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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4270 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da Al. Se. Am. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Gr., con domicilio digitale come da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, piazza (...); contro il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (già Ministero della transizione ecologica), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...); nei confronti della Co. S.r.l. Società Benefit, non costituita in giudizio; per l'annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - in parte qua, del decreto dipartimentale n. 212 del 29 dicembre 2022 del Ministero della Transizione Ecologica (ora MASE) - Dipartimento sviluppo sostenibile, con il quale è stata approvata la graduatoria definitiva delle proposte di intervento relative all'Investimento 1.2 Linea d'Intervento D, ammesse a finanziamento nell'ambito della Missione 1 - Componente 1 del PNRR; - in parte qua, del decreto dipartimentale n. 60 del 31 gennaio 2023 del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Ecologica (MASE) - Dipartimento sviluppo sostenibile, con cui è stata disposta la concessione dei contributi nella misura individuata all'Allegato 1 di tale decreto; - in parte qua, di ogni altro atto, disposizione, deliberazione, provvedimento, verbale o comunicazione comunque connessi, presupposti, consequenziali ai precedenti, ancorché ignoti alla ricorrente, e in particolare, ancora in parte qua: dei verbali (ancorché, al momento, incogniti alla ricorrente) relativi alle sedute e alle attività della Commissione di ammissione e valutazione delle proposte, ed in particolare del verbale di attribuzione dei punteggi alla proposta presentata da Al. Se. Am. S.p.A. e/o del verbale in cui si quantifica il contributo massimo erogabile ad Al. Se. Am. S.p.A. nell'importo di Euro 2.020.597,82; della nota prot. n. 158451 del 16 dicembre 2022, con cui il MASE ha acquisito gli esiti definitivi dei lavori della Commissione predetta; della proposta di graduatoria (prot. n. 126449 del 12 ottobre 2022), di cui il MASE ha preso atto con decreto dipartimentale 13 ottobre 2022, n. 186; del d.m. MiTE 28 settembre 2021, n. 397 e dell'Avviso M2C.1.1I1.2 del 15 ottobre 2021, successivamente modificato il 24 novembre 2021 e l'11 febbraio 2022, relativo alla Linea d'intervento 'D', compresi i relativi Allegati, se da doversi interpretare nel senso di consentire e/o imporre l'adozione dei provvedimenti di erogazione del contributo ad Al. Se. Am. S.p.A. nella misura massima di Euro 2.020.597,82; dell'eventuale ulteriore provvedimento di assegnazione della parte di contributo non concessa ad Al. Se. Am. S.p.A. all'incremento di successivi Bandi o Avvisi; tutti qui impugnati in parte qua, cioè nella sola parte in cui non riconoscono alla ricorrente un contributo superiore a quello indicato (Euro 2.020.597,82), pari a Euro 3.589.298,29 o alla somma che risulterà di giustizia, dalla corretta applicazione della disciplina contenuta negli atti impugnati e fermo restando il contributo di Euro 2.020.597,82 ivi indicato, che si considera acquisito; nonché per l'accertamento del diritto di Al. Se. Am. S.p.A. alla concessione del contributo predetto nella misura massima erogabile di Euro 3.589.298,29. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Al. Se. Am. S.p.A. il 14 dicembre 2023: - in parte qua, del decreto dipartimentale n. 212 del 29 dicembre 2022 del Ministero della Transizione Ecologica (ora MASE) - Dipartimento sviluppo sostenibile, con il quale è stata approvata la graduatoria definitiva delle proposte di intervento relative all'Investimento 1.2 Linea d'Intervento D, ammesse a finanziamento nell'ambito della Missione 1 - Componente 1 del PNRR; - in parte qua, del decreto dipartimentale n. 60 del 31 gennaio 2023 del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Ecologica (MASE) - Dipartimento sviluppo sostenibile, con cui è stata disposta la concessione dei contributi nella misura individuata all'Allegato 1 di tale decreto; - in parte qua, di ogni altro atto, disposizione, deliberazione, provvedimento, verbale o comunicazione comunque connessi, presupposti, consequenziali ai precedenti, ancorché ignoti alla ricorrente, e in particolare, ancora in parte qua: dei verbali (ancorché, al momento, incogniti alla ricorrente) relativi alle sedute e alle attività della Commissione di ammissione e valutazione delle proposte, ed in particolare del verbale di attribuzione dei punteggi alla proposta presentata da Al. Se. Am. S.p.A. e/o del verbale in cui si quantifica il contributo massimo erogabile ad Al. Se. Am. S.p.A. nell'importo di Euro 2.020.597,82; della nota prot. n. 158451 del 16 dicembre 2022, con cui il MASE ha acquisito gli esiti definitivi dei lavori della Commissione predetta; della proposta di graduatoria (prot. n. 126449 del 12 ottobre 2022), di cui il MASE ha preso atto con decreto dipartimentale 13 ottobre 2022, n. 186; del d.m. MiTE 28 settembre 2021, n. 397 e dell'Avviso M2C.1.1I1.2 del 15 ottobre 2021, successivamente modificato il 24 novembre 2021 e l'11 febbraio 2022, relativo alla Linea d'intervento 'D', compresi i relativi Allegati, se da doversi interpretare nel senso di consentire e/o imporre l'adozione dei provvedimenti di erogazione del contributo ad Al. Se. Am. S.p.A. nella misura massima di Euro 2.020.597,82; dell'eventuale ulteriore provvedimento di assegnazione della parte di contributo non concessa ad Al. Se. Am. S.p.A. all'incremento di successivi Bandi o Avvisi; tutti qui impugnati in parte qua, cioè nella sola parte in cui non riconoscono alla ricorrente un contributo superiore a quello indicato (Euro 2.020.597,82), pari a Euro 3.589.298,29 o alla somma che risulterà di giustizia, dalla corretta applicazione della disciplina contenuta negli atti impugnati e fermo restando il contributo di Euro 2.020.597,82 ivi indicato, che si considera acquisito; nonché per l'accertamento del diritto di Al. Se. Am. S.p.A. alla concessione del contributo predetto nella misura massima erogabile di Euro 3.589.298,29. - in parte qua, del decreto dipartimentale n. 259 del 4 settembre 2023 del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) - Dipartimento sviluppo sostenibile, con cui è stata disposta la rettifica parziale, in autotutela, dell'Allegato n. 1 al decreto di concessione dei contributi del 31 gennaio 2023, n. 60, e la sua sostituzione con l'Allegato n. 4, con conseguente ricalcolo del contributo massimo erogabile ad Al. Se. Am., da ultimo quantificato in Euro 855.591,53; - di ogni altro atto, disposizione, deliberazione, provvedimento, verbale o comunicazione comunque connessi e/o presupposti e/o consequenziali ai precedenti, ancorché ignoti alla ricorrente, tutti qui impugnati in parte qua, cioè nella sola parte in cui non riconoscono alla ricorrente un contributo superiore a quello dapprima indicato (Euro 2.020.597,82) e da ultimo rettificato (Euro 855.591,53), cioè un contributo pari a Euro 3.589.298,29 o alla somma che risulterà di giustizia dalla corretta applicazione della disciplina contenuta negli atti impugnati e fermo restando il contributo di Euro 2.020.597,82 dapprima indicato, che si considera acquisito. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica; Vista l'ordinanza istruttoria n. 1675 del 29 gennaio 2024; Vista l'ordinanza n. 8505/2024, con cui questo Tribunale ha ordinato l'integrazione del contraddittorio; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 giugno 2024 la dott.ssa Maria Rosaria Oliva e uditi, per le parti, i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Dopo la pubblicazione dell'Avviso del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica (MASE) del 15 ottobre 2021, successivamente modificato in data 24 novembre 2021 e 11 febbraio 2022, la società ricorrente ha chiesto, con istanza del 20 marzo 2022, la concessione di un contributo per la realizzazione di un progetto faro di economia circolare, nell'ambito della 'Missione 2, componente 1, investimento 1.2, linea d'intervento D del PNRR'. Con decreto n. 212 del 29 dicembre 2022, il Ministero ha approvato la graduatoria delle proposte ammesse e con successivo decreto n. 60 del 31 gennaio 2023, ha disposto la concessione dei contributi, assegnando alla ricorrente la somma di euro 2.020.597,82. 2. Ritenendo di avere titolo all'erogazione di un contributo di importo pari ad euro 3.589.298,29 (corrispondente al 35% del cd. investimento supplementare), la società ha proposto il ricorso principale indicato in epigrafe, impugnando i provvedimenti ministeriali del 29 dicembre 2022 e del 31 gennaio 2023. 2.1. Con il primo motivo di ricorso la società Al. ha lamentato la violazione e falsa applicazione della normativa di settore, in particolare degli artt. 47 e 56 sexies del Regolamento U.E. 17 giugno 2014, n. 651 (GBER); del d.m. 28 settembre 2021, n. 397; degli artt. 5, 13 e 14, comma 5, e dell'Allegato 2 dell'Avviso del 15 ottobre 2021, relativo alla Linea d'intervento 'D', successivamente modificato. Ha, altresì, censurato l'eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità manifeste. 2.2. Con il secondo motivo ha dedotto, sotto altri profili, la violazione e falsa applicazione delle medesime norme innanzi censurate, nonché l'eccesso di potere per irragionevolezza, sviamento dal fine, incompetenza. In sintesi, la società ricorrente ha lamentato la illegittimità dei provvedimenti impugnati poiché con essi l'Amministrazione procedente: a) avrebbe definito il contributo concesso in misura non conforme alla disciplina applicabile. Il procedimento di calcolo seguito dalla Commissione di ammissione e valutazione delle proposte (e recepito dal Ministero) avrebbe condotto ad una quantificazione erronea del tetto massimo previsto dalla lex specialis per la spesa ammissibile con riferimento alle voci 'suolò e 'opere murariè, comportando effetti illogici e financo paradossali, come la previsione di un contributo negativo in corrispondenza della voce di costo relativa all'acquisto del suolo aziendale; b) avrebbe ridotto discrezionalmente l'entità del contributo, senza che un simile potere fosse previsto in capo all'Amministrazione procedente dalla normativa di riferimento - Avviso e Regolamento U.E. n. 651/2014 (GBER) - e avrebbe così disatteso la logica performance based e le finalità di innovazione del PNRR. 3. Con decreto n. 259 del 4 settembre 2023, pubblicato in pari data sul proprio sito internet istituzionale, il Ministero, in sede di autotutela, ha rettificato il precedente provvedimento di approvazione della graduatoria dei progetti ammessi al contributo ed ha ricalcolato l'importo da erogare in favore della società ricorrente, quantificandolo nella minore misura di euro 855.591,53, in ragione di "ulteriori accertamenti e verifiche tecniche", da cui sarebbe emerso che l'originario calcolo "risultava non allineato alle prescrizioni di cui al citato Allegato 2 degli Avvisi". 4. Con atto di motivi aggiunti proposto in data 14 dicembre 2023, affidato alle medesime censure del ricorso introduttivo, la società ricorrente ha chiesto l'annullamento anche del decreto di rettifica del 4 settembre 2023, che risulterebbe illegittimo in via propria, ma anche in via derivata (nella parte in cui conferma le statuizioni contenute nel primo provvedimento di assegnazione, impugnato con il ricorso originario). 5. Si è costituita in resistenza l'Amministrazione intimata, innanzitutto eccependo l'improcedibilità del ricorso introduttivo per sopravvenuto difetto di interesse, essendo stato medio tempore emanato un ulteriore provvedimento rimasto inoppugnato, nonché la irricevibilità dei motivi aggiunti per non aver impugnato tempestivamente il successivo decreto di rettifica, e comunque deducendo nel merito l'infondatezza delle censure. 6. Con ordinanza n. 1675 del 29 gennaio 2024 questo Tribunale ha disposto incombenti istruttori a carico del Ministero intimato, volti in particolare: a) ad "acquisire prova della notificazione o della comunicazione all'interessata del decreto del Dipartimento sviluppo sostenibile del Ministero della Transizione Ecologica (ora MASE) n. 259 del 4 settembre 2023, con cui è stata disposta la rettifica parziale, in autotutela, del decreto di concessione dei contributi di data 31 gennaio 2023", "al fine di stabilire la ricevibilità o meno del ricorso per motivi aggiunti presentato dalla società ricorrente in data 14 dicembre 2023"; b) a "comprendere, per un verso, il ragionamento sotteso all'algoritmo utilizzato.... e, per altro verso, le modalità con le quali si è inteso ripartire i fondi disponibili tra le proposte ammesse a finanziamento, dovendosi in particolare chiarire se la cifra finanziabile è stata ridotta proporzionalmente in ragione del numero di proposte o piuttosto finanziando per intero (fino al concorrere del 35%) le proposte che hanno ottenuto un punteggio più alto, classificandosi per prime in graduatoria". 7. A seguito dell'acquisizione della documentazione istruttoria richiesta, in esito all'udienza pubblica del 23 aprile 2024, con ordinanza n. 8505/2024, questo Tribunale ha ordinato l'integrazione del contraddittorio mediante notifica per pubblici proclami nei confronti "degli altri soggetti inseriti nella graduatoria finale del procedimento, riguardante la 'Missione 2, componente 1, investimento 1.2, linea d'intervento D del PNRR'". 8. All'udienza del 18 giugno 2024, valutata la compiutezza dell'istruttoria e constatata l'integrità del contraddittorio, la causa è stata trattenuta per la decisione. 9. In limine litis, il Collegio rileva l'improcedibilità del ricorso introduttivo, per essere stato il provvedimento del 31 gennaio 2023 originariamente impugnato, sostituito dall'ulteriore decreto del 4 settembre 2023 - oggetto del ricorso per motivi aggiunti - con cui è stato rideterminato l'importo del contributo inizialmente concesso, definitivamente eliminando dal panorama giuridico il primo provvedimento. 9.1. Deve invece ritenersi infondata l'ulteriore eccezione sollevata da parte resistente, di irricevibilità del ricorso per motivi aggiunti, dal momento che risulta per tabulas - come peraltro confermato dal Ministero con deposito del 28 febbraio 2024 - che il successivo provvedimento di rettifica di data 4 settembre 2023 sia stato semplicemente pubblicato sul sito internet istituzionale del MASE, in assenza di qualsivoglia comunicazione alla società interessata. Giova al riguardo osservare come la rettifica di un provvedimento di concessione di finanziamenti, che incide negativamente sulla sfera giuridica del destinatario, va notificata all'interessato, a nulla rilevando - ai fini della decorrenza del termine decadenziale di impugