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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 549 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Au. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno U.T.G. - Prefettura di Bologna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Bologna, domiciliata in Bologna, via (...); per l'annullamento -l'annullamento del provvedimento-OMISSIS-, emesso dalla Prefettura di Bologna in data -OMISSIS-, con il quale è stata decretata l'inammissibilità dell'istanza volta alla concessione della cittadinanza italiana ex art. 9, comma 1, lett. f), Legge 5 febbraio 1992, n. 91, nonché di tutti gli atti allo stesso preordinati, presupposti, consequenziali e comunque connessi; -la concessione della cittadinanza italiana Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Bologna e di Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2024 il dott. Alessio Falferi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso depositato in data 12.4.2024 e munito di istanza cautelare, -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento, meglio indicato in epigrafe, con cui la Prefettura di Bologna ha dichiarato inammissibile la domanda, dalla medesima presentata, diretta ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9 della legge 91 del 1992. L'Amministrazione ha fondato l'impugnato provvedimento sui seguenti rilievi e considerazioni: -tra i requisiti previsti per ottenere la cittadinanza è contemplato anche quello reddituale, che deve essere continuativo e sussistere fino al momento del giuramento; -la soglia reddituale è quella di esenzione alla spesa sanitaria (euro 8.263,31, incrementato fino ad euro 11.362,05 in presenza del coniuge a carico e ulteriori 516,00 euro per ogni figlio a carico); -per la valutazione delle istanze possono essere presi in considerazione i redditi dei componenti del nucleo familiare indicati nell'art. 433 c.c.; - dalla documentazione prodotta non vi è prova che la richiedente e il proprio nucleo familiare abbiano percepito redditi uguali o superiori a quelli prescritti; - a seguito del preavviso di rigetto del 7.12.2023, l'interessata ha fatto pervenire osservazioni insufficienti in quanto il reddito della madre non può essere considerato perché la stessa non è presente nello stato di famiglia. La ricorrente, in punto di fatto e per quanto qui rileva, ha premesso quanto segue: -di essersi trasferita in Italia nel 2001, all'età di sei anni, con la madre e la sorella, nel Comune di -OMISSIS-(NA), risultando iscritta all'Anagrafe sin dall'1.10.2011 e di aver superato l'esame di stato presso il Liceo Statale "Niccolò Jomelli" di Aversa (CE) nell'anno 2015; -di essere stata residente nel Comune di-OMISSIS-, senza soluzione di continuità, dal 21.10.2001 al 30.11.2022, in-OMISSIS-, convivendo con la madre,-OMISSIS-, la sorella maggiore, -OMISSIS-, e l'ex marito della madre; -di essersi iscritta (nel 2015) e laureata (nel 2020) all'università di Bologna -corso di Laurea in Sviluppo e Cooperazione internazionale- e di aver successivamente ottenuto (nel 2023) la laurea magistrale in Interdisciplinary Research and Studies on Eastern Europe presso la medesima università ; di aver mantenuto durante la maggior parte del periodo degli studi universitari la propria residenza a-OMISSIS-, suo luogo di dimora abituale; -di aver presentato in data 30.11.2022 dichiarazione di residenza al Comune di Bologna, luogo in cui viveva in funzione degli studi da ormai 7 anni e in cui intendeva stabilirsi dopo la loro conclusione; -di aver fatto affidamento sul sostegno economico del proprio nucleo familiare, ricevendo da parte della madre le risorse necessarie al proprio mantenimento, come dimostrato dal denaro trasferito tramite bonifico, o altri mezzi, da parte della madre; -nonostante l'aiuto dei propri familiari, la ricorrente, durante il suo percorso di studi, confermava le borse di studio erogate dall'ente regionale per il diritto allo studio, compresa la borsa di studio ricevuta per il programma Erasmus+, e svolgeva attività lavorativa compatibile con lo studio; in particolare a partire dal 5.1.2024, la ricorrente lavora alle dipendenze della -OMISSIS- s.r.l. con contratto part-time (come da busta paga relativa a gennaio 2024). Tanto precisato in ordine ai fatti rilevanti per il presente giudizio, la ricorrente, in relazione al procedimento amministrativo in questione, ha ulteriormente precisato: -di aver presentato, in data 27.9.2019, istanza di concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell'art. 9, comma 1, lett. f), della legge 91/1992 alla Prefettura di Napoli; -di aver trasferito la propria residenza presso il comune di Bologna in data 30.11.2022 e, conseguentemente, di aver trasferito anche la competenza della suddetta istanza presso la Prefettura di Bologna; -in data 8.3.2023 la Prefettura di Napoli emetteva una comunicazione ai sensi dell'art. 10 bis della legge 241/90 che era riscontrata dalla ricorrente con opposita memoria in risposta alla quale la Prefettura di Napoli comunicava la riapertura dell'istruttoria e il trasferimento della pratica alla Prefettura di Bologna; -in data 8.12.2023 la Prefettura di Bologna emetteva un nuovo preavviso di rigetto che era tempestivamente riscontrato con memoria difensiva cui era allegata la medesima documentazione già fornita a Napoli; -in data 21.12.2023 la Prefettura emetteva il decreto di inammissibilità in questa sede gravato. Tanto premesso, la ricorrente, in sintesi, ha formulato le seguenti censure: "1) Violazione degli artt. 6 e 10 bis, L. 241/90, dell'art. 2, comma 2, del D.P.R. 18 aprile 1994, n. 362, mancato soccorso istruttorio, carente allegazione di opportune indicazioni, mancata indicazione dei motivi ostativi, mancato rispetto dei termini procedimentali"; le comunicazione di preavviso di rigetto, inviate dalla Prefettura di Napoli prima e da quella di Bologna dopo, entrambe tardive rispetto al termine di 30 giorni, non indicano a quali anni (la domanda è del 2019) si riferiscono le asserite insufficienze di reddito, con conseguente impossibilità di effettuare un'utile integrazione documentale; la ricorrente ha comunque inviato documentazione reddituale della madre relativa all'anno 2022 ed ha affermato di essere mantenuta economicamente dalla medesima anche per il periodo successivo, documentazione che, però, non è stata valutata dall'Amministrazione; ricorrendo legittimamente al soccorso istruttorio, la ricorrente avrebbe potuto evidenziare la sufficienza dei redditi; "2) Violazione dell'art. 3, L. 241/90, eccesso di potere per insufficiente motivazione"; il provvedimento impugnato sarebbe gravemente inficiato da difetto di motivazione in quanto non sono indicati in modo puntuale gli anni in cui il reddito sarebbe risultato insufficiente; "3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 9, Legge 91/92, degli artt. 315 bis e 433 c.c., eccesso di potere per violazione del principio di ragionevolezza, nonché per carenza di istruttoria, disparità di trattamento, erronea valutazione dei fatti, sussistenza dei requisiti per la concessione della cittadinanza italiana"; sarebbe errato ritenere che la madre non convivente (peraltro solo a partire dal 23.2.2022) non possa essere considerata ai fini della sussistenza del requisito reddituale, come invece riconosciuto dalla giurisprudenza che non richiede la convivenza (in tal senso anche TAR bologna n. 1362/2004); la ricorrente sarebbe aiutata dalla propria madre, andrebbe considerato anche il concetto di solidarietà familiare e, comunque, il nucleo familiare prescinderebbe dall'unica residenza, dovendosi fare riferimento all'art. 433 c.c. (in tal senso TAR Lazio n. 1698/2022); dunque, sarebbe errato considerare solo la residenza anagrafica; i redditi della madre, della sorella e della ricorrente supererebbero la soglia reddituale richiesta. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Interno con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato che ha chiesto il rigetto del ricorso. Con ordinanza -OMISSIS-, assunta alla Camera di Consiglio del 24 aprile 2024, è stata accolta, ai fini del riesame, l'istanza di sospensione cautelare; in particolare, con riferimento al profilo formale, è stato evidenziato che "appaiono fondate le censure di parte ricorrente con cui si lamenta - tenuto conto della data di presentazione della domanda - la mancata indicazione, nel provvedimento gravato, degli anni in cui sarebbe stata rilevata la carenza del requisito reddituale, con conseguente limitazione delle facoltà difensive e della possibilità di contestare gli assunti dell'Amministrazione"; quanto al profilo sostanziale è stato precisato che "presentano profili di fondatezza anche le censure relative alle modalità di calcolo del reddito della ricorrente (da cui è stata esclusa la compartecipazione della madre), tenuto conto, da un lato, che per un ampio lasso di tempo la ricorrente risultava residente con la propria madre e, dall'altro, che se la famiglia anagrafica - risultante dallo stato di famiglia - postula la convivenza, il nucleo familiare, pur coincidendo nella maggior parte dei casi con la famiglia anagrafica, può distinguersene e risultare costituito anche da soggetti non conviventi, ma fiscalmente a carico del contribuente (TAR Lazio, Roma, n. 15435/2023)". L'Amministrazione resistente non ha provveduto all'adozione di un effettivo provvedimento di riesame, ma ha prodotto una relazione di riesame (in realtà una relazione diretta ad illustrare il provvedimento già assunto e i fatti successivi), redatta dalla Prefettura di Bologna e depositata in giudizio, in data 19.6.2024, dalla difesa erariale. Alla Pubblica Udienza del 10 luglio 2024, il ricorso è stato trattenuto in decisione, come da verbale di causa. Il ricorso è parzialmente fondato nei termini e limiti di seguito precisati. In linea generale va premesso che nel giudizio -indubbiamente discrezionale - che l'Amministrazione svolge ai fini della concessione della cittadinanza italiana rientra anche l'accertamento della sufficienza del reddito, in quanto la condizione del possesso di adeguati mezzi di sostentamento del richiedente è funzionale non solo a soddisfare primarie esigenze di sicurezza pubblica (Consiglio di Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 766), ma anche ad assicurare che lo straniero possa conseguire l'utile inserimento nella collettività nazionale, con tutti i diritti e i doveri che competono ai suoi membri, cui verrebbe ad essere assoggettato (tra gli altri, al dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica, funzionale all'erogazione dei servizi pubblici essenziali (Consiglio di Stato, sez. III 18 marzo 2019, n. 1726). Costituisce, ormai, un dato consolidato che l'Amministrazione, nel valutare la sussistenza del requisito della capacità reddituale, debba tenere conto non soltanto del reddito del richiedente ma anche dell'eventuale, effettivo, contributo offerto dagli altri membri del suo nucleo familiare (Consiglio di Stato, sez. III 25 giugno 2019, n. 4372) Più nello specifico, pare opportuno ricordare che se la famiglia anagrafica -risultante dallo stato di famiglia - postula la convivenza, il nucleo familiare -espressione utilizzata soprattutto a fini fiscali-pur coincidendo nella maggior parte dei casi con la famiglia anagrafica, può distinguersene e risultare costituito anche da soggetti non conviventi, ma fiscalmente a carico del contribuente. A titolo meramente esemplificativo, si ricorda che, in tema di Isee, è normativamente prevista la possibilità per i figli maggiorenni di rientrare nel nucleo familiare, anche se non conviventi, ove siano a carico di un genitore: il d.P.C.M. n. 159 del 2013 -recante il "Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)" - stabilisce, infatti, al comma 5 dell'art. 3 -rubricato "nucleo familiare"- che "Il figlio maggiorenne non convivente con i genitori e a loro carico ai fini IRPEF, nel caso non sia coniugato e non abbia figli, fa parte del nucleo familiare dei genitori. Nel caso i genitori appartengano a nuclei familiari distinti, il figlio maggiorenne, se a carico di entrambi, fa parte del nucleo familiare di uno dei genitori, da lui identificato". La giurisprudenza, proprio trattando casi di rigetto della concessione della cittadinanza per asserita insussistenza del reddito, ha affrontato anche il tema della c.d. "solidarietà familiare" in relazione ai concetti di residenza anagrafica e nucleo familiare. In particolare, in un caso ana a quello di cui si discute, è stato precisato che non "può assumere rilievo contrario quanto sostenuto della difesa del Ministero, secondo cui l'Amministrazione avrebbe correttamente escluso i proventi del figlio in quanto questi non era stato espressamente indicato come convivente all'atto della presentazione della domanda. Tale mancanza, secondo il resistente, avrebbe impedito di considerare il figlio quale appartenente al nucleo familiare e, per l'effetto, di tenere conto del suo reddito ai fini in esame. L'eccezione dell'Amministrazione non tiene conto dell'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato (e "recepito" dalla stessa Amministrazione nella circolare ministeriale del 2007 in parola) poiché, anche se il figlio del ricorrente risulta convivere con lui soltanto dal 14.05.2019, dunque in data successiva alla presentazione dell'istanza, il concetto di solidarietà familiare - cui quella giurisprudenza ha attribuito un particolare rilievo - prescinde dal mero ancoraggio del nucleo familiare alla residenza anagrafica. Invero, la giurisprudenza ha ritenuto che la stessa prestazione dell'obbligo alimentare, ai sensi dell'art. 433 c.c. - applicabile, ai sensi dell'art. 45, l. 2 gennaio 1995, n. 218, del Reg. CE n. 4/2009 e del richiamato protocollo dell'Aia del 23 novembre 2007 relativo alla legge applicabile alle obbligazioni alimentari, anche agli stranieri residenti in Italia sulla base del criterio della residenza ove non abbiano optato per l'applicazione di una legge diversa - prescinde dalla esistenza, o meno, di un medesimo nucleo familiare anagrafico, per cui ben potrebbero i redditi di un figlio, sebbene già destinati al sostentamento di un proprio autonomo nucleo familiare, concorrere a contribuire almeno parzialmente alla capacità reddituale del padre (cfr., in senso conforme, Consiglio di Stato, sez. III 25 giugno 2019, n. 4372 con riferimento al caso dell'obbligo del figlio nei confronti del padre convivente solo per un periodo limitato dell'anno; cfr. anche Cons. Stato, sez. I, parere 30 dicembre 2020, n. 2152; nonché Cons. Stato, sez. III 5 marzo 2018, n. 1399, che invece esclude la possibilità di cumulare il reddito "di un soggetto diverso dal percettore e non legato a quest'ultimo da un rapporto comportante obbligo alimentare bensì da un legame in ogni momento liberamente disponibile") (TAR Lazio, Roma, sez. V, 11 febbraio 2022, n. 1698). Tanto chiarito in ordine ai principi generali applicabili, si osserva che nella propria relazione depositata il 19.6.2024, la Prefettura di Bologna ha evidenziato che a seguito della domanda presentata il 27.9.2019 la ricorrente, studente e quindi senza reddito, residente unitamente al proprio nucleo familiare nel comune di-OMISSIS-, allegava i redditi del patrigno e i redditi della sorella relativi agli anni 2016, 2017 e 2018; in data 29.11.2022 cambiava residenza trasferendosi a Bologna, staccandosi dal nucleo familiare di provenienza; la Prefettura di Bologna, divenuta competente, rilevava l'insufficienza reddituale relativa agli anni 2022 e 2023 e provvedeva alla comunicazione del preavviso di rigetto e, successivamente, dell'impugnato provvedimento di inammissibilità (senza, peraltro, indicare, in nessuno dei due atti, gli anni -2022 e 2023- in relazione ai quali sarebbe stato insufficiente il reddito); nelle more del procedimento giurisdizionale, la ricorrente formulava all'Amministrazione una richiesta di riesame allegando documentazione che sanava solo l'insufficienza reddituale relativa all'anno 2022, ma non quella relativa all'anno 2023, in quanto "non potevano concorrere al reddito della richiedente i familiari non conviventi, sia per quanto riguarda le dichiarazioni fiscali, sia per quanto riguarda i bonifici bancari, e comunque, essendo pendente il giudizio del TAR in merito al ricorso, questo Ufficio ha ritenuto opportuno attendere la decisione del TAR". Ebbene, premesso che la suddetta relazione non incide sul provvedimento gravato ma, eventualmente, ne conferma l'insufficiente motivazione -che, come denunciato in ricorso, non indica gli anni in relazione ai quali non sussisterebbe il requisito reddituale -, si osserva che da essa emerge, comunque, che il reddito richiesto è stato ritenuto sussistente in relazione all'anno 2022, ma non sarebbe, invece, congruo per l'anno 2023, incongruità che, per il vero, non viene in altro modo giustificata se non con l'asserita impossibilità di considerare il reddito di familiari non conviventi. Tanto precisato, si deve ritenere che il provvedimento gravato sia illegittimo e vada, pertanto, annullato, in quanto l'Amministrazione non ha adeguatamente valutato l'apporto reddituale del nucleo familiare della ricorrente (in particolare, quello della madre), come, peraltro, già sommariamente evidenziato in sede cautelare. Per quanto non convivente, invero, il reddito della madre della ricorrente -giusta i principi in precedenza sommariamente ricordati - doveva essere considerato con riferimento all'anno 2023, unica annualità per la quale, secondo l'Amministrazione, sarebbe mancante il requisito reddituale, atteso che con riferimento alle altre annualità prese in considerazione (2016, 2017, 2018 e 2022, mentre nulla è stato precisato in ordine all'annualità 2019) la stessa Amministrazione ha ritenuto sussistente il prescritto requisito reddituale. Sotto questo profilo, pertanto, il provvedimento è illegittimo e deve essere annullato, restando salvo il potere dell'Amministrazione di rivalutare il requisito reddituale nei termini e modi sopra specificati, che costituiscono portato conformativo della presente pronuncia di annullamento. Non può, invece, essere accolta la domanda con cui la ricorrente chiede che sia concessa la cittadinanza italiana (rectius chiede la condanna dell'Amministrazione a rilasciare il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana). Premesso che il giudice non può pronunciarsi su poteri amministrativi non ancora esercitati, ai sensi dell'art. 34, comma 2, del CPA -circostanza sussistente nel caso in esame, atteso che l'Amministrazione, in sede di riedizione del potere, deve pronunciarsi, sulla base dei principi sopra evidenziati, sulla domanda presentata dalla ricorrente -, si osserva che la materia in questione è connotata da ampia discrezionalità ; la stessa ricorrente, invero, afferma (pag. 5 del ricorso) che il provvedimento di concessione della cittadinanza è caratterizzato da un elevato grado di discrezionalità . Pertanto, la domanda di condanna dell'Amministrazione a rilasciare il provvedimento richiesto non può essere accolta in quanto è precluso al giudice amministrativo di pronunciare condanne ad adottare uno specifico provvedimento in materie connotate da discrezionalità, giusta il combinato disposto di cui agli art. 30 e 34, comma 1, lett. c) del CPA. Le spese di causa, stante l'evidente particolarità della controversia, vanno interamente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei termini di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Carpentieri - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere Alessio Falferi - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 138 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Questura di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via (...); per l'annullamento del decreto prot. n. -OMISSIS- emesso dal Prefetto di -OMISSIS- in data 16/03/2021. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Paola Pozzani e udito per parte ricorrente il difensore come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo il ricorrente ha chiesto l'annullamento, previa sospensione, del decreto prot. n. -OMISSIS- emesso dal Prefetto di -OMISSIS- in data 16 marzo 2021, recante il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti. L'Amministrazione, costituitasi in giudizio il 21 giugno 2021, ha depositato una relazione sui fatti di causa il 22 giugno 2021. Con ordinanza n. 112 del 15 luglio 2021 questo Tribunale ha respinto l'istanza cautelare "Rilevato: che in data 23 dicembre 2020, il Ricorrente veniva "sorpreso... in evidente esercizio di attività venatoria" in area interdetta (Parco regionale fluviale del -OMISSIS-) e deferito all'Autorità giudiziaria; che in data 12 gennaio 2021, la Questura proponeva al Prefetto l'adozione a carico del Ricorrente del divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti; che il Prefetto, ritenendo essere venuti meno i requisiti di affidabilità in capo al Ricorrente, adottava il decreto in questione con decreto del 16 marzo 2021; Considerato che, ad un primo sommario esame, la misura adottata, avuto riguardo alla condotta contestata, non si presenti come palesemente irragionevole o illogica". Con ordinanza presidenziale n. 46 del 15 febbraio 2024 si è chiesto alle parti di comunicare se fossero intervenuti fatti o atti ulteriori nel corso del giudizio e alla parte ricorrente di confermare l'attualità dell'interesse alla definizione del giudizio. Con atto depositato in giudizio il 12 aprile 2024 il ricorrente ha dichiarato la permanenza dell'interesse alla decisione anche alla luce dell'esito del procedimento penale posto alla base del provvedimento impugnato. Alla pubblica udienza del 18 settembre 2024, udito il difensore di parte ricorrente, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Parte ricorrente rappresenta che a seguito di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, in data 23 marzo 2021, la Prefettura di -OMISSIS- notificava al signor -OMISSIS- il decreto prot. n. -OMISSIS- datato 16 marzo 2021, recante il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti. La difesa attorea evidenzia che tale divieto trae origine esclusivamente dalla circostanza che il Sig. -OMISSIS- era stato denunciato alla Procura della Repubblica di -OMISSIS- per i reati di cui all'art. 30, comma 1, lettera d), L. n. 157 del 11 febbraio 1992 e di cui all'art. 11, comma 3, lettera f), L. n. 394 del 6 dicembre 1991 (esercizio di attività venatoria nell'area del "parco regionale fluviale del -OMISSIS-"); il ricorrente precisa che, sapendo di recarsi in un territorio in cui non era solito esercitare l'attività venatoria e non essendo la zona delimitata da tabelle indicanti il divieto di caccia, prima di iniziare la battuta di caccia egli ha contattato telefonicamente un operatore dell'Ambito Territoriale di caccia -OMISSIS- il quale gli ha confermato - a voce - che nella zona in cui si trovava era possibile esercitare l'attività venatoria. In conseguenza di ciò, secondo la prospettazione attorea, ritenendo di operare in un territorio in cui l'attività venatoria era pienamente consentita, l'interessato ha provveduto ad indicare sul proprio tesserino venatorio - successivamente sequestrato dalla Polizia di Stato - la data della giornata di caccia ed ha indossato gli indumenti ad alta visibilità richiesti dai regolamenti venatori per poter esercitare la caccia in piena sicurezza; per completezza, aggiunge l'esponente, egli ha sparato un colpo (ad un'anatra) senza però abbattere alcun animale. Alla comunicazione della notizia di reato in data 23 dicembre 2020 ha fatto seguito il procedimento penale n. -OMISSIS- R.G.N.R. avanti la Procura della Repubblica di -OMISSIS-, e sulla base della mera pendenza di questo procedimento penale, la Prefettura di -OMISSIS-, nel mese di febbraio 2021, ha comunicato l'avviso di avvio del procedimento di divieto. Poi è stato adottato il provvedimento oggetto di impugnativa. Con l'unico motivo di ricorso "Violazione di legge ed eccesso di potere. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 10, 11, 31, 38, 39, 43 e 43 del R.D. n. 773/1931, e degli artt. 1, 3, 6, della Legge 241/1990, degli artt. 23, 27 e 97 Costituzione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, insufficienza, erroneità, carenza della motivazione, manifesta illogicità e sproporzionalità della misura adottata" il ricorrente lamenta che con il provvedimento gravato, a fronte dell'esercizio di attività venatoria nel rispetto di tutte le norme di sicurezza - come descritte in narrativa -, sarebbe stata inibita la detenzione delle armi esclusivamente sulla base dell'avvio di un procedimento penale. In particolare, la difesa attorea sottolinea la non intenzionalità dell'esercizio dell'attività venatoria all'interno di un parco inibito rappresentando che la cartellonistica di divieto non era presente nel parco menzionato; inoltre non vi sarebbe stata in concreto alcuna lesione del bene giuridico (in quanto pur essendo stato sparato un colpo, nessun animale è stato abbattuto). Tali i fatti esposti, secondo la prospettazione attorea l'iter logico e argomentativo seguito dall'Amministrazione intimata nell'emanare il provvedimento impugnato risulterebbe viziato, in primo luogo, perché essa avrebbe desunto una negligenza nella gestione delle armi e, dunque, un pericolo di abuso delle medesime da parte del ricorrente, dalla mera pendenza del procedimento penale citato; a prova di ciò la difesa attorea riporta alcuni passaggi motivazionali del provvedimento gravato laddove si afferma che "le circostanze sopra descritte" (ossia, sottolinea l'esponente, la denuncia presentata nei confronti del signor -OMISSIS- per esercizio di attività venatoria nell'area del "parco regionale fluviale del -OMISSIS-") "dimostrano l'assoluta assenza del requisito della piena ed incondizionata affidabilità nell'uso e nella detenzione della armi" sulla base dell'assunto per cui "l'autorizzazione alla detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti postula che il beneficiario osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell'ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza" (con riferimento al doc. 1 in actis). Sarebbe, ad avviso del ricorrente, perciò evidente che l'Amministrazione non ha svolto nessun autonomo accertamento e nessuna autonoma valutazione dell'episodio (per esempio testimonianze): in particolare, nel caso di specie l'unica circostanza sulla quale si fonda il diniego, quindi la pretesa mancanza della buona condotta del ricorrente, sarebbe un episodio, sporadico, tutto da accertare nella sua concreta dinamica, rispetto al quale l'Amministrazione avrebbe dovuto compiere un più approfondito accertamento dei fatti, non limitandosi - secondo una prassi che invero non pare condivisibile - al mero automatismo tra notizia di reato e provvedimento inibitorio. Parte ricorrente sottolinea, inoltre, che risulterebbe del tutto carente la doverosa valutazione della incensuratezza, della complessiva personalità del signor -OMISSIS- e dell'assenza di frequentazioni sospette, elementi che l'Amministrazione avrebbe potuto e dovuto raccogliere acquisendo uno specifico rapporto informativo; sarebbe assente, altresì, qualsivoglia giudizio prognostico sul rischio che il signor -OMISSIS- effettivamente abusi delle armi, rammentando che di recente la giustizia amministrativa ha affermato che "il pericolo di abuso delle armi non solo deve essere comprovato, ma richiede un'adeguata valutazione oltre che del singolo episodio, anche della personalità del soggetto sospettato che possa giustificare un giudizio prognostico sulla sua sopravvenuta inaffidabilità (T.A.R. Umbria, Sez. I, 23 gennaio 2017, n. 97; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. III, 12 dicembre 2012, n. 2147; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 10 novembre 2011, n. 1350; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 12 luglio 2010, n. 16669)" (con riferimento a T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 28 aprile 2020, n. 832). Nell'atto dichiarativo della permanenza dell'interesse alla decisione in epigrafe indicato, la difesa attorea, nel ribadire la propria tesi difensiva, aggiunge che per i fatti sopra descritti si era instaurato, avanti il Tribunale di -OMISSIS-, il procedimento penale n. -OMISSIS- R.G.N.R. nel quale il signor -OMISSIS- era imputato della contravvenzione prevista e punita dagli artt. 11, comma 3, lettera f) e 30, comma 1, della Legge n. 394/91 (capo A), nonché della contravvenzione di cui all'art. 30, comma 1, lettera d) della Legge n. 157/1992 (capo B); l'esponente aggiunge che il predetto procedimento penale si è concluso, in data 2 novembre 2023, con la pronuncia della sentenza n. -OMISSIS- Reg. Sent. - depositata in data 7 novembre 2023 -, con la quale il Tribunale di -OMISSIS- lo ha dichiarato non punibile per la contravvenzione di cui al capo d'imputazione A) per particolare tenuità del fatto, e lo ha assolto dalla contravvenzione di cui al capo d'imputazione B) perché il fatto non sussiste (con riferimento al doc. 1 depositato in giudizio con numerazione progressiva riferita all'atto dichiarativo dell'interesse alla decisione). Conclude il ricorrente che il divieto di detenzione armi impugnato, basato all'origine su di un procedimento penale poi concluso in senso favorevole all'imputato, non ha più alcuna ragione di essere mantenuto e deve essere rimosso nel caso non siano sopraggiunti altri elementi ostativi, che nel caso di specie sarebbero del tutto inesistenti; evidenzia, inoltre, parte attrice che lo stesso giudice penale, a pagina 5 della parte motiva della sentenza, sottolinea "il contegno assolutamente collaborativo nei confronti delle forze dell'ordine tenuto da -OMISSIS-. L'imputato è inoltre totalmente incensurato e il fatto può certamente dirsi occasionale". La difesa attorea sottolinea che "il provvedimento di divieto di detenzione di armi non può avere efficacia sine die, laddove sia venuta meno l'attualità del giudizio di pericolosità in precedenza espresso, non rispondendo in tal caso ad alcun interesse pubblico la protrazione a tempo indeterminato del divieto" (con riferimento a T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 11 ottobre 2023, n. 5550) e che "è onere dell'autorità amministrativa, d'iniziativa o su istanza di parte, valutare la vicenda per cui è causa, alla luce di tutte le risultanze successivamente emerse in ambito penale e amministrativo, in uno con la condotta successivamente tenuta dal ricorrente, proprio al fine di revocare, eventualmente, l'adottata misura inibitoria" (con riferimento a T.A.R. Lazio, Sezione I, sentenza n. 2090/2024). Nella relazione depositata dall'UTG - Prefettura di -OMISSIS-, si evidenzia che l'impugnato provvedimento trae origine dalla nota del 12 gennaio 2021 (allegato n. 3 alla relazione) con la quale la Questura di -OMISSIS- ne ha proposto l'adozione in quanto il ricorrente, colto dalla Polizia di Stato in evidente esercizio di attività venatoria nell'area protetta del Parco regionale fluviale del -OMISSIS-, era stato denunciato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS- poiché ritenuto responsabile per violazione della L. 6 dicembre 1981, n. 394 in materia di aree protette e della L. 11 febbraio 1992, n. 157 in materia di protezione della fauna. In diritto, l'Amministrazione sottolinea che la disposizione di cui all'art. 39 T.U.L.P.S. impone il divieto di detenzione di armi qualora, indipendentemente dalle risultanze penali, il soggetto non dia più garanzia di piena affidabilità nell'uso delle armi: tale uso impone particolare diligenza nelle norme relative alla custodia e alla detenzione. Di conseguenza, l'Autorità di Pubblica Sicurezza, a tutela dei beni protetti dalle citate norme, ha l'obbligo, in relazione ai titolari delle autorizzazioni di polizia in materia, di prevenire qualunque evento pregiudizievole per i beni normativamente garantiti a fronte di fatti o atti che per l'intrinseca riprovevolezza o comunque idoneità ad arrecare qualunque danno a se stessi o agli altri possano minare la fiducia nel corretto uso delle armi da parte di coloro che ne hanno la disponibilità . Conclude l'Amministrazione che il comportamento tenuto dal ricorrente all'interno della predetta area qualificata come protetta e permanentemente interdetta all'attività venatoria - munita di evidente cartellonistica - denota un comportamento superficiale di per sé indicativo di scarsa affidabilità e come tale da solo sufficiente a legittimare l'imposizione del divieto ai sensi dell'art. 39 del T.U.L.P.S. Illustrate le posizioni delle parti, il Collegio rileva che il fatto non è contestato nella sua dinamica: il ricorrente ha esercitato attività venatoria in zona inibita, confermando parte attrice l'ingresso nella zona protetta con l'arma e l'attrezzatura venatoria nonché l'esplosione del colpo al fine di colpire un animale. A giustificazione di ciò la difesa attorea adduce la buona fede del ricorrente che denuncia l'assenza di cartellonistica in loco, avviso che, invece, l'Amministrazione ha dichiarato presente. Tuttavia, va osservato che, oltre alla particolare qualificazione giuridica delle dichiarazioni del pubblico ufficiale della Polizia di Stato a suo tempo intervenuto - non contestate nella loro fede legale -, il titolare del porto d'armi, autorizzato a ciò in via d'eccezione rispetto al generale divieto, deve necessariamente agire con un livello di diligenza particolarmente qualificato in ragione della pericolosità della detenzione e dell'uso delle armi. Tale diligenza necessariamente comprende un onere di informarsi sulle zone ammesse alla caccia, da ritenersi particolarmente incisivo laddove tale delimitazione condiziona la legittimità dell'esercizio dell'attività venatoria. Pertanto la reclamata buona fede non può rinvenirsi nel caso di specie in ragione della violazione dell'onere di informarsi descritto. In proposito giova richiamare la pronuncia del T.A.R. Palermo, Sez. IV, n. 1850 del 30 maggio 2024, laddove si articolano le seguenti considerazioni, pienamente condivise da questo Collegio, sulla rilevanza oggettiva dell'esercizio dell'attività venatoria in zona inibita: "Nessuna contestazione è sorta, dunque, in relazione al fatto oggettivo dell'intervenuto ingresso del ricorrente all'interno dell'area protetta e in possesso dell'arma, la cui dinamica è invece confermata dalla convergente versione resa dal medesimo negli scritti difensivi. Sulla base di tale, non controverso, quadro fattuale la Questura ha, del tutto ragionevolmente, fondato la prognosi di inaffidabilità del ricorrente, la quale non presuppone l'accertamento di condotte effettivamente lesive dei beni giuridici tutelati, rendendosi sufficiente che, dagli elementi di fatto raccolti, emerga una concreta propensione dell'interessato ad abusare delle armi. La finalità preventiva che ispira i provvedimenti in materia di armi consente, infatti, di anticipare la soglia di protezione, arretrando l'intervento dell'amministrazione al momento in cui l'offensività della condotta abbia raggiunto la soglia del mero pericolo, purché oggettivamente accertato sulla base di concreti elementi di fatto. Ed allora, a prescindere dalla flagranza dell'attività venatoria, è la semplice constatata presenza del privato all'interno dell'area e in possesso di arma a giustificare l'intervento preventivo della Questura, teso ad evitare che la situazione di oggettivo pericolo per la sicurezza della fauna protetta degeneri in atti effettivamente offensivi di tali beni". Prosegue la citata pronuncia precisando che "La semplice integrazione della condotta tipica di introduzione delle armi in area protetta costituisce pertanto un'attività che si presume ope legis potenzialmente pericolosa per gli equilibri naturali della fauna protetta che, così come giustifica l'intervento sanzionatorio dell'autorità penale, a maggior ragione è tale da fondare il giudizio meramente preventivo della Questura ai fini della revoca della licenza in materia di armi. Ciò a prescindere dall'esistenza di una condanna, considerato che il secondo comma dell'art. 43 del T.U.L.P.S. riconosce all'amministrazione il potere di trarre dalle condotte oggettivamente riscontrate a carico del titolare della licenza elementi sintomatici valorizzabili ai fini del giudizio di pericolosità, sebbene non abbiano ancora attinto la soglia di certezza propria della sentenza di condanna". Quanto all'ampiezza della discrezionalità amministrativa delineata dall'ordinamento in materia di divieto di detenzione di armi anche in relazione alle risultanze penali, il Collegio condivide quanto sostenuto in plurime decisioni di prime cure ritenendo il giudizio di affidabilità sufficientemente motivato in ragione di situazioni reputate dall'Autorità di pubblica sicurezza genericamente incompatibili con la "buona condotta" dell'interessato. Ex multis, il T.A.R Campania, Napoli, Sez. V, n. 210 dell'8 gennaio 2024, ha chiarito i principi posti dall'ordinamento e dall'esegesi giurisprudenziale a presidio della tutela della sicurezza in materia di detenzione ed uso delle armi chiarendo che "Ai fini della decisione è opportuno definire il quadro normativo che attiene alla decisione e richiamare i fondamentali principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di autorizzazioni di polizia al porto d'armi, come segue: - la possibilità che la legge riconosce ai privati di detenere e portare armi non è oggetto di un diritto assoluto, ma è subordinata all'accertamento di rigorosi requisiti di affidabilità del richiedente e di necessità di disporre di un'arma (Corte Costituzionale 16 dicembre 1993, n. 440; Consiglio di Stato, sez. III, 25/03/2019, n. 1972); - l'Amministrazione competente a rilasciare l'autorizzazione al porto di un'arma esercita un potere ampiamente discrezionale di valutazione dell'affidabilità del richiedente, censurabile in caso di manifesta illogicità o irragionevolezza, carenza istruttoria o di motivazione (Consiglio di Stato, sez. III, 14/11/2022, n. 9971); - il giudizio di affidabilità del richiedente l'autorizzazione al porto e detenzione di armi, che presuppone l'assenza di un pericolo di un abuso delle armi, non esige particolari motivazioni quando egli risulti autore di atti di violenza contro persone e cose (Consiglio di Stato, sez. III, 24/08/2016, n. 3687; Consiglio di Stato, sez. I, 10/12/2011, n. 5389); - non è necessario, ai fini dell'esclusione dell'affidabilità del richiedente il porto d'armi, che sia intervenuta una condanna in sede penale (Consiglio di Stato, sez. III, 13/05/2022, n. 3795), così come la remissione di querela per fatti di reato e la stessa riabilitazione dopo la condanna non escludono che essi possano essere considerati ostativi al rilascio dell'autorizzazione (Consiglio di Stato, sez. III, 15/11/2018, n. 5448; Consiglio di Stato, sez. III, 1/4/2015, n. 1731); - il divieto di detenere armi anticipa, rispetto alla repressione dei reati, la soglia di tutela della sicurezza pubblica avendo dunque natura cautelare e preventiva (Cons. St., sez. III, 2 dicembre 2021, n. 8041) e pertanto il ritiro delle armi non richiede che ne sia dimostrato l'abuso (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2017, n. 1814); - l'art. 39, r.d. n. 773 del 1931, nel prevedere che "il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne", giustifica il divieto di detenere armi sulla base di elementi che fondino anche solo una ragionevole previsione di un uso inappropriato da parte del soggetto che ne ha la disponibilità (Consiglio di Stato, sez. III, 19/09/2022, n. 8078)." Nel caso di specie, ammessa la dinamica e la violazione delle norme di divieto di esercizio di attività venatoria in zona protetta, l'Amministrazione, preposta alla tutela dei beni protetti dalla normativa venatoria nonché al presidio della sicurezza ed incolumità pubblica, ha legittimamente proceduto al divieto de quo allo stato degli atti disponibili, autonomamente rivelatori di un comportamento di per sé indicativo di scarsa affidabilità e come tale da solo sufficiente a giustificare l'imposizione del divieto ai sensi dell'art. 39 del T.U.L.P.S. In definitiva, alla luce dell'esigenza prioritaria di tutela dei beni dell'ordine e della sicurezza pubblica, le valutazioni dell'Amministrazione risultano ragionevoli, proporzionate, non manifestamente incongrue o illogiche, e sono, come tali, insindacabili in sede di giudizio di legittimità . Per le ragioni esposte, pertanto, il ricorso è infondato. Le spese di lite possono essere compensate in ragione della peculiarità della vicenda. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità del ricorrente. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto, Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 308 del 2023, proposto da Ga. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), Unione Pedemontana Parmense, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti So.Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Er. Co., Ma. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Lu. Ug. S.r.l., Ce. Fi. S.p.A., non costituiti in giudizio; per l'annullamento a) del provvedimento 7/9/2023 dell'Unione Pedemontana Parmense - Sportello unico Attività produttive che ha rilasciato alla controinteressata il provvedimento conclusivo di SUAP relativamente all'intervento di rigenerazione urbana e ristrutturazione edilizia area ex salumificio Fi. in (omissis), via (omissis); b) del provvedimento, firmato in data 7/9/2023, con il quale il Comune di (omissis) ha comunicato allo Sportello Unico la conclusione dell'iter istruttorio per il rilascio del PdC n. 6/2023 per l'intervento assentito con il provvedimento sub a); c) del Permesso di Costruire Convenzionato e in deroga n. 6/2023 che il Comune di (omissis) ha rilasciato alla controinteressata per l'intervento assentito con il provvedimento sub a); d) della delibera 19/6/2023 n. 28 del Consiglio Comunale del Comune di (omissis); e) della delibera 9/5/2023 n. 64 della Giunta Municipale del Comune di (omissis); f) della delibera 31/7/2023 n. 44 del Consiglio Comunale del Comune di (omissis); Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e di Unione Pedemontana Parmense e di So.Co. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Paola Pozzani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento previa sospensione dei provvedimenti in epigrafe indicati con i quali è stato rilasciato il Permesso di Costruire Convenzionato e in deroga n. 6/2023 dal Comune di (omissis) alla controinteressata per l'intervento di rigenerazione urbana e ristrutturazione edilizia area ex salumificio Fi. in (omissis), via (omissis). La So.Co. S.r.l. si è costituita in giudizio spiegando le proprie difese con atto del 28 novembre 2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio l'1 dicembre 2023, ha depositato memoria l'1 dicembre 2023. L'Unione Pedemontana Parmense, costituitasi in giudizio l'1 dicembre 2023, ha depositato memoria difensiva in pari data. Alla camera di consiglio del 6 dicembre 2023 parte ricorrente ha rinunciato alla richiesta di misura cautelare. Con atto depositato in giudizio il 18 luglio 2024 l'Unione Pedemontana Parmense ha spiegato le proprie argomentazioni finali ed ha replicato alle avverse doglianze con atto del 26 luglio 2024. La ricorrente ha depositato in giudizio memoria conclusiva il 18 luglio 2024 e replicato alle avversarie controdeduzioni con atto del 26 luglio 2024. Il Comune resistente ha depositato in giudizio memoria finale il 18 luglio 2024 e di replica il 26 luglio 2024. La controinteressata So.Co. S.r.l. ha depositato memoria difensiva il 16 luglio 2024 e replicato con atto del 26 luglio 2024. Alla pubblica udienza del 18 settembre 2024 dopo la discussione la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Parte ricorrente ha evidenziato in punto di fatto che la Ga. è una società che esercita l'attività di vendita di despecializzato alimentare (con una SV fino a 1499 mq.) nonché di prodotti per animali - PET - (con una SV di 316 mq): tali attività vengono esercitate in (omissis), Largo (omissis), in locali posti a circa 700 ml dai luoghi di cui si discute e posti lungo la medesima arteria veicolare rispetto a quella ove dovrebbe sorgere l'esercizio autorizzato con gli atti gravati; da ciò la difesa attorea assume la piena legittimazione della ricorrente al ricorso (quale soggetto insediato nella zona) nonché il suo interesse al ricorso per l'evidente concorrenza che il nuovo esercizio farebbe alla ricorrente con il correlativo rilevante danno economico. In particolare l'esponente lamenta che: - lungo la via (omissis) il Comune di (omissis) ed il SUAP hanno assentito la completa ridefinizione dell'assetto dell'intera area ove sorgeva lo stabilimento di stagionatura ex Fi., prevedendo: a) la demolizione dell'esistente fabbricato (un solo fabbricato), b) la realizzazione di due nuovi fabbricati con destinazioni prima non ammesse con rilevanti modifiche planimetriche e la divisione in due distinti comparti, c) una completa rivisitazione degli spazi, dei parcheggi, della viabilità interna ed esterna al lotto, d) la realizzazione di opere fuori comparto da parte del soggetto attuatore (opere delle quali neppure si attesterebbe la conformità urbanistica); - le nuove destinazioni d'uso ammesse risulterebbero essere: U.5.2 medio grande struttura di vendita alimentare (SV fino a 1500 mq.), U.10 artigianato di servizio, U.6 pubblico esercizio, U.5.4 medio-piccola struttura di vendita non alimentare (SV fino a 800 mq.). Dagli elementi sopra riportati, parte attrice rappresenta che nella fattispecie non si tratterebbe di un intervento di ristrutturazione edilizia bensì, più propriamente, di un intervento di ristrutturazione urbanistica con la conseguente illegittimità dell'intero procedimento seguito dal Comune di (omissis). In punto di fatto la controinteressata ha precisato che: - si tratta di un intervento di recupero di un complesso produttivo già destinato alla stagionatura di salumi, da tempo dismesso nella sua attività, complesso produttivo che si trova in comune di (omissis) ed è distinto nel catasto di questo comune come segue: a. stabilimento industriale censito al catasto urbano di (omissis), al foglio (omissis), particelle (omissis) sub (omissis)Cat A\3 e sub (omissis) Cat D\7, in ditta alla Lu. Ug. S.r.l. alla stessa pervenuto mediante conferimento di cui all'atto costitutivo della società con rogito a ministero del Notaio Gu. Gi. in data 22 dicembre 1998 n. rep. 17891, racc. 4941 debitamente registrato; l'area di posa e pertinenza dello stabilimento industriale identificata dal foglio (omissis) particella (omissis) è estesa per mq 15410; b. terreni censiti al catasto terreni di (omissis): foglio (omissis) particella (omissis) bosco ceduo di mq 1790 - RD Euro 5,08 - RA Euro 1,66, foglio (omissis) - part. (omissis) - bosco ceduo di mq 540 - RD Euro 1,53 - RA Euro 0,50, foglio (omissis) - part. (omissis) - bosco ceduo di mq 340 - RD Euro 0,97 - RA Euro 0,32, foglio (omissis) - part. (omissis) - seminativo di mq 31.070 - RD Euro 144,42 - RA Euro 240,69, foglio (omissis) - part. (omissis) - seminativo di mq 1.500 - RD Euro 6,97 - RA Euro 11,62. I suddetti terreni appartengono alla Ce. Fi. S.p.A. in seguito ad atto di fusione per incorporazione della Ce. Fi. S.p.A. nella Ro. S.p.a. con rogito a ministero del Notaio Gu. Gi. di Roma del 12.12.2005 rep. 25968 racc. 9418; - dal punto di vista urbanistico, nel vigente strumento (PSC - piano strutturale comunale), l'area interessata dal complesso produttivo è così qualificata: "zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento (D5)"; - il compendio immobiliare è caratterizzato dalla presenza di un vetusto fabbricato a destinazione produttiva, avente una volumetria complessiva, nelle varie parti in cui è composto, di mc 54.156 circa, ubicata su un'area estesa mq 50.650 (tutta la proprietà a seguito dell'esproprio per realizzare una rotatoria in zona pari a mq. 2.523, risulterà pari a mq 48.127 al netto dell'area espropriata), con una superficie occupata e coperta pari a mq 4.538 circa (superficie costruita mq 10.626 circa): l'altezza del fabbricato oscilla dai mt 31 nei punti più alti, per passare gradualmente a mt 28, fino ad arrivare a mt. 24, nella parte di maggiore estensione; - il complesso immobiliare, nella parte direttamente interessata dal progetto di intervento in discussione, è ubicato, nel vigente PSC, all'interno del territorio urbanizzato, e l'intervento si caratterizza per la demolizione del dismesso fabbricato produttivo, con ricostruzione, pressoché sulla medesima area di sedime, di un nuovo compendio immobiliare con dimezzamento delle dimensioni volumetriche e di superficie utile e con dimezzamento della precedente altezza; - la superficie costruita passa dagli esistenti mq 10.626 ai mq 4.183, mentre il volume scende da mc complessivi 54.146 ai mc 31.320: l'altezza, anche prendendo a riferimento solo quella del corpo più grande, che è, come già visto, pari a mt 24, diventa, nella parte più alta, di mt 8, per scendere fino a mt 6. La controinteressata, alla luce dei dati soprariportati, evidenzia che la riduzione complessiva, che si intende apportare alla dimensione del compendio esistente, può definirsi significativa nell'ottica di riuso e/o rigenerazione urbana. Con il primo motivo di ricorso "Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto. Falsa rappresentazione. Difetto di motivazione. Violazione degli artt. 20 L. reg. n. 15/2013, dell'Allegato A tale Legge sub lett h), nonchè dell'art 13 L. reg. n. 24/2017" la ricorrente ha dedotto che non sussisterebbero i presupposti per il permesso di costruire in deroga ai sensi all'art. 20, comma 2-bis, L. R. n. 15/2013 che ammette la possibilità di rilasciare simile titolo nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia, qualora il Consiglio Comunale ne attesti l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento; la norma richiamata, sottolinea la difesa attorea, prevede siffatta modalità solo per gli interventi di ristrutturazione edilizia mentre tale possibilità non è prevista relativamente alle altre diverse e più ampie ipotesi quali sono gli interventi di ristrutturazione urbanistica. Quanto all'intervento di cui è causa, l'esponente lamenta che dalla descrizione presente nella relazione tecnica descrittiva allegata alla delibera C.C. 19/6/2023 n. 28 emergerebbe che lo stesso si sostanzia in un intervento di ristrutturazione urbanistica: dal raffronto tra le tavole dell'inquadramento catastale, ove compare un unico imponente fabbricato (pg. 2 della relazione tecnica), con quanto rappresentato a pag. 9 della relazione di inquadramento urbanistico dell'intervento, ove compaiono 2 edifici denominati comparto A e comparto B, una viabilità interna, dei parcheggi pubblici e le aree di cessione per verde, parcheggi e passaggi pedonali, oltre ad opere fuori comparto, scaturirebbe che si è in presenza di un radicale intervento di trasformazione di una area vasta (50.650 mq. è l'area di proprietà e 21.852 mq. l'area di intervento) ove, sulla base di quanto indicato nella relazione tecnica descrittiva, in luogo del preesistente fabbricato (che copre una superficie di circa 5.000 mq e si sviluppa su più piani per altezze massime di circa 28/32 ml per una superficie complessiva di circa 10.600 mq. ed un volume di circa 54.000 mc a destinazione produttiva), il soggetto proponente intende a) attivare attività commerciali e terziarie, b) demolire il preesistente fabbricato, c) realizzare n. 3 nuovi fabbricati con più unità immobiliari con altezze più contenute, distribuendo le superfici in modo più diffuso ed esteso, con ampi spazi verdi; d) realizzare una nuova strada di accesso di collegamento ad un parcheggio pubblico di nuova realizzazione (peraltro, sottolinea la difesa attorea, parcheggio di standard), e) realizzare un percorso pedonale lungo il lato ovest di via per (omissis), f) introdurre nuove destinazioni d'uso. Assume, quindi, da tali considerazioni parte attrice che si tratti di un intervento di ristrutturazione urbanistica come definito dalla lettera h) dell'allegato alla L. R. n. 15/2013 che definisce quali "interventi di ristrutturazione urbanistica" gli interventi rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale: la difesa attorea richiama a comprova della proposta lettura il disposto dell'art. 13 della L. R. n. 24/2017 quale indiretta conferma di ciò, visto che la deroga ha riguardato non solo le destinazioni di uso ammissibili ma anche il titolo abilitativo necessario poiché è stato introdotto il PdC convenzionato il luogo del PdC tout court previsto dal PRG. Stigmatizza l'esponente che la modifica del titolo edilizio per l'attuazione degli interventi non rientra tra le previsioni derogabili ex art. 20, comma 2-bis, L. R. n. 15/2013, con correlativa ulteriore dedotta illegittimità degli atti impugnati. Al riguardo la Ga. S.r.l. segnala che essa ha interesse anche sotto tale profilo poiché gli atti qui impugnati condizionavano il rilascio del permesso di costruire alla approvazione-sottoscrizione della convenzione urbanistica sicché la caducazione della previsione del PdC convenzionato comporta il venir meno del necessario (perché così deliberato) presupposto per tale rilascio. Rimarca la difesa attorea che i provvedimenti gravati sarebbero tutti finalizzati a rilasciare un permesso di costruire in deroga per un intervento diverso e più esteso rispetto a quello disciplinato dall'art. 20, comma 2-bis, L. reg. n. 15/2013 che consente il rilascio di un permesso di costruire in deroga solo per gli interventi di ristrutturazione edilizia e non per quelli di ristrutturazione urbanistica, che sono interventi profondamente diversi sicché l'ammissibilità dell'una o dell'altra forma di intervento deve essere prevista dallo strumento urbanistico generale. Secondo la prospettazione attorea, la ristrutturazione urbanistica comporta un intervento vasto che richiede adeguata ponderazione ed adeguata partecipazione: di norma gli interventi di ristrutturazione urbanistica sono attuati mediante PUA ovvero PRU e cioè atti di pianificazione soggetti al procedimento tipico dei piani attuativi, distinto in due fasi, quella di adozione e quella di approvazione (quest'ultima preceduta dalle osservazioni che chiunque può formulare). Evidenzia sul punto la ricorrente che nella fattispecie tutto il procedimento sarebbe stato sottratto alla fase delle osservazioni che il Comune non ha consentito restando del tutto irrilevante l'ipotetica partecipazione di cui il Comune fa cenno negli atti gravati, attività ben diversa dal consentire la reale partecipazione e la presentazione di osservazioni. La difesa attorea precisa che la formulata censura riguarda tutti gli atti impugnati in quanto tutti finalizzati e concorrenti a consentire il rilascio del PdC in deroga ed in particolare: 1) la delib. GM 9/5/2023 che ha avallato il procedimento in questione, ha ritenuto la sussistenza dell'interesse pubblico ed ha illegittimamente ritenuto - in difformità da quanto previsto dallo strumento urbanistico - la sussistenza dei presupposti per il rilascio di un PdC convenzionato allorquando il vigente PRG non lo prevede; 2) la delibera C.C. 19/6/2023 n. 28 che ha dichiarato la sussistenza dell'interesse pubblico al fine del rilascio del PdC in deroga e che lo stesso doveva essere un PdC convenzionato (mutamento di titolo edilizio che non rientra tra le deroghe ammesse dall'art. 20 L. reg. n. 15/2013); 3) la delibera C.C. 31/7/2023 che ha approvato lo schema di convenzione e ribadito la sussistenza dei presupposti per il rilascio del PdC convenzionato ed in deroga; 4) gli atti del SUAP e del Comune di (omissis) indicati in epigrafe che hanno dichiarato la positiva conclusione del procedimento, rilasciato il provvedimento conclusivo di SUAP e rilasciato il PdC convenzionato ed in deroga n. 6/2023. La controinteressata nella memoria di costituzione ha eccepito l'inammissibilità del ricorso in ragione del fatto che la addotta distanza di 700 metri, tra il nuovo previsto esercizio commerciale e quello della società ricorrente, escluderebbe l'interesse a ricorrere, dato dalla vicinitas, precisando che la distanza sarebbe di almeno di mt. 1000: non si tratterebbe nemmeno del medesimo bacino di utenza, non solo per la genericità della espressione, ma per la distanza che separa i due esercizi e la netta distinzione tra gli stessi, che ne consegue, rimarcando che il principio della concorrenza e della relativa libertà porta ad un criterio interpretativo che favorisca la attività economico commerciale. Sul primo motivo di gravame, volto a sostenere che l'art. 20, comma 2-bis della L.R. n. 15/2013 prevede la possibilità di rilasciare un permesso di costruire in deroga "solo per gli interventi di ristrutturazione edilizia, mentre del tutto correttamente tale possibilità non è prevista alle altre diverse e più ampie ipotesi quali sono gli interventi di ristrutturazione urbanistica", la difesa della controinteressata replica che: - la qualificazione da attribuire all'intervento realizzando va individuata alla luce di quanto prevede l'allegato alla L.R. n. 15/2013 ("definizione degli interventi edilizi") che, alla lettera f), dispone, tra l'altro, che "Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologie, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sulla accessibilità, per la installazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico"; - nella norma richiamata, sottolinea la So.Co., si puntualizza quanto segue: "Gli interventi di ristrutturazione edilizia sono rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto od in parte diverso dal precedente": da ciò la controinteressata desume che questa definizione, completata con la descrizione delle opere ricomprese nella categoria di intervento che ne occupa, fotografa l'intervento realizzando, così come descritto alla stessa pagina 6 del ricorso. L'intervento realizzando, pertanto, risulterebbe pianamente ascrivibile all'istituto della ristrutturazione edilizia, non sconfinando nella categoria della ristrutturazione urbanistica, dato che non stravolge lo stato dei luoghi, ma, semplicemente, rimedia alla situazione di degrado in cui si trovano. Inoltre, secondo la prospettazione della controdeducente, la natura stessa dell'intervento non sarebbe rilevante per due ragioni: - la prima discende dalla formulazione testuale dell'art. 20, comma 2-bis, della L.R. n. 15/2013, che, dopo aver elencato le condizioni per il rilascio del permesso di costruire in deroga, continua precisando che "... fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'art. 31, comma 2, del decreto legge 6/12/2011 n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214": a sua volta, l'art. 31 così richiamato prevede che "Secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto". Ad avviso di So.Co., considerato che l'apertura di nuovi esercizi commerciali non può essere sottoposta a contingentamenti "o altri vincoli", evidentemente, anche la qualificazione della categoria di intervento che li riguardi non può rappresentare un qualche ostacolo, dovendo lasciare il passo alla "libertà di stabilimento e libertà di prestazione di servizi"; - sulla seconda la controinteressata richiama il comma 3 dell'art. 20 della L.R. n. 15/2013 laddove prevede che "Si considerano di interesse pubblico gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché in via transitoria gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, per i quali è consentito richiedere il permesso in deroga qualora la pianificazione urbanistica non abbia dato attuazione all'art. 7 ter della L.R. 20/2000...": non avendo il Comune di (omissis) provveduto a dare attuazione alla norma così richiamata, ne conseguirebbe la rilasciabilità del permesso di costruire in deroga, alla sola condizione della realizzazione di un intervento di riuso e rigenerazione urbana, a prescindere dalla natura dell'intervento realizzando. La So.Co.. controdeduce sulla censura relativa alla scelta del permesso convenzionato in luogo del "PdC tout court previsto dal PRG" sottolineando che tale opzione risulta in completa "sintonia" con l'art. 11 della L. n. 241/90, che consente alle amministrazioni di "concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi ed in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo": tale modalità di azione amministrativa non esulerebbe dall'ambito del permesso di costruire in deroga, non essendo questa la finalità della sottoscrivenda convenzione, che è volta a regolare e disciplinare, anche sotto il profilo delle garanzie riconosciute al Comune, l'intervento realizzando. Quanto al provvedimento autorizzativo, la controinteressata evidenzia che la deliberazione del Consiglio comunale n. 28 del 19/6/2023, alla pagina 7, ritiene la proposta di rilascio del permesso di costruire in deroga "meritevole di considerazione in quanto: a) l'intervento proposto recupera un'area dismessa e già edificata all'interno del perimetro del territorio urbanizzato riducendo le superfici edificate ed i volumi esistenti; b) le nuove destinazioni d'uso previste costituiscono un elemento di integrazione e miglioramento della rete commerciale esistente ad oltre 15 anni dall'ultimo intervento significativo di potenziamento della rete; c) le nuove destinazioni d'uso sono comunque destinazioni d'uso generalmente previste dalle norme tecniche del PRG vigente e le stesse risultano ammissibili in quanto non presentano problematiche di accessibilità, di sicurezza e sono compatibili rispetto ai profili ambientali e dei beni culturali; d) le nuove funzioni integrano la rete commerciale esistente permettendo una nuova offerta commerciale parallela all'offerta esistente favorendo la concorrenza dell'offerta commerciale a vantaggio dell'intera collettività ; e) la previsione di nuovi spazi commerciali di buone dimensioni permette l'insediamento di nuove iniziative commerciali; f) la previsione di nuovi pubblici esercizi permette la nascita di nuovi punti di aggregazione in un nuovo contesto urbano ed in prossimità di importanti aree verdi pubbliche e di una rilevante emergenza ambientale rappresentata dal torrente Baganza; g) l'intervento si colloca lungo la rete di viabilità esistente caratterizzata oggi da un naturale utilizzo da parte degli abitanti non generando di fatto un significativo aumento del traffico; h) la realizzazione dei collegamenti ciclo pedonali permette di raggiungere l'area da parte di una consistente numero di abitanti insediati; i) la previsione delle aree pubbliche e la realizzazione delle piste ciclabili previste permette di collegare le aree del torrente Baganza agli insediamenti esistenti determinando un punto di accesso qualificato per lo sviluppo di un futuro percorso ciclo pedonale lungo il torrente ad integrazione dei percorsi recentemente sviluppati e promossi dalla amministrazione ed ipotizzati nei documenti di futura pianificazione; ...". Sulla prospettata illegittima pretermissione della fase partecipativa, la So.Co.. ha sottolineato che nessuna norma prevede tale fase procedimentale, la cui omissione non può, di conseguenza, condizionare la legittimità dell'atto finale della procedura di deroga. L'Unione Pedemontana Parmense ed il Comune di (omissis) hanno evidenziato in fatto che: - la società So.Co.. S.r.l., in qualità di promissaria acquirente e munita di procura speciale firmata dai rappresentanti di Fi. e Ug., presentava al SUAP del Comune di (omissis) un'istanza, con allegata la relativa documentazione (pratica SUAP n. 429/2023/SUAP/UPP), acquisita agli atti dell'Unione Pedemontana in data 4 aprile 2023 (prot. n. 6381, doc. 1 in actis), volta ad ottenere un permesso di costruire convenzionato e in deroga, ex artt. 19-bis e 20, L.R. n. 15/2013, per l'esecuzione di alcuni interventi di rigenerazione urbana e di ristrutturazione edilizia nell'area ex salumificio Fi., posta in via (omissis); - tale area è classificata dal vigente strumento urbanistico come Zona D5-zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento, regolamentata dall'art. 40 delle vigenti NTA, all'interno della quale è presente un aggregato di fabbricati multipiano a destinazione produttiva ed una tettoia per una superficie coperta di oltre 4.600 mq, una superficie costruita di oltre 10.600 mq ed un volume complessivo di oltre 54.000 mc; - a seguito di istruttoria, con delibera n. 64 del 09.05.2023 la Giunta del Comune di (omissis) deliberava di proporre al Consiglio comunale la valutazione preventiva dell'interesse pubblico per la concessione in deroga alle destinazioni d'uso richieste, ex art. 20 L.R. n. 15/2013, nelle more della conclusione della conferenza di servizi, dopo aver rilevato che, con l'intervento proposto, si intende "recuperare un'area desueta, riattivando attività commerciali e terziarie a servizio della comunità, riqualificando l'area attraverso il riequilibrio di volumi e funzioni, nel rispetto dei vincoli presenti. Il progetto prevede quindi la demolizione dei preesistenti fabbricati ad uso commerciale produttivo per il settore alimentare (ex-stagionatura prosciutti), facile occasione di degrado, e la nuova edificazione di fabbricati di minore impatto volumetrico a servizio delle residenze e delle attività limitrofe, da destinare ad usi commerciali e di servizio" e che "i nuovi fabbricati occupano superfici e volumi inferiori di circa il 50% rispetto a quelli esistenti" (con riferimento al doc. 7 in actis); - nella medesima delibera di Giunta, tenuto conto che, in base alla normativa statale e regionale vigente, "si considerano di interesse pubblico gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, di contenimento del consumo del suolo ed infine di recupero sociale ed urbano dell'insediamento", si precisava che è da ritenere che "sussist[a] l'interesse pubblico dell'operazione trattandosi di intervento di riuso e di rigenerazione urbana di area dismessa da anni, nonché per i risvolti economici e sociali anche in termini occupazionali"; - con nota del SUAP (prot. 10666) del 6 giugno 2023 veniva convocata, in data 15 giugno 2023, la prima seduta della conferenza di servizi (con riferimento al doc. 8 in actis), durante la quale - come risulta dal verbale della stessa (con riferimento al doc. 9 in actis) - si concordava di demandare al SUAP di procedere anche in funzione dell'esito dei pareri/autorizzazioni che sarebbero pervenuti a riscontro della presentazione della documentazione integrativa da parte del proponente; - con delibera del Consiglio comunale di (omissis) n. 28 del 19 giugno 2023, dopo aver dato conto di tutta la documentazione tecnica allegata all'istanza di permesso di costruire convenzionato e in deroga, si attestava l'interesse pubblico dell'intervento proposto, ex art. 20 L.R. n. 15/2013, confermandosi quanto già rilevato nella delibera di Giunta, tra cui, segnatamente, il fatto che la proposta pervenuta doveva considerarsi meritevole di considerazione per le ragioni riportate in narrativa dalla difesa delle due Amministrazioni (con riferimento al doc. 10 in actis); - con successiva deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 44 del 31 luglio 2023 si provvedeva all'approvazione dello schema di convenzione attuativa - quale atto terminale del procedimento e di regolazione e sintesi degli interventi coinvolti -, alla cui sottoscrizione risulta subordinata l'efficacia del permesso di costruire, dandosi altresì atto che sussistono i presupposti per il rilascio del medesimo permesso di costruire ai sensi degli artt. 19-bis e 20 L.R. n. 15/2013 (con riferimento al doc. 11 in actis), e rilevandosi che: " - l'intervento proposto rientra nei casi previsti per l'applicazione del Contributo straordinario (CS) ai sensi dell'art. 16 comma 4 lett. d-ter del DPR 380/2001 e articoli 4.4. e 4.5. della D.A.L. 186/2018 (Disciplina del contributo di costruzione ai sensi del titolo III della legge regionale 30 luglio 2013, n. 15 "Semplificazione della disciplina edilizia", in attuazione degli articoli 16 e 19 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia"), da versare nella misura pari al 50% del Maggior Valore Generato dalla Trasformazione (MVGT); - in applicazione agli articoli sopra richiamati a fronte dei costi di trasformazione e la significativa riduzione delle volumetrie insediabili la deroga alle destinazioni d'uso non configura di fatto un aumento di valore delle aree; - il soggetto attuatore si è reso comunque disponibile a realizzare opere di urbanizzazione utili a qualificare l'ambito di intervento, tra cui le strade, piste ciclabili e le aree di verde pubblico"; Le Amministrazioni eccepiscono preliminarmente l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione e per carenza di interesse ad agire, sotto due profili. Il primo attiene al rilievo che la società ricorrente, al di là di una sommaria allegazione circa il fatto di esercitare un'attività di vendita alimentare despecializzata, posta sulla stessa arteria veicolare, non avrebbe dimostrato di subire un effettivo pregiudizio: la difesa delle resistenti sottolinea che il requisito della vicinitas ai fini della sussistenza dell'interesse a ricorrere, con riguardo ai titolari di attività commerciali insediate nelle vicinanze, non è sufficiente, dovendo essere dimostrato anche il concreto pregiudizio, che, in ipotesi di tal fatta, è individuabile in un pregiudizio almeno potenziale ai propri fatturati derivante dall'intervento in questione (con rinvio a Cons. Stato, Sez. V, 21 aprile 2021, n. 3247, Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2019, n. 2025). In secundis, gli Enti stigmatizzano che l'esponente medesima riconosce che l'eventuale pregiudizio risulterà configurabile nella sola ipotesi in cui sia dimostrato - ma, come viene addotto nel ricorso, potrà esserlo eventualmente allorquando sarà acquisita tutta la documentazione progettuale allo stato non ancora reperita (si veda il punto 5 a pag. 4 del ricorso) - che l'intervento assentito è riconducibile ad una ipotesi di ristrutturazione urbanistica, anziché di ristrutturazione edilizia; pertanto, il pregiudizio che sarebbe patito dalla ricorrente risulterebbe del tutto ipotetico, non essendo, al momento, in mancanza di detta documentazione, neppure ipotizzabile che l'intervento non sia qualificabile come un intervento di ristrutturazione edilizia e che gli atti impugnati presentino vizi di legittimità . Quanto al primo motivo di ricorso, le Amministrazioni rammentano che il permesso di costruire in deroga è previsto dall'art. 14 D.P.R. n. 380/2001, che, al comma 1-bis, stabilisce che "per gli interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214"; quest'ultima disposizione prevede, in particolare, che, in base al diritto eurounitario, "costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali". Di conseguenza, sintetizzano le controdeducenti, per ottenere il permesso di costruire in deroga per interventi di ristrutturazione edilizia è necessario: i) che sia approvata una deliberazione del Consiglio comunale con cui si attesti l'interesse pubblico di tali interventi di ristrutturazione edilizia; ii) che l'interesse pubblico sotteso a tali interventi sia individuabile nella realizzazione di finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento; iii) che, in ogni caso, si tenga conto che, allorquando si intendono realizzare insediamenti commerciali, deve essere garantita la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, configurando la stessa un principio generale dell'ordinamento nazionale. Le Amministrazioni aggiungono che tale disposizione legislativa nazionale è stata completata da alcune disposizioni regionali, ossia dall'art. 20, commi 2-bis e 3, L.R. n. 15/2013: mentre al comma 2-bis, in conformità a quanto stabilito dall'art. 14, comma 1-bis, D.P.R. n. 380/2001, si ribadisce che sono di interesse pubblico gli interventi di ristrutturazione edilizia "limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento", al successivo comma 3 si aggiunge che "si considerano di interesse pubblico gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché, in via transitoria, gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, per i quali è consentito richiedere il permesso in deroga qualora la pianificazione urbanistica non abbia dato attuazione all'articolo 7 ter della legge regionale n. 20 del 2000 e all'articolo 39 della legge regionale 21 dicembre 2012, n. 19". Nella fattispecie, sottolineano gli Enti, come emergerebbe in modo espresso da quanto riportato nella deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 28 del 19.06.2023 (doc. 10 in actis), il Comune resistente non aveva dato corso a quanto previsto dall'art. 7-ter L.R. n. 20/2000 e dall'art. 39 L.R. n. 19/2012, di tal che dovevano considerarsi soddisfatte le condizioni previste dall'art. 20, comma 3, L.R. n. 15/2013 per il rilascio di un permesso di costruire in deroga, con riguardo ad interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente. Dai citati riferimenti di diritto positivo le controdeducenti assumono che un intervento di ristrutturazione edilizia non si pone in contrapposizione rispetto (potendo essere giustapposto) a interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio, essendo tutti realizzabili mediante un permesso di costruire in deroga. Nel caso concreto, come viene riportato nell'atto dell'Unione Pedemontana Parmense (prat. SUAP prot. n. 6381/2023) del 15 giugno 2023 (doc. 9 in actis), il procedimento unico avviato per il rilascio del predetto permesso di costruire riguarda un intervento di rigenerazione urbana e di ristrutturazione edilizia nell'area ex salumificio Fi. e, inoltre, con il permesso di costruire si è inteso anche disciplinare la corresponsione del contributo straordinario, ai sensi dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), D.P.R. n. 380/2001 - dal momento che, nelle more dell'approvazione del PUG, in base alla delibera dell'Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna n. 186 del 20 dicembre 2018, recepita dal Comune di (omissis) con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 44 del 27.09.2019, richiamata dalla deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 44 del 31.07.2023 (doc. 11 in actis), il contributo straordinario deve essere applicato anche all'interno del territorio urbanizzato in caso di permessi di costruire in deroga - sotto forma di opere pubbliche e di cessione di aree, con riferimento alle quali la normativa vigente prescrive che sia acquisito un permesso di costruire (anche) convenzionato. Sul permesso di costruire convenzionato occorre, ad avviso delle Amministrazioni, in particolare tener conto che, al comma 1 dell'art. 19-bis L.R. n. 15/2013, si stabilisce che "è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato, quando lo strumento urbanistico generale stabilisca la disciplina di dettaglio degli interventi e ne valuti compiutamente gli effetti ambientali e territoriali", mentre al comma 2 del medesimo articolo si dispone che "la convenzione, approvata con delibera del consiglio comunale, specifica gli obblighi funzionali alla contestuale realizzazione delle dotazioni territoriali, delle infrastrutture per la mobilità, delle reti e dei servizi pubblici, delle dotazioni ecologiche e ambientali e delle misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale, prescritti dal piano vigente ovvero oggetto di precedenti atti negoziali" e al comma 3 del medesimo articolo si prevede che la convenzione stabilisce, tra l'altro, "b) il cronoprogramma degli interventi, con la determinazione del termine perentorio entro il quale si darà inizio ai lavori e le modalità di realizzazione degli stessi; c) le garanzie finanziarie che il privato si impegna a prestare, per assicurare la realizzazione e cessione al Comune delle opere pubbliche oggetto degli obblighi assunti in convenzione". Nella fattispecie, le opere che il soggetto attuatore, la ditta odierna controinteressata, si è impegnato a realizzare (i.e. strade, piste ciclabili, aree di verde pubblico) sono tutte opere di urbanizzazione, come si desume dall'art. 16, comma 7, D.P.R. n. 380/2001 (rinviando sull'afferenza alle strade residenziali delle piste ciclabili a