Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Lazio

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 218 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Lo. e Gi. Li. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Difesa (Brigata Alpina "Julia" - 8° Reggimento Alpini), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliataria ex lege in Trieste, piazza (...); Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: per l'annullamento dell'ALLEGATO "B" - foglio prot.-OMISSIS- a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- notificato al ricorrente a mani in data 04/04/2022; per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del provvedimento sopra citato nonché dell'allegato "D" (a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- alla comunicazione -OMISSIS- dd. 21/12/2021; ivi compreso l'invito a produrre la documentazione relativa all'obbligo vaccinale; di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento, comunque denominati, relativamente al periodo di sospensione o, in via gradata, del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del Codice dell'Ordinamento Militare e per la relativa condanna dell'Amministrazione a corrispondere tali somme quale risarcimento del danno subito dal ricorrente in conseguenza dei provvedimenti sopra citati; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a vedersi riconosciuti, per il periodo di sospensione, la maturazione di classi e scatti economici, la maturazione della licenza ordinaria, gli effetti pensionistici, gli accantonamenti contributivi, i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari e l'accertamento della validità del periodo di sospensione ai fini dello svolgimento delle attribuzioni specifiche/periodi di comando richiesti per l'avanzamento; nonché per la condanna dell'Amministrazione, ex art. 30 c.p.a., al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto subito dal ricorrente derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; previa, ove necessario, disapplicazione dell'art. 2 del Decreto Legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in Legge n. 3 del 21.01.2022, recante "Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali"; previa, ove necessario, remissione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati dal signor -OMISSIS- il 21/6/2023: per l'annullamento - del decreto di detrazione dell'anzianità di grado -OMISSIS-, notificato l'11/04/2023, emesso dal Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, a firma del Dirigente dott. -OMISSIS-; - di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per la condanna dell'Amministrazione al pagamento della perdita economica subita dal ricorrente a seguito della detrazione di anzianità decretata e degli effetti derivanti dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso introduttivo notificato il 19 aprile 2022 e depositato il successivo giorno 18 maggio 2022, il ricorrente, C.le Magg. C.a. dell'Esercito italiano effettivo alla Compagnia Comando Supporto Logistico - 8° Reggimento Alpini di Venzone (UD), ha impugnato l'atto in epigrafe compiutamente indicato, con cui è stata disposta nei suoi confronti la sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa per inosservanza dell'obbligo vaccinale e, conseguentemente, decurtata la sua retribuzione nel periodo di sospensione. Il ricorrente ha dedotto le seguenti censure: 1) Violazione ed errata applicazione degli artt. 885 - 877 - 878 - 893 - 914 -915 - 916 - 917 - 920 - 922 - 936 e 1352 del Codice dell'Ordinamento militare, decreto legislativo n. 66 del 15.03.2010 - incompetenza - violazione ed errata applicazione dell'art. 4 della legge n. 17 del 25.01.1982 e dell'art. 4 della legge n. 97 del 27.03.2001 - violazione del decreto legge 127/2021 - violazione del decreto legge n. 44/2021 - violazione della legge n. 76/2021 - violazione della legge n. 106/2021 - violazione dei principi di imparzialità e proporzionalità - illogicità ed ingiustizia manifesta; 2) Illegittimità costituzionale del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022, per violazione degli artt. 2 - 3 - 4 - 13 - 32 - 35 - 36 - 117 della Costituzione - violazione degli artt. 3, 21 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione dell'art. 14 della Convenzione dei diritti dell'uomo - violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale n. 12 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali - violazione dell'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione del regolamento UE 953/2021 - violazione della dichiarazione di Helsinki - violazione art. 500 del d.lgs. n. 297/1994 (T.U. della scuola) e dell'art. 82 del d.P.R. n. 3/1957. Ha indi chiesto: a) l'annullamento del provvedimento impugnato, previa eventuale rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale prospettate; b) l'accertamento del diritto a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento relativamente al periodo di sospensione; c) in via gradata, l'accertamento del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del d.lgs. n. 66/2010; d) in ogni caso, la condanna dell'Amministrazione al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto. 2. L'Amministrazione si è costituita in giudizio in resistenza al ricorso. 3. Con l'ordinanza -OMISSIS-del 23 marzo 2023 questo T.A.R. ha sospeso il giudizio nell'attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella causa C-765/2021 su questione pregiudiziale. 4. Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 9 giugno 2023 e depositato il successivo 21 giugno 2023, il ricorrente ha gravato, chiedendone l'annullamento, il decreto di detrazione dell'anzianità di grado nel frattempo emesso dall'Amministrazione, denunciandone l'illegittimità per: 1) Violazione dell'art. 4 ter del decreto legge n. 44/2021 convertito in legge n. 76 del 28.05.2021 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa; 2) Violazione delle disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate - violazione degli articoli 2251 bis, 2251 ter, 2251 quater, 2251 sexies, 2252, 2252 bis, 2252 ter, 2253, 2253 bis, 2253 ter, 2253 quater, 2253 quinquies, 2253 sexsies, 2253 septies, 2254 bis, 2254 ter, 2254 quater, 2255, 2255 bis, 2255 ter, 2256 del d.lgs. n. 66/2010 - violazione del decreto legislativo n. 94 del 29.05.2017 - violazione del decreto legislativo n. 173 del 27.12.2019 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. 5. Il 5 settembre 2023 ha presentato apposita istanza di fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio e, poi, con atto in data 18 marzo 2024 ha chiesto il passaggio della causa in decisione senza discussione. 6. All'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la causa è passata in decisione. 7. Il ricorso è fondato solo in minima parte. Per il resto è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato. 8. Le censure relative all'illegittimità della disposta sospensione dal servizio sono inammissibili. Dall'esame degli atti risulta infatti che con atto -OMISSIS- del 21 dicembre 2021, spedito per la notifica al ricorrente in data 23 dicembre 2021 e da questi ricevuto il successivo 30 dicembre 2021 (doc. 007 - fascicolo Ministero in data 31/05/2024), è stato accertato l'inadempimento dell'obbligo vaccinale ed è stata disposta a carico del medesimo la sospensione dall'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari, con i correlati effetti di legge. Come da preliminare rilievo formulato con l'ordinanza collegiale n. -OMISSIS- e ribadito all'odierna udienza ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., l'effetto lesivo della sfera giuridica del ricorrente, in ragione della sospensione dal servizio, si era già manifestato il 21 dicembre 2021 (rectius il 30 dicembre 2021); sicché era quell'atto a dover essere immediatamente impugnato, cosa che invece non è avvenuta. Con l'atto del 31 marzo 2022, impugnato con il presente ricorso, l'Amministrazione ha solamente operato una ricognizione del periodo di sospensione, quantificando l'effettiva durata della sospensione dal servizio già in precedenza disposta. Per la parte in cui si ribadisce la già disposta sospensione ed i suoi effetti, l'atto ricognitorio impugnato non presenta alcuna novità ; ne consegue la natura meramente confermativa dell'atto in parte qua (cfr. T.A.R. Piemonte, n. 196/2024). Le censure che in questa sede contestano in sé l'istituto della sospensione sono quindi inammissibili per carenza d'interesse. 9. Quanto alle restanti questioni di merito, in buona parte infondate, questo Collegio condivide in toto le argomentazioni sviluppate dal T.A.R. Lombardia, Brescia, nella sentenza n. 940/2023 che devono qui intendersi richiamate. 9.1. Nello specifico del primo motivo di ricorso, quanto alla censura d'incompetenza del Comandante di Corpo ad adottare l'atto ricognitivo del periodo di sospensione, è sufficiente ribadire che l'art. 4-ter, comma 2, del d.l. 44/2021, prevede che il rispetto dell'obbligo vaccinale sia assicurato, per il personale del comparto difesa e sicurezza, da "i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale", nel senso chiarito dal T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023 ("La competenza di cui alla disposizione appena citata si riferisce ad " assicurare il rispetto dell'obbligo" di vaccinazione: questo significa, con tutta evidenza, non solo accertare i casi di inosservanza di tale obbligo, ma anche applicare la sospensione dal lavoro che la legge prevede come conseguenza di tale inosservanza, perché il rispetto di un qualsivoglia obbligo viene assicurato anche applicando le conseguenze sfavorevoli che l'ordinamento prevede per il caso di inosservanza. Peraltro la legge prevede che la sospensione sia automatica e contestuale all'accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale: il 3° comma dell'art. 4 ter cit. dispone infatti che " L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro" . Pertanto il titolare del potere di accertamento può senza dubbio dichiarare l'avvenuta sospensione dal lavoro del pubblico dipendente, con un atto che è meramente ricognitivo dell'effetto prodotto ex lege, e non costitutivo"). 9.2. L'ulteriore censura relativa alla violazione dell'art. 893, comma 2, del d.lgs. n. 66/2010 ("Il rapporto di impiego può essere interrotto, sospeso o cessare solo in base alle disposizioni del presente codice") è inammissibile, perché essa attiene, a ben vedere, ad un vizio che doveva essere dedotto con la tempestiva impugnativa del presupposto decreto di sospensione dal servizio. La censura è comunque manifestamente infondata "perché è nozione istituzionale che un atto avente forza di legge, quale il decreto legge che ha introdotto l'obbligo di vaccinazione anti-Covid per alcune categorie di lavoratori, ben può derogare a una fonte di pari rango, qual è il codice dell'ordinamento militare. Che poi la norma derogatoria, giustificata dall'emergenza pandemica, sia collocata all'interno del medesimo codice oppure in un corpus normativo distinto, non ha nessuna incidenza sulla legittimità e sull'efficacia della norma medesima. Peraltro la scelta di non collocare la norma all'interno del c.o.m. risulta del tutto ragionevole, considerando sia il carattere temporaneo della stessa, collegata alla durata della pandemia, sia il fatto che l'obbligo vaccinale è stato previsto con identica disciplina, in un corpus normativo unitario, anche per altre categorie di dipendenti pubblici estranei all'ordinamento militare" (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023). 9.3. La censura relativa alla violazione dell'art. 920 del d.lgs. n. 66/2010 ("Al militare durante la sospensione dall'impiego compete la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo. Agli effetti della pensione, il tempo trascorso in sospensione dal servizio è computato per metà ") è fuori fuoco atteso che essa non tiene conto né si confronta con quanto previsto dalla norma speciale derogatoria. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, introdotto dall'art. 2 del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, dettava precise disposizioni sulle modalità di accertamento della violazione dell'obbligo vaccinale e sulle sue esatte conseguenze, prevedendo al riguardo che "... L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". Si osserva, peraltro, che le ipotesi in cui è prevista la corresponsione di emolumenti al personale sospeso dall'impiego (art. 82 del d.P.R. 3/1957, art. 920 del d.lgs. 66/2010) si correlano a vicende (procedimenti penali o disciplinari pendenti) che "procedono in modo autonomo ed insensibile, rispetto alla volontà dell'incolpato o dell'imputato di poterne bloccare lo svolgimento (per l'effetto, dimostrandosi giustificata l'erogazione di alcune provvidenze, quali la corresponsione di parte degli assegni a carattere fisso e continuativo e dell'assegno alimentare); laddove la persistenza della sospensione dal diritto all'erogazione della prestazione lavorativa (e della percezione degli emolumenti a fronte di essa spettanti) consegue a fatto "proprio", volontariamente posto in essere dal dipendente (obbligato a vaccinarsi) e dal medesimo liberamente rimuovibile, in ogni momento, per effetto del mero assolvimento del comportamento doveroso di cui trattasi" (cfr. T.A.R. Lazio, n. 4914/2022). Come ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza n. 14/2023 (al paragrafo 13.2) a proposito della norma analoga valevole per il personale sanitario, la sospensione dal lavoro prevista dall'art. 4 ter del d.l. 44/2021 non è una sanzione, ma è "una conseguenza calibrata, in termini di sacrificio dei diritti dell'operatore sanitario, che sia strettamente funzionale rispetto alla finalità perseguita di riduzione della circolazione del virus. E ciò tanto in termini di durata, posto che... il legislatore ha introdotto, sin dall'inizio, una durata predeterminata dell'obbligo vaccinale, modificandola, costantemente, in base all'andamento della situazione sanitaria, giungendo ad anticiparla appena la situazione epidemiologica lo ha consentito; quanto in termini di intensità, trattandosi di una sospensione del rapporto lavorativo, senza alcuna conseguenza di tipo disciplinare, e non di una sua risoluzione". Del tutto generica è poi la deduzione che "alle categorie di soggetti obbligati per legge alla somministrazione del vaccino in oggetto avrebbe dovuto essere rilasciata una apposita prescrizione medica che, invece, come noto, non viene rilasciata da alcun medico curante derivandone anche da tale circostanza l'illegittimità del provvedimento di sospensione oggi impugnato", atteso che l'obbligo di vaccinazione discendeva direttamente dalla legge, senza necessità di ulteriori intermediazioni. In ogni caso il vizio attiene all'originario provvedimento sospensivo. 10. Il secondo motivo è in buona parte inammissibile e precisamente nella parte in cui con esso la parte ricorrente ha dedotto l'illegittimità della disposta sospensione per la violazione di parametri costituzionali e internazionali; censure che, tuttavia, andavano rivolte al provvedimento col quale la sospensione era stata disposta. 10.1. Quanto alle conseguenze patrimoniali, connesse in effetti agli specifici provvedimenti qui gravati, si rileva quanto segue. 10.1.1. Quanto agli aspetti concernenti il riconoscimento di un assegno alimentare, sotto il profilo della legittimità costituzionale dell'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, la Corte Costituzionale ha già esaminato la questione, ritenendola infondata, anche sotto il profilo della proporzionalità e ragionevolezza (cfr. par. 14 della sentenza n. 15/2023). 10.1.2. Fatto salvo quanto si osserverà in seguito (pt. 10.1.4), anche la dedotta violazione dell'art. 36 Cost. risulta manifestamente infondata atteso che "la situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa in cui si viene a trovare il dipendente che non abbia adempiuto all'obbligo vaccinale deriva pur sempre da una scelta individuale di quest'ultimo e non da un fatto oggettivo. Nondimeno il legislatore, proprio nel rispetto della eventuale scelta del lavoratore di non attenersi all'obbligo vaccinale, si è limitato a prevedere la sospensione del rapporto di lavoro, disciplinando la fattispecie alla stregua di una impossibilità temporanea non imputabile. Di conseguenza, poiché la prestazione offerta dal lavoratore che non si è sottoposto all'obbligo vaccinale non è conforme al contratto, come integrato dalla legge, è certamente giustificato il rifiuto della stessa da parte del datore di lavoro e lo stato di quiescenza in cui entra l'intero rapporto è semplicemente un mezzo per la conservazione dell'equilibrio giuridico-economico del contratto" (così la richiamata sentenza n. 15/2023). 10.1.3. Le altre censure proposte (violazione dell'obbligo vaccinale in oggetto rispetto all'art. 32 della Costituzione e le questioni relative al consenso libero e informato della persona interessata) erano da dedursi con l'impugnativa del provvedimento del dicembre 2021, ormai consolidatosi. Non giova alla ricorrente nemmeno il richiamo alla sentenza della Corte di Giustizia C-765/2021 che ha giudicato irricevibile il rinvio pregiudiziale sottopostole dal Tribunale di Padova. La ricorrente, nella sua memoria depositata in giudizio il 16 febbraio 2024, enfatizza un unico passaggio motivazionale della pronuncia del giudice europeo ("il rilascio di dette autorizzazioni condizionate non comporta, in quanto tale, alcun obbligo, in capo ai destinatari potenziali di tali vaccini, di farsi somministrare questi ultimi, tanto più che il giudice del rinvio non ha esplicitamente posto l'interrogativo se le persone assoggettate all'obbligo vaccinale previsto all'articolo 4 del decreto-legge n. 44/2021 fossero obbligate ad assumere unicamente i vaccini oggetto delle suddette autorizzazioni condizionate" (punto 36) senza cogliere che l'argomento è stato speso per rilevare che non era stata adeguatamente chiarita dal giudice rimettente la rilevanza del parametro del diritto Ue invocato. D'altra parte la stessa pronuncia sul punto chiarisce senza equivoci che "Di conseguenza, in assenza di qualsiasi spiegazione da parte del giudice del rinvio circa i motivi per cui esso mette in discussione la validità delle autorizzazioni all'immissione in commercio condizionate nonché circa quelli relativi all'eventuale nesso tra, da un lato, la validità di tali autorizzazioni e, dall'altro, l'obbligo vaccinale contro la COVID-19 previsto all'articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, si deve giudicare che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non soddisfa i requisiti ricordati al punto 31 della presente sentenza per quanto riguarda la prima questione" (punto 37). 10.1.4. L'impugnazione merita, invece, di essere accolta, laddove rivolta alle conseguenze pregiudizievoli ulteriori rispetto alla privazione della retribuzione o di altro compenso o emolumento, fatte derivare dal Ministero intimato e compendiate nel provvedimento del 31 marzo 2022 e, poi, in quello del 22 giugno 2022, gravato col ricorso per motivi aggiunti. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. 1 aprile 2021, n. 44 legittima, invero, durante la sospensione dal servizio, unicamente la privazione della retribuzione o compenso o emolumento (in termini T.A.R. Lombardia - Milano, sez. I, 2 gennaio 2023, n. 16; T.A.R. FVG, sez. I, 27 febbraio 2023, n. 74; T.A.R. Sicilia - Palermo, sez. III, 6 giugno 2023, n. 1877; T.A.R. Lombardia - Milano, sez. V, 21 novembre 2023, n. 2750). Depone, invero, in tal senso, oltre al pacifico dato testuale, la circostanza, correttamente evidenziata dal ricorrente, che il legislatore, con riguardo ai casi di sospensione dal servizio per motivi penali e disciplinari, si è preoccupato di disciplinare specificamente le conseguenze che ne derivano sotto il profilo economico e giuridico, nel mentre, nel caso specifico, nulla ha disposto sul punto, essendosi limitato a stabilire che "L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". In parte qua, il ricorso va, pertanto, accolto e, per l'effetto, annullati i provvedimenti gravati laddove viziati. Ne deriva l'obbligo per l'Amministrazione intimata di conformarsi sul punto alla presente decisione e di disporre in merito, adottando ogni necessario atto e/o provvedimento. 11. Le domande di accertamento (i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari) e di condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno sono del tutto generiche e, pur proposte, non sono state adeguatamente e analiticamente dedotte nel corpo del ricorso. 12. In conclusione, alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso e il ricorso per motivi aggiunti vanno accolti nei sensi e limiti dianzi evidenziati. Il ricorso introduttivo, per il resto, deve essere, in parte, dichiarato inammissibile e, in parte, rigettato. 13. Le spese di lite, per la novità di alcune delle questioni esaminate, possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie nei sensi e limiti evidenziati in motivazione e, per l'effetto, annulla il provvedimento prot.-OMISSIS- (in parte qua) e il provvedimento n. -OMISSIS- 22/06/2022. Per il resto, dichiara il ricorso introduttivo in parte inammissibile e in parte lo respinge. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Modica de Mohac - Presidente Manuela Sinigoi - Consigliere, Estensore Daniele Busico - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5319 del 2022, proposto da Ge. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Co., Gi. Co. e Al. Cr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Co. in Roma, via (...); contro Ivass, Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ni. Ge., Da. Ad. Ma. Za. e El. Gi. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ni. Ge. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 03221/2022, resa tra le parti, per l'annullamento, in parte qua, dell'ordinanza-ingiunzione emessa da IVASS con prot. n. 0122245/17 del 21.06.2017, successivamente notificata e ricevuta da Ge. S.p.A. il 27.06.2017, con la quale sono state irrogate alla ricorrente le sanzioni amministrative pecuniarie di cui agli artt. 318, c. 1 e 319, c. 1, d.lgs. 209/2005 complessivamente quantificate in Euro 41.000 (doc. 1); nonché di ogni atto presupposto, connesso e/o consequenziale, quali in particolare: l'atto di contestazione adottato da IVASS prot. n. 0095142/2016 dell'11.05.2016 ed il rapporto ispettivo formato dal Servizio Ispettorato - IVASS (doc. 2). con conseguente condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate ovvero, in via subordinata, per la rideterminazione dell'importo della sanzione in misura più favorevole alla ricorrente, con conseguente condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ivass, Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati Gi. Co., Ni. Ge. e Da. Ad. Ma. Za.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma Sezione Seconda Ter, n. 01433/2021, di reiezione del ricorso proposto Ge. S.p.A., per l'annullamento in parte qua dell'ordinanza-ingiunzione emessa da IVASS con prot. n. 0122245/17 del 21.06.2017, d'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui agli artt. 318, c. 1 e 319, c. 1, d.lgs. 209/2005 complessivamente quantificate in Euro 41.000. Cumulativamente, oltre ad estendere il gravame all'atto di contestazione adottato da IVASS prot. n. 0095142/2016 dell'11.05.2016 ed al rapporto ispettivo formato dal Servizio Ispettorato - IVASS; la società ricorrente ha chiesto la condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate ovvero, in via subordinata, per la rideterminazione dell'importo della sanzione in misura più favorevole all'appellante, con conseguente condanna di IVASS alla restituzione delle somme già versate. 2. La sanzione consegue all'accertamento di cinque distinte ipotesi di violazione del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (artt. 182 e 183) e di diverse norme regolamentari poste in essere dalla Società appellante con riferimento alla commercializzazione di "BG Stile Libero", prodotto che combina assicurazioni di ramo I con assicurazioni di ramo III di cui all'articolo 2, c. 1, del d.lgs. 209/2005 ("Codice delle Assicurazioni Private"). Gli illeciti ritenuti sussistenti sono i seguenti: - utilizzo di materiale pubblicitario contenente espressioni che non consentono una chiara comprensione dei rischi finanziari che caratterizzano il prodotto (illecito a); - illustrazione fuorviante del regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione (illecito b); - mancata consegna del "Progetto esemplificativo rielaborato in forma personalizzata" (illecito c); - non piena attendibilità dell'indicatore "Costo Percentuale Medio Annuo" riportato nella scheda sintetica ("CPMA") (illecito e); - carenti istruzioni alla rete distributiva in tema di raccolta delle informazioni necessarie alla valutazione di adeguatezza dei contratti offerti alle esigenze assicurative dei contraenti (illecito f). 3. Con i primi quattro motivi (da I a IV) del ricorso di primo grado la società appellante lamentava "I vizi del provvedimento sanzionatorio"; nei restanti cinque motivi (da V a IX) denunciava l'"Insussistenza delle violazioni"; con il decimo motivo (X) chiedeva in subordine la rideterminazione della sanzione in caso di mancato accoglimento della domanda di annullamento. 4. Il Tar ha respinto il ricorso. Il Giudice di prime cure ha confermato la violazione rubricata sub a) nel testo dell'ordinanza gravata con la quale Ivass ha contestato l'utilizzo di materiale pubblicitario contenente espressioni che non consentivano una chiara comprensione dei rischi finanziari che caratterizzavano il prodotto. Sul punto, il Tar osserva che la broucher del prodotto si presentava inequivocabilmente omissiva sia in ordine alle percentuali con le quali la componente assicurativa e quella finanziaria andavano a comporre il prodotto, sia in ordine alla tipologia di rischio che è sicuramente difforme dal canone di chiarezza indicato dalla disposizione regolamentare, e da quello di correttezza richiamato anche dalla disposizione legislativa. Infatti, sebbene la società ha utilizzato dato atto della natura composita del prodotto, nulla s'è chiarito in ordine all'effettiva composizione del prodotto stesso che presentava una spiccata componente finanziaria e significativi rischi di mercato a carico dei contraenti i quali, per una parte compresa tra 70% e il 95% del premio versato, non avevano alcuna garanzia di capitale né tantomeno di rendimento minimo, così che il prodotto nel suo insieme risultava oggettivamente connotato da un cospicuo rischio di perdita del capitale, non percepibile dalla lettura della brochure. In merito alla violazione rubricata sub b) con la quale Ivass ha ritenuto che la ricorrente abbia illustrato in maniera fuorviante il regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione, il giudice di prime cure osserva che le espressioni utilizzate non erano chiare e comprensibili in punto di informazione fiscale, atteso che le stesse non rendevano agevolmente percepibile quali somme fossero esenti da imposta di successione e quali da Irpef. Il Tar conferma anche la violazione rubricata sub c) con la quale Ivass sanzionava la Società appellante per non avere consegnato ai clienti il "progetto esemplificativo rielaborato in forma personalizzata" come prescritto dalla normativa. Dalle risultanze istruttorie acquisite in sede ispettiva emerge che il progetto esemplificativo è stato solo mostrato per presa visione. Analogamente, la violazione rubricata sub e) con la quale Ivass ha ritenuto che Geneterllife non abbia riportato, nella scheda sintetica, l'indicatore Costo Percentuale Medio annuo (CPM) in maniera attendibile, trova conferma, secondo il Tar, nel modo in cui l'indice è stato redato senza che emergano, in maniera chiara, i livelli di onerosità del prodotto "BG Stile Libero". Infine il giudice di prime cure riscontra positivamente anche la violazione rubricata sub f) per aver fornito alla rete distributiva informazioni carenti in tema di raccolta delle informazioni necessarie alla valutazione di adeguatezza dei contratti offerti alle esigenze assicurative dei contraenti. Nel respingere i vari motivi di ricorso, il Tar aggiunge che le conclusioni raggiunte dall'Ivass risultano supportate da riscontri documentali acquisiti in sede di visita ispettiva e correttamente inquadrate in fattispecie di illecito sufficientemente specificate. In merito alla quantificazione della sanzione, il Tar richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di motivazione del quantum delle sanzioni amministrative pecuniarie, la scelta tra il minimo ed il massimo di pena pecuniaria risponde allo scopo di rimettere al potere dell'amministrazione la commisurazione della sanzione alla concreta gravità del fatto illecito, senza necessità che sia specificato il criterio seguito. La quantificazione della sanzione costituisce espressione di discrezionalità amministrativa non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere nelle sue varie forme sintomatiche. 5. Appella la sentenza Ge. S.p.A. 6. Si è costituito in giudizio l'Ivass. 7. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 8. Con il primo motivo di appello l'appellante censura l'ordine con cui il Giudice di prime cure ha esaminato i motivi di ricorso, anteponendo l'esame delle censure relative all'insussistenza delle violazioni (motivi da V a IX) rispetto alla disamina delle doglianze sui vizi del provvedimento sanzionatorio (motivi da I a IX). In particolar modo l'appellante censura il fatto che il Tar abbia postergato l'esame e respinto il primo motivo di ricorso, incentrato sulla violazione del principio di legalità, determinatezza e tassatività delle fattispecie sanzionabili, dei principi di certezza del diritto e degli artt. 1 l. n. 689/1981 e 182 e 183 del c.a.p. Contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, nel caso in esame, non si riscontrerebbero fattispecie sanzionatorie astratte, ricostruibili in chiari termini precettivi perfettamente comprensibili da un primario operatore del settore assicurativo. L'appellante, in particolare, in merito alla possibilità di ricostruire gli illeciti sanzionati riconducendoli alle fattispecie sanzionatorie astratte in chiari termini precettivi, osserva che la sentenza (p. 15) ammette che gli artt. 182 e 183 CAP, per la determinazione del loro contenuto, necessitano di una eterointegrazione mediante il rinvio ad una norma diversa da quella "incriminatrice". Nondimeno, alla pagina successiva (p. 16), ad avviso dell'appellante, la pronuncia in maniera criptica e tautologica, afferma che "con riferimento alle cinque figure di illecito ritenute ricorrenti da Ivass, vengono, di volta in volta, in rilievo violazioni di obblighi fondamentali gravanti sull'impresa assicuratrice quali quello di chiarezza, trasparenza e correttezza... la cui violazione - oltre a rilevare su un piano civilistico, ai sensi degli artt. 1337,1366 e 1375 c.c. - integra pure gli illeciti amministrativi delineati dagli artt. 182 e 183 del d,lgs. 209/2005". L'appellante sostiene che il giudice di prime cure avrebbe omesso di esaminare la necessità di eterointegrazione dei precetti normativi; le fonti integrative richiamate non sarebbero dotati di quei caratteri di determinatezza e di tassatività che controparte stessa ritiene indispensabili a suffragare il rispetto della riserva di legge. Sul punto, il Tar avrebbe fatto mal governo dei precedenti giurisprudenziali citati nella sentenza poiché gli addebiti, contrariamente a quanto precisato nelle decisioni, sarebbero formulati facendo sostanzialmente rinvio a clausole generali (diligenza, correttezza, trasparenza) che non sono ancorate ad alcun concreto parametro oggettivo. Pertanto, nemmeno si realizzerebbe un effettivo meccanismo di eterointegrazione della norma sanzionatoria primaria attraverso norme secondarie. In merito all'illecito sub a) (utilizzo di materiale pubblicitario con espressioni fuorvianti), richiamando le norme che l'Ivass assume violate (art. 182 c. 1 CAP; art. 39 c. 1 Reg. 35/2010), l'appellante osserva che le norme impongano il rispetto dei principi generali (correttezza e chiarezza) senza precisarne il contenuto. Il Tar si limiterebbe a rilevare che chiarezza e correttezza impongono che il messaggio pubblicitario sia tale da far comprendere le caratteristiche principali del prodotto, tuttavia non risulterebbe alcun obbligo di precisare nel messaggio pubblicitario le proporzioni tra la componente assicurativa e la componente finanziaria del prodotto. In merito all'illecito sub b) (Illustrazione fuorviante del regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione) l'appellante osserva, da un lato, come il Tar si sofferma sull'eccesiva tecnicalità delle espressioni utilizzate dall'appellante (che il provvedimento gravato sanziona), dall'altro lato, come le norme che si assumono violate si caratterizzano per l'elevato tecnicismo delle regole. In secondo luogo la norma che si assume violata (All. 3 punto 8 Reg. 35/2010) stabilisce che deve essere "indicato" il trattamento fiscale applicabile al contratto; al contrario l'illecito è rubricato "illustrazione". I due concetti non sarebbero sovrapponibili: "indicare" significherebbe fornire informazioni; "illustrare" significherebbe chiarire nei particolari. In merito all'illecito sub c) (Mancata consegna del progetto esemplificativo rielaborato in forma personalizzata), l'appellante lamenta che la tesi del Tar, secondo cui a norma del regolamento sarebbe necessario che il cliente riceva in consegna il documento in quanto la presa visione non sarebbe sufficiente a rispettare il precetto normativo, è formalistica. La messa a disposizione del progetto, comprovata dall'attestazione di presa visione, indicherebbe che il documento è stato sottoposto al cliente prima di concludere il contratto. In merito all'illecito sub e) (Non piena attendibilità dell'indicatore Costo Percentuale Medio Annuo riportato nella scheda sintetica) l'appellante osserva che non verrebbe indicata quale previsione specifica della normativa regolamentare sia stata violata, di conseguenza resterebbe indeterminato il criterio concretamente prescritto dall'all. 2 Reg. 35/2010 e concretamente disatteso. In merito all'illecito f) (Carenti istruzioni alla rete distributiva in tema di raccolta delle informazioni necessarie alla valutazione di adeguatezza dei contratti offerti alle esigenze assicurative dei contraenti) l'appellante sostiene che il Tar si limita a riportare i profili di criticità rappresentati nel provvedimento sanzionatorio, tanto da essere indefinito il quadro delle regole che avrebbe violato. Il giudice di prime cure non affronterebbe la questione relativa alla mancanza di parametri oggettivi che guidino nell'applicazione della normativa alle polizze multi-ramo. 8.1 Il motivo è infondato. Quanto all'ordine d'esame delle censure, va ribadito che non è prescritto da parte del Giudice un ordine preciso di esame dei vari motivi proposti qualora essi non siano stati graduati dal ricorrente o, come nel caso di specie, non siano eccepiti il vizio di incompetenza o il difetto di legittimazione. Viceversa, nell'economia della decisione, il riscontro analitico delle singole violazioni ha evidenziato in modo puntuale, riferito al caso concreto, la sostanziale determinatezza dei precetti sanzionatori applicati. Sul piano generale, quanto alla denunciata violazione della necessaria determinatezza e tassatività delle fattispecie sanzionabili si può osservare che la riserva di legge prevista dall'art. 1 l. 689/81 è precettiva solo per quanto attiene alla determinazione della sanzione, esigendo la norma che la stessa sia comminata sulla base di norma primaria, ma consentendo il rinvio (cfr., Corte Cost. 11 luglio 1961, n. 48) "a provvedimenti amministrativi della determinazione di elementi o di presupposti espressione di discrezionalità tecnica". La riserva di legge - sul presupposto che la sanzione sia comminata direttamente dalla legge -consente l'integrazione meramente tecnica del precetto da parte di fonti non legislative. Le norme di settore contenenti i precetti non possono materialmente declinare tutte le fattispecie di violazione dei princì pi stessi perché ne risulterebbero norme pletoriche e comunque non esaustive di tutte le possibilità . Le norme in esame richiamano princì pi generali, individuabili senza incertezze, in cui il fatto viene accertato e sussunto nella fattispecie normativa per effetto dei rilievi in fatto contenuti nel rapporto ispettivo o azione di vigilanza "off site". In definitiva la contestazione d'addebiti e il provvedimento finale, s'integrano vicendevolmente e la portata lesiva dei fatti ed il loro disvalore nell'ordinamento di settore valutati nella motivazione del provvedimento impugnato.. La portata semantica degli elementi normativi evocati dai ridetti princì pi generali deriva dall'attività interpretativa tecnico-discrezionale dell'autorità procedente di cui il provvedimento e, prima ancora, gli atti prodromici - assunti in regì me di piena trasparenza e di contraddittorio - danno conto in motivazione. 9. Con il secondo motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha respinto il secondo motivo di ricorso relativo alla mancata prova dei supposti illeciti. Il Tar ha sostenuto che le conclusioni di Ivass sarebbero supportate da riscontri documentali e inquadrate in fattispecie sufficientemente specificate, pertanto sarebbero soddisfatti gli oneri istruttori e motivazionali. Il giudizio espresso dal Tar sarebbe sostanzialmente apodittico, in quanto non sorretto da una effettiva dimostrazione. Sul secondo punto rinvia a quanto sostenuto nel primo motivo di appello. 9.1 Il motivo è infondato. Gli atti acquisiti in sede ispettiva e gli atti del procedimento, quali l'atto di contestazione e l'ordinanza gravata, circoscrivono i fatti contestati richiamando le disposizioni violate, anche tramite rinvio al rapporto ispettivo. La prova degli illeciti è stata offerta in concreto, consentendo all'ingiunta di percepire le contestazioni e di controdedurre nel corso del procedimento e corrisponde al paradigma probatorio tipico degli illeciti omissivi. Vale a dire che la prova della condotta positiva di adempimento degli obblighi derivanti dalla collocazione del prodotto finanziario-assicurativo, ai fini del rispetto dei princì pi di tutela in argomento, gravava - a fronte della contestata omissione - sull'impresa (cfr., Cass., Sez. Un., 30/9/2009, n. 20930, cit., anche in richiamo di Cass. Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533). 10. Con il terzo motivo di appello, l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il terzo motivo di ricorso con cui aveva lamentato la "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 326 c. 1, CAP e dell'art. 5, Reg. IVASS 1/2013, nonché dell'art. 11, l. 689/1981. Violazione e/o falsa applicazione del principio di proporzionalità ...". Il Tar ha ritenuto che le fattispecie violate sarebbero ascrivibili a fattispecie di pericolo e che i richiami giurisprudenziali addotti dall'appellante a sostegno delle sue tesi non siano pertinenti. L'appellante censura la ricostruzione delle violazioni in termini di "fattispecie di pericolo" che si porrebbe in contrasto con la normativa di settore. Muovendo dall'analisi del dato normativo, l'appellante sostiene che le sanzioni sono configurate dalla normativa di riferimento come strumento che, oltre a punire, interviene per rimediare alla lesione, pertanto non potrebbero essere disgiunte dalla concreta lesività della condotta. La sentenza sarebbe erronea per aver trascurato la violazione del principio di proporzionalità ; per non aver tenuto conto che la società ha palesato la propria condotta collaborativa nei confronti della Vigilanza, tanto da essere intervenuta con azioni concrete per allinearsi ai rilievi critici prospettati nel rapporto ispettivo. Gli interventi migliorativi attuati dalla società appellante, e valutati positivamente dal Servizio Ispettorato, sarebbero stati travisati dall'Autorità che vi avrebbe ravvisato una sorta di "confessione" implicita o, almeno, di ammissione di responsabilità da cui far scaturire i presupposti per irrogare la sanzione. 10.1 Il motivo è infondato. In contrario a quanto dedotto dall'appellante, in continuità all'indirizzo giurisprudenziale qui condiviso, s'è chiarito che gli illeciti in materia assicurativa - proprio in quanto ritenuti di pericolo - sono perseguiti dall'ordinamento senza richiedere, quali elementi costitutivi, il pregiudizio della clientela o il conseguimento di concreto vantaggio economico (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444; Id.., sez. VI, 26 marzo 2020, n. 2125; Id., sez. VI, 5 agosto 2019, n. 5566; ) Anche il pregiudizio (o, a fortiori, il mero reclamo) dei clienti costituisce dato ultroneo ed estraneo rispetto agli elementi costitutivi dell'illecito, il quale è integrato dalla mera violazione di regole di comportamento che delineano la diligenza professionale esigibile, peraltro espressamente codificate sia a livello primario che regolamentare. La sanzione amministrativa, infatti, "non ha una funzione compensativa (risarcitoria) del danno patrimoniale subito dall'impresa assicuratrice, bensì intende garantire l'effetto di deterrenza a tutela della trasparenza del sistema assicurativo generale" (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444). Né è ravvisabile la violazione del principio di proporzionalità poiché la condotta cautelativa della società è meritevole d'apprezzamento nella graduazione della sanzione, e non nell'adozione della sanzione che non è (affatto) alternativa ai rimedi spontanei adottati dall'incolpata. 11. Con il quarto motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il quarto motivo del ricorso di primo grado. Il Tar si limita a negare che gli elementi prospettati dall'appellante - vale a dire la circostanza che la Società sia stata sanzionata nonostante abbia assunto misure più cautelative per la clientela; ed abbia applicato la normativa in modo più restrittivo di quanto previsto - possano inficiare il provvedimento sanzionatorio. Sicché le presunte violazione in materia di tutela del contribuente non sussisterebbero in ragione della condotta della società sarebbe improntata alla massima protezione della clientela e non risulterebbe in contrasto con le disposizioni di riferimento. 11.1 Il motivo è infondato In contrario a quanto dedotto dall'appellante, in continuità all'indirizzo giurisprudenziale qui condiviso, s'è chiarito che gli illeciti in materia assicurativa - proprio in quanto ritenuti di pericolo - sono perseguiti dall'ordinamento senza richiedere, quali elementi costitutivi, il pregiudizio della clientela o il conseguimento di concreto vantaggio economico (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444; Id.., sez. VI, 26 marzo 2020, n. 2125; Id., sez. VI, 5 agosto 2019, n. 5566; ) Anche il pregiudizio (o, a fortiori, il mero reclamo) dei clienti costituisce dato ultroneo ed estraneo rispetto agli elementi costitutivi dell'illecito, il quale è integrato dalla mera violazione di regole di comportamento che delineano la diligenza professionale esigibile, peraltro espressamente codificate sia a livello primario che regolamentare. La sanzione amministrativa, infatti, "non ha una funzione compensativa (risarcitoria) del danno patrimoniale subito dall'impresa assicuratrice, bensì intende garantire l'effetto di deterrenza a tutela della trasparenza del sistema assicurativo generale" (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2020, n. 5444). Né è ravvisabile la violazione del principio di proporzionalità poiché la condotta cautelativa della società è meritevole d'apprezzamento nella graduazione della sanzione, e non nell'adozione della sanzione che non è affatto alternativa ai rimedi spontanei adottati dall'incolpata 12. Con il quinto motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha respinto il quinto motivo di ricorso relativo alle pretese carenze del materiale pubblicitario e al preteso carattere ingannevole del messaggio pubblicitario (illecito sub a). Il Tar ha ritenuto che: la brochure rappresentava la natura composita della polizza, ma non precisava l'effettiva composizione; il prodotto presentava un cospicuo rischio di perdita di capitale non percepibile dalla brochure; la brochure era omissiva con riguardo alle informazioni sulle percentuali di composizione assicurativa e finanziaria e sulla rischiosità del prodotto; il supposto deficit informativo non poteva essere colmato dai contenuti della brochure con i riferimenti alla natura ibrida e con il richiamo al fascicolo informativo; sarebbero irrilevanti le considerazioni difensive sul target dei destinatari. Sulla destinazione del messaggio alla clientela e non ai venditori, la sentenza traviserebbe la funzione della brochure di "BG Stile Libero" che, all'opposto, avrebbe dovuto essere valutata in rapporto alle peculiarità del sistema distributivo del prodotto. La sentenza riconosce che dal materiale pubblicitario risultava la natura anche finanziaria del prodotto, ma censura la presunta omissione in ordine alle percentuali assicurativa e finanziaria e in ordine alla tipologia di rischio. Tali criticità non sarebbero indicate nel provvedimento sanzionatorio e dunque la sentenza sarebbe erronea per aver travalicato i limiti derivanti dal contenuto dei provvedimenti impugnati. 12.1. Il motivo è infondato. Né sussiste il denunciato travisamento della funzione della brochure di "BG Stile Libero", da valutare, secondo la censura, "in rapporto alle peculiarità del sistema distributivo del prodotto", visto che era impiegata dai promotori di Banca Generali, quali unici canali di collocamento. La natura ontologicamente e teleologicamente pubblicitaria del documento, congegnato e destinato al pubblico, non muta con riguardo al canale distributivo adottato. Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, non è sufficiente che, dal materiale pubblicitario, risultasse la natura finanziaria del prodotto. Posto che il prodotto presenta "spiccata componente finanziaria e significativi rischi di mercato a carico dei contraenti i quali, per una parte compresa tra 70% e il 95% del premio versato, non avevano alcuna garanzia di capitale né tantomeno di rendimento minimo, così che il prodotto nel suo insieme risultava oggettivamente connotato da un cospicuo rischio di perdita del capitale, non percepibile dalla lettura della brochure". Al di là dell'indicazione delle percentuali della componente assicurativa e di quella finanziaria del prodotto, è stata omessa l'indicazione, perspicua ed inequivoca, della tipologia di rischio, in difformità dal canone di chiarezza indicato dalla disposizione regolamentare e da quello di correttezza, richiamato anche dalla norma primaria di riferimento (art. 182 CAP). La presenza sul mercato d'una gamma vastissima di prodotti c.d. "ibridi" che combinano la componente assicurativa ed quella finanziaria, con gradi di esposizione a rischio assai differenti tra loro in ragione di vari fattori, avrebbe dovuto indurre la ricorrente, nel presentare il prodotto, a rendere edotto il potenziale contraente del rischio affrontato, in ossequio ai principi di chiara e corretta l'informazione, di cui artt. 182, c. 1, CAP e 39, c. 1, Reg. ISVAP n. 35/2010. 13. Con il sesto motivo l'appellante censura il capo di sentenza di reiezione del sesto motivo del ricorso di primo grado relativo all'illecito b) concernente l'illustrazione del regime fiscale relativo alle componenti esenti da tassazione. La sanzione sarebbe stata irrogata per la pretesa non chiarezza di una parte delle informazioni sul regime fiscale riportate nella Nota Informativa. Il Tar avrebbe omesso di considerare che la descrizione del regime fiscale non si sarebbe esaurita nelle due espressioni oggetto dei rilievi dell'Autorità . I rilievi critici dell'Autorità riguardavano queste due formulazioni: "somme corrisposte in caso di morte" e "capitali percepiti in caso di decesso". Dalla lettura della motivazione del provvedimento sanzionatorio emerge che l'addebito è di aver usato locuzioni che genererebbero equivoci in quanto la prima espressione si riferisce all'intera prestazione assicurativa e la seconda alla copertura in caso di morte. Invece, secondo il Tar le espressioni non renderebbero "agevolmente percepibile quali somme fossero esenti da imposta di successione e quali da Irpef". 13.1. Il motivo è infondato. In merito al trattamento fiscale come rilevato dal giudice di prime cure la prescrizione relativa al trattamento fiscale (All. 3, sezione C, punto 8 Reg. 35/2010 e All. 8, sezione D, punto 13 Circ. ISVAP 551/2005) "va interpretata, proprio in forza del richiamo all'art. 183, nel senso che l'informazione fornita sia conforme a criteri di diligenza e trasparenza, alla quale sono inequivocabilmente contrari l'utilizzo di espressioni, anche parzialmente, omissive o di eccessivo tecnicismo giuridico":.. non è quindi sufficiente l'indicazione, perché "Diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente...la prescrizione secondo cui la nota informativa deve contenere le informazioni necessarie affinché il contraente e l'assicurato possano pervenire ad un fondato giudizio sui diritti e gli obblighi contrattuali anche con riferimento al trattamento fiscale". Prosegue la sentenza "Dalla mera lettura delle espressioni, appare evidente come la compiuta ermeneutica delle stesse richiedesse una particolare competenza tecnica in materia di tassazione o di esenzione dalla stessa o, in alternativa, un intervento interpretativo esterno". Le informazioni in parola paiono effettivamente inadeguate e fuorvianti, tali da non consentire al contraente comune di pervenire ad un fondato giudizio sui diritti e gli obblighi connessi alla stipulazione del contratto, anzi ne alterano la percezione. Il trattamento fiscale "agevolato" costituisce incentivo all'acquisto, da cui il conseguente obbligo d'informazione trasparente, facilmente comprensibile che, nel caso in esame, non è osservato. 14. Con il settimo motivo di appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha respinto il settimo motivo del ricorso di primo grado relativo all'attendibilità del CPMA riportato nella scheda tecnica (illecito sub e). Il Tar ha ritenuto che: l'indicatore sintetico CPMA risulterebbe "... dettagliatamente disciplinato, quanto ai criteri di calcolo..."; alla società sarebbe imputato, oltre alla violazione dei criteri di calcolo pure la prospettazione di un costo significativamente inferiore; gli argomenti difensivi sulla indeterminatezza dei criteri e sul valore solo tendenziale del CPMA sarebbero irrilevanti; come ritenuto da Ivass la condotta di Genertellife sarebbe difforme dai canoni di diligenza, correttezza e trasparenza. Secondo la censura in esame, il convincimento del Tar sulla presunta esaustività della normativa sui criteri di calcolo articolata nell'All. 2 Reg. 35/2010 sarebbe eooroneo. Nel provvedimento sanzionatorio l'Autorità, proprio sul presupposto che mancherebbero criteri specifici di determinazione del CPMA per le polizze multi-ramo, ha giustificato l'addebito sostenendo che non investiva le peculiarità del calcolo dell'indicatore ma la struttura dei costi. Tale rappresentazione sarebbe contraddetta dal fatto che nello stesso provvedimento sanzionatorio le contestazioni riguarderebbero - non genericamente la struttura dei costi bensì specificamente - la percentuale di premio investita nella gestione separata e la percentuale di caricamento iniziale sul premio, giudicate "non coerenti con le medie di portafoglio". L'appellante evidenzia che la pronuncia gravata gli imputa di non aver contestato la non corrispondenza dei costi prospettati rispetto a quelli realmente attendibili, come se la Società avesse riconosciuto di aver calcolato il CPMA in modo non attendibile. Per l'appellante il Tar sembrerebbe aver equivocato il dato di partenza, ossia che il CPMA non avrebbe la funzione di fornire un'informativa completa sui costi. La sentenza incorrerebbe, poi, in errore nel sostenere che il calcolo del CPMA effettuato dalla Società abbia avuto "come risultato pratico, la prospettazione al contraente di un costo significativamente (e non tendenzialmente) inferiore a quello effettivamente rispondente alle caratteristiche del prodotto". Per l'appellante l'assunto è vago, perché ometterebbe di indicare la misura della pretesa discrasia concretamente riscontrata tra i costi effettivi e quelli prospettati, e soprattutto non quanto affermato non sarebbe provato. 14.1. Il motivo è infondato. I criteri generali per il calcolo del CPMA sono definiti dalla normativa (art. 183, c. 1, CAP e allegato 2, Reg. ISVAP n. 35/2010, che richiama all'art. 1 come fonte normativa l'art. 183). A fronte dello sviluppo di prodotto multiramo, che presenta variabilità dell'incidenza percentuale di ogni ramo, con una di "struttura di costi", diversificata in base all'investimento effettuato, la società appellante ha assunto solo le ipotesi estreme e più idonee a far apparire il CPMA quanto più basso possibile. Le allegazioni fornite in proposto dalla resistente sono dirimenti: - la massima possibile aliquota di investimento nella gestione separata prevista dal contratto (il 30%), contenendo al 70% la componente d'investimento con rischio del capitale per l'assicurato, anche se i dati di portafoglio - al momento dell'ispezione - mostravano che tale opzione, in media, riguardava solo il 18% della raccolta, percentuale per nulla corrispondente al segmento più significativo; - il caricamento minimo previsto dal contratto (lo 0% quando lo stesso può giungere fino al 3% e, in ogni caso, come affermato dalla società, quando la media di portafoglio - al momento dell'ispezione - risultava assestata su un valore dello 0,18%, dato che la società ritiene ancor oggi - sorprendentemente - indifferente, per quanto abbia un valore sostanziale diverso da quello comunque assunto). In definitiva, la società ha adottato le percentuali estreme, esclusivamente dirette a far apparire il prodotto con un CPMA più basso rispetto a quello mediamente attendibile 15. Con l'ottavo motivo di appello l'appellante censura il capo di reiezione del settimo motivo di ricorso relativo alla mancata consegna del progetto esemplificativo personalizzato (illecito sub c). Il Tar ha ritenuto che: le disposizioni pongono in maniera assolutamente chiara e inequivoca un obbligo di predisposizione e un successivo e distinto obbligo di consegna; le risultanze istruttorie farebbero emergere che il progetto esemplificativo è stato solo mostrato per presa visione; sarebbe irrilevante la mancanza di un obbligo di conservazione stante la distinzione tra presa visione e consegna; l'adozione da parte della Compagnia della circolare n. 12/2005 non avrebbe valenza scriminante. La pronuncia gravata, lamenta l'appellante, muove dall'erronea premessa chela normativa configurerebbe un obbligo di consegna del Progetto Esemplificativo Personalizzato; e che, non essendo stata trovata la copia del documento nel campione di fascicoli esaminati in sede ispettiva, non vi sarebbe la prova che la società appellante, oltre alla presa visione, abbia provveduto anche alla consegna del Progetto. Ma, aggiunge l'appellante, le norme richiamate nella motivazione dal Tar non prescrivono l'obbligo di consegna in termini tali da far apparire la condotta della società non satisfattiva di una qualche prescrizione. L'art. 9 c. 2 Reg. 35/2010 stabilisce che il progetto sia "da consegnare" al contraente e indica quale termine per adempiere il momento in cui il cliente "è informato che il contratto è concluso". La norma ammette la consegna in un momento successivo alla stipula contrattuale, pare non rispondente al dato normativo la tesi che pretende di penalizzare l'impresa che ha garantito la presa visione prima della stipula. Né si dovrebbe fare leva sulla distinzione fra "consegna" e "presa visione". Sicché, conclude sul punto la società, non è condivisibile l'affermazione del Tar che priva di efficacia l'aver garantito l'effettiva conoscenza del documento prima della sottoscrizione invece che al momento successivo del perfezionamento del contratto. Del pari non è corretto affermare che non ha valenza scriminante la condotta della società appellante che ha fornito le necessarie istruzioni operative alla rete distributiva. 15.1 Il motivo è infondato. Predisporre il progetto esemplificativo in un momento anteriore rispetto a quanto previsto dall'art. 9 Reg. n. 35/2010, ossia all'atto della firma della polizza in luogo che "al momento in cui il cliente è informato che il contratto è concluso"", non soddisfa il precetto d'effettiva tutela del cliente se, come nel caso in esame, il documento stesso non viene consegnato come prescritto dal regolamento. Sottoporre significa presentare qualcosa al giudizio di altri, mentre consegnare significa dare qualcosa in custodia o in possesso a qualcuno perché possa mantenerne disponibilità . Dunque la consegna presuppone la materiale disponibilità del documento al fine di consentirne anche successive consultazioni e analisi, il tutto nel contesto dell'obbligo di conservazione per almeno 5 anni (pro tempore vigente ex art. 57 Reg. ISVAP n. 5/2006), per tutti i contratti conclusi e per la documentazione relativa. 16. Con il nono motivo d'appello l'appellante censura la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il nono motivo del ricorso di primo grado con cui lamentava l'insussistenza dell'illecito sub) f, relativo alla completezza degli adempimenti funzionali alla valutazione di adeguatezza. Il Tar: ha illustrato la contestazione di Ivass in termini di carenze nella struttura organizzativa in ordine alle procedure volte a garantire l'adeguatezza dei contratti alle esigenze dei contraenti, con la distinzione tra condotte fino a luglio 2015 e condotte successive; ritiene inefficace la scelta di utilizzare il questionario MIFID; rileva che non vi sarebbe una discrasia tra contestazione degli addebiti e provvedimento sanzionatorio finale; rappresenta che (i) fino a luglio 2015 l'alta percentuale di rifiuti al rilascio delle informazioni sarebbe sintomatica dell'illecito contestato e (ii) nel periodo successivo rileverebbe la casistica relativa ai prodotti con orizzonti temporali estesi proposti a clienti anziani. Nel respingere la tesi dell'appellante il giudice di prime cure si sarebbe limitato a fare riferimento ai contenuti della contestazione. Quanto alle contestazioni inerenti alle procedure di verifica dell'adeguatezza per il periodo fino al 30 giugno 2015, il Tar non avrebbe tenuto conto della normativa applicabile ratione temporis. L'art. 52 c. 4 Reg. 5/2006 avrebbe consentito di procedere alla stipulazione della polizza anche in caso di rifiuto del cliente di fornire le informazioni richieste, purché lo stesso cliente fosse reso edotto della conseguente impossibilità di valutare compiutamente l'adeguatezza del prodotto. Fin da marzo 2014, Genertellife avrebbe avviato, unitamente al distributore Banca Generali, una serie di azioni finalizzate ad elevare il livello di tutela del cliente e a contenere i casi di rifiuto; dal luglio 2015 sarebbe stata adottata una soluzione "integrata" di valutazione dell'adeguatezza, basata sull'utilizzo del Questionario MIFID e del Questionario IVASS; e si sarebbe introdotto il sistema della c.d. non-adeguatezza bloccante, in virtù del quale la Società appellante si è auto imposta un divieto di collocare il prodotto nel caso di mancata acquisizione o di rifiuto di fornire le informazioni necessarie per l'effettuazione della valutazione di adeguatezza. periodo. 16.1 Il motivo è infondato. A prescindere dal regime normativo che non muta sostanzialmente il contenuto delle prescrizioni contestate, sono dirimenti le risultanze della visita ispettiva effettuate dall'organo di vigilanza che hanno evidenziava, come scorrettamente sottolineato dal Tar, la scelta dell'impresa di utilizzare il questionario MIDIF non si fosse rivelata efficace nel predisporre presidi idonei e prevenire a una congrua valutazione di adeguatezza. Il questionario utilizzato restringeva il novero delle informazioni richieste e utilizzabili in materia di valutazione di adeguatezza, inficiando la correttezza della valutazione. Pertanto, rilievi documentali acquisiti in fase istruttoria smentiscono in fatto la censurata discrasia tra contestazione degli addebiti e provvedimento sanzionatorio finale. Né è censurabile il percorso argomentativo seguito dai giudici di prime cure laddove, con riferimento al primo periodo analizzato fino a luglio 2015, stante l'alta percentuale di soggetti che hanno rifiutato di rilasciare le informazioni presenti nel questionario distribuito dai collocatori del prodotto, da inferire "una indiscutibile valenza sintomatica in ordine alla ricorrenza dell'illecito ravvisato, risultando, in conclusione, dimostrato che non era stata, in concreto, posta in essere la necessaria verifica di adeguatezza su un numero molto alto di contratti". E, con riferimento al periodo successivo, la violazione contestata trova riscontro, come rilevato dal Tar, nella casistica riportata nel verbale ispettivo e dalla quale emerge che, in un significativo numero di casi, a clienti particolarmente avanti negli anni venivano proposti, senza che scattassero alert di adeguatezza, prodotti con orizzonti temporali non compatibili con l'età anagrafica del sottoscrittore. Senza che la violazione venga meno per il fatto che il prodotto "BG Stile Libero", disciplinava espressamente il caso morte, indipendentemente dall'orizzonte temporale assunto con riguardo agli investimenti sottostanti. L'obbligo di chiarezza impone comunque l'adozione delle misure adeguate di tutela del tipo del potenziale sottoscrittore. 17. Con il decimo motivo di appello l'appellante censura la pronuncia per aver respinto il decimo motivo del ricorso di primo grado con cui, in subordine, aveva richiesto la rideterminazione della sanzione tenuto conto degli interventi effettuati e della tenuità dei fatti contestati. La pronuncia gravata sosterrebbe erroneamente che dalla motivazione del provvedimento impugnato emergono le ragioni del giudizio di gravità delle condotte, al contrario, denuncia la società, tale gravità non sarebbe dimostrata. Nel dettaglio l'appellante ripropone in merito alla quantificazione dei singoli illeciti le argomentazioni già proposte in primo grado. 17.1 Il motivo è infondato. Costituisce orientamento consolidato, da cui non sussistono giustificati motivi per qui discostarsi, che la scelta tra il minimo ed il massimo di pena pecuniaria risponde allo scopo di rimettere al potere dell'amministrazione la commisurazione della sanzione alla concreta gravità del fatto illecito, senza necessità che sia specificato il criterio seguito (cfr., Cassazione civile, sez. I, 10 dicembre 1996, n. 10976; Cassazione Civile, Sez. I, 24 marzo 2004, n. 5877 e Cass. Civile I, 4 novembre 998, n. 11054). La gravità delle condotte emerge dalla motivazione del provvedimento che, nel riflesso giuridico della quantificazione della sanzione, è espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che, in ipotesi - qui non ricorrenti - di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento. Come condivisibilmente rilevato dal Tar, in ragione della pluralità dei rilevi, è stato adottato un criterio composito: al minimo edittale, moltiplicato per due perché tale era il numero delle violazioni, s'è aggiunto il criterio di valore medio, in sé non irragionevole e, in concreto, proporzionato alla descrizione dei fatti e degli interessi pubblici alla cui tutela sono finalizzate le norme violate. 18. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 19. Le spese del grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Ge. S.p.A. al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore di Ivass -Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni liquidate complessivamente in 5000,00 (cinquemila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Giovanni Gallone - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm. sul ricorso numero di registro generale 3552 del 2024, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Fa. Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...); la Prefettura di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. I, -OMISSIS- marzo 2024, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2024 il Cons. Giulia Ferrari e uditi per le parti gli avvocati presenti, come da verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; 1. Il Collegio, chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare di sospensiva dell'atto impugnato, ha deciso di definire immediatamente il giudizio nel merito, con sentenza resa in forma semplificata e ne ha dato comunicazione ai difensori presenti delle parti in causa. 2. È impugnata la sentenza del Tar Lazio, sez. I, -OMISSIS- marzo 2024, che ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto per l'annullamento del provvedimento del Prefetto di Roma del 19 settembre 2022, che ha rigettato la domanda di emersione di lavoro irregolare presentata dal datore di lavoro, signor -OMISSIS- in favore del signor -OMISSIS-, cittadino -OMISSIS-. La decisione è stata adottata dopo che, con ordinanza -OMISSIS- dicembre 2023, il Tribunale aveva invitato le parti del giudizio ad interloquire, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., su un eventuale sopravvenuta carenza di interesse all'annullamento del provvedimento di rigetto oggetto del ricorso introduttivo, assegnando alle stesse il termine di trenta giorni per il deposito di memorie sul punto. Il ricorrente in primo grado non ha presentato memorie né ha espletato difese orali all'udienza pubblica del 13 febbraio 2024. Come chiarito nella citata ordinanza -OMISSIS- dicembre 2023, la sopravvenuta carenza di interesse è stata dichiarata per non avere il ricorrente impugnato il provvedimento del 7 aprile 2023, che, su ordine del giudice (ordinanza -OMISSIS- dicembre 2022), aveva riesaminato la posizione dello straniero. 3. L'appello è infondato e deve essere respinto, essendo stato il provvedimento del 7 aprile 2023 adottato a seguito di una rinnovata istruttoria e con argomentazioni nuove rispetto all'impugnato provvedimento del Prefetto di Roma del 19 settembre 2022. Va richiamata la distinzione tra atti "meramente confermativi" e atti "di conferma in senso proprio". La distinzione ha qui rilievo in quanto l'eventuale appartenenza del provvedimento del 7 aprile 2023 al novero degli atti "di conferma in senso proprio", permetterebbe di apprezzarne gli effetti autonomamente lesivi e, quindi, la sua soggezione all'impugnazione nei termini decadenziali e la sua capacità di determinare il consolidamento della statuizione non oggetto di nuovo gravame. Va rilevato che gli atti "meramente confermativi" sono quegli atti che, a differenza degli atti "di conferma", si connotano per la ritenuta insussistenza, da parte dell'amministrazione, di valide ragioni di riapertura del procedimento conclusosi con la precedente determinazione; mancando detta riapertura e la conseguente nuova ponderazione degli interessi coinvolti, nello schema tipico dei c.d. "provvedimenti di secondo grado", essi sono insuscettibili di autonoma impugnazione per carenza di un carattere autonomamente lesivo (Cons. Stato, sez. V, 4 ottobre 2021, n. 6606; id. 8 novembre 2019, n. 7655; id. 17 gennaio 2019, n. 432; id., sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7230; id., sez. IV, 12 settembre 2018, n. 5341; id., sez. VI, 10 settembre 2018, n. 5301; id., sez. III, 8 giugno 2018, n. 3493; id., sez. V, 10 aprile 2018, n. 2172; id. 27 novembre 2017, n. 5547; id., sez. IV, 27 gennaio 2017, n. 357; id. 12 ottobre 2016, n. 4214; id. 29 febbraio 2016, n. 812). In pratica, l'atto meramente confermativo ricorre quando l'amministrazione si limita a dichiarare l'esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 2018, n. 3867). In altre parole, esso si connota per la sola funzione di illustrare all'interessato che la questione è stata già delibata con precedente espressione provvedimentale, di cui si opera un integrale richiamo. Tale condizione, quale sostanziale diniego di esercizio del riesame dell'affare, espressione di lata discrezionalità amministrativa, lo rende privo di spessore provvedimentale, da cui, ordinariamente, la intrinseca insuscettibilità di una sua impugnazione (Cons. Stato, sez. IV, 3 giugno 2021, n. 4237; id. 29 marzo 2021, n. 2622). Di contro, l'atto di conferma in senso proprio è quello adottato all'esito di una nuova istruttoria e di una rinnovata ponderazione degli interessi, e pertanto connotato anche da una nuova motivazione (Cons. Stato, sez. VI, 13 luglio 2020, n. 4525; id., sez. II, 24 giugno 2020, n. 4054; id., sez. VI, 30 giugno 2017, n. 3207; id., sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 4214; id. 29 febbraio 2016, n. 812; id. 12 febbraio 2015, n. 758; id. 14 aprile 2014, n. 1805). In particolare, non può considerarsi "meramente confermativo" di un precedente provvedimento l'atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al primo provvedimento, giacché solo l'esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fase considerata, può condurre a un atto "propriamente confermativo", in grado, come tale, di dare vita a un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione (Cons. Stato, sez. V, 7 maggio 2021, n. 3579). Sulla base dei sopra riferiti elementi, non può dubitarsi che il provvedimento del 7 aprile 2023 in esame - adottato a seguito di un riesame dell'intera vicenda contenziosa, andando anche oltre il remand ordinato dal giudice e con nuove argomentazioni - appartenga alla categoria degli atti "di conferma in senso proprio", che avrebbe dovuto essere tempestivamente impugnato dinanzi al Tar Lazio. Di tale impugnazione non viene dato atto neanche in appello, per confutare la decisione di improcedibilità pronunciata dal Tar Lazio. 4. La conferma della improcedibilità del ricorso di primo grado esonera il Collegio dall'esaminare gli ulteriori motivi di appello. 5. Per le ragioni sopra esposte l'appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza del Tar per il Lazio, sez. I, -OMISSIS- marzo 2024. 6. Le spese e gli onorari del giudizio sono compensate con il Ministero dell'interno; nulla per le spese nei confronti della Prefettura di Roma, non costituita in giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, respinge l'appello come in epigrafe proposto. Compensa le spese e gli onorari del giudizio con il Ministero dell'interno; nulla per le spese nei confronti della Prefettura di Roma. Ordine all'Amministrazione di eseguire la presente decisione. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giovanni Pescatore - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere Giulia Ferrari - Consigliere, Estensore Luca Di Raimondo - Consigliere Angelo Roberto Cerroni - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7939 del 2023, proposto da Be. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Vi., Ch. Ca., Vi. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ex Monopoli, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Be. It. S.r.l., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 13004/2023 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ex Monopoli e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Presidenza del Consiglio dei Ministri; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2024 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti gli avvocati St. Vi., Ch. Ca. e Vi. Ba. Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società ricorrente, in qualità di concessionaria della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere, ha appellato la sentenza in epigrafe, con cui il Tar del Lazio - Sede di Roma- ha respinto il suo ricorso per l'annullamento della determinazione direttoriale prot. n. 10337/RU del 5 gennaio 2023, con cui l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva disposto l'annullamento, in autotutela, ai sensi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21 nonies, della Determinazione Direttoriale prot. n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022 e delle note, trasmesse ai concessionari, di invito a effettuare i versamenti delle somme destinate ad alimentare il Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale, calcolate in applicazione dei criteri esposti in detta Determinazione Direttoriale, nonché delle singole note con le quali la medesima Agenzia aveva comunicato le rinnovate quantificazioni degli importi aggiuntivi dovuti a titolo di versamento dell'importo dello 0,5 per cento della raccolta delle scommesse di cui all'art. 217, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (in Suppl. Ord. n. 21 alla Gazz. Uff., 19 maggio 2020, n. 128) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, recante le Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (cd. DECRETO RILANCIO). In particolare, l'effetto lesivo per la società ricorrente derivava dal fatto di essere considerata soggetto passivo dell'imposta indiretta nella percentuale dello 0,5% sulle complessive entrate derivanti dalla raccolta delle scommesse per il periodo di riferimento, anziché fino alle sole soglie massime previste per il finanziamento del Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale (40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021), come avrebbe invece potuto e dovuto evincersi dalla suddetta normativa legislativa. La controversia, quindi, è bene preliminarmente chiarirlo, non concerne il pagamento degli importi dovuti, per il periodo di riferimento, fino al raggiungimento dei suddetti limiti di stanziamento, necessari a coprire la spesa di costituzione e funzionamento del Fondo (importi tutti già interamente versati e dei quali la concessionaria non contesta la debenza), ma riguarda invece gli importi aggiuntivi richiesti in pagamento, calcolati sempre nella percentuale dello 0,5% per il periodo di riferimento, ma su tutte le complessive entrate provenienti dalla raccolta delle scommesse, a prescindere dal già avvenuto raggiungimento della soglia di finanziamento del Fondo pari ai già indicati 40 milioni di euro, massimi. 2. Il ricorso veniva affidato a plurime censure di violazione di legge e di eccesso di potere, tra cui, in particolare: a) la violazione dei limiti che la legge impone alla PA per l'esercizio del potere di autotutela ai sensi dell'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990); b) la lesione del principio del legittimo affidamento, avendo l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (di seguito, l'Agenzia) aspettato più di due anni per ribaltare una prassi interpretativa che si era ormai consolidata circa l'interpretazione della normativa recata dall'art. 217, comma 2, decreto-legge n. 34/2020; c) la violazione delle garanzie procedimentali di cui agli artt. 7 e seguenti della legge n. 241 del 1990; d) il difetto di istruttoria e di motivazione; e) l'erronea interpretazione della succitata norma recata dall'art. 217, comma 2, decreto-legge n. 34/2020, il cui unico dichiarato scopo sarebbe, ad avviso della società ricorrente, quello di costituire e finanziare un fondo speciale salva-sport e non, invece, come preteso dall'Amministrazione, anche quello di introdurre un ulteriore prelievo erariale generale strumentale ad imprecisate esigenze di finanza pubblica slegate dal finanziamento del suddetto fondo; g) l'erronea individuazione della base imponibile del contributo dovuto, così come effettuata dalla impugnata determinazione direttoriale del 5 gennaio 2023, in quanto in contrasto con la base imponibile identificata dalla base legale di cui al citato art. 217. Il ricorso sollecitava, inoltre, in via subordinata, per il caso del mancato accoglimento delle doglianze così prospettate, il rinvio pregiudiziale interpretativo ai sensi dell'art. 267, TFUE, ovvero la rimessione in Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale ivi prospettata. 3. Il Tar del Lazio adito ha esaminato e respinto partitamente tutte le censure proposte, motivando anche in ordine alla insussistenza delle condizioni per adire le Corti superiori con le prospettate questioni pregiudiziali, tuttavia compensando le spese del giudizio. 4. La società ricorrente ha riproposto tutti gli originari motivi di ricorso di primo grado, articolandoli quali specifiche censure contro i capi della sentenza gravata ai sensi dell'art. 101, c.p.a., così sostanzialmente devolvendo alla odierna cognizione tutta l'originaria materia del contendere. 