare riguardo alla sottoclasse 75/1/A: gli Uffici intimati, quindi, avrebbero rilasciato non una deroga, ma una sanatoria extra ordinem di un illecito, sulla scorta delle false dichiarazioni rese dalla controinteressata, la quale, in tutti gli elaborati progettuali e financo nella dichiarazione rilasciata ai sensi dell'art. 24, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 in data 20 aprile 2018 da parte del Direttore dei Lavori, aveva affermato che l'autorimessa non rientrava nel campo di applicazione della normativa antincendio e che il parcheggio era inferiore ai 300 mq.. Infine, la parte ricorrente deduceva l'illegittimità della deroga in quanto non preceduta dalla acquisizione del parere del C.T.R., previsto dall'art. 7, comma 3, d.P.R. cit.. Con i motivi aggiunti depositati in data 26 marzo 2020, scaturenti dal deposito documentale effettuato dall'Amministrazione intimata, la parte ricorrente deduceva la carenza della dichiarazione di conformità, ex art. 7 D.M. 22 gennaio 2008, n. 37, dell'impianto elettrico al servizio dell'autorimessa, costituente presupposto per ottenere l'agibilità ex art. 9 D.M. cit. e la deroga stessa. Essa lamentava quindi che il Comando dei VV.FF., invece di bloccare la S.C.I.A. del 12 dicembre, prot. n. 20842, aveva consentito alla controinteressata di produrre la predetta documentazione entro 45 gg.. Allegava altresì la ricorrente che risultava prodotta una nota asseverata a firma dell'Ing. Es. del 3 gennaio 2020 che, stravolgendo il Mod. PIN 2.1 approvato dal Ministero, sotto la sua responsabilità penale asseverava per lavori definitivi di "nuovo insediamento" quanto segue: "assevera la corrispondenza di quanto trasmesso con quanto dichiarato nella dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico richiesto". La ricorrente deduceva quindi la mancanza nella suddetta dichiarazione di ogni contenuto asseverativo, laddove il Mod. PIN 2.1. ministeriale era così diversamente formulato: "Assevera la conformità della/e attività sopraindicata/e ai requisiti di prevenzione incendi e di sicurezza antincendio". Aggiungeva la ricorrente che il medesimo Ing. Es. aveva allegato alla suddetta "asseverazione" una dichiarazione di conformità del 3 gennaio 2020 dell'impianto a regola d'arte della ditta Ed. che, però, concerneva la "manutenzione straordinaria" dell'impianto ed era priva di 3 allegati obbligatori, limitandosi la medesima ditta ad affermare di aver controllato e verificato l'impianto, senza indicare né allegare il progetto, non potendosi verificare la conformità ad un progetto non allegato. Deduceva ancora la ricorrente che la ditta Ed. aveva allegato la dichiarazione n. 10/2019 della Om. Im. S.r.l. del 9 dicembre 2019, priva degli allegati richiamati, concernente un nuovo impianto su impianto già esistente consistito nella "Installazione di lampade di emergenza, quadro elettrico per pulsante di sgancio autorimessa", senza dichiarare di aver "rispettato il progetto", che non era allegato al pari di altri due elaborati obbligatori (schema impianto e rifermento a dichiarazioni di conformità precedenti). A seguito dell'ulteriore deposito documentale effettuato dall'Amministrazione, la ricorrente depositava in data 8 aprile 2020 ulteriori motivi aggiunti, con i quali deduceva, in sintesi: che la dichiarazione della ditta Om. Im. del 9 dicembre 2019 era priva della carta di identità del dichiarante e quindi da considerarsi nulla, ai sensi dell'art. 38, comma 3, d.P.R. n. 445/2000; che la dichiarazione della ditta Ed., a differenza di quella già depositata, non recava il numero di protocollo; che al punto I della relazione dell'Amministrazione del 2 aprile 2020 si affermava che la dichiarazione della ditta Om. del 9 dicembre 2019 era già allegata alla S.C.I.A. del 12 dicembre 2019, in contrasto sia con quanto precedentemente dedotto nella relazione del 24 marzo 2020, sia con il tenore della nota del 24 dicembre 2019, prot. n. 21559, sia con l'asseverazione del 3 gennaio 2020 a firma dell'Ing. Es. che allegava detta dichiarazione. 2. Il T.A.R., con la sentenza n. 6212 del 7 ottobre 2022, ha preliminarmente dichiarato l'inammissibilità dei motivi aggiunti, sia perché, "per loro tramite, è stato impugnato un atto (il "provvedimento del 05/02/2020 prot. n. 1908 di formalizzazione con esito positivo del verbale di visita tecnica di prevenzione incendi ai sensi dell'art. 4, c.2, del DPR 151/2011") non avente portata autonomamente lesiva, ma meramente accertativa ed endoprocedimentale e, come tale, da impugnare in uno al provvedimento principale", sia perché gli stessi "si innestano pur sempre su un ricorso introduttivo (al quale ineriscono) che, tuttavia, si appalesa irricevibile per tardività ". Per quanto concerne quest'ultimo profilo, il T.A.R., premesso che nella specie si contesta "l'illegittimità del titolo per il solo fatto del suo rilascio", ha osservato che "nella fattispecie in esame, considerato che le edificazioni realizzate successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011, dovevano nascere in maniera pienamente ossequiosa della normativa sulla sicurezza antisismica di cui al citato d.P.R., senza alcuna possibilità di rilascio di alcuna autorizzazione in deroga, già la notizia del mero fatto del rilascio in favore della controinteressata (che aveva costruito successivamente all'entrata in vigore del d.P.R. n. 151/2011) di un'autorizzazione in deroga, faceva sorgere nel ricorrente l'interesse ad impugnare la predetta autorizzazione e, con esso, l'onere di rispettare, nella proposizione della impugnativa, il termine iniziale decorrente dal momento in cui si è avuta detta conoscenza, senza alcuna necessità di avere piena conoscenza del preciso ed integrale contenuto del provvedimento autorizzatorio in deroga". Ciò premesso, ha evidenziato il T.A.R. che "risulta comprovato agli atti che in data 25 febbraio 2019, i ricorrenti - proprietari di due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l. - depositavano dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere circostanziato ricorso per ATP (RG. 1832/2019) sulla scorta della presunta sussistenza di molteplici vizi che affliggevano i beni immobili in questione, in particolare, richiamando la perizia del proprio tecnico di fiducia redatta in data 14 gennaio 2019 (depositata agli atti del ricorso per ATP), nella quale si evidenziava che il piano interrato destinato ad autorimessa non era rispondente ai requisiti di sicurezza antincendio previsti dal Decreto Ministeriale 1 febbraio 1986" e che "nelle more dell'espletamento della ATP, l'Im. Sa. s.r.l. presentava - in data 31.7.2019 - al Comando dei Vigili del Fuoco di Caserta, documentata istanza tesa ad ottenere parere favorevole in deroga del certificato prevenzione incendi ed, all'esito dell'istruttoria il 3 settembre del 2019, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta rilasciava il parere favorevole in deroga (provvedimento prot. n. 0014751), approvando il relativo progetto presentato dalla società Sa. s.r.l.". Ha altresì rilevato il T.A.R. che "seguivano, poi, in data 6 settembre 2019, il provvedimento di concessione in deroga da parte della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile e, infine, in data 13 settembre 2019 la concessione della deroga ex art. 7 del d.P.R. n. 151/2011 del Comando Provinciale dei Vigile del Fuoco di Caserta" e che "successivamente, il costituito Condominio "Sa.", portava al termine la procedura de quo come sopra precisato; in particolare, nell'immediatezza (in data 11 dicembre 2019) provvedeva a inoltrare dichiarazione per voltura per la pratica di autorizzazione in deroga presentata dalla società Sa. e, contestualmente, presentava scia dei necessari lavori per l'adeguamento dell'impianto di autorimessa ai fini della sicurezza antincendio, come da progetto approvato dall'amministrazione dell'interno. Invero, gli adempimenti sopra richiamati venivano deliberati all'Assemblea condominiale convocata per il giorno 8 novembre 2019, assemblea che vedeva la partecipazione anche del delegato della Do. s.r.l. (nella persona dell'avv. Do. St.)". Ha quindi rilevato il T.A.R. che "appare evidente che la ricorrente veniva a conoscenza dei suddetti provvedimenti, impugnati con l'odierno ricorso, già in data 4 ottobre 2019 (vedasi verbale di ATP) e/o comunque in data 8 novembre 2019 (vedasi verbale assemblea di condominio), potendo, a ben vedere, ove avesse ritenuto lesivo il contenuto dell'atto amministrativo, inoltrare all'Amministrazione competente un'apposita istanza di accesso agli atti, sin dal giorno successivo alla redazione dei richiamati verbali, al fine di prendere visione, tempestivamente, degli atti, dei documenti e di tutto quanto eventualmente allegato alla risposta favorevole rilasciata alla società resistente dall'amministrazione dell'Interno. Ciò posto, appare quanto mai evidente che era onere per la Do. s.r.l. l'impugnazione dell'atto sulla base sia di quanto conosciuto in sede di ATP in data 4 ottobre 2019 e in sede di assemblea condominiale in data 8 novembre 2019, nonché in virtù delle contestazioni tecniche recepite nelle censure sollevate, come si è sopra evidenziato, nel ricorso introduttivo per ATP". Ha ancora osservato il T.A.R. che "ad ogni modo la ricorrente in data 20 luglio 2018 ha formulato "Richiesta di accesso formale a documenti amministrativi per esame e/o estrazione di copie ai sensi della L. 241/90 integrata e modificata dalla L. 15/05 e D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184", pervenuta a destinazione, come da ricevuta di avvenuta consegna il giorno 31 ottobre 2019 alle ore 18:22:11. Va in proposito evidenziato che parte ricorrente, nel tentativo di eludere i termini di decadenza per proporre tempestivamente il ricorso giurisdizionale, dichiara di aver avuto conoscenza dei provvedimenti impugnati soltanto in data 20 gennaio 2020 (all'uopo ha depositato copia di una email non certificata) ma non menziona né deposita la propedeutica istanza di accesso agli atti, dalla cui data di deposito sarebbe stato univocamente evincibile il fatto del rilascio dell'autorizzazione in deroga". Il T.A.R. ha poi ribadito che "in buona sostanza la Do. s.r.l., già dalla data del 4 ottobre 2019, disponeva di ogni elemento utile per predisporre il ricorso avverso gli atti contestati, ma, ciononostante, ha promosso il ricorso soltanto in data 30 gennaio 2020. Ciò si rinviene, inequivocabilmente, dalla lettura del verbale n. 10 redatto a seguito del sopralluogo svolto, in sede di ATP, in data 4 ottobre 2019 (al quale partecipava anche la Do. s.r.l.). Invero, nel prefato atto, l'ing. Ma., CTP della società Sa., rendeva noto al C.T.U.: "che, relativamente al piano interrato destinato ad autorimessa la Società Sa. s.r.l. ha ottenuto il parere favorevole in deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi. Di seguito si provvederà ad eseguire i lavori necessari per la certificazione antincendio"", concludendo nel senso che "palese risulta essere la tardività del ricorso, ben potendo la Do. s.r.l., in virtù della chiara percezione dell'esistenza del parere favorevole di deroga ai fini del certificato prevenzione antincendi - ottenuto dalla Im. Sa. s.r.l. - e degli aspetti che ne rendevano evidente l'immediata e la concreta lesività, promuovere un'impugnativa, già a partire dal giorno 4 ottobre 2019". 3. La sentenza suindicata costituisce oggetto della domanda di riforma proposta, con l'appello in esame, dalla (sola) originaria ricorrente sig.ra Qu. Lu.. Essa, dopo aver ripercorso il pregresso iter processuale - anche richiamando testualmente, ai fini della loro riproposizione in appello, le deduzioni articolate con il ricorso introduttivo del giudizio e la successiva duplice serie di motivi aggiunti, non esaminate dal giudice di primo grado in ragione della definizione in rito del giudizio di primo grado - deduce in primo luogo che il T.A.R. ha erroneamente pronunciato l'irricevibilità del ricorso nei suoi confronti, senza che la relativa questione fosse stata sollevata dalle parti resistenti, non avendo gli atti impugnati in primo grado mai costituito oggetto di pubblicazione, ai fini della decorrenza del relativo termine di impugnazione, né essendo la stessa contemplata da specifiche disposizioni, con la conseguente necessità di fissare il suddetto termine in coincidenza con la piena conoscenza del contenuto del provvedimento impugnato, nella specie non ricavabile né dall'A.T.P. del 25 febbraio 2019, di cui la ricorrente medesima non era parte, né dall'assemblea dell'8 novembre 2019, alla quale la ricorrente, in quanto non proprietaria, non ha partecipato. La appellante deduce altresì che, non essendo stata la tardività del ricorso eccepita dalla controparte nei suoi confronti, il T.A.R. avrebbe dovuto sottoporre la relativa questione al contraddittorio delle parti, ex art. 73 c.p.a., con la conseguente necessità di remissione della causa al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a.. Infine, la appellante contesta la statuizione di inammissibilità del gravame recata dalla sentenza appellata con riferimento all'atto del 5 febbraio 2020, sulla scorta del suo asserito carattere "endoprocedimentale", evidenziando in senso contrario che esso, certificando la legittimità della procedura di deroga e facoltizzando l'utilizzo dell'autorimessa, presenta contenuti autorizzatori che ne legittimavano l'impugnazione. Ripropone quindi, come accennato, le censure di merito sottoposte all'attenzione del T.A.R. e da questo non esaminate in ragione delle suindicate statuizioni su questioni in rito di carattere pregiudiziale. 4. Si sono costituiti nel presente grado di giudizio, per la parte pubblica, il Ministero dell'Interno, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Caserta e la Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco della Campania, riproponendo le difese articolate in primo grado. Si è costituito altresì, per la parte privata, il Condominio Pa. Sa., al fine di resistere all'appello anche relativamente alla statuizione in rito recata dalla sentenza appellata, evidenziando che la tardività del ricorso introduttivo del giudizio non potrebbe che riguardare anche l'odierna appellante, la quale, abitando nel Condominio Sa. sin dalla edificazione del relativo fabbricato insieme al figlio ed al marito Dott. Sa. St., Amministratore Unico della Do. S.r.l., sarebbe a piena conoscenza di tutte le vicende condominiali. A supporto della suesposta conclusione, la parte resistente evidenzia altresì che la odierna appellante è stata indicata come teste, insieme al suocero Avv. Do. St., dalla Do. S.r.l. proprio nel giudizio civile dalla medesima promosso, innanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, per l'impugnazione della delibera condominiale dell'8 novembre 2019, di approvazione dei lavori di "Adeguamento locale autorimessa", e che a detti lavori di "Adeguamento" la suddetta ha assistito personalmente, abitando nel Condominio Sa. tanto da essere stata indicata come teste nel suddetto giudizio: lavori che sono iniziati in data 27 novembre 2019, come attesta la Segnalazione Certificata di Inizio Attività prot. n. 127757/2019 del Comune di Caserta, laddove il ricorso di controparte è stato notificato solo in data 30 gennaio 2020. Infine, il Condominio resistente evidenzia che l'odierna appellante, che dispone di tre box unificati tra loro, non sembra avvertire alcun pericolo dai locali garage di cui trattasi, utilizzandoli da sempre insieme al marito Dott. Sa. St.. Con successiva memoria, il Condominio resistente, nelle more costituitosi a mezzo di nuovo difensore a causa del decesso di quello originario, ha precisato l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, evidenziando che la appellante "vanterebbe, ragionevolmente, un legittimo diritto a che si realizzino tutti gli interventi strutturali e di messa in sicurezza dell'immobile". Alle suddette eccezioni ha replicato la parte appellante con successiva memoria finché, all'esito dell'odierna udienza di discussione, il ricorso è stato trattenuto dal Collegio per la decisione di merito. 5. Venendo alle valutazioni del Collegio, occorre preliminarmente esaminare - in quanto suscettibile di evidenziare una autonoma, rispetto alla irricevibilità rilevata dal T.A.R., ragione preclusiva dell'esame nel merito del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, rilevabile anche d'ufficio da parte del giudice di appello - l'eccezione di inammissibilità del ricorso, articolata già nel primo grado di giudizio ma non esaminata dal T.A.R. e riproposta nel presente giudizio di appello, con la quale il Condominio Pa. Sa. sostiene che l'odierna appellante non avrebbe interesse all'accoglimento dell'appello, traendo essa un beneficio dai provvedimenti impugnati, con i quali è stata assicurata la conformità dell'autorimessa, di cui essa stessa si avvale, alla normativa in tema di sicurezza antincendio. L'eccezione non può essere accolta. Deve invero osservarsi che in tanto il provvedimento che legittima l'utilizzazione di un bene in deroga alla normativa antincendio (o, più in generale, alla normativa posta a tutela della pubblica e privata incolumità ) può ritenersi vantaggioso per i soggetti che vantino un titolo (dominicale o di altra natura) di legittimo godimento del medesimo bene, in quanto esso offra ogni garanzia di fruizione di quel bene in condizioni di piena sicurezza, la quale a sua volta presuppone il rispetto dei limiti e dei presupposti, procedimentali e sostanziali, cui il rilascio della deroga è subordinata: in proposito, non può non osservarsi che le censure della ricorrente non si propongono solo di conseguire l'accertamento ope iudicis della inammissibilità della deroga (ciò che effettivamente si tradurrebbe nella preclusione tout court alla utilizzazione dell'autorimessa conformemente alla sua destinazione, senza che la appellante, non essendo proprietaria di immobili all'interno del condominio de quo ma mera residente presso lo stesso, possa far valere alcuna responsabilità contrattuale nei confronti della società venditrice, con la conseguente insorgenza di legittimi dubbi in ordine alla titolarità in capo alla stessa di un interesse concreto ed attuale al ricorso), ma anche la violazione delle disposizioni che presiedono al suo rilascio (basti pensare alle censure intese a lamentare la mancata acquisizione del parere del C.T.R. ovvero i vizi che affliggerebbero la dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico), funzionali a garantire l'utilizzo del bene in condizioni di totale sicurezza, anche in una prospettiva rinnovatoria del procedimento di deroga o di quello di S.C.I.A. in modo da conformarli alla disciplina di riferimento. 6. Deve adesso esaminarsi la censura con la quale la appellante sig.ra Qu. Lu., lamentando che il giudice di primo grado, nel porre a fondamento della decisione la suesposta questione di irricevibilità del ricorso, oltre che con riferimento alla società Do. S.r.l., anche relativamente alla sua posizione (nonché a quella del marito Dott. Sa. St., quale ricorrente in proprio), sebbene sollevata dalle parti private resistenti solo limitatamente alla predetta società, non ha osservato il disposto di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a. (a mente del quale "se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest'ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie"), chiede che sia annullata la sentenza appellata ai fini della remissione della causa al T.A.R. per la Campania, ex art. 105, comma 1, c.p.a.. La censura è meritevole di accoglimento. Deve invero osservarsi che, sebbene i resistenti Condominio Pa. Sa. e società Im. Sa. S.r.l. abbiano eccepito in primo grado la "irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio", senza ulteriori distinzioni (cfr., in particolare, la memoria della società Im. Sa. S.r.l. del 6 marzo 2020), gli stessi hanno posto a fondamento dell'eccezione circostanze esclusivamente riferibili alla società Do. S.r.l. e dimostrative, ad avviso degli stessi, della conoscenza da questa acquisita dei provvedimenti impugnati in una data (4 ottobre 2019) che evidenzierebbe la tardività dell'iniziativa impugnatoria da essa promossa. La suddetta eccezione, formulata nei termini esposti, era quindi inidonea a sollecitare il contraddittorio della parte ricorrente anche relativamente alla posizione dell'odierna appellante, tanto che l'originaria (complessa) parte ricorrente, facendo affidamento sul suo carattere soggettivamente circoscritto, si è limitata a replicare alle sole argomentazioni sviluppate a suo fondamento ed esclusivamente relative, come si è detto, alla società Do. S.r.l.. La declaratoria di irricevibilità con la quale il T.A.R. ha definito, in rito, il giudizio di primo grado è stata invece estesa a tutti i soggetti componenti l'originaria parte ricorrente, ovvero non solo al Dott. St. Sa. (ciò che, in qualche misura, sarebbe anche stato plausibile, identificandosi esso nell'amministratore unico della società Do. S.r.l., sebbene promotore del ricorso anche a titolo personale), ma anche alla sig.ra Qu. Lu., che con la società Do. S.r.l. non risulta intrattenere alcun rapporto diretto. Sebbene siffatta non preannunciata, nelle forme di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., estensione sia fondata dal T.A.R. sui medesimi argomenti posti dalle controinteressate a fondamento della suddetta eccezione di irricevibilità (e riferiti dal T.A.R. talvolta, in senso generico, ai "ricorrenti", cui viene anche indistintamente imputata la proprietà di "due appartamenti per civile abitazione e di un box garage siti rispettivamente ai piani terzo, quarto quinto e seminterrato di più ampio fabbricato condominiale siti nel Condominio "Sa." in Caserta alla Via (omissis), acquistati con atto del 4 luglio 2018 e realizzati dalla Im. Sa. s.r.l.", che invece fa capo esclusivamente alla società Do. S.r.l., talaltra alla "ricorrente" società ), non vi è dubbio che essa abbia concretizzato una fattispecie di decisione "a sorpresa", che secondo la costante giurisprudenza anche di questa Sezione integra una violazione del diritto al contraddittorio ed impone l'annullamento della sentenza appellata, ai fini della remissione della causa al T.A.R. ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 3124: "costituisce violazione del diritto del contraddittorio processuale e del diritto di difesa, in relazione a quanto dispone l'art. 73, comma 3, c.p.a., porre a fondamento di una sentenza di primo grado una questione rilevata d'ufficio, senza la previa indicazione in udienza o l'assegnazione di un termine alle parti per controdedurre al riguardo. Da ciò consegue l'obbligo, per il giudice di appello, di annullare la sentenza stessa e di rimettere la causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., per evitare sentenze "a sorpresa""). 7. Deve solo aggiungersi che non vi è spazio per esaminare nella presente sede, in ragione del suindicato error in procedendo che preclude ogni ulteriore valutazione da parte del giudice di appello in ordine alla suindicata questione di irricevibilità, le deduzioni svolte dal Condominio Pa. Sa. al fine di dimostrare comunque la tardività del ricorso proposto dalla odierna appellante: ciò non senza osservare che la mera sussistenza di un rapporto di coniugio (e quindi di fisiologica condivisione di interessi) tra l'odierna appellante ed il Dott. St. Sa. - al quale invece, quale amministratore unico della Do. S.r.l., può essere senz'altro ascritta la conoscenza del provvedimento impugnato sulla scorta delle medesime ed incontestate circostanze sulle quali la pronuncia appellata ha fondato la tardività del ricorso relativamente alla posizione della suddetta società - non è idonea a radicare, con sufficiente ed uguale grado di certezza (quantomeno relativamente al quando), la conoscenza da parte della sig.ra Qu. Lu. del medesimo provvedimento, in modo da far decorrere anche nei suoi confronti il termine di impugnazione. 8. Infine, l'esame del giudice di appello deve necessariamente riguardare la statuizione di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti avverso il verbale di visita tecnica prot. n. 1908 del 5 febbraio 2020, con il quale "si attesta, ai sensi dell'art, 4, comma 2, DPR n. 151/2011, il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio": statuizione che da un lato consegue, nell'economia motivazionale della sentenza appellata, alla già analizzata declaratoria di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio (e che sotto tale profilo viene travolta dall'annullamento ex art. 105, comma 1, c.p.a. della sentenza appellata), dall'altro lato al ritenuto carattere endo-procedimentale dell'atto suindicato, che lo renderebbe insuscettibile di ledere gli interessi della ricorrente (profilo in ordine al quale, per la sua autonomia rispetto al primo, occorre pronunciarsi nella presente sede). Ebbene, premesso che anche l'impugnazione del verbale suindicato mira al soddisfacimento dell'interesse della appellante all'utilizzo dell'autorimessa in condizioni di sicurezza, il quale non può non ritenersi leso da un atto attestativo del rispetto delle relative prescrizioni tecniche per ipotesi illegittimamente adottato, occorre in senso contrario alla sentenza appellata evidenziare che esso conclude il procedimento che il responsabile dell'attività oggetto di controllo di sicurezza antincendio deve avviare ai fini dello svolgimento della stessa, anche laddove non sia necessario introdurre modifiche progettuali in vista dell'ottenimento della deroga a causa dell'impossibilità di osservare determinate prescrizioni di sicurezza. Siffatto procedimento è disciplinato dall'art. 4, comma 1, d.P.R. n. 151/2011, ai sensi del quale "per le attività di cui all'Allegato I del presente regolamento, l'istanza di cui al comma 2 dell'articolo 16 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, è presentata al Comando, prima dell'esercizio dell'attività, mediante segnalazione certificata di inizio attività, corredata dalla documentazione prevista dal decreto di cui all'articolo 2, comma 7, del presente regolamento. Il Comando verifica la completezza formale dell'istanza, della documentazione e dei relativi allegati e, in caso di esito positivo, ne rilascia ricevuta". Dispone inoltre il comma 2 del medesimo articolo che "per le attività di cui all'Allegato I, categoria A e B, il Comando, entro sessanta giorni dal ricevimento dell'istanza di cui al comma 1, effettua controlli, attraverso visite tecniche, volti ad accertare il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione degli incendi, nonché la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio. I controlli sono disposti anche con metodo a campione o in base a programmi settoriali, per categorie di attività o nelle situazioni di potenziale pericolo comunque segnalate o rilevate. Entro lo stesso termine, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per l'esercizio delle attività previsti dalla normativa di prevenzione incendi, il Comando adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi dalla stessa prodotti, ad eccezione che, ove sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa antincendio e ai criteri tecnici di prevenzione incendi detta attività entro un termine di quarantacinque giorni. Il Comando, a richiesta dell'interessato, in caso di esito positivo, rilascia copia del verbale della visita tecnica". Ebbene, non può non osservarsi che, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R., l'atto conclusivo del procedimento di verifica tecnica ha natura provvedimentale, attestando l'esito positivo dei controlli di sicurezza antincendio posti in essere dall'Amministrazione a seguito della presentazione della S.C.I.A. da parte dell'interessato, nell'esercizio di una tipica attività di carattere tecnico-discrezionale, formalizzando la conclusione del procedimento in senso favorevole al suo promotore. 9. In conclusione, quindi, la sentenza appellata deve essere annullata e la causa rimessa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., restando impregiudicata ogni altra valutazione in rito - diversa da quelle compiute da questa Sezione - e nel merito. 10. Derivando l'esito di questo grado di giudizio da un error in procedendo del giudice di primo grado, sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 8671/2022, lo accoglie, nei limiti precisati in motivazione, e per l'effetto annulla la sentenza appellata, rimettendo la causa dinanzi al T.A.R. per la Campania ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a.. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Ezio Fedullo - Consigliere, Estensore Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Raffaello Scarpato - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10519 del 2018, proposto da Sa. Ga. e Lu. Br., rappresentati e difesi dall'avvocato Cl. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suddetto avvocato, con studio in Roma, Via (...); contro Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Se. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell'avvocatura capitolina, sita in Roma, via (...); per l'annullamento dei provvedimenti n. QI/1736/2017, prot. QI/189665/2017, SC 752436/31401 e n. QI/1736/2017, prot. QI/189665/2017, SC 752428/31400 nonché di ogni altro atto prodromico, successivo o consequenziale a quelli impugnati, ancorché non conosciuti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del 17 maggio 2024 il dott. Luca Pavia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Il 7 dicembre 2004 il Signor Ga. presentò un'istanza di condono, ai sensi della legge 24 novembre 2003 n. 326 e della legge regionale 8 novembre 2004 n. 12, per sanare la realizzazione di un manufatto a uso abitativo di circa 28 mq sito nel proprio giardino, la quale venne però respinta il 28 dicembre 2017. 2. Il provvedimento de quo venne impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica successivamente trasposto in sede giurisdizionale, a seguito dell'opposizione della resistente. 3. Il 19 novembre 2018 si costituì l'amministrazione resistente con una comparsa di stile. 4. All'udienza camerale del 16 gennaio 2016 i ricorrenti rinunciarono all'istanza cautelare. 5. In prossimità dell'udienza di merito le parti hanno depositato documenti, memorie conclusionali e di replica nei termini di rito. 6. All'udienza straordinaria di smaltimento del 17 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio. 7. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la tardività del provvedimento impugnato e il conseguente accoglimento, per silentium, dell'istanza di condono. Il motivo è infondato. Ai sensi dell'articolo 32, comma 37, del d.l. 269/03 convertito dalla legge 326/03 "Il pagamento degli oneri di concessione, la presentazione della documentazione di cui al comma 35, della denuncia in catasto, della denuncia ai fini dell'imposta comunale degli immobili di cui al decreto legislativo. 30 dicembre 1992, n. 504, nonché, ove dovute, delle denunce ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l'occupazione del suolo pubblico, entro il 31 ottobre 2005, nonché il decorso del termine di ventiquattro mesi da tale data senza l'adozione di un provvedimento negativo del comune, equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria. Se nei termini previsti l'oblazione dovuta non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta, le costruzioni realizzate senza titolo abilitativo edilizio sono assoggettate alle sanzioni richiamate all'articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e all'articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380". La disposizione è stata ulteriormente precisata dall'articolo 6, comma 3, della legge regionale del Lazio n. 12 del 2004, a mente del quale "La presentazione della domanda e della relativa documentazione, il pagamento degli oneri concessori e dell'oblazione, la presentazione delle denunce di cui all'articolo 32, comma 37, del d.l. 269/2003 e successive modifiche, con le modalità e nei termini previsti dalla normativa vigente, nonché la mancata adozione di un provvedimento negativo del comune entro i trentasei mesi dalla data di scadenza del versamento della terza rata relativa agli oneri concessori prevista dall'articolo 7, comma 2, lettera b), numero 2), equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria. In tal caso l'avvenuta formazione del silenzio assenso sulla richiesta di concessione edilizia in sanatoria può essere attestata mediante il deposito al protocollo dell'ufficio comunale competente di una dichiarazione asseverata redatta da un tecnico abilitato che attesti, sotto la propria responsabilità, l'esistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, la regolarità della domanda e di tutti gli adempimenti conseguenti. Entro i successivi trenta giorni l'amministrazione competente, su richiesta dell'interessato, deve provvedere ad inviare il calcolo del conguaglio dell'oblazione e degli oneri concessori dovuti a saldo". Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che le disposizioni de quibus devono essere lette unitamente all'art. 32, comma 35, il quale indica espressamente i documenti che devono essere allegati all'istanza di sanatoria: per la formazione del silenzio-assenso sull'istanza di condono edilizio, è, infatti, necessario "non solo che sia stato completato il pagamento dell'oblazione dovuta e degli oneri concessori, ma anche che la domanda sia completa di tutta la documentazione, affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica da parte dell'amministrazione comunale sia in ordine alla ammissibilità del condono che alla corretta determinazione della misura dell'oblazione da versare, con la conseguenza che l'assenza di completezza della domanda di sanatoria osta alla formazione tacita del titolo abilitativo" (ex multis Consiglio di Stato, sezione II, 10 maggio 2021, n. 3684, e giurisprudenza ivi richiamata). Ma ciò che qui più rileva è che, per giurisprudenza pacifica, non è comunque "configurabile la formazione del provvedimento tacito di assenso su domande di sanatoria edilizia relative ad interventi realizzati in aree sottoposte a vincoli paesaggistici" (ex multis T.A.R. Lazio, Roma sez. IV, 26 ottobre 2023, n. 15918). Ebbene, poiché nel caso di specie non è oggetto di contestazione che l'area su cui è stato realizzato l'abuso sia sottoposta a vincolo ai sensi dell'art. 134, comma 1, lett. a), del d.lgs. 42/04. Pertanto il mero decorso del tempo è inidoneo a configurare un legittimo affidamento in capo all'istante, ragione per cui il motivo è infondato e deve essere respinto. Deve solo aggiungersi che il vincolo sussisteva già quanto meno nel 2004, per stessa ammissione dei ricorrenti; tanto bastava per impedire il formarsi del silenzio assenso. Si evidenzia, infine e per ragioni di completezza, che neppure il richiamo effettuato dai ricorrenti alla decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 17 ottobre 2017, n. 8 è pertinente, in quanto la controversia allora esaminata aveva a oggetto l'annullamento di un titolo edilizio espresso mentre nel caso in esame non esiste alcun titolo abilitativo né è possibile rinvenire un legittimo affidamento in capo ai ricorrenti, atteso che, per giurisprudenza pacifica, "in tema di costruzioni abusive, la mera inerzia della pubblica amministrazione nella repressione degli abusi edilizi, non è idonea a legittimare un affidamento giuridicamente rilevante in ordine al mantenimento dell'abuso" (ex multis T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 1° agosto 2023, n. 1877). 8. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la violazione e falsa applicazione dell'art. 32, commi 26 e 27, della l. 326/2003 nonché dell'art. 3, comma 1, lett. b, della l.r. Lazio 12/04: a loro dire, infatti, come accennato in precedenza, l'opera da condonare sarebbe stata realizzata prima dell'apposizione del vicolo (2004); senza contare che la regione non potrebbe neppure incidere negativamente sulla disciplina del condono qualora correlata ai vincoli previsti all'art. 136, lett. a) e b), in quanto essi sarebbero di esclusiva competenza statale. La censura è stata ulteriormente approfondita nel successivo motivo di ricorso in cui i ricorrenti sostengono che le opere de quibus sarebbero sanabili, ai sensi dell'articolo 32 legge 47 del 1985, anche se realizzate su aree vincolate, previo, ovviamente, parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. Il motivo è infondato. L'art. 32, comma 26, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 sancisce che sono "suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all'allegato 1: a) numeri da 1 a 3, nell'ambito dell'intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4,5 e 6 nell'ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47; b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con la quale è determinata la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio" Il successivo comma 27, lett d) del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 prevede, invece, che non siano sanabili le opere abusive "realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". Ciò posto, la recente giurisprudenza, anche di questo TAR, ha avuto modo di chiarire che "l'applicabilità del c.d. terzo condono in riferimento alle opere realizzate in zona vincolata è limitata alle sole opere di restauro e risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti, se ed in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 14 ottobre 2022, n. 8781; Cassazione penale sez. III, 24 giugno 2020, n. 26524 e T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 6 giugno 2022, n. 7282). Con la previsione generale di cui all'art. 32, comma 27, lett. d), d.l. n. 269/2003, il legislatore ha dunque disciplinato, "ai fini del condono edilizio, l'ipotesi di tutte le costruzioni effettuate in siti vincolati e come tali riflettenti la disciplina vincolistica della zona su cui insistono. La distinzione tra vincoli assoluti e relativi non rileva ai fini della condonabilità delle opere, stante il chiaro disposto legislativo che non ha fatto cenno alla stessa; la norma, infatti, richiama (in modo indifferenziato) opere che siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali" (ex multis T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 3 ottobre 2023, n. 5376). In base all'art. 32, comma 26, d.l. n. 269/2003, convertito in l. n. 326/2003, non sono, quindi, "suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell'allegato 1 alla citata legge (c.d. abusi maggiori), realizzati su immobili soggetti a vincoli, a prescindere al fatto che (e anche se) si tratti di interventi conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti al momento dell'edificazione e al fatto che il vincolo non comporti l'inedificabilità assoluta dell'area. Difatti, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, tra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni - e cioè che le opere siano realizzate prima dell'imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori, senza aumento di superficie e volume (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo, indipendentemente dal fatto che il vincolo non sia di carattere assoluto, non può essere sanato" (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 5 ottobre 2023, n. 5412). Inoltre, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. b) della legge regionale del Lazio n. 12/04 non sono neppure sanabili le opere abusive "realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali". Con la disposizione de qua legislatore regionale ha dunque introdotto, nell'esercizio delle proprie prerogative, una disciplina di maggior rigore che non rende sanabili le opere che determinano un aumento di volume e di superficie realizzate anche prima dell'apposizione del vincolo. Ciò posto, occorre ribadire il costante indirizzo giurisprudenziale, più volte condiviso dal Collegio, secondo il quale "il condono previsto dall'art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003 è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del citato decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti" (ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, sez. IV-ter, 19 luglio 2023, n. 12153); in tali ipotesi, "è legittimo il diniego di condono disposto in assenza del parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, in quanto il decreto-legge n. 269 del 2003 esclude in via generale la sanabilità delle opere abusive oggetto del terzo condono nelle zone vincolate" (Consiglio di Stato, sez. VI, 11 ottobre 2021, n. 6827). Ne consegue che "soltanto se fossero state assenti le condizioni ostative indicate nel sopra riportato art. 32 del citato decreto-legge n. 269 del 2003, l'amministrazione comunale avrebbe dovuto necessariamente chiedere il parere dell'organo tenuto per valutare la possibilità di rilasciare all'interessato un provvedimento favorevole", ossia quello preposto alla tutela del vicolo (Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2022, n. 4685). Ebbene, come precedentemente evidenziato, non è oggetto di contestazione tra le parti che l'area su cui è stato realizzato l'abuso sia sottoposta a vincolo ai sensi dell'art. 134, comma 1, lett. b), del d.lgs. 42/04 A ciò si aggiunga che l'opera non può neppure essere sussunta nel novero degli interventi di minore importanza posto, che, per stessa ammissione dei ricorrenti, l'intervento ha comportato la realizzazione di un manufatto di 22,71 mq di s.u.r. e 8,85 mq. s.n. r.. Di conseguenza non avrebbe dovuto essere acquisito alcun parere in ordine alla compatibilità dell'opera in questione con il vincolo rilasciato dall'Amministrazione preposta alla sua tutela. 9. In conclusione, alla luce di quanto esposto, il ricorso è infondato e deve essere respinto. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite che quantifica in euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 maggio 2024 svoltasi da remoto ex art. 87 comma 4-bis cod. proc. amm., con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Silvio Giancaspro - Primo Referendario Luca Pavia - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 353 del 2023, proposto da El. Za., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ar. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Emilia-Romagna, Provincia di Reggio Emilia, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - dell''atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 con oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell''art. 14 comma 6 LR 15/2013"; - della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Paola Pozzani, nessuno presente per le parti come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 recante in oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell'art. 14 comma 6 LR 15/2013", e dell'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 80 del 27.10.2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio il 28 dicembre 2023, ha speso le proprie difese con memoria del 18 gennaio 2024 ed ha depositato memoria ex art. 73 C.p.a. il 4 aprile 2024. La ricorrente ha precisato la propria posizione con memoria depositata in giudizio il 19 aprile 2024. Entrambe le parti hanno depositato copiosa documentazione. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La ricorrente, proprietaria, in (omissis) (RE), via (omissis), di un edificio residenziale in zona agricola, rappresenta che presentava al Comune di (omissis), in data 8.7.2023, prot. n. 8753, una s.c.i.a. in sanatoria avente ad oggetto la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina, del relativo locale tecnico, della pavimentazione perimetrale, di un piccolo fabbricato in legno ad uso spogliatoio e di una tettoia; ricevuti i documenti ed i chiarimenti richiesti, il Comune di (omissis), con atto 11.10.2023 prot. n. 13122 della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio, comunicava alla ricorrente l'inefficacia della s.c.i.a., "verificata l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP; verificata la non applicabilità dell'art. 4.1.3. comma 6 del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq. di SU". Faceva seguito l'ordinanza 27.10.2023 n. 80, con la quale l'Amministrazione comunale ha disposto la demolizione delle opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria ed anche di una recinzione, accertando, altresì, la sussistenza di una lottizzazione abusiva: "...Confermando quanto relazionato dalla comunicazione di inefficacia trasmessa dal Comune di (omissis) con Prot. n. 13122 del 11.10.2023 si precisa che dagli atti trasmessi risulta quanto segue: 1. Accertata difformità urbanistica ed edilizia sul mappale (omissis) (ex (omissis)) ad uso piscina e manufatti diversi (spogliatoio e wc, locale tecnico, tettoia); le dimensioni della difformità riguardano la piscina di mq. 132,92 di superficie, uno spogliatoio e wc di mq. 8,00, un locale tecnico di mq. 12,00 e una tettoia di mq. 35,02; 2. Accertata difformità urbanistica ed edilizia di muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis); 3. Accertata difformità urbanistica ed edilizia della pavimentazione realizzata sul mappale (omissis); 4. I succitati lavori di esecuzione dei manufatti e della recinzione risultano terminati da tempo, a maggio 2019, come da dichiarazione allegata alla scia 2023/041/S; 5. Accertata difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis) Pratica n. RE0065467 in atti dal 11.5.2023 Protocollo NSD n. ENTRATE.AGEV-STI.REGISTRO UFFICIALE.20433-58.11/05/2023 presentato il 11.5.2023 (n. 65467.1/2023)". Con il primo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" la ricorrente evidenzia, con riguardo alle opere di cui alla s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023, che l'art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, nel prevedere l'accertamento di conformità, mediante s.c.i.a. in sanatoria, degli interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, non detta alcuna disposizione volta a disciplinare il relativo procedimento e prospetta che in materia sussistano due orientamenti giurisprudenziali, l'uno rivolto a riconoscere l'applicabilità dell'istituto del silenzio assenso, l'altro a negarla. In particolare la difesa attorea si riferisce, quanto al primo, alle pronunce che affermano che "la s.c.i.a. in sanatoria, presentata ex art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001, si presta a rendere operanti le correlate prescrizioni di cui all'art. 19 e ss., legge n. 241 del 1990, in materia di silenzio assenso, dovendo essere ragionevolmente riconosciuto a tale segnalazione carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità dei fatti attestati e a produrre, con l'inutile decorso del tempo per l'emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una diversa volontà delle parti, ossia l'avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria... Di talché, non essendo intervenuto alcun motivato provvedimento inibitorio allo spirare del trentesimo giorno dalla segnalazione, il titolo in sanatoria deve essere considerato esistente...". (facendo riferimento a T.A.R. Campania, Salerno, 24.3.2022 n. 809; T.A.R. Campania, Napoli, 9.12.2019 n. 5789; T.A.R. Lazio, Roma, 9.1.2018 n. 156; T.A.R. Calabria 29.5.2019 n. 1085; Cons. Stato, Sez. V, 31.3.2014 n. 1534). Nel caso di specie, tale silenzio significativo si sarebbe formato in quanto il Comune di (omissis), a seguito della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria in data 8.7.2023, ha chiesto tempestivamente alla ricorrente, in data 7.8.2023, prima della scadenza del termine di 30 giorni, chiarimenti e determinata documentazione e, ottenute, in data 6.9.2023, le precisazioni richieste, l'Amministrazione comunale si è pronunciata con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dal ricevimento delle integrazioni e, pertanto, quando il titolo edilizio in sanatoria sarebbe ormai venuto ad esistenza. Parte attrice da atto che un diverso orientamento qualifica la fattispecie come silenzio rigetto (facendo riferimento a T.A.R. Lombardia, Milano, 21.3.2017 n. 676) o come silenzio inadempimento (in riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20.2.2023 n. 1708), ma ne contesta il fondamento poiché la prima declinazione ermeneutica replicherebbe la disciplina dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, precisando che nelle relative sentenze si farebbe riferimento anche al termine di 60 giorni previsto dall'art. 36, comma 3, quando, invece, il legislatore avrebbe tenuto ben distinte le fattispecie, prevedendo: - la disciplina dell'art. 36 per i casi di "interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio di attività nelle sole ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformità da essa"; - la disciplina di cui all'art. 37 per la diversa fattispecie riguardante "la realizzazione di interventi di cui all'art. 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla s.c.i.a.", senza operare alcun riferimento, neppure indirettamente, all'art. 36 né prevedere che il mancato, tempestivo, pronunciamento della Amministrazione sia da qualificarsi come silenzio rigetto. Quanto alla seconda declinazione interpretativa dell'orientamento in disamina, la difesa attorea sottolinea che sarebbe stato affermato (in riferimento a Cons. Stato, n. 1708/2023 cit.) che "il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento" in considerazione del fatto che "dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio": sul punto la ricorrente sottolinea che nella impossibilità, sulla base di detta impostazione, di far riferimento, per il pronunciamento dell'Amministrazione comunale, ad alcun termine determinato - non al termine dell'art. 19 della L. n. 241/1990, la cui inosservanza comporterebbe il silenzio assenso, non al termine di cui all'art. 36, la cui inosservanza è qualificata come silenzio rigetto, e neppure al termine previsto in via generale dall'art. 2, comma 2, della L. n. 241/1990, atteso che, sulla base della giurisprudenza citata, 30 giorni non sarebbero sufficienti per accertare la duplice conformità urbanistica di un'opera abusiva - verrebbe a determinarsi una situazione di assoluta incertezza, non essendo dato comprendere quando possa configurarsi l'inadempimento, così da consentire all'interessato di attivarsi giudizialmente per contrastare l'inerzia della Amministrazione. Né tale tesi sarebbe percorribile, ad avviso del patrocinio attoreo, sulla scorta del fatto che, in caso di esito favorevole, il quantum della somma da corrispondersi a titolo di oblazione debba essere determinato dal responsabile del procedimento medesimo, poiché non sussisterebbe alcuna preclusione a che la somma dovuta venga determinata in un momento successivo alla formazione, per decorso del termine di 30 giorni, del titolo edilizio in sanatoria: tale tesi sarebbe ancora meno spendibile con riferimento al caso di specie, avuto riguardo alla normativa regionale di riferimento. La ricorrente fa riferimento all'art. 17, comma 3, della L. Reg. 21.10.2004 n. 23 laddove prevede per le nuove costruzioni il pagamento di un importo a titolo di oblazione predeterminato dalla stessa norma, commisurato "al contributo di costruzione in misura doppia ovvero, in caso di esonero, in misura pari a quella prevista dalla normativa regionale e comunale, e comunque per un ammontare non inferiore a 2.000 euro": pertanto, assume la difesa attorea, l'intervento del responsabile del procedimento, nel caso considerato, non sarebbe a rigore necessario e il modulo relativo alla s.c.i.a. in sanatoria prevede che l'importo della oblazione sia indicato dal privato e preventivamente versato. L'esponente contesta l'impostazione della decisione del Consiglio di Stato n. 1708/2023 laddove si legge, altresì, che il silenzio inadempimento è soluzione che "appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio", poiché la disciplina di cui all'art. 19 della L. n. 241/1990 non esclude una valutazione espressa della Amministrazione, prevedendo anzi, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti prescritti, l'adozione di "motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa". Inoltre, aggiunge parte attrice, la s.c.i.a. in sanatoria ha per oggetto opere di minore impatto e rilevanza, per le quali l'accertamento della doppia conformità rispetto alla disciplina urbanistico - edilizia può essere adeguatamente effettuato nel termine di 30 giorni previsto dalla legge, tenuto conto anche del fatto che il termine in questione è suscettibile di essere interrotto per chiarimenti e integrazioni, per poi, una volta ottenuto quanto richiesto, riprendere nuovamente il suo corso. In conclusione, la difesa attorea prospetta che la comunicazione di cui all'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, in quanto pervenuta oltre il termine di 30 giorni dall'inoltro delle integrazioni richieste dall'Amministrazione comunale, sarebbe da ritenersi, sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale che ritiene preferibile, priva di efficacia, come previsto anche dall'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 (in riferimento al comma 8-ter) che il Comune di (omissis), a dimostrazione della ritenuta applicabilità della norma in questione anche nel caso di specie, avrebbe richiamato espressamente in detta comunicazione: il titolo edilizio in sanatoria sarebbe, pertanto, venuto ad esistenza e l'inefficacia dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 si riverberebbe sulla ordinanza 27.10.2023 n. 80, determinandone l'illegittimità per vizio derivato ed anche per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, difettando il presupposto per ordinare il ripristino dello stato dei luoghi, costituito dalla abusività delle opere considerate. Nella memoria finale la difesa attorea aggiunge che la tesi volta ad escludere la possibile formazione del silenzio assenso sulla s.c.i.a. in sanatoria confliggerebbe anche con quanto previsto dal D.Lgs. 25.11.2016 n. 222 ("Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124") sottolineando che l'art. 2 del D.Lgs. citato sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990": la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" indica la "S.c.i.a. in sanatoria" prospettando, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria è da considerarsi soggetta al regime del silenzio assenso, secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Con il secondo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Violazione dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione degli artt. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. del Comune di (omissis). Eccesso di potere per travisamento. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" parte ricorrente ritiene che nel caso di specie sussista il presupposto della doppia conformità posto che, a differenza di quanto ritenuto dal Comune di (omissis), le opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023 sarebbero conformi alla disciplina urbanistico - edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia alla data di presentazione di detta segnalazione: precisa, infatti, che si tratterebbe della medesima disciplina, atteso che le opere di cui trattasi sono state realizzate nel maggio del 2019 e il vigente R.U.E. del Comune di (omissis) è stato approvato con delibera di C.C. 21.12.2011 n. 72. La determinazione del Comune sarebbe erronea nel ritenere non sanabili le opere ridette, adducendo "l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP" ed anche la "non applicabilità dell'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" poiché la s.c.i.a. in sanatoria di cui si discute riguarda la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina e delle relative strutture accessorie costituite dal locale tecnico ove sono alloggiati gli impianti della piscina, da uno spogliatoio in legno, da una tettoia a bordo piscina per la sosta e il riparo delle persone e dalla pavimentazione perimetrale alla piscina: le opere descritte - prospetta l'esponente - sarebbero state realizzate in stretta contiguità spaziale rispetto all'attiguo edificio abitativo (la piscina è posta di fronte a detto edificio, alla distanza di una ventina di metri), per il quale, con autorizzazione edilizia 7.1.2000 n. 47/99/A, è stato assentito il mutamento di destinazione d'uso da fabbricato rurale a edificio residenziale. A sostegno della pertinenzialità la ricorrente adduce che la Regione Emilia-Romagna, con nota 24.6.2020 n. PG/2020/463171 del Servizio giuridico del territorio, disciplina dell'edilizia, sicurezza e legalità (in actis al documento n. 8), ha precisato che costituisce pertinenza dell'edificio residenziale la piscina posta a servizio dell'edificio medesimo, "con dimensioni non superiori al 20% del volume dell'edificio principale, che non ha una potenziale autonoma utilizzazione economica" e, come si evincerebbe dalla relazione tecnica del Geom. Al. Be. del 5.12.2003 (in actis al documento n. 9), la piscina di cui trattasi ha un volume di 152 mc. inferiore al 20% del volume del fabbricato principale, pari a 1462,27 mc. (1462,27mc x 20% = 292,45 mc.). Inoltre, aggiunge la ricorrente, la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonoma utilizzazione economica, considerato che la stessa, come risulterebbe dalla relazione succitata, ha le dimensioni di una piscina ad uso privato destinata a soddisfare le esigenze delle persone residenti nell'edificio abitativo, risultando, altresì, strettamente connessa all'edificio medesimo non solo per la sua ubicazione, ma anche per il fatto che la piscina è dotata di impianti derivanti dalla abitazione ridetta, sia per l'adduzione idrica, sia per l'energia elettrica: la pertinenzialità sarebbe implicitamente - ad avviso della difesa attorea - riconosciuta dallo stesso Comune di (omissis) che nulla avrebbe eccepito in ordine al fatto che, per la sua sanatoria, sia stata presentata una s.c.i.a. Inoltre, sottolinea la esponente, il riferimento operato dal Comune di (omissis), con l'atto impugnato, alla assenza di titolo per intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E., non sarebbe corretto trattandosi di pertinenza di un edificio residenziale, e avrebbe, perciò, titolo per intervenire il proprietario dell'edificio medesimo, ancorché privo della qualifica di imprenditore agricolo. A sostegno della tesi, la ricorrente evidenzia che l'art. 4.1.3. del R.U.E. del Comune di (omissis) prevede la possibilità di ottenere il mutamento di destinazione d'uso degli edifici rurali in edifici residenziali, così che, una volta assentito detto mutamento, deve ritenersi consentita, per il proprietario, la realizzazione di opere pertinenziali dell'edificio principale: questa prospettazione sarebbe confermata dalla giurisprudenza, essendosi ritenuta legittima la realizzazione, in ragione del riconosciuto carattere pertinenziale, di una piscina di dimensioni contenute a corredo di un edificio a destinazione residenziale sito in zona agricola (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. V, 16.4.2014 n. 1951; idem, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Puglia, Lecce, 1.6.2018 n. 931; idem, 14.1.2019 n. 40; T.A.R. Liguria 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Sicilia, Palermo, 13.2.2015 n. 441). Sarebbero, così, suscettibili di sanatoria anche il locale tecnico, lo spogliatoio in legno, la tettoia e la pavimentazione perimetrale, trattandosi di elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina (citando con riferimento al locale tecnico, Cons. Stato, n. 1951/2014), insuscettibili, per le loro dimensioni contenute, di alterare in modo significativo l'assetto del territorio. Quanto al fatto che il Comune di (omissis), con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, ha addotto altresì, che, nel caso di specie, non sarebbe applicabile l'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. "in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" la difesa attorea ne contesta l'assunto in quanto la disposizione medesima disciplinerebbe l'ampliamento delle unità edilizie abitative e delle superfici accessorie esistenti, senza escludere la possibilità di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: nel caso in esame, detto limite, come sarebbe evidenziato nella relazione sopra del Geom. Be., sarebbe stato rispettato anche considerando i locali accessori (spogliatoio e locale tecnico), mentre la tettoia non sarebbe computabile a fini volumetrici, essendo aperta su tutti i lati. Aggiunge l'esponente che il locale spogliatoio e il locale tecnico hanno, rispettivamente, una volumetria di 17,78 mc. e di 27 mc. che sommata al volume della piscina (152 mc.) porta ad una volumetria complessiva di 196,78 mc., inferiore al 20% del volume del fabbricato principale (292,45 mc.) concludendo che le opere oggetto di sanatoria sarebbero da considerarsi conformi alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento e, così, suscettibili di sanatoria. Con il terzo motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23, nonchè per eccesso di potere per travisamento sotto altro profilo" la ricorrente lamenta che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha disposto la demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", ma la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, per alcune difformità riguardanti l'edificio principale e anche la recinzione anzidetta: su tale s.c.i.a. l'Amministrazione comunale non si sarebbe ancora pronunciata, avendo chiesto integrazioni, da ultimo, con nota 26.9.2023 prot. n. 12395, alla quale ha fatto seguito, in data 26.10.2023, la trasmissione delle integrazioni richieste; anche in tale caso si sarebbe formato il silenzio assenso, dovendosi, così, escludere la possibilità di ordinare la demolizione dell'opera medesima. Inoltre, l'ordinanza 27.10.2023 n. 80 oggetto di gravame sarebbe da considerarsi illegittima anche nell'ipotesi in cui il procedimento di sanatoria dovesse considerarsi ancora pendente poiché per giurisprudenza consolidata - prospetta la difesa attorea - è "illegittima l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive emessa in pendenza della già avvenuta presentazione di una domanda in sanatoria; questo in quanto nelle more della definizione di tali domande i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi" (citando Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.2021 n. 7448). I Con il quarto motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione e falsa applicazione dell'art. 30 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380 e dell'art. 12 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Eccesso di potere sotto i profili della illogicità e del travisamento sotto ulteriore profilo" evidenzia l'esponente che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha contestato anche una "difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis)", la quale nel caso di specie non sussisterebbe. La difesa attorea sottolinea che la lottizzazione c.d. "cartolare", come espressamente sancito dall'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 12 della L. Reg. n. 23/2004, è ravvisabile allorquando la trasformazione del suolo sia predisposta "mediante il frazionamento e la vendita, ovvero mediante atti negoziali equivalenti, del terreno frazionato in lotti", i quali, per le loro oggettive caratteristiche - con riguardo soprattutto alla dimensione correlata alla natura dei terreni ed alla destinazione degli appezzamenti considerata sulla base degli strumenti urbanistici, al numero, all'ubicazione o all'eventuale previsione di opere di urbanizzazione - rivelino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio degli atti adottati dalle parti (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3215, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4429, Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937). Nel caso di specie, precisa il patrocinio della ricorrente, mancherebbe il presupposto fondamentale per la sussistenza di una lottizzazione "cartolare", atteso che al frazionamento dell'originario mappale n. (omissis) non ha fatto seguito alcuna vendita del terreno frazionato, vendita che non sarebbe configurabile, considerato che la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonomo sfruttamento economico: il frazionamento di cui trattasi è stato effettuato in data 16.5.2023, dandone comunicazione anche al Comune di (omissis) (con riferimento al documento n. 13 in actis), in funzione della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria riguardante la piscina, al fine di distinguere catastalmente la piscina medesima dalla restante area di proprietà, in cui era presente un magazzino, anch'esso realizzato in assenza di titolo edilizio, per il quale è stata presentata dalla ricorrente, in data 7.7.2023, prot. n. 8752, una c.i.l.a. ai fini della sua demolizione. Pertanto, conclude sul punto l'esponente, ancorché l'Amministrazione comunale, con l'atto impugnato, pare essersi riferita esclusivamente alla lottizzazione c.d. "cartolare", sarebbe da escludersi che possano configurarsi anche la lottizzazione "materiale" e la lottizzazione c.d. mista, caratterizzata, quest'ultima, dalla compresenza delle attività negoziali e delle attività materiali volte alla edificazione del terreno dovendosi, in base alla giurisprudenza, considerare che la fattispecie lottizzatoria nella veste "materiale" implica la realizzazione di "opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest'ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori; siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all'amministrazione" (citando Cons. stato, Sez. VI, 4.11.2019 n. 7530): deve, pertanto, trattarsi di una radicale trasformazione del suolo a fini edificatori che non può riscontrarsi, a prescindere dalla dimostrata legittimità dell'intervento, nella realizzazione di una piscina a servizio di un edificio residenziale in zona agricola, non comportando tale opera, tra l'altro, alcun aggravio del carico urbanistico (rinviando a Cons. Stato, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142). Il Comune resistente precisa in fatto che la ricorrente è proprietaria di un complesso immobiliare sito in via (omissis) a (omissis) (RE), che consta di un'abitazione principale (già fabbricato rurale, oggi edificio residenziale) e di un'ampia porzione di terreno agricolo, compendio su cui - nel corso degli anni - sono stati fatti diversi interventi di trasformazione edilizia in assenza di valido titolo. In particolare, in data 28.04.2023 la ricorrente depositava presso il Comune di (omissis) la comunicazione di avvenuto frazionamento dell'ex mappale (omissis) nei nuovi mappali (omissis) e (omissis), frazionamento che era stato presentato all'Agenzia delle Entrate - Ufficio Provinciale di Reggio Emilia - in data 18.04.2023; sul mappale (omissis), secondo la difesa dell'Ente, sono stati commessi svariati abusi edilizi, che - di fatto - lo caratterizzano in modo del tutto differente rispetto al mappale (omissis), sul quale pure sono stati commessi abusi edilizi che la ricorrente ha dichiarato di voler demolire con CILA presentata al Comune in data 08.07.2023, prot. n. 8752, ripristinando in tal modo l'originaria connotazione agricola del terreno (con riferimento ai documenti nn 3, 4, 5, 6, 7 e 8 in actis). Inoltre, prosegue l'Amministrazione, al fine di sanare le opere abusive non rimosse con la CILA di cui sopra, la ricorrente presentava al Comune due distinte pratiche di Segnalazione Certificata di Inizio Attività : la n. 2023/029/S, acquisita con prot. n. 5985 del 12.05.2023, relativa alla sanatoria di opere eseguite su edificio residenziale e sulla recinzione esterna dell'area cortiliva (immobile identificato catastalmente al foglio 20, mappale 205) e la n. 2023/041/S, acquisita con prot. n. 8753 del 08.07.2023, relativa alla sanatoria di una piscina - di oltre 112 mq. di superficie - e di manufatti annessi (su terreno agricolo, identificato catastalmente al foglio 20, mappale (omissis)). Quindi, sottolinea l'Amministrazione, emerge che le opere realizzate sul mappale (omissis) (piscina, tettoia, pavimentazione, locali tecnici, spogliatoio, recinzioni perimetrali alla piscina) sono dalla ricorrente medesima qualificate come "pertinenze" dell'edificio residenziale di cui al mappale 205, ma non sono state inserite nella stessa comunicazione di SCIA in sanatoria. Il Comune resistente aggiunge che dalla relazione fotografica e dagli elaborati grafici allegati alla SCIA prot. 8753, peraltro, si evince che gli interventi abusivamente realizzati sul mappale (omissis) hanno determinato la creazione di un autonomo lotto, con piscina e locali accessori, oltre ad una tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo (di oltre 35 mq. di superficie coperta), lotto del tutto indipendente rispetto all'abitazione principale, al punto che da questa è separata da due cancelli e da uno stradello carrabile (rinviando ai documenti nn. 20 e 21 in actis): ciò comporterebbe che gli abusi edilizi e i frazionamenti dei mappali catastali hanno determinato la creazione di tre distinti lotti all'interno della proprietà della ricorrente, tutti serviti da uno stradello privato interno: uno con abitazione a area cortiliva di pertinenza, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale 205), uno con piscina, zona relax, tettoia con zona pranzo-cucina e locali accessori, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale (omissis)) ed uno che - a seguito della demolizione dei fabbricati abusivi che vi insistono - riacquisterà la sua originaria natura di terreno agricolo (mappale (omissis)). Inoltre, le due SCIA menzionate hanno avuto una sorte tra loro differente: - la n. 2023/029/S, prot. n. 5985, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale 205, dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata accettata dal Comune con atto prot. n. 602/2024; - la n. 2023/041/S, prot. n. 8753, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale (omissis), dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata dichiarata inefficace dal Comune con atto prot. n. 13122 del 11.10.2023. Quest'ultima, oggetto di impugnazione, è stata dal Comune motivata con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti (rinviando all'estratto del PSC di cui al documento n. 25 ed all'estratto del RUE di cui al documento n. 26 in actis) per i seguenti motivi: - assenza di titolo ad intervenire in zona agricola, ai sensi dell'art. 4.1.1 e seguenti del RUE (in quanto intervento in zona agricola effettuato da non imprenditore agricolo - IAP); - per l'inapplicabilità dell'art. 4.1.3 comma 6 del RUE, in quanto l'intervento è stato eseguito su edificio non di recente costruzione e con ampliamento superiore ai 30 mq. di superficie (la sola tettoia sarebbe di 35,02 mq. con riferimento al documento n. 20 in actis). Con l'ordinanza impugnata il Comune ingiungeva di demolire le opere abusive, non sanabili perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (PSC e RUE) realizzate in assenza di valido titolo edilizio sul mappale (omissis), e di ripristinare lo stato dei luoghi, con precisa identificazione delle opere da demolire: piscina, spogliatoio-wc, locale tecnico, tettoia, muri perimetrali, pavimentazione esterna e recinzioni sul lato ovest, sud ed est. Sul primo motivo l'Amministrazione precisa che le tesi della ricorrente non sono condivise dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha invece affermato essere necessario un espresso pronunciamento del Comune sulla SCIA in sanatoria: "... il procedimento (relativo alla sanatoria di abusi edilizi tramite SCIA, n. d.r.) può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento. Innanzitutto, infatti, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento... Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio" (citando Cons. Stato, sez. II, 20.02.2023, n. 1708 e per una puntuale ricostruzione dell'istituto della SCIA in sanatoria riferendosi a T.A.R. Lazio Roma, sez. II-quater, 07.12.2023, n. 18386): di conseguenza, sottolinea la resistente, il procedimento avviato dalla ricorrente con la SCIA prot. n. 8753/2023 è stato correttamente concluso dal Comune con la comunicazione di inefficacia della SCIA stessa (prot. n. 13122, del 11.10.2023), atto motivato con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti. Sul secondo motivo, il Comune precisa che la nota della Regione citata dalla ricorrente si riferisce al quantum del contributo e non al concetto di pertinenzialità e che la declaratoria di inefficacia della SCIA impugnata è corretta in quanto non sussiste nel caso di specie la consistenza della misura inferiore ai 30 mq sostanziandosi l'intervento in un'opera che non sarebbe sanabile nemmeno da un imprenditore agricolo; la pertinenzialità sarebbe esclusa in quanto si tratta di un opera non contenuta ma di una piscina di 112 mq, e ai fini IMU (l'art. 1, comma 741, lett. b) della L. n. 160/2019 individua le pertinenze dell'abitazione principale nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7), e le piscine, che sono da ricomprendere ai sensi delle descrizioni contenute nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 5 del 14.03.1992 "Revisione generale della qualificazione della classificazione e del classamento del N.C.E.U." nella categoria C/4 (Fabbricati e locali per esercizi sportivi), sono escluse dal concetto di pertinenza. Inoltre, sottolinea l'Amministrazione, la giurisprudenza citata dalla ricorrente, al fine di affermare la pertinenzialità della piscina rispetto all'edificio principale, ha comunque quale presupposto per l'applicazione del regime di SCIA la circostanza che la piscina stessa sia costituita da un elemento prefabbricato e non determini modifiche al territorio, circostanze che non ricorrono nel caso de quo. Di conseguenza, controdeduce sul punto l'Amministrazione, risulterebbe irrilevante la tesi sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: non si tratterebbe di una questione di limite percentuale, ma è la natura stessa delle opere abusive che non ne consentirebbe la sanatoria tramite SCIA. Infine, conclude il Comune, l'argomento relativo all'implicito riconoscimento della piscina quale pertinenza dell'abitazione da parte del Comune stesso, che nulla avrebbe eccepito in ordine alla sanatoria dell'abuso tramite SCIA, non terrebbe conto del tenore della "comunicazione di inefficacia" della SCIA stessa, che - attraverso il richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE - implicitamente affermerebbe che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, avrebbero potuto essere realizzate solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Sul terzo motivo di ricorso il Comune di (omissis) precisa che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, Prot. n. 5985 e ciò sarebbe agevolmente rilevabile dalla tavola di raffronto tra la porzione di recinzione sanata con la SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985, segnata in viola, e la porzione di recinzione - non sanata - oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 80/2023, segnata in giallo (con riferimento al documento n. 28 in actis): sarebbero secondo la resistente, pertanto, irrilevanti le argomentazioni del ricorso relative alla "pendenza" del procedimento SCIA n. 2023/029/S poiché la eventuale pendenza del medesimo non rileverebbe, avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Sul quarto motivo di ricorso l'Amministrazione sottolinea che il frazionamento di più opere abusive censurate in via sostanziale integrerebbe una fattispecie di lottizzazione abusiva mista rinviando alla pronuncia del T.A.R. Sardegna, Sez. II, 20.03.2023, n. 194, che la descrive come categoria dogmatica "... caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dall'art. art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nell'attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso...": nel caso in esame, conclude sul punto l'Amministrazione, è stato accertato un disegno unitario, con un rilevante impatto negativo sul territorio rurale, con aggravio del relativo carico urbanistico e con pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita al Comune a garanzia del corretto uso del territorio deponendo per la correttezza della qualificazione della fattispecie come "lottizzazione abusiva". Illustrate brevemente le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che le questioni poste dalla ricorrente sugli effetti del decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in sanatoria non siano rilevanti nel caso de quo in quanto la fattispecie concreta non rientra in tale istituto di semplificazione in base ad un consolidato principio espresso dalla giurisprudenza in materia. Va premesso che l'art. 2 del D.Lgs. n. 222 del 2016, richiamato dal ricorrente, sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990", prevedendo la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" il richiamo alla "S.c.i.a. in sanatoria"; in ragione di ciò prospetta, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria sarebbe da considerarsi soggetta al regime del "silenzio assenso", secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Sul punto il Collegio rileva che il citato n. 41 della tabella A, Sez. II, si riferisce alla s.c.i.a. in sanatoria per interventi realizzati in assenza di s.c.i.a. o in difformità da essa, mentre nel caso concreto, si tratta, come sarà approfondito nel prosieguo della presente decisione, di attività esclusa dai procedimenti semplificati: la costruzione delle opere di cui è causa avrebbe necessitato il permesso di costruire e non la s.c.i.a e, perciò, nel caso di specie, è assente il presupposto stesso - previsto dalla norma - per l'applicazione della disposizione invocata con la conseguenza che alla declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. impugnata non è applicabile il regime amministrativo previsto dall'art. 19 della Legge n. 241 del 1990. Il Collegio, sul punto richiama la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 1055 del 10 aprile 2024 laddove precisa in via generale che dalla necessaria applicazione dell'istituto del permesso di costruire alla fattispecie concreta "deriva l'inapplicabilità dell'art. 19 della legge 241/1990: "L'errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della d.i.a. (oggi SCIA) poiché frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest'ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un'eventuale responsabilità amministrativa, non già la sanatoria della d.i.a. mancante di un requisito essenziale; di conseguenza, il provvedimento con cui l'Amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante d.i.a., occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all'attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento" (cfr.: T.a.r. Puglia Bari, sez. II, 20.02.2017 n. 147)". In particolare, sulla s.c.i.a. in sanatoria, la sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, n. 809 del 24 marzo 2022, ritiene che non è ricollegabile portata infirmante all'inosservanza del termine di 30 giorni ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990 quando le opere abusive esulano dal perimetro del regime abilitativo della SCIA, essendo subordinate al previo rilascio del permesso di costruire: la pronuncia precisa che a tale premessa consegue "l'assenza di effetti legittimanti ricollegabili alla SCIA in sanatoria prot. n. 67995 del 21 novembre 2019, la quale, dacché formata al di fuori del corrispondente modello legale tipico (stante l'assoggettamento dell'opera eseguita ad un più rigoroso regime abilitativo), era da considerarsi 'tamquam non esset', così da giustificare l'impugnata determinazione reiettiva senza l'operatività della preclusione temporale ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990". Quanto alla sussistenza nel caso concreto della necessità del permesso di costruire anziché dell'applicabilità degli istituti di semplificazione, vanno considerati sia gli aspetti definitori del concetto di pertinenzialità rilevante in materia sia l'orientamento ermeneutico sulla qualificazione della specifica opera abusiva, nonché la concreta consistenza dell'intervento edilizio di cui è causa. Sul concetto generale di pertinenzialità il Collegio rinvia a quanto precisato dal T.A.R. Lazio, Sez II Stralcio, n. 7463 del 16 aprile 2024, in adesione al pacifico orientamento giurisprudenziale che "assegna al concetto di "pertinenza", in campo urbanistico-edilizio, un significato più ristretto e meno ampio rispetto alla definizione civilistica di cui all'art. 817 c.c., essendo configurabili come tali "solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscono la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico, e dovendosi altresì tener conto, oltre che della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche della consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essendo il vincolo pertinenziale caratterizzato oltre che dal nesso funzionale, anche dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa" (cfr. ex multis T.A.R. Lazio, Sez. II S, 17 novembre 2023, n. 17168; T.A.R Lazio, II quater, 21 novembre 2022, n. 15371; id., 12 luglio 2022, n. 9594; 26 aprile 2021, n. 4824)". In particolare, sulle piscine l'esegesi cui intende aderire il Collegio ritiene che l'opera interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell'edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio che comporta e della non necessaria complementarità all'uso delle abitazioni poiché non riveste un'obiettiva funzione di migliore utilizzazione della res principalis, tale che in sua assenza risulterebbero impedite o sacrificate talune delle materiali possibilità di sfruttamento o godimento di quest'ultima (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, n. 993 del 24.10.2022; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 9.9.2020, n. 3730; T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, n. 800 del 30.09.2021). In coerenza con tale indirizzo interpretativo, si è di recente rilevato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 02/01/2024, n. 44) che la piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata e perciò configura una nuova costruzione, non potendo essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, atteso che, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di divertimento; in effetti, la realizzazione della piscina comporta una "durevole trasformazione del territorio" e, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede, sì che non può coincidere con la relativa nozione civilistica di pertinenza, nel presupposto che la nozione di pertinenza urbanistica è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, viceversa tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione. Nel caso di specie, una piscina di oltre 112 mq. di superficie, assistita da opere ulteriori (locali accessori e tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo di oltre 35 mq. di superficie coperta), non può essere definita come "di dimensioni contenute" incidendo, pertanto, significativamente sulla trasformazione del territorio e non riveste il carattere di intrinseca funzionalità rispetto alla res principalis sopra delineato; nel provvedimento impugnato di declaratoria di inefficacia della s.c.i.a., infatti, emerge, attraverso il riferimento all'istruttoria svolta in contraddittorio endoprocedimentale ed al richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE, sia che le opere costituiscono un ampliamento superiore ai 30 mq di SU in edificio di non recente costruzione sia che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, si sarebbero potute realizzare solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Di conseguenza, risulta inconferente la tesi attorea sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale, in quanto difetta nel caso concreto la natura stessa di opera pertinenziale. Infine, la nota della Regione Emilia-Romagna invocata a sostegno della pertinenzialità della piscina è chiaramente rivolta alla definizione della medesima esclusivamente ai fini del pagamento e alla qualificazione del contributo di costruzione e, pertanto, la relativa portata interpretativa è confinata in tale ambito: nella nota medesima, infatti, si chiarisce che la natura pertinenziale di una piscina di volume inferiore al 20% dell'abitazione principale rileva al fine di considerarla quale Superficie accessoria che non richiede il versamento della quota degli oneri di urbanizzazione (U1 e U2) ma è soggetta al solo versamento della quota relativa al costo di costruzione (QCC) da calcolarsi non sulla classificazione catastale, bensì, in relazione alla tipologia OMI, formulando un chiarimento di connotazione sostanzialmente tecnico-economica ai fini dell'imposizione della prestazione patrimoniale imposta, che risponde a presupposti diversi da quelli rilevanti nella presente sede. Quanto, poi, al locale tecnico, allo spogliatoio in legno, alla tettoia e alla pavimentazione perimetrale, che la stessa ricorrente qualifica come elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina, vale il consolidato orientamento per cui la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 11/03/2024, n. 2321). Pertanto, al regime edilizio della piscina, necessitante di un permesso di costruire, si associano evidentemente le altre opere alla stessa collegate. Sul terzo motivo di ricorso, relativo all'ordine di demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", proposto in base all'assunto attoreo secondo il quale la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, il Collegio ritiene che l'Amministrazione abbia ampiamente chiarito, con precisazioni sulle quali la difesa attorea non ha ulteriormente coltivato il motivo in disamina, che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985: pertanto, la eventuale "pendenza" di quest'ultima è irrilevante nel presente giudizio avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Il Collegio, infine, ritiene che l'esame dell'ultima doglianza possa dichiararsi assorbito in considerazione della dirimente questione esaminata, relativa all'inconfigurabilità della consistenza pertinenziale delle opere de quibus quale elemento fondante della declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente e di per sé idoneo a sorreggere il conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi. Il Collegio ritiene che, in considerazione della peculiarità della materia, le spese di lite possano essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1554 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da Impresa Individuale "Ma. An.", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Br., Al. La Gl., Va. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio En. Bo. in Napoli, via (...); contro Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Be. Dell'I. (avvocatura regionale), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Vi. D'A. ed altri, Azienda Agricola De Ma. S.r.l. - Società Agricola ed altre, non costituiti in giudizio; La Fo. Società Agricola S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ro. Ma., Gi. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento A)per quanto riguarda il ricorso introduttivo: a) del decreto dirigenziale della Regione Campania n. 21 del 27.1.2021, pubblicato sul B.U.R.C. n. 11 dell'1.2.2021, con il quale è stata approvata la Graduatoria Unica Regionale Definitiva del "Programma di Sviluppo Rurale Campania 2014-2020. Misure non connesse alla superficie e/o animali. Misura 5 - Tipologia di intervento 5.1.1. Azione A "Riduzione dei danni da avversità atmosferiche sulle colture e del rischio di erosione in ambito aziendale", nella parte in cui la domanda di sostegno presentata dalla ricorrente è stata graduata al 14° posto complessivo e ricompresa nell'elenco delle "domande ammissibili ma non finanziabili per esaurimento della dotazione finanziaria del bando", con il punteggio complessivo di 54 punti; b) del verbale dell'U.O.D. Servizio Territoriale Provinciale di Avellino della Giunta Regionale della Campania del 21.11.2019, a firma del Tecnico Istruttore che ha esaminato la domanda di sostegno presentata dalla ricorrente, contenente la "proposta" di attribuzione del punteggio, rilasciato in sede di accesso agli atti, nonché, ove e per quanto occorra, anche della nota di trasmissione dello stesso Ufficio prot. n. 0185673 del 7.4.2020; c) dell'atto dell'Autorità di Gestione - Regione Campania (prot.AGEA.ASR.2019.1760177 del 25.11.2019), contenente la "check list istruttoria della domanda di sostegno" presentata dalla ricorrente, rilasciato in sede di accesso agli atti; d) di ogni altro provvedimento e/o verbale assunto dall'Autorità di Gestione - Regione Campania, con i quali si sarebbe provveduto all'attribuzione del punteggio alla domanda di sostegno presentata dalla ricorrente, nonché di tutta l'eventuale e ulteriore documentazione che fosse stata posta a fondamento della decisione di non assegnarle l'ulteriore punteggio di 15 punti per il sub-criterio di selezione di cui all'articolo 11 del bando di attuazione (ad oggetto la "superficie aziendale a rischio rispetto alla SAU aziendale (la SAU è rilevata dal fascicolo aziendale)", atti non conosciuti, con espressa riserva di motivi aggiunti; e) di ogni altro provvedimento regionale che sia, eventualmente, intervenuto dopo la pubblicazione del bando di attuazione del 2019 e che abbia fissato una nuova, diversa e più stringente modalità di attribuzione del punteggio per il sub-criterio di selezione in oggetto, atto non conosciuto, con espressa riserva di motivi aggiunti; f) di ogni altro atto istruttorio che sia stato, comunque, assunto nel corso dell'esame e della valutazione della domanda di sostegno presentata dalla ricorrente, atto non conosciuto, con espressa riserva di motivi aggiunti; g) ove e per quanto occorra, della nota dell'U.O.D. Servizio Territoriale Provinciale di Avellino della Giunta Regionale della Campania prot. n. 0157567 dell'11.3.2020, di parziale riscontro all'istanza di accesso agli atti presentata dalla ricorrente; h) ove e per quanto occorra, del decreto dirigenziale della Regione Campania n. 11 del 31.1.2020, con il quale è stata approvata la Graduatoria Provinciale Provvisoria delle domande di sostegno per la Provincia di Avellino; i) ove e per quanto occorra, del bando di attuazione della tipologia di intervento 5.1.1. - Azione A e dei relativi allegati, approvato con decreto dirigenziale della Regione Campania n. 29 del 4.3.2019, poi rettificato e integrato con successivo decreto dirigenziale n. 35 del 6.3.2019, nella parte in cui, all'articolo 11, dovesse eventualmente essere letto e/o interpretato nel senso che il punteggio di 15 punti, ivi previsto per il sub-criterio di selezione (ad oggetto la "superficie aziendale a rischio rispetto alla SAU aziendale (la SAU è rilevata dal fascicolo aziendale)" avrebbe potuto essere attribuito soltanto alle domande di sostegno che avessero proposto opere e/o interventi specificamente finalizzati alla "riduzione dei danni da grandine sulle produzioni agrarie"; j) di tutti gli atti presupposti, connessi, collegati e conseguenziali; nonché per l'accertamento del diritto della ricorrente a vedere la sua domanda di sostegno classificata al 6° posto complessivo della graduatoria regionale e ricompresa nell'elenco delle "domande ammissibili e finanziabili", con il punteggio complessivo corretto di 69 punti; B) Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 16/7/2021: 1) del decreto dirigenziale n. 170 del 17.5.2021, assunto dalla Direzione Generale per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali della Giunta Regionale della Campania - Settore Territoriale Provinciale di Avellino, pubblicato sul B.U.R.C. n. 51 del 24.5.2021, con il quale sono stati rettificati gli elenchi già allegati al precedente D.D. n. 21 del 27.1.2021 e, segnatamente, l'elenco regionale definitivo delle "domande ammissibili e finanziabili" (allegato 1), l'elenco regionale definitivo delle "domande ammissibili e non finanziabili per esaurimento della dotazione finanziaria del bando" (allegato 2), l'elenco regionale definitivo delle "domande non ammissibili a valutazione" (allegato 3) e l'elenco regionale definitivo delle "domande non ammissibili per mancato raggiungimento punteggio minimo" (allegato 4), nella parte in cui la domanda di sostegno presentata dalla ricorrente è stata, ora, graduata all'11° posto complessivo e ricompresa nell'elenco delle "domande ammissibili e non finanziabili per esaurimento della dotazione finanziaria del bando" (allegato 2), sempre con il punteggio di 54 punti; 2) dell'elenco delle "domande ammissibili e non finanziabili per esaurimento della dotazione finanziaria del bando" (allegato 2), nella parte in cui la domanda di sostegno dell'azienda "La Ru. - Società agricola semplice" è stata classificata al 3° posto con il punteggio complessivo di 74 punti; 3) dei provvedimenti e dei verbali assunti dall'Autorità di Gestione - Regione Campania, con i quali, anche in sede di riesame, la domanda di sostegno dell'azienda "La Ru. - Società agricola semplice" è stata valutata ammissibile e finanziabile, invece che essere esclusa ovvero giudicata non ammissibile a valutazione; 4) di ogni altro atto istruttorio che sia stato, comunque, assunto nel corso dell'esame e della valutazione della domanda di sostegno presentata dall'azienda "La Ru. - Società agricola semplice"; 5) dell'elenco delle "domande ammissibili e non finanziabili per esaurimento della dotazione finanziaria del bando" (allegato 2), nella parte in cui la domanda di sostegno dell'azienda "Fu. Ma." è stata classificata al 5° posto con il punteggio complessivo di 68 punti; 6) dei provvedimenti e dei verbali assunti dall'Autorità di Gestione - Regione Campania, con i quali, anche in sede di riesame, la domanda di sostegno dell'azienda "Fu. Ma." è stata valutata ammissibile e finanziabile, invece che essere esclusa ovvero non ammissibile a valutazione; 7) di ogni altro atto istruttorio che sia stato, comunque, assunto nel corso dell'esame e della valutazione della domanda di sostegno presentata dall'azienda "Fu. Ma."; 8) ove e per quanto occorra, delle note dirigenziali prot. n. 2021.0157706 del 23.3.2021 e prot. n. 2021.018806 del 2.4.2021, con le quali è stata disposta e comunicata l'attività di verifica della regolarità di attribuzione del punteggio delle domande di sostegno, richiamate nell'anzidetto decreto dirigenziale regionale n. 170/2021; 9) ove e per quanto occorra, della proposta di rettifica della Graduatoria Unica Regionale Definitiva (già approvata con D.D. n. 21 del 27.1.2021) di cui alla nota dirigenziale prot. n. 2021.0256803 del 12.5.2021. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Vista l'ordinanza cautelare n. 830 del 29.4.2021; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania e de La Fo. Società Agricola S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2024 la dott.ssa Maria Barbara Cavallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Con ricorso notificato il 30.3.2021 l'impresa "Ma. An." (in seguito: l'Impresa An.) ha impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe, contestando l'attribuzione di un punteggio errato e non utile per l'ammissione nella graduatoria dei progetti finanziabili in relazione alla tipologia di bando regionale al quale ha partecipato. Espone di aver presentato la domanda di sostegno per la misura/tipologia di intervento 5.1.1. del P.S.R. Campania 2014-2020 (che ha acquisito il numero 94250097212 e il protocollo AGEA.ASR.2019.0395283 del 6.5.2019), con la quale ha chiesto un contributo complessivamente pari ad Euro 214.561,48. Il riferimento è al bando Azione A (e relativi allegati) avente ad oggetto "riduzione dei danni da avversità atmosferiche sulle colture e del rischio di erosione in ambito aziendale", poi rettificato e integrato con successivo decreto dirigenziale n. 35 del 6.3.2019. L'art. 5 del bando prevede che la tipologia di intervento sostiene la realizzazione di investimenti aziendali destinati alla: - riduzione dei danni da grandine sulle produzioni agrarie attraverso il finanziamento di interventi aziendali tesi a dotare le aziende di impianti di rete antigrandine; - prevenzione del rischio di dissesto idrogeologico del suolo attraverso il finanziamento di opere di ingegneria naturalistica (quali ad esempio: viminate, fascinate, palizzate, ecc.) e/o canali di scolo, tese alla prevenzione del rischio di erosione e dissesti localizzati, che potrebbero verificarsi a seguito di avversità atmosferiche". La domanda della ricorrente è stata valutata come ammissibile e inserita nella graduatoria provinciale provvisoria per la Provincia di Avellino approvata con decreto dirigenziale della Regione Campania n. 11 del 31.1.2020, con punteggio di 54 punti e non già dei 69 punti ipotizzati, in quanto non sono stati attribuiti i 15 punti relativo all'obiettivo B "prevenzione dei danni da grandine sulle produzioni agrarie" IC21955, in quanto la regione ha ritenuto che nel progetto di investimento non è previsto nessun intervento che giustifica l'attribuzione di tale punteggio. Pertanto, tale domanda non è rientrata nell'ambito delle domande finanziabili, ma è stata, invece, classificata al 14° posto complessivo della graduatoria regionale definitiva e ricompresa nell'elenco delle "domande ammissibili ma non finanziabili per esaurimento della dotazione finanziaria del bando"), laddove con il punteggio che ritiene di meritare si sarebbe classificata al sesto posto complessivo della graduatoria regionale definitiva (con 69 punti) e, quindi, la sua domanda sarebbe ampiamente rientrata tra quelle "ammissibili e finanziabili" (che, invero, sono in tutto pari a 10). 2. L'Impresa An. ha quindi impugnato i provvedimenti per i seguenti motivi. Con un primo ordine di censure, ritiene illegittima la mancata attribuzione dei 15 punti previsti per il criterio A2) di cui all'art. 11 del bando, in quanto, nell'ambito del più ampio criterio o principio di selezione del "maggior rischio", dovevano essere assegnati, in misura fissa e automatica, 15 punti per il sub-criterio in oggetto che era riferito al parametro generale della "superficie aziendale a rischio rispetto alla Sau aziendale (la Sau è rilevata dal fascicolo aziendale)" e corrispondeva all'ipotesi specifica della "SAU rischio/SAU aziendale totale > 30%". Il bando prevedeva che "per SAU aziendale a rischio si intende la somma delle SAU a vite, fruttiferi, floricole e ortive in campo pieno presenti in azienda", consentendo, in tal modo, di computare tutte le superfici colturali delle aziende agricole che avrebbero presentato la domanda di sostegno, e la ricorrente, avendo dimostrato che la superficie aziendale soggetta a rischio (e, cioè alle "avversità atmosferiche sulle colture", così come si legge all'art. 2, comma 1, del bando di attuazione) era superiore al 30% della superficie aziendale totale, avrebbe dovuto beneficiare in automatico del punteggio. Nel caso di specie, la superficie in questione era superiore al 65%, ma il punteggio non sarebbe stato attribuito dalla Regione in quanto l'azienda non avrebbe posto in essere alcun intervento per la riduzione dei danni da grandine, e ciò in quanto tale obbligo non era imposto dal bando (non vi era alcun obbligo per la ricorrente di presentare un progetto che, oltre alle opere di ingegneria naturalistica effettivamente proposte per la mitigazione del rischio idrogeologico e dell'erosione del suolo, comprendesse anche reti o impianti antigrandine). La ricorrente prospetta che il criterio del maggior rischio fosse ricollegabile soltanto alle caratteristiche intrinseche dei terreni e delle superfici aziendali dell'impresa agricola proponente a seconda di un minore o maggiore grado di rischio, sia ai fini del dissesto idrogeologico (sub-criterio A1), prendendosi in considerazione il parametro della "ubicazione della maggior parte della superficie aziendale oggetto di intervento" all'interno delle aree a rischio o pericolosità come classificate nei Piani per l'Assetto Idrogeologico (cd. PSAI), sia ai fini della prevenzione dei danni alle produzioni agricole (sub-criterio A2), prendendosi in considerazione, in tal caso, il parametro della "superficie aziendale a rischio rispetto alla SAU aziendale", come rilevata dal fascicolo aziendale dell'impresa. 3. Si è costituita la Regione Campania, insistendo per il rigetto del ricorso alla luce della corretta interpretazione da dare al bando. 4. Si è costituita La Fo. Società Agricola srl, in qualità di controinteressata, chiedendo il rigetto del ricorso. 5. Con ordinanza 830 del 2021 (non gravata in appello) questa Sezione ha respinto l'istanza di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati. 6. Con motivi aggiunti notificati il 16.7.2021, Impresa An. ha impugnato il decreto dirigenziale n. 170 del 17.5.2021, con il quale sono stati rettificati in autotutela gli elenchi già allegati al precedente D.D. n. 21 del 27.1.2021 nella parte in cui la domanda di sostegno presentata dalla ricorrente è stata, ora, graduata all'11° posto complessivo e ricompresa nell'elenco delle "domande ammissibili e non finanziabili per esaurimento della dotazione finanziaria del bando" (allegato 2), sempre con il punteggio di 54 punti. Oltre a proporre censure di illegittimità derivata, ha altresì impugnato tale elenco nella parte in cui la domanda di sostegno dell'azienda "La Ru. - Società agricola semplice" è stata classificata al 3° posto con il punteggio complessivo di 74 punti, invece che essere esclusa ovvero giudicata non ammissibile a valutazione e nella parte in cui la domanda di sostegno dell'azienda "Fu. Ma." è stata classificata al 5° posto con il punteggio complessivo di 68 punti, invece che essere esclusa ovvero non ammissibile a valutazione. Infatti, a seguito di una complessiva rivalutazione delle richieste di riesame, la graduatoria è stata riformulata, e sono state ammesse anche aziende in un primo tempo escluse, mentre altre lo sono state definitivamente. Impresa An. ha mantenuto il punteggio di 54 collocandosi all'11 posto della graduatoria, che ha sancito la finanziabilità delle prime otto imprese classificate. Per tale motivo, essa ha chiesto l'annullamento della graduatoria con riguardo a due domande di due imprese che la precedono, per essere prive dei requisiti di partecipazione, e precisamente: a)la domanda di sostegno dell'azienda "La Ru. - Società agricola semplice", per la quale la Regione Campania aveva inizialmente rilevato eccepito la mancanza del parere della competente Autorità di Bacino e, quindi, la non ammissibilità dell'istanza, che sarebbe stata riammessa illegittimamente in quanto il permesso di costruire - rilasciato dal Comune di (omissis) (BN) sul progetto esecutivo oggetto dell'istanza non è stato preceduto dall'acquisizione del preventivo parere dell'Autorità di Bacino dei Fiumi Liri Garigliano e Vo.; b)la domanda di sostegno dell'azienda "Fu. Ma.", per la quale la Regione Campania aveva eccepito una serie di gravi criticità e anomalie e, quindi, la non ammissibilità dell'istanza, che avrebbe dovuto rimanere esclusa dalla graduatoria e non poteva esservi riammessa, perché mancante del necessario parere dell'Ente Parco Regionale del (omissis), che non risulta acquisito; inoltre il progetto, alla data di presentazione della domanda di sostegno (3.5.2019) non era munito di tutte le necessarie autorizzazioni, pareri e nullaosta previsti dalla normativa vigente, in quanto la C.I.L.A. per gli interventi previsti è stata riconosciuta conforme dal Comune di (omissis) (BN) soltanto in data 7.8.2020 e, in ogni caso, in relazione a tale titolo edilizio, era stato tardivamente acquisito sia il parere della Soprintendenza che risulta, invero, datato 24.9.2019, sia l'autorizzazione paesaggistica comunale n. 01/2019 che risulta datata 3.10.2019 e, cioè, ben oltre la data di presentazione della domanda di sostegno e, quindi, ampiamente fuori termine, Poiché la dotazione finanziaria del bando di attuazione è pari all'importo complessivo di Euro 1.250.492,79 (art. 4 del bando: doc. n. 8 della produzione del 14.4.2021) e poiché, per effetto della esclusione delle due aziende "La Ru. - Società agricola semplice" e "Fu. Ma.", il nuovo importo complessivo ammesso a contributo, sempre per le prime otto domande di sostegno, sarebbe, invece, pari ad Euro 1.080.949,22, vi sarebbe ampiamente la capienza anche per finanziare l'intera domanda di sostegno della ricorrente, in quanto Euro 1.080.949,22 (che è la somma totale delle prime otto domande) + Euro 160.000,00 (che è l'importo della domanda dell'impresa "An. Ma.") arriverebbe a un totale di euro 1.240.949,22. 7. In vista del merito, la Regione, che aveva depositato una memoria in risposta ai motivi aggiunti di parte ricorrente, ha depositato un ulteriore atto difensivo. Anche il ricorrente ha depositato memoria di replica. 8. All'udienza del 7 maggio 2024, la causa è passata in decisione. 9. Il ricorso principale va respinto. Già con ordinanza cautelare n. 830/2021 questa Sezione aveva chiarito che la specifica ragione di non attribuzione del punteggio aggiuntivo richiesto (15 punti), con la conseguente collocazione tra le domande ammissibili ma non finanziabili, fosse la mancata presentazione di misure specifiche per la "riduzione dei danni da grandine". Tale motivazione del provvedimento regionale va considerata legittima, per effetto del raffronto tra Bando relativo alla Misura de quo (doc. 8 prod. ricorrente) e domanda presentata dalla impresa ricorrente (doc. 10 prod. ricorrente), posto che: a)il Bando della Misura 5, Tipologia di Intervento 5.1.1 azione A "Riduzione dei danni da avversità atmosferiche sulle colture e del rischio di erosione in ambito aziendale" (approvato con successivo DRD n. 29 del 04/03/2019) espressamente stabilisce (art. 2 - "Obiettivi e finalità ", pag. 3) che "gli investimenti previsti con l'azione A della presente tipologia d'intervento sono tesi alla: a) riduzione dei danni da grandine sulle produzioni agrarie attraverso il finanziamento di interventi aziendali tesi a dotare le aziende di impianti di reti antigrandine; b) prevenzione del rischio di dissesto idrogeologico del suolo rilevabili in ambito aziendale attraverso l'attivazione, nelle aree a rischio o pericolo idro-geologico elevato/molto elevato (...) di sistemazioni idraulico - agrarie, attuate con tecniche di ingegneria naturalistica (quali ad esempio: viminate, fascinate, palizzate etc.), tese alla prevenzione del rischio di erosione e dissesti localizzati"; b)il suddetto Bando, all'art. 8, stabilisce che le spese ammissibili al sostegno sono esclusivamente: i) reti antigrandine e relativi impianti; ii) opere di ingegneria naturalistica (quali, ad esempio, viminate, fascinate, palizzate) e/o le opere di canali di scolo; iii) spese generali, nei limiti dell'importo della spesa ammessa (es. onorari per tecnici e consulenti); c)in base all'art. 11 la valutazione dei progetti avviene secondo parametri di valutazione esposti in una griglia ancorata a quattro principi tra i quali il primo, quello del maggior rischio (che vale complessivamente 40 punti) è stato a sua volta suddiviso in due parti (A1 e A2) corrispondenti a due obiettivi (A1 -obiettivo a) prevenzione del dissesto idrogeologico; A2 obiettivo b) prevenzione dei danni sulle produzioni agrarie) che non sono in alcun modo alternativi tra loro, sicchè i richiedenti ben potevano presentare progetti di investimento che riguardassero ambedue le tipologie di "prevenzione"; d)nella domanda di partecipazione della impresa ricorrente, il "Quadro E - Piano degli interventi" (pag. 4) prevede una Sezione I dedicata ai " Dati dell'intervento", che corrisponde alla Azione per la quale è stata presentata la domanda ("Azione A: riduzione dei danni da avversità atmosferiche sulle colture e del rischio di erosione in ambito aziendale", corrispondente a una spesa complessiva con IVA di euro 261.765,00 e a un contributo totale richiesto di euro 171.649,19) e successivamente una Sezione II dedicata ai " Dati del sottointervento" che, per come è stata compilata dall'impresa ricorrente, ne comprende solamente due: un primo (pag. 4), con codice 0002, "prevenzione del rischio di dissesto idrogeologico del suolo", per una spesa con IVA pari a euro 237.968,22, e un contributo pari a 156.044,74; un secondo (pag. 5) con Codice 0003 - "spese generali", per una spesa con IVA pari a euro 23.796,78 e contributo richiesto pari a euro 15.604,45; e) nel Quadro F (Riepi Voci di Spesa Richieste) (pag. 7) il primo Sottointervento viene descritto come " costruzione, acquisizione, incluso il leasing, o miglioramento di beni immobili"; 9.1. Il Collegio ritiene che da quanto sopra illustrato emerga con assoluta chiarezza che gli obiettivi A1) e A2) relativi al primo criterio di selezione, sono stati sviluppati dalla Impresa attraverso misure di investimento relative al solo criterio A1 (prevenzione dissesto) ma non al criterio A2 (prevenzione danni), corrispondenti a loro volta rispettivamente il primo alle misure di tipo b) dell'art. 2 del bando stesso (sistemazioni idraulico - agrarie, attuate con tecniche di ingegneria naturalistica), il secondo alle misure di tipo a) dell'art. 2 (reti antigrandine), anche se, nella redazione della griglia, tali misure-obiettivo risultano invertite, presumibilmente per una svista dei redattori alla quale non può essere attribuita alcuna rilevanza, stante il tenore letterale inequivocabile dell'art. 2 del bando in relazione agli artt. 8 e 11. Pertanto, da un lato appare corretta la mancata attribuzione del punteggio massimo, pari a punti 15, di cui al criterio di selezione "Maggior rischio" A2), art. 11 del bando, rubricato "obiettivo b) prevenzione dei danni sulle produzioni agrarie", mancando la richiesta di un sottointervento avente ad oggetto specificamente le " reti antigrandine"; dall'altro, non è condivisibile la tesi di parte ricorrente, circa l'attribuzione di 15 punti in virtù del solo rapporto percentuale tra SAUrischio/SAU totale (che invece è un mero criterio di calcolo) - svincolando il sub criterio A2 dagli interventi finalizzati al perseguimento dell'obiettivo B) - "prevenzione dei danni sulle colture agrarie presenti in azienda", anche perché si finirebbe per valutare due volte un medesimo elemento (estensione della SAU a rischio) rispetto allo stesso obiettivo A). 9.2. Anche la circostanza, prospettata dalla ditta, di aver conseguito una valutazione positiva per tutti gli elementi riportati nella check list istruttoria del 25.11.2019, non è rilevante. Infatti, si condivide la tesi fatta propria dalla Regione nella memoria difensiva per cui l'"esito positivo" al requisito "l'intervento di realizzazione di impianti di rete antigrandine ricade nel territorio regionale" è frutto di un errore materiale del tecnico istruttore, al quale non è stato, infatti, attribuito punteggio. Tale requisito era indicato con il codice EC 14372 ("L'intervento di realizzazione di impianti di reti antigrandine ricade nel territorio regionale") e avrebbe dovuto essere valutato come " non pertinente" in quanto il progetto di investimento della ricorrente non contempla alcuna opera tesa alla realizzazione di impianti di rete antigrandine, ma solo opere di ingegneria naturalistica. E infatti, il diverso requisito indicato con il codice EC 14376 - "Gli interventi per la realizzazione delle opere di ingegneria naturalistica e/o canali di scolo ricadono nelle aree a rischio o pericolo idrogeologico individuate dai Piani Stralcio di Assetto Idrogeologico" - è stato correttamente valutato "POSITIVO" in quanto le aree oggetto d'intervento ricadono in aree a rischio o pericolosità elevato molto elevato R4/P4. La circostanza, allora, pure dedotta nel ricorso, circa la valutazione positiva che nella check list è stata data al requisito EC 14372 - è ininfluente rispetto ai punteggi attribuiti alla ricorrente in ragione del tipo di investimento proposto, sulla base della griglia valutativa di cui all'art. 11 del bando di misura. Ciò è confermato dai documenti prodotti in giudizio dalla Regione nel 2024: il Dirigente STP di Avellino, con nota n. 222603 del 26/04/2021 (prod. regione del 29.2.2024), disponeva in autotutela la riapertura dell'istruttoria tesa alla verifica e alla correttezza dei punteggi attribuiti in sede di valutazione della domanda di sostegno, bar code n. 94250097212, presentata dalla ricorrente. A seguito della succitata istruttoria, al requisito indicato con il codice EC 14372 il tecnico istruttore ha inserito l'esito "NON PERTINENTE", generando la check list di istruttoria n. AGEA.ASR.2021.0596201 del 04/05/2021 e confermando il punteggio 54 (cfr. deposito del 29.2.2024). 10. Vanno respinti anche i motivi aggiunti. La ricorrente lamenta l'illegittimità dell'ammissione alla procedura selettiva di due domande di sostegno - presentate dalle aziende "La Ru." e "Fu. Ma.. In particolare, quanto alla domanda presentata dalla ditta "La Ru.", si afferma che la stessa non avrebbe dovuto essere ammessa in ragione dell'assenza del parere preventivo dall'Autorità di Bacino dei Fiumi Li. - Ga. e Vo. rispetto al permesso di costruire rilasciato dal Comune di (omissis) (BN). 10.1. Tale prospettazione non può essere accolta. Va premesso che la Regione ha più volte evidenziato che la causa oggetto del presente giudizio presenta gli stessi motivi della causa che vede come ricorrente l'impresa individuale "Az. di Ce. Ca." (RG 1555/2021) fissata per la trattazione sempre davanti a questa Sezione e che parte dei documenti sono depositati in quel giudizio, che vede evocati in giudizio gli stessi controinteressati. Dai documenti dell'istruttoria congiunta An. / Ce., emerge che dopo una iniziale reiezione della domanda, la Commissione regionale ha svolto istruttoria per appurare se fosse necessario o meno il "Parere dell'Autorità di Bacino", chiedendo chiarimenti allo stesso Comune di (omissis). L'UTC dell'Ente Locale, con nota del 11.01.21, prot. n. 270 (depositata nel fascicolo RG 1555/2021), ha fornito i chiarimenti richiesti spiegando che le opere assentite (previste nel progetto presentato con la domanda di sostegno) rientrassero nella casistica descritta dall'art. 3, comma 2, lettere F) e G) delle Norme di Attuazione del PsAI-Rf (Piano stralcio per l'assetto idrogeologico) approvato dall'Autorità di Bacino competente (Li. - Ga. e Vo.): il permesso di costruire n. 3624 del 02.05.19 rilasciato alla ditta "La Ru. Società Agricola semplice" era stato rilasciato in deroga al parere preventivo dall'Autorità di Bacino (Li. - Ga. e Vo.), così come previsto dalla citata normativa. A mente di quest'ultima, infatti, "Al fine del raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 1 è vietata qualunque trasformazione dello stato dei luoghi, sotto l'aspetto morfologico, infrastrutturale ed edilizio tranne che si tratti di: (...) F) interventi atti all'allontanamento delle acque di ruscellamento superficiale e che incrementano le condizioni di stabilità dell'area in frana; G) opere di bonifica e sistemazione dei movimenti franosi.." Pertanto, la Commissione ha accolto l'istanza di riesame presentata dalla ditta "La Ru." e ha ritenuto ammissibile la relativa domanda di contributo, posizionandosi al 3° posto della Graduatoria Unica Regionale Rettificata con DRD n. 170 del 17/05/2021, per una spesa ammessa di Euro.189.183,50 con contributo pari a un importo di Euro 149.850,05 e un punteggio totale di 74 (a fronte di un punteggio calcolato dalla ditta in autovalutazione pari a punti 89). 11. Stesso discorso per la posizione della ditta "Fu. Ma.", la cui domanda, a detta della ricorrente, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile ai sensi dell'art. 12, numero 9, del bando di selezione per: a)mancanza del necessario parere dell'Ente Parco Regionale del (omissis); b)non essere il progetto munito di tutte le necessarie autorizzazioni, pareri e nullaosta previsti dalla normativa vigente, "in quanto la C.I.L.A. è stata riconosciuta conforme dal Comune di (omissis) (BN) soltanto in data 7.8.2020 e, in ogni caso, in relazione a tale titolo edilizio, sono stati tardivamente acquisito sia il parere della Soprintendenza datato 24.9.2019, sia l'autorizzazione paesaggistica comunale n. 01/2019 datata 3.10.2019 e, cioè, ben oltre la data di presentazione della domanda di sostegno e, quindi, ampiamente fuori termine". 11.1. Si condividono le prospettazioni della difesa regionale (sempre con riferimento ai documenti versati nel fascicolo RG 1555/2021), la quale ha prospettato che all'esito dell'istruttoria avviata per effetto delle controdeduzioni della ditta, veniva appurato che la mancanza del Parere del Parco Regionale Del (omissis) non poteva determinare l'esclusone della ditta stessa in quanto, come risultava dal Fascicolo Aziendale SIAN, sezione "Territorio"- "Particelle ricadenti in zone speciali", l'area oggetto di intervento (riportata in catasto terreni: Comune di (omissis) -Foglio n. (omissis) - P.lle n. (omissis)) non ricadeva nell'Area Parco Regionale del (omissis). Tale circostanza è confermata anche dalla nota prot.n. 1698/2021 dell'Ente Parco del Taburno. Quanto alla assunta violazione del paragrafo 12 del bando da parte della ditta Fu. per avere la stessa ottenuto l'Autorizzazione Cila, il parere della Soprintendenza e l'autorizzazione paesaggistica comunale successivamente alla presentazione della domanda di sostegno, anche in tal caso la riapertura dell'istruttoria - con acquisizione di informazioni dall'UTC del Comune di (omissis) in merito alla conformità della C.I.L.A. n. 1525/2019 e alla preventiva acquisizione del parere dell'Autorità di Bacino - consentiva di appurare che il progetto esecutivo della Ditta era corredato della tempestiva richiesta di Cila, depositata al Comune di (omissis) prima della presentazione della domanda di sostegno (C.I.L.A. Prot. n. 1525 del 03/04/2019, per esecuzione lavori di "Riduzione dei danni del rischio di erosione in ambito aziendale in agro del Comune di (omissis) - in catasto Foglio (omissis) mappale n ° (omissis)"). Pertanto, anche in questo caso, la Commissione Provinciale, nella seduta del 19/01/2021, ha accolto l'istanza di riesame della ditta Fu. e la relativa domanda di aiuto è risultata ammissibile al contributo, collocandosi al 5° posto della Graduatoria Unica Regionale Rettificata con DRD n. 170 del 17/05/2021, per una spesa ammessa di Euro 186.898,21 e un contributo di Euro 149.518,57 con un punteggio totale di 68. 12. In conclusione, non essendovi più capienza di fondi, persiste l'impossibilità di assegnare il contributo alla Impresa An.. 13. Il ricorso e i motivi aggiunti sono dunque respinti. Le spese seguono il criterio della soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li rigetta. Condanna l'Impresa individuale " Ma. An." al pagamento delle spese processuali in favore delle parti costituite, che liquida in euro 2000,00 in favore della Regione Campania e euro 1000,00 in favore de La Fo. Società Agricola s.r.l. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Anna Pappalardo - Presidente Maria Barbara Cavallo - Consigliere, Estensore Rosalba Giansante - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8922 del 2021, proposto da Te. Va. S.r.l., Fi. Ca., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati St. Ve., Ma. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gu. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 00486/2021, resa tra le parti, per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: A) del provvedimento n. 36 del 15.11.2019, con il quale si è ingiunta la demolizione di pretese opere abusive sul complesso immobiliare della società ricorrente, alla Località (omissis); B) ove occorra, del provvedimento n. 8436 del 9.07.2019, di comunicazione d'avvio del procedimento di demolizione, ai sensi dell'art. 7 l. 241/1990; C) ove occorra, ancora, della relazione di sopralluogo, n. 11966 del 15.10.2019, non conosciuta; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da SOCIETÀ Te. Va. S.R.L. il 2\7\2020: D) del silenzio-rigetto formatosi sull'istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata dal ricorrente in data 7.02.2020, per modeste opere sul complesso immobiliare alla Località (omissis), ai sensi dell'art. 36 d.p.r. 380/2001; per quanto riguarda i motivi aggiunti: E) del silenzio-rigetto formatosi sull'istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata dal ricorrente in data 7.02.2020, per modeste opere sul complesso immobiliare alla Località (omissis), ai sensi dell'art. 36 d.p.r. 380/2001; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.E' appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 00486/2021, di parziale accoglimento del ricorso e motivi aggiunti proposti da Te. Va. s.r.l. avverso, rispettivamente, l'ordinanza di demolizione (n. 36 del 15.11.2019), adottata dal Comune di (omissis), ed il silenzio-rigetto formatosi sull'istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata in data 07.02.2020. 2. Interventi abusivi realizzati in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico sita alla località (omissis), quali: a) manufatto con struttura portante in legno a forma di poligono dodecagono di superficie pari a mq. 384,46 con una altezza variabile tra m. 3 e m. 5.35 al colmo e una volumetria complessiva pari a mc. 1.408,57; b) la realizzazione, in difformità rispetto alla menzionata C.E. n. 34 del 22.09.1995: Al Piano terra: 1) ingresso di mq. 12,45, altezza m. 2,70 e volumetria di mc. 33,61 in struttura in alluminio e vetrate; 2) corpo di fabbrica destinato a cucina di mq. 62,17, altezza m. 3,25 e volumetria pari a mc. 202,05 in cemento armato... ad una distanza inferiore a quella prescritta dalle norme (m. 20) dalla strada comunale (omissis) o (omissis); 3) portico con pilastri in cemento armato di mq. 67,44; 4) ampliamento della sala ricevimenti di mq. 184,36, altezza media m. 3,40 e volumetria pari a mc. 626,82 in struttura amovibile ed infissa al suolo in legno e pareti perimetrali in vetro. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza di m. 1,70 dal torrente Pi.... posizionato su un canale Ir. interrato di proprieta` del Demanio o di Consorzio Ir.; 5) ampliamento della struttura di mq. 338,76, altezza media 2,82 e volumetria di mc. 955,30 in struttura mista cemento armato, legno e vetrate. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza, rispettivamente, di m. 4,40, m. 8,40, m. 4 e m. 4,35 dal torrente Pi.; 6) struttura metallica poggiata sulla parete del fabbricato e aperta su tre lati di mq. 35,88, infissa al suolo a mezzo di bulloni. La struttura e` stata realizzata ad una distanza inferiore a quella prescritta dalle norme (m. 20) dalla strada comunale (omissis) o (omissis); Al Piano primo: 7) ampliamento dell'unita` abitativa sul lato opposto all'ingresso principale della sala ricevimenti di mq. 100,09, altezza m. 3 e una volumetria di mc. 300,27, in cemento armato e destinano a soggiorno. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza di m. 4,05 dal torrente Pi.; 8) scala d'ingresso all'unita` abitativa di mq. 11,46 in cemento armato ad una distanza inferiore a quella prescritta dalle norme (m. 20) dalla strada comunale (omissis) o (omissis); Al Piano sottotetto: 9) ampliamento sul lato opposto all'ingresso principale della sala ricevimenti di mq. 45,12, altezza media m. 2,65 e una volumetria di mc. 119,56, con struttura in legno lamellare aperta su tre lati. L'ampliamento e` stato realizzato ad una distanza di m. 9,40 dal torrente Pi.; 10) balcone di mq. 6,16 sul lato verso la strada comunale (omissis) o (omissis); la realizzazione di un corpo scala in legno che dal soggiorno del primo piano collega il sottotetto di mq. 21,37. 2.1 La ricorrente, oltre denunciare lo scarso rilievo edilizio delle opere, ha lamentato che parte delle opere oggetto dell'ordinanza di demolizione erano state oggetto della concessione edilizia in sanatoria n. 150 del 04.08.2004, rilasciata in accoglimento dell'istanza d'accertamento di conformità (prot. n. 2406 del 31.03.1987). 3. Il Tar ha accolto il ricorso limitatamente a quest'ultimo profilo, respingendo nel resto il ricorso principale ed i motivi aggiunti, rilevando la pluralità delle opere abusive realizzate senza titolo in area agricola eseguite, "al più, in un periodo compreso tra il 2011 ed il 2018", ossia in epoca successiva l'entrata in vigore del d.lgs. 157/2006 ha introdotto il divieto di sanatoria successivo alla realizzazione dei lavori nelle zone vincolate. 4. Appella la sentenza Te. Va. s.r.l. Resiste il Comune di (omissis). 5. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 6. In limine va respinta la richiesta formulata dall'appellante di sospensione del giudizio, ex art 295 c.p.c., in attesa della definizione innanzi al Tribunale di Salerno della questione - qualificata come pregiudiziale - della natura demaniale o meno delle aree su cui ricadono parte delle opere abusive. In considerazione del fatto che si controverte sulla natura delle opere realizzate senza titolo edilizio in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico, l'accertamento della demanialità delle aree ove ricadono parte dagli abusi edilizi, nell'economia del decidere, non è ex dirimente, sì da non giustificare la sospensione del giudizio in corso. 7. Prima di affrontare i molteplici motivi d'appello, è bene richiamare la disciplina urbanistica ed ambientale che governa il territorio. L'area d'intervento ricade parte in zona agricola E5 "Zona Agricola Irrigua" e parte in zona E4 "Zona Agricola Semplice" del vigente Piano Regolatore Generale, in cui sono destinate prevalentemente attività dirette o connesse con l'agricoltura, per cui in esso sono consentite costruzioni a servizio diretto del fondo agricolo - residenza e attrezzature per l'agricoltura. L'area è sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi degli artt. 146 e 167 d.lgs. 4/2004 perché ricadente nella fascia di 150 metri dal torrente Pi., nonché assoggettata alle norme di salvaguardia sancite dal Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico poiché "l'area risulta: parte area a pericolosità potenziale PUtr1 e parte PUtr3... parte area a rischio potenziale da frana RUtr2... parte RUtr3... parte RUtr4... (in) zone di attenzione". Va altresì precisato, al fine di delimitare il campo d'indagine dello scrutinio di legittimità qui esperito, che in forza delle allegazioni contenute nella relazione tecnica di accertamento del Comune (prot. n. 11966 del 15.10.2019) risulta che tutte le opere oggetto della sanzione demolitoria sono state realizzate entro l'arco temporale compreso tra il 2011 e il 2018. Il dato di fatto, avallato dai giudici di prime cure, trova conferma nell'allegazione dei rilievi aereofotogrammetrici storici presenti sul portale istituzionale Geosit e dalle foto munite di datario comunemente reperibili sul servizio Go. Ma. / St. Vi.. Sicché il compendio immobiliare e le opere realizzate sono ricomprese nella disciplina di cui agli artt. 146, comma 1, lett. c) e 167, comma 4, d.lgs. 4/2004. Conseguentemente, va affermato che le opere abusive sono state realizzate in assenza dei prescritti nulla osta e/o pareri da parte dell'autorità preposta gestione del vincolo idrogeologico; e,che esse, qualora abbiano generato nuove superfici o nuovi volumi, non sono suscettibili di sanatoria ex post. A questo riguardo, sotto il profilo urbanistico-edilizio, non va passato sotto silenzio che le opere abusive, quanto all'impatto sul tessuto urbanistico, vanno considerate complessivamente, non già atomisticamente in modo parcellizzato, frazionando i singoli interventi. 8. A questa stregua, l'unica che assicura il corretto governo del territorio, deve essere respinto il primo motivo d'appello. L'appellante, nel motivo in esame, contesta il capo della sentenza ove si afferma che quelle sanzionate dall'ordinanza n. 36/2019 sono "opere di stabile trasformazione del suolo, implicanti nuovi volumi o superfici e realizzate senza alcun titolo, tanto da necessitare la presentazione di una richiesta di permesso di costruire in sanatoria". In realtà, secondo il motivo in esame, le opere avrebbero scarso o nullo impatto sul tessuto urbanistico e paesaggistico. 8.1 Il motivo è infondato. La censura, di fatto, scinde i singoli interventi, prescindendo dall'impatto complessivo prodotto sull'intero comprensorio, avente oltretutto rilievo ambientale (cfr., Cons. Stato, n. 496/2022). Viceversa, proprio in ragione della peculiare disciplina del territorio qui in esame, va ribadito che la valutazione di abusi edilizi e illeciti compiuti richiede una visione d'insieme, e non parcellizzata delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (cfr., Cons. Stato n. 2119/2023; Id., n. 8848/2022; Id., 7601/2019). 9. Con il secondo motivo di appello, l'appellante denuncia che erroneamente, ed in maniera tranciante, il TAR ha ritenuto che le immagini tratte da portali internet fossero attendibili circa l'epoca di realizzazione dei manufatti. L'attività istruttoria posta in essere dal Comune sarebbe stata smentita dalla "perizia (depositata) in data 21.01.2021...che ha puntualmente dato conto della realizzazione dei lavori in data precedente all'anno 2000". 9.1 Il motivo è infondato. A fronte delle precise allegazioni contenute nella relazione tecnica del Comune, la perizia di parte non assolve l'onere probatorio gravante sulla ricorrente quanto alla data d'ultimazione delle opere abusive. Va data continuità all'indirizzo giurisprudenziale, qui condiviso, a mente del quale - richiamando gli artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, c. p. a. - pone in capo al ricorrente l'onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità : quindi, l'onere di provare la data di realizzazione di un'opera spetta al ricorrente, perché solo questi può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione dell'intervento edilizio (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2019 n. 3696; Id., sez. VI,5 marzo 2018 n. 1391). In aggiunta, va sottolineato che le fotografie, richiamate dal Comune, tratte da google earth e da google street view costituiscono, prova precostituita della loro conformità alle cose ed ai luoghi rappresentati, sicché chi voglia inficiarne l'efficacia probatoria ha l'onere di disconoscere tale conformità (cfr. Cass. civ., Sez. trib., 10 gennaio 2020, n. 308; T.A.R. Campania, Sez. II, 24 aprile 2015, n. 2380). 10. Negli ulteriori motivi d'appello, si lamenta la violazione dell'art. 10 bis l. 241/1990 con riferimento silenzio-significativo serbato dal Comune di (omissis) sulla istanza di accertamento di conformità presentata in data 07.02.2020; nonché l'illegittimità della sanzione ripristinatoria "perché le modeste opere di ampliamento non possono essere demolite senza pregiudizio per la porzione di fabbricato lecito"; ed infine che il dirigente comunale non ha proceduto ad alcuna necessaria comunicazione alla Soprintendenza che, "in virtù della normativa vigente, può e deve intervenire nel relativo procedimento repressivo". 10.1 I motivi sono infondati. Nell'ordine. Ai sensi dell'art. 36, comma 3, d.P.R. 380/2001, "sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata". Poiché la norma disciplina (nel tempo) la formazione del silenzio-diniego sull'istanza d'accertamento di conformità, non trova applicazione l'art. 10 bis l. 241/90 che scandisce il contraddittorio sul presupposto dell'esercizio di valutazioni discrezionali sottese all'adozione del provvedimento espresso. Quanto alla denunciata impossibilità di demolire senza pregiudizio per la porzione di fabbricato lecito, va osservato che la circostanza di fatto non inficia la legittimità della sanzione ripristinatoria. L'eventuale emersione di pregiudizio alle opere legittime, laddove fosse eseguita la demolizione, rileva ed inerisce alla fase esecutiva, con la conseguente possibilità di dare eventualmente corso alla c.d. f(omissis)lizzazione dell'abuso, ex artt. 33 o 34 d.P.R.. 380/2001. In definitiva, il previo accertamento dell'impossibilità di rimuovere la parte abusiva senza pregiudizio della parte conforme non costituisce requisito di legittimità dell'ordine di demolizione. Analogamente, l'invocato onere procedimentale del dirigente a sollecitare la valutazione della Soprintendenza si colloca nella fase esecutiva della riduzione in pristino del manufatto abusivo in danno dell'autore dell'abuso e non in quella, logicamente e cronologicamente presupposta, della fase di emissione dell'ordinanza di demolizione. 11. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 12. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Te. Va. s.r.l. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8923 del 2021, proposto da Te. Va. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati St. Ve. e Ma. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gu. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Seconda n. 00487/2021, resa tra le parti, per l'annullamento: a - dell'ordinanza n. 21 del 15.07.2019, successivamente notificata, con la quale il Responsabile dell'Ufficio Urbanistica del Comune di (omissis) ha disposto la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi di alcune opere realizzate presso l'area di proprietà sita alla Loc. (omissis); b - ove e per quanto occorra, della relazione prot. n. 8410 dell'08.07.2019 redatta dall'U.T.C. a seguito di sopralluogo, presupposta all'ordinanza sub a); c - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, collegati, connessi e consequenziali. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Te. Va. S.r.l. il 2\1\2020: a - della determina n. 114 del 24.10.2019 Reg. Servizio e n. 603 del 24.10.2019 Reg. Generale, successivamente notificata, con la quale il Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di (omissis) ha irrogato la sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00 per "la non osservanza dell'ordinanza di rimessa in pristino per le opere eseguite in assenza del titolo abilitativo"; b - del provvedimento di cui alla nota prot. n. 13168 del 12.11.2019, con il quale la P.A. ha disposto il diniego definitivo dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria depositato ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001; c - ove e per quanto occorra, del verbale di sopralluogo redatto dal Comando di polizia Municipale in data 23.10.2019, assunto a presupposto del provvedimento sub a); non conosciuto; d - ove e per quanto occorra, della nota prot. n. 12772 del 31.10.2019, recante la comunicazione dei motivi ostativi; e - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, connessi, collegati e consequenziali. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Te. Va. S.r.l. il 21\1\2020: avverso e per l'annullamento: a - dell'ordinanza n. 37 del 19.11.2019, con la quale il Responsabile dello Sportello Unico per l'Edilizia del Comune di (omissis), in seguito al diniego dell'istanza di accertamento di conformità depositata dalla ricorrente ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, ha ordinato la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi di alcune opere realizzate nell'ambito di un'area sita alla Loc. (omissis); b - di tutti gli atti, anche non conosciuti, presupposti, connessi, collegati e consequenziali. Per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato da Comune di (omissis) il 24/11/2021: per la riforma della sentenza del T.A.R. Campania - Sezione di Salerno, Sez. II n. 00487/2021, pubblicata in data 24.02.2021 nella parte in cui ha accolto i motivi aggiunti proposti avverso la determina n. 114 del 24.10.2019 recante la comminatoria nei confronti Te. Va. S.r.l. (c.f. 05368130653) pecuniaria di Euro 20.000,00 ex art. 31 comma 4 bis del D.P.R. 380/2001 per la mancata riduzione in pristino delle opere abusive sanzionate dell'ordinanza di demolizione precedentemente comminata Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; Nessuno è comparso per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.E' appellata la sentenza del T.A.R. Campania - Sezione di Salerno, Sez. II n. 00487/2021, d'accoglimento in parte del ricorso e motivi aggiunti proposti da Te. Va. S.r.l. avverso (una prima) ordinanza di demolizione del Comune di (omissis) - sostituta in pendenza di giudizio da altra ingiunzione a demolire (n. 37 del 19.11.2019), impugnata con motivi aggiunti - nonché avverso la sanzione pecuniaria di Euro 20.000,00, comminata per l'inosservanza dell'ordine di rimessione in pristino. Con ulteriori motivi aggiunti, la società ha impugnato il diniego opposto all'istanza di accertamento di conformità presentata il 16.10.2019, per essere la pratica "carente della documentazione e degli elaborati tecnico-amministrativi". 2. Interventi abusivi realizzati in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico sita alla località (omissis), consistenti: - nella sopraelevazione del piano di campagna di altezza pari a m. 2, di un ampio spazio di circa mq. 1.150 con all'interno la realizzazione di una piscina ornamentale di dimensioni in pianta pari a m. 18,70 x m. 9,90 e per complessivi mq. 185,13 e una profondità di m. 1.40. Per la sopraelevazione del piano di campagna e` stato realizzato un muro di sostegno in calcestruzzo della lunghezza complessiva di m. 54,73 a forma di una "elle" con il lato minore di m. 6.97 e il lato maggiore di m. 47.76, spessore cm. 30 ed un'altezza media di m. 2; - in tre gazebo, che occupano una superficie complessiva di circa mq. 155, nonché nella parte retrostante e nelle immediate vicinanze del torrente Pi. di un manufatto, in legno e parte in muratura, avente destinazione di cucina, servizi igienici, nonché deposito, di complessivi mq. 103,82 e una volumetria complessiva di mc. 303; - in un ulteriore gazebo destinato a bar, in legno, di dimensioni pari a m. 9 x m. 7.20 e per complessivi mq. 64,80 ed un'altezza pari a m. 3; - in area parcheggio di complessivi mq. 4.600. 3. Il Tar, dichiarato improcedibile il ricorso proposto avverso l'originaria ordinanza di demolizione, ha accolto i motivi aggiunti limitatamente all'irrogazione della sanzione pecuniaria per inottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 37 del 19.11.2019, "stante l'emanazione dell'atto sanzionatorio allorquando il procedimento di sanatoria non si era ancora concluso":, respingendo nel resto il gravame. Il Tar ha respinto l'impugnazione sia del diniego opposto dal Comune all'istanza di accertamento di conformità presentata, motivato sulla carenza della documentazione e degli elaborati tecnico-amministrativi, che della nuova ordinanza di demolizione, qualificata "come atto dovuto, vertendosi sulla realizzazione, in zona agricola e senza alcun titolo, di un'area attrezzata all'aperto della complessiva estensione di 1150 mq., costituita da una piattaforma in cemento armato sopraelevata e pavimentata, gazebi attrezzati a bar e servizi, piscina ed annesso parcheggio per 4600 mq.; mentre è evidente la sottoposizione delle dette opere al regime del permesso di costruire ed ad autorizzazione paesaggistica, perché ricadenti nella fascia di 150 metri dal torrente Pi.". 4. Appella la sentenza Te. Va. s.r.l.. Resiste il Comune di (omissis) che, a sua volta, ha proposto appello incidentale avverso il capo di sentenza d'annullamento della sanzione pecuniaria. 5. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 6. In limine va respinta la richiesta formulata dall'appellante di sospensione del giudizio, ex art 295 c.p.c., in attesa della definizione innanzi al Tribunale di Salerno della questione - qualificata come pregiudiziale - della natura demaniale o meno delle aree su cui ricadono parte delle opere abusive. In considerazione del fatto che si controverte sulla natura delle opere realizzate senza titolo edilizio in area agricola, gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico, l'accertamento della demanialità delle aree ove ricadono parte dagli abusi edilizi, nell'economia del decidere, non è ex dirimente, sì da non giustificare la sospensione del giudizio in corso. 7. Prima di affrontare i molteplici motivi d'appello principale, è bene richiamare la disciplina urbanistica ed ambientale che governa il territorio. L'area d'intervento ricade parte in zona agricola E5 "Zona Agricola Irrigua" e parte in zona E4 "Zona Agricola Semplice" del vigente Piano Regolatore Generale, in cui sono destinate prevalentemente attività dirette o connesse con l'agricoltura, per cui in esso sono consentite costruzioni a servizio diretto del fondo agricolo - residenza e attrezzature per l'agricoltura. L'area è sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi degli artt. 146 e 167 d.lgs. 4/2004 perché ricadente nella fascia di 150 metri dal torrente Pi., nonché assoggettata alle norme di salvaguardia sancite dal Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico poiché "l'area risulta: parte area a pericolosità potenziale PUtr1 e parte PUtr3... parte area a rischio potenziale da frana RUtr2... parte RUtr3... parte RUtr4... (in) zone di attenzione". 8. Con il primo motivo, l'appellante denuncia l'errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nel respingere il gravame avverso il diniego di accertamento di conformità . Il Comune di (omissis), secondo la censura in esame, ha denegato l'accertamento di conformità sul presupposto della mancata allegazione di documentazione," omettendo di richiederla espressamente come era suo precipuo compito". 