Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Campania

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5404 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Regione Campania; Asl 104 - Caserta 1, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti -OMISSIS-; per l'annullamento, per quanto riguarda il ricorso introduttivo: a) della Deliberazione del Direttore Generale n. 1611 del 20 settembre 2023 con cui, tra l'altro, è stata disposta l'esclusione del ricorrente dal concorso pubblico, per titoli ed esami, per l'assunzione a tempo indeterminato di n. 8 operatori socio sanitari, riservato ai sensi dell'art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 75/2017 e ss.mm.ii.; b) della delibera n. 483 del 17 marzo 2023 con cui l'Azienda sanitaria resistente ha indetto il predetto concorso pubblico; c) del bando di concorso nella parte in cui va interpretato secondo il modus procedendi dell'ASL resistente; d) dell'elenco degli ammessi alla prova scritta del concorso de quo, nonché dell'elenco degli ammessi alla prova orale, quest'ultimo pubblicato in data 15 novembre 2023, se e ove occorra; e) di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso e consequenziale, ancorché non conosciuto; per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da -OMISSIS- a) della deliberazione del direttore generale n. 2162 del 21 dicembre 2023, con cui l'ASL di Caserta resistente ha approvato gli atti del concorso pubblico, per titoli ed esami, finalizzato all'assunzione a tempo indeterminato di n. 8 operatori socio sanitari; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Asl 104 - Caserta 1; Visti tutti gli atti della causa; Relatore la dott.ssa Maria Grazia D'Alterio e uditi nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2024 per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con delibera n. 483 del 17 marzo 2023, l'Azienda Sanitaria Locale di Caserta ha indetto un concorso pubblico, per titoli ed esami, per l'assunzione a tempo indeterminato - per quanto ne importa - di n. 8 operatori socio sanitari, riservato alla stabilizzazione del personale precario dell'area del comparto sanità, ai sensi dell'art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 75/2017 e ss.mm.ii. Il ricorrente, asserendo di essere in possesso di tutti i requisiti previsti dal bando di concorso, ha presentato la propria domanda di partecipazione. Senonché, con la deliberazione impugnata, l'Azienda sanitaria resistente ha, tra l'altro, deliberato l'esclusione di esso ricorrente dalla procedura, ritenendo non integrato il requisito di cui alla lettera b) ex art. 20, comma 2, d.lgs. 75/2017 e ss.mm.ii., in quanto il servizio prestato atterrebbe a "profilo diverso da quello a concorso". 1.1 Il ricorrente è insorto avverso la prefata deliberazione, deducendo a fondamento dell'impugnativa in tre articolati motivi, vizi di violazione di legge (art. 3 e 97 della Costituzione; violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. n. 75/2017 ss.mm.ii.) ed eccesso di potere per violazione del bando di concorso, travisamento dei fatti e dei presupposti, carenza di istruttoria e di motivazione. Secondo la prospettazione di parte, la disposta esclusione sarebbe del tutto illegittima in quanto la normativa in esame non prevederebbe affatto, ai fini dell'ammissione, che il requisito dell'anzianità debba essere stato maturato nella medesima qualifica oggetto di concorso, stabilendo solo che sono ammessi a parteciparvi coloro i quali abbiano maturato "almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l'amministrazione che bandisce il concorso"; analogamente, il Bando non prevederebbe, come requisito di ammissione, l'aver svolto il servizio, utile per la stabilizzazione, in qualità di operatore socio sanitario (O.S.S.). Inoltre, il ricorrente nel corso di questi ultimi otto anni, pur essendo inquadrato alle dipendenze dell'ASL come Operatore socio assistenziale (O.S.A.), avrebbe di fatto svolto l'attività di O.S.S. 1.2 Con successivi motivi aggiunti il ricorrente ha impugnato la deliberazione di approvazione della graduatoria finale e nomina dei vincitori, sia per motivi di illegittimità derivata dagli atti presupposti che per motivi propri, lamentando, in particolare, che l'amministrazione avrebbe dovuto attendere l'esito del giudizio sulla propria esclusione prima di concludere la procedura, e che, in ogni caso, detta delibera difetterebbe della necessaria valutazione del D.G. sulla regolarità degli atti approvati, limitandosi alla presa d'atto della graduatoria e del verbale afferente allo svolgimento della prova orale, mancando invece ogni opportuno riferimento alla prova scritta e all'elenco degli ammessi alla prova orale. 2. Si è costituita in resistenza l'Azienda Sanitaria Locale di Caserta che ha difeso la legittimità dei propri atti, instando per la reiezione del ricorso. 3. Respinte le istanze cautelari monocratica e collegiale (rispettivamente con decreti nn. 2153/2023 e 170/2024 e ordinanza collegiale n. 2426/23), salvo l'accoglimento con ordinanza n. 369/2024 inter partes ai fini della sola sollecita fissazione del merito, all'udienza del 9 luglio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 4. Il ricorso non è fondato. 5. Il Collegio intende ribadire, anche alla luce dell'approfondimento proprio della sede di merito, quanto sommariamente argomentato con la ordinanza reiettiva dell'istanza cautelare, non essendo fondate le censure prospettate dal ricorrente avverso la sua esclusione. 5.1 Gioverà precisare in fatto, al fine di meglio individuare le questioni rientranti nel thema decidendum dell'odierno giudizio, che il bando di concorso relativo alla procedura concorsuale di stabilizzazione all'esame - concernente, per quanto ne importa, l'assunzione a tempo indeterminato di n. 8 operatori socio sanitari (OSS) - ha prescritto, ai fini partecipativi, il possesso del requisito della esperienza lavorativa pregressa "nella medesima attività " (cfr. pag. 2, lett. b) del Bando di concorso) attestata da "almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni presso l'Asl Caserta o presso diverse amministrazioni del SSN o presso IRCCS o IZS", con possibilità di "sommare periodi riferiti a contratti diversi, anche come tipologia di rapporto, purché riferiti alla medesima attività ". 5.1.a Il ricorrente, in possesso della qualifica richiesta di O.S.S., ha dichiarato di possedere il requisito esperienziale pur se il servizio pregresso è stato prestato come operatore socio assistenziale (O.S.A.). 5.1.b Sul presupposto della diversa natura sanitaria e non meramente assistenziale del profilo professionale da assumere, tale attività è stata ritenuta dalla resistente amministrazione, alla stregua di una interpretazione restrittiva del dettato di cui all'art. 20 D.lgs. n. 75/2017 e del bando, di per sé non idonea ad integrare il prescritto requisito partecipativo. I contratti individuali a tempo determinato sottoscritti dal ricorrente, secondo la ASL resistente, benché prorogati, erano stati sempre stati stipulati per la posizione funzionale di O.S.A. anziché di O.S.S., posizione, questa, prevista dal bando; da ciò è derivata la disposta esclusione. 5.2 Dunque, il nodo delle questioni controverse attiene alla esatta individuazione delle attività lavorative utili ai fini della maturazione del requisito della pregressa esperienza professionale in ambito pubblico ai fini della partecipazione a procedure selettive di stabilizzazione del personale precario ex art. 20, comma 2, D.lgs. n. 75/2017, essendo in particolare controverso se detta esperienza debba necessariamente riguardare la medesima attività del profilo/qualifica oggetto del concorso. 5.2.a Occorre sul punto ricordare che, così come chiarito dalla stessa Corte Costituzionale, le procedure di stabilizzazione costituiscono uno strumento di reclutamento derogatorio rispetto a quello ordinario del pubblico concorso, in quanto introducono un percorso riservato ad una platea ristretta di soggetti, che risultino in possesso di determinati requisiti e abbiano maturato un determinato periodo di esperienza lavorativa in ambito pubblico, secondo dettagliate disposizioni previste da specifiche leggi. In particolare, con la normativa sulla stabilizzazione il legislatore ordinario ha inteso superare situazioni di precariato cronicizzate nel tempo, le quali si sono diffuse a causa del frequente ricorso da parte delle pubbliche amministrazioni a forme contrattuali variamente flessibili (quali contratti a termine, di formazione e lavoro, di somministrazione ecc.), volte a soddisfare esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale, che, tuttavia, nella prassi, sono state utilizzate reiteratamente, anche oltre i previsti limiti temporali. L'eliminazione del precariato costituisce, dunque, in presenza di determinate condizioni preordinate a verificarne la coincidenza con le esigenze organizzative della Pubblica Amministrazione, apprezzabile interesse pubblico idoneo a giustificare l'eccezione alla regola della concorsualità, in misura compatibile con i principi costituzionali. In tale ottica di bilanciamento di interessi va letta la finalizzazione delle procedure di stabilizzazione a tesaurizzare l'attività lavorativa comunque svolta dai lavoratori precari presso una pubblica amministrazione, al di fuori di moduli contrattuali stabili (i.e. a tempo indeterminato). In tal modo, in ragione del soddisfacimento anche degli interessi organizzativi e del buon andamento dell'amministrazione si giustifica, dunque, la deroga al pubblico concorso, costituendo la valorizzazione del requisito esperienziale sicuro indice dell'accrescimento della professionalità maturata durante lo svolgimento del rapporto lavorativo. 5.2.b Ciò premesso in linea di principio, al fine di giungere alla soluzione della questione problematica all'esame nel caso concreto e definire in maniera più sicura l'ambito di applicazione del requisito della "medesima attività ", ritiene il Collegio che occorra procedere, alla stregua delle sopra delineate coordinate, ad una lettura combinata dei primi due commi dell'art. 20 del D.lgs. n. 75/2017. Ciò in quanto l'obiettivo generale della stabilizzazione, la cui enunciazione è riportata nella rubrica dell'articolo 20 più volte menzionato ("Superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni"), viene subito esplicitato nel primo periodo del comma primo, ove si chiarisce che il fine della stessa, in entrambe le forme procedurali in cui si estrinseca, non è limitato a "superare il precariato", ma si estende anche a "valorizzare la professionalità acquisita" nell'ambito di forme contrattuali estranee al modello del rapporto lavorativo stabile (id est, a tempo indeterminato) dal "personale non dirigenziale" che si intende "assumere a tempo indeterminato". Tali obiettivi generali, dunque, sono all'evidenza riferiti ad entrambe le varianti procedurali disciplinate dai commi I e II, le quali risultano accumunate, oltre che dal comune scopo della stabile assunzione presso le amministrazioni pubbliche, dalla individuazione di requisiti di ammissione modulati sulla titolarità di pregressi rapporti contrattuali a tempo determinato o flessibili, quindi non stabili, salvo poi disciplinare compiutamente le due diverse modalità assunzionali con più specifici e differenziati requisiti. In particolare: I) per la procedura di assunzione diretta di cui al comma 1, si richiede che il personale non dirigenziale da assumere abbia i seguenti requisiti: "a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l'amministrazione che procede all'assunzione o, in caso di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati; b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all'assunzione; c) abbia maturato, al 31 dicembre 2022, alle dipendenze dell'amministrazione di cui alla lettera a) che procede all'assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni."; II) con riferimento alla procedura selettiva di cui al comma 2, si richiede invece che il personale ammesso a partecipare al concorso riservato abbia i seguenti requisiti: "a) risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l'amministrazione che bandisce il concorso; b) abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2024, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l'amministrazione che bandisce il concorso". La circostanza che solo per la procedura di assunzione diretta di cui al comma 1 venga utilizzato il riferimento espresso alla "medesima attività " (cfr. lett. b) non contraddice la premessa innanzi riportata, in ordine alla necessità che entrambe le procedure di stabilizzazione riguardino i soli lavoratori che abbiano maturato pregressa esperienza nella "medesima attività " del profilo da ricoprire, come richiesto in linea generale, per quanto sopra esposto, dal primo periodo del comma 1. A ben vedere, infatti, il riferimento alle "medesime attività " contenuto al comma 1, lett. b, articolo citato, nell'ambito dell'elencazione dei requisiti per poter procedere all'assunzione diretta, costituisce una ulteriore connotazione che, più che riferirsi all'attività svolta in maniera precaria (la quale deve già di per sé riguardare, per quanto detto, il profilo/qualifica da assumere al fine di poter integrare il requisito della esperienza qualificante di cui al primo periodo del primo comma), afferisce alla selezione di personale a tempo determinato già svolta a monte del periodo di precariato. Tale riferimento, dunque, ha qui lo scopo di giustificare la modalità assunzionale diretta senza svolgimento di un nuovo concorso, quand'anche riservato, ai fini della assunzione a tempo indeterminato. Di qui la differente previsione dei requisiti specifici previsti per le procedure di stabilizzazione di cui al secondo comma, basate sul concorso riservato, aperto a chi può vantare un'esperienza professionalizzante nella stessa attività (nella specie sanitaria). Ne consegue la necessità, in ogni caso, di corrispondenza della qualifica/profilo ricoperti con il rapporto di lavoro flessibile con quelli di cui ai posti messi a concorso, non essendo invece sufficiente la mera titolarità di un rapporto di lavoro flessibile, quale che sia e per qualsivoglia qualifica, con l'amministrazione che indice la procedura e la prescritta durata del rapporto di lavoro flessibile; ciò anche nell'ottica della necessità di una lettura restrittiva del disposto di entrambi i commi dell'art. 20 d.lgs. 75/2017, che, ove letti in maniera più estesa, accorderebbero un ingiustificato privilegio ai titolari dei rapporti di lavoro flessibile, non ulteriormente qualificati sulla base di indici ragionevoli di differenziazione, in deroga all'apicale principio del concorso pubblico per l'accesso al pubblico impiego, anche in termini di riserva dei posti assicurata dalla procedura concorsuale di cui all'art. 20 comma 2, dovendosi coniugare l'interesse dei medesimi con l'interesse della P.A. (cfr., in termini, Cons. Stato, III, 03/02/2020, n. 872; Tar Napoli, Sez. V, 12/03/2021, n. 1665). Diversamente, si aprirebbe la possibilità alla stabilizzazione di personale a tempo determinato del tutto avulsa dalla valorizzazione dell'esperienza di arricchimento conseguita nello svolgimento dell'attività precaria, giustificandosi in astratto l'assunzione con tale modalità preferenziale ai ruoli sanitari anche a soggetti che abbiano prestato attività affatto eccentrica rispetto al profilo professionale da ricoprire. In tal senso, deve richiamarsi anche quanto indicato nella circolare 23 novembre 2017 della Presidenza del Consiglio dei Ministri (recante "indirizzi operativi in materia di valorizzazione dell'esperienza professionale con contratto di lavoro flessibile e superamento del precariato") laddove chiarisce, in merito al requisito di anzianità di cui alla lettera b) del comma 2, art. 20 cit. che nei tre anni di contratto, anche non continuativi, svolti negli ultimi otto anni, presso l'amministrazione che bandisce il concorso "è possibile sommare periodi riferiti a contratti diversi, anche come tipologia di rapporto, purché riferiti alla medesima amministrazione e alla medesima attività, analogamente a quanto indicato al superiore punto 1. lett. c), sempre fatto salvo quanto si dirà per gli enti del SSN e per gli enti di ricerca". Quanto al S.S.N., inoltre, la medesima circolare prevede che i commi 1 e 2 dell'articolo 20 si applicano a tutto il personale degli Enti del Servizio Sanitario Nazionale con le stesse modalità previste per il restante personale, salvo le specificità che seguono: [...]"per il suddetto personale, in quanto personale direttamente adibito allo svolgimento delle attività che rispondono all'esigenza, prescritta dalla norma, di assicurare la continuità nell'erogazione dei servizi sanitari, è consentito il ricorso anche alle procedure di cui all'articolo 20 e, per il personale tecnico-professionale e infermieristico, il requisito del periodo di tre anni di lavoro negli ultimi otto anni, previsto dall'articolo 20, commi 1 lettera c) e 2, lettera b), può essere conseguito anche presso diverse amministrazioni del Servizio sanitario nazionale". La ratio della norma è pertanto, quanto agli enti del S.S.N., quella di superare il precariato assicurando nel contempo la continuità nell'erogazione dei servizi sanitari, con la conseguente necessità che l'attività in precedenza prestata ed utile ai fini della partecipazione alla procedura di cui all'art. 20, comma 2, d.l.gs. afferisca ad un profilo sanitario. Nella specie, il ricorrente ha maturato il richiesto periodo di anzianità quando era incontestatamente titolare di rapporto di lavoro con l'Azienda in qualità di O.S.A. (e non di O.S.S.). L'operatore socio assistenziale (O.S.A.) è figura professionale di tipo ausiliario, riconosciuta e formata per assistere direttamente le persone nello svolgimento delle attività quotidiane, aiutare nel mantenimento e nel recupero dell'autonomia, offrire supporto per il benessere psicofisico dell'assistito, di talché è evidente che la stessa non ha carattere infermieristico, sebbene possa accudire l'assistito anche per le necessità base fisiologiche (igiene, alimentazione, deambulazione, postura, ecc.). Le competenze sono da considerare per la maggior parte di tipo socio-relazionale, rientranti nel profili assistenziale e non sanitario. Ne consegue che, essendo rivolta la stabilizzazione al personale infermieristico, ai sensi del d.lgs. 75/2017, gli O.S.A. sono da considerarsi esclusi dall'anzidetta disciplina (cfr., in termini, Consiglio di Stato, Sez. II, n. 4733 del 9 giugno 2022). Ciò chiarito, ritiene il Collegio che l'amministrazione abbia dato corretta applicazione alla normativa richiamata, per cui gli atti impugnati vadano esenti dai profili di illegittimità denunciati. La clausola del bando controversa, come il provvedimento di esclusione che del bando ha fatto applicazione, sono in tutto conformi alla disciplina normativa sopra esaminata, volta, si ribadisce, a superare il precariato, al contempo valorizzando le professionalità acquisite dal personale precario nello svolgimento dell'attività afferente allo specifico profilo/qualifica oggetto del concorso riservato. 6. La reiezione del ricorso introduttivo avverso l'esclusione implica l'improcedibilità del ricorso per motivi aggiunti avverso gli atti ulteriori della procedura, atteso che il ricorrente non ha più interesse a contestare gli esiti di una procedura concorsuale riservata dalla quale risulta essere stato legittimamente escluso, non potendo trarre alcuna utilità dall'annullamento di detti atti. 7. In conclusione, il ricorso originario è respinto, mentre il ricorso per motivi aggiunti va dichiarato improcedibile. 8. Le spese di lite possono essere integralmente compensate, tenuto conto della peculiarità e novità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - Napoli Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Maria Abbruzzese - Presidente Maria Grazia D'Alterio - Consigliere, Estensore Fabio Maffei - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2640 del 2024, proposto da St. Mi., rappresentato e difeso dall'avvocato Gh. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Va. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Mi. Società Cooperativa, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Fe., St. So., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio inadempimento formatosi sulla diffida notificata al Comune a mezzo p.e.c. l'8.4.2024 (acquisita al prot. n. 8651); e per l'accertamento dell'obbligo dell'Amministrazione intimata di provvedere in ordine alla predetta diffida e la condanna dell'Amministrazione a provvedere in ordine alla diffida notificata l'8.4.2024. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Mi. Società Cooperativa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 settembre 2024 la dott.ssa Mara Spatuzzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con il presente ricorso ex art. 117 c.p.a., notificato e depositato il 30 maggio 2024, il ricorrente espone che: - è proprietario di un immobile sito nel Comune di (omissis) alla Via (omissis), nel quale risiede con il suo nucleo familiare, che confina con altro immobile nel quale la società cooperativa "Mi." svolge, con l'impiego di appositi macchinari, l'attività di stabulazione e trattamento di cozze e mitili; - l'attività svolta dalla Mi. produrrebbe emissioni acustiche intollerabili, derivanti, in particolare, dai motori delle pompe di filtraggio delle acque nelle quali vengono trattate le cozze; e, inoltre, genererebbe costantemente cattivi odori, forti vibrazioni e, non di rado, immissione di reflui di lavorazione nel terreno in comproprietà con il ricorrente; - a seguito dell'esame della documentazione ostesa dal comune in risposta alla sua istanza di accesso agli atti, il ricorrente, oltre ad aver proposto ricorso per l'annullamento dei provvedimenti autorizzativi rilasciati in favore della società della Mi. da parte del Comune di (omissis) e di altre amministrazioni (pendente davanti a questo Tar), ha presentato, tramite pec dell'8 aprile 2024, al Comune di (omissis) un atto di diffida/messa in mora con il quale ha segnalato al comune - anche con l'aiuto di una relazione tecnica - che numerose opere sarebbero state realizzate con titoli edilizi non idonei o senza alcun titolo edilizio ed ha sollecitato il comune ad intervenire; - il termine di legge di trenta giorni è decorso senza che il comune si sia pronunciato sull'istanza/diffida presentata dal ricorrente e senza comunicare all'esponente l'avvio del procedimento volto alla verifica delle difformità denunciate. Il ricorrente, rimarcando la sua legittimazione e interesse a ricorrere, lamenta l'illegittimità del silenzio serbato dal comune intimato sulla sua istanza e chiede che la Sezione ordini all'Amministrazione di provvedere entro un termine assegnato e disponga fin d'ora la nomina di un Commissario ad acta nell'ipotesi di ulteriore inerzia della stessa. Si è costituita in giudizio la società controinteressata che ha depositato memoria e relativa documentazione con cui in primis eccepisce l'inammissibilità del ricorso, in quanto nel caso di specie non sarebbe configurabile in capo al Comune di (omissis) alcun obbligo di pronunciarsi in via espressa sull'istanza-diffida dell'8 aprile 2024 non essendo coercibile dall'esterno l'attivazione del procedimento di riesame di titoli edilizi ormai risalenti mediante l'azione avverso il silenzio inadempimento ex artt. 31 e 117 c.p.a.; e deduce l'infondatezza dello stesso richiamandosi anche alle argomentazioni rese in apposita perizia di parte tese a dimostrare la legittimità degli atti in base ai quali la società svolge la sua attività . Parte ricorrente ha replicato, evidenziando che in questa sede ha soltanto chiesto al giudice amministrativo di accertare l'illegittimità del silenzio del Comune di (omissis) e di condannarlo a provvedere entro un termine assegnato, pena la nomina di un Commissario ad acta, per cui nella presente sede si può solo discutere dell'obbligo dell'Amministrazione di provvedere sull'esposto/denuncia del ricorrente, ma non tentare di ottenere una pronuncia di conformità delle opere realizzate; e ha ulteriormente argomentato sulla sussistenza dell'obbligo dell'Amministrazione di provvedere sulla diffida. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) che ha depositato memoria con cui ha eccepito l'inammissibilità del presente ricorso, in quanto non sussisterebbe alcun obbligo per l'Amministrazione di pronunciarsi su un'istanza volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile dall'esterno l'attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell'atto amministrativo mediante l'istituto del silenzio-rifiuto e lo strumento di tutela offerto ex art. 117 c.p.a.; e ha argomentato per l'infondatezza della richiesta avanzata dal ricorrente per l'annullamento dei provvedimenti autorizzativi rilasciati dall'Ente in quanto un eventuale provvedimento di annullamento in autotutela della SCIA sarebbe viziato per violazione dell'art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 essendo ormai trascorsi cinque anni dal provvedimento autorizzativo. Alla camera di consiglio dell'11 settembre 2024, dopo la discussione in cui le parti hanno insistito per le rispettive pretese, il ricorso è stato trattenuto in decisione. Il ricorso è fondato e va accolto nei sensi e termini seguenti. Si rileva innanzitutto che sussistono in capo al ricorrente sia la legittimazione che l'interesse a ricorrere tenuto conto che egli è proprietario di un immobile, nel quale risiede con il suo nucleo familiare, che confina con l'immobile nel quale la società cooperativa "Mi." svolge, con l'impiego di appositi macchinari, l'attività di stabulazione e trattamento di cozze e mitili e considerato il pregiudizio lamentato dal ricorrente secondo cui l'attività svolta dalla Mi. produrrebbe emissioni acustiche intollerabili, derivanti, in particolare, dai motori delle pompe di filtraggio delle acque nelle quali vengono trattate le cozze; e, inoltre, genererebbe costantemente cattivi odori, forti vibrazioni e, non di rado, immissione di reflui di lavorazione nel terreno in comproprietà con il ricorrente. Tanto premesso, si rileva che con la diffida in questione, specifica e adeguatamente circostanziata, il ricorrente ha chiesto al comune di esercitare i suoi poteri di verifica e repressivi sia in relazione ad opere realizzate su presentazione di Scia e Cila, che il ricorrente assume essere inidonee a legittimare gli interventi, sia in relazione ad opere che sarebbero state realizzate in assenza di qualsivoglia titolo edilizio. Orbene, quanto alla possibilità di agire tramite l'azione contro il silenzio nel caso di diffida all'esercizio dei poteri ex art. 4 dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990, il Consiglio di Stato si è recentemente così espresso "...È ormai consolidato che l'autotutela di cui al comma 4 dell'articolo 19 della legge n. 241/1990 si diversifica per così dire sul piano ontologico dal modello generale declinato dall'art. 21- novies, cui pure rinvia, innanzi tutto per il fatto che non incide su un precedente provvedimento amministrativo, connotandosi pertanto per conseguire ad un procedimento di primo e non di secondo grado, tanto da indurre la dottrina a rivederne finanche la qualificazione definitoria. Inoltre, mentre di regola il potere di autotutela è ampiamente discrezionale nell'apprezzamento dell'interesse pubblico che può imporne l'esercizio e pertanto non coercibile, al punto che la p.a. non ha neanche l'obbligo di rispondere a eventuali istanze con cui il privato ne solleciti l'esercizio, nel caso di cui all'art. 19, comma 4, della l. n. 241 del 1990, si ritiene che l'Amministrazione abbia l'obbligo di rispondere, sicché la discrezionalità risulta piuttosto relegata alla verifica in concreto della sussistenza o meno dei presupposti di cui all'articolo 21-novies..." (Cons. di Stato, sent. n. 2371 del 2023). Il regime delle tutele accordate al terzo controinteressato in via giurisdizionale nel caso di avvenuta presentazione di Scia è infatti contenuto nel comma 6-ter dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990. La norma, dopo avere affermato che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività "non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili", ed avere codificato la facoltà del terzo controinteressato di "sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione", completa il quadro riconoscendogli "esclusivamente" la possibilità, in caso di inerzia, di esperire "l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104": il che sottintende appunto "un obbligo di pronuncia, ancorché negativa, pur senza indirizzarne i contenuti" (in tal senso cfr. Cons di Stato, sent. n. 2371 del 2023 cit. e n. 5208 del 2021; cfr. anche Cons.di Stato, sent. n. 4197 del 2024). Come rilevato dal Consiglio di Stato, "... avendo il legislatore optato per silenzio-inadempimento quale unico mezzo di tutela (amministrativo ) messo a disposizione del terzo, ove non sussistesse neppure l'obbligo di iniziare e concludere il procedimento di controllo tardivo con un provvedimento espresso, si finirebbe per privare l'istante di ogni tutela effettiva davanti al giudice amministrativo, in contrasto con gli articoli 24 e 113 della Costituzione; - è necessario quindi riconoscere, rispetto alla sollecitazione dei poteri di controllo tardivo, quanto meno l'obbligo dell'amministrazione di fornire una risposta..." (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 5208 del 2021 cit.). Inoltre, si rileva che il ricorrente ha chiesto anche l'esercizio dei poteri di verifica e repressivi in relazione ad altri interventi, descritti nella denuncia in questione, che sarebbero stati a suo avviso realizzati in assenza di qualsivoglia titolo. Per cui, considerato tutto quanto sopra, il comune aveva comunque l'obbligo di pronunciarsi con una determinazione espressa e motivata sulla circostanziata diffida del ricorrente. L'inerte contegno del comune intimato si pone in violazione dell'obbligo di provvedere sussistente a suo carico sulla base di quanto disposto dall'art. 2 della legge n. 241 del 1990 e di quanto previsto dall'art. 19 della legge n. 241 del 1990 nonché dalla disciplina in materia di vigilanza sull'attività edilizia, accertamento e repressione degli abusi. Come già rilevato da questa Sezione, invero, la mancata emanazione di un provvedimento espresso che concluda il procedimento iniziatosi con la istanza del privato, quale che ne sia la natura (di accoglimento ovvero di reiezione), frustra, in ogni caso, il soddisfacimento dell'interesse pretensivo azionato dall'istante, dapprima in sede procedimentale e, in seguito, con la domanda giudiziale. E, invero, nel giudizio avverso l'inerzia della pubblica amministrazione ex art. 117 c.p.a., l'interesse che sorregge il ricorso, ed il correlato bene della vita che ne costituisce l'indefettibile sostrato sostanziale - salva la ipotesi in cui non residuino margini di discrezionalità e non sia necessario procedere ad acclaramenti istruttori - afferisce "all'ottenimento di una formale manifestazione di volontà della Amministrazione, quale che ne sia il contenuto e la natura, in ossequio all'obbligo del clare loqui e di tempestiva conclusione del procedimento (art. 2 l. 241/90; art. 97 Cost.) che deve sempre e comunque informare l'agere dei pubblici poteri" (cfr. Tar Campania, Napoli, sez. VI, sent. 30/12/21, n. 8317). Nei termini di cui sopra, pertanto, il ricorso va accolto e va ordinato al comune intimato di provvedere sulla istanza-diffida del ricorrente tramite determinazione espressa e motivata, previe le necessarie verifiche, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notifica di parte, se anteriore, della presente sentenza. In caso di inutile decorso del termine sopraindicato, si nomina fin d'ora quale commissario ad acta il dirigente della Direzione Pianificazione territoriale metropolitana della Città Metropolitana di Napoli, con facoltà di delega ad un funzionario dotato di adeguata qualificazione professionale, il quale, su istanza dell'interessato, provvederà nei successivi sessanta giorni. Le spese di lite sono poste, secondo soccombenza, a carico del comune intimato mentre si ritiene di poterle compensare nei confronti del controinteressato. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui in motivazione e, per l'effetto, dichiara l'obbligo del comune intimato di provvedere sulla istanza-diffida del ricorrente entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notifica di parte, se anteriore, della presente sentenza. In caso di ulteriore inerzia, nomina fin d'ora quale commissario ad acta il dirigente della Direzione Pianificazione territoriale metropolitana della Città Metropolitana di Napoli, con facoltà di delega ad un funzionario dotato di adeguata qualificazione professionale, che provvederà nei termini di cui in motivazione. Condanna il comune intimato al pagamento delle spese di lite, che liquida in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato nella misura effettivamente versata. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 11 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Santino Scudeller - Presidente Angela Fontana - Consigliere Mara Spatuzzi - Primo Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 902 del 2023, proposto da An. Ma. Am. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato An. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Bi. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero dell'Interno; Sindaco del Comune di (omissis) quale Ufficiale di Governo, Dipartimento dei Vigili del Fuoco - Comando Provinciale Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via (...); per l'annullamento: a) dell'ordinanza del Sindaco del Comune di (omissis) n. 58 prot. n. 40537 del 18 novembre 2022, notificata a tutti i ricorrenti in data 21 novembre 2022 nella loro qualità di comproprietari del fabbricato ubicato in (omissis) alla Via (omissis), con la quale - sulla scorta della nota prot. 51217 del 5 novembre 2022 del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Napoli (di cui non si conosce il contenuto, essendo richiamata de relato nelle premesse del provvedimento) - si ordina ai sensi degli artt. 50 e 54 del D. Lgs. n. 267/2000 l'immediata messa in sicurezza del medesimo fabbricato mediante ripristino dell'integrità e delle condizioni di sicurezza statica, stabilità ed igienico - sanitaria dell'immobile; b) della richiamata nota prot. 51217 del 5 novembre 2022 del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Napoli - mai notificata alle ricorrenti - con la quale sarebbero state "rilevate 'fessurazioni strutturalà sulle murature portanti e segnalato 'infiltrazioni di acqua meteoricà al piano interrato che determinano compromissione delle caratteristiche igienico-sanitarie e di sicurezza dello stabile", nota di cui le ricorrenti ignorano l'esatto contenuto, se non quanto deducibile per relationem dall'ordinanza impugnata sub a); c) di ogni altro atto agli stessi preordinato, presupposto, connesso, conseguente e comunque collegato, ancorché non ancora conosciuto dalle ricorrenti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), del Sindaco del Comune di (omissis) Quale Ufficiale di Governo e del Dipartimento dei Vigili del Fuoco - Comando Provinciale Napoli; Visti tutti gli atti della causa; Relatore la dott.ssa Maria Grazia D'Alterio e uditi nell'udienza pubblica del giorno 23 luglio 2024 per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. È controversa la legittimità dell'ordinanza sindacale, contingibile e urgente n. 58, prot. n. 40537 del 18 novembre 2022, con cui è stato ordinata alle ricorrenti, nella qualità di comproprietarie, l'immediata messa in sicurezza del fabbricato ubicato in (omissis) alla Via (omissis), mediante ripristino dell'integrità delle condizioni igienico - sanitarie e di sicurezza statica. A sostegno dell'impugnativa la parte interessata ha dedotto il vizio di erronea rappresentazione dei fatti, allegando relazione tecnica, dalla quale si evincerebbe: - l'assenza di lesioni al piano interrato e della tipica fessurazione diagonale che caratterizza i cedimenti in fondazione (in particolare, gli ambienti al piano terra, a destinazione commerciale, e del piano primo, a destinazione residenziale, sarebbero in ottime condizioni igienico sanitarie, tanto da non richiedere interventi urgenti di messa in sicurezza), mentre le principali problematiche sarebbero legate alle diffuse infiltrazioni al piano interrato che si verificano in concomitanza di particolari eventi meteorici di particolare intensità ; - in ogni caso, sarebbe escluso ogni pregiudizio alla stabilità del fabbricato e, conseguentemente, ogni imminente pericolo alla pubblica e privata incolumità, con conseguente violazione degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267/2000, in quanto mancherebbero i requisiti legittimanti l'adozione di un'ordinanza contingibile e urgente extra ordinem; in particolare, trattandosi esclusivamente di problematiche riconducibili alla cattiva manutenzione del marciapiede e della fogna comunale, alla risoluzione ben potrebbe farsi fronte con gli strumenti ordinari previsti dall'ordinamento. La parte ricorrente ha chiesto conclusivamente annullarsi l'ordinanza gravata, assunta come illegittima. 2. Con ordinanza n. 451/2023, la Sezione ha disposto verificazione a mezzo di tecnico nominato dal dirigente del Settore Provinciale del Genio Civile di Napoli, al fine di "accertare se, come affermato dalla parte ricorrente sulla base della depositata perizia, l'impugnata ordinanza sia stata emessa sulla base di una erronea rappresentazione dello stato dei luoghi, ovvero se effettivamente sussiste un quadro fessurativo di tale gravità da compromettere la sicurezza statica dell'edificio". 3. Depositata la relazione di verificazione, la causa è passata in decisione nell'udienza del giorno 23 luglio 2024. 4. Ritiene il Collegio, anche alla luce della acquisita verificazione, che il ricorso deve essere respinto perché infondato. E invero, la controversa ordinanza veniva adottata sulla base di una segnalazione dei Vigili del Fuoco, i quali segnalavano che a causa di forti precipitazioni avvenute in data 5 novembre 2022, nei 2 appartamenti del 1° e ultimo piano, sulle murature portanti esterne della facciata principale, si era constatata la presenza di fessurazioni strutturali. Non potendosi escludere un ulteriore aggravamento dello stato di conservazione delle citate strutture, si segnalava, pertanto, "l'urgenza di interventi di verifica e ripristino delle relative condizioni di sicurezza, previo puntuale monitoraggio strumentale al fine di escludervi eventuali cinematismi in atto". Si constatava altresì, al piano interrato, la presenza di infiltrazioni di acqua meteorica sulle murature portanti addossate alla citata via, anche in tal caso segnalandosi l'urgenza di interventi al fine di acclarare e reintegrare "le condizioni di sicurezza previa verifica del sottosuolo e sotto-servizi, interni ed esterni il fabbricato medesimo" (cfr. nota prot. n. 51217 del 05/11/2022). Anche dalle considerazioni riportate nella relazione di verificazione, condivise dal Collegio e non superate dalle contestazioni della ricorrente, viene confermata la sussistenza di una situazione di pericolo imminente al momento dell'atto gravato, il quale risulta all'evidenza adottato, come meglio si dirà in seguito, all'esito di adeguata istruttoria. Difatti, i verificatori hanno riscontrato che le lesioni visibili all'esame visivo sono riconducibili, più che alle infiltrazioni nel piano interrato, a movimenti connessi con la tipologia costruttiva del fabbricato, realizzato in muratura di tufo di epoca remota, con struttura mista, volte al piano interrato e solai in ferro ai piani superiori, la quale risulta ulteriormente irrigidita per effetto delle opere in cemento armato realizzate con gli interventi ex lege 219/81. Tali circostanze, anche unite alle massive sollecitazioni provenienti dalla prospiciente strada ad alta intensità di traffico veicolare, secondo un criterio di elevata probabilità, può aver contribuito e/o determinato le lesioni esaminate. Dalle verifiche effettuate, anche a mezzo sopralluogo, come documentato in atti, è emersa, dunque, una situazione di criticità che richiedeva certamente interventi urgenti ad opera della proprietà, al fine di scongiurare, attraverso il compimento delle più approfondite attività di verifica statica dell'edificio, le conseguenze dannose di probabili fenomeni di cinematismo in atto, come visto, anche aggravati dalle infiltrazioni abbondanti sulle fondamenta dell'edificio. Pertanto appaiono del tutto plausibili le valutazioni svolte alla base dell'ordine di redazione del certificato di eliminato pericolo, intimato con il provvedimento impugnato, al fine di accertare e "certificare" la natura delle lesioni visionate; ciò in considerazione della vetustà del manufatto, della presenza di opere strutturali al piano cantinato che hanno variato la "rigidezza" del manufatto nonché delle intense infiltrazioni legate a fenomeni metereologici di eccezionale portata, con fuoriuscita di ingente quantità di acqua al piano interrato dalle murature di contro terra verso la strada e dalle bocche di lupo, che imponevano il monitoraggio e la verifica di cause e danni strutturali. Non pare dubbia, quindi, la sussistenza dei presupposti per l'adozione di un provvedimento ex art. 50 e 54 del D.Lgs. n. 267/2000, costituiti come noto dall'esistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d'urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall'ordinamento (cfr. in termini T.A.R. Campania - Napoli, sez. V, 12/10/2023, n. 5588 e 18/03/2020, n. 1188). Le valutazioni poste a base dell'ordinanza gravata, peraltro, non possono ritenersi superate dalle argomentazioni di parte con cui si adduce l'incidenza decisiva sulla situazione di pericolo rappresentata degli interventi eseguiti dal Comune per il ripristino delle pavimentazioni dei marciapiedi e della carreggiata, restando ferma per la parte danneggiata ogni possibilità di successiva tutela in forma risarcitoria nelle opportune sedi giudiziarie, qualora sia accertata l'eventuale responsabilità dell'Ente comunale e/o altra società di servizi delegata alla realizzazione delle opere infrastrutturali. 5. In conclusione, alla stregua dei superiori rilievi, superati i vizi dedotti dalla parte ricorrente, così come posti alla base dell'ordinanza contingibile e urgente gravata, e risultando sussistenti, per quanto esposto, i presupposti per l'adozione dello strumento contingibile e urgente, il ricorso deve essere respinto. Le questioni esaminate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati presi in considerazione tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). 6. Tenuto conto della complessità della vicenda e della le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti, tranne che per il contributo unificato e le spese di verificazione, liquidate in complessivi Euro. 3.000,00, (di cui Euro. 1.500,00 in favore dell'Ing. Luigi Valerio ed Euro. 1.500,00 in favore dell'arch. Rosanna Mercuri), oltre accessori di legge se dovuti, che cedono integralmente a carico dei ricorrenti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - Napoli Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese di lite, tranne che per il contributo unificato e le spese di verificazione, liquidate in complessivi Euro. 3.000,00 (di cui Euro. 1.500,00 in favore dell'Ing. Luigi Valerio ed Euro. 1.500,00 in favore dell'arch. Rosanna Mercuri), oltre accessori di legge se dovuti, che cedono integralmente a carico della parte ricorrente. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Maria Abbruzzese - Presidente Maria Grazia D'Alterio - Consigliere, Estensore Fabio Maffei - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 394 del 2021, proposto da Acer Campania Dipartimento di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ci. Co., Ro. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Wi. Es., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento: a) dell'ordinanza n. 193 del 10.11.2020, notificata a mezzo pec in data 11.11.2020, con cui il Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t. ha ordinato all'IACP Napoli, "di eseguire i lavori necessari atti a eliminare il pericolo concreto per la pubblica e privata incolumità "; b) di ogni altro atto connesso conseguenziale comunque lesivo dei diritti e degli interessi del ricorrente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore la dott.ssa Maria Grazia D'Alterio e uditi all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 12 settembre 2024 per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso all'esame è controversa la legittimità dell'epigrafata ordinanza, con cui il Comune di (omissis) ha ingiunto alla parte ricorrente "di eseguire i lavori necessari atti a eliminare il pericolo concreto per la pubblica e privata incolumità ", nelle aree adiacenti al complesso immobiliare da essa realizzato nel predetto Comune, alla via (omissis), in ragione del presunto dissesto della rete fognaria sottostante i viali interni all'insediamento abitativo predetto. 1.1 Avverso tale atto l'Acer (già IACP) ha proposto ricorso con cui ha dedotto articolati motivi in diritto, lamentando in via preliminare il proprio difetto di legittimazione passiva, rappresentando, in particolare, di essere stata erroneamente individuata dall'ordinanza impugnata come destinataria dell'ordine di messa in sicurezza dell'area in questione, di cui essa non è né proprietaria, né titolare di obblighi di vigilanza e custodia, trattandosi invece di un bene in proprietà del Comune. A tal proposito, parte ricorrente ha precisato in fatto di essere stata delegata all'esproprio ex art. 60 legge 865/71 e che, all'esito della vicenda espropriativa - conclusasi in forza del decreto di espropriazione n. 2 del 21 maggio 1983 e degli atti di cessione volontaria del 13 aprile 1983 e 12 luglio 1983 - essa è rimasta titolare del solo diritto di superficie degli edifici e del relativo sedime, mentre il Comune ha incontestatamente acquisito la proprietà delle aree oggetto di esproprio, come peraltro previsto con delibere di G.M. n. 332 del 20 novembre 1980 e delibera CDA n. 3/15 del 13 gennaio 1981. Dunque, in coerente attuazione dei precitati atti, con verbale del 28 ottobre 1987, le aree esterne agli edifici e le opere costituenti l'intervento costruttivo, sono state definitivamente consegnate al Comune. 1.2 Con una separata serie di censure proposte in via meramente subordinata, l'Acer, già IACP, ha poi dedotto in tre motivi in diritto molteplici profili di violazione di legge ed eccesso di potere, lamentando, in estrema e doverosa sintesi, oltre alla obliterazione delle garanzie di partecipazione procedimentale, l'assenza dei presupposti per l'esercizio dei poteri di emanare provvedimenti contingibili e urgenti ex artt. 50 e 54 comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000 nonché l'eccesso di potere per illogicità, difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti, sviamento. 2. L'amministrazione comunale si è costituita in giudizio eccependo preliminarmente e in rito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e comunque difendendo nel merito la legittimità della propria ordinanza, chiedendo conclusivamente che il ricorso venga respinto. 3. Accolta l'istanza cautelare, all'udienza straordinaria del 12 settembre 2024, fissata per la discussione del ricorso da remoto, secondo le vigenti disposizioni processuali, la causa è stata trattenuta in decisione. 4. In via pregiudiziale deve essere respinta l'eccezione di difetto della giurisdizione spiegata dal resistente Comune, in quanto la situazione giuridica di cui è chiesta tutela è qualificabile come interesse legittimo, posto che la parte ricorrente assume di essere stata lesa dall'illegittimo esercizio del potere del Comune di (omissis), espresso nell'impugnato provvedimento. 4.1 Del resto il giudice amministrativo può ben conoscere in via incidentale, senza efficacia di giudicato, di diritti soggettivi quando tale sindacato sia necessario per accertare la legittimità di un provvedimento amministrativo, oggetto di impugnazione in via principale, ai sensi dell'art. 8, comma 1°, del codice del processo amministrativo, senza che ciò sposti la giurisdizione. Ed invero, alla stregua di un indirizzo giurisprudenziale fondato sul principio di riconoscimento della giurisdizione sulla base della qualificazione della pretesa azionata, come prescindente dagli accertamenti incidentali su situazioni soggettive di diverso tipo, l'accertamento sulla titolarità di un bene in capo al destinatario del provvedimento amministrativo contestato non eccede l'ambito della competenza del giudice amministrativo se costituisce il presupposto per l'adozione del provvedimento medesimo, di cui - in via principale - occorre accertare la legittimità (cfr. Cons. di Stato, V, 31 agosto 2017 n. 4141). 4.2 Nel caso in esame, difatti, la verifica in ordine alla esistenza di diritti proprietari della parte ricorrente sulle aree in questione è finalizzata a stabilire se il provvedimento comunale impugnato sia o meno legittimo (cfr. Consiglio di Stato, V, 16 ottobre 2017, n. 4791; VI, 10 maggio 2013, n. 2544; altresì, T.A.R. Lombardia, Milano, III, 11 marzo 2016, n. 507). 4.3 Facendosi questione di interessi legittimi in sede di giurisdizione di legittimità, è poi del tutto inconferente il richiamo del resistente Comune alla clausola compromissoria contenuta nella Convenzione rep. 332 del 20 novembre 1980, che non può che avere ambito di applicazione limitato alle controversie concernenti diritti soggettivi rimessi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (cfr. art. 12 c.p.a.), per l'ovvia ragione che le parti non possono disporre di interessi pubblici (ex multis, TAR Campania, Napoli, Sez. III, 1 dicembre 2016, n. 5553). 5. Nel merito, il ricorso è fondato e deve essere accolto nei limiti di seguito specificati. 5.1 Risulta fondata la deduzione per la quale - allo stato degli atti - non può ravvisarsi la sussistenza in capo alla ricorrente della titolarità dell'area interessata dalla asserita situazione di pericolo; circostanza questa che per più aspetti appare per vero sconfessata dalle produzioni di parte ed in particolare dagli atti del procedimento finalizzato alla realizzazione del programma di edilizia residenziale pubblica in questione. L'Amministrazione - inferendo che tali oneri manutentivi in capo all'Acer, già IACP, derivino in maniera automatica dalla circostanza di essere titolare del diritto di superficie ex art. 35, comma 5, Legge n. 865/71 sul complesso immobiliare in adiacenza alle aree e dal legame pertinenziale che le avvincerebbe, come laconicamente presupposto nell'atto gravato - è incorsa nel dedotto vizio di eccesso di potere, per difetto di istruttoria e di motivazione. Ed invero, l'esito cui giunge l'amministrazione comunale confligge con quanto chiaramente emerge dalla stessa volontà manifestata dalla parte resistente nel delineare le direttrici attuative del piano comunale di zona e segnatamente dallo schema di convenzione approvato con delibera giuntale n. 332 del 20 novembre 1980, a cui poi le parti hanno evidentemente dato attuazione, a fronte di un programma costruttivo avviato e concluso, in cui è evidente che le aree adiacenti al complesso immobiliare sono state considerate nella loro individualità fisica e giuridica ancorché funzionalmente collegate al primo, precisandosi chiaramente che i costi della loro manutenzione e gestione (oltre che di realizzazione) sarebbero stati "a totale carico del Comune". Ciò appare peraltro coerente con la circostanza che, all'esito della procedura espropriativa, alla ricorrente è stata trasferita in maniera incontroversa la sola proprietà superficiaria dell'area di sedime necessaria per la realizzazione degli alloggi, nei limiti della stessa (cfr. in termini TAR Napoli, Sez. V, nn. 421/2021 e 431/2021). 5.2 Né può rilevare, in senso contrario, quanto sostenuto dal Comune in ordine all'asserita mancata consegna delle strade e aree esterne ai fabbricati da parte dell'Istituto, come invece previsto in Convenzione. Ed invero, a prescindere dalla circostanza che detta contestazione non certo risulta idonea a incidere sulla questione dell'acquisto della proprietà in capo al Comune, in quanto già verificatosi in virtù degli atti conclusivi della procedura espropriativa, in ogni caso è emerso, nonostante le doglianze dell'amministrazione resistente circa la mancanza di sopralluogo e di collaudo delle opere infrastrutturali, che le aree in questione sono state effettivamente consegnate con verbale del 30 novembre 1987 e, comunque, non si evincono comportamenti della parte ricorrente ostativi alla messa a disposizione delle predette aree in favore del Comune (cfr., in particolare, verbale della riunione tecnica del 23 febbraio 2017, tenutasi presso l'Ente in relazione ad una controversia analoga). 6. Non risultando pertanto la legittimazione dell'Acer, già IACP, rispetto agli obblighi imposti con l'atto gravato, il ricorso va accolto, con assorbimento delle ulteriori censure, per quanto sopra chiarito, spiegate solo in via subordinata. 7. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. 8. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli, Sez. V, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla l'ordinanza impugnata. Condanna il Comune di (omissis) alla refusione delle spese di lite in favore della parte ricorrente che liquida in complessivi Euro. 2.000,00, oltre accessori come per legge e rimborso del C.U. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Severini - Presidente Rita Luce - Consigliere Maria Grazia D'Alterio - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1487 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ev. Consorzio Stabile, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 9788759378, rappresentata e difesa dall'avvocato Lo. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Gs. - Gr. Se. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Ca. e Lu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; So.Re. S.p.A., non costituita in giudizio; Azienda Sanitaria Locale Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Va. Ca. e Ge. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Per quanto riguarda il ricorso introduttivo, per l''annullamento, previa adozione di idonea tutela cautelare: a. della deliberazione del Direttore Generale dell''ASL Salerno, n. 1205 del 6.9.2023, recante "procedura telematica aperta per l''affidamento biennale del servizio di sorveglianza attiva antincendio "squadra aggiuntiva" presso i presidi ospedalieri dell''azienda sanitaria locale di Nocera e Battipaglia con opzione di rinnovo annuale con il criterio dell''offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità /prezzo. cig 9788759378. aggiudicazione"; nonché, ove e per quanto occorra: b. dell''art. 17 del disciplinare di gara, nella parte in cui prevede la riparametrazione dell''offerta tecnica; c. della lettera d''invito, del disciplinare e del capitolato d''oneri, nella parte in cui assegnano il termine per la presentazione delle offerte; d. della proposta di aggiudicazione, anche nella parte in cui non provvede a sciogliere la riserva in ordine all''attribuzione del punteggio tecnico di G.S., assunta dalla Commissione di gara con verbale del 20.6.2023; e. dei verbali di gara, ivi compreso il verbale del 20.6.2023, anche nella parte in cui attribuisce con riserva a G.S.. il punteggio relativo ai criteri 2.1., 2.2, 2.3, pur constatando l''irregolarità dell''offerta tecnica; f. del verbale del 6 luglio, recante approvazione della graduatoria provvisoria; g. dei successivi verbali di gara, ivi compresi quelli relativi alle operazioni di apertura dell''offerta economica, nella parte in cui non hanno escluso l''offerta di G.S.. e/o le hanno attribuito il relativo punteggio; h. del verbale del 28 agosto 2023, nella parte in cui attribuisce il punteggio per l''offerta economica; i. dell''atto, non conosciuto neppure per estremi, con cui la S.A. ha ritenuto congrua l''offerta di G.S.; l. di ogni ulteriore atto di gara, ivi compreso il disciplinare, la lettera d''invito ed il capitolato d''oneri, ove ed in quanto lesivi, anche in riferimento ai termini per la presentazione delle offerte; m. di ogni ulteriore atto presupposto, connesso e/o consequenziale; nonché, ai sensi dell''art. 116 co. 2 cpa, e comunque in via istruttoria, per l''ostensione: a. di tutti gli atti di gara, già richiesti dalla ricorrente con nota pec del 15 settembre 2023, acquisita a protocollo PG/2023/179088 del 18.09.2023; b. dell''offerta tecnica, economica ed amministrativa dell''aggiudicataria, comprensiva di tutti gli allegati e le sottoscrizioni, parimenti richiesta con istanza del 15.9.2023, acquisita a prot. 179088 del 2023. Con espressa riserva, all''esito, di motivi aggiunti; nonché per la declaratoria di inefficacia del contratto, ove nelle more stipulato; nonché per il riconoscimento di tutela in forma specifica, mediante subentro nel contratto; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Ev. Consorzio Stabile il 24/11/2023, per l''annullamento: a. della deliberazione del Direttore Generale dell''ASL Salerno, n. 1205 del 6.9.2023, recante "procedura telematica aperta per l''''affidamento biennale del servizio di sorveglianza attiva antincendio "squadra aggiuntiva" presso i presidi ospedalieri dell''''azienda sanitaria locale di Nocera e Battipaglia con opzione di rinnovo annuale con il criterio dell''''offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità /prezzo. cig 9788759378. aggiudicazione"; nonché, ove e per quanto occorra: b. dell''''art. 17 del disciplinare di gara, nella parte in cui prevede la riparametrazione dell''''offerta tecnica; c. della lettera d''''invito, del disciplinare e del capitolato d''oneri, nella parte in cui assegnano il termine per la presentazione delle offerte; d. della proposta di aggiudicazione, anche nella parte in cui non provvede a sciogliere la riserva in ordine all''''attribuzione del punteggio tecnico di G.S., assunta dalla Commissione di gara con verbale del 20.6.2023; e. dei verbali di gara, ivi compreso il verbale del 20.6.2023, anche nellaparte in cui attribuisce con riserva a G.S.. il punteggio relativo ai criteri 2.1., 2.2, 2.3, pur constatando l''''irregolarità dell''''offerta tecnica; f. del verbale del 6 luglio, recante approvazione della graduatoria provvisoria; g. dei successivi verbali di gara, ivi compresi quelli relativi alle operazioni di apertura dell''offerta economica, nella parte in cui non hanno escluso l''offerta di G.S.. e/o le hanno attribuito il relativo punteggio; h. del verbale del 28 agosto 2023, nella parte in cui attribuisce il punteggio per l''offerta economica; i. dell''''atto, non conosciuto neppure per estremi, con cui la S.A. ha ritenuto congrua l''''offerta di G.S.; l. di ogni ulteriore atto di gara, ivi compreso il disciplinare, la lettera d''invito ed il capitolato d''oneri, ove ed in quanto lesivi, anche in riferimento ai termini per la presentazione delle offerte; m. di ogni ulteriore atto presupposto, connesso e/o consequenziale; nonché per la declaratoria di inefficacia del contratto, ove nelle more stipulato; nonché per il riconoscimento di tutela in forma specifica, mediante subentro nel contratto; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Gs. - Gr. Se. S.p.A. e dell'Azienda Sanitaria Locale Salerno; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 settembre 2024 il dott. Fabio Di Lorenzo e uditi per le parti i difensori Do. Gi. (in dichiarata sostituzione di Vi.), Ca. Pa., De Vi. Ar. (in dichiarata sostituzione di Ma.), Ga. Ge.; 1. Con ricorso introduttivo ritualmente notificato e depositato Ev. Consorzio Stabile, premettendo di essere la seconda graduata alle spalle della prima graduata Gr. Se. S.p.A., ha impugnato la deliberazione del Direttore Generale dell'ASL Salerno, n. 1205 del 6.9.2023, recante "procedura telematica aperta per l'affidamento biennale del servizio di sorveglianza attiva antincendio "squadra aggiuntiva" presso i presidi ospedalieri dell'azienda sanitaria locale di Nocera e Battipaglia con opzione di rinnovo annuale con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità /prezzo. Cig 9788759378. aggiudicazione". Si è costituita Gr. Se. S.p.A. deducendo l'infondatezza del ricorso. Si è costituita l'ASL Salerno per resistere al ricorso. Con ordinanza istruttoria n. 2401/23 il Collegio ha disposto la produzione di documentazione relativa all'offerta, e in esecuzione dell'ordinanza, l'A.S.L. ha versato in atti i giustificativi di G.S.., nonché una nota con cui l'U.O.C. Provveditorato ha espressamente significato "che non essendo stato riscontrato alcun elemento di anomalia dell'offerta presentata dalla Gs. si è dato atto dell'assenza di anomalia nel provvedimento di aggiudica". Alla luce di tale documentazione prodotta, parte ricorrente ha proposto motivi aggiunti lamentando l'illegittimità del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo anche sotto il profilo del vizio di istruttoria e di motivazione in ordine alla valutazione della anomalia dell'offerta sotto il profilo del costo della manodopera sotto il profilo del rispetto dei minimi salariali. Gr. Se. S.p.A. e l'amministrazione resistente hanno resistito ai motivi aggiunti. Alla luce della censura articolata con i motivi aggiunti, con ordinanza n. 502 del 2024 il Collegio ha disposto verificazione al fine di accertare "se sussiste la violazione dei minimi salariali nell'offerta dell'aggiudicataria, nei termini prospettati dalla ricorrente nei motivi aggiunti". Dopo il deposito della relazione conclusiva del verificatore, a seguito delle osservazioni presentate dall'ASL Salerno e da Gr. Se. S.p.A., con ordinanza n. 1338 del 2024 ha disposto che il verificatore: "- produca tutte le pec, con ricevuta di consegna, inviate per avvisare le parti dell'inizio e dei singoli incontri svolti durante le operazioni di verificazione, incluso l'invio della bozza della verificazione; - chiarisca quali cedolini paga siano stati considerati al fine di verificare il rispetto dei minimi salariali, alla luce del rilievo formulato dalla parte controinteressata nella memoria del 3.6.2024 secondo cui "Il Verificatore... ha tratto le proprie conclusioni da cedolini paga (LUL) risalenti al periodo giugno-ottobre 2023, riferiti all'esecuzione di un precedente e diverso appalto, affidato a Gs. con D.D.G. n. 330 del 29.03.2023 della ASL Salerno e protrattosi fino al 31.1.2024. Il quesito giudiziale, invece, riguardava il rispetto dei minimi salariali da parte dell'offerta presentata da Gs. per il più recente appalto (CIG: 9788759378, oggetto di causa) aggiudicato con D.D.G. n. 1205 del 6.9.2023 (doc. 6), per il quale è stato stipulato il contratto in data 31.1.2024 (doc. 14 dep. 31.1.2024) e avviato il servizio in data 1.2.2024"". Resi i chiarimenti da parte del verificatore, dopo lo scambio di memorie, all'esito dell'udienza pubblica del giorno 25 settembre 2024 il Collegio ha deliberato la decisione. 2. Con il primo motivo del ricorso introduttivo Ev. Consorzio Stabile ha lamentato che l'aggiudicataria Gr. Se. S.p.A. non avrebbe prodotto la certificazione in originale, in violazione della lex specialis di gara, la quale richiederebbe la produzione della certificazione richiesta quantomeno in copia autentica, per cui non potrebbe essere attribuito all'aggiudicataria il punteggio ricollegabile a tale certificazione. In particolare, Ev. Consorzio Stabile ha lamentato che G.S.. avrebbe prodotto solo una mera copia della certificazione di qualità, priva di autocertificazione di conformità all'originale, nonostante il tenore letterale della legge di gara la quale prevede che "ai fini dell'acquisizione del punteggio, le Certificazioni di qualità devono essere prodotte in copia autentica, a sensi dell'art. 19 del d.P.R. 445/2000". Il Collegio ritiene che la censura sia infondata. I certificati prodotti sono supportate da adeguata garanzia di autenticità e di perdurante validità della certificazione. Infatti, in primo luogo, i files delle stesse certificazioni risultano firmati digitalmente e accompagnati dal documento di identità del legale rappresentante del concorrente, e comunque, premesso che la conformità dei documenti prodotti poteva essere verificata, in sede di controllo dei requisiti, fase preliminare necessaria alla stipula del contratto, tale verifica è stata effettuata tramite l'acquisizione di dichiarazione di conformità dei documenti già prodotti in gara. In secondo luogo vi è certezza documentale anche sulla perdurante validità delle certificazioni, in quanto ciascuna certificazione prodotta da Gs. presenta un QR Code che consente la immediata verifica della validità della certificazione presso il sito dell'Azienda certificatrice emittente. 3. Con il secondo motivo del ricorso introduttivo Ev. Consorzio Stabile ha lamentato che l'aggiudicatario non avrebbe indicato il costo orario della manodopera, in violazione dell'art. 16 del disciplinare il quale prevede che "l'operatore economico - nell'ambito della busta " economica " (scheda denominata " prodotti ") - deve indicare a pena di esclusione:... 4) il proprio costo orario della manodopera di cui all'art. 95, comma 10, del Codice, da inserire nel campo " costi manodopera ". Tale costo deve essere espresso in termini di costo orario medio della manodopera relativo al personale addetto all'esecuzione dell'appalto". In violazione della citata previsione, Gr. Se. S.p.A. non avrebbe indicato il costo medio orario, ma solo il costo complessivo, con conseguente sussistenza di una causa di esclusione del concorrente. Il Collegio ritiene che la censura non sia fondata. Gr. Se. S.p.A. ha indicato il costo in valore assoluto per Euro 2.264.328,00; da tale dato, considerando il numero di ore di servizio richieste e specificate in capitolato ed anche nello schema di offerta, pari a n. 175.200, si ricava il costo orario della manodopera, in base a una semplice operazione di calcolo aritmetico. Il costo orario è quindi agevolmente determinabile. 4. Con il terzo motivo del ricorso introduttivo Ev. Consorzio Stabile ha lamentato l'illegittimità dell'aggiudicazione sotto il profilo della riparametrazione. In particolare, Ev. Consorzio Stabile ha dedotto che: - la finalità della riparametrazione è quella di pareggiare il gap tra offerta economica (quantitativa) ed offerta tecnica (qualitativa), in quanto la natura quantitativa consente l'assegnazione del massimo punteggio (ad almeno un operatore), a differenza della natura qualitativa, che tale garanzia non reca; - nel caso che ne occupa, però, il punteggio tecnico verrebbe già assegnato anche in ragione di elementi quantitativi; - l'operata riparametrazione, nel dato contesto, smarrisce la propria stessa funzione, sbilanciando (invece di perseverare) l'equilibrio tra componente qualitativa e componente quantitativa; - legge di gara, proprio in ragione della costituzione mista dei criteri di valutazione dell'offerta tecnica, non avrebbe utilizzato la formula del metodo aggregativo-compensatore, virando verso l'assegnazione lineare dei punteggi. Il Collegio condivide il rilievo di inammissibilità formulato dall'amministrazione resistente, in quanto Ev. Consorzio Stabile non ha dimostrato che in assenza di riparametrazione sarebbe risultato aggiudicatario. Peraltro la censura è anche infondata. Infatti l'amministrazione ha applicato quanto previsto dal paragrafo 17 del disciplinare. La riparametrazione è stata effettuata, una sola volta, sul punteggio tecnico complessivo e non sul singolo criterio. Quindi non si è trattato di applicare il metodo aggregativo compensatore, bensì di svolgere una riparametrazione, conformemente a quanto previsto al paragrafo 17 del disciplinare. A conforto della piena legittimità dell'operato dell'amministrazione va richiamata la giurisprudenza secondo cui "Per le gare pubbliche da aggiudicare con il criterio dell'offerta più vantaggiosa, nessuna norma impone il criterio della doppia riparametrazione, che può, però, essere prevista dalla legge di gara e, dunque, è legittima la clausola della legge speciale di gara che prevede tale criterio" (Cons. Stato, Sez. V, Sent.16/04/2019, n. 2496). Peraltro la scelta contenuta nel paragrafo 17 del disciplinare risponde all'ampia discrezionalità di cui gode l'amministrazione nello stabilire le formule e i meccanismi da applicare ai fini dell'individuazione della migliore offerta; sul punto la giurisprudenza ha infatti evidenziato che, "Atteso il ruolo della riparametrazione dei punteggi in sede di gara, non è discutibile che appartenga alla discrezionalità della stazione appaltante stabilire quale debba essere il punto di equilibrio tra la componente tecnica e quella economica dell'offerta e fino a che punto si imponga (o, di contro, non si imponga) la tutela dell'equilibrio astratto corrispondente ai massimali di punteggio da essa stessa contemplati" (T.A.R. Lazio, Roma, III, sent. 14 maggio 2022, n. 6039). 5. Con il quarto motivo del ricorso introduttivo, Ev. Consorzio Stabile ha lamentato che gli operatori economici partecipanti hanno avuto a disposizione solo 16 giorni per predisporre la documentazione di gara, risultando difficile strutturare un'offerta competitiva e sostenibile, mentre tale ristrettezza dei tempi avrebbe avvantaggiato solo Gr. Se. S.p.A., cioè l'operatore che già svolgeva il servizio per mezzo di un affidamento diretto e che quindi più agevolmente sarebbe riuscito a predisporre la documentazione di gara, con conseguente vizio sostanziale di violazione del principio di proporzionalità . Peraltro tale abbreviazione dei termini avrebbe dovuto essere congruamente motivata, derivandone altrimenti la violazione dell'art. 8 co. 1 lett. C del d.l. 76/2020, cioè la norma emergenziale applicata dall'amministrazione per l'abbreviazione dei termini, ma che non solleverebbe dall'onere di motivare tale scelta della stazione appaltante. Il Collegio ritiene che la censura sia infondata. L'art. 8 del D.L. n. 76 2020 convertito in legge 120 del 2020 prevede che: "... c) in relazione alle procedure ordinarie, si applicano le riduzioni dei termini procedimentali per ragioni di urgenza di cui agli articoli 60, comma 3, 61, comma 6, 62 comma 5, 74, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 50 del 2016. Nella motivazione del provvedimento che dispone la riduzione dei termini non è necessario dar conto delle ragioni di urgenza, che si considerano comunque sussistenti". Peraltro, in termini generali, la giurisprudenza ha affermato che "In relazione alle procedure ordinarie, si applicano le riduzioni dei termini procedimentali per ragioni di urgenza previste dalle disposizioni del D.Lgs. n. 50/2016; nella motivazione del provvedimento che dispone la riduzione dei termini non è necessario dar conto delle ragioni di urgenza" (Consiglio di Stato, sez. V, 11.01.2023, n. 392). Peraltro, non è secondario rilevare che Ev. Consorzio Stabile ha tempestivamente e regolarmente presentato la propria offerta, presentando una documentazione completa, tanto da collocarsi al secondo posto in graduatoria. 6. Il ricorso introduttivo è pertanto respinto. 7. Con i motivi aggiunti, alla luce della documentazione prodotta in corso di giudizio dalle altre parti, parte ricorrente ha lamentato l'illegittimità del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo anche sotto il profilo del vizio di istruttoria e di motivazione in ordine alla valutazione della anomalia dell'offerta con riguardo al costo della manodopera sotto l'aspetto del rispetto dei minimi salariali. Il Verificatore ha depositato la relazione conclusiva, sulla quale sono state però sollevate contestazioni nel rito e nella sostanza. 7.1. Con riguardo alle contestazioni formali, l'ASL Salerno ha lamentato la violazione del principio del contraddittorio, per non avere avuto notizia dell'inizio e dello svolgimento delle operazioni del verificatore. Il Collegio ritiene che non sussista la lamentata violazione del contraddittorio. In data 29.8.2024 il verificatore ha depositato la ricevuta di avvenuta consegna della pec di comunicazione di inizio delle operazioni inviata all'avv. Casilli, cioè uno dei difensori costituiti a difesa di Asl Salerno. Tale pec è stata regolarmente inviata e consegnata all'indirizzo corretto ([email protected]). Nonostante il regolare avviso, l'ASL Salerno non ha partecipato all'inizio delle operazioni, e non si è premurata di informarsi sul loro prosieguo. Il verificatore, comunicando l'inizio delle operazioni, ha correttamente adempiuto quanto prescritto nell'ordinanza con cui è stato conferito l'incarico di verificazione, nella quale è stato specificato che "la verificazione andrà effettuata in contraddittorio tra le parti, previo avviso e convocazione": essendo stato adempiuto l'onere di "avviso e convocazione", la citata ordinanza è stata pienamente adempiuta dal verificatore. Peraltro tale comunicazione di avvio delle operazioni è sufficiente a maggior ragione alla luce dell'orientamento diffuso della giurisprudenza secondo cui "Ai sensi dell'art. 66 c.p.a., l'istituto della verificazione, che non prevede il contraddittorio, comporta l'intervento in funzione consultiva del giudice di un organismo qualificato per la risoluzione di controversie che implichino l'apporto di competenze tecniche o il riscontro di circostanze in fatto, essenziali ai fini della definizione della questione" (T.A.R. Abruzzo, sez. I, 03/05/2018, n. 180). Non convince l'ulteriore difesa dell'ASL Salerno, secondo cui l'avv. Casilli è "ex Dirigente Avvocato dell'ASL, allo stato posto in quiescenza, con conseguente perdita ex lege dello ius postulandi". Rileva il Collegio che l'ASL non ha comunicato tempestivamente e ritualmente il pensionamento dell'avv. Casilli, per cui, in base al principio di autoresponsabilità e di divieto di abuso del processo, da tale colpevole omissione l'ASL non può trarne un indebito vantaggio processuale in termini di nullità della verificazione. 7.2. Con riguardo al contenuto della verificazione e alle contestazioni sostanziali ad essa mosse, occorre muovere dal quesito sottoposto dal Collegio, cioè "se sussiste la violazione dei minimi salariali nell'offerta dell'aggiudicataria, nei termini prospettati dalla ricorrente nei motivi aggiunti". Il Verificatore ha preso in considerazione il contratto collettivo della categoria di riferimento, individuando quello vigente al momento dell'offerta, in quanto il rispetto dei minimi salariali è stato valutato con riguardo a tale momento, e non con riferimento al momento successivo di esecuzione del rapporto. Quindi, il verificatore ha ritenuto che Gr. Se. S.p.A. abbia posto a base dell'offerta non il contratto collettivo vigente del 2022, ma quello anteriore riportante minimi salariali più bassi; ne risulta, secondo il verificatore, che l'offerta economica di Gr. Se. S.p.A. rispetta i minimi salariali in base al contratto collettivo superato, ma non quelli in base al vigente contratto collettivo del 2022. In particolare, il verificatore ha osservato quanto segue: "Il quesito sottoposto al verificatore riguarda esplicitamente la rispondenza o meno dell'offerta dell'aggiudicataria ai minimi salariali, a nulla valendo la retribuzione minima applicata dalla data di inizio dell'appalto (1 febbraio 2024). Ciò in quanto il ripetuto quesito non riguarda la rispondenza ai minimi del salario effettivamente corrisposto ma quello offerto in sede di partecipazione alla gara. (...) Nel rispondere al quesito analizzando la documentazione agli atti notiamo che la Gs., nell'individuare i minimi retributivi, si riferisce alla tabella allegata alla gara (Tabella Ministeriale concernente il precedente CCNL del 2009) -pag.13- senza indicare con quale calcolo sia giunta al costo medio dichiarato -pag.18- che ha quantificato in Euro14,36 per il livello F ed in Euro 12,462 per entrambi i livelli G ed F (aventi minimi salariali diversi). (...) Nel rispondere al quesito analizzando la documentazione agli atti notiamo che la Gs., nell'individuare i minimi retributivi, si riferisce alla tabella allegata alla gara (Tabella Ministeriale concernente il precedente CCNL del 2009) -pag.13- senza indicare con quale calcolo sia giunta al costo medio dichiarato -pag.18- che ha quantificato in Euro14,36 per il livello F ed in Euro 12,462 per entrambi i livelli G ed F (aventi minimi salariali diversi). (...) A tal punto elemento fondamentale per poter risolvere il quesito è considerare la retribuzione oraria applicata dalla Gs. ai dipendenti coinvolti nell'appalto, che in ossequio al Contratto sulla Vigilanza Privata ASSIV corrisponde, secondo la Tabella Ministeriale ad Euro 6,20 per un lavoratore con livello iniziale. Alla luce di quanto precedentemente osservato, si ritiene che l'offerta della Gs. preveda la retribuzione minima oraria di Euro 6,20 che corrisponde alla retribuzione minima oraria prevista dalle Tabelle Ministeriali del 2015 (che si riferiscono al CCNL del 2009) di un lavoratore con livello VII (iniziale), ma che non corrisponde alla retribuzione minima oraria, prevista dal CCNL sui Servizi Antincendi in vigore dal 1 marzo 2022 sia che si tratti di un lavoratore di livello G (iniziale) con retribuzione minima oraria di Euro 6,37 sia che si tratti di lavoratore con livello F la cui retribuzione minima oraria è Euro 6,78". Quindi il verificatore ha concluso affermando che la retribuzione minima ricavabile dall'offerta di Gr. Se. S.p.A. rispetta il contratto collettivo previgente, ma non quello del 2022 vigente al momento dell'offerta. Orbene, il Collegio ritiene condivisibile in termini generali l'affermazione del verificatore secondo cui la retribuzione minima va individuata con riguardo al momento dell'offerta e non con riguardo al momento dell'esecuzione del rapporto. Tuttavia Gr. Se. S.p.A. ha contestato la verificazione con riguardo alla corretta individuazione dei cedolini paga che il verificatore deve prendere in considerazione al fine di verificare il rispetto dei minimi salariali, avendo Gr. Se. S.p.A. contestato che "Il Verificatore... ha tratto le proprie conclusioni da cedolini paga (LUL) risalenti al periodo giugno-ottobre 2023, riferiti all'esecuzione di un precedente e diverso appalto, affidato a Gs. con D.D.G. n. 330 del 29.03.2023 della ASL Salerno e protrattosi fino al 31.1.2024. Il quesito giudiziale, invece, riguardava il rispetto dei minimi salariali da parte dell'offerta presentata da Gs. per il più recente appalto (CIG: 9788759378, oggetto di causa) aggiudicato con D.D.G. n. 1205 del 6.9.2023 (doc. 6), per il quale è stato stipulato il contratto in data 31.1.2024 (doc. 14 dep. 31.1.2024) e avviato il servizio in data 1.2.2024". A fronte della richiesta di chiarimenti che il Collegio ha rivolto al verificatore alla luce della descritta contestazione di Gr. Se. S.p.A., il verificatore ha affermato quanto segue: "i Lul richiesti ed esibiti dalla Gs., concernenti il periodo dell'offerta, non sono stati considerati, in quanto concernenti altra tipologia contrattuale, ma dagli stessi sì è osservato che la Gs. ipoteticamente presentava una retribuzione minima salariare uguale a quella del previgente contratto collettivo da applicarsi ai lavoratori coinvolti nell'appalto (CCNL Servizi Sorveglianza Antincendio anno 2009). Gli stessi sono stati richiesti al fine di poter conoscere i minimi retributivi applicati dall'azienda al momento della medesima offerta non avendo prodotto la Gs. alcun diverso giustificativo comprovante l'aderenza dell'offerta ai minimi salariali de quibus. (...) Ciò in quanto il quesito sottoposto al verificatore riguardava esplicitamente la rispondenza o meno dell'offerta dell'aggiudicataria ai minimi salariali al momento dell'offerta, a nulla valendo la retribuzione minima applicata dalla data di inizio dell'appalto (1 febbraio 2024) dato che il ripetuto quesito non riguardava la rispondenza ai minimi del salario effettivamente corrisposto ma quello offerto in sede di partecipazione alla gara " se sussiste la violazione dei minimi salariali nell'offerta dell'aggiudicataria.....". Per la redazione della relazione è stato preso in considerazione quanto sostenuto da Gs. per l'affidamento dell'appalto, supportata dalla presentazione da parte della stessa, delle tabelle del previgente contratto (Tabelle Ministeriali Contratto Servizi Antincendio anno 2010). Infine si rileva che la risposta ai quesiti è stata data considerato il contratto collettivo applicabile ai lavoratori da impiegare nell'appalto vigente al momento della presentazione dell'offerta: CCNL Settore Sorveglianza Antincendio stipulato in data 10 febbraio 2022". In sostanza il verificatore, dovendo valutare il rispetto della retribuzione minima in relazione al contenuto dell'offerta, avrebbe dovuto prendere in esame i cedolini paga dei lavoratori di Gr. Se. S.p.A. riferiti al momento dell'offerta, ma ha rinvenuto in atti solo i cedolini di altra tipologia contrattuale (e non quindi quella oggetto di gara), e da essi ha ricavato che al momento dell'offerta Gr. Se. S.p.A. applicava i minimi salariali del contratto collettivo previgente del 2009, e non quello vigente del 2022. Il Collegio ritiene che il metodo impiegato dal verificatore non sia corretto, in quanto non è metodologicamente condivisibile individuare il rispetto dei minimi salariali in base a cedolini paga di Gr. Se. S.p.A. riferiti tuttavia a tipologia contrattuale diversa da quella coinvolta nel contratto per cui è causa; insomma non possano rilevare, neppure in termini presuntivi o indiziari, i cedolini paga riferiti ad altro e precedente appalto. Soprattutto il verificatore non ha tenuto conto delle argomentazioni di Gr. Se. S.p.A., che a parere del Collegio risultano convincenti. In particolare, con riguardo al contratto collettivo applicato, nei Giustificativi di offerta (doc. 11 dep. 30.1.2023, pagina 12) Gr. Se. S.p.A. ha precisato quanto segue: "si evidenzia che il Ministero competente - Ministero del Lavoro della Salute e della Previdenza Sociale - edita periodicamente le tabelle di calcolo del costo medio orario del lavoro. Attualmente, per il contratto ANISA, le ultime pubblicate son ancora quelle datate agosto 2010 malgrado il CCNL "Sorveglianza Antincendio" sia stato rinnovato con efficacia da marzo 2022: le nuove tabelle Ministeriali del costo medio orario, ad oggi, non sono ancora state pubblicate e pertanto quelle di riferimento sarebbero "ancora" quelle riportate nella pagina seguente. N.B. Nell'elaborazione della propria offerta Gs. ha comunque incluso e recepito anche gli elementi retributivi aggiornati con il rinnovo contrattuale 2022, in piena coerenza con gli obblighi che deriveranno dall'acquisizione dell'appalto di cui trattasi dando piena affidabilità alla propria offerta dimensionata proprio sulla scorta degli impegni da tenere con i lavoratori". Quindi Ev. Consorzio Stabile ha ribadito il rispetto delle "condizioni minime sancite dal CCNL (e dai suoi aggiornamenti)" (doc. 11 dep. 30.1.2023, pagina 14). Alla luce di tali precisazioni, risulta verosimile quanto allegato da Gr. Se. S.p.A., secondo cui essa nell'offerta non ha applicato i valori retributivi minimi della tabella ministeriale del 2010, la quale è stata riportata nei Giustificativi da un lato, solo perché è l'ultima tabella di riferimento, non essendo stata ancora pubblicata la nuova relativa al contratto collettivo del 2022, e dall'altro lato in quanto tale tabella del 2010, a parte alcuni valori retributivi non più attuali, contiene pure una serie di altre voci ancora attuali, come ad esempio i parametri delle ore lavorate teoriche ed effettive, a cui la controinteressata ha fatto riferimento per giustificare la propria offerta. Tale ricostruzione di Gr. Se. S.p.A. è ulteriormente confermata dai cedolini dell'appalto in corso, quindi relativi al periodo successivo all'offerta, da cui risulta che poi effettivamente Gr. Se. S.p.A. ha rispettato i minimi salariali del contratto collettivo del 2022; infatti la retribuzione oraria base assicurata dalla controinteressata per l'appalto in corso, come risultante dai LUL di febbraio- marzo 2024 prodotti in atti, è pari, per ciascun addetto inquadrato al livello F, alla retribuzione minima oraria di Euro/h 6,776, cioè la retribuzione minima fissata dal contratto collettivo del 2022 vigente al momento dell'offerta. Ad abundantiam, le contestazioni di Ev. Consorzio Stabile risultano sul punto inattendibili anche in base ad un'ulteriore considerazione: Gr. Se. S.p.A. ha dichiarato un costo della manodopera di Euro 2.264.328,00, mentre il Consorzio Ev. ha addirittura indicato il minor costo del lavoro di Euro 2.081.376,00 (Euro/h 11,88 X 175.200 ore), risultando quindi che Ev. Consorzio Stabile, che ha dichiarato costi del lavoro inferiori rispetto a Gr. Se. S.p.A., ha contestato il rispetto dei minimi salariali dell'offerta di quest'ultima, pur senza spiegare, nonostante espresso rilievo di Gr. Se. S.p.A. sul punto, come ciò possa giustificarsi. 7.3. I motivi aggiunti sono pertanto infondati. 8. Tra le parti costituite le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Non luogo a provvedere sulle spese di lite nel rapporto processuale tra parte ricorrente e So.Re.. S.p.A. 9. Il compenso del verificatore dott.ssa Ma. Ca., in ragione della qualità e quantità del lavoro svolto, può essere liquidato in euro 1.300,00 già comprensivo di eventuali spese e di accessori di legge, da cui va detratto l'acconto eventualmente percepito. Tale compenso è a carico di Ev. Consorzio Stabile. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge, e condanna Ev. Consorzio Stabile al pagamento delle spese di lite in favore di Gr. Se. S.p.A. e dell'amministrazione resistente, liquidandole, in favore di ciascuna, nella somma di euro 3.000,00, oltre spese generali nella misura del 15%, oltre Iva e Cpa come per legge. Nulla per le spese nel rapporto processuale tra parte ricorrente e So.Re.. S.p.A. Pone in via definitiva a carico di Ev. Consorzio Stabile il compenso del liquidatore dott.ssa Ma. Ca. liquidato in euro 1.300,00 già comprensivo di eventuali spese e di accessori di legge, da cui va detratto l'acconto eventualmente percepito. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Salvatore Mezzacapo - Presidente Fabio Di Lorenzo - Primo Referendario, Estensore Raffaele Esposito - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4600 del 2022, proposto da El. De. S.R.L, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato En. Ab., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via (...); ricorso per ottemperanza al giudicato ai sensi degli artt. 112 e segg. D. Lgs. 2.7.2010 n. 104, di cui al Decreto della Corte d'Appello di Napoli depositato il 13.09.2021, n. rep. 4302/21, Cron. N. 3412/21 a definizione del procedimento R.G. n. 1478/2021. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2024 il dott. Alfonso Graziano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Rilevato, in punto di fatto, che: - la Corte di Appello di Napoli con decreto depositato il 13.09.2021, n. rep. 4302/21, Cron. N. 3412/21 a definizione del procedimento R.G. n. 1478/2021, ha condannato il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA al pagamento in favore dell'istante, della somma di euro 1.911,00 oltre interessi legali dal 18.06.2021 al soddisfo, nonché al pagamento delle spese del procedimento, liquidate in complessivi euro 1.033,52, di cui euro 73,52 ed euro 960,00 per compensi come per legge, in favore del sottoscritto difensore antistatario (All.1 del ricorso); - il suddetto decreto veniva notificato al Ministero della Giustizia munito di formula esecutiva l'11.04.2022 (All.1) ai sensi dell'art. 479 c. 2 c.p.c., ed è dunque divenuto definitivo (All. 2); - che il predetto decreto è passato in giudicato non essendo stata proposta alcuna impugnazione avverso la decisione della Corte di Appello di Napoli (all. 2, attestazione Cancelleria della Corte d'Appello di Napoli); - il ricorrente inviava in data 09.02.20222, la dichiarazione, prevista dall'art. 5-sexies comma 1, l.n. 89/ (All. 3 del ric.), senza ricevere alcun pagamento 2 nel termine stabilito dal medesimo art. 5-sexies al comma 7; Considerato che: - il predetto decreto è coperto da giudicato; nonostante il decorso dei 120 giorni previsti dall'art. 14 del D.L. 669/96 nessuna liquidazione in favore dei ricorrenti è stata disposta; sono stati inoltrati al Ministero della Giustizia i moduli necessari per la liquidazione delle somme dovute senza alcun esito, pur essendo trascorsi oltre sei mesi dal predetto invio telematico; - è pacifico che il decreto di condanna emesso ai sensi dell'art. 3 legge n. 89/2001 ha natura decisoria in materia di diritti soggettivi ed è quindi idoneo ad assumere valore ed efficacia di giudicato, ai fini della ammissibilità del giudizio di ottemperanza; - il Ministero della Giustizia, neppure costituitosi nel presente giudizio, non ha provato di aver provveduto a corrispondere quanto dovuto né ad avviare la procedura di liquidazione nonostante sia decorso il termine di legge; Considerato che parte ricorrente chiede, quindi, a questo T.A.R.: - di disporre l'esecuzione del decreto suindicato; - di nominare a tal fine un commissario ad acta che provveda al pagamento, nel caso in cui persista l'inottemperanza dell'ente, a cura e spese dell'Amministrazione intimata; - di condannare il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese vive successive all'emissione del Decreto di condanna per cui si agisce, e precisamente la somma di Euro. 3,92 quale esborso affrontato dal ricorrente quale costo per la certificazione di passaggio in giudicato; - l'ulteriore condanna, in favore difensore antistatario, delle spese di lite; Rilevato che all'Udienza in camera di consiglio del 3 aprile 2024, il ricorso è stato trattenuto in decisione; Ritenuto, preliminarmente: - che sussiste la legittimazione passiva del Ministero della Giustizia (arg. ex artt. 3 co. 2 L. 89/2001 e 114 c.p.a.; v. ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 14/04/2014, n. 1804; Consiglio di Stato, sez. IV, 28/11/2012, n. 6021; T.A.R. Campania, sez. IV, n. 4840/2014; T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 06/11/2012, n. 650); - che parte ricorrente adisce correttamente questo Tribunale, ai sensi degli artt. 112, comma 2, lett. c) e 113, comma 2 del c.p.a., per l'ottemperanza del Ministero resistente al decreto della Corte d'Appello di Napoli, indicato in epigrafe; - Ritenuto, quanto all'ammissibilità e alla fondatezza della pretesa: - che, come risulta dalla ricostruzione che precede, sono ampiamente elassi: - il termine dilatorio di cui all'art. 14 co. 1 del D. L. 31.12.1996 n. 669 ("Le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici non economici e l'ente Agenzia delle entrate - Riscossione completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto"); - l'ulteriore termine dilatorio, di cui all'art. 5 sexies della l. 89/2001 (come introdotto dalla legge n. 208/2015, cd. legge di stabilità 2016: "Al fine di ricevere il pagamento delle somme liquidate a norma della presente legge, il creditore rilascia all'amministrazione debitrice una dichiarazione, ai sensi degli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, l'esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito, l'ammontare degli importi che l'amministrazione è ancora tenuta a corrispondere, la modalità di riscossione prescelta ai sensi del comma 9 del presente articolo, nonché a trasmettere la documentazione necessaria a norma dei decreti di cui al comma 3"); - che l'ottemperando decreto della Corte d'Appello di Napoli è passato in giudicato; - che il Ministero intimato, costituitosi in giudizio con memoria formale della difesa erariale in data 4 novembre 2022, non ha provato, come sarebbe stato suo onere, l'avvenuto adempimento (cfr., in tema di prova dell'adempimento, per tutte, Cass. S.U. n. 12533/01); Ritenuto, quanto alla richiesta di nomina del commissario ad acta: - che quale commissario ad acta debba essere individuato un dirigente amministrativo dell'amministrazione giudiziaria, da designarsi a cura del Capo dipartimento dell'Amministrazione generale del personale e dei servizi presso il Ministero della Giustizia, il quale, entro l'ulteriore termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell'inottemperanza (a cura di parte ricorrente), darà corso al pagamento compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio, a carico e spese dell'amministrazione inadempiente; - che nessun compenso dovrà essere liquidato per tale attività ai sensi del comma 8 dell'art. 5 sexies l. 89/2001 come introdotto dalla citata l. 208/2015 ("qualora i creditori di somme liquidate a norma della presente legge propongano l'azione di ottemperanza di cui al titolo I del libro quarto del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, il giudice amministrativo nomina, ove occorra, commissario ad acta un dirigente dell'amministrazione soccombente, con esclusione dei titolari di incarichi di Governo, dei capi dipartimento e di coloro che ricoprono incarichi dirigenziali generali. I compensi riconosciuti al commissario ad acta rientrano nell'onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti"); Rilevato, quanto alla richiesta di condanna del Ministero della Giustizia al pagamento dei compensi e delle spese del presente giudizio d'ottemperanza, che la stessa va accolta, in base alla regola della soccombenza, e che, in particolare: - per quanto riguarda le spese successive al decreto azionato, e come tali non liquidate nello stesso, in sede di giudizio di ottemperanza può riconoscersi l'obbligo di corresponsione alla parte ricorrente, oltre che degli interessi sulle somme liquidate in giudicato, anche delle spese accessorie (T.A.R. Sicilia Catania, Sez. III, 28/10/2009, n. 1798; T.A.R. Sardegna, 29/09/2003, n. 1094) - le ulteriori somme richieste in relazione a spese diritti e onorari successivi al giudicato sono dovute solo in relazione alla pubblicazione della sentenza, all'esame ed alla notifica della medesima, alle spese relative ad atti accessori, quali le spese di registrazione, di esame, di copia e di notificazione, nonché le spese e i diritti di procuratore relativi all'atto di diffida, in quanto hanno titolo nello stesso provvedimento giudiziale (v. T.A.R. Campania, Sez. IV, n. 01103/2016); - che pertanto va riconosciuto al ricorrente il pagamento delle spese vive successive all'emissione del decreto di condanna per cui si agisce, e precisamente la somma di Euro. 3,92 quale esborso affrontato dal ricorrente quale costo per la certificazione di passaggio in giudicato; - non sono dovute, invece, le eventuali spese non funzionali all'introduzione del giudizio di ottemperanza, quali quelle di precetto (che riguardano il procedimento di esecuzione forzata disciplinato dagli artt. 474 ss., c.p.c.), o quelle relative a procedure esecutive risultate non satisfattive (ivi comprese quelle relativa all'eventuale notifica di uno o più atti di precetto), poiché, come indicato, l'uso di strumenti di esecuzione diversi dall'ottemperanza al giudicato è imputabile alla libera scelta del creditore (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 11 maggio 2010, n. 699; T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 22 dicembre 2009, n. 1348; Tar Campania - Napoli n. 9145/05; T.A.R. Campania - Napoli n. 12998/03; C.d.S. sez. IV n. 2490/01; C.d.S. sez. IV n. 175/87); - che, pertanto, le spese, i diritti e gli onorari di atti successivi al decreto azionato siano dovuti solo per le voci suindicate e, in quanto funzionali all'introduzione del giudizio di ottemperanza, debbano essere liquidate, in modo omnicomprensivo, come indicato in dispositivo, fatte salve le eventuali spese di registrazione del titolo azionato il cui importo, qualora dovuto e versato, non può considerarsi ricompreso nella liquidazione omnicomprensiva delle suindicate spese di lite; Dato atto che la liquidazione delle spese è effettuata alla stregua dei parametri di cui al D.M. 10/03/2014, n. 55 (cfr., in particolare, l'art. 19, comma 1, ultimo alinea: "Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alla tabella allegata, che, in applicazione dei parametri generali, possono, di regola, essere aumentati fino all'80 per cento, o diminuiti fino al 50 per cento"), in rapporto al valore e alla serialità della lite; Ritenuto, infine, che non si debbano riconoscere le maggiorazioni di cui all'art. 4, comma 8, D.M. 10 marzo 2014, n. 55, in quanto la causa è sostanzialmente seriale e di complessità oggettivamente modesta, nonché quelle "di regola" corrisposte ai sensi dell'art. 4, comma 1 bis, dello stesso D.M., poiché ragionevolmente connesse alla difficoltà del deposito di una mole di atti rilevante, elemento che certamente non si è verificato nel caso di specie (Tar Lazio, sez. II ter, Sent. 25/5/2021 n. 2363; T.A.R. Campania, sez. VIII, Sent. n. 3121 dell'11.05.2021); Ritenuto, pertanto, conclusivamente, che: - la domanda di esecuzione debba essere accolta, nei termini sopra precisati; - l'Amministrazione debba effettuare il calcolo delle somme dovute, secondo i criteri stabiliti dal giudice nel titolo qui azionato, comprendendovi, quindi, gli interessi, come indicato nel titolo portato a esecuzione; - in mancanza di spontaneo adempimento, da parte del Ministero della Giustizia, entro sessanta giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della presente sentenza, si provvede alla nomina del commissario ad acta, secondo quanto sopra precisato, il quale s'insedierà a semplice domanda di parte ricorrente, una volta elasso tale termine, e che provvederà sollecitamente, e comunque entro e non oltre il termine dei successivi sessanta giorni, al pagamento di quanto spettante al ricorrente, per le causali sopra indicate; - dalle somme dovute, come indicate nel titolo esecutivo, andranno sottratte le somme eventualmente già pagate, per il medesimo titolo; - le spese del presente giudizio d'ottemperanza, anche in funzione della serialità della controversia, vanno poste a carico del Ministero della Giustizia e sono liquidate, come in dispositivo, con attribuzione al difensore del ricorrente, che ne ha fatto anticipo e richiesta, ex art. 93 c.p.c.; P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e per l'effetto ordina al Ministero resistente di dare esecuzione - entro sessanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa o, se anteriore, dalla notificazione, a cura di parte, della presente sentenza - in favore della parte ricorrente, al titolo esecutivo di cui in epigrafe, nei termini indicati in parte motiva; per il caso di ulteriore inottemperanza, nomina sin d'ora quale Commissario ad acta un dirigente amministrativo dell'Amministrazione intimata da individuarsi a cura del Capo dipartimento dell'Amministrazione generale del personale e dei servizi presso il Ministero della Giustizia, giusta le specificazioni di cui in parte motiva, che s'insedierà e provvederà con le modalità e nel termine pure ivi precisati; condanna l'Amministrazione resistente al pagamento delle spese e dei compensi del presente giudizio d'ottemperanza, che liquida in complessivi euro 1.000,00 (mille/00), oltre agli accessori di legge con attribuzione in favore dell'Avv. En. Ab. difensore del ricorrente, antistatario, ex art. 93 c.p.c.; con esclusione del contributo unificato, avendo il difensore, a norma della L. 488/99 e della L. 91/02 dichiarato che la controversia riguarda l'ottemperanza di un provvedimento reso ex legge 89/01 ed è, pertanto, esente dal pagamento del contributo unificato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Severini - Presidente Alfonso Graziano - Consigliere, Estensore Rita Luce - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1207 del 2021, proposto da -OMISSIS-rappresentato e difeso dall'avvocato Ac. Ma.-OMISSIS-con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Caserta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via (...); per l'annullamento, previa sospensione cautelare: del decreto del 12/02/2021 - Fasc. n. -OMISSIS-. della Prefettura Caserta, recante di divieto detenzione armi, munizioni ed esplosivi. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di U.T.G. - Prefettura di Caserta; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 12 settembre 2024 la dott.ssa Rita Luce e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con provvedimento del 12 febbraio 2021, la Prefettura di Caserta ha fatto divieto al sig. -OMISSIS- di detenere armi, munizioni e materie esplodenti, ai sensi dell'art. 39 del TULPS. Con note del 31 luglio e 1 agosto 2020, infatti, il Comando Stazione Carabinieri di Carinola rappresentava alla Prefettura di Caserta quanto emerso nel corso del sopralluogo eseguito presso l'abitazione del ricorrente allorquando, con riferimento alle armi comuni da sparo da lui detenute, alcune già in possesso del defunto padre -OMISSIS- era stata esibita la sola denuncia presentata al Commissariato di Sessa Aurunca in data 5.01.2007, pur avendo il ricorrente cambiato residenza ed essersi trasferito nel Comune di Carinola. Con successiva nota del 1 agosto 2020, il Comando Stazione Carabinieri di Carinola specificava, altresì, che il ricorrente aveva dichiarato di essere in possesso di un certificato medico di idoneità alla detenzione delle armi datato 24/4/2019 mentre il certificato in questione era stato emesso il 24/4/2015. Il Comando S. C. di Carinola procedeva, quindi, al sequestro delle armi e delle munizioni indicate nel verbale del 27/5/2020, nella specie delle armi, dalla n. 1 al n. 8, regolarmente denunciate dal ricorrente presso il commissariato di PS di Sessa Aurunca (CE) in data 09/01/2007 e delle altre due armi intestate al padre del ricorrente. Con provvedimento del 4/7/2020, il Tribunale del riesame di S. M Capua Vetere disponeva la restituzione delle armi indicate ai numeri da 1 a 8 del verbale di sequestro del 27/5/2020. Con nota del 21 gennaio 2021 il Commissariato di P.S di Sessa Aurunca comunicava alla Prefettura di Caserta che il ricorrente non aveva denunciato le armi in suo possesso presso il Comando di Carinola e che alcuna nota di passaggio risultava agli atti dell'Ufficio con riferimento alle armi detenute dal defunto genitore. La Prefettura di Caserta, quindi, emetteva il provvedimento n. 5408 di divieto di detenzione di armi e munizioni oggetto del presente gravame. Ciò premesso, il ricorrente ha impugnato il suindicato provvedimento prefettizio denunciandone l'illegittimità per: 1 - Violazione artt. 2 e segg. L.241/990 - Mancata osservanza dei termini di conclusione procedimento amministrativo - Violazione del diritto di difesa e del principio del giusto procedimento - Risarcimento danno ex art. 2 bis L. 241/990 -Violazione art. 10 n. 1 L. 241/990 - Violazione art. 3 L. 241/1990. 2-Violazione art. 8 n. 2 lett. c) e c-bis L. 241/990 - Mancata indicazione responsabile procedimento e della data in cui deve concludersi il procedimento -Violazione art. 3 L. 241/1990. 3 - Violazione art. 38 TUPLS ed art. 58 Reg. Esecuzione TULPS -Travisamento dei fatti. 4 - Violazione artt. 38 e 39 TULPS in relazione agli artt. 11 e 43 TULPS -Assenza dei presupposti e dei requisiti per l'emissione del divieto di detenzione armi - Assenza attualità e concretezza giudizio prognostico - eccesso di potere per falsità dei presupposti - travisamento dei fatti - illogicità e difetto di istruttoria. Violazione art. 3 L. 241/1990. 5-Violazione art. 39 TULPS in relazione artt. 11 e 43 TULPS. 6-Violazione art. 38 e 39 TULPS - Erroneità delle note del Commissariato di PS di Sessa Aurunca del 18.01.2021 e del Comando Prov. le CC di Caserta del 29.01.2021 - travisamento dei fatti - illogicità - arbitrio. 7 - Violazione Circolare Min. Interno del 25/11/2020 Prot. 557/PAS/U/013490/10171(1) - Assenza presupposti per l'emissione del decreto impugnato - Violazione art. 3 L. 241/1990. 8- Violazione D. Lgs n. 104/ del 10/8/2018 che ha attuato la Direttiva CEE 2017/853 - Omessa diffida ad adempiere ad eventuale ripetizione denunzia armi e/o mancata certificazione medica relativamente alle armi possedute - Violazione art. 3 L. 241/1990. 9- Violazione art. 39 TULPS in relazione artt. 11 e 43 TULPS - Carenza di motivazione - Assenza dei presupposti e dei requisiti di fatto e di diritto per l'adozione del decreto impugnato - Assenza della prova del venir meno del requisito della buona condotta. 10- Violazione artt. 38 e 39 TULPS. L'istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato è stata respinta con ordinanza del 21.04.2021. Con istanza depositata in data 11.07.2024 il ricorrente ha chiesto rinviarsi la decisione del ricorso in attesa della definizione del procedimento penale, tuttora in corso innanzi la Corte Suprema di Cassazione. Pervenuta alla udienza pubblica di smaltimento del 12.09.2024, la causa è stata trattenuta in decisione. Il ricorso è infondato e può essere esaminato nel merito. In primo luogo, va respinta la richiesta di rinvio della decisione, formulata dal ricorrente con memoria dell'11.07.2024 vista la pendenza del giudizio penale, che ha visto assolto il ricorrente dal capo di imputazione concernente la detenzione abusiva di fucili e munizioni, con condanna all'ammenda di Euro 200,00 per la detenzione delle cartucce. Ed invero, le valutazioni svolte dall'autorità di pubblica sicurezza circa il possibile abuso delle armi sono autonome rispetto ad eventuali esiti penali trattandosi di due procedimenti, quello amministrativo e quello penale, che si muovono su due distinti livelli e che implicano diversa rilevanza della medesima condotta. Deve anche sottolinearsi, poi, la natura tipicamente cautelare della misura prefettizia, la cui legittimità va valutata all'attualità, e cioè al momento della sua adozione, e prescindendo dagli eventuali risvolti del procedimento penale ad essa connesso. Ciò detto, la Prefettura di Caserta ha fatto divieto al ricorrente di detenere armi e munizioni formulando un giudizio di non affidabilità dello stesso nella gestione delle armi che appare ampiamente e congruamente motivato con riferimento alle circostanze in fatto già evidenziate dalla Stazione C. C. di Carinola. Ed invero, benché avesse trasferito sin dal 13 luglio 2006 la propria residenza da Sessa Aurunca al comune di Carinola, il ricorrente non aveva mai provveduto a ripetere la prescritta denuncia di detenzione delle armi, già dichiarate al Commissariato di P.S. di Sessa Aurunca, all'Autorità di P.S. competente nel luogo di nuova residenza, vale a dire al Comando Stazione Carabinieri di Carinola (v. note del 31 luglio e 1 agosto 2020 e successiva nota del 1 agosto 2020). Il ricorrente era risultato, inoltre, in possesso di armi e munizioni illegalmente detenute, ovvero di n. 24 proiettili cal. 6,35, n. 8 cartucce cal. 32, n. 2 cartucce cal. 12, una confezione di cartucce cal. 12, nonché due fucili, già appartenuti in vita al padre defunto -OMISSIS- dei quali lo stesso non aveva mai proceduto a denunciare il possesso. Infine, nella denuncia di possesso armi presentata in data 17 luglio 2020, aveva dichiarato di essere in possesso del certificato medico di idoneità per la detenzione domiciliare delle armi emesso il 24 aprile 2019, mentre, in realtà, lo stesso era stato emesso il 24 aprile 2015. Venendo, quindi, ad esaminare le censure che il ricorrente muove al provvedimento impugnato, rileva il Collegio, in primo luogo, che i primi due motivi di ricorso, secondo i quali l'Ufficio non avrebbe rispettato il termine di legge per la conclusione del procedimento amministrativo né indicato nel provvedimento il responsabile procedimento e la data in cui il procedimento stesso doveva concludersi, afferiscono ad un piano meramente formale, non inficiando la legittimità sostanziale del provvedimento impugnato. Ed invero, dalla violazione del termine finale di un procedimento amministrativo non consegue l'illegittimità dell'atto tardivo (Cons Stato n. 4577/2018); analogamente, la mancata indicazione della figura del responsabile del procedimento, costituisce una mera irregolarità non viziante, che non menoma in alcun modo la validità dell'atto Con i successivi motivi di ricorso, invece, (terzo e quarto motivo) il ricorrente rileva di essere residente in -OMISSIS-già alla data del 13.07.2006 e di aver denunciato la detenzione delle armi al Commissariato di PS di Sessa Aurunca, in data 09.01.2007; ribadisce, poi, di essere in possesso di regolare porto d'armi datato 2003 e scadente nel 2009 e di aver depositato, sempre presso il Commissariato di PS di Sessa Aurunca, il certificato medico in data 24/04/2015. Avrebbe quindi, pienamente assolto all'obbligo di denuncia delle armi e ciò anche con riferimento ai due fucili appartenuti al defunto genitore, il cui decesso era stato denunciato al Commissariato di P.S. di Sessa Aurunca. Il ricorrente, inoltre, non aveva mai dato prova di condotte inaffidabili nell'uso delle armi, tanto è vero che lo stesso Tribunale del Riesame di S. Maria C. V. aveva già provveduto alla loro restituzione. Ad ogni modo, essendo ancora in servizio alla data del 2007 e, quindi, titolare di regolare licenza di porto di fucile n. -OMISSIS-rilasciato nel 2003, non era obbligato, quale ufficiale di PS e di PG, ad una nuova denuncia delle armi. Il Collegio ritiene che le censure siano infondate e non idonee a superare il diniego gravato. Ed invero, l'art. 38 del TULPS stabilisce che "Chiunque detiene armi, munizioni o materie esplodenti di qualsiasi genere e in qualsiasi quantità deve farne immediata denuncia all'ufficio locale di pubblica sicurezza"; a norma dell'art. 58 del regolamento di esecuzione, invece, in caso di trasferimento del detto materiale da una località all'altra, il possessore deve ripetere la denuncia nella località dove il materiale stesso è stato trasportato. La previsione dell'obbligo di denunciare le armi detenute appare, quindi, finalizzata a rendere possibile quel controllo che l'autorità di pubblica sicurezza ha facoltà di eseguire ai sensi dell'art. 38, ultimo comma, del Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza; a tal fine, la denuncia deve essere necessariamente ripetuta ogni qual volta il detentore si trasferisce in una diversa abitazione ivi trasportando le sue armi (in tal senso Cass., sez. I, 1/16 ottobre 2009 n. 40173; Cass., sez. I, n. 1708 del 2008). Orbene, nel caso che ci occupa, è lo stesso ricorrente a confermare di essere residente nel Comune di Carinola a decorrere dal 13 luglio 2006 e di aver presentato, in data 9 gennaio 2007, la denuncia delle armi, non già tuttavia presso l'Autorità competente per territorio, ma presso il Commissariato di P.S. di Sessa Aurunca. Non risulta, quindi, che, a seguito del cambio di residenza, sia stata effettuata una nuova denuncia presso la Autorità competente. A nulla rileva, poi, il fatto che il ricorrente rivestisse, all'epoca dei fatti, la qualifica di ufficiale di P.S., atteso che l'esclusione dell'obbligo di denuncia "per le persone che per la loro qualità permanente hanno diritto ad andare armate" (art 38 lett c) TULPS) deve intendersi limitato al numero ed alla specie delle armi loro consentite. Per quanto concerne, infatti, i due fucili, già appartenuti in vita al padre defunto -OMISSIS- il ricorrente non dimostra di averne effettuato alcuna regolare denuncia. Analogamente, il fatto che il Tribunale del riesame abbia provveduto alla restituzione delle armi non inficia il giudizio espresso dalla Prefettura posto che tale restituzione ha avuto ad oggetto le sole armi legalmente detenute dal ricorrente. Con il quinto motivo di ricorso parte ricorrente denuncia il difetto dei presupposti ed il difetto di istruttoria del provvedimento impugnato, rilevando il contrasto esistente tra le dichiarazioni rese dagli organi di Polizia (in particolare dall'Ispettore -OMISSIS- in sede di S.I.T. innanzi ai CC di Carinola su delega della Procura della Repubblica di S. Maria C. V. del 26/01/2021) e la nota del Commissariato di Sessa Aurunca del 18/01/2021, richiamata nel divieto gravato. L'Ispettore -OMISSIS-, sentito dai CC di Carinola su delega della Procura della Repubblica di Santa Maria C.V., aveva infatti dichiarato: "prendo visione della denuncia di detenzione armi di tale -OMISSIS- sulla quale riconosco la dicitura manoscritta [...] nonché la successiva dicitura indicante "DECEDUTO" in data 02/10/2012. Riconosco altresì come mia la registrazione con n. 137 VII Vol. Lett. V in data 23/9/1994", smentendo il contenuto della nota del Commissariato di Sessa Aurunca del 18/01/2021 ove si era, invece, ribadita l'assenza di note di passaggio delle armi da -OMISSIS-a -OMISSIS- e la apposizione di una qualsivoglia sigla riferita all'intervenuto decesso del de cuius. Doveva, quindi, ritenersi che, verosimilmente, con riferimento alle armi possedute dal de cuius -OMISSIS- era stata verosimilmente presentata una nuova denuncia - e infatti l'Ispettore -OMISSIS- aveva apposto sulla vecchia denuncia del de cuius la sigla "DECEDUTO-02.10.2012"- ma tale nuova denuncia non era stata, poi, trascritta nel registro delle armi per una mera dimenticanza o mero errore materiale. Quanto alle armi proprie, invece, il ricorrente aveva presentato la a denuncia ma lo aveva fatto presso l'Ufficio sbagliato cosicché, semmai, il Commissariato di PS di Sessa Aurunca non avrebbe dovuto accettarla e, comunque, rilevato l'errore, avrebbe dovuto trasmetterla al Commissariato competente per territorio. In ogni caso, quindi, non sussistevano i presupposti per un giudizio di radicale inaffidabilità del ricorrente nell'uso delle armi, così come espresso dalla Prefettura nel provvedimento gravato. Le argomentazioni del ricorrente non colgono nel segno e vanno complessivamente respinte. È noto, infatti, che la misura diretta a vietare la detenzione delle armi e munizioni, di cui all'art. 39 T.U. 18 giugno 1931, n. 773, in considerazione della finalità della norma volta a prevenire fatti lesivi della pubblica sicurezza, richiede che il detentore sia persona esente da mende ed al di sopra di ogni sospetto o indizio negativo, e nei confronti del quale esista la completa sicurezza circa il buon uso delle armi. Ai fini della applicazione della misura interdittiva non occorre, quindi, che vi sia stato un oggettivo e accertato abuso delle armi, essendo sufficiente che il soggetto abbia dato prova di non essere del tutto affidabile quanto al loro uso, anche per non avere posto in essere le cautele necessarie per la loro custodia (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. VI, 2 maggio 2006, n. 2438). Si è anche precisato che il provvedimento in questione non richiede una particolare motivazione, conformemente al potere ampiamente discrezionale attribuito alla Autorità prefettizia, ed il successivo vaglio giurisdizionale deve limitarsi all'esame della sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie (cfr. ex multis Cons. Stato Sez. VI, 18 gennaio 2007, n. 63 e 10 maggio 2006, n. 2576; Sez. IV, 26 gennaio 2004, n. 238 e 19 dicembre 1997, n. 1440). Ciò posto, facendo applicazione degli anzidetti principi al caso di specie, emerge che il divieto emesso nei confronti del ricorrente ai sensi dell'art. 39 T. U. cit., diversamente da quanto dedotto in ricorso, risulta adeguatamente motivato e coerente con gli atti istruttori acquisiti dall'Ufficio. Invero, l'Autorità di P.S. ha dato ampiamente conto, sulla base di adeguata e partecipata istruttoria e nell'esercizio del potere discrezionale ad essa riconosciuto, della sussistenza dei presupposti di legittimanti la sua adozione, stigmatizzando, in particolare, il comportamento negligente da lui tenuto e consistente, in particolare, nella omessa denuncia delle armi detenuta dal padre (della quale il ricorrente non fornisce alcuna prova) e nell'aver dichiarato il possesso di un certificato medico emesso nel 2019 che, invece, risultava emesso nel 2015. Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente ribadisce l'illegittimità del divieto di detenzione armi perché fondato sulla mera affermazione della sua qualità di indagato. Il motivo è infondato in quanto, dalla lettura del provvedimento impugnato, si evince chiaramente che il divieto opposto dal Prefetto di Caserta si è basato su una serie di fatti e circostanze che non si sono riferite alla sola pendenza del procedimento penale che interessato il ricorrente ma che, come sopra descritte, hanno riguardato un più ampio e complessivo giudizio di sua inaffidabilità nell'uso delle armi che, per le ragioni già espresse, non appare censurabile in questa sede. Con il settimo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione della Circolare del Ministero dell'Interno del 25/11/2020 Prot. 557/PAS/U/013490/10171(1) ove l'accertata frequentazione con pericolose o situazioni di gravi conflittualità con altre persone verrebbero individuate come i casi più frequenti di revoca e/o divieto di porto d'armi, ribadendo l'assenza di questi presupposti e di qualsivoglia frequentazione con malavitosi e di conflittualità con altri soggetti. Il motivo è del tutto infondato, posto che il decreto impugnato non si riferisce affatto alle ipotesi menzionate nella Circolare sopra indicata ma si giustifica con riferimento alle specifiche e distinte vicende che hanno interessato il ricorrente e che, nel corpo del provvedimento, vengono analiticamente descritte. Con l'ottavo motivo, il ricorrente assume che l'Amministrazione, a fronte di una certificazione medica scaduta, avrebbe dovuto prima diffidarlo e soltanto, poi, una volta decorsi 60 giorni, avrebbe potuto vietargli l'uso delle armi. In ogni caso, non era stata resa alcuna dichiarazione mendace circa la data di rilascio del certificato medico. Anche questo motivo va respinto. Dalla documentazione acquisita in giudizio emerge, infatti, che nella dichiarazione resa al Comando Stazione Carabinieri di Carinola in data 17 luglio 2020, il ricorrente ha dichiarato di essere in possesso del certificato medico emesso in data 24 aprile 2019. Si è acclarato, quindi, nel corso del procedimento, che il sig.-OMISSIS-in occasione della denuncia resa al Comando Stazione Carabinieri di Carinola in data 17 luglio 2020, ha dichiarato di essere in possesso di un certificato medico datato 2019 laddove il suddetto certificato riportava la data del 2015 (v. nota 19318/4-1 del 1 agosto 2020 della Stazione C.C. di Carinola e nota n 1/45-11/2020 del 29 gennaio 2021 della stazione C.C. Di Carinola). Nell'ultimo motivo di ricorso il ricorrente deduce, infine, di non essere in possesso di alcuna pistola cal. 6.3, che le altre cartucce erano munizioni da caccia aventi almeno 50 anni, pure queste senza alcuna arma per l'utilizzo e che, come Aiutante della Guardia di Finanza ed in possesso del porto di fucile valido, poteva detenere fino a 1000 cartucce da caccia caricate a pallini senza specifica denuncia. Le altre munizioni, non essendo idonee all'uso, non erano soggette anch'esse a specifica denunzia, in quanto non vi era l'arma per poterle usare. Anche tali circostanze risultano ininfluenti, ai fini della disamina del provvedimento impugnato. Infatti, l'art. 97 del Regolamento per l'esecuzione del TULPS esenta chi detiene fino a un certo numero di munizioni, per fucile o per pistola, dal richiedere e dall'ottenere una licenza da parte dell'autorità di P.S., ma certamente non esenta dall'obbligo di denuncia di cui all'art. 38 del TULPS. La circostanza che all'epoca il sig. -OMISSIS-osse ancora in servizio quale M.llo Aiutante della Guardia di Finanza, infine, seppure lo avesse esentato dall'obbligo della denuncia per le munizioni relative alla pistola di ordinanza, non esonerava comunque il ricorrente dalla denuncia dei due fucili appartenenti al padre. Conclusivamente, il ricorso va, quindi, respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il ricorrente alla refusione delle spese ed onorari di lite in favore del Ministero dell'Interno nella misura di euro 2.000,00 oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Severini - Presidente Rita Luce - Consigliere, Estensore Maria Grazia D'Alterio - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 938 del 2024, proposto da An. Della Ga., rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Salerno e Avellino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliataria ex lege in Salerno, c.so (...); per l'annullamento, previa concessione delle idonee misure cautelari - del provvedimento del Comune di (omissis) prot. n. 1712 del 18/03/2024, recante diniego dell'autorizzazione paesaggistica semplificata per "stabilizzazione di un movimento franoso mediante realizzazione di gabbioni in pietra locale", di cui alla SCIA acquisita al prot. del Comune di (omissis) n. 6235 del 13/11/2023 - rif. pratica SCIA 22/2023; - del provvedimento della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio delle Province di Salerno e Avellino prot. n. 0001604/2024 del 12/03/2024, Class. 34.43.04/103.102, conosciuto unitamente al diniego comunale, recante parere paesaggistico contrario; - se ed in quanto lesiva, ed ove occorrer possa, della Nota prot. 3841-P del 15/02/2024 della Soprintendenza ABAP di Salerno e Avellino, recante comunicazione di motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza; - se ed in quanto lesiva, ed ove occorrer possa, della "nota mezzo pec n. 723 del 31/01/2024" (così citata nel parere negativo della Soprintendenza) di trasmissione degli atti alla Soprintendenza da parte del Comune di (omissis); - se ed in quanto lesivo ed ove occorrer possa, del Verbale n. 3 della Commissione Locale per il Paesaggio del 15/11/2024; - se ed in quanto lesivo ed ove occorrer possa, del "verbale n. 1 parere n. 2 del 29/01/2024 del parere favorevole della Commissione locale per il Paesaggio" (così citato nel parere negativo della Soprintendenza) della C.L.P. del Comune di (omissis); - se ed in quanto lesiva ed ove occorrer possa, della "relazione tecnica illustrativa con relativa proposta favorevole" del "Responsabile comunale del procedimento" (così citata nel parere negativo della Soprintendenza), prot. n. 722 del 31/01/2024; - di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Cultura e di Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per Le Province di Salerno e Avellino; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2024 il dott. Raffaele Esposito e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; 1. Con ricorso notificato il 17 maggio 2024 e depositato l'11 giugno 2024, il ricorrente impugna il provvedimento del 18 marzo 2024 con cui il Comune di (omissis) ha negato l'autorizzazione paesaggistica semplificata relativa a un intervento di stabilizzazione di un movimento franoso che ha riguardato la proprietà del ricorrente (a valle del fabbricato di proprietà del medesimo e a monte della strada comunale), per la messa in sicurezza dell'area e l'eliminazione della situazione di pericolo, oggetto peraltro di un'ordinanza contingibile e urgente adottata dal Sindaco il 31 maggio 2023. Ana movimento franoso aveva riguardato una parte del medesimo costone roccioso distante circa 15 metri da quella interessata dal più recente smottamento; nel 2019 un identico intervento era stato invece assentito dalla Soprintendenza competente per territorio e dal Comune e tuttavia non realizzato in quanto rivelatosi non necessario. Il ricorrente, a seguito dell'ordinanza sindacale, ha presentato una SCIA condizionata al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica semplificata; a fronte della proposta favorevole elaborata in sede comunale (prot. numero 611 del 29 gennaio 2024) e trasmessa il 31 gennaio 2024, la Soprintendenza ha comunicato motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza con nota n. 3841 del 15 febbraio 2024, trasmessi al ricorrente il 19 febbraio 2024 e da questo riscontrati il successivo 29 febbraio 2024. L'Amministrazione comunale ha trasmesso la documentazione alla Soprintendenza il 4 marzo 2024 e il 12 marzo 2024 la stessa Soprintendenza ha espresso parere contrario con nota n. 1604; sulla base di tale parere negativo il Comune, con nota n. 1712 del 18 marzo 2024, ha rigettato la richiesta di autorizzazione paesaggistica semplificata. 2. Il provvedimento negativo dell'Amministrazione comunale si fonda essenzialmente sul parere negativo della Soprintendenza; quest'ultima invece evidenzia: - la mancanza di una planimetria generale dell'area (riferita allo stato dei luoghi e agli esiti dell'intervento) e di elaborati specifici di rilievo e di piani quotati dell'attuale stato dei luoghi nonché di foto simulazioni per chiarire l'impatto dell'opera (in quanto da realizzare in area tutelata ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. f, del d.lgs. n. 42/2004); - la notevole dimensione e la scarsa qualità architettonica dell'opera, per metodologia, criteri costruttivi e assenza di opere di mitigazione paesaggistica; - la necessità di estendere i movimenti di terra a un'area più ampia rispetto a quella di intervento per consentire i lavori strutturali di posizionamento di gabbioni; - una alterazione dei valori paesaggistici nelle prospettive e nelle visuali nonché il forte impatto sul contesto paesaggistico generale e locale, considerate la notevole dimensione e le caratteristiche dell'intervento necessario; - il mancato accoglimento dei suggerimenti già formulati "Sistemazioni con tecniche di viminate, fascinate, palizzate e palificate vive; - Messa a dimora e piantumazione di arbusti e alberature; - Esecuzione di micropali di piccolo diametro e tiranti; - Esecuzione di terre rinforzate ed idrosemine"; proponendo "una rimodulazione dell'intervento di contenimento in elevazione di notevoli dimensioni a sostegno del terreno franato con il conseguente reiterarsi di tutto il versante stradale". 3. Il ricorrente deduce: - la tardività del parere della Soprintendenza, in quanto risulta violato il termine di venti giorni previsto dal combinato disposto dei commi 5, 7 e 9 dell'art. 11 del d.P.R. n. 31/2017, con conseguente esaurimento del potere dell'Amministrazione statale e necessità di autonoma decisione dell'Amministrazione comunale, che dovendo prescindere dal parere reso dalla Soprintendenza, deve risultare conforme alla proposta già formulata, pena l'irrazionalità dell'agire amministrativo. "Infatti, venendo meno il parere soprintendentizio perché tardivo, il rigetto comunale si presenta come un sostanziale annullamento della proposta di accoglimento inoltrata alla Soprintendenza. Solo un'eventuale diversa valutazione avrebbe potuto giustificare il revirement del Comune rispetto alla propria precedente determinazione. Peraltro, trattandosi come visto nella sostanza di un contrarius actus, il relativo dovere motivazionale sarebbe stato ancor più stringente, proprio perché con esso si andava ad annullare il precedente parere favorevole"; - in via subordinata, l'omessa valutazione, da parte del Comune e della Soprintendenza, della precedente autorizzazione paesaggistica semplificata rilasciata nel 2019 e la contraddittorietà rispetto a tale precedente atto, l'omessa valutazione del carattere necessitato dell'intervento nonché la violazione "dell'art. 10 bis ultima parte, L. n. 241/1990, nella misura in cui: nulla viene detto in merito al vecchio progetto approvato ed al perché ana (sostanzialmente identico) progetto non meriterebbe la stessa valutazione a distanza di pochi anni; nei provvedimenti impugnati sembra che la circostanza de qua non sia stata neppure considerata quale elemento istruttorio; nel parere negativo non vengono spiegate le ragioni per le quali le osservazioni presentate non sono state accolte sullo specifico punto in questione"; - l'omessa valutazione della documentazione presentata, non sussistendo le carenze documentali rappresentate, considerato peraltro che nella zona non vi sono punti di belvedere e che le foto simulazioni renderizzate non sono previste dalla specifica disciplina di cui al d.P.R. n. 31/2017 e che "alla luce delle foto aeree dell'area di intervento effettuate con il drone, delle sezioni, dei prospetti e delle planimetrie dell'intervento a farsi (tutte trasfuse nell'atto di osservazioni ex art. 10 bis L. n. 241/1990, cfr. all. 12), era piuttosto facile per l'Amministrazione figurarsi il risultato finale dell'intervento, ossia quanto era stato richiesto attraverso i rendering". Inoltre, con riferimento ai suggerimenti che la Soprintendenza ritiene non accolti, "nelle osservazioni vengono riportati planimetria, prospetti e sezioni, dalle quali è dato evincere che era stata prevista la piantumazione di essenze arbustive ed arboree (cfr. all. 12, pagg. 5, 6 e 7). Ad ogni buon conto, ben poteva l'Amministrazione emettere parere favorevole con prescrizioni sul punto, come già fatto nel 2019 (cfr. all. 10). Con riferimento agli ulteriori suggerimenti, invece, come fatto presente nell'atto di osservazioni, vi sono specifiche ragioni per le quali essi non erano da ritenersi idonei", in quanto inattuabili ed eccessivamente gravosi, con violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, trattandosi di autorizzazione semplificata e di un progetto identico a quello già approvato, considerato altresì che l'Amministrazione non ha adeguatamente indicato le ragioni per le quali le osservazioni formulate sul punto non potessero essere accolte. 4. Si è costituito il Ministero della Cultura evidenziando la tempestività del parere e chiedendo il rigetto del ricorso. 5. A seguito di rinvio chiesto dalla parte ricorrente, alla camera di consiglio del 25 settembre 2024, la causa è stata trattenuta per essere decisa con sentenza breve, previo avviso alle parti. 6. Occorre premettere che il parere della Soprintendenza non risulta tardivo in quanto reso nel termine di venti giorni dalla trasmissione della documentazione elaborata dal ricorrente a seguito della comunicazione ex art. 10 bis della legge n. 241/1990, secondo quanto disposto dall'art. 11, comma 7, del d.P.R. n. 31/2017. 7. Quanto alle ulteriori censure, il ricorso è fondato e va accolto. Le osservazioni prodotte a seguito della predetta comunicazione dei motivi ostativi reca fotografie raffiguranti l'area di intervento nonché un'ampia zona circostante (in modo da consentire la contestualizzazione dell'iniziativa), rilievi planimetrici della medesima area con indicazione delle relative quote nonché rappresentazioni schematiche delle sezioni della scarpata, secondo lo stato attuale e quello risultante dal progetto. Effettivamente mancano foto simulazioni dell'intervento che, facoltative secondo la previsione di cui al punto 9 dell'allegato D al citato d.P.R. n. 31/2017, appaiono però all'evidenza del tutto secondarie, considerate le rappresentazioni grafiche e fotografiche già contenute nelle precedenti osservazioni, il carattere standardizzato delle soluzioni proposte nonché la ottima conoscenza della zona da parte dell'Amministrazione, conoscenza che ha consentito alla stessa di formulare rilievi, di valutare il progetto e di prospettarne modifiche. A ciò si aggiunga che la Soprintendenza sembra suggerire un intervento, da riferirsi all'intero versante, molto più ampio e molto più impattante rispetto a quello proposto dal ricorrente, deducendone, contrariamente a quanto rappresentato in progetto, caratteristiche di notevole dimensione e di forte impatto che non appaiono invece sussistenti, senza invece confutare con adeguate argomentazioni le ragioni poste dal ricorrente a sostegno delle soluzioni effettivamente proposte, chiarite nell'ambito delle osservazioni prodotte e ribadite nell'ambito del ricorso. Infine, l'Amministrazione non prende in alcun modo in considerazione il precedente parere favorevole reso in relazione a un intervento identico (come sostenuto dalla parte privata, senza essere smentita sul punto da quella pubblica) proposto dal medesimo ricorrente nel 2019; il progetto avanzato non è stato poi realizzato ma il parere positivo adottato permane, consentendo di evidenziare una disparità di trattamento tra progetti che si differenziano solo per le zone di realizzazione (distanti pochi metri) e la lesione dell'affidamento ingenerato circa la compatibilità paesaggistica di interventi della specie in tali zone. Allo stesso modo, neppure risulta valutato lo specifico profilo connesso all'urgenza e alla necessità dei lavori, oggetto di un'ordinanza contingibile e urgente che ha evidenziato la compromissione delle condizioni di stabilità dell'area e il pericolo per la pubblica incolumità, con la conseguenza che l'intervento e le soluzioni individuate non possono non risentire di tali sollecitazioni. 8. In conclusione, il ricorso è fondato e va accolto con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati. I tratti di peculiarità della controversia, sopra rilevati, rendono equa l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Salvatore Mezzacapo - Presidente Fabio Di Lorenzo - Primo Referendario Raffaele Esposito - Primo Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4023 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Eu. Ca. e Le. Della Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia. contro Ministero dell'Interno - Ufficio Territoriale del Governo Napoli, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico in Napoli, via (...); Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia. per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: a) del Provvedimento Interdittivo Antimafia dell'On. le Prefetto di Napoli n. -OMISSIS- comunicato con nota prot. n. -OMISSIS-; b) degli atti in esso richiamati e, in particolare,: b/bis) della nota n-OMISSIS- del centro DIA di Napoli, ignota e mai conosciuta; b/ter) della nota del -OMISSIS- del Commissariato della Polizia di Stato di Giugliano Villaricca, ignota e mai conosciuta; b/quater) della nota n. -OMISSIS- del Nucleo PEF della Guardia di Finanza, ignota e mai comunicata; b/quinquies) dei verbali del GIA del -OMISSIS-, ignoti e mai comunicati; b/sexies) della nota prefettizia n. -OMISSIS-; c) ove occorra, di tutte le circolari del Ministero dell'Interno richiamate nel provvedimento interdittivo impugnato sub a); d) del provvedimento del Dirigente del Settore Attività Produttive del Comune di (omissis) (prot.-OMISSIS-), comunicato a mezzo pec in data 08.09.2023, con cui è stata disposta la "decadenza della scia di subingresso prot. suap n. -OMISSIS-" con conseguente ordine di "immediata cessazione dell'attività "; e) di ogni altro atto ai precedenti presupposto, connesso e/o conseguente, ivi compresi quelli - ove esistenti e/o ancorché non richiamati - relativi ad informative, rapporti ed atti istruttori. Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 15/4/2024: della nota prot.-OMISSIS- della Prefettura di Napoli, con cui è stata respinta l'istanza di aggiornamento della interdittiva antimafia ostativa ai sensi dell'art. 91, comma 5, d.lgs. n. 159/2011, di cui alla nota pec del 26/03/2024. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno - Ufficio Territoriale del Governo Napoli e del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 il dott. Domenico De Falco e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO La -OMISSIS- espone di essere una società di commercio all'ingrosso di prodotti edili e di arredamenti destinati alla casa operante in (omissis) (NA) con un organico di 13 addetti sotto la guida del sig. -OMISSIS- che ne è amministratore unico e con il capitale suddiviso tra le due figlie-OMISSIS- (90%) e-OMISSIS-(10%). In data 4.3.2021 la società inoltrava alla Prefettura di Napoli una richiesta di iscrizione alla white-list che dava luogo in data 7.3.2023 alla comunicazione alla società dell'avvio del procedimento di adozione delle misure di prevenzione antimafia, a cui faceva seguito la formulazione di controdeduzioni scritte della esponente e l'audizione della società . In data 25.7.2023 l'UTG di Napoli comunicava alla società il provvedimento interdittivo ritenendo insussistenti i presupposti per l'applicazione delle misure di prevenzione collaborativa di cui all'art. 94-bis del d.lgs. n. 159/2011. Avverso tale provvedimento interdittivo, la società esponente ha proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio, chiedendone l'annullamento previa sospensione degli effetti, sulla base delle censure così di seguito rubricate. I. Violazione ed erronea applicazione d.P.R. 159/2011. Violazione e mancata applicazione l.241/90. Violazione del giusto procedimento e della lex specialis. Violazione della par condicio. Difetto assoluto di motivazione e di istruttoria. Eccesso di potere per sviamento. Errore e travisamento nei presupposti di fatto e di diritto. Violazione art. 97 Cost. Il provvedimento impugnato fonderebbe la propria prognosi di condizionamento sulla figura del sig. -OMISSIS-, coinvolto da alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia nell'ambito di un giudizio penale in primo grado che in appello sarebbe stato del tutto riformato. Gli ulteriori precedenti per tentato omicidio e furto, risalenti rispettivamente al 1981 e al 2000, non avrebbero dato luogo ad alcuna condanna; dal reato di dichiarazione infedele, pure ascritto al sig.-OMISSIS-, sarebbe stato assolto perché il fatto non sussiste, mentre sussisterebbe una sola condanna in primo grado, ma gravata in appello, per bancarotta fraudolenta. L'unico controllo pregiudizievole sarebbe poi risalente al 2013 con un soggetto con precedenti per appropriazione indebita. Vero è, prosegue parte ricorrente, che la figlia del -OMISSIS-,-OMISSIS-, ha contratto matrimonio con un soggetto vicino ai clan e condannato per traffico di droga, ma-OMISSIS--OMISSIS- avrebbe ottenuto il divorzio, l'affidamento esclusivo del figlio e avrebbe anche denunciato l'ex marito per il reato di "stalking". Inoltre le operazioni immobiliari pure riportate nel provvedimento interdittivo sarebbero state condotte dalla sig.ra-OMISSIS- per sé stessa con provvista derivante dalla propria attività e non quindi come prestanome. In ogni caso, tutti gli elementi indiziari riferiti nel provvedimento interdittivo sarebbero risalenti e non attuali, mentre la società ricorrente non ha alcun rapporto con soggetti "opachi". È dotata di rigorosi sistemi di controllo e verifica degli accessi, ha adottato misure di autodisciplina e riorganizzazione interna e per 5 anni è stata sottoposta ad amministrazione controllata a seguito del sequestro preventivo delle quote societarie. II. Violazione ed erronea applicazione d.p.r. 159/2011. Violazione e mancata applicazione l.241/90. Violazione del giusto procedimento e del principio eurounitario del contraddittorio e dell'effettività della tutela. Violazione artt. 41 e 97 Cost. Ulteriore profilo di illegittimità sarebbe ravvisabile nella ritenuta insussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura della prevenzione collaborativa ex art. 94-bis del d.lgs. n. 159/2011. La Prefettura avrebbe apoditticamente desunto la natura non occasionale del condizionamento dai legami familiari e dalla ricostruzione della figura del-OMISSIS- come tesoriere del clan, che però non ha ricevuto alcun riscontro giurisdizionale. III. Violazione di legge (artt. 84 e ss. D.lgs. 159/2011 - art. 89 bis d.lgs 159/2011 in relazione art. 2 co. 1 lett. c) l. 136/2010) - eccesso di potere (deficit assoluto del presupposto - di istruttoria - di motivazione - irragionevolezza - arbitrarietà ) - violazione del giusto procedimento. L'adozione di un'informazione interdittiva antimafia dovrebbe incidere solo sui rapporti con le pubbliche amministrazioni e non anche dar luogo a paralisi dell'attività prestata nei confronti del pubblico: in particolare l'art. 89bis del TUA esclude l'estensione degli effetti pregiudizievoli dell'informazione interdittiva anche ai contatti privato/PA come avviene nel caso di caducazione dei titoli che abilitano le imprese attinte da interdittive all'esercizio dell'attività economica svolta. Diversamente ricorrerebbero vizi di eccesso di delega e di violazione della legge delega del Testo Unico antimafia. IV. Violazione di legge (artt. 84 e ss. D.lgs. 159/2011 - art. 89 bis del d.lgs 159/2011 in relazione art. 2 co. 1 lett. c) l. 136/2010) - eccesso di potere (deficit assoluto del presupposto - di istruttoria - di motivazione - irragionevolezza - arbitrarietà ). Il Prefetto non avrebbe potuto attivare d'ufficio il procedimento volto all'adozione dell'informazione interdittiva, atteso che il sistema non tollererebbe un'iniziativa autonoma prefettizia soprattutto allorché essa non sia confinata ai rapporti con la P.A. e si estenda anche alle attività imprenditoriali private. V. Sul contrasto dell'art. 89 bis del d.lgs 159/2011 con la disciplina costituzionale. L'equivalenza tra comunicazione e informativa antimafia sarebbe priva di copertura legislativa ed al di fuori della delega attribuita con l. n. 47/1994, inoltre per effetto di tale equiparazione gli effetti dell'interdittiva si sono estesi anche alle autorizzazioni, sicchè la questione di legittimità costituzionale sarebbe certamente rilevante. VI. Violazione degli artt. 88 e 89 bis del d.lgs. n. 159/2011. Eccesso di potere. Difetto di motivazione. Violazione del giusto procedimento. Difetto d'istruttoria. Violazione degli art. 97 e 41 Cost. Il provvedimento gravato sarebbe illegittimo poi anche per violazione dell'art. 89bis in combinato disposto con l'art. 88 del medesimo Codice Anti Mafia, secondo cui solo allorchè si verifichi una causa ostativa ai sensi dell'art. 67 il Prefetto possa procedere all'adozione di un'informativa con tutti gli effetti interdittivi di cui all'art. 67 del Codice Antimafia. Infine con l'ultimo motivo di ricorso, la società attrice lamenta l'illegittima derivata del provvedimento di decadenza della SCIA adottato dal Comune di (omissis). Si sono costituiti il Ministero dell'Interno - UTG di Napoli e il Comune di (omissis). Con ordinanza 2 ottobre 2023 n. 1646 questa Sezione ha respinto la domanda cautelare, motivando come segue: "Rilevato che, ad un primo sommario esame proprio della presente fase cautelare il ricorso non pare assistito dal necessario fumus di fondatezza, tenuto conto che a prescindere dal rilievo penale delle condotte ascritte al sig.-OMISSIS-, dal provvedimento impugnato emergono una serie di elementi che sembrano giustificare la prognosi favorevole alla sussistenza di un rischio di contaminazione; Rilevato, quanto alla contestata base legislativa dell'informazione interdittiva adottata all'esito dei controlli ex art. 88, co. 2, del Testo Unico Antimafia, che l'art. 89-bis co. 1 del medesimo Testo Unico, nel contemplare la possibilità che vengano accertati tentativi di infiltrazione mafiosa, pare presupporre un accertamento di tipo preventivo/cautelare dai contenuti non tipizzabili". Il rigetto dell'istanza cautelare è stato poi confermato con ordinanza n. 4427/2023 del Consiglio di Stato. Con istanza pervenuta alla Prefettura di Napoli il 27 marzo 2024, parte ricorrente ha chiesto l'aggiornamento dell'informazione antimafia gravata con il ricorso introduttivo "alla luce della favorevole pronuncia sull'istanza di controllo ex art. 34 bis di cui al decreto del Tribunale di Napoli - Misure di Prevenzione del -OMISSIS- Con provvedimento del 4 aprile 2024 (prot. n. -OMISSIS- la Prefettura ha confermato la persistenza dell'attualità delle situazioni indizianti individuate a carico della società non contraddetti dalla predetta pronuncia sul controllo giudiziario del Tribunale di Napoli. Avverso tale conferma dell'interdittiva parte ricorrente ha depositato ricorso per motivi aggiunti in data 15 aprile 2024, chiedendone l'annullamento sulla base delle seguenti censure. 1.Violazione e falsa applicazione dell'art. 91, co. 5, del d.lgs. n. 159/2011. Eccesso di potere. Violazione del giusto procedimento. Violazione degli artt. 41 e 97 Cost. Illogicità manifesta. Irragionevolezza. La Prefettura avrebbe illegittimamente declinato l'aggiornamento non rinvenendo nella pronuncia del Tribunale della Prevenzione il presupposto per l'esercizio del potere/dovere di riesame. 2.Violazione e falsa applicazione degli artt. 89, 89 bis, 91 del d.lgs. n. 159/2011. Difetto d'istruttoria. Travisamento. Carenza di motivazione. Violazione dei presupposti. Eccesso di potere. Violazione 41 e 97 Cost. Secondo parte ricorrente, l'accertamento da parte del Tribunale della prevenzione dell'inesistenza, anche nei limiti dell'occasionalità, dei rischi di condizionamento non può non condurre il Prefetto ad una rimeditazione anche dei presupposti dell'informazione interdittiva, altrimenti si perverrebbe al paradosso che un'impresa ritenuta comunque soggetta al condizionamento sia pure occasionale si gioverebbe della misura del controllo giudiziario ex art. 94 bis del CAM, mentre un'altra che sia ritenuta dal Tribunale del tutto scevra da condizionamenti anche occasionali rimarrebbe comunque sottoposta all'efficacia dell'informazione interdittiva e non potrebbe nemmeno giovarsi della misura agevolativa. 3. Violazione ed erronea applicazione d.lgs. 159/2011. Violazione e mancata applicazione della l.241/90. Violazione del giusto procedimento e della lex specialis. Violazione della par condicio. Difetto assoluto di motivazione e di istruttoria. Eccesso di potere per sviamento. Errore e travisamento nei presupposti di fatto e di diritto. Violazione art. 97 Cost. Gli indizi sulla base dei quali il sig.-OMISSIS- è stato considerato vicino all'omonimo clan consisterebbero nella dichiarazione di un collaboratore di giustizia resa nell'ambito di un giudizio penale, peraltro integralmente riformato in appello, nel quale il sig.-OMISSIS- non era nemmeno parte e non ha potuto quindi far valere le proprie ragioni. Parte ricorrente ripropone le medesime censure già articolate con il ricorso introduttivo a cui pertanto si rinvia per brevità . Le parti hanno insistito nelle proprie difese e alla pubblica udienza del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. I) Con il primo motivo del ricorso introduttivo, ribadito ed integrato con i motivi aggiunti, parte ricorrente si duole che la gravata informazione interdittiva si fonderebbe su dichiarazioni di un collaboratore di giustizia rese nell'ambito di un procedimento penale in cui il-OMISSIS- Gerardo non era parte e integralmente riformato in appello. Peraltro i precedenti del-OMISSIS- non avrebbero alcuna connessione con le attività della criminalità organizzata e sarebbero molto risalenti e quindi non più significativi. L'eccezione è destituita di fondamento. In punto di fatto deve precisarsi che la vicinanza del -OMISSIS- ai clan locali non deriva solo dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, ma come si evince dalla motivazione del provvedimento interdittivo, anche da intercettazioni ambientali dalle quali emerge chiaramente la consuetudine di rapporti con esponenti del clan e il ruolo assunto dal -OMISSIS- nell'ambito dell'organizzazione. Vero è che tale posizione non si sia tradotta in imputazioni specifiche, ma è anche vero che a prescindere dalle vicende del giudizio penale, tali indizi hanno una consistenza obiettiva in quanto derivanti da intercettazioni che hanno confermato le dichiarazioni del collaboratore di giustizia e l'esistenza di una rete di rapporti e cointeressenze che danno concretezza al ravvisato rischio di condizionamento. E ciò, lo si ripete, costituisce un elemento di collegamento che prescinde dalla stessa sussunzione della condotta dell'esponente in una determinata fattispecie penale che non è, come noto, decisiva ai fini della prognosi sul condizionamento. Sotto questo aspetto non coglie nel segno l'obiezione di parte ricorrente secondo cui in appello la sentenza del tribunale di Napoli sarebbe stata riformata, in quanto in materia di misure di prevenzione rileva la prognosi dinamica di rischio e non già il profilo sanzionatorio. Anche con riguardo alle operazioni immobiliari poste in essere dalla figlia-OMISSIS--OMISSIS-, dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia, emerge che queste siano state condotte per conto del marito di lei, poi arrestato per traffico internazionale di stupefacenti; arresto che, come rilevato dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni del collaborante, avrebbe poi determinato difficoltà nei pagamenti dei prezzi degli immobili da parte della sig.ra-OMISSIS-, per la quale, comunque, non sono state indicate le fonti finanziarie utilizzate per onorare gli impegni assunti. A ciò si aggiunga che la figura del -OMISSIS- si staglia per cointeressenze economiche con altre società del pari oggetto di informazione interdittiva e individuate nel provvedimento in questione oltre che per la segnalata vicinanza ai clan. Ne emerge a carico della società ricorrente un quadro indiziario composito in cui gli esponenti di vertice hanno legami di affinità con soggetti gravati da precedenti penali significativi, cointeressenze economiche con altre società gravate da pregiudizi antimafia, precedenti penali anche gravi del sig.-OMISSIS-, operazioni immobiliari opache: tuti indizi che negli anni anche vicini non sono superate da sopravvenute circostanze idonee a superare la ravvisata vicinanza ai clan. Non valgono a scongiurare i ravvisati rischi di condizionamento le misure societarie indicate dalla ricorrente che si riferiscono ai meccanismi di controllo interno societario, ma che non intervengono sui legami degli esponenti societari sostanzialmente, coincidenti con i membri della famiglia-OMISSIS-, con la criminalità organizzata. II) Con la seconda censura del ricorso introduttivo, ripresa poi anche con i motivi aggiunti, parte ricorrente si duole che la Prefettura non avrebbe tenuto conto della possibilità di applicare le misure di prevenzione collaborativa finalizzate a riportare la gestione dell'impresa su binari di completo affrancamento dai rischi di contaminazione mafiosa. In contrario osserva il Collegio che il provvedimento prefettizio sul punto appare ispirato ad una logica non censurabile, rilevando che la perduranza del controllo della famiglia-OMISSIS-, ritenuta essere un terminale del reimpiego delle somme provenienti dai traffici del clan, non consente effettivamente di ravvisare quel carattere occasionale del condizionamento che potrebbe in ipotesi fondare l'adozione della misura della prevenzione collaborativa. Sul punto la giurisprudenza ha affermato che "il concetto di agevolazione occasionale è caratterizzato dalla sporadicità del fattore critico coinvolgente il soggetto destinatario dell'interdittiva, che ricorre qualora siano assenti elementi che al contrario inducano ad evidenziare un connotato stabile e perdurante dei contatti con la criminalità organizzata" (TAR Campania, n. 1001/2023). È appena il caso di rammentare che anche con riguardo alla prognosi di occasionalità il giudizio che la Prefettura è chiamata ad esprimere si fonda pur sempre sul "più probabile che non" ed è altresì logico ritenere che a fronte di indizi che fondano il sospetto di una stretta vicinanza anche finanziaria alla criminalità organizzata, la misura della prevenzione collaborativa non costituisce un rimedio idoneo, facendosi questione di legami strutturali e non certo di tipo passeggero od occasionale. Lo stesso rapporto di convivenza tra -OMISSIS- (amministratore unico) e la figlia-OMISSIS- (proprietaria del 90% delle quote), consente di riferire i rapporti di ciascuno di essi anche alla società . III) Con l'ulteriore motivo parte ricorrente si duole che gli effetti dell'informazione interdittiva si siano estesi anche all'autorizzazione al commercio all'ingrosso, con ciò incidendo anche sui rapporti con i privati. Deve in contrario osservarsi che l'equiparazione quoad effectum è positivamente stabilita dall'art. 89 bis del codice, mentre gli effetti anche sui provvedimenti abilitativi sono positivamente sanciti dall'art. 67 del medesimo Codice, per cui non è nemmeno corretto affermare che in questo modo l'informazione interdittiva inibisca i rapporti tra privati, in quanto essa incide in realtà nei rapporti con la PA e solo indirettamente, per il tramite della decadenza dai titoli abilitativi, nei rapporti tra privati. IV) Non risponde al vero poi, e si viene così al quarto motivo di ricorso, che il Prefetto si sia attivato d'ufficio, avendo comunque riscontrato le richieste di verifica in BDNA; in ogni caso dal sistema di cui agli artt. 67 e 84 del Codice Antimafia emerge una duplice attribuzione prefettizia: una vincolata al ricorrere delle condizioni di cui all'art. 67 e l'altra fondata sull'apprezzamento di prefettizio di elementi elastici che riguardino l'impresa ovvero le persone fisiche esercitano poteri di gestione o detengono il capitale come precisato dall'art. 91, co. 5 del Codice. Nell'esercizio di tale potere il prefetto ben può adottare l'informazione interdittiva con gli effetti della comunicazione ai sensi dell'art. 89 bis comma 2. Questa Sezione ha già chiarito che le conseguenze in termini di decadenza sulle autorizzazioni (e sui contributi già erogati) dei provvedimenti interdittivi antimafia discendono dall'esigenza di elevare il livello della tutela dell'economia legale dall'aggressione criminale. Ciò tramite la sottoposizione a controllo non solo dei rapporti amministrativi che danno accesso a risorse pubbliche, ma anche di quelli che consentono l'esercizio di attività economiche, subordinandole al controllo preventivo della pubblica amministrazione e stabilendo che, anche in ipotesi di attività private soggette a mera autorizzazione, l'esistenza di infiltrazioni mafiose inquina l'economia legale, altera il funzionamento della concorrenza e costituisce una minaccia per l'ordine e la sicurezza pubbliche. Questo orientamento, e si supera così anche l'ultimo motivo di ricorso, si è poi consolidato con la giurisprudenza successiva secondo cui l'art. 89 bis, d.lgs. 159 del 2011 - inserito nel corpo del codice antimafia dall'art. 2, comma 1, lett. d.lgs. n. 153 del 2014 - s'interpreta nel senso che l'informazione antimafia produce i medesimi effetti della comunicazione antimafia anche nelle ipotesi in cui manchi un rapporto contrattuale con la Pubblica amministrazione. Per questo profilo, quindi, la revoca delle autorizzazioni, benché abilitanti l'esercizio dell'attività imprenditoriale nei confronti dei privati, discende direttamente, secondo il meccanismo vincolante di cui all'art. 67, dall'adozione dell'informazione interdittiva antimafia ed è legata alla perduranza di quest'ultima, non trovando applicazione quindi il meccanismo della riabilitazione propriamente ricollegabile alle misure di prevenzione aventi natura personale, laddove quella in questione è di chiaro carattere patrimoniale, incidendo su una realtà imprenditoriale (cfr. da ultimo TAR Campania n. 3162/2024). Va soltanto aggiunto che le eccezioni di incostituzionalità sollevate dalla ricorrente - che si rivelano non fondate - sono già state affrontate e risolte dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 57 del 2020. Per il caso in esame, giova riportare alcuni passaggi significativi della menzionata sentenza: "Le censure sono svolte rispetto all'art. 89-bis e solo in via conseguenziale nei confronti dell'art. 92, commi 3 e 4. 1.1.- Il rimettente osserva che con le norme censurate si sono estesi gli effetti della informazione antimafia interdittiva agli atti elencati nell'art. 67, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011 - tradizionalmente incisi dalla comunicazione antimafia interdittiva - e, in particolare, a quelli funzionali all'esercizio di una attività imprenditoriale puramente privatistica, così privando un soggetto del diritto, sancito dall'art. 41 Cost., di esercitare l'iniziativa economica, e ponendolo nella stessa situazione di colui che risulti destinatario di una misura di prevenzione personale applicata con provvedimento definitivo. Riconosce la pervasività e la lesività dell'infiltrazione mafiosa nell'economia, e la necessità di una risposta efficace e che elimini i soggetti economici infiltrati dalle associazioni mafiose dal circuito dell'economia legale, e non solo da quello dei rapporti con la pubblica amministrazione. Tuttavia, ritiene che una legislazione che affida tale radicale risposta ad un provvedimento amministrativo, quale è l'informazione antimafia prefettizia, ponga dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost. Sarebbe infatti irragionevole ricollegare ad un provvedimento di natura amministrativa gli stessi effetti di una misura di prevenzione applicata con un provvedimento di natura giurisdizionale, incidendo sull'esercizio dell'iniziativa economica. Ciò, anche considerando che: - l'effetto dell'informazione antimafia interdittiva è immediato ai sensi dell'art. 91, comma 7-bis, del d.lgs. n. 159 del 2011, e non è subordinato alla definitività del provvedimento; - l'autorità amministrativa non può procedere ad alcuna esclusione delle decadenze e dei divieti, a differenza di quanto può fare il tribunale, in ragione della previsione dell'art. 67, comma 5, del medesimo decreto legislativo, "nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all'interessato e alla famiglia". 1.2.- Il rimettente ricorda la sentenza di questa Corte n. 4 del 2018, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011, sollevate, in riferimento agli artt. 76, 77, primo comma, e 3 Cost., ma ribadisce che appare una irragionevole lesione della libertà d'impresa ricomprendere nella sfera d'incidenza dell'inibitoria, ma soprattutto della decadenza, che conseguono alla informazione antimafia interdittiva, tutti i provvedimenti previsti dall'art. 67 del medesimo decreto legislativo, senza escludere quelli che sono il presupposto dell'esercizio di una attività imprenditoriale meramente privata. (...) 3.- Ai fini dell'esame del merito, va premesso che la normativa in questione incide su un contesto ampiamente noto e studiato (e di cui il giudice a quo è perfettamente consapevole), caratterizzato dalla costante e crescente capacità di penetrazione della criminalità organizzata nell'economia. (...) Ne emerge un quadro preoccupante non solo per le dimensioni ma anche per le caratteristiche del fenomeno, e in particolare - e in primo luogo - per la sua pericolosità (rilevata anche da questa Corte: sentenza n. 4 del 2018). Difatti la forza intimidatoria del vincolo associativo e la mole ingente di capitali provenienti da attività illecite sono inevitabilmente destinate a tradursi in atti e comportamenti che inquinano e falsano il libero e naturale sviluppo dell'attività economica nei settori infiltrati, con grave vulnus, non solo per la concorrenza, ma per la stessa libertà e dignità umana. Le modalità, poi, di tale azione criminale non sono specifiche, perché - si desume sempre dalla giurisprudenza citata nella relazione - esse manifestano una grande "adattabilità alle circostanze": variano, cioè, in relazione alle situazioni e alle problematiche locali, nonché alle modalità di penetrazione, e mutano in funzione delle stesse. 4.- È alla luce di questi dati che va valutata la scelta di affidare all'autorità amministrativa questa misura, che pure si caratterizza per la sua particolare gravità . Quello che si chiede alle autorità amministrative non è di colpire pratiche e comportamenti direttamente lesivi degli interessi e dei valori prima ricordati, compito naturale dell'autorità giudiziaria, bensì di prevenire tali evenienze, con un costante monitoraggio del fenomeno, la conoscenza delle sue specifiche manifestazioni, la individuazione e valutazione dei relativi sintomi, la rapidità di intervento. È in questa prospettiva anticipatoria della difesa della legalità che si colloca il provvedimento in questione, al quale, infatti, viene riconosciuta dalla giurisprudenza natura "cautelare e preventiva" (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3), comportando un giudizio prognostico circa probabili sbocchi illegali della infiltrazione mafiosa. (...) Il dato normativo, arricchito dell'articolato quadro giurisprudenziale, esclude, dunque, la fondatezza dei dubbi di costituzionalità avanzati dal rimettente in ordine alla ammissibilità, in sé, del ricorso allo strumento amministrativo, e quindi alla legittimità della pur grave limitazione della libertà di impresa che ne deriva. In particolare, quanto al profilo della ragionevolezza, la risposta amministrativa, non si può ritenere sproporzionata rispetto ai valori in gioco, la cui tutela impone di colpire in anticipo quel fenomeno mafioso, sulla cui gravità e persistenza - malgrado il costante e talvolta eroico impegno delle Forze dell'ordine e della magistratura penale - non è necessario soffermarsi ulteriormente.". Neppure è ravvisabile, come già evidenziato da questa sezione, il lamentato eccesso di delega atteso che l'art. 2, lett. c) della legge di delega n. 136/2010 prevede espressamente che la documentazione antimafia incida "su tutto il territorio nazionale e con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione", con ciò facoltizzando il legislatore delegato all'introduzione della previsione di cui all'art. 67 del Testo unico antimafia (cfr. TAR Campania n. 495/2021). Dalla ravvisata infondatezza delle censure riferite al provvedimento interdittivo e ai suoi effetti discende anche la reiezione delle censure di illegittimità derivata del provvedimento di decadenza assunto dal Comune di (omissis). IV) Può dunque passarsi allo scrutinio del ricorso per motivi aggiunti. Con il primo motivo parte ricorrente si duole che la Prefettura avrebbe declinato l'istanza di aggiornamento nonostante si siano prodotti elementi nuovi ed obiettivi, il decreto del Tribunale della prevenzione di rigetto dell'istanza di controllo giudiziario, in grado di incidere sulla valutazione prefettizia e che comunque avrebbero dovuto indurre il prefetto a provvedere d'ufficio a seguito dell'accertamento compiuto dall'Autorità giudiziaria penale. Inoltre, prosegue parte ricorrente, il provvedimento impugnato sarebbe in ogni caso illegittimo nella parte in cui, negando ogni valore alla pronuncia del Giudice della Prevenzione, ha confermato la sussistenza del rischio di infiltrazioni mafiose posto a sostegno del provvedimento interdittivo. Se si accedesse all'idea che il diniego di ammissione al controllo giudiziario del Tribunale della prevenzione per carenza del rischio di infiltrazione non producesse effetti sull'interdittiva, si perverrebbe all'assurdo che un'impresa sottoposta a condizionamento mafioso, sia pure occasionale, beneficerebbe della misura recuperatoria, mentre un'altra impresa per la quale il condizionamento non è stato ravvisato dal Tribunale della prevenzione, nemmeno nella forma dell'occasionalità, si troverebbe nella situazione di restare sottoposta all'informazione interdittiva e di non poter beneficiare nemmeno del controllo giudiziario. I rilievi non colgono nel segno. Invero l'istanza di aggiornamento è stata fondata unicamente sulla decisione di rigetto dell'istanza del controllo giudiziario assunta dal Tribunale della Prevenzione, sicché in coerenza con tale limitata motivazione la Prefettura ha incentrato il proprio riscontro su tale circostanza, svolgendo un'autonoma istruttoria sia pure limitata all'incidenza sull'informazione interdittiva della valutazione operata dal predetto Tribunale. Ne consegue che la Prefettura non ha declinato l'esame dell'istanza di aggiornamento, avendo, invece, svolto un'autonoma istruttoria sul punto e pervenendo tuttavia ad un esito diverso da quello auspicato da parte ricorrente. Esito che a ben vedere non pare confliggere con la decisione del Tribunale della prevenzione che si fonda solo su un diverso apprezzamento degli elementi posti dalla Prefettura alla base dell'informazione interdittiva. Nel merito poi, l'apprezzamento svolto dalla Prefettura risulta immune dalle censure attoree in quanto la decisione del giudice penale non intacca il presente giudizio, atteso che l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenze nn. 6, 7 e 8/2023, ha definitivamente affermato il principio di autonomia "degli accertamenti di competenza del Tribunale della prevenzione penale rispetto a quelli svolti dall'autorità prefettizia in sede di rilascio delle informazioni antimafia..." precisando che "Nessun rapporto di pregiudizialità -dipendenza è quindi ravvisabile tra il giudizio di impugnazione dell'interdittiva antimafia e il controllo giudiziario" (cfr. Adunanza Plenaria n. 8/2023). In altre parole, secondo la consolidata giurisprudenza, l'assenza di elementi che conducono il giudice penale a ritenere di non poter applicare la misura di cui all'articolo 34bis non esclude che il Prefetto, in sede di valutazione del rischio di contaminazione dell'attività imprenditoriale di una società, possa valutare come sussistente -secondo considerazioni connotate da ampia discrezionalità e censurabili soltanto in presenza di macroscopici ed evidenti profili di illegittimità - il pericolo che l'operare economico sia permeabile ai tentativi della criminalità organizzata di condizionarne le scelte economico-finanziarie. Sulle ulteriori censure contenute nei motivi aggiunti e concernenti il merito del provvedimento interdittivo si rimanda alle considerazioni già sopra svolte sugli analoghi rilievi proposti con il ricorso introduttivo. In definitiva tanto il ricorso introduttivo che il ricorso per motivi aggiunti sono infondati. La peculiarità della fattispecie e la complessità delle questioni trattate giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche e/o giuridiche menzionate nella su estesa sentenza. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianmario Palliggiano - Presidente FF Domenico De Falco - Consigliere, Estensore Pierangelo Sorrentino - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4111 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Gr. La Ma., Fr. Pa., Fr. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Asl 107 - Napoli 2, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Gi. Al., An. Au., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti -OMISSIS-non costituito in giudizio; per l'annullamento 1. - della deliberazione n. 787 del 12/5/2022, con la quale il Direttore Generale dell''ASL Napoli/2-Nord disponeva la "rettifica[...], in parte qua, della delibera n. 2001 del 21/12/2021" e "approva[va] ex novo, per l''effetto, la graduatoria di merito, così come riformulata dalla commissione con verbale n. 15 del 21/4/202[2], del concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura a tempo indeterminato di n. 7 posti di Dirigente Amministrativo di cui n. 3 posti riservati all''interno, ai sensi dell''art. 52, co. 1-bis del D.Lg. 165/2001" indetto dall''ASL Napoli/2-Nord con provvedimento n. 66 del 20/01/2020, per la parte concernente il punteggio per titoli attribuito al ricorrente; 2. - del verbale della Commissione esaminatrice n. 15 del 21/4/2022, trasmesso al ricorrente con nota prot. 26471/u del 10/6/2022, per la parte concernente il punteggio per titoli attribuito al ricorrente; 3. - di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, conseguente e connesso, ivi compresa la delibera n. 2001 del 21/12/2021 per ciò che concerne il punteggio per titoli attribuito al ricorrente nonché la scheda di valutazione dei titoli, per quanto lesiva degli interessi del ricorrente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Asl 107 - Napoli 2; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 settembre 2024 il dott. Fabio Maffei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.- L'odierna controversia trae origine dalla procedura selettiva, per titoli ed esami, indetta con deliberazione del Direttore Generale n. 66 del 20/1/2020, dall'ASL Napoli 2 Nord e volta all'assunzione, a tempo indeterminato, di n. 7 dirigenti Amministrativi. Il bando di concorso, pubblicato sul BURC n. 10 del 17/2/2020, aveva contemplato, tra i requisiti specifici di ammissione (punto 2 del bando), oltre al possesso del titolo di studio ivi indicato, l'anzianità di "cinque anni di servizio effettivo corrispondente alla medesima professionalità prestato in Enti del SSN nelle categorie D e Ds (ex posizione funzionale di livello settimo, ottavo e ottavo bis), ovvero in qualifiche funzionali di settimo, ottavo e nono livello di altre Pubbliche Amministrazioni" (lett. b)). L'odierno ricorrente, essendo in possesso dei requisiti generali sopra indicati, avvalendosi dell'apposita procedura telematica, aveva presentato, in data del 24/3/2020, la propria di domanda di partecipazione alla procedura selettiva (id. n. 1359218), allegando, ai fini della valutazione dei titoli, nella sezione "servizi presso ASL/PA come dipendente", di aver prestato servizio dal 18/12/2009 al 24/3/2020 alle dipendenze della Regione Campania in qualità di "Dipendente FUNZIONARIO (categoria D3)". Approvata con delibera n. 2001 del 21/12/2021 la graduatoria di merito, il ricorrente si era classificato nella posizione n. 26, con un punteggio complessivo pari a 65,08 punti, di cui n. 21 punti per la prova scritta, n. 25 punti per la prova pratica, n. 15 punti per la prova orale e n. 4,08 per la valutazione dei titoli. Non condividendo il punteggio riconosciutogli dalla Commissione esaminatrice con specifico riferimento ai titoli presentati a corredo della domanda di partecipazione, con istanza in autotutela trasmessa a mezzo p.e.c. in data 27/12/2021, il ricorrente aveva domandato la rettifica del punteggio attribuitogli in ragione dei titoli presentati in quanto tale punteggio, pari a 4,075 [arrotondato a 4,08], doveva ritenersi discordante con quanto disposto con la normativa richiamata nel bando di concorso". In particolare, con la predetta istanza, il ricorrente aveva rappresentato che, in forza del disposto di cui all'art. 73, co. 4, del D.P.R. n. 483/1997, richiamato al punto 8 del bando di concorso, la Commissione esaminatrice avrebbe dovuto riconoscere in suo favore un maggiore punteggio, per titoli posseduti, pari a complessivi 6,25 punti, di cui: • n. 5,25 punti (5 punti per ogni anno di servizio + 0,25 punti per i primi 3 mesi di servizio dell'anno 2020) per i titoli di carriera; a tal fine, infatti, il ricorrente aveva dichiarato nella domanda di partecipazione, di "essere funzionario cat. D3 (ex ottavo livello) presso la Giunta regionale della Campania a partire dal 18 dicembre 2009" e di aver pertanto maturato "5 anni e 3 mesi di servizio, ossia 11 anni e 3 mesi detratti i 5 anni utili per l'accesso alla qualifica dirigenziale, che in base al DPR 483/97 avrebbero dovuto condurre ad un totale, per i soli titoli di carriera, pari a 5,25 puniti (5 punti per anno + 0,25 punti per i primi 3 mesi dell'anno 2020"; • n. 1 punto per il Master di II livello in "Scienze della Pubblica Amministrazione" conseguito in data 29/2/2016. In particolare, come emerso dalla disamina dei verbali delle corrispondenti sedute, nonostante il Boccia, nella domanda di partecipazione, avesse dichiarato di "essere funzionario cat. D3 (quindi ex ottavo livello) presso la Giunta Regionale della Campania, nella scheda di valutazione dei titoli, allegata al verbale n. 6, gli era stata riconosciuta la qualità di 'Funzionario - qualifica funzionale di settimo livello presso altre amministrazioni pubbliche per anni 10 mesi 3' con relativo punteggio riconosciuto pari a 2,625 punti in luogo dei 5,25 punti che gli sarebbero spettati in qualità di funzionario D3 ex ottavo livello. Nel denegare l'istanza di correzione in autotutela, la commissione esaminatrice aveva giustificato la sua determinazione in quanto, nella domanda di partecipazione, il ricorrente non aveva indicato il profilo giuridico di funzionario ex VIII livello, limitandosi al generico riferimento alla ctg. - D3". Insorgendo contro tale ultima deliberazione (la deliberazione n. 787 del 12/5/2022), unitamente al verbale della Commissione esaminatrice n. 15 del 21/4/2022, con esclusivo riguardo al punteggio attribuitogli per "titoli di carriera", il ricorrente ha sollevato un unico motivo di gravame così rubricato "violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost. - violazione e falsa applicazione dell'art. 73, co. 4, del D.p.r. n. 483/1997 - violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 del bando di corso - violazione e falsa applicazione dell'art. 6 della Legge n. 241/1990 - violazione e falsa applicazione dell'art. 3 del CCNL del 31/3/1999 - violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza - carenza di istruttoria - disparita di trattamento - eccesso di potere - ingiustizia manifesta". A supporto dell'articolata censura, il ricorrente ha preliminarmente osservato come il diniego del domandato maggior punteggio era stato giustificato dall'amministrazione in ragione della generica compilazione della domanda di partecipazione non avendo il Boccia indicato il profilo giuridico di funzionario ex VIII livello, ma esclusivamente il generico riferimento alla ctg. - D3. Tuttavia, tale "generico riferimento alla ctg. - D3" non avrebbe potuto, in tesi, impedire il riconoscimento del punteggio (pari ad 1,00 punti per anno) previsto per il servizio di ruolo prestato nella posizione funzionale di ottavo livello (di altre pubbliche amministrazioni) per un arco complessivo maggiore di 5 anni, poiché, in base all'art. 3 del CCNL del 31/3/1999, il sistema di classificazione del personale del Comparto Regioni-Autonomie locali, si articola in sole 4 categorie (denominate A, B, C e D) nelle quali sono confluite le otto qualifiche funzionali che caratterizzavano il precedente ordinamento professionale del personale nella vigenza della Legge quadro n. 93/83. Come precisato all'art. 3, co. 7, del CCNL cit., "nell'allegato A sono stati altresì indicati, per le categorie B e D, i criteri per la individuazione e collocazione, nelle posizioni economiche interne delle stesse categorie, del trattamento tabellare iniziale di particolari profili professionali ai fini di cui all'art. 13". Alla luce della giurisprudenza riportata in ricorso, non potendo considerarsi in alcun modo fungibili i profili riconducibili alla posizione economica D1 (corrispondente alla ex VII qualifica funzionale) rispetto a quelli propri della posizione economica D3 (corrispondente alla ex VIII qualifica funzionale), le determinazioni assunte dalla Commissione esaminatrice dovevano ritenersi del tutto ingiustificate avendo il ricorrente, nella domanda di partecipazione, specificamente allegato il proprio inquadramento nella qualifica di Funzionario di Cat. D3 e, di conseguenza, nel profilo di Funzionario ex VIII livello. In ogni caso, qualora l'Amministrazione avesse ritenuto generica o imprecisa l'indicazione nella domanda di partecipazione del profilo giuridico oggetto di valutazione, la stessa non avrebbe potuto esimersi dall'esperire il "soccorso istruttorio", segnalando al candidato eventuali errori, imprecisioni o allegazioni generiche nella formulazione della domanda. Ha, in definitiva, concluso per l'annullamento delle impugnate determinazioni, richiedendo altresì il riconoscimento del reclamato punteggio aggiuntivo per i titoli di carriera, così da raggiungere un punteggio totale pari a complessivi 67,7 punti con la conseguente collocazione al 18° posto dell'approvata graduatoria. Si è costituita l'intimata amministrazione insistendo per l'integrale reiezione del ricorso. Integrato il contraddittorio nei confronti dei candidati collocati nell'approvata graduatoria in posizione più avanzata rispetto a quella in cui si era classificato il ricorrente (ordinanza collegiale n. 114/2024), all'udienza pubblica del 17 settembre 2024, la causa è stata riservata in decisione. 2.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento nei termini di seguito esposti. 3.- L'impostazione censoria posta a fondamento del proposto gravame si articola essenzialmente su due dirimenti doglianze: in primo luogo, il ricorrente ha stigmatizzato l'errore valutativo in cui sarebbe incorsa la commissione esaminatrice nel giudicare i titoli di carriera effettivamente posseduti, avendogli negato il riconoscimento del maggior punteggio (2,625 punti) in ragione dell'asserita generica ed imprecisa compilazione della domanda di partecipazione al concorso; in secondo luogo, l'azienda sanitaria, a fronte di tale - a suo avviso - imprecisa compilazione, non avrebbe azionato il pur doveroso soccorso istruttorio, nonostante non fosse stata riscontrata l'ostativa incompletezza dichiarativa. Al riguardo, osserva il Collegio che, come è dato evincere dal verbale n. 15 della seduta del 21.4.2022, la Commissione aveva ritenuto di non procedere alla sollecitata rettifica in autotutela della graduatoria sostenendo la generica formulazione della domanda di partecipazione, avendo il ricorrente, nell'indicare i suoi titoli di carriera, dichiarato di aver rivestito la qualifica di funzionario cat. D3 alle dipendenze della Regione Campania, senza precisare che tale qualifica corrispondesse al precedente "profilo giuridico di funzionario ex VIII livello", cui era ricollegato il maggior punteggio reclamato. La riportata motivazione, ad avviso del Collegio, non può essere condivisa in quanto confliggente con i fondamentali principi, più volte declinati dalla giurisprudenza amministrativa nella materia de qua, di auto-responsabilità, da un lato, e affidamento e buona fede, dall'altro. Il contemperamento di tali principi ha condotto ad escludere che il principio di auto-responsabilità nella presentazione e compilazione della domanda di partecipazione ad un concorso possa giungere al punto di non ammettere il candidato alla selezione ovvero a non riconoscergli un determinato punteggio a causa del mancato possesso dei titoli, laddove questi siano effettivamente posseduti e dichiarati nella domanda, anche laddove quest'ultima si appalesi erroneamente compilata ovvero compilata in modo generico. Invero, nell'ambito dei concorsi pubblici, l'attivazione del c.d. soccorso istruttorio è tanto più necessaria per le finalità proprie di detta procedura che, in quanto diretta alla selezione dei migliori candidati a posti pubblici, non può essere alterata nei suoi esiti da meri errori formali, come accadrebbe se un candidato meritevole non risultasse vincitore per una mancanza facilmente emendabile con la collaborazione dell'Amministrazione. Il danno, prima ancora che all'interesse privato, sarebbe all'interesse pubblico, considerata la rilevanza esiziale della corretta selezione dei dipendenti pubblici per il buon andamento dell'attività della P.A (Consiglio di Stato, sez. VII, 03/06/2024, n. 4951). Il soccorso istruttorio, ben vero, non è attivabile allorché il privato abbia commesso un evidente errore nella compilazione della domanda di partecipazione ovvero abbia del tutto omesso di dichiarare i titoli posseduti; ciò in base ad un generale principio di autoresponsabilità . Il limite all'attivazione del soccorso istruttorio, si è osservato, coincide con la mancata allegazione di un titolo valutabile in sede concorsuale: il consentire ad un candidato di dichiarare, con un termine di presentazione delle domande già spirato, un requisito o un titolo non indicato significherebbe riconoscergli un vantaggio rispetto agli altri candidati in palese violazione della par condicio. Tuttavia, in relazione a fattispecie analoghe a quella del presente giudizio, la giurisprudenza amministrativa ha già in più occasioni precisato che, in presenza di competizioni selettive e concorsuali che prevedono la presentazione della domanda con modalità telematiche, con le quali è di fatto imposto al candidato di riempire dei campi predeterminati corrispondenti al format telematico, "la modalità informatica di compilazione della domanda non può impedire all'amministrazione, per un mero tecnicismo informatico, di considerare il titolo ove effettivamente sussistente e comprovato" (T.A.R., Lazio - Roma, Sez. III, 8 maggio 2018, n. 5126) e così anche le opzioni sul portale dal candidato selezionate e non registrate dal sistema. Onde, deve considerarsi iniqua ed illegittima un'esclusione, basata non su elementi sostanziali, quali la mancanza di requisiti di partecipazione o l'oggettiva tardività della domanda, ma solo su circostanze formali imposte dal Sistema informatico, non (o almeno non esclusivamente) imputabili al richiedente. Tale esclusione, al pari del mancato riconoscimento del punteggio per i titoli effettivamente posseduti, collide, infatti, con i principi di imparzialità, trasparenza, semplificazione, partecipazione, uguaglianza e non discriminazione, nonché con i più generali principi di ragionevolezza, proporzionalità, favor partecipationis che improntano di sé l'azione amministrativa nella particolare materia concorsuale, anche se gestita in modalità telematica" (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 02/05/2024, n. 4017). 4.- Applicando i menzionati principi all'odierna fattispecie, il Collegio non può non condividere le doglianze articolate dal ricorrente, atteso che l'azienda resistente, nel disconoscere il reclamato punteggio aggiuntivo in ragione delle asserite incompletezza e genericità della domanda di partecipazione, aveva omesso di considerare che nella categoria D3, corrispondente all'inquadramento del ricorrente, era confluito il precedente profilo giuridico di funzionario ex VIII livello, cui il Bando ricollegava l'attribuzione del maggiore punteggio richiesto per i titoli di carriera. Difatti, per costante orientamento della giurisprudenza lavoristica, in tema di qualifiche del personale dipendente da ente locale, il sistema di classificazione delineato dal c.c.n. l. Comparto Regione-Enti locali del 31 marzo 1999 configura, nell'ambito della categoria D, posizioni differenziate non solo sotto il profilo economico ma anche sotto quello professionale in relazione alla diversa professionalità di provenienza, atteso che le qualifiche funzionali ex VII ed VIII sono confluite, rispettivamente, nella categoria D, posizioni economiche D1 e D3 (Cass. civ., Sez. lavoro, 07-10-2015, n. 20070). Nel dettaglio, come chiarito dalla giurisprudenza lavoristica, i funzionari D3 sarebbero gli eredi dei funzionari appartenenti all'ottava qualifica, precedentemente rivestita dal ricorrente. A tal fine è opportuno fare riferimento al testo della L. n. 312 del 1980, che individua il "Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato" e lo fonda proprio sulla sua ripartizione in 8 qualifiche funzionali (chiaramente, non si ignora che questo articolo è oggi disapplicato, ai sensi dell'art. 86 del nuovo Contratto Collettivo di cui all'Accordo 24 maggio 2000, con riferimento agli artt. da 24 a 30 dello stesso Contratto). Prendendo in considerazione solo le due qualifiche più elevate, la disposizione stabilisce quanto segue: "Settima qualifica: attività con preparazione professionale o con eventuale responsabilità di unità organiche. Attività professionali comportanti o preposizione a uffici, servizi o altre unità organiche non aventi rilevanza esterna, con margini valutativi per il perseguimento dei risultati, e facoltà di decisione e proposta nell'ambito di direttive generali; ovvero attività di collaborazione istruttoria o di studio, nel campo amministrativo e tecnico, richiedente specializzazione e preparazione professionale di settore a livello universitario. La preposizione a unità organiche comporta piena responsabilità per le direttive o istruzioni impartite nell'attività di indirizzo e coordinamento e per i risultati conseguiti". "Ottava qualifica: attività con specializzazione professionale o con eventuale responsabilità esterna. Attività professionali comportanti preposizione a uffici o servizi con rilevanza esterna, a stabilimenti od opifici; ovvero attività di coordinamento e di promozione, nonché di verifica dei risultati conseguiti, relativamente a più unità organiche non aventi rilevanza esterna operanti nello stesso settore; oppure attività di studio e di elaborazione di piani e di programmi richiedenti preparazione professionale di livello universitario, con autonoma determinazione dei processi formativi e attuativi, in ordine agli obiettivi e agli indirizzi impartiti. Vi è connessa responsabilità organizzativa nonché responsabilità esterna per i risultati conseguiti". Il successivo art. 3 prescrive che "Ogni qualifica funzionale comprende più profili professionali: questi si fondano sulla tipologia della prestazione lavorativa, considerata per il suo contenuto, in relazione ai requisiti culturali, al grado di responsabilità, alla sfera di autonomia che comporta, al grado di mobilità ed ai requisiti di accesso alla qualifica". Questa disposizione chiarisce come ad ogni qualifica funzionale corrisponda, in astratto, uno specifico e, quindi, più elevato - di qualifica in qualifica - livello di competenza al quale sono associati gradi di autonomia e responsabilità sempre più alti che, nell'ambito della carriera non dirigenziale, non possono che essere massimi quando vengono in rilievo i funzionari dell'ultimo grado, ossia quelli di ottava qualifica. L'art. 4 della legge da ultimo citata, che stabilisce il "Primo inquadramento nelle qualifiche funzionali del personale in servizio al 1 gennaio 1978", precisa, poi, che rientra: "nella settima qualifica funzionale il personale della carriera di concetto con la qualifica di segretario capo o qualifica equiparata, delle carriere di concetto strutturate su un'unica qualifica, limitatamente al personale con parametro di stipendio 370, e della carriera direttiva con le qualifiche di consigliere e di direttore di sezione o qualifiche equiparate; nell'ottava qualifica funzionale il personale della carriera direttiva con la qualifica di direttore aggiunto di divisione o qualifica equiparata e personale delle carriere direttive strutturate su una unica qualifica, limitatamente al personale con parametro di stipendio 387 e superiore". I principi della L. n. 312 del 1980 sono stati in seguito trasfusi nel D.P.R. n. 347 del 1983, recante l'accordo nazionale per il personale dipendente degli Enti Locali, il cui art. 2 individua la massima qualifica funzionale applicabile in relazione alla dimensione dell'ente, facendo ricorso alla classificazione per l'assegnazione del Segretario, collocando l'ottava qualifica come "apicale" negli enti di tipo 3. Successivamente, nell'ambito della ristrutturazione delle figure del pubblico impiego, inaugurata per detti enti con il CCNL 31 marzo 1999, l'ottava qualifica funzionale è confluita nella categoria giuridica D, alla posizione D3. Dalle disposizioni appena citate emerge che i funzionari di categoria D3, proprio perché idealmente riconducibile alla precedente ottava qualifica funzionale, sono, fra il personale non dirigente, gli impiegati che godono del maggiore livello di autonomia e, di conseguenza, di responsabilità . (Cassazione civile, sez. lav., 28/12/2023, n. 36214) Nel caso all'esame, essendo - come sopra visto - la qualifica funzionale ex VIII livello confluita, a seguito dell'evoluzione normativa, nella cat. D 3 rivestita dal ricorrente per tutta la durata del suo rapporto alle dipendenze della Regione Campania, l'azienda avrebbe dovuto ritenere compiutamente operata da quest'ultimo la necessaria allegazione dei titoli di carriera, così da riconoscergli il reclamato punteggio aggiuntivo. In ogni caso, a fronte di tale allegazione, qualora fossero risultati margini d'incertezza, l'amministrazione avrebbe dovuto attivare il necessario soccorso istruttorio, costituendo ius receptum che, ove il candidato abbia allegato i titoli da valutare, il soccorso istruttorio dev'essere attivato, qualora dalla documentazione presentata dal candidato residuino margini di incertezza facilmente superabili, rispondendo tale scelta amministrativa ad un principio di esercizio dell'azione amministrativa ispirata a buona fede e correttezza. Come già sopra evidenziato, in mancanza di attivazione del soccorso istruttorio, il danno, prima ancora che all'interesse privato, è recato allo stesso interesse pubblico, considerata la rilevanza fondamentale della corretta selezione dei dipendenti pubblici per il buon andamento dell'attività della P.A., ancora più evidente nell'ambito di una procedura di concorso interno volta a selezionare i candidati maggiormente rispondenti alle esigenze organizzative espresse dall'Amministrazione di appartenenza (Cons. St., sez. V, 22 novembre 2019 n. 7975). Per quanto precede, il ricorso deve dunque essere accolto. In considerazione dell'accoglimento del gravame, il punteggio inizialmente attribuito al ricorrente per i titoli di carriera (2,625) deve essere incrementato con quello illegittimamente disconosciutogli, così da raggiungere il punteggio complessivo, per i titoli di carriera, di 6,7 punti (5,25 + 0,85 + 0,60) e da collocarsi al 18° posto della graduatoria di merito (punteggio totale pari a complessivi 67,7), in luogo dell'attuale 26° posto. 3.- Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Napoli Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini indicati in motivazione; condanna l'azienda resistente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in complessivi Euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Maria Abbruzzese - Presidente Gianluca Di Vita - Consigliere Fabio Maffei - Primo Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso, numero di registro generale 682 del 2021, proposto da: -OMISSIS- rappresentato e difeso dall'avvocato Am. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto, in Na., alla (…) (studio legale Fi.); contro Comune di (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio; per l’annullamento dell’ordinanza n. 159 del 4.12.2020 del Sindaco del Comune di (Omissis), con la quale si ordina ad horas, anche al ricorrente, quale comproprietario della consistenza immobiliare distinta in catasto al -OMISSIS-di procedere alla caratterizzazione delle lastre ondulate poste a copertura dei 5 box, ivi meglio individuati e, nel caso fosse confermata la presenza di amianto, alla rimozione e smaltimento delle stesse; Visti il ricorso ed i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore, all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 12 settembre 2024, il dott. Paolo Severini; Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue; FATTO L’odierno ricorrente, in quanto comproprietario della consistenza immobiliare sita in (Omissis) alla-OMISSIS-all’esito di un sopralluogo, da cui era emersa la presenza di 5 box, le cui coperture si presentavano in materiale contenente presumibilmente amianto, nonché la presumibile presenza di amianto nella copertura di un deposito a forma di “L” e di un serbatoio di colore giallo, è stato destinatario dell’ordinanza n. 159 del 2020, con cui gli si ordinava, in qualità di comprorietario dell’immobile: di procedere alla definizione della natura del materiale di cui erano costituite le lastre ondulate poste a copertura dei 5 box; di procedere, nel caso in cui si fosse trattato di materiale contenente amianto, al loro trattamento e/o rimozione secondo legge, dandone comunicazione al Comune e all’U.T.C. del Comune di (Omissis); di comunicare modalità e ogni utile informazione, relativa ai lavori di confinamento delle lastre contenenti presumibilmente amianto e poste a copertura del deposito a forma di “L” e del serbatoio di colore giallo; in assenza delle predette informazioni, di procedere, decorsi 15 giorni dalla notifica del provvedimento, al trattamento/rimozione dei materiali stessi, con comunicazione al Comune e all’U.T.C. Premetteva che l’area in questione era in comproprietà dei sig.ri -OMISSIS- sebbene, allo stato, pendesse un giudizio di scioglimento della comunione, proposto proprio dal ricorrente; che i detti soggetti avevano stipulato, in data 12.07.2018, con scadenza all’11.07.2024, un contratto di locazione con la -OMISSIS-il cui legale rappresentante p.t. era il sig. -OMISSIS-, avente ad oggetto l’immobile e l’area esistenti alla-OMISSIS-che la parte conduttrice s’impegnava ad utilizzare per imbottigliamento e distribuzione di gas Gpl, con divieto di sublocazione, cessione o affitto a terzi; che successivamente, in data 19.05.2020, un nuovo contratto di locazione, di durata novennale, era stato tuttavia stipulato, con la medesima parte conduttrice, cui era attribuita la facoltà di locazione o cessione a terzi, dai soli comproprietari -OMISSIS- che, conseguentemente, la -OMISSIS-aveva stipulato, con la -OMISSIS- s.r.l., in data 31.05.2020, un contratto di locazione commerciale, con cui concedeva l’utilizzo del compendio immobiliare sito in via Faro e, in sostituzione dello stesso, in data 23.07.2020, un contratto di fitto di ramo d’azienda; orbene, da quanto sopra riferito sarebbe derivata, secondo parte ricorrente, la perdita della disponibilità giuridica e materiale dell’area interessata, da parte sua, fin dal maggio 2018; inoltre, gli allegati al ricorso (all. 7 – 15) documentavano l’attività del ricorrente che, in dissenso con quanto stava accadendo presso l’area di sua comproprietà, aveva inviato diverse segnalazioni alle autorità competenti, in relazione sia alla costruzione di manufatti abusivi sia a situazioni di pericolo, derivanti dalla presenza di amianto. Con il ricorso scrutinato, depositato il 18.02.2021, il -OMISSIS-ha quindi chiesto l’annullamento del provvedimento in epigrafe, previa sospensione dello stesso. La richiesta di misura cautelare è stata peraltro respinta, con ordinanza della Sezione, n. 417/2021 del 3.03.2021, del seguente tenore: “Considerato che, ad un primo sommario esame, contrariamente alla prospettazione attorea, l’ordinanza impugnata risulta emessa espressamente nell’esercizio della potestà prevista dall’art. 50 del T.U.E.L., sussistendone peraltro i presupposti di contingibilità ed urgenza, a tutela del primario interesse della salute pubblica, messo a rischio dalla presumibile presenza di amianto nelle lastre poste a copertura dei locali indicati nel provvedimento; Ritenuto, in relazione alla natura dell’ordinanza gravata, come appena precisata, che la stessa non riveste carattere sanzionatorio – di tal che non è dipendente dall'individuazione della responsabilità del singolo comproprietario in relazione alla situazione contaminante – ma solo ripristinatorio, per essere diretta esclusivamente alla rimozione dello stato di pericolo e a prevenire danni alla salute pubblica (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, Sez. II, 2/7/2020, n. 4248); Ritenuto, in conclusione, di dover respingere la domanda cautelare, non sussistendo i presupposti previsti dall’art. 55 c.p.a.; Ritenuto di poter compensare le spese della presente fase di giudizio in relazione alla peculiarità della controversia; P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Napoli (Sezione Quinta), respinge la domanda cautelare. Spese compensate”. Ciò posto, s‘osserva che parte ricorrente contesta, in particolare, il fondamento giuridico del potere esercitato dal Sindaco e, di conseguenza, il procedimento attivato. In particolare, sebbene nel provvedimento gravato si indichi esclusivamente l’art. 50 TUEL, il contenuto dello stesso, data l’attività di caratterizzazione, campionamento e bonifica prescritta, lo ricondurrebbe sotto l’egida dell’art. 192 T.U. Ambiente. Ferma l’operatività dell’art. 50 del TUEL solo in assenza dei presupposti di un potere tipico, quale quello ex art. 192 T.U. Ambiente, nonché l’incertezza interpretativa in ordine alla qualificazione del provvedimento gravato, con conseguente vulnus per il diritto di difesa, esso sarebbe risultato, in ogni caso, illegittimo: da un lato, l’art. 192 citato avrebbe richiesto l’attivazione di un procedimento, diverso da quello in esame; dall’altro, si denunziava l’assenza dei presupposti di necessità e urgenza, necessari per l’esercizio del predetto potere extra ordinem. Invero, parte ricorrente riteneva che la fattispecie in esame dovesse essere piuttosto regolata dall’art. 192 T.U.A., di talché alla rimozione dei rifiuti era tenuto il responsabile dell’abbandono o del deposito dei medesimi e, in via solidale, il proprietario o il titolare di diritti reali o personali di godimento, cui la violazione fosse imputabile a titolo di dolo o colpa, con esclusione di forme di responsabilità oggettiva. Di conseguenza, il ricorrente, avendo segnalato di non avere la disponibilità giuridica dell’area, fin dal 2018, di non essere stato autore di alcuna condotta dolosa o colposa e, infine, di essere nell’impossibilità giuridica di ottemperare all’ordine del sindaco, contestava la legittimità del provvedimento gravato; sotto diverso profilo, evidenziava che il provvedimento era stato adottato senza l’istaurazione di un previo contraddittorio con il destinatario, in violazione degli articoli 7 e 8 l. 241/90, nonché dell’art. 192, comma 3, d. lgs. 152/06 che, specificamente, prescrive l’accertamento della responsabilità a titolo di dolo o colpa, in contraddittorio con i soggetti interessati; infine, parte ricorrente lamentava l’illegittimità del provvedimento sindacale in relazione alla circostanza che la stessa, non avendo la disponibilità giuridica dell’area e dell’immobile in quanto, oggetto di locazione a uso diverso, risultava essere impossibilitato a realizzare la prescritta opera di bonifica e rimozione dei rifiuti. Il Comune di (Omissis) non si costituiva in giudizio. All’udienza di smaltimento dell’arretrato del 12.09.2024, tenuta da remoto con l’utilizzo dell’applicativo TEAMS, il ricorso era trattenuto in decisione. DIRITTO Osserva il Collegio che il ricorso non può essere accolto. Già in sede cautelare la Sezione, come sopra riferito, ha respinto la richiesta di sospensiva, poiché, ad un primo sommario esame, e contrariamente alla prospettazione attorea, l’ordinanza impugnata risultava emessa espressamente nell’esercizio della potestà prevista dall’art. 50 T.U.E.L., sussistendone peraltro i presupposti di contingibilità e urgenza, a tutela del primario interesse della salute pubblica, messo a rischio dalla presumibile presenza di amianto nelle lastre, poste a copertura dei locali indicati nel provvedimento. Inoltre s’è ivi ritenuto, in relazione alla natura dell’ordinanza gravata, che la stessa non rivestisse carattere sanzionatorio, tal che non era dipendente dall’individuazione della responsabilità del singolo comproprietario in relazione alla situazione contaminante – ma solo ripristinatorio, per essere diretta esclusivamente alla rimozione dello stato di pericolo ed a prevenire danni alla salute pubblica. Sviluppando le argomentazioni espresse in sede cautelare, si rileva, in ordine alla censura relativa al fondamento normativo del provvedimento gravato, che “la circostanza che l'ordinamento abbia previsto per la rimozione dei rifiuti il rimedio tipico dell'art. 192 Codice dell'Ambiente non esclude, nella sussistenza dei relativi presupposti, la possibilità del ricorso allo strumento extra ordinem, costituente una misura di chiusura del sistema a tutela dell'incolumità pubblica. In tale ipotesi, le misure di messa in sicurezza d'emergenza e i relativi poteri della P.A. possono essere esercitati, anche prescindendo dall'accertamento della responsabilità dell'inquinamento, verifica i cui tempi sarebbero in molti casi incompatibili con l'urgenza di garantire la sicurezza del sito” (cfr. T.A.R. Campania – Napoli, sez. V, n. 840/2023). Non può dunque affermarsi l’illegittimità del provvedimento, in considerazione del relativo contenuto sostanziale, in parte sovrapponibile all’esercizio del potere tipico, ex art. 192 T.U.A., in quanto ciò che giustifica l’adozione di un’ordinanza extra ordinem concerne esclusivamente i suoi presupposti, ben individuati dal provvedimento gravato nella sussistenza di pubblico interesse alla salvaguardia della salute pubblica e privata e della salubrità ambientale. S’osserva che T.A.R. Abruzzo – Pescara, Sez. I, 22/04/2011, n. 264, precisa, infatti, che: “Le ordinanze contingibili ed urgenti a tutela della salute pubblica ex art. 50 t.u.e.l. possono essere adottate non solo per porre rimedio ai danni già verificatisi in materia di sanità ed igiene, ma anche per prevenire tali danni, come del resto espressamente previsto dall'art. 38 t.u.e.l., che consente l'adozione di tali provvedimenti "al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini"; inoltre, le ordinanze stesse possono essere assunte anche quando l'incolumità dei cittadini sia minacciata da fenomeni di inquinamento ambientale provocati da rifiuti, emissioni inquinanti nell'aria e da scarichi inquinanti”. Una volta individuato l’art. 50 T.U.E.L. come fondamento normativo del provvedimento sindacale gravato, non sono quindi suscettibili di accoglimento gli ulteriori motivi prospettati. In primis, non rileva l’assenza di responsabilità da parte dell’odierno ricorrente in relazione alla situazione di pericolo per l’ambiente e la salute pubblico, in quanto, a differenza della funzione sanzionatoria, propria dell’ordinanza ex art. 192 T.U.A., quella ex art. 50 T.U.E.L. ha mero carattere ripristinatorio, giustificato da ragioni di urgenza (cfr. T.A.R. Campania – Napoli, Sez. V, n. 6550/2018). Cfr. anche T.A.R. Sicilia – Palermo, Sez. III, 1/02/2017, n. 291: “L'esecuzione del servizio pubblico di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani deve, in generale, essere svolto con efficacia ed immediatezza a tutela del bene pubblico indicato dalla legge; pertanto qualora la necessità di provvedere si appalesi imperiosa - specie al fine di prevenire eventuali ipotesi di emergenze sanitarie e di igiene pubblica - il Sindaco può legittimamente ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile ed urgente, ai sensi dell'art. 50, comma 5, del d.lg. 18 agosto 2000 n. 267, anche se sussiste una apposita disciplina che regoli, in via ordinaria, la materia”; conforme: T.A.R. Sicilia – Catania, Sez. III, 26/10/2016, n. 2737; T.A.R. Puglia – Lecce, Sez. I, 21/05/2015, n. 1702: “Deve ritenersi non illegittimo il ricorso all'istituto dell' ordinanza contingibile e urgente per lo svolgimento del servizio in essere, in quanto la situazione di pericolo per la salute pubblica e l'ambiente connessa alla gestione dei rifiuti, non fronteggiabile adeguatamente con le ordinarie misure, legittimava comunque il Sindaco all'esercizio dei poteri extra ordinem riconosciutigli dall'ordinamento giuridico. Del resto, le ordinanze sindacali contingibili e urgenti prescindono dall'imputabilità all'Amministrazione o a terzi ovvero a fatti naturali delle cause che hanno generato la situazione di pericolo: pertanto, di fronte all'urgenza di provvedere, non rileva affatto chi o cosa abbia determinato la situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere”. Ancora, risulta priva di pregio la censura, relativa alla violazione del contraddittorio: da un lato, l’art. 192 comma 3 non può trovare applicazione nel caso di specie; dall’altro, il requisito dell’urgenza, che legittima l’esercizio dei poteri extra ordinem, giustifica l'obliterazione dell'obbligo di comunicazione d’avvio del procedimento, data la necessità di fronteggiare l'imminente pericolo che proprio attraverso il potere di ordinanza l'Amministrazione intende prevenire ovvero arginare (cfr. T.A.R. Campania – Napoli, sez. V, n. 5694/2022). Cfr. anche, negli stessi sensi, T.A.R. Sicilia – Palermo, sez. II, 5/04/2023, n. 1139: “Un provvedimento impugnato che è stato adottato ai sensi degli artt. 50 e 54 d.lg. n. 267/2000 non può essere impugnato ai sensi dell'art. 192, comma 3, d.lg. n. 152/2006 per l'omesso contraddittorio procedimentale”. Infine, non appare dirimente la dedotta indisponibilità del bene da parte del ricorrente né, tantomeno, il suo comportamento, estrinsecatosi nelle ripetute segnalazioni inviate alle autorità competenti. Il provvedimento impugnato è stato notificato – anche – al ricorrente, in considerazione del suo status soggettivo, non contestato, di comproprietario dell’immobile; e per T.A.R. Piemonte, Sez. II, 9/02/2012, n. 172, “è illegittima l'ordinanza sindacale di rimozione e smaltimento-rifiuti rivolta a quell'ente e/o soggetto che non abbia una relazione qualificata col bene contaminato o che non sia autore dell'inquinamento”: relazione qualificata che nella specie, giusta quanto sopra osservato, tuttavia indubbiamente sussiste, ad onta degli evidenziati contrasti con i comproprietari, circa tempi e modalità della concessione dell’immobile in locazione; del resto, non può che porsi ancora una volta in risalto che il provvedimento gravato non riveste connotati sanzionatori, né richiede una condotta antigiuridica, ma assume un valore meramente ripristinatorio, fondato sull’esigenza di eliminare una urgente situazione di pericolo per l’ambiente e la salute pubblica; e, nella contemplazione di tale sua natura, va pertanto respinta la doglianza con cui parte ricorrente segnala di essere “impossibilitato ad ottemperare (per assurdo pur volendo) il provvedimento di bonifica e rimozione dei rifiuti, adottato dal Sindaco di (Omissis)”. Per tali motivi, il ricorso va, in definitiva, respinto. Non deve pronunciarsi alcunché circa le spese di lite, stante la mancata costituzione in giudizio del Comune di (Omissis). P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge- Nulla per le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti del giudizio od altre persone ivi citate. Così deciso, in Napoli, nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2024, con l'intervento dei magistrati: Paolo Severini, Presidente, Estensore Rita Luce, Consigliere Maria Grazia D'Alterio, Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1005 del 2021, proposto da Mi. Pe. e società "Sa. Gi." di Ca. Gi. & C. - S.