5. L'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e il Ministero dell'Economia e delle Finanze hanno resistito al gravame, insistendo ancora sulla legittimità del proprio operato e sulla conseguente necessità di confermare la sentenza di primo grado. 6. Con l'ordinanza cautelare n. 3515/2023, la Sezione ha ritenuto sussistenti le condizioni per sospendere l'esecutività della sentenza appellata, "anche avuto riguardo, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, sia all'interesse pubblico generale a che l'attività di riscossione sia esercitata entro un quadro di plausibile certezza, anche per evitare inutile dispendio di attività amministrativa nel caso si dovesse far poi luogo alle restituzioni, sia alla tutela dell'attività impresa, attesa l'ingente entità delle somme richieste e l'impatto che le stesse avrebbero sul bilancio delle società interessate". 7. La causa è stata discussa dalle parti ed è stata trattenuta in decisione dal Collegio alla odierna udienza. 8. Nel merito, ritiene il Collegio che debba essere esaminato con priorità logico-giuridica il motivo di appello, ripropositivo del corrispondente motivo di primo grado, che, se fondato, condurrebbe ad annullare gli atti impugnati con il massimo grado di satisfattività per la pretesa giuridica azionata dalla società ricorrente. Ad avviso del Collegio, per evidenti ragioni legate alla sussistenza stessa del presupposto legale impositivo, la questione giuridica principale è quella se, al di là della asserita mancata osservanza delle garanzie procedimentali partecipative e della lamentata insussistenza delle condizioni, soprattutto temporali, per fare luogo all'autotutela amministrativa, sussista o meno, in radice, la base legale in virtù della quale l'Amministrazione finanziaria e, per essa, lo Stato, pretendono oggi dalle società ricorrente il pagamento dei suddetti importi aggiuntivi. Le tesi interpretative che si frappongono riposano sulla distinzione tra la posizione difesa dall'Avvocatura generale dello Stato e accolta dalla sentenza impugnata, secondo cui il limite massimo allo stanziamento riguarderebbe la sola parte di prelievo destinata ad alimentare il Fondo e non anche la misura massima del prelievo al quale sarebbero assoggettabili gli operatori economici del settore, e quella propugnata dalla società ricorrente, secondo cui il limite allo stanziamento del Fondo fungerebbe anche da limite implicito al prelievo, in virtù del legame teleologico impresso dalla decretazione d'urgenza al prelievo medesimo per il perseguimento della specifica finalità solidaristica consistente nel dotare il Fondo delle sole risorse necessarie per potere operare. 9. Tale essendo la questione di fondo controversa, ritiene il Collegio che il ragionamento logico-giuridico sul quale il primo giudice ha incentrato la reiezione dei ricorsi non possa condividersi, dovendosi, anzi, al contrario, ritenere che, tra le due frapposte opzioni ermeneutiche, quella che aderisce al dettato normativo secondo il principio di legalità e che risponde alla sottesa ratio legis, è la tesi propugnata dalla società ricorrente. Sono decisive in tal senso le considerazioni giuridiche ritraibili prima di tutto dal sistema normativo nazionale, e poi anche da quello euro-unitario, sulla base dei principi dei Trattati, così come costantemente interpretati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. 10. Anzitutto occorre partire dal dato normativo interno. Come si è poc'anzi detto, la controversia che oppone la società ricorrente all'Amministrazione finanziaria dello Stato riguarda il calcolo dell'imposta introdotta dall'art. 217, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (in Suppl. Ord. n. 21 alla Gazz. Uff., 19 maggio 2020, n. 128) convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, recante le Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (cd. DECRETO RILANCIO). In particolare, detto articolo ha previsto che: "1. Al fine di far fronte alla crisi economica dei soggetti operanti nel settore sportivo determinatasi in ragione delle misure in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, è istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze il "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale" le cui risorse, come definite dal comma 2, sono trasferite al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per essere assegnate all'Ufficio per lo sport per l'adozione di misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo. 2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2021, una quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere, anche in formato virtuale, effettuate in qualsiasi modo e su qualsiasi mezzo, sia on-line, sia tramite canali tradizionali, come determinata con cadenza quadrimestrale dall'ente incaricato dallo Stato, al netto della quota riferita all'imposta unica di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, viene versata all'entrata del bilancio dello Stato e resta acquisita all'erario. Il finanziamento del Fondo di cui al comma 1 è determinato nel limite massimo di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021. Qualora, negli anni 2020 e 2021, l'ammontare delle entrate corrispondenti alla percentuale di cui al presente comma sia inferiore alle somme iscritte nel Fondo ai sensi del precedente periodo, è corrispondentemente ridotta la quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145. 3. Con decreto dell'Autorità delegata in materia di sport, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, da adottare entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuati i criteri di gestione del Fondo di cui ai commi precedenti. La norma è entrata in vigore lo stesso giorno della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ossia in data 19 maggio 2020. 11. Occorre poi prestare attenzione alle vicende amministrative che si sono susseguite in fase di prima applicazione. Con la determinazione n. 307276/RU dell'8 settembre 2020, l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva definito le modalità di calcolo e di applicazione dell'importo dello 0,5 per cento per le singole tipologie di scommessa, nonché i termini di versamento delle somme da corrispondere a cura dei concessionari, con cadenza quadrimestrale e pari alla somma degli importi calcolati mensilmente per ciascuna tipologia di gioco. In particolare, all'art. 6, aveva previsto che "Qualora prima del 31 dicembre di ciascun anno sia raggiunto il limite massimo, rispettivamente, di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021, il calcolo dell'importo è limitato al mese in cui detto limite è raggiunto e l'importo mensile è ricalcolato in misura proporzionale rispetto alla somma registrata in eccesso". Successivamente, con la circolare n. 12 del 12 marzo 2021, l'Agenzia, sulla base del limite di cui al citato articolo 6, aveva esplicitato le modalità di calcolo degli importi mensili dovuti per scommessa, disciplinando gli arrotondamenti, definendo il criterio per la "Determinazione dell'importo riferito al mese in cui è raggiunto il limite annuo", nonché la procedura da seguire nel caso di "Raggiungimento del limite annuo di cui all'articolo 6, qualora sia necessario integrare o ridurre l'importo calcolato", e fornendo gli "importi totali calcolati da ADM per il secondo e terzo quadrimestre 2020" per raggiungere il citato tetto massimo (relativo al 2020) di 40 mln di euro. L'elemento che caratterizzava e accomunava tutti i detti provvedimenti era l'affermazione implicita del principio del parallelismo tra l'entità del prelievo fiscale e il limite allo stanziamento del Fondo salva sport, nel senso cioè che il tetto massimo previsto per dotare il Fondo delle risorse necessarie per operare, fissato in 40 milioni di euro per l'anno 2020 e in 50 milioni di euro per l'anno 2021, fungeva, altresì, da limite implicito al prelievo di imposta, attraverso il precipuo meccanismo della riparametrazione proporzionale dell'importo mensile dovuto. In tal modo, la pretesa fiscale non aveva ad oggetto il pagamento dell'intera quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse, bensì, nell'ambito di detta quota, attraverso il ricalcolo mensile in misura proporzionale, il pagamento necessario per dotare il Fondo dello stanziamento previsto, con conseguente possibilità di registrare anche somme in eccesso. 12. Occorre considerare, infine, ciò che è accaduto immediatamente prima l'emanazione della impugnata determinazione n. 10337/RU del 5 gennaio 2023, recante "l'annullamento, in autotutela, ai sensi della Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 21 nonies, della Determinazione Direttoriale prot. n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022 e delle note, trasmesse ai concessionari, di invito a effettuare i versamenti delle somme destinate ad alimentare il Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale, calcolate in applicazione dei criteri esposti in detta Determinazione Direttoriale". Invero la determinazione direttoriale alla quale si fa riferimento, da annullare in via di autotutela, riguardava, in realtà, una diversa vicenda svoltasi in relazione ad un altro contenzioso, insorto sempre tra taluni operatori del settore e l'Agenzia, e sempre collegato alle modalità di calcolo del prelievo di cui trattasi, ma questa volta nel settore specifico del cd. Betting Exchange, che poi è stato regolato proprio con la succitata determina n. 5721/RU dell'8 gennaio 2022. E' stato proprio da tale antefatto che ha preso le mosse il revirement interpretativo dell'Agenzia, la quale, trovatasi nella situazione di dovere ridefinire la nuova disciplina di calcolo per il Betting Exchange a seguito del giudicato amministrativo nel frattempo formatosi in senso ad essa sfavorevole, ha poi in effetti deciso di riverificare in senso complessivo la conformità a legge del proprio operato concernente le modalità di calcolo del prelievo ai sensi dell'art. 217, decreto-legge n. 34/2020. A seguito di interlocuzioni con la Ragioneria Generale dello Stato e la Corte dei conti - Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, l'Agenzia ha reinterpretato la summenzionata normativa fiscale e l'ha applicata, da allora in avanti, in senso diametralmente opposto rispetto al passato, ossia nel senso che il limite massimo di 40 milioni di euro per l'anno 2020 e di 50 milioni di euro per l'anno 2021 non dovesse riferirsi "alla misura massima delle somme dovute dai soggetti passivi del prelievo, bensì alla parte di prelievo destinata ad alimentare il "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale", con la conseguenza che i concessionari sono tenuti a versare per intero l'aliquota dello 0,5 per cento della raccolta, calcolata secondo le modalità espresse all'articolo 3 della nuova determina, senza più quindi la possibilità che l'importo mensile dovuto sia ricalcolato proporzionalmente al raggiungimento dei previsti limiti di stanziamento, come era invece stabilito dall'art. 6 della originaria determina n. 307276/RU dell'8 settembre 2020, disposizione, questa, difatti, non più riprodotta con l'impugnata determinazione del 5 gennaio 2023. 13. Sulla base di ciò, sussistono ad avviso del Collegio plurimi elementi, sia testuali, sia sistematici, tali per cui non devono nutrirsi dubbi circa il fatto che l'unica interpretazione corretta della disposizione recata dall'art. 217, decreto-legge n. 34/2020 sia quella che l'Amministrazione finanziaria ha seguito in fase di prima applicazione della norma, poi tuttavia dalla stessa abbandonata e sostituita da quella, opposta e qui impugnata, da ritenersi non conforme a legge, in quanto non rinveniente nel dato normativo la necessaria 'base legalè della pretesa impositiva. 14. L'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale (cd. Preleggi), rubricato "Interpretazione della legge", prevede che "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato". Nell'ordine, quindi, i canoni ermeneutici di cui l'interprete deve fare applicazione sono: a) l'interpretazione letterale palesata dal significato proprio delle parole; b) l'interpretazione sistematica delle parole secondo la connessione di esse; c) l'analogia iuris e l'analogia legis, per i casi simili o le materie analoghe; d) se il caso rimane ancora dubbio, i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato. 15. Sul piano testuale, il legislatore ha chiaramente enunciato la propria intenzione di introdurre misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, con lo scopo cioè di bilanciare il sacrificio economico imposto a taluni operatori economici assoggettati ad una nuova forma di imposizione indiretta (nella specie, i concessionari della raccolta delle scommesse), con le superiori, generali e imperative esigenze di solidarietà economica e sociale, indispensabili non tanto per sostenere in generale l'economia, ma proprio per rilanciare specifici settori dell'economia gravemente pregiudicati a seguito delle misure restrittive e delle chiusure alle attività imposte dalla normativa di contrasto al COVID-19, tra cui quelle facenti capo ad associazioni sportive e dilettantistiche. Letteralmente, difatti, il primo comma del cit. art. 217 prevede che le risorse, come definite dal comma 2, sono trasferite al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per essere assegnate all'Ufficio per lo sport per l'adozione di misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo. Ancora sul piano testuale, va poi considerata la rubrica dell'articolo in commento, intitolata "Costituzione del "Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale"", anche in questo caso stabilendo un sicuro vincolo funzionale tra la ragione del prelievo e la finalità perseguita, ossia non il perseguimento di generali e non meglio precisate ragioni di interesse pubblico, ma proprio la finalità specifica di mostrarsi solidali con il sistema sportivo nazionale, al cui rilancio è deputata la costituzione del Fondo. Sempre sul piano testuale, è pur vero che il secondo comma del medesimo art. 217 prevede che "(d)alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2021, una quota pari allo 0,5 per cento del totale della raccolta da scommesse relative a eventi sportivi di ogni genere... al netto della quota riferita all'imposta unica di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1998, n. 504, viene versata all'entrata del bilancio dello Stato e resta acquisita all'erario", ma tale espressione va messa in correlazione e (soprattutto) va letta in connessione con le previsioni recate dal primo comma e con il senso complessivo delle misure emergenziali introdotte dalla decretazione in via d'urgenza, così come poc'anzi illustrate, con la conseguenza che non può sostenersi che il limite massimo allo stanziamento riguardi la sola parte di prelievo destinata ad alimentare il fondo e non anche la misura massima del prelievo al quale sono assoggettati gli operatori economici del settore, dal momento che le risorse alle quali si fa riferimento nel primo comma per dotare il Fondo dei mezzi necessari per potere operare sono proprie quelle e solo quelle reperite secondo le modalità descritte dal comma 2 del medesimo art. 217, e che le finalità solidaristiche espressamente previste dalla norma sono solo quelle che riguardano l'adozione delle misure di sostegno e di ripresa del movimento sportivo, e non altre esigenze che pure la Difesa erariale ha prospettato come "finalità omologhe", con formula tuttavia non meglio precisata. 16. Sul piano sistematico e complessivo, quindi, deve affermarsi il principio di diritto secondo cui, seppure il legislatore non abbia fatto uso di espressioni letterali tali da esplicitare verbalmente il concetto che il limite di stanziamento del Fondo funziona anche quale limite al prelievo, è tuttavia evidente e incontrovertibile che il suddetto principio sia ricavabile sulla base della intentio legis, per come palesata nell'epigrafe che dà il titolo al decreto-legge; della ratio iuris perseguita, per come anch'essa resa chiara dalla rubrica dell'articolato normativo; e del necessario raccordo tra le previsioni recate dal primo e dal secondo comma, che non possono essere lette e interpretate in modo isolato e atomistico l'una dall'altra, ma che anzi impongono una lettura coordinata secondo i principi della logica giuridica. 17. Vi è poi una ulteriore considerazione da svolgere. La necessità di rilanciare il settore dello sport, e in particolare il mondo delle piccole associazioni sportive e dilettantistiche che vi operano, è stata una esigenza così sentita dallo Stato da indurlo a introdurre, nell'ultima parte del secondo comma del cit. 217, la previsione che "Qualora, negli anni 2020 e 2021, l'ammontare delle entrate corrispondenti alla percentuale di cui al presente comma sia inferiore alle somme iscritte nel Fondo ai sensi del precedente periodo, è corrispondentemente ridotta la quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145". Questo evento, come si è già ampiamente chiarito, non si è verificato nel caso all'esame, originando difatti l'odierna controversia proprio dal fatto che le soglie di stanziamento del Fondo sono state ampiamente raggiunte. La considerazione della suddetta eventualità, tuttavia, è utile per comprendere sul piano esegetico, sulla base di un ragionamento logico controfattuale, cosa per l'appunto sarebbe accaduto se ciò si fosse verificato. E' evidente infatti, che laddove detto ammontare fosse stato inferiore, lo Stato avrebbe dovuto integrare i limiti di stanziamento previsti, operando la corrispondente riduzione della quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145. Anche alla luce della conferma che, da detta previsione, si trae sulla complessiva filosofia dell'intervento normativo, perciò non si rinviene alcuna ragione di assoggettare i concessionari dello Stato ad uno sforzo di contribuzione per esigenze solidaristiche (va ribadito, dagli stessi non contestato nei limiti necessari al raggiungimento delle soglie di stanziamento del Fondo) maggiore di quello al quale si sottoporrebbe lo Stato stesso nel caso in cui le suddette soglie non venissero raggiunte, perché in questo ultimo caso è certo, per espressa previsione di legge, che la riduzione corrispondente della quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 opererebbe solo fino al raggiungimento delle soglie, e non oltre. Il che dimostra, se ve ne fosse bisogno, che l'unica lettura possibile della disposizione normativa contenuta all'art. 217, decreto-legge n. 34/2020, nel raccordo fra il primo e il secondo comma, è esclusivamente quella che riposa sul principio del parallelismo tra il prelievo e la dotazione del fondo, con la conseguenza che il limite allo stanziamento del Fondo rappresenta anche il necessario tetto implicito al prelievo. 18. Discendendo dalle considerazioni appena illustrate l'integrale e satisfattivo accoglimento delle ragioni giuridiche prospettate con gli odierni appelli, non sarebbe di per sé necessario, anzi per vero diventerebbe recessivo per mancanza del presupposto della rilevanza, l'esame delle questioni pregiudiziali interpretative (costituzionale ed europea) correttamente prospettate dalla società appellante in via solo subordinata, per il caso cioè in cui il Collegio fosse pervenuto alla decisione opposta. Peraltro, sullo sfondo di tali questioni prospettate, si staglia con chiarezza il corollario del c.d. generale "principio di conservazione" che permea di sé l'ordinamento giuridico, secondo cui tra due eventuali interpretazioni plausibili, il Giudice è tenuto a privilegiare quella che conduce all'affermazione che la norma applicata è immune da mende rispetto a quella che possa presentare profili di incompatibilità con altri valori dell'ordinamento. È noto che il detto principio è stato, negli anni, evocato a più riprese dal Giudice delle leggi (celebre, in proposito, il canone enunciato nella sentenza n. 356 del 1996, e poi più volte ripetuto a partire dalla sentenza n. 147 del 2008 e reso con la fortunata espressione "in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime -o una disposizione non può essere ritenuta costituzionalmente illegittima- perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali -e qualche giudice ritenga di darne-, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali". Lo stesso principio trova pure riscontro, seppur con minore frequenza, nella giurisprudenza della CGUE (Corte giustizia UE grande sezione, 8.11.2016, n. 554, consideranda 58 e 59 "58 In base, altresì, a una consolidata giurisprudenza, anche se le decisioni quadro, ai sensi dell'articolo 34, paragrafo 2, lettera b), UE, non possono avere efficacia diretta, il loro carattere vincolante comporta tuttavia in capo alle autorità nazionali, in particolare ai giudici nazionali, un obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale (v. sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 53 e giurisprudenza ivi citata). 59 Nell'applicare il diritto interno, il giudice nazionale chiamato ad interpretare quest'ultimo è quindi tenuto a farlo, quanto più possibile, alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato da essa perseguito. Tale obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale è insito nel sistema del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell'ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell'Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (v. sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11, EU:C:2012:517, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).". In tale ottica, sebbene non ai fini del rinvio pregiudiziale, è comunque opportuno svolgere qualche considerazione finale sul piano della integrazione del nostro ordinamento giuridico in quello europeo, alla luce dei principi del Trattato, così come interpretati con indirizzo esegetico consolidato dalla Corte di Giustizia, a riprova dell'ormai raggiunto grado di maturità, chiarezza e adeguatezza, nel settore dei giochi e delle scommesse, dei principi interpretativi elaborati dal giudice europeo, cosicché ogni giudice nazionale può farne immediatamente applicazione, conoscendo il punto di vista della Corte in materia. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, devono considerarsi quali restrizioni alla libertà di stabilimento o alla libera prestazione dei servizi tutte le misure che vietino, ostacolino o rendano meno attraente l'esercizio delle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 TFUE (sentenza del 22 gennaio 2015, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-463/13, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata; sentenza del 20 dicembre 2017, n. 322, punto 35). Diversamente dal caso esaminato dalla sentenza del 22 gennaio 2015, ma similmente a quello oggetto della sentenza del 20 dicembre 2017, anche nel caso qui trattato la normativa nazionale non ha imposto ai concessionari nuove condizioni di esercizio dell'attività (es. proroghe del contratto), bensì ha introdotto una nuova disciplina fiscale, sia pure limitata, in questo specifico caso, ad un biennio (anni 2020-2021). Sebbene la materia della imposizione fiscale rientri nella competenza degli Stati membri, una costante giurisprudenza della Corte afferma che questi ultimi devono esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell'Unione e, in particolare, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (sentenza dell'11 giugno 2015, Berlington Hungary e a., C-98/14, punto 34). Pur in assenza di una disciplina europea specifica di fonte derivata, si applicano, difatti, le norme del Trattato che tutelano sia la libertà di stabilimento (che importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio ai sensi dell'art. 49), sia la libertà di prestazione di servizi (art. 56) che implica, tra l'altro, il libero svolgimento di attività di impresa, in quanto viene in rilievo un'attività economica di impresa. Al fine di stabilire quando tali libertà europee siano violate, occorre previamente accertare se la misura nazionale abbia determinato una restrizione delle suddette libertà . In secondo luogo, ove la restrizione effettivamente sussista, occorre stabilire se la stessa possa essere giustificata alla luce sia di limiti specifici espressamente consentiti dal Trattato, sia del limite generale costituito dai "motivi imperativi di interesse generale", che sono diversamente costruiti a seconda del settore di riferimento. Infine, se i suddetti motivi imperativi sussistono, occorre valutare se la normativa nazionale derogatoria rispetto alle libertà europee rispetti i seguenti altri principi generali europei: i) principio del pari trattamento, che vieta che la deroga nazionale crei discriminazione tra situazioni giuridiche nazionali ed europee; ii) principio di proporzionalità, che impone che la misura nazionale sia adeguata, idonea e proporzionata in senso stretto rispetto alla tutela dell'interesse pubblico nazionale, al fine di stabilire se il sacrificio dell'interesse pubblico europeo sia in concreto giustificato; iii) principio di affidamento dei privati incisi da una normativa eventualmente retroattiva, ovvero che pregiudichi posizioni consolidate; iv) principio di trasparenza e principio di concorrenza per il mercato, qualora sussista l'esigenza di scelta limitata dei soggetti privati che possano svolgere quella attività (Consiglio di Stato, Sezione IV, ordinanza n. 1071 del 31 gennaio 2023). Nel caso all'esame, come si è poc'anzi chiarito, mentre non occorre approfondire il primo aspetto, in quanto gli appelli vanno accolti, sicché per definizione nessuna lesione alle libertà garantite dal Trattato si prospetta, è invece utile ripercorrere l'orientamento della Corte sulla nozione di motivo imperativo di interesse generale. La disciplina dei giochi d'azzardo e delle scommesse rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale. In assenza di un'armonizzazione in materia a livello dell'Unione, gli Stati membri godono di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda la scelta del livello di tutela dei consumatori e dell'ordine sociale che essi considerano più appropriato (sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C-322/16, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata). Gli Stati membri sono, di conseguenza, liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d'azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di tutela perseguito. Tuttavia, le restrizioni che essi impongono devono soddisfare le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda, segnatamente, la loro giustificazione sulla base di motivi imperativi di interesse generale e la loro proporzionalità (sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C-322/16, punto 40 e la giurisprudenza ivi citata). Pertanto, purché esse soddisfino quest'ultimo requisito, eventuali restrizioni delle attività di gioco d'azzardo possono essere giustificate in virtù di motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione delle frodi e dell'incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco (sentenza del 22 gennaio 2015, Stanley International Betting e Stanleybet Malta, C-463/13, punto 48 nonché la giurisprudenza ivi citata). Le considerazioni appena illustrate chiariscono quindi ulteriormente, rafforzandola, la conclusione interpretativa della normativa recata dal decreto-legge n. 34/2020, alla quale già si era pervenuti sulla base del diritto interno, ovverossia che, siccome detta normativa è stata introdotta in via di decretazione d'urgenza per far fronte all'emergenza economica insorta a seguito della chiusura e delle restrizioni alle attività economiche, con lo scopo di reperire le risorse necessarie per finanziare le misure di sostegno e di rilancio dell'economia e, per quanto interessa l'art. 217, del settore sportivo, il vincolo di scopo al prelievo non può che essere sorretto, sul piano della tenuta del sistema, dalla sussistenza di serie e gravi esigenze imperative di interesse generale, non riducibili alla generica ragion fiscale . Laddove, infatti, si negasse il principio dell'allineamento o corrispondenza fra entità del prelievo forzoso e limite massimo allo stanziamento, da intendersi dunque (anche) come limite (implicito) al prelievo medesimo, l'effetto pratico che si produrrebbe sarebbe quello di finanziare la spesa pubblica in generale, non essendo manifestate dalla norma ulteriori o diverse specifiche ragioni imperative di interesse pubblico da perseguire. A tal fine, del resto, non potrebbero giammai sopperire le non meglio precisate "finalità omologhe" pure prospettate dalla Difesa erariale nei propri scritti difensivi, sia perché testualmente non previste dalla norma, sia perché frutto, al limite, di una destinazione spontanea e di mero fatto da parte dello Stato in favore delle associazioni sportive e dilettantistiche, tale cioè da non consentire sia nella prospettiva del diritto europeo, sia in quella nazionale, la necessaria obiettività e misurabilità delle esigenze effettivamente volute e perseguite dal legislatore (secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, l'identificazione degli obiettivi effettivamente perseguiti dalle disposizioni nazionali in esame nel procedimento principale rientra comunque nella competenza del giudice del rinvio: in tal senso, sentenza del 28 gennaio 2016, Laezza, C-375/14, punto 35). 19. In definitiva, l'appello, così come in epigrafe proposto, va accolto per le considerazioni assorbenti e integralmente satisfattorie prima declinate (il che consente di prescindere dalla disamina delle ulteriori censure articolate) e, in riforma dell'impugnata sentenza, va di conseguenza accolto il ricorso di primo grado e così annullati gli atti impugnati. 20. Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi tenuto conto della parziale novità e complessità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, di conseguenza, in riforma dell'impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti impugnati. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Rosaria Maria Castorina - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7690 del 2023, proposto da An. Al. ed altri, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocato Se. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Treviso, via (...); contro Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministero pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Consap - Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici s.p.a., non costituita in giudizio; Commissione Tecnica del Fondo Indennizzo Risparmiatori, non costituita in giudizio; nei confronti Ve. Ba. s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, non costituita in giudizio; Ba. Po. di Vi. s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, non costituita in giudizio; Ca. Gi., non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza n. 2489 del 13 febbraio 2023 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. II, resa tra le parti, che ha respinto il ricorso contro il silenzio proposto in primo grado dagli odierni appellanti e volto, previo riconoscimento dell'errore scusabile e conseguente rimessione in termini ex art. 37 c.p.a. dei ricorrenti, a fare comunque annullare in via subordinata i provvedimenti emessi nei confronti dei ricorrenti, prodotti dal n. 1 al n. 163) con cui è stato negato l'accesso al Fondo Indennizzo Risparmiatori (FIR) e, in particolare, nella parte in cui, dopo aver ritenuto insussistenti i requisiti per l'accesso all'indennizzo forfettario, hanno concluso che "in ragione di ciò, la Commissione tecnica di cui all'art, 1, co. 501, l. 30.12.2018, n. 145, ha deliberato che, nel caso di specie, non sussistono i requisiti per il riconoscimento dell'indennizzo previsto dalla richiamata normativa". visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze; visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Consigliere Massimiliano Noccelli e viste le conclusioni delle parti come da verbale; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. I ricorrenti indicati in epigrafe sono risparmiatori danneggiati dalle vicende che hanno riguardato la Ve. Ba. e la Ba. Po. di Vi., poste entrambe in liquidazione coatta amministrativa. 1.1. Nel mese di febbraio 2020 hanno presentato domanda per ottenere l'erogazione di un indennizzo forfettario da parte del Fondo indennizzo risparmiatori (FIR) previsto dall'art. 1, comma 493, della legge del 30 dicembre 2018, n. 145, in favore dei risparmiatori danneggiati dalle banche poste in liquidazione coatta amministrativa, "dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1° gennaio 2018", al ricorrere dei presupposti ivi stabiliti. 1.2. Nel periodo compreso tra il 7 dicembre 2021 e il 28 dicembre 2021 hanno ricevuto, tramite la piattaforma predisposta da parte di Cosap che gestisce le richieste di indennizzo, prima la comunicazione sul "cambio di stato" della loro domanda di indennizzo e dopo il rigetto della domanda. 1.3. In particolare, Consap faceva pervenire all'interessato la comunicazione secondo cui, testualmente, "in relazione alla Sua posizione, come certificato dall'AdE, non sono stati soddisfatti i requisiti reddito-patrimoniali ai fini dell'accesso alla procedura di indennizzo forfettario di cui all'art, 1, co. 502 bis, L. 30.12.2018, n. 145" e "in ragione di ciò, la Commissione tecnica di cui all'art, 1, co. 501, l. 30.12.2018, n. 145, ha deliberato che, nel caso di specie, non sussistono i requisiti per il riconoscimento dell'indennizzo previsto dalla richiamata normativa". 1.4. Benché la domanda di indennizzo forfettario fosse stata respinta da Consap, i ricorrenti hanno ritenuto che il procedimento per il riconoscimento dell'indennizzo non si fosse in realtà concluso in quanto l'amministrazione avrebbe dovuto comunque convertire la domanda di indennizzo forfettario (art. 1, comma 502-bis) in domanda di indennizzo ordinario (art. 1, comma 501) in virtù dell'auto-vincolo espresso con la Comunicazione della Segreteria Tecnica di Consap del 6 agosto 2020. 1.5. Quest'ultimo atto prevede infatti che in caso di controllo negativo sui requisiti reddituali posti a fondamento della domanda di indennizzo ordinario "sarà inviata all'utente apposita richiesta di integrazione istruttoria al fine di raccogliere, in primo luogo, l'eventuale dichiarazione sul possesso del requisito patrimoniale (< 100.000 euro), e, in secondo luogo ed in via alternativa - dunque in mancanza dei requisiti per l'accesso all'indennizzo forfettario - la documentazione relativa alle violazioni massive del T.U.F.". 1.6. Dopo aver diffidato in data 20 ottobre 2022 il Ministero dell'Economia e delle Finanze e Consap s.p.a. a concludere il procedimento mediante "passaggio alla procedura di indennizzo ordinaria di cui all'art. 1, co. 493, L. 30.12.2018, n. 145" previa acquisizione della "documentazione volta a comprovare il possesso dei relativi requisiti", gli istanti hanno impugnato avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma (di qui in avanti, per brevità, il Tribunale), il silenzio formatosi sulla predetta diffida chiedendo di accertare "il silenzio-inadempimento delle Amministrazioni resistenti per quanto di rispettiva competenza, alla determinazione dalla Commissione Tecnica assunta nella seduta del 06.08.2021 e all'atto di diffida di cui sopra" ai sensi e per gli effetti degli artt. 31 e 117 c.p.a. 1.7. In via subordinata, i ricorrenti in prime cure hanno altresì proposto domanda di annullamento, previa rimessione in termini ex art. 37 c.p.a., dei provvedimenti emessi nei lori confronti con cui è stato negato l'accesso all'indennizzo forfettario di cui all'art. 1, comma 501, della l. n. 145 del 2018. 1.8. Le pubbliche amministrazioni intimate si sono costituite nel primo grado del giudizio soltanto formalmente. 1.9. All'udienza dell'8 febbraio 2023, dopo la discussione di rito, la causa è stata trattenuta in decisione dal primo giudice. 2. Il Tribunale, con la sentenza n. 2489 del 13 febbraio 2023, ha respinto il ricorso contro il silenzio. 2.1. In particolare, il primo giudice, richiamando la sentenza n. 664 del 29 gennaio 2023 di questa Sezione, ha statuito che non sussiste l'obbligo di provvedere sull'istanza di parte ricorrente in quanto l'amministrazione non è obbligata a convertire la domanda di indennizzo forfettario che è stata rigettata in domanda di indennizzo massivo, attesa l'autonomia dei due distinti procedimenti, né in base alla legge (all'art. 1, commi da 493/501-bis, della l. n. 145 del 2018), né in base ad atti di auto-vincolo (deliberazione della Segreteria Tecnica di Consap del 6 agosto 2020). 2.2. Di conseguenza, non sussistono gli estremi per concedere la rimessione in termini ai sensi dell'art. 37 c.p.a. al fine di poter ritenere tempestivamente impugnati i provvedimenti di rigetto delle domande di indennizzo forfettario conosciute nel mese di dicembre 2021. 2.3. Sempre secondo il primo giudice, infatti, i ricorrenti avrebbero con le loro censure posto una questione sostanziale, nell'assumere che l'art. 1, comma 501, della l. n. 148 del 2018 non preclude la possibilità di applicare il procedimento ordinario anche alle domande attivate tramite il canale dell'indennizzo forfettario (art. 1, comma 502-bis). 2.4. Si tratterebbe tuttavia di una questione che attiene al merito della controversia che non incide, in quanto tanto, sull'esercizio del potere processuale di reagire contro la comunicazione del rigetto della domanda di indennizzo forfettario ricevuto da Cosap che i ricorrenti avrebbero potuto senza altro impugnare anziché attendere la conversione del procedimento, conversione che, peraltro, non era stata neppure comunicata in via diretta. 3. Avverso questa sentenza hanno proposto appello gli interessati, meglio in epigrafe indicati, lamentandone l'erroneità, e ne hanno chiesto la riforma, al fine di far riconoscere, in via preliminare, l'errore scusabile e conseguentemente, previa rimessione in termini ex art. 37 c.p.a. dei ricorrenti, accogliere il ricorso di primo grado - se ritenuto necessario, anche previa sottoposizione della questione di costituzionalità formulata - e per l'effetto annullare i provvedimenti emessi nei confronti dei ricorrenti, prodotti dal n. 1 al n. 163, che hanno negato l'accesso all'indennizzo e, in particolare, nella parte in cui, dopo aver ritenuto insussistenti i requisiti per l'accesso all'indennizzo forfettario, hanno concluso che "in ragione di ciò, la Commissione tecnica di cui all'art, 1, co. 501, l. 30.12.2018, n. 145., ha deliberato che, nel caso di specie, non sussistono i requisiti per il riconoscimento dell'indennizzo previsto dalla richiamata normativa". 3.1. Si è costituito il Ministero appellato per eccepire l'inammissibilità e, nel merito, l'infondatezza dell'appello. 3.2. Nell'udienza pubblica del 28 maggio 2024 il Collegio, non essendo presenti i difensori delle parti, ha comunque rilevato d'ufficio, facendola constare a verbale, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., la questione inerente all'eventuale irricevibilità dell'appello per violazione del termine dimidiato di cui all'art. 87, commi 2 e 3, c.p.a. e, all'esito, ha trattenuto la causa in decisione. 4. L'appello è irricevibile. 5. Invero, come il Collegio ha rilevato d'ufficio nell'udienza pubblica del 28 maggio 2024, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., nell'assenza dei difensori delle parti (che non può precludere al Collegio, solo per la scelta di non presenziare all'udienza da parte di questi, la possibilità di indicare questioni rilevabili d'ufficio in udienza e di farle constare a verbale), l'appello presenta evidenti profili di irricevibilità (art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a.) perché esso è stato notificato il 25 settembre 2023, ben oltre il termine di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza impugnata. 6. Al riguardo si deve rammentare che il ricorso di primo grado era rivolto ai sensi dell'art. 117 c.p.a. contro il silenzio del Ministero sulla domanda di indennizzo proposta dagli appellanti e, dunque, essi avevano l'onere di impugnare la sentenza, che ha respinto la loro domanda, nel termine dimidiato previsto dall'art. 87, commi 2 e 3, c.p.a. (v., ex plurimis, C.G.A.R.S., sez. giurisd., 8 maggio 2013, n. 455). 6.1. Il rito sul silenzio è assoggettato a termini processuali dimezzati rispetto a quelli ordinari, salvo quelli concernenti la notificazione del ricorso introduttivo in primo grado (art. 87, commi 2 e 3, c.p.a.). 6.2. È noto che, secondo la previsione dell'art. 87, comma 3, c.p.a. (nel testo conseguente alle modifiche apportate dal primo correttivo del 2011), nei giudizi che si svolgono in camera di consiglio di cui al comma 2 - tra cui il giudizio in materia di silenzio - l'eccezione alla regola generale del dimezzamento dei termini processuali è circoscritta al solo giudizio di primo grado e, pertanto, tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne, nel giudizio di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti (cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 27 giugno 2022, n. 5233). 6.3. Né in senso contrario nel caso qui in esame, a giustificare la tardiva proposizione dell'appello e rendere scusabile il relativo errore, può rilevare che la trattazione del ricorso in appello - a differenza di quanto accaduto, invece, ritualmente in primo grado - sia avvenuta in udienza pubblica anziché con il rito camerale, in quanto è pure noto - anzitutto agli stessi appellanti, che non potevano incolpevolmente ignorare tale dato normativo - che ai sensi dell'art. 87, comma 4, c.p.a. la trattazione in udienza pubblica non è causa di nullità della decisione, ma costituisce anzi una maggiore garanzia di contraddittorio per le parti. 7. Da tanto discende che l'appello, notificato oltre il termine lungo dimidiato di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza, è irricevibile per tardività . 8. Le spese del presente grado del giudizio, considerato il rilievo officioso della questione nell'udienza pubblica del 28 maggio 2024 nell'assenza dei difensori, possono essere interamente compensate tra le parti. 8.1. Rimane definitivamente a carico degli appellanti il contributo unificato corrisposto per la proposizione dell'irricevibile gravame. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, proposto dai ricorrenti in epigrafe indicati, lo dichiara irricevibile per tardività . Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado del giudizio. Pone definitivamente e solidalmente a carico degli appellanti il contributo unificato richiesto per la proposizione del gravame. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024, con l'intervento dei magistrati: Fabio Taormina - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere, Estensore Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 94 del 2017, proposto da -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Bu. Vi., Ma. Fr., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Bu. Vi. in Perugia, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; e con l'intervento di ad adiuvandum: -OMISSIS- S.r.l. unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Va. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento emesso dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, di diniego di accesso alle agevolazioni ex art. 14, comma 1, lett. c), del D.M. 592/2000, con riguardo ad un'attività di ricerca industriale Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. -OMISSIS- s.r.l. in data -OMISSIS- presentava domanda di accesso alle agevolazioni di cui all'art. 14, comma 1, lett. c) del D.M. n. 593/2000, riconosciute in relazione alla "attribuzione di specifiche commesse o contratti per la realizzazione delle attività di cui al comma 6 del medesimo art. 14" - ovvero un'attività di ricerca industriale commissionata al laboratorio -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l. (già -OMISSIS- s.p.a.). Con nota prot. -OMISSIS-del -OMISSIS- il Ministero dell'Università e della Ricerca (di seguito "MIUR"), comunicava l'ammissibilità del progetto di ricerca ad una agevolazione complessiva di euro 206.582,75 nella forma del credito d'imposta, richiedendo quindi "ai fini dell'effettivo riconoscimento della predetta agevolazione" una serie di integrazioni documentali. 2. -OMISSIS- s.r.l. inviava il contratto di ricerca stipulato con -OMISSIS- s.p.a. in data -OMISSIS- con oggetto denominato come "Studi, analisi, ricerche, progettazioni e sviluppo sperimentale, volti al potenziamento dei servizi di ricerca industriale e di ingegneria integrata a favore delle p.m.i., anche in termini di strumentazioni, attrezzature e software, per conseguire un notevole miglioramento dei suddetti servizi forniti all'utenza nell'ottica dell'integrazione di sistemi aziendali"; il MIUR con nota del -OMISSIS- preavvisava la società circa la "...non accoglibilità del contratto stipulato con il -OMISSIS-oratorio -OMISSIS- s.p.a." in ragione del parere acquisito dal Gruppo di Lavoro incaricato dell'istruttoria, secondo cui "Dall'esame del documento tecnico allegato al contratto risulterebbe che il progetto si propone l'integrazione di energia geotermica con l'energia prodotta da motori a combustione interna o esterna tipo Stirling, alimentati da biogas prodotto da rifiuti organici di un edificio per coprire i fabbisogni energetici dell'edificio stesso. Il progetto, a partire dal suo titolo risulta generico, velleitario, inadeguato come presupposti, attività, contenuti e obiettivi e mancante in modo assoluto non solo dei requisiti scientifici ma anche dei presupposti tecnici necessari". -OMISSIS- provvedeva ad inviare le proprie osservazioni con missiva del -OMISSIS-, alla quale allegava documentazione integrativa; inoltre modificava il titolo del progetto. 3. In seguito il MIUR comunicava la sospensione della valutazione istruttoria delle varie domande di agevolazione a vario titolo connesse con il laboratorio -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l.; infatti l'Amministrazione il -OMISSIS- aveva effettuato una segnalazione alla Procura della Repubblica in merito ad eventuali illeciti o irregolarità emersi in seguito ad una serie di operazioni ritenute "sospette" dal Gruppo di Lavoro che si era trovato ad esaminare l'istruttoria di numerose domande di finanziamento in cui l'istante o il -OMISSIS-oratorio di ricerca -OMISSIS- -OMISSIS- (ex -OMISSIS- srl) erano alternativamente soggetto proponente la domanda di finanziamento ovvero laboratorio contraente del contratto di ricerca. In buona sostanza i due soggetti presentavano plurime domande di ammissione a finanziamento e si candidavano talvolta come -OMISSIS-oratorio, talvolta come soggetto beneficiario, quindi in alcuni casi la prima affidava commesse alla seconda e in altri viceversa. Da accertamenti risultava poi che il medesimo -OMISSIS- dal 2010 era stato Presidente del CdA del laboratorio contraente e Amministratore Unico della ricorrente, ed inoltre aveva incarichi sia nell'azienda Commissionaria che nel -OMISSIS-oratorio affidatario, cosi come alcuni suoi familiari. 4. Il MIUR, con nota prot. -OMISSIS- del -OMISSIS-2016 preannunciava, nuovamente, il rigetto della domanda di agevolazione segnalando: - che dopo il primo preavviso di non accoglibilità la società istante, in sede di invio di documentazione integrativa, aveva cambiato il titolo e l'oggetto del progetto e dunque quello originario doveva ritenersi abbandonato perché le relative criticità non erano state sanate; - in merito al nuovo progetto, che "Dalla documentazione integrativa trasmessa è evidente che essa tratta del tentativo di trasferire conoscenze tecnico scientifiche dal -OMISSIS-oratorio Affidatario al Soggetto Beneficiario, senza alcun ulteriore sforzo di ricerca industriale in quanto dagli obiettivi realizzativi e dalle attività svolte si è in presenza di una palese ed evidentissima attività di progettazione e sviluppo industriale. Infatti, tutta la documentazione non evidenzia significativi elementi di innovatività scientifica e tecnologica riconducibili ad attività di Ricerca Industriale. Le attività descritte si configurano palesemente come una concretizzazione di metodi e tecniche presenti allo stato dell'arte ai fini della realizzazione del nuovo progetto e non possono che considerarsi di prevalente ricerca industriale. (..) I brevetti allegati sono, altresì, una evidenza ulteriore che il progetto tratta della concretizzazione di conoscenze già note e, non sono in alcun modo, nel caso di specie, evidenza del fatto che l'attività svolta nell'ambito del progetto sia di prevalente Ricerca industriale. Anche il nuovo progetto presentato, seppur dal punto di vista della creatività appare di un qualche interesse, non ha alcun elemento caratterizzante che lo configuri come progetto a contenuti di prevalente Ricerca Industriale ma piuttosto esso appare essere in tutta la sua descrizione un esempio di progettazione creativa e sviluppo industriale con al più elementi di sviluppo sperimentale. (..) In definitiva, alla luce di quanto sopra descritto, anche la documentazione presentata per il progetto dal nuovo titolo è tale da potersi considerare correlata ad una iniziativa di progettazione, sviluppo industriale e, al più, con presenza di attività di sviluppo sperimentale; essa è assolutamente carente di tutte le caratteristiche che ragionevolmente possono far ritenere la stessa di prevalente Ricerca Industriale.". 5. -OMISSIS- s.r.l. presentava le proprie osservazioni il -OMISSIS- 2016, alle quali allegava anche la rendicontazione relativa alle spese del progetto di ricerca per il quale è stata richiesta l'agevolazione di che trattasi, nonché documentazione relativa ai brevetti riconosciuti in riferimento alla stessa attività oggetto di finanziamento. 6. In data -OMISSIS- 2016 seguiva il provvedimento definitivo, con il quale il MIUR comunicava la non accoglibilità dell'istanza di agevolazioni, facendo altresì riferimento al verbale della Commissione del -OMISSIS- 2016 e affermando che dalla documentazione integrativa presentata emergeva palese "che l'attività di ricerca presentata, non solo non è assolutamente di prevalente ricerca industriale, ma alla luce dei fatti rilevati, dalla carenza documentale e dall'analisi del materiale prodotto, non vi è alcuna prova che essa sia stata svolta, anzi tutt'altro. In ogni caso l'eventuale attività di ricerca industriale svolta non è in alcun modo documentata. Del resto lo sviluppo di un brevetto già depositato non richiede, in gran parte dei casi, prevalenza di attività di ricerca industriale (che magari è stata già svolta precedentemente alla domanda di brevetto) ma solo sviluppo industriale (attività routinaria di aziende di progettazione e di laboratori di ricerca) e/o sviluppo pre- competitivo (...) in ogni caso non erano presenti nella documentazione di rito e non sono presenti nella documentazione successivamente prodotta, elementi che possano far ritenere che sia stata svolta attività di ricerca industriale per "sviluppare" tale brevetto". 7. -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento del -OMISSIS- 2016 articolando tre motivi di impugnazione. 7.1. Con un primo motivo si censura la violazione dell'art. 10 bis della l. 241/90 e il difetto di motivazione, oltre all'asserita violazione del principio di partecipazione e della leale collaborazione tra cittadino e P.A., affermando che l'esito finale di non finanziabilità sarebbe stato reso sulla base di un parere del Gruppo di esperti del -OMISSIS- 2016, quindi successivo al preavviso di rigetto, che la ricorrente aveva potuto conoscere solo in sede di provvedimento negativo finale, così impedendo il contraddittorio su tale ultimo parere; inoltre l'Amministrazione non avrebbe in alcun modo controdedotto in merito alle osservazioni presentate dalla ricorrente il -OMISSIS- 2016. 7.2. Con un secondo motivo si asserisce la violazione degli artt. 3 e 6 del d.lgs. 297 del 27 luglio 1999, degli artt. 3, 5 e 7 del decreto interministeriale n. 275 del 22 luglio 1998, e degli artt. 2 e 14 del d.m. 593 dell'08 agosto 2000; nonché infine la violazione del principio dell'affidamento. Dal quadro normativo sopra richiamato emergerebbe che il Ministero aveva escluso da finanziamento il progetto della ricorrente operando illegittimamente un inedito controllo sul contenuto del contratto allorchè il progetto era già stato ritenuto ammissibile: la verifica sul contenuto del contratto di ricerca sarebbe non già condizione per l'ammissibilità della domanda bensì soltanto per la liquidazione del beneficio, perché l'ammissibilità del progetto avrebbe dovuto essere deliberata solo sulla base della domanda, avendo la procedura di verifica carattere esclusivamente automatico. Inoltre la scelta di non finanziare il progetto sarebbe stata presa dal Ministero "appiattendosi" sui pareri espressi rispettivamente il -OMISSIS-2016 e il successivo -OMISSIS- dal Gruppo di Esperti, nonostante tale organo non abbia alcuna competenza circa la valutazione dei progetti di ricerca, né sarebbe prevista per legge l'emissione di un suo parere nell'ambito della procedura di che trattasi. 7.3. Infine con il terzo motivo la ricorrente censura il difetto di motivazione, la violazione del principio dell'affidamento, l'eccesso di potere per sviamento, il travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, l'ingiustizia manifesta. Innanzitutto poiché la domanda di finanziamento sarebbe stata presentata ai sensi dell'art. 2 del D.M. 593 del 2002 sarebbero senz'altro ammissibili le attività di ricerca industriale non esclusiva, come quella in oggetto. Inoltre già dal titolo del progetto emergerebbe pacificamente che il progetto presentato da -OMISSIS- avrebbe carattere di ricerca industriale; il rilascio dei brevetti depositati nel procedimento dimostrerebbe peraltro come l'attività di ricerca per la quale è stata richiesta l'agevolazione rientrerebbe pienamente tra quelle ammissibili perché attesterebbe che il risultato della ricerca è dotato di novità, originalità ed industrialità anche ai sensi del Codice della Proprietà Industriale. Infine il medesimo rilascio di detti brevetti dimostrerebbe che l'attività di ricerca sia stata effettivamente svolta, in contrasto con quanto ritenuto dal MIUR nel provvedimento definitivo. 8. La ricorrente con atto di cessione del -OMISSIS- 2017 ha ceduto a -OMISSIS- s.r.l.s. l'intero ramo di azienda inerente i Servizi di Progettazione di Ingegneria Integrata, con tutti i cespiti occorrenti per lo svolgimento dell'attività aziendale ceduta. Quindi la cessionaria ha notificato il -OMISSIS-2020 e depositato nel presente giudizio il successivo 28 agosto atto di intervento ad adiuvandum, precisando che secondo la prevalente giurisprudenza, in conformità alle previsioni di cui all'art. 2558 c.c., la cessione del complesso dei beni funzionalmente organizzati per l'esercizio di un'impresa determina l'automatico subentro del cessionario nella titolarità dei rapporti contrattuali - di carattere non personale - che attengono all'azienda ceduta. Pertanto la cessionaria sarebbe dotata di legittimazione ad intervenire nel presente giudizio in quanto titolare nei confronti del MIUR del diritto di credito al finanziamento oggetto del presente giudizio. 9. Si è costituito il giudizio il Ministero dell'Istruzione e della ricerca, che ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, trattandosi di domanda di contributo economico soggetto a procedura di valutazione automatica, nella cui valutazione la P.A. era priva di discrezionalità, dovendo limitarsi ad accertare la ricorrenza dei presupposti di legge. Quindi l'Amministrazione ha contestato la legittimazione all'intervento di -OMISSIS- srl, in quanto la cessione di azienda è avvenuta in epoca successiva all'emanazione del provvedimento impugnato, che aveva escluso il sorgere del credito: discende da ciò che il credito non può essere stato trasferito nel patrimonio della cessionaria perché inesistente nel patrimonio della cedente. Al contrario se la società fosse effettivamente titolare del diritto di credito sarebbe cointeressata, quindi avrebbe dovuto impugnare il provvedimento del -OMISSIS- 2016 autonomamente. Nel merito la difesa erariale confutava partitamente i singoli motivi di impugnazione. 10. Nel frattempo era emerso che il Sig. -OMISSIS-, legale rappresentante di -OMISSIS- srl e di -OMISSIS-srls, in concorso con altri soggetti tra cui il figlio -OMISSIS-, era stato rinviato a giudizio avanti al Tribunale di Perugia (R.G.N.R. -OMISSIS-/13) per il reato di cui all'640 bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) integrato mediante presentazione di domande di finanziamenti per attività di ricerca in concreto mai svolta nonchè emissione di fatture per operazioni inesistenti. Da documentazione versata in atti risultava che nel maggio 2018 il predetto procedimento si trovava nella fase dell'udienza preliminare. 11. Con sentenza n. -OMISSIS- 2018 il Tribunale di Perugia ha dichiarato il fallimento della ricorrente, evento poi dichiarato nel presente giudizio con memoria del 21 settembre 2020; questo Tar con sentenza n. -OMISSIS- 2020 ha dichiarato l'interruzione del processo con decorrenza dalla data in cui la parte ha fatto la dichiarazione nella memoria, ovvero il 21 settembre 2020. 12. -OMISSIS-, interveniente ad adiuvandum, ha riassunto il processo con atto notificato in data 27 dicembre 2020 e depositato il 5 gennaio del 2021; senonchè il Tar Umbria con sentenza n. -OMISSIS- 2022 ha dichiarato l'estinzione del processo per mancata riassunzione nel termine perentorio di 90 giorni decorrenti dalla data di conoscenza legale dell'evento interruttivo, ovvero dalla memoria del 21 settembre 2020. 13. A seguito di appello, il Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS- 2023 ha riformato la sentenza di primo grado in punto di decorrenza dell'interruzione del processo, considerando che "a seguito dell'intervenuto mutamento del quadro normativo verificatosi a far tempo dal 1° settembre 2021, per l'entrata in vigore dell'art. 143, comma 3, del d.lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi dell'impresa e dell'insolvenza, in attuazione della l. n. 155/2017), il quale ha previsto che a seguito dell'apertura della liquidazione giudiziale (già dichiarazione di fallimento), il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l'interruzione è dichiarata dal giudice." Sulla base di tale principio la conoscenza legale dell'evento interruttivo doveva ritenersi fissata non già dalla data di deposito della memoria della ricorrente, bensì dalla pubblicazione della sentenza con cui il Tar Umbria aveva dichiarato l'interruzione, ovvero il -OMISSIS-: rispetto a tale data la riassunzione doveva ritenersi sicuramente tempestiva. Il Consiglio di Stato ha ritenuto altresì che, vertendosi in uno dei casi tassativi di rimessione in primo grado, "All'esito del rinvio, pertanto, il primo giudice andrà a esaminare per la prima volta tutte le altre questioni di rito e di merito, compresa quella della possibilità, per l'interveniente ad adiuvandum, di riassumere il giudizio interrotto", ed ha rimesso il processo al Tar Umbria. 14. In vista della discussione del ricorso le parti hanno depositato memorie. All'udienza pubblica del 9 aprile 2024, uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Deve essere disattesa l'eccezione di difetto di giurisdizione spiegata dalla difesa erariale sul presupposto che, essendo il contributo disciplinato direttamente dalla legge, all'Amministrazione è demandato esclusivamente il compito di accertare la sussistenza dei presupposti specificamente indicati dalla normativa, senza spendita di alcun potere discrezionale. Sul punto è noto l'orientamento giurisprudenziale in tema di contributi pubblici secondo cui la controversia deve essere devoluta al Giudice Ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, ed alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l'effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l'an, il quid, il quomodo dell'erogazione, ovvero qualora la vertenza attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento dei beneficiari alle condizioni statuite in sede di lex specialis, in quanto in tal caso il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione; al contrario è configurabile una situazione soggettiva d'interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la questione riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse (cfr. fra le tante, T.A.R. Marche, sez. I, 27 febbraio 2024, n. 187, T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 04 dicembre 2023, n. 6660, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 05 giugno 2023, n. 1383). Nel caso de quo è oggetto di contenzioso il provvedimento con cui si dichiarava la "non accoglibilità del contratto" ovvero in buona sostanza la non meritevolezza del progetto, principalmente perché l'attività oggetto del contratto di ricerca non era stata ritenuta di ricerca industriale, bensì di mero sviluppo industriale, oltre alle perplessità circa l'effettivo svolgimento dell'attività . Trattavasi evidentemente di valutazione di merito, non a caso svolta dalla Commissione di esperti istituita con Decreto del MIUR n. -OMISSIS- 2005, collegio che quindi valutava il contenuto del progetto in maniera approfondita facendo uso anche di discrezionalità tecnica. Deve quindi confermarsi la giurisdizione del presente Giudice, trovandosi la società ricorrente in posizione di interesse legittimo rispetto all'erogazione di un contributo la cui attribuzione dipende da provvedimenti discrezionali. 2. Come chiarito dal Consiglio di Stato, che riteneva la riassunzione del processo tempestiva, va preliminarmente esaminata la questione della legittimazione dell'interveniente a riassumere il processo interrotto, giacchè se si ritenesse che l'interveniente fosse carente di tale potere, il processo dovrebbe dichiararsi estinto, con la conseguente perdita di interesse alla delibazione delle ulteriori questioni. 2.1. Secondo un orientamento "Nel processo amministrativo, chi sia intervenuto "ad adiuvandum" non può ampliare la materia del contendere e non può sottoporre al collegio istanze processuali autonome e diverse da quelle del ricorrente in ordine allo svolgimento del giudizio. Pertanto sono inammissibili le istanze processuali dell'interventore relative allo spostamento della udienza, formulate sotto forma di istanza di differimento dell'udienza al 28.9.2023 e di anticipazione al 14.9.2023, e le istanze inerenti la composizione del Collegio giudicante, sottoposte in data anteriore alle istanze analoghe di parte ricorrente, come già osservato con i decreti presidenziali 13.9.2023 nn. 3752 e 3753." (Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2023, n. 8487). Dunque l'interventore ad adiuvandum non potendo estendere l'oggetto del processo non potrebbe neppure riassumere il processo interrotto in assenza di iniziativa delle altre parti costituite. 2.2. Senonchè lo scrutinio della sussistenza della legittimazione dell'interveniente alla riassunzione del processo presuppone la qualificazione dell'effettiva tipologia dell'intervento spiegato da -OMISSIS-, che sebbene espressamente qualificato ad adiuvandum dalla parte non ne presenta i requisiti di sostanza. Nel processo amministrativo è espressamente contemplato l'intervento volontario oppure jussu iudicis del controinteressato pretermesso (art. 28 primo comma cod. proc. amm.) ovvero l'intervento di chi vanta un interesse dipendente dalla posizione giuridica di un'altra parte e ne sostiene o avversa le ragioni (intervento ad adiuvandum o ad opponendum). In particolare "l'intervento ad adiuvandum può essere svolto da colui il quale vanti una posizione di fatto, dipendente o collegata alla situazione fatta valere con il ricorso principale (cd. intervento adesivo-dipendente), escludendosi invece tale possibilità nei riguardi del cointeressato (cd. intervento autonomo/principale), cioè di colui il quale vanti un interesse personale e diretto all'impugnazione del provvedimento oggetto di censura" (Cons. Stato, sez. III, 04 aprile 2023, n. 3442). In altri termini le condizioni che legittimano la proposizione dell'intervento adesivo sono rappresentate: dalla alterità dell'interesse vantato rispetto a quello che legittimerebbe alla proposizione del ricorso in via principale, visto che l'intervento è volto a tutelare un interesse diverso, ma collegato, rispetto a quello fatto valere dal ricorrente principale - cosicchè la posizione dell'interessato è meramente accessoria e subordinata rispetto a quella della parte principale - e dalla configurabilità di un vantaggio derivante, anche in via mediata e indiretta, dall'accoglimento del ricorso principale. E', pertanto, inammissibile l'intervento ad adiuvandum promosso da chi sia ex se legittimato a proporre direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l'interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all'impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che deve essere azionato mediante proposizione di ricorso principale nei prescritti termini decadenziali. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 settembre 2022, n. 8114, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 10 marzo 2023, n. 4169, T.A.R. Umbria, 05 luglio 2023, n. 435). 2.3. -OMISSIS-srl, pur potendo identificare il proprio interesse in senso tecnico come dipendente e/o collegato a quello del ricorrente principale - dato che, quale cessionario di azienda della ricorrente deriva il proprio interesse dal contratto di cessione con quest'ultima - e dunque potendo definirsi in astratto quale interveniente ad adiuvandum, non vanta un interesse indiretto all'accoglimento del ricorso, nè ha una posizione diversa ma collegata al ricorrente principale, ma ha precisamente il medesimo interesse di quest'ultimo. La società interveniente, quale successore a titolo particolare nel diritto (rectius, nell'interesse) controverso, all'esito della cessione è l'unico titolare di tale interesse perché -OMISSIS- si è disfatta in suo favore del relativo ramo di azienda. L'interveniente può qualificarsi quale cointeressata all'impugnazione principale, sebbene in via solamente successiva, poiché quale potenziale destinataria del finanziamento in seguito alla cessione di azienda si trova ora nell'identica posizione della ricorrente, ma non era onerata dell'impugnativa del provvedimento nei termini - come opinato dalla difesa erariale - perché essendo stata operata la cessione solo successivamente, allora non era portatrice di alcun interesse neppure di mero fatto all'impugnazione. Dunque deve dichiararsi la legittimazione di -OMISSIS-ad intervenire nel presente processo quale successore a titolo particolare di -OMISSIS- srl, ed in virtù di tale interesse qualificato all'annullamento del provvedimento impugnato era senz'altro legittimata a riassumere il processo interrotto perché abilitata alle medesima facoltà spettanti alle altre parti processuali. 3. Ciò chiarito deve procedersi all'esame del merito del ricorso, che si appalesa integralmente infondato. 4. Non può essere condiviso il primo gruppo di censure, incentrato sulla presunta obliterazione delle garanzie procedimentali correlate al preavviso di rigetto, unitamente all'asserita omessa valutazione delle osservazioni della parte privata con riguardo al contenuto del provvedimento finale. 4.1. Innanzitutto, non corrisponde al vero che il provvedimento finale sarebbe stato adottato sulla base del verbale del gruppo di lavoro del -OMISSIS- 2016 - dunque in una riunione successiva all'invio del preavviso di rigetto - recante motivazioni nuove e non condivise con la ricorrente, che sulle stesse avrebbe dovuto potersi difendere prima dell'adozione del provvedimento di diniego definitivo. Il preavviso di diniego del -OMISSIS-2016 era basato principalmente su tre ragioni: a) le perplessità sul ruolo di amministratore/socio svolto dallo stesso soggetto (-OMISSIS-) sia nella società beneficiaria del contributo sia nel laboratorio affidatario, i quali enti in altre domande di finanziamento si scambiavano i ruoli; b) la riconducibilità delle attività svolte a mera progettazione e sviluppo industriale, senza alcun significativo elemento di innovatività scientifica e tecnologica che afferisse alla richiesta attività di ricerca industriale; c) l'irrilevanza sotto il precedente profilo dei brevetti ottenuti dalla ricorrente nel medesimo campo oggetto di ricerca, brevetti che anzi confermavano l'assenza di attività originale ulteriore rispetto ai brevetti stessi. Tali argomenti erano i medesimi su cui si basava anche il provvedimento finale di rigetto e su cui aveva abbondantemente interloquito la ricorrente nelle osservazioni dell'ottobre 2016, senza apportare alcun elemento che inducesse il Ministero a determinarsi differentemente. 4.2. Peraltro il contenuto del verbale del gruppo degli esperti non introduceva alcun sostanziale elemento di novità rispetto a quanto già oggetto di discussione tra le parti, dato che oltre a specificare ulteriormente il concetto di ricerca industriale e il contenuto della circolare 2474 del 2005 sullo svolgimento dell'istruttoria dei progetti - di cui si dirà infra - il Gruppo di lavoro svolgeva alcune osservazioni sul contenuto della relazione illustrativa inviata da -OMISSIS- nel 2011 (in risposta al primo preavviso di rigetto) sostenendo che detto scritto era una sorta di "collage" di testi scientifici e tesi di laurea reperibili in argomento sul web, e che non apportava alcun elemento di novità idoneo a dimostrare l'esistenza di effettiva ricerca industriale. In conclusione l'interlocuzione tra il Ministero e la parte privata era stata varia ed approfondita, e comunque le osservazioni critiche del Gruppo di lavoro attenevano a difetti strutturali del progetto, certamente non superabili con l'eventuale presentazione di deduzioni difensive già comunque presentate in precedenza sui medesimi argomenti. 5. Non è meritevole di positiva valutazione neppure il secondo motivo di ricorso laddove pretende di trarre dalla normativa applicabile argomenti a favore dell'esercizio da parte del Gruppo di lavoro di un controllo non previsto dalla lex specialis che aveva portato all'esclusione del progetto della ricorrente in seguito ad una valutazione sul contenuto del contratto di ricerca, mentre secondo la ricorrente l'ammissibilità del progetto avrebbe dovuto essere riconosciuta solo sulla base delle mere dichiarazioni della ricorrente, o comunque della comprova dell'avvenuta stipulazione del contratto senza poterne valutare i contenuti. 5.1. Il D.M 275 del 1998 agli artt. 4 e 5 opera una scansione ben precisa degli adempimenti procedurali prodromici all'ammissibilità a finanziamento del contratto di ricerca: - scaduti i termini per la presentazione delle domande, il Ministero controlla il contenuto delle dichiarazioni entro i 60 giorni successivi e la formazione di un elenco dei soggetti ammissibili sulla base delle eventuali priorità ; - i soggetti collocati nell'elenco entro i 30 giorni successivi inviano al Ministero copia dei contratti di ricerca ovvero in alternativa una dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante della beneficiaria del finanziamento, attestante l'avvenuta stipula del contratto con i laboratori di ricerca o altri soggetti, di cui vanno indicati gli estremi identificativi, oltre all'attività di ricerca oggetto del contratto; - solo sulla base delle sopra indicate comunicazioni o documentazioni il MIUR forma l'elenco dei soggetti beneficiari, che pubblica nella Gazzetta Ufficiale, dandone comunicazione anche per via telematica ai soggetti medesimi. E' vero che il procedimento di cui sopra non contempla espressamente alcuna forma di controllo approfondito da svolgersi in via preventiva sul contenuto del contratto, ma ai sensi dell'art. 7 sono previste forme di controllo e di monitoraggio a campione che successivamente potranno portare alla revoca del beneficio. 5.2. Non può tuttavia condividersi l'interpretazione di tali disposizioni secondo cui il contenuto del contratto di ricerca condizionerebbe non l'ammissibilità della domanda bensì solo la liquidazione del beneficio: è evidente il palese contrasto con il buon andamento della PA e l'economia degli atti giuridici di una lex specialis che per ipotesi consentisse, in assenza di idonee verifiche, di attribuire un beneficio economico ad un progetto non meritevole - salvo il recupero delle provvidenze in un secondo momento all'esito di un controllo più approfondito - con l'evidente rischio di non recuperare in seguito soldi pubblici messi a disposizione in carenza di adeguata istruttoria. 5.3. Proprio per porre rimedio all'inadeguatezza di un'istruttoria di progetti spesso scientificamente complessi operata mediante procedura standardizzata, nel 2005 con Decreto del MIUR n. 3247/Ric del 6 dicembre 2005, è stato istituito formalmente un Gruppo di Lavoro incaricato di esaminare la documentazione trasmessa dai soggetti proponenti nell'ambito delle domande di agevolazione "ai fini del più efficace svolgimento delle complessive attività di selezione, controllo e monitoraggio, previste ai sensi dell'art. 14 del decreto ministeriale n. 593 dell'8 agosto 2000, comma 2, è istituito uno specifico Gruppo di esperti con il compito di assicurare il necessario supporto alle attività di competenza del Ministero". Quanto invece alla necessità "di rendere più efficace l'attività di individuazione delle richieste ammissibili alla concessione delle agevolazioni descritte" con la circolare n. 2474 del 17 ottobre 2005, pubblicata sulla G.U. n. 251 del 27 ottobre 2005, è stata modificata la fase di valutazione preventiva dell'ammissibilità delle domande che ha previsto - per l'agevolazione di interesse nella presente sede - l'obbligo di invio nella fase antecedente alla formazione dell'elenco delle domande finanziabili del contratto di ricerca che dovrà obbligatoriamente contenere: l'indicazione dettagliata e motivata della criticità tecnico- scientifica dell'iniziativa, la descrizione dettagliata degli obiettivi, attività e programma delle attività, il diagramma temporale dell'iniziativa, il quadro economico dettagliato dei costi, le modalità di pagamento, oltre a numerose altre informazioni sull'altro contraente. 5.4. Quindi nel 2007 la domanda di finanziamento presentata dalla ricorrente era sottoposta all'approfondita istruttoria preventiva svolta dal Gruppo di esperti all'uopo nominato, e sulla base di tali parametri il progetto presentato da -OMISSIS- veniva ritenuto incompleto, non conforme agli obiettivi e quindi non accoglibile. Né poteva ritenersi sorto alcun legittimo affidamento della ricorrente all'erogazione del beneficio, dato che l'ammissibilità solo provvisoria del progetto era stata deliberata in assenza di controlli documentali, al cui invio era seguito subito, già nel gennaio 2011, il preavviso di diniego dell'accoglibilità della misura. 6. Anche il terzo motivo deve essere respinto. 6.1. La domanda di ammissione a beneficio è stata presentata ai sensi del D.M. 593 del 2002 che all'art. 2 comma 2 prevede: "L'intervento di sostegno può estendersi anche a non preponderanti attività di sviluppo precompetitivo consistenti nella concretizzazione dei risultati delle attività di ricerca industriale in un piano, un progetto o un disegno relativo a prodotti, processi produttivi o servizi nuovi, modificati, migliorati, siano essi destinati alla vendita o all'utilizzazione, compresa la creazione di un primo prototipo non idoneo a fini commerciali" tuttavia tale previsione va letta in combinato disposto con il comma 3, che prevede che le predette "attività di sviluppo precompetitivo sono ammissibili purché necessarie alla validazione dei risultati delle attività di ricerca industriale". Quindi non solo le attività di ricerca industriale devono sussistere, ma devono essere altresì preponderanti, perché le eventuali attività di sviluppo precompetitivo devono avere valenza strettamente ancillare rispetto alla ricerca industriale. Già da tale considerazione discenderebbe il rigetto di tale motivo di censura, dato che non è controverso che la ricerca industriale non fosse preponderante nel progetto in esame, ma il Gruppo di esperti ha ritenuto completamente assente tale attività dal contratto di ricerca, che involgerebbe al più attività di sviluppo industriale. 6.2. Peraltro rispetto a tale valutazione caratterizzata da discrezionalità tecnica, il sindacato di questo Tribunale deve arrestarsi al riscontro di eventuali elementi sintomatici di illogicità, irragionevolezza, travisamento, che appaiono palesemente assenti nel caso de quo e del resto non sono stati neppure enunciati in maniera specifica dalla ricorrente. Né il titolo del progetto di ricerca né l'avvenuta presentazione di una domanda di brevetto in materia analoga bastavano a dimostrare che trattavasi di attività di ricerca industriale, come ritenuto in maniera ragionevole dal Gruppo di esperti che sul punto ha motivato diffusamente. E' pienamente condivisibile il ragionamento per cui, se una domanda di brevetto riguarda una determinata attività di ricerca, allorchè tale brevetto sia rilasciato la ricerca è evidentemente conclusa e quella stessa attività non può costituire l'oggetto di un ulteriore contratto di ricerca da finanziarsi con il beneficio in contestazione, ma al più, come ritenuto dall'Amministrazione può implicare attività ulteriore di mero sviluppo industriale. Peraltro è la stessa ricorrente ad ammettere l'identità dell'attività oggetto di brevetto e di quella oggetto del contratto di ricerca, allorchè sostiene che la prova dell'effettuazione dell'attività di ricerca industriale assegnata a -OMISSIS- -OMISSIS- è l'avvenuto rilascio del brevetto. Dunque la domanda di agevolazione è diretta a finanziare non una nuova attività di ricerca, ma attività già svolta e oggetto di privativa, ed è stata correttamente ritenuta non ammissibile dall'Amministrazione. 6.3. Le osservazioni della Commissione di esperti in merito alla mancata documentazione dell'effettuazione dell'attività di ricerca non sono neppure confutate in maniera convincente né nel ricorso né nelle osservazioni del 2016: d'altro canto il documento denominato "relazione dettagliata delle attività svolte" datata -OMISSIS- 2012, che avrebbe dovuto, a ricerca conclusa, dare conto dei costi delle attività e dei risultati raggiunti non conteneva nulla di tutto ciò, ma si limitava a riportare stralci di documenti scientifici collazionati, ed in punto di costi riferiva dell'avvenuta emissione di una serie di fatture da parte del laboratorio contraente senza una specifica analisi degli importi. 7. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la ricorrente e l'interveniente ad adiuvandum in solido al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero, che si liquidano complessivamente in euro 2.000 (duemila/00), oltre agli oneri ed accessori di legge. Nulla per la controinteressata non costituita. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e le altre parti di causa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Davide De Grazia - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7538 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Ca., Fi. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Ca. in Roma, via (...); contro Sapienza Università di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. -OMISSIS- Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Sapienza Università di Roma; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2024 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti gli avvocati Fi. La. e Gi. Ru.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso proposto dalla parte appellante avverso il provvedimento del -OMISSIS- n. -OMISSIS- con cui l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" le ha irrogato, ai sensi dell'art. 87 del T.U. 1592 del 1993, nonché dell'art. 3 commi 4 e 5 del Regolamento di Ateneo, la sanzione disciplinare della sospensione dall'ufficio e dallo stipendio, per un periodo di due mesi. A supporto del gravame, la parte espone le seguenti circostanze di fatto: - con la nota n. -OMISSIS- del -OMISSIS- l'Università comunicava l'avvio del procedimento disciplinare contestando - sulla base del decreto di rinvio a giudizio del GIP presso il Tribunale di Roma - di aver confezionato un bando su misura per il prof. -OMISSIS-; - nel corso di detto procedimento, l'organo istruttore disattendeva la richiesta di sospensione pregiudiziale del procedimento disciplinare in attesa della definizione del processo penale e deferiva, per la gravità dei fatti contestati, il procedimento al Collegio di Disciplina che procedeva all'audizione dell'incolpato; - anche il Collegio di disciplina disattendeva la richiesta di sospensione per pregiudizialità ; - in seguito l'incolpato veniva in possesso di file audio riproducenti una conversazione fra terzi che conteneva elementi a suo carico e veniva quindi nuovamente escusso, su convocazione, dall'organo, il -OMISSIS-; - il -OMISSIS- successivo - precedentemente, il -OMISSIS-, la parte aveva presentato una memoria - il Collegio comunicava di aver concluso il -OMISSIS- le proprie attività ; - il -OMISSIS- l'Università trasmetteva il decreto impugnato, con il quale irrogava la sanzione disciplinare della sospensione dall'ufficio e dallo stipendio per un periodo di due mesi, a decorrere dall'-OMISSIS-, senza effettuare alcun riferimento alle richieste ed alle difese presentate dall'incolpato e fondando la propria decisione su di una consistente attività istruttoria, a dire di questi, non resagli nota. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso proposto avverso detto decreto. La parte deduce i seguenti motivi di appello: 1. Errores in procedendo e in iudicando: violazione e/o falsa applicazione dell'art. 10 della L. n. 240/2010, dell'art. 117 del DPR n. 3/1957 e dell'art. 12 della legge n. 311/1958. 2. Errores in iudicando: violazione e/o falsa applicazione dell'art. 10 comma 1 della Legge n. 240/2010 e ss. mm. ii.; artt. 6 e 7 del Regolamento di Ateneo; art. 41 CDFUE e art. 6 CEDU. 3. Errores in procedendo e in iudicando: sulla violazione del divieto di mutatio libelli. Violazione del principio del giusto procedimento e del contraddittorio. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 97 della Cost.; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3 della l. 241/1990 ss. mm. ii.; eccesso di potere per sviamento ed erroneità della motivazione. 4. Errores in procedendo e in iudicando: sull'inutilizzabilità in sede disciplinare delle registrazioni audio effettuate dal dott. -OMISSIS-. 5. Errores in iudicando: sulla infondatezza dell'addebito disciplinare eccesso di potere per erroneità, carenza e perplessità dell'istruttoria e della motivazione; violazione del principio della prova; travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Ingiustizia manifesta. Violazione del principio di proporzionalità . 2. Si è costituita in giudizio l'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma, contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. DIRITTO 3. Il primo motivo di appello contesta l'omessa applicazione alla fattispecie controversa della cd. "pregiudiziale penale" di cui all'art. 117 del D.P.R. n. 3/1957. La parte appellante sostiene, in primo luogo, che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, questa disposizione sarebbe applicabile al procedimento disciplinare celebrato nei confronti dei professori universitari, ancorché il relativo rapporto di lavoro abbia sempre presentato delle particolarità rispetto al resto del pubblico impiego, e che, in ogni caso, le ragioni di garanzia sostanziale e processuale che ispirano il suddetto principio imporrebbero comunque di applicarlo, anche se non fosse espressamente contemplato. Il secondo motivo di appello - che può essere trattato congiuntamente al primo - deduce in via principale che nel procedimento controverso sarebbe stato violato l'articolo 10 della legge n. 240 del 2010, e, in subordine, che se quest'ultimo fosse interpretato nei sensi ritenuti dal giudice di prime cure, sarebbe in contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, oltre che, per norma interposta, ex art. 117 Cost., con l'articolo 6 par. CEDU. 3.1. Il primo motivo è infondato per una serie di ragioni, prima delle quali è che il suddetto articolo 117 D.P.R. n. 3 del 1957 è ricompreso, al n. VI 1 a) dell'allegato B, richiamato dal comma 1 dell'art. 71 del d.lgs. 165/2001, tra le previsioni che cessano di avere efficacia, dal momento della stipulazione dei contratti collettivi, per ciascun ambito di riferimento. Diversamente da quanto ritenuto dalla parte appellante, la sopravvenuta inefficacia ivi prevista va applicata - come testualmente precisato sia dall'articolo 71 che dal precedente articolo 69 del d.lgs. n. 165 del 2001 - " a ciascun ambito di riferimento", e non al solo personale del comparto dirigenziale, per il quale ultimo, la sola differenza è in relazione al quadriennio dei contratti collettivi preso in considerazione quale evento caducante, che, per i soli dirigenti, è quello del 1994-1997, mentre per tutti gli atri - fra essi compresi i docenti universitari - è quello successivo del 1998-2001. 3.2. La conferma dell'inapplicabilità della pregiudiziale penale ai professori universitari, si ricava altresì dalla previsione contenuta nell'art. 12 della legge n. 311 del 1958 che tra le norme ritenute applicabili ai predetti, sin da allora, non richiamava il citato articolo 117 DPR n. 3/1957. 3.3. In terzo luogo - evidenziando l'autonomia del procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici impiegati - l'articolo 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001 prevede oggi espressamente che "il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale ". 3.3. Infine l'articolo 10 della legge n. 240 del 2010 - in tema di competenza disciplinare nei confronti dei professori universitari - nulla prevede a proposito della cd. pregiudiziale penale, così implicitamente autorizzando, diversamente da quanto sostenuto dal motivo in esame, che ne assume la violazione, i singoli Atenei, in occasione dell'adozione dei relativi Regolamenti, ad orientarsi come meglio credono. Or bene la suddetta prerogativa è stata puntualmente esercitata dall'Università appellata che, al comma 1 dell'articolo 12 del Regolamento disciplinare dell'Ateneo (D.R. 438/2020) ha escluso l'operatività del suddetto principio. 3.4.1. Come anticipato, la parte appellante sostiene, con il secondo motivo d'appello, che - essendo posto a presidio di una garanzia essenziale, sulla quale l'autonomia regolamentare non avrebbe potuto incidere, in quanto strettamente connessa allo status di professore universitario di ruolo, ed alla relativa tutela costituzionale del professore universitario, ai sensi degli articoli 3 e 97 della Costituzione - il suddetto principio andrebbe comunque salvaguardato in una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 10 della legge n. 240 del 2010. In questa prospettiva il motivo in analisi rivendica l'esigenza di una disciplina unitaria - necessariamente per via legislativa - dei relativi procedimenti disciplinari, pena la creazione di inammissibili disparità di trattamento tra i professori universitari, a seconda dell'ateneo di appartenenza, chiedendo alternativamente, con il primo motivo di annullare per violazione del citato articolo 10 l.240 la suddetta norma regolamentare, con il secondo, in subordine, di rilevare il contrasto dell'articolo 10, se non interpretato come proposto, con i principi costituzionali di cui agli articoli 3, e 97 della Costituzione. 3.4.2. L'obiezione è infondata nei suoi presupposti. Essa dà infatti per scontato che, quello della pregiudizialità del processo penale rispetto al procedimento disciplinare, rappresenti un principio generalmente applicabile all'intero pubblico impiego, quando è al contrario evidente che, a seguito dell'introduzione nel testo unico del p.i. dell'art. 55 ter, il legislatore - optando per gli opposti principi di autosufficienza ed autonomia delle due procedure - ha espresso l'intendimento esattamente opposto. Il che è peraltro conclamato dalla giurisprudenza unanime della Cassazione che, per l'appunto in materia di procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti, ha escluso la sopravvivenza dell'istituto della pregiudiziale, venuta meno dopo l'introduzione del citato articolo 55-ter del d.lgs. 165 del 2001, ed ha espressamente affermato, per quel che più interessa in questa sede, che "l'amministrazione è libera di valutare autonomamente gli atti del procedimento penale, ai fini della contestazione, senza necessità di una ulteriore ed autonoma istruttoria, (così come NdR) di avvalersi dei medesimi atti, in sede d'impugnativa giudiziale, per dimostrare la fondatezza degli addebiti" (cfr. Cass. civ., sez. lav., 1 marzo 2017 n. 5284 e 26 ottobre 2017 n. 25485). Dunque l'amministrazione, quale datrice di lavoro deve ritenersi libera di valutare se e quando sussistano motivi per sospendere il relativo procedimento, a causa della contemporanea pendenza di un processo penale, e, quindi, anche di presumere, in astratto, fatta salva la possibilità di scelta del caso per caso, la normale non pregiudizialità . Né può fondatamente sostenersi che tale discrezionalità - ripetesi - attribuita oramai dalla legge- non sia riferibile anche alla categoria dei professori universitari, ancorché non privatizzata, a maggior ragione laddove si consideri che, già in vigenza dell'originario assetto ordinamentale di questi ultimi, risalente al 1958, si dubitava, peraltro, con valide argomentazioni, che suddetto principio operasse per questa categoria di lavoratori. 3.4.3. Quanto al prospettato vulnus che, per questa via, si recherebbe ai suddetti principi costituzionali si osserva che - a voler seguire l'interpretazione di cui al motivo in analisi che propugna la necessità di una disciplina legislativa unica su tutto il territorio nazionale - risulterebbe senz'altro vulnerato un altro fondamentale principio costituzionale, ossia l'autonomia organizzativa dell'Università di cui all'art. 33 comma 6 della Costituzione, che ne risulterebbe irreparabilmente compressa. 3.4.4. Quanto invece alla contestata lesione dei principi costituzionali di parità di trattamento e buon andamento, l'obiezione non considera che la non operatività della pregiudiziale, nella legge come nel regolamento di ateneo, è da intendersi come previsione solo "di massima" che, come tale, non impedisce che, in casi specifici, quest'ultima possa operare, come pure che la decisione che ne nega l'applicazione sarebbe comunque pur sempre sindacabile in sede giurisdizionale. Il che significa che, a tutto concedere, la previsione denunciata presenterebbe una lesività tutto sommato modesta rispetto ai suddetti principi, e comunque rimediabile, che, come tale, giammai può ritenersi con essi in contrasto. 3.4.5. Dimostrata l'inconferenza delle relative obiezioni, si palesa con ciò la manifesta infondatezza del prospettato contrasto dell'articolo 10 della legge n. 240 del 2010 con le norme costituzionali, evocato nel secondo motivo di appello. 3.5. In definitiva, va ribadita la legittimità dell'articolo 12 del Regolamento di Ateneo dell'Università La Sapienza di Roma, in tema di procedimento disciplinare nei confronti dei professori universitari, nella parte in cui esclude l'operatività della pregiudiziale penale, disposizione che risulta altresì essere stata correttamente applicata nella vicenda controversa. D'altro canto le considerazioni che precedono escludono che con l'inciso - "fatti salvi i casi di sospensione previsti dalla legge" ivi contenuto - questa disposizione si sia voluta riferire alla pregiudiziale, in quanto la stessa, come si è visto, è stata definitivamente espunta, persino quale principio generale, dalle norme regolative del pubblico impiego e non è tampoco evincibile dall'articolo 10 della legge n. 240 del 2010, come pure appena osservato. 4. Il terzo motivo d'appello contesta la violazione dei principi generali di garanzia del giusto procedimento disciplinare, anche in contrasto con il diritto europeo e quello convenzionale, lamentando che l'attività dell'autorità procedente sarebbe censurabile per più ragioni, e cioè, per la violazione dei principi del contraddittorio e della corrispondenza fra incolpazione e condanna e per l'omesso esame delle ultime memorie depositate dall'incolpato, al quale, così operando, l'amministrazione non avrebbe lasciato l'ultima parola. 4.1. Sotto altro profilo il terzo motivo d'appello contesta la non corrispondenza tra imputazione e condanna. Specificamente con questa doglianza la parte appellante deduce che, in sede di contestazione iniziale, le era stata addebitata una condotta attiva, consistente nell'indebito confezionamento di un bando su misura, e che nella condanna, al contrario, la sanzione è stata irrogata per ragioni diverse, ossia per avere omesso di esercitare i poteri di verifica, controllo e segnalazione su di lei incombenti. 4.2. Il quarto motivo d'appello - che può essere trattato congiuntamente a quello che lo precede- contesta in aggiunta che le registrazioni effettuate dal dr. -OMISSIS- del dia con il dr. -OMISSIS- sarebbero inutilizzabili nei confronti di terzi estranei alla conversazione, quale è in questo caso la parte appellante. 5. Il terzo motivo di appello è infondato, innanzitutto nei presupposti, basandosi su di una pretesa assimilabilità tra le garanzie offerte dall'imputato nel processo penale - che gli consentono di assistere a tutte le fasi del procedimento al momento del "farsi" della prova in dibattimento - e quelle, senz'altro più dimensionate rispetto alle prime, che spettano all'incolpato nel procedimento disciplinare. E' evidente infatti che, trattandosi di due procedimenti con finalità diverse, e, soprattutto, suscettibili di incidere su situazioni soggettive di diverso spessore - giuridicamente molto più delicate sono quelle coinvolte nel primo - non si può pretendere per essi il medesimo tasso di garantismo, pena l'introduzione di una disparità di trattamento al contrario, e, soprattutto, il rischio di appesantire eccessivamente il secondo, in contrasto con il principio di efficienza dell'azione amministrativa. Da ciò consegue che il prospettato diritto di seguire, per così dire, "da presso" tutte le acquisizioni testimoniali che la parte appellante rivendica, è - almeno nella ipotizzata estensione - insussistente nel procedimento disciplinare. 5.2. Si deve anche osservare, in fatto, che nel procedimento controverso risulta rispettata la procedura prescritta dal Regolamento di Ateneo in tema di procedimento disciplinare, conformato nell'esercizio dei poteri attribuiti all'università dal ricordato articolo 10 della legge n. 240 del 2010, il che consente di escludere che sia stato indebitamente conculcato il diritto di difesa della parte appellante. 5.2.1. Infatti il contraddittorio procedimentale, e il suo presupposto partecipativo, sono stati adeguatamente assicurati a quest'ultimo tanto da consentirgli di: produrre due memorie al Collegio, ed una all'organo istruttore; essere esaminato due volte dal Consiglio di disciplina, il -OMISSIS- ed il -OMISSIS-, anche concordando, nella prima occasione, la data della sua audizione, ed essendo stato convocato di ufficio, dal Collegio, al termine dell'istruttoria. In entrambe le occasioni egli ha avuto modo di difendersi dai fatti che gli erano stati contestati, controreplicando in fatto ed in diritto. Che avesse piena contezza di questi ultimi, e dunque che fosse stato messo nella piena condizione di difendersi, è dimostrato dal contenuto delle dette audizioni. Del resto aveva precedentemente acquisito i file audio della registrazione riproducente il dia intercorso tra il dr. -OMISSIS- ed il dr. -OMISSIS-, ossia il documento che rappresenta la prova principale, e del processo penale, e di quello disciplinare. 5.2.2. Tanto meno trova conferma in atti la doglianza che all'incolpato non furono comunicate le nuove circostanze emergenti dalle testimonianze acquisite in istruttoria lo stesso -OMISSIS-. Infatti dal relativo verbale si evince che la parte appellante, anche grazie alla previa acquisizione dei suddetti audio file, aveva un apprezzabile grado di conoscenza degli elementi di prova a suo carico. Aggiungasi che si trattava di fatti storici non particolarmente articolati e sostanzialmente coincidenti con quelli acquisiti nel corso del procedimento penale, che gli erano ben noti a maggior ragione dopo che era stato rinviato a giudizio. 5.2.3. Il sub-motivo al terzo motivo d'appello è infondato in fatto perché, a leggere la motivazione del provvedimento impugnato vi è coincidenza e sovrapponibilità fra contestazione iniziale e fatto posto a fondamento della condanna. Infatti nella contestazione iniziale, estratta dall'imputazione contenuta nel decreto che dispone il giudizio del GIP, l'organo istruttore aveva contestato alla parte soprattutto il risultato della sua condotta, consistente nell'aver emanato un bando su misura per il professor -OMISSIS-, controparte nella controversia pre-processuale iniziata con la diffida, nonché presunto creditore dell'università . L'evento era addebitato all'incolpato, senza precisare la tipologia di condotta causale da lui posta in essere, ossia se commissiva o omissiva, come è evincibile dai generici riferimenti alle "condotte (id est: senza ulteriore aggettivazione) rilevanti sotto il profilo disciplinare" da lui tenute e all'iniziativa "da lui promossa ed attivata" contenuti nella contestazione. Del resto, dall'intero contenuto del procedimento disciplinare palesatosi nel corso del suo svolgimento (come si dirà anche infra), era evidente che l'incolpato fosse stato chiamato in causa dall'amministrazione, sia come co-autore di condotte materiali che, più in generale, come responsabile gestionale e di spesa dei procedimenti che avevano dato luogo alla controversia, dunque la condanna per questo secondo profilo non poteva ex ante ritenersi imprevedibile, ma anzi rappresentava un fatto implicitamente ricompreso nella contestazione, così come uno dei possibili esiti dell'istruttoria. 4.2.4. Quanto alla contestata inutilizzabilità dei file, l'eccezione sollevata con il ricordato quarto motivo non ha pregio perché si trattava di un documento, nel senso di elemento rappresentativo di una circostanza- appunto il dia tra -OMISSIS- ed -OMISSIS- - confermata da quest'ultimo, da questi spontaneamente consegnato. Delle registrazioni eseguite in questo modo la Cassazione unanimemente riconosce la piena utilizzabilità in giudizio (vedasi per tutte Cassazione civile, sez. lav., 29/09/2022, n. 28398) senza limitazioni quanto ai soggetti a carico dei quali farle valere. Con principio che, a maggior ragione, deve valere nel caso di specie, dove si procedeva nell'ambito del meno garantito procedimento disciplinare. A definitiva confutazione dell'obiezione si consideri poi che l'eventuale interdizione all'uso della registrazione nei diretti confronti dell'incolpato, non ne impedirebbe l'uso nei confronti del suo correo, in quanto altro interlocutore della conversazione, ossia il dr. -OMISSIS-, il che finirebbe per avere una valenza indiziaria pressoché analoga anche a carico dell'odierna parte appellante, che è accusata (e che è stata sanzionata in sede disciplinare) di aver agito in concerto con quest'ultimo. 5. Il quinto motivo d'appello contesta l'inveridicità, in fatto, dell'addebito disciplinare. 5.1. Il motivo è infondato. Alla parte appellante è stato contestato di aver fatto approvare un bando per il conferimento di un incarico retribuito, confezionato sui requisiti del prof. -OMISSIS-, allo scopo di ricompensarlo delle prestazioni da lui effettuate nell'ambito di un progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di -OMISSIS- dell'Università, di cui era Responsabile Scientifico la parte appellante. Le dette prestazioni non erano state pagate al professor -OMISSIS- che pertanto si era indotto ad inoltrare al Dibattimento una diffida di adempimento. Per indurlo a rinunciare alle sue pretese - secondo l'accusa - la parte appellante avrebbe, per interposta persona, proposto al suddetto docente di far emanare un Bando dall'Università "cucito" sul suo profilo professionale, a tacitazione della sua pretesa. Senonché - dopo aver rifiutato la proposta - il predetto -OMISSIS- ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma, dal quale è stato occasionato il procedimento penale che ha condotto al rinvio a giudizio della parte appellante per i reati p. e p. dagli articoli 110 e 322 comma 4 del codice penale. La registrazione di cui sopra fornisce la prova che effettivamente il dottor -OMISSIS-, collaboratore della parte appellante, che lo avrebbe incaricato del relativo incombente, abbia chiesto ad -OMISSIS- di convincere -OMISSIS- a partecipare alla procedura concorsuale, procedura che quest'ultimo avrebbe prevedibilmente vinto, ottenendo così l'attribuzione dell'incarico per il quale era previsto un corrispettivo di euro 31.400, rinunciando al contempo alla diffida inoltrata all'Ateneo e, con essa, al pagamento delle somme spettantigli in ragione della collaborazione al precedente progetto. E' altresì accertato (deposizione della funzionaria -OMISSIS-) che fu la parte appellante a modificare gli atti attuativi conseguenti alla delibera del Dipartimento di -OMISSIS- del -OMISSIS-. Del resto, in quanto vertice dell'ufficio, era solo l'incolpato che avrebbe potuto intervenire, sia da un punto di vista tecnico che amministrativo sulla relativa procedura, così come è altrettanto indubbio che egli rappresentava l'autorità dotata dell'ultima parola a decidere in ordine alla gestione dei fondi. Risulta ancora che la procedura presentava una configurazione anomala, quanto al contenuto, rispetto ad altri bandi consimili emessi dal dipartimento e che, altri sintomi con valenza indiziaria, il primo bando andò deserto, mentre al secondo partecipò, significativamente il solo professor -OMISSIS- che effettivamente possedeva, e non casualmente, i titoli specialistici esattamente richiesti dalla procedura. Né è fondatamente sostenibile che le funzionarie amministrative che redassero il bando avrebbero potuto autonomamente intervenire sulle specifiche tecniche per l'aggiudicazione che, al di là di ogni ragionevole dubbio, furono inserite nel Bando dalla parte appellante, come del resto confermato dalle stesse impiegate, escusse dal Collegio di disciplina. La stessa parte appellante ne nominò i membri e per di più presiedette la Commissione di concorso. 5.2. Tanto premesso, si tratta - come è evidente - di fatti gravi che, oltre a dimostrare che la parte appellante, almeno in due occasioni, ha platealmente violato i suoi doveri di ufficio - prima non corrispondendo al -OMISSIS- le somme dovute a titolo di collaborazione, quindi successivamente distraendo altre somme per uno scopo diverso da quello previsto - ledono al contempo la dignità e la credibilità della funzione docente e l'immagine pubblica dell'Istituzione universitaria alla quale ella apparteneva integrando i presupposti che consentono l'applicazione della sanzione. Quanto precede, peraltro, stante l'obiettiva gravità della condotta - che sarebbe integrata anche dal solo fatto di aver disegnato un bando sul profilo professionale dell'unico candidato, oltretutto soggetto controparte in una vicenda precontenziosa che sarebbe presumibilmente presto sfociata in un giudizio civile, altra circostanza opaca della vicenda- rende irrilevante anche l'obiezione di parte appellante che rivendica la carenza di dolo della sua condotta. Invero - in disparte la considerazione che di tale assenza di colpevolezza non v'è traccia né negli atti né nel decreto che dispone il giudizio e che, anzi, tutto lascia deporre, al contrario, per la presenza di una condotta intenzionale - la negligenza grave che comunque emerge dai fatti passati in rassegna, giustificherebbe di per sé la sanzione irrogata, Anche a voler trascurare che si trattava, nell'occorso, di un potere largamente permeato da discrezionalità che, nell'occorso, non risulta essere stato esercitato, ad un giudizio estrinseco, in modo abusivo o anche solo dis-funzionale. 6. Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto dell'appello. Le concrete circostanze del fatto, unitamente alla relativa novità della questione in diritto, rappresentano giustificate ragioni per compensare le spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Rosaria Maria Castorina - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9329 del 2023, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ra. De Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, contro l'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la Destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...), per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, sul ricorso per l'annullamento dell'ordinanza di sgombero ex art. 47, co. 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, di due immobili confiscati siti nel Comune di -OMISSIS-. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la Destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024, il Cons. Angelo Roberto Cerroni e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il signor -OMISSIS- è stato attinto da un'ordinanza di sgombero ex art. 47, comma 2, del d.lgs. n. 159/2011 dell'Agenzia Nazionale per l'Amministrazione e la Destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (di seguito, breviter, Agenzia) n. -OMISSIS-del 23 novembre 2022, notificata il 2 dicembre 2022, relativa a due beni immobili, acquisiti al patrimonio dello Stato in forza di confisca e siti nel Comune di -OMISSIS-, via -OMISSIS-, censiti nel N.C.E.U. di detto Comune al foglio -OMISSIS-particella -OMISSIS-subb. -OMISSIS- Il provvedimento è stato impugnato innanzi al TAR per il Lazio sull'addebito, articolato in un unico motivo, di violazione dell'art. 823, co. 2, cod. civ., carenza di motivazione, erroneità dei presupposti di fatto e difetto di istruttoria. Il giudice di prime cure ha rigettato la domanda demolitoria dopo aver motivatamente disatteso la censura incentrata sulla sussistenza del diritto di proprietà sui beni confiscati in capo al ricorrente, sia in forza di un titolo negoziale non trascritto, sia in forza di una indimostrata usucapione, sia in virtù di un successivo provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge. 2. - Assumendo l'illegittimità della prima statuizione, il sig. -OMISSIS-ha interposto rituale appello, assistito da domanda cautelare, col quale lamenta, da un lato, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore di quella del giudice ordinario atteso che i provvedimenti di autotutela esecutiva ex art. 823, co. 2, cod. civ. si atteggiano a strumenti rimediali alternativi alle ordinarie azioni giudiziali petitorie e possessorie spettanti alla cognizione del G.O.; dall'altro lato, contesta la qualificazione di occupante sine titulo e rivendica la piena proprietà del bene, alternativamente, in forza di acquisto a titolo derivativo conseguente ad atto negoziale di compravendita (datato 18 gennaio 2001) o di maturata usucapione ordinaria in virtù di possesso pacifico, continuo e ininterrotto ventennale in corso di accertamento innanzi al giudice civile. L'appellante oppone, altresì, un provvedimento di assegnazione degli immobili in parola, a titolo di casa familiare, disposto in favore della coniuge e dei tre figli a seguito del procedimento di separazione consensuale e lamenta, al contempo, la conculcazione del diritto all'abitazione, protetto a livello costituzionale (art. 2 Cost.) e sovranazionale (art. 8 CEDU). 3. - Si è costituita in giudizio l'Agenzia Nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata con comparsa di mero stile. 4. - All'esito della trattazione cautelare il Collegio, con ordinanza n. -OMISSIS-del 27 dicembre 2023, ha respinto la domanda di sospensione dell'efficacia della sentenza impugnata rilevando preliminarmente che il provvedimento di confisca è divenuto inoppugnabile in data 14 novembre 2019 e la conseguente acquisizione al patrimonio indisponibile dello Stato è stata regolarmente trascritta nei registri immobiliari come da risultanze ipotecarie versate in atti, sicché i titoli negoziali (atto di compravendita recato da scrittura privata non autenticata, né trascritta del 18 gennaio 2001), legali (usucapione ordinaria) e giudiziali (assegnazione della casa familiare a seguito di omologa dell'accordo di separazione del 17 novembre 2021) fatti valere dall'odierno appellante non paiono idonei a scalfire l'efficacia dell'acquisto a titolo originario disposto per confisca, vuoi perché inopponibili ai terzi (compravendita immobiliare non trascritta), vuoi perché successivi al perfezionarsi della fattispecie acquisitiva in favore dello Stato. 5. - L'Agenzia ha svolto attività difensiva in vista dell'udienza pubblica controdeducendo nel merito delle tre censure svolte in appello. Nulla ha ulteriormente dedotto la parte appellante. 6. - La causa è venuta in discussione all'udienza pubblica del 23 aprile 2024 all'esito della quale è stata spedita in decisione. 7. - L'appello è infondato per le ragioni che si espongono dappresso. 8. - In primis, va dichiarato inammissibile il motivo di appello teso a censurare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nel caso di impugnativa di provvedimenti adottati dall'amministrazione nell'esercizio della potestà di autotutela esecutiva di cui all'art. 823, co. 2, cod. civ.. La giurisprudenza amministrativa si è ormai consolidata nel ravvisare nella coltivazione di tale eccezione una condotta abusiva dello strumento processuale immeritevole di tutela da parte dell'ordinamento (ex multis, Cons. Stato, Ad. Plen., 29 novembre 2021, n. 19; Cons. Stato, Ad. plen., ord. 28 luglio 2017, n. 4): inammissibilità che non si fonda unicamente sul rilievo tecnico del difetto della qualità di soccombente in primo grado su quel capo decisorio, anche in via implicita (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 dicembre 2023, n. 10756), ma soprattutto sull'esigenza di sanzionare l'abuso del diritto di difesa ispirato a mere ragioni opportunistiche secundum eventum litis. Segnatamente, ponendosi nel solco della giurisprudenza civile (Cass., SS.UU., 20 ottobre 201-OMISSIS-n. -OMISSIS-; seguita poi dalle sentenze 19 gennaio 2017, n. 1907, 25 maggio 2018, n. 13192, e 24 settembre 2018, n. 22439), si opina che la parte che abbia adito la giurisdizione amministrativa con l'atto introduttivo del giudizio non sia legittimata a contestarla attraverso l'eccezione di difetto di giurisdizione in appello in spregio del divieto di venire contra factum proprium (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 2023, n. 2362). 8.1. - La fattispecie in esame ricade de plano nel paradigma appena tratteggiato, con l'aggiunta che l'inammissibilità è ulteriormente aggravata dalla peculiare laconicità dell'atto introduttivo del giudizio in ordine ai profili di giurisdizione denunciati poi in appello, con particolare riguardo ai mezzi rimediali alternativi all'autotutela esecutiva e alla relativa devoluzione al giudice ordinario. 9. - Venendo ai profili più strettamente di merito giova ripercorrere succintamente i fatti secondo una scansione diacronica. I beni immobili oggetto dell'ordinanza di sgombero sono stati acquisiti al patrimonio indisponibile dello Stato, in virtù della confisca disposta dalla sentenza n. -OMISSIS-del Tribunale di Napoli, Quarta Sezione penale, depositata in data 28 dicembre 201-OMISSIS-parzialmente riformata con sentenza n. -OMISSIS-emessa in data 31 dicembre 2018 dalla Corte di Appello di Napoli, Sesta Sezione penale, corretta con ordinanza emessa dalla medesima sezione della Corte di Appello in data 11 gennaio 2019 e divenuta irrevocabile a far data dal 14 novembre 2019 a seguito di sentenza della Suprema Corte di Cassazione, Sezione V, n. 3368/2019. La fattispecie acquisitiva in esame, costituita da un provvedimento di confisca di prevenzione, integra un modo di acquisto a titolo originario che estingue e travolge qualsiasi posizione, reale o obbligatoria, come disposto dagli artt. 45 e 52 d.lgs. n. 159/2011 (art. 45: "A seguito della confisca definitiva di prevenzione i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi"; art. 52: "la confisca definitiva di un bene determina lo scioglimento dei contratti aventi ad oggetto un diritto personale di godimento o un diritto reale di garanzia, nonché l'estinzione dei diritti reali di godimento sui beni stessi"), salva la tutela dei diritti dei terzi nelle forme previste dal titolo IV del codice antimafia, subordinata comunque all'anteriorità del titolo. Nel caso venuto in esame, l'appellante, a dispetto delle allegazioni svolte, non comprova la titolarità di titoli di proprietà piena opponibili all'Amministrazione e, segnatamente: a) il contratto di compravendita versato in atti, stipulato tra -OMISSIS- il giorno 18 gennaio 2001, è stato confezionato in forma di scrittura privata non autenticata, né trascritta nei registri immobiliari di tal ché non costituisce titolo opponibile erga omnes dispiegando efficacia solo inter partes; b) la fattispecie acquisitiva a titolo originario in forza di usucapione ordinaria resta allo stato di mera allegazione sguarnita di supporto probatorio, essendo tuttora in corso i riferiti giudizi civili volti al relativo accertamento. A tutto concedere, nell'esercizio della cognizione incidentale accordata al Collegio ex art. 8 cod. proc. amm. non si ravvisano neanche i presupposti per la maturazione dell'usucapione ordinaria ex art. 1158 cod. civ. giacché, assumendo come dies a quo di immissione nel possesso il 18 gennaio 2001, non consta il decorso del ventennio di possesso pacifico e non clandestino, interrotto dalla sopravvenienza del provvedimento di confisca, adottata nel 2016 e divenuta irrevocabile nel 2019; c) quanto infine al provvedimento di assegnazione giudiziale dell'immobile a titolo di casa familiare alla coniuge affidataria dei tre figli preme soggiungere che il documento versato in atti è un mero decreto di omologa non accompagnato dal verbale di udienza e dalle note depositate nel relativo giudizio per la definizione delle condizioni della separazione, indi non è chiaramente evincibile l'assegnazione dell'immobile a titolo di casa familiare, perplessità ulteriormente avvalorata dal tenore testuale del decreto di omologa che fa riferimento alla mera "cessione delle rendite immobiliari indicate nell'allegato accordo". A ciò si aggiunga che l'omologa decretata dal giudice delegato dal Presidente del Tribunale di Napoli Nord risale al 25 novembre 2021, dunque in data ampiamente successiva all'irrevocabilità della confisca di prevenzione intervenuta a far data dal 14 novembre 2019, in più non risulta trascritta ai fini dell'opponibilità a terzi, come invece prescritto dall'art. 337-sexies cod. civ. che richiama il regime di pubblicità immobiliare di cui all'art. 2643 cod. civ.. Tale notazione riveste valenza assorbente e consente di prescindere da ogni digressione sul delicato bilanciamento tra effetti della confisca di prevenzione e tutela del diritto all'abitazione, pur non sottacendo per incidens la condivisibilità delle argomentazioni di merito svolte sul punto dal primo giudice. 10. - Tutto ciò considerato, l'appello deve essere conclusivamente respinto. 11. - Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione in favore dell'Agenzia resistente delle spese di lite, che si liquidano nell'importo di euro 3.000,00 (tremila/00) oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 19-OMISSIS-e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 201-OMISSIS-a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona dell'appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Greco - Presidente Giovanni Pescatore - Consigliere Nicola D'Angelo - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere Angelo Roberto Cerroni - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10375 del 2020, proposto da Ra. Eu. As. (R.E.), Te. S.r.l., Na. Ti. S.r.l., Li. - Co. Si. au., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Lu. Pa., con domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, alla via (...), e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via (...); nei confronti Ca. 10 S.r.l., Mu. Me. Coop. Soc. Coop. a r.l., non costituite in giudizio; e con l'intervento di ad opponendum: Associazione Tv Lo. ed altri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati To. Di Ni. e Fr. Iu., con domicilio fisico eletto presso lo studio del primo in Roma, alla via (...) e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento, previa concessione di idonea misura cautelare ed eventuale rimessione alla corte costituzionale per la legittimità - del Decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 12 ottobre 2020 recante "Definizione dei criteri di verifica e delle modalità di erogazione degli stanziamenti previsti a favore delle emittenti locali televisive e radiofoniche, ai sensi dell'articolo 195 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 279 del 09-11-2020; - del Decreto mise. AOO_COM.REGISTRO UFFICIALE. Int. 0057319. 13-11-2020 "Definizione dei criteri di verifica e delle modalità di erogazione degli stanziamenti previsti a favore delle emittenti locali televisive e radiofoniche, ai sensi dell'articolo 195 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34"; - nonché ogni altro atto presupposto, conseguente, connesso o, comunque, ad esso collegato, ancorché non conosciuto. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 la dott.ssa Monica Gallo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO I. Con il ricorso all'esame del Collegio la parte ricorrente impugna, chiedendone l'annullamento, i Decreti ministeriali in epigrafe indicati recanti l'individuazione dei potenziali destinatari del contributo straordinario introdotto dall'articolo 195 del D.L. n. 34/2020, da utilizzarsi per la diffusione di messaggi istituzionali rivolti alla prevenzione del contagio da Covid-19, nonché le modalità di accesso allo stesso. Con il medesimo gravame la stessa parte ricorrente deduce, in relazione agli articoli 3 e 97 della Costituzione, l'illegittimità costituzionale dello stesso articolo 195 del D.L. n. 34/2020, nella parte in cui, nello stanziare l'importo di 50 milioni di euro per l'anno 2020 e di 20 milioni di euro per l'anno 2021, a valere sull'istituito "Fondo emergenza emittenti locali", ai fini dell'erogazione del citato contributo, individua le emittenti radiotelevisive locali beneficiarie dello stesso solo in quelle già inserite nelle graduatorie per l'anno 2019 approvate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146, che, facendone espressa domanda, "si impegnano a trasmettere i messaggi di comunicazione istituzionale relativi all'emergenza sanitaria all'interno dei propri spazi informativi". II. Il gravame viene affidato ai seguenti motivi di censura e rilievi: -"I. Violazione dell'art. 41 d.lgs. 177/2005. Violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Eccesso di potere per illogicità ed irragionevolezza. Carenza di motivazione". Deduce sul punto la parte ricorrente che i Decreti impugnati restringerebbero illegittimamente la platea dei destinatari del contributo straordinario per i servizi informativi connessi alla diffusione del contagio da Covid-19 ai soggetti inseriti nelle graduatorie 2019 approvate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 23 agosto 2017, n. 146 e che tale limitazione violerebbe sia l'art. 41 del D.lgs. n. 177/2005 (Testo unico della radiotelevisione) (il quale dispone che "Le somme che le amministrazioni pubbliche o gli enti pubblici anche economici destinano, per fini di comunicazione istituzionale, all'acquisto di spazi sui mezzi di comunicazione di massa, devono risultare complessivamente impegnate, sulla competenza di ciascun esercizio finanziario, per almeno il 15 per cento a favore dell'emittenza privata televisiva locale e radiofonica locale operante nei territori dei Paesi membri dell'Unione europea (...)") sia gli l'articoli 3 e 97 della Costituzione. Conclude il motivo di doglianza la parte ricorrente deducendo, altresì, il difetto di motivazione che inficerebbe la legittimità dei Decreti impugnati, nei quali non sarebbero, in tesi, adeguatamente rappresentate le ragioni poste a fondamento della contestata restrizione della platea delle emittenti aventi accesso al contributo straordinario de quo; -"II. Istanza di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 195 del d.l. 1 maggio 2020, n. 34". Deduce la parte ricorrente l'incompatibilità della disciplina di cui all'articolo 195 del D.L. n 34/2020 con gli articoli nn. 3 e 97 della Costituzione: la norma recherebbe una "previsione volta a limitare l'accesso ad un fondo stabilito in occasione di un'emergenza sanitaria globale (che pertanto ha coinvolto tutti e sicuramente tutte le emittenti televisive e radiofoniche locali), tramite il rinvio ad una graduatoria formata in base a requisiti che nulla hanno a che vedere con l'emergenza sanitaria e le difficolta` da covid-19", e, in quanto tale, sarebbe "contraria ai principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione e, conseguentemente, al principio di buon andamento dell'Amministrazione di cui all'art. 97 Cost.". III. Si è costituito in giudizio il Ministero dello Sviluppo Economico resistendo al ricorso e chiedendone la reiezione sulla scorta di argomentazioni poi sviluppate nella memoria del 7 gennaio 2021. IV. Sono altresì intervenute in giudizio ad opponendum le società in epigrafe indicate, eccependo, in primis, l'inammissibilità del gravame per carenza di interesse, per non avere dimostrato la parte ricorrente e, in particolare, le due emittenti "di poter concretamente aspirare a partecipare alla ripartizione del Fondo" né di essere in possesso dei requisiti previsti dal d.P.R. n. 146/2017 per poter accedere alle graduatorie 2019. Nel merito gli intervenienti hanno dedotto l'infondatezza del ricorso. V. Alla Camera di Consiglio dell'11 gennaio 2021, con ordinanza n. 98 del 12 gennaio 2021, confermata in appello, l'istanza cautelare formulata dalla parte ricorrente è stata rigettata. VI. In vista della udienza pubblica del 21 maggio 2024 gli intervenienti ad opponendum hanno depositato memoria difensiva conclusiva, insistendo per l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso. VII. All'udienza pubblica del 21 maggio 2024 la causa è stata pertanto trattenuta in decisione. VIII. Il ricorso è infondato e va rigettato e tanto consente al Collegio di prescindere dall'esame della eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza originaria di interesse sollevata dagli intervenienti ad opponendum. VIII.1 Infondato è il motivo di gravame sub I, non essendo ravvisabili nella fattispecie i vizi ivi rubricati. VIII.1.1. Con riguardo alla dedotta violazione di legge, vero è che l'articolo 41 del D.lgs n. 177/2005 sancisce la regola, di carattere generale, secondo la quale la spesa per la comunicazione istituzionale da parte delle Pubbliche Amministrazioni deve essere riservata almeno per il 15% alle emittenti televisive private a carattere locale. Preliminarmente va osservato che tale norma individua soltanto la percentuale minima di risorse che, con riguardo ai servizi di comunicazione istituzionale, le Amministrazioni che se ne avvalgano devono assicurare alle emittenti locali. La stessa norma nulla invero aggiunge rispetto al criterio di erogazione di tale percentuale, la cui elargizione, nel rispetto del principio generale di cui all'articolo 12 della Legge n. 241/1990, non può prescindere dalla predeterminazione di criteri e requisiti di attribuzione da parte dell'Amministrazione competente. Né dal tenore della norma in esame, che come detto non affronta affatto il tema dei criteri di attribuzione delle risorse destinate alla comunicazione istituzionale, si evince, come vorrebbe parte ricorrente, che il citato 15% possa essere distribuito "a pioggia" fra tutte le emittenti locali esistenti. Prescindendo da tale profilo che attiene alla sussistenza della condizione dell'azione dell'interesse a ricorrere, nel merito, ciò che rileva ai fini della presente decisione è il rapporto sussistente tra la citata norma, che si assume violata dai D.M. impugnati, e quella alla quale i D.M. danno pedissequa attuazione, ovverossia l'articolo 195 del D.L. n. 34/2020. In effetti sia il D.M. del 12 ottobre 2020 sia il successivo D.M. del 13 novembre 2020, entrambi oggetto di impugnazione, recepiscono esattamente quanto prescritto dal citato articolo, il primo sancendo il riconoscimento, per l'anno 2020, di un contributo straordinario per i servizi informativi connessi alla diffusione del contagio da COVID-19 in favore delle emittenti radiofoniche e televisive locali che si impegnano a trasmettere i relativi messaggi all'interno dei propri spazi informativi ed il secondo individuando i potenziali beneficiari di tale contributo nei soggetti già presenti nella graduatoria elaborata ai sensi del D.P.R. n. 146/2017 per l'anno 2019. La norma di cui all'articolo 195 si inserisce nel più ampio contesto delle misure emergenziali introdotte nell'ordinamento dal D.L. n. 34/2020 e, nello specifico momento pandemico, istituisce uno speciale fondo preordinato ad assicurare, nei tempi contingentati della emergenza, la repentina diffusione di messaggi informativi sul contagio da Covid-19. Trattasi di una norma ad hoc, che istituisce un fondo straordinario a destinazione vincolata, essendo rivolto esclusivamente a finanziare uno specifico tipo di pubblicità istituzionale (ad oggetto l'informativa sul contagio da Covid-19) e per un periodo temporalmente limitato ed ancorato alla fase di emergenza sanitaria (i messaggi avrebbero dovuto essere mandati in onda, per un totale minimo di 60 giornate di campagna istituzionale, distribuite nell'intervallo temporale dal mese di dicembre 2020 al mese di aprile 2021). Orbene, essendo il D.L. n. 34/2020 fonte di rango primario alla stessa stregua del D.lgs n. 177/2005, l'antinomia denunciata dalla parte ricorrente fra i rispettivi articoli 195 e 41 va risolta sulla base dei noti criteri cronologico (lex posterior derogat priori) e di specialità (lex specialis derogat generali). L'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 rientra nel novero delle norme eccezionali dettate in un evidente contesto contingente ed emergenziale per combattere la pandemia e, in ragione di tale contesto di riferimento, peraltro temporalmente limitato, ha introdotto elementi derogatori rispetto alla normativa di carattere generale e precedente di cui al citato articolo 41 del D.lgs n. 177/2005. Se ne deve concludere che i Decreti ministeriali impugnati, siccome adottati in attuazione dell'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 quale norma di carattere speciale, non possono essere giudicati illegittimi per violazione della norma generale recata dall'articolo 41 del D.lgs n. 177/2005, in quanto tale norma, come visto, secondo i criteri che regolano le antinomie normative, deve essere considerata senz'altro cedevole rispetto alla portata derogatoria della prima. VIII.1.2. Sempre in relazione al primo motivo di doglianza neppure sussiste nella fattispecie il dedotto vizio di motivazione. Si premette che la natura di atti generali propria dei Decreti impugnati, evidentemente rivolti ad un numero incerto di destinatari, determina la non applicabilità dell'obbligo di puntuale motivazione di cui all'articolo 3 della Legge n. 241/1990 che espressamente prevede che quest'ultima non sia richiesta "per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale". In ogni caso, anche a voler prescindere dalla qualificabilità dei citati D.M. quali atti generali, gli stessi recano un contenuto del tutto vincolato siccome dettato dall'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 espressamente e puntualmente richiamato negli stessi. Quando l'attività dell'Amministrazione è vincolata, perché sia assolto l'obbligo di motivazione di cui art 3 L. n. 241/1990, è sufficiente l'indicazione del presupposto normativo di riferimento che comporta l'adozione del provvedimento, e ciò in ragione della circostanza per la quale, in tali fattispecie, la selezione e ponderazione dei sottesi interessi risulta compiuta a monte dallo stesso legislatore. VIII.1.3. Le ulteriori doglianze mosse nei confronti dei Decreti Ministeriali gravati, con particolare riguardo alla contestata scelta di utilizzazione della graduatoria 2019 relativa alla distribuzione del contributo ex D.P.R. n. 146/2017 per la erogazione delle risorse di cui al diverso "Fondo emergenze emittenti locali", non possono essere scrutinate da questo giudice come vizi propri degli stessi, atteso che, come innanzi rappresentato, i ridetti decreti si limitano a dare pedissequa applicazione, senza innovare alcunché, rispetto alla norma di legge di cui al richiamato articolo 195 del D.L. n. 34/2020. VIII.2. Va invece esaminata la questione di illegittimità costituzionale che parte ricorrente sottopone al Collegio, deducendo la sussistenza di un conflitto fra quanto prescritto dall'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 e poi sancito dai DD.MM. che ne danno attuazione, e gli articoli 3 e 97 della Carta fondamentale. La questione, tuttavia, appare manifestamente infondata sia in relazione all'articolo 3 che in relazione all'articolo 97, rispetto ai quali è possibile una interpretazione costituzionalmente orientata e conforme a Costituzione della norma contestata. Parte ricorrente deduce l'illegittimità costituzionale dell'articolo 195 D.L. 34/2020 citato per aver esso limitato "l'accesso ad un fondo stabilito in occasione di un'emergenza sanitaria globale (che pertanto ha coinvolto tutti e sicuramente tutte le emittenti televisive e radiofoniche locali), tramite il rinvio ad una graduatoria formata in base a requisiti che nulla hanno a che vedere con l'emergenza sanitaria e le difficolta` da covid-19". Sennonché il contributo di cui si controverte, a valere sul "Fondo emergenza emittenti locali", non aveva la finalità di compensare o tenere indenni gli operatori di settore rispetto alle perdite conseguenti alla crisi pandemica, ma soltanto quella di assicurare, finanziandone la spesa, la tempestiva diffusione di messaggi informativi sul contagio da Covid-19, a scopo di prevenzione e di tutela della salute pubblica. Trattasi all'evidenza di una misura rientrante fra quelle, non di sostegno economico, ma di politica sociale, anch'esse, insieme alle prime, oggetto del D.L. n. 34/2020 siccome espressamente annoverate all'articolo 1 del citato Decreto. La scelta del legislatore, necessitata dalla urgenza ed emergenza pandemica, di individuare i soggetti ai quali affidare la missione istituzionale di diffondere i messaggi informativi sul contagio da Covid-19 in quelli già selezionati e presenti nella graduatoria ex D.P.R. n. 146/2017 è compatibile con tale specifica finalità del contributo: non trattandosi di misura compensativa, la circostanza, dedotta dalla parte ricorrente, che lo stato di emergenza sanitaria abbia coinvolto indiscriminatamente tutte le emittenti, senza alcuna distinzione, non assume rilievo rispetto alla gestione dello specifico contributo. Donde, sotto tale primo aspetto, l'esclusione di un manifesto conflitto con il principio di uguaglianza e di buon andamento dell'azione amministrativa. L'esame della compatibilità della norma di cui all'articolo 195 del D.L. n. 34/2020 con l'articolo 3 della Carta Costituzionale conduce poi a concludere per la proporzionalità e ragionevolezza della prima anche per effetto della strutturale temporaneità della misura di cui si controverte e del non irragionevole bilanciamento, operato dal legislatore e sotteso alla ratio della norma, tra la dimensione individuale dei diritti costituzionalmente garantiti, come incisi dalla stessa, e quella collettiva del diritto alla salute. Come affermato dalla Corte Costituzionale nella decisione n. 213/2021, "nella eccezionale situazione di emergenza sanitaria, la discrezionalità del legislatore nel disegnare misure di contrasto della pandemia, bilanciando la tutela di interessi e diritti in gioco, è più ampia che in condizioni ordinarie". Rispetto a tale maggiormente estesa discrezionalità la semplificazione della procedura di individuazione delle emittenti attraverso le quali attuare la specifica finalità informativa perseguita dal legislatore con l'articolo 195 non appare manifestamente irragionevole. Nelle circostanze emergenziali esistenti al momento della introduzione nell'ordinamento della citata norma il dovere di solidarietà sociale, nella sua dimensione orizzontale, deve essere ritenuto idoneo a giustificare il temporaneo sacrificio di alcuni a beneficio dell'interesse collettivo alla tutela della salute. A fronte di malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale, ragioni logiche, prima che giuridiche, ben possono radicare, infatti, nell'ordinamento costituzionale l'esigenza di una disciplina, di carattere eccezionale, funzionale ad assicurare la tutela dell'interesse della collettività . In tale contesto la tutela del principio di uguaglianza invocato da parte ricorrente, piuttosto che limite, diviene ragione fondante della stessa misura emergenziale ove letto da una diversa prospettiva: quella dell'uguaglianza delle persone nell'esercizio del fondamentale diritto alla salute. Con riguardo alla specifica misura introdotta dall'articolo 195 in contestazione è evidente, infatti, che i tempi del contagio e le conseguenze dello stesso rendessero prioritario favorire, nel più breve tempo possibile, la diffusione dei messaggi sul virus, onde fare in modo che tutta la popolazione, nel rispetto del principio di uguaglianza sostanziale di cui al secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione, senza distinzione alcuna, disponesse delle medesime informazioni e conoscenze relative al Covid-19. Di contro il tempo necessario all'avvio ed alla conclusione di una procedura selettiva ex novo per l'attribuzione del relativo contributo, non solo avrebbe determinato un aggravio che il legislatore ha ragionevolmente reputato insostenibile rispetto alle immediate esigenze di diffusione dei messaggi istituzionali di prevenzione, ma, nelle more del suo dispiegarsi, avrebbe causato fra i cittadini una disomogeneità di conoscenze, questa sì lesiva del principio di uguaglianza rispetto al diritto a godere delle medesime condizioni di tutela della propria salute. Depongono dunque nel senso della non fondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale dell'articolo 195 del D.L. 34 /2020 rispetto all'articolo 3 la genetica transitorietà della disciplina, che ne giustifica l'eccezionalità, connessa alla repentinità ed imprevedibilità della crisi ed ai profili di tutela della salute che imponevano l'urgente rimozione di ogni ostacolo alla piena conoscenza del virus e delle modalità di contagio esistente nella popolazione. In relazione all'articolo 97 della Costituzione poi, la ragionevolezza intrinseca alla scelta del legislatore, nella automatica individuazione dei soggetti ai quali affidare la pubblicizzazione dei messaggi relativi alla diffusione del contagio da Covid-19 sulla base di una graduatoria già confezionata, consente di concludere per la compatibilità della norma censurata con tale articolo. Tanto perché, nel bilanciamento fra l'interesse alla tutela della salute collettiva e quello, individuale, alla percezione di una risorsa economica (di natura straordinaria e non avente, come detto, finalità compensativa né indennitaria), necessitato dallo specifico contesto pandemico in cui si inserisce la norma contestata, la scelta preferenziale a favore della cura del primo non può che essere considerata espressione di buon andamento dell'azione amministrativa. IX. In conclusione il ricorso è infondato e va rigettato. Non sussistono i presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale in relazione all'articolo 195 del D.L. n. 34/2020, difettando, nella fattispecie, per quanto innanzi detto, il presupposto della non manifesta infondatezza della stessa. X. Le spese di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti attese la peculiarità e la novità della questione. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa integralmente fra tutte le parti le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Monica Gallo - Referendario, Estensore Valentino Battiloro - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10021 del 2019, proposto dalla signora St. Mi., rappresentata e difesa dall'avvocato An. Vi., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro Comune di Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pi. Lu. Pa. e poi dall'avvocato Ro. Mu., domiciliati in Roma, via (...), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Signor Ce. Ro., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 9625/2019, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Raffaello Sestini; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - La vicenda contenziosa in esame prendeva avvio quando Roma Capitale approvava la graduatoria finalizzata all'assegnazione di 300 licenze per il servizio di trasporto pubblico non di linea, che vedeva attribuito alla sig.ra Mi. St. il punteggio di 33,46 con collocazione al n. 323 della graduatoria. 2 - La sig.ra Mi. proponeva ricorso dinanzi al TAR del Lazio, lamentando l'asserito mancato riconoscimento, da parte della Commissione giudicatrice, di 8 punti per il possesso del titolo di studio di scuola secondaria superiore, pur di durata triennale, del suo percorso scolastico di scuola media secondaria (diploma di qualifica professionale di addetto alla contabilità conseguito presso l'Istituto professionale per il commercio Lu. Ei. di Roma). 3 - Successivamente, in conseguenza dell'aggiornamento della originaria graduatoria in base alle ulteriori verifiche compiute dall'ufficio sui titoli dei concorrenti, la sig.ra Mi. era collocata al n. 319 della graduatoria, e la nuova delibera non veniva impugnata né con motivi aggiunti né con ricorso autonomo. 4 - Si costituivano in giudizio il Comune di Roma, ora Roma Capitale, nonché il sig. Fa. Pa., che contestava la qualifica di controinteressato chiedendo ed ottenendo l'estromissione dal giudizio. 5 - Nel contempo, con deliberazione n. 584 del 21.11.2006, l'Amministrazione comunale aumentava di 1000 unità il numero delle licenze da rilasciare. Conseguentemente, con determinazione comunale n. 552 del 7.3.2007, veniva rilasciata la licenza n. 6100 alla sig.ra Mi., che presentava atto di rinunzia al ricorso. 6 - Ciononostante, con la sentenza appellata il TAR respingeva il ricorso della sig.ra Mi., che proponeva il presente appello argomentando ampiamente la spettanza degli 8 punti ai fini della modifica della graduatoria in suo favore e del conseguente ottenimento della licenza. 7 - Roma capitale si costituiva in giudizio e con l'appello incidentale lamentava la erroneità della sentenza in quanto, anziché rigettare il ricorso nel merito, lo avrebbe dovuto dichiarare inammissibile e improcedibile. Le parti procedevano poi ad un ampio scambio di memorie. 8 - Successivamente, con determinazione dirigenziale n. 2008 in data 27.4.2010, l'Amministrazione Capitolina revocava la concessa licenza, con atto impugnato dalla sig.ra Mi. con separato ricorso dinanzi al TAR Lazio, che sospendeva la revoca. Il ricorso veniva poi dichiarato perento. 9 - Con l'appello in epigrafe la signora Mi. deduce i seguenti motivi d'impugnazione: "falsa o erronea interpretazione o applicazione di legge ed in particolare dell'art. 191 del d.lgs n. 297/1994; errore in judicando". Nel respingere il ricorso proposto il TAR avrebbe erroneamente ritenuto che il diploma triennale di qualifica professionale conseguito dalla ricorrente non potesse essere considerato "diploma di Istruzione Secondaria di secondo grado" ritenendo erroneamente una sua "differenza ontologica" dai titoli rilasciati dopo un percorso scolastico di durata quinquennale nonostante la difesa di parte ricorrente avesse prodotto, allegandolo al ricorso, il parere di contrario avviso reso dal Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca - Dipartimento per l'istruzione, prot. n. 3764 del 20 aprile 2006 e nonostante che su tale questione si fosse pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza 24460/16 del 30.11.2016, conforme alla sentenza n 26281/09 a Sezioni Unite, ritenendo "che gli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore sono il liceo-ginnasio classico, il liceo scientifico, gli istituti tecnici, il liceo artistico, l'istituto magistrale, la scuola magistrale, gli istituti professionali e gli istituti d'arte." Inoltre nella fattispecie in esame il Bando di Concorso prevedeva l'assegnazione di 8 punti in base al possesso del "Diploma di Istruzione Secondaria Superiore", nulla dicendo in ordine alla durata del relativo corso di studi. Infine l'art 191 D.lgs n. 297/1994 stabilisce che l'istruzione secondaria superiore comprende tutti i tipi di istituti e scuole immediatamente successivi alla scuola media ed ai quali si accede con la scuola media. 10 - Pertanto la signora Mi. chiede la riforma della sentenza del TAR del Lazio con il conseguente accertamento della nullità o annullabilità della determinazione del dirigente della U.O. Trasporto pubblico locale -Servizio trasporto pubblico non di linea n 2221 del 21.11.2006 del Dipartimento VII - Politiche della mobilità del Comune di Roma, nella parte in cui alla ricorrente veniva attribuito il punteggio di punti 33,46 con collocazione della stessa al n. 323 della graduatoria, non riconoscendole gli 8 punti relativi al titolo di studio posseduto quale diploma di istruzione secondaria di secondo grado, nonché di accertare il diritto e l'interesse della ricorrente a vedersi attribuiti gli 8 punti previsti dal bando di concorso pubblico con la conseguente modifica della graduatoria finalizzata all'assegnazione di n. 300 licenze per il servizio di trasporto pubblico non di linea. 11 - Il Comune di Roma, costituitosi in giudizio, argomenta le ragioni per le quali ritiene l'appello inammissibile ed infondato: il TAR avrebbe del tutto correttamente statuito in ordine alla mancata attribuzione alla odierna appellante del punteggio aggiuntivo previsto per il possesso del titolo di scuola media superiore in quanto la giurisprudenza amministrativa è ferma nel ribadire la sostanziale differenza ontologica tra i diplomi rilasciati dopo un corso triennale di studi con quelli rilasciati dopo un percorso scolastico di durata quinquennale che, in quanto tali, costituiscono il diploma di maturità di secondo grado (Cons. di Stato, sez. VI, n. 3992/2005; sez. IV n. 3383/2011) di modo che solo la testuale dizione del bando avrebbe potuto equiparare, per giustificate finalità della pubblica amministrazione, il possesso di un titolo di scuola media superiore con un percorso scolastico triennale (Cons. St., sez. III, n. 6034/2014). 12 - Lo stesso Comune propone inoltre appello incidentale per la parziale riforma dell'appellata sentenza n. 9625/2019, deducendo i seguenti motivi: "perplessità e insufficienza della motivazione; travisamento della eccezione di improcedibilità del ricorso; erronea valutazione e travisamento dei fatti; mancata pronuncia". Infatti il TAR, dopo aver affermato che la mancata contestazione giurisdizionale della determinazione dirigenziale n. 2446/2006 costituiva motivo di improcedibilità del ricorso e rilevata la avvenuta rinuncia al ricorso, non si sarebbe peraltro pronunciato sulla sua improcedibilità, omettendo altresì di pronunciarsi sul fatto che l'oggetto della controversia era stato superato del tutto dagli eventi successivi (rilascio della licenza, successiva revoca, restituzione della licenza alla sig.ra Mi. a seguito di ordinanza cautelare del TAR del 2010, pronunciata nell'ambito del ricorso n. 5055/2010) risultando confermata, anche sotto tale profilo, l'improcedibilità del ricorso. 13 - L'appello incidentale è fondato. Infatti, così come dedotto dal Comune, il TAR, pur dopo aver correttamente rilevato la mancata impugnativa della citata determinazione n. 2446 del 21.12.2006, non ne ha tratto le necessarie conseguenze, né ha considerato la avvenuta rinuncia al ricorso. Il TAR neppure ha considerato che dopo l'introduzione del ricorso di primo grado sono accaduti fatti nuovi, che hanno reso lo stesso improcedibile prima ancora che, come statuito dalla stessa sentenza, infondato nel merito. In particolare, successivamente alla proposizione dell'impugnativa, in data 21.12.2006 il Comune di Roma - U.O. TPL sostituiva la precedente determinazione dirigenziale con quella n. 2446, in conseguenza dell'aggiornamento della originaria graduatoria in base alle ulteriori verifiche compiute dall'ufficio sui titoli dei concorrenti. Tale nuova determinazione, che collocava l'appellante al 319 posto in graduatoria, antecedente rispetto al precedente n. 323 ma ancora in posizione non utile, non veniva impugnata. Con deliberazione GC n. 584 del 2.11.2006, veniva poi ampliato l'organico di autovetture di servizio pubblico non di linea (TAXI) con ulteriori 1000 licenze e, quindi, la sig.ra Mi. risultava collocata in posizione utile. Per tali ragioni, con determinazione dirigenziale n. 552 del 7.03.2007 le veniva conferita licenza taxi n. 6100 e l'interessata notificava, in data 17.04.2007, atto di rinuncia al ricorso. Vero è che il provvedimento di rilascio della licenza n. 6100 veniva poi revocato con determinazione dirigenziale n. 208 del 27.04.2010, ma tale revoca era impugnata dalla sig.ra Mi. con separato ricorso dinanzi al TAR del Lazio, che accoglieva la domanda cautelare con ordinanza n. 2792/2010 con conseguente provvisoria restituzione del titolo. 14 - L'accoglimento dell'appello incidentale nei termini che precedono determina la necessità di dichiarare improcedibile il ricorso di primo grado, prima ancora di rigettarlo nel merito come statuito dell'appellata senrenza del TAR, e ne preclude in ogni caso l'accoglimento, dovendosi di conseguenza respingere l'appello principale. 15 - La peculiarità e complessità della fattispecie contenziosa giustifica, infine, la compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l'appello principale; accoglie l'appello incidentale proposto dal Comune intimato e, per l'effetto, in riforma dell'appellata sentenza dichiara improcedibile il ricorso di primo grado. Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024, tenutasi da remoto, con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giordano Lamberti - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Giovanni Sabbato - Consigliere Davide Ponte - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 14631 del 2018, proposto da Mi. Ca., rappresentata e difesa dall'avvocato Ro. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Pa. Al., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell'Avvocatura capitolina in Roma, Via (...); per l'annullamento - del diniego di condono edilizio prot. n. QI/83535/2018 del 15 maggio 2018. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2024 la dott.ssa Manuela Bucca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con istanza prot. n. 0/506832 sot. 0 del 18 marzo 2004, la sig.ra Fr. Pa. chiedeva il rilascio di concessione edilizia in sanatoria per l'opera abusiva realizzata in Roma, Via (omissis), consistente in "un manufatto di superficie pari a mq. 50,00 di s.u.r., immobile distinto al N.C.E.U. al Foglio (omissis), particella (omissis), sub (omissis)". Con nota prot. n. 6259 del 28 gennaio 2013, Roma Capitale comunicava ai sig.ri Mi. Ca. e Fr. De Si., quali nuovi comproprietari dell'immobile, i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di condono, ossia l'insistenza dell'opera abusiva in area sottoposta ai seguenti vincoli: "Beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. b) del Codice - c - Fossi, parziale inedificabilità - Norme P.R.G., Falde Idrice e P.T.P. (omissis)". Ritenendo di non poter accogliere le osservazioni formulate dagli interessati, con determinazione dirigenziale prot. n. QI/83535/2018 del 15 maggio 2018, l'Amministrazione confermava la reiezione dell'istanza di condono. Avverso il suddetto provvedimento propone ricorso, ritualmente notificato e depositato, la sig.ra Mi. Ca., censurandolo per i seguenti motivi: I. Eccesso di potere per travisamento dei fatti, errore e/o violazione di legge, in particolare della legge 326/2003 e legge reg. 12/2004. Col primo motivo, parte ricorrente sostiene l'illegittimità del provvedimento impugnato in quanto il manufatto oggetto di sanatoria sarebbe stato ultimato entro il 31 marzo 2003, in conformità a quanto previsto dall'art. 32, comma 25, della l. n. 326/03; II. Violazione di legge, in particolare dell'art. 134 d.lgs. 42/2004, delle norme PRG Falde idriche e P.T.P. (omissis), dell'art. 3 della legge reg. 12/2004, della legge 47/1985 - Eccesso di potere, carenza ed inadeguatezza dell'istruttoria condotta da Roma Capitale. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta che il diniego impugnato sia stato adottato nonostante l'abuso insista su area soggetta a vincoli non ostativi al rilascio della sanatoria in quanto: - si tratterebbe di vincoli imposti successivamente alla realizzazione dell'opera abusiva e che non comportano una inedificabilità assoluta; - il vincolo paesistico del Fosso di (omissis) sarebbe superabile con l'acquisizione del rilascio del parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo stesso; - il vincolo per falde idriche - rectius, quello idrogeologico di Pratolungo - sarebbe superabile con la realizzazione di un'adeguata rete fognaria a continuità idraulica e pozzetto di ispezione. Resiste al ricorso Roma Capitale, deducendone l'infondatezza nel merito. Alla pubblica udienza straordinaria del 17 maggio 2024, svolta in modalità telematica ai sensi dell'art. 87, comma 4 bis c.p.a., la causa è stata posta in decisione. DIRITTO Il ricorso è infondato. Come chiarito da consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, in ordine ai presupposti per il cd. terzo condono, ai sensi della l. n. 326/2003 e, nella Regione Lazio, della l.r. n. 12/2004: - "Il d.l. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito nella legge n. 326 del 24 novembre 2003, che ha previsto un condono edilizio per le opere ultimate entro il 31 marzo 2003, diversamente dalle discipline della legge n. 47 del 1985 e della legge n. 724 del 1994, ha...specificamente individuato le tipologie di opere condonabili ed ha limitato le possibilità di sanatoria in presenza di vincoli. L'art. 32, comma 26, lettera a) del detto decreto legge ha distinto le tipologie di illecito (individuate all'allegato 1), consentendo nelle aree sottoposte a vincolo la sanatoria solo per "le tipologie di illecito di cui all'allegato 1 numeri 4, 5 e 6" ovvero opere di restauro e risanamento conservativo (tipologia 4 e 5), opere di manutenzione straordinaria, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume (tipologia 6). Ha specificato al comma 27 che non sono suscettibili di sanatoria, tra le altre ipotesi, le opere che "siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (lettera d). Il condono edilizio di cui al D.L. n. 269 del 2003, convertito nella L. n. 326 del 2003, non è dunque consentito per "abusi maggiori" (cioè abusi riconducibili a quelli di cui alle tipologie 1, 2 e 3 della tabella allegata al D.L. n. 269 del 2003) commessi in zona sottoposta a vincolo posto in epoca anteriore alla realizzazione delle opere, ciò indipendentemente dal tipo di vincolo, se di inedificabilità assoluta o relativa (Consiglio di Stato Sez. VI 26 luglio 2023, n. 7318; Sez. II, 13 novembre 2020, n. 7014; Sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7103). In tali situazioni è stato altresì affermato che è inutile la richiesta del parere di compatibilità paesaggistica, posto che si versa in una situazione di divieto di condono stabilita dal legislatore. Da ciò discende che, in presenza di interventi qualificabili come nuova costruzione o ristrutturazione realizzati in area soggetta a vincoli paesaggistici, il diniego di sanatoria edilizia è atto dovuto ai sensi della L. n. 326 del 2003 (Consiglio di Stato Sez. VI, 24 agosto 2023, n. 7935; Sez. VI, 16 settembre 2022, n. 8043; Sezione VI, 10 gennaio 2023, n. 295). Inoltre, nelle aree sottoposte a vincolo preesistente all'opera neppure può essere concessa la sanatoria qualora l'intervento sia difforme dagli strumenti urbanistici"; - "La legge regionale n. 12 del 2004 ha ampliato le categorie delle opere non sanabili estendendola anche a quelle realizzate, "prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali", rendendo, quindi, più restrittiva la disciplina del condono nella Regione Lazio. Tale scelta restrittiva del legislatore regionale è stata ritenuta legittima dalla Corte costituzionale in relazione alla eccezionalità delle norme statali sul condono e alla rilevanza della maggiore tutela dei beni ambientali e paesaggistici perseguita dalla Regione (sentenza n. 181 del 2021)" (da ultimo, Consiglio di Stato sez. II, 13 marzo 2024, n. 2482). Nel caso di specie, l'intervento oggetto della richiesta di sanatoria consiste in un ampliamento di superficie residenziale, realizzato in zona sottoposta ai seguenti vincoli: "Beni paesaggistici ex art. 134, comma 1, lett. b) del Codice - c - Fossi, parziale inedificabilità - Norme P.R.G., Falde Idriche e P.T.P. (omissis)". In conseguenza, ritiene il Collegio che l'Amministrazione abbia correttamente negato il chiesto condono, rientrando l'abuso commesso nelle tipologie di illecito per le quali l'art. 32 del d.l. n. 269/03, convertito dalla l. n. 326/03, e l'art. 3, comma 1, lettera b) della l.r. n. 12/04 escludono la sanatoria. Trattasi, invero, di un manufatto di mq. 50, cui è conseguito, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, un aumento di superficie e volumetria, senza che possa rilevarne l'entità . Quanto alla doglianza inerente all'applicabilità della l.r. n. 12/2004 rispetto ad abusi realizzati in data antecedente all'istituzione di vincoli paesaggistici nell'area interessata dall'intervento edilizio, è sufficiente osservare che "con la sentenza n. 181/2021, pubblicata il 4 agosto 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità sollevata con riferimento all'art. 3, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lazio 8 novembre 2004, n. 12 (Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi). La Corte ha ritenuto che con la normativa censurata, introducendo un regime più rigoroso di quello disegnato dalla normativa statale, il legislatore regionale del Lazio non ha oltrepassato il limite costituito dal principio di ragionevolezza. Per un verso, infatti, la possibile sopravvenienza di vincoli ostativi alla concessione del condono risulta espressamente prevista dalla disposizione censurata, ciò che ne esclude la lamentata assoluta imprevedibilità . Per altro verso, il regime più restrittivo introdotto dalla legge regionale ha come obiettivo la tutela di valori che presentano precipuo rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici, sicché non è irragionevole che il legislatore regionale, nel bilanciare gli interessi in gioco, abbia scelto di proteggerli maggiormente, restringendo l'ambito applicativo del condono statale, sempre restando nel limite delle sue attribuzioni" (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 12 aprile 2023, n. 6319). Né rileva la natura relativa del vincolo di inedificabilità impresso all'area in cui insiste l'abuso, in quanto per gli abusi di carattere maggiore in area vincolata, come quello per cui è causa, "è ...preclusa l'assentibilità a prescindere dal carattere assoluto o relativo del vincolo di inedificabilità sulla stessa impressa. Sicché la sola presenza, nella fattispecie incontestata, del predetto vincolo rende le opere in questione non condonabili" (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. IV, 24 gennaio 2024, n. 1428). In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore dell'Amministrazione resistente, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, oltre alle spese generali nella misura del 15%, nonché IVA e CPA come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Manuela Bucca - Referendario, Estensore Monica Gallo - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Bis ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5296 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi.Sa., Ka.Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi.Sa. in Parma, (...); contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per l'annullamento del decreto emesso dal Ministero dell'Interno relativo all'istanza -OMISSIS- datato 17.01.2019 e notificato alla ricorrente in data 13.02.2019 mediante il quale veniva respinta l'istanza di concessione della cittadinanza italiana richiesta ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera f) della Legge 5 febbraio 1991 n. 92 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2024 la dott.ssa Antonietta Giudice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO I. - La ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 3 febbraio 2014. II. - Esperita l’istruttoria di rito, l’Amministrazione con DM 17 gennaio 2019 ha respinto la domanda, previa comunicazione ex art. 10-bis della legge n. 241/1990 e a seguito del contraddittorio con l’interessata, essendo risultati a carico del figlio convivente i seguenti elementi di controindicazione: - in data 2.7.2005: indagato in stato di libertà dalla stazione CC di Omissisdalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Bologna, per il reato di cui all’art. 110,624,625 n. 2, 61 n. 7 c.p. (furto aggravato in concorso); - in data 15.3.2008: notifica decreto divieto di ritorno nel Comune di Piacenza per anni tre, datato 27.2.2008 adottato dal Questore di Piacenza; - in data 25.2.2008: contestata violazione amministrativa dalla Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico di Piacenza, per violazione dell’art. 688 c.p. (manifesta ubriachezza); - in data 25.02.2008: notizie di reato all’A.G. dalla Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico di Piacenza per violazione dell’art. 582 e 588 c.p. (lesioni personali e rissa); - in data 11.11.2009: decreto penale del G.I.P. presso il Tribunale di Parma, divenuto esecutivo in data 18.12.2009, per il reato di cui all’art. 659, 175 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone). III. - Avverso il suddetto provvedimento di diniego la ricorrente insorge con l’odierno gravame, chiedendone l’annullamento, in quanto asseritamente affetto dai vizi di: 1. Eccesso di potere per incongrua e carente motivazione, travisamento dei fatti posti alla base del provvedimento di diniego; 2. Violazione dell’art. 3 della legge 7.8.1990, n. 241, provvedimento non sufficientemente motivato. La parte censura il provvedimento in quanto non adottato a seguito di una compiuta valutazione della posizione della richiedente che afferma di essere socialmente integrata nel tessuto sociale italiano di non aver subìto condanne penali e di non aver avuto alcun coinvolgimento nelle vicende penali dl figlio, il quale è in ogni caso in possesso di una carta di soggiorno di lungo periodo. IV. - Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio per resistere al ricorso, ha depositato documenti del fascicolo del procedimento e una relazione difensiva, contestando nel merito le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego impugnato. V. - All’udienza pubblica del 28 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO I. - Il ricorso è infondato. II. - Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022). L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. Ciò si desume ictu oculi, dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza "può" - e non "deve" - essere concessa. La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei "diritti politici" di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità - consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra ("il sacro dovere di difendere la Patria" sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei "doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale", consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.). A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo; si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999; sez. IV n. 798/1999; n. 4460/2000; n. 195/2005; sez, I, n. 1796/2008; sez. VI, n. 3006/2011; Sez. III, n. 6374/2018; n. 1390/2019, n. 4121/2021; TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012; n. 3920/2013; 4199/2013). È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale. E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura "composita", in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato. In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile. La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di "cittadinanza sostanziale" che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: "concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa"). In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis, Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009; Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022; n. 4121/2021; n. 7036 e n. 8233 del 2020; n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019; n. 657/2017; n. 2601/2015; sez. VI, n. 3103/2006; n. 798/1999). III. - Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa; il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104; Sez. IV, n. 6473/2021; Sez. VI, n. 5913/2011; n. 4862/2010; n. 3456/2006; Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012). IV. - Alla luce del quadro ricostruito, questo Collegio ritiene che l’operato della p.a. sia immune dai vizi dedotti dalla parte che, in quanto strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente. Dalla lettura del provvedimento, il Collegio ritiene che sia possibile ricostruire, contrariamente a quanto dedotto nell’atto introduttivo del ricorso, il percorso logico-giuridico che ha condotto l’amministrazione - sulla base delle risultanze istruttorie raccolte, tenuto conto in particolare del rapporto informativo della Legione Carabinieri Emilia Romagna del 15 febbraio 2017 nonché del certificato del casellario giudiziale n. 2588349/2018/R - all’adozione di una determinazione sfavorevole per la richiedente, essendo stata profilata una situazione critica nell’ambito familiare. La determinazione avversata è fondata sulla rilevanza attribuita dall’amministrazione al rapporto di parentela stabile e al legame affettivo della richiedente con il figlio risultato incline a violare le regole di civile convivenza, in quanto suscettibile di suggerire scelte emotive volte ad agevolare, per mere ragioni di coinvolgimento affettivo-emotivo, comportamenti non aderenti ai valori della Repubblica. Ebbene in proposito, il Collegio ritiene utile evidenziare che all’autorità procedente nei procedimenti di concessione della cittadinanza si richiede di estendere la valutazione circa l'avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale sotto i molteplici profili della sua condizione lavorativa, economica, familiare e di irreprensibilità della condotta anche al nucleo familiare (cfr. Cons. Stato, sez. I, n. 2674/2018; Id., sez. I, n. 2660/2017, secondo cui la concessione della particolare capacità connessa allo status di cittadino impone che "si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del paese ospitante, sotto il profilo dell’apporto lavorativo e del rispetto delle regole del paese stesso. E in tale ottica, non può ritenersi censurabile l’estensione della valutazione anzidetta al nucleo familiare"). D'altronde, come condivisibilmente rilevato da questo Tribunale (cfr. Sez. I ter n. 13300 del 10 dicembre 2020; Sez. II quater n. 1840 del 2 febbraio 2015), la natura altamente discrezionale del provvedimento di concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione, infatti, fa sì che possano essere presi in considerazione dall’amministrazione per le proprie determinazioni tutti gli aspetti, riguardanti l’istante, ritenuti indicativi della sua effettiva e piena integrazione (sull’estensione del giudizio di opportunità del rilascio dello status alla condotta del nucleo familiare dell’aspirante cittadino, Tar Lazio, Sez. V bis, n. 3673 del 6 marzo 2023, ha chiarito: "in tal modo evidenziando l’ambito soggettivo di tale valutazione, che non si limita alla sola persona del richiedente, ma investe la cerchia dei familiari, in quanto nucleo elementare in cui si forma, si sviluppa e si manifesta la personalità individuale e che, pertanto, costituisce "l’ambiente" in cui va particolarmente studiato il comportamento dei soggetti"). I comportamenti penalmente rilevanti anche dei familiari di primo grado, quando si tratta di familiari conviventi, dunque possono essere considerati al fine di motivare il diniego della cittadinanza italiana del padre, in quanto sono sintomatici della integrazione del nucleo familiare nel quale l’istante vive. I due aspetti della convivenza e dello stretto grado di parentela costituiscono, infatti, elementi significativi della sicura influenza svolta dal familiare, che abbia commesso reati, sull’istante o viceversa e dunque sono stati legittimamente valorizzati dalla amministrazione ai fini di una motivazione di rigetto della cittadinanza italiana. In particolare, nel caso di specie è venuta in emersione la riconducibilità al figlio di una pluralità di illeciti - furto aggravato in concorso di cui agli artt. 110, 624, 625 n. 2, 61 n. 7 c.p.; manifesta ubriachezza per violazione dell’art. 688 c.p.; lesioni personali e rissa per violazione dell’art. 582 e 588 c.p.; disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone per il reato di cui all’art. 659, 175 c.p. - commessi in un caso anche durante la minore età dello stesso e in ogni caso tutti verificatesi nel c.d. "periodo di osservazione", il decennio antecedente la domanda, in relazione al quale deve essere raccolto da parte della p.a. ogni elemento utile sul conto del richiedente lo status al fine della formulazione del giudizio prognostico di ottimale inserimento in maniera stabile nella comunità nazionale. Dette condotte contestate al figlio convivente, che sono anche sfociate in un provvedimento di condanna e in un provvedimento di divieto di ritorno nel Comune di Piacenza, sono da considerare, da un lato, violative di beni-interessi fondamentali per l’ordinamento - tra i quali l’integrità fisica e il patrimonio della persona, la tranquillità pubblica - tutelati in tutte le manifestazioni e in ogni momento della vita associativa dall’ordinamento italiano, dentro e fuori la famiglia, dall’altro, indicative - in ragione di una valutazione non atomistica delle stesse - di un cattivo rapporto ovvero mancato rispetto delle istituzioni dell’ordinamento in cui il nucleo familiare intende radicarsi; pertanto sono state, ad avviso del Collegio, non irragionevolmente ritenute rilevanti al fine della valutazione del livello di integrazione complessivo dei componenti della famiglia, nonché in generale ai fini della formulazione del giudizio di idoneità dell’aspirante cittadino, senza contare la possibilità dei benefici previsti dal legislatore in favore dei familiari conviventi del cittadino. V. - In altre parole, il diniego avversato - lungi peraltro dal violare il principio della personalità della responsabilità penale, vista la limitazione dei relativi effetti al piano amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. I, parere n. 316/2023: "Con il diniego della cittadinanza l’amministrazione non ha esteso al richiedente le conseguenze penali dei reati commessi da un membro del nucleo familiare, ma ha ritenuto di non potere escludere che i significativi precedenti penali dei figli siano indicativi di una situazione di insufficiente integrazione del nucleo familiare nella collettività nazionale e di una situazione di probabile rischio di conseguenze dannose per la stessa collettività ") - si innesta sul pericolo di danno alla comunità nazionale in conseguenza dell’applicazione dei benefici ai parenti del cittadino [cfr. Tar Lazio, sez. V bis, n. 3673/2023 citata: "il richiamo al principio della "responsabilità personale" risulta inconferente in quanto nel contenzioso sulla cittadinanza non viene in considerazione solo la condotta del richiedente, ma anche quella dell’intero nucleo familiare, apprezzato in un’ottica oggettiva, tenendo conto delle conseguenze negative che dalla "infelice" concessione della cittadinanza deriverebbero per l’intera collettività (la cui salvaguardia costituisce una finalità di valore preminente rispetto all’aspirazione dell’istante a prendere parte alla vita politica nazionale dato che questo è, in sostanza, il quid pluris conferito con il provvedimento di naturalizzazione)"]. I molteplici elementi di controindicazione emersi sul conto del figlio convivente della ricorrente, ricadenti nel c.d. "periodo di osservazione" (vale a dire all’interno dell’arco temporale, che coincide con il decennio antecedente la domanda, assunto dalla giurisprudenza prevalente quale frangente di riferimento per valutare l’effettiva integrazione in ragione dell’acquisizione e conservazione dei requisiti all’uopo richiesti: cfr. ex plurimis, Parere del Consiglio di Stato, sez. I, n. 635/2022; Tar Lazio, sez,. V bis, sentenza n. 9494/2023) si caratterizzano dunque nel loro complesso per il forte disvalore sociale, tanto da aver non irragionevolmente spinto la p.a. a determinarsi negativamente nella formulazione del giudizio prognostico di meritevolezza della cittadinanza della madre, avendo escluso l’opportunità rebus sic stantibus di concedere uno status giuridico irreversibile quale la cittadinanza, che postula non soltanto l’interesse da parte del richiedente e il suo inserimento nella collettività che lo ospita ma anche un interesse da parte di quest’ultima ad accogliere lo stesso. VI. - È opinione del Collegio, peraltro, che dette conclusioni sulla correttezza dell’operato della p.a. - che, previo contraddittorio con l’istante, non ha escluso il rischio di un danno alla collettività in conseguenza del rilascio del richiesto status a causa di quanto emerso sul conto del figlio della richiedente - non possono essere scalfite neppure alla luce dell’allegata stabile situazione economico-lavorativa dell’interessata. Sul punto questa Sezione, peraltro, ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato, esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale (ex multis, Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022). L’inserimento sociale e professionale del richiedente rappresenta un elemento sintomatico di una raggiunta situazione di normalità che consente la permanenza dello straniero in Italia, ma non consiste in una particolare benemerenza tale da indurre la Pubblica Amministrazione a ritenere l’interesse pubblico ad integrare nella comunità nazionale un elemento anche ove residuino dubbi sull’effettiva condivisione dei valori fondamentali dell'ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza. Neppure colgono nel segno le argomentazioni che fanno leva sull’avvenuto rilascio del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo CE al figlio, in quanto il cittadino straniero lungosoggiornante nello Stato può essere comunque espulso ove ne ricorrano i presupposti e in questa prospettiva le vicende penali del figlio della richiedente possono assumere ulteriore rilevanza nell’ambito della valutazione del rilascio dello status in considerazione del combinato disposto degli artt. 19, comma 2, lett. c) e 30, comma 1, lett. c) del d.lgs. 25.07.1998, n. 286 e successive modificazioni ed integrazioni, secondo cui gli stranieri conviventi con parenti di nazionalità italiana non sono soggetti ad espulsione e possono ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari. VII. - In ogni caso, si tenga conto che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro (già dopo un anno dal primo rifiuto), per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna "interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente" (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici) - dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima. Quindi, per il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, si è ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, l’irragionevolezza è altresì esclusa alla luce della circostanza che il diniego di cittadinanza provoca il solo svantaggio temporale sopraindicato, il quale risulta "giustificato" ove si consideri la rilevanza degli interessi in gioco e l’irreversibilità degli effetti connessi alla concessione dello status di cittadino. Da tale punto di vista, infatti, risulta inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente ove sussistano dubbi sulla sua attitudine a rispettare i valori fondamentali per la comunità di cui diviene parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica. VIII. - Il Collegio, pertanto, ritiene, sulla scorta dei postulati enucleati, che le conclusioni a cui è giunta l’Amministrazione siano immuni dai vizi dedotti con i motivi di ricorso. IX. - In conclusione, per quanto osservato, il ricorso deve essere respinto perché infondato. X. - Sussistono giustificati motivi, tenuto conto della specificità della fattispecie trattata, per disporre la compensazione delle spese. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Floriana Rizzetto - Presidente Enrico Mattei - Consigliere Antonietta Giudice, Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6799 del 2017, proposto da Ac. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Sg., Ch. To., Gi. Co., Fe. Bu. e Pa. Za., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Co., in Roma, via (...); contro Gse - Gestore dei Servizi Energetici S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Fr., Ma. An. Fa. e An. Pu., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Fr., in Roma, via (...); per l'annullamento - della comunicazione adottata dal Gestore dei Servizi Energetici - GSE S.p.A. (di seguito, il "GSE") in data 12 aprile 2017 (prot. n. GSE/P020170030833), notificata alla ricorrente mediante raccomandata a.r. in data 19 aprile 2017, avente il seguente oggetto: "Rigetto della Proposta di progetto e di Programma di Misura (PPPM) n. 0093053032416T022, presentata da Ac. S.p.A."; - nonché di ogni altro atto preparatorio, presupposto, antecedente, conseguente e comunque connesso. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Gse - Gestore dei Servizi Energetici S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 17 maggio 2024 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso notificato in data 21.06.2017 e depositato in Segreteria in data 18.7.2017, la società Ac. S.p.A. adiva il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma, al fine di ottenere le pronunce meglio indicate in oggetto. Esponeva in fatto di esercitare attività di distribuzione di energia elettrica e gas naturale e di rientrare, ai sensi della normativa di settore, nella categoria dei "soggetti obbligati" a conseguire, in termini di certificati bianchi, degli obiettivi quantitativi nazionali annui di incremento dell'efficienza energetica. In data 30.9.2016 presentava al G.S.E. una specifica istanza per il riconoscimento dei certificati bianchi con riferimento alla Proposta di Progetto e di Programma di Misura n. 0093053032416T022, relativa ad interventi di efficientamento energetico degli impianti di illuminazione pubblica del Comune di Modena. Precisava che, la realizzazione del progetto di efficientamento veniva affidata alla società He. Lu. S.r.l., la quale - parimenti alla ricorrente - veniva indicata come società controllata al 100% dalla He. S.p.A. In data 4.11.2016, la società incaricata dal G.S.E. - Ricerca sul Sistema Energetico R.S.E. S.p.A. - inviava alla ricorrente una richiesta di integrazione e di chiarimenti (prot. n. 16082045) con la quale le veniva chiesto di fornire alcune informazioni aggiuntive in merito alla descrizione dell'intervento e alla periodicità di invio delle "Richieste di Verifica e Certificazione dei Risparmi", nonché di produrre documentazione aggiuntiva relativa ai certificati di collaudo; seguiva il riscontro della ricorrente in data 25.11.2016. In data 5.1.2017 il G.S.E. notificava all'istante il preavviso di rigetto evidenziando che: i. "la documentazione non consente di verificare che le condizioni di illuminamento nella situazione ex ante e in quella ex post, per ogni impianto oggetto d'intervento e in base alla classe illuminotecnica identificata, rispettino i livelli minimi previsti dalla normativa vigente per l'illuminazione pubblica (es. UNI 11248) (...)"; ii. "dalla documentazione trasmessa non è possibile verificare che il posizionamento dei misuratori tenga conto dei consumi delle sole apparecchiature per l'illuminazione (...)"; iii. "la documentazione non consente di verificare la conformità del progetto alle previsioni normative previste dall'art. 6, comma 2 del succitato D.M. (i.e. Decreto 28.12.2012) che limita, a partire dal 1° gennaio 2014, l'accesso al meccanismo dei certificati bianchi ai progetti ancora da realizzarsi o in corso di realizzazione . In particolare, non è stata fornita documentazione (...) che permetta di verificare che alla data di presentazione della PPPM, ovvero il 30/09/2016, l'installazione delle lampade sia stata completata o abbia iniziato a generare risparmi di energia primaria". In data 19.1.2017 la ricorrente presentava le proprie osservazioni avverso il preavviso di rigetto cui faceva seguito, in data 28.2.2017, un contatto telefonico con il referente tecnico del G.S.E.; all'esito di tale interlocuzione venivano prodotte ulteriori osservazioni tecniche da parte della Ac. S.p.A., trasmesse in data 15.3.2017. Con provvedimento notificato in data 19.4.2017, qui prioritariamente impugnato, il G.S.E. respingeva l'istanza presentata dalla ricorrente ritenendo che la proposta progettuale non fosse conforme al decreto ministeriale del 28 dicembre 2012. In particolare, rilevava che: i. "dalla documentazione fornita la società realizzatrice dell'intervento, He. Lu. S.r.l., non è una società partecipata o controllata, ovvero operante in affiliazione commerciale, ad Ac. S.p.A. essendo quest'ultima un soggetto obbligato che può realizzare progetti relativi ad interventi di efficientamento dei servizi post-contatore avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale, ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della Legge n. 239 del 2004 e come modificato dall'art. 4 del D.L. n. 10 del 2007"; ii. "dalla documentazione trasmessa risulta che i risparmi generati dall'intervento non sono addizionali, poiché si sarebbero comunque verificati per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e del mercato. In particolare, dal documento 'Integrazione Volontaria PPPM Modena 3 rev_15 03 17' (in allegato) risulta che le condizioni di illuminamento nella configurazione ante operam non rispettano livelli minimi previsti dalla normativa vigente per l'illuminazione pubblica previsti dalla UNI 11248. Si specifica che nel caso in cui, nella situazione ex ante, il livello di illuminamento medio di ciascuna area oggetto di intervento sia inferiore rispetto quello minimo previsto dalla succitata norma tecnica, l'intervento si configurerebbe in parte come un adeguamento normativo". Avverso tali esiti provvedimentali la società ricorrente insorgeva eccependo: i. "Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità e disparità di trattamento. eccesso di potere per difetto e carenza di istruttoria"; ii. "Violazione e falsa applicazione delle linee guida EEN 9/11. eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, carenza di istruttoria, illogicità e disparità di trattamento". In data 22.9.2017 si costituiva in giudizio il Gestore dei Servizi Energetici. All'udienza del 17.5.2024, previo scambio di memorie e uditi i difensori come da verbale, la causa veniva definitivamente posta in decisione. Tutto ciò premesso, il ricorso è infondato nel merito e, pertanto, non può essere accolto. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente si doleva dell'illegittimità del provvedimento di rigetto nella parte in cui il G.S.E. riteneva che la società realizzatrice dell'intervento - He. Lu. S.r.l. - non fosse una società partecipata, controllata o in affiliazione commerciale della stessa ricorrente. Come è noto, a livello ordinamentale generale, con il D.lgs. 16 marzo 1999, n. 79 veniva data attuazione nel nostro ordinamento alla direttiva 96/92/CE, recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, prevedendo nei confronti dei distributori misure di incremento dell'efficienza negli usi finali dell'energia, secondo obiettivi quantitativi determinati. La normativa si assestava per il tramite di diversi decreti ministeriali e, con decreto dell'11 gennaio 2017, il Ministero dello Sviluppo Economico provvedeva alla determinazione degli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico per le imprese di distribuzione dell'energia elettrica e del gas relativamente agli anni dal 2017 al 2020. I soggetti obbligati venivano individuati nei distributori di energia elettrica e di gas naturale con più di 50.000 clienti finali connessi alla propria rete di distribuzione, prevedendo che i progetti e i relativi interventi di efficientamento potessero essere da questi realizzati: "a) mediante azioni dirette dei soggetti obbligati, o dalle società da essi controllate o controllanti, ai sensi dell'art. 1, comma 34, della legge n. 239 del 2004 e successive modificazioni; b) mediante azioni delle imprese di distribuzione dell'energia elettrica e del gas naturale non soggette all'obbligo; c) da soggetti sia pubblici che privati che, per tutta la durata della vita utile dell'intervento presentato, sono in possesso della certificazione secondo la norma UNI CEI 11352, o hanno nominato un esperto in gestione dell'energia certificato secondo la norma UNI CEI 11339, o sono in possesso di un sistema di gestione dell'energia certificato in conformità alla norma ISO 50001. Nel caso in cui il soggetto titolare del progetto e il soggetto proponente non coincidano, tale certificazione è richiesta per il solo soggetto proponente". Ebbene, nel caso di specie, non consta che la S.r.l. He. Lu., individuata quale realizzatrice del progetto di efficientamento, sia una società controllata, controllante ovvero in affiliazione commerciale dell'effettivo soggetto obbligato, ossia l'odierna ricorrente. Ciò che emerge, infatti, è che la S.r.l. He. Lu., così anche la S.p.A. Ac., sono società entrambe controllate al 100% dalla S.p.a. He.. L'interpretazione estensiva che la ricorrente tenta di attribuire ad un chiarimento del G.S.E. in materia è del tutto fuorviante. Tale chiarimento, nel disporre che gli interventi di efficientamento energetico possono essere realizzati per il tramite di "società separate, partecipate o controllate, ovvero in affiliazione commerciale", deve ritenersi frutto di un'interpretazione (tutt'al più ) sistematica del D.M. dell'11 gennaio 2017 e dell'art. 1, comma 34, della legge n. 239/2004. Invero, tale ultima disposizione ha dato la possibilità alle imprese operanti nei settori della vendita, del trasporto e della distribuzione dell'energia elettrica e del gas naturale, che abbiano in concessione o in affidamento la gestione dei servizi pubblici locali ovvero la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni infrastrutturali, di svolgere attività nel settore verticalmente collegato o contiguo dei servizi post-contatore di installazione, assistenza e manutenzione nei confronti dei medesimi utenti finali del servizio pubblico, "avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale". Il D.M. in oggetto, nel menzionare tale comma - "mediante azioni dirette dei soggetti obbligati, o dalle società da essi controllate o controllanti, ai sensi dell'art. 1, comma 34, della legge n. 239 del 2004 e successive modificazioni" - altro non fa che dar atto che gli interventi di efficientamento possono essere presentati sia per azioni dirette relative alle proprie reti elettriche e/o di gas naturale sia per interventi riconducibili al settore verticalmente collegato o contiguo dei servizi post contatore di installazione, assistenza e manutenzione nei confronti dei medesimi utenti finali dei soggetti obbligati, avvalendosi di società separate, partecipate o controllate, ovvero operanti in affiliazione commerciale. Dunque, alcuna portata estensiva ai "gruppi societari" - in disparte, comunque, ogni considerazione circa la legittimità di una siffatta asserita estensione ad opera del G.S.E. - può attribuirsi al chiarimento summenzionato. Con riguardo a tale profilo di doglianza, non merita apprezzamento la circostanza in base alla quale, in fase endoprocedimentale il G.S.E. non avrebbe "mai formulato alcuna richiesta di chiarimento e/o integrazione documentale in ordine ai rapporti societari sussistenti tra la Ricorrente ed He. Lu.". Invero, ciò che la ricorrente eccepiva riguardava essenzialmente la violazione del principio di corrispondenza tra preavviso di rigetto e provvedimento conclusivo, che, come più volte affermato in giurisprudenza, "si ha nella fattispecie in cui le ragioni espresse nel primo siano incompatibili o del tutto difformi da quelle poste a fondamento del secondo" (cfr. T.A.R. Lazio, sentenza n. 6432 del 22 marzo 2024; Consiglio di Stato, sentenza n. 9988 del 19 ottobre 2023). A tal riguardo, la giurisprudenza del Consiglio di Stato - cui il Collegio ritiene di dover dare continuità - è orientata nel ritenere che la difformità tra il preavviso di rigetto ed il provvedimento finale è irrilevante, laddove quest'ultimo non poteva essere diverso qualsiasi fosse stato l'apporto del privato, anche in ragione della sufficienza dei motivi sui quali si era formato il contraddittorio per determinare il rigetto dell'istanza; di talché, l'aggiunta di un ulteriore ragione per denegare un provvedimento autorizzativo non incide sul diritto al contraddittorio (da ultimo, in senso conforme: Consiglio di Stato, sentenza n. 3972 del 26 marzo 2024). Quanto sopra argomentano basta a destituire di fondamento il primo motivo di ricorso, in quanto infondato. Sebbene l'esame delle ulteriori censure sia superfluo - in applicazione della regola giurisprudenziale secondo la quale nei casi di atti plurimotivati, la riconosciuta legittimità in sede giurisdizionale di una delle ragioni poste a sostegno di un siffatto provvedimento è sufficiente a sorreggerlo (Consiglio di Stato, sentenza n. 4649 del 16 giugno 2021) - le medesime sono, in ogni caso, infondate. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denunciava il provvedimento di rigetto ritenendolo erroneo nella parte in cui sosteneva che i risparmi generati dall'intervento non sarebbero addizionali, posto che si sarebbero comunque verificati per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e del mercato; oltre che per aver ritenuto che le condizioni di illuminamento nella configurazione ante operam non rispettassero i livelli minimi previsti dalla normativa vigente per l'illuminazione pubblica di cui alla UNI 11248 e che, pertanto, l'intervento proposto dalla ricorrente si configurerebbe in parte come un adeguamento normativo. In relazione a tale profilo di doglianza, deve preliminarmente rilevarsi che, "la valutazione del Gestore circa l'assenza di addizionalità costituisce esercizio di discrezionalità tecnica cosicché il sindacato del giudice amministrativo sulla stessa, avendo pur sempre ad oggetto la legittimità e non il merito, è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di eccesso di potere per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, ovvero altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti" (cfr. T.A.R. Lazio, sentenza n. 7388 del 25 maggio 2022; T.A.R. Lazio, sentenza n. 2296 del 28 febbraio 2022; Consiglio di Stato, parere n. 1999/2020). Ebbene, il meccanismo di incentivazione fondato sul rilascio dei c.d. "certificati bianchi", ovvero "titoli di efficienza energetica" (TEE), assume a suo fondamento il requisito dell'addizionalità dei risparmi, da intendersi in termini non meramente legati all'evoluzione tecnologica, ma estesi anche ai profili economici e di sviluppo infrastrutturale sottesi alla messa in atto dell'intervento. Talché, devono essere escluse dal sostegno gli interventi che si sarebbero dovuti realizzare per effetto di obblighi normativi. Gli interventi suscettibili di incentivazione sono, quindi, quelli concretamente aggiuntivi rispetto a quelli che si sarebbero realizzati in assenza dell'incentivazione - e, dunque, aggiuntivi rispetto al mero adeguamento normativo - al contrario, se non lo fossero, finirebbero per configurare un sussidio all'impresa da parte dello Stato, ossia un aiuto di Stato, evidentemente lesivo della concorrenza (Consiglio di Stato, sentenza n. 5095 del 23 maggio 2023). Sotto il profilo tecnico, la ricorrente in occasione della trasmissione della validazione dei calcoli illuminotecnici nella situazione ex ante, affermava che "la verifica delle condizioni di illuminamento nella situazione ex ante, oltre a non essere tecnicamente percorribile, non è utile ai fini della determinazione dei risparmi addizionali oggetto della PPPM". La mancata dimostrazione circa la pregressa situazione dell'impianto oggetto di intervento veniva, altresì, confermata in sede di ricorso ove affermava che "uno dei principali impedimenti alla verifica delle situazioni pre-intervento è costituito dalla mancata disponibilità nei programmi di calcolo utilizzati per l'elaborazione dei calcoli illuminotecnici di dati specifici relativi a lampade obsolete quali quelle preesistenti alla PPPM Modena 3". Sul punto, sono condivisibili le argomentazioni del G.S.E., secondo cui il rilascio dei certificati avviene in misura proporzionale alla quantità di risparmio netto conseguito, da intendersi - in applicazione delle Linee Guida della competente Autorità EEN 9/11 - come "il risparmio lordo, depurato dei risparmi energetici non addizionali, cioè di quei risparmi energetici che si stima si sarebbero comunque verificati, anche in assenza di un intervento o di un progetto, per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e del mercato". E dunque, il risparmio netto corrisponde alla sottrazione dal risparmio lordo (differenza tra i consumi ex ante e consumi ex post) dei risparmi (non addizionali) che, in assenza dell'intervento, si sarebbero comunque realizzati per effetto dell'evoluzione tecnologica, normativa e di mercato. Emerge chiaramente, quindi, che la valutazione della situazione ex ante costituisca condicio sine qua non dei successivi calcoli relativi all'effettivo risparmio addizionale ai fini dell'approvazione del PPPM, con la conseguenza che in assenza di tale rigorosa prova di un fatto preesistente il progetto non può essere approvato e non se ne possono ritrarre le conseguenti utilità . Nel complesso, dunque, sono legittime e condividibili le conclusioni a cui è pervenuto il G.S.E., il quale, nell'esercizio del suo potere tecnico discrezionale (di per sé sindacabile nel suo esercizio solo in caso di manifesta irrazionalità o irragionevolezza), non poneva concretamente in essere un'attività amministrativa censurabile da questo Tribunale con riguardo alle doglianze prospettate dalla ricorrente. In conclusione, per le ragioni illustrate il ricorso va respinto, essendo infondate nel merito le censure con esso introdotte. Da ultimo, tenuto conto delle peculiarità in fatto del caso in esame, sussistono i presupposti di legge per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione V Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Alfredo Giuseppe Allegretta - Presidente, Estensore Ida Tascone - Referendario Andrea Gana - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 253 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ca. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi. Al. e Ri. Lu., con domicilio digitale come da PEC risultante dal Registro di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gr. Sa. e Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC risultante dal Registro di Giustizia; nei confronti Regione Piemonte e Città Metropolitana, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio; per l'annullamento a) per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - della determinazione del Dirigente Settore Urbanistica e Ambiente Comune di (omissis) n. 1490/2020 del 30.12.2020, avente ad oggetto "Programma di rigenerazione urbana, sociale e architettonica "(omissis) rigenera". Attuazione delle previsioni programmatiche sull'area di rigenerazione d.1: determinazione di conclusione negativa della conferenza di servizi finalizzata all'esame del progetto di intervento e della proposta di variante semplificata al P.R.G.C. ex art. 17 bis l.r. 5.12.1977 n. 56 e s.m.i.". - nonché di ogni altro atto connesso, se e in quanto lesivo; b) per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati in data 5 agosto 2022: - dell'atto del Comune di (omissis) AB662A5 - PG - 0043909 del 22 giugno 2022, a firma del Sindaco, dell'Assessore alla Pianificazione Territoriale, del Dirigente del Settore Urbanistica e Ambiente - e di ogni altro atto presupposto e/o connesso, se e in quanto lesivo. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2024 la dott.ssa Stefania Caporali e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il Comune di (omissis) ha avviato un programma di rigenerazione urbana, sociale e architettonica ai sensi dell'art. 14 della legge regionale n. 20 del 14 luglio 2020, chiamato "(omissis) Rigenera". Con deliberazione del Consiglio comunale n. 46 del 11.05.2017 l'amministrazione ha approvato le schede di progetto pervenutele dai proponenti. In data 2 luglio 2018 la società Ca. s.p.a. ha presentato un'istanza di variante al PRCG, relativamente all'ambito di competenza D1 "Complesso Ex Sa.", sulla quale si è espressa la Giunta del Comune di (omissis), con provvedimento n. 252 del 25 luglio 2018, condividendo l'impianto urbano dello schema progettuale presentato e fornendo indicazioni di merito per l'adeguamento e l'approfondimento della soluzione progettuale (cfr. doc. 14 di parte ricorrente). La società Ca. s.p.a. ha presentato istanza di variante semplificata al PRGC in data 9 gennaio 2020, ai sensi dell'art. 17 bis della legge regionale n. 56/1977. Si sono così svolte due conferenze di servizi, convocate ai sensi dell'art. 14 della legge n. 241/1990 e dell'art. 17 bis, comma 5, della legge regionale n. 56/1977 e, in occasione dell'apertura della seconda conferenza, il rappresentante del comune ha letto il parere negativo dell'ente sulla proposta progettuale di Ca.. Successivamente, in data 12/11/2020, il Comune di (omissis) ha trasmesso alla società la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza ai sensi dell'art. 10 bis della legge n. 241/1990, evidenziando diversi aspetti che non consentivano di procedere alla determinazione positiva della conferenza. Nonostante le osservazioni presentate dalla ricorrente, il comune ha definitivamente concluso in senso negativo il procedimento con l'adozione della determina dirigenziale del settore urbanistica e ambiente n. 1490 del 30.12.2020 (cfr. doc. 25 di parte ricorrente). Tale provvedimento è stato impugnato dalla società Ca. s.p.a. per i seguenti motivi in diritto: "I - Violazione ed errata applicazione dell'art. 17 bis della legge reg. n. 56/77, nonché dell'art. 14 l. reg. n. 20/2009 e dell'art. 12 l. reg. n. 16/2018. Violazione del giusto procedimento". "II - Violazione ed errata applicazione dell'art. 17 bis della legge reg. n. 56/77, nonché dell'art. 14 l. reg. n. 20/2009 e dell'art. 12 l. reg. n. 16/2018. Eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione, contraddittorietà e perplessità manifesta. Travisamento e sviamento". Nelle more del giudizio e a seguito di ulteriori interlocuzioni avvenute tra le parti, l'amministrazione ha adottato la nota AB662A5 - PG - 0043909 del 22 giugno 2022, con la quale - dopo aver richiamato il proprio precedente atto di diniego - ha affermato che "La validità del provvedimento si ritiene confermata e lo stesso costituirà la base di riferimento per il riavvio dell'iter procedimentale previsto dalla normativa urbanistica, unitamente ai contenuti e agli obiettivi fondamentali già esplicitati con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 46/2017 di approvazione del Programma (omissis) Rigenera . Nel merito delle problematiche indicate nel provvedimento di diniego e puntualmente riportate nelle missive successive, si aggiunge quanto segue" e ha evidenziato tre ulteriori punti cui dover adeguare lo schema progettuale, concludendo che "La Città di (omissis) resta dunque in attesa della proposta progettuale adeguata, che sarà sottoposta all'attenzione formale del Consiglio Comunale prima dell'avvio dell'iter di Variante urbanistica" (cfr. doc. 7 depositato dall'amministrazione). Avverso tale nota del 22 giugno 2022, la società Ca. s.p.a. ha proposto ricorso per motivi aggiunti lamentando la "I - Violazione ed errata applicazione dell'art. 17 bis della legge reg. n. 56/77, nonché dell'art. 14 l.reg. n. 20/2009 e dell'art. 12 l.reg. n. 16/2018. Violazione del giusto procedimento. Eccesso di potere per sviamento, incoerenza, contraddittorietà . Violazione dei principi generali della materia". Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) chiedendo, in via preliminare, che il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti siano dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse in considerazione dell'apertura - dopo l'instaurazione del giudizio - di un nuovo procedimento amministrativo caratterizzato dall'indizione di un'altra conferenza di servizi finalizzata all'approvazione della variante semplificata al PRGC del Comune di (omissis). In subordine, il comune resistente ha chiesto che il ricorso per motivi aggiunti sia dichiarato inammissibile perché la società ha impugnato un atto meramente confermativo del diniego già espresso con la determinazione n. 1490 del 30.12.2020. Nel merito, l'amministrazione ha chiesto che sia il ricorso principale sia il ricorso per motivi aggiunti vengano rigettati perché infondati. Sono state depositate le memorie ex art. 73 d.lgs. n. 104/2010. Nella memoria di replica, depositata in data 17.01.2024, la società Ca. s.p.a. ha manifestato il proprio interesse alla declaratoria di illegittimità degli atti impugnati anche ai fini risarcitori (cfr. p. 4 della memoria di replica). All'udienza del 7.02.2024 i difensori delle parti hanno discusso oralmente la causa e, all'esito, il Collegio l'ha riservata in decisione. DIRITTO 1.Deve preliminarmente essere respinta l'eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse formulata dal Comune di (omissis) per effetto dell'avvenuta indizione di una nuova conferenza di servizi volta all'approvazione della variante al programma di rigenerazione urbana - complesso D1 - Ex Sa.. La società Ca. ha infatti espressamente dichiarato di non aver prestato acquiescenza alle indicazioni contenute negli atti impugnati. Con nota del 24 ottobre 2023 la società ricorrente ha infatti chiesto il riavvio della conferenza di servizi (all. 34 e 35), contestualmente precisando che "la presentazione della medesima non costituisce acquiescenza nei confronti della Determinazione del Dirigente Settore Urbanistica e Ambiente n. 1490/2020 del 30.12.2020; non costituisce rinuncia al ricorso proposto al TAR Piemonte da Ca. avverso tale provvedimento né ai successivi motivi aggiunti, gravame tuttora pendente con il n. di R.G. 253/2021 e chiamato alla prossima udienza del 7 febbraio 2024; non costituisce manifestazione di carenza di interesse nei confronti del gravame medesimo". Tale circostanza è stata poi ribadita in corso di giudizio (cfr., tra l'altro, p. 4 della memoria di parte ricorrente depositata il 5.01.2024: "Ca. stessa ha sempre tenuto a precisare che le nuove istanze ovviamente non costituivano rinuncia al ricorso e non rappresentavano manifestazione di carenza di interesse nei confronti del gravame medesimo (allegati 30, 31, 35)" e pp. 1-2 della memoria di replica depositata il 17.01.2024) e, come detto, la società ha, da ultimo, manifestato anche il proprio interesse alla decisione ai fini risarcitori (cfr. p. 4 della memoria di replica depositata il 17.01.2024). 2. Deve altresì essere rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti sollevata dall'amministrazione resistente a motivo della natura meramente confermativa dell'atto impugnato rispetto alla precedente determinazione negativa adottata dal Comune di (omissis). Sul punto il Collegio richiama la nota distinzione tra atto meramente confermativo e atto di conferma, incentrata sulla natura innovativa dell'istruttoria compiuta dall'amministrazione, sebbene in entrambi i casi non muti il dispositivo del provvedimento confermato (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 22.08.2023, n. 7891; TAR Torino, sez. II, sentenza n. 737/2023: "La distinzione tra atti confermativi e atti meramente confermativi si ravvisa nell'eventuale istruttoria svolta dall'amministrazione e nel contenuto motivazionale del nuovo provvedimento, dal quale dovrebbe risultare una nuova ponderazione degli interessi in conflitto e/o l'attività diretta ad accertare l'effettiva sussistenza del vizio dedotto dalla parte interessata con la nuova istanza. Pertanto, un atto deve qualificarsi come meramente confermativo quando non sia preceduto da un riesame della situazione che aveva condotto al provvedimento precedente, ma 'l'amministrazione si limiti a dichiarare l'esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazionè (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 02.05.2023, n. 4399; Consiglio di Stato, sez. II, 9 giugno 2020, n. 3673)... Così configurato, l'atto meramente confermativo non costituisce un'autonoma determinazione del Comune, sia pure identica nel contenuto alla precedente, ma solo la manifestazione della decisione della p.a. di non ritornare nelle scelte effettuate. Detto altrimenti, l'atto meramente confermativo non è impugnabile, perché non integra un'autonoma determinazione dell'Amministrazione, sia pure identica nel contenuto alla precedente (Cons. Stato, VI, 10.3.2011, n. 1530; TAR Lazio, Roma, II, 15.2.2012, n. 1508)"). Nel caso in esame, il Collegio reputa che l'atto impugnato con il ricorso per motivi aggiunti non abbia natura meramente confermativa della precedente determinazione del Comune di (omissis) n. 1490/2020, posto che, già sul piano letterale ("si aggiunge quanto segue", cfr. doc. 7 depositato dal Comune), emerge che il provvedimento in questione introduce nuove e diverse argomentazioni a sostegno della determinazione negativa, con il risultato che la motivazione è solo in parte sovrapponibile a quella del primo provvedimento. L'integrazione della motivazione del diniego rende dunque evidente la natura dispositiva dell'atto impugnato. 3. Il Collegio procede alla trattazione nel merito del ricorso principale, prendendo le mosse dalla prima censura, nella parte volta a contestare la legittimità formale e procedurale del provvedimento impugnato. Con tale doglianza la società contesta lo svolgimento della seconda conferenza di servizi, in occasione della quale il rappresentante del Comune ha letto il parere negativo all'esordio della seduta, anziché all'esito della stessa. Tale censura non merita accoglimento. L'amministrazione comunale ha infatti correttamente partecipato alla conferenza di servizi per il tramite del proprio rappresentante che ha espresso la volontà dell'ente. La circostanza che il parere negativo sia stato espresso in apertura della seduta non comporta un vizio del provvedimento finale, perché risulta dimostrato dagli atti di causa che il contenuto dello stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Nel verbale della seconda conferenza di servizi, tenutasi il 29.10.2020, il Dirigente comunale precisa infatti che "l'elemento su cui l'Amministrazione comunale non intende transigere è la necessità di compensare l'edificazione di aree libere con una quota equivalente di demolizioni, a prescindere dal sub-ambito di partenza. (...) Le integrazioni prodotte non vanno nella direzione auspicata dal Comune, né rispettano quanto richiesto in sede di Prima seduta della Cds. (...) Nella Proposta di variante presentata non si ravvede l'interesse pubblico auspicato dal Programma (omissis) Rigenera . Si rimarca che la pianificazione urbanistica è un compito in capo al Comune, che nel caso specifico è l'Ente depositario dell'interesse prevalente al riguardo. Stante la documentazione agli Atti, la procedura seguita, e alla luce delle problematiche emerse, il Responsabile del procedimento non può che chiudere la Conferenza di servizi con l'espressione del parere già letto. Non si ritiene percorribile la strada di un accoglimento con prescrizioni" (cfr. verbale della conferenza del 29.10.2020, pp. 5-6 del doc. 21 depositato da parte ricorrente). 4. Con il primo motivo di gravame, la società Ca. lamenta altresì la violazione del principio del giusto procedimento, nonché la violazione dell'art. 17 bis della legge regionale n. 56/1977, dell'art. 14 della legge regionale n. 20/2009 e dell'art. 12 della legge regionale n. 16/2018 per ragioni sostanziali. In particolare, la società stigmatizza l'operato dell'amministrazione che, solo in sede di seconda conferenza di servizi, avrebbe tentato di introdurre modifiche al progetto di variante semplificata, nonostante le stesse non fossero emerse nella fase di esame progettuale e in sede di prima conferenza di servizi e nonostante le stesse non risultassero coerenti con le linee guida dettate dalla DGC n. 252/2018 e della deliberazione del Consiglio Comunale n. 46 del 11/05/2017 (cfr. p. 19 del ricorso). 5. Con il secondo motivo di gravame, inoltre, la società ricorrente censura le motivazioni del provvedimento impugnato, ritenendo che lo stesso denoti "una chiara strumentalità, volta a rigettare aprioristicamente la Variante proposta", indice di un sintomatico vizio di eccesso di potere per sviamento (cfr. p. 21 del ricorso). In particolare la ricorrente contesta: che il tema del boulevard non era trattato nella delibera n. 252 del 25.07.2018 e sarebbe stato "introdotto dal rappresentante dell'Ente in piena autonomia e in assenza di una indicazione da parte dell'Organo deliberativo" (cfr. p. 21 del ricorso); che il tema della trasformazione ad utilizzo sportivo delle aree connesse, seppur indicato nella delibera n. 252 del 25.07.2018, non era vincolante e, comunque, non è mai stato affrontato in sede di conferenza; che i temi del prolungamento della Via (omissis) e del cronoprogramma avrebbero potuto costituire oggetto di prescrizioni della conferenza e non determinare il provvedimento di diniego. Tutti gli argomenti addotti dall'amministrazione atterrebbero poi alla fase attuativa e non a quella di pianificazione e ciò risulta tanto più evidente con riferimento al punto relativo al prolungamento di via (omissis) poiché il Comune ha chiesto una rappresentazione grafica esplicativa, nonché con riferimento al punto in cui il Comune richiede l'assunzione da parte della società dei costi di espropriazione dei terreni. 6. Il Collegio ritiene di esaminare congiuntamente tali profili di censura, in uno alla doglianza sollevata con ricorso per motivi aggiunti e volta a contestare nel merito la già citata nota del 22 giugno 2022, che ha confermato la precedente decisione di definire negativamente la conferenza di servizi, adducendo però ulteriori argomentazioni con riferimento ai seguenti tre punti: "Volontà della Città di valorizzare ulteriormente il boulevard urbano, creando i presupposti per una continuità scenico -percettiva, anche futura, verso l'area del (omissis)", "Necessità di garantire, attraverso dei chiari passaggi attuativi definiti in scheda normativa, il completamento delle opere infrastrutturali funzionali all'intero intervento e per questo richieste in anticipazione unitamente all'attuazione del primo sub-ambito. Nella fattispecie si tratta delle opere identificate dal perimetro aree connesse su corso (omissis) e della nuova viabilità di collegamento in prosecuzione della via (omissis)", "Necessità di disciplinare l'ordine di attuazione degli interventi in termini vincolanti, in esito agli approfondimenti di carattere ambientale documentati in uno specifico cronoprogramma" (cfr. doc. 7 depositato dal Comune resistente). 7. Le censure sono fondate nei termini che seguono. Emerge in via documentale che il progetto presentato dalla società ricorrente è coerente rispetto agli atti di indirizzo espressi dal Consiglio Comunale con la deliberazione n. 46 del 11/07/2017 e dalla Giunta Comunale con la deliberazione n. 252 del 25.07.2018, come, tra l'altro, risulta da quanto deliberato dall'ente comunale, ove si chiarisce che lo schema progettuale depositato dalla società Ca. in data 2.07.2018 è "condivisibile nell'impianto urbano e in linea generale coerente con gli obbiettivi fissati dal Consiglio Comunale nella delibera di approvazione del Programma "(omissis) Rigenera", ma nondimeno suscettibile di miglioramenti progettuali in riferimento ad alcuni aspetti di particolare interesse per la Città " (cfr. delibera n. 252/2018, doc. 14 di parte ricorrente). A fronte di tale generale valutazione di compatibilità dello schema progettuale con gli atti di indirizzo, i provvedimenti di diniego oggetto di impugnazione non risultano adeguatamente motivati dall'amministrazione comunale, poiché contengono profili nuovi e in parte non coerenti con quanto programmato. Occorre innanzitutto richiamare l'orientamento più volte espresso dalla giurisprudenza secondo cui "Le scelte urbanistiche del Comune sono rimesse esclusivamente all'Amministrazione che le adotta in base ad una ratio che, entro determinati limiti, è pur sempre sindacabile in sede giurisdizionale. (...)La verifica della legittimità delle scelte urbanistiche da effettuarsi secondo il criterio della sussumibilità delle figure sintomatiche dell'eccesso di potere si atteggia però diversamente in relazione all'ipotesi, quale è quella in esame, di una variante semplificata avente ad oggetto la localizzazione di un'opera su una porzione specifica e limitata del territorio che, per la natura ed entità della variazione proposta, non implica scelte di politica urbanistica di carattere generale stricto sensu, sì che la determinazione da assumersi da parte dell'Amministrazione, nella comparazione degli interessi coinvolti, ben è assoggettabile a un più ampio e stringente sindacato giurisdizionale, in relazione, s'intende, ai profili di invalidità appositamente denunciati dagli interessati, senza che si possa in ciò configurare una non consentita funzione sostitutiva del giudice amministrativo a danno delle funzioni e delle prerogative dell'Autorità istituzionalmente preposta alla gestione della relativa procedura (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1673 del 2015, con riguardo all'analoga procedura semplificata di cui al previgente d.P.R. n. 447/1998, riferibile senz'altro alla successiva e analoga disciplina di cui all'odierna controversia)" (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 24/11/2022, n. 10354). Orbene, gli impugnati provvedimenti di diniego non risultano puntualmente giustificati rispetto ai presupposti atti di indirizzo, e disattendono così l'obbligo di motivazione sancito dalla giurisprudenza in tema di varianti localizzative (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 19.06.2023, n. 6003; Consiglio di Stato, sez. VI, 19/06/2023, n. 6003; Cons. Stato, sez. II, n. 7484/2022; Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 10354 del 24.11.2022; Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1118 del 2014, che ha escluso l'applicabilità dell'art. 13 della legge n. 241/1990 alle varianti localizzative). 8. In particolare, con riferimento al tema del boulevard urbano e all'esigenza di ulteriormente valorizzarlo creando i presupposti per una continuità scenico-percettiva, anche futura, verso l'area del (omissis), ovvero in relazione all'argomentazione secondo cui "Rimarcare la continuità dei percorsi pedonali a giustificazione delle scelte adottate non risolve la problematica sollevata, in quanto ciò che si chiede è una maggiore valorizzazione scenica del boulevard e non una maggiore continuità funzionale, allo stato già evidente e condivisa" (come indicato sia nel diniego n. 1490/2020, sia nella nota del 22 giugno 2022 impugnata con ricorso per motivi aggiunti), il Collegio reputa che il tema non era puntualmente indicato nei presupposti atti di indirizzo, nonostante il tenore generale delle prescrizioni contenute nella delibera della Giunta Comunale n. 252/2018. Deve infatti evidenziarsi che la mera indicazione secondo cui l'Ente, con la citata delibera, esprimeva "condivisione generale dell'impianto urbano, rimarcando comunque la necessità di ulteriori miglioramenti progettuali da condividere con l'Amministrazione" (cfr. p. 4, doc. n. 25 depositato dalla ricorrente e citato a p. 13 memoria del comune del 30.08.2022) non è sufficiente a supportare il provvedimento di diniego impugnato, che richiede anche la valorizzazione scenico-percettiva del boulevard. 9. In secondo luogo, con riferimento alla necessità, indicata nell'impugnata nota del 22 giugno 2022, di garantire il completamento di opere funzionali all'intero intervento (più in particolare, relativamente alle opere identificate dal perimetro delle aree connesse su corso (omissis) e della nuova viabilità di collegamento in prosecuzione della via (omissis)), per il quale l'amministrazione ha chiarito di non voler avviare procedimenti espropriativi, con invito - nella nota impugnata con motivi aggiunti - a "riconsiderare le previsioni di progetto inerenti alle viabilità, escludendo tutte le aree che non siano già in capo al Comune oppure in proprietà del soggetto proponente l'intervento" (cfr. doc. 7 di parte resistente), la questione non emerge dalle linee guida comunali: nella delibera della Giunta Comunale n. 252/2018, infatti, era espressa una generale condivisione dello schema di progetto presentato dalla società Ca., con alcune indicazioni "di merito" che non riguardavano gli eventuali espropri da realizzare, bensì differenti profili (demolizioni simultanee all'attuazione dell'unità di intervento destinata a RSA; riqualificazione a uso sportivo di parte delle aree connesse disposte sul lato nord del futuro prolungamento di via (omissis) verso corso (omissis); localizzazione dell'edificio destinato a RSA nel rispetto del filo edilizio determinato dagli attuali fabbricati residenziali posti sul lato ovest di via (omissis); la previsione di un camminamento coperto a uso pubblico al piede dei fabbricati disposti lungo via (omissis), cfr. doc. 14 di parte ricorrente) e, tuttavia, dette indicazioni di merito erano previste nel provvedimento come profili da "valutare" e non aventi carattere vincolante. 10. Infine, per quanto concerne la questione relativa alla necessità di un cronoprogramma che scandisca l'ordine di attuazione degli interventi, si evidenzia che la stessa attiene a un profilo esecutivo e non progettuale e, pertanto, non è idonea a sorreggere la motivazione del diniego opposto dall'amministrazione sulla proposta di variante. In definitiva, il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti devono essere accolti, nei termini indicati. La particolarità e la complessità della causa giustificano la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso principale e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati, ai fini del riesame dell'istanza. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Bellucci - Presidente Marco Costa - Referendario Stefania Caporali - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10519 del 2018, proposto da Sa. Ga. e Lu. Br., rappresentati e difesi dall'avvocato Cl. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suddetto avvocato, con studio in Roma, Via (...); contro Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Se. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell'avvocatura capitolina, sita in Roma, via (...); per l'annullamento dei provvedimenti n. QI/1736/2017, prot. QI/189665/2017, SC 752436/31401 e n. QI/1736/2017, prot. QI/189665/2017, SC 752428/31400 nonché di ogni altro atto prodromico, successivo o consequenziale a quelli impugnati, ancorché non conosciuti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del 17 maggio 2024 il dott. Luca Pavia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Il 7 dicembre 2004 il Signor Ga. presentò un'istanza di condono, ai sensi della legge 24 novembre 2003 n. 326 e della legge regionale 8 novembre 2004 n. 12, per sanare la realizzazione di un manufatto a uso abitativo di circa 28 mq sito nel proprio giardino, la quale venne però respinta il 28 dicembre 2017. 2. Il provvedimento de quo venne impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica successivamente trasposto in sede giurisdizionale, a seguito dell'opposizione della resistente. 3. Il 19 novembre 2018 si costituì l'amministrazione resistente con una comparsa di stile. 4. All'udienza camerale del 16 gennaio 2016 i ricorrenti rinunciarono all'istanza cautelare. 5. In prossimità dell'udienza di merito le parti hanno depositato documenti, memorie conclusionali e di replica nei termini di rito. 6. All'udienza straordinaria di smaltimento del 17 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio. 7. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la tardività del provvedimento impugnato e il conseguente accoglimento, per silentium, dell'istanza di condono. Il motivo è infondato. Ai sensi dell'articolo 32, comma 37, del d.l. 269/03 convertito dalla legge 326/03 "Il pagamento degli oneri di concessione, la presentazione della documentazione di cui al comma 35, della denuncia in catasto, della denuncia ai fini dell'imposta comunale degli immobili di cui al decreto legislativo. 30 dicembre 1992, n. 504, nonché, ove dovute, delle denunce ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l'occupazione del suolo pubblico, entro il 31 ottobre 2005, nonché il decorso del termine di ventiquattro mesi da tale data senza l'adozione di un provvedimento negativo del comune, equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria. Se nei termini previsti l'oblazione dovuta non è stata interamente corrisposta o è stata determinata in forma dolosamente inesatta, le costruzioni realizzate senza titolo abilitativo edilizio sono assoggettate alle sanzioni richiamate all'articolo 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e all'articolo 48 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380". La disposizione è stata ulteriormente precisata dall'articolo 6, comma 3, della legge regionale del Lazio n. 12 del 2004, a mente del quale "La presentazione della domanda e della relativa documentazione, il pagamento degli oneri concessori e dell'oblazione, la presentazione delle denunce di cui all'articolo 32, comma 37, del d.l. 269/2003 e successive modifiche, con le modalità e nei termini previsti dalla normativa vigente, nonché la mancata adozione di un provvedimento negativo del comune entro i trentasei mesi dalla data di scadenza del versamento della terza rata relativa agli oneri concessori prevista dall'articolo 7, comma 2, lettera b), numero 2), equivalgono a titolo abilitativo edilizio in sanatoria. In tal caso l'avvenuta formazione del silenzio assenso sulla richiesta di concessione edilizia in sanatoria può essere attestata mediante il deposito al protocollo dell'ufficio comunale competente di una dichiarazione asseverata redatta da un tecnico abilitato che attesti, sotto la propria responsabilità, l'esistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, la regolarità della domanda e di tutti gli adempimenti conseguenti. Entro i successivi trenta giorni l'amministrazione competente, su richiesta dell'interessato, deve provvedere ad inviare il calcolo del conguaglio dell'oblazione e degli oneri concessori dovuti a saldo". Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che le disposizioni de quibus devono essere lette unitamente all'art. 32, comma 35, il quale indica espressamente i documenti che devono essere allegati all'istanza di sanatoria: per la formazione del silenzio-assenso sull'istanza di condono edilizio, è, infatti, necessario "non solo che sia stato completato il pagamento dell'oblazione dovuta e degli oneri concessori, ma anche che la domanda sia completa di tutta la documentazione, affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica da parte dell'amministrazione comunale sia in ordine alla ammissibilità del condono che alla corretta determinazione della misura dell'oblazione da versare, con la conseguenza che l'assenza di completezza della domanda di sanatoria osta alla formazione tacita del titolo abilitativo" (ex multis Consiglio di Stato, sezione II, 10 maggio 2021, n. 3684, e giurisprudenza ivi richiamata). Ma ciò che qui più rileva è che, per giurisprudenza pacifica, non è comunque "configurabile la formazione del provvedimento tacito di assenso su domande di sanatoria edilizia relative ad interventi realizzati in aree sottoposte a vincoli paesaggistici" (ex multis T.A.R. Lazio, Roma sez. IV, 26 ottobre 2023, n. 15918). Ebbene, poiché nel caso di specie non è oggetto di contestazione che l'area su cui è stato realizzato l'abuso sia sottoposta a vincolo ai sensi dell'art. 134, comma 1, lett. a), del d.lgs. 42/04. Pertanto il mero decorso del tempo è inidoneo a configurare un legittimo affidamento in capo all'istante, ragione per cui il motivo è infondato e deve essere respinto. Deve solo aggiungersi che il vincolo sussisteva già quanto meno nel 2004, per stessa ammissione dei ricorrenti; tanto bastava per impedire il formarsi del silenzio assenso. Si evidenzia, infine e per ragioni di completezza, che neppure il richiamo effettuato dai ricorrenti alla decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 17 ottobre 2017, n. 8 è pertinente, in quanto la controversia allora esaminata aveva a oggetto l'annullamento di un titolo edilizio espresso mentre nel caso in esame non esiste alcun titolo abilitativo né è possibile rinvenire un legittimo affidamento in capo ai ricorrenti, atteso che, per giurisprudenza pacifica, "in tema di costruzioni abusive, la mera inerzia della pubblica amministrazione nella repressione degli abusi edilizi, non è idonea a legittimare un affidamento giuridicamente rilevante in ordine al mantenimento dell'abuso" (ex multis T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 1° agosto 2023, n. 1877). 8. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti censurano la violazione e falsa applicazione dell'art. 32, commi 26 e 27, della l. 326/2003 nonché dell'art. 3, comma 1, lett. b, della l.r. Lazio 12/04: a loro dire, infatti, come accennato in precedenza, l'opera da condonare sarebbe stata realizzata prima dell'apposizione del vicolo (2004); senza contare che la regione non potrebbe neppure incidere negativamente sulla disciplina del condono qualora correlata ai vincoli previsti all'art. 136, lett. a) e b), in quanto essi sarebbero di esclusiva competenza statale. La censura è stata ulteriormente approfondita nel successivo motivo di ricorso in cui i ricorrenti sostengono che le opere de quibus sarebbero sanabili, ai sensi dell'articolo 32 legge 47 del 1985, anche se realizzate su aree vincolate, previo, ovviamente, parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. Il motivo è infondato. L'art. 32, comma 26, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 sancisce che sono "suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all'allegato 1: a) numeri da 1 a 3, nell'ambito dell'intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4,5 e 6 nell'ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47; b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con la quale è determinata la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio" Il successivo comma 27, lett d) del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 prevede, invece, che non siano sanabili le opere abusive "realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". Ciò posto, la recente giurisprudenza, anche di questo TAR, ha avuto modo di chiarire che "l'applicabilità del c.d. terzo condono in riferimento alle opere realizzate in zona vincolata è limitata alle sole opere di restauro e risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti, se ed in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 14 ottobre 2022, n. 8781; Cassazione penale sez. III, 24 giugno 2020, n. 26524 e T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 6 giugno 2022, n. 7282). Con la previsione generale di cui all'art. 32, comma 27, lett. d), d.l. n. 269/2003, il legislatore ha dunque disciplinato, "ai fini del condono edilizio, l'ipotesi di tutte le costruzioni effettuate in siti vincolati e come tali riflettenti la disciplina vincolistica della zona su cui insistono. La distinzione tra vincoli assoluti e relativi non rileva ai fini della condonabilità delle opere, stante il chiaro disposto legislativo che non ha fatto cenno alla stessa; la norma, infatti, richiama (in modo indifferenziato) opere che siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali" (ex multis T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 3 ottobre 2023, n. 5376). In base all'art. 32, comma 26, d.l. n. 269/2003, convertito in l. n. 326/2003, non sono, quindi, "suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell'allegato 1 alla citata legge (c.d. abusi maggiori), realizzati su immobili soggetti a vincoli, a prescindere al fatto che (e anche se) si tratti di interventi conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti al momento dell'edificazione e al fatto che il vincolo non comporti l'inedificabilità assoluta dell'area. Difatti, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, tra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni - e cioè che le opere siano realizzate prima dell'imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori, senza aumento di superficie e volume (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo, indipendentemente dal fatto che il vincolo non sia di carattere assoluto, non può essere sanato" (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 5 ottobre 2023, n. 5412). Inoltre, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. b) della legge regionale del Lazio n. 12/04 non sono neppure sanabili le opere abusive "realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali". Con la disposizione de qua legislatore regionale ha dunque introdotto, nell'esercizio delle proprie prerogative, una disciplina di maggior rigore che non rende sanabili le opere che determinano un aumento di volume e di superficie realizzate anche prima dell'apposizione del vincolo. Ciò posto, occorre ribadire il costante indirizzo giurisprudenziale, più volte condiviso dal Collegio, secondo il quale "il condono previsto dall'art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003 è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del citato decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti" (ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, sez. IV-ter, 19 luglio 2023, n. 12153); in tali ipotesi, "è legittimo il diniego di condono disposto in assenza del parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, in quanto il decreto-legge n. 269 del 2003 esclude in via generale la sanabilità delle opere abusive oggetto del terzo condono nelle zone vincolate" (Consiglio di Stato, sez. VI, 11 ottobre 2021, n. 6827). Ne consegue che "soltanto se fossero state assenti le condizioni ostative indicate nel sopra riportato art. 32 del citato decreto-legge n. 269 del 2003, l'amministrazione comunale avrebbe dovuto necessariamente chiedere il parere dell'organo tenuto per valutare la possibilità di rilasciare all'interessato un provvedimento favorevole", ossia quello preposto alla tutela del vicolo (Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2022, n. 4685). Ebbene, come precedentemente evidenziato, non è oggetto di contestazione tra le parti che l'area su cui è stato realizzato l'abuso sia sottoposta a vincolo ai sensi dell'art. 134, comma 1, lett. b), del d.lgs. 42/04 A ciò si aggiunga che l'opera non può neppure essere sussunta nel novero degli interventi di minore importanza posto, che, per stessa ammissione dei ricorrenti, l'intervento ha comportato la realizzazione di un manufatto di 22,71 mq di s.u.r. e 8,85 mq. s.n. r.. Di conseguenza non avrebbe dovuto essere acquisito alcun parere in ordine alla compatibilità dell'opera in questione con il vincolo rilasciato dall'Amministrazione preposta alla sua tutela. 9. In conclusione, alla luce di quanto esposto, il ricorso è infondato e deve essere respinto. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite che quantifica in euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 maggio 2024 svoltasi da remoto ex art. 87 comma 4-bis cod. proc. amm., con l'intervento dei magistrati: Rita Tricarico - Presidente Silvio Giancaspro - Primo Referendario Luca Pavia - Referendario, Estensore

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