8.1 Il motivo è infondato. Il Comune resistente, prima di opporre il diniego impugnato, con nota (prot. n. 12023 del 16.10.2019), ha espressamente richiesto l'apporto partecipativo della società appellante che - va sottolineato - è rimasta senza esito. Sicché, la regolarizzazione documentale ex officio è stata richiesta dal Comune, assolvendo al precetto contenuto nell'10-bis l.241/90, 9. Con il secondo motivo d'appello, l'appellante denuncia l'erroneità della sentenza laddove si censura il comportamento della ricorrente per non avere chiesto la concessione del termine per effettuare il deposito della documentazione carente. 9.1 Il motivo è infondato. Contrariamente a quanto dedotto in fatto dall'appellante, il Comune, nell'istruire il procedimento, ha richiesto l'esibizione di documenti essenziali a comprovare la veridicità delle dichiarazioni rese ai sensi del d.P.R. 455/2000 quanto alla legittimazione ad intervenire anche all'interno dell'area demaniale e all'insussistenza di vincoli di natura paesaggistica e ambientale tali da rendere necessario il preventivo conseguimento dei prescritti nulla osta delle autorità preposte alla loro gestione. In risposta, la società ha lasciato scadere il termine, senza presentare alcuna osservazione. 10. Con il terzo motivo di appello, la ricorrente lamenta gli errori di giudizio nel respingere le censure proposte avverso l'ordinanza di demolizione. Le opere contestate, secondo la censura in esame, sarebbero in parte irrilevanti ai fini volumetrici e/o del carico urbanistico e, quindi, non sono assoggettate al regime del permesso di costruire né sanzionabili ex art. 31 d.P.R. n. 380/2001, e, per altra parte, sarebbero riconducibili al genus degli interventi pertinenziali "minimi", di cui agli artt. 3 e 6 d.P.R. n. 380/2001. 10.1 Il motivo è infondato. Le opere abusive realizzate in zona agricola gravata da vincolo paesaggistico e idrogeologico consistono: nella sopraelevazione del piano di campagna di altezza pari a m. 2, di un ampio spazio di circa mq. 1.150 con all'interno la realizzazione di una piscina ornamentale di dimensioni in pianta pari a m. 18,70 x m. 9,90 e per complessivi mq. 185,13 e una profondità di m. 1.40, nella realizzazione 3 gazebi, che occupano una superficie complessiva di circa mq. 155, nonché nella parte retrostante e nelle immediate vicinanze del torrente Pi. di un manufatto, in legno e parte in muratura, avente destinazione di cucina, servizi igienici, nel deposito, di complessivi mq. 103,82 e una volumetria complessiva di mc. 303; nella edificazione di ulteriore gazebo destinato a bar, in legno, di dimensioni pari a m. 9 x m. 7.20 e per complessivi mq. 64,80 ed un'altezza pari a m. 3 (...); nella realizzazione di un'area parcheggio di complessivi mq. 4.600. Va sottolineato che l'area occupata dalla piattaforma, "ricade per mq. 900 nella proprietà del demanio" (su una estensione di complessivi 1150 mq; mentre l'area occupata dal parcheggio, "risulta, ivi compreso l'ingresso al parcheggio, parzialmente di proprieta` del demanio per mq. 2.200" (su una estensione di complessivi 4600 mq). Il Comune ha accertato la realizzazione, senza alcun titolo autorizzativo, di area attrezzata per ricevimenti all'aperto, costituita da una piattaforma sopraelevata in cemento armato, con gazebi attrezzati a bar e servizi, impianto di illuminazione e piscina monumentale della complessiva estensione di 1150 mq e dell'annesso parcheggio per automezzi di ulteriori 4600 mq. Gli interventi complessivamente considerati incidono pesantemente sull'intero comprensorio, avente oltretutto valenza ambientale (cfr., Cons. Stato, n. 496/2022). In ragione della peculiare disciplina del territorio qui in esame, va ribadito che la valutazione di abusi edilizi e illeciti compiuti richiede una visione d'insieme, e non parcellizzata delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (cfr., Cons. Stato n. 2119/2023; Id., n. 8848/2022; Id., 7601/2019). Correttamente il Tar ha qualificato come "atto dovuto" l'ordinanza di demolizione stante l'avvenuta realizzazione, in zona agricola e senza alcun titolo, "di un'area attrezzata all'aperto della complessiva estensione di 1150 mq., costituita da una piattaforma in cemento armato sopraelevata e pavimentata, gazebi attrezzati a bar e servizi, piscina ed annesso parcheggio per 4600 mq.; mentre è evidente la sottoposizione delle dette opere al regime del permesso di costruire ed ad autorizzazione paesaggistica, perché ricadenti nella fascia di 150 metri dal torrente Pi.". 11. Conseguentemente, anche il quarto motivo dell'appello principale, laddove si deduce che "le opere contestate sono riconducibili al regime sanzionatorio pecuniario di cui all'articolo 37 d.P.R 380/2001", è infondato. Le pluralità degli abusi commessi in zona agricola, gravata da vincoli ambientali, comporta l'applicazione del regime sanzionatorio rispristinatorio di cui agli artt. 31 d.P.R. 380/2001 e 167 d.lgs. 4/2004. 12. Conclusivamente, l'appello principale deve essere respinto. 13. Ad opposta conclusione deve giungersi con riguardo all'appello incidentale Il T.A.R. ha accolto l'impugnativa spiegata dalla società con esclusivo riferimento al provvedimento (n. 114 del 24.10.2019), con la quale il Comune di (omissis) le aveva comminato la sanzione prevista dall'art. 31, comma 4 bis, d.P.R. 380/2001 per non aver ottemperato all'ordinanza di demolizione n. 21 del 15.07.2019. Secondo i giudici di prime cure la sanzione pecuniaria, in pendenza del procedimento di sanatoria, non poteva essere adottata, poiché "il deposito dell'istanza comporta la sospensione dell'efficacia dell'ordinanza di demolizione fino alla definizione del procedimento".. Il Comune appellante deduce che il procedimento attivato dalla società per la sanatoria delle opere sanzionate non aveva alcuna valenza "sospensiva" e/o "interruttiva" del termine di novanta giorni ivi impartito per la riduzione in pristino degli abusi commessi in area demaniale. 13.1 Il motivo è fondato. La sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4° bis, d.P.R. 380/2001 consegue ex lege all'inottemperanza all'ingiunzione a demolire; la quantificazione nella misura massima di Euro 20.000,00 corrisponde al criterio normativo, stante la concorrente violazione della normativa paesaggistico-ambientale. La norma recita: "L'autorità competente, constatata l'inottemperanza, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti. La sanzione, in caso di abusi realizzati sulle aree e sugli edifici di cui al comma 2 dell'articolo 27, ivi comprese le aree soggette a rischio idrogeologico elevato o molto elevato, è sempre irrogata nella misura massima...". Nessuna norma prevede che l'esecutività della sanzione è sospesa per effetto della presentazione dell'istanza d'accertamento di conformità . 14. Pertanto, l'appello incidentale proposto dal Comune deve essere accolto, e, per l'effetto, in parziale riforma dell'appellata sentenza, devono essere respinti i motivi aggiunti proposti in prime cure avverso la sanzione pecuniaria comminata dal Comune. 15. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello principale, come in epigrafe proposto, lo respinge. Accoglie l'appello incidentale proposto dal Comune e, per l'effetto, in parziale riforma dell'appellata sentenza, respinge i motivi aggiunti proposti in prime cure avverso la sanzione pecuniaria comminata. Condanna Te. Va. s.r.l. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7726 del 2020, proposto da Im. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pa. Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Napoli, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ba. Ac. Ch. D'O., An. An., An. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Le. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quarta n. 06184/2019. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo e udito per parte resistente l'avv. Ni. La. in sostituzione dell'avv. Ba. Ac. Ch. D'O.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.E' appellata la sentenza Tar Campania, sez. IV n. 6184/2019, di reiezione del ricorso proposto da Im. Su. s.r.l. (d'ora in poi Im. Su.) avverso la deliberazione consiliare n. 41 del 27.09.2012 contenente la dichiarazione del Comune di Napoli di prevalente interesse pubblico "a non procedere alla demolizione dell'opera abusivamente realizzata dalla società ricorrente in via (omissis) per destinarla ad sede di uffici e servizi". Edificio ed area di sedime accessoria acquisiti al patrimonio comunale con disposizione dirigenziale n. 442 del 10/11/2011. 2.In narrativa, la società ricorrente ha ripercorso diacronicamente l'intera vicenda avente ad oggetto l'immobile, in origine di sua proprietà, denominato "Ti. Pa. Ho.", costituito inizialmente da dodici piani fuori terra e per il quale era stata fatta richiesta di condono ex lege 724/94. 2.1 Gli snodi fondamentali sono riassumibili nei seguenti termini: con sentenza n. 392/97, il Tar Campania aveva annullato in parte l'ordinanza di demolizione impugnata, limitatamente ai primi 11 piani del manufatto, e respinto il gravame con riguardo al 12° in quanto non ultimato alla data del 31/3/93 per fruire del condono; con atto unilaterale d'obbligo, la società si impegnava nel 2002 a demolire le strutture superiori al solaio di copertura dell'ultimo piano ivi compreso il dodicesimo piano; faceva seguito nel 2004 istanza di condono ex l.326/03 avente ad oggetto il dodicesimo piano, rinunciata nell'aprile 2005; in sede di sopralluogo, eseguito nel mese di settembre 2005, il Comune accertava che la società aveva dato corso ai lavori di completamento senza aver demolito le strutture del 12° piano; in particolare il completamento era stato realizzato in difformità dal grafico di progetto inviato dalla ricorrente con la comunicazione di completamento del marzo 2005; da cui ha preso avvio il procedimento d'esame della variante presentata dalla società, della documentazione integrativa richiesta dal Comune per esaminare una nuova istanza di condono, nonché delle denunce di inizio attività, presentate nell'arco di tempo 2007-2007, aventi ad oggetto opere edilizie tutte collegate all'edificio principale "Ti. Pa." non condonato, così come elencate specificamente nel provvedimento di annullamento delle stesse n. 770 del 13/7/09; il 10/6/09 il Comune, con disposizione dirigenziale n. 259, si pronunciava sull'istanza di condono, presentata nel 1995, denegandola ed ordinando il ripristino dello stato dei luoghi; e, con provvedimento n. 770 del 13/7/09, la IV Municipalità annullava le Dia presentate dalla Im. Su. tra il 2006 e il 2007; a sua volta, il Servizio Polizia Amministrativa preannunciava la sospensione e la revoca della licenza di esercizio ricettivo con nota n. 2936 del 14/8/09. Im. Su., con ricorso (R.G.4827/09), impugnava gli atti appena richiamati, Tar Campania con sentenza n. 16439/10 respingeva il ricorso avente, fra l'altro, ad oggetto il provvedimento d''improcedibilità dell'istanza di conformità ex art. 36 t.u.ed., presentata dalla società per l'intero complesso; con sentenza n. 5704/2013, il Consiglio di Stato respingeva l'appello; con decreto dirigenziale n. 442 del 10/11/2011, il Comune disponeva l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale ex art. 31 t.u.ed. delle opere abusive e dell'area circostante specificamente indicata; la società ha impugnato il provvedimento acquisitivo; il Tar Campania ha respinto il ricorso con sentenza n. 6658/2014; e, sull'appello, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 335/2016, confermava la sentenza appellata; il Comune ha adottato la delibera impugnata e dichiarato il prevalente interesse pubblico a non demolire quanto acquisito, destinando l'edificio a sede di uffici e servizi, demandando ai dirigenti competenti l'adozione degli atti consequenziali alla decisione assunta. 3. Il Tar Campania che, con la sentenza qui appellata, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto alla società avverso la deliberazione appena richiamata. Secondo i giudici di prime cure, la società ricorrente non vanta alcun interesse giuridico qualificato all'impugnativa della delibera di dichiarazione di pubblico interesse poiché, al momento della proposizione del ricorso, essa era priva della titolarità del bene, già acquisito, nonostante pendesse ricorso al Tar avverso la disposizione di acquisizione. 4. Appella la sentenza Im. Su.. Resiste il Comune di Napoli. 5. Alla pubblica udienza dell'8 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 6. Con il primo motivo d'appello, la società denuncia l'errore di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nella declaratoria d'inammissibilità del gravame per carenza d'interesse ad impugnare il provvedimento di destinazione dell'immobile di proprietà comunale a sede d'uffici pubblici. Il Tar avrebbe omesso di considerare che, a radicare l'interesse ad agire, è sufficiente la circostanza di fatto che la società è titolare di immobili ricadenti in area limitrofa, considerati legittimi dal Tar. Inoltre, aggiunge l'appellante, l'area acquisita dal Comune è ricompresa nel (omissis), sito inquinato, assoggettato alla procedura di caratterizzazione. Da cui l'interesse dell'appellante alla bonifica integrale dell'intero compendio fondiario - comportante la demolizione dell'edificio abusivo acquisito dal Comune - ove sono allogati gli immobili di sua esclusiva proprietà . 7. Il motivo d'appello è infondato. La deliberazione impugnata dà conto delle condizioni di legge, previste all'art. 31, comma 5°, t.u.ed. necessarie perché il Consiglio comunale dichiari legittimamente la sussistenza di prevalenti interessi pubblici ostativi alla demolizione dell'opera abusiva. S'è accertata - con valutazione riservata alla pubblica amministrazione competente in materia di tutela ambientale e paesaggistica - l'assenza di contrasto del manufatto con rilevanti interessi ambientali e/o urbanistici. La medesima deliberazione, altresì, ha formalmente dichiarato il contrasto dell'esecuzione dell'ordine di demolizione con il prevalente interesse pubblico concreto ed attuale alla destinazione dell'edificio ad uffici pubblici comunali. Più nello specifico, venendo alla questione del sito inquinato in cui ricade l'immobile - che secondo la società appellante radica l'interesse al ricorso -, il Comune ha preso in considerazione gli aspetti ambientali e, con riguardo all'inclusione dell'area di sedime del manufatto nel (omissis), ha evidenziato che tale inclusione "non determina ex se un contrasto con rilevanti interessi ambientali ma assoggetta l'area agli interventi di cui all'art. 242 d.lgs. 152/2006". Interventi - va sottolineato - che sono stati programmati dallo stesso ente locale, quanto all'esecuzione delle opere, successivamente all'adozione della deliberazione impugnata. Sicché la (futura) procedura di caratterizzazione del sito, lungi da imporre la demolizione dell'edificio, incentiva semmai il Comune ad attuare celermente le misure di recupero ambientale dell'area inquinata. In definitiva, l'amministrazione con la delibera impugnata, in conformità al dettato normativo di cui all'art. 31, comma 5°, d.P.R.380/2001, ha espressamente dato conto che l'utilizzazione dell'immobile ad uffici pubblici non determina alcun contrasto con interessi urbanistici rilevanti e, in pari tempo, soddisfa l'interesse pubblico, concreto ed attuale, alla destinazione a sede di uffici pubblici del manufatto. E l'eventuale demolizione - è appena il caso di ribadire - non comporterebbe la restituzione dell'area di sedime oramai di proprietà del Comune di Napoli. Sicché, come ritenuto dal Tar nella sentenza appellata, la società appellante non vanta alcun interesse ad impugnare la deliberazione impugnata dal momento che l'eventuale demolizione dell'edificio divenuto di proprietà comunale, in luogo della divisata destinazione ad uffici pubblici, non apporta alla società ricorrente alcun concreto vantaggio. Va sul punto data continuità all'indirizzo giurisprudenziale consolidato a mente del quale, l'interesse a ricorrere, consistente nell'utilità concreta ed attuale ritraibile dall'azione, in quanto condizione dell'azione stessa, deve sussistere per tutta la durata del processo amministrativo. Pertanto, qualora sopraggiunga una situazione di fatto o di diritto che muti radicalmente la situazione esistente al momento della proposizione del ricorso, può essere pronunciata la declaratoria di improcedibilità, essendo ormai rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza per il venir meno per il qualsiasi utilità della pronuncia sul ricorso proposto (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 7 giugno 2019 n. 3849; Id., sez. VI, 3 giugno 2019 n. 3708). 8. Nei residui motivi d'appello, la società ripropone i motivi d'impugnazione assorbiti in primo grado. Al di là del fatto che la reiezione - per le conclusioni appena rassegnate - del motivo d'appello proposto avverso la declaratoria d'inammissibilità del ricorso contenuta nella sentenza appellata, comporta anche in questo grado di giudizio l'assorbimento delle censure qui riproposte, va considerato che la società estende la cognizione a questioni già irritrattabilmente definite. Il sindacato giudiziario sulla legittimità del provvedimento di diniego del condono e d'annullamento delle Dia è precluso dal giudicato formatosi per effetto della sentenza n. 5704/2013 del Consiglio di Stato che ha confermato la pronuncia del Tar Campania di reiezione del relativo ricorso. Anche sulla legittimità del provvedimento di acquisizione s'è formato il giudicato: il Tar Campania ha respinto il ricorso con sentenza n. 6658/2014; sull'appello, il Consiglio di Stato con sentenza n. 335/2016 ha confermato la sentenza appellata. 9. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 10. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Im. Su. s.r.l. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di Napoli liquidate complessivamente in 5000,00 (cinquemila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7748 del 2020, proposto da Ca. Pi., rappresentato e difeso dall'avvocato con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. No., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Gi. in Roma, via (...); Or. Pi., rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. No., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Gi. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Em. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Terza n. 00948/2020, resa tra le parti, Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti appellanti l'avvocato Ma. No.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in esame le odierne parti appellanti impugnavano la sentenza n. 948 del 2020 del Tar Campania, recante rigetto dell'originario gravame, proposto dalle stesse parti al fine di ottenere l'annullamento dell'ordinanza del Comune di (omissis) n. 6573 del 19 ottobre 2015, avente ad oggetto il rigetto della domanda di concessione edilizia in sanatoria, ai sensi del D.L. 269/2003, convertito con modificazioni dalla legge 326/2003 (c.d. terzo condono). 1.1 In particolare, il diniego si basava sui seguenti elementi: "1. ai sensi della L. 326/03, art. 32, comma 26, lettera a, in combinato con il comma 27, lettera d) (vedasi Corte di Cassazione /Sezione III Penale, 21/12/2004, n. 48956), in quanto l'abuso risulta realizzato su immobile soggetto a vincoli dalla L. 1497/39, oggi D. Lgs. 42/04, a tutela di interessi ambientali, istituiti prima della esecuzione di dette opere e non è conforme alle norme urbanistiche e alle prescrizioni del P.R.G.; 2. ai sensi della L. 47/85 art. 33, comma 1, lettera a e della L. 326/03, art. 32, comma 26, lettera a in combinato con comma 27, lettera d, in quanto le opere oggetto di condono sono state realizzate in ambito P.T.P. in zona R.U.A (art. 13 delle Norme di Attuazione del P.T.P.) sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta (L. 431/85) prima della realizzazione delle opere, entro la quale è "vietato qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti."; 3. ai sensi della L. 326/03, art. 32, comma 26, lettera a, in combinato con il comma 27, lettera d); in quanto le opere oggetto di condono non sono suscettibili di sanatoria quando sono in contrasto con i vincoli imposti dalla L.R. 07/12/1994 N. 8 a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere istituiti prima della esecuzione di dette opere e dalla L. 326/03 "siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere,.in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (realizzati in zona soggetta a vincolo idrogeologico)". 2. All'esito del giudizio di prime cure il Tar condivideva i motivi di diniego, rigettando le censure dedotte. Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello sull'erroneità della sentenza: - violazione dell'art. 32 l. 47 del 1985, difetto di istruttoria; - violazione della l.r. 13 del 1993 e delle norme urbanistiche, diversi profili di eccesso di potere; - violazione della disciplina urbanistico edilizia e paesaggistica in relazione alla consistenza dei manufatti; - analoghi vizi per genericità dell'ingiunzione; - mancata applicazione del silenzio assenso; - omessa pronuncia e violazione dell'art. 112 c.p.c. Il Comune appellato si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell'appello. 3. Alla pubblica udienza del 16 maggio 2024 la causa passava in decisione. 4. L'appello è infondato nel merito, con conseguente superamento dell'eccezione di inammissibilità in base al consolidato principio di economia processuale. 5. In linea di fatto, è pacifica la consistenza delle opere e il carattere vincolato della zona interessata. 5.1 Sul primo versante, nell'ambito del complesso immobiliare, sito in (omissis) alla via (omissis), venivano realizzate, in assenza di titolo autorizzativo, le seguenti opere, tutte al servizio del camping denominato "Sp.", gestito dagli stessi interessati: un manufatto terraneo ad uso ufficio e ricezione clienti; tre bungalows in legno; una tettoia in ferro destinata a stenditoio. 5.2 Sul secondo versante, trattasi di zona vincolata; infatti, il Comune di (omissis) è soggetto al vincolo di cui al D.M. per i BB.AA.AA. del 27.10.1961, che lo ha impresso su tutto il territorio comunale per le finalità di tutela paesaggistica di cui alla L. n. 1497/1939 sulle c.d. bellezze naturali nonché alla L. n. 431/1985. Tale vincolo è pertanto antecedente alla realizzazione delle opere abusive oggetto dell'istanza di condono rigettata. 6. Sulla scorta di tali presupposti, va fatta applicazione dei principi già espressi da questo Consiglio di Stato (anche con specifico riferimento al contenzioso in materia di terzo condono nel territorio del Comune di (omissis): v. Consiglio di Stato, sez. VI, 15/3/2024, n. 2559 e la giurisprudenza ivi richiamata). 6.1 In linea generale, in tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, il condono previsto dall'art. 32 d.l. n. 269 del 2003 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 326 del 2003) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del citato D.L. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 14/10/2022, n. 8781). 