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, parti rappresentate e difese dagli avvocati Al. Me. e Gi. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al. Me. in Salerno, (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ed. De Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per il risarcimento del danno che sarebbe derivato a parte ricorrente per effetto dell'accertata illegittimità : a) della nota n. 13356 del 29.3.2007 del Segretario Generale del Comune di (omissis); b) della delibera di Consiglio Comunale n. 51 dell'8.5.2000; c) della delibera di Giunta Comunale n. 147 del 28.4.2006; d) della delibera di Giunta Comunale n. 220 del 13.7.2006; e) della delibera di Consiglio Comunale n. 116 del 26.10.2006; f) della delibera del Consiglio Comunale n. 13 del 18.2.2004; g) della delibera di Giunta Comunale n. 382 del 25.11.2004; h) della delibera della Giunta Comunale n. 193 del 12.5.2006; i) della delibera di Consiglio Comunale n. 51 del 27.3.2008; l) dell'ingiunzione di pagamento n. 7 dell'1.10.2008. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 12 settembre 2024 il dott. Marcello Polimeno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'odierno ricorso (notificato in data 28.6.2021 e depositato in data 30.6.2021) i ricorrenti indicati in epigrafe hanno chiesto la condanna del Comune di (omissis) "al risarcimento dei danni in favore dei ricorrenti in solido tra loro, ovvero, per la quota parte spettante a ciascuno di essi, derivanti dall'illegittimo esercizio del potere amministrativo per come quantificati nella somma di Euro. 3.050.000 ovvero, in subordine, in quella di Euro. 575.483,20 - ovvero in quella maggiore o minore che sarà determinata dal C.T.U., oltre interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge" (v. pag. 13 del ricorso). 1.1. A fondamento della domanda proposta parte ricorrente ha dedotto che: - il Comune di (omissis) (oggi Comune di (omissis) - Paestum) con deliberazione del Consiglio Comunale n. 197 del 28.6.1982 approvò (ai sensi dell'art. 27 della legge 22.10.1971, n. 865) il Piano per gli Insediamenti Produttivi (P.I.P.) alla località (omissis) (successivamente reso esecutivo, ai sensi della L.R. 20 marzo 1983 n. 14, con decreto sindacale n. 32 del 18.2.1984, pubblicato sul B.U.R.C. n. 13 del 5.3.1984 a pag. 90); - la società "Sa. Gi." di Ca. Ma. & C. - s.n. c. (oggi "Sa. Gi." di Ca. Gi. & C. - s.n. c.) con sede in (omissis), essendo già proprietaria del relativo fondo, chiese il rilascio della concessione edilizia per realizzarvi ed impiantarvi un supermercato, sviluppantesi in un piano seminterrato destinato a depositi ed un piano in elevazione destinato alla vendita; - previa stipula della convenzione per notaio An. rep. n. 10646 del 7.10.1987 e la sottoscrizione in data 2.7.1988 di un atto unilaterale di impegno, il Comune assentì la realizzazione della struttura commerciale nella consistenza richiesta con concessione edilizia n. 170 del 12.7.1988; - il Comune rilasciò concessioni in variante n. 120/90 del 30.4.1990 e n. 70/92 del 2.6.1992 (all'esito delle relative richieste della predetta società ), per cui la struttura fu poi realizzata nella sua attuale consistenza, sviluppantesi su un unico livello a piano di campagna; - all'esito del completamento della struttura, del collaudo, dell'allaccio ai servizi pubblici, del conseguimento dell'agibilità e dell'autorizzazione al commercio (quest'ultima in data 7.8.1992) la società avviò l'esercizio commerciale; - entro il termine decennale di vigenza ed efficacia del P.I.P. oltre a quello della ricorrente si insediarono altri sette impianti produttivi da parte di altrettante ditte (anch'esse proprietarie dei rispettivi suoli); - tuttavia, il Comune non avrebbe realizzato alcuna infrastruttura del Piano; - tale situazione sarebbe rimasta inalterata per decenni; - successivamente il Comune con delibera di Consiglio Comunale n. 51 dell'8.5.2000 approvò un nuovo P.I.P. nella medesima località con la previsione di n. 62 lotti, ivi compresi gli otto già insediati in vigenza del precedente P.I.P. e, quindi, anche quello della ricorrente; - il Comune con delibere di Giunta nn. 382 del 25.11.2004 e 193 del 12.5.2006 approvò poi il progetto esecutivo - I° stralcio per le opere infrastrutturali, nonché con delibera G.C. n. 147 del 28.4.2006 (doc. n. 4) stabilì di procedere all'intero programma di completamento delle opere di urbanizzazione primarie e secondarie dell'area P.I.P.; - con quest'ultima delibera il Comune pose a carico degli insediati, ivi compresi i proprietari dei lotti già insediati, gli oneri finanziari necessari per detto completamento previa acquisizione di opportuno parere di legittimità ; - con successiva delibera di Giunta n. 220 del 13.7.2006 il Comune approvò una variante tecnica al P.I.P. approvato nel 2000 e stabilì di ripartire i relativi oneri infrastrutturali dell'intero Piano tra tutti gli assegnatari dei suoli, includendovi definitivamente (sulla base del parere intanto reso dal Segretario Generale prot. n. 24088 del 21.6.2006) anche gli otto lotti già insediati in vigenza del precedente P.I.P. del 1984, tra cui quello su cui insiste il supermercato della società "Sa. Gi.", invocando la suddetta convenzione ed il suindicato atto d'obbligo; - con delibera di Consiglio Comunale n. 116 del 26.10.2006 approvò il "Regolamento comunale delle Aree Destinate ad Insediamenti di Attività Produttive", in cui con gli artt. 15 e 16 venne esplicitato l'obbligo dei titolari degli otto lotti a suo tempo insediati di corrispondere gli oneri di urbanizzazione a conguaglio per gli importi ivi indicati e le relative modalità di pagamento; - con atto del Segretario Comunale prot. n. 13356, notificato il 2.4.2007, il Comune richiese alla società "Sa. Gi." di corrispondere, nel termine di gg. 120 e previa sottoscrizione di apposita convenzione, la somma di Euro 285.152,00 per il pagamento delle opere di urbanizzazione primarie e quella di Euro 212.800,00 per le opere di urbanizzazione secondaria; - infine, il Comune con delibera di Consiglio Comunale n. 51 del 27.3.2008, insistendo sull'inclusione dell'area nel nuovo Piano, dapprima, approvò alcune modifiche ed integrazioni al Regolamento Comunale delle aree P.I.P. località (omissis), aumentando il corrispettivo per la seconda fase (opere di urbanizzazione secondaria - scheda 7) da Euro 35,00 ad Euro 50,00 al m.q. e, quindi, con ingiunzione di pagamento n. 7 dell'1.10.2008 richiese la corresponsione della somma di Euro 285.152,00 per oneri di urbanizzazione primaria del P.I.P., oltre interessi per Euro 9.997,93; - tali atti vennero impugnati dall'odierna ricorrente Mi. Pe., quale socia della "Sa. Gi." di Ca. Ma. & C. - s.n. c.; - il relativo ricorso venne accolto da questa Sezione staccata con la sentenza n. 11283/2010, con conseguente annullamento degli atti impugnati, ritenendo che i crediti del Comune fossero prescritti; - il Consiglio di Stato con la sentenza n. 2015/2021, pubblicata in data 10.3.2021, ha poi respinto l'appello proposto dal Comune avverso la predetta sentenza; - durante gli anni decorsi dall'adozione degli atti impugnati e sino al loro definitivo annullamento la società ricorrente avrebbe subito notevolissimi danni, poiché : i predetti provvedimenti avrebbero di fatto precluso la commerciabilità dell'immobile, in quanto gli eventuali acquirenti sarebbero stati responsabili delle suddette obbligazioni, ragion per cui avrebbero preteso che il relativo importo (che ne costituiva una porzione importantissima) avrebbe dovuto essere scomputato dal complessivo prezzo di vendita; nella parte in cui i provvedimenti oggetto di impugnativa prevedevano per il mancato pagamento delle somme richieste l'inibitoria di ogni e qualsiasi intervento edilizio futuro sul suolo, facendo "assoluto divieto al Responsabile del Settore competente a rilasciare qualsiasi titolo urbanistico/edilizio abilitativo per i lotti inadempienti", gli stessi avrebbero di fatto impedito di procedere a necessari ed urgenti lavori di manutenzione straordinaria che, nell'ipotesi di reiezione del ricorso, sarebbero risultati illegittimi; infine, la società ricorrente a seguito dell'adozione dei predetti atti da parte del Comune avrebbe avuto notevoli difficoltà di accesso al credito per una posizione debitoria che, per il carattere pubblico del creditore e la visibilità della relativa procedura, sarebbe stata notoria e costantemente soppesata dagli Istituti di credito; - ha richiesto al Comune il risarcimento dei danni cagionati con missiva del 28.4.2021. 1.2. Parte ricorrente ha quindi argomentato in ordine alla sussistenza di tutti i presupposti ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno in suo favore, vale a dire la colpa grave del Comune, il danno ed il nesso di causalità . In particolare, i ricorrenti hanno dedotto che: - la colpa grave del Comune risulterebbe dalla sentenza n. 2015/2021 del Consiglio di Stato; - dall'adozione degli atti annullati emergerebbero almeno due profili di colpa: con i predetti atti l'amministrazione avrebbe provato a riversare sulla società ricorrente i costi del nuovo P.I.P. del 2000 nonostante la ricorrente non avesse alcun obbligo in relazione agli stessi; se l'amministrazione avesse osservato l'ordinaria diligenza avrebbe dovuto concludere che i costi del nuovo piano sarebbero potuti gravare soltanto sui nuovi assegnatari; l'amministrazione avrebbe poi sostenuto un'interpretazione delle convenzioni sottoscritte negli anni ottanta contraria ad ogni logica giuridica e volta a procrastinare sine die gli impegni della società ricorrente; - dai provvedimenti impugnati sarebbero derivate notevoli conseguenze fattuali e giuridiche; - più nel dettaglio, le obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione sarebbero gravate anche sugli acquirenti in caso di trasferimento del bene da parte della società ricorrente e tanto avrebbe determinato l'incommerciabilità dell'immobile, poiché gli eventuali acquirenti del bene avrebbero dovuto assumersi nel caso di conferma dei provvedimenti il rischio del pagamento della somma di oltre Euro 500.000,00 richiesta dal Comune; - pertanto, nel corso degli anni i soggetti interessati all'acquisto avrebbero sempre preteso che il suddetto importo (che ne costituiva una porzione importantissima) avrebbe dovuto essere scomputato dal complessivo prezzo di vendita e corrisposto in un secondo momento in caso di definizione favorevole dei giudizi; tuttavia, laddove avesse proceduto in tal modo la società ricorrente avrebbe avuto un'ingente somma improduttiva e, inoltre, sarebbe stata esposta al rischio in caso di un'eventuale insolvenza dell'acquirente; - proprio in seguito alla situazione venutasi a creare la società ricorrente, versando in difficoltà finanziaria, avrebbe avviato tra il 2010 ed il 2011 con il gruppo Ca. trattative per la cessione dell'attività commerciale e del relativo immobile; - tali trattative sarebbero giunte ad un accordo sul complessivo valore di quanto oggetto di cessione (oltre Euro 5.700.000,00 da cui detrarre le somme di cui la "Sa. Gi." era debitrice) e, tuttavia, si sarebbero interrotte perché il gruppo Ca., una volta venuto a conoscenza dell'ingente obbligazione potenzialmente ricadente sull'acquirente dell'immobile, avrebbe preteso di trattenere sulla suddetta somma quella di Euro 500.000,00 da versare al Comune, oltre ad un importo di Euro 300.000,00 sino alla cessazione dell'inibitoria al rilascio di "qualsiasi titolo urbanistico/edilizio abilitativo"; - tenuto conto che nei provvedimenti impugnati è fatto "assoluto divieto al Responsabile del Settore competente a rilasciare qualsiasi titolo urbanistico/edilizio abilitativo per i lotti inadempienti" la ricorrente sarebbe stata nell'impossibilità di realizzare la rimanente cubatura di cui all'originaria concessione edilizia n. 170 del 12.7.1988; in effetti, la società ricorrente avrebbe voluto realizzare tale rimanente cubatura una volta ammortizzato l'investimento iniziale; tuttavia, nell'ipotesi di rigetto del ricorso proposto dinanzi a questo Tribunale i lavori realizzati dalla società per sfruttare la restante cubatura sarebbero risultati illegittimi proprio alla luce di quanto disposto nei provvedimenti impugnati; - la notizia dell'avvio dei procedimenti per il recupero dei costi di costruzione da parte del Comune avrebbe avuto notevole diffusione mediatica nel piccolo Comune di (omissis); tanto avrebbe avuto delle ricadute sull'immagine della società e sulla percezione della sua solidità economica; - ciò avrebbe comportato notevoli difficoltà di accesso al credito per la società ricorrente, anche in ragione del carattere pubblico del creditore e della notorietà del relativo debito; queste circostanze avrebbero spinto gli istituti di credito a negare completamente l'accesso a nuove linee di credito ed a richiedere il rientro rispetto a quelle già concesse; - da quanto precede sarebbero derivato un notevole danno per i ricorrenti; questi prima dell'adozione degli atti impugnati avrebbero esercitato una proficua attività commerciale; tuttavia, dopo l'adozione di tali atti, la diffusione delle notizie riguardanti i suddetti procedimenti amministrativi, l'impossibilità di cedere l'immobile ovvero utilizzarlo quale forma di garanzia, l'impossibilità di fatto di ampliarlo ovvero adeguarlo, unitamente alle sempre crescenti difficoltà di accesso al credito, avrebbero costretto la società ricorrente a cessare l'attività commerciale; - i danni subiti andrebbero quantificati: in via principale, nel mancato guadagno derivante dall'impossibilità di ottenere il maggior vantaggio economico dalla cessione dell'attività in un periodo in cui la stessa era fiorente; in subordine, nel mancato guadagno derivante dall'impossibilità di cedere l'immobile prima della notoria crisi del settore immobiliare, ricavando quindi somme ben maggiori di quelle che verrebbero ricavate oggi dalla relativa cessione; sempre in via subordinata, nella mancata chance di guadagno per l'impossibilità di effettuare qualunque tipo di lavoro straordinario; - tali danni risulterebbero comprovati dalla differenza emergente dal raffronto tra l'importo di Euro 2.650.000,00 da attribuire al punto vendita in questione nell'anno 2013 (alla luce del valore quantificato dal C.T.U. nominato in procedura esecutiva intrapresa da istituto di credito avverso la società ricorrente) e quello di Euro 5.700.000,00 che sarebbe stato oggetto della trattativa tra la società ricorrente ed il gruppo Ca.; vale a dire che la risultante somma di Euro 3.050.000,00 avrebbe costituito il valore dell'attività economica della società ricorrente; - in relazione ai danni quantificati in via subordinata il valore immobiliare del bene sarebbe comunque notevolmente diminuito nel tempo intercorso per la definizione dei giudizi suddetti, arrivando ad essere pari all'attualità ad Euro 1.777.860,00, valore notevolmente inferiore rispetto a quello quantificato dal C.T.U. nella procedura esecutiva suddetta; - quindi la società ricorrente avrebbe subito in via subordinata un danno di Euro 362.140,00; - in ordine al danno da perdita di chance andrebbe tenuto conto che il valore di mercato e locativo dell'immobile sarebbe stato molto più elevato se non vi fosse stato il vincolo promanante dai suddetti atti comunali; pertanto, se non vi fossero stati tali atti il bene avrebbe avuto un incremento di redditività per un ammontare pari ad Euro 213.343,20. 2. Con atto depositato in data 4.8.2021 si è costituito il Comune intimato, il quale ha chiesto la reiezione del ricorso, senza inizialmente svolgere alcuna ulteriore deduzione. 3. Con memoria depositata in data 11.7.2024 il Comune, riassunta la vicenda dalla quale è scaturito l'odierno giudizio, ha poi sostenuto l'infondatezza della domanda di risarcimento danni proposta dai ricorrenti. In particolare, il Comune ha dedotto: - l'insussistenza degli elementi costituitivi dell'illecito aquiliano; - la mancanza di colpa del Comune, in quanto gli atti annullati dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2015/2021 erano stati in precedenza ritenuti dallo stesso legittimi con plurime sentenze (relative a ricorsi proposti da soggetti diversi dagli odierni ricorrenti), con le quali sarebbe stata anche esclusa la prescrizione del credito, facendo decorrere il dies a quo per la richiesta degli importi dalla delibera di Giunta Comunale n. 147/2006 e non dalla stipula della convenzione originaria (v. sentenze nn. 4685/2014, 4686/2014, 4687/2014 e 1552/2020 del Consiglio di Stato, nonché la sentenza n. 1823/2019 di questa Sezione staccata); nel caso di specie il predetto contrasto giurisprudenziale (relativo agli stessi atti ed alla stessa questione concernente la prescrizione) varrebbe ad escludere la sussistenza di inescusabili negligenze e/o omissioni in capo al Comune; - la mancata prova dei danni richiesti da parte ricorrente; - che, in particolare, parte ricorrente non avrebbe prodotto alcun documento dimostrativo della dedotta trattativa di vendita, dell'accettazione del prezzo da parte dell'acquirente o ancora dell'avvenuta interruzione delle trattative a causa del credito vantato dal Comune; invece, dalla missiva del 18.12.2012 depositata dalla ricorrente sarebbe desumibile che il blocco delle forniture sarebbe stato causato da gravi e reiterati inadempimenti della società, nonché dal protesto di diversi assegni dei ricorrenti; - che, pertanto, parte ricorrente non avrebbe provato il danno da mancata vendita e, inoltre, la crisi aziendale sarebbe derivata da fatti estranei al presente giudizio; del resto, la società ricorrente avrebbe comunque potuto porre in essere la vendita subordinando l'incasso della quota di prezzo corrispondente al pagamento degli oneri del P.I.P.; - che sarebbe poi addebitabile alla ricorrente la scelta posta in essere nell'anno 1991 di non eseguire l'intero intervento autorizzato con la concessione edilizia n. 170/1988; in effetti, non sarebbe comprensibile come la decisione di ridurre del 50% la consistenza volumetrica dell'edificio autorizzato assunta dal privato nel 1991 possa essere stata influenzata dalla approvazione del PIP nel 2000 e dalla richiesta di pagamento del Comune del 2006 (intervenuta quindici anni dopo); neppure parte ricorrente avrebbe provato la successiva impossibilità di realizzare tali opere; - che neanche sarebbe stato dimostrato il preteso danno all'immagine di parte ricorrente e che, ad ogni buon conto, dalla missiva della Ca. del 2012 emergerebbe che i problemi economici della società ricorrente sarebbero stati indipendenti dall'approvazione del PIP (i cui crediti non erano mai stati riscossi dalla P.A.); - che quanto alle singole voci di danno: l'indicazione del valore da parte della ricorrente in assenza di accettazione della Ca. ed in assenza di concreti elementi oggettivi sarebbe inidonea a fondare una pretesa risarcitoria; anche ad ammettere l'esistenza di una trattativa con Ca. la scelta di non vendere il bene ad un prezzo di oltre Euro 2.500.000,00 superiore al suo valore effettivo per non inserire una condizione sospensiva relativa al pagamento degli oneri (pari a circa Euro 500.000,00) sarebbe comunque ascrivibile esclusivamente alla volontà dei ricorrenti che, dunque, non avrebbero diritto ad alcun risarcimento; rispetto al valore attuale del fabbricato non sarebbe comprensibile in che modo la lamentata perdita di valore potrebbe essere dipesa da una pretesa creditoria del Comune di (omissis), ritenuta infondata dal T.A.R. fin dal 2010; anche la mancata manutenzione del bene sarebbe frutto di una scelta di parte ricorrente e non potrebbe essere ascritta al Comune, poiché i lavori di manutenzione sarebbero stati comunque consentiti. 4. Con memoria depositata in data 18.7.2024 i ricorrenti hanno insistito per l'accoglimento del ricorso, replicando alle difese svolte dal Comune. 5. All'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 12.9.2024, tenutasi da remoto mediante collegamento via TEAMS, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. Tanto premesso, la proposta domanda risarcitoria va respinta per assorbenti considerazioni legate alla mancata prova del danno e del nesso di causalità tra i suddetti atti dell'amministrazione ed i danni lamentati da parte ricorrente. 6.1. In via preliminare, va ricordato che per la giurisprudenza consolidata "il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell'agire illegittimo della pubblica amministrazione" (così C.d.S., Sez. III, 3 giugno 2022, n. 4536; cfr., altresì, Sez. V, 2 maggio 2023, n. 4453; id., 27 maggio 2022, n. 4279; id. 19 agosto 2019, n. 5737; id., 23 marzo 2018, n. 1859; Sez. VI, 13 luglio 2022, n. 5897; id., 14 ottobre 2016, n. 4266). Ed infatti, "per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 2043 Cod. civ. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l'equivalente economico" (così C.d.S., Sez. V, 21 aprile 2020, n. 2534; v. Sez. III, n. 4536/2022, cit.) Per quanto riguarda, la prova del danno subito, com'è noto in relazione al petitum risarcitorio e, più in generale, in materia di diritti soggettivi non trova applicazione la regola del principio dispositivo con metodo acquisitivo, che rende sufficiente la fornitura, da parte del privato ricorrente, di un mero "principio di prova" (com'è quello dato dal deposito in atti di una perizia di parte), in deroga rispetto alla disciplina dell'art. 2697 c.c.: al riguardo la giurisprudenza ha precisato che l'azione risarcitoria innanzi al G.A. non è retta dal principio dispositivo con metodo acquisitivo, tipico del processo impugnatorio, ma dal generale principio dell'onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., con il corollario che grava sul ricorrente l'onere di dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti della domanda al fine di ottenere il riconoscimento della responsabilità dell'Amministrazione per danni derivanti dall'illegittimo od omesso svolgimento dell'attività amministrativa di stampo autoritativo, da ricondurre al modello della responsabilità per fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c.: in particolare, è a carico del presunto danneggiato l'onere della prova degli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana (C.d.S., Sez. IV, 8 febbraio 2016, n. 486). "Ai fini della liquidazione dei danni assertivamente provocati dall'illegittimo esercizio del potere amministrativo l'interessato è tenuto a fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, trovando piena applicazione in materia il principio dell'onere della prova e non invece l'onere del principio di prova di cui al metodo acquisitivo che ordinariamente nelle controversie su interessi legittimi tempera il criterio dispositivo ex art. 2697 c.c." (C.G.A.R.S., Sez. giur., 28 gennaio 2015, n. 73; id., 10 giugno 2011, n. 415). In altre parole, "spetta al danneggiato offrire la prova del danno subito, poiché nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (ex art. 64, co. 1 e 3, c.p.a.); quest'ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l'asimmetria informativa tra amministrazione e privato, la quale contraddistingue l'esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell'azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall'art. 2697, primo comma, c.c." (C.d.S., Sez. V, 10 febbraio 2015, n. 675). Va infine precisato che per costante giurisprudenza la valutazione equitativa, prevista dall'art. 1226 c.c., è ammessa solo in presenza di una situazione di impossibilità - o di estrema difficoltà - di una precisa prova sull'ammontare del danno (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VI, 16 novembre 2022, n. 10092; Sez. V, n. 675/2015, cit.): infatti, tale modalità di valutazione è riferita dalla norma solo al quantum debeatur, non già all'an debeatur, cioè alla prova della sussistenza del danno, che rimane invece a carico del ricorrente (C.d.S., Sez. VII, 23 marzo 2023, n. 2972)" (Consiglio di Stato, VII Sez., 15 novembre 2023, n. 9796). Inoltre, al "mancato assolvimento dell'onere probatorio, peraltro, come pacificamente ritenuto in giurisprudenza, non può porre rimedio il giudice amministrativo avvalendosi della CTU che non è un mezzo di prova, ma è volto a fornire al giudice un ausilio tecnico per la valutazione di circostanze e fatti già acquisiti e dimostrati dalla parte" (T.A.R. Lazio, III sez., 17 marzo 2023, n. 4680). 6.2. Ciò posto, parte ricorrente non ha prima di tutto fornito idonea prova dell'asserito danno per mancato guadagno derivante dall'impossibilità di ottenere il maggior vantaggio economico dalla cessione dell'attività in un periodo in cui la stessa era fiorente, nonché del nesso di causalità tra i suddetti provvedimenti dell'amministrazione e tale danno. In effetti, come correttamente evidenziato dal Comune, le due missive del 2 febbraio 2011 e del 7 dicembre 2011 (docc. 26 e 27 depositati da parte ricorrente in data 30.6.2021) non sono in alcun modo sufficienti a dimostrare (neppure in via indiziaria) un tale danno e la sussistenza del nesso causale. A tal proposito, basta considerare che: - tali missive sono entrambe provenienti dalla stessa società ricorrente e non già dal potenziale acquirente (il gruppo Ca.), ragion per cui esse non provano in che modo tale potenziale acquirente abbia partecipato alle trattative predette e che tra le condizioni delle stesse vi fosse l'importo di Euro 5.700.000,00 affermato da parte ricorrente; - per la verità, dalla missiva del febbraio 2011 risulta chiaro come quella della cessione del punto di vendita al prezzo predetto risulta proposta solo alternativa (peraltro non delineata in tutte le sue condizioni, pure tenuto conto del valore dell'operazione proposta) a quella principale di prosecuzione del rapporto di affiliazione e di risoluzione delle asserite molteplici problematiche registratesi nei rapporti tra la società ricorrente ed il gruppo Ca.; - dalla missiva del febbraio 2011 emerge poi la chiara ammissione da parte della società ricorrente che lo stato di difficoltà economica, finanziaria e commerciale della stessa sia derivato non già dai provvedimenti dell'amministrazione, bensì da problematiche insorte nei rapporti tra la stessa ed il gruppo Ca.; in particolare, in tale missiva la società ricorrente ha sostenuto che si siano verificati disservizi di carattere informatico che avrebbero determinato "la totale perdita di controllo gestionale, organizzativa e finanziaria del Punto Vendita... minando irreversibilmente la.... attività commerciale", con conseguente "impossibilità di controllare la barriera cassa, di effettuare ordinativi di merce, di conoscere i listini prezzo dei prodotti, di partecipare alle campagne promozionali, di poter garantire ai clienti il programma punti e sconti denominato "Spesa Amica", di ottenere ogni e qualunque aggiornamento in tempo utile... subendo ripercussioni senza precedenti"; - analogamente nella missiva del dicembre 2011 la società ricorrente attribuisce il rischio del proprio fallimento ed i danni subiti e subendi alla responsabilità del gruppo Ca., sollecitando "in via d'urgenza, il rilascio e la messa a disposizione delle somme rese in fidejussione dalla società nostra assistita al Vostro Gruppo, al fine di attingere nel minor tempo possibile a risorse monetarie, onde scongiurare il collasso dell'attività d'impresa"; - del resto, quest'ultima lettera evidenzia anche come non si potesse in alcun modo parlare di fiorente attività economica della ricorrente con riferimento all'anno 2011, essendo nella stessa ammessa da parte della ricorrente l'esistenza di "somme relative alle insolvenze della società nostra... verso il Gruppo" Ca.; - in tal senso depone altresì chiaramente la missiva del 18.4.2012 proveniente dal gruppo Ca. (v. doc. 32 allegato al ricorso) nella quale si dà atto dell'esistenza di un piano in virtù del quale la società ricorrente sarebbe dovuta rientrare di un debito di Euro 150.000,00 per la fornitura di merce, nonché dell'esistenza di protesti per diversi assegni bancari emessi dalla società ricorrente per mancato loro pagamento per assenza di provvista; - è vero che in quest'ultima missiva si dà atto che siano intervenute trattative tra la società ricorrente ed il gruppo Ca. per l'acquisto del punto vendita e, tuttavia, anche da questa missiva non risulta in alcun modo la prova (secondo lo standard probatorio del più probabile che non) che in assenza dei suddetti atti del Comune le condizioni finali raggiunte all'esito della trattativa sarebbero effettivamente state quelle prospettate da parte ricorrente. 6.3. Si può quindi passare al danno richiesto da parte ricorrente in via subordinata e costituito dalla dedotta notevole riduzione di valore dell'immobile all'attualità rispetto al valore dello stesso all'epoca dell'adozione degli atti suddetti da parte del Comune. Orbene, a sostegno dell'esistenza del danno lamentato la ricorrente ha prodotto una consulenza tecnica di parte, nella quale si sostiene che l'immobile adibito a punto vendita avrebbe visto sensibilmente ridursi il suo valore tra l'anno 2013 (anno di espletamento di C.T.U. nell'ambito di procedura esecutiva immobiliare ai danni della società ricorrente) e l'anno 2021. Gli elementi addotti nel presente giudizio non sono idonei a dimostrare neppure tale danno, poiché : - parte ricorrente non ha prodotto nel presente giudizio effettiva documentazione comprovante l'avvenuta formulazione di proposte di acquisto per il minore importo da questa sostenuto; - la consulenza tecnica di parte, nonostante il suo contenuto tecnico e a differenza della consulenza tecnica d'ufficio, costituisce, in sostanza, una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio. - la stessa data di redazione della c.t.p. (il 22.6.2021) ed il suo contenuto (in buona parte trasposto nel ricorso introduttivo del presente giudizio) evidenziano come essa sia stata funzionale all'instaurazione del presente giudizio, il che a maggior ragione avvalora il convincimento di questo Collegio per cui di essa non si può in alcuna maniera tenere conto; a ragionare diversamente si consentirebbe a parte ricorrente di provare la fondatezza dell'azione esperita sulla base di documento predisposto dalla stessa ai fini dell'instaurazione del presente giudizio; - peraltro, la ricostruzione del valore dell'immobile suddetto eseguita dal c.t.p. risulta pure scollegata da una comparazione ragionata e puntuale con effettive vendite di immobili aventi analoghe caratteristiche nell'ambito del contesto geografico in cui tale immobile è sito (in effetti, la quantificazione operata dal c.t.p. si è fondata unicamente sul metodo della capitalizzazione diretta e non anche su altri metodi); - neppure si potrebbe supplire all'assenza di prova mediante una c.t.u.; basta considerare che quest'ultima è mero mezzo istruttorio volto a fornire al giudice un ausilio tecnico per la valutazione di circostanze e fatti già acquisiti e dimostrati dalla parte e che, quindi, la consulenza tecnica d'ufficio non può essere in alcun modo utilizzata per supplire all'inerzia probatoria della parte. 6.4. Non risulta provato neppure l'asserito danno per perdita di chance di guadagno per l'impossibilità di effettuare qualunque tipo di lavoro straordinario. Al riguardo valgono sostanzialmente, mutatis mutandis, le stesse considerazioni svolte al paragrafo precedente. Va solo aggiunto che per stessa ammissione di parte ricorrente contenuta in ricorso è stata una libera scelta della società ricorrente quella di realizzare un immobile di dimensioni più ridotte rispetto a quello originariamente assentito. Del resto, lo stato di crisi della società ricorrente a causa dei contrasti insorti nell'ambito del suddetto contratto di affiliazione ed a prescindere dagli atti adottati dal Comune è la migliore prova del fatto che non è neppure verosimile che la società sarebbe stata in grado di sostenere economicamente costi connessi ad un ampliamento del predetto immobile. 6.5. Infine, alla stregua di quanto osservato, neanche può essere riconosciuto il prospettato danno all'immagine della società ricorrente. Va premesso che in tema di responsabilità civile il danno all'immagine ed alla reputazione costituisce danno-conseguenza, ragion per cui non può ritenersi sussistente in re ipsa, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento. Nel caso di specie la stessa documentazione prodotta da parte ricorrente comprova come le cause della crisi aziendale debbano essere individuate in modo preponderante nella conflittualità registratasi nell'ambito del rapporto di affiliazione con il gruppo Ca.. Quanto poi alla questione della concessione di linee di credito da parte di istituti di credito parte ricorrente non ha posto in essere alcuna allegazione sufficientemente circostanziata sul punto (con riferimento a quali linee siano state richieste, presso quali istituti di credito, per quale ammontare, quando ciò sia precisamente avvenuto ecc.) e comunque non ha neppure prodotto alcuna documentazione proveniente da tali istituti. Dalla missiva del 18.4.2012 (proveniente dal gruppo Ca. e prodotta dalla stessa ricorrente), come si è detto sopra, si desume l'esistenza di un consistente debito della società ricorrente per fornitura di merce nei confronti del gruppo Ca., nonché di protesti per diversi assegni bancari emessi dalla società ricorrente e dalla socia della stessa per mancato pagamento per assenza di provvista. Si tratta di elementi tali da ulteriormente smentire l'assunto di parte ricorrente per cui sarebbero stati gli atti del Comune di (omissis) e la notorietà della pretesa creditoria dello stesso a pregiudicare l'immagine della ricorrente nei confronti degli istituti di credito. 6.6. Infine, le considerazioni che precedono non potrebbero essere superate neppure alla luce dei capitoli di prova articolati da parte ricorrente in ricorso, i quali non erano ammissibili a causa della formulazione generica e valutativa e poiché concernenti circostanze da provare in via documentale. 6.7. In conclusione, alla luce di tutto quanto precede, il ricorso proposto va respinto. 7. Le spese di lite vanno compensate alla luce della complessità delle questioni oggetto di causa. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - Sezione staccata di Salerno Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 12.9.2024 tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dagli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a. con l'intervento dei magistrati: Nicola Durante - Presidente Valerio Bello - Referendario Marcello Polimeno - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3763 del 2023, proposto da Il. It. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Do. Ie. e Gi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato St. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero dell'Interno e Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Napoli, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico ex lege presso la sede di questa, in Napoli, via (...); Commissario Straordinario presso il Comune di (omissis) e Commissario Straordinario presso la Prefettura di Napoli, non costituiti in giudizio; per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, a) dell'atto prot. 0005962/U del 30 maggio 2023, avente ad oggetto "Progetto di installazione di impianto tecnologico di radio telecomunicazioni per telefonia cellulare - improcedibilità " a firma del Responsabile del terzo settore lavori pubblici, con cui il Comune di (omissis) ha dichiarato improcedibile la richiesta di installazione di un impianto tecnologico di radio telecomunicazioni per telefonia cellulare nel Comune in questione; b) dell'atto (presupposto), deliberazione del Commissario Straordinario n. 23 del 23 luglio 2020, avente ad oggetto "Moratoria della sperimentazione della tecnologia 5g su tutto il territorio comunale a tutela dell'ambiente e della salute pubblica. Atto di indirizzo"; in via subordinata, per la disapplicazione della deliberazione del Commissario Straordinario n. 23 del 23 luglio 2020. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), del Ministero dell'Interno e dell'Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Napoli; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2024 la dott.ssa Anna Abbate e uditi per le parti i difensori Avv. Do. Ie. per la parte ricorrente, Avv. St. Gi. per il Comune resistente e Avv. Gi. Ga. dell'Avvocatura Distrettuale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La Società ricorrente (che deduce di avere presentato, in data 19 ottobre 2022, al Comune di (omissis) un'istanza di autorizzazione ai sensi degli artt. 44 e 49 del D.Lgs n. 259 del 2003 per l'installazione di un nuovo impianto di radio-trasmissione per rete di telefonia mobile, comprensiva dell'istanza di autorizzazione paesaggistica), con ricorso notificato il 31/07/2023 e depositato in giudizio il 30/08/2023, impugna l'atto prot. 0005962/U del 30 maggio 2023, avente ad oggetto "Progetto di installazione di impianto tecnologico di radio telecomunicazioni per telefonia cellulare - improcedibilità ", con cui il Comune di (omissis) ha dichiarato improcedibile la richiesta di installazione di un impianto tecnologico di radio telecomunicazioni per telefonia cellulare nel Comune di (omissis) - zona (omissis), in applicazione della delibera a monte del Commissario Straordinario n. 23 del 23 luglio 2020, avente ad oggetto "Moratoria della sperimentazione della tecnologia 5g su tutto il territorio comunale a tutela dell'ambiente e della salute pubblica. Atto di indirizzo"; nonché b) la (presupposta) deliberazione del Commissario Straordinario n. 23 del 23 luglio 2020, della quale chiede, altresì, in via subordinata, la disapplicazione. A sostegno del ricorso deduce le seguenti censure: 1. Incompetenza. Violazione dell'art. 4 art. 4, comma 1, lett. a), e comma 2), legge n. 36 del 2001. 2. Invalidità della delibera e, per invalidità derivata, del diniego. Carenza di presupposti. Eccesso di potere per sviamento e illogicità . Violazione per falsa applicazione dell'art. 50 del d.lgs n. 267 del 2000. 3. Eccesso di potere per difetto di istruttoria ed errore di fatto. Violazione: dell'art. 97 Cost; dell'art. 27 della Dichiarazione Universale dei diritti umani e dell'art. 15 della Convenzione internazionale sui diritti economici sociali e culturali. Illegittimità derivata. 4. Violazione dell'art. 4, comma 2, della legge 36/2001 e del D.P.C.M. 8 luglio 2003. 5. Invalidità della Delibera e, per invalidità derivata, del diniego. Violazione per mancata applicazione: dell'art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001; dell'art. 3, comma 2, d.lgs. 259/2003; dell'art. 51, comma 1, d.lgs. 259/2003; dell'art. 43, comma 4, d.lgs. 259/2003. 