Cons. Stato, Sez. V, 25 giugno 2007, n. 3637), e dal verbale della deliberazione del Consiglio comunale n. 44 del 31.07.2023 (doc. 11 in actis): tali opere, stigmatizzano gli Enti, trattandosi di opere di urbanizzazione primaria, in quanto tali sono compatibili con qualsivoglia destinazione urbanistica di zona. Quanto alla destinazione urbanistica, le Amministrazioni aggiungono che nella deliberazione della Giunta comunale n. 64 del 9 maggio 2023 (doc. 7 in actis) e nella deliberazione del Consiglio comunale n. 28 del 19 giugno 2023 (doc. 10 in actis) si precisa che l'area oggetto del permesso di costruire è classificata dal vigente strumento urbanistico come zona D5-zone industriali e che la deroga richiesta è relativa alle destinazioni d'uso per l'introduzione degli usi U.5.2 medio grande struttura di vendita alimentare (SV fino a 1500 mq), U.10 artigianato di servizio, U.6 pubblico esercizio, e che la medesima riguarda un intervento specifico, restando l'area classificata come Zona D5-zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento, regolamentata dall'art. 40 delle vigenti NTA; pertanto, concludono le Amministrazioni, tali modificazioni alle destinazioni d'uso preesistenti sono da considerare legittime, sia in ragione del fatto che rientrano nel novero delle destinazioni d'uso ammesse dagli strumenti urbanistici vigenti (rinviando a T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 21 giugno 2006, n. 875 e T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 26 novembre 2009, n. 792), sia per il fatto che non comportano un aumento della superficie coperta prima dell'intervento previsto, risultando dunque conformi agli strumenti urbanistici vigenti (con riferimento a Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 2015, n. 1444). In punto di presunta incompatibilità con gli strumenti urbanistici vigenti dell'intervento oggetto del premesso di costruire convenzionato e in deroga, che avrebbe richiesto una nuova pianificazione urbanistica, le Amministrazioni ritengono che le argomentazioni attoree siano del tutto generiche. Con il secondo motivo "Violazione del principio di buona ammnistrazione e di imparzialità . Difetto di motivazione. Perplessità " la ricorrente ha dedotto che dagli atti del procedimento (ed in particolare dalle impugnate delibere di Giunta e di Consiglio Comunale) risulta che il Comune avrebbe deciso di avvalersi di ignoti consulenti, i cui onorari erano a carico della controinteressata: la difesa attorea sottolinea che di tali consulenti non risulterebbe la nomina da parte del Comune, né eventuali pareri di legittimità, rimarcando che ciò avrebbe privato il Comune di un supporto imparziale del quale non vi sarebbe traccia negli atti impugnati, che - ad avviso della ricorrente - sembrerebbero stati redatti dallo stesso proponente in considerazione del fatto che il Comune non avrebbe assunto alcuna valutazione autonoma o critica, incluse quelle relative alla opere fuori comparto ed al fatto che l'intervento non dovrebbe sottrarsi al pagamento di alcun contributo straordinario (il che avrebbe privato il Comune di (omissis) della possibilità di incassare una somma considerevole). Sul punto la controinteressata, oltre ad eccepire la genericità delle censure attoree, rimarca l'inesistenza di alcun obbligo riguardante il ricorso ad un aiuto esterno il quale, se richiesto in futuro, non comporterà un onere a carico della parte pubblica, visto quanto previsto nello schema di convenzione sottoscrivenda. Le Amministrazioni resistenti evidenziano che la circostanza che le spese necessarie possano essere addossate al privato non dovrebbe destare alcuna perplessità, non soltanto perché è ciò che normalmente avviene con riferimento all'istruttoria che viene compiuta in relazione a piani particolareggiati, ma anche in ragione del fatto che, nel conferimento dei medesimi incarichi, l'Amministrazione non potrà che seguire le procedure previste dalla normativa vigente a presidio dell'imparzialità e del buon andamento, a nulla rilevando quale sia la fonte di finanziamento di tali spese. In ogni caso, si tratterebbe di un motivo inammissibile, atteso che con il ricorso non si è inteso contestare il conferimento di specifici incarichi, con riferimento ai quali non si vede quale sia l'interesse a ricorrere della odierna ricorrente: la presunta ed adombrata collusione dell'Ente con il privato sarebbe pretestuosa e da azionarsi, in ogni caso, avanti le competenti Procure. Con il terzo motivo "Violazione dell'art. 6 D.L.vo n. 152/2006. Difetto di istruttoria e di motivazione" la ricorrente censura il mancato ricorso alla procedura di Valutazione ambientale strategica. In particolare, rappresenta che l'art. 6 D.Lgs. n. 152/2006 al comma 2, lett. a), prevede che deve essere effettuata una V.A.S. per tutti i piani ed i programmi elaborati per la valutazione della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli: tale norma, sottolinea la difesa attorea, deve intendersi comprensiva anche delle ipotesi di permesso di costruire in deroga, quantomeno allorquando si tratta di modifica della destinazione di suoli di area di non modeste dimensioni (qual è quella in questione poiché l'area è estesa ben 50.650 mq) e con rilevante impatto sull'ambiente circostante, così com'è nel caso in esame in considerazione del fatto che in luogo di uno stabilimento di stagionatura prosciutti (con conseguente ridotta capacità attrattiva del traffico veicolare) vengono realizzate ben 2 strutture commerciali con correlativa grande attrattività che impatta in modo rilevante sul territorio felinese. Sul punto la controinteressata controdeduce che l'art. 6 del D. Lgs. n. 152/2006 non si applicherebbe agli interventi in questione poiché non hanno impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale: nel caso concreto, sottolinea la So.Co.., l'impatto può solo essere positivo, agendosi in rigenerazione di una zona che si trova in situazione di diffuso (e pacificamente accertato) stato di grave degrado ambientale ed urbanistico. Le Amministrazioni resistenti, sul terzo motivo di ricorso, ricordano che l'art. 6, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 152/2006 prevede che debba essere effettuata una V.A.S. con riguardo a piani e programmi "a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l'approvazione, l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, II-bis, III e IV del presente decreto". Nel caso di specie l'Amministrazione comunale e l'Unione dei Comuni non hanno inteso approvare alcun piano o programma, bensì avviare un procedimento unico rivolto al rilascio di un permesso di costruire convenzionato ed in deroga inerente ad un intervento di rigenerazione urbana e ristrutturazione edilizia di un'area dismessa e già edificata, all'interno del perimetro del territorio urbanizzato, che ha comportato - con riferimento alla ricostruzione dei fatti sopra riportata - una riduzione delle superfici edificate e dei volumi esistenti, escludendo un'incidenza significativa sull'ambiente circostante. Con il quarto motivo "Violazione dei principi generali e dell'obbligo di assentire interventi edilizi conformi agli strumenti urbanistici. Ulteriore violazione dell'art. 20 L. Reg. n. 15/2013" la ricorrente afferma che il Comune ha, altresì, assentito la realizzazione di una opera fuori comparto che non risulta essere stata dichiarata conforme allo strumento urbanistico, non oggetto di variante neppure sullo specifico punto: sarebbe, pertanto, evidente l'illegittimità degli atti impugnati per mancanza dell'attestazione della necessaria conformità urbanistica. La difesa attorea sottolinea l'interesse a tale censura in quanto ciò avrebbe sicuramente condizionato l'orientamento dei consiglieri votanti e, inoltre, tale intervento incrementerebbe l'accessibilità alle strutture concorrenti con quelle ove la ricorrente esercita le proprie attività . La controinteressata sul punto rileva che oggetto del contendere è un permesso in deroga a quanto prevede lo strumento urbanistico, per cui le eccezioni sollevate nel quarto motivo non terrebbero conto, evidentemente, di questa premessa; inoltre, i confini della deroga sono stati così delimitati a pagina 6 della deliberazione consiliare n. 28 del 19 giugno 2023 ove si precisa che "Tenuto conto che la deroga e la relativa convenzione riguardano l'intervento specifico restando l'area classificata come zona D5 - Zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento, regolamentato dall'art. 40 delle vigenti NTA", conclamando, ad avviso della controdeducente, la carenza di fondamento del motivo. Le Amministrazioni resistenti contestano l'assunto attoreo, rimarcando che l'opera in questione è costituita da un percorso pedonale e ciclabile, da realizzare lungo la Strada Provinciale ed intorno al perimetro della futura rotatoria all'incrocio con via Baldi fino al confine della proprietà del soggetto attuatore, della larghezza di ml. 2,50 e completo di sottofondo con geotessile, pavimentazione in ghiaia o calcestre con soluzioni alternative al cordolo in cemento e predisposizione per la futura realizzazione della pubblica illuminazione che si prevede sia realizzata, come risulta dalla documentazione tecnica, all'interno delle fasce di rispetto stradale. Si tratterebbe, dunque, di un'opera di supporto alle infrastrutture già esistenti e la cui realizzazione non richiederebbe alcuna modifica degli (essendo sempre consentita dagli) strumenti urbanistici vigenti, proprio in quanto risulta afferente a strade residenziali e viene realizzata all'interno delle fasce di rispetto. Illustrate le posizioni delle parti il Collegio ritiene di principiare dallo scrutinio della sollevata eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto del presupposto della c.d. vicinitas e per carenza dell'interesse al ricorso. Sul punto recentemente il Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 settembre 2024, n. 7371 ha rilevato che, come chiarito dall'Adunanza plenaria del 9 dicembre 2021, n. 22, la vicinitas non assorbe l'interesse a ricorrere e per tale ragione, in assenza di un simile interesse, la domanda proposta sulla base della mera vicinitas va dichiarata inammissibile: la rilevanza processuale della vicinitas va, infatti, sotto il profilo sistematico, ricondotta alla legittimazione a ricorrere che, in quanto tale, non può assorbire l'ulteriore condizione dell'azione costituita dall'interesse a ricorrere. In proposito, l'Adunanza plenaria, nella pronuncia citata, ha chiarito che la vicinitas comporta una sorta di presunzione dell'interesse a ricorrere e di conseguenza la necessità di allegazioni ulteriori o di prova in merito a tale interesse si configureranno soltanto in presenza di contestazioni delle parti o di richieste di chiarimenti del giudice. Ne discende che allorquando ricorre la fattispecie della c.d. vicinitas, la verifica dell'interesse a ricorrere assume normalmente una rilevanza in termini negativi: di interesse a ricorrere si tratta essenzialmente quando ne sia esclusa o contestata la sussistenza. Pertanto, la vicinitas non è sufficiente a dimostrare l'interesse a ricorrere, per il quale è necessaria l'allegazione di pregiudizi derivanti dall'atto impugnato. In particolare, la decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 agosto 2024, n. 7146 ha ribadito che il criterio della vicinitas (nella sua duplice, ancorché in parte differente, declinazione di "vicinitas edilizia" e "vicinitas commerciale") è idoneo al più a radicare la legittimazione attiva, ma non anche l'interesse a ricorrere, per il quale è comunque sufficiente l'allegazione, anche solo in astratto, di pregiudizi causalmente riconducibili al provvedimento impugnato: il principio in questione, affermato dalla richiamata sentenza dell'Adunanza plenaria n. 22 del 2021, risulta confermato anche ad una compiuta disamina della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ribadisce - quanto al criterio della vicinitas - l'autonomia tra la legittimazione ad agire e l'interesse a ricorrere, per la cui prova è necessaria, ancorché sufficiente, l'allegazione in astratto di pregiudizi connessi al provvedimento impugnato. La decisione del Consiglio di Stato in esame ricorda che "anche di recente, infatti, la Corte di cassazione ha adoperato il criterio in questione, mera "formula riassuntiva" (così Cons. Stato, sez. IV, 29 dicembre 2023 n. 11367, § . 27.2, pronunzia della Sezione che ha affrontato un delicato caso di vicinitas commerciale, raffrontata alla tutela della concorrenza e alla salvaguardia dei c.d. bacini di mercato) di individuazione della sussistenza di una posizione legittimante, distinguendolo dalla differente condizione dell'azione costituita dall'interesse a ricorrere, anche nel solco di quanto indicato dalla citata pronuncia dell'Adunanza plenaria n. 21/2022". Il Consiglio di Stato da atto dell'esistenza di un orientamento della Corte di Cassazione che accoglie una nozione più ampia di "vicinitas", in ragione del quale tale "formula riassuntiva" "è, invero, sufficiente al fine di radicare la legittimazione attiva e l'interesse a ricorrere avverso la realizzazione di un'opera, senza che occorra la prova puntuale della concreta pericolosità della stessa" (Cass. civ., ord. 30 giugno 2021 n. 18493), principio di diritto rimarcato anche in altre pronunce (Cass. civ., ord. 18 gennaio 2024, n. 2000; ord. 19 marzo 2024 n. 7326); tuttavia, tutte queste pronunzie, "ad avviso del Collegio, non risultano difformi, nella sostanza, dall'orientamento della citata sentenza n. 22/2021 dell'Adunanza plenaria, che ha affermato come "nella realtà dei fatti e nella dinamica dei giudizi la riflessione sulla legittimazione proceda non disgiunta da quella dell'interesse e siano entrambe fortemente condizionate dalla situazione concreta allegata dalle parti e ricavabile dagli atti di causa" (sentenza, quella della Plenaria, espressamente richiamata dall'ordinanza della Cassazione n. 7326/2024). Inoltre, nelle pronunce messe in evidenza, all'affermazione "in astratto" del principio, si accompagna anche l'affermazione che la prova del pregiudizio (che, dunque, deve sussistere) non debba essere fornita "in concreto" (ma, evidentemente, rimanere in punto di allegazione) e l'ulteriore puntualizzazione che, nel caso oggetto dello scrutinio di legittimità, gli interessati avessero allegato, nei precedenti gradi di merito, un pregiudizio riconnesso alle opere oggetto dei provvedimenti impugnati". In sintesi secondo il Consiglio di Stato "si trae che, almeno in astratto, a livello di mere allegazioni risulta sufficiente ad integrare l'interesse ad agire l'affermazione di pregiudizi causalmente riconducibili al provvedimento impugnato". Nella fattispecie di cui è causa, gli effetti pregiudizievoli addotti dalla società ricorrente, in base alle allegazioni di parte, discendono dall'impugnato permesso di costruire in deroga alla pianificazione urbanistica e dalla conseguente convenzione, che prevede, in esecuzione della delibera comunale, la riqualificazione della zona interessata con attivazione di una nuova struttura commerciale concorrenziale. Come chiarito dalla citata decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 agosto 2024, n. 7146, "in punto di diritto, va ribadito che "la legittimazione al ricorso non può di certo configurarsi allorquando l'instaurazione del giudizio appaia finalizzata a tutelare interessi emulativi, di mero fatto o contra ius, siccome volti nella sostanza a contrastare la libera concorrenza e la libertà di stabilimento" (Cons. Stato, sez. IV 29 marzo 2018 n. 1977, ripresa da Cons. Stato, sez. IV, n. 11367 del 2023, cit.). Inoltre, "la prova del pregiudizio derivante dall'insediamento della nuova impresa che si vuol contestare debba esser data in modo rigoroso, senza che esso si possa presumere, e che si debba trattare di un pregiudizio significativo" (Cons. Stato, sez. IV, 5 settembre 2022 n. 7704)". In applicazione di questi principi, il Collegio rileva che nello specifico, quanto ai profili collegati alla concorrenza, la ricorrente ha depositato in giudizio una nota tecnica, a firma dall'Ing. Borrini (doc. n. 6 di parte ricorrente in actis) in cui si evidenzia: a) la distanza tra l'esistente esercizio commerciale CONAD (che svolge la sua attività nell'immobile Ga.) e il punto di insediamento del nuovo complesso commerciale, b) l'insufficienza di tale distanza al fine della differenziazione dei bacini di utenza con riferimento alla tipologia di territorio in cui i due esercizi commerciali sono inseriti; c) la circostanza che si tratta di esercizi posti sulla medesima direttrice di collegamento con il capoluogo (rendendoli di servizio anche per le zone limitrofe); d) la sostanziale equivalenza tra due esercizi in termini di accessibilità e tipologia di merci; e) l'idoneità del nuovo esercizio commerciale a stornare clientela e fatturato; f) l'incidenza sullo stesso valore immobiliare e commerciale della proprietà Ga.. La difesa attorea rimarca che l'idoneità concorrenziale è stata ritenuta dallo stesso Comune di (omissis) con la delibera C.C. n. 28 del 19 giugno 2023, il quale a pagina 7 ha riconosciuto che: "d) le nuove funzioni integrano la rete commerciale esistente permettendo una nuova offerta commerciale parallela all'offerta esistente favorendo la concorrenza dell'offerta commerciale a vantaggio dell'intera collettività ; e) la previsione di nuovi spazi commerciali di buone dimensioni permette l'insediamento di nuove iniziative commerciali". Inoltre, il Collegio rileva che nella medesima deliberazione a pagina 10 si legge "RITENUTO evidenziare che: -la rete commerciale del comune di (omissis) non ha subito significative modifiche negli ultimi 15 anni dopo l'apertura del complesso commerciale posto sulla stessa via (omissis) e denominato Centro val Baganza; -la proposta commerciale pervenuta si presenta come concorrenziale nei confronti delle medio strutture alimentari presenti sul territorio ed in particolare nei confronti di quelle che si attestano lungo Via (omissis); - i rimanenti spazi a destinazione di pubblico esercizio o di medie strutture non alimentari integrano l'offerta di spazi commerciali mettendo a disposizione contenitori per nuove imprese non insediate o per il potenziamento di imprese esistenti che al momento non troverebbero sul territorio comunale opzioni in merito". In disparte il minimo differenziale metrico segnalato dalle parti (la ricorrente ritiene che l'intervento sorgerà a 700 metri dal proprio stabilimento mentre le controparti indicano 1000 metri di distanza), appare chiaramente sia dalle puntuali allegazioni di parte attrice sia dal tenore del provvedimento comunale citato che la riqualificazione di cui è causa possa astrattamente incidere sugli interessi commerciali di parte ricorrente e nel concreto, attraverso la concessione del permesso di costruire, potrebbe dispiegare effetti pregiudizievoli da tutelarsi nel caso di difformità rispetto al modello legale. Pertanto, si rinvengono sia la legittimazione ad agire che l'interesse a ricorrere. Sul merito della controversia, il Collegio rileva che con il primo motivo di ricorso si assume che il permesso di costruire in deroga può essere rilasciato solo nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia e non di ristrutturazione urbanistica, come, invece, si sostanzierebbe il caso di specie. In particolare, si deduce che sarebbe da escludersi la ristrutturazione edilizia in quanto nel caso concreto sarebbe realizzato un intervento vasto con cui si intende avviare attività commerciali e terziarie, demolire il preesistente fabbricato, realizzare n. 3 nuovi fabbricati con più unità immobiliari e con altezze più contenute, distribuendo le superfici in modo più diffuso ed esteso, con ampi spazi verdi, creare una strada di accesso di collegamento ad un parcheggio pubblico di nuova realizzazione, dare vita ad un percorso pedonale ed introdurre nuove destinazioni d'uso; la deroga, inoltre, avrebbe riguardato non solo le destinazioni di uso ammissibili ma anche il titolo abilitativo necessario poiché è stato introdotto - in luogo del PdC tout court previsto dal PRG - il PdC convenzionato, che confermerebbe trattarsi di una ristrutturazione urbanistica e che non rientrerebbe tra le previsioni derogabili ex art. 20, comma 2-bis, L. R. n. 15/2013. Qualificato come ristrutturazione urbanistica, la difesa attorea assume che l'intervento dovrebbe essere attuato mediante PUA ovvero PRU, ossia atti di pianificazione soggetti al procedimento tipico dei piani attuativi. Con il secondo motivo, l'esponente prospetta che il Comune non abbia assunto alcuna valutazione autonoma o critica del progetto, in particolare sulle opere fuori comparto, ed evidenzia che l'intervento non dovrebbe sottrarsi al pagamento del contributo straordinario. Con il terzo motivo, parte attrice reclama l'effettuazione della V.A.S., richiamando l'art. 6 D.Lgs. n. 152/2006 al comma 2, lett. a), poiché l'applicazione di tale procedura va osservata per tutti i piani ed i programmi elaborati per la valutazione della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, comprese le ipotesi di permesso di costruire in deroga, quantomeno allorquando si tratta di modifica della destinazione di suoli di area di non modeste dimensioni e con rilevante impatto sull'ambiente circostante. Con il quarto motivo la ricorrente afferma che il Comune ha, altresì, assentito la realizzazione di una opera fuori comparto che non risulta essere stata dichiarata conforme allo strumento urbanistico, il quale non è stato oggetto di variante neppure sullo specifico punto. Sullo speciale procedimento edilizio derogatorio di cui si discute, il Collego richiama la decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1042 del 1 febbraio 2024, laddove si precisa che "l'art. 14 del D.P.R. n. 380/2001, che disciplina il procedimento di rilascio dei permessi di costruire in deroga agli strumenti urbanistici, in linea con il costante insegnamento di questo Consiglio (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 gennaio 2022, n. 616), è un istituto di carattere eccezionale rispetto all'ordinario titolo edilizio e rappresenta l'espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica, da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del Consiglio comunale". In particolare, sottolinea la decisione in esame, "in tale procedimento il Consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l'interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l'interesse costruttivo; peraltro, come ogni altra scelta pianificatoria, la valutazione di interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico è espressione dell'ampia discrezionalità tecnica di cui l'Amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall'evidente travisamento dei fatti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 24 ottobre 2019, n. 7228; id., 7 settembre 2018, n. 5277; id., 26 luglio 2017, n. 3680)". Di qui va, preliminarmente, chiarito che in materia di permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici la discrezionalità amministrativa affidata all'Ente comunale è di particolare ampiezza, concretizzandosi in una decisione di natura urbanistica attraverso lo strumento provvedimentale del permesso in deroga: lo scrutinio giurisdizionale è perimetrato dai criteri della manifesta illogicità e del travisamento dei fatti. Il quadro normativo di riferimento è composto dall'art. 14, D.P.R. n. 380/2001, che, al comma 1-bis, stabilisce che "per gli interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa previa deliberazione del consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214"; quest'ultima disposizione prevede, in ossequio al diritto eurounitario, in particolare, che "costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali" (testo vigente ratione temporis). Il comma 3 dell'art. 14 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce che "La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi nonché le destinazioni d'uso ammissibili fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444". Il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, "Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge n. 765 del 1967", dispone all'art. 7 i limiti di densità edilizia, all'art. 8 i limiti di altezza degli edifici e all'art. 9 i limiti di distanza tra i fabbricati. Quanto alle norme regionali, la L.R. Emilia-Romagna n. 15 del 2013, per quanto rileva nella presente controversia, articola le seguenti disposizioni: - l'art. 19-bis "Permesso di costruire convenzionato": "1.Qualora le esigenze di urbanizzazione stabilite dalla pianificazione urbanistica vigente possano essere soddisfatte in conformità alla disciplina in materia di governo del territorio con una modalità semplificata, è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato, quando lo strumento urbanistico generale stabilisca la disciplina di dettaglio degli interventi e ne valuti compiutamente gli effetti ambientali e territoriali. 2. La convenzione, approvata con delibera del consiglio comunale, specifica gli obblighi funzionali alla contestuale realizzazione delle dotazioni territoriali, delle infrastrutture per la mobilità, delle reti e dei servizi pubblici, delle dotazioni ecologiche e ambientali e delle misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale, prescritti dal piano vigente ovvero oggetto di precedenti atti negoziali"; l'articolo si completa delle disposizioni attuative; - art. 20, "Permesso di costruire in deroga": "1. Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del Consiglio comunale. 2. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie, di accessibilità e di sicurezza e dei limiti inderogabili stabiliti dalle disposizioni statali e regionali, può riguardare esclusivamente le destinazioni d'uso ammissibili, la densità edilizia, l'altezza e la distanza tra i fabbricati e dai confini, stabilite dagli strumenti di pianificazione urbanistica. 2 bis. Per gli interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa previa deliberazione del Consiglio comunale, che ne attesta l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. 3. Si considerano di interesse pubblico gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché, in via transitoria, gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, per i quali è consentito richiedere il permesso in deroga qualora la pianificazione urbanistica non abbia dato attuazione all'articolo 7 ter della legge regionale n. 20 del 2000 e all'articolo 39 della legge regionale 21 dicembre 2012, n. 19 (Legge finanziaria regionale adottata a norma dell'articolo 40 della legge regionale 15 novembre 2001, n. 40 in coincidenza con l'approvazione del bilancio di previsione della Regione Emilia-Romagna per l'esercizio finanziario 2013 e del bilancio pluriennale 2013-2015)". In sintesi, il citato art. 20 prevede il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici "esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico" e la deroga "può riguardare esclusivamente le destinazioni d'uso ammissibili, la densità edilizia, l'altezza e la distanza tra i fabbricati e dai confini, stabilite dagli strumenti di pianificazione urbanistica"; per gli interventi di ristrutturazione edilizia, poi, la deroga è ammessa solo in relazione all'interesse pubblico attestato dal Consiglio comunale "limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento", con infine una specifica previsione riguardante gli "interventi di riuso e di rigenerazione urbana nonché, in via transitoria, gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente". La norma aggiunge che per gli insediamenti commerciali, come quello di cui è causa, resta fermo il rispetto dell'articolo 31, comma 2, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici) laddove il Legislatore nazionale, in ossequio al diritto eurounitario, delinea il principio dell'eccezione delle limitazioni all'attività commerciale rispetto alla regola generale della libera concorrenza. Incontestato che si tratti di un intervento rivolto anche all'apertura di un esercizio commerciale, pertanto, le norme nazionali e regionali citate in materia di permesso di costruire in deroga vanno interpretate alla luce del principio europeo di tutela della libera concorrenza. Nel caso concreto, quindi, la sussunzione della fattispecie nel modello legale può osservare il seguente percorso logico: - in forza del comma 2-bis dell'art. 20 della L.R. Emilia-Romagna n. 15/2013 citato, in caso di interventi di ristrutturazione edilizia, la richiesta di permesso di costruire in deroga è ammessa se la deliberazione del Consiglio comunale attesta l'interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell'insediamento: nel caso di specie l'intervento assentito presenta, come meglio si avrà modo di precisare nel prosieguo della trattazione, sicuri elementi qualificanti di ristrutturazione edilizia (demolizioni e ricostruzioni) e le Amministrazioni hanno chiaramente rilevato l'interesse pubblico alla rigenerazione urbana, non contestato da parte attrice; - il permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico è consentito per interventi di interesse pubblico, compresi gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana, "nonché, in via transitoria, [per] gli interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, per i quali è consentito richiedere il permesso in deroga qualora la pianificazione urbanistica non abbia dato attuazione" alle c.d. misure incentivanti: come sottolineato dalle Amministrazioni resistenti e come emerge in modo espresso da quanto riportato a pag. 4 della deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 28 del 19 giugno 2023 (doc. 10 in actis), il Comune resistente non aveva dato corso a quanto previsto dall'art. 7-ter, L.R. n. 20/2000 e dall'art. 39, L.R. n. 19/2012; - di conseguenza, dovevano considerarsi soddisfatte le condizioni previste dalla disposizione transitoria di cui all'art. 20, comma 3, L.R. n. 15/2013 per il rilascio di un permesso di costruire in deroga, con riguardo ad interventi di riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente: nel caso di specie è incontestato, infatti, che si tratti di rigenerazione e riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, in quanto la ricorrente, come esposto in narrativa, ritiene che l'intervento sia rivolto a "a) attivare attività commerciali e terziarie; b) demolire il preesistente fabbricato; c) realizzare n. 3 nuovi fabbricati con più unità immobiliari con altezze più contenute, distribuendo le superfici in modo più diffuso ed esteso, con ampi spazi verdi; d) realizzare una nuova strada di accesso di collegamento ad un parcheggio pubblico di nuova realizzazione (peraltro, sottolinea la difesa attorea, parcheggio di standard); e) realizzare un percorso pedonale lungo il lato ovest di via per (omissis); f) introdurre nuove destinazioni d'uso". Non è posto in contestazione, inoltre, che il permesso abbia ad oggetto una zona in disuso e degradata con ridefinizione del patrimonio edilizio esistente (demolizione e realizzazione fabbricati più diffusi ma di altezza contenuta) e rigenerazione e riqualificazione urbana (accessi, anche pedonali, parcheggi); - la delibera del Consiglio comunale impugnata evidenzia che l'intervento di recupero è rivolto anche a soddisfare gli interessi commerciali degli operatori della zona in ossequio al citato principio della concorrenza; - l'oggetto della deroga può riguardare esclusivamente le destinazioni d'uso ammissibili, la densità edilizia, l'altezza e la distanza tra i fabbricati e dai confini, stabilite dagli strumenti di pianificazione urbanistica: sulla destinazione d'uso l'Amministrazione comunale ha valutato la compatibilità urbanistica precisando che "la deroga e la relativa convenzione riguardano l'intervento specifico restando l'area classificata come Zona D5- zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento, regolamentata dall'art. 40 delle vigenti NTA" (pag. 6 della deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 28 del 19 giugno 2023 - doc. 10 in actis). Le nuove destinazioni d'uso ammesse risulterebbero essere, come precisato anche dalla ricorrente, U.5.2 medio grande struttura di vendita alimentare (SV fino a 1500 mq.), U.10 artigianato di servizio, U.6 pubblico esercizio, U.5.4 medio-piccola struttura di vendita non alimentare (SV fino a 800 mq.) e l'Amministrazione, senza alcun travisamento dei fatti alla luce delle concrete allegazioni delle parti, le ha ritenute destinazioni d'uso compatibili con le norme tecniche dello strumento urbanistico vigente nonché "ammissibili in quanto non presentano problematiche di accessibilità, di sicurezza e sono compatibili rispetto ai profili ambientali e dei beni culturali". Tali considerazioni poggiano, condivisibilmente, sulla assimilabilità e compatibilità di un insediamento commerciale con le funzionalità e gli impatti sottesi alle "zone industriali e artigianali agro-alimentari di completamento". Sulla densità edilizia, l'altezza e la distanza tra i fabbricati e dai confini, parte attrice non oppone contestazioni riguardo il progetto di cui è causa in relazione alla specifica compatibilità delle opere con lo strumento urbanistico. La ricorrente, tuttavia, rimarca che il permesso di costruire in deroga può riguardare solo singoli interventi e singoli edifici e non già interventi di ristrutturazione urbanistica che comportano variazioni territoriali più significative interessando modifiche dei lotti, degli isolati, della viabilità pubblica, così riferendosi alla definizione di "Interventi di ristrutturazione urbanistica" contenuta nella lettera h) dell'Allegato alla L.R. n. 15/2013. Va, tuttavia, osservato che nel medesimo Allegato, la lettera f) definisce, nella parte che interessa, "Interventi di ristrutturazione edilizia", "gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto od in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti, nonché la realizzazione di volumi tecnici necessari per l'installazione o la revisione di impianti tecnologici. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana". Sulle modificazioni territoriali consentite il Collegio rileva che l'intervento, così come descritto anche dall'esponente, presenta certamente i caratteri delle opere edilizie (demolizione e ricostruzione di fabbricati) nel quadro di una complessiva - ed incontestata - rigenerazione urbana, nonchè attività che possono assumere rilievo urbanistico: in ordine a queste ultime, le Amministrazioni hanno puntualmente evidenziato che nella fattispecie le opere che il soggetto attuatore, la ditta odierna controinteressata, si è impegnato a realizzare (strade, piste ciclabili, aree di verde pubblico) - come si evince dal verbale della deliberazione del Consiglio comunale n. 44 del 31.07.2023 (doc. 11 in actis) - consistono in opere di urbanizzazione, che rientrano in quelle previste dall'art. 16, comma 7, del D.P.R. n. 380/2001 e, come tali, chiaramente, sono compatibili con qualsivoglia destinazione urbanistica di zona. Alla luce delle considerazioni esposte, non appare provato che nella fattispecie si possa conclamare un abuso dello strumento del permesso di costruire in deroga in quanto, come emerge dalla citata lettera f) dell'Allegato alla L.R. n. 15/2013, il concetto di ristrutturazione edilizia comprende gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto od in parte diverso dal precedente anche attraverso demolizioni e ricostruzioni, come nel caso di specie, non ostandovi ex se la pluralità di edifici interessati; inoltre, le opere di urbanizzazione primaria previste - che pur possono astrattamente concorrere a variazioni territoriali aventi uno specifico e autonomo rilievo urbanistico - sono direttamente e strettamente collegate all'intervento di riqualificazione edilizia e, complessivamente, sono rispondenti all'interesse pubblico manifestato dall'Ente per finalità di rigenerazione urbana. In ogni caso, anche qualora l'intervento in questione non fosse esclusivamente riconducibile nell'ambito della ristrutturazione edilizia, in ragione del citato e articolato concorso di opere edilizie e di opere di urbanizzazione, la fattispecie può rientrare nella tipologia di opere contemplate dal comma 3 dell'art. 20 della L.R. n. 15/2013 che, in via transitoria, alle condizioni menzionate (ossia l'assenza dell'applicazione da parte del Comune delle misure c.d. incentivanti, come avvenuto nel caso di specie) consente di assentire un permesso di costruire in deroga per gli interventi di "riqualificazione urbana e di qualificazione del patrimonio edilizio esistente": in tale endiadi, ai fini dell'applicazione della disposizione transitoria, sono chiaramente comprese anche le opere idonee a modificare il tessuto urbanistico-edilizio di zona, così ampliando la portata del'permesso di costruire in derogà a casi che ne sono in via ordinaria esclusi. Inoltre, come già osservato, nella fattispecie gli specifici parametri di legge sono stati rispettati a seguito di ampia ed approfondita istruttoria e la lamentata modifica dei lotti e degli isolati "significativa" di un intento pianificatorio illegittimo non risulta sorretta da concrete allegazioni visto che è confermato che la superficie totale della zona interessata, salvo le opere fuori comparto già esaminate nel senso della loro compatibilità urbanistica, resta la medesima. Ulteriormente, la redistribuzione dei volumi dei fabbricati, oltre a comportare una incontestata riduzione degli stessi, se è derogatoria rispetto allo strumento urbanistico, tale deroga è proprio l'oggetto della normazione esaminata ed è con essa compatibile come si è già avuto modo di considerare: infatti, il comma 3 dell'art. 14 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce che "La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi nonché le destinazioni d'uso ammissibili". Quanto alle specifiche censure contenute nel secondo motivo di ricorso, va osservato che, come evidenziato dalla citata decisione del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1042 del 1 febbraio 2024, il permesso di costruire in deroga è decisione di rilevanza urbanistica, pertanto assimilabile a quello di pianificazione per quanto nel rispetto dei limiti indicati, censurabile in questa sede solo per manifesta irragionevolezza o travisamento dei fatti, che il Collegio non ritiene di ravvisare nella fattispecie. Infatti, sulla qualificazione data all'intervento dalla deliberazione comunale n. 28/2023 (pag. 8) laddove si valuta positivamente l'interesse pubblico, l'Ente precisa che si tratta "di intervento di riuso e di rigenerazione urbana e di riqualificazione urbanistico edilizia di area dismessa da anni - tramite ristrutturazione con demo ricostruzione", nonché verifica che "le nuove destinazioni d'uso sono comunque destinazioni d'uso generalmente previste dalle norme tecniche del PRG vigente e le stesse risultano ammissibili in quanto non presentano problematiche di accessibilità, di sicurezza e sono compatibili rispetto ai profili ambientali e dei beni culturali" (pag. 7) ed, infine, dà atto dell'"evidenza pubblica e comunicazione dell'intervento e alla procedura in deroga ad eventuali contro interessati ai sensi ed agli effetti del comma 2 dell'Art. 14 - Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici del DPR 380 ed ai sensi dell'articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 presentando la proposta progettuale". Dagli elementi descritti emergono, quindi, valutazioni che apprezzano l'intervento concreto alla luce della consistenza territoriale all'epoca presente (area dismessa e in degrado) in relazione alle destinazioni d'uso previste dal vigente PRG - con considerazione delle eventuali problematiche di accessibilità, di sicurezza e dei profili ambientali e dei beni culturali - nel rispetto della trasparenza. Inoltre, alla conferenza di servizi sono state chiamate le numerose Amministrazioni competenti, alcune delle quali hanno chiesto integrazioni documentali (doc. 6 Comune di (omissis) in actis) e disposto prescrizioni (indicate anche nel provvedimento Autorizzazione unica SUAP doc. 14 - Unione Pedemontana Parmense in actis); nella delibera n. 28/2023 del Comune di (omissis) si dà atto del parere favorevole del Responsabile del Servizio comunale in ordine alla regolarità tecnica, ai sensi dell'art. 49, comma 1, del D.Lgs. n. 267 del 2000; nel permesso di costruire in deroga (doc. n. 12 - Unione Pedemontana Parmense) sono dettagliatamente indicati e valutati gli elaborati progettuali presentati dal progettista asseveratore, allegati alla domanda di permesso. Pertanto, gli elementi esposti, ossia la compiuta ponderazione da parte delle Amministrazioni procedenti dell'interesse pubblico alla rigenerazione urbana e delle caratteristiche fattuali del progetto così come presentato rispetto agli interessi primari rappresentati e protetti dagli Enti coinvolti in conferenza di servizi, portano a ritenere infondate, per quanto rileva nel presente giudizio, le censure attoree formulate nel secondo motivo di ricorso in ordine al difetto di istruttoria sulla consistenza dei fatti. La prospettata influenza determinante nella predisposizione degli atti comunali da parte del soggetto proponente non è sorretta da concrete allegazioni nel presente giudizio che possano condurre a ritenere invalidi i provvedimenti amministrativi impugnati. Quanto alla rilevata questione relativa al contributo straordinario, le Amministrazioni hanno precisato che con il permesso di costruire si è inteso anche disciplinare la corresponsione dello stesso, ai sensi dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. n. 380/2001 - dal momento che, nelle more dell'approvazione del PUG, in base alla Delibera dell'Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna n. 186 del 20 dicembre 2018, recepita dal Comune di (omissis) con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 44 del 27 settembre 2019, richiamata dalla deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 44 del 31.07.2023 (doc. 11 in actis), il contributo straordinario deve essere applicato anche all'interno del territorio urbanizzato, ove insiste l'intervento di cui è causa, in caso di permessi di costruire in deroga - sotto forma di opere pubbliche e di cessione di aree, con riferimento alle quali la normativa vigente prescrive che sia acquisito un permesso di costruire (anche) convenzionato. Come è stato puntualmente indicato nella deliberazione del Consiglio Comunale n. 28 del 2023 (pagg. 8-14), il soggetto attuatore ha proposto la corresponsione del contributo straordinario mediante la realizzazione delle seguenti opere pubbliche e cessioni di aree: i) un percorso pedonale e ciclabile, e relativi attraversamenti protetti lungo Via (omissis); ii) un percorso pedonale e ciclabile ortogonale alla Provinciale e di collegamento con il Parco di Via Gramsci; iii) la cessione di un'area di mq 3.773 sul lato ovest della proprietà da adibire a verde pubblico attrezzato; iv) la cessione di un'area di mq 1.626 lungo la via per (omissis) per la realizzazione del percorso ciclopedonale e della relativa fascia verde di protezione stradale. La citata deliberazione prevede, inoltre, che "Il contributo straordinario, sotto forma di opere pubbliche e cessioni di aree come inizialmente proposto è calcolato applicando il preziario regionale vigente per la realizzazione di opere pubbliche" e ritiene opportuno "accogliere la proposta di corresponsione del contributo straordinario, sotto forma di opere pubbliche e cessioni di aree come sopra descritte, per un ammontare complessivo minimo di Euro 272.003,72 come indicato in fase di presentazione iniziale della proposta da integrare a seguito delle decisioni assunte in sede di conferenza dei servizi". Tale passaggio motivazionale consente di ritenere infondata la censura relativa alla mancata applicazione del contributo straordinario e di evidenziare che non vi è, conseguentemente, alcuna contestazione sulle modalità di calcolo. Sul rilievo relativo all'ammissibilità del permesso di costruire "convenzionato", come visto, il comma 1 dell'art. 19-bis, L.R. n. 15/2013, stabilisce che "è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato, quando lo strumento urbanistico generale stabilisca la disciplina di dettaglio degli interventi e ne valuti compiutamente gli effetti ambientali e territoriali"; il comma 2 del medesimo articolo dispone che "la convenzione, approvata con delibera del consiglio comunale, specifica gli obblighi funzionali alla contestuale realizzazione delle dotazioni territoriali, delle infrastrutture per la mobilità, delle reti e dei servizi pubblici, delle dotazioni ecologiche e ambientali e delle misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale, prescritti dal piano vigente ovvero oggetto di precedenti atti negoziali" e al comma 3 del medesimo articolo si prevede che la convenzione stabilisce: "b) il cronoprogramma degli interventi, con la determinazione del termine perentorio entro il quale si darà inizio ai lavori e le modalità di realizzazione degli stessi; c) le garanzie finanziarie che il privato si impegna a prestare, per assicurare la realizzazione e cessione al Comune delle opere pubbliche oggetto degli obblighi assunti in convenzione". I rilievi posti dalla ricorrente sulla forma convenzionale del permesso attengono sostanzialmente al paventato abuso dello strumento e non alla astratta compatibilità del modello operativo dell'accordo con il permesso di costruire in deroga; la sussunzione della fattispecie concreta nell'ambito delle ipotesi concesse dal legislatore per fare uso dello strumento del permesso di costruire in deroga è, come già visto, priva di profili di illegittimità . In concreto il convenzionamento è principalmente rivolto ad assolvere agli "obblighi funzionali alla contestuale realizzazione delle dotazioni territoriali, delle infrastrutture per la mobilità, delle reti e dei servizi pubblici" in quanto il soggetto attuatore è chiamato, anche ai fini della corresponsione del contributo straordinario, alla realizzazione delle opere sopradescritte. Di conseguenza, non vi sono ragioni per ritenere incompatibile lo strumento convenzionale con il permesso di costruire in deroga nella fattispecie concreta né per ritenere che tale modello operativo possa celare un illegittimo intervento di pianificazione urbanistica. Conseguentemente, non risulta fondata la reclamata necessaria applicabilità al caso di specie del procedimento pianificatorio "ordinario" - compresi gli oneri partecipativi -, anche sotto le forme della variante di piano e della Valutazione Ambientale Strategica, in considerazione dei ravvisati presupposti per il rilascio del permesso di costruire in deroga allo strumento urbanistico in forma convenzionata: tale strumento, come visto, è definito dalle norme in materia in deroga all'ordinario procedimento urbanistico ai fini dell'autorizzazione di un intervento edilizio a finalità e sostanza rigenerativa urbana, e come tale è scandito nei presupposti propri e nei contenuti specifici, come già si è esaminato, senza essere ricondotto dal Legislatore nazionale e regionale al procedimento urbanistico ordinario. In conclusione, per le ragioni esposte, l'eccezione di inammissibilità del ricorso va respinta ed i quattro motivi di ricorso sono infondati. In considerazione della complessità della materia, sussistono giustificati motivi per l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto, Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 711 del 2024, proposto da -OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Le. Za., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via (...); Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, non costituito in giudizio; per l'ottemperanza alla sentenza del TAR Emilia-Romagna, Bologna, -OMISSIS-, di annullamento della sospensione dal servizio a tempo indeterminato con fruizione di metà della retribuzione. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia; Visto l'art. 114 cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO La sentenza di cui è chiesta l'ottemperanza ha accolto il ricorso presentato dal sig. -OMISSIS- solo in considerazione del fatto che il provvedimento di sospensione dal servizio oggetto di impugnazione, pur essendo stato correttamente adottato dal competente organo dell'Amministrazione (rappresentato dal capo del Dipartimento), non dava conto del passaggio procedimentale rappresentato dall'acquisizione di un'esplicita richiesta dell'applicazione di tale misura proveniente dalla Direzione generale del personale e delle risorse. In assenza di ogni riferimento a tale fase endoprocedimentale, dunque, questo Tribunale non ha potuto fare altro che supporre la carenza di tale presupposto, ancorché necessario secondo la previsione della vigente disciplina. Pertanto, l'atto censurato è stato annullato in ragione del suddetto vizio procedimentale, pur respingendo il ricorso nel merito. La sentenza così articolata è stata appellata dal ricorrente nella parte in cui ha riconosciuto l'infondatezza delle censure di merito e l'Amministrazione, proprio in ragione della pendenza del secondo grado di giudizio, si è rifiutata di adempiere alla pronuncia nonostante l'immediata esecutività della stessa, di cui non è stata chiesta la sospensione, quantomeno con riferimento al richiesto rimborso del contributo unificato. L'Amministrazione penitenziaria, infatti, preso atto dell'annullamento del provvedimento di sospensione, ha, medio tempore, adottato un nuovo provvedimento, tacciato di nullità in questo giudizio, ancorché nella sola parte in cui reitera la sospensione anche per il periodo anteriore all'adozione del nuovo provvedimento (a sanatoria del precedente provvedimento annullato: atto che è stato anche autonomamente impugnato, con ricorso sub -OMISSIS-), ma ha rifiutato la corresponsione del contributo unificato sino alla definizione dell'appello. In ragione di ciò, con il ricorso in esame il ricorrente ha chiesto: - il versamento di Euro 325,00 a titolo di rimborso del contributo unificato; - il versamento degli arretrati relativi al periodo 16.11.2022-20.6.2023; - la cancellazione nello stato di servizio della sospensione per il periodo 16.11.2022-20.6.2023; - la dichiarazione di nullità del decreto del Capo Dipartimento -OMISSIS-, limitatamente alla parte in cui rinnova-reitera la sospensione per il periodo anteriore nonostante la sentenza di codesto Tribunale -OMISSIS-; - la dichiarazione di nullità della lettera del Direttore generale del personale -OMISSIS-, limitatamente alla parte in cui esprime la volontà di non conformarsi alla sentenza di codesto Tribunale -OMISSIS- fino all'esito del relativo appello. In data 22 agosto 2024, l'Amministrazione, dopo essersi costituita formalmente, ha depositato una memoria, nella quale ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per ottemperanza e comunque la sua infondatezza, attesa la puntuale ottemperanza al giudicato caducatorio, che faceva espressamente salvi gli ulteriori provvedimenti. Infondatezza che sarebbe confermata anche da quanto disposto nell'ordinanza cautelare -OMISSIS- (confermata in appello) pronunciata nell'ambito del ricorso -OMISSIS- (ovvero nel ricorso volto a censurare la legittimità del nuovo atto adottato). Quanto al rimborso del contributo unificato, esso troverebbe ostacolo nel fatto che la sentenza non è passata in giudicato. Parte ricorrente ha replicato sostenendo il passaggio in giudicato del capo della sentenza che ha disposto l'annullamento del provvedimento (l'appello riguarda gli altri motivi non formali di annullamento) e dunque, la legittimità della pretesa della restituzione del contributo unificato. In ogni caso il giudizio di ottemperanza sarebbe fondato, perché il riesame della posizione del ricorrente, legittimato dalla prima sentenza, avrebbe dovuto disporre solo per il futuro. Né il provvedimento adottato avrebbe rispettato le regole sulla convalida. Tutto ciò premesso, deve essere preliminarmente dichiarata l'inammissibilità del ricorso nella parte in cui è volto ad ottenere una pronuncia sulla spettanza del rimborso del contributo unificato versato dal ricorrente. Posto che la sentenza non contiene alcuna statuizione sul contributo unificato e, dunque, la controversia deve essere posta in termini di spettanza del richiesto rimborso, questo Tribunale non può che declinare la giurisdizione a favore del giudice tributario. Infatti, come chiarito dalla Corte di Cassazione, nella sentenza delle Sezioni Unite n. 5994 del 2012, le domande aventi a oggetto il contributo unificato rientrano nella competenza delle commissioni tributarie. Quanto alle ulteriori istanze, il ricorso non può trovare positivo apprezzamento. In primo luogo si deve evidenziare come la prima sospensione dal servizio, disposta nel 2022, sia stata annullata con la sentenza di questo Tribunale -OMISSIS-, rimettendo espressamente all'Amministrazione l'adozione di ogni ulteriore atto ritenuto legittimo e opportuno. Proprio in ottemperanza a tale disposto, l'Amministrazione ha provveduto a dare esecuzione alla suddetta pronuncia, procedendo alla riedizione del potere, tenendo in debito conto che l'annullamento è stato disposto esclusivamente in ragione del fatto che il decreto di sospensione dal servizio non recava menzione della richiesta di ricorso alla sospensione dal servizio da parte del Direttore generale, ma ciò è accaduto non perché l'atto endoprocedimentale mancasse, bensì solo per la mancata citazione dei riferimenti relativi allo stesso. La richiesta di sospensione dal servizio, infatti, era stata puntualmente avanzata dal Direttore generale, senza, però, che di tale atto fosse stata fatta menzione nel provvedimento finale. Quest'ultimo, dunque, è risultato affetto da un vizio di natura meramente formale e non sostanziale, in quanto tale ritenuto emendabile con effetto ex tunc attraverso l'adozione di un provvedimento di convalida. L'Amministrazione ha, quindi, difeso il proprio operato eccependo l'inammissibilità delle domande attoree, in quanto il provvedimento originario è stato annullato e il potere rieditato in esecuzione del giudicato, che si limitava a fare salvi gli ulteriori provvedimenti senza entrare nel merito del loro contenuto (dovendosi dare per accertata solo la necessità della nota che risultava mancante). Si può, però, prescindere dall'indagare se sussistano le condizioni per la definizione della controversia in rito, attesa l'infondatezza del ricorso per le stesse ragioni evidenziate nella difesa di parte resistente. La pronuncia di cui è chiesta l'esecuzione era, in effetti, autoesecutiva, disponendo l'annullamento del provvedimento impugnato, mentre il ricorso alla clausola di stile facente riferimento alla possibilità di adottare ulteriori atti non poteva avere altra efficacia che quella di rimettere all'Amministrazione la valutazione della sussistenza dei presupposti per un nuovo esercizio dell'azione amministrativa, emendato dei vizi che hanno inficiato il provvedimento caducato, ipoteticamente anche in un'ottica di sanatoria. Il nuovo provvedimento, dunque, non può essere ritenuto nullo per violazione del giudicato, in quanto l'annullamento in ragione di un mero vizio formale non può precludere la riedizione del potere che ha condotto a un provvedimento di convalida la cui adozione non è vietata da una specifica disposizione di legge, né difetta di un elemento essenziale e nemmeno integra un difetto assoluto di attribuzione. È pur vero che parte ricorrente lamenta la violazione del giudicato rispetto agli effetti consequenziali del disposto annullamento, il quale avrebbe dovuto comportare la corresponsione della metà dello stipendio trattenuta, in ottemperanza o come risarcimento del danno e la cancellazione della sospensione. Tali richieste non possono, però, trovare soddisfazione in sede di ottemperanza, in quanto ciò trova ostacolo nella sopravvenienza del nuovo provvedimento di convalida, con la conseguenza che ogni interesse del ricorrente deve ritenersi traslato sulla caducazione di quest'ultimo, oggetto di autonomo ricorso, come già precisato. Così respinto il ricorso, le spese del giudizio seguono l'ordinaria regola della soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Prima, dichiara il ricorso in epigrafe indicato inammissibile nella parte in cui censura la mancata restituzione del contributo unificato anticipato all'atto della proposizione del ricorso, declinando la giurisdizione a favore del giudice tributario. Assegna alle parti termine di tre mesi, decorrenti dal passaggio in giudicato della presente sentenza per riassumere la causa, ancorché limitatamente alla domanda volta ad ottenere il rimborso del contributo unificato, avanti il giudice fornito di giurisdizione. Respinge il gravame nella parte restante. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida, a favore dell'Amministrazione, in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre ad accessori di legge, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Carpentieri - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere, Estensore Alessio Falferi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 171 del 2021, proposto da -OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato An. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via (...); Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Or. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'accertamento dell'obbligo delle Amministrazioni resistenti di concludere, mediante l'emanazione di un provvedimento espresso, il procedimento relativo all'instaurazione della pensione complementare in favore degli istanti, nonché della responsabilità delle Amministrazioni stesse per il mancato tempestivo avvio delle procedure di negoziazione o concertazione del trattamento di fine rapporto e della previdenza complementare e la richiesta di condanna al risarcimento di tutti i danni cagionati ai ricorrenti da tale asserito inadempimento. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e di Inps - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Mara Bertagnolli, lette le note d'udienza con cui parte ricorrente ha chiesto la decisione sulla scorta degli scritti e udita la difesa erariale come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO I ricorrenti sono Agenti della -OMISSIS-, in servizio al momento della proposizione del ricorso, i quali lamentano la mancata attuazione della Legge 23 dicembre 1998, n. 448, con la quale si prevedeva l'istituzione di forme pensionistiche integrative per il personale del comparto sicurezza e difesa. Mediante apposite procedure di negoziazione e di concertazione l'Amministrazione avrebbe, dunque, dovuto procedere alla costituzione di uno o più fondi nazionali di pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare, individuando la quota di contribuzione a carico delle Amministrazioni, nonché le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto e la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare. Le procedure per la negoziazione e concertazione del trattamento di fine servizio e/o fine rapporto, e della conseguente istituzione della previdenza complementare, però, non sono mai state avviate dall'Amministrazione intimata, provocando un evidente danno agli odierni ricorrenti, che, conseguentemente, hanno chiesto l'accertamento dell'obbligo delle Amministrazioni resistenti di concludere, mediante l'emanazione di un provvedimento espresso, il procedimento amministrativo relativo all'instaurazione della pensione complementare. Contestualmente i ricorrenti hanno chiesto anche l'accertamento della responsabilità delle stesse amministrazioni per il mancato tempestivo avvio delle procedure di negoziazione o concertazione per la definizione del trattamento di fine rapporto e della previdenza complementare, con consequenziale condanna delle medesime al risarcimento di tutti i danni cagionati ai ricorrenti da tale inadempimento. L'amministrazione si è costituita in giudizio, eccependo l'inammissibilità del ricorso per mancanza di legittimazione attiva alla sua proposizione. Per orientamento giurisprudenziale consolidato (si veda, tra le più recenti, Consiglio di Stato, sez. II, n. 8440/2021; Consiglio di Stato, n. 2593/2022; TAR Lazio n. 6488/2022), infatti, i singoli dipendenti non dovrebbero ritenersi muniti di legittimazione ad agire nel procedimento volto all'accertamento dell'obbligo di provvedere all'attuazione della previdenza complementare (Consiglio di Stato n. 8440/2021 del 20.12.2021). All'udienza pubblica del 18 settembre 2024 la causa è stata chiamata e assunta in decisione. Il ricorso è in parte inammissibile, in parte infondato e da respingere. I dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono, infatti, titolari di un interesse del tutto indiretto e riflesso e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile, in ordine all'avvio e alla conclusione dei procedimenti negoziali in questione, da ravvisarsi invece - in via esclusiva - in capo alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia a ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, quali organismi esponenziali d'interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia a ordinamento militare e al personale delle Forze armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali. Tutta la normativa (puntualmente citata nell'ultima memoria dell'Amministrazione) non lascia dubbi, infatti, sul fatto che l'istituzione della pensione complementare sia rimessa alla contrattazione collettiva, per cui i singoli dipendenti non possono che avere un interesse indiretto, non azionabile in sede giudiziale, all'attuazione della normativa mediante l'esercizio della necessaria attività sindacale. Ciò esclude l'esistenza di un obbligo per le amministrazioni di provvedere e di termini entro cui farlo. Né può essere riconosciuto un risarcimento del danno subì to in conseguenza della mancata attivazione delle procedure di concertazione. A prescindere dai possibili profili di inammissibilità di quello che risulterebbe essere, in relazione a tale domanda, un ricorso collettivo, non può non evidenziarsi come, se non si può ravvisare alcuna pretesa all'avvio della procedura di concertazione, tantomeno essa può configurarsi con riferimento alla conclusione del procedimento. In ogni caso nessuno dei ricorrenti può essere in grado di provare che avrebbe, effettivamente, manifestato consenso e adesione a siffatta forma previdenziale secondo condizioni (quelle che avrebbero dovuto formare oggetto di concertazione) che non sono ipotizzabili a priori e rispetto a cui, dunque, non è possibile accertare un effettivo interesse. Così respinto il ricorso, le spese del giudizio possono trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la particolarità della vicenda, la cui proposizione è intervenuta prima del consolidarsi del sopra ricordato orientamento giurisprudenziale. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto: - lo dichiara inammissibile in relazione all'azione di accertamento; - lo respinge in relazione alla domanda risarcitoria. Dispone la compensazione delle spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Carpentieri - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere, Estensore Alessio Falferi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 961 del 2024, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. On. e An. Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Università degli Studi di Ferrara, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via (...); -OMISSIS- -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'annullamento quanto al ricorso introduttivo: - del provvedimento D.R. 18 giugno 2024, -OMISSIS-, con cui la Rettrice ha approvato la graduatoria adottata dalla Commissione giudicatrice nell'ambito della procedura concorsuale indetta dall'Università per la copertura di n. 1 posto di Ricercatore universitario con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato con regime di impegno a tempo pieno ai sensi dell'art. 24, comma 3 della Legge 30 dicembre 2010, n. 240, Settore Concorsuale 06/C 1 Chirurgia generale, Settore Scientifico-Disciplinare MED /18 Chirurgia generale, Dipartimento di Medicina traslazionale e per la Romagna riservato art. 24, c. 1 bis L. 240/2010, nella parte in cui riconosce come vincitore della procedura il dott. -OMISSIS- -OMISSIS-; - del verbale n. 4 della Commissione giudicatrice, adottato in data -OMISSIS- nell'ambito della medesima procedura concorsuale, nella parte in cui è stato attribuito il punteggio di 90.5 su 100 al dott. -OMISSIS- -OMISSIS- ed è stata redatta la graduatoria posizionando il predetto al primo posto; - del verbale n. 3 approvato dalla Commissione giudicatrice nell'ambito della medesima procedura concorsuale, nella parte in cui non è stata rilevata la mancanza di un requisito di partecipazione in capo al dott. -OMISSIS- -OMISSIS- che ne avrebbe dovuto comportare l'esclusione dalla procedura; - del verbale n. 2 approvato dalla Commissione giudicatrice nell'ambito della medesima procedura concorsuale, nella parte in cui ha ammesso con riserva a partecipare alla procedura il dott. -OMISSIS- -OMISSIS-; - del verbale n. 1 approvato dalla Commissione giudicatrice nell'ambito della medesima procedura concorsuale indetta dall'Università per la copertura di n. 1 posto di Ricercatore universitario con contratto di lavoro con cui sono stati definiti i criteri di valutazione delle prove; - della relazione riassuntiva adottata dalla Commissione in data -OMISSIS- inerente alla procedura concorsuale in questione; - nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, anche non conosciuti dal ricorrente, che incidano sfavorevolmente sulla posizione giuridica del ricorrente medesimo; quanto al ricorso per motivi aggiunti: - della delibera del Consiglio di Amministrazione dell'Università di Ferrara del -OMISSIS- nella parte in cui viene chiamato per il posto di ricercatore a tempo determinato a norma dell'art. 24 comma 3 della L. n. 240 del 2010, riservato ai sensi dell'art. 24 comma 1 bis della L. n. 240 del 2010 il controinteressato a decorrere dal 1 novembre 2024. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Università degli Studi Ferrara; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm. e ravvisati i presupposti per la definizione della controversia con sentenza in forma semplificata; Il ricorrente ha impugnato tutti gli atti relativi alla procedura di concorso per l'assunzione di un ricercatore a tempo determinato, che ha visto vincitore il controinteressato, riservandosi la proposizione di motivi aggiunti e dell'azione di risarcimento del danno. Il concorso di cui è contestato l'esito è stato indetto ai sensi dell'art. 24, comma 3 della legge 240 del 2010 ed è stato "riservato art. 24, c 1 bis L. 240/2010". Il comma 1 bis dell'art. 24 citato prevede "Ciascuna università, nell'ambito della programmazione triennale, vincola risorse corrispondenti ad almeno un terzo degli importi destinati alla stipula dei contratti di cui al comma 1, in favore di candidati che per almeno trentasei mesi, anche cumulativamente, abbiano frequentato corsi di dottorato di ricerca o svolto attività di ricerca sulla base di formale attribuzione di incarichi, escluse le attività a titolo gratuito, presso università o istituti di ricerca, italiani o stranieri, diversi da quella che ha emanato il bando.". La norma prosegue specificando che il contratto di lavoro a tempo determinato di cui all'art. 24 può, in linea generale e di principio, essere stipulato con "possessori del titolo di dottore di ricerca o titolo equivalente, ovvero, per i settori interessati, del diploma di specializzazione medica". Dunque, il titolo di dottore di ricerca o il diploma di specializzazione sono il requisito ordinario per partecipare ai concorsi banditi sulla scorta della disposizione in commento. Cionondimeno, il legislatore ha inteso introdurre una riserva di posti a favore di una particolare categoria di soggetti tra i possessori di detti titoli ovvero di coloro che, come previsto dal comma 1 bis, possano vantare un requisito ulteriore, rappresentato dall'aver svolto attività di ricerca per almeno trentasei mesi presso altre università rispetto a quella che ha bandito il concorso, anche straniere. E, in effetti, coerentemente con la riserva, il bando richiede espressamente che i candidati, oltre al possesso del titolo di dottore di ricerca o la specializzazione, dimostrino di aver frequentato, per trentasei mesi, corsi di dottorato di ricerca presso università diverse da quella di Ferrara, anche straniere. Nel caso di specie, però, l'Università non avrebbe garantito il rispetto della riserva e ciò avrebbe determinato l'avversato esito della selezione. Nel ricorso, infatti, oltre a contestare l'attribuzione del punteggio (81,2 il ricorrente contro 90,5 del controinteressato), si censura, in via principale e preliminare, l'ammissione stessa del controinteressato al concorso, per mancanza del requisito speciale consistente nell'avere, per almeno trentasei mesi e anche cumulativamente, frequentato corsi di dottorato di ricerca o, in alternativa, "svolto attività di ricerca sulla base di formale attribuzione di incarichi, escluse le attività a titolo gratuito, presso università o istituti di ricerca, italiani o stranieri, diversi dall'Università degli Studi di Ferrara". Infatti, sebbene il candidato abbia dichiarato e la commissione abbia genericamente valutato la partecipazione a quattordici progetti di ricerca, anche sommando la durata degli stessi il requisito non risulterebbe integrato, dal momento che non può ritenersi rispettata la soglia minima dei trentasei mesi di attività di ricerca, in quanto, considerata l'incompatibilità tra iscrizione alla scuola di specializzazione (che il candidato ha terminato nel 2023) e lo svolgimento di incarichi retribuiti, egli avrebbe potuto al massimo aver svolto attività rilevante ai fini della riserva per massimo dodici mesi. Tali conclusioni, peraltro, non sono state contestate né dal controinteressato, che non si è costituito, né dall'Amministrazione. La difesa erariale, infatti, si incentra esclusivamente sul fatto che il titolo di studio richiesto per la partecipazione al concorso (punto 1, dell'art. 2 del bando) poteva essere sia il dottorato che il diploma di scuola di specializzazione, insistendo sull'equipollenza dei titoli (che può, in effetti, ritenersi acclarata dall'ormai costante giurisprudenza), ma nulla dice in ordine alla peculiarità del caso di specie, in cui il concorso è stato riservato a chi avesse frequentato per almeno trentasei mesi, anche cumulativamente, corsi di dottorato di ricerca o svolto attività di ricerca sulla base di formale attribuzione di incarichi, escluse le attività a titolo gratuito. L'illogicità e l'irrazionalità del modus operandi dell'Università, che ha bandito un concorso riservato, senza poi garantire la partecipazione ai soli possessori del requisito richiesto per accedere alla riserva, è specificamente oggetto della censura n. 2, la cui fondatezza non può che condurre all'accoglimento del ricorso. Invero, è incontestato che il titolo di studio richiesto per la partecipazione al concorso (punto 1, dell'art. 2 del bando) potesse essere sia il diploma di dottorato, che quello della scuola di specializzazione: titoli comunemente ritenuti equipollenti dalla giurisprudenza ormai consolidata formatasi sulla scorta di quanto stabilito dall'European Qualification Framework (EQF), secondo il quale l'ottavo livello di referenziazione prevede i seguenti titoli: Dottorato di ricerca, diploma accademico di formazione alla ricerca, diploma di specializzazione, master universitario di II livello, diploma accademico di specializzazione, diploma di perfezionamento o master. Si tratta di titoli professionalizzanti cui corrisponde lo stesso livello di formazione professionale, come specificato alle voci "conoscenza", "abilità " e "competenza". Ciononostante, la stessa giurisprudenza non disconosce le differenze in termini di durata del percorso professionalizzante (triennale per il Dottorato, minimo biennale per il Diploma di specializzazione, minimo annuale per il Master di II livello) e di crediti CFU (120 per il Diploma e 60 per il Master di II livello). Differenze che, se non escludono l'equipollenza, consentirebbero, in linea di principio, di differenziare il punteggio attribuibile (cfr. Cons. Stato sentenza n. 932 del 2022). Precisato, dunque, che nel caso di specie il ricorrente non contesta la suddetta equipollenza, ma lamenta la mancanza del diverso ed ulteriore requisito di cui al punto 2 del bando e cioè "aver frequentato per almeno trentasei mesi, anche cumulativamente, corsi di dottorato di ricerca o svolto attività di ricerca sulla base di formale attribuzione di incarichi, escluse le attività a titolo gratuito", la doglianza merita positivo apprezzamento. Per la partecipazione al concorso in questione, infatti, non poteva ritenersi sufficiente il titolo rappresentato dal diploma di dottorato o di specializzazione, ma era espressamente richiesto lo svolgimento di attività di ricerca retribuita per il periodo minimo di trentasei mesi: requisito che il controinteressato non possiede. Né può ritenersi che una tale interpretazione delle disposizioni applicabili alla fattispecie possa comportare un effetto discriminatorio dovuto al fatto che l'interpretazione proposta finirebbe per escludere la partecipazione a chi abbia seguito solo la scuola di specializzazione: lo svolgimento per un certo periodo di un'attività di ricerca è un requisito ulteriore che trova spiegazione nella ratio del comma 1-bis inserito nell'art. 24 della legge n. 240 del 2010 dall'art. 14, comma 6-decies, lett. a), del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2022, n. 79, che ha evidentemente inteso valorizzare e tutelare la figura del ricercatore, favorendo l'assunzione dei ricercatori già in attività pur senza trascurare l'esigenza di equilibrare il rischio che fossero privilegiate le carriere "interne" (di qui la specificazione della necessità che l'attività sia stata svolta presso atenei diversi da quello che ha bandito il concorso). Dunque è l'introduzione della riserva stessa che legittima, ontologicamente, il diverso trattamento degli aspiranti ricercatori. Nemmeno può sostenersi che la frequenza del corso di specializzazione sia equiparabile allo svolgimento di attività di ricerca. La specializzazione post-laurea è, infatti, un percorso formativo al quale ci si iscrive dopo il conseguimento della laurea, costituito da un corso pratico che ha l'obiettivo di far acquisire competenze specifiche per lo svolgimento di una professione. Il dottorato di ricerca, invece, è un percorso che prepara alla carriera di ricercatore e di professore accademico. Esso rappresenta il più alto grado di istruzione dell'ordinamento accademico italiano e ha lo scopo di fornire competenze e conoscenze di tipo scientifico relative all'ambito della ricerca. Appaiono dunque condivisibili le prospettazioni del TAR Calabria nella sentenza n. 50/2023, in cui si legge che "mentre il corso di specializzazione ha l'obiettivo di fornire allo studente conoscenze o abilità per funzioni richieste nell'esercizio di particolari attività professionali, risultando evidente la possibile spendita del titolo in ambito squisitamente professionale e lavorativo, il dottorato di ricerca, in base a quanto previsto dall'art. 4 legge 210 del 1998, - norma richiamata -ha la finalità di acquisire le competenze necessarie per esercitare, presso università, enti pubblici o soggetti privati, attività di ricerca di alta qualificazione, anche ai fini dell'accesso alle carriere nelle amministrazioni pubbliche nonché dell'integrazione di percorsi professionali di elevata innovatività .". Dunque, sebbene si tratti di titoli equipollenti, i quali consentono entrambi la partecipazione ai concorsi per ricercatori universitari, non di meno tale differenza ontologica e funzionale tra i due titoli di studio post laurea non può non rilevare in relazione alla partecipazione a un concorso esplicitamente riservato al sottogruppo, nell'ambito di coloro che posseggono i diplomi equivalenti, di coloro che abbiano svolto attività di ricerca remunerata per almeno trentasei mesi. Diversamente opinando, peraltro, la riserva di cui al comma 1 bis dell'art. 24 più volte citato non avrebbe alcun significato e non risponderebbe ad alcuna ratio. Deve, dunque, ritenersi che l'Università di Ferrara abbia illegittimamente ammesso a partecipare alla selezione in parola l'odierno controinteressato, nonostante lo stesso non fosse in possesso del requisito necessario per essere annoverato tra coloro ai quali il ricorso è stato riservato. Ne deriva l'accoglimento del ricorso introduttivo, con conseguente annullamento degli atti impugnati con la proposizione di tale gravame, nonché di quello consequenziale oggetto dell'impugnazione con ricorso per motivi aggiunti. Le spese del giudizio seguono l'ordinaria regola della soccombenza e debbono, conseguentemente, essere poste a carico della sola Università resistente, mentre possono essere compensate nei confronti del controinteressato non costituito. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla i provvedimenti impugnati. Condanna l'Amministrazione resistente al pagamento delle spese del giudizio a favore del ricorrente, che liquida nella misura di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre ad accessori di legge, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Carpentieri - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere, Estensore Alessio Falferi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 366 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lo. Le. e Vi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Bologna, Ministero Dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica - Albo Nazionale Gestori Ambientali Emilia-Romagna, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via (...); Azienda Usl di Bologna, Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura di Bologna, Città Metropolitana di -OMISSIS- - Area Ambiente - Direzione Amministrativa Ambiente, Comune di -OMISSIS-, Comune di -OMISSIS- - Suap, Comune di -OMISSIS-, Ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica, non costituiti in giudizio; Città Metropolitana di -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Agenzia Regionale per la Prevenzione, L'Ambiente e L'Energia dell'Emilia-Romagna - Arpae, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. On. e Ma. El. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento per quanto attiene al ricorso introduttivo: a) del provvedimento -OMISSIS-, con il quale il Prefetto di Bologna ha reso informativa interdittiva antimafia, in danno della -OMISSIS-, ai sensi degli artt. 84 co. 4, 89 bis e 91 D. Lgs. 159/2011 ed ha respinto l'istanza di iscrizione nella White List, ai sensi dell'art. 1 L. 190/12; b) del verbale del GIA della riunione del -OMISSIS- presso l'UTG di Bologna; c) di tutti gli atti istruttori delle Autorità di PS, richiamati a fondamento del provvedimento sub a), non conosciuti, e precisamente: - della nota -OMISSIS- del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Bologna; - della segnalazione -OMISSIS- del nucleo del NOE di -OMISSIS-, pervenuta all'UTG di Bologna in data -OMISSIS- e della nota ad essa allegata; - ove occorra della nota dell'U.T.G. di Bologna -OMISSIS-, trasmessa a -OMISSIS-; d) ove e per quanto occorra, della ordinanza del G.I.P. del Tribunale di -OMISSIS- del -OMISSIS- di applicazione della misura interdittiva dell'esercizio dell'attività di impresa, con conseguente sospensione di tutti i titoli autorizzativi, ai sensi dell'art. 14 D.Lgs. 231/2001; e) della determina dirigenziale -OMISSIS-, a firma del Responsabile Area Ambiente della Città Metropolitana di -OMISSIS-, con la quale si è disposta revoca delle autorizzazioni allo scarico delle acque reflue in fognatura e della comunicazione in materia di rifiuti di cui all'art. 216 D.Lgs. 152/2006 lett. G) e si è ordinata la sospensione ad horas della attività nell'opificio industriale di -OMISSIS-; f) della nota della Città Metropolitana di -OMISSIS- -OMISSIS- di trasmissione della determina sub e); g) ove e per quanto occorra, della nota della Prefettura di Bologna -OMISSIS- di trasmissione della interdittiva sub a) alla Città Metropolitana di -OMISSIS-; h) della determina dirigenziale -OMISSIS-, a firma del Responsabile ARPAE - Unità Rifiuti ed Energia, che ha disposto la revoca della determina dirigenziale ARPAE -OMISSIS- e la cancellazione di -OMISSIS- dal Registro Provinciale di Bologna delle Imprese che effettuano comunicazione di inizio attività di recupero di rifiuti non pericolosi, ai sensi dell'art. 216 D.Lgs. 152/2006; i) ove e per quanto occorra, della proposta dell'ARPAE -OMISSIS-, mai conosciuta, della nota della Prefettura di Bologna -OMISSIS-, di trasmissione ad ARPAE della interdittiva sub a; l) ove e per quanto occorra, della nota del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica -OMISSIS- di comunicazione di avvio del procedimento disciplinare di cancellazione dall'Albo Nazionale Gestori Ambientali; n) di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e consequenziali; per quanto attiene al primo ricorso per motivi aggiunti: - della determina dirigenziale -OMISSIS-, a firma del Responsabile Area Ambiente della Città Metropolitana di -OMISSIS-, con la quale si è disposta la cancellazione della -OMISSIS- dal Registro delle Imprese di cui all'art. 216 co. 3 D. Lgs. 152/2006, di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e consequenziali; per quanto attiene al secondo ricorso per motivi aggiunti: - del provvedimento -OMISSIS- del Presidente della Sezione Regionale dell'Emilia-Romagna dell'Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, notificato a mezzo p.e.c. il 2.8.2023, con cui è stata disposta la cancellazione dall'Albo della Società -OMISSIS-; - della Deliberazione della Sezione dell'Emilia-Romagna dell'Albo Nazionale dei Gestori Ambientali -OMISSIS-, con la quale si è disposta la cancellazione d'ufficio dall'Albo della Società -OMISSIS-; - ove e per quanto occorra, della nota del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica -OMISSIS- di comunicazione di avvio del procedimento disciplinare di cancellazione dall'Albo Nazionale Gestori Ambientali; - ove e per quanto occorra, della nota della Sezione Campania Albo Nazionale Gestori Ambientali di trasmissione alla Sezione Emilia - Romagna del provvedimento di revoca dell'autorizzazione AUA -OMISSIS-; - del provvedimento del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica -OMISSIS- di diniego della istanza presentata dalla -OMISSIS-, in data -OMISSIS-, di variazione per le categorie e classi 1D - 4F e 8F; - di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e conseguenziali.23 di comunicazione di avvio del procedimento disciplinare di cancellazione dall'Albo Nazionale Gestori Ambientali; - ove e per quanto occorra, della nota della Sezione Campania Albo Nazionale Gestori Ambientali di trasmissione alla Sezione Emilia - Romagna del provvedimento di revoca dell'autorizzazione AUA -OMISSIS-; - del provvedimento del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica -OMISSIS- di diniego della istanza presentata dalla -OMISSIS-, in data -OMISSIS-, di variazione per le categorie e classi 1D - 4F e 8F; - di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e conseguenziali.23 di comunicazione di avvio del procedimento disciplinare di cancellazione dall'Albo Nazionale Gestori Ambientali; - ove e per quanto occorra, della nota della Sezione Campania Albo Nazionale Gestori Ambientali di trasmissione alla Sezione Emilia - Romagna del provvedimento di revoca dell'autorizzazione AUA -OMISSIS-; - del provvedimento del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica -OMISSIS- di diniego della istanza presentata dalla -OMISSIS-, in data -OMISSIS-, di variazione per le categorie e classi 1D - 4F e 8F; - di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e conseguenziali.23 di comunicazione di avvio del procedimento disciplinare di cancellazione dall'Albo Nazionale Gestori Ambientali; - ove e per quanto occorra, della nota della Sezione Campania Albo Nazionale Gestori Ambientali di trasmissione alla Sezione Emilia - Romagna del provvedimento di revoca dell'autorizzazione AUA -OMISSIS-; - del provvedimento del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica -OMISSIS- di diniego della istanza presentata dalla -OMISSIS-, in data -OMISSIS-, di variazione per le categorie e classi 1D - 4F e 8F; - di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e conseguenziali. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, della Città Metropolitana di -OMISSIS-, dell'U.T.G. - Prefettura di Bologna, del Ministero dell'Ambiente e della sicurezza Energetica - Albo Nazionale Gestori Ambientali Emilia-Romagna e dell'Agenzia Regionale per la Prevenzione, l'Ambiente e l'Energia dell'Emilia-Romagna - Arpae; Vista la nota in data 17 settembre 2024, con la quale parte ricorrente dichiara di non aver più interesse al ricorso; Visti gli artt. 35, co. 1, lett. c, e 85, co. 9, cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con provvedimento del -OMISSIS-, la Prefettura di Bologna, accertata la sussistenza di pericolo di infiltrazioni mafiose ex artt. 84, 89-bis e 91 del d.lgs. n. 159/2011 che qualifica il provvedimento come "informazione antimafia interdittiva", ha rigettato l'istanza di -OMISSIS- di iscrizione negli elenchi dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa istituito dalla Prefettura stessa ai sensi della l. n 190/2012, nonché disposto la cancellazione della società medesima dalle imprese richiedenti l'iscrizione nell'elenco prefettizio. Tale provvedimento è stato impugnato con il ricorso introduttivo, nel quale si sostiene che l'interdittiva antimafia sarebbe scaturita, nel caso di specie, dal coinvolgimento in più procedimenti penali della odierna ricorrente, ancorché con riferimento alle sedi -OMISSIS- (l'ordinanza del giudice penale riguarderebbe, infatti, un personaggio coinvolto nell'attività della odierna ricorrente), ma essa sarebbe frutto del travisamento, da parte del Prefetto, degli atti dei giudizi penali. La Prefettura di Bologna avrebbe, dunque, erroneamente ritenuto che anche la sede di -OMISSIS- fosse soggetta a influenze mafiose, senza considerare che le stesse sarebbero state accertate nel giudizio penale solo con riferimento alla sede -OMISSIS-. Il provvedimento sarebbe, dunque, privo di adeguata motivazione, non essendo stata dimostrata la "agevolazione mafiosa". La misura di rigore disposta nei confronti della ricorrente riposerebbe, infatti, su di un adombrato (e datato) scenario di pericolo, non concretamente accertato con riferimento alla sede di -OMISSIS-. Nel ricorso si è, quindi, sostenuta l'illegittimità dell'interdittiva e della non ammissione alla "white list" per violazione dell'art. 94 bis (in relazione artt. 92 comma 2 ter, lett. a) - b) del Codice Antimafia, denunciando la mancata applicazione della misura di prevenzione collaborativa perché sussisterebbe nel caso di specie, a detta della ricorrente, una pretesa agevolazione occasionale. È stata, quindi, dedotta l'illegittimità derivata dei provvedimenti della Città Metropolitana di -OMISSIS- e di ARPAE Emilia - Romagna. Si è costituito in giudizio il gestore dell'Albo, depositando una relazione nella quale si dà atto di come, una volta ricevuto il Provvedimento del Prefetto di Bologna con -OMISSIS-, avente carattere di informazione antimafia interdittiva ai sensi degli artt. 84, 89 bis e 91 del Codice Antimafia, l'apertura del procedimento disciplinare di cancellazione previsto dall'art. 21 del DM 120/2014 era atto dovuto, essendo venuto a mancare un requisito di iscrizione all'Albo di cui all'art. 10 comma 2 del medesimo decreto. Come previsto dall'art. 20 del citato decreto, si è, quindi, provveduto ad assegnare un termine di trenta giorni all'iscritto. Prima della scadenza di tale termine la -OMISSIS- ha notificato il ricorso in esame e, conseguentemente, in attesa della pronuncia sulla richiesta misura cautelare, l'Albo ha sospeso la procedura volta alla cancellazione dall'Albo. Anche ARPAE ha eccepito l'infondatezza del ricorso nella parte in cui è volto ad ottenere l'annullamento del provvedimento di iscrizione (volturata) di -OMISSIS- al registro provinciale delle imprese effettuanti la comunicazione di inizio attività di recupero dei rifiuti non pericolosi ex art. 216 del d.lgs. n. 152/2006, con conseguente cancellazione della società dal medesimo registro. Parimenti il Ministero e le sue articolazioni intimate si sono costituiti in giudizio, sostenendo l'infondatezza del ricorso. Medio tempore, anche la sede di -OMISSIS- dell'impresa ricorrente (avente lo stesso nome e gli stessi amministratori) è stata raggiunta da ordinanza di applicazione della misura interdittiva dell'esercizio dell'attività d'impresa, con conseguente sospensione ex art. 14 D. Lgs. 231/2001 di tutti i titoli autorizzativi in forza alla ditta e funzionali all'esercizio dell'attività imprenditoriale, emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di -OMISSIS- in data -OMISSIS-. Ciò ha comportato l'adozione, da parte della città metropolitana di -OMISSIS-, del provvedimento di cancellazione della ricorrente dal Registro delle Imprese di cui all'art. 216 co. 3 D. Lgs. 152/2006. Tale atto è stato impugnato con il primo ricorso per motivi aggiunti, nell'ambito del quale l'Amministrazione che l'ha adottato si è costituita in giudizio, eccependo l'infondatezza di quanto ivi dedotto, attesa la natura vincolata e consequenziale del provvedimento in questione. Con un secondo ricorso per motivi aggiunti è stato, quindi, impugnato il provvedimento con cui l'Albo Nazionale Gestori, avuta notizia dell'abbinamento al merito dell'istanza cautelare, con determina Presidenziale -OMISSIS-, ha disposto la cancellazione ad horas dall'Albo Nazionale dei Gestori Ambientali senza previa comunicazione dell'avvio del procedimento. In tale ricorso si deduce l'illegittimità della cancellazione per invalidità propria, oltre che derivata, connessa al fatto che la riattivazione del procedimento di cancellazione dell'Albo non è stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, con conseguente violazione dell'art. 7 della legge n. 241 del 1990. Inoltre, il provvedimento di cancellazione sarebbe illegittimo, in quanto adottato senza tenere conto che la ricorrente ha presentato al Tribunale di Prevenzione Penale di Bologna, in data -OMISSIS-, un'istanza di nomina di un Controllore Giudiziario ex art. 34 bis comma VI del d.lgs. n. 159 del 2011. Dopo un primo rinvio della trattazione della causa nel merito, in vista dell'udienza pubblica del 18 settembre 2024, l'Amministrazione statale ha rappresentato come che la presenza di un forte e persistente rischio di infiltrazione mafiosa nella società ricorrente è stata ribadita anche dal Giudice della prevenzione, il quale, in sede di diniego dell'ammissione al controllo giudiziario ai sensi dell'art. 34-bis della l. n. 159 del 2011, ha avuto modo di osservare che "stante la perduranza di infiltrazioni -OMISSIS- (clan -OMISSIS-), deve ritenersi la non occasionalità dell'infiltrazione mafiosa" (cfr. provvedimento già depositato dalla scrivente difesa in data 21 giugno 2024). In particolare, nel provvedimento della Corte d'appello di Bologna, sez. misure di prevenzione, si legge che "il sequestro dell'unità produttiva -OMISSIS- della -OMISSIS- per -OMISSIS-, sempre ricollegabili al clan della -OMISSIS- che gestisce e controlla lo sversamento e il recupero dei rifiuti speciali, quali gli oli esausti di cui si occupa appunto la società ricorrente, non significa che tale attività fosse limitata a tale regione, emergendo dalle indagini che anche nel territorio bolognese vi siano forme di controllo organizzato in termini illeciti delle attività in cui opera la società (ragion per cui è stata disposta trasmissione degli atti da -OMISSIS- a Bologna dal Gip). Tutte le società in cui compare il -OMISSIS- peraltro presentano nel loro organigramma soggetti indiziati di appartenenza mafiosa. Ritiene pertanto la Corte che ci si trovi di fronte ad una unità produttiva riconducibile ad un unico soggetto, contraddistinto da rapporti di dipendenza lavorativa ridotti e fondati su legami di conoscenza, geneticamente acquisita anche con soldi di provenienza illecita frutto del reimpiego di denaro derivante dall'oggetto sociale di sodalizi criminali legati al mondo della -OMISSIS- e comunque fortemente condizionata da legami mafiosi intimamente connessi alla stessa attività economica". Dunque, non solo il Giudice della prevenzione ha condiviso la valutazione della Prefettura circa la sussistenza di un pericolo infiltrativo, ma è giunto a ritenere che gli elementi di contaminazione mafiosa della società ricorrente fossero così gravi da escluderne in radice la bonificabilità . Secondo la tesi dell'Amministrazione, pur essendo diversi i piani, tali considerazioni non possono non rilevare ai fini di escludere l'illogicità e carenza di motivazione dedotte nel ricorso introduttivo e nei successivi motivi aggiunti. Parte ricorrente ha, quindi, chiesto un nuovo rinvio della trattazione in ragione del fatto che l'udienza in Cassazione per la nomina di un controllore ex art. 34 bis CAM è stata calendarizzata per il 17 settembre 2024. In data 17 settembre 2024, la ricorrente, dando atto che è sopravvenuta una causa di scioglimento della società per la riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale (art. 2484 c.c.), ha chiesto la dichiarazione dell'improcedibilità del ricorso, essendo venuto meno l'interesse alla decisione. Al Collegio non rimane, dunque, che definire la controversia in rito, salvo disporre la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, attesa la soccombenza virtuale emergente da tutto quanto più sopra rappresentato, che mette in evidenza come i provvedimenti impugnati fossero immuni dai vizi dedotti. Conseguentemente, le spese del giudizio debbono essere imputate alla ricorrente, che dovrà corrispondere le somme in dispositivo indicate a favore delle tre parti resistenti, ovvero le Amministrazioni statali, la Città metropolitana e ARPAE. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio a favore delle tre parti costituite, nella misura di euro 2.000,00 (duemila/00) ciascuna, per un totale di euro 6.000,00 (seimila/00), oltre ad accessori di legge, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Carpentieri - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere, Estensore Alessio Falferi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 846 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Da. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Ferrara, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. On., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento dell'ordinanza numero -OMISSIS- del 29 settembre 2023 del Comune di Ferrara, nonché per l'annullamento di ogni atto o provvedimento presupposto o consequenziale, successivo, preparatorio, anteriore o conseguente, conosciuto e non. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Ferrara; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2024 il dott. Alessio Falferi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso depositato in data 8.12.2023, -OMISSIS-, titolare del pubblico esercizio "-OMISSIS-", sito in Ferrara alla -OMISSIS-, ha impugnato, formulando anche istanza di sospensione cautelare, l'ordinanza n. -OMISSIS- del 29.9.2023 con cui il Sindaco del Comune di Ferrara ha disposto la chiusura del suddetto esercizio dalle ore 20,00 alle ore 07,00 del giorno successivo per la durata di 12 mesi. L'impugnato provvedimento risulta sostanzialmente fondato sui seguenti rilievi: - il Questore di Ferrara ha adottato in data 21.9.2023 il decreto ex art. 100 Tulps di sospensione dell'attività del pubblico esercizio in oggetto per quattro giorni, in quanto ritrovo abituale di persone gravate da precedenti penali e di polizia per reati inerenti la materia degli stupefacenti, reati contro il patrimonio e la persona; -anche gli operatori della Polizia Locale, in più occasioni, hanno individuato nei pressi dell'esercizio soggetti dediti allo spaccio di sostanze stupefacenti e sono intervenuti a seguito di una lite tra soggetti gravati da precedenti di polizia; -tanto premesso, va adotatta, nei confronti dell'esercizio pubblico, la misura prevista dall'art. 50, comma 6, del Regolamento di Polizia Urbana, con l'imposizione della chiusura del locale alle ore 20,00 di ogni sera fino alle ore 07.00 del giorno successivo per 12 mesi, tenuto conto anche della necessità di tutela della sicurezza urbana. Il ricorrente, in sintesi, ha formulato le seguenti censure: "1. violazione di legge - violazione dell'articolo 21-septies della legge del 7 agosto 1990, n. 241 - nullità dell'atto ammnistrativo in assenza della sottoscrizione"; l'atto gravato sarebbe nullo in quanto privo della sottoscrizione; "2. Violazione del principio di affidamento, violazione dell'art. 1, comma 2 bis l. n. 241/1990. Eccesso di potere per sviamento, ingiustizia e contraddittorietà e degli artt. 3 e 97 Cost. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta e per irragionevolezza: ingiusta manifesta, contraddittorietà manifesta, sviamento"; l'attività amministrativa non avrebbe perseguito i fini determinati dalla legge e i criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza; "3. Illegittimità del provvedimento per eccesso di potere"; vi sarebbe eccesso di potere in quanto l'art. 50, commi 5, 7 e 7 ter, del D.Lgs. n. 267/2000 non attribuirebbe al Sindaco poteri in materia di pubblica sicurezza che spetterebbero esclusivamente al Questore e, comunque, sarebbero poteri finalizzati ad affrontare problematiche di carattere generali; la deliberazione di approvazione del Regolamento di Polizia Urbana (in particolare l'art. 47) sarebbe illegittima; "4. violazione di legge - violazione dell'articolo 21-octies della legge del 7 agosto 1990, n. 241 - nullità dell'atto ammnistrativo in violazione di legge (ne bis in idem)"; l'ordinanza comunale impugnata sarebbe una illegittima ripetizione della sanzione del Questore, essendo fondata sugli stessi presupposti; "5. violazione di legge - violazione dell'articolo 21-octies della legge del 7 agosto 1990, n. 241 mancato avviso di avvio procedimento ex artt. 7 e 8, legge 241/1990"; la comunicazione di avvio del procedimento sarebbe stata omessa pur in assenza di motivi di urgenza; "6. irragionevole squilibrio della sanzione amministrativa"; la sanzione applicata sarebbe quella massima prevista. Si è costituito in giudizio il Comune di Ferrara, il quale, previa puntuale contestazione delle censure avversarie, ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza. Con ordinanza -OMISSIS-, assunta alla Camera di Consiglio del 20 dicembre 2023, è stata respinta l'istanza di sospensione cautelare, in quanto "l'Amministrazione Comunale ha assunto il provvedimento in questa sede gravato in diretta applicazione dell'art. 50, comma 6, del Regolamento di Polizia Urbana, che dispone, per quanto qui rileva, che " A chi sia stato sottoposto alla chiusura dell'attività ai sensi dell'art. 100 TULPS, è applicata la riduzione dell'orario di apertura del locale per dodici mesi; in caso di ulteriore applicazione dell'art. 100 TULPS, la riduzione oraria è applicata in modo definitivo" , prescrizione non espressamente impugnata", tenuto conto che a carico della ditta ricorrente "è stato effettivamente assunto, in data 20.9.2023, un provvedimento ex art. 100 Tulps dal Questore di Ferrara". In vista dell'udienza di discussione le parti hanno depositato memorie difensive con cui hanno ribadito le rispettive argomentazioni e replicato a quelle avversarie. Alla Pubblica Udienza del 10 luglio 2024, il ricorso è stato trattenuto in decisione, come da verbale di causa. Il Collegio ritiene di confermare quanto sommariamente già esposto in sede cautelare in ordine alla infondatezza del ricorso. Per quanto riguarda le censure di merito, giova ricordare che il Regolamento di Polizia Urbana di Ferrara disciplina all'art. 50 le sanzioni conseguenti alla violazione delle disposizioni regolamentari e prevede, al comma 6, che "A chiunque violi per due volte in un anno le prescrizioni dettate dagli articoli 46, 47 e 48 o violi le norme in materia di alcool, oppure di rumore o, parimenti, violi gli atti adottati in base ai citati articoli, è applicata la riduzione dell'orario di apertura del locale per sei mesi. A chi sia stato sottoposto alla chiusura dell'attività ai sensi dell'art. 100 TULPS, è applicata la riduzione dell'orario di apertura del locale per dodici mesi; in caso di ulteriore applicazione dell'art. 100 TULPS, la riduzione oraria è applicata in modo definitivo". Come sopra ricordato, il Questore di Ferrara, con decreto del 21.9.2023 adottato ai sensi dell'art. 100 Tulps, ha disposto la sospensione dell'attività del pubblico esercizio in questione per quattro giorni, in quanto ritrovo abituale di persone gravate da precedenti penali e di polizia per reati inerenti la materia degli stupefacenti, reati contro il patrimonio e la persona. Tale decreto, pertanto, ha costituito il presupposto per l'applicazione della riduzione di orario in questa sede contestata, che è stata disposta sulla base della previsione del secondo periodo del comma 6 del suddetto art. 50 del Regolamento di Polizia Urbana di Ferrara, il quale come visto, prevede, in via automatica, la riduzione dell'orario di apertura del locale per dodici mesi. La fascia oraria di chiusura (dalle 20.00 alle 07.00 del giorno successivo) è stata individuata sulla base di quanto espressamente previsto dall'art. 47 del medesimo Regolamento. Il Comune, pertanto, con l'atto impugnato ha operato un'applicazione dovuta delle norme regolamentari, in considerazione dell'adozione del decreto questorile di chiusura dell'esercizio ex art. 100 Tulps. Come già evidenziato in sede cautelare, parte ricorrente non ha formalmente impugnato l'art. 50 del Regolamento Comunale di Polizia Urbana né, peraltro, ha formulato specifiche censure nei confronti della suddetta previsione normativa. A tal proposito, anche con riferimento a quanto sostenuto da parte ricorrente con la memoria difensiva da ultimo depositata, pare opportuno ricordare che in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, la formula di stile, con la quale viene estesa l'impugnazione ad ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale, è priva di qualsiasi valore processuale in quanto inidonea ad individuare uno specifico oggetto di impugnativa, considerato che solo una inequivoca determinazione del petitum processuale consente alle controparti la piena esplicazione del diritto di difesa in giudizio garantito dall'art. 24, comma 2, della Costituzione (Consiglio di Stato, sez. V, 28 giugno 2024, n. 5734; id., 31 marzo 2017, n. 1500; id., sez. III, 7 luglio 2015, n. 3392; id., sez. IV, 12 maggio 2014 n. 2417; id., sez. V, 27 marzo 2013, n. 1826). Dunque, alla luce di quanto sopra, le censure di carattere sostanziale formulate in ricorso (motivi 2, 3, 4 e 6) non possono trovare accoglimento, atteso che l'atto impugnato è stata assunto in via strettamente consequenziale e vincolata in considerazione della previsione di cui all'art. 50, comma 6, del Regolamento di Polizia Urbana. Nemmeno le censure di carattere formale possono trovare accoglimento. Quanto alla asserita nullità /illegittimità del provvedimento per mancata sottoscrizione (motivo sub n. 1), si osserva che il Comune resistente ha depositato in giudizio "copia conforme all'originale digitale" del provvedimento impugnato, con indicazione del numero di protocollo e nome del firmatario. La doglianza, pertanto, non è fondata. Quanto alla lamentata mancata comunicazione di avvio del procedimento in assenza di motivi di urgenza (motivo sub n. 5), si osserva che il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato, stante la previsione di cui al ricordato art. 50, comma 6, del Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Ferrara. In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra esposto, il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto. Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità della parte ricorrente. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Carpentieri - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere Alessio Falferi - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 158 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati Fe. Be. e Ma. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Prefettura - U.T.G. di Reggio Emilia, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via (...); Ministero dell'Interno, non costituito in giudizio; per l'annullamento - del provvedimento del Prefetto di Reggio Emilia prot. n. -OMISSIS- emesso in data 30/11/2020 e notificato in data 17/12/2020, con cui è stato pronunciato, ex art. 39 T.U.L.P.S., il divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti nei confronti di -OMISSIS-, ingiungendo al medesimo di cedere le armi e le munizioni detenute a persona non convivente entro e non oltre il termine di 150 giorni dalla data di notificazione; - del provvedimento del Questore di Reggio Emilia n. -OMISSIS-, emesso e notificato in data 17/12/2020, con cui è stata disposta la revoca della licenza di porto d'arma lunga per uso caccia n. -OMISSIS-, rilasciata dalla Questura di Reggio Emilia il 10/08/2015 a -OMISSIS- ed in corso di validità ; - del silenzio-rifiuto formatosi, ex art. 6 D.P.R. n. 1199/1971, in data 14/04/2021, sul ricorso gerarchico presentato da -OMISSIS- in data 15/01/2021, a mezzo del Prefetto di Reggio Emilia, avverso il provvedimento di divieto di detenere armi, munizioni ed esplodenti emesso da Prefetto di Reggio Emilia prot. n. -OMISSIS-, in data 30/11/2020, notificato in data 17/12/2020; - del silenzio-rifiuto formatosi, ex art. 6 D.P.R. n. 1199/1971, in data 14/04/2021, sul ricorso gerarchico presentato da -OMISSIS- in data 15/01/2021 al Prefetto di Reggio Emilia, avverso il provvedimento di revoca di licenza per porto d'arma lunga per uso caccia n. -OMISSIS-, rilasciata dalla Questura di Reggio Emilia il 10/08/2015 in corso di validità ; - nonché di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Prefettura - U.T.G. di Reggio Emilia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Caterina Luperto e udito, per il ricorrente, il difensore come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Il sig. -OMISSIS-, con ricorso proposto come in rito, chiede l'annullamento del provvedimento di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti emesso in data 30 novembre 2020 dal Prefetto di Reggio Emilia, del provvedimento di revoca della licenza di porto d'arma lunga per uso caccia emesso in data 17 dicembre 2020 dal Questore di Reggio Emilia, nonché dei "silenzi-rifiuti" formatisi sui "ricorsi gerarchici" proposti avverso i suddetti provvedimenti. I gravati provvedimenti sono fondati sulla circostanza che il ricorrente avrebbe omesso di denunciare le armi acquistate nel 1988 dalla sig.ra -OMISSIS-, all'epoca dei fatti sua convivente. In particolare, in fatto, il sig. -OMISSIS-, in data 7 ottobre 2020, si è presentato presso l'Ufficio Armi della Questura di Reggio Emilia, al fine di denunciare, ai sensi dell'art. 38 T.U.L.P.S., il possesso di due armi da fuoco illo tempore cedutegli dalla sig.ra -OMISSIS-. Rilevando la mancata denuncia dell'acquisto di armi ex art. 38 T.U.L.P.S. da parte del sig. -OMISSIS-, il personale della Squadra di polizia giudiziaria della Divisione di Polizia Amministrativa e Sociale e dell'Immigrazione della Questura ha provveduto all'immediato ritiro cautelare delle armi e delle munizioni detenute dal ricorrente presso il proprio domicilio. Ne è derivato, sul piano amministrativo, l'adozione del provvedimento del Prefetto di divieto di detenzioni di armi, munizioni e materie esplodenti e del provvedimento del Questore di revoca della licenza di porto di arma lunga ad uso caccia; sul piano penale, l'avvio di un procedimento nei confronti del ricorrente per il reato di omessa denuncia di arma ai sensi degli articoli 17 e 38, comma 1, del T.U.L.P.S. Avverso il provvedimento di divieto di detenzione di armi, munizioni e materiale esplodente emesso dal Prefetto il ricorrente espone di aver proposto, in data 15 gennaio 2021, "ricorso gerarchico" al Prefetto medesimo, chiedendone l'annullamento. Avverso il provvedimento di revoca della licenza di porto d'arma lunga per uso caccia emesso dal Questore, il ricorrente, in data 15 gennaio 2021, ha proposto ricorso gerarchico al Prefetto, chiedendone l'annullamento. Decorsi i 90 giorni senza ricevere alcuna decisione in ordine ai ricorsi gerarchici e ritenuto, pertanto, formatosi il silenzio-rifiuto su entrambi, il ricorrente ha impugnato il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, la revoca della licenza di porto di arma lunga ad uso caccia e i silenzi-rifiuti ritenuti formatisi sui ricorsi gerarchici in questione. Si è costituita in giudizio la Prefettura di Reggio Emilia che, con relazione depositata in atti in data 9 luglio 2021, ha eccepito in via pregiudiziale l'intempestività del ricorso nella parte in cui è impugnato il divieto di detenzione armi, munizioni e materie esplodenti per violazione del termine decadenziale di impugnazione, precisando che il provvedimento prefettizio sarebbe stato notificato al ricorrente in data 17 dicembre 2020, mentre il ricorso giurisdizionale avverso detto atto sarebbe stato notificato in data 11 giugno 2021; e che il "ricorso gerarchico" avverso il divieto di detenzione di armi, al di là del nomen iuris, in quanto proposto alla stessa Autorità che ha emesso il provvedimento debba intendersi quale richiesta di annullamento in autotutela, come tale non idonea ad interrompere il termine di decadenza entro cui promuovere l'azione in giudizio. Con deposito del giorno 9 luglio 2021, la Prefettura di Reggio Emilia ha prodotto agli atti del giudizio la comunicazione del 7 giugno 2021 con cui il Dirigente della Divisione di Polizia Amministrativa e Sociale e dell'Immigrazione della Questura di Reggio Emilia, dopo aver precisato, con riferimento alla dichiarazione di acquisto delle armi da parte del ricorrente, che "si è proceduto da parte del personale dell'intestata Divisione ad effettuare un'ulteriore ed approfondita ricerca presso l'archivio storico della Questura, interessata, come noto, da una estesa digitalizzazione di atti e fascicoli", ha evidenziato che "detta ricerca ha consentito di rinvenire un documento, non digitalizzato, risalente al 29 agosto 1988, con il quale -OMISSIS-, a norma di legge, comunicava alla Questura di Reggio Emilia il possesso delle armi già detenute, ovvero quelle ereditate dal padre -OMISSIS-, nonché il possesso delle due armi acquisite dalla Signora -OMISSIS-, ovvero il revolver calibro 38 marca (omissis) con matricola -OMISSIS- ed il fucile a canne sovrapposte calibro 12 marca (omissis), modello (omissis), con matricola -OMISSIS-. Tale documento (trasmesso in copia alla competente AG.), riportante la firma di -OMISSIS- nonché il timbro di ricevuta della Questura di Reggio Emilia del 29.08.1988, permette di acclarare l'esatto rispetto delle modalità e dei termini previsti per la presentazione della denuncia ex art. 38 TULPS"; concludendo, tuttavia, che "malgrado la denuncia di possesso delle due armi in argomento il 29/08/1988 (quindi contestualmente alla dichiarazione di cessione di -OMISSIS-), -OMISSIS- ha omesso di elencarle nella successiva dichiarazione pervenuta presso questi Uffici il 27.06.2006, dichiarando più volte dal 07.10.2020 (anche a codesto Ufficio) di non avere cognizione di dove fossero custodite". Con memoria depositata in giudizio in data 11 aprile 2024, il ricorrente ha evidenziato che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia, ricevuta la comunicazione di notizia di reato del 21 ottobre 2020, aveva avviato il procedimento penale -OMISSIS- RGNR Mod. 21, delegando la Squadra di polizia giudiziaria della Divisione di Polizia Amministrativa e Sociale della Questura di Reggio Emilia allo svolgimento di ulteriori atti di indagine. Precisa che, nel corso di tali indagini, la Questura di Reggio Emilia aveva rinvenuto, presso il proprio archivio storico, "un documento cartaceo risalente al 29 agosto 1988 nel quale -OMISSIS- comunicava alla Questura di Reggio Emilia il possesso, presso il proprio immobile sito in Reggio Emilia via -OMISSIS-, delle armi ereditate dal padre -OMISSIS-, nonché di due armi (un revolver calibro 38 marca (omissis) con matricola -OMISSIS- ed un fucile a canne sovrapposte calibro 12 marca Be. modello (omissis) con matricola -OMISSIS-) acquistate da -OMISSIS- (doc. 19)". Soggiunge che, pertanto, il G.I.P. del Tribunale di Reggio Emilia, in data 29 giugno 2021, su richiesta del P.M. aveva disposto l'archiviazione del procedimento penale a suo carico. Alla pubblica udienza del 18 settembre 2024, la causa è stata trattenuta in decisione. Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di diritto, formulati in primis avverso il provvedimento prefettizio di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, estesi poi al provvedimento del Questore di revoca della licenza di porto d'armi. I. "Eccesso di potere per omessa ed insufficiente istruttoria; violazione e falsa applicazione dell'art. 7 Legge 241/90". II. "Infondatezza della notizia di reato; violazione e falsa applicazione dell'art. 38 e 39 del T.U.L.P.S.; eccesso di potere per omessa ed insufficiente istruttoria e motivazione". III. "Eccesso di potere, violazione e falsa applicazione della Legge 11/02/1992 n. 157, degli art. 11, 17, 35, 38, 39, 42 e 43 T.U.L.P.S. approvato con il R.D. 18/06/1931 n. 773; insufficienza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione; violazione dell'art. 3 Legge 241/90 per difetto e carenza di motivazione del provvedimento impugnato". In via di estrema sintesi, il ricorrente prospetta che il provvedimento prefettizio non sarebbe stato preceduto dalla necessaria comunicazione di avvio del procedimento, pur non sussistendo esigenze cautelari tali da giustificare l'omissione delle garanzie partecipative, tenuto conto dell'avvenuto ritiro delle armi nella sua disponibilità . Lamenta, inoltre, il difetto di istruttoria del gravato provvedimento, fondato esclusivamente su una mera informativa all'Autorità di Pubblica sicurezza, non assistita da alcun accertamento volto in concreto a vagliare la sussistenza di sue responsabilità . Sostiene di non aver commesso l'illecito contestatogli, atteso che non avrebbe mai acquistato la proprietà e conseguito il possesso delle armi in questione, ragion per cui non era tenuto alla denuncia di acquisto delle stesse. Si duole del fatto che l'Amministrazione non avrebbe formulato alcuna prognosi di inaffidabilità nei suoi confronti, non essendo stata effettuata alcuna valutazione della sua personalità, del suo stile e della sua condotta di vita, ma si sarebbe limitata ad inferire l'inaffidabilità dall'omissione della denuncia dell'acquisto di armi. A giudizio del Collegio, il ricorso deve essere dichiarato in parte irricevibile e in parte inammissibile, per le ragioni che innanzi si illustrano. Preliminarmente, deve ritenersi fondata l'eccezione di irricevibilità del ricorso per violazione del termine decadenziale formulata dall'Amministrazione resistente con riferimento all'impugnazione del decreto prefettizio di divieto di detenzione di armi e munizioni. Il decreto prefettizio in questione è stato notificato al ricorrente in data 17 dicembre 2020. Avverso detto provvedimento, parte ricorrente ha proposto alla stessa Autorità (il Prefetto) che lo ha emesso un'istanza con cui ha chiesto di "annullare il provvedimento di divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti nei confronti di -OMISSIS-, e la conseguente ingiunzione di cedere le armi e le munizioni detenute a persona non convivente entro e non oltre il termine di 150 giorni dalla data di notificazione del 17/12/2020, per i motivi tutti di cui al ricorso, con ogni più utile provvedimento". Osserva il Collegio che, al di là del nomen iuris attribuito dal ricorrente alla suddetta istanza, invero qualificata quale "ricorso gerarchico ai sensi del D.P.R. 24/11/71 n. 1199", la stessa deve essere intesa quale richiesta di rimozione in autotutela del provvedimento di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, in quanto proposta alla stessa autorità che ha emesso l'atto e non a quella gerarchicamente sovraordinata (vi si legge: "l'Ill.mo Prefetto adito vorrà revocare il provvedimento impugnato, risultando ingiustificato..."). In definitiva, la proposizione della richiesta di annullamento/revoca del divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti alla stessa Autorità che ha emesso l'atto - e non all'organo gerarchicamente superiore al Prefetto, id est il Ministero dell'Interno - rivela l'assenza di uno degli elementi essenziali del ricorso gerarchico, vale a dire il fatto che sia adito un organo gerarchicamente sovraordinato a quello che ha emesso l'atto, ragion per cui l'istanza in questione non può essere qualificata come ricorso gerarchico, quanto piuttosto quale richiesta di intervento in autotutela che, come tale, non determina alcuna interruzione del termine decadenziale entro il quale impugnare il divieto in questione. Orbene, il decreto prefettizio è stato notificato al ricorrente in data 17 dicembre 2020 e il ricorso giurisdizionale avverso lo stesso è stato notificato all'Amministrazione in data 11 giugno 2021, ragion per cui il ricorso deve essere dichiarato irricevibile nella parte in cui si impugna il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti per violazione del termine decadenziale di sessanta giorni di cui all'art. 29 cod. proc. amm. Il ricorso deve essere, inoltre, dichiarato inammissibile nella parte in cui impugna il "silenzio-rifiuto formatosi, ex art. 6 D.P.R. n. 1199/1971, in data 14/04/2021, avverso il Ricorso Gerarchico presentato da -OMISSIS- in data 15/01/2021, a mezzo del Prefetto di Reggio Emilia, avverso il provvedimento di divieto di detenere armi, munizioni ed esplodenti emesso da Prefetto di Reggio Emilia Prot. n. -OMISSIS-, in data 30/11/2020, notificato in data 17/12/2020", atteso che, per come precisato, non risulta essersi formato alcun silenzio-rifiuto, rectius silenzio-rigetto, suscettibile di autonoma impugnazione. Il ricorso deve essere, poi, dichiarato inammissibile per difetto di interesse per quanto attiene all'impugnazione del decreto di revoca della licenza di porto d'arma lunga per uso caccia emesso in data 17 dicembre 2020 dal Questore di Reggio Emilia e del silenzio-rifiuto, rectius silenzio-rigetto, formatosi sul ricorso gerarchico presentato avverso il suddetto provvedimento, per le ragioni che innanzi si illustrano. Osserva il Collegio che tra il decreto del Prefetto recante il divieto di detenzione armi ex art. 39 T.U.L.P.S. e il decreto del Questore di revoca del porto d'armi ex articoli 11 e 43 T.U.L.P.S. sussiste un rapporto di presupposizione e di consequenzialità immediata, diretta e necessaria, sicché una volta che il Prefetto abbia emesso il divieto di detenzione ex art. 39 cit., la revoca della licenza di porto d'armi da parte del Questore costituisce una conseguenza diretta e vincolata (cfr. T.A.R. Basilicata, sez. I, 25 febbraio 2022 n. 154). Ed infatti, l'autorizzazione alla detenzione di armi va considerata come un presupposto necessario della licenza di porto d'armi, sicché il venir meno della predetta autorizzazione comporta automaticamente l'insussistenza dei presupposti per la licenza di porto d'armi (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 30 giugno 2020 n. 1256) o la revoca della licenza di porto d'armi (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 25 ottobre 2021 n. 3170). Ne discende che ove, come nel caso di specie, il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti sia divenuto inoppugnabile per decorso del termine decadenziale di impugnazione, la domanda di annullamento della revoca della licenza di porto d'armi è inammissibile, per difetto d'interesse (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 03 ottobre 2023, n. 1175), dal momento che nessuna utilità potrebbe derivare al ricorrente dall'annullamento della revoca della licenza del porto d'armi, non godendo comunque lo stesso della legale disponibilità di armi. Va, pertanto, ribadita l'inammissibilità dell'impugnazione proposta per carenza di interesse, in quanto l'annullamento della revoca gravata non sarebbe di alcuna utilità per l'interessato, visto che il divieto di detenzione delle armi, ormai inoppugnabile, conduce di per sé comunque al diniego della licenza di porto d'armi. Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato in parte irricevibile, con riferimento all'impugnazione del decreto prefettizio di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, per violazione del termine decadenziale di impugnazione di cui all'art. 29 cod. proc. amm.; in parte inammissibile, con riferimento all'impugnazione del "silenzio-rifiuto formatosi, ex art. 6 D.P.R. n. 1199/1971, in data 14/04/2021, avverso il Ricorso Gerarchico presentato da -OMISSIS- in data 15/01/2021, a mezzo del Prefetto di Reggio Emilia, avverso il provvedimento di divieto di detenere armi, munizioni ed esplodenti emesso da Prefetto di Reggio Emilia Prot. n. -OMISSIS-, in data 30/11/2020, notificato in data 17/12/2020", per insussistenza del silenzio con valore provvedimentale tipico; in parte inammissibile, con riferimento all'impugnazione del provvedimento questorile di revoca della licenza di porto di fucile e del silenzio-rigetto formatosi sul ricorso gerarchico avverso detto provvedimento, per difetto di interesse. La peculiarità della vicenda sottesa alla controversia consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone: - lo dichiara in parte irricevibile, con riferimento all'impugnazione del divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, per le ragioni di cui in parte motiva; - lo dichiara in parte inammissibile, con riferimento all'impugnazione del "silenzio-rifiuto" (rectius silenzio-rigetto) formatosi sul "ricorso gerarchico" proposto avverso il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, della revoca della licenza di porto di fucile ad uso caccia e del silenzio-rifiuto (rectius silenzio-rigetto) formatosi sul ricorso gerarchico avverso la revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia, per le ragioni di cui in parte motiva; - compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e i soggetti citati nel provvedimento. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario, Estensore Paola Pozzani - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 251 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Cr. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Questura di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege; Ministero dell'Interno, non costituito in giudizio; per l'annullamento - del provvedimento -OMISSIS- del 3 luglio 2021, recante il rigetto dell'istanza di rinnovo di permesso di soggiorno per "lavoro subordinato"; - per quanto occorrer possa, del provvedimento prot. n. -OMISSIS- del 21 novembre 2019, recante il divieto di ritorno nel Comune di -OMISSIS- per anni 3 dalla data di notifica. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Questura di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 18 settembre 2024 il dott. Italo Caso e viste le conclusioni del difensore del ricorrente come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO In data 28 ottobre 2020 il ricorrente, cittadino -OMISSIS-, presentava alla Questura di -OMISSIS- un'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per "lavoro subordinato". Con provvedimento -OMISSIS- del 3 luglio 2021 l'Amministrazione rigettava l'istanza. In particolare, veniva richiamato un precedente penale a carico dell'interessato ("Sentenza N. -OMISSIS- (N. -OMISSIS- R.G. Tribunale di -OMISSIS- - N. -OMISSIS- R.G. Notizie di reato) emessa il 28.09.2020 e depositata il 28.12.2020 del Tribunale di -OMISSIS-, per: - violenza sessuale aggravata (artt. 609 bis e 609 ter comma 1 n. 2 e numero 5 quater C.P.) commesso in data 15.09.2019 presso -OMISSIS-; - minaccia (art. 612 C.P.) commesso in data 15.09.2019 presso -OMISSIS-; Dispositivo: anni 6 e mesi 1 di reclusione...") e veniva altresì fatto riferimento all'irrogazione nei suoi confronti di una conseguente misura di prevenzione personale ("Provvedimento Prot. N. -OMISSIS-.ANTICR.-M.P./A.E. Divieto di ritorno nel Comune di -OMISSIS- (MO) per anni 3 dalla data di notifica emesso in data 21.11.2019 dal Questore di -OMISSIS-..."), ricavandone un complessivo giudizio di pericolosità sociale tale da prevalere, nel relativo bilanciamento, sull'inserimento dello straniero nel territorio nazionale e sui suoi legami familiari in Italia, e quindi da ostare al rinnovo del permesso di soggiorno, ai sensi degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998. Avverso tale provvedimento di diniego ha proposto impugnativa il ricorrente. Deduce che: - presente nel nostro Paese fin dal 2008 (prima con foglio di soggiorno per "motivi familiari" essendo la sorella una cittadina italiana, poi con permesso di soggiorno per "lavoro subordinato"), ha sempre tenuto una condotta di vita assolutamente regolare e tranquilla, svolgendo la propria attività lavorativa con profitto e soddisfazione e convivendo con i propri affetti familiari, e da tutto ciò l'Amministrazione non può prescindere ma deve operare una valutazione complessiva della personalità dell'interessato, senza tralasciare la durata del suo soggiorno in Italia e i legami ivi consolidatisi; - a fronte del suo pieno e completo inserimento sociale e della sua permanente convivenza con gli affetti familiari, non è ammissibile propendere per una indole violenta o pericolosa, se è vero che l'ex compagna - presunta vittima della violenza sessuale - non gli ha mai imputato alcunché durante i sette anni di relazione intercorsi e che, peraltro, fino alla condanna definitiva, non ancora intervenuta, l'imputato non può considerarsi colpevole; - l'Amministrazione non ha vagliato tutti questi aspetti e non ha compiuto gli approfonditi riscontri che dei medesimi avrebbero invece dovuto costituire indefettibili e riconoscibili presupposti, ignorando anche il fondamentale principio di proporzionalità cui l'azione amministrativa deve sempre tendere, principio che impone un'adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di evitare decisioni arbitrarie od irrazionali; - particolare rilievo assumono in tale contesto gli stretti legami familiari che egli ha in Italia, il che avrebbe dovuto indurre l'Amministrazione a bilanciare in modo proporzionato il diritto alla vita familiare del soggetto e dei suoi congiunti con il bene giuridico della sicurezza pubblica, valutazione comparativa che invece non è stata compiuta, così ingiustamente sacrificando il diritto all'unità familiare, che costituisce un fondamentale obiettivo perseguito dal legislatore italiano in tema di immigrazione; - tali carenze rivelano un chiaro difetto di istruttoria e di motivazione, indice di un'arbitraria individuazione della condizione della pericolosità sociale e del sostanziale ricorso a mere presunzioni, prive di quegli obiettivi riscontri che rappresentano invece indefettibili presupposti dell'azione amministrativa. Di qui la domanda di annullamento dell'atto impugnato. Si è costituita in giudizio la Questura di -OMISSIS-, a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, opponendosi all'accoglimento del ricorso. Con ordinanza n. 194 del 23 novembre 2021 la Sezione ha rigettato l'istanza cautelare del ricorrente. All'udienza pubblica del 18 settembre 2024 la causa è passata in decisione. DIRITTO La controversia ha ad oggetto il diniego di rinnovo di permesso di soggiorno per "lavoro subordinato", motivato con la pericolosità sociale del richiedente resosi responsabile di "violenza sessuale aggravata" ai danni della sua ex compagna. L'interessato, tuttavia, imputa all'Amministrazione di non avere tenuto conto della pendenza del giudizio penale d'appello, di non avere effettuato un compiuto approfondimento delle sue generali condizioni di vita in Italia fin dal 2008 e della piena integrazione nel tessuto socio-economico del Paese, di non avere considerato la rilevanza degli stretti legami familiari in corso, e quindi di non avere provveduto agli accertamenti e alle valutazioni indispensabili per il corretto esercizio dell'azione amministrativa. In via preliminare, si presenta fondata l'eccezione di tardività del deposito della memoria difensiva dell'Amministrazione avvenuto alle ore 14,30 del 18 luglio 2024, quindi - secondo il ricorrente - quando era oramai decorso il termine finale imposto dal rispetto dei trenta giorni liberi dall'udienza pubblica del 18 settembre 2024. In effetti, il deposito risulta operato in violazione del combinato disposto degli artt. 73, comma 1, cod.proc.amm., e 4, comma 4, disp. att. cod.proc.amm., ovvero oltre le ore 12,00 dell'ultimo giorno utile (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 7 agosto 2024 n. 7038), e ciò rende inammissibile la memoria difensiva, di cui non si può dunque tenere conto. Nel merito, osserva il Collegio che vengono in rilievo nella fattispecie l'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 ("... Non è ammesso in Italia lo straniero che (...) sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressone dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone o che risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale...") e il successivo art. 5, comma 5 ("Il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato (...) Nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno (...) si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale"). In forza di tali disposizioni, la commissione dei reati previsti dall'art. 380 cod.proc.pen., tra i quali figura l'illecito penale imputato al ricorrente per "violenza sessuale aggravata" (con condanna disposta dal Tribunale di -OMISSIS- alla pena di anni 6 e mesi 1 di reclusione), deve considerarsi particolarmente significativa ai fini del diniego di rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno, anche in presenza di condanna non definitiva, atteso che è lo stesso legislatore ad attribuire a priori ai reati in questione grave disvalore, ai fini della tutela della sicurezza pubblica. Al contempo, però, bisogna tenere conto anche dei legami familiari e del radicamento dello straniero sul territorio italiano, all'esito di una ponderazione comparativa tra l'interesse pubblico al mantenimento dell'ordine e della sicurezza e l'interesse dello straniero ad integrarsi nel tessuto sociale del Paese in cui attualmente vive. Nel caso di specie la motivazione risulta particolarmente articolata, e quindi rafforzata, poiché l'Amministrazione ha operato il bilanciamento tra gli opposti interessi alla tutela della pubblica sicurezza e alla protezione delle esigenze personali del cittadino straniero, in forza di una adeguata istruttoria circa i legami familiari e l'inserimento sociale dello stesso, non irragionevolmente ritenendo questi ultimi recessivi rispetto alla pericolosità sociale del richiedente il rinnovo del permesso di soggiorno. In effetti, la gravità del reato commesso e le modalità con le quali lo stesso è stato posto in essere chiaramente emergono dalle circostanze riportate nel provvedimento, e sono senza dubbio rivelatrici della pericolosità sociale dell'autore che, come evidenziato nell'atto impugnato, ha posto in essere una condotta che si pone in intollerabile contrasto con le basilari regole di convivenza sociale nonché con il rispetto della dignità della persona; in tale ottica, quindi, la subvalenza dei legami familiari è stata ponderata dall'Amministrazione rispetto all'interesse primario della pubblica sicurezza con un articolato motivazionale privo di vizi logici. E' stato di recente osservato dal Consiglio di Stato che "... nel caso di condanna per reati particolarmente gravi, l'obbligo motivazionale può riposare anche esclusivamente sulla peculiarità del fatto reato. Secondo un recente orientamento, invero, "è legittimo il provvedimento di diniego del Questore che, in presenza di condanne per reati di particolare gravità, ai fini della pericolosità sociale, si sia limitato a sottolineare, ai fini del diniego, la particolare gravità dei reati senza spiegare perché gli interessi familiari fossero stati considerati subvalenti rispetto alla sicurezza dello Stato. In particolari casi, connotati da condanne penali per reati di notevole gravità ed allarme sociale, l'obbligo di motivazione sul bilanciamento (con i legami familiari) può essere basato anche sulla gravità del reato, sussistendo una soglia di gravità oltre la quale il comportamento criminale essendo oggettivamente intollerabile per il paese ospitante, non può mai bilanciarsi con quello privato alla vita familiare" (Cons. St., sez. III, 29 novembre 2019, n. 8175; 29 marzo 2019, n. 2083; 19 febbraio 2019, n. 1161; 4 maggio 2018, n. 2654)..." (v. Cons. Stato, Sez. III, 22 maggio 2024 n. 4574). Ciò anche in ragione del condivisibile rilievo per cui "... l'esistenza di legami familiari sul territorio nazionale costituisce, senz'altro, un elemento fondamentale nel giudizio di comparazione ma non può, per ciò solo, costituire uno scudo di immunità a fronte di un quadro di pericolosità sociale particolarmente significativo e preoccupante..." (v. Cons. Stato, Sez. III, 23 maggio 2024 n. 4606). Né, poi, induce a diverse conclusioni la circostanza che il giudice penale abbia concesso al ricorrente l'affidamento in prova al servizio sociale, in quanto il sindacato del giudice penale e quello del giudice amministrativo sul titolo di soggiorno hanno presupposti diversi, e al giudice amministrativo è riservato un sindacato di ragionevolezza che, così come accade nel caso di specie, ben può essere adeguatamente soddisfatto dall'impianto motivazionale del provvedimento oggetto della controversia (v. Cons. Stato, Sez. III, n. 4574/2024 cit.). Alla luce di tutto ciò, non si presentano censurabili le conclusioni dell'Amministrazione, atteso che nel caso di specie il reato commesso dal ricorrente - per la natura, la gravità e le modalità esecutive - è idoneo a provocare un elevato allarme sociale, che il soggiorno in Italia si è protratto nel tempo ma il reato è stato commesso proprio nella fase più recente - quando l'inserimento sociale e lavorativo avrebbe dovuto essersi stabilizzato con piena consapevolezza della necessità di rispetto delle regole del vivere civile e invece se ne desume non intervenuta una reale e proficua integrazione nel tessuto locale -, e che, oltre tutto, al momento dell'adozione dell'atto impugnato, lo straniero non vantava legami familiari significativi in Italia, tenuto conto che la tutela rafforzata del diritto all'unità familiare investe i prossimi congiunti elencati all'art. 29 del d.lgs. n. 286 del 1998 (coniuge, figli minori, figli maggiorenni a carico, genitori a carico) e che il ricorrente non ha fornito prova della sussistenza di tale specifica condizione (v. Cons. Stato, Sez. III, 18 settembre 2023 n. 8374). In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di Euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge, in favore dell'Amministrazione resistente. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente, Estensore Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 132 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'Avvocato Gi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Prefettura - U.T.G. di -OMISSIS-, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via (...); Questura di -OMISSIS-, in persona del Questore pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via (...); Ministero dell'Interno, non costituito in giudizio; per l'annullamento - del decreto della Prefettura di -OMISSIS- datato 15 aprile 2021, comunicato successivamente, con il quale si fa divieto al ricorrente di detenere armi, munizioni e materie esplodenti; - del decreto del Questore di -OMISSIS- datato 18 maggio 2021, con cui viene revocata al ricorrente la licenza di porto di fucile per tiro a volo; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Prefettura - U.T.G. di -OMISSIS- e della Questura di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Caterina Luperto e udito per il ricorrente il difensore, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il sig. -OMISSIS-, odierno ricorrente, chiede l'annullamento del provvedimento di divieto di detenzioni di armi, munizioni e materie esplodenti del Prefetto di -OMISSIS- datato 15 aprile 2021 e del decreto di revoca della licenza di porto di fucile per il tiro a volo del Questore di -OMISSIS- del 18 maggio 2021. In particolare, in fatto, la sig.ra -OMISSIS-, convivente del sig. -OMISSIS-, in data 30 novembre 2020 formalizzava innanzi a personale della Squadra Mobile della Questura di -OMISSIS- una querela ai danni del medesimo per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi ex art. 572 cod. pen., riferendo "di essere stata vessata, oppressa e minacciata continuamente ed ininterrottamente nonché percossa in più occasioni tanto da essere obbligata a ricorrere alle cure mediche" (cfr. premesse del decreto questorile del 18 maggio 2021); nella medesima giornata, pertanto, il personale della Squadra Mobile procedeva all'immediato ritiro cautelare delle armi, delle munizioni e della licenza di porto di fucile per il tiro a volo nella disponibilità dell'interessato. Indi, con nota del 3 dicembre 2020, la Questura di -OMISSIS- proponeva alla Prefettura di -OMISSIS- l'adozione del provvedimento di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti. La Prefettura di -OMISSIS-, con provvedimento prot. -OMISSIS- del 15 aprile 2021, ritenute sussistenti "circostanze tali da far insorgere ragionevoli dubbi sull'affidabilità del sig. -OMISSIS- in ordine alla detenzione delle armi in suo possesso" e rilevato che "il fatto contestato concerne episodi violenti sviluppatisi a più riprese in ambito familiare che potrebbero ripresentarsi in futuro, anche in considerazione della gelosia morbosa del sig. -OMISSIS- emersa dall'atto di denuncia/querela in data 30 novembre 2020", disponeva a carico del ricorrente il divieto di detenzioni di armi, munizioni e materie esplodenti. Conseguentemente, con provvedimento prot. n. -OMISSIS- del 18 maggio 2021, il Questore di -OMISSIS- disponeva la revoca della licenza di porto di fucile per il tiro a volo. Avverso detti provvedimenti il sig. -OMISSIS- ha proposto l'odierno ricorso, con richiesta di misure cautelari sospensive. Si sono costituite il giudizio la Questura e la Prefettura di -OMISSIS-, instando per la reiezione del ricorso. Con ordinanza n. 101 del 24 giugno 2021, questo Tribunale ha rigettato l'istanza cautelare, così motivando "Rilevato: che con nota del 3 dicembre 2020, la Questura di -OMISSIS- proponeva al Prefetto l'adozione, a carico del Ricorrente, del divieto di detenzione ai armi, munizioni e materie esplodenti ritenendo essere venuti, in capo all'interessato, i prescritti requisiti di affidabilità ; che la richiesta della Questura veniva avanzata a seguito della proposizione, da parte della convivente del Ricorrente, di querela ex art. 572 c.p. per reiterate percosse e minacce; che in data 7 dicembre 2021, la querelante rimetteva la querela rappresentando di averla sporta in un momento di scarsa lucidità mentale (a seguito di assunzione di psicofarmaci); che il Prefetto adottava il divieto ex art. 39 del TULP con decreto del 15 aprile 2021; che il Questore, con decreto del 18 maggio 2021, revocava al Ricorrente la licenza di porto di fucile per uso tiro a volo; che il Ricorrente impugnava entrambi i citati provvedimenti; Considerato: che la situazione di fatto descritta in atti, ad un primo sommario esame, presenta profili di scarsa chiarezza che dovranno necessariamente essere approfonditi dall'Amministrazione; che, tuttavia, allo stato, le decisioni dell'Amministrazione, avuto riguardo alla sensibilità degli interessi coinvolti, non sembrano palesare evidenti profili di irragionevolezza; Valutato che l'interesse dell'Amministrazione alla prevenzione di potenziali abusi nell'uso delle armi debba prevalere sull'interesse del Ricorrente alla detenzione e uso delle stesse a fini ludico-sportivi". Alla pubblica udienza del giorno 18 settembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Il ricorso è affidato ad un unico motivo, con cui si deducono "violazione di legge ed eccesso di potere. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 10, 11, 39, 43 del R.D. n. 773/1931, degli artt. 1 e 3 della l. n. 241 del 1990, degli art. 3, 27, 97 Cost. Eccesso di potere per travisamento, difetto dei presupposti e di istruttorie, erroneità e genericità della motivazione, illogicità e ingiustizia manifesta". Il ricorrente premette, in punto di fatto, che la sig.ra -OMISSIS- nella data del 30 novembre 2020 si era recata al Pronto Soccorso dell'Ospedale di -OMISSIS-, richiedendo una visita psichiatrica per stato ansioso con tachicardia e dispnea soggettiva, e che le erano stati somministrati farmaci psicoattivi, sotto l'effetto dei quali aveva iniziato a sostenere che il -OMISSIS- "siccome affetto da gelosia compulsiva, l'avrebbe fatta oggetto di ripetute violenze psicologiche, e sinanco di aggressioni", ragion per cui "veniva accompagnata in Questura, ove le sue affermazioni venivano verbalizzate e divenivano oggetto di una querela". Documenta, poi, la remissione di querela presentata alla Stazione dei Carabinieri di -OMISSIS- principale dalla sig.ra -OMISSIS- in data 7 dicembre 2020. In punto di diritto, il ricorrente eccepisce che una mera denuncia di reato non sia idonea a giustificare i provvedimenti di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti e quello di revoca del porto d'armi. Né nel caso di specie risulterebbe sussistente una situazione di dissidio familiare tale da ingenerare la necessità di adottare provvedimenti cautelativi quali quelli in questa sede gravati. Sostiene non esservi alcuna prova delle violenze fisiche e psicologiche, ma solo del fatto che la convivente fosse affetta da stati d'ansia e sindrome depressiva, ragioni per le quali assumeva psicofarmaci, sotto l'effetto dei quali avrebbe mosso le accuse nei suoi confronti, smentite una volta cessata l'assunzione delle sostanze psicoattive. Soggiunge di essere incensurato, di non essere mai stato indagato o rinviato a giudizio per le dichiarazioni rese dalla convivente. Sostiene che i gravati provvedimenti non avrebbero dimostrato alcun pericolo di abuso delle armi. Chiede, pertanto, l'accoglimento del ricorso e l'annullamento dei provvedimenti gravati. A giudizio del Collegio il ricorso è fondato, per le ragioni che innanzi si illustrano. Dalla motivazione dei provvedimenti impugnati e, in particolare, dal decreto prefettizio di divieto di detenzione di armi e munizioni, che costituisce l'antecedente logico e giuridico della revoca del porto di fucile, si evince che l'Amministrazione ha desunto la sopravvenuta inaffidabilità del ricorrente in relazione alla detenzione e all'uso delle armi unicamente dal dato formale della presentazione di una querela nei suoi confronti da parte della sig.ra -OMISSIS- per condotte ritenute riconducibili al reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi ex art. 572 cod. pen. Dalla documentazione versata in atti, infatti, non risulta che l'Amministrazione abbia condotto una ulteriore attività istruttoria volta non solo a suffragare la verosimiglianza dei fatti storici per come attribuiti al ricorrente dalla convivente, ma anche ad accertare la sussistenza di tutti gli elementi idonei a fondare il giudizio prognostico di pericolo di abuso delle armi. Si è assistito, in definitiva, ad un mero (e pericoloso) automatismo, giacché l'Autorità di Pubblica sicurezza ha desunto dalla mera proposizione di una querela nei confronti del ricorrente la sua pericolosità sociale, senza alcun supplemento di istruttoria utile ai fini dell'espressione della prognosi di sopravvenuta inaffidabilità, anche eventualmente fondata sulla personalità del sig. -OMISSIS-, sulle sue condizioni di vita, sull'esistenza di eventuali precedenti penali o di polizia (cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 24 giugno 2021 n. 966). Osserva il Collegio che in materia di detenzione delle armi si assiste ad un innalzamento della soglia di tutela della pubblica incolumità al livello di pericolo di abuso delle armi, che legittima l'adozione di provvedimenti inibitori laddove sia possibile esprimere una prognosi di inaffidabilità del richiedente fondata sul criterio del "più probabile che non". La scelta del legislatore, nel bilanciamento complessivo degli interessi, di anticipare la soglia della tutela della pubblica incolumità alla mera prognosi di inaffidabilità del soggetto che vanta un interesse pretensivo alla detenzione o al porto d'armi non può, tuttavia, obliterare la necessità che l'Amministrazione effettui un giudizio prognostico ex ante in concreto circa il pericolo di abuso delle armi, attraverso la valutazione di elementi oggettivi o soggettivi da cui inferire in modo apprezzabile la sussistenza del rischio di abuso. Tale giudizio dovrà essere condotto attraverso una valutazione ex ante dei fattori "soggettivi" relativi alla personalità del richiedente, al suo stile e alla condotta di vita, e dei fattori "obiettivi" quali, ad esempio, fatti che coinvolgono l'interessato colti nella dimensione storica, anche a prescindere dai profili di rilievo penalistico, da cui desumere una prognosi di inaffidabilità dello stesso. Il giudizio di inaffidabilità, in definitiva, non può prescindere da un'istruttoria attraverso la quale l'Autorità di Pubblica sicurezza vagli, in concreto, la sussistenza di un pericolo di abuso delle armi. Ne discende che la mera proposizione di una denuncia o di una querela nei confronti del soggetto interessato alla detenzione o al porto delle armi, a prescindere dalle fattispecie di reato per le quali si richiede la procedibilità in sede penale, non può di per sé costituire elemento prognostico dell'inaffidabilità del soggetto, in difetto di una concreta istruttoria dell'Amministrazione che consenta di vagliare non solo la verosimiglianza e la rilevanza dei fatti dedotti, ma anche l'idoneità degli stessi a disvelare una prognosi di pericolo di abuso delle armi. In tal senso la giurisprudenza amministrativa ha precisato che la presentazione di un esposto o di una querela nei confronti del titolare della licenza può offrire l'occasione per lo svolgimento di ulteriori approfondimenti sulla sua affidabilità, ma non può costituire, per un mero automatismo ed in assenza di altri elementi, indice da solo sufficiente per l'espressione di un giudizio prognostico circa l'attitudine dell'interessato all'abuso delle armi, sicché non basta una mera denuncia e, in mancanza di accertamenti del giudice penale, occorre una verifica di attendibilità anche attraverso il confronto procedimentale con l'interessato (cfr. T.A.R. Umbria, sez. I, 31 maggio 2024, n. 410; T.A.R. Toscana, sez. II, 24 giugno 2021 n. 966). Ciò vale, in particolar modo, quando l'occasione della rivalutazione dell'affidabilità del titolare della licenza sia offerta da episodi di conflittualità che siano sfociati in esposti o querele reciproci tra i contendenti o che, comunque, abbiano dato luogo a diverse rappresentazioni dei fatti, situazioni che, per condurre ad un ponderato riesame del giudizio di "buona condotta" già formulato in occasione del rilascio dell'autorizzazione, richiederebbero quanto meno un approfondimento istruttorio per stabilire quale delle due versioni è più vicina alla realtà o, comunque, per accertare la sussistenza di un conflitto di intensità tale da rendere opportuna la sottrazione delle armi ai contendenti (cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 24 giugno 2021 n. 966). Orbene, applicando tali coordinate ermeneutiche alla fattispecie oggetto del presente giudizio, emerge come l'Amministrazione si sia limitata a prendere atto di quanto esposto nella querela, omettendo di effettuare i necessari riscontri sui fatti narrati dalla querelante e, alla luce di questi, sulla complessiva personalità del ricorrente. I provvedimenti impugnati, pertanto, risultano viziati per carenza di istruttoria e difetto di motivazione, in quanto non risulta essere stato condotto ed esplicitato un giudizio prognostico ex ante circa il pericolo di abuso delle armi e la sopravvenuta inaffidabilità del ricorrente. Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso è fondato e deve essere accolto. Sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese di lite, fermo restando l'obbligo per le Amministrazioni resistenti di rifondere al ricorrente il contributo unificato. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati. Spese compensate, fermo restando l'obbligo per le Amministrazioni resistenti di rifondere al ricorrente il contributo unificato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e i soggetti citati nel provvedimento. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario, Estensore Paola Pozzani - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 176 del 2021, proposto da Di. Gu. ed altri, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Vi. La Ma. e An. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege; I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Or. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'accertamento del diritto dei ricorrenti al sistema previdenziale retributivo o, in subordine, al sistema previdenziale retributivo fino al momento in cui sarà avviata la previdenza complementare per il personale militare; ...................per la condanna.... al risarcimento dei danni. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e dell'I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 18 settembre 2024 il dott. Italo Caso e uditi, per le parti, i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO Premesso che essi "... lavorano o hanno lavorato nelle Forze Armate..." e che sono stati assunti dopo il 1° gennaio 1996 o comunque hanno maturato, alla data del 31 dicembre 1995, meno di 18 anni di anzianità contributiva, i ricorrenti hanno adito il giudice amministrativo per vedere accertato - previa eventuale dichiarazione di incostituzionalità in parte qua della legge n. 335 del 1995 - il loro diritto al sistema previdenziale retributivo o, in subordine, al sistema previdenziale retributivo fino al momento in cui sarà avviata la previdenza complementare per il personale militare, nonché per vedere condannati il Ministero della Difesa e l'I.N.P.S. al risarcimento dei danni conseguenti al mancato tempestivo avvio delle necessarie procedure per la negoziazione e concertazione del trattamento di fine rapporto e della connessa e conseguente istituzione della previdenza complementare. I ricorrenti deducono che: - con la legge n. 335 dell'8 agosto 1995 ("Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare") è stato introdotto per i trattamenti previdenziali il sistema di calcolo contributivo, operativo per tutti coloro che sono stati assunti alle dipendenze della pubblica Amministrazione a decorrere dal 1° gennaio 1996 o che, già in servizio, avevano maturato meno di diciotto anni di contribuzione alla data del 31 dicembre 1995; - detto criterio prevede una forma di determinazione della prestazione pensionistica meno favorevole rispetto al sistema di calcolo retributivo, poiché basato sull'ammontare dei contributi versati nell'arco di tutta la vita lavorativa e non più sull'entità dello stipendio del lavoratore, con conseguente notevole riduzione dell'assegno pensionistico; - per tale motivo, al fine di ridimensionare il pregiudizio economico conseguente al passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, il legislatore ha istituito la previdenza complementare, alla quale devono accedere i contributi versati spontaneamente dal lavoratore, i contributi a carico del datore di lavoro ed una quota del trattamento di fine rapporto da destinarsi a tale previdenza; - l'istituzione dei fondi di pensione complementare è stata affidata alla contrattazione collettiva tra Ministeri competenti e associazioni sindacali maggiormente rappresentative tra i lavoratori, ma per il personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia il sistema è rimasto inattuato con conseguenti enormi ripercussioni economiche negative a carico degli interessati, chiaramente svantaggiati rispetto al settore privato e a quello pubblico contrattualizzato; - un peggioramento di tale situazione si riscontra in seguito all'entrata in vigore della legge n. 247 del 2001, che ha diminuito il valore dei coefficienti, riducendo di fatto la pensione pubblica; - ne è derivato che, ad oltre quindici anni dall'entrata in vigore della normativa in questione, a causa di ritardi e lacune legislative il personale militare è ancora in attesa dell'istituzione dei fondi di pensione integrativa, venendo così impedito di fatto l'avvio della previdenza complementare per tale categoria; - la normativa previdenziale di cui alla c.d. "legge Dini" è costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 3 Cost., in quanto disciplina in maniera diversa situazioni identiche, determinando una incomprensibile discriminazione di trattamento tra lavoratori assunti prima del 1° gennaio 1996 e quelli assunti successivamente a tale data. Si sono costituiti in giudizio il Ministero della Difesa e l'I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, resistendo al gravame. All'udienza pubblica del 18 settembre 2024 la causa è passata in decisione. In questa sede è stato dato avviso alle parti, ai sensi dell'art. 73, comma 3, cod.proc.amm., della possibile declaratoria del difetto di giurisdizione limitatamente alla domanda di accertamento proposta dai ricorrenti. Venendo all'esame del ricorso, il Collegio ritiene di doverlo innanzi tutto dichiarare improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse relativamente ai sigg.ri Va. Di. ed altri (v. dichiarazioni depositate il 21 luglio 2022). Quanto ai restanti ricorrenti, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda volta all'accertamento del loro diritto all'applicazione del sistema previdenziale retributivo o, in subordine, del diritto all'applicazione del sistema previdenziale retributivo fino al momento in cui sarà avviata la previdenza complementare per il personale militare. Come la giurisprudenza ha già avuto modo di rilevare, occupandosi di analoghe controversie (v. TAR Puglia, Lecce, Sez. II, 15 aprile 2024 n. 551; TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 15 maggio 2023 n. 1587; TAR Friuli - Venezia Giulia 27 maggio 2022 n. 244; T.R.G.A. - Sez. Bolzano 10 maggio 2022 n. 135), la questione posta attiene alla materia pensionistica devoluta alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti - secondo quanto disposto dagli artt. 13 e 62 del r.d. n. 1214 del 1934 -, ricomprendendo detta giurisdizione tutte le liti funzionali e connesse al diritto alla pensione dei pubblici dipendenti, incluse quelle attinenti al riscatto di periodi di servizio, alla ricongiunzione di periodi assicurativi, agli assegni accessori, al recupero di somme indebitamente erogate (v. Cass. civ., Sez. un., 12 agosto 2021 n. 22745), sì che vi rientrano le controversie in cui il rapporto pensionistico costituisce elemento identificativo del petitum sostanziale e, quindi, tutte le cause concernenti la sussistenza del diritto, la misura e la decorrenza della pensione dei pubblici dipendenti nonché, pur in costanza di lavoro, ogni diritto relativo al rapporto pensionistico (v. Cass. civ., Sez. un., 20 ottobre 2020 n. 22807). Pertanto, la domanda di accertamento del diritto dei ricorrenti al trattamento pensionistico con il sistema retributivo va dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione, attenendo essa alla materia pensionistica e, quindi, devoluta alla giurisdizione della Corte dei conti. Rientra, invece, nella giurisdizione del giudice amministrativo la domanda di condanna delle Amministrazioni intimate al risarcimento dei danni conseguenti al mancato tempestivo avvio delle necessarie procedure per la negoziazione e concertazione del trattamento di fine rapporto e della connessa e conseguente istituzione della previdenza complementare. Ciò in ragione del principio di diritto espresso dal giudice della giurisdizione, ovvero che la domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno da mancata attuazione della previdenza complementare per il personale del Comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, riservata alla concertazione-contrattazione, costituisce questione devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attenendo essa all'inadempimento di prestazioni di contenuto solo genericamente previdenziale e strettamente inerenti al rapporto di pubblico impiego, non già a materia riguardante un trattamento pensionistico a carico dello Stato (v. Cass. civ., Sez. un., 20 ottobre 2020 n. 22807). Tanto chiarito, va innanzi tutto esaminata l'eccezione di incompetenza territoriale di questa Sezione sollevata dall'I.N.P.S. sul presupposto che, riguardo alla domanda risarcitoria, per "... riguardare la mancata attuazione della previdenza complementare, siamo sicuramente di fronte ad un comportamento che esula dagli ambiti regionali in quanto di competenza degli organi centrali e segnatamente del Ministero e dell'Inps con sede in Roma, con la conseguente competenza territoriale del Tar Lazio, ai sensi dell'art. 13 comma 1, cpa...", sicché la "... posizione fatta valere non attiene al rapporto di lavoro con la Pa, ma al diritto a pensione e al risarcimento del danno con la conseguenza che si dovrebbe applicare il criterio residuale di cui al comma 3 del medesimo articolo che fa riferimento alla residenza del ricorrente..." (in questi termini la memoria difensiva dell'Istituto). Sennonché - osserva il Collegio - proprio le richiamate conclusioni del giudice della giurisdizione ("La domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno da mancata attuazione della previdenza complementare (...) è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attenendo all'inadempimento di prestazioni di contenuto solo genericamente previdenziale e strettamente inerenti al rapporto di pubblico impiego...") giustificano l'operatività del criterio di competenza territoriale della sede di servizio stabilito dall'art. 13, comma 2, cod.proc.amm. per le cause in materia di pubblico impiego (in tal senso già T.R.G.A. - Sez. Bolzano n. 135/2022 cit.). Invece, opera la diversa regola del luogo di residenza dell'ex impiegato quando, sottintendendo il risarcimento individuale invocato la contestazione di una condotta inadempiente relativa ai rapporti con singoli individui, si tratta di soggetto cessato dal servizio e per questo riconducibile la sua posizione al criterio di competenza territoriale di cui all'art. 13, comma 1, periodo secondo, cod.proc.amm., ovvero a quello degli effetti diretti del comportamento censurato per essere gli stessi territorialmente limitati al luogo di residenza dell'interessato, sì che l'efficacia si esplica esclusivamente nell'ambito territoriale proprio di un dato tribunale amministrativo regionale; ebbene, sotto tale profilo, nessuna eccezione è stata sollevata in giudizio e ciò fa presumere che gli altri ricorrenti, cioè quelli che sono in quiescenza, risiedano tutti nella circoscrizione di questo tribunale. E' fondata, al contrario, un'altra eccezione sollevata dall'I.N.P.S., ovvero quella che, rispetto alla pretesa risarcitoria legata alla mancata istituzione della previdenza complementare per il personale militare, fa valere il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, per essere essi meri destinatari dell'attività di concertazione volta all'attuazione della previdenza complementare e, quindi, solo titolari di un interesse finale, in sé non tutelabile. Secondo un orientamento oramai consolidato (v., ex multis, TAR Liguria, Sez. I, 23 gennaio 2024 n. 49; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 22 novembre 2022 n. 1173), i dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione finalizzata all'attuazione della previdenza complementare sono titolari di un interesse del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio e conclusione dei procedimenti negoziali in questione, appartenenti in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza quali organismi esponenziali di interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali. Donde il difetto di legittimazione ad agire dei singoli dipendenti nel procedimento per l'accertamento dell'obbligo di provvedere all'attuazione della previdenza complementare (v. Cons. Stato, Sez. II, 9 dicembre 2022 n. 10803), e pertanto l'inammissibilità della pretesa risarcitoria avanzata dai singoli dipendenti pubblici a fronte del pregiudizio derivante dalla mancata attuazione del sistema integrativo previdenziale, posto che, se non sussiste alcun ritardo legittimamente predicabile in capo all'Amministrazione resistente e se non è ravvisabile in capo ai singoli dipendenti alcuna posizione soggettiva immediatamente tutelabile nei confronti dell'Amministrazione - rimanendo l'intera disciplina attribuita all'attività negoziale e di concertazione nell'ambito della rappresentanza sindacale e degli organismi esponenziali di interessi collettivi -, deve conseguentemente escludersi la configurabilità di un pregiudizio suscettibile di ristoro con azione risarcitoria (v., tra le altre, TAR Lazio, Roma, Sez. IV, 20 maggio 2024 n. 10027). In conclusione, assorbite le restanti questioni ed eccezioni, il ricorso va in parte dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse alla decisione (relativamente ai sigg.ri Va. Di. ed altri), va in parte dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione (relativamente alla domanda volta all'accertamento del diritto dei ricorrenti all'applicazione del sistema previdenziale retributivo o, in subordine, del diritto all'applicazione del sistema previdenziale retributivo fino al momento in cui sarà avviata la previdenza complementare per il personale militare) e va in parte dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva (relativamente alla pretesa risarcitoria legata alla mancata istituzione della previdenza complementare per il personale militare). Stante l'andamento complessivo della controversia, le spese di lite possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma, pronunciando sul ricorso in epigrafe, così provvede: a) quanto ai sigg.ri Va. Di. ed altri, ne dichiara l'improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse alla decisione; b) quanto ai restanti ricorrenti, ne dichiara in parte l'inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo salva la riproposizione della controversia innanzi alla Corte dei conti ai sensi dell'art. 11, comma 2, cod.proc.amm. (relativamente alla domanda volta all'accertamento del diritto dei ricorrenti all'applicazione del sistema previdenziale retributivo o, in subordine, del diritto all'applicazione del sistema previdenziale retributivo fino al momento in cui sarà avviata la previdenza complementare per il personale militare) e ne dichiara in parte l'inammissibilità per difetto di legittimazione attiva (relativamente alla pretesa risarcitoria legata alla mancata istituzione della previdenza complementare per il personale militare). Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente, Estensore Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 c. p. a.; sul ricorso numero di registro generale 1006 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Sa. Mi., con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via (...); contro Unione dei Comuni del (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Gr., Al. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Comune di (omissis), -OMISSIS-, -OMISSIS-, non costituiti in giudizio; per l'annullamento previa sospensiva del giudizio di non idoneità alla prova orale alla "selezione pubblica, per esami, per la copertura di n. 2 (due) posti a tempo pieno e indeterminato al profilo professionale di "Istruttore di vigilanza" - da assegnare al Settore IV Corpo di Polizia Locale del Comune di (omissis)", nonché di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso e consequenziale, ivi compreso in particolare: • i verbali inerenti alle attività svolte dalla Commissione giudicatrice in occasione della valutazione delle prove orali dei candidati ed in specie del ricorrente; • il verbale -OMISSIS- del -OMISSIS- nella parte in cui definisce la tipologia ed i criteri di valutazione della prova scritta e della prova orale; • il verbale -OMISSIS- del -OMISSIS- nella parte in cui la Commissione ha provveduto a formare la graduatoria finale di merito omettendo il nominativo del ricorrente; • la relazione resa dalla dott.ssa -OMISSIS- avente ad oggetto "relazione di non idoneità -OMISSIS-"; • la lex specialis della procedura concorsuale tutta, ivi compresi eventuali ed ulteriori verbali pregiudievoli, laddove dovessero essere interpretati nel senso di importare l'inidoneità e, per l'effetto, l'esclusione dal concorso del ricorrente; • la graduatoria finale di merito, approvata e pubblicata in data -OMISSIS-, nella parte in cui non è presente il nominativo del ricorrente; • eventuali e non noti elenchi di candidati idonei e/o non idonei, nonché, per quanto occorrer possa, eventuali schede di valutazione individuali di estremi ignoti se ed in quanto redatte da parte della Commissione. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Unione dei Comuni del (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 c. p. a. in merito alla decisione della controversia con sentenza in forma semplificata; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.-Con il ricorso in esame l'odierno ricorrente ha impugnato gli atti del concorso pubblico per esami indetto dall'Unione dei Comuni del (omissis) per la copertura di n. 2 (due) posti a tempo pieno e indeterminato al profilo professionale di "Istruttore di vigilanza" da assegnare al Settore IV Corpo di Polizia Locale del Comune di (omissis). In particolare ha lamentato l'illegittimità del mancato superamento della prova orale sostenuta in data 28 maggio 2024 avendo conseguito il punteggio di 18/30 inferiore alla soglia di 21/30 richiesta. A sostegno del gravame ha dedotto motivi così riassumibili: I)VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE ARTT. 3 E SS. DEL D.P.R. N. 487 DEL 1994; VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE ARTT. 1, 2, 3, 7 E SS. 5 DELLA LEGGE N. 241 DEL 1990. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE ARTT. 3, 24 E 97 COST.; ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO ED ERRONEA VALUTAZIONE DEI FATTI, ILLOGICITÀ, IRRAGIONEVOLEZZA ED INGIUSTIZIA MANIFESTA; VIOLAZIONE DEI PRINCIPI IN MATERIA DI PAR CONDICIO CONCORSUALE E DISPARITÀ DI TRATTAMENTO: in considerazione della genericità dei criteri stabiliti dalla Commissione il voto alfanumerico espresso per la prova orale sarebbe del tutto insufficiente e non consentirebbe la ricostruzione dell'iter logico seguito dalla Commissione stessa; II) VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE ARTT. 3 e ss. DEL D.P.R. N. 487 DEL 1994; VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELLA LEX SPECIALIS DELLA PROCEDURA; VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE ARTT. 1, 2, 3, 7 E SS. DELLA LEGGE N. 241 DEL 1990; VIOLAZIONE ARTT. 3, 24 E 97 COSTITUZIONE; ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO ED ERRONEA VALUTAZIONE DEI FATTI, ILLOGICITÀ, IRRAGIONEVOLEZZA ED INGIUSTIZIA MANIFESTA; VIOLAZIONE DEI PRINCIPI IN MATERIA DI PAR CONDICIO CONCORSUALE E DISPARITÀ DI TRATTAMENTO: non sarebbe possibile comprendere se il giudizio espresso dalla psicologa del lavoro sia stato o meno rilevante ai fini dell'esclusione dal concorso, giudizio peraltro formalizzato soltanto in seguito all'istanza di accesso formulata dal ricorrente ed a distanza di due settimane dalla prova orale. Ha altresì richiesto l'autorizzazione alla notifica per pubblici proclami nei confronti di tutti i controinteressati. Si è costituita in giudizio l'Unione dei Comuni del (omissis) eccependo l'inammissibilità del gravame per carenza di interesse non avendo fornito parte ricorrente la c.d. prova di resistenza non deducendo censure dirette all'ottenimento della vincita della selezione. Nel merito ha poi evidenziato l'infondatezza di entrambi i motivi di ricorso. Alla camera di consiglio del 18 settembre 2024 è stata data comunicazione al difensore dell'Unione della possibile definizione della controversia con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 c.p.a. DIRITTO 1.-E' materia del contendere la legittimità del mancato superamento da parte dell'odierno ricorrente della prova orale del concorso pubblico indetto dall'Unione dei Comuni del (omissis) per la copertura di n. 2 (due) posti a tempo pieno e indeterminato al profilo professionale di "Istruttore di vigilanza" da assegnare al Settore IV Corpo di Polizia Locale del Comune di (omissis). 2.- Lamenta parte ricorrente esclusivamente doglianze inerenti il giudizio espresso dalla Commissione circa la propria prova orale sostenuta senza invero contestare l'ammissione e/o il punteggio rispettivamente conseguito dai due vincitori, i quali potrebbero anche all'esito dell'eventuale accoglimento del gravame rimanere nella medesima posizione della graduatoria. Ne consegue, come evidenziato dalla difesa dell'Amministrazione, che l'interesse azionato consiste in definitiva nel conseguimento della mera idoneità al concorso. 3. - In "limine litis" va evidenziata la non necessità ex art. 49 c.p.a. di disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i candidati che risultano idonei risultando il ricorso - già notificato ad almeno un controinteressato come è incontestato - inammissibile per carenza di interesse. 4.- Per costante orientamento giurisprudenziale, nelle controversie relative alla contestazione dei risultati di un concorso pubblico non può prescindersi - ai fini della verifica della sussistenza di un concreto ed attuale interesse al ricorso - dalla c.d. prova di resistenza, dovendo, infatti, il ricorrente dimostrare (o comunque quantomeno fornire un principio di prova in ordine alla) possibilità di ottenere un collocamento in graduatoria in posizione utile in caso di eventuale accoglimento dei motivi di ricorso proposti, essendo altrimenti inammissibile la domanda formulata; invero, il candidato, che impugna i risultati di una procedura concorsuale, ha l'onere di dimostrare il suo interesse, attuale e concreto, a contestarla, non potendo egli far valere, quale "defensor legitimitatis", un astratto interesse dell'ordinamento a una corretta formulazione della graduatoria, se non comporta per lui alcun apprezzabile risultato concreto (ex plurimis T.A.R. Sicilia Catania sez. I, 11 marzo 2024, -OMISSIS-57; T.A.R. Lazio Roma sez. III, 5 aprile 2023, n. 5765; Consiglio di Stato sez. VI, 9 gennaio 2023, n. 219). 5.- L'onere di fornire la prova di resistenza non sussiste soltanto quando i vizi dedotti siano diretti a conseguire l'annullamento totale o parziale della procedura ovvero ove parte ricorrente lamenti la lesione dell'interesse strumentale all'intera rinnovazione della procedura affetta da vizi idonei a determinarne la radicale illegittimità (ex plurimis T.A.R. Sicilia Catania sez. I, 11 marzo 2024, -OMISSIS-57; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 20 novembre 2017, n. 1780). A ciò invero può aggiungersi l'onere a carico del ricorrente di fornire comunque prova del collegamento dell'interesse strumentale azionato con l'utilità finale ovvero elementi a supporto in chiave prognostica della probabilità di vincita della selezione in ipotesi di riesercizio del potere, secondo una nozione di interesse legittimo strumentale invero non pacifica ma da ultimo autorevolmente avallata dalla stessa Corte Costituzionale (sent. 13 dicembre 2019, n. 271) oltre che dalla più recente giurisprudenza anche dell'adito Tribunale (T.A.R. Emilia - Romagna, Bologna sez. I, 28 gennaio 2021, n. 72; cfr. T.A.R. Lazio Roma sez. III, 2 marzo 2018, n. 2399; T.A.R. Veneto sez. I, 15 febbraio 2019, n. 207; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 12 gennaio 2017, n. 494; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 23 aprile 2015, -OMISSIS-011; Consiglio di Stato, sez. III, 5 febbraio 2014 n. 571; id. sez. III, 1 settembre 2014 n. 4449; Consiglio di Stato, sez. III, 22 giugno 2018, n. 3861; T.A.R., Piemonte, sez. I, 25 gennaio 2018; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 15 gennaio 2020, n. 22) ponendo gli artt. 24, 103 e 113 Cost. al centro della giurisdizione amministrativa l'interesse sostanziale al bene della vita (vedi ancora Corte Costituzionale sent. 13 dicembre 2019, n. 271). 6.- Tanto premesso nel caso di specie parte ricorrente lamenta esclusivamente vizi inerenti la valutazione della propria prova orale senza in alcun modo contestare l'ammissione dei vincitori e/o il punteggio da loro conseguito né tantomeno dedurre vizi idonei a determinare l'annullamento dell'intera selezione, non essendo sufficiente a radicare l'ammissibilità del gravame l'interesse a conseguire la mera idoneità al concorso. 7.- Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile per carenza di interesse. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite attesa la particolarità della materia trattata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna Bologna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Carpentieri - Presidente Paolo Amovilli - Consigliere, Estensore Alessio Falferi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 133 del 2024, proposto da Or. - Cl. Di. It. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 9893438350, rappresentata e difesa dall'avvocato Pa. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Vi. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Bi. - Ra. La. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Ci., Fr. Go., Mi. Al., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - della determinazione n. 638 del 24.4.2024, di aggiudicazione - in relazione al lotto n. 3 - della "Gara Europea a procedura telematica aperta ai sensi degli artt. 44, 52, 58, 60 e 95 del D.lgs 50/2016 per l'affidamento della fornitura in service, suddivisa in n. 3 lotti, di sistemi per l'esecuzione di test di immunoematologia eritrocitaria e trasfusionale per le aziende facenti parte dell''AVEN SIT Azienda Ospedaliero Universitaria di Pa. ed altri. Durata 24 mesi rinnovabili per ulteriori 24 mesi. Esclusione ditta e Aggiudicazione fornitura; Codice Gara 916113833124110-9 Sistemi diagnostici"; - di tutti i verbali; - di tutti gli altri atti, valutazioni e comunicazioni di gara; - del contratto previa sua dichiarazione di inefficacia; - ivi compresa la legge speciale di gara nel suo complesso. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Bi. - Ra. La. S.r.l. e di Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 la dott.ssa Paola Pozzani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento, relativamente al lotto n. 3, della determinazione dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pa. n. 638 del 24.4.2024, avente ad oggetto la "Gara Europea a procedura telematica aperta ai sensi degli artt. 44, 52, 58, 60 e 95 del D.lgs 50/2016 per l'affidamento della fornitura in service, suddivisa in n. 3 lotti, di sistemi per l'esecuzione di test di immunoematologia eritrocitaria e trasfusionale per le aziende facenti parte dell'AVEN SIT Azienda Ospedaliero Universitaria di Pa. ed altri. Durata 24 mesi rinnovabili per ulteriori 24 mesi. Esclusione ditta e Aggiudicazione fornitura; Codice Gara 916113833124110-9 Sistemi diagnostici"; parte attrice ha chiesto, altresì, l'annullamento di tutti i verbali e atti di gara, del contratto - previa sua declaratoria di inefficacia -, nonché della legge di gara nel suo complesso. La controinteressata Bi. - Ra. La. S.r.l., costituitasi in giudizio il 29 maggio 2024, ha depositato memoria difensiva il 10 giugno 2024. L'Azienda Ospedaliero-Universitaria si Parma, costituitasi in giudizio il 3 giugno 2024, ha depositato memoria difensiva il 10 giugno 2024. Con ordinanza n. 75 del 12 giugno 2024 questo Tribunale ha respinto l'istanza cautelare. La ricorrente ha depositato memoria finale il 2 settembre 2024. La controinteressata ha controdedotto alle avversarie doglianze con memoria del 2 settembre e replicato con atto del 6 settembre 2024. L'Amministrazione ha replicato alle opposte censure con memoria del 9 settembre 2024. Alla pubblica udienza del 18 settembre 2024, dopo ampia discussione, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Parte attrice in punto di fatto, per quanto rileva nella presente controversia, rappresenta che: - l'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pa. in data 24 aprile 2024 pubblicava la gara europea a procedura telematica aperta per l'affidamento della fornitura in service, suddivisa in 3 lotti, di sistemi per l'esecuzione di test di immunoematologia eritrocitaria e trasfusionale per le aziende facenti parte dell'AVEN SIT delle aziende ospedaliere di Parma, Reggio Emilia, Piacenza e di Modena, di durata prevista in 24 mesi rinnovabili per ulteriori 24; - la gara si doveva svolgere sulla piattaforma SATER di Intercenter e il criterio di aggiudicazione era quello dell'offerta economicamente più vantaggioso con 70 punti per l'offerta tecnica e 30 per quella economica; - la ricorrente partecipava al lotto 2 per la fornitura di sistemi per l'esecuzione di test completamente automatizzati con tecnologia di micro-piastra destinati ai laboratori delle aziende di Pa. e Mo., nonché al lotto 3 per la fornitura di sistemi per l'esecuzione di test completamente automatizzati con tecnologia di micro piastra destinati ai laboratori delle aziende di Reggio Emilia e Piacenza; - con riferimento al lotto 2 era previsto, in ordine ai macchinari, un layout distributivo e con riferimento alle caratteristiche tecnico prestazionali, tra gli altri, "la possibilità di esecuzione in automatico di test CW e "la possibilità di esecuzione in automatico di altri eventuali test, nonché "la possibilità di esecuzione automatizzata di titolazione ABO..."; - mediante il capitolato speciale erano prescritte delle "caratteristiche tecniche indispensabili" tra cui la "strumentazione analitica... software... reagenti... assistenza tecnica..." e caratteristiche tecniche auspicabili tra cui c'era anche "la possibilità di fornitura di apparecchiature a bassa produttività ...", inoltre lo stesso schema era seguito dal capitolato per i criteri di attribuzione dei punteggi; - con riferimento al lotto 3 avente per oggetto, in dettaglio, secondo il disciplinare di gara "Sistemi completamente automatizzati per l'esecuzione di test di Immunoematologia Eritrocitaria e Trasfusionale, con tecnologia IN MICROCOLONNA, destinati ai Laboratori AUSL Reggio Emilia e AUSL Piacenza" per un importo complessivo posto a base di gara pari a Euro 1.400.000,00, erano previsti i seguenti criteri di attribuzione dei punteggi: valutazione complessiva del progetto punti 13. strumentazione analitica punti 22, software punti 15, reagenti punti 14, assistenza tecnica punti 6; prevedendo, poi, i criteri sub-pesi e sub-punteggi: in particolare, con riferimento alla voce oggetto di esame inerente alla strumentazione analitica era previsto il sub-criterio della "possibilità di fornitura di apparecchiature a bassa produttività DP", con la indicazione della "capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta" (punti 1); - nel corso della procedura i concorrenti avevano modo di formulare appositi quesiti ai quali erano dati specifici chiarimenti confermando che anche i macchinari a bassa produzione (BP) potevano essere completamente automatizzati, non solo semi automatici, benché a bassa produzione: l'Ente procedente precisava, in coerenza con le previsioni della legge di gara, che nell'ambito dei macchinari a bassa produzione potevano essere offerti sia macchinari semi-automatizzati sia macchinari a automatizzazione completa, come prescritto sotto l'oggetto del lotto 3 e degli altri lotti. - con riferimento al lotto 3 la gara era aggiudicata a Bi. - Ra. La. S.r.l. che riceveva un punteggio di 70 sull'offerta tecnica e di 27,87 sull'offerta economica per un totale di 97,84 punti; seconda graduata risultava Or. - Cl. Di. It. S.r.l. con un punteggio di 67,75 sull'offerta tecnica e di 30 su quella economica per un totale di 97,75 punti, risultando sul lotto n. 3 uno stacco di 0,09 punti tra le due partecipanti. La difesa attorea ritiene che i punteggi ottenuti da Bi. - Ra. sul lotto 3 siano viziati da un'evidente illogicità ed erroneità con riferimento all'applicazione del punteggio relativo ai macchinari a bassa produzione: sarebbe illogico che i macchinari ad alta automazione, benché previsti nell'oggetto del contratto inerente al lotto 3 e appositamente previsti anche dal chiarimento dell'Ente, avessero ricevuto nell'ambito della offerta di Or. nessun punteggio mentre quelli di Bi. - Ra. semi automatici avessero assunto un punteggio massimo. In secundis, la ricorrente censura che alcuni macchinari dell'aggiudicataria non sarebbero in possesso dell'incubatore, compromettendo ciò lo svolgimento delle attività secondo le caratteristiche dichiarate e nei termini prefigurati in sede di offerta sia come tipologia di test sia come tempistica: tale considerazione avvalorerebbe l'illogicità del punteggio massimo attribuito a Bi. - Ra.. Con il primo motivo di ricorso "Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità e contraddittorietà della aggiudicazione; violazione di legge per violazione dei principi di par condicio, parità di trattamento e trasparenza dei lavori della commissione e dell'aggiudicazione" parte attrice lamenta che all'apparecchio offerto, pur presentando le caratteristiche richieste dalla legge di gara, è stato attribuito un punteggio pari a zero. L'illegittimità di tale valutazione emergerebbe dal confronto sia con l'oggetto della gara in generale, e del lotto n. 3 in particolare, che richiedeva espressamente "Sistemi completamente automatizzati per l'esecuzione di Test", sia con il chiarimento offerto dalla Amministrazione procedente laddove dichiarava che avrebbero potuto essere offerti, per la "fornitura di apparecchiature a bassa produttività BP", anche macchinari completamente automatizzati e che il concorrente avrebbe dovuto indicare "... la capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta", per ottenere punti 1. Di conseguenza, nel caso di specie si evincerebbe - ad avviso della ricorrente - la erroneità e illogicità della valutazione tecnica dai seguenti elementi: - la natura dei macchinari scrutinati dal seggio di gara, che sebbene automatizzati non sono stati nemmeno valutati; - non è stata valutata la quantità di prestazioni indicate da Or. di assoluto rilievo e maggiore rispetto a macchinari semi automatizzati, malgrado la chiara previsione del criterio di attribuzione del punteggio; - la decisione dell'Ente di ricondurre i macchinari automatizzati in quelli di BP; - i macchinari offerti garantiscono le stesse prestazioni che hanno portato Or. a vincere il lotto 2, con il punteggio più alto da parte della medesima Commissione. In definitiva, ci si duole che la Commissione di gara abbia premiato con il massimo del punteggio previsto le caratteristiche preferenziali in capo a Bi. - Ra. attribuendo il giudizio "ottimo" ad un macchinario di bassa produzione semi-automatico, mentre avrebbe drasticamente e radicalmente penalizzato Or. con un giudizio "non valutabile" e punteggio pari a 0 nonostante l'offerta di un macchinario completamente automatizzato per la strumentazione a bassa produttività . Con il secondo motivo di ricorso "Violazione di legge per violazione del principio di buon andamento della azione amministrativa e della legge di gara" la ricorrente deduce che il giudizio della Commissione contrasterebbe con le disposizioni della legge di gara in generale e con gli obbiettivi che da essa derivano, con la sua disciplina puntuale, con quella di sistema e soprattutto con la tutela del bene primario della salute: da ciò discenderebbe anche un evidente vizio di violazione di legge per violazione del principio di buon andamento dell'azione amministrativa, in quanto il punteggio attribuito dalla Commissione ai macchinari con caratteristiche preferenziali non premierebbe le migliori prestazioni sui test sulla base degli obbiettivi tracciati dalla legge di gara nel suo complesso. A tal fine la difesa attorea evidenzia che Linee Guida n. 2 del 2016 di attuazione del D.Lgs. n. 50/2016, in materia di "offerta economicamente più vantaggiosa", adottate dall'ANAC e da ultimo aggiornate con delibera del Consiglio dell'Autorità n. 424 del 2 maggio 2018, finalizzate a "dare indicazioni operative che possano aiutare le stazioni appaltanti nell'adozione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa" (sul punto richiamando la ricorrente anche il parere consultivo n. 966 reso dal Consiglio di Stato in data 13.04.2018, secondo cui le linee guida n. 2 "forniscono utili indicazioni in ordine alla definizione degli obiettivi e dei criteri di valutazione che devono essere sottesi alla costruzione degli elementi o criteri di valutazione"), prevedono che i criteri di valutazione delle offerte devono essere concretamente idonei a evidenziare le caratteristiche migliorative delle offerte presentate dai concorrenti e a differenziare le stesse in ragione della rispondenza alle esigenze della stazione appaltante; i citati criteri devono, pertanto, consentire un effettivo confronto concorrenziale sui profili tecnici dell'offerta, scongiurando situazioni di appiattimento delle stesse sui medesimi valori, vanificando l'applicazione del criterio del miglior rapporto qualità /prezzo. Nel caso di specie, ad avviso dell'esponente, i lavori della Commissione tradirebbero proprio tale legame essenziale e necessario con una valutazione assolutamente distonica dalle esigenze espresse dall'ente con le regole di gara e le esigenze della tutela del bene della salute: maggiore e garantita capacità di esecuzione dei tests. Con il terzo motivo di ricorso "Violazione di legge per eccesso di potere, per difetto di istruttoria e illogicità del giudizio della Commissione per difetto di uno dei componenti di funzionamento dei macchinari" l'esponente censura che l'Amministrazione procedente non avrebbe rilevato che il macchinario di Bi. - Ra. non è in grado di rendere le prestazioni dichiarate nonché prescritte dalla legge di gara e comunque risulta carente nel funzionamento rispetto alle prestazioni richieste dalla legge di gara; i macchinari offerti paleserebbero, quindi, secondo la difesa attorea, la illogicità della valutazione della Commissione nella istruttoria e nella attribuzione del massimo punteggio attribuito alla prima graduata, con la conseguenza che la concorrente avrebbe dovuto essere esclusa oppure avrebbe dovuto ottenere punteggio pari a zero con riferimento alla voce oggetto di esame: il macchinario offerto da Bi. - Ra. sarebbe privo di una delle componenti essenziali per l'esecuzione dei test offerti, che potranno essere eseguiti da Bi. - Ra. solo mediante la messa a regime e a sistema di diversi macchinari, tra loro collegati funzionalmente. Proverebbe l'assunto attoreo il fatto che la aggiudicataria dichiarerebbe nella propria offerta, sotto la voce oggetto di esame, che a "corredo verrà fornito anche l'incubatore ID incubator L009203" "per la gestione delle metodiche che prevedono la incubazione a 37 gradi", dimostrando ciò che l'incubatore non farebbe parte del macchinario offerto dalla concorrente ma si tratterebbe di un componente esterno, rispetto al macchinario Sw. e Sa.. L'Amministrazione, sul primo motivo, controdeduce che dall'analisi della relazione tecnica (con riferimento al doc. 5 in actis) consegnata in offerta da Or. Cl. Di. S.r.l. si rileva che "Per la sede di (omissis), per la quale viene richiesta la fornitura di uno strumento a media/bassa produttività, l'offerta include un analizzatore a media produttività Or. VI. Sw." e che "Anche per la sede di (omissis), per la quale viene richiesta la fornitura di uno strumento a media/bassa produttività, l'offerta include un analizzatore a media produttività Or. VI. Sw.". Quindi, Or. ha proposto in offerta l'attrezzatura denominata Or. Vi. Sw., completamente automatizzata ed a media produttività, cui la Commissione ha attribuito zero punti in relazione all'elemento di valutazione 5.1. La resistente precisa che l'automatizzazione non ha nulla a che vedere con l'elemento di valutazione oggetto di contestazione, perché il capitolato tecnico prestazionale (con riferimento al doc. 6 in actis) prevedeva che "i sistemi strumentali richiesti sono diversificati in base alla capacità produttiva. Di seguito si riportano le necessità per ogni singola azienda sanitaria: AUSL PIACENZA: N° 4 apparecchiature automatizzate a Media Produttività (MP) + n° 3 apparecchiature MANUALE; AUSL REGGIO EMILIA: per centri HUB: N° 1 apparecchiature automatizzate ad Alta Produttività (AP), n° 2 apparecchiature automatizzate a Media Produttività (MP) + n° 1 apparecchiatura MANUALE; Per centri SPOKE: N° 2 apparecchiature automatizzate Medio/Bassa Produttività ". Successivamente, a fronte della richiesta di chiarimenti pervenuta, l'Amministrazione ha disposto la rettifica del Capitolato, con determinazione n. 1252 del 14 settembre 2023, disponendo di "procedere per quanto espresso in premessa, all'aggiornamento dei documenti di gara come da allegati al presente atto, e più precisamente: Allegato C) Capitolato tecnico rivisto nella parte di descrizione delle apparecchiature a Bassa produttività ovvero: "AUSL REGGIO EMILIA: Per centri SPOKE: N° 2 apparecchiature automatizzate Medio/Bassa Produttività ; NB: si precisa che i sistemi a BP destinati ai centri SPOKE di Reggio Emilia, qualora siano fornibili dalle ditte, potranno essere in configurazione tecnica sia automatica che semi-automatica". Quindi, evidenzia la difesa della stazione appaltante, per i due centri di Reggio Emilia ((omissis) e (omissis)) l'Amministrazione ha dichiarato di accettare, quale requisito minimo, attrezzature sia automatiche che semi-automatiche, rimanendo l'elemento di valutazione incentrato (come esplicitamente disposto dagli atti di gara) esclusivamente sulla possibilità per gli operatori di fornire apparecchiature a bassa produttività . Sottolinea, infine, sul punto l'Amministrazione che nell'offerta tecnica Or. ha proposto, anche per gli "spoke" dei due centri di Reggio Emilia, l'apparecchiatura Or. Vi. Sw. a media produttività e la Commissione, rilevando l'indisponibilità offerta dal concorrente a dare apparecchiature di bassa produttività, ha attribuito all'offerta zero punti in relazione all'elemento 5.1: in particolare, l'offerta proposta da Or. era ammissibile perché possedeva tutti gli elementi minimi richiesti dal Capitolato, avendo infatti offerto, per i due "spoke" di Reggio Emilia, apparecchiature automatizzate a media produttività conformi al requisito minimo di capitolato che pretendeva fossero apparecchiature automatizzate o semi-automatiche a medio/bassa produttività . Tuttavia, sottolinea la difesa della stazione appaltante, l'apparecchiatura ha ottenuto zero punti in relazione all'elemento di valutazione 5.1 che premiava esclusivamente il fatto che le apparecchiature avessero una bassa produttività : l'apparecchiatura offerta da Or. non è in grado di garantire bassa produttività, ma solo media produttività . Sulle ragioni, non contestate da parte ricorrente, sottese alla scelta di premiare la "bassa produttività " l'Amministrazione stigmatizza che sono state esplicitamente indicate nel capitolato tecnico: in particolare, a pag. 34 del capitolato (con riferimento al doc. 6 in actis), è riportato il riepi degli esami effettuati mediamente ogni anno e da tale prospetto emerge che negli "spoke" afferenti a Reggio Emilia si eseguono mediamente circa 1200 test all'anno che corrispondono al numero indicato nei chiarimenti con i quali l'Amministrazione ha rilevato che "la strumentazione a bassa produttività deve garantire almeno 6-8 test /die". L'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pa. aggiunge che, con il criterio 5.1 l'Amministrazione ha inteso premiare anche le forniture in service di macchinari a bassa produttività, poiché tale possibilità le avrebbe permesso di soddisfare maggiormente i bisogni afferenti alle peculiarità degli "spoke" interessati: la scelta dell'Amministrazione di premiare (seppure con un punto solo su 70) la possibilità per i concorrenti di offrire attrezzature anche a bassa produttività sarebbe logica e comprensibile. Sul terzo motivo, relativo alla lamentata l'inidoneità del prodotto offerto dalla controinteressata, in quanto privo dell'incubatore, componente essenziale per l'esecuzione dei test, l'Amministrazione precisa che la strumentazione offerta dall'impresa aggiudicataria prevede, fra l'altro, sia un incubatore a 37°, sia il sistema Sw. che consente di automatizzare le fasi di dispensazione di campioni e reagenti, di centrifugazione e lettura delle schedine e acquisizione dei risultati: Bi. - Ra. ha inserito in offerta tecnica un dettaglio di tutte le attrezzature offerte senza prezzi e, tra quelle, viene specificatamente indicata l'intenzione di includere nelle offerte l'incubatore per schedine e provette (con riferimento al doc. 9 in actis). La controinteressata replica alle censure attoree evidenziando sul primo e secondo motivo di ricorso che la correttezza della scelta della Commissione emergerebbe pianamente dalla relazione tecnica di Or. per l'assegnazione dei punteggi di qualità (con riferimento al doc. 1 in actis): in tale relazione - sottolinea la difesa di Bi. - Ra. - si legge che "anche nei centri spoke, a tutti i presidi ospedalieri oggetto della presente procedura di gara è stata offerta strumentazione automatica Or. Vi. Sw.® ". Evidenzia la controinteressata che Or. Vi. Sw. è infatti lo strumento che - unicamente - è indicato nell'offerta economica (con rinvio al doc. 2 in actis), nei cronoprogrammi e nel documento "B_Progetto offerta_Lotto 3" (con rinvio al doc. 3 in actis). La difesa della controinteressata assume da tali elementi che il sistema effettivamente offerto da Or. per tutti i centri "spoke" di cui al lotto 3 è Or. Vi. Sw., ossia uno strumento dichiaratamente a produttività media (anziché bassa), di cui non sarebbe, inoltre, indicata in modo analitico la capacità produttiva: ciò sarebbe ammesso dalla Or. medesima in ulteriori punti (fin da p. 1, punto 1.3, doc. 1 in actis), ove Or. Vi. Sw. sarebbe definito dalla ricorrente "strumento a media produttività ". Tale assunto non sarebbe inficiato dal fatto che nella - sola - Relazione di cui al citato doc. 1 (punto 5.1, p. 20), la Or. dichiara che "Con riferimento alla rettifica del Capitolato tecnico, dove si apre alla possibilità di offrire un sistema semi- automatico, come apparecchiatura a bassa produttività viene proposto il sistema costituito da pipetta elettronica, Or.™ Wo. e lettore di schedine Or. Op.™ ": il citato sistema a bassa produttività, stigmatizza la difesa della aggiudicataria, non è stato offerto per i centri "spoke" di Reggio Emilia nell'offerta economica, e ciò sarebbe esaustivo, visto che è l'offerta economica quella in cui si cristallizza la volontà negoziale, tanto che l'art. 16 del Disciplinare ne imponeva il massimo dettaglio, a pena di esclusione. Inoltre, aggiunge la Bi. - Ra., l'apparecchiatura a bassa produttività non compare né nei Layout, né nei cronoprogrammi, né tantomeno nel documento "B_Progetto offerta_Lotto 3" (prodotto sub doc. 3 in actis) in relazione ai centri "spoke". Conclude in punto di fatto la controinteressata che il sistema a bassa produttività sarebbe ambiguamente menzionato, ma non concretamente inserito nell'offerta economica, da Or., ed è inoltre un sistema manuale, non semiautomatico, come tale comunque escluso dal criterio premiale (riferito solo a sistemi almeno semi-automatici): sarebbe la Or. medesima, infatti, a definirlo, più volte, come postazione manuale (riportando ad es. nel documento Progetto, prodotto sub doc. 3, p. 6, in actis). Conclude sul primo motivo la difesa della controinteressata che non emergerebbe alcuna irragionevole discriminazione, quindi, rispetto all'offerta di Bi. - Ra.: è certamente vero che, come osserva Or. nel ricorso (p. 12), "la commissione di gara ha premiato con il massimo del punteggio previsto le caratteristiche preferenziali in capo a Biorad attribuendo giudizio "ottimo" a un macchinario di bassa produzione semi automatico con corrispondente punteggio massimo 1", ma ciò ha fatto - legittimamente ad avviso della aggiudicataria - perché Bi. - Ra., a differenza di Or., aveva perfettamente integrato il criterio preferenziale. Sotto il profilo tecnico, aggiunge, infine, la controinteressata, sarebbe perfettamente comprensibile e ragionevole la scelta della legge di gara - sul punto non specificamente impugnata - di privilegiare un macchinario a produttività bassa, ai fini dell'attribuzione del punto in questione: tale macchinario è assai meno gravoso sul piano delle manutenzioni e degli spazi occupati rispetto ad uno a produttività media o alta, quindi, molto più adeguato in contesti piccoli come i centri "spoke", laddove sarebbe ad esempio antieconomico e irragionevole dedicare ogni giorno 20 minuti o più a manutenzione per poi effettuare pochi esami, in specie sotto il profilo del costo del personale e della necessità di dedicare i pochi dipendenti in servizio all'effettiva cura dei pazienti, invece che alla cura (manutenzione) dei macchinari. Inoltre, precisa Bi. - Ra., i presidi oggetto dei due lotti sono completamente diversi, per caratteristiche, necessità e costituzione: nel lotto 3, ad esempio, sono presenti centri "spoke" (satelliti) non presenti nel lotto 2 e i fabbisogni di strumentazione e test espressi sono diversi, per tipologia e quantità : tale differenza sarebbe talmente marcata che l'Ente appaltante ha ritenuto necessario per il lotto 2 suddividere i fabbisogni su due aggiudicatari distinti, mentre per il lotto 3 era previsto un solo aggiudicatario. La difesa della controinteressata assume sul punto che l'argomento avversario sulla diversità di punteggio nei due lotti sarebbe, pertanto, meramente strumentale, generico e avulso dalla vincolante legge di gara e dalla specificità dei contesti ospedalieri che la stessa rappresenta. Sul terzo motivo, relativo alla questione della lamentata assenza dell'incubatore nell'offerta dell'aggiudicataria, quest'ultima evidenzia che da tutta la documentazione di gara di Bi. - Ra. (offerta economica, doc. 4, progetto e relazione tecnica, doc. 5 e 6 in actis) emerge che il suddetto strumento viene offerto: la tesi attorea sarebbe basata sulla arbitraria assimilazione tra assenza dell'incubatore e sua fornitura come strumentazione esterna ma connessa. Tale assunto attoreo, tuttavia, non troverebbe riscontro documentale alcuno nella legge di gara né avrebbe senso tecnico alcuno pretendere un incubatore necessariamente integrato in modo fisso nella macchina: l'importante è che sia fornito e funzioni, e l'incubatore è a tutti gli effetti uno dei moduli del sistema semiautomatico Bi. - Ra., e non un componente aggiuntivo. Il Collegio rileva che le doglianze attoree relative alla valutazione operata dalla Commissione dell'offerta tecnica della ricorrente sono state ulteriormente articolate negli atti successivi a quello introduttivo, nonché in sede di discussione della causa, nel senso che la legge di gara ha ritenuto essenziale la automatizzazione dei test, e ciò sarebbe confermato dai chiarimenti, caratteristica da Or. garantita: da ciò discenderebbe che, proprio in virtù della natura automatizzata del macchinario offerto - riconducibile nella sezione "caratteristiche preferenziali" - capace di un numero di prestazioni di assoluto rilievo, avrebbe dovuto essere applicato il punteggio massimo alla stregua di quello attribuito a Bi. - Ra. se non addirittura un punteggio superiore visto che il numero delle prestazioni è più alto rispetto a quello offerto dalla prima graduata. Assume la difesa attorea che la legge di gara traccia, disegna e prescrive in tutte le sue forme la massima capacità di produzione dei test e che la legge di gara equipara i macchinari automatizzati a quelli semi-automatici evidenziando che, pertanto, sarebbe illogico - o in contrasto con la legge di gara e prima ancora con il principio di buona andamento della azione amministrativa - penalizzare un macchinario che in modo automatizzato produca il migliore numero possibile di test anche per caratteristiche preferenziali e a regime di bassa produzione. Inoltre, nella memoria finale, la ricorrente sottolinea che, nel pieno rispetto della legge di gara, la Or. dichiarava le quantità delle prestazioni del macchinario in questione nella propria offerta senza escludere che questa potesse ampiamente lavorare a una frequenza minore, che avrebbe dovuto essere valutata dall'Ente: i "caricamenti" indicati con la relazione della offerta e con il progetto di offerta chiaramente si riferirebbero, secondo la prospettazione attorea, alla capacità massima che non esclude una capacità di caricamento e produzione inferiore. Tali essendo le difese svolte dalle parti, va innanzi tutto rilevata la tardività del deposito della memoria difensiva dell'Amministrazione avvenuto il 9 settembre 2024, quando era oramai decorso il termine imposto dal rispetto dei dieci giorni liberi dall'udienza pubblica del 18 settembre 2024, in violazione del combinato disposto degli artt. 73, comma 1, e 119, comma 2, C.p.a. Il che naturalmente rende inammissibile la memoria difensiva, di cui non si può dunque tenere conto; come è noto, infatti, detti termini sono perentori, non potendo ad essi derogarsi neppure su accordo delle parti per essere gli stessi espressione di un precetto di ordine pubblico sostanziale a tutela del principio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del giudice, sì che il deposito tardivo di memorie e documenti ne comporta l'inutilizzabilità processuale (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 20 febbraio 2023 n. 1717). Nel merito il Collegio, quanto ai primi due motivi di ricorso, osserva che gli elementi rilevanti posti dalla legge di gara, e non oggetto di contestazione nella presente controversia, sono il requisito dell'automazione ed il punteggio premiale relativo all'apparecchiatura a bassa produttività . Infatti, il Disciplinare di gara (doc. n. 4 - Amministrazione in actis), al punto "17.2 Criteri di valutazione dell'offerta tecnica" stabilisce che il punteggio dell'offerta tecnica è attribuito sulla base dei criteri di valutazione elencati nel Capitolato tecnico (Allegato C) e contestualmente riportati che, relativamente al lotto 3 (pag. 45), prevedono per le Caratteristiche tecnico/prestazionali auspicabili, al punto 5 "Strumentazione Analitica" (22 punti), e in particolare al punto 5.1 (1 punto), la "possibilità di fornitura di apparecchiature a Bassa Produttività BP. Indicare la capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta". Il Capitolato tecnico prestazionale (doc. n. 6 - Amministrazione in actis), al punto "1. Oggetto e durata della fornitura", a pag. 2 precisa l'oggetto del lotto n. 3: "Sistemi completamente automatizzati per l'esecuzione di Test di Immunoematologia Eritrocitaria e Trasfusionale, con tecnologia in microcolonna, destinati ai Laboratori AUSL Reggio Emilia e AUSL Piacenza". In particolare, per il lotto n. 3 si prevede che (pag. 4) i sistemi strumentali richiesti sono diversificati in base alla capacità produttiva riportando le necessità per ogni singola azienda sanitaria: - Ausl Piacenza: n° 4 apparecchiature automatizzate a Media Produttività (MP) + n° 3 apparecchiature manuale; - Ausl Reggio Emilia: per centri Hub n° 1 apparecchiature automatizzate ad Alta Produttività (AP), n° 2 apparecchiature automatizzate a Media Produttività (MP) + n° 1 apparecchiatura manuale; per centri Spoke n° 2 apparecchiature automatizzate Medio/Bassa Produttività . Del suddetto Capitolato l'articolo n. 2 "Caratteristiche tecniche della fornitura", dalla pag. 17, relativamente al lotto n. 3 - Sistemi completamente automatizzati per l'esecuzione di Test di Immunoematologia Eritrocitaria e Trasfusionale, con tecnologia in microcolonna, destinati ai Laboratori AUSL Reggio Emilia e AUSL Piacenza - differenzia le "Caratteristiche tecnico/prestazionali indispensabili", tra cui l'automazione, e le "Caratteristiche tecnico/prestazionali auspicabili" tra cui, al punto 5 "Strumentazione analitica" e, in particolare, al punto 5.1, è prevista la "Disponibilità di fornitura di apparecchiature a Bassa Produttività BP. Indicare la capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta". Quanto al chiarimento sulle regole di gara evocato in giudizio, si rileva che a pag. 15 dei chiarimenti pubblicati (doc. n. 7 - Amministrazione in actis) il quesito è così formulato: "4) Lotto 3, Disciplinare di Gara, Caratteristiche tecnico/prestazionali auspicabili, Strumentazione Analitica, Voce 5.1, Possibilità di fornitura di apparecchiature a Bassa Produttività (BP). Indicare la capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta (punti 1). Si chiede di confermare che tale voce sia un refuso, poichè con la risposta ai chiarimenti "Risposta PI257989-23" permette di offrire un sistema semiautomatico con cui sia comunque possibile automatizzare le fasi di dispensazione di campioni e reagenti, di centrifugazione e lettura delle schedine ed acquisizione dei risultati. L'apparecchiatura BP viene quindi accettata anche semiautomatica. La strumentazione BP non ha nessuna caratteristica presente nei requisiti indispensabili e non può essere premiata con caratteristiche inferiori rispetto alla strumentazione completamente automatica che invece sono richieste appunto nei requisiti minimi". La risposta ha il seguente testo: "Si comunica che è stato pubblicato un aggiornamento del capitolato tecnico nella seguente parte: Allegato C) Capitolato tecnico rivisto nella parte di descrizione delle apparecchiature a Bassa produttività ovvero: "Ausl Reggio Emilia: Per centri Spoke: n° 2 apparecchiature automatizzate Medio/Bassa Produttività NB: si precisa che i sistemi a BP destinati ai centri Spoke di Reggio Emilia, qualora siano fornibili dalle ditte, potranno essere in configurazione tecnica sia automatica che semi-automatica." Pertanto per Ausl PC si conferma quanto richiesto in capitolato, il riscontro al quesito era riferito in generale alle apparecchiature a Bassa produttività che però non erano pertinenti per la parte di competenza (Ausl PC), pertanto non considerare la risposta di Ausl PC. Qualora la ditta partecipante fosse in grado di fornire gli strumenti a BP (indipendentemente dal grado di automazione vista anche la modifica del capitolato in corso) e solo dove richiesto esplicitamente in capitolato (Spoke Ausl RE), non sono state inserite caratteristiche particolari, ma sarà la commissione che valuterà e attribuirà il punteggio al requisito 5.1 "Possibilità di fornitura di apparecchiature a Bassa Produttività (BP)...." e della capacità produttiva "...Indicare la capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta"". Dal Disciplinare di gara nonché dal Capitolato tecnico prestazionale, quindi, emerge chiaramente che per il Lotto n. 3 era previsto il punteggio premiale, in quanto inserito tra le "Caratteristiche tecnico/prestazionali auspicabili", della bassa produttività (BP); dal chiarimento soprariportato - e invocato dalle parti - risulta pianamente confermata per gli "spoke" di Reggio Emilia - di cui è causa - l'equipollenza del grado di automazione nonché emerge inequivocabile il criterio di attribuzione del punteggio premiale previsto al punto 5.1. soprariportato in relazione alla possibilità di fornitura di apparecchiature a bassa produttività (BP). Il Collegio osserva che la ricorrente non ha censurato il disposto punteggio premiale in ordine alla caratteristica della "Bassa produttività " né la ratio sottesa a tale determinazione; tuttavia, nelle argomentazioni coltivate ha assunto il requisito dell'automazione quale elemento rivelatore della efficienza dell'apparecchiatura richiesta dalla Stazione appaltante: tale prospettazione porterebbe - secondo la tesi attorea - a ritenere che l'automazione consenta di considerare altamente efficiente un macchinario, come quello offerto dalla ricorrente, e che tale efficienza, pur a fronte di una produttività media - caratteristica che non porta all'attribuzione del punteggio premiale sperato -, sarebbe utile a superare l'assenza dell'elemento premiale della bassa produttività . La difesa attorea prospetta che la caratteristica della media produttività non esclude la bassa produttività e che ciò sarebbe sufficiente per l'attribuzione del punteggio premiale. Sul punto il Collegio ritiene che la legge di gara, non censurata in questa parte, disponga chiaramente l'attribuzione del punteggio premiale a fronte dell'offerta di un apparecchio a bassa produttività e che, in particolare, si tratta di un elemento premiale e non di un requisito di partecipazione alla gara: come tale, di conseguenza, è ragionevolmente parametrato alle specifiche esigenze, non contestate, dell'Amministrazione e non deve necessariamente essere scrutinato attraverso il principio della massima partecipazione degli interessati. D'altronde, parte attrice, come già evidenziato, non ha censurato la ratio della disposizione premiale, bensì ha proposto una lettura ampliativa in base all'assunto che il proprio macchinario a media produttività possa funzionare anche a bassa produttività . Su tale tesi l'Amministrazione e la controinteressata hanno replicato, con ragionamento privo di vizio logico, che un apparecchio a media produttività non solo non è adatto alle necessità, dedotte nella legge di gara, dello "spoke", ossia dell'articolazione periferica del servizio ospedaliero, ma comporta anche un maggiore onere manutentivo in termini temporali da parte del personale. A tali considerazioni la ricorrente ha replicato enunciando una maggiore efficienza del proprio apparecchio nonché la possibilità dello stesso di funzionare a bassa produttività senza incidere negativamente sulla gestione, quindi non onerando il personale utilizzatore di maggiori impegni manutentivi. Il Collegio rileva in proposito che, in disparte la mera enunciazione dell'asserita equivalenza dell'impatto gestionale del macchinario a media produttività rispetto a quello a bassa produttività, il dato oggettivo emerso, e non contestato, è la presentazione da parte di Or. di un macchinario, sia pure rispondente al requisito dell'automazione, che non presenta la caratteristica tecnica della bassa produttività, bensì quella della media produttività ; parte attrice, inoltre, non ha dimostrato che la propria offerta tecnica presenti, pur a fronte della chiara disposizione di gara sul punteggio premiale e del relativo prescritto obbligo di "... Indicare la capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta...", la necessaria precisazione in ordine alla possibilità dell'apparecchio di funzionare a bassa produttività . Infatti, nel Progetto di offerta di Or. (doc. n. 3- Bi. - Ra. in actis) a pag. 4, nell'ambito del punto n. 3 rubricato "Layout distribuzione apparecchiature" si precisa che i sistemi Or. VI. Sw. sono così distribuiti: "Per la sede di Reggio Emilia, per la quale sono richiesti uno strumento ad alta produttività, due a media produttività e una postazione manuale, viene proposto questo layout di installazione (omissis del layout) Dove lo strumento Or. Vi. Ma. Sw. e la postazione manuale composta da Or.™ Wo., lettore di schedine Or. Op. e pipetta elettronica vengono posizionati nel locale dedicato alla distribuzione degli emocomponenti (FS-37), mentre i due Or. VI. Sw. vengono posizionati nel laboratorio di immunoematologia (FS-36). Per la sede di (omissis), per la quale viene richiesta la fornitura di uno strumento a media/bassa produttività, l'offerta include un analizzatore a media produttività Or. VI. Sw. (omissis del layout) Anche per la sede di (omissis), per la quale viene richiesta la fornitura di uno strumento a media/bassa produttività, l'offerta include un analizzatore a media produttività Or. VI. Sw. (omissis del layout)": a tali descrizioni non seguono ulteriori specificazioni in ordine alla "bassa produttività ". Nella Relazione tecnica Or. per l'assegnazione dei punteggi di qualità (doc. n. 1 - Bi. - Ra. in actis) a pag. 20, in riferimento al criterio di valutazione 5.1. "possibilità di fornitura di apparecchiature a Bassa Produttività BP. Indicare la capacità produttiva dell'apparecchiatura proposta", si precisa, per quanto interessa, che "Con riferimento alla rettifica del Capitolato tecnico, dove si apre alla possibilità di offrire un sistema semi- automatico, come apparecchiatura a bassa produttività viene proposto il sistema costituito da pipetta elettronica, Or.™ Wo. e lettore di schedine Or. Op.™ ". Su tale sistema a bassa produttività la controinteressata ha sottolineato che, in ogni caso, si tratta di un sistema manuale, non semiautomatico, come tale comunque escluso dal criterio premiale (riferito solo a sistemi almeno semi-automatici): sarebbe la Or. medesima a definirlo, più volte, come postazione manuale (riportando ad es. nel documento Progetto prodotto sub doc. 3, p. 6 in actis). A tale rilievo la ricorrente non ha controdedotto sotto siffatto profilo specifico ed anche nella relazione tecnica in esame (pag. 20) la Or. indica che si tratta di stazione destinata alla esecuzione manuale dei test, con la precisazione che garantirebbe le stesse performances di un analizzatore automatico. Peraltro, la tesi attorea, come sopra riportato, si fonda proprio sulla natura automatizzata del macchinario offerto che, ad avviso della ricorrente, garantirebbe una maggiore efficienza del prodotto. Nell'offerta economica di Or. (doc. n. 2 - Bi. - Ra. in actis) è accluso il documento "Allegato G1 - scheda di dettaglio dell'offerta economica - canone di noleggio e assistenza tecnica" nel quale in riferimento all'"Analizzatore Automatico per Reggio Emilia (2), Castel dei Monti (1), (omissis) (1)", è indicato il modello Or. Vi. "Sw.": a tale descrizione non segue ulteriore specificazione in ordine alla "bassa produttività ". Pertanto, solo nella Relazione tecnica menzionata la ricorrente indica un modello, manuale e non automatico (pertanto privo del requisito indispensabile dell'automazione), "Or.™ Wo. e lettore di schedine Or. Op.™ ", in riferimento al criterio di valutazione 5.1.: tuttavia, nel progetto di offerta e, poi, nell'offerta economica, è indicato non "Or.™ Wo. e lettore di schedine Or. Op.™ " bensì il modello "Or. Vi. "Sw." descritto come analizzatore a media produttività senza alcuna specificazione in ordine alla "bassa produttività ". Richiamata la necessaria identità tra l'oggetto dell'offerta tecnica e quello dell'offerta economica, va rilevato quanto emerge dai citati documenti di gara ossia che nel progetto di offerta di Or. (doc. n. 3- Bi. - Ra. in actis) è indicato per gli "spoke" di cui è causa l'analizzatore a media produttività Or. VI. Sw., senza alcuna precisazione in ordine alla "bassa produttività ", e che nell'offerta economica è parimenti indicato il modello Or. Vi. "Sw.", senza alcuna precisazione in ordine alla "bassa produttività "; pertanto, il modello, "Or.™ Wo. e lettore di schedine Or. Op.™ ", menzionato nella Relazione tecnica in riferimento al criterio 5.1 sopradescritto, non solo è descritto come manuale e non automatico, come è invece richiesto dalla legge di gara, ma anche non è compreso nell'offerta economica, sede di definizione dell'impegno contrattuale. Quanto detto è indirettamente confermato dalla ricorrente che enfatizza il carattere automatico del prodotto offerto quale elemento di maggiore efficienza dello stesso, escludendo, pertanto, che l'oggetto dell'offerta sia il macchinario manuale a bassa produttività . Quindi, stante la chiara disposizione di gara e visto il contenuto dell'offerta tecnica dell'esponente, l'apparecchio proposto da Or. non presenta la caratteristica della bassa produttività utile per reclamare l'attribuzione del punteggio premiale anelato. Non potrebbe diversamente concludersi in ragione del criterio, invocato da parte attrice nel secondo motivo di ricorso, della massima efficienza complessiva sul quale deve orientarsi la valutazione della Commissione: la ricorrente assume che l'automazione garantirebbe in ogni caso una maggiore efficienza della prestazione tale da meglio sortire, anche con un macchinario a media produttività (per il quale non è, come visto, attribuibile il punteggio premiale), il risultato individuato dalla Stazione appaltante. Tuttavia, come già si è avuto modo di considerare, l'Ente ha provveduto a specificare e chiarire per i centri "spoke" in questione che, a parità di livello di automazione (requisito indispensabile), il criterio premiale è quello della bassa produttività, acclarando inequivocabilmente lo specifico elemento differenziale di efficienza utile al risultato prescelto dall'Amministrazione per i due laboratori periferici: è questo, pertanto, il criterio di efficienza individuato dalla legge di gara - ed applicato, di conseguenza, dalla Commissione - per il punteggio premiale e non quello dell'automazione, inserito nei requisiti indispensabili, o della complessiva capacità prestazionale dell'apparecchio. Di conseguenza, per le ragioni esposte, il primo ed il secondo motivo di ricorso sono infondati. Quanto al terzo motivo di ricorso, relativo alla censurata assenza dell'incubatore nel macchinario offerto dall'aggiudicataria, assenza che comprometterebbe la funzionalità del medesimo, l'Amministrazione e la controinteressata hanno ampiamente chiarito che l'incubatore è presente e che il posizionamento dello stesso all'interno o all'esterno dell'apparecchio è carattere strutturale irrilevante rispetto alla corretta funzionalità del macchinario; la ricorrente, peraltro, non ha fornito alcuna argomentazione tecnica probante della propria censura che possa conclamare l'inutilizzabilità del macchinario così come è stato offerto dall'aggiudicataria. Anche il terzo motivo di ricorso, pertanto, deve essere respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna parte attrice al pagamento di Euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre accessori di legge in favore dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pa. e di Euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre accessori di legge in favore di Bi. - Ra. La. S.r.l. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ai sensi dell'art. 117 cod.proc.amm. sul ricorso numero di registro generale 148 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Pa. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno e Questura di -OMISSIS-, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria ex lege; per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dalla Questura di -OMISSIS- sulla richiesta di annullamento e/o revoca del provvedimento di 'd.a.spo.' del 10 ottobre 2022; ............per la condanna... dell'Amministrazione alla conclusione del procedimento. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di -OMISSIS-; Visti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del 18 settembre 2024 il dott. Italo Caso e udito, per il ricorrente, il difensore come specificato nel verbale; Considerato che con provvedimento in data 14 luglio 2022 la Questura di -OMISSIS- disponeva, a carico del ricorrente, il divieto di accesso alle manifestazioni sportive per la durata di un anno, ai sensi dell'art. 6 della legge n. 401 del 1989, perché in occasione della disputa di una partita di calcio a -OMISSIS- resosi responsabile del reato di "resistenza a un pubblico ufficiale"; che, successivamente, accertata la violazione del suindicato divieto per la presenza del ricorrente presso un impianto sportivo durante lo svolgimento di un incontro di calcio, la Questura di -OMISSIS- adottava in data 10 ottobre 2022 un nuovo 'd.a.spo.' della durata di tre anni; che con ricorso gerarchico dell'8 novembre 2022 l'interessato chiedeva al Prefetto di -OMISSIS- l'annullamento del secondo dei due provvedimenti questorili, per assenza dei presupposti di legge; che, poi, in ragione della sopraggiunta archiviazione del procedimento penale riguardante il reato di "resistenza a un pubblico ufficiale", egli chiedeva alla Prefettura di -OMISSIS- la revoca dei due provvedimenti questorili, insistendo sul venir meno delle condizioni legittimanti le misure inibitorie; che, successivamente, richiamando il decreto del G.I.P. in data 4 maggio 2023 di archiviazione del secondo procedimento penale - relativo al più recente 'd.a.spo.' -, il -OMISSIS- chiedeva ancora una volta alla Prefettura di -OMISSIS- la revoca dei due provvedimenti questorili, oramai carenti in toto dei requisiti legali; che, a fronte del mancato riscontro a simili istanze, il ricorrente adiva il giudice amministrativo, ai sensi degli artt. 31 e 117 cod.proc.amm., assumendo l'illegittimità del silenzio per violazione dell'art. 2 della legge n. 241 del 1990 e dell'art. 6, comma 5, della legge n. 401 del 1989; che, tuttavia, questa Sezione rigettava il ricorso rilevando che le due istanze di revoca (del 19 luglio 2023 e del 30 gennaio 2023) avevano avuto quale loro destinataria la Prefettura di -OMISSIS-, mentre la competenza a provvedere in materia fa capo al questore - ai sensi dell'art. 6, comma 1, legge n. 401/1989 -, e che, pertanto, nessun obbligo di provvedere gravava sulla Prefettura, la quale avrebbe potuto al più essere investita di un ricorso gerarchico (v. sent. n. 52 del 8 marzo 2024); che, a seguito di ciò, il -OMISSIS- - tramite il proprio difensore - ha proposto alla Questura di -OMISSIS- l'istanza di revoca del provvedimento di 'd.a.spo.' del 10 ottobre 2022, chiedendone in via subordinata la riduzione dell'efficacia temporale (v. nota del 2 aprile 2024); che, in assenza di risposta da parte dell'Amministrazione, il ricorrente ha adito nuovamente il giudice amministrativo, assumendo ancora una volta la violazione dell'art. 2 della legge n. 241 del 1990 e dell'art. 6, comma 5, della legge n. 401 del 1989; che, a suo dire, il secondo 'd.a.spo.' va revocato in quanto alla base vi sono ipotesi criminose poi superate dall'archiviazione di entrambi i procedimenti penali, sì da sussistere l'obbligo di provvedere dell'Amministrazione - in adesione alla motivata richiesta dell'interessato - rivalutando il'giudizio di pericolosità socialè originariamente formulato; che si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'Interno e la Questura di -OMISSIS-, a mezzo dell'Avvocatura dello Stato, resistendo al gravame; che alla camera di consiglio del 18 settembre 2024 la causa è passata in decisione; Ritenuto che, secondo quanto disposto dall'art. 6, comma 5, della legge n. 401 del 1989, il "divieto di cui al comma 1 e l'ulteriore prescrizione di cui al comma 2 non possono avere durata inferiore a un anno e superiore a cinque anni e sono revocati o modificati qualora, anche per effetto di provvedimenti dell'autorità giudiziaria, siano venute meno o siano mutate le condizioni che ne hanno giustificato l'emissione..."; che, pertanto, quando sopraggiungono pronunce del giudice penale che escludono l'ascrivibilità al privato dei fatti assunti a fondamento di un provvedimento di 'd.a.spo.' a suo carico, l'Amministrazione ha l'obbligo di provvedere sull'istanza di riesame, al fine di verificare se e quali effetti ne derivino su quel provvedimento, all'esito di una valutazione della posizione complessiva del soggetto (v. TAR Lazio, Sez. I, 2 luglio 2019 n. 8601); che, del resto, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 241 del 1990, la pubblica Amministrazione ha in generale il dovere di concludere il procedimento conseguente in modo obbligatorio ad un'istanza di parte mediante l'adozione di un provvedimento espresso; che, inoltre, è principio consolidato che l'obbligo di provvedere sussiste, oltre che nei casi espressamente previsti da una norma, anche in ipotesi ulteriori nelle quali si evidenzino specifiche ragioni di giustizia ed equità che impongano l'adozione di un provvedimento espresso, ovvero tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative, quali che esse siano (v., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2020 n. 183); che nella fattispecie, a fronte della sopraggiunta archiviazione di due procedimenti penali collegati a condotte di cui si era tenuto conto per l'adozione dei due 'd.a.spo.' in questione, con istanza del 2 aprile 2024 il ricorrente ha investito la Questura di -OMISSIS- della motivata richiesta di intervenire sulla seconda determinazione questorile a suo tempo adottata, senza risposta da parte dell'Amministrazione; che, ad avviso del Collegio, le circostanze addotte astrattamente giustificano un riesame della posizione del ricorrente, ma non può procedersi in questa sede all'accertamento della fondatezza della pretesa alla revoca del provvedimento di 'd.a.spo.', richiedendo evidentemente l'adozione di tale misura una valutazione discrezionale dell'Amministrazione - anche, in caso di esito positivo, circa la scelta tra "... revocati o modificati..." - e ciò comportando, pertanto, che il presente dictum giudiziale sia necessariamente circoscritto alla statuizione della sussistenza dell'obbligo di provvedere in capo all'Amministrazione, in ossequio a quanto disposto dall'art. 31, comma 3, cod.proc.amm. ("Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione"); che, del resto, non può assumere rilievo in giudizio quanto argomentato dall'Avvocatura dello Stato con la memoria difensiva depositata il 5 luglio 2024 - a proposito dell'asserita persistenza delle condizioni che avevano dato luogo al'd.a.spo.' -, dovendo a ciò provvedere l'Amministrazione con una formale e motivata determinazione all'esito di apposito procedimento valutativo imperniato sul riesame della complessiva posizione dell'interessato; che, in conclusione, va assegnato alla Questura di -OMISSIS- il termine di trenta giorni dalla comunicazione della presente sentenza affinché la stessa provveda sull'istanza del 2 aprile 2024 - rimasta inevasa - con una motivata valutazione dei presupposti del'divietò a suo tempo ingiunto al ricorrente e del persistere, o meno, degli stessi in ragione delle sopraggiunte pronunce del giudice penale; che, circa la possibile nomina del Commissario ad acta, si differisce l'incombente all'eventuale perdurante inerzia della Questura di -OMISSIS-, su rituale richiesta del ricorrente; Considerato, quindi, che il ricorso va accolto, con conseguente obbligo dell'Amministrazione di provvedere nei termini suindicati; che le spese di lite seguono la soccombenza dell'Amministrazione, e vengono liquidate come da dispositivo P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l'effetto, dichiarata l'illegittimità del silenzio, ordina alla Questura di -OMISSIS- di provvedere nei termini indicati in motivazione, salve le ulteriori determinazioni dell'Amministrazione. Condanna la Questura di -OMISSIS- alla rifusione delle spese del giudizio in favore del ricorrente, liquidandole complessivamente in Euro 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato. Manda alla Segreteria per i successivi adempimenti, nonché per la trasmissione della presente pronuncia - una volta passata in giudicato - alla Corte dei conti, Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna, ai sensi dell'art. 2, comma 8, della legge n. 241 del 1990. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente, Estensore Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario
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