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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 3552 del 2024, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Fa. Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...); la Prefettura di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. I, -OMISSIS- marzo 2024, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2024 il Cons. Giulia Ferrari e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; 1. Il Collegio, chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare di sospensiva dell'atto impugnato, ha deciso di definire immediatamente il giudizio nel merito, con sentenza resa in forma semplificata e ne ha dato comunicazione ai difensori presenti delle parti in causa. 2. È impugnata la sentenza del Tar Lazio, sez. I, -OMISSIS- marzo 2024, che ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto per l'annullamento del provvedimento del Prefetto di Roma del 19 settembre 2022, che ha rigettato la domanda di emersione di lavoro irregolare presentata dal datore di lavoro, signor -OMISSIS- in favore del signor -OMISSIS-, cittadino -OMISSIS-. La decisione è stata adottata dopo che, con ordinanza -OMISSIS- dicembre 2023, il Tribunale aveva invitato le parti del giudizio ad interloquire, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., su un eventuale sopravvenuta carenza di interesse all'annullamento del provvedimento di rigetto oggetto del ricorso introduttivo, assegnando alle stesse il termine di trenta giorni per il deposito di memorie sul punto. Il ricorrente in primo grado non ha presentato memorie né ha espletato difese orali all'udienza pubblica del 13 febbraio 2024. Come chiarito nella citata ordinanza -OMISSIS- dicembre 2023, la sopravvenuta carenza di interesse è stata dichiarata per non avere il ricorrente impugnato il provvedimento del 7 aprile 2023, che, su ordine del giudice (ordinanza -OMISSIS- dicembre 2022), aveva riesaminato la posizione dello straniero. 3. L'appello è infondato e deve essere respinto, essendo stato il provvedimento del 7 aprile 2023 adottato a seguito di una rinnovata istruttoria e con argomentazioni nuove rispetto all'impugnato provvedimento del Prefetto di Roma del 19 settembre 2022. Va richiamata la distinzione tra atti "meramente confermativi" e atti "di conferma in senso proprio". La distinzione ha qui rilievo in quanto l'eventuale appartenenza del provvedimento del 7 aprile 2023 al novero degli atti "di conferma in senso proprio", permetterebbe di apprezzarne gli effetti autonomamente lesivi e, quindi, la sua soggezione all'impugnazione nei termini decadenziali e la sua capacità di determinare il consolidamento della statuizione non oggetto di nuovo gravame. Va rilevato che gli atti "meramente confermativi" sono quegli atti che, a differenza degli atti "di conferma", si connotano per la ritenuta insussistenza, da parte dell'amministrazione, di valide ragioni di riapertura del procedimento conclusosi con la precedente determinazione; mancando detta riapertura e la conseguente nuova ponderazione degli interessi coinvolti, nello schema tipico dei c.d. "provvedimenti di secondo grado", essi sono insuscettibili di autonoma impugnazione per carenza di un carattere autonomamente lesivo (Cons. Stato, sez. V, 4 ottobre 2021, n. 6606; id. 8 novembre 2019, n. 7655; id. 17 gennaio 2019, n. 432; id., sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7230; id., sez. IV, 12 settembre 2018, n. 5341; id., sez. VI, 10 settembre 2018, n. 5301; id., sez. III, 8 giugno 2018, n. 3493; id., sez. V, 10 aprile 2018, n. 2172; id. 27 novembre 2017, n. 5547; id., sez. IV, 27 gennaio 2017, n. 357; id. 12 ottobre 2016, n. 4214; id. 29 febbraio 2016, n. 812). In pratica, l'atto meramente confermativo ricorre quando l'amministrazione si limita a dichiarare l'esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2018, n. 3867). In altre parole, esso si connota per la sola funzione di illustrare all'interessato che la questione è stata già delibata con precedente espressione provvedimentale, di cui si opera un integrale richiamo. Tale condizione, quale sostanziale diniego di esercizio del riesame dell'affare, espressione di lata discrezionalità amministrativa, lo rende privo di spessore provvedimentale, da cui, ordinariamente, la intrinseca insuscettibilità di una sua impugnazione (Cons. Stato, sez. IV, 3 giugno 2021, n. 4237; id. 29 marzo 2021, n. 2622). Di contro, l'atto di conferma in senso proprio è quello adottato all'esito di una nuova istruttoria e di una rinnovata ponderazione degli interessi, e pertanto connotato anche da una nuova motivazione (Cons. Stato, sez. VI, 13 luglio 2020, n. 4525; id., sez. II, 24 giugno 2020, n. 4054; id., sez. VI, 30 giugno 2017, n. 3207; id., sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 4214; id. 29 febbraio 2016, n. 812; id. 12 febbraio 2015, n. 758; id. 14 aprile 2014, n. 1805). In particolare, non può considerarsi "meramente confermativo" di un precedente provvedimento l'atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al primo provvedimento, giacché solo l'esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fase considerata, può condurre a un atto "propriamente confermativo", in grado, come tale, di dare vita a un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione (Cons. Stato, sez. V, 7 maggio 2021, n. 3579). Sulla base dei sopra riferiti elementi, non può dubitarsi che il provvedimento del 7 aprile 2023 in esame - adottato a seguito di un riesame dell'intera vicenda contenziosa, andando anche oltre il remand ordinato dal giudice e con nuove argomentazioni - appartenga alla categoria degli atti "di conferma in senso proprio", che avrebbe dovuto essere tempestivamente impugnato dinanzi al Tar Lazio. Di tale impugnazione non viene dato atto neanche in appello, per confutare la decisione di improcedibilità pronunciata dal Tar Lazio. 4. La conferma della improcedibilità del ricorso di primo grado esonera il Collegio dall'esaminare gli ulteriori motivi di appello. 5. Per le ragioni sopra esposte l'appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza del Tar per il Lazio, sez. I, -OMISSIS- marzo 2024. 6. Le spese e gli onorari del giudizio sono compensate con il Ministero dell'interno; nulla per le spese nei confronti della Prefettura di Roma, non costituita in giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, respinge l'appello come in epigrafe proposto. Compensa le spese e gli onorari del giudizio con il Ministero dell'interno; nulla per le spese nei confronti della Prefettura di Roma. Ordine all'Amministrazione di eseguire la presente decisione. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giovanni Pescatore - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere Giulia Ferrari - Consigliere, Estensore Luca Di Raimondo - Consigliere Angelo Roberto Cerroni - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10021 del 2019, proposto dalla signora St. Mi., rappresentata e difesa dall'avvocato An. Vi., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro Comune di Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pi. Lu. Pa. e poi dall'avvocato Ro. Mu., domiciliati in Roma, via (...), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Signor Ce. Ro., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 9625/2019, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Raffaello Sestini; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - La vicenda contenziosa in esame prendeva avvio quando Roma Capitale approvava la graduatoria finalizzata all'assegnazione di 300 licenze per il servizio di trasporto pubblico non di linea, che vedeva attribuito alla sig.ra Mi. St. il punteggio di 33,46 con collocazione al n. 323 della graduatoria. 2 - La sig.ra Mi. proponeva ricorso dinanzi al TAR del Lazio, lamentando l'asserito mancato riconoscimento, da parte della Commissione giudicatrice, di 8 punti per il possesso del titolo di studio di scuola secondaria superiore, pur di durata triennale, del suo percorso scolastico di scuola media secondaria (diploma di qualifica professionale di addetto alla contabilità conseguito presso l'Istituto professionale per il commercio Lu. Ei. di Roma). 3 - Successivamente, in conseguenza dell'aggiornamento della originaria graduatoria in base alle ulteriori verifiche compiute dall'ufficio sui titoli dei concorrenti, la sig.ra Mi. era collocata al n. 319 della graduatoria, e la nuova delibera non veniva impugnata né con motivi aggiunti né con ricorso autonomo. 4 - Si costituivano in giudizio il Comune di Roma, ora Roma Capitale, nonché il sig. Fa. Pa., che contestava la qualifica di controinteressato chiedendo ed ottenendo l'estromissione dal giudizio. 5 - Nel contempo, con deliberazione n. 584 del 21.11.2006, l'Amministrazione comunale aumentava di 1000 unità il numero delle licenze da rilasciare. Conseguentemente, con determinazione comunale n. 552 del 7.3.2007, veniva rilasciata la licenza n. 6100 alla sig.ra Mi., che presentava atto di rinunzia al ricorso. 6 - Ciononostante, con la sentenza appellata il TAR respingeva il ricorso della sig.ra Mi., che proponeva il presente appello argomentando ampiamente la spettanza degli 8 punti ai fini della modifica della graduatoria in suo favore e del conseguente ottenimento della licenza. 7 - Roma capitale si costituiva in giudizio e con l'appello incidentale lamentava la erroneità della sentenza in quanto, anziché rigettare il ricorso nel merito, lo avrebbe dovuto dichiarare inammissibile e improcedibile. Le parti procedevano poi ad un ampio scambio di memorie. 8 - Successivamente, con determinazione dirigenziale n. 2008 in data 27.4.2010, l'Amministrazione Capitolina revocava la concessa licenza, con atto impugnato dalla sig.ra Mi. con separato ricorso dinanzi al TAR Lazio, che sospendeva la revoca. Il ricorso veniva poi dichiarato perento. 9 - Con l'appello in epigrafe la signora Mi. deduce i seguenti motivi d'impugnazione: "falsa o erronea interpretazione o applicazione di legge ed in particolare dell'art. 191 del d.lgs n. 297/1994; errore in judicando". Nel respingere il ricorso proposto il TAR avrebbe erroneamente ritenuto che il diploma triennale di qualifica professionale conseguito dalla ricorrente non potesse essere considerato "diploma di Istruzione Secondaria di secondo grado" ritenendo erroneamente una sua "differenza ontologica" dai titoli rilasciati dopo un percorso scolastico di durata quinquennale nonostante la difesa di parte ricorrente avesse prodotto, allegandolo al ricorso, il parere di contrario avviso reso dal Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca - Dipartimento per l'istruzione, prot. n. 3764 del 20 aprile 2006 e nonostante che su tale questione si fosse pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza 24460/16 del 30.11.2016, conforme alla sentenza n 26281/09 a Sezioni Unite, ritenendo "che gli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore sono il liceo-ginnasio classico, il liceo scientifico, gli istituti tecnici, il liceo artistico, l'istituto magistrale, la scuola magistrale, gli istituti professionali e gli istituti d'arte." Inoltre nella fattispecie in esame il Bando di Concorso prevedeva l'assegnazione di 8 punti in base al possesso del "Diploma di Istruzione Secondaria Superiore", nulla dicendo in ordine alla durata del relativo corso di studi. Infine l'art 191 D.lgs n. 297/1994 stabilisce che l'istruzione secondaria superiore comprende tutti i tipi di istituti e scuole immediatamente successivi alla scuola media ed ai quali si accede con la scuola media. 10 - Pertanto la signora Mi. chiede la riforma della sentenza del TAR del Lazio con il conseguente accertamento della nullità o annullabilità della determinazione del dirigente della U.O. Trasporto pubblico locale -Servizio trasporto pubblico non di linea n 2221 del 21.11.2006 del Dipartimento VII - Politiche della mobilità del Comune di Roma, nella parte in cui alla ricorrente veniva attribuito il punteggio di punti 33,46 con collocazione della stessa al n. 323 della graduatoria, non riconoscendole gli 8 punti relativi al titolo di studio posseduto quale diploma di istruzione secondaria di secondo grado, nonché di accertare il diritto e l'interesse della ricorrente a vedersi attribuiti gli 8 punti previsti dal bando di concorso pubblico con la conseguente modifica della graduatoria finalizzata all'assegnazione di n. 300 licenze per il servizio di trasporto pubblico non di linea. 11 - Il Comune di Roma, costituitosi in giudizio, argomenta le ragioni per le quali ritiene l'appello inammissibile ed infondato: il TAR avrebbe del tutto correttamente statuito in ordine alla mancata attribuzione alla odierna appellante del punteggio aggiuntivo previsto per il possesso del titolo di scuola media superiore in quanto la giurisprudenza amministrativa è ferma nel ribadire la sostanziale differenza ontologica tra i diplomi rilasciati dopo un corso triennale di studi con quelli rilasciati dopo un percorso scolastico di durata quinquennale che, in quanto tali, costituiscono il diploma di maturità di secondo grado (Cons. di Stato, sez. VI, n. 3992/2005; sez. IV n. 3383/2011) di modo che solo la testuale dizione del bando avrebbe potuto equiparare, per giustificate finalità della pubblica amministrazione, il possesso di un titolo di scuola media superiore con un percorso scolastico triennale (Cons. St., sez. III, n. 6034/2014). 12 - Lo stesso Comune propone inoltre appello incidentale per la parziale riforma dell'appellata sentenza n. 9625/2019, deducendo i seguenti motivi: "perplessità e insufficienza della motivazione; travisamento della eccezione di improcedibilità del ricorso; erronea valutazione e travisamento dei fatti; mancata pronuncia". Infatti il TAR, dopo aver affermato che la mancata contestazione giurisdizionale della determinazione dirigenziale n. 2446/2006 costituiva motivo di improcedibilità del ricorso e rilevata la avvenuta rinuncia al ricorso, non si sarebbe peraltro pronunciato sulla sua improcedibilità, omettendo altresì di pronunciarsi sul fatto che l'oggetto della controversia era stato superato del tutto dagli eventi successivi (rilascio della licenza, successiva revoca, restituzione della licenza alla sig.ra Mi. a seguito di ordinanza cautelare del TAR del 2010, pronunciata nell'ambito del ricorso n. 5055/2010) risultando confermata, anche sotto tale profilo, l'improcedibilità del ricorso. 13 - L'appello incidentale è fondato. Infatti, così come dedotto dal Comune, il TAR, pur dopo aver correttamente rilevato la mancata impugnativa della citata determinazione n. 2446 del 21.12.2006, non ne ha tratto le necessarie conseguenze, né ha considerato la avvenuta rinuncia al ricorso. Il TAR neppure ha considerato che dopo l'introduzione del ricorso di primo grado sono accaduti fatti nuovi, che hanno reso lo stesso improcedibile prima ancora che, come statuito dalla stessa sentenza, infondato nel merito. In particolare, successivamente alla proposizione dell'impugnativa, in data 21.12.2006 il Comune di Roma - U.O. TPL sostituiva la precedente determinazione dirigenziale con quella n. 2446, in conseguenza dell'aggiornamento della originaria graduatoria in base alle ulteriori verifiche compiute dall'ufficio sui titoli dei concorrenti. Tale nuova determinazione, che collocava l'appellante al 319 posto in graduatoria, antecedente rispetto al precedente n. 323 ma ancora in posizione non utile, non veniva impugnata. Con deliberazione GC n. 584 del 2.11.2006, veniva poi ampliato l'organico di autovetture di servizio pubblico non di linea (TAXI) con ulteriori 1000 licenze e, quindi, la sig.ra Mi. risultava collocata in posizione utile. Per tali ragioni, con determinazione dirigenziale n. 552 del 7.03.2007 le veniva conferita licenza taxi n. 6100 e l'interessata notificava, in data 17.04.2007, atto di rinuncia al ricorso. Vero è che il provvedimento di rilascio della licenza n. 6100 veniva poi revocato con determinazione dirigenziale n. 208 del 27.04.2010, ma tale revoca era impugnata dalla sig.ra Mi. con separato ricorso dinanzi al TAR del Lazio, che accoglieva la domanda cautelare con ordinanza n. 2792/2010 con conseguente provvisoria restituzione del titolo. 14 - L'accoglimento dell'appello incidentale nei termini che precedono determina la necessità di dichiarare improcedibile il ricorso di primo grado, prima ancora di rigettarlo nel merito come statuito dell'appellata senrenza del TAR, e ne preclude in ogni caso l'accoglimento, dovendosi di conseguenza respingere l'appello principale. 15 - La peculiarità e complessità della fattispecie contenziosa giustifica, infine, la compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l'appello principale; accoglie l'appello incidentale proposto dal Comune intimato e, per l'effetto, in riforma dell'appellata sentenza dichiara improcedibile il ricorso di primo grado. Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024, tenutasi da remoto, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Giovanni Sabbato - Consigliere Davide Ponte - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7690 del 2023, proposto da An. Al. ed altri, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocato Se. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Treviso, via (...); contro Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministero pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Consap - Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici s.p.a., non costituita in giudizio; Commissione Tecnica del Fondo Indennizzo Risparmiatori, non costituita in giudizio; nei confronti Ve. Ba. s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, non costituita in giudizio; Ba. Po. di Vi. s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, non costituita in giudizio; Ca. Gi., non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza n. 2489 del 13 febbraio 2023 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. II, resa tra le parti, che ha respinto il ricorso contro il silenzio proposto in primo grado dagli odierni appellanti e volto, previo riconoscimento dell'errore scusabile e conseguente rimessione in termini ex art. 37 c.p.a. dei ricorrenti, a fare comunque annullare in via subordinata i provvedimenti emessi nei confronti dei ricorrenti, prodotti dal n. 1 al n. 163) con cui è stato negato l'accesso al Fondo Indennizzo Risparmiatori (FIR) e, in particolare, nella parte in cui, dopo aver ritenuto insussistenti i requisiti per l'accesso all'indennizzo forfettario, hanno concluso che "in ragione di ciò, la Commissione tecnica di cui all'art, 1, co. 501, l. 30.12.2018, n. 145, ha deliberato che, nel caso di specie, non sussistono i requisiti per il riconoscimento dell'indennizzo previsto dalla richiamata normativa". visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze; visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Consigliere Massimiliano Noccelli e viste le conclusioni delle parti come da verbale; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. I ricorrenti indicati in epigrafe sono risparmiatori danneggiati dalle vicende che hanno riguardato la Ve. Ba. e la Ba. Po. di Vi., poste entrambe in liquidazione coatta amministrativa. 1.1. Nel mese di febbraio 2020 hanno presentato domanda per ottenere l'erogazione di un indennizzo forfettario da parte del Fondo indennizzo risparmiatori (FIR) previsto dall'art. 1, comma 493, della legge del 30 dicembre 2018, n. 145, in favore dei risparmiatori danneggiati dalle banche poste in liquidazione coatta amministrativa, "dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1° gennaio 2018", al ricorrere dei presupposti ivi stabiliti. 1.2. Nel periodo compreso tra il 7 dicembre 2021 e il 28 dicembre 2021 hanno ricevuto, tramite la piattaforma predisposta da parte di Cosap che gestisce le richieste di indennizzo, prima la comunicazione sul "cambio di stato" della loro domanda di indennizzo e dopo il rigetto della domanda. 1.3. In particolare, Consap faceva pervenire all'interessato la comunicazione secondo cui, testualmente, "in relazione alla Sua posizione, come certificato dall'AdE, non sono stati soddisfatti i requisiti reddito-patrimoniali ai fini dell'accesso alla procedura di indennizzo forfettario di cui all'art, 1, co. 502 bis, L. 30.12.2018, n. 145" e "in ragione di ciò, la Commissione tecnica di cui all'art, 1, co. 501, l. 30.12.2018, n. 145, ha deliberato che, nel caso di specie, non sussistono i requisiti per il riconoscimento dell'indennizzo previsto dalla richiamata normativa". 1.4. Benché la domanda di indennizzo forfettario fosse stata respinta da Consap, i ricorrenti hanno ritenuto che il procedimento per il riconoscimento dell'indennizzo non si fosse in realtà concluso in quanto l'amministrazione avrebbe dovuto comunque convertire la domanda di indennizzo forfettario (art. 1, comma 502-bis) in domanda di indennizzo ordinario (art. 1, comma 501) in virtù dell'auto-vincolo espresso con la Comunicazione della Segreteria Tecnica di Consap del 6 agosto 2020. 1.5. Quest'ultimo atto prevede infatti che in caso di controllo negativo sui requisiti reddituali posti a fondamento della domanda di indennizzo ordinario "sarà inviata all'utente apposita richiesta di integrazione istruttoria al fine di raccogliere, in primo luogo, l'eventuale dichiarazione sul possesso del requisito patrimoniale (< 100.000 euro), e, in secondo luogo ed in via alternativa - dunque in mancanza dei requisiti per l'accesso all'indennizzo forfettario - la documentazione relativa alle violazioni massive del T.U.F.". 1.6. Dopo aver diffidato in data 20 ottobre 2022 il Ministero dell'Economia e delle Finanze e Consap s.p.a. a concludere il procedimento mediante "passaggio alla procedura di indennizzo ordinaria di cui all'art. 1, co. 493, L. 30.12.2018, n. 145" previa acquisizione della "documentazione volta a comprovare il possesso dei relativi requisiti", gli istanti hanno impugnato avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma (di qui in avanti, per brevità, il Tribunale), il silenzio formatosi sulla predetta diffida chiedendo di accertare "il silenzio-inadempimento delle Amministrazioni resistenti per quanto di rispettiva competenza, alla determinazione dalla Commissione Tecnica assunta nella seduta del 06.08.2021 e all'atto di diffida di cui sopra" ai sensi e per gli effetti degli artt. 31 e 117 c.p.a. 1.7. In via subordinata, i ricorrenti in prime cure hanno altresì proposto domanda di annullamento, previa rimessione in termini ex art. 37 c.p.a., dei provvedimenti emessi nei lori confronti con cui è stato negato l'accesso all'indennizzo forfettario di cui all'art. 1, comma 501, della l. n. 145 del 2018. 1.8. Le pubbliche amministrazioni intimate si sono costituite nel primo grado del giudizio soltanto formalmente. 1.9. All'udienza dell'8 febbraio 2023, dopo la discussione di rito, la causa è stata trattenuta in decisione dal primo giudice. 2. Il Tribunale, con la sentenza n. 2489 del 13 febbraio 2023, ha respinto il ricorso contro il silenzio. 2.1. In particolare, il primo giudice, richiamando la sentenza n. 664 del 29 gennaio 2023 di questa Sezione, ha statuito che non sussiste l'obbligo di provvedere sull'istanza di parte ricorrente in quanto l'amministrazione non è obbligata a convertire la domanda di indennizzo forfettario che è stata rigettata in domanda di indennizzo massivo, attesa l'autonomia dei due distinti procedimenti, né in base alla legge (all'art. 1, commi da 493/501-bis, della l. n. 145 del 2018), né in base ad atti di auto-vincolo (deliberazione della Segreteria Tecnica di Consap del 6 agosto 2020). 2.2. Di conseguenza, non sussistono gli estremi per concedere la rimessione in termini ai sensi dell'art. 37 c.p.a. al fine di poter ritenere tempestivamente impugnati i provvedimenti di rigetto delle domande di indennizzo forfettario conosciute nel mese di dicembre 2021. 2.3. Sempre secondo il primo giudice, infatti, i ricorrenti avrebbero con le loro censure posto una questione sostanziale, nell'assumere che l'art. 1, comma 501, della l. n. 148 del 2018 non preclude la possibilità di applicare il procedimento ordinario anche alle domande attivate tramite il canale dell'indennizzo forfettario (art. 1, comma 502-bis). 2.4. Si tratterebbe tuttavia di una questione che attiene al merito della controversia che non incide, in quanto tanto, sull'esercizio del potere processuale di reagire contro la comunicazione del rigetto della domanda di indennizzo forfettario ricevuto da Cosap che i ricorrenti avrebbero potuto senza altro impugnare anziché attendere la conversione del procedimento, conversione che, peraltro, non era stata neppure comunicata in via diretta. 3. Avverso questa sentenza hanno proposto appello gli interessati, meglio in epigrafe indicati, lamentandone l'erroneità, e ne hanno chiesto la riforma, al fine di far riconoscere, in via preliminare, l'errore scusabile e conseguentemente, previa rimessione in termini ex art. 37 c.p.a. dei ricorrenti, accogliere il ricorso di primo grado - se ritenuto necessario, anche previa sottoposizione della questione di costituzionalità formulata - e per l'effetto annullare i provvedimenti emessi nei confronti dei ricorrenti, prodotti dal n. 1 al n. 163, che hanno negato l'accesso all'indennizzo e, in particolare, nella parte in cui, dopo aver ritenuto insussistenti i requisiti per l'accesso all'indennizzo forfettario, hanno concluso che "in ragione di ciò, la Commissione tecnica di cui all'art, 1, co. 501, l. 30.12.2018, n. 145., ha deliberato che, nel caso di specie, non sussistono i requisiti per il riconoscimento dell'indennizzo previsto dalla richiamata normativa". 3.1. Si è costituito il Ministero appellato per eccepire l'inammissibilità e, nel merito, l'infondatezza dell'appello. 3.2. Nell'udienza pubblica del 28 maggio 2024 il Collegio, non essendo presenti i difensori delle parti, ha comunque rilevato d'ufficio, facendola constare a verbale, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., la questione inerente all'eventuale irricevibilità dell'appello per violazione del termine dimidiato di cui all'art. 87, commi 2 e 3, c.p.a. e, all'esito, ha trattenuto la causa in decisione. 4. L'appello è irricevibile. 5. Invero, come il Collegio ha rilevato d'ufficio nell'udienza pubblica del 28 maggio 2024, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., nell'assenza dei difensori delle parti (che non può precludere al Collegio, solo per la scelta di non presenziare all'udienza da parte di questi, la possibilità di indicare questioni rilevabili d'ufficio in udienza e di farle constare a verbale), l'appello presenta evidenti profili di irricevibilità (art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a.) perché esso è stato notificato il 25 settembre 2023, ben oltre il termine di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza impugnata. 6. Al riguardo si deve rammentare che il ricorso di primo grado era rivolto ai sensi dell'art. 117 c.p.a. contro il silenzio del Ministero sulla domanda di indennizzo proposta dagli appellanti e, dunque, essi avevano l'onere di impugnare la sentenza, che ha respinto la loro domanda, nel termine dimidiato previsto dall'art. 87, commi 2 e 3, c.p.a. (v., ex plurimis, C.G.A.R.S., sez. giurisd., 8 maggio 2013, n. 455). 6.1. Il rito sul silenzio è assoggettato a termini processuali dimezzati rispetto a quelli ordinari, salvo quelli concernenti la notificazione del ricorso introduttivo in primo grado (art. 87, commi 2 e 3, c.p.a.). 6.2. È noto che, secondo la previsione dell'art. 87, comma 3, c.p.a. (nel testo conseguente alle modifiche apportate dal primo correttivo del 2011), nei giudizi che si svolgono in camera di consiglio di cui al comma 2 - tra cui il giudizio in materia di silenzio - l'eccezione alla regola generale del dimezzamento dei termini processuali è circoscritta al solo giudizio di primo grado e, pertanto, tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne, nel giudizio di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 27 giugno 2022, n. 5233). 6.3. Né in senso contrario nel caso qui in esame, a giustificare la tardiva proposizione dell'appello e rendere scusabile il relativo errore, può rilevare che la trattazione del ricorso in appello - a differenza di quanto accaduto, invece, ritualmente in primo grado - sia avvenuta in udienza pubblica anziché con il rito camerale, in quanto è pure noto - anzitutto agli stessi appellanti, che non potevano incolpevolmente ignorare tale dato normativo - che ai sensi dell'art. 87, comma 4, c.p.a. la trattazione in udienza pubblica non è causa di nullità della decisione, ma costituisce anzi una maggiore garanzia di contraddittorio per le parti. 7. Da tanto discende che l'appello, notificato oltre il termine lungo dimidiato di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza, è irricevibile per tardività . 8. Le spese del presente grado del giudizio, considerato il rilievo officioso della questione nell'udienza pubblica del 28 maggio 2024 nell'assenza dei difensori, possono essere interamente compensate tra le parti. 8.1. Rimane definitivamente a carico degli appellanti il contributo unificato corrisposto per la proposizione dell'irricevibile gravame. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, proposto dai ricorrenti in epigrafe indicati, lo dichiara irricevibile per tardività . Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado del giudizio. Pone definitivamente e solidalmente a carico degli appellanti il contributo unificato richiesto per la proposizione del gravame. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere, Estensore Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7939 del 2023, proposto da Be. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Vi., Ch. Ca., Vi. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ex Monopoli, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Be. It. S.r.l., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 13004/2023 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ex Monopoli e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Presidenza del Consiglio dei Ministri; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2024 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti gli avvocati St. Vi., Ch. Ca. e Vi. Ba. Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società ricorrente, in qualità di concessionaria della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere, ha appellato la sentenza in epigrafe, con cui il Tar del Lazio - Sede di Roma- ha respinto il suo ricorso per l'annullamento della determinazione direttoriale prot. n. 10337/RU del 5 gennaio 2023, con cui l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva disposto l'annullamento, in autotutela, ai sensi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21 nonies, della Determinazione Direttoriale prot. n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022 e delle note, trasmesse ai concessionari, di invito a effettuare i versamenti delle somme destinate ad alimentare il Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale, calcolate in applicazione dei criteri esposti in detta Determinazione Direttoriale, nonché delle singole note con le quali la medesima Agenzia aveva comunicato le rinnovate quantificazioni degli importi aggiuntivi dovuti a titolo di versamento dell'importo dello 0,5 per cento della raccolta delle scommesse di cui all'art. 217, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (in Suppl. Ord. n. 21 alla Gazz. Uff., 19 maggio 2020, n. 128) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, recante le Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (cd. DECRETO RILANCIO). In particolare, l'effetto lesivo per la società ricorrente derivava dal fatto di essere considerata soggetto passivo dell'imposta indiretta nella percentuale dello 0,5% sulle complessive entrate derivanti dalla raccolta delle scommesse per il periodo di riferimento, anziché fino alle sole soglie massime previste per il finanziamento del Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale (40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021), come avrebbe invece potuto e dovuto evincersi dalla suddetta normativa legislativa. La controversia, quindi, è bene preliminarmente chiarirlo, non concerne il pagamento degli importi dovuti, per il periodo di riferimento, fino al raggiungimento dei suddetti limiti di stanziamento, necessari a coprire la spesa di costituzione e funzionamento del Fondo (importi tutti già interamente versati e dei quali la concessionaria non contesta la debenza), ma riguarda invece gli importi aggiuntivi richiesti in pagamento, calcolati sempre nella percentuale dello 0,5% per il periodo di riferimento, ma su tutte le complessive entrate provenienti dalla raccolta delle scommesse, a prescindere dal già avvenuto raggiungimento della soglia di finanziamento del Fondo pari ai già indicati 40 milioni di euro, massimi. 2. Il ricorso veniva affidato a plurime censure di violazione di legge e di eccesso di potere, tra cui, in particolare: a) la violazione dei limiti che la legge impone alla PA per l'esercizio del potere di autotutela ai sensi dell'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990); b) la lesione del principio del legittimo affidamento, avendo l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (di seguito, l'Agenzia) aspettato più di due anni per ribaltare una prassi interpretativa che si era ormai consolidata circa l'interpretazione della normativa recata dall'art. 217, comma 2, decreto-legge n. 34/2020; c) la violazione delle garanzie procedimentali di cui agli artt. 7 e seguenti della legge n. 241 del 1990; d) il difetto di istruttoria e di motivazione; e) l'erronea interpretazione della succitata norma recata dall'art. 217, comma 2, decreto-legge n. 34/2020, il cui unico dichiarato scopo sarebbe, ad avviso della società ricorrente, quello di costituire e finanziare un fondo speciale salva-sport e non, invece, come preteso dall'Amministrazione, anche quello di introdurre un ulteriore prelievo erariale generale strumentale ad imprecisate esigenze di finanza pubblica slegate dal finanziamento del suddetto fondo; g) l'erronea individuazione della base imponibile del contributo dovuto, così come effettuata dalla impugnata determinazione direttoriale del 5 gennaio 2023, in quanto in contrasto con la base imponibile identificata dalla base legale di cui al citato art. 217. Il ricorso sollecitava, inoltre, in via subordinata, per il caso del mancato accoglimento delle doglianze così prospettate, il rinvio pregiudiziale interpretativo ai sensi dell'art. 267, TFUE, ovvero la rimessione in Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale ivi prospettata. 3. Il Tar del Lazio adito ha esaminato e respinto partitamente tutte le censure proposte, motivando anche in ordine alla insussistenza delle condizioni per adire le Corti superiori con le prospettate questioni pregiudiziali, tuttavia compensando le spese del giudizio. 4. La società ricorrente ha riproposto tutti gli originari motivi di ricorso di primo grado, articolandoli quali specifiche censure contro i capi della sentenza gravata ai sensi dell'art. 101, c.p.a., così sostanzialmente devolvendo alla odierna cognizione tutta l'originaria materia del contendere. 5. L'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e il Ministero dell'Economia e delle Finanze hanno resistito al gravame, insistendo ancora sulla legittimità del proprio operato e sulla conseguente necessità di confermare la sentenza di primo grado. 6. Con l'ordinanza cautelare n. 3515/2023, la Sezione ha ritenuto sussistenti le condizioni per sospendere l'esecutività della sentenza appellata, "anche avuto riguardo, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, sia all'interesse pubblico generale a che l'attività di riscossione sia esercitata entro un quadro di plausibile certezza, anche per evitare inutile dispendio di attività amministrativa nel caso si dovesse far poi luogo alle restituzioni, sia alla tutela dell'attività impresa, attesa l'ingente entità delle somme richieste e l'impatto che le stesse avrebbero sul bilancio delle società interessate". 7. La causa è stata discussa dalle parti ed è stata trattenuta in decisione dal Collegio alla odierna udienza. 8. Nel merito, ritiene il Collegio che debba essere esaminato con priorità logico-giuridica il motivo di appello, ripropositivo del corrispondente motivo di primo grado, che, se fondato, condurrebbe ad annullare gli atti impugnati con il massimo grado di satisfattività per la pretesa giuridica azionata dalla società ricorrente. Ad avviso del Collegio, per evidenti ragioni legate alla sussistenza stessa del presupposto legale impositivo, la questione giuridica principale è quella se, al di là della asserita mancata osservanza delle garanzie procedimentali partecipative e della lamentata insussistenza delle condizioni, soprattutto temporali, per fare luogo all'autotutela amministrativa, sussista o meno, in radice, la base legale in virtù della quale l'Amministrazione finanziaria e, per essa, lo Stato, pretendono oggi dalle società ricorrente il pagamento dei suddetti importi aggiuntivi. Le tesi interpretative che si frappongono riposano sulla distinzione tra la posizione difesa dall'Avvocatura generale dello Stato e accolta dalla sentenza impugnata, secondo cui il limite massimo allo stanziamento riguarderebbe la sola parte di prelievo destinata ad alimentare il Fondo e non anche la misura massima del prelievo al quale sarebbero assoggettabili gli operatori economici del settore, e quella propugnata dalla società ricorrente, secondo cui il limite allo stanziamento del Fondo fungerebbe anche da limite implicito al prelievo, in virtù del legame teleologico impresso dalla decretazione d'urgenza al prelievo medesimo per il perseguimento della specifica finalità solidaristica consistente nel dotare il Fondo delle sole risorse necessarie per potere operare. 9. Tale essendo la questione di fondo controversa, ritiene il Collegio che il ragionamento logico-giuridico sul quale il primo giudice ha incentrato la reiezione dei ricorsi non possa condividersi, dovendosi, anzi, al contrario, ritenere che, tra le due frapposte opzioni ermeneutiche, quella che aderisce al dettato normativo secondo il principio di legalità e che risponde alla sottesa ratio legis, è la tesi propugnata dalla società ricorrente. Sono decisive in tal senso le considerazioni giuridiche ritraibili prima di tutto dal sistema normativo nazionale, e poi anche da quello euro-unitario, sulla base dei principi dei Trattati, così come costantemente interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. 10. Anzitutto occorre partire dal dato normativo interno. Come si è poc'anzi detto, la controversia che oppone la società ricorrente all'Amministrazione finanziaria dello Stato riguarda il calcolo dell'imposta introdotta dall'art. 217, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (in Suppl. Ord. n. 21 alla Gazz. Uff., 19 maggio 2020, n. 128) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, recante le Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (cd. DECRETO RILANCIO). In particolare, detto articolo ha previsto che: "1. Al fine di far fronte alla crisi economica dei soggetti operanti nel settore sportivo determinatasi in ragione delle misure in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, è istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze il "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale" le cui risorse, come definite dal comma 2, sono trasferite al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per essere assegnate all'Ufficio per lo sport per l'adozione di misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo. 2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2021, una quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere, anche in formato virtuale, effettuate in qualsiasi modo e su qualsiasi mezzo, sia on-line, sia tramite canali tradizionali, come determinata con cadenza quadrimestrale dall'ente incaricato dallo Stato, al netto della quota riferita all'imposta unica di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, viene versata all'entrata del bilancio dello Stato e resta acquisita all'erario. Il finanziamento del Fondo di cui al comma 1 è determinato nel limite massimo di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021. Qualora, negli anni 2020 e 2021, l'ammontare delle entrate corrispondenti alla percentuale di cui al presente comma sia inferiore alle somme iscritte nel Fondo ai sensi del precedente periodo, è corrispondentemente ridotta la quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145. 3. Con decreto dell'Autorità delegata in materia di sport, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, da adottare entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuati i criteri di gestione del Fondo di cui ai commi precedenti. La norma è entrata in vigore lo stesso giorno della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ossia in data 19 maggio 2020. 11. Occorre poi prestare attenzione alle vicende amministrative che si sono susseguite in fase di prima applicazione. Con la determinazione n. 307276/RU dell'8 settembre 2020, l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva definito le modalità di calcolo e di applicazione dell'importo dello 0,5 per cento per le singole tipologie di scommessa, nonché i termini di versamento delle somme da corrispondere a cura dei concessionari, con cadenza quadrimestrale e pari alla somma degli importi calcolati mensilmente per ciascuna tipologia di gioco. In particolare, all'art. 6, aveva previsto che "Qualora prima del 31 dicembre di ciascun anno sia raggiunto il limite massimo, rispettivamente, di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021, il calcolo dell'importo è limitato al mese in cui detto limite è raggiunto e l'importo mensile è ricalcolato in misura proporzionale rispetto alla somma registrata in eccesso". Successivamente, con la circolare n. 12 del 12 marzo 2021, l'Agenzia, sulla base del limite di cui al citato articolo 6, aveva esplicitato le modalità di calcolo degli importi mensili dovuti per scommessa, disciplinando gli arrotondamenti, definendo il criterio per la "Determinazione dell'importo riferito al mese in cui è raggiunto il limite annuo", nonché la procedura da seguire nel caso di "Raggiungimento del limite annuo di cui all'articolo 6, qualora sia necessario integrare o ridurre l'importo calcolato", e fornendo gli "importi totali calcolati da ADM per il secondo e terzo quadrimestre 2020" per raggiungere il citato tetto massimo (relativo al 2020) di 40 mln di euro. L'elemento che caratterizzava e accomunava tutti i detti provvedimenti era l'affermazione implicita del principio del parallelismo tra l'entità del prelievo fiscale e il limite allo stanziamento del Fondo salva sport, nel senso cioè che il tetto massimo previsto per dotare il Fondo delle risorse necessarie per operare, fissato in 40 milioni di euro per l'anno 2020 e in 50 milioni di euro per l'anno 2021, fungeva, altresì, da limite implicito al prelievo di imposta, attraverso il precipuo meccanismo della riparametrazione proporzionale dell'importo mensile dovuto. In tal modo, la pretesa fiscale non aveva ad oggetto il pagamento dell'intera quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse, bensì, nell'ambito di detta quota, attraverso il ricalcolo mensile in misura proporzionale, il pagamento necessario per dotare il Fondo dello stanziamento previsto, con conseguente possibilità di registrare anche somme in eccesso. 12. Occorre considerare, infine, ciò che è accaduto immediatamente prima l'emanazione della impugnata determinazione n. 10337/RU del 5 gennaio 2023, recante "l'annullamento, in autotutela, ai sensi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21 nonies, della Determinazione Direttoriale prot. n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022 e delle note, trasmesse ai concessionari, di invito a effettuare i versamenti delle somme destinate ad alimentare il Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale, calcolate in applicazione dei criteri esposti in detta Determinazione Direttoriale". Invero la determinazione direttoriale alla quale si fa riferimento, da annullare in via di autotutela, riguardava, in realtà, una diversa vicenda svoltasi in relazione ad un altro contenzioso, insorto sempre tra taluni operatori del settore e l'Agenzia, e sempre collegato alle modalità di calcolo del prelievo di cui trattasi, ma questa volta nel settore specifico del cd. Betting Exchange, che poi è stato regolato proprio con la succitata determina n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022. E' stato proprio da tale antefatto che ha preso le mosse il revirement interpretativo dell'Agenzia, la quale, trovatasi nella situazione di dovere ridefinire la nuova disciplina di calcolo per il Betting Exchange a seguito del giudicato amministrativo nel frattempo formatosi in senso ad essa sfavorevole, ha poi in effetti deciso di riverificare in senso complessivo la conformità a legge del proprio operato concernente le modalità di calcolo del prelievo ai sensi dell'art. 217, decreto-legge n. 34/2020. A seguito di interlocuzioni con la Ragioneria Generale dello Stato e la Corte dei conti - Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, l'Agenzia ha reinterpretato la summenzionata normativa fiscale e l'ha applicata, da allora in avanti, in senso diametralmente opposto rispetto al passato, ossia nel senso che il limite massimo di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e di 50 milioni di euro per l'anno 2021 non dovesse riferirsi "alla misura massima delle somme dovute dai soggetti passivi del prelievo, bensì alla parte di prelievo destinata ad alimentare il "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale", con la conseguenza che i concessionari sono tenuti a versare per intero l'aliquota dello 0,5 per cento della raccolta, calcolata secondo le modalità espresse all'articolo 3 della nuova determina, senza più quindi la possibilità che l'importo mensile dovuto sia ricalcolato proporzionalmente al raggiungimento dei previsti limiti di stanziamento, come era invece stabilito dall'art. 6 della originaria determina n. 307276/RU dell'8 settembre 2020, disposizione, questa, difatti, non più riprodotta con l'impugnata determinazione del 5 gennaio 2023. 13. Sulla base di ciò, sussistono ad avviso del Collegio plurimi elementi, sia testuali, sia sistematici, tali per cui non devono nutrirsi dubbi circa il fatto che l'unica interpretazione corretta della disposizione recata dall'art. 217, decreto-legge n. 34/2020 sia quella che l'Amministrazione finanziaria ha seguito in fase di prima applicazione della norma, poi tuttavia dalla stessa abbandonata e sostituita da quella, opposta e qui impugnata, da ritenersi non conforme a legge, in quanto non rinveniente nel dato normativo la necessaria 'base legalè della pretesa impositiva. 14. L'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale (cd. Preleggi), rubricato "Interpretazione della legge", prevede che "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato". Nell'ordine, quindi, i canoni ermeneutici di cui l'interprete deve fare applicazione sono: a) l'interpretazione letterale palesata dal significato proprio delle parole; b) l'interpretazione sistematica delle parole secondo la connessione di esse; c) l'analogia iuris e l'analogia legis, per i casi simili o le materie analoghe; d) se il caso rimane ancora dubbio, i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato. 15. Sul piano testuale, il legislatore ha chiaramente enunciato la propria intenzione di introdurre misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, con lo scopo cioè di bilanciare il sacrificio economico imposto a taluni operatori economici assoggettati ad una nuova forma di imposizione indiretta (nella specie, i concessionari della raccolta delle scommesse), con le superiori, generali e imperative esigenze di solidarietà economica e sociale, indispensabili non tanto per sostenere in generale l'economia, ma proprio per rilanciare specifici settori dell'economia gravemente pregiudicati a seguito delle misure restrittive e delle chiusure alle attività imposte dalla normativa di contrasto al COVID-19, tra cui quelle facenti capo ad associazioni sportive e dilettantistiche. Letteralmente, difatti, il primo comma del cit. art. 217 prevede che le risorse, come definite dal comma 2, sono trasferite al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per essere assegnate all'Ufficio per lo sport per l'adozione di misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo. Ancora sul piano testuale, va poi considerata la rubrica dell'articolo in commento, intitolata "Costituzione del "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale"", anche in questo caso stabilendo un sicuro vincolo funzionale tra la ragione del prelievo e la finalità perseguita, ossia non il perseguimento di generali e non meglio precisate ragioni di interesse pubblico, ma proprio la finalità specifica di mostrarsi solidali con il sistema sportivo nazionale, al cui rilancio è deputata la costituzione del Fondo. Sempre sul piano testuale, è pur vero che il secondo comma del medesimo art. 217 prevede che "(d)alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2021, una quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere... al netto della quota riferita all'imposta unica di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, viene versata all'entrata del bilancio dello Stato e resta acquisita all'erario", ma tale espressione va messa in correlazione e (soprattutto) va letta in connessione con le previsioni recate dal primo comma e con il senso complessivo delle misure emergenziali introdotte dalla decretazione in via d'urgenza, così come poc'anzi illustrate, con la conseguenza che non può sostenersi che il limite massimo allo stanziamento riguardi la sola parte di prelievo destinata ad alimentare il fondo e non anche la misura massima del prelievo al quale sono assoggettati gli operatori economici del settore, dal momento che le risorse alle quali si fa riferimento nel primo comma per dotare il Fondo dei mezzi necessari per potere operare sono proprie quelle e solo quelle reperite secondo le modalità descritte dal comma 2 del medesimo art. 217, e che le finalità solidaristiche espressamente previste dalla norma sono solo quelle che riguardano l'adozione delle misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo, e non altre esigenze che pure la Difesa erariale ha prospettato come "finalità omologhe", con formula tuttavia non meglio precisata. 16. Sul piano sistematico e complessivo, quindi, deve affermarsi il principio di diritto secondo cui, seppure il legislatore non abbia fatto uso di espressioni letterali tali da esplicitare verbalmente il concetto che il limite di stanziamento del Fondo funziona anche quale limite al prelievo, è tuttavia evidente e incontrovertibile che il suddetto principio sia ricavabile sulla base della intentio legis, per come palesata nell'epigrafe che dà il titolo al decreto-legge; della ratio iuris perseguita, per come anch'essa resa chiara dalla rubrica dell'articolato normativo; e del necessario raccordo tra le previsioni recate dal primo e dal secondo comma, che non possono essere lette e interpretate in modo isolato e atomistico l'una dall'altra, ma che anzi impongono una lettura coordinata secondo i principi della logica giuridica. 17. Vi è poi una ulteriore considerazione da svolgere. La necessità di rilanciare il settore dello sport, e in particolare il mondo delle piccole associazioni sportive e dilettantistiche che vi operano, è stata una esigenza così sentita dallo Stato da indurlo a introdurre, nell'ultima parte del secondo comma del cit. 217, la previsione che "Qualora, negli anni 2020 e 2021, l'ammontare delle entrate corrispondenti alla percentuale di cui al presente comma sia inferiore alle somme iscritte nel Fondo ai sensi del precedente periodo, è corrispondentemente ridotta la quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145". Questo evento, come si è già ampiamente chiarito, non si è verificato nel caso all'esame, originando difatti l'odierna controversia proprio dal fatto che le soglie di stanziamento del Fondo sono state ampiamente raggiunte. La considerazione della suddetta eventualità, tuttavia, è utile per comprendere sul piano esegetico, sulla base di un ragionamento logico controfattuale, cosa per l'appunto sarebbe accaduto se ciò si fosse verificato. E' evidente infatti, che laddove detto ammontare fosse stato inferiore, lo Stato avrebbe dovuto integrare i limiti di stanziamento previsti, operando la corrispondente riduzione della quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145. Anche alla luce della conferma che, da detta previsione, si trae sulla complessiva filosofia dell'intervento normativo, perciò non si rinviene alcuna ragione di assoggettare i concessionari dello Stato ad uno sforzo di contribuzione per esigenze solidaristiche (va ribadito, dagli stessi non contestato nei limiti necessari al raggiungimento delle soglie di stanziamento del Fondo) maggiore di quello al quale si sottoporrebbe lo Stato stesso nel caso in cui le suddette soglie non venissero raggiunte, perché in questo ultimo caso è certo, per espressa previsione di legge, che la riduzione corrispondente della quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 opererebbe solo fino al raggiungimento delle soglie, e non oltre. Il che dimostra, se ve ne fosse bisogno, che l'unica lettura possibile della disposizione normativa contenuta all'art. 217, decreto-legge n. 34/2020, nel raccordo fra il primo e il secondo comma, è esclusivamente quella che riposa sul principio del parallelismo tra il prelievo e la dotazione del fondo, con la conseguenza che il limite allo stanziamento del Fondo rappresenta anche il necessario tetto implicito al prelievo. 18. Discendendo dalle considerazioni appena illustrate l'integrale e satisfattivo accoglimento delle ragioni giuridiche prospettate con gli odierni appelli, non sarebbe di per sé necessario, anzi per vero diventerebbe recessivo per mancanza del presupposto della rilevanza, l'esame delle questioni pregiudiziali interpretative (costituzionale ed europea) correttamente prospettate dalla società appellante in via solo subordinata, per il caso cioè in cui il Collegio fosse pervenuto alla decisione opposta. Peraltro, sullo sfondo di tali questioni prospettate, si staglia con chiarezza il corollario del c.d. generale "principio di conservazione" che permea di sé l'ordinamento giuridico, secondo cui tra due eventuali interpretazioni plausibili, il Giudice è tenuto a privilegiare quella che conduce all'affermazione che la norma applicata è immune da mende rispetto a quella che possa presentare profili di incompatibilità con altri valori dell'ordinamento. È noto che il detto principio è stato, negli anni, evocato a più riprese dal Giudice delle leggi (celebre, in proposito, il canone enunciato nella sentenza n. 356 del 1996, e poi più volte ripetuto a partire dalla sentenza n. 147 del 2008 e reso con la fortunata espressione "in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime -o una disposizione non può essere ritenuta costituzionalmente illegittima- perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali -e qualche giudice ritenga di darne-, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali". Lo stesso principio trova pure riscontro, seppur con minore frequenza, nella giurisprudenza della CGUE (Corte giustizia UE grande sezione, 8.11.2016, n. 554, consideranda 58 e 59 "58 In base, altresì, a una consolidata giurisprudenza, anche se le decisioni quadro, ai sensi dell'articolo 34, paragrafo 2, lettera b), UE, non possono avere efficacia diretta, il loro carattere vincolante comporta tuttavia in capo alle autorità nazionali, in particolare ai giudici nazionali, un obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale (v. sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). 59 Nell'applicare il diritto interno, il giudice nazionale chiamato ad interpretare quest'ultimo è quindi tenuto a farlo, quanto più possibile, alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato da essa perseguito. Tale obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale è insito nel sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell'ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell'Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (v. sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).". In tale ottica, sebbene non ai fini del rinvio pregiudiziale, è comunque opportuno svolgere qualche considerazione finale sul piano della integrazione del nostro ordinamento giuridico in quello europeo, alla luce dei principi del Trattato, così come interpretati con indirizzo esegetico consolidato dalla Corte di Giustizia, a riprova dell'ormai raggiunto grado di maturità, chiarezza e adeguatezza, nel settore dei giochi e delle scommesse, dei principi interpretativi elaborati dal giudice europeo, cosicché ogni giudice nazionale può farne immediatamente applicazione, conoscendo il punto di vista della Corte in materia. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, devono considerarsi quali restrizioni alla libertà di stabilimento o alla libera prestazione dei servizi tutte le misure che vietino, ostacolino o rendano meno attraente l'esercizio delle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 TFUE (sentenza del 22 gennaio 2015, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-463/13, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata; sentenza del 20 dicembre 2017, n. 322, punto 35). Diversamente dal caso esaminato dalla sentenza del 22 gennaio 2015, ma similmente a quello oggetto della sentenza del 20 dicembre 2017, anche nel caso qui trattato la normativa nazionale non ha imposto ai concessionari nuove condizioni di esercizio dell'attività (es. proroghe del contratto), bensì ha introdotto una nuova disciplina fiscale, sia pure limitata, in questo specifico caso, ad un biennio (anni 2020-2021). Sebbene la materia della imposizione fiscale rientri nella competenza degli Stati membri, una costante giurisprudenza della Corte afferma che questi ultimi devono esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell'Unione e, in particolare, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (sentenza dell'11 giugno 2015, Berlington Hungary e a., C-98/14, punto 34). Pur in assenza di una disciplina europea specifica di fonte derivata, si applicano, difatti, le norme del Trattato che tutelano sia la libertà di stabilimento (che importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio ai sensi dell'art. 49), sia la libertà di prestazione di servizi (art. 56) che implica, tra l'altro, il libero svolgimento di attività di impresa, in quanto viene in rilievo un'attività economica di impresa. Al fine di stabilire quando tali libertà europee siano violate, occorre previamente accertare se la misura nazionale abbia determinato una restrizione delle suddette libertà . In secondo luogo, ove la restrizione effettivamente sussista, occorre stabilire se la stessa possa essere giustificata alla luce sia di limiti specifici espressamente consentiti dal Trattato, sia del limite generale costituito dai "motivi imperativi di interesse generale", che sono diversamente costruiti a seconda del settore di riferimento. Infine, se i suddetti motivi imperativi sussistono, occorre valutare se la normativa nazionale derogatoria rispetto alle libertà europee rispetti i seguenti altri principi generali europei: i) principio del pari trattamento, che vieta che la deroga nazionale crei discriminazione tra situazioni giuridiche nazionali ed europee; ii) principio di proporzionalità, che impone che la misura nazionale sia adeguata, idonea e proporzionata in senso stretto rispetto alla tutela dell'interesse pubblico nazionale, al fine di stabilire se il sacrificio dell'interesse pubblico europeo sia in concreto giustificato; iii) principio di affidamento dei privati incisi da una normativa eventualmente retroattiva, ovvero che pregiudichi posizioni consolidate; iv) principio di trasparenza e principio di concorrenza per il mercato, qualora sussista l'esigenza di scelta limitata dei soggetti privati che possano svolgere quella attività (Consiglio di Stato, Sezione IV, ordinanza n. 1071 del 31 gennaio 2023). Nel caso all'esame, come si è poc'anzi chiarito, mentre non occorre approfondire il primo aspetto, in quanto gli appelli vanno accolti, sicché per definizione nessuna lesione alle libertà garantite dal Trattato si prospetta, è invece utile ripercorrere l'orientamento della Corte sulla nozione di motivo imperativo di interesse generale. La disciplina dei giochi d'azzardo e delle scommesse rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale. In assenza di un'armonizzazione in materia a livello dell'Unione, gli Stati membri godono di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda la scelta del livello di tutela dei consumatori e dell'ordine sociale che essi considerano più appropriato (sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C-322/16, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata). Gli Stati membri sono, di conseguenza, liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d'azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di tutela perseguito. Tuttavia, le restrizioni che essi impongono devono soddisfare le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda, segnatamente, la loro giustificazione sulla base di motivi imperativi di interesse generale e la loro proporzionalità (sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C-322/16, punto 40 e la giurisprudenza ivi citata). Pertanto, purché esse soddisfino quest'ultimo requisito, eventuali restrizioni delle attività di gioco d'azzardo possono essere giustificate in virtù di motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione delle frodi e dell'incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco (sentenza del 22 gennaio 2015, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-463/13, punto 48 nonché la giurisprudenza ivi citata). Le considerazioni appena illustrate chiariscono quindi ulteriormente, rafforzandola, la conclusione interpretativa della normativa recata dal decreto-legge n. 34/2020, alla quale già si era pervenuti sulla base del diritto interno, ovverossia che, siccome detta normativa è stata introdotta in via di decretazione d'urgenza per far fronte all'emergenza economica insorta a seguito della chiusura e delle restrizioni alle attività economiche, con lo scopo di reperire le risorse necessarie per finanziare le misure di sostegno e di rilancio dell'economia e, per quanto interessa l'art. 217, del settore sportivo, il vincolo di scopo al prelievo non può che essere sorretto, sul piano della tenuta del sistema, dalla sussistenza di serie e gravi esigenze imperative di interesse generale, non riducibili alla generica ragion fiscale . Laddove, infatti, si negasse il principio dell'allineamento o corrispondenza fra entità del prelievo forzoso e limite massimo allo stanziamento, da intendersi dunque (anche) come limite (implicito) al prelievo medesimo, l'effetto pratico che si produrrebbe sarebbe quello di finanziare la spesa pubblica in generale, non essendo manifestate dalla norma ulteriori o diverse specifiche ragioni imperative di interesse pubblico da perseguire. A tal fine, del resto, non potrebbero giammai sopperire le non meglio precisate "finalità omologhe" pure prospettate dalla Difesa erariale nei propri scritti difensivi, sia perché testualmente non previste dalla norma, sia perché frutto, al limite, di una destinazione spontanea e di mero fatto da parte dello Stato in favore delle associazioni sportive e dilettantistiche, tale cioè da non consentire sia nella prospettiva del diritto europeo, sia in quella nazionale, la necessaria obiettività e misurabilità delle esigenze effettivamente volute e perseguite dal legislatore (secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, l'identificazione degli obiettivi effettivamente perseguiti dalle disposizioni nazionali in esame nel procedimento principale rientra comunque nella competenza del giudice del rinvio: in tal senso, sentenza del 28 gennaio 2016, Laezza, C-375/14, punto 35). 19. In definitiva, l'appello, così come in epigrafe proposto, va accolto per le considerazioni assorbenti e integralmente satisfattorie prima declinate (il che consente di prescindere dalla disamina delle ulteriori censure articolate) e, in riforma dell'impugnata sentenza, va di conseguenza accolto il ricorso di primo grado e così annullati gli atti impugnati. 20. Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi tenuto conto della parziale novità e complessità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, di conseguenza, in riforma dell'impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti impugnati. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Rosaria Maria Castorina - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1409 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ug. An. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Vi. Ch., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via (...); contro Comune di Arezzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Pa., Lu. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Regione Toscana, Provincia di Arezzo, non costituite in giudizio; per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: -della Delibera del Consiglio Comunale di Arezzo n. 63 del 26.06.2019, pubblicata sul B.U.R.T. del 4.09.2019, di "adozione, ai sensi dell'art. 19 della l.r. 65/2014, della variante per l'aggiornamento del piano strutturale e adozione del piano operativo", nelle sole e in tutte le parti in cui nel Piano Strutturale è inserita la previsione della (omissis)-est, fra le quali: 1) a pag. 6 della medesima Delibera l'inciso "Ritenuto opportuno pertanto, eliminare dal piano operativo la previsione della (omissis)-est, mantenendola solo a livello strategico nel Piano Strutturale"; 2) l'Allegato D1, Relazione illustrativa della Strategia dello sviluppo sostenibile, a pag. 20 nella parte intitolata "completamento e ridefinizione della circonvallazione di Arezzo come elemento di ricucitura fra le diverse parti" fino al capoverso "coerentemente con il ruolo di ricucitura urbana che si vuole fare assumere all'attuale circonvallazione, anche la sua prosecuzione dalla SR 71 fino alla via (omissis) e la sua prosecuzione sul margine settentrionale delle aree (omissis) fino alla via (omissis), sono caratterizzate come strada urbana funzionale alla circuitazione del capoluogo ma anche al rafforzamento delle relazioni interno/esterno"; 3) ogni altra planimetria, documento, previsione del Piano Strutturale adottato che preveda la (omissis)- est; dell'art. 57, comma 4, delle N.T.A. del Piano Strutturale; nonché dell'art. 111, comma 4, delle Norme tecniche di attuazione del Piano Operativo; -della Delibera del Consiglio Comunale di Arezzo n. 89 del 26.09.2019, con la quale è stato approvato il P.U.M.S. Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, nelle sole e in tutte le parti in cui si prevede la realizzazione della chiusura (omissis) a (omissis) e della (omissis), fra le quali a titolo esemplificativo e non esaustivo: 1) l'allegato facente parte del P.U.M.S. denominato "Documento n. 2: La relazione generale - Il progetto" alle pagine 173, 174, 17 5, 191, 192, 219, 220 221, 222, 234, 235, 236, 237 e 238; 2) ogni altra planimetria, documento, previsione del P.U.M.S. che preveda la realizzazione della chiusura (omissis) a (omissis) e della (omissis); di ogni altro atto, elaborato, documento, previsione, che sia presupposto e/o connesso e/o consequenziale rispetto agli atti impugnati; per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 25/5/2022: della Delibera del Consiglio Comunale di Arezzo n. 68 del 27.07.2020 con la quale sono state esaminate le osservazioni pervenute, sono state formulate le corrispondenti controdeduzioni e sono state assunte le determinazioni finali; della Delibera del Consiglio Comunale di Arezzo n. 134 del 30.09.2021, con la quale sono stati approvati la variante per l'aggiornamento del piano strutturale e il primo piano operativo, pubblicata sul B.U.R.T. del 16.03.2022; della delibera della Giunta Comunale n. 10 del 25.01.2022, "Valutazioni in merito alla richiesta di modifica di alcuni elaborati del nuovo piano strutturale e del primo piano operativo, pervenuta dalla conferenza paesaggistica convocata ai sensi dell'articolo 31 della legge regionale n. 65/2014", nelle sole parti in cui tali atti stabiliscono di prevedere nel Piano Strutturale la realizzazione della (omissis)-est, fra le quali: 1) l'Allegato D1, Relazione illustrativa della Strategia dello sviluppo sostenibile, del Piano Strutturale, a pag. 20 nella parte intitolata "completamento e ridefinizione della circonvallazione di Arezzo come elemento di ricucitura fra le diverse parti", il capoverso "coerentemente con il ruolo di ricucitura urbana che si vuole fare assumere all'attuale circonvallazione, anche la sua prosecuzione dalla SR 71 fino alla via (omissis) e la sua prosecuzione sul margine settentrionale delle aree (omissis) fino alla via (omissis), sono caratterizzate come strada urbana funzionale alla circuitazione del capoluogo ma anche al rafforzamento delle relazioni interno/esterno"; 2) gli articoli 44 e 57, comma 4, delle N.T.A. del Piano Strutturale; 3) ogni altra planimetria, documento, previsione del Piano Strutturale approvato che preveda detta (omissis) - est, ivi compresa la tav. D2 "Strategia dello sviluppo - Schemi descrittivi"; di ogni altro atto, elaborato, documento, previsione, che sia presupposto e/o connesso e/o consequenziale rispetto agli atti impugnati; per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 3/10/2022: - della decisione assunta dalla Conferenza paritetica interistituzionale ex art. 49 L.R. n. 65/2014, nella seduta del 22.06.2022, con la quale è stato stabilito che "in merito al PS, (omissis), sussistenza dei profili di incompatibilità e contrasto con il PIT con valenza di Piano paesaggistico regionale e contestuale proposta di superamento delle relative criticità con la specificazione che a livello grafico venga mantenuto il tratteggio a condizione che negli elaborati testuali venga specificato che tale rappresentazione non individua un tracciato, ma assume esclusivamente valenza di indicazione strategica. In tal senso dovranno essere appositamente modificati gli elaborati del PS". - della Delibera della Giunta Regionale Toscana n. 770 del 4.07.2022, con la quale è stato deciso "di prendere atto degli esiti della Conferenza paritetica interistituzionale, contenenti l'accertamento della sussistenza dei profili di contrasto con il PIT-PPR, con i contenuti della L.R. n. 65/2014 e del Regolamento 32/R/2017 del Piano Strutturale e del Piano Operativo del Comune di Arezzo, approvati con deliberazione consiliare n. 134 del 30 settembre 2021, e le contestuali proposte di adeguamento finalizzate al superamento degli stessi, come indicati dai verbali sopra richiamati che formano parte integrante e sostanziale del presente atto a tutti gli effetti"; - della Delibera del Consiglio Comunale di Arezzo n. 105 del 28.07.2022, con la quale è stato stabilito di adeguare gli strumenti urbanistici comunali alle decisioni della Conferenza paritetica del 22.06.2022, in tutte le parti nelle quali prevede il collegamento viario a nord della città quale previsione di natura strategica, ivi compresi la "D1 Relazione illustrativa Disciplina Strutturale" della "SEZIONE D STRATEGIA DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE", l'"ELABORATO GRAFICO D2 schemi descrittivi Legenda", la "D3 Relazione di coerenza e conformità ", la "Relazione finale sul procedimento di formazione del nuovo Piano Strutturale e del primo Piano Operativo", come modificate nell'allegato alla medesima delibera; - della verbale della Conferenza paritetica interistituzionale ex art. 49 L.R. n. 65/2014, nella seduta del 19.09.2022, con la quale si "ritiene superati i contrasti e le incompatibilità con il PIT/PPR e valuta positivamente l'adeguamento". - di ogni altro atto, elaborato, documento, previsione, che sia presupposto e/o connesso e/o consequenziale rispetto agli atti impugnati. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Arezzo; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024 il dott. Luigi Viola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. I ricorrenti assumono di essere proprietari di case di abitazione situate in prossimità della nuova viabilità a nord della città di Arezzo, o "bretella", la cui realizzazione era originariamente prevista dalla variante per l'aggiornamento del Piano strutturale e dal nuovo Piano operativo del Comune di Arezzo; i ricorrenti Pa. Do. ed altri prospettano altresì di essere proprietari di terreni ubicati all'interno del tracciato della nuova viabilità prevista come (omissis) est o (omissis). Pur in presenza di un parere decisamente negativo espresso dalla Conferenza di copianificazione prevista dall'art. 25 della l.r. 10 novembre 2014 n. 65 tenutasi il 14 giugno 2019 (che peraltro aveva proposto un diverso tracciato più prossimo al tessuto urbanizzato), la variante per l'aggiornamento del Piano strutturale ed il nuovo Piano operativo del Comune di Arezzo adottati con deliberazione 26 giugno 2019, n. 63 del Consiglio comunale di Arezzo avevano poi ritenuto opportuno eliminare dal piano operativo la previsione della (omissis)-est, "mantenendola solo a livello strategico nel Piano Strutturale"; la previsione di una bretella di collegamento stradale a nord della città era peraltro mantenuta dal nuovo Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (cd. P.U.M.S.) approvato dal Consiglio comunale di Arezzo, con la deliberazione 26 settembre 2019, n. 89. Gli atti meglio specificati in epigrafe erano impugnati dai ricorrenti che articolavano censure di: 1) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 25 l.r. 10.11.2014 n. 65, eccesso di potere per falsa rappresentazione della realtà, difetto e contraddittorietà di motivazione; 2) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12 l.r. 10.11.2014 n. 65, eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione; 3) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12 l.r. 10.11.2014 n. 65, dell'art. 136 d.lgs. n. 42/2004, del Piano paesaggistico regionale approvato con deliberazione del Consiglio Regionale n. 37 del 27.05.2015 e del d.m. 25.05.1962 di tutela dell'Acquedotto Vasariano e delle zone limitrofe; 4)) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12 L.R. 10.11.2014 n. 65, della scheda d'ambito n. 15 "Piana di Arezzo e Val di Chiana" del Piano paesaggistico regionale approvato con deliberazione del Consiglio Regionale n. 37 del 27.05.2015; 5) violazione e/o falsa applicazione delle previsioni e delle N.T.A. del Piano Strutturale, contraddittorietà fra atti amministrativi e difetto di motivazione; 6) illegittimità del P.U.M.S., Piano urbano della mobilità sostenibile per falsa rappresentazione della realtà, contraddittorietà e difetto di motivazione. 1.1. In data 31 ottobre 2019, i ricorrenti presentavano pertanto un'osservazione, che prendeva il numero 388 e chiedeva sostanzialmente l'eliminazione della previsione della bretella stradale anche a livello di Piano strutturale. Con deliberazione 27 luglio 2020, n. 68, il Consiglio comunale di Arezzo decideva le osservazioni presentate allo strumento urbanistico, parzialmente accogliendo l'osservazione dei ricorrenti, sulla base della seguente motivazione: "parzialmente accoglibile in quanto si ribadisce il carattere strategico della (omissis)-est e pertanto si conferma la previsione negli elaborati del PS. Si accoglie invece la richiesta relativa all'eliminazione dei riferimenti contenuti nel PO, in quanto trattasi di errore materiale". La variante per l'aggiornamento del Piano strutturale ed il nuovo Piano operativo del Comune di Arezzo definitivamente approvati con la deliberazione 30 settembre 2021, n. 134, del Consiglio comunale confermavano quindi nel solo Piano Strutturale la previsione della (omissis) Est, anche se esclusivamente a livello "strategico". Le deliberazioni sopra richiamate e gli atti successivi del procedimento pianificatorio erano impugnati dai ricorrenti, con la prima serie di motivi aggiunti depositata in data 25 maggio 2022, che risulta affidata a censure sostanzialmente analoghe a quelle poste a base del ricorso, attualizzate alla luce degli atti sopravvenuti. 1.2. In data 22 giugno 2022, si teneva la conferenza paritetica interistituzionale di cui all'art. 49 della l.r. 10 novembre 2014 n. 65 che evidenziava una "proposta di superamento delle...criticità " relative alla (omissis)-est consistente nel mantenimento "a livello grafico.... (del) tratteggio a condizione che negli elaborati testuali venga specificato che tale rappresentazione non individua un tracciato, ma assume esclusivamente valenza di indicazione strategica. In tal senso dovranno essere appositamente modificati gli elaborati del PS"; la soluzione era quindi recepita dalla deliberazione 4 luglio 2022 n. 70 della Giunta Regionale e dalla deliberazione 28 luglio 2022 n. 105 del Consiglio comunale di Arezzo (che recepiva, negli elaborati al Piano Strutturale, la soluzione individuata dalla conferenza paritetica interistituzionale). Anche tali atti erano impugnati dai ricorrenti, con la seconda serie di motivi aggiunti depositata in data 3 ottobre 2022, che riproponeva sostanzialmente le censure già poste a base del ricorso e della prima serie di motivi aggiunti, ribadendo soprattutto il contrasto del tracciato viario con la tutela di primari beni di interesse culturale (come l'acquedotto vasariano) e paesaggistico. Si costituiva in giudizio l'Amministrazione comunale di Arezzo, controdeducendo sul merito del ricorso ed articolando eccezioni preliminari di improcedibilità sopravvenuta dell'intera impugnazione, a seguito dell'intervento degli atti impugnati con la seconda serie di motivi aggiunti e di inammissibilità per difetto di interesse della seconda serie di motivi aggiunti. Alla pubblica udienza del 23 maggio 2024, il ricorso era quindi trattenuto in decisione. 2. In accoglimento dell'eccezione preliminare proposta dalla difesa dell'Amministrazione comunale di Arezzo, il ricorso e la prima serie di motivi aggiunti depositata in data 25 maggio 2022 devono essere dichiarati improcedibili per sopravvenuto di interesse, mentre la seconda serie di motivi aggiunti depositata in data 3 ottobre 2022 deve essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse all'impugnazione in capo ai ricorrenti. La narrativa già fornita nella parte in fatto della sentenza ha già evidenziato come l'intera problematica risulti essere stata integralmente modificata dalla soluzione "di compromesso" emersa nella conferenza paritetica interistituzionale tenutasi il 22 giugno 2022 e recepita, sia dall'Amministrazione regionale (con la delib. 4 luglio 2022 n. 70 della Giunta Regionale), che dall'Amministrazione comunale di Arezzo (con la delib. 28 luglio 2022 n. 105 del Consiglio comunale); per effetto di tale soluzione, il tracciato dell'assai contestata "(omissis)" si è ormai definitivamente (e sicuramente) ridotto ad un puro tratteggio negli elaborati al Piano strutturale che però, in realtà, non individua un vero e proprio tracciato di un'opera pubblica da realizzarsi, assumendo "esclusivamente valenza di indicazione strategica". Del resto, tale conclusione risulta assolutamente chiara alla luce dell'"Elaborato di adeguamento alla conferenza paritetica" depositato in giudizio dall'Amministrazione resistente (doc. n. 16 del relativo deposito) che, da un lato, ha superato una serie di ambiguità sul presunto assenso della conferenza di pianificazione all'opera (oggi superato dall'espressa precisazione che "la conferenza di copianificazione con verbale in data 14/6/2019 ha ritenuto la proposta n. 2 "(omissis)/Est" non conforme alla specifica disciplina del PIT/PPR") e, dall'altro, definitivamente chiarito come il tracciato dell'opera mantenuto unicamente negli elaborati grafici al Piano strutturale assuma esclusiva "valenza di indicazione strategica". Al proposito, si può certo discutere sul valore "strategico" del mantenimento del tracciato di un'opera pubblica non realizzabile ed in contrasto con gli obiettivi di tutela del P.I.T. e sull'indubbia torsione che deriva dall'introduzione, in uno strumento urbanistico, di contenuti che non attengono per nulla alla disciplina del territorio, ma vengono solo a sancire generiche "aspirazioni" alla realizzazione di opere pubbliche in contrasto con i valori di tutela; quel che è certo è però che i ricorrenti non hanno più interesse a contestare un tracciato che, in realtà, viene solo ad indicare le scelte "strategiche" future dell'Amministrazione (ovviamente da verificare, nella loro difficile realizzabilità, in sede futura ed in un quadro di conformità al P.I.T. ed agli strumenti di tutela dei valori culturali e paesaggistici) e non un possibile e reale tracciato di un'opera pubblica suscettibile di incidere sui valori proprietari e ambientali che hanno portato alla proposizione dell'impugnazione (peraltro, non contestati dall'Amministrazione resistente in alcun modo). Non sussiste pertanto altra alternativa alla declaratoria dell'improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse del ricorso e della prima serie di motivi aggiunti depositata in data 25 maggio 2022 e dell'inammissibilità per originario difetto di interesse della seconda serie di motivi aggiunti depositata in data 3 ottobre 2022, che investiva, in realtà, atti che, per effetto della definitiva riduzione a pura indicazione strategica del tracciato dell'opera, eliminavano definitivamente ogni profilo lesivo per i ricorrenti della complessiva operazione, piuttosto che pregiudicarne gli interessi. Con riferimento agli atti impugnati con il ricorso, risulta solo necessaria una precisazione con riferimento al nuovo Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (cd. P.U.M.S.) approvato dal Consiglio comunale di Arezzo con la deliberazione 26 settembre 2019, n. 89 ed impugnato dai ricorrenti (che continua a prevedere la previsione di una bretella di collegamento stradale a nord della città e le necessarie modifiche alla circolazione stradale; si veda, al proposito, il doc. n. 4 del deposito dell'Amministrazione resistente). Anche a questo proposito, non può che stigmatizzarsi il comportamento dell'Amministrazione comunale di Arezzo che continua a mantenere, in uno strumento programmatorio di primaria importanza, un tracciato stradale che attualmente non è né realizzato, né realizzabile; risulta però del pari evidente come i ricorrenti non abbiano più alcun interesse a contestare previsioni di disciplina della circolazione finalizzate a raccordare alla rete di circolazione una nuova sede stradale che rimane a livello strategico e non risulta essere attualmente assistita dai presupposti programmatori necessari per la sua realizzazione. 3. In definitiva, il ricorso e la prima serie di motivi aggiunti depositata in data 25 maggio 2022 devono essere dichiarati improcedibili per sopravvenuto di interesse, mentre la seconda serie di motivi aggiunti depositata in data 3 ottobre 2022 deve essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse all'impugnazione in capo ai ricorrenti. In applicazione del criterio della soccombenza virtuale (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 7 marzo 2024, n. 1527; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 18 novembre 2022, n. 15341) e del riconoscimento della sostanziale fondatezza delle contestazioni dei ricorrenti implicito nella "rilettura" della problematica operata con la conferenza paritetica interistituzionale e gli atti successivi, le spese di giudizio dei ricorrenti devono essere poste a carico dell'Amministrazione comunale di Arezzo e liquidate, come da dispositivo. Sussistono ragioni per procedere alla compensazione delle spese di giudizio nei confronti delle altre Amministrazioni evocate in giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto e sulle due serie di motivi aggiunti depositate in data 25 maggio e 3 ottobre 2022: a) dichiara improcedibili per sopravvenuto di interesse il ricorso e la prima serie di motivi aggiunti depositata in data 25 maggio 2022; b) dichiarata inammissibile per difetto di interesse la seconda serie di motivi aggiunti depositata in data 3 ottobre 2022. Condanna il Comune di Arezzo alla corresponsione ai ricorrenti della somma di Euro 4.000,00 (quattromila//00), oltre ad IVA e CAP, a titolo di spese del giudizio. Compensa le spese di giudizio nei confronti delle altre Amministrazioni evocate in giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Roberto Pupilella - Presidente Luigi Viola - Consigliere, Estensore Flavia Risso - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2175 del 2023 proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Lu. Ri. Ri. e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Difesa - Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato e con domicilio legale in Milano, Via (...); Legione Carabinieri Lombardia - Comando Provinciale di -OMISSIS- in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio; per l'annullamento previa sospensione cautelare dell'efficacia, del provvedimento del 6/7/2023 di rigetto del ricorso gerarchico avverso la sanzione disciplinare del "rimprovero". Visti il ricorso e i relativi allegati; Vista la costituzione dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato con successivo deposito di documentazione; Vista la memoria di parte ricorrente; Vista la memoria dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato; Vista l'ordinanza di questo Tribunale n. 1161 del 14/12/2023 di fissazione dell'Udienza pubblica; Visti tutti gli atti della causa; Data per letta all'udienza pubblica del 29 maggio 2024 la relazione del dott. Gabriele Nunziata, ed ivi udito l'Avv. dello Stato come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1.Espone in fatto parte ricorrente di essere effettivo alla Centrale Operativa del NOR della Compagnia di -OMISSIS- e che gli veniva comunicato l'avvio del procedimento disciplinare di corpo a norma dell'art. 1370 del Codice dell'Ordinamento Militare, avendo omesso di comunicare la notifica relativa a verbale di identificazione elezione di domicilio e nomina del difensore di persona sottoposta ad indagini, ciò a seguito di convocazione in data 23 marzo 2023 presso il Commissariato di P.S. di -OMISSIS- ove veniva informato di denuncia querela nei suoi confronti. La vicenda era stata originata da denuncia formalizzata dal sig. -OMISSIS-, compagno dell'ex moglie del ricorrente, a seguito di lite avvenuta il 12 marzo 2023 dopo che lo stesso sig. -OMISSIS- aveva nei suoi confronti presentato querela. Si rappresenta che il ricorrente ha sempre tenuto un comportamento corretto e collaborativo e che la scala gerarchica era a conoscenza della discussione tra il militare e l'attuale compagno della ex moglie; l'impugnato provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare, in assenza di adeguata istruttoria, ha peraltro ignorato le puntuali argomentazioni spiegate in sede di ricorso gerarchico. Avverso il suddetto provvedimento sono stati dedotti i seguenti motivi ai fini dell'accoglimento del ricorso: VIOLAZIONE DELL'ART.748, COMMA 5 DEL D. LGS. N.66/2010 E DELL'ART.3 DELLA LEGGE N.241/1990. ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DEI PRESUPPOSTI. TRAVISAMENTO DEI FATTI. DEL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO. DIFETTO DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. TARDIVITA'. VIOLAZIONE DEL DPR N.90/2010. TRAVISAMENTO DEI FATTI. INGIUSTIZIA E ILLEGITTIMITA' MANIFESTA. 1.1L'Avvocatura Distrettuale dello Stato si è costituita per dedurre, tra l'altro, circa la necessità di tutelare il prestigio dell'Amministrazione di appartenenza e la discrezionalità della valutazione disciplinare. 1.2 Con ordinanza del 14/12/2023, n. 1161 il Tribunale fissava la trattazione del merito con la seguente motivazione: "Ritenuto che, in ragione delle deduzioni di cui alla memoria dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato e della natura del provvedimento impugnato come inerente sanzione disciplinare del rimprovero, le esigenze di parte ricorrente siano tutelabili con la sollecita definizione del giudizio nel merito ai sensi dell'art. 55, comma 10 c.p.a., con compensazione tra le parti delle spese della presente fase processuale, P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta Fissa l'udienza pubblica del 29 maggio 2024. Spese della fase cautelare compensate." 2. All'udienza pubblica del 29 maggio 2024 il Collegio si è riservata la decisione. 3. Il Collegio ritiene che il ricorso, come proposto avverso il provvedimento quale ha disposto il rigetto del ricorso gerarchico con oggetto la sanzione disciplinare, sia infondato per le ragioni che seguono. 3.1. In via preliminare va sottolineato che in ambito disciplinare l'Amministrazione ha ampia discrezionalità in merito all'individuazione della sanzione da applicare con la conseguenza che la sua decisione è sindacabile in sede giurisdizionale solo ab externo nei casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità, palese arbitrarietà ed evidente travisamento del fatto cui la stessa è correlata (ex multis, TAR Puglia, Lecce, I, 11.9.2023, n. 1054; TAR Toscana, I, 14.7.2022, n. 908; TAR Lazio, Roma, I, 26.8.2021, n. 9391; 4.3.2021, n. 2639; Cons. Stato, IV, 29.3.2021, n. 2629; 10.12.2020, n. 7880; 16.3.2020, n. 1887). Per giurisprudenza costante, infatti, l'Amministrazione dispone di un ampio potere discrezionale nell'apprezzare in via autonoma la rilevanza disciplinare dei fatti, tanto che "l'accertamento della proporzionalità della sanzione all'illecito disciplinare contestato e la graduazione della sanzione stessa, risolvendosi in giudizi di merito da parte dell'Amministrazione, sfuggono al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non si riveli una loro manifesta illogicità o la contraddittorietà " (tra le tante, TAR Campania, Napoli, VII, 21.9.2020, n. 3930; Cons. Stato, VI, 16..4.2015, n. 1968). 4. Nel caso di specie è stato accertato senza possibilità di smentita che il procedimento disciplinare veniva avviato correttamente, nel rispetto dei termini fissati dalla normativa di settore, in disparte che in tema di impiego pubblico non è richiesta una analitica confutazione delle giustificazioni addotte dall'incolpato nell'ambito di un procedimento disciplinare, essendo a tale scopo sufficiente che dal provvedimento che dispone la sanzione disciplinare risulti, anche solo per implicito, che di esse è stato tenuto conto ai fini dell'accertamento dei fatti e della graduazione della rilevanza disciplinare del comportamento (così TAR Abruzzo, L'Aquila, 4.11.2022, n. 394). Nemmeno può mettersi in dubbio che i fatti oggetto della controquerela subita avevano attinenza al profilo del ricorrente nello svolgimento degli obblighi di servizio in modo pronto, imparziale ed efficiente, a nulla rilevando che l'errore dell'omessa comunicazione della notifica relativa a verbale di identificazione sarebbe stato commesso in buona fede ed in ragione di una situazione personale e familiare difficoltosa. La notifica di un atto giudiziario assume una rilevanza specifica in considerazione sia delle violazioni contestate al graduato, sia dell'assunzione da parte del medesimo della posizione di indagato, ciò dopo che, a seguito della denuncia formalizzata dal ricorrente, egli era stato invitato ad informare con la massima sollecitudine i superiori circa gli sviluppi della vicenda; sul punto il Collegio ritiene infondate le deduzioni difensive dell'istante circa una notizia di reato scaturente da una controdenuncia querela e sulla possibilità che la posizione di indagato non potesse minare la tranquillità e l'imparzialità del ricorrente nello svolgimento del suo delicato compito. 4.1 Sotto ulteriore profilo quanto meno ragioni di opportunità avrebbero dovuto indurre un appartenente all'Arma dei Carabinieri, Corpo preposto allo svolgimento di attività di controllo, al tempestivo adempimento dell'obbligo di informazione; la condotta del ricorrente integra gli estremi della violazione degli artt.717 e 717 del DPR n. 90/2010 atteso che "Il senso di responsabilità consiste nella convinzione della necessità di adempiere integralmente ai doveri che derivano dalla condizione di militare per la realizzazione dei fini istituzionali delle Forze armate", nonché del successivo art. 748 quale disciplina i doveri di informazione del militare in caso di impedimento per causa inefficienza fisica. A fronte, pertanto, del richiamato quadro disciplinare del ricorrente e considerati ulteriormente l'età, il grado e l'anzianità di servizio del medesimo, nell'operato dell'Amministrazione non è rilevabile alcun elemento suscettibile di palesare, ancorché in via sintomatica, un distorto esercizio del potere disciplinare: l'art. 1358 D. Lgs. n. 66/2010 prevede le sanzioni disciplinari di corpo del richiamo verbale, del rimprovero scritto, della consegna consistente nella privazione della libera uscita da 1 a massimo 7 giorni e della consegna di rigore comportante il vincolo di rimanere in un apposito spazio della caserma o nel proprio alloggio da 1 a massimo 15 giorni. Nella specie è stata irrogata al ricorrente la sanzione disciplinare del rimprovero scritto, che consiste in "una dichiarazione di biasimo con cui sono punite le lievi trasgressioni alle norme di disciplina e del servizio o la recidiva nelle mancanze per le quali può essere inflitto il richiamo" e che, diversamente dalla sanzione del richiamo verbale, viene trascritta nello stato matricolare. La Sezione ritiene, ai fini della complessiva reiezione dei motivi di ricorso, che la determinazione dell'Amministrazione muova da valutazioni sufficientemente circostanziate ed articolate in relazione alle evidenze istruttorie, in ragione della possibilità che risulti compromesso il buon andamento e l'imparzialità del servizio oltre che il prestigio del Corpo. 4.2 Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2019, n. 3110). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. 5. Per tutto quanto sin qui argomentato, il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto. La particolarità della vicenda contenziosa giustifica la compensazione delle spese di giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo respinge per le ragioni indicate in motivazione. Compensa tra le parti le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte ricorrente, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Milano nella Camera di Consiglio del giorno 29 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gabriele Nunziata - Presidente, Estensore Silvia Cattaneo - Consigliere Silvia Torraca - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9877 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in persona dei Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, sul ricorso per l'annullamento del provvedimento Cat. Prot. Nr -OMISSIS-, emesso dal Ministro dell'Interno, in data 19.2.2020 e notificato in data 18.7.2022, con il quale il ricorrente veniva allontanato dal territorio dello Stato ed accompagnato alla frontiera a mezzo della forza pubblica Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024, il Cons. Angelo Roberto Cerroni e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il signor -OMISSIS-, cittadino marocchino, in Italia dal 12 ottobre 2007 in forza di permesso di soggiorno per lavoro subordinato, è stato raggiunto da provvedimento del Ministro dell'interno del 19 febbraio 2020, che ne ha decretato l'espulsione dal territorio dello Stato con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. La determinazione ministeriale si è fondata sul rilievo che dall'attività info-investigativa sarebbe emerso che il prevenuto ha intrapreso un percorso di radicalizzazione, maturato anche attraverso la frequentazione di luoghi di culto e di soggetti distintisi per aver assunto posizioni religiose radicali di impronta jihadista e di sostegno all'autoproclamato Stato islamico, tra i quali un connazionale già condannato per il reato di cui all'art. 270-bis c.p. e 414, co. 3 e 4 c.p.. L'Autorità avrebbe rilevato, altresì, che il prevenuto risulterebbe molto attivo sul web mediante la condivisione di video e immagini di esaltazione del martirio, riportanti esplicite manifestazioni di odio e violenza verso gli occidentali, nonché mediante pubblicazione di messaggi di sostegno nei confronti di predicatori islamici e dello Stato islamico. L'espulsione ministeriale è stata corredata da divieto di reingresso sul territorio nazionale per 15 anni in considerazione del particolare profilo di pericolosità sociale evidenziato dallo straniero. La notifica formale del provvedimento è avvenuta solo il 18 luglio 2022, a cura della Polizia di frontiera marittima e aerea di Genova, al rientro dello straniero da -OMISSIS-via nave; assieme al provvedimento ministeriale è stata notificata anche la revoca questorile del permesso di soggiorno. 2. - Il cittadino marocchino ha impugnato il provvedimento innanzi al TAR per il Lazio deducendo tre profili di censura per eccesso di potere, sotto l'aspetto dell'irragionevolezza, dello sviamento di potere e del travisamento: in primo luogo, il ricorrente ha denunciato l'insussistenza di evidenze fattuali a supporto della determinazione espulsiva, segnatamente con riguardo alle frequentazioni con connazionali radicalizzati, mentre le posizioni assunte sul web costituirebbero libera espressione del proprio pensiero; in secondo luogo, la motivazione sarebbe carente e insufficiente sotto il profilo della mancata indicazione delle fonti e dei documenti; da ultimo, il giudizio di pericolosità sociale verrebbe profondamente minato dal fatto che il provvedimento di espulsione è stato notificato al ricorrente dopo oltre tre anni dalla perquisizione (risalente a maggio 2019) e dopo oltre due anni dall'emanazione dell'atto (avvenuta il 19.2.2020). 3. - Il giudice di prime cure ha disatteso l'iter argomentativo seguito da parte ricorrente e, sul rilievo della natura latamente discrezionale dell'atto impugnato, ha aderito alle tesi difensive dell'amministrazione opinando che le risultanze info-investigative e le evidenze raccolte in occasione della perquisizione domiciliare comprovano, da un lato, che il ricorrente ha intrapreso un percorso di radicalizzazione, maturato anche attraverso la frequentazione di luoghi di culto e di soggetti distintisi per aver assunto posizioni religiose radicali di impronta jihadista e di sostegno all'autoproclamato Stato Islamico, dall'altro, che lo stesso ha diffuso e propagandato sulla rete messaggi di esaltazione del martirio, esplicite manifestazioni di odio e violenza verso la civiltà occidentale, nonché messaggi di sostegno ai predicatori contigui agli ambienti estremistici islamici e all'organizzazione terroristica dell'autoproclamato Stato Islamico. 4. - Il sig. -OMISSIS-ha quindi appellato la statuizione sfavorevole affidandosi a due motivi di gravame. In primis, lo straniero ha dedotto nuovamente l'error in iudicando per violazione dell'art. 3, comma 1, del D.L. 144/2005, conv. in legge 31 luglio 2005, n. 15 e dell'art. 13 d.lgs. 286/1998: al riguardo, contesta la carenza di concreti elementi di fatto dai quali evincere la percezione del pericolo, anche potenziale, per la sicurezza dello Stato. L'appellante stigmatizza altresì l'assoluta mancanza di un'adeguata istruttoria e di una doverosa valutazione dei documenti prodotti, che avrebbe consentito di verificare come la condotta di vita del -OMISSIS-sia inconciliabile (secondo dati di comune esperienza) con la possibilità che questi volesse arrecare a chicchessia un reale nocumento; infine, lamenta anche l'eccessivo divario tra la confezione del provvedimento (2020) e la sua materiale notifica (2022) ed esecuzione. 5. - Si è costituito in resistenza il Ministero dell'interno per il tramite della difesa erariale, che ha depositato la relazione difensiva predisposta dall'Amministrazione. 6. - La causa è venuta in discussione all'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024 all'esito della quale è stata spedita in decisione. 7. - La disamina della vertenza impone un preliminare richiamo dei parametri normativi entro cui si inscrive la fattispecie amministrativa: il provvedimento è stato, infatti, emanato ai sensi dell'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e dell'art. 3 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 alla stregua dei quali l'espulsione in via amministrativa dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato può essere disposta dal Ministro dell'interno "per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato" oppure a carico di quei soggetti nei cui confronti vi sono fondati motivi di ritenere che la relativa permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. Secondo la consolidata elaborazione giurisprudenziale, trattandosi di atto rimesso all'organo di vertice del Ministero dell'Interno, che investe la responsabilità del Capo del Governo, nonché l'organo di vertice dell'amministrazione maggiormente interessata alla materia dei rapporti con i cittadini stranieri (tanto che la disciplina legislativa stabilisce l'onere di preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri), esso costituisce senz'altro espressione di esercizio di alta discrezionalità amministrativa. Ne è testimonianza il carattere estremamente generico dei presupposti delineati dall'art. 13 cit. che si limita a richiamare le locuzioni ampie e comprensive dell'ordine pubblico e della sicurezza dello Stato, la cui applicazione nel caso concreto è rimessa al prudente apprezzamento dell'organo politico di vertice del Dicastero. Parallelamente, anche la disciplina coniata dal legislatore all'art. 3 del D.L. n. 144/2005, giustapponendosi come aggiuntiva alla fattispecie di carattere generale appena esaminata, rafforza il potere ministeriale di espulsione degli stranieri per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (particolarmente nel caso in cui essi godano di una particolare tutela come avviene per i titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo), prevedendo una ipotesi ulteriore con specifico riferimento alla minaccia terroristica e ai comportamenti ritenuti in grado di agevolarla. 7.1. - Sul piano dell'inquadramento dell'istituto, la giurisprudenza di questa Sezione ha già avuto modo di puntualizzare con riferimento all'espulsione ex art. 3, comma 1, d.l. n. 144 del 2005 - con argomentazioni ben estendibili alla misura adottata ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 - che si tratta di una disposizione che prevede procedure pienamente assimilabili alle misure di sicurezza che si adottano con finalità di prevenzione e che, avendo come finalità quella di prevenire il compimento di reati, non richiede che sia comprovata la responsabilità penale e neppure che il reato sia stato già compiuto. (v., ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 19 maggio 2021, n. 3886, Cons. Stato, sez. III, 27 febbraio 2021, n. 1687, Cons. Stato, sez. III, 23 settembre 2015, n. 4471). In altre parole, lo standard motivazionale e probatorio si discosta da quello penalistico dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" per assestarsi al livello della preponderanza dell'evidenza (cd. canone del più probabile che non) in quanto non mira a formulare un giudizio di colpevolezza assistito da elevata plausibilità logico-razionale, bensì persegue finalità di prevenzione a favore di interessi pubblicistici il cui rango elevato giustifica la spiccata anticipazione della soglia di tutela: in definitiva, il cuore dell'impianto motivazionale dei provvedimenti di espulsione tratteggiati dalle norme in esame si condensa in un sillogismo inferenziale che sottende il giudizio prognostico di pericolosità sociale parametrata rispetto agli interessi dell'ordine pubblico e della sicurezza dello Stato e alla possibile agevolazione delle organizzazioni o attività terroristiche. 7.2. - Tanto considerato, nel caso di specie il compendio indiziario posto a base della determinazione espulsiva e meglio sviscerato nella relazione difensiva dall'Amministrazione resistente, si profila tutt'altro che scarno di elementi pregnanti: a) in primo luogo, le risultanze info-investigative testimoniano che il sig. -OMISSIS-ha intrapreso un percorso di radicalizzazione snodatosi nella assidua frequentazione non solo di luoghi di culto (quello di -OMISSIS-) - il che sarebbe legittima manifestazione della libertà di culto costituzionalmente tutelata - ma anche di persone gravate da pregiudizi penali di matrice terroristica dal particolare disvalore (nel caso di specie, associazione con finalità di terrorismo, anche internazionale, prevista e punita dall'art. 270-bis c.p. e istigazione a delinquere ex art. 414 c.p.); dalla consultazione della banca dati interforze è emerso altresì che l'appellante annovera una notizia di reato del Compartimento della Polizia postale di Perugia per i medesimi titoli di reato; b) tale percorso di radicalizzazione non si è limitato alla sfera interna della manifestazione del pensiero, in astratto intangibile in quanto espressione di una libertà costituzionalmente tutelata, ma è trasmodata in una significativa attività di propaganda jihadista e di militanza mediatica. Dalle informazioni raccolte nell'indagine condotta dalla DIGOS e dal Compartimento di Polizia postale di Perugia nell'ambito delle indagini penali scaturite dalla segnalazione per istigazione a delinquere e associazione con finalità di terrorismo, è emerso, infatti, tra i profili di social network dediti alla propaganda di ideologie jihadiste proprio quello del -OMISSIS-: ne è scaturita la perquisizione degli strumenti tecnologici - personal computer e telefono cellulare - da cui si è appurato che questi risultava autore della diffusione di messaggi, immagini e video in cui aderiva alle manifestazioni di sentimenti antioccidentali, plaudeva alle attività delle organizzazioni terroristiche di matrice islamista ed esaltava i gesti di martirio jihadista, oltre a pubblicare messaggi di sostegno ai predicatori contigui agli ambienti estremisti islamici. Al riguardo, mette conto di osservare che tale intensa attività di supporto mediatico non si è limitata a mera manifestazione del pensiero, ma per le sue modalità è stata suscettibile di integrare comportamenti concretamente idonei a provocare la commissione di delitti in conformità all'insegnamento della Corte costituzionale, ormai risalente e consolidato, per cui "plaudire a fatti che l'ordinamento giuridico punisce come delitto e glorificarne gli autori é da molti considerata una ipotesi di istigazione indiretta: certo é attacco contro le basi stesse di ogni immaginabile ordinamento apologizzare il delitto come mezzo lodevole per ottenere l'abrogazione della legge che lo prevede come tale. Non sono concepibili, infatti, libertà e democrazia se non sotto forma di obbedienza alle leggi che un popolo libero si dà liberamente e può liberamente mutare" (Corte cost., 4 maggio 1970, n. 65). 7.3. - Orbene, indipendentemente dagli esiti degli accertamenti penali, il Ministro dell'interno si è mosso in un'ottica squisitamente socialpreventiva e cautelare al dichiarato scopo di allontanare dal territorio nazionale una figura così insidiosa per la sicurezza interna e internazionale. Nell'apprezzare il compendio indiziario appena passato in rassegna, l'Autorità si è attenuta al sillogismo inferenziale secondo cui appare plausibile e razionale che, a fronte di questi elementi info-investigativi raccolti dalla DIGOS, il cittadino marocchino possa costituire una minaccia alla sicurezza dello Stato ex art. 13, co. 1 d.lgs. 286/1998, secondo lo standard del "più probabile che non"; al contempo, ricorrono anche gli estremi più specifici di cui all'art. 3 D.L. 14472005 giacché gli elementi passati in rassegna corroborano i prescritti fondati motivi che lasciano ritenere che la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. 7.4. - Tanto considerato, l'argomentare dell'Amministrazione resistente, per quanto succinto, appare idoneo e sufficiente a corroborare il giudizio prognostico di pericolosità sociale sub specie di agevolazione terroristica e, del pari, ben ha opinato il TAR quando ha giudicato il provvedimento, sotto tale angolo visuale, come scevro da profili di manifesta irragionevolezza o travisamento o difetto di istruttoria. Non milita efficacemente in senso contrario la copiosa documentazione versata in atti dal ricorrente che attiene a dichiarazioni di conoscenti, colleghi e concittadini che, pur attestando una apparente proficua integrazione del sig. -OMISSIS-nel tessuto socio-economico, non scalfisce le forti controindicazioni rivenienti dai materiali rinvenuti a seguito della perquisizione degli apparati tecnologici di comunicazione del prevenuto. 8. - Venendo al secondo profilo censorio, il Collegio osserva che il ragguardevole lasso di tempo intercorso tra l'emanazione del provvedimento espulsivo (19 febbraio 2020) e la sua materiale esecuzione mediante respingimento alla frontiera (18 luglio 2022) è stato ampiamente delucidato dalla produzione documentale dell'Amministrazione che ha dovuto soprassedere all'esecuzione del provvedimento per indisponibilità dei collegamenti diretti per i rimpatri nel corso della fase emergenziale da covid-19: a rigore, trattandosi di provvedimento fortemente afflittivo sulla sfera personale del destinatario e, in definitiva, limitativo della sua sfera giuridica deve trovare applicazione l'art. 21-bis della legge n. 241 del 1990 giusta il quale tale tipo di provvedimento acquista efficacia con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile. Sicché, l'appellante non ha di che dolersi se l'esecuzione del provvedimento è avvenuta immediatamente dopo la notifica del decreto ministeriale di espulsione, pur a distanza di tempo per le ragioni testé esposte, con il conseguente affidamento del passeggero irregolare alla custodia del Comandante della Motonave GNV diretta a -OMISSIS-lo stesso giorno 18 luglio 2022. La notifica del provvedimento, nel caso di specie, si atteggia ad elemento perfezionativo della fattispecie ed incide giocoforza sull'acquisto della piena efficacia provvedimentale. Il protrarsi del tempo endoprocedimentale tra emanazione della decisione e definitivo perfezionamento della fattispecie mediante la rituale notifica al destinatario del provvedimento di espulsione, oltre che ampiamente scriminato dalle sopravvenienze di vis maior connesse alla contingenza pandemica non imputabili all'Amministrazione - peraltro anche foriere di una sospensione ex lege dei termini procedimentali (v. art. 103, D.L. 18/2020) - non impinge sulla validità ed efficacia del provvedimento definitivo tardivamente notificato, né milita in favore della sussunzione della fattispecie nel paradigma di cui all'art. 13, co. 2 d.lgs. 286/1998 vale a dire in una diversa species di provvedimento a firma prefettizia - e non già ministeriale. 9. - Alla luce di quanto precede, l'appello deve essere conclusivamente respinto. 10. - Tenuto conto delle peculiarità della vicenda, il Collegio ritiene che sussistano giustificati motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona dell'appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente Stefania Santoleri - Consigliere Giovanni Pescatore - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Angelo Roberto Cerroni - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9862 del 2023, proposto da: -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Fe. Di., con domicilio digitale pec in registri di giustizia contro Ministero della giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliato in Roma, via (...) nei confronti -OMISSIS-, non costituita in giudizio per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione prima, n. -OMISSIS-. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Udito, nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024, l'avvocato Fe. Di.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'appellante ha impugnato la sentenza del Tar Lazio, sez. I stralcio, del -OMISSIS-, con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per l'annullamento di alcune comunicazioni via email, di riscontro ad una istanza di autotutela, inviata in data 4 luglio 2017 per ottenere la ripetizione della prova orale del concorso a 365 posti per l'accesso alla magistratura ordinaria, indetto con decreto ministeriale del 30 ottobre 2013. Nel presente grado di giudizio si è costituito il Ministero della giustizia il quale, nella memoria conclusiva, ha esposto le ragioni in fatto e in diritto, per le quali ha chiesto la reiezione dell'appello. A tale scritto difensivo ha replicato l'appellante con memoria depositata in data 26 aprile 2024, insistendo per l'accoglimento dell'appello. Con atto depositato il 20 aprile 2024 il difensore dell'amministrazione ha chiesto la decisione della causa sugli scritti. All'udienza pubblica del 21 maggio 2024, sentito il difensore dell'appellante, la causa è stata trattenuta in decisione. 2. L'appellante ha partecipato alla selezione pubblica per il reclutamento di n. 365 magistrati ordinari, indetta con decreto ministeriale del 30 ottobre 2013, ma non ha superato la prova orale, sostenuta in data 27 ottobre 2015. Avverso tale giudizio di non idoneità l'interessata ha proposto, dinanzi al Tar Lazio, un ricorso che è stato respinto con sentenza n. -OMISSIS-, non impugnata. In pendenza di tale giudizio, in data 1 luglio 2017, l'appellante ha proposto un'istanza di autotutela con la quale ha domandato "la riconvocazione della Commissione esaminatrice al fine di consentire la ripetizione della prova orale da parte di Ella istante". Con tale istanza, indirizzata all'ufficio concorsi del Ministero della giustizia, la dottoressa rendeva note, per la prima volta, le cattive condizioni di salute in cui versava al momento in cui sostenne la prova orale, condizioni che non aveva palesato né in occasione della prova orale, né nel corso del giudizio dinanzi al Tar, per la ritrosia a divulgare la patologia che le era stata diagnosticata dalla ASL di Salerno il giorno prima dell'orale, ossia un "-OMISSIS-", per il quale le era stato prescritto, in aggiunta alla "-OMISSIS-", la "astensione da ogni circostanza o situazione di stress ambientale": prescrizione alla quale la ricorrente non si era attenuta scegliendo di recarsi comunque a sostenere l'orale del concorso il giorno dopo. La dirigente dell'ufficio concorsi ha riscontrato la email in pari data con nota del seguente tenore: "In merito alla richiesta della S.V., si comunica che la stessa è stata inviata per competenza al Presidente della Commissione esaminatrice, per gli eventuali provvedimenti. Questo Ufficio, avendo competenze organizzative, non può disporre in merito, tanto più che la procedura è stata ormai conclusa con l'approvazione della graduatoria, la nomina dei magistrati idonei e l'assunzione degli stessi.... Direttore Ufficio Concorsi Magistrati". A stretto giro il Presidente della commissione rispondeva alla dirigente con email del seguente tenore: "carissima...; non credo ci sia bisogno di un mio parere. L'istanza è davvero tardiva e non potrei certo interloquire su -OMISSIS-. Cari saluti....". Pertanto la dirigente, in data 5 luglio 2017, rispondeva alla istante con la seguente email: "Il Presidente della Commissione esaminatrice, stante anche la tardività della istanza, ritiene di non procedere. Come già comunicato e come noto alla S.V., la procedura concorsuale si è conclusa da tempo, con l'approvazione della graduatoria, la nomina e l'assunzione dei magistrati in tirocinio.... Ufficio Concorsi Magistrati". L'appellante, in data 19 luglio 2017, con una nuova istanza, ha chiesto che "il procedimento avviato con la presentazione dell'istanza di cui all'oggetto venga concluso, ai sensi della legislazione vigente, con l'emanazione di un provvedimento espresso entro i termini di legge (art. 2 L. 241/90)". Ne è seguita una nuova comunicazione email del Presidente della commissione alla dirigente, in data 22 luglio 2017, del seguente contenuto: "in effetti, la nuova istanza non aggiunge nulla al rilevo della tardività delle iniziative della concorrente, basate sul rigurgito mnemonico di -OMISSIS-coevi alla prova d'esame. Tanto basta, presumo, anche rispetto all'eventuale proliferare di nuove istanze, memorie, deduzioni e quant'altro ad opera dell'interessata. Un caro saluto...". Quindi la dirigente, in data 25 luglio 2017 comunicava via email quanto segue: "Si trasmette di seguito l'ulteriore risposta inviata dal già Presidente della Commissione esaminatrice del concorso a 365 posti, indetto con d.m. 30 ottobre 2013, in cui si ribadisce, per le motivazioni esposte, l'impossibilità di dar corso alla Sua istanza di autotutela. A tal fine, si rappresenta nuovamente che questo Ufficio ha competenze organizzative e non è legittimato ad adottare provvedimenti in autotutela, stante la competenza esclusiva, nella materia di cui trattasi, della Commissione esaminatrice. La procedura concorsuale, si ribadisce, si è già conclusa da tempo, con l'entrata in servizio dei vincitori. Pertanto, la presente mail vale a tutti gli effetti come chiusura del procedimento da Lei avviato con la presentazione dell'istanza in autotutela. La conclusione del procedimento conseguiva già dalla mail precedente, inviata alla S.V. in data 5 luglio 2017 e dalla S.V. riscontrata, come risulta dalla espressa menzione nella nuova richiesta di conclusione del procedimento che con l'invio della presente mail deve intendersi definitivamente concluso.... Direttore Ufficio Concorsi Magistrati". 3. L'appellante ha impugnato questo atto con ricorso al Tar Lazio deducendone l'illegittimità in quanto: - a fronte dell'avvio del procedimento, da parte della dirigente, volto all'esame dell'istanza proposta dalla ricorrente ai fini dell'emanazione di eventuali provvedimenti di riesame, non sarebbe stata fornita risposta, non potendosi considerare validamente concluso il procedimento con la nota del Presidente del 4 luglio 2017, il quale non avrebbe poteri monocratici ma solo di direzione dell'organo collegiale, pertanto egli avrebbe dovuto convocare la commissione; - premesso, quindi, che quanto scritto nella suddetta nota andrebbe considerato come un atto endoprocedimentale, sarebbe infondata l'affermazione per cui l'istanza di autotutela si fonderebbe su un: "rigurgito mnemonico di -OMISSIS-coevi alla prova d'esame", avendo ella dimostrato documentalmente, tramite seria certificazione di struttura pubblica specializzata, l'entità e la gravità della sua patologia. 4. Il Tar del Lazio, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha dichiarato inammissibile il ricorso avendo considerato l'atto impugnato come atto meramente confermativo che, a differenza degli atti di conferma, si connota per la ritenuta insussistenza, da parte dell'amministrazione, di valide ragioni di riapertura del procedimento conclusosi con la precedente determinazione. Secondo il Tar non vi è stato riesercizio del potere, bensì la mera comunicazione della bontà della precedente decisione. 5. L'appello è affidato ai motivi di seguito sintetizzati. 1) "Error in iudicando nella parte in cui la sentenza ha ritenuto inammissibile il ricorso senza pronunciarsi sul vizio di incompetenza del presidente della commissione". Sostiene l'appellante il Tar avrebbe errato non pronunciandosi sulla prospettata censura di incompetenza e ribadisce che sull'istanza si sarebbe dovuta pronunciare la commissione essendo il Presidente incompetente. Aggiunge che "Traguardata da questa prospettiva, la questione della natura giuridica dell'atto adottato dal (solo) Presidente, se di atto di conferma o di atto meramente confermativo, assume una rilevanza logicamente secondaria. Il vizio di incompetenza, infatti, ha rilievo assorbente, ed è idoneo ad inficiare anche l'atto meramente confermativo" (così a pag. 8 dell'appello). 2) "Error in iudicando della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l'atto adottato dal presidente della commissione avesse natura meramente confermativa e riproposizione delle censure non esaminate dal Tar. Error in iudicando e in procedendo per violazione dell'art. 34, comma 2, cod. proc. amm.". La sentenza sarebbe errata anche nella parte in cui ha ritenuto che l'atto del Presidente fosse meramente confermativo e aggiunge che "Il Presidente ha ritenuto discrezionalmente che questo nuovo elemento non fosse sufficiente a supportare la richiesta della candidata di essere sottoposta ad una rinnovazione dell'esame orale" (così a pag. 11 dell'appello). Nel dolersi, ancora una volta, delle parole usate dal Presidente, laddove avrebbe dubitato della veridicità di quanto da lei rappresentato, definendo la sua istanza come "rigurgito mnemonico di -OMISSIS-coevi alla prova d'esame" e ricordando che la certificazione della struttura pubblica sanitaria fa fede fino a querela di falso, l'appellante afferma che ciò avrebbe determinato "un'anomala conclusione del procedimento di riesame ritualmente avviato, frustrando l'esigenza di adeguato approfondimento istruttorio che la peculiarità della fattispecie avrebbe obiettivamente meritato" (così a pag. 13 id.) e contesta la sentenza nella parte in cui ha ritenuto la discrezionalità correttamente esercitata in quanto, in ragione della incompetenza dell'organo che ha assunto la decisione, verrebbe in considerazione un'ipotesi di potere non ancora esercitato, che il Tar non avrebbe potuto sindacare, neppure nel senso di ritenerlo legittimo. Quindi, al fine di provare le circostanze poste alla base dell'istanza di riesame, ha reiterato l'istanza, già formulata in primo grado (nella memoria di replica del 4 maggio 2023), di ammissione di prova testimoniale. 6. L'appello è infondato e la sentenza va confermata con diversa motivazione. Dalla lettura della corrispondenza intercorsa fra l'appellante e la dirigente dell'Ufficio concorsi del Ministero della giustizia, nonché dalla corrispondenza intercorsa tra quest'ultima e l'ex Presidente della commissione, riportate testualmente nella parte narrativa, è possibile evincere che il sollecitato procedimento di autotutela in realtà non è stato neanche avviato. Il Presidente, infatti, al quale la dirigente dell'ufficio ha girato la richiesta dell'appellante, ha ritenuto insussistenti i presupposti per dare ingresso ad una valutazione della stessa. Al di là delle più o meno gradevoli espressioni utilizzate da costui, che peraltro sono state spese nell'ambito di una corrispondenza con la dirigente dell'ufficio che sarebbe dovuta restare privata, nella sostanza il Presidente, titolare del potere di convocazione della commissione, ha ritenuto di non dover esercitare tale potere di impulso avendo ravvisato la evidente tardività della richiesta, intervenuta, come più volte precisato dalla dirigente, a distanza di anni dalla conclusione della procedura con l'approvazione della graduatoria, la nomina dei magistrati idonei e l'assunzione degli stessi. La terminologia adoperata dalla dirigente nella corrispondenza con l'appellante non è idonea a smentire il dato evidente del mancato avvio di qualsivoglia procedimento di autotutela. Il contenuto sostanziale della comunicazione del 25 luglio 2017 risiede nella "impossibilità di dar corso alla Sua istanza di autotutela": l'uso, nella stessa email, dell'espressione "definitivamente chiuso", riferita ad un procedimento che, diversamente da quanto opina l'appellante, non risulta mai avviato, rappresenta, piuttosto, una formula di chiusura ("La conclusione del procedimento conseguiva già dalla mail precedente, inviata alla S.V. in data 5 luglio 2017 e dalla S.V. riscontrata, come risulta dalla espressa menzione nella nuova richiesta di conclusione del procedimento che con l'invio della presente mail deve intendersi definitivamente concluso") con la quale la dirigente, facendo proprie e interpretando le osservazioni del Presidente ("Tanto basta, presumo, anche rispetto all'eventuale proliferare di nuove istanze, memorie, deduzioni e quant'altro ad opera dell'interessata"), ha tentato di rappresentare alla richiedente, in modo il più possibile tranchant, l'inopportunità di insistere con ulteriori domande o solleciti. Dunque, non è possibile attribuire alle comunicazioni della dirigente dell'ufficio concorsi la valenza di comunicazioni di avvio e di chiusura, in senso tecnico, del procedimento di esame dell'istanza di autotutela: come già posto in luce, tale significato, nel caso di specie, non è rinvenibile alla stregua dell'effettivo contenuto delle richiamate comunicazioni. Spostando poi l'attenzione al piano più generale non può non rilevarsi come, ragionando come opina l'appellante, si finirebbe con il consentire, attraverso la presentazione di istanze di autotutela tardive o strumentali e utilizzando il metodo della "caccia all'errore lessicale" nelle risposte dell'amministrazione, da una parte di procrastinare sine die procedimenti già conclusi da anni e, dall'altra, di aggirare le preclusioni derivanti dal giudicato che, come noto, copre dedotto e deducibile. Chiarito che, nel caso di specie, il procedimento di autotutela non è mai stato avviato né è stato adottato alcun provvedimento, non può non ricordarsi che la giurisprudenza è granitica nel ritenere che, in caso di presentazione di istanza di autotutela, l'amministrazione non ha l'obbligo di pronunciarsi in maniera esplicita in quanto la relativa determinazione costituisce una manifestazione tipica della discrezionalità amministrativa, di cui è titolare in via esclusiva l'amministrazione per la tutela dell'interesse pubblico; non è quindi configurabile un obbligo di provvedere a fronte di istanze di riesame di atti precedentemente emanati, conseguente alla natura officiosa e ampiamente discrezionale, soprattutto nell'an, del potere di autotutela ed al fatto che, rispetto all'esercizio di tale potere, il privato può avanzare solo mere sollecitazioni o segnalazioni prive di valore giuridicamente cogente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 gennaio 2024, n. 301). L'amministrazione, infatti, non ha alcun obbligo di provvedere sulle richieste di esercizio del potere di autotutela verso atti divenuti inoppugnabili; in questi casi l'impugnativa del diniego di autotutela è inammissibile, in coerenza con il principio generale della impossibilità di assicurare tutela all'interesse strumentale se non nei casi eccezionali espressamente previsti dalla legge (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2023, n. 8284). Nel caso di specie, il mancato avvio del procedimento finalizzato all'esame dell'istanza presentata dall'appellante, innanzitutto esclude in radice che sia stato adottato un nuovo provvedimento, anche solo meramente confermativo: ciò che emerge pacificamente dalla documentazione versata in atti è l'inesistenza di qualsivoglia nuovo atto, stante la affermata impossibilità di dar corso all'esame dell'istanza. Precipitato della conclusione che precede è che il dedotto vizio di incompetenza del Presidente, su cui l'appellante ritorna anche nel presente grado di giudizio e sul quale il difensore ha insistito anche nel corso della discussione orale, è del tutto insussistente stante la mancata adozione, da parte di costui, di un qualsivoglia atto avente natura provvedimentale. Conclusivamente, per quanto precede, l'appello deve essere respinto e la sentenza impugnata deve essere confermata con diversa motivazione. 7. Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate tenuto conto della parziale novità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando la sentenza impugnata con diversa motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2 septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità dell'appellante e della patologia menzionata in sentenza. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9863 del 2023, proposto da -OMISSIS- S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ro. e An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Me. Ce. - Banca del Me. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati An. Ma., An. Gr. e La. Ro., in sostituzione dell'avvocato Gi. Ia.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Con bando pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 32 del 7 febbraio 2002, il Ministero delle Attività Produttive ha indetto una gara concernente servizi per la gestione degli interventi di cui all'articolo 1, lettera b, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28.3.2001, relativo allo sviluppo di imprese di recente costituzione. Mediante tali atti sono stati disciplinati gli interventi finalizzati allo sviluppo di imprese di recente costituzione attraverso la concessione a soggetti intermediari di anticipazioni finanziarie per l'acquisizione di partecipazioni temporanee e di minoranza in nuove imprese, a fronte di programmi di sviluppo di prodotti e servizi nel campo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese quelle relative alle applicazioni di rete (web applications), al software innovativo, allo sviluppo dei contenuti multimediali e alla formazione interattiva a distanza. 1.1 - In data 31.1.2006, la società -OMISSIS- S.p.A. (successivamente denominata -OMISSIS- S.p.A.) ha presentato a Me. Ce. S.p.A, in qualità di soggetto gestore della procedura, una domanda di concessione di un'anticipazione finanziaria per l'acquisizione, per conto del fondo Principia al quale appartiene, di una partecipazione nel capitale di rischio di -OMISSIS- s.r.l. (poi denominata -OMISSIS- s.r.l.) al fine di capitalizzare tale ultimo soggetto per un programma pluriennale di sviluppo, consistente nella realizzazione di un impianto per il trattamento e il riciclaggio dei residui provenienti dalla frantumazione degli autoveicoli a fine vita, nonché per la lavorazione, triturazione e separazione dei metalli ferrosi e non ferrosi dalle materie plastiche e dalle sostanze non riciclabili, con recupero degli stessi metalli e successiva immissione in mercato sotto forma di sfere. 1.2 - Medio Credito ha erogato due distinte anticipazioni finanziarie di Euro.1.400.000 e di Euro. 600.000, rispettivamente in data 16.2.2006 e 18.7.2008, e -OMISSIS- ha iniziato la capitalizzazione di -OMISSIS- s.r.l. mediante quattro, progressivi, aumenti di Euro. 1.200.000, di Euro. 600.00 e due da Euro. 400.000, a valere a titolo di MC11 (c.d. "prima anticipazione"). Si è, poi, proceduto alla cd. "seconda anticipazione" (MC45), originariamente determinata in Euro600.000, (con la conseguenza che è stato fissato in Euro.300.000, a valere sull'anticipazione MC45, come erogazione parziale al 50% prevista dalla legge 388/2000), ma, in concreto, erogata in misura parziale per interventi legislativi che hanno inciso sulla distribuzione della misura su altri interventi, nonché per verifiche sul progetto oggetto del finanziamento: il che ha determinato una svalutazione del contributo fino ad Euro172.800. In sostanza, -OMISSIS-, per quanto dalla stessa affermato, a partire dal 2006 ha acquisito quote della -OMISSIS- s.r.l. per complessivi euro 3.450.000, di cui euro 1.725.000, provenienti da anticipazioni ex L. 388/2000 somma da rideterminarsi in euro 1.225.500, in quanto, in data 23.1.2008, la -OMISSIS- aveva ceduto il 16,67% della propria partecipazione per euro 1.000.000, destinando euro 500.000,00 al Ministero delle attività produttive a parziale restituzione delle somme anticipate. 2 - Non sono stati corrisposti al Ministero gli importi previsti dal contratto di cessione a partire dalla prima rata in scadenza e l'appellante ha chiesto l'applicazione delle clausole risarcitorie previste nell'ambito della compravendita della -OMISSIS- s.r.l. e relative garanzie, tenuto conto che questa è stata dichiarata fallita con sentenza n. 65/2014 del Tribunale di Milano. 2.1 - Nel 2013 il legale rappresentante di -OMISSIS- s.r.l. è stato coinvolto in un procedimento penale nell'ambito del quale è stata contestata la commissione dei reati di cui agli artt. 640 bis, 640 e 61 n. 7 del c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e truffa, con l'aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità ) sul presupposto che lo stesso avesse indotto in errore l'allora Ministero delle Attività produttive il quale, tramite la -OMISSIS-, aveva erogato a favore della -OMISSIS- un finanziamento complessivo di Euro3.400.000, costituito per il 50% da fondi messi a disposizione attraverso anticipazioni finanziarie ai sensi della legge 388/2000, e che il medesimo avrebbe dirottato gli utili della -OMISSIS- a società a sé riconducibili, così sottraendoli alla distribuzione a favore della -OMISSIS-, cui spettavano per patti parasociali e, per essa, al Ministero finanziatore. Il tutto sulla circostanza pacifica che l'impianto industriale, che si sarebbe dovuto realizzare per mezzo dei predetti fondi, non è mai entrato in funzione. La posizione dell'imputato, nel predetto procedimento, è stata definita con una sentenza di applicazione della pena su richiesta (cd. patteggiamento), emessa dal Tribunale di Milano in data 16.3.2015. 2.2 - L'appellante ha inoltre riferito che, nel 2015, ha agito giudizialmente nei confronti del legale rappresentante di -OMISSIS- s.r.l. ex art. 2935 c.c. per il risarcimento dei danni derivati dagli atti gestori illeciti e distrattivi dallo stesso posti in essere e che tale procedimento si è concluso con la sentenza del Tribunale di Milano n. 11923/2018, con la quale è stata respinta la domanda, accertandosi la legittimazione attiva della -OMISSIS- limitatamente alla porzione di investimento derivante da fondi propri della medesima -OMISSIS-, non in relazione ai fondi erogati dal Ministero. 3 - Il Ministero, con nota del 30.9.2022 di avvio del procedimento di revoca delle anticipazioni finanziarie precedentemente concesse, ha evidenziato che in conseguenza dei "fatti emersi nell'ambito degli accertamenti istruttori del procedimento penale instaurato innanzi il Tribunale di Milano nei confronti dell'impresa beneficiaria "-OMISSIS- s.r.l. in fallimento" e del legale rappresentante della stessa..." si sarebbero concretizzati "in capo all'impresa beneficiaria e al suo legale rappresentante la mancata realizzazione del progetto nei termini in cui è risultato ammesso all'agevolazione con conseguente sviamento del denaro pubblico. La capacità e la professionalità della -OMISSIS-, unita alle circostanze emerse con la sentenza del Tribunale di Milano, n. 11923/2018, pubblicata il 27/11/2018, ove si conferma che la -OMISSIS- entrava fin dal giugno 2006 nel capitale sociale di -OMISSIS- s.r.l. dopo aver condotto una due diligente durata ben nove mesi, e dunque dovendo essere ben consapevole della rispondenza o meno del progetto effettivo, rispetto a quello previsto per la fruizione dell'intervento agevolativo, implicano che la stessa avrebbe dovuto avvedersi già sul piano tecnico delle richiamate difformità ". Ha, quindi, comunicato che "alla luce delle dette risultanze, appaiono concretizzatisi i motivi di revoca dell'anticipazione erogata di cui al punto 16, rubricato "Revoca delle anticipazioni", delle "Condizioni di ammissibilità e disposizioni di carattere generale per gli interventi di concessione di anticipazioni finanziarie per l'acquisizione di partecipazioni temporanee e di minoranza nel capitale di rischio di imprese di cui agli articoli 103, comma 1, e 106 della legge 23 dicembre 2000, n. 388" adottate dal Ministero Delle Attività Produttive con decreto 19 gennaio 2004 (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 23 del 29-01-2004); in particolare, appaiono realizzatisi i motivi per procedere alla revoca dell'anticipazione previsti dai punti 16.1.1, 16.1.3 e 16.1.9, del citato decreto del 19 gennaio 2004, quali rispettivamente: percepimento dell'anticipazione, da parte dei soggetti accreditati, sulla base di notizie, dichiarazioni o dati falsi, inesatti o reticenti; mancata destinazione dell'anticipazione agli scopi previsti dalla legge, dalla normativa di attuazione e dalle disposizioni dello stesso decreto 19 gennaio 2004; qualsiasi violazione od omissione degli obblighi derivanti dalle norme di legge, regolamentari e dall'intera normativa di riferimento in genere". 3.1 - Quindi, con il Decreto del Ministero delle imprese e del made in Italy prot. n. 0001378 del 2 maggio 2023 è stata disposta la revoca delle anticipazioni finanziarie, pari ad Euro928.393,00 (posizione MC 11) ed Euro325.500,00 (posizione MC 45); e si è disposto il "recupero della cifra complessiva di Euro4.326.012,07 corrispondente alla somma dei seguenti importi: a) importo di Euro928.393,00 relativo alla somma erogata alla ditta -OMISSIS--OMISSIS- in data 16 febbraio 2006 (posizione MC 11); b) importo di Euro325.500,00 relativo alla somma erogata alla ditta -OMISSIS--OMISSIS- in data 18 luglio 2008 (posizione MC 45); c) importo di Euro359.631,47 corrispondente alla maggiorazione, a titolo di interessi, da applicarsi all'importo di cui al punto a) sulla base di quanto previsto dal comma 4, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123; d) importo di Euro204.701,60 corrispondente alla maggiorazione, a titolo di interessi, da applicarsi all'importo di cui al punto b), sulla base di quanto previsto dal comma 4, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123; e) importo di Euro1.856.786,00 riferito alla pozione MC 11, a titolo di sanzione, sulla base di quanto previsto dal comma 2, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123; f) importo di Euro651.000,00 riferito alla pozione MC 45, a titolo di sanzione, sulla base di quanto previsto dal comma 2, articolo 9, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 123". 4 - -OMISSIS- S.p.A. ha impugnato avanti il Tar per il Lazio tale provvedimento. Con successivi motivi aggiunti ha esteso l'impugnazione alla nota del 21.3.2023, con cui Me. Ce. S.p.A., nell'ambito del procedimento di revoca dell'anticipazione finanziaria precedentemente erogata, ha trasmesso al Ministero delle imprese le proprie osservazioni conclusive, secondo quanto previsto al punto 16.3 del DM 16.1.2004, nonché alla nota del 2.5.2023, con cui il predetto Ministero ha riscontrato tale nota. 4.1 - Il Tar adito, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti. 5 - La società originariamente ricorrente ha impugnato tale pronuncia per i motivi di seguito esaminati. 5.1 - Con il primo motivo ("Erronea applicazione dell'art. 34 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Erronea applicazione dell'art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241. Erronea applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.. Erronea applicazione degli artt. 63 e 64 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Erronea applicazione dell'art. 296 del TFUE. Erronea applicazione dell'art. 41 della Carta Fondamentale dei Diritti dell'Uomo. Violazione del divieto di integrazione postuma della motivazione. Violazione del divieto di ultrapetizione. Difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, incongruità della motivazione, illogicità e irragionevolezza, travisamento, sviamento") l'appellante rileva che la decisione di rigetto del ricorso di primo grado assunta dal Tar poggia sostanzialmente su un unico elemento e, segnatamente, sulla circostanza che, alle vicende criminose che hanno coinvolto il legale rappresentante della -OMISSIS-, avrebbe partecipato anche l'amministratore delegato di -OMISSIS- S.p.A. fino al 23 luglio 2008. 5.2 - L'appellante evidenzia che dagli elementi versati in giudizio, il Giudice di prime cure avrebbe potuto acquisire contezza del fatto che l'amministratore delegato di -OMISSIS- è stato riconosciuto del tutto estraneo alle vicende criminose in questione, come risulta dalla richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero l'8 dicembre 2013 e dal decreto di archiviazione successivamente emesso in data 8 gennaio 2014. 5.3 - La censura è infondata. La questione del coinvolgimento del legale rappresentante dell'appellante ha una rilevanza trascurabile rispetto all'oggetto del giudizio, costituito dalla revoca del finanziamento. Il Tar si è limitato a dare atto del coinvolgimento del legale rappresentante di -OMISSIS-, come in effetti verificatosi all'inizio del procedimento penale, senza trarre automaticamente da tale circostanza il rigetto del ricorso di primo grado. In questa sede deve darsi atto dell'archiviazione della sua posizione come evidenziato dall'appellante. Come anticipato tale aspetto non è, tuttavia, determinante ai fini della decisione, che deve aver riguardo alla sussistenza dei presupposti dell'atto di ritiro del finanziamento a prescindere dalla specifica posizione assunta dal legale rappresentante del procedimento penale. 6 - Con il secondo motivo ("Violazione, falsa applicazione degli artt. 7 e 10 della L. 7 agosto 1990, n. 241. Violazione, falsa applicazione del punto 16 del D.M. del Ministero delle Attività 25 Produttive del 19 gennaio 2004. Violazione, falsa applicazione dell'art. 97 della Costituzione. Violazione, falsa applicazione dell'art. 24 della Costituzione. Violazione dei principi di imparzialità, buon andamento e correttezza dell'azione amministrativa. Eccesso di potere sotto i profili di difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, carenza di motivazione, contraddittorietà manifesta, illogicità e irragionevolezza, travisamento, sviamento") l'appellante rileva che in base al decreto del Ministero del 19 gennaio 2004, ai fini della revoca dell'anticipazione, il Comitato di Gestione non può limitarsi - in ossequio ai più basilari e minimali principi di tutela del contraddittorio e del diritto di difesa - a prendere atto delle osservazioni conclusive formulate dal Soggetto Gestore, essendo piuttosto tenuto a vagliare accuratamente siffatte osservazioni, nonché, in sede di adozione del provvedimento conclusivo, a dare espressamente conto delle valutazioni compiute al riguardo e ad esplicitare le ragioni per cui le abbia ritenute eventualmente fondate. Secondo l'appellante, tanto MCC, all'atto della formulazione delle osservazioni conclusive, quanto il Ministero, all'atto della adozione del Provvedimento, avrebbero agito in violazioni di tali principi. Nello specifico, il Soggetto Gestore ha proceduto a segnalare che "la motivazione da porre a fondamento del provvedimento definitivo di revoca è quella evidenziata nell'atto di avvio dello stesso", secondo l'appellante, con ciò dando erroneamente per assunto che il Ministero avrebbe dovuto semplicemente aderire a tale posizione. 6.1 - Sotto altro profilo, l'appellante prospetta che l'avvenuto riscontro da parte di MCC, con la nota prot. n. 0010966 del 22 dicembre 2022, alle deduzioni formulate dalla società non poteva consentire al Ministero di esimersi dall'entrare nel merito delle deduzioni presentate dalla società, ivi comprese quelle relative alla non assimilabilità dell'Anticipazione MC11 rispetto all'Anticipazione MC45 e alla conseguente necessità di differenziare le due posizioni. Secondo la società, il Ministero si sarebbe limitato ad adottare il provvedimento "sulla (sola) base delle informazioni trasmesse con la... nota del 21.03.2023", tralasciando integralmente, come invece avrebbe dovuto, di esaminare e valutare autonomamente l'intero corredo documentale, di prendere puntualmente posizione sulle singole contestazioni mosse da MCC e sulle relative deduzioni della società . 6.2 - La censura è infondata. Il provvedimento impugnato è stato adottato sulla base di una motivazione che richiama espressamente "la nota del 22 dicembre 2022 con cui Me. Cr. Ce. s.p.a. ha puntualmente esposto i motivi per i quali le memorie difensive prodotte non possono ritenersi idonee al fine dell'archiviazione dell'avvio del procedimento di revoca". Tale nota è stata inviata dal MCC, quale Soggetto Gestore, dopo aver ricevuto dalla società ricorrente la nota "del 29 ottobre 2022 con cui la -OMISSIS--OMISSIS- s.p.a. ha trasmesso a Me. Cr. Ce. s.p.a. le proprie memorie difensive all'avvio del procedimento di revoca". Tanto precisato, i rilievi di parte appellante non possono trovare accoglimento, dovendosi ricordare, da un lato, che la motivazione dell'atto può essere anche data "per relationem", nel senso che la motivazione può essere espressa anche con riferimento ad atti del procedimento amministrativo, giacché tale richiamo sottintende l'intenzione dell'autorità emanante di farli propri, assumendoli a causa giustificativa della determinazione adottata (cfr. Consiglio Stat, sez. VI, 24 febbraio 2011, n. 1156). Da un altro punto di vista, deve in ogni caso ricordarsi che l'onere di spiegare le ragioni per le quali non si è tenuto conto delle osservazioni presentate dai privati non deve essere inteso in senso formalistico, considerato che tale obbligo viene meno qualora le stesse non avrebbero potuto influenzare effettivamente la concreta portata del provvedimento finale (cfr. Consiglio di Stato, sezione II, sentenza 20 febbraio 2020, n. 1306). 