6. Violazione dell'art. 1, commi 1026-1046, legge 27 dicembre 2017, n. 205, della comunicazione della Commissione europea del 14 settembre 2016, COM (2016) 588, della decisione (UE) 2017/899 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2017. Violazione della delibera 231/2018/CONS dell'8 maggio 2018 dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. 7. Violazione degli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 259 del 2003; violazione del par. 2 dell'art. 4 TUE; violazione del decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 4 novembre 2016. Il 06/09/2023, si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'Interno e l'Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Napoli, con la difesa dell'Avvocatura dello Stato, depositando un atto di costituzione formale per resistere al ricorso. L'11/09/2023, si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), depositando all'uopo un breve atto di costituzione, concludendo per l'irricevibilità, inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso e, comunque, per il suo rigetto, trattandosi di ricorso, in ogni caso, manifestamente infondato. Il 16/09/2023, il Comune di (omissis) ha depositato in giudizio una memoria difensiva, nella quale ha eccepito la inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, poiché proposto avverso un atto endoprocedimentale, essendo la gravata nota prot. 0005962/U del 30 maggio 2023 (asseritamente) "riconducibile l'istituto del cd. preavviso di rigetto, di cui all'art. 10 bis, della l. 7 agosto 1990 n. 241", nonché la sua irricevibilità, per la tardiva impugnazione della Delibera del Commissario Prefettizio n. 23/2020 (pubblicata a far data dal 23/7/2020, per 15 giorni consecutivi, sull'Albo Pretorio online del Comune di (omissis)), e, infine, la sua infondatezza, insistendo per la irricevibilità, inammissibilità e/o improcedibilità e, comunque, per il rigetto del ricorso, previo rigetto dell'istanza cautelare, poiché infondato in fatto e diritto. Ad esito della Camera di Consiglio del 20/09/2024, con ordinanza n. 1564 del 21/09/2023, questa Sezione, ai sensi dell'art. 55, comma 10, c.p.a., ha fissato la data della discussione del merito del ricorso all'udienza pubblica del 7 marzo 2024, con la seguente motivazione: "Ritenuto che le esigenze cautelari prospettate dalla parte ricorrente possono, nel particolare caso di specie, essere adeguatamente tutelate con la sollecita definizione del giudizio nel merito, ai sensi dell'art. 55, comma 10, c.p.a..". Il 07/11/2023, il Ministero dell'Interno e l'Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Napoli hanno depositato in giudizio una memoria difensiva, eccependo il difetto di legittimazione passiva dell'Amministrazione Statale e chiedendo di respingere il ricorso avverso l'Amministrazione Statale, per difetto di legittimazione passiva. Il 05/02/2024, il Comune di (omissis) ha depositato in giudizio una memoria difensiva, nella quale ha rilevato sopravvenuta "improcedibilità del ricorso introduttivo per carenza di interesse ai sensi dell'art. 35, c.p.a. (Consiglio di Stato, sez. IV, 01/08/2023, n. 7460) oppure, in alternativa, la cessazione della materia del contendere di cui all'art. 34, comma 5, c.p.a. (Consiglio di Stato, sez. II, 23/09/2022, n. 8176), e ciò naturalmente, fatti salvi i conseguenti provvedimenti dell'Ente e degli organi preposti in relazione all'originaria istanza", "dal momento che in data 1.2.2024, il Comune di (omissis) ha adottato la delibera n. 14/2024 che prevede di adottare, nel consiglio Comunale dell'8.2.2024, il regolamento ai sensi dell'art. 8 della Legge 22 febbraio 2001, n. 36, del codice delle Telecomunicazioni, per il corretto insediamento degli impianti di telefonia, come quelli in esame" e che "Con l'innanzi indicato provvedimento l'Ente "sostituisce ogni provvedimento in materia precedentemente emanato, in particolare la delibera del Commissario Straordinario n. 23 del 23.7.2020 e prevale su eventuali disposizioni regolamentari in materia che risultino in contrasto con lo stesso" (cfr. delibera 14/2024, pag. 3)", concludendo per la declaratoria di improcedibilità del ricorso introduttivo per sopravvenuta carenza di interesse o, in alternativa, per la declaratoria della cessazione della materia del contendere, nonché per la declaratoria d'inammissibilità del ricorso, oltre che di irricevibilità . Il 15/02/2024, il Comune resistente ha depositato in giudizio la deliberazione del Consiglio comunale n. 5 dell'08/02/2024, recante in oggetto "Approvazione del regolamento comunale per l'installazione degli impianti di telecomunicazioni". Sempre il 15/02/2024, la Società ricorrente ha depositato in giudizio una memoria di replica alla memoria difensiva del Comune resistente, opponendosi, in particolare, alla declaratoria di improcedibilità o di cessata materia del contendere, ribadendo l'interesse alla caducazione della dichiarazione di improcedibilità ed affermando che "Non essendovi stato alcun diniego (ma solo una dichiarazione di improcedibilità ), rimosso giudizialmente l'arresto procedimentale (e l'abnorme delibera che si pone a monte), poiché sono ampiamente maturati i termini del silenzio assenso, la ricorrente avrà il titolo autorizzatorio per installare nel sito oggetto della propria domanda autorizzatoria". Nella pubblica udienza del 07/03/2024, al termine della discussione, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 0. - Il ricorso è fondato e va accolto nei sensi e nei limiti di seguito precisati, fatti salvi i successivi provvedimenti dell'A.C. resistente. 1. - In via preliminare, vanno disattese le plurime eccezioni in rito sollevate dall'A.C. resistente. 1.1. - Anzitutto è priva di pregio l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza (originaria) di interesse, in quanto la gravata nota prot. 0005962/U del 30 maggio 2023, avendo determinato un arresto del procedimento de quo, non costituisce atto endo-procedimentale, riconducibile all'istituto del cd. preavviso di rigetto di cui all'art. 10 bis, della L. 7 agosto 1990 n. 241 (peraltro in alcun modo richiamato nella nota impugnata), bensì provvedimento finale lesivo e, come tale, impugnabile. Non può essere condivisa neppure l'eccezione di irricevibilità del ricorso per tardività, in quanto la presupposta delibera del Commissario Straordinario n. 23 del 23 luglio 2020 è stata, nella fattispecie di causa, (tempestivamente) impugnata unitamente alla nota comunale prot. 0005962/U del 30 maggio 2023 che ne ha fatto applicazione, in conformità alla giurisprudenza di questa sezione e, in generale, amministrativa richiamata dallo stesso difensore del Comune resistente nella memoria difensiva del 05/02/2024. Infatti, anche a volere ritenere che la predetta delibera commissariale contenga prescrizioni immediatamente e direttamente lesive rispetto alle quali il provvedimento di applicazione ha carattere semplicemente adempitivo, il Comune resistente non ha dimostrato la piena conoscenza da parte dell'odierna ricorrente "dell'esistenza della Delibera n. 23/2020 quantomeno dalla data 6.7.2021", non rilevando, a tal fine, la mera circostanza che "In data 26.7.2021 preveniva all'Ente istanza di installazione di infrastrutture di comunicazione elettroniche da parte della BR. s.r.l. per la In. S.p.A. (compagnia (asseritamente) alleata della ricorrente), in una zona limitrofa a quella della richiesta in esame", e non essendo sufficiente a far decorrere il termine di impugnazione della stessa la sua pubblicazione, a far data dal 23/7/2020, sull'Albo Pretorio online del Comune di (omissis). Infine, va disattesa anche l'eccezione di sopravvenuta improcedibilità del ricorso per carenza di interesse o cessazione della materia del contendere a seguito della adozione della delibera della Giunta Comunale del Comune di (omissis) n. 14/2024 del 31/01/2024, recante in oggetto "Approvazione del regolamento comunale per l'installazione degli impianti di telecomunicazioni" (con la quale la Giunta comunale delibera "1. di proporre al Consiglio Comunale di approvare il "Regolamento Comunale per l'installazione degli impianti di Telecomunicazioni", con relativi allegati, redatto in conformità a quanto previsto dalla normativa vigente, allegato alla presente deliberazione quale parte integrante c sostanziale; 2. di dare atto che il Regolamento approvato dal Consiglio Comunale sostituisce ogni provvedimento in materia precedentemente emanato, in particolare la Delibera del Commissario Straordinario n. 23 del 23.07.2020 e prevale su eventuali disposizioni regolamentari in materia che risultino in contrasto con lo stesso; "), e della successiva deliberazione del Consiglio comunale n. 5 dell'08/02/2024, recante in oggetto "Approvazione del regolamento comunale per l'installazione degli impianti di telecomunicazioni" (con la quale il Consiglio comunale delibera "- Di approvare la delibera di Giunta Comunale n. 14 del 31.1.2024, ad oggetto "PROPOSTA AL CONSIGLIO COMUNALE DI APPROVAZIONE DEL REGOLAMENTO COMUNALE PER L'INSTALLAZIONE DEGLI IMP/ANTI DI TELECOMUNICAZIONI""), in quanto il Comune di (omissis), a seguito dell'adozione degli atti di cui sopra, non ha, però, provveduto ad annullare in autotutela e/o ritirare (anche) il provvedimento comunale prot. 0005962/U del 30 maggio 2023, con il quale è stata dichiarata l'improcedibilità dell'istanza di autorizzazione ai sensi degli artt. 44 e 49 del D.Lgs. 259/03 s.m.i. per cui è causa, e rispetto al quale, pertanto, parte ricorrente conserva l'interesse ad una pronuncia giudiziale di annullamento. 2. - Nel merito, premesso che il provvedimento comunale impugnato prot. 0005962/U del 30 maggio 2023, avente ad oggetto "Progetto di installazione di impianto tecnologico di radio telecomunicazioni per telefonia cellulare - improcedibilità ", si basa sulla seguente motivazione: "Con riferimento alla "Istanza di autorizzazione ai sensi degli artt. 44 e 49 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche (D.Lgs. 259/03 s.m.i.)" Sistema 3G/4G/5G... si informa la SV che la richiesta in oggetto è improcedibile in quanto la Deliberazione del Commissario Straordinario N.23 del 23.07.2020 che si allega, prevede l'astenersi dall'autorizzare, asseverare e dare esecuzione a progetti relativi a nuove tecnologie, come li 5G, che possono condurre ad un aggravamento delle lamentate condizioni di insalubrità ambientale. Quindi al fine di poter dar seguito alla richiesta bisogna riformularla escludendo tale tecnologia", nel mentre con la presupposta delibera a monte del Commissario Straordinario n. 23 del 23 luglio 2020, avente ad oggetto "Moratoria della sperimentazione della tecnologia 5g su tutto il territorio comunale a tutela dell'ambiente e della salute pubblica. Atto di indirizzo", viene deliberato: "2. di manifestare indirizzo negativo riguardo all'estensione sul territorio comunale della nuova tecnologia 5G, fino quando non sarà garantita la completa sicurezza di questa nuova tecnologia; 3. di astenersi dall'autorizzare, asseverare e dare esecuzione a progetti relativi a nuove tecnologie, come il 5G, che possano condurre ad un aggravamento delle lamentate condizioni di insalubrità ambientale; 4. di dichiarare, stante l'urgenza, il presente atto immediatamente eseguibile ai sensi dell'art. 134, comma 4), del D.L.vo 267/2000", il Collegio ritiene fondata e assorbente la censura formulata nel quinto motivo di ricorso, incentrata sulla dedotta violazione dell'art. 8 della L. n. 36 del 22/02/2001 ("Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici"). Osserva, infatti, il Tribunale che il gravato provvedimento comunale di improcedibilità si basa esclusivamente sulla richiamata delibera a monte del Commissario Straordinario n. 23 del 23 luglio 2020, che, in particolare (secondo quanto riportato nello stesso provvedimento comunale impugnato), prevede "di astenersi dall'autorizzare, asseverare e dare esecuzione a progetti relativi a nuove tecnologie, come il 5G, che possano condurre ad un aggravamento delle lamentate condizioni di insalubrità ambientale", in tal modo introducendo, però, un divieto generalizzato di installazione degli impianti di telecomunicazione in questione nel territorio comunale, in palese contrasto con l'art. 8 ("Competenze delle regioni, delle province e dei comuni") della L. n. 36/2001, il quale, in particolare, al comma 6, prevede espressamente che "I comuni possono adottare un regolamento nel rispetto delle vigenti disposizioni di legge e, in particolare, degli articoli 43,44,45,46,47 e 48 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato ai sensi dell'articolo 4" (ex multis, cfr. T.A.R. Napoli, Sezione VII, 26/04/2022, n. 2807; T.A.R. Napoli, Sezione VII, 20/04/2022, n. 2708; T.A.R. Napoli, Sezione VII, 20/04/2022, n. 2707; T.A.R. Napoli, Sezione VII, 10/11/2023, n. 6176). 3. - Per tutto quanto sopra sinteticamente illustrato, il ricorso va accolto nei sensi e nei limiti sopra precisati e, per l'effetto, va disposto l'annullamento del provvedimento comunale impugnato prot. 0005962/U del 30 maggio 2023 e (per quanto possa occorrere) della (presupposta) deliberazione del Commissario Straordinario n. 23 del 23 luglio 2020 (già sostituita dal "Regolamento Comunale per l'installazione degli impianti di Telecomunicazioni", approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 5 dell'08/02/2024), con salvezza, però, dell'ulteriore corso dell'azione amministrativa in relazione all'istanza di autorizzazione ai sensi degli artt. 44 e 49 del D.Lgs n. 259 del 2003 per cui è causa (come sostenuto anche dal Comune resistente nella sua memoria difensiva del 05/02/2024), non potendosi condividere l'assunto di parte ricorrente, contenuto nella sua memoria di replica del 15/02/2024 (non notificata), secondo cui, invece, "rimosso giudizialmente l'arresto procedimentale (e l'abnorme delibera che si pone a monte), poiché sono ampiamente maturati i termini del silenzio assenso, la ricorrente avrà il titolo autorizzatorio per installare nel sito oggetto della propria domanda autorizzatoria". A tal fine, in diparte ogni altra considerazione, basti rilevare, in via dirimente, che l'odierna ricorrente, con il ricorso introduttivo del presente giudizio, si limita a chiedere l'annullamento degli atti impugnati, senza dedurre, tra i motivi di gravame, l'asserita formazione del silenzio assenso sulla propria istanza di autorizzazione ai sensi degli artt. 44 e 49 del D.Lgs n. 259 del 2003, sicché tale questione, a cui parte ricorrente fa - inammissibilmente - un generico cenno solo nella predetta memoria di replica del 15/02/2024 non notificata, non può essere scrutinata da questo Tribunale. 4. - Le spese del presente giudizio, seguendo la soccombenza ex art. 91 c.p.c., vanno poste a carico del Comune resistente, e sono liquidate come da dispositivo in favore di parte ricorrente. Sussistono i presupposti di legge per compensare le spese del presente giudizio nei confronti delle altre parti resistenti che, al più, si sono costituite in giudizio con memoria formale, limitandosi a chiedere di respingere il ricorso avverso l'Amministrazione Statale, per difetto di legittimazione passiva. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Settima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla il provvedimento comunale impugnato prot. 0005962/U del 30 maggio 2023 e la (presupposta) deliberazione del Commissario Straordinario n. 23 del 23 luglio 2020, fatti salvi i successivi provvedimenti della P.A. Condanna il Comune resistente, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di parte ricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 2.000,00 (Duemila/00). Spese compensate per le altre parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Michelangelo Maria Liguori - Presidente Valeria Ianniello - Consigliere Anna Abbate - Primo Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA NON DEFINITIVA sul ricorso numero di registro generale 5012 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Ap. Iv., Pi. Gi., Do. Pa. e Ve. Im., rappresentati e difesi dagli avvocati An. Or. e An. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia ed eletto presso il loro studio in Na. al (…); contro Comune di (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Er. Fu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia ed eletto presso il suo studio in Na. alla (…); Ministero dell'Interno e Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli alla Via A. Diaz n. 11; nei confronti Im. Gi. e Di Co. Gi., non costituiti in giudizio; per l'annullamento - (quanto al ricorso introduttivo): 1) della delibera del Consiglio comunale di (Omissis) n. 56 del 4.10.2023, con cui è stata approvata la proposta avente a oggetto: “Dichiarazione di Dissesto ai sensi dell'art. 244 del D.Lgs. n. 267/2000”; 2) della delibera del Consiglio comunale di (Omissis) n. 55 del 4.10.2023, con cui è stata approvata la proposta avente a oggetto: “Presa d'atto dell'impossibilità del ripiano della quota del disavanzo di amministrazione ai sensi dell'art. 188 del D.Lgs. n. 267/2000”; 3) della delibera del Consiglio comunale di (Omissis) n. 41 del 28.08.2023, con cui è stata approvata la proposta avente a oggetto: “Approvazione del Rendiconto della Gestione – Esercizio 2022 – art. 227 D.Lgs. n. 267/2000”; 4) di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente, se e in quanto lesivo degli interessi dei ricorrenti, ivi inclusi: a) gli allegati alla delibera impugnata sub 1), tra cui il verbale n. 107 del Collegio dei revisori dei conti contenente la “relazione dell'organo di revisione sulle cause che hanno condotto al dissesto”, i pareri favorevoli di regolarità tecnica e di regolarità contabile e la proposta di deliberazione al Consiglio comunale, a firma del Responsabile del Settore Finanziario; b) gli allegati alla delibera impugnata sub 2), tra cui il parere del Collegio dei revisori dei conti ai sensi dell'art. 188, comma 1, D.Lgs. n. 267/2000, i pareri favorevoli di regolarità tecnica e di regolarità contabile e la proposta di deliberazione al Consiglio comunale, a firma del Responsabile del Settore Finanziario; c) gli allegati alla delibera impugnata sub 3), tra cui la relazione dell'organo di revisione dei conti, i pareri favorevoli di regolarità tecnica e di regolarità contabile apposti sulla proposta di deliberazione e la proposta di deliberazione al Consiglio comunale, a firma del Responsabile del Settore Finanziario; d) ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente, se ed in quanto lesivo degli interessi dei ricorrenti; - (quanto ai motivi aggiunti depositati il 28/5/2024): 1) della delibera di Giunta comunale n. 33 del 28.03.2024, con la quale è stata approvata l’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato di cui all’art. 259 del T.U.E.L., e dei relativi allegati; 2) della delibera di Giunta comunale n. 30 del 28.03.2024, di approvazione del DUP 2023-2025, e dei relativi allegati; 3) della nota del 29.03.2024 con la quale il Comune di (Omissis) ha trasmesso al Ministero dell’Interno l’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato approvato dalla Giunta comunale con delibera n. 33 del 28.03.2024; nonché per l'accertamento e la declaratoria di nullità e/o illegittimità e per l'annullamento: 4) della nota della Prefettura di Napoli prot. (…) del 19.04.2024, con la quale la Prefettura, successivamente all’adozione della delibera di Giunta n. 33 del 28.03.2024 e dunque dopo la scadenza del termine di cui all’art. 259 del T.U.E.L., ha diffidato il Consiglio comunale ad approvare entro 20 giorni l’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato; 5) della nota del Ministero dell’Interno n. 11647 del 19.4.2024, non conosciuta, citata all’interno della nota della Prefettura di cui al punto 4) che precede, con la quale il Ministero dell’Interno, a riscontro di quanto richiesto dalla Prefettura con nota n. I45947 del 18/4/2024, avrebbe evidenziato che, nel caso di specie, "l'inosservanza da parte del consiglio comunale dei termini di approvazione dello schema di bilancio predisposto dalla Giunta, non ha come conseguenza automatica lo scioglimento dell'organo consiliare, ma comporta, a norma dell'art. 141 comma 1 lettera c) del TUEL, l'apertura di un procedimento sollecitatorio, che può anche condurre all'adozione della misura dello scioglimento, solo a seguito della constatata inadempienza da parte del consiglio all'intimazione puntuale ed ultimativa del prefetto, qualora questi accerti l 'impossibilità o la volontà del consiglio di non approvare il bilancio (Cons. St., Sez. III 3.7.20 n. 4288)"; 6) della missiva n. 55117 del 17.04.2024 che sarebbe stata trasmessa dal Ministero alla Prefettura, citata nella nota della Prefettura prot. (…) del 19.04.2024 ma di cui si ignora il contenuto; 7) della nota n. I45947 del 18/4/2024, con la quale la Prefettura avrebbe chiesto parere al Ministero; 8) della nota della Prefettura di Napoli Prot. Uscita N. (…) del 24/04/2024, con la quale la Prefettura ha comunicato ai ricorrenti di avere adottato la diffida di cui al punto 4) che precede; 9) della delibera del Consiglio comunale di (Omissis) n. 18 del 19.04.2024, pubblicata in data 13.05.2024, con la quale è stato approvato il DUP 2023-2025, e dei relativi allegati; 10) della delibera del Consiglio comunale di (Omissis) del 14.05.2024, non pubblicata e di cui non si conosce il numero, con la quale è stata approvata l’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, e dei relativi allegati; 11) del provvedimento, anche implicito, se esistente, con cui il Ministero dell’Interno abbia ritenuto ammissibile l’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato approvato solo dalla Giunta entro il termine di cui all’art. 259 del T.U.E.L. e/o di quello con cui abbia ritenuto ammissibile l’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato approvata dal Consiglio Comunale oltre il termine di cui all’art. 259 del T.U.E.L.; 12) di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente, se e in quanto lesivo degli interessi dei ricorrenti; 13) in ogni caso, dei provvedimenti già impugnati con il ricorso introduttivo. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (Omissis), del Ministero dell'Interno e dell'Ufficio Territoriale del Governo Napoli; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 luglio 2024 il dott. Giuseppe Esposito e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Visto l'art. 36, co. 2, cod. proc. amm.; Visti l’art. 1 della L. cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO I ricorrenti, premettendo di essere consiglieri comunali e proprietari di immobili nel Comune di (Omissis), hanno impugnato con il ricorso introduttivo (unitamente agli atti connessi) i provvedimenti con cui il Consiglio dell’Ente locale ha deliberato, nell’ordine: a) l’approvazione del rendiconto della gestione per l’esercizio 2022 (delibera n. 41 del 28/8/2023); b) la presa d’atto dell’impossibilità di ripiano della quota del disavanzo di amministrazione (delibera n. 55 del 4/10/2023); c) la dichiarazione di dissesto (delibera n. 56 del 4/10/2023). Riassuntivamente, sostengono l’insussistenza dei presupposti per farvi luogo. Il Comune si è costituito in giudizio per resistere, producendo documentazione e memoria. All’udienza in camera di consiglio del 22 novembre 2023, su rinuncia alla domanda cautelare, è stata fissata l’udienza pubblica per la discussione nel merito. Con motivi aggiunti sono state impugnate le deliberazioni della Giunta comunale n. 30 e n. 33 del 28/3/2024 con cui sono stati approvati, rispettivamente, il DUP 2023-2025 e l’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, unitamente alle approvazioni da parte del Consiglio comunale (delibere n. 18 del 19/4/2024 e del 14/5/2024). Nel contempo, sono state impugnate la nota di trasmissione al Ministero dell’Interno dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato e la corrispondenza intercorsa tra Prefettura e Ministero, dal contenuto in epigrafe indicato. Per i ricorrenti la tardiva approvazione da parte del Consiglio comunale dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato comporta lo scioglimento del consesso. Autorizzata l’abbreviazione dei termini, per la trattazione dei motivi aggiunti alla stessa udienza pubblica già fissata, le parti hanno prodotto documentazione e memorie. All’udienza pubblica del 24 luglio 2024 (raccolta nella contestuale camera di consiglio la rinuncia alla domanda cautelare proposta con i motivi aggiunti), la causa è stata assegnata in decisione. DIRITTO 1.- Il ricorso introduttivo si rivolge all’approvazione del rendiconto della gestione per l’esercizio 2022, alla presa d’atto dell’impossibilità di ripiano della quota del disavanzo di amministrazione e alla dichiarazione di dissesto del Comune di (Omissis), contestandone i presupposti. In cifre, per i ricorrenti il disavanzo 2022 non è pari a € 17.822.903,26 ma ammonta invece a € 5.944.456,02 che, aggiungendovi la quota di disavanzo per il 2021 non recuperata, conduce a un totale di € 8.348.430,55. Assumono che tale disavanzo avrebbe potuto essere ripianato, senza condurre dunque alla dichiarazione di dissesto. Espongono a tal proposito che: - con il rendiconto 2021 si registrava un risultato di amministrazione passiva di € - 14.282.421,77 ed era previsto il recupero di una quota di € 2.403.974,53 sul bilancio 2022, come da ripiano ex art. 188 T.U.E.L., per l’obiettivo al 31/12/2022 di una passività di € - 11.878.447,24 (€ 14.282.421,77 – € 2.403.974,53); - non raggiunto l’obiettivo, nel 2022 si è generato l’ulteriore disavanzo di € 5.944.456,02 (€ 17.822.903,26: passività 2022 – € 11.878.447,24: obiettivo prefissato) che, aggiuntavi la suddetta quota di disavanzo della gestione 2021, non recuperata nel 2022 (€ 2.403.974,53), conduce al predetto risultato finale di un disavanzo pari a € 8.348.430,55 (€ 5.944.456,02 + € 2.403.974,53). Riassuntivamente, per i ricorrenti non va preso in considerazione il disavanzo di amministrazione 2022 di € 17.822.903,26, ma la quota di disavanzo per l’anno di € 5.944.456,02, a cui aggiungere la quota di disavanzo non recuperata per il 2021 (€ 2.403.974,53), per giungere a un totale di € 8.348.430,55, assumendo la possibilità di ripianarlo e, così, l’insussistenza dei presupposti per il dissesto finanziario dell’Ente. Obiettano quindi che avrebbe dovuto essere adottato un piano di rientro ex art. 188 T.U.E.L. che, deliberato per il 2021 (per il disavanzo di € 2.920.131,73), andava adeguato al maggiore disavanzo (€ 5.944.456,02). Pertanto, censurano che il Comune abbia preso atto dell’impossibilità di ripianare il disavanzo di amministrazione e successivamente dichiarato il dissesto, con le impugnate deliberazioni consiliari n. 55 e n. 56 del 4/10/2023. Aggiungono che: - la presa d’atto dell’impossibilità di ripiano si è basata unicamente sull’attestazione del Responsabile dell’Area finanziaria e la Segreteria Generale aveva segnalato che il disavanzo ammontava a € 8.348.430,00 e non a € 17.822.903,26; - i revisori dei conti avevano stimato il valore degli immobili di proprietà comunale per complessivi € 74.022.063,50, di cui € 8.165.134,22 appartenenti al patrimonio disponibile, evidenziando la possibilità, attraverso la loro alienazione, di soluzioni diverse dall’adozione del provvedimento di dissesto, nonché di ricorrere ad altre manovre per assicurare la stabilità finanziaria (anticipazione ex art. 243-bis T.U.E.L.). Con i gruppi di censure articolate nel ricorso introduttivo sono avversate: - motivi sub A: la dichiarazione di dissesto (delibera n. 56 del 4/10/2023); - motivi sub B: la presa d’atto dell’impossibilità di ripiano della quota del disavanzo di amministrazione (delibera n. 55 del 4/10/2023); - motivi sub C: l’approvazione del rendiconto della gestione per l’esercizio 2022 (delibera n. 41 del 28/8/2023). 1.1. I ricorrenti muovono dunque dal provvedimento finale di deliberazione del dissesto finanziario, ravvisando l’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 244 del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali (T.U.E.L.), approvato con d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, il cui primo comma dispone che: “Si ha stato di dissesto finanziario se l'ente non può garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all'articolo 193, nonché con le modalità di cui all'articolo 194 per le fattispecie ivi previste”. È denunciata la violazione dell’art. 97 Cost. e degli artt. 193 (“Salvaguardia degli equilibri di bilancio”) e 242 (“Individuazione degli enti locali strutturalmente deficitari e relativi controlli”) ss. del T.U.E.L., nonché l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, insussistenza dei presupposti, contraddittorietà, travisamento e difetto di motivazione, unitamente alla violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90. Viene affermato che dalla documentazione non si evince la ricorrenza dei presupposti per la dichiarazione di dissesto finanziario e la constatazione dell’impossibilità per l’Ente di garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili (art. 244 cit.). Ciò in quanto la relazione del Responsabile del Servizio Ragioneria si limita ad affermare che “a causa della situazione economico finanziaria sopra descritta l’ente non può garantire l’assolvimento delle funzioni e servizi indispensabili”, senza chiarire quali di essi non potrebbero essere assolti (laddove, secondo la documentazione fornita dai ricorrenti, il Comune di (Omissis) riesce a garantire tutti i servizi essenziali). In relazione all’ulteriore presupposto ex art. 244 del T.U.E.L. (esistenza di crediti liquidi ed esigibili di terzi, non fronteggiabili con le modalità di cui al precedente art. 193), rilevano i ricorrenti che la possibilità di ripianare i debiti emerge dalla stessa relazione del Collegio dei revisori dei conti, ove si dà atto del valore del patrimonio immobiliare disponibile dell’Ente, ammontante a € 8.165.134,22, superiori al disavanzo da ripianare nelle annualità 2023-2025. Si rimarca al riguardo che, per gli stessi revisori, alienando gli immobili l’Ente “potrebbe valutare anche altre soluzioni diverse dalla adozione del dissesto finanziario”, oppure ricorrere all’anticipazione finanziaria ex art. 243-bis del T.U.E.L. (per l’importo massimo di € 300,00 per abitante per cui, in base alla popolazione residente al 31/12/2022, si accederebbe a un’anticipazione di € 7.500.000,00 da restituire in 10 anni). Viene evidenziato che, con nota prot. n. (…) del 18/9/2023, anche la Prefettura di Napoli aveva segnalato “l’opportunità di acquisire, dai competenti Uffici finanziari e dall’Organo di revisione comunale, più puntuali e dettagliate argomentazioni ed approfondimenti circa la presenza di adeguati presupposti per far luogo all’eventuale dichiarazione di dissesto”. La deliberazione di dissesto è avversata, con ulteriori censure, per illegittimità derivata, sostenendo che vi si riverberano i vizi da cui sono affette: a) la delibera consiliare n. 55 in pari data (presa d’atto dell’impossibilità di ripianare la quota di disavanzo dell’amministrazione), deducendo che, in presenza dei presupposti per una misura di ripiano ex art. 188 T.U.E.L., la proposta avrebbe dovuto essere respinta e il dissesto finanziario non sarebbe stato dichiarato; b) la delibera consiliare n. 41 del 28/8/2023 (approvazione del rendiconto della gestione per l’esercizio 2022, ai sensi dell’art. 227 del T.U.E.L.), che individua un disavanzo di € 17.822.903,26 mentre, come detto, per i ricorrenti il disavanzo delle annualità 2023-2025 ammonta a complessivi € 8.348.430,55, ripianabili di modo che, anche in tal caso, la proposta di rendiconto avrebbe dovuto essere respinta e il dissesto non sarebbe stato dichiarato. 1.2. A queste ultime delibere sono rivolti i restanti motivi (sub B e C). Sono dedotti ulteriormente, per vizi propri e per illegittimità derivata, la violazione dell’art. 97 Cost. e delle specifiche norme del T.U.E.L., nonché del principio contabile n. 5 previsto dall’allegato 1 al d.lgs. n. 118/2011, nonché l’eccesso di potere per i medesimi profili e la violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90. Vengono reiterate e articolate le censure già illustrate, con cui – riassuntivamente – viene ribadito che il disavanzo avrebbe potuto essere ripianato, ricorrendo alla misura ex art. 188 del T.U.E.L. e vagliando la possibilità di vendere gli immobili del patrimonio disponibile (censurando poi che il Comune non abbia previsto in bilancio le entrate degli immobili di edilizia residenziale pubblica e nemmeno attivato efficaci iniziative per il recupero dei tributi evasi). 2.- Tutti i motivi nei confronti dei diversi provvedimenti possono essere trattati in maniera congiunta, essendo affidati a censure sostanzialmente coincidenti e riconducibili alla medesima prospettazione di insussistenza dei presupposti per far luogo alle impugnate deliberazioni. Il punto di partenza è costituito dal primo atto della sequela procedimentale che ha condotto alla deliberazione di dissesto (delibera n. 41 del 28/8/2023, recante l’approvazione del rendiconto della gestione per l’esercizio 2022). Nell’allegata relazione prot. (…) del 7/8/2023, l’organo di revisione ha rilevato “un maggior disavanzo tecnico di € 5.944.456,02 rispetto all’obiettivo che al 31/12/2022 è pari ad € - 11.878.447,24” (pag. 6). È questo il dato su cui si appunta la tesi di parte ricorrente, ritenendo necessario che il Comune di (Omissis) provvedesse al ripiano per i predetti € 5.944.456,02 (conformemente alla valutazione dei revisori dei conti, secondo cui il maggior disavanzo da coprire di € 5.944.456,02 “dovrà essere coperto secondo le modalità previste dall’art. 188 tuel”). In linea con la tesi prospettata, si reputa perciò inesatto riferirsi al disavanzo al 31/12/2022, nella maggior misura di € 17.822.903,26 (costituente il risultato di amministrazione). 2.1. Tanto premesso, v’è da dire che, nella stessa relazione dei revisori dei conti (pagg. 6-7), si dà atto che “il risultato di amministrazione al 31/12/2022 non è migliorato rispetto al disavanzo al 1/1/2022 per un importo pari o superiore al disavanzo applicato al bilancio 2022 anzi è peggiorato”. Emerge, infatti, che l’obiettivo prefigurato di un disavanzo di € 11.878.447,24 non è stato raggiunto e si è superato anche il disavanzo al 31/12/2021 di € 14.282.421,77. Quanto alla possibilità di ripiano, nel contempo i revisori dei conti evidenziano che il Responsabile del Servizio Finanziario ha ritenuto impraticabile “l’ipotesi di ripianare secondo quanto stabilito dall’art. 188 del Tuel con le modalità previste dagli art. 193 e 194 del D.Lgs. 267/2000, né attraverso il ricorso alla procedura di riequilibrio pluriennale di cui all’art. 243-bis del Tuel l’ente [non] è in grado di procedere al ripiano del disavanzo al 31/12/2022” (pagg. 6-7 della relazione). 2.2. Ciò posto, ad avviso del Collegio assume carattere preponderante il valore del disavanzo di amministrazione, che denota un’eccedenza di oltre € 3 milioni tra gli esercizi finanziari 2021-2022 (passandosi da - 14.282.421,77 a - 17.822.903,26) e di quasi € 6 milioni rispetto all’obiettivo prefissato (- € 11.878.447,24), con un aggravio del disavanzo annuale superiore al doppio della quota da recuperare nell’esercizio finanziario (€ 5.944.456,02 rispetto a € 2.403.974,53). Questi dati mostrano un’evidente criticità del bilancio comunale, alla quale si accompagna la constatazione da parte dei revisori dei conti della deficitarietà strutturale in cui versa l’Ente, per 4 su 8 degli indici di riferimento (cfr. pag. 7 della relazione: incidenza degli incassi delle entrate proprie sulle previsioni definitive di parte corrente; sostenibilità disavanzo effettivamente a carico dell’esercizio; debiti riconosciuti e finanziati; effettiva capacità di riscossione). 2.3. Ponendo mente a tutto ciò, le censure avverso la delibera di approvazione del rendiconto della gestione per l’esercizio 2022 sono immeritevoli di favorevole considerazione. Invero, le contestazioni di parte ricorrente mirano non già a sconfessare il rendiconto della gestione (i cui dati non possono essere posti in discussione), bensì a valutare criticamente i riflessi che i valori del rendiconto hanno avuto sulle successive determinazioni con cui il Comune di (Omissis) ha, dapprima, preso atto dell’impossibilità di ripiano e, infine, deliberato il dissesto finanziario. In altri termini, incontroverso il valore dei dati contabili, i ricorrenti ne commutano la valenza, per sostenere la tesi che il disavanzo di gestione di € 5.944.456,02 avrebbe potuto ancora una volta essere ripianato e si sarebbe dovuto far ricorso ad altre misure (alienazione degli immobili del patrimonio comunale disponibile e anticipazione finanziaria). La prospettazione non può essere condivisa. Seppure il disavanzo di gestione del 2022 (€ 5.944.456,02) non equivalga al disavanzo di amministrazione (€ 17.822.903,26), è oltremodo significativo che il primo sia aumentato in maniera considerevole rispetto all’obiettivo prefissato (senza conseguire l’obiettivo di recuperare nell’anno il disavanzo di € 2.403.974,53, ma finanche raddoppiandolo). Inoltre, il disavanzo finale di amministrazione ha subito un enorme incremento (come detto, con un’eccedenza di oltre € 3 milioni rispetto all’esercizio finanziario precedente e di quasi € 6 milioni rispetto all’obiettivo prefissato), ossia con valori che, percentualmente, incidono in misura considerevole. Va da sé che le criticità di quest’ultimo non possono essere obliterate, né sconfessata la rilevanza di un risultato negativo di gestione che, aumentando esponenzialmente, ove non fronteggiato con misure drastiche finirebbe con il sottoporre l’Ente a sempre maggiori difficoltà finanziarie. In tale contesto, la deduzione secondo cui aprioristicamente si è preso atto dell’impossibilità del ripiano, deliberando il dissesto del Comune, si scontra con l’evidenza dei fatti, che mostrano un problematico andamento della gestione finanziaria, con un deficit strutturale via via crescente, senza che si fosse provveduto al recupero della quota di disavanzo della precedente gestione (che, come si è visto, è addirittura raddoppiata). A fronte di tali elementi, la necessità di fronteggiare lo stato di “insolvenza” dell’Ente assume un carattere stringente, escludendo che l’esigenza di porre riparo al continuo squilibrio del bilancio comunale possa essere elusa, o sostituita, con misure che non si mostrano idonee a risolverne l’innegabile crescita. Ciò in quanto, per ciò che concerne l’alienazione dei beni del patrimonio disponibile, appare chiaro che tale possibilità non è in grado di assicurare una pronta risposta al deficit in cui versa l’Ente, mentre le altre misure (quali l’anticipazione finanziaria) sottoporrebbero a nuove esposizioni debitorie l’Ente, che ha mostrato di non poter recuperare la quota di disavanzo della precedente gestione ed ha aggravato il risultato finale, in misura doppia rispetto al precedente risultato. In tale contesto, l’addotta necessità che dovessero essere analiticamente indicati i servizi pubblici essenziali non fronteggiabili non può essere condivisa, scontrandosi con la constatazione in re ipsa di un deficit di bilancio oramai strutturale e in costante aumento, tanto da lasciar plausibilmente intendere che la situazione fosse ormai irrecuperabile con misure ordinarie di gestione. Allorquando si verifica una tale situazione, compete all’organo consiliare l’accertamento dei presupposti per far luogo al dissesto, senza che tale accertamento possa essere sindacato dal Giudice adito (cfr. Cons. Stato - sez. V, 16/1/2012 n. 143: “il sindacato giurisdizionale sulla delibera di dichiarazione di dissesto dell'ente locale è necessariamente incentrato sulla verifica del corretto esercizio del potere (di azione) in ordine all'accertamento dei presupposti di fatto previsti dalla legge, non potendo consentirsi al giudice amministrativo alcun valutazione delle scelte operate (ovvero non operate) per eliminare o ridurre i servizi non essenziali per evitare o limitare lo stato di deficit finanziario (C.d.S., sez. V, 17 maggio 2006, n. 2837)”). Nel caso di specie, alla luce di quanto illustrato, è esente da manifesti vizi di illogicità o travisamento l’adozione da parte del Comune di (Omissis) della deliberazione finale di dissesto finanziario (preceduta dall’approvazione del rendiconto della gestione, contenente chiari dati contabili negativi, nonché dalla presa d’atto dell’impossibilità di ripiano). Questa Sezione ha, in linea con la richiamata giurisprudenza sopra citata, chiarito che: “la dichiarazione del dissesto ex art. 244 del Tuel costituisce atto dovuto in presenza delle condizioni normativamente prescritte costituite, come si è visto, dalla "incapacità funzionale" ovvero dalla "decozione finanziaria"” (sentenza del 16/6/2020 n. 2445). Negli stessi termini, già in precedenza si era posto in evidenza che “richiamata la giurisprudenza consolidata in materia (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 16-01-2012, n. 143) deve essere premesso che la decisione di dichiarare lo stato di dissesto finanziario dell'ente locale rappresenta una determinazione vincolata ed ineludibile, in presenza dei presupposti di fatto fissati dalla legge. Pertanto, essa non può in alcun caso dirsi frutto di una scelta discrezionale dell'ente medesimo […] la dichiarazione di dissesto finanziario è un atto rigidamente vincolato che, ai sensi dell’articolo 244 del decreto legislativo 267 del 2000, si rende necessario laddove l’ente non possa garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili, ovvero qualora esistano nei confronti dell’ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con gli strumenti forniti dalle norme di contabilità. Deve ritenersi, dunque, motivazione sufficiente per la dichiarazione di dissesto la semplice ricognizione della esistenza di uno o di entrambi i suddetti presupposti” (sentenza della Sezione del 15/4/2015 n. 2117). Nella fattispecie all’esame, reputa il Collegio che gli incontestabili dati di bilancio militano nel senso di ritenere realizzato il presupposto della dichiarazione di dissesto, sulla scorta di un accertamento dell’evidenza dei dati medesimi che non si presta a poter condurre a un differente esito, a nulla rilevando in tale contesto le ipotetiche soluzioni prospettate dai revisori dei conti, quanto all’alienazione degli immobili di proprietà comunale o ad altre forme di anticipazione finanziaria (cfr. la citata sentenza n. 2117 del 2015: “deve essere escluso che la relazione del Collegio dei revisori abbia la natura giuridica di un parere dal quale sia possibile discostarsi solo motivatamente. In realtà, come già chiarito, tale relazione si limita ad analizzare le cause che hanno condotto alla dichiarazione di dissesto e ad individuarne i possibili correttivi”). Peraltro, si è detto che la stessa relazione non ha comunque affatto trascurato il connotato assolutamente negativo dell’andamento del bilancio comunale (analogamente, può dirsi che venga posto in evidenza “il disordine contabile dell’ente”: sentenza cit.). Conclusivamente, va riconosciuta nel caso di specie la legittimità delle determinazioni assunte dal Comune di (Omissis), dal cennato carattere vincolato, in ragione dell’evidente e non disconosciuta realtà e della non percorribilità di diverse soluzioni, foriere di esiti maggiormente pregiudizievoli per l’Ente (cfr., ancora, la cit. sentenza della Sezione n. 2217 del 2017: “Deve concludersi, quindi, che, in presenza dei presupposti per la dichiarazione di dissesto finanziario non vi fosse spazio per procedure di risanamento alternative, atteso che l’inerzia nell’accertamento dei presupposti per la dichiarazione di dissesto tende a provocare conseguenze gravemente pregiudizievoli per l’amministrazione interessata e, in ultima analisi, per gli stessi creditori, alterando la regola della par condicio creditorum e integrando gli estremi della responsabilità contabile per gli amministratori che rifiutassero di prendere atto della gravità della situazione”). Per le motivazioni rese, il ricorso introduttivo va dunque interamente respinto, non rinvenendosi per le illustrate ragioni la necessità del compimento di attività istruttoria (verificazione o CTU), richiesta dai ricorrenti. 3.- Si deve ora passare all’esame dei motivi aggiunti. 3.1. I fatti di causa. Dopo la deliberazione dello stato di dissesto finanziario, con D.P.R. del 29 dicembre 2023 veniva nominato l’organo straordinario di liquidazione, ai sensi dell’art. 252, secondo comma, del T.U.E.L. L’art. 245 individua i soggetti della procedura di risanamento in detto organo – che “provvede al ripiano dell’indebitamento pregresso” (secondo comma) – e negli organi istituzionali dell’ente, i quali “assicurano condizioni stabili di equilibrio della gestione finanziaria rimuovendo le cause strutturali che hanno determinato il dissesto” (terzo comma). Con deliberazione del 28/3/2024 n. 33 la Giunta comunale approvava l’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato 2023-2025. In base a quanto stabilito dall’art. 259, primo comma, del T.U.E.L., il Consiglio comunale è tenuto a presentare un’ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato, entro il termine perentorio di tre mesi dal decreto di nomina dell’organo straordinario di liquidazione. Con atto n. (…) del 19/4/2024 il Prefetto di Napoli diffidava il Consiglio comunale ad approvarlo, entro 20 giorni dall’ultima notifica ai consiglieri, e a presentarlo al Ministero dell’Interno (significando che, in mancanza, sarebbero stati attivati i poteri sostitutivi e avviata la procedura di scioglimento del Consiglio comunale, ai sensi dell’art. 141, primo comma, lett. a), del T.U.E.L.). Nella nota prefettizia si dà atto che: - con missiva n. (…) del 17/4/2024 la Direzione Centrale della Finanza Locale del Ministero dell’Interno aveva comunicato che il Consiglio comunale non aveva presentato al Dicastero l’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, entro il predetto termine di legge; - in riscontro a specifica richiesta della Prefettura, con nota n. (…) del 19/4/2024 il Ministero aveva ritenuto che "l'inosservanza da parte del consiglio comunale dei termini di approvazione dello schema di bilancio predisposto dalla Giunta, non ha come conseguenza automatica lo scioglimento dell'organo consiliare, ma comporta, a norma dell'art. 141 comma 1 lettera c) del TUEL, l'apertura di un procedimento sollecitatorio, che può anche condurre all'adozione della misura dello scioglimento, solo a seguito della constatata inadempienza da parte del consiglio all'intimazione puntuale ed ultimativa del prefetto, qualora questi accerti l 'impossibilità o la volontà del consiglio di non approvare il bilancio (Cons. St., Sez. III 3.7.20 n. 4288)". A seguito di ciò, con delibera n. 18 del 19/4/2024 il Consiglio comunale di (Omissis) approvava il DUP 2023-2025 e, con delibera n. 32 del 14/5/2024, l’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato. 3.2. La questione controversa. Questo TAR è chiamato a stabilire quali conseguenze derivino dal mancato rispetto, da parte del Consiglio comunale, del termine fissato dall’art. 259, primo comma, del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali, approvato con d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (“Il consiglio dell’ente locale presenta al Ministro dell’interno, entro il termine perentorio di tre mesi dalla data di emanazione del decreto di cui all’articolo 252, un’ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato”). Con i motivi aggiunti i ricorrenti, oltre all’illegittimità derivata, deducono l’incompetenza della Giunta all’adozione dell’atto di bilancio, poiché avrebbe dovuto provvedervi il Consiglio comunale, il quale non ha presentato al Ministero dell’Interno l’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, entro il termine perentorio di tre mesi ex art. 259 cit. Patrocinano in tal senso la tesi della doverosità dello scioglimento del Consiglio comunale, non potendosi far ricorso in via analogica (come inteso dal Prefetto, su parere del Ministero) all’art. 141, primo comma, lettera c), del TUEL, assegnando all’organo inadempiente un termine per provvedere alla trasmissione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato. 3.3. La questione di legittimità costituzionale. Il Collegio dubita della costituzionalità della norma e ritiene di dover rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità dell’art. 259, primo comma, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, limitatamente all’aggettivo “perentorio” in esso contenuto, ravvisandone la rilevanza nel presente giudizio e la non manifesta infondatezza. Ai sensi dell’art. 27, ultimo periodo, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (in base al quale la Corte costituzionale “dichiara, altresì, quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata”), reputa il Collegio che la questione di legittimità costituzionale della suindicata norma coinvolga anche: - l’art. 261, quarto comma, del T.U.E.L., limitatamente all’aggettivo “perentorio” in esso contenuto, laddove stabilisce che all’istruttoria negativa della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali del Ministero dell’Interno segua la prescrizione di presentare con deliberazione consiliare una nuova ipotesi di bilancio, stabilendo nuovamente che all’adempimento il Consiglio debba provvedervi entro il termine “perentorio” di 45 giorni dalla notifica del provvedimento di diniego; - l’art. 262, primo comma, del T.U.E.L., limitatamente alla previsione secondo cui “l’inosservanza del termine per la presentazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato o del termine per la risposta ai rilievi e dalle richieste di cui all’articolo 261, comma 1, o del termine di cui all’articolo 261, comma 4, […] integrano l’ipotesi di cui all’articolo 141, comma 1, lettera a)” (scioglimento del Consiglio comunale per atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico). Prima di esporre le ragioni che ad avviso del Collegio fanno dubitare della conformità alla Costituzione delle cennate norme, va premesso che è ammessa la possibilità di sollevare la questione incidentale di legittimità costituzionale con la sentenza non definitiva che, in relazione ai motivi non decisi, assume la veste di ordinanza (C. Cost. n. 86 del 2017: “L'adozione di due provvedimenti (una sentenza non definitiva ed un'ordinanza di rimessione, in relazione ai motivi di ricorso non decisi) in uno stesso contesto formale (cioè in un unico atto) non incide sulla autonomia di ciascuno e sulla idoneità di quello costituente ordinanza ad instaurare il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, dato che risulta osservato l'art. 23 della L. n. 87 del 1953 ed il giudizio principale non è stato definito (sentenza n. 94 del 2009)”; conf. n. 208 del 2019: “La forma prescelta non è tale da incidere sull'autonomia di ciascun provvedimento e sulla idoneità dell'ordinanza a instaurare validamente il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale. Il giudice a quo ha, infatti, disposto la sospensione del procedimento e la trasmissione del fascicolo a questa Corte, nel rispetto dell'art. 23 della L. 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale)”). 3.4. La rilevanza nel presente giudizio. Come detto il Prefetto di Napoli, dopo aver richiesto parere al Ministero, ha aderito alla sollecitazione rivolta affinché fosse assegnato al Consiglio comunale di (Omissis) un termine per provvedere, come disposto dall’art. 141, secondo comma, del T.U.E.L. (che, in caso di mancata approvazione nei termini del bilancio, stabilisce che l’eventuale avvio della procedura di scioglimento del Consiglio comunale debba essere preceduta dalla diffida a provvedere all’adempimento, entro un termine non superiore a venti giorni dalla notifica della lettera ai singoli consiglieri). Il Ministero dell’Interno si è mostrato consapevole della difficoltà di ricondurre il caso di specie a quell’ipotesi, reputando applicabile in via analogica l’apertura di un procedimento sollecitatorio, in base all’orientamento della giurisprudenza amministrativa, “sebbene riferito agli adempimenti relativi al bilancio previsionale” (nota della Direzione Centrale per le Autonomie del 19/4/2024, rivolta alla Prefettura di Napoli). Evidenzia il Collegio che l’orientamento seguito dal Ministero e dalla Prefettura non appare coerente con il tenore dell’art. 259, primo comma, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 il quale, individuando nel Consiglio comunale l’organo competente e qualificando espressamente come “perentorio” il termine di tre mesi per la trasmissione al Ministero dell’Interno dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, induce a ritenere che l’elusione del termine medesimo da parte del Consiglio sia insuscettibile di formare oggetto della richiesta sollecitatoria, comportando come conseguenza il suo scioglimento. In tale contesto, il riportato art. 262 afferma che l’inosservanza del termine integra l’ipotesi di cui all’art. 141, primo comma, lettera a) (“I consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno: a) quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico”). Tuttavia, ad avviso del Collegio emerge il dubbio di costituzionalità delle menzionate norme, per aspetti che ne denotano l’irragionevolezza e investono il trattamento diseguale di situazioni sostanzialmente consimili, in violazione dei principi di uguaglianza e buon andamento dei pubblici uffici (artt. 3 e 97 Cost.), e che si riflettono sui principi costituzionali relativi alle autonomie locali e al diritto di adempiere al mandato elettorale (artt. 5, 51 e 114 Cost.). La questione è rilevante nel presente giudizio, essendo l’applicazione dell’art. 259, primo comma, del T.U.E.L. vincolante per il Giudice e tale da non consentire una diversa interpretazione, che permetta all’organo consiliare di provvedere alla trasmissione al Ministero dell’Interno dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato oltre il termine di tre mesi, espressamente qualificato perentorio. Ciò condurrebbe all’accoglimento dei motivi aggiunti e a prefigurare l’esito dello scioglimento del Consiglio comunale di (Omissis), per l’effetto conformativo della sentenza, nonostante il dubbio di costituzionalità delle norme, che induce a sollevare d’ufficio la questione, in relazione a quanto previsto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. 3.4. La non manifesta infondatezza. Come indicato al precedente punto 3.3, ad avviso del Collegio è ravvisabile un contrasto, con i predetti artt. 3 e 97 nonché con gli artt. 5, 51 e 114 della Costituzione: a) dell’art. 259, primo comma, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 36, limitatamente all’aggettivo “perentorio” in esso contenuto; b) dell’art. 261, quarto comma, del T.U.E.L., limitatamente all’aggettivo “perentorio” in esso contenuto, per la parte in cui ugualmente stabilisce la perentorietà del termine (di 45 giorni) per la presentazione di una nuova ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, susseguente all’istruttoria negativa della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali; c) dell’art. 262, primo comma, del T.U.E.L., limitatamente alla previsione secondo cui “l’inosservanza del termine per la presentazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato o del termine per la risposta ai rilievi e dalle richieste di cui all’articolo 261, comma 1, o del termine di cui all’articolo 261, comma 4, […] integrano l’ipotesi di cui all’articolo 141, comma 1, lettera a)”. È innegabile che lo scioglimento dei consigli comunali abbia un carattere del tutto straordinario ed eccezionale e possa essere disposto solo nei casi e per i motivi tassativamente previsti dalla legge. Eccezion fatta per lo scioglimento per infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso (al quale la legge riserva autonomo rilievo), nonché dipendente dalla mozione di sfiducia nei confronti del Sindaco (art. 52, secondo comma), l’ordinamento degli enti locali tipizza all’art. 141 i quattro casi che prefigurano lo scioglimento dell’organo consiliare: 1) il compimento di atti contrari alla Costituzione, le gravi e persistenti violazioni di legge o i gravi motivi di ordine pubblico (lettera a)); 2) l’impossibilità di assicurare il normale funzionamento degli organi e dei servizi, per le cause elencate alla (lettera b) (impedimento permanente del Sindaco o sue dimissioni, dimissioni ultra dimidium dei consiglieri eletti, impossibilità di raggiungere con la surroga la metà dei componenti del Consiglio); 3) la mancata approvazione nei termini del bilancio (lettera c)): 4) nei Comuni al di sopra dei mille abitanti, la mancata adozione dello strumento urbanistico entro 18 mesi dall’elezione degli organi (lettera c-bis, aggiunta dall’art. 32, comma 7, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326). In questi due ultimi casi, al mancato rispetto dei termini di legge consegue l’apertura di un procedimento sollecitatorio e, solo in ipotesi di perdurante inadempimento, l’avvio della procedura per lo scioglimento (commi 2 e 2-bis). La stessa disciplina non è prevista per l’Ente dissestato il cui Consiglio non provveda, entro tre mesi dalla nomina dell’organo straordinario di liquidazione, alla trasmissione al Ministero dell’Interno dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato. Al contrario, come si è detto, l’elusione del termine qualificato “perentorio” (artt. 259, primo comma, e 261, quarto comma) comporta lo scioglimento del Consiglio, poiché l’art. 262, primo comma, del T.U.E.L. riconduce tali ipotesi all’art. 141, comma 1, lettera a) (atti contrari alla Costituzione, gravi e persistenti violazioni di legge o gravi motivi di ordine pubblico”). Reputa il Collegio che non sia manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme che, escludendo il potere sollecitatorio del Prefetto, riconducono la mancata approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato da parte del Consiglio, nel perentorio termine di tre mesi, ad un’ipotesi di scioglimento che mal si concilia con la natura dell’inadempimento e produce un effetto esorbitante, conducendo alla rimozione del Consiglio democraticamente eletto, eccedendo la misura del doveroso rispetto delle autonomie locali (cfr. la sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 1961, per la quale è “evidente come la tutela delle autonomie locali postuli criteri restrittivi nella valutazione dei casi che legittimano lo scioglimento dei normali organi amministrativi degli enti”). 3.4.1. Il contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione. Ritiene il Collegio che non si giustifichi la riconduzione dell’ipotesi di cui si discorre, per effetto dell’art. 262, primo comma, del T.U.E.L., ai casi del compimento di atti contrari alla Costituzione, di gravi e persistenti violazioni di legge ovvero di gravi motivi di ordine pubblico, declinati dall’art. 141, primo comma, lettera a). I primi due casi possono essere accomunati dalla connotazione in termini assolutamente negativi dell’operato dell’Ente locale, il quale si pone in aperta contraddizione con l’ordinamento statuale e ne sconfessi i principi (cfr. la circolare del Ministero dell’Interno del 7/6/1990 n. 17102/127/1, secondo cui l’ipotesi di atti contrari alla Costituzione, “rientra a fortiori in quella del compimento di <gravi e persistenti violazioni di legge>, della quale costituisce una estrinsecazione particolarmente aggravata. L'ipotesi è riconducibile al caso in cui un ente locale manifesti apertamente la volontà di disattendere talune norme o principi fondamentali che regolano l'ordinamento repubblicano, previsti da norme costituzionali”). È quindi difficilmente comprensibile l’equiparazione della mancata presentazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato al compimento di atti contrari alla Costituzione o a gravi e persistenti violazioni di legge, mancando da un lato la volontà preordinata a disattendere le norme fondamentali dello Stato e, d’altro lato, difettando il connotato di un operato che si contraddistingua per la gravità e persistenza del comportamento negativo od omissivo dell’Ente locale. Quanto ai gravi motivi di ordine pubblico, alla stessa stregua non è individuabile un comportamento che vi contravvenga, tenuto conto che la nozione attiene alla sicurezza e alla quiete pubblica e non può confondersi, in un’accezione lata, con la tutela del buon funzionamento degli uffici (Corte Costituzionale n. 40 del 1961, cit.). Nei suesposti termini, è riscontrabile la sostanziale comunanza tra il caso di elusione del termine per presentare il bilancio stabilmente riequilibrato e l’ipotesi di mancata approvazione del bilancio comunale, cosicché anche per il primo caso appare maggiormente consono all’ordinamento degli enti locali (implicante il rispetto dell’autonomia dell’ente esponenziale della comunità amministrata) l’ammissibilità del potere sollecitatorio del Prefetto, ai sensi dell’art. 141, secondo comma, del T.U.E.L. Viceversa, la prefigurazione di un termine perentorio e l’assimilazione del suo mancato rispetto agli atti contrari alla Costituzione, alle gravi e persistenti violazioni di legge o a motivi di ordine pubblico non si mostra giustificabile e denota l’irragionevolezza delle norme censurate, per contrasto con la necessità di regolare in maniera uguale situazioni simili, giustificandosi la diversità di disciplina solo in presenza di situazioni differenziabili. Risultano in tal modo violati il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. e la necessità di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione, ex art. 97 Cost., in ragione della ritenuta irragionevolezza della norma, che non trova intrinseca giustificazione e diverge dallo scopo che occorre perseguire, nel rispetto dell’autonomia locale (cfr. Corte Costituzionale n. 223 del 2022: “Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il principio di ragionevolezza è leso "quando si accerti l'esistenza di una irrazionalità intra legem, intesa come contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata" (sentenze n. 195 e n. 6 del 2019; nello stesso senso, più di recente sentenza n. 125 del 2022)”; cfr., altresì, Corte Costituzionale n. 258 del 2022: “La violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione non può, infatti, essere invocata se non attraverso la denuncia di arbitrarietà e di manifesta irragionevolezza della disciplina censurata, combinandosi, sotto questo profilo, con il riferimento all'art. 3 Cost. ed implicando lo svolgimento di un giudizio di ragionevolezza sulla legge censurata (sentenze n. 208 del 2014, n. 243 del 2005, n. 306 e n. 63 del 1995 e n. 250 del 1993; ordinanze n. 100 e n. 47 del 2013)”). 3.4.2. Il contrasto con gli artt. 5, 51 e 114 della Costituzione. Per quanto considerato, le norme indicate vanno ulteriormente censurate laddove, impedendo la prosecuzione dello svolgimento delle funzioni del Consiglio comunale eletto e l’espletamento del mandato dei consiglieri, contravvengono all’esigenza di tutela delle autonomie locali (artt. 5 e 114 Cost.) e del diritto di ogni cittadino di accedere alle cariche elettive e di conservarle (art. 51 Cost.). Giova rinnovare il richiamo alla menzionata sentenza della Corte Costituzionale n. 40 del 1961 (è “evidente come la tutela delle autonomie locali postuli criteri restrittivi nella valutazione dei casi che legittimano lo scioglimento dei normali organi amministrativi degli enti”), per significare che l’ipotesi di scioglimento del Consiglio comunale può ritenersi giustificata a fronte di inderogabili e superiori esigenze di garantire l’unitarietà dello Stato, altrimenti risultando violate le prerogative delle autonomie locali e dei singoli consiglieri, laddove – similmente con quanto avviene per l’ipotesi di mancata approvazione del bilancio – all’omissione riscontrata possa ovviarsi attraverso il potere sollecitatorio del Prefetto, che consenta all’ente locale territoriale di “recuperare” la propria autonomia e di assolvere alle proprie funzioni, in linea con quanto previsto all’art. 245, terzo comma, del T.U.E.L., che rimette agli organi istituzionali dell’ente il compito di assicurare “condizioni stabili di equilibrio della gestione finanziaria rimuovendo le cause strutturali che hanno determinato il dissesto”. 3.5. Conclusivamente, per le considerazioni che precedono, va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 5, 51, 97 e 114 della Costituzione: a) dell’art. 259, primo comma, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 36, limitatamente all’aggettivo “perentorio” in esso contenuto; b) dell’art. 261, quarto comma, del T.U.E.L., limitatamente all’aggettivo “perentorio” in esso contenuto, per la parte in cui ugualmente stabilisce la perentorietà del termine (di 45 giorni) per la presentazione di una nuova ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, susseguente all’istruttoria negativa della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali; c) dell’art. 262, primo comma, del T.U.E.L., limitatamente alla previsione secondo cui “l’inosservanza del termine per la presentazione dell’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato o del termine per la risposta ai rilievi e dalle richieste di cui all’articolo 261, comma 1, o del termine di cui all’articolo 261, comma 4, […] integrano l’ipotesi di cui all’articolo 141, comma 1, lettera a)”. Pertanto, va sospeso il giudizio e ordinata la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, nonché la notifica della presente ordinanza alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri e, altresì, la comunicazione ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. 4.- In definitiva, va respinto il ricorso introduttivo e, in relazione ai motivi aggiunti, va sollevata la questione di legittimità costituzionale di cui in motivazione, disponendo la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, riservando alla definizione dell’intero giudizio la regolamentazione delle spese di lite nonché la decisione su ogni altra questione in rito e nel merito. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima), non definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti: a) respinge il ricorso introduttivo; b) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 259, primo comma, dell’art. 261, quarto comma, e dell’art. 262, primo comma, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, nei termini di cui in motivazione; c) dispone per l'effetto la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; d) riserva alla definizione dell'intero giudizio la regolamentazione delle spese di lite nonché la decisione su ogni altra questione in rito e nel merito. Ordina che, a cura della Segreteria del Tribunale amministrativo, il presente provvedimento sia notificato alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicato ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 24 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Salamone, Presidente Giuseppe Esposito, Consigliere, Estensore Pierangelo Sorrentino, Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2809 del 2024, proposto da Ro. Ge. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Fi. e Fe. Di., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Speciale Ab. - Ac. Be. Comune (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pa. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Gs. – Gr. Se. As. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Ca., Lu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l’accertamento del silenzio diniego formatosi sull’istanza di accesso ai documenti amministrativi del 27 marzo 2024 nonché per la condanna della Stazione appaltante all’ostensione dei documenti richiesti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Gs. – Gr. Se. As. S.p.A. e dell’Azienda Speciale Ab. - Ac. Be. Comune (Omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 settembre 2024 la dott.ssa Germana Lo Sapio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.La società ricorrente ha partecipato alla procedura di gara indetta ai sensi del D.Lgs. n. 50/2016 (applicabile ratione temporis) dalla AB. – Ac. Be. Comune (Omissis) – Azienda Speciale, per l’affidamento dei servizi di “custodia e sorveglianza non armata a tutela del patrimonio aziendale ubicato nelle province di Napoli e Caserta” (CIG (…)). È risultata prima classificata, ma è stata successivamente esclusa con provvedimento prot. (…) del 1 febbraio 2024, che è stato annullato, in accoglimento del relativo ricorso, con sentenza della Sezione del 23 maggio 2024, n. 3331 (pende allo stato il giudizio di appello recante n. RG 5233/2024); 2. In pendenza del giudizio di primo grado, parte ricorrente ha proposto, con istanza del 27 marzo 2024, l’accesso documentale ex art. 53 del d. lgs. 50/2016 sull’offerta tecnica e la documentazione di verifica dell’anomalia della controinteressata Gr. Se. As. s.p.a., e, sul presupposto della formazione del silenzio diniego, ha introdotto il presente giudizio ex art.116 c.p.a. Nello specifico, la vicenda procedimentale si è così articolata: -l’amministrazione con nota ha chiesto alla controinteressata di “autorizzare” l’ostensione con nota del 18 aprile 2014; -la controinteressata si è opposta con nota del 26 aprile 2024 adducendo “concorrenti ragioni ostative” oltre che confermando la sussistenza di “parti secretate” già indicate in sede di offerta: la tardività dell’istanza, intercorsa dopo il termine di cui all’art 79 comma 2 e dopo i trenta giorni dalla conoscenza dell’aggiudicazione e la mancanza di interesse ad accedere agli atti, trattandosi di concorrente – allora – escluso. -il procedimento non si è mai concluso con un atto espresso, con la conseguente formazione del silenzio diniego sull’istanza di accesso che è oggetto dell’odierno giudizio. 3. Il ricorso è fondato e nessuna delle plurime eccezioni è condivisibile. 4.1. Quanto alla eccepita irricevibilità, il giudizio è stato tempestivamente introdotto ai sensi dell’art 116 c.p.a., comma 1 entro il termine di trenta giorni decorrente dalla formazione del silenzio-diniego. Non rileva nella fattispecie, il termine indicato dalla controinteressata di quindici giorni ai sensi dell’art. 76 comma 2 c.p.a. che, secondo la giurisprudenza di seguito richiamata, consente una dilazione temporale di quindici giorni per il ricorso introduttivo avverso il provvedimento lesivo a favore dell’impresa auto-responsabile, che abbia formulato istanza di accesso entro i quindi giorni, decorrenti dalla comunicazione o dalla pubblicazione del provvedimento di aggiudicazione. La concessione della dilatazione temporale del termine ex art. 120 c.p.a. è, come noto, l’esito di un notevole dibattito registratosi per effetto di mancato coordinamento normativo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15 marzo 2023, n. 2736; V, 15 marzo 2023, n. 2728; Cons. Stato, sez. V, 29 novembre 2022 n. 10470), tanto da aver indotto l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 2 luglio 2020, n. 12 a indicare principi interpretativi in materia (diversamente, nel cd. Codice dei contratti pubblici vigente di cui al D.Lgs. 36/2023, opera il nuovo rito super accelerato di cui all’art. 36 che prevede un termine breve di dieci giorni, ma solo per impugnare le decisioni assunte in relazione alle richieste di oscuramento e sul diverso presupposto che agli operatori economici collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria siano resi disponibili sulla piattaforma digitale tutti gli atti di gara, comprese le reciproche offerte). Nel caso di specie, il ricorso avverso l’esclusione e la conseguente aggiudicazione è stato tempestivamente proposto nel separato giudizio conclusosi con la sentenza della Sezione n. 3331/2024; né, peraltro, l’amministrazione ha assunto decisioni sulla richiesta di oscuramento restando inerte. Deve ritenersi pertanto applicabile, in via autonoma, il termine indicato nell’èart. 116 comma 1 c.p.a. 4.2. Quanto alla inammissibilità per la mancata riferibilità dell’istanza alla odierna ricorrente, che la controinteressata fa derivare dalla sua sottoscrizione solo da parte del difensore, oltre a non trovare fondamento normativo (essendo la procura con le forme prescritte dal codice del processo civile funzionale allo svolgimento di attività giudiziale), la questione è superata in fatto dalla circostanza che la stazione appaltante, riconoscendo la chiara riferibilità dell’istanza di accesso e del relativo interesse conoscitivo alla società ricorrente, ha inoltrato l’istanza alla controinteressata come proveniente dalla Ro. Ge. S.P.A (cfr. nota prot. (…) del 18 aprile 2024). 4.3. Quanto alla contestazione circa la sussistenza dell’interesse conoscitivo della ricorrente (al momento della formulazione dell’istanza già ricorrente nel giudizio introdotto per l’annullamento della sua esclusione poi annullata), è sufficiente osservare che la pretesa strumentale dell'operatore economico istante si regge su di una posizione soggettiva differenziata e qualificata derivante dalla sua rituale partecipazione alla gara de qua – rispetto alla quale tuttora pende giudizio di appello - ed è assistita da un interesse personale, attuale e concreto, consistente nell'utilità, dichiarata in ricorso di ottenere la caducazione dell'aggiudicazione a sfavore della medesima controinteressata, alla quale il bene è stato attribuito, previo esito positivo del giudizio di anomalia dell’offerta cui si riferisce la documentazione. Risulta, quindi, di per sé obiettivamente percepibile l'interesse conoscitivo alla base della pretesa ostensiva, evidentemente funzionale a soddisfare un'esigenza tutt'altro che eventuale ed esplorativa, e cioè a verificare, attraverso la conoscenza diretta dei contenuti dell'offerta controinteressata (e dei documenti inerenti al sub procedimento di verifica dell'anomalia), la congruenza e la correttezza del metodo di valutazione seguito, specie considerando che proprio per gli effetti conformativi derivanti dalla sentenza di annullamento dell’esclusione (TA.R. Napoli, IV Sez., 23 maggio 2024, n. 3331), il giudizio dovrà essere riformulato anche nei confronti della odierna ricorrente. Restano così aperte, sia per la pendenza dell’appello sia per il doveroso rifacimento di parte del procedimento di gara tutte le opzioni difensive (ivi compresa quella di non attivare alcuna azione giudiziale) che la ricorrente potrà individuare, previo riconoscimento del suo diritto alla conoscenza degli atti di gara, in ossequio al principio di trasparenza ("l'ostensione del documento amministrativo deve essere valutata, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, come il tramite - in questo senso strumentale - per acquisire gli elementi di prova in ordine ai fatti (principali e secondari) integranti la fattispecie costitutiva della situazione giuridica finale controversa e delle correlative pretese astrattamente azionabili in giudizio. La delibazione è condotta sull'astratta pertinenza della documentazione rispetto all'oggetto della res controversa" e non - come può ancora desumersi dal passaggio appena riportato - sull'astratta fondatezza delle censure che la conoscenza della suddetta documentazione permetterebbe all'istante di prospettare nel susseguente giudizio impugnatorio” T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 22 febbraio 2023, n. 353; “l'accesso documentale difensivo non necessariamente deve sfociare in un esito contenzioso in senso stretto" Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 25 settembre 2020, nn. 19-20-21; T.A.R. Lazio, Roma, II, 25 marzo 2022, n. 3394; T.A.R Campania, Napoli, Sez. IV, 7 aprile 2023, n. 2176; da ultimo, anche con riguardo al già decorso termine per impugnare, Cons. Stato, Sez. VII, 21 marzo 2024, n. 2773) 4.4. Quanto alla posizione della controinteressata e all’interesse alla riservatezza, tutelato mediante il suo coinvolgimento procedimentale, anche a prescindere dalla prevalenza dell’interesse difensivo (cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, IV, 7 aprile 2023, n. 2176; id. III, 19 dicembre 2022, n. 7905; T.A.R. Campania, Salerno, II, 6 luglio 2020, n. 827; da ultimo, T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. IV, 11 marzo 2024, n. 955; T.A.R. Napoli, IV Sez, 5 aprile 2024, n. 2228), deve osservarsi che l’opposizione formulabile in sede procedimentale – nonostante l’irrituale riferimento ad una sorta di “autorizzazione” piena all’ostensione contenuta nella più volte citata nota della Stazione appaltante n. 20903 del 18 aprile 2024- non può essere generica, ma deve essere volta a rappresentare esigenze di segretezza tecnica o commerciale che sono meritevoli di tutela solo per le singole informazioni sottoposte a tutela brevettuale o a privativa industriale o commerciale, che siano puntualmente e motivatamente indicate dall'impresa controinteressata (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 24 gennaio 2022, n. 145; cfr. T.A.R. Bologna, Sez. II, 1 marzo 2023, n. 111), spettando al concorrente che si oppone all'accesso di indicare le parti dell'offerta che contengano segreti tecnici o commerciali, con una motivata e comprovata dichiarazione, secondo l'espressa previsione del citato art. 53 del D.Lgs. n. 50 del 2016 (cfr. Cons. Stato, sez. III, 16 febbraio 2021, n.1437; T.A.R. Lombardia, Milano, sezione prima, 7 marzo 2022, n. 543). In ogni caso, resta comunque fermo l'onere della stazione appaltante di valutare motivatamente le argomentazioni offerte ai fini dell'apprezzamento dell'effettiva rilevanza per l'operatività del regime di segretezza (Cons. Stato, sez. III, 1 agosto 2022, n. 6750), tenendo conto che, se non risulta puntualmente comprovata la sussistenza di detti segreti, riprendono vigore i generali principi di trasparenza e pubblicità dell'azione amministrativa (sotto questo profilo, appare significativo in relazione alla vis espansiva della trasparenza anche nella materia dei contratti pubblici che il comma 6 dell’art. 36 del D.lgs 36/2023 consente alla stazione appaltante o all’ente concedente di segnalare all’Anac eventuali comportamenti elusivi degli operatori economici che reiterano continue richieste di oscuramento in assenza di reali rischi per i propri segreti tecnici e commerciali “nel caso di cui al comma 4 la stazione appaltante o l’ente concedente può inoltrare segnalazione all’ANAC la quale può irrogare una sanzione pecuniaria nella misura stabilita dall’articolo 222, comma 9, ridotta alla metà nel caso di pagamento entro trenta giorni dalla contestazione, qualora vi siano reiterati rigetti di istanze di oscuramento”; su tali principi, si richiama anche ex art 88 comma 2 lett. d, il precedente della Sezione, 3 luglio 2024, n. 4092, anche per la giurisprudenza ivi citata “(cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, IV, 7 aprile 2023, n. 2176; id. III, 19 dicembre 2022, n. 7905; T.A.R. Campania, Salerno, II, 6 luglio 2020, n. 827; da ultimo, T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. IV, 11 marzo 2024, n. 955; T.A.R. Napoli, IV Sez, 5 aprile 2024, n. 2228)”. Nel caso di specie, non risulta comprovata l’esistenza di segreti tecnici e commerciali, avendo la controinteressata opposto generiche ragioni ostative, che peraltro attenevano ai presupposti legittimanti l’accesso da parte della odierna ricorrente. Le ragioni di riservatezza tecnica avrebbero dovuto invece essere supportate da una motivazione pertinente e da elementi specifici e in ogni caso avrebbero dovuto essere oggetto di autonoma valutazione da parte della stazione appaltante che invece, dapprima, ha inoltrato alla controinteressata l’istanza di accesso sollecitando una generica “autorizzazione” all’ostensione; e, successivamente ricevuta l’opposizione della controinteressata, si è astenuta da ogni decisione in merito, con la conseguente formazione del silenzio-diniego. 5. In conclusione, deve pertanto ritenersi che la stazione appaltante deve essere condannata alla ostensione integrale della documentazione richiesta dalla ricorrente, nel termine di 30 giorni, decorrenti dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione a cura di parte, se anteriore, della presente sentenza. 6. L’esito del giudizio comporta la condannata al pagamento delle spese di lite del Comune e della controinteressata, in solido, pari alla somma complessiva di euro 2000,00 euro oltre accessori come per legge, in favore della ricorrente. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto: - ordina il rilascio di copia, senza alcun oscuramento, della documentazione oggetto di istanza nel termine di 30 giorni, decorrenti dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione a cura di parte, se anteriore, della presente sentenza; - condanna parte resistente e parte controinteressata, in solido, al pagamento delle spese di lite liquidate in complessivi euro 2000,00 oltre accessori come per legge e rimborso del contributo unificato in favore della ricorrente. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 4 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Severini, Presidente Alfonso Graziano, Consigliere Germana Lo Sapio, Consigliere, Estensore

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