6.2 Il ruolo del legislatore regionale, "specificativo - all'interno delle scelte riservate al legislatore nazionale - delle norme in tema di condono, contribuisce senza dubbio a rafforzare la più attenta e specifica considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela dell'ambiente e del paesaggio, che sono - per loro natura - i più esposti a rischio di compromissione da parte delle legislazioni sui condoni edilizi" (cfr. ad es. sentenze nn. 181 del 2021, 49 del 2006 e 208 del 2019). Dalla giurisprudenza costituzionale esaminata emerge: da un lato, il carattere sicuramente più restrittivo del terzo condono rispetto ai precedenti, in ragione dell'effetto ostativo alla sanatoria anche dei vincoli che comportano inedificabilità relativa; da un altro lato, il significativo ruolo riconosciuto al legislatore regionale, al quale - ferma restando la preclusione all'ampliamento degli spazi applicativi del condono - è assegnato il delicato compito di rafforzare la più attenta e specifica considerazione di interessi pubblici, come la tutela dell'ambiente e del paesaggio. 6.3 Le opere per cui è stato chiesto il condono rientrano nella tipologia n. 1, stante l'incremento di superficie e di ingombro, e, sulla base di quanto stabilito dall'art. 32, comma 27 L. 326/03 (alla luce del quale va intesa anche la normativa regionale attuativa), l'abuso non è in radice suscettibile di sanatoria, in quanto ricadente in area vincolata; ciò anche nel caso in cui fosse stata realizzata in epoca antecedente l'imposizione del vincolo. Ai fini della disciplina speciale dettata dall'art. 32 cit. risulta inoltre irrilevante la natura relativa o assoluta del vincolo. 6.4 Invero, premessa in generale la pacifica natura eccezionale e di stretta interpretazione della normativa sul condono tale da escluderne l'applicabilità in termini estensivi (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. V 3 giugno 2013 n. 3034 e sez. VI 12 ottobre 2018 n. 5892), quanto sin qui evidenziato rende prima facie manifestamente infondata anche ogni altra censura dedotta. 7. In dettaglio, rispetto al primo motivo, va ribadito che, in virtù della specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all'ordinario procedimento di rilascio della concessione edilizia, considerando anche l'assenza di una specifica previsione in ordine alla necessità del parere della commissione edilizia, il parere della stessa in tale procedimento deve essere considerato facoltativo (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 21/02/2023, n. 1787). 8. Rispetto al secondo motivo, la disciplina evocata non attiene alla previa necessaria legittimazione urbanistico edilizia, specie in ambito soggetto a vincolo paesaggistico. 9. In ordine al terzo motivo, circa la qualificazione delle opere, va ribadito che in linea generale, al fine di valutare l'incidenza sull'assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto - specie in ambito soggetto a specifica tutela vincolistica - un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l'impatto effettivo complessivo, con la conseguenza che i molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera "frazionata" (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 08/09/2021, n. 6235). 9.1 In definitiva, risulta corretta la qualificazione fatta propria dall'amministrazione e condivisa dal Giudice di prime cure; le opere abusive accertate, realizzate in zona vincolata nei termini predetti, hanno dato luogo ad un intervento di rilevante impatto, correttamente considerato in termini unitari anche a fronte della incisività su di un'area soggetta a specifica tutela, come desumibile dalla chiara ricostruzione posta a base della statuizione contestata, rientrante nelle categorie escluse dal c.d. terzo condono. 10. In relazione al quarto motivo, va ribadito che l'attività di repressione degli abusi edilizi tramite l'emissione dell'ordine di demolizione costituisce attività di natura vincolata, dove la stessa non è assistita da particolari garanzie partecipative, tanto da non ritenersi necessaria la previa comunicazione di avvio del procedimento agli interessati (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 05/04/2022, n. 2523). Il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino. 11. In relazione al quinto motivo, va ribadito che il silenzio che si forma per il decorso dei termini sull'istanza di condono edilizio, nell'ipotesi di manufatti su aree soggette a vincoli, non equivale mai ad assenso e nel caso in cui, scaduto il termine, sia sopravvenuto il parere negativo, lo stesso ha valore vincolante e preclude il condono edilizio (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 18/11/2022, n. 10189). 12. In relazione al sesto motivo, va condivisa la conclusione della sentenza impugnata, attesa la piena ostatività degli argomenti sottesi al rigetto dei motivi di diniego opposti. 13. Alla luce delle considerazioni che precedono l'appello è pertanto infondato e va respinto. 14. Le spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, o respinge. Condanna gli appellanti in solido al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore di parte appellata, liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori dovuti per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere, Estensore Lorenzo Cordà - Consigliere Marco Poppi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8886 del 2021, proposto da Ma. Del Pr., rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Ve., con domicilio eletto presso lo studio Fr. Pi. in Roma, corso (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fl. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Seconda n. 01443/2021, per l'annullamento del diniego della istanza di sanatoria straordinaria di illeciti amministrativi derivanti dalla realizzazione di abusi edilizi ex legge n. 326/03 e legge regionale Campania n. 10/04 del 18 novembre 2004, prot. 28736, pratica n. 87, ad istanza della sig.ra Ma. Del Pr. e relativa al fabbricato sito in (omissis) alla via (omissis), foglio n. (omissis), p.lla (omissis). Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; Nessuno è presente per le parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli Sezione Seconda, n. 01433/2021, di reiezione del ricorso proposto dalla sig.ra Ma. Del Pr. avverso il diniego (n. 30 del 18 marzo 2009, prot. n. 12233) opposto dal Comune di (omissis) all'istanza di condono, presentata ai sensi delle ex l. 326/03 e l.r. Campania 10/04, avente ad oggetto il manufatto per civile abitazione della superficie di circa mq 150 di dimensione max 11,70 mt x mt 12,80 mt, composto da piano seminterrato e piano rialzato. Intervento abusivo realizzato nell'area proprietà sita in (omissis) (NA), alla via (omissis), ricadente in zona C3 (edificabile) del vigente Piano Regolatore Generale comunale, riportata in Catasto Terreni al foglio (omissis), part. (omissis). 2. Con nota (prot. 3482 del 14/4/2006) il Comune ha comunicato, ai sensi dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990, il motivo ostativo all'accoglimento dell'istanza di condono: come accertato dal verbale di sequestro preventivo da parte della A.G. del manufatto, la costruzione alla data del 7 novembre 2003, termine ultimo per fruire del condono, non era completa al rustico. Ricevute le controdeduzioni inviate dalla ricorrente, il Comune ha definitivamente respinto l'istanza di sanatoria, con la seguente motivazione: "entro il termine assegnato sono pervenute osservazioni con nota del 12.05.2006 prot. 13707, non meritevoli di accoglienza, in quanto non corredate di alcuna documentazione; l'atto di donazione del suolo è del 24.09.2003 e il fabbricato non risulta nel rilievo foto aereo del 26.02.2003; la domanda non è stata prodotta in forma legale e non sono state versate tutte le somme come dichiarate, nonché è carente di documentazione integrativa come prevista per legge". 3. La ricorrente ha impugnato il diniego, lamentando: violazione dell'art. 10-bis l. 241/1990; difetto di istruttoria e di motivazione, carenza dei presupposti di legge e erroneità di tutte le motivazioni ostative. 4. Il Tar ha respinto il ricorso. Alla data del 5 novembre 2003, giorno in cui è avvenuto il sequestro preventivo ad opera dei Carabinieri di (omissis), l'immobile, ha affermato il Tar, si presentava allo stato grezzo e con un primo piano costituito solo da pilastri, senza pareti in muratura, in stato di incondonabilità rispetto alle previsioni della legge regionale, essendo privo dell'elemento della utilizzabilità, perché ancora completamente. Il Tar osserva che a fronte della contestazione in sede di preavviso di rigetto ex art. 10 bis, la parte non ha prodotto alcuna documentazione atta a dimostrare il contrario, di cui all'affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, relativa alla assenza di documentazione allegata alle controdeduzioni. Rileva il Tar che è priva di pregio la tesi della parte sull'avvenuta realizzazione del manufatto in venti giorni. Trattasi di ipotesi di parte, non sorrette da alcun tipo di documentazione anche fotografica a sostegno dello stato di avanzamento dei lavori nell'intervallo tra il 26 febbraio 2003 e il 31 marzo 2003, da non escludere che l'immobile, come rinvenuto nel novembre 2003, sia stato costruito dopo il 31 marzo 2003. Inoltre il Giudice di prime cure afferma che non vi è contestazione sulla circostanza documentale che, alla data del 26 febbraio 2003, del fabbricato non vi fosse traccia sulle rilevazioni aeree. 5. Appella la sentenza la sig.ra Ma. Del Pr.. Resiste il Comune di (omissis). 6. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 7. Con il primo motivo l'appellante evidenzia che il Tar, a sostegno del provvedimento di rigetto, ha fatto richiamato elementi di fatto non contenuti nella motivazione del diniego impugnato, quali il fatto che alla data del 7 novembre 2003 la costruzione non era completa al rustico ai sensi dell'art. 3 della l. n. 10/2004; che il fabbricato non risulta nel rilievo fotoaereo del 26 febbraio 2003. In tal modo il Tar avrebbe surrettiziamente ampliato la motivazione del diniego comunale, che, viceversa, si fondava sulla (sola) considerazione che dal verbale di sequestro del 7/11/2003 il manufatto risulta "non completo al rustico". In senso paradigmatico, il diniego, deduce la ricorrente, opera rinvio ricettizio all'art. 3 l.r. 10/2004 nella sola parte in cui ha confermato le disposizioni della legge statale n. 326/2003, ovvero che: "non possono formare oggetto della sanatoria prevista dall'articolo 32 della legge 326/2003, le opere abusive rientranti nelle tipologie dell'allegato 1 della medesima legge, se le stesse (....) b) sono state ultimate dopo il 31 marzo 2003". Senza alcun riferimento, precisa l'appellante, all'art. 3, comma 2, lett. b) l.r. 10/2004 secondo cui "Si considerano ultimate le opere edilizie completate al rustico comprensive di mura perimetrali e di copertura e concretamente utilizzabili per l'uso cui sono destinate ". In definitiva il Tar avrebbe omesso di considerare che il manufatto, come accertato nel verbale di sequestro del 7/11/2003, era già idoneo a delineare i volumi, pertanto doveva considerarsi "ultimato". Del pari, il volume occupato dalla struttura era, a quella data, esattamente definibile, sebbene non materialmente circoscritto dalla muratura raccordante i due piani costituiti dai solai. Quanto affermato risulterebbe anche dalla lettura del verbale di sequestro della Stazione dei Carabinieri redatto il 5/11/2003, laddove nel descrivere l'estensione dell'opera viene riportato: "la costruzione consiste nell'aver realizzato un fabbricato di forma quasi rettangolare di dimensioni max. 11.70 mt. x 12.80 mt.".. Nel provvedimento comunale non si farebbe riferimento al concetto di ultimazione quale "opere edilizie completate al rustico comprensive di mura perimetrali e di copertura e concretamente utilizzabili per l'uso cui sono destinate", pertanto la sentenza sarebbe illegittima nella parte in cui si fonda sulle citate più restrittive disposizioni regionali, le quali sarebbero costituzionalmente illegittime in quanto in contrasto con le corrispondenti disposizioni di legge statale sul condono e sul concetto di "ultimazione" delle opere ivi previsto. 8.1 Il motivo è infondato. Il diniego impugnato, sintatticamente nella parte motiva, è sorretto da plurime motivazioni. Anzitutto il Comune richiama il contenuto del motivo ostativo all'accoglimento dell'istanza, tempestivamente comunicato alla ricorrente. In esso s'afferma che "la costruzione contrasta quanto disposto dalla L.R. 10/04 art. 3 lett. B e come ulteriormente precisato con circolare Ministeriale del 7/12/2005 prot. 2699/C in quanto alla data del 07-11-2003, come accertato dal verbale di sequestro preventivo da parte della A.G., la stessa non era completa al rustico". Prosegue ritenendo che "Considerato che entro il termine assegnato sono pervenute osservazioni con nota del 12.05.2006 prot. 13707, non meritevoli di accoglienza, in quanto non corredate da alcuna documentazione; che l'atto di donazione del suolo è del 24.09.2003 e il fabbricato non risulta nel rilievo fotoaereo del 26.02.2003; Che la domanda non è stata prodotta in forma legale e che non son state versate tutte le somme dichiarate, nonché è carente di documentazione integrativa come prevista per legge". I riferimenti grafici contenuti nell'atto impugnato, appena elencati, danno plasticamente conto che il Tar non ha operato alcuna integrazione del provvedimento di diniego oggetto di gravame. In secondo luogo, va osservato che l'art. 3, comma 2, lett. b) l. r.18 novembre 20004 n. 10 recita che "non possono formare oggetto della sanatoria prevista dall'articolo 32 della legge 326/2003, le opere abusive rientranti nelle tipologie dell'allegato 1 della medesima legge, se le stesse (....) b) sono state ultimate dopo il 31 marzo 2003. Si considerano ultimate le opere edilizie completate al rustico comprensive di mura perimetrali e di copertura e concretamente utilizzabili per l'uso cui sono destinate". Tale disposizione, ai fini dell'applicazione del condono edilizio di cui al d.l. n. 269 del 2003 per le opere ultimate dopo la data del 31 marzo 2003, è stata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che "si considerano ultimate le opere edilizie completate al rustico comprensive di mura perimetrali e di copertura ed inoltre (a differenza della meno restrittiva legislazione nazionale) che siano concretamente utilizzabili per l'uso cui sono destinate. Ciò comporta che il rilascio del provvedimento di condono richiede che il manufatto, ancorché incompleto, sia pur sempre riferibile, anche da un punto di vista funzionale, all'abuso per il quale è stata proposta domanda: la costruzione, anche se non completamente ultimata, deve essere idonea alle funzioni cui l'opera è destinata" (cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. VI, 18 aprile 2017, n. 2129). 9. Con il secondo motivo l'appellante censura la pronuncia nella parte in cui ha respinto il terzo motivo del ricorso di primo grado incentrato sull'erroneità della motivazione dell'impugnato diniego fondata sulla ritenuta non ultimazione del manufatto alla data del 31/3/2003 poiché "non risulta nel rilievo fotoaereo del 26/2/2003". Il Tar avrebbe pretermesso l'efficacia probatoria della dichiarazione sostitutiva di notorietà dell'intervenuta ultimazione delle opere entro la data di scadenza potenzialmente idonea e sufficiente a dimostrare la data di ultimazione delle opere. Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza appellata., gli elementi di prova raccolti dall'amministrazione, avrebbero confermato la dichiarazione sostitutiva di notorietà sull'intervenuta ultimazione delle opere al 31/3/2003. 9.1 Il motivo non merita accoglimento. Per consolidata giurisprudenza, qui condivisa, "l'onere di provare l'ultimazione del manufatto alla data utile per beneficiare del condono spetta all'interessato, poiché il periodo di realizzazione delle opere costituisce elemento fattuale rientrante nella disponibilità della parte che invoca la sussistenza del presupposto temporale per usufruirne (ex multis, Cons. Stato, sez. II, 11 novembre 2019, n. 7678). Al riguardo, non è sufficiente la sola dichiarazione sostitutiva dell'atto notorio, che deve essere supportata da ulteriori riscontri documentali, eventualmente indiziari, purché altamente probanti (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4075; Id., sez. VI, 10 gennaio 2020, n. 254). Infatti "anche in presenza di dichiarazione sostitutiva di atto notorio presentata dall'interessato, l'amministrazione può legittimamente respingere la domanda di condono ove non riscontri elementi dai quali risulti univocamente l'ultimazione dell'edificio entro la data prescritta dalla legge, atteso che la semplice produzione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non può in alcun modo assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull'epoca dell'abuso" (cfr., Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4168; Id., sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6548, e la giurisprudenza ivi citata). Nel caso di specie è incontestato il fatto che il manufatto in oggetto non risulta nel rilievo fotoaereo del 26/2/2003. Come correttamente rilevato dal Tar, la prospettazione della parte che ritiene che in venti giorni sia possibile edificare un manufatto delle dimensioni di quello oggetto del contenzioso è priva di pregio. Oltretutto, va sottolineato, non sorretta da alcun tipo di documentazione anche fotografica a sostegno dello stato di avanzamento dei lavori nell'intervallo tra il 26 febbraio 2003 e il 31 marzo 2003. Inoltre alla data del 5 novembre 2003, giorno in cui è avvenuto il sequestro preventivo ad opera dei Carabinieri di (omissis) il manufatto nel verbale viene descritto comunque allo stato grezzo. 10. Con il terzo motivo l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il primo motivo di ricorso con cui aveva dedotto che il Comune di (omissis) non avrebbe ritenuto meritevoli di accoglimento le osservazioni avanzate con nota prot. 13707 del 12/5/2006, rispetto al motivo ostativo comunicatole, non perché infondate o non pertinenti, ma perché "non corredate da alcuna documentazione". La motivazione del preavviso di diniego lascerebbe intendere che, se le controdeduzioni fossero state corredate da documentazione, l'amministrazione avrebbe accolto la domanda di condono.. Sul punto l'appellante precisa che le osservazioni offerte sono meramente tecniche e fanno riferimento a documenti già in possesso dello stesso ente. Sicché il Comune non avrebbe esaminato le note tecniche, o, se lo ha fatto, non avrebbe fornito le motivazioni per cui le ha disattese, inficiando in tal modo il procedimento. 11. Con il quarto motivo l'appellante lamenta l'illegittimità della pronuncia gravata per omesso esame e accoglimento del secondo motivo del ricorso di primo grado con cui aveva eccepito la violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990, avendo il Comune omesso di fornire alcuna giustificazione circa il mancato accoglimento delle osservazioni procedimentali dell'appellante prot. 13707 del 12/5/2006. 11.1 Le censure possono essere esaminate congiuntamente e sono infondate. La finalità dell'istituto di cui all'art. 10 bis della l. n. 241/1990 è garantire la partecipazione del privato indicando quegli elementi fattuali o valutativi che potrebbero influire sul contenuto del provvedimento finale. Pertanto è opportuno che in tale sede il privato non si limiti a contestare gli eventuali motivi di rigetto eccepiti dall'amministrazione ma offra a sostegno delle sue osservazioni documenti ed elementi probatori certi che riescano a superare le conclusioni dell'Amministrazione. E' da escludere che l'art. 10 bis l. 241/1990 preveda la necessità di una puntale e analitica confutazione delle singole argomentazioni svolte dall'interessato, allorché la motivazione dell'atto sia già di per sé sufficiente a sorreggere la determinazione adottata (cfr., Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2018, n. 4523). Al contrario, per giustificare il provvedimento conclusivo adottato, è sufficiente la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell'atto stesso, alla luce delle risultanze acquisite (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 30 agosto 2023, n. 8063; Cons Stato, Sez. V, 20 ottobre 2021, n. 7054; Cons. Stato, Sez. VI, 18 novembre 2022, n. 10189). 12. Con il quinto motivo l'appellante lamenta l'illegittimità della pronuncia gravata per omesso esame e accoglimento del quarto motivo del ricorso di primo grado rubricato "Eccesso di potere per carenza di motivazione" che in questa sede ripropone. Il Comune di (omissis) in violazione dei principi di imparzialità e trasparenza dell'azione amministrativa indicherebbe la data della donazione del suolo (l'atto è del 24.09.2003) quale motivo ostativo al rilascio del condono, senza specificare quali conseguenze tecnico-giuridiche trae da quella data. In tal modo l'appellante non sarebbe stata posta nella condizione di difendersi e replicare. 13. Con il quinto motivo l'appellante lamenta l'illegittimità della pronuncia gravata per omesso esame e accoglimento del quinto motivo del ricorso di primo grado rubricato "Violazione di legge. Difetto del presupposto" che in questa sede ripropone. Il Comune assume ad ulteriore motivo ostativo al condono il fatto che "la domanda non è stata prodotta in forma legale". Per l'appellante tale osservazione va censurata in quanto la normativa sul condono stabilirebbe che la domanda va proposta in carta semplice. Ulteriore motivo addotto dall'Ente ai fini del diniego del condono è che "non sono state versate tutte le somme come dichiarate". Sul punto l'appellante sostiene che il mancato versamento delle somme non determinerebbe la reiezione della domanda di condono. Ultimo motivo di diniego indicato dal Comune è che la domanda "è carente di documentazione integrativa come prevista dalla legge". Il Comune, lamenta l'appellante, avrebbe omesso d'esaminare la documentazione di cui all'art. 5 della l. r. n. 10 del 18 novembre 2004 allegata all'istanza di condono. 14. Le censure possono essere esaminate congiuntamente sono infondate. Il provvedimento di diniego di condono edilizio è un atto plurimotivato, per tali atti la sussistenza di una solo valida ragione ostativa a sostegno del diniego rende praticamente irrilevante la fondatezza di un ulteriore motivo. Il diniego si fonda sul plurimi di motivi, in termini tali da ritenere applicabile altresì il consolidato principio a mente del quale "in presenza di un atto plurimotivato è sufficiente riscontrare la legittimità di una delle autonome ragioni giustificatrici della decisione amministrativa, al fine di rigettare l'intero ricorso, tenuto conto che, anche in caso di fondatezza degli ulteriori motivi di doglianza, il provvedimento amministrativo non potrebbe comunque essere annullato, in quanto sorretto da un'autonoma ragione giustificatrice confermata in sede giudiziale" (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 marzo 2024, n. 2085; Id., sez. VI, 24 marzo 2023, n. 3023; Id., sez. VI, 19 marzo 2024, n. 2682 e, da ultimo, Id., sez. VI, 5 marzo 2024, n. 2171). Nel caso di specie l'opera oggetto di contestazione non risulta "completa al rustico" in data antecedente al 31 marzo 2003. Il motivo consente di affermare la legittimità del provvedimento gravato. 15. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 16. Le spese del doppio grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la sig.ra Ma. Del Pr. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis) liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro oltre diritti ed accesso di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

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