7 - Con il terzo motivo ("Violazione, falsa applicazione del punto 6 del D.M. del Ministero delle Attività Produttive del 19 gennaio 2004. Violazione, falsa applicazione dell'art. 5 della Direttiva del Ministero delle Attività Produttive del 3 febbraio 2003. Violazione, falsa applicazione dell'art. 9 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 123. Violazione, falsa applicazione dell'art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241. Violazione del principio del legittimo affidamento. Eccesso di potere sotto i profili di difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, incongruità della motivazione, illogicità e irragionevolezza, travisamento, sviamento") l'appellante deduce l'illegittimità dell'intervento del Ministero - da cui l'erroneità, anche sotto tale profilo, della sentenza impugnata - stante, da un lato, il decorso del termine di durata della partecipazione, originariamente fissato in un periodo massimo di 7 anni dalla data di acquisizione e poi elevato, per effetto dell'art. 4, comma 11 octies, del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, a 10 anni dalla stessa data ovvero, nel caso di -OMISSIS-, alla data di effettiva scadenza (già intervenuta) del fondo mobiliare gestito che ha acquisito la partecipazione - e, dall'altro lato, l'avvenuta cessione definitiva, in data 26 settembre 2012, dell'intera partecipazione residua inerente alle anticipazioni. Nello specifico, posto che la -OMISSIS- ha provveduto il 16 giugno 2006 ad acquisire la partecipazione in -OMISSIS- a valere inizialmente sull'Anticipazione MC11 - poi cedendola parzialmente (con profitto assegnato ritualmente al Ministero) a gennaio 2008 e dismettendola integralmente il 26 settembre 2012 - e tenuto conto, altresì, che in data 21 novembre 2013 è stato dichiarato il fallimento di detta società, secondo l'appellante dovrebbe concludersi che la posizione relativa alle anticipazioni non può che considerarsi definitivamente chiusa, con la conseguenza che il Ministero e MCC non vantavano, né vantano alcun titolo per procedere legittimamente alla revoca delle stesse anticipazioni. Al riguardo, sarebbero privi di pregio l'assunto contenuto nella nota di MCC prot. n. 0010956/22 del 22 dicembre 2022, ove si legge che è solo la sentenza civile ad avere "evidenziato in più punti argomentativi che non potesse evincersi l'assoluta disinformazione della -OMISSIS- nell'effettuazione del suo investimento in -OMISSIS- originata dall'illecito del leg. Rapp.te -OMISSIS-", nonché le argomentazioni secondo cui di tale sentenza le parti appellante avrebbero acquisito conoscenza solo in seguito alla pubblicazione della sentenza della Corte dei Conti. 7.1 - Anche volendo ritenere che l'intervenuto decorso del termine di 7 anni dalla data di acquisizione, da parte della -OMISSIS-, della partecipazione nel capitale di -OMISSIS- o l'intervenuta cessione totale, nel 2012, della partecipazione detenuta dalla stessa -OMISSIS- nella predetta società non consentano di poter ritenere "chiusa" e "definita" la posizione in questione, l'appellante prospetta che il provvedimento sia comunque illegittimo, in quanto assunto ben oltre un termine ragionevole, tanto più a fronte dell'operato, appunto "inerte", della stessa MCC. Invero, l'atto di ritiro si porrebbe in contrasto con l'art. 21 nonies della L. 7 agosto 1990, n. 241 - dovendosi qualificare l'atto in questione quale annullamento d'ufficio e non come erroneamente ritenuto dal Tar alla stregua di una revoca - nonché con la tutela del legittimo affidamento ad esso sottesa. 7.2 - L'appellante evidenzia inoltre il ruolo di mero soggetto intermediario assunto nell'ambito dell'operazione in questione dalla -OMISSIS-, rispetto alla quale, pertanto, MCC e il Ministero non possono fondatamente vantare il diritto alla restituzione delle anticipazioni erogate. L'unico soggetto dal quale il Ministero avrebbe potuto legittimamente pretendere la restituzione delle somme erogate, a risarcimento del danno subito, è -OMISSIS-, non potendo diversamente ipotizzarsi che, in ragione dell'impossibilità di agire in tal senso per l'intervenuta prescrizione di tale azione, a causa dell'inerzia dello stesso Ministero, quest'ultimo possa oggi, nell'ambito di un procedimento di revoca (per di più successivo di oltre 10 anni rispetto alla cessione delle partecipazioni e di 4 anni dalla sentenza civile), fondatamente pretendere la restituzione di tali somme dalla -OMISSIS- che, quale soggetto intermediario, ha ritualmente e correttamente eseguito il suo compito e alla quale, pertanto, non sono ascrivibili responsabilità, come del resto evidenziato anche dalla Corte dei Conti. 8 - La censura deve trovare accoglimento nei termini di seguito esposti. Il Giudice di primo grado ha ritenuto che nella specie non è stato applicato l'art. 21 nonies della legge 241/1990, avendo l'Amministrazione applicato il diverso istituto della cd. revoca - sanzione, stante l'espresso richiamato al d.lgs. 123/1998 ("Disposizioni per la razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese"), che all'art. 9, rubricato "revoca dei benefici e sanzioni", prevede che "in caso di revoca degli interventi, disposta ai sensi del comma 1, si applica anche una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l'importo dell'intervento indebitamente fruito" (comma 2). In disparte il fatto che anche la difesa del Ministero invoca l'applicazione dell'art. 21 nonies cit., l'assunto in base al quale il Tar ha rigettato la censura in esame non appare risolutivo, posto che, anche laddove si ritenga che la base legale del potere esercitato non sia rintracciabile nell'art. 21 nonies, che limita temporalmente il potere di annullamento di un precedente provvedimento ampliativo della sfera giuridica del destinatario, ciò non significa che sia sempre possibile un intervento, sine die, dell'amministrazione su un beneficio in precedenza attribuito. A prescindere dalla questione se il potere esercitato sia riconducibile all'istituto generale di cui all'art. 21 nonies, piuttosto che ad una specifica ipotesi di revoca-decadenza (vedasi al riguardo Cons. St. Ad. Plen n. 18/2020 secondo la quale "la decadenza, intesa quale vicenda pubblicistica estintiva, ex tunc (o in alcuni casi ex nunc), di una posizione giuridica di vantaggio (c.d. beneficio), è istituto che, pur presentando tratti comuni col più ampio genus dell'autotutela, ne deve essere opportunamente differenziato, caratterizzandosi specificatamente: a) per l'espressa e specifica previsione, da parte della legge, non sussistendo, in materia di decadenza, una norma generale quale quelle prevista dall'art. 21 nonies della legge 241/90 che ne disciplini presupposti, condizioni ed effetti; b) per la tipologia del vizio, more solito individuato nella falsità o non veridicità degli stati e delle condizioni dichiarate dall'istante, o nella violazione di prescrizioni amministrative ritenute essenziali per il perdurante godimento dei benefici, ovvero, ancora, nel venir meno dei requisiti di idoneità per la costituzione e la continuazione del rapporto; c) per il carattere vincolato del potere, una volta accertato il ricorrere dei presupposti") deve comunque esigersi che questo vada esercitato entro un termine ragionevole, avuto riguardo alle circostanze del caso. Ciò che emerge dalla vicenda oggetto di causa appare sintomatico di uno svolgersi dell'attività amministrativa secondo logiche lontane dal modello di correttezza e buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione, come si è andato evolvendo nel diritto vivente. Modello in cui, alla tradizionale ed imprescindibile funzione di garanzia di legalità nel perseguimento dell'interesse pubblico, la funzione amministrativa viene a rivestire anche un ruolo di preminente importanza per la creazione di un contesto idoneo a consentire l'intrapresa di iniziative private, alla quale si collega direttamente la necessità di certezza del quadro giuridico di riferimento che non può, senza una valida giustificazione, essere alterato ad anni di distanza dalla sua originaria stabilizzazione. I princì pi generali di economicità, di efficacia, di buon andamento ed imparzialità, che devono sempre presidiare l'attività amministrativa, impongono che l'amministrazione (pur in assenza della predeterminazione legale del termine massimo per la conclusione del procedimento) deve agire comunque in modo tempestivo, rispettando l'esigenza del cittadino di certezza, nella specifica accezione di prevedibilità temporale, delle conseguenze derivanti dall'esercizio dei pubblici poteri (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 14.02.2022, n. 1081). Nel caso in esame, l'amministrazione, essendone nelle condizioni, doveva agire in modo tempestivo al fine di preservare la specifica esigenza alla certezza economico-giuridica del soggetto direttamente inciso, nonché, indirettamente, al fine di garantire una condizione generale di stabilità del mercato nel quale lo stesso opera e sul quale possono riflettersi gli effetti dell'atto impugnato. Alla luce dei principi innanzi esposti, deve ritenersi che il provvedimento impugnato, comunque lo si voglia qualificare, sia intervenuto immotivatamente in un tempo eccessivamente lontano dai fatti che lo giustificano, rendendo pertanto il ritardo intollerabile e suscettibile di determinare l'illegittimità dell'atto. 8.1 - In fatto: l'appellante ha terminato di acquisire partecipazioni in -OMISSIS- nel 2008. E' pacifico che le partecipazioni sono stata dismesse nel 2012 ed è altrettanto pacifico che, in data 29/11/2012, era pervenuta al soggetto Gestore comunicazione da parte della -OMISSIS- con cui si informava che era stata conclusa la cessione della residua partecipazione complessiva dalla stessa detenuta. A decorrere da quella data non sussisteva più alcuna partecipazione da gestire da parte dell'appellante, il rapporto di partecipazione societaria che aveva avuto origine dalla concessione dell'anticipazione si era dunque chiuso. Il fatto, allegato dal Ministero, per cui l'intermediario non avrebbe fornito notizie in merito all'effettivo incasso delle somme alle scadenze non rileva ai fini del presente giudizio, ove si consideri che la contestazione mossa all'appellante non attiene a tale aspetto, né tale aspetto, per quel che consta, è mai stato formalmente contestato dal Ministero. Anzi, tale circostanza riferita dall'amministrazione doveva costituire un evidente campanello di allarme per quest'ultima che avrebbe potuto e dovuto attivarsi già allora per tutelare la propria posizione. Tanto precisato, l'avvio del procedimento poi sfociato nel provvedimento impugnato è del 30.9.2022; è quindi intervenuto circa dieci anni dopo che la partecipazione in -OMISSIS- era stata liquidata e definitivamente chiusa; durante tale decennio, la -OMISSIS- non aveva ovviamente più svolto alcuna attività connessa all'originario rapporto che ha dato luogo al provvedimento impugnato. 8.2 - Il dato per cui nel 2012 il rapporto doveva ritenersi ormai chiuso si desume dalle seguenti disposizioni del Decreto 19 gennaio 2004 che regola lo specifico finanziamento per cui è causa: - il punto 6 del Decreto prevede che le partecipazioni devono, tra l'altro, "avere una durata massima di sette anni a decorrere dalla data di acquisizione della partecipazione risultante dall'estratto notarile del libro soci"; - il punto 13 prevede che, "Dismessa la partecipazione, il soggetto accreditato deve restituire al Gestore un importo pari al valore di cui al punto 12.2.2 ridotto della commissione di gestione di cui al punto 12.1 e del premio di cui al punto 12.2 con valuta di accredito al Gestore entro un mese dalla data di dismissione risultante dall'estratto notarile del libro soci"; - il punto 14 (Mancata dismissione delle partecipazioni) prevede che: "qualora i soggetti accreditati non abbiano dismesso la partecipazione nel termine di sette anni a decorrere dalla data di acquisizione della partecipazione, risultante dall'estratto notarile del libro soci, sono tenuti a restituire al Gestore l'importo della anticipazione calcolato alla data di scadenza. La restituzione dell'anticipazione deve avvenire con le modalità di cui al punto 13.1. entro il termine di un mese dalla data di scadenza del periodo massimo di detenzione della partecipazione". Dalle disposizioni innanzi richiamate emerge, in primo luogo, come la durata della partecipazione avesse un termine massimo di durata di sette anni (poi elevato, per effetto dell'art. 4, comma 11 octies, del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, a 10 anni); emerge inoltre che, una volta dismessa la partecipazione, scattano gli adempimenti restitutori in favore del Ministero da parte della -OMISSIS- "entro un mese dalla data di dismissione risultante dall'estratto notarile del libro soci" o "entro il termine di un mese dalla data di scadenza del periodo massimo di detenzione della partecipazione". Alla luce delle scansioni temporali predeterminate dal Decreto che regola il finanziamento in questione, siccome l'ingresso in -OMISSIS- risale al 2006, non è dato comprendere per quale ragione il Ministero abbia atteso sino al 2022 per revocare il finanziamento a suo tempo concesso, ovvero dieci anni dopo la dismissione della partecipazione e ben diciotto anni dopo l'iniziale concessione del finanziamento. Seppure a rigore la prospettazione del Ministero - secondo il quale il termine di 7 anni regolerebbe la detenzione della partecipazione e non l'esercizio del potere di revoca - appaia condivisibile, resta il fatto che, siccome nel caso di specie la posizione era stata incontestabilmente liquidata sin dal 2012, da tale data, in base alle disposizioni citate, avrebbero comunque dovuto aprirsi le procedure di chiusura anche dei rapporti tra la -OMISSIS- e il Ministero (entro il termine di un mese) ed in tale frangente avrebbero verosimilmente potuto emergere i fatti poi oggetto degli addebiti di cui al provvedimento impugnato emesso nel 2022. 8.3 - La giustificazione addotta dal Ministero per cui avrebbe acquisito conoscenza dei motivi di revoca solo in seguito alla pubblicazione della sentenza della Corte dei Conti n. 220/2022 non appare sostenibile per le ragioni di seguito spiegate: - lo stesso Ministero ha affermato di avere trasmesso al Gestore, a settembre 2013, l'informativa riservata pervenuta dalla Guardia di Finanza il 24 settembre 2013, recante gli esiti delle indagini condotte nell'ambito del procedimento penale; tale circostanza è valorizzata anche nella sentenza della Corte dei Conti cit.; - nel 2013 la -OMISSIS-, società beneficiaria dell'anticipazione, è stata dichiarata fallita; - la sentenza penale con la quale il legale rappresentante di -OMISSIS- ha patteggiato la pena risale al 15 marzo 2015 e il Mise era stato indicato tra le parti offese nella richiesta di rinvio a giudizio, che risale al 7 maggio 2014; - la sentenza del Tribunale civile di Milano relativa all'azione di responsabilità promossa nei confronti dello stesso risale al 27 novembre 2018. In definitiva: le vicende relative al procedimento penale, i cui fatti sono sostanzialmente i medesimi di quelli portati a giustificazione del provvedimento impugnato, sono emerse ben prima della sentenza della Corte dei Conti e della sentenza del Tribunale civile di Milano (che comunque risale al 2018), dovendosi per l'effetto ragionevolmente ritenere che il Ministero ne dovesse essere consapevole, se non dalla trasmissione della relazione della Guardia di Finanza, quanto meno dall'intervenuta sentenza in sede penale che risale al 2015, rendendo ingiustificato ed intollerabile il ritardo con il quale è stato avviato, solo nel 2022, il successivo procedimento di revoca. 8.4 - Alla luce delle circostanze innanzi evidenziate non risulta risolutivo il richiamo del Ministero al secondo comma dell'art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990, che regola l'annullamento del provvedimento illegittimo conseguito sulla base di false rappresentazioni dei fatti (o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci). Tale richiamo non appare pertinente ove si consideri che: - da un lato, il legale rappresentate dell'appellante è stato completamente scagionato dall'iniziale imputazione penale, non potendosi pertanto ritenere che l'appellante abbia posto in essere un'attività insidiosa atta a giustificare la dilazione del potere di autotutela, dovendosi anzi evidenziare che l'appellante, in qualità di danneggiata, si è costituita parte civile nel procedimento penale ed ha ivi ricevuto parziale ristoro; - in ogni caso, come già osservato, il Ministero già nel 2013 era stato notiziato dalla Giardia di Finanza dei fatti penalmente rilevanti e nel 2015 è intervenuta la sentenza penale di patteggiamento, non essendo dato comprendere le ragioni dell'attesa, sino al 2022, per l'avvio del procedimento di revoca. 9 - L'accoglimento dell'appello nei termini che precedono è idoneo ad esaurire la materia del contendere, non residuando alcun interesse all'esame degli ulteriori motivi di appello con i quali la società contesta la sussistenza di una sua responsabilità per la mancata attuazione del progetto al quale era funzionale l'erogazione dell'anticipazione poi revocata. In ogni caso, si osserva che non era la società di gestione la beneficiaria ultima del finanziamento di cui trattasi. La -OMISSIS-, infatti, ha ricevuto il denaro pubblico non per un vantaggio proprio, ma per investirlo, quale intermediario, in conformità ai modi stabiliti dall'amministrazione in un progetto che quest'ultima ha approvato (ai sensi del punto 8.5 del Decreto, la valutazione dei programmi di sviluppo è effettuata dal Comitato di Gestione). Al riguardo, la Corte dei Conti ha precisato che "l'unico legittimato ad interrompere la prescrizione dell'azione di responsabilità era il titolare del diritto, ossia l'ente danneggiato MISE, per la quota di sua competenza", concludendo nel senso che "L'inerzia del Ministero ha, quindi, causato un danno erariale costituito dalla prescrizione dell'azione di responsabilità esercitata dalla Procura nei confronti di -OMISSIS- e del fall. -OMISSIS- srl" (sentenza n. 220/2022). 10 - Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2019, n. 3110). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. 10.1 - Le spese di lite del doppio grado di giudizio, ad una valutazione complessiva della controversia, possono essere compensate. 11 - Deve infine disporsi la trasmissione della presenta sentenza, unitamente agli atti della causa, alla competente Procura della Corte dei Conti, per ogni eventuale valutazione in riferimento ai fatti emersi nel corso del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta accoglie l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla l'atto impugnato. Spese di lite compensate. Dispone la trasmissione a cura della Segreteria della presente sentenza e degli atti di causa alla competente Procura della Corte dei Conti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche citate nel provvedimento. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Marco Poppi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 31 del 2024, proposto da -OMISSIS-, elettivamente domiciliato presso il domicilio digitale corrispondente all’indirizzo telematico presente nel Registro di Giustizia nonché fisicamente domiciliato a (Omissis), via (…), presso lo studio dell’avv. Mi. De Fi., che lo rappresenta e difende in virtù di procura in atti; contro Comune di (Omissis), in persona Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato presso il domicilio digitale corrispondente all’indirizzo telematico presente nel Registro di Giustizia nonché fisicamente domiciliato presso l’Ufficio Legale di (Omissis), sito in (Omissis), piazza (…), rappresentato e difeso dall’avv. Da. Pi., giusta procura in atti; per l’annullamento, previa sospensione, - del provvedimento del Comune di (Omissis), -OMISSIS-, con il quale è stata disposta l’immediata sospensione dei lavori per le opere di cui alla Scia alternativa al PdC in atti al protocollo -OMISSIS-, in variante alla SCIA di cui al protocollo -OMISSIS-; -di ogni altro atto antecedente, conseguente, preordinato e comunque connesso, ancorché al ricorrente non noto, ivi incluso il provvedimento di sospensione cautelativa prot. -OMISSIS- e i provvedimenti e le comunicazioni espressamente indicati nell'ordinanza -OMISSIS-. Visti il ricorso e i relativi allegati; visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (Omissis); visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Benedetta Bazuro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1 – Con ricorso ritualmente notificato il ricorrente ha impugnato l’atto indicato in epigrafe deducendo che: - il ricorrente aveva presentato un progetto per la demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato rurale sito su proprio terreno in -OMISSIS- nel Comune di (Omissis); - il citato progetto veniva inizialmente presentato ai sensi dell’art.6 della legge regionale del Lazio n. 7 del 18 luglio 2017 (la quale prevedeva il recupero del patrimonio edilizio esistente, previa demolizione e ricostruzione con aumento di volumetria del 20%) e corredato della documentazione all’uopo necessaria, ivi compreso l’accertamento del fabbricato esistente e la sua ricostruzione storica – attraverso documenti, atti e testimonianze – circa la dimensione e la forma originaria del rudere, al fine dell’individuazione della volumetria da ricostruire; - con nota del -OMISSIS-, protocollo -OMISSIS-, il Comune di (Omissis) aveva ordinato di non dare inizio ai lavori in quanto, a suo dire, l’intervento sarebbe stato ricadente in “Zona agricola” e non, come previsto dall’anzidetta L.R. n. 7/2017, in una “porzione di territorio urbanizzato”; - pur non condividendo le motivazioni di tale ordine comunale e con la precisa volontà di concludere nel più breve tempo possibile l’iter burocratico per la realizzazione del fabbricato, il proprietario ed i tecnici interessati avevano presentato un nuovo progetto in data -OMISSIS-, protocollo -OMISSIS- ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dell’art. 55 della legge regionale del Lazio n. 38 del 22 dicembre 1999, le quali, tra le altre cose, consentono la realizzazione degli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza, con aumento della volumetria del 10%; - l’iter procedurale relativo a tale nuovo progetto aveva subito numerose richieste di documentazione integrativa e varianti sulle dimensioni e volumetrie del fabbricato; - infine, ottenuti gli ultimi due pareri richiesti – autorizzazione -OMISSIS- prot. -OMISSIS- e nulla osta idrogeologico prot. -OMISSIS-, in data -OMISSIS-, con prot. -OMISSIS- – il ricorrente aveva trasmesso i calcoli strutturali al Genio Civile e formulato al Comune la richiesta di calcolo degli oneri di urbanizzazione ed eventuali costi di costruzione; - non avendo avuto riscontro alla richiesta ed al successivo sollecito in data -OMISSIS-, prot. -OMISSIS-, il proponente aveva trasmesso la comunicazione di inizio lavori e successivamente i documenti dell’impresa appaltatrice; -a seguito di sopralluogo assieme all’appaltatore per la pulizia superficiale dell’area d’intervento, era emersa, tuttavia, un’eccessiva onerosità sopravvenuta dell’intervento di realizzazione del piano interrato previsto in progetto; sicché, in data -OMISSIS-, prot. -OMISSIS-, il ricorrente presentava una variante, rinunciando al piano interrato, corredata di tutta la documentazione e degli elaborati necessari; - successivamente con nota del -OMISSIS-, prot. -OMISSIS-, il Comune aveva ordinato di sospendere cautelativamente i lavori in quanto, a seguito di verifica dei Carabinieri Forestali della Regione Lazio, era emersa la presenza di un vincolo archeologico insistente sull’area, invero mai confermato; - l’ordine di sospensione era stato, quindi, confermato con provvedimento, prot. -OMISSIS-, all’esito del sopralluogo effettuato dagli stessi tecnici comunali in data -OMISSIS-, coadiuvati dai carabinieri Forestali, dal quale sarebbero inoltre emerse asserite difformità degli elaborati progettuali presentati dal ricorrente a corredo della Scia e raffiguranti la consistenza del fabbricato preesistente con quella riscontrata sul fondo dai tecnici comunali; - a seguito del citato provvedimento di sospensione il ricorrente, pur non condividendo le misurazioni effettuate dai tecnici comunali ed al solo fine di potere celermente dare avvio ai lavori e potere, così, beneficiare delle agevolazioni fiscali del Superbonus 110%, del Sismabonus e dell’Ecobonus, aveva presentato al Comune di (Omissis), in data -OMISSIS-, una nuova variante al progetto avente protocollo -OMISSIS-, conforme ai rilievi comunali in ordine alla consistenza dei vani, alla dimensione esterna ed all’ipotesi di copertura effettuati in occasione del sopralluogo del -OMISSIS-; - di tale nuova variante, il Comune di (Omissis) non aveva tenuto conto, riproponendo, quindi, nell’ordinanza oggi impugnata -OMISSIS-, i medesimi rilievi circa le presunte difformità del progetto originario ed aggiungendovi un ulteriore presunto vincolo di inedificabilità per essere stata la zona d’intervento attraversata dal fuoco in data -OMISSIS-, così come riscontrato dalla Regione Carabinieri Forestale "Lazio" - Nucleo di Gaeta, con nota del -OMISSIS-, in atti al protocollo -OMISSIS-; - detta ordinanza era illegittima per: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 55 della L.R. n. 38/1999, con eccesso di potere per difetto di motivazione, di istruttoria e travisamento dei fatti, atteso che l’ordinanza di sospensione impugnata risultava carente sotto il profilo motivazionale circa le ragioni dell’asserita insufficienza dei documenti prodotti dal ricorrente al fine di dimostrare l’effettiva consistenza del fabbricato prima dei crolli avvenuti nel corso del tempo; 2) violazione dell’art. 10 della legge 21 novembre 2000, n. 353, non essendo applicabile il vincolo di inedificabilità decennale dovuto al passaggio del fuoco, per avere la norma richiamata eccettuato dalla relativa applicabilità l’ipotesi, ricorrente nel caso di specie, di edificazione già consentita sulla base degli strumenti urbanistici vigenti all’epoca dell’incendio. 2 – Si è costituito il Comune di (Omissis) instando per il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto. 3 – Con ordinanza collegiale -OMISSIS- è stata fissata la trattazione del merito del ricorso, reputando il Collegio sussistenti i presupposti di cui al comma 10 dell’art. 55 c.p.a. 4 – All’udienza pubblica del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 5 – Il ricorso va rigettato per le ragioni di seguito esposte. 6 – Va premesso che l’ordinanza in contestazione rappresenta un atto amministrativo c.d. plurimotivato ovverosia non suscettibile, di norma, di annullamento qualora anche uno solo dei motivi posti a fondamento dello stesso fornisca autonomamente la legittima e congrua giustificazione della determinazione adottata; difatti in presenza di provvedimenti con motivazione plurima, solo l’accertata illegittimità di tutti i singoli profili su cui essi risultano incentrati può comportare l’illegittimità e il conseguente annullamento dei medesimi (cfr. per tutte quanto affermato in merito da Cons. Stato, n. 4866/2020, “in presenza di un atto c.d. plurimotivato è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale; in sostanza, in caso di atto amministrativo, fondato su una pluralità di ragioni indipendenti ed autonome le una dalla altre, il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l’esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento (Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2017, n. 2910; sez. V, 12 settembre 2017, n. 4297; sez. V, 21 agosto 2017, n. 4045)”. Tanto premesso l’ordinanza impugnata si basa, in sintesi, sui seguenti motivi: (i) negli elaborati grafici raffiguranti il “Rilievo del fabbricato esistente” allegati alle SCIA presentate dal ricorrente (1)“alternativa al PdC (in variante) acquisita agli atti del Comune di (Omissis) con protocollo -OMISSIS-”; 2) “alternativa al permesso di costruire protocollo -OMISSIS- e successiva protocollo -OMISSIS- e protocollo -OMISSIS-”), viene rappresentato il fabbricato principale completamente diverso da quello esistente, sia per consistenza dei vani, sia per dimensioni esterne ed anche come ipotesi di copertura; (ii) i lavori sono stati sospesi in via cautelativa dalla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le province di Frosinone e Latina, ai sensi dell'art. 28, comma 2, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e s.m.i. protocollo -OMISSIS- del -OMISSIS-; (iii) il manufatto denominato “granaio” delle dimensioni in pianta di circa ml. 4,00 x ml. 5,00 risulterebbe ubicato soltanto in parte nella particella -OMISSIS- (di proprietà -OMISSIS-) ed in parte ubicato nella particella -OMISSIS- di altra proprietà; (iv) l’area di cui trattasi risulta essere stata percorsa dal fuoco l’-OMISSIS-, con conseguente applicazione del divieto edificatorio decennale previsto dall’art. 10, L. n. 353/2000. Ragioni di economia processuale impongono di analizzare preliminarmente l’ultima delle motivazioni riportate nel provvedimento gravato, in quanto la fondatezza della stessa – per le ragioni che si diranno - determina da sé sola il rigetto del ricorso. Come noto l’art. 10 della L. n. 353/2000 (in materia di conservazione e difesa dagli incendi del patrimonio boschivo nazionale) nella sua attuale formulazione (in vigore dall’1 gennaio 2004) dispone al primo comma che, “Le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all'incendio per almeno quindici anni. È comunque consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell'ambiente. In tutti gli atti di compravendita di aree e immobili situati nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il vincolo di cui al primo periodo, pena la nullità dell'atto. Nei comuni sprovvisti di piano regolatore è vietata per dieci anni ogni edificazione su area boscata percorsa dal fuoco. È inoltre vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui detta realizzazione sia stata prevista in data precedente l'incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data…”. Secondo l’interpretazione della norma prospettata dal ricorrente (anche sostenuta da una parte della giurisprudenza amministrativa di primo grado, v. TAR Campania, Salerno, 20 marzo 2023, n. 642), “la circostanza che un’area boschiva sia stata interessata dal passaggio del fuoco non determina ipso facto l’applicabilità del vincolo di inedificabilità decennale in essa contenuto qualora l’edificazione, come per il caso di specie, risultasse già consentita sulla base degli strumenti urbanistici all’epoca vigenti” (cfr. pag. 10, ricorso). Ciò in ragione del fatto che la modifica legislativa operata dall’art. 4, comma 173, della L. n. 350 del 2003 ha eliminato, al primo comma della norma, la necessità ai fini dell'edificazione del rilascio, in data precedente l'incendio, della relativa autorizzazione o concessione edificatoria. Tale ipotesi interpretativa, tuttavia, non appare condivisibile. A ben vedere, infatti, accedendo a tale impostazione ricostruttiva, la disposizione in commento non avrebbe alcuna possibilità logica di essere applicata. Invero, se il divieto decennale edificatorio in essa previsto dovesse intervenire solo in caso di opere edilizie incompatibili con gli strumenti urbanistici vigenti alla data del passaggio del fuoco (perché altrimenti, in caso di compatibilità, opererebbe, in tesi, l’eccezione al divieto prevista dalla stessa disposizione) non si arriverebbe mai alla relativa applicazione perché alcun permesso di costruire sarebbe comunque rilasciabile e, conseguentemente, non si darebbe mai un’ipotesi valutabile di edificio non abusivo il cui terreno venga percorso dalla linea del fuoco. In altri termini la fattispecie astratta – risultante dalla interpretazione indicata dalla parte – coinciderebbe con l’esclusione generale della facoltà edificatoria che, avendo portata di divieto generale, ne eroderebbe l’intero ambito applicativo con conseguente abrogazione non espressa della norma in commento. Diversamente, in base ad una interpretazione che appare più in linea con il generale “principio di conservazione” che permea di sé l’ordinamento giuridico e che conferisca alla disposizione in commento un significato che ne consenta l’applicazione anche dopo la novella del 2003, è evidente che la stessa vada intesa nel senso che il divieto edificatorio decennale è escluso quando, unitamente alla compatibilità con gli strumenti urbanistici vigenti, si accompagni un quid pluris, ravvisabile almeno nella circostanza che l’intervento fosse programmato o che vi fosse stata una localizzazione dell’opera prima del passaggio del fuoco. Se dunque dopo la riforma non è più sostenibile per evitare l’applicazione del divieto posto dalla norma l’ipotesi di un effettivo rilascio della “relativa autorizzazione o concessione” prima dell’incendio, si reputa necessario che vi sia traccia almeno di un “programmato intervento” nei sensi detti, oltre alla mera compatibilità urbanistico-edilizia dell’opera. Tanto chiarito, non vi è dubbio che la norma ed il divieto decennale in essa previsto trovino applicazione nella fattispecie concreta. In tal senso rileva: 1) che la zona di interesse sia stata attraversata dal fuoco in data -OMISSIS-; 2) che non risultino progetti edificatori del manufatto anteriormente alla data del punto che precede, essendo stato riferito dallo stesso ricorrente che il progetto originario di ricostruzione è stato presentato ai sensi dell’art.6 della legge regionale del Lazio n. 7 del 18 luglio 2017 e, evidentemente, in epoca successiva all’occorso incendio. Non essendo, per quanto detto, integrati tutti i requisiti previsti dalla norma per evitare l’applicazione del divieto decennale di edificazione – che avrà termine nell’anno 2027-, l’Amministrazione ha correttamente applicato l’art. 10 cit. intimando al ricorrente di non costruire sul terreno di interesse. Trattandosi di motivazione idonea a sostenere da sola la legittimità del provvedimento impugnato a natura plurimotivata, tanto esime il Tribunale dall’analisi delle ulteriori ragioni di censura sollevate dal ricorrente. 7 – Le spese di lite, tenuto conto della peculiarità della fattispecie, vanno integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa le spese di lite tra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità. Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Davide Soricelli, Presidente Roberto Maria Bucchi, Consigliere Benedetta Bazuro, Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 831 del 2023, proposto da An. Al. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); nei confronti In. An. Ir. Ne., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 1270 del 2023, proposto da Li. Ca. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Ma. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); nei confronti In. An. Ir. Ne., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 1325 del 2023, proposto da Gi. Mi., rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...); nei confronti In. An. Ir. Ne., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 1623 del 2023, proposto da Eu. Cr., rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Ia. e Pi. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); nei confronti In. An. Ir. Ne. ed altri, non costituiti in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 1773 del 2023, proposto da Si. De., rappresentata e difesa dall'avvocato Ro. Al., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...); nei confronti In. An. Ir. Ne., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 1808 del 2023, proposto da Fr. Tr., rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); nei confronti In. An. Ir. Ne., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 1834 del 2023, proposto da El. As. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Ma. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); nei confronti In. An. Ir. Ne., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 4635 del 2023, proposto da Co. Da. Ac. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gi. Nu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l'avvocato Al. Pl. in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); nei confronti In. An. Ir. Ne., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 5023 del 2023, proposto da Re. Za., rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Nu., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Al. Pl. in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); nei confronti In. An. Ir. Ne., non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sezione Terza, n. 16709/2022 Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione e del Merito nell'ambito dei rispettivi giudizi; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 il Cons. Daniela Di Carlo; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Udito l'avvocato Is. Ba. Ma. in sostituzione dell'avvocato Vi. Ia.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Gli appellanti hanno partecipato al concorso pubblico per il reclutamento dei dirigenti scolastici indetto con D.D.G. 23 novembre 2017, n. 1259. Con l'atto introduttivo del giudizio hanno impugnato il Decreto Dipartimentale Dirigenziale del MIUR del 27 marzo 2019 n. 395, con il quale è stato pubblicato l'elenco degli ammessi alla prova orale, nella parte in cui non ricomprendeva il loro nominativo. Nelle more è seguita la pubblicazione delle graduatorie finali della procedura in oggetto, che venivano anch'esse impugnate con motivi aggiunti. 2. Il Tar adito ha respinto il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti, condannando i ricorrenti, in solido tra di loro, al pagamento delle spese processuali liquidate in favore del Ministero in complessivi euro 10.000,00, (diecimila) per compensi professionali, oltre accessori come per legge. 3. Con i separati appelli sono state riproposte tutte le originarie censure, articolate quali ragioni di critica specifica avverso la sentenza impugnata, così nella sostanza devolvendo alla odierna cognizione tutta l'originaria materia del contendere (in particolare, il ricorso, come integrato dai motivi aggiunti, deduceva la violazione dei principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità e buon andamento; la violazione del principio di unicità della prova; la disparità di accesso ai quadri di riferimento; la disparità delle modalità di espletamento delle prove; la disomogeneità nella consultazione dei testi e nella vigilanza; la contraddittoria formulazione dei quesiti della prova scritta; la tardiva adozione e pubblicazione dei criteri di valutazione delle prove; il vizio di composizione delle commissioni concorsuali; la inadeguatezza del supporto informatico, le criticità e anomalie del software "Cineca"; la violazione dell'anonimato nella fase di abbinamento codice candidato e di scioglimento dell'anonimato; la mancanza di trasparenza nelle operazioni di correzione e valutazione degli elaborati scritti). 4. Il Ministero dell'Istruzione e del Merito si è costituito in giudizio nei rispettivi giudizi. 5. Con memoria integrativa i ricorrenti hanno poi rappresentato di avere partecipato, superandola, alla prova di accesso alla procedura di reclutamento straordinaria consistente nel corso intensivo di formazione previsto dall'art. 5, comma 11-sexies, del decreto-legge n. 198/2022, attuato con decreto ministeriale n. 107/2023, riservata ad una particolare platea di beneficiari dettagliatamente individuati dai commi 11 - quinquies e septies, tra i quali sono rientrati per l'appunto anche i ricorrenti. Avendo così definitivamente conseguito il bene della vita al quale anelavano, gli stessi hanno quindi dichiarato di non avere più interesse a coltivare l'appello. 6. Alla udienza pubblica del 21 maggio 2024, le cause sono passate in decisione. 7. Va anzitutto disposta la riunione degli appelli di cui in epigrafe ai sensi dell'art. 96, comma 1, c.p.a. in quanto proposti avverso la medesima sentenza. 8. Alla luce di quanto sopra esposto dagli appellanti nell'ultima memoria integrativa, non resta al Collegio che dichiarare gli appelli improcedibili ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a.. 9. Difatti, in caso di espressa dichiarazione dell'appellante di non avere più alcun interesse alla decisione del ricorso, il giudice non può decidere la controversia nel merito, né procedere di ufficio, né sostituirsi al ricorrente nella valutazione dell'interesse ad agire, ma solo adottare una pronuncia in conformità alla dichiarazione resa, poiché nel processo amministrativo, in assenza di repliche o diverse richieste ex adverso, vige il principio dispositivo in senso ampio, nel senso che parte ricorrente, sino al momento in cui la causa viene trattenuta in decisione, ha la piena disponibilità dell'azione e può dichiarare di non avere interesse alla decisione, in tal modo provocando la presa d'atto del giudice, il quale, non avendo il potere di procedere di ufficio, né quello di sostituirsi al ricorrente nella valutazione dell'interesse ad agire, non può che dichiarare l'improcedibilità del ricorso (Consiglio di Stato sez. V, 22 giugno 2021, n. 4789). 10. Nel caso di specie, peraltro, la dichiarazione della parte corrisponde al contenuto delle decisioni già rese da questa Sezione in contenziosi analoghi [da ultimo, la sentenza n. 4341/2024, in cui si è anche precisato che "11. A prescindere dalla suddetta declaratoria, resa anche al fine di non aggravare le parti private dagli oneri derivanti dalla regolazione delle spese di lite, non può comunque sia sottacersi che non sussisteva alcuna possibile ragione di fondatezza della causa nel merito, essendo stati tutti i profili di censura lamentati da parte ricorrente vagliati e respinti da questo Consiglio di Stato in altre precedenti sentenze da richiamarsi ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d), c.p.a. con valore di precedenti specifici e conformi Sezione VI, n. 219/2023, n. 5147/2021, n. 1013/2021, n. 395/2021, Sezione VII, n. 2086/2022]. 11. In considerazione della natura della sopravvenienza alla base della declaratoria di improcedibilità del ricorso e della costituzione solo formale delle amministrazioni appellate, si valutano sussistenti i presupposti di cui all'art. 92 c.p.c., per come richiamato espressamente dall'art. 26, comma 1, c.p.a., per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li riunisce e li dichiara improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse. Compensa le spese di lite in tutti i giudizi. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere, Estensore Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Laura Marzano - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2233 del 2024, proposto da: Pa. Ba., rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Pa. e Et. Ne., con domicilio digitale pec in registri di giustizia contro Ministero dell'economia e delle finanze, Agenzia del demanio, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui sono domiciliati in Roma, via (...); Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato El. Ca., con domicilio digitale pec in registri di giustizia; Comune di (omissis) e Direzione generale dell'Agenzia del demanio, non costituiti in giudizio per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione quinta, n. 18327/2023. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lazio e del Ministero dell'economia e delle finanze con l'Agenzia del demanio; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 105, comma 2 e 87, comma 3, cod. proc. amm.; Relatore il Cons. Laura Marzano; Udito, nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024, l'avvocato Fr. Pa.; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. In primo grado il ricorrente ha impugnato, mediante ricorso introduttivo e plurimi motivi aggiunti, gli atti con i quali il comune di (omissis), in riferimento alla concessione demaniale marittima n. 41/2003, successivamente prorogata con concessione n. 11/2015, ha preteso il pagamento dei canoni demaniali relativi agli anni 2011 - 2019. In corso di causa il ricorrente ha chiesto anche di disporre la sospensione del giudizio nelle more della definizione del rinvio pregiudiziale ex art. 267 del TFUE disposto da questo Consiglio di Stato nell'ambito di una diversa controversia con l'ordinanza del 15 settembre 2022, n. 8010. 2. Con sentenza n. 18327 del 6 dicembre 2023 il Tar Lazio ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, affermando che il sindacato sulla controversia spetta al giudice ordinario, poiché l'oggetto del contendere va qualificato come domanda afferente alla mera quantificazione dei canoni demaniali. Secondo il Tar il comune di (omissis), nel caso di specie, non ha adottato un provvedimento autoritativo costituente esercizio di un potere pubblico di natura discrezionale, essendosi invece limitato a disporre il ricalcolo del canone annuale per la concessione demaniale marittima, in applicazione dell'aggiornamento quantitativo previsto dall'art. 1, comma 251, del decreto legge n. 296 del 2006. In tale ambito, secondo il primo giudice, non stata effettuata una valutazione discrezionale in merito al canone da versare e il suo esatto ammontare quanto, piuttosto, è stata disposta l'applicazione meccanica di disposizioni dettagliate sul calcolo delle somme dovute a titolo di canoni demaniali all'Ente: si tratterebbe di questioni che esulano dalla giurisdizione del giudice amministrativo. Aggiunge il Tar che le censure sull'esatta individuazione dei beni oggetto di concessione (estensione dell'arenile; diversa classificazione dell'area occupata tra impianti di facile o difficile rimozione; individuazione delle "pertinenze" demaniali; contestazione del punteggio previsto le aree demaniali qualificata ad "alta valenza turistica" di categoria) non coinvolgono l'esercizio di poteri discrezionali incidenti sul rapporto concessorio. 3. L'appellante ha impugnato tale decisione, inter alia, per violazione e falsa applicazione dell'art. 133, comma 1, lett b) cod. proc. amm. e dell'art. 1, comma 251, della legge n. 296/2006, nonché per non avere il Tar disposto la sospensione del giudizio in attesa della definizione del rinvio pregiudiziale disposto con ordinanza della sezione VII di questo Consiglio di Stato, n. 8010, del 15 settembre 2022, sulla seguente questione: "Se gli artt. 49 e 56 TFUE ed i principi desumibili dalla sentenza Laezza (C- 375/14) ove ritenuti applicabili, ostino all'interpretazione di una disposizione nazionale quale l'art. 49 cod. nav. nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull'area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell'obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo". In sintesi l'appellante ritiene che non sussista il difetto di giurisdizione rilevato dal primo giudice, poiché, diversamente da quanto considerato nella sentenza impugnata, nel caso di specie non sarebbe in discussione la mera quantificazione dell'indennità, bensì la qualificazione giuridica stessa del rapporto concessorio, come tale preliminare e sottostante rispetto alla determinazione del canone; quindi la domanda, involgendo il rapporto concessorio, rientrerebbe nell'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo. Con atti di stile si sono costituiti sia la regione Lazio, sia il Ministero dell'economia e delle finanze con l'Agenzia del demanio. In data 10 maggio 2024 l'appellante ha depositato breve memoria qualificata come "replica". Il Ministero delle finanze ha depositato memoria in data 18 maggio 2024 chiedendo la conferma della sentenza impugnata. Nella camera di consiglio del 21 maggio 2024 sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione. 4. Il Collegio richiama un precedente della sezione (14 giugno 2023, n. 5829) che ha deciso un caso ana, da cui mutua le argomentazioni per accogliere il presente appello. Come noto, in tema di concessione dei beni pubblici, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie con un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della pubblica amministrazione a tutela di interessi generali; quando, invece, la controversia coinvolga la verifica dell'azione autoritativa della pubblica amministrazione sul rapporto concessorio sottostante, o quando investa l'esercizio di poteri discrezionali valutativi nella determinazione del canone, e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali (sia nell'an che nel quantum), la stessa è attratta nell'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. Cass. civ., sez. un. 17 dicembre 2020, n. 28973). Con riguardo al caso in esame, dagli atti di causa emerge con chiarezza che l'oggetto del contendere non è costituito dalla mera determinazione del quantum degli oneri concessori dovuti, quanto piuttosto dalla necessità di definire la natura giuridica del rapporto concessorio e di qualificare i beni insistenti sull'area demaniale, da cui poi discende, quale conseguenza, l'imputazione degli oneri e la loro misura, secondo le vigenti disposizioni normative. Costituisce, infatti, principio consolidato, oggetto di plurime pronunce della giurisprudenza amministrativa, conformi all'indirizzo delle Sezioni unite della cassazione, che la previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di concessioni di beni pubblici fa salva la competenza del giudice ordinario solamente ove si controverta su questioni di carattere meramente patrimoniale, con esclusione della qualificazione del rapporto concessorio (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 11 gennaio 2023, n. 375). Qualora, infatti, la determinazione del canone dipenda da una differente interpretazione e da una mutata classificazione della tipologia di occupazione, non può ritenersi che si controverta meramente sulla entità dei canoni dovuti, venendo in rilievo la qualificazione del tipo di utilizzazione delle aree concesse, con conseguente diversità di canone (cfr. Cass. civ., sez. un., 1 luglio 2010, n. 15644). Secondo, infatti, i precedenti della Suprema corte richiamati dal Consiglio di Stato: "3. Sulla questione della spettanza della giurisdizione in caso di rideterminazione dei canoni demaniali marittimi in applicazione della l. n. 296/2006 è sufficiente richiamare: a) l'ordinanza delle Sezioni unite della Corte di cassazione 17 giugno 2010, n. 14614, da cui si desume che la previsione normativa secondo cui la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di concessione di beni pubblici, non si estende alle controversie "concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi...." (art. 133, co. 1, lett. b), c.p.a., già art. 5, l. Ta.r.) va interpretata nel senso che la giurisdizione del giudice ordinario ha per oggetto le controversie di contenuto meramente patrimoniale, ovvero inerenti quantificazione e pagamento dei corrispettivi in questione, e purché non entri in discussione la qualificazione del rapporto concessorio, con esercizio di poteri discrezionali da parte dell'Amministrazione, dovendosi riconoscere in tal caso la cognizione del giudice amministrativo, in presenza sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi; b) l'ordinanza delle Sezioni unite della Cassazione 1° luglio 2010, n. 15644 secondo cui la rideterminazione del canone di occupazione di beni del demanio marittimo da parte dell'Autorità portuale, a seguito di una differente interpretazione e di una mutata classificazione della tipologia di occupazione, spetta alla giurisdizione amministrativa, presupponendo un provvedimento amministrativo con cui l'Autorità incide sull'economia dell'intero rapporto concessorio, attraverso l'esercizio di poteri autoritativi. 4. Anche la giurisprudenza della Sezione ha affermato che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo per il contenzioso relativo ai provvedimenti di rideterminazione del canone demaniale per le concessioni marittime, in applicazione dell'art. 1, co. 251, l. n. 27 dicembre 2006, n. 296, trattandosi non di mera quantificazione del canone, ma di integrale revisione previa ricognizione tecnico-discrezionale del carattere di pertinenze demaniali marittime delle opere, in precedenza realizzate dal concessionario, nonché in considerazione dell'inamovibilità, o meno, delle stesse; la rideterminazione degli equilibri dell'intero rapporto concessorio, a seguito dell'applicazione della nuova normativa, non può dunque che configurare una fattispecie rientrante nella giurisdizione del giudice amministrativo, in conformità ai principi in precedenza richiamati (Cons. St, sez. VI, 26 maggio 2010, n. 3348)" (Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 787). Nel caso in esame l'oggetto del contendere è costituito dalla verifica della corretta interpretazione e qualificazione del rapporto di concessione, da cui discendono conseguenze in tema di determinazione del canone, essendo quest'ultimo un aspetto subordinato e condizionato dal primo. Venendo, dunque, in rilievo la verifica dell'azione autoritativa della pubblica amministrazione sull'economia dell'intero rapporto concessorio, il conflitto tra amministrazione e concessionario si configura secondo il binomio potere-interesse (v. Cass. civ., sez. un, 12 gennaio 2007, n. 411; il 23 ottobre 2006, n. 22661). In conclusione, l'appello è fondato e va accolto. Come noto, laddove sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, declinata in primo grado dal Tar, il giudice di secondo grado non può che annullare la sentenza impugnata, senza ulteriore trattazione della causa, (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7510), poiché nel caso di erronea declaratoria di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella sentenza di primo grado la causa deve essere rimessa al Tar, ai sensi dell'art. 105 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6492). Dunque la sentenza impugnata va annullata, con rinvio al giudice di primo grado, secondo le modalità di cui all'art. 105, comma 3, del codice del processo amministrativo, non potendo il Consiglio di Stato pronunciarsi nel merito (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 847). 5. In ragione della particolarità della questione di giurisdizione esaminata, si può disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tar del Lazio, dinanzi al quale il giudizio dovrà essere riassunto entro il termine di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1938 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Za. e Ma. Da. Ma. Fe., con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Milano, via (...); contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliato ex lege in Milano, via (...); per l'annullamento del decreto avente prot. n. -OMISSIS- datato 19.06.2023 e verbale prot. n. 10 del 21.04.2023; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024 la dott.ssa Silvia Cattaneo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il sig. -OMISSIS- - sovrintendente della Polizia di Stato - ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe con cui è stato destituito dall'Amministrazione della Pubblica Sicurezza per questi fatti: tra il maggio e l'agosto 2010, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, abusando della qualità di pubblico ufficiale in servizio presso l'aeroporto di -OMISSIS-, ha indotto cittadini stranieri, in arrivo o in transito presso lo scalo aereo, a corrispondergli somme di denaro in cambio della concessione del diritto all'ingresso o al transito nel territorio nazionale; in particolare in data 17 agosto 2010 ha indotto una cittadina paraguayana a corrispondergli la somma di euro 500, come accertato con sentenza della Corte d'Appello di Milano n. -OMISSIS- del 29.4.2022, di condanna per il delitto di cui all'art. 317 c.p. (concussione). 2. Queste le censure dedotte: I. violazione art. 24, comma 2, Costituzione italiana - diritto di difesa. Violazione del principio di tempestività dell'azione disciplinare e violazione art. 103 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Violazione dell'art. 11 D.P.R. n. 737/81 in erronea applicazione in violazione della precisazione del C.D.S. in A.P. n. 1/2009. Violazione legge n. 241/90 per omessa motivazione di tardività della contestazione di addebito; II. violazione principio di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione. Violazione art. 13 D.P.R. n. 737/81 - Eccesso di potere - Mancanza di proporzionalità, gradualità con contraddittorietà ed illogicità tra la determinazione assunta e le risultanze istruttorie documentali in relazione allo stato di servizio e precedenti disciplinari oltre a difetto istruttorio procedimentale, difetto istruttorio e di motivazione. Violazione legge n. 241/90 art. 2 e 3; III. violazione art. 19, comma 4, D.P.R. n. 737/1981; IV. eccesso di potere per violazione di legge n. 241/90 in difetto istruttorio e motivazionale, contraddittorietà ed illogicità ; V. violazione art. 20, comma 2, d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737. Violazione diritto di difesa. 3. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'interno, chiedendo il rigetto nel merito del ricorso. 4. All'udienza del 23 aprile 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 5. Con il primo motivo viene contestata la violazione dell'art. 103, d.P.R. n. 3/1957 e dell'art. 11 d.P.R. n. 737/81. Il procedimento disciplinare sarebbe stato avviato, con la notifica della contestazione dell'addebito, il 18.2.23, tardivamente: i fatti posti a fondamento del procedimento disciplinare sarebbero stati già noti all'amministrazione sin dalla data in cui si sono verificati, il 17.8.2010, come risulterebbe dal verbale di arresto e dal decreto di sospensione. Sarebbe stato quindi leso il diritto di difesa del ricorrente stante l'ampio lasso di tempo intercorso dagli eventi. 6. Il motivo è infondato. Per giurisprudenza costante in materia di contestazione degli addebiti disciplinari a carico di agenti della Polizia di Stato non è previsto dall'art. 12, del d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 - che costituisce la normativa speciale rispetto a quella generale dettata dal T.U. n. 3 del 1957 - alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti, con la conseguenza che l'amministrazione procedente deve ottemperare solo ad una regola di ragionevole prontezza nella contestazione degli addebiti. Anche l'uso del termine "subito" nel contesto dell'art. 103, T.U. impiegati civili dello Stato, ai fini della contestazione degli addebiti, presenta mera valenza sollecitatoria, con la conseguenza che residua all'amministrazione un ampio spazio di azione ai fini dell'espletamento degli adempimenti finalizzati al reperimento e alla valutazione degli elementi relativi alle vicende oggetto di esame (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2863; Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 11 febbraio 2019, n. 365; Tar Campania, Napoli, sez. VI, 25 marzo 2015, n. 1743; Tar Lazio, Roma, sez. I, 3 novembre 2014, n. 10988; Tar Puglia, Bari, sez. I, 15 novembre 2012, n. 1945; Tar Molise, 7 settembre 2017, n. 284). Le disposizioni di cui agli articoli 9 e 11, d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (recante la disciplina delle sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti) prevedono, poi, l'obbligo dell'amministrazione di non dare inizio al procedimento disciplinare o di sospendere il procedimento già avviato dal momento in cui viene esercitata l'azione penale (con gli atti tipizzati dal vigente codice di procedura penale); in particolare, l'art. 11 prevede che "quando l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza viene sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato". Nel caso in esame l'azione disciplinare è stata legittimamente esercitata con la contestazione degli addebiti, in data 18.2.2023. Non può invero ritenersi che dovesse darsi avvio all'azione disciplinare in un momento antecedente l'esercizio dell'azione penale (con la richiesta di rinvio a giudizio del 6.7.2011), allorché è scattato l'obbligo di sospensione previsto all'art. 11, d.P.R. n. 737/1981: la complessità della vicenda, la gravità dei fatti contestati e la necessità di una completo e definitivo accertamento degli stessi hanno giustificato pienamente l'attesa della definitiva conclusione del procedimento penale, anche nell'interesse del ricorrente. Di ciò si trae conferma dall'andamento dal giudizio penale e dalla lettura delle motivazioni delle sentenze (con sentenza n. -OMISSIS- del 5 febbraio 2015 del Tribunale di -OMISSIS- il ricorrente è stato condannato per i reati di cui all'art. 319 quater c.p. e all'art. 72, l. n. 121/1981 alla pena di 3 anni e 4 mesi di reclusione, alle sanzioni accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di 5 anni e dell'estinzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 32 quinquies c.p.; la condanna è stata confermata con sentenza della Corte d'appello di Milano n. -OMISSIS-; la sentenza è stata annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione per mancato esame della persona offesa, cui l'imputato aveva condizionato la richiesta di rito abbreviato; con la sentenza n. -OMISSIS-del 15 gennaio 2019 la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di -OMISSIS-; anche quest'ultima sentenza è stata annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione, sempre per il mancato esame della persona offesa; con sentenza n. -OMISSIS- la Corte d'appello di Milano ha riqualificato il fatto nella fattispecie di cui all'art. 317 c.p., ha dichiarato di non doversi procedere in relazione al delitto di cui all'art. 72, l. n. 121/1981, in quanto estinto per intervenuta prescrizione, ha, quindi, rideterminato la pena in anni 2 e mesi 8 di reclusione, ha ridotto la sanzione accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la stessa durata della pena escluso la sanzione accessoria ex art. 32 quinquies c.p.; infine, il ricorso in Cassazione proposto avverso la sentenza è stato rigettato con sentenza del 24.1.2023). 7. Con il secondo motivo vengono dedotti i vizi di violazione del principio di proporzionalità, difetto di istruttoria e di motivazione: l'amministrazione non avrebbe considerato le caratteristiche e le qualità del ricorrente, che il fatto contestato sarebbe l'unico errore grave commesso nel corso della carriera, che gli otto anni di servizio svolti successivamente al rientro in servizio, avvenuto il 17.08.2015, sono stati valutati con giudizi di distinto nella documentazione caratteristica, che il ricorrente, nell'anno 2015, è stato ritenuto in possesso dei requisiti psico-fisici ed attitudinali prescritti dall'art. 2 del Decreto del Ministero dell'Interno 30 giugno 2003, n. 198 e il lasso di tempo di oltre 13 anni intercorso dai fatti. 8. Con il quarto motivo viene dedotto il vizio dell'eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà : quanto affermato nel provvedimento impugnato circa il venir meno del vincolo fiduciario contrasterebbe con il regolare servizio svolto dal ricorrente negli ultimi otto anni, dal rientro in servizio, il 17.08.2015, fino alla destituzione. 9. Le censure - che possono essere esaminate congiuntamente in quanto strettamente connesse - sono infondate. Per pacifica giurisprudenza le valutazioni dell'amministrazione in materia di sanzioni disciplinari sono connotate da ampia discrezionalità, anche quelle in ordine alla valutazione dei fatti ascritti al dipendente, al convincimento sulla gravità delle infrazioni e alla conseguente sanzione da infliggere - ciò in considerazione degli interessi pubblici che devono essere attraverso tale procedimento tutelati - con la conseguenza che il provvedimento disciplinare sfugge ad un pieno sindacato di legittimità del giudice, il quale non può sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall'amministrazione, salvo che queste ultime siano inficiate da travisamento dei fatti, evidente sproporzionalità o qualora il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente ovvero sia viziato da palese irrazionalità (Cons. Stato, sez. II, 4 luglio 2023, n. 6524; id. 27 giugno 2022, n. 5261; id. 30 marzo 2022, n. 2337; id., sez. IV, 10 febbraio 2020, n. 1013). La sanzione della destituzione irrogata nel caso di specie non può ritenersi illogica in ragione della particolare gravità del reato commesso e del palese contrasto della condotta tenuta con il dovere di agire con disciplina e onore nell'adempimento delle proprie funzioni previsto all'art. 54 Cost., delle risultanze degli accertamenti penali che hanno evidenziato la non occasionalità della condotta e dell'accertamento della responsabilità anche per il delitto di cui all'art. 72, l. n. 121/1981 (abbandono del posto di servizio), pur dichiarato prescritto. Gli elementi addotti dal ricorrente non inducono a una diversa conclusione: i fatti non sono così risalenti nel tempo da escludere una loro rilevanza disciplinare e, comunque, il lasso di tempo intercorso è conseguenza della durata e della complessità del procedimento penale; quanto alla riammissione in servizio, essa è stata disposta unicamente in conseguenza del decorso del periodo massimo di sospensione dal servizio previsto all'art. 9, l. n. 19/1990. 10. Il terzo motivo ha ad oggetto la violazione dell'art. 19, comma 4, d.P.R. n. 737/1981, disposizione che prevede che, in ipotesi di avvio del procedimento disciplinare per l'applicazione della sanzione della sospensione dal servizio o della destituzione, il funzionario istruttore debba appartenere ad un servizio diverso da quello dell'incolpato: il ricorrente, al momento dell'istruttoria disciplinare, svolgeva servizio presso l'ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico ed il dirigente di tale articolazione sarebbe il soggetto nominato funzionario istruttore, il-OMISSIS-. 11. La censura è infondata. Con ordinanza n. 1016/2023, resa in sede di esame dell'istanza cautelare proposta dal ricorrente, il Tribunale ha ritenuto necessario, ai fini della decisione del merito, acquisire agli atti del giudizio una documentata relazione affinché l'amministrazione resistente chiarisse quale fosse il servizio cui era assegnato il -OMISSIS-alla data del 10.2.2023, in cui è stato nominato funzionario istruttore, e quale fosse il servizio cui era assegnato il ricorrente, specificando se vi sia stata totale coincidenza e, se del caso, per quanto tempo. In adempimento alla richiesta istruttoria il Ministero dell'interno ha depositato in giudizio: - la nota prot. n. -OMISSIS-del 26 settembre 2022, che ha disposto l'invio in missione del -OMISSIS-presso la Questura di -OMISSIS- nell'ambito della procedura volta al conferimento delle funzioni di Dirigente della Divisione Anticrimine, con decorrenza 3 ottobre 2022; - la comunicazione del 3 novembre 2022, con cui è stato disposto il trasferimento d'ufficio del -OMISSIS-, con decorrenza 4 novembre 2022, confermativo dell'incarico già assegnatogli di Dirigente della Divisione Anticrimine; - la nota del 9 febbraio 2024 in cui viene specificato che il sig. -OMISSIS-, il giorno 10 febbraio 2023, era inquadrato nell'Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico - Ufficio "Trattazione atti di P.G. e Ricezione denunce" ed era collocato in congedo ordinario fino al 10 marzo 2023. Questi documenti sono sufficienti ad escludere l'identità dei servizi di appartenenza del -OMISSIS-e del sig.-OMISSIS-e che sia stato violato l'art. 19, comma 4, d.P.R. n. 737/1981. Quanto sostenuto dal ricorrente circa l'attribuzione al -OMISSIS-della sovrintendenza dell'Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico si pone in contrasto con le risultanze dell'istruttoria e non è stato supportato da alcun idoneo elemento di prova: tale non è il documento n. 24, trattandosi di un comunicato sindacale - oltretutto privo di data e di sottoscrizione - che riporta lo stralcio di una nota priva di qualsiasi elemento che consenta di affermarne la provenienza dall'amministrazione resistente. La censura non merita pertanto accoglimento. 12. Il quinto motivo ha ad oggetto la violazione dei termini a difesa e delle garanzie procedimentali previste all'art. 20, comma 2, d.P.R. n. 737/1981. Il consiglio provinciale di disciplina ha fissato una prima convocazione, per la data del 13.4.2023, con atto notificato all'interessato il 5.4.2023, in violazione dell'art. 20, comma 2, d.P.R. n. 737/81; a fronte della giusta causa che ha impedito al ricorrente di essere presente, il consiglio di disciplina non avrebbe notificato la nuova convocazione (prevista per il giorno 21.04.2023) al dipendente, il quale ne avrebbe avuta notizia solo verbale ed il giorno precedente e non avrebbe avuto il tempo di redigere una memoria scritta. 13. Anche questa censura è priva di fondamento. L'art. 20, ai commi 1 e 2, d.P.R. n. 737/1981 prevede che "il consiglio centrale o provinciale di disciplina è convocato dall'organo indicato nell'art. 16 entro dieci giorni dalla ricezione del carteggio. Nella prima riunione il presidente ed i membri del consiglio esaminano gli atti e ciascuno di essi redige dichiarazione per far constatare tale adempimento; indi il presidente nomina relatore uno dei membri e fissa il giorno e l'ora della riunione per la trattazione orale e per la deliberazione del consiglio che dovrà aver luogo entro quindici giorni dalla data della prima riunione del consiglio stesso. Il segretario, appena terminata la prima riunione, notifica per iscritto all'inquisito che dovrà presentarsi al consiglio di disciplina nel giorno e nell'ora fissati, avvertendolo che ha facoltà di prendere visione degli atti dell'inchiesta o di chiederne copia entro dieci giorni e di farsi assistere da un difensore appartenente all'Amministrazione della pubblica sicurezza, comunicandone il nominativo entro tre giorni; lo avverte inoltre che, se non si presenterà, né darà notizia di essere legittimamente impedito, si procederà in sua assenza". Nel caso di specie la norma non è stata violata in quanto: - non assume rilievo la comunicazione della riunione del 13.4.2023, con un anticipo inferiore a 10 giorni, poiché la riunione non si è svolta per legittimo impedimento del ricorrente; - con nota del 7.4.2023 il ricorrente ha presentato istanza di accesso ed ha nominato un difensore (doc. 31 del Ministero); - il differimento della riunione alla data del 21.4.2023 è stato comunicato al difensore del ricorrente (doc. 34 del Ministero); - la riunione si è tenuta in una data (il 21 aprile 2023) in cui l'interessato aveva avuto accesso al fascicolo inerente il procedimento disciplinare e si è svolta con la partecipazione del difensore del ricorrente, senza che questi abbia chiesto un termine a difesa. Non vi è stata dunque alcuna lesione del diritto di difesa e dell'art. 20, d.P.R. n. 737/1981. 14. Per le ragioni esposte il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto. 15. Per la peculiarità della controversia le spese di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Gabriele Nunziata - Presidente Silvia Cattaneo - Consigliere, Estensore Silvia Torraca - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2200 del 2023, proposto da Ca. Lo Ia., rappresentata e difesa dall'avvocato Gu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Sa. Ba. ed altri, non costituiti in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 9370 del 2022, proposto da Ma. Ca. Ai. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gu. Ma. in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Sa. Ba. ed altri, non costituiti in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 1265 del 2023, proposto da Em. Ca., rappresentata e difesa dall'avvocato Gu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gu. Ma. in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Sa. Ba. ed altri, non costituiti in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 1778 del 2023, proposto da Vi. Al. Pi., rappresentato e difeso dall'avvocato Gu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gu. Ma. in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Sa. Ba. ed altri, non costituiti in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 9548 del 2022, proposto da An. Bi. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gu. Ma. in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Sa. Ba. ed altri, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per Il Lazio (sezione Terza) n. 14365/2022, resa tra le parti: Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Marco Morgantini; Nessun avvocato è presente; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue; FATTO e DIRITTO 1. Parte ricorrente - appartenente al personale docente della scuola - partecipava al concorso per dirigenti scolastici indetto con D.D.G. 23.11.2017 n. 1259, sostenendo la prova scritta concorsuale che si svolgeva in forma computerizzata. A seguito della mancata ammissione alla prova orale, veniva proposto ricorso in primo grado. Con la sentenza appellata, è stato respinto il ricorso proposto in primo grado. 2. Gli appelli sono divenuti improcedibili per sopravvenuta carenza d'interesse, come dichiarato dalla stessa parte appellante con nota depositata in giudizio. Con l'art. 5, comma 11-quinquies del decreto legge n° 198/2022, il legislatore, al dichiarato fine "di coprire i posti vacanti di dirigente scolastico", nonché di "prevenire le ripercussioni sull'Amministrazione dei possibili esiti dei contenziosi pendenti" in relazione al concorso indetto con decreto del direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca n. 1259 del 23 novembre 2017 - oggetto del presente giudizio - ha previsto l'organizzazione di un corso intensivo di formazione con espletamento di una prova finale, le cui modalità di partecipazione dovranno essere definite con decreto del Ministro dell'istruzione e del merito da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 198 del 2022. Al corso intensivo di formazione sono ammessi i partecipanti al concorso di cui al primo periodo che abbiano sostenuto almeno la prova scritta e a condizione che, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto: a) abbiano proposto ricorso entro i termini di legge e abbiano pendente un contenzioso giurisdizionale per mancato superamento della prova scritta del predetto concorso; b) abbiano proposto ricorso entro i termini di legge e abbiano pendente un contenzioso giurisdizionale per mancato superamento della prova orale del predetto concorso ovvero abbiano superato la prova scritta e la prova orale dopo essere stati ammessi a seguito di un provvedimento giurisdizionale cautelare, anche se successivamente caducato. Parte ricorrente versa proprio nelle condizioni descritte dalla suddetta previsione, avendo partecipato al corso intensivo, come stabilito dal successivo comma 11-sexies del citato articolo 5., a seguito del superamento, "con un punteggio pari ad almeno 6/10, di una prova scritta, basata su sistemi informatizzati, a risposta chiusa". Ne deriva, quindi, che, per effetto della richiamata sopravvenienza normativa, parte ricorrente ha conseguito l'anelato bene della vita sotteso alla proposizione del giudizio in trattazione. Alla luce di quanto sopra esposto, non resta al Collegio che dichiarare l'improcedibilità per sopravvenuta carenza d'interesse (in senso ana Consiglio di Stato VII n. 3756 /2024, 3759/2024 n. 3760/2024 n. 3763/2024, n. 2265/2023 n. 2305/2023 n. 4696/2023 n. 5160/2023). Le motivazioni dell'improcedibilità, dichiarata dalla stessa parte appellante, in relazione alla sopra richiamata normativa sopravvenuta, giustificano la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li dichiara improcedibili per sopravvenuta carenza d'interesse. Spese del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Stralcio ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8540 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Ma. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno e Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del rispettivo Ministro pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, via (...); per l'accertamento e la declaratoria del diritto del ricorrente al riconoscimento e alla percezione - sino al soddisfo - anche degli effetti economici derivanti ex lege dal decreto di promozione alla qualifica di -OMISSIS- del Dipartimento della Pubblica Sicurezza - Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza del -OMISSIS-, con corresponsione delle correlate somme dovute a titolo di Trattamento di Fine Servizio; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Ministero dell'Economia e delle Finanze; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato PNRR del giorno 24 maggio 2024, tenutasi da remoto con modalità telematiche, il dott. Paolo Nasini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Il ricorrente, già -OMISSIS- della Polizia di Stato, è stato collocato in quiescenza, con decorrenza -OMISSIS-, per aver raggiunto, all'età di 63 anni, il limite temporale per la permanenza in servizio, previsto ex lege. Al ricorrente, in data -OMISSIS-, è stato notificato il relativo provvedimento di promozione alla qualifica di -OMISSIS- di Pubblica Sicurezza, con decorrenza -OMISSIS- - quale data precedente alla sua cessazione dal servizio per raggiunti limiti di età - provvedimento recante, nel preambolo normativo, il riferimento sia all'art. 1, comma 260, lett. b) l. 23 dicembre 2005, n. 266, quale fonte normativa di riferimento funzionale, sia al d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. con mod. in l. 30 luglio 2010, n. 122, sia al d.l. 26 marzo 2011, n. 27, conv. con mod. in l. 23 maggio 2011. Con ricorso depositato in data 3 luglio 2019 l'odierno ricorrente, ha chiesto che sia accertato il suo diritto al riconoscimento anche degli effetti economici di natura pensionistica e previdenziale derivanti ex lege dal decreto di promozione alla qualifica di -OMISSIS- del -OMISSIS-, con corresponsione delle correlate somme dovute anche a titolo di Trattamento di Fine Servizio. A fondamento del ricorso, il ricorrente ha dedotto, in sintesi: 1. la violazione della legge 266/2005, in ragione dell'illegittima applicazione del d.l. n. 78/2010, conv. in l. n. 122/2010; in particolare, il ricorrente ha lamentato che il sopracitato decreto avrebbe fatto illegittima applicazione della normativa indicata, la quale avrebbe "l'evidente finalità di attribuire illegittimamente i soli effetti giuridici all'atipica promozione del -OMISSIS- della Polizia di Stato, prevista invece ex lege (...) con i conseguenti effetti pensionistici e previdenziali", il tutto con assimilazione alla posizione dei -OMISSIS- destinatari di progressioni di carriera "eventualmente disposte" nel triennio 2011, 2012 e 2013, cioè "nel corso delle ordinarie, tipiche ed effettive progressioni di carriera per coloro che permangono in servizio, progressioni caratterizzate, altresì, da meccanismi di adeguamento automatico degli stipendi e prolungamento dell'età di pensionamento sino al compimento del 65° anno di età anziché del 63". In sostanza, "tale illegittima assimilazione del provvedimento de quo alle previsioni di cui all'art. 9 comma 21 della Legge 30 luglio 2010, n. 122 determina un'evidente e macroscopica disparità di trattamento - da una parte rispetto ai colleghi di pari qualifica -OMISSIS- del ricorrente che hanno usufruito, antecedentemente al 1 gennaio 2011, del trattamento di quiescenza ex lege 266/2005, pertanto con promozione alla qualifica superiore il giorno precedente il collocamento in quiescenza, ma con l'attribuzione dei legittimi, connessi benefici di carattere sia giuridico che economico - dall'altra rispetto ai colleghi di pari qualifica -OMISSIS- interessati, ex post, dal trattamento di quiescenza solo con decorrenza 1 gennaio 2014"; il decreto sopra citato, quindi, in tesi, "lede gravemente la situazione giuridica soggettiva del ricorrente per il consequenziale svilimento e la mortificazione del più generale principio del legittimo affidamento riposto dal ricorrente medesimo sui diritti acquisiti e consolidati, derivanti dall'applicazione della legge 266/2005, la cui ratio ispiratrice trova il suo logico fondamento nell'intenzione del legislatore di riequilibrare le posizioni giuridiche soggettive dei -OMISSIS- della Polizia di Stato rispetto alla riforma della dirigenza del pubblico impiego di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, le cui previsioni avevano eliminato la qualifica di dirigente superiore - intermedia tra quella di primo dirigente e -OMISSIS- - immutata ed invariata nei ruoli dirigenziali della Polizia di Stato"; 2. secondo il ricorrente il travisamento del quadro normativo avrebbe indotto l'Amministrazione a condurre un'istruttoria insufficiente ed errata. Si sono congiuntamente costituiti in giudizio il Ministero dell'Interno ed il Ministero dell'economia e delle finanze, per resistere al ricorso. All'udienza straordinaria di smaltimento PNRR del 24 maggio 2024 la causa è stata trattenuta per la decisione. La definizione della controversia può prescindere dalle questioni in rito in ragione dell'infondatezza delle questioni in diritto dedotte da parte ricorrente, già respinte dall'intestato Tar in fattispecie similari (si vedano, ex plurimis, Tar Lazio, sez. I stralcio, 4 marzo 2024, n. 4390; Tar Lazio, 9 ottobre 2023, n. 14862). Non è contestato che al ricorrente - collocato a riposo per raggiunti limiti di età - è stata riconosciuta la c.d. promozione alla vigilia a decorrere dal giorno precedente al pensionamento: un istituto che, ad avviso della giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., 5 maggio 2021 n. 92), è stato finalizzato "ad attenuare la rigidità del meccanismo di sviluppo della carriera militare che si caratterizzava, stante la struttura piramidale del relativo apparato, per un numero particolarmente limitato di posti nelle qualifiche superiori della scala gerarchica": dunque, un istituto connotato, come ha recentemente statuito la Sezione, "da profili di specialità e che non avrebbe potuto persistentemente essere applicato, indiscriminatamente e con effetto sostanzialmente automatico con riguardo agli emolumenti pensionistici, ad Amministrazioni - come il Ministero dell'Interno - caratterizzate da dotazioni organiche particolarmente numerose ed articolate" (cfr. TAR Lazio - Roma, 27 giugno 2023, n. 10853). Nondimeno, in ragione della data di promozione (anteriore di un giorno al pensionamento), al ricorrente non può che essere applicato l'art. 9, comma 21 del DL 78/2010, convertito con legge 122/2010, in cui si prevede che "per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici". Nella sopra citata sentenza della Corte Costituzionale n. 92/2021 si è, in particolare, osservato che "l'ampiezza della formula utilizzata dall'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, laddove per delineare il perimetro di applicazione e la portata del blocco retributivo fa riferimento alle "progressioni in carriera comunque denominate", comporta che rientra nella relativa disciplina anche quella contemplata dall'abrogato art. 1076, comma 1, cod. ordinamento militare, in quanto non è prevista per tale ipotesi alcuna deroga al meccanismo generale del blocco": il riferimento, cioè, alle promozioni "in particolati situazioni degli ufficiali", ai quali era stato riconosciuto il diritto alla promozione al grado superiore, in aggiunta alle promozioni previste, dal giorno precedente a quello del raggiungimento dei limiti di età . Hanno soggiunto i giudici della Consulta che "anche la promozione "alla vigilia" rappresenta una progressione in carriera ancorché di efficacia limitata ad un solo giorno e quindi, non essendo eccettuata dal generale regime di blocco della progressione economica in tutto il pubblico impiego, rientra anch'essa nell'ampia nozione di "progressioni in carriera comunque denominate", con conseguente assoggettamento alla disciplina limitativa censurata nella parte in cui ha previsto che esse hanno effetto, per gli anni del blocco, "ai fini esclusivamente giuridici". Le ricadute sul trattamento pensionistico in caso di collocamento in quiescenza nel periodo del blocco sono già state esaminate da questa Corte nella richiamata pronuncia (sentenza n. 200 del 2018), secondo cui la "circostanza che, superato il quadriennio, al dipendente "promosso" sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche sul piano (contributivo e) previdenziale e del trattamento pensionistico, si giustifica - senza che perciò sia leso il principio di eguaglianza - per l'incidenza del "fluire del tempo" che costituisce sufficiente elemento idoneo a differenziare situazioni non comparabili e a rendere applicabile alle stesse una disciplina diversa (ex plurimis, sentenze n. 104 del 2018, n. 53 del 2017, n. 254 del 2014)"". Alla luce della chiara posizione espressa dalla Corte è, pertanto, destituito di fondamento l'assunto del ricorrente secondo cui la promozione alla vigilia non potrebbe essere assimilata ad una "progressione di carriera". Nello stesso senso si è posta la giurisprudenza del Consiglio di Stato, laddove ha affermato (si veda, tra le altre Cons. Stato, sez. II, 08 novembre 2021, n. 7406) che: - la locuzione contenuta nell'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010, che menziona le "progressioni di carriera comunque denominate", è così ampia da riferirsi a tutte le vicende del rapporto di lavoro non privatizzato tali da determinare una progressione di carriera e, dunque, anche alle promozioni ex art. 1, comma 260, della l. n. 266/2005; - la legittimità del blocco stipendiale di cui alla misura citata è stata riconosciuta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 200 del 15 novembre 2018 anche per quanto riguarda le conseguenze che essa produce sul piano contributivo e previdenziale; - la ratio dell'art. 9, comma 21, cit. si rinviene nell'esigenza di contenimento della spesa pubblica: esigenza che tanto più si impone per quelle promozioni previste dalla legge che, come quelle ex l. n. 266/2005, implicano l'aumento della retribuzione ai soli fini dell'aumento della base di calcolo della contribuzione previdenziale, rilevante per la quantificazione del trattamento pensionistico. In altre parole, la ratio del d.l. n. 78/2010, volta a garantire un risparmio di spesa per l'Erario, vale a fortiori per le cd. promozioni "alla vigilia", ben più onerose per lo Stato rispetto alle promozioni ordinarie "effettive", atteso che le prime si riferiscono alla parte finale della vita lavorativa del dipendente interessato e, quindi, sono tali da consentirgli di acquisire i gradi apicali della carriera, caratterizzati da retribuzioni più elevate rispetto alla media del pubblico impiego; - la ratio di contenimento delle spese dell'art. 9, comma 21, della l. n. 78/2010 tanto più si attaglia alle cd. promozioni "alla vigilia", che, a differenza di quelle "effettive", non conseguono a una valutazione di merito del servizio prestato dal dipendente, né sono seguite dallo svolgimento delle mansioni proprie del grado superiore a cui si è stati promossi (in quanto decorrono dal giorno prima del collocamento a riposo), e quindi anche sotto questo punto di vista sono più onerose per l'Erario di quelle "effettive"; - neppure può obiettarsi invocando la specialità della disciplina dettata dalla l. n. 266/2005, poiché a ben vedere la norma speciale è proprio quella recata dal d.l. n. 78/2010, la quale detta la disciplina (appunto, speciale) di tutte le progressioni in carriera, comunque denominate, disposte negli anni dal 2011 al 2013 (e poi anche nel 2014); - sebbene l'art. 1, c. 260, l. n. 266/2005 non faccia distinzione, per l'attribuzione della qualifica, tra fini economici e fini giuridici, nel caso di specie la promozione è intervenuta sotto la vigenza dell'art. 9, comma 21, d.l. n. 78/2010 che ostava al riconoscimento del beneficio economico in contestazione"; - a fronte dell'attribuzione ad ambedue le norme invocate (l'art. 1, comma 260, della l. n. 266/2005 e l'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010) del carattere di specialità, resta comunque valido, quale criterio di risoluzione dell'antinomia, quello cronologico, che comporta l'applicabilità alla fattispecie della norma posteriore e, dunque, dell'art. 9, comma 21, cit.: il che, del resto, ben si accorda con la portata onnicomprensiva di tale previsione normativa, nel suo riferirsi alle "progressioni di carriera comunque denominate". In conclusione per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto, non ravvisandosi elementi che possano indurre a discostarsi da quanto statuito con riferimento ai casi analoghi. Le spese di lite devono essere integralmente compensate attesa la particolarità della controversia. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Stralcio, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2024, tenutasi da remoto con modalità telematiche, con l'intervento dei magistrati: Antonella Mangia - Presidente Filippo Maria Tropiano - Consigliere Paolo Nasini - Primo Referendario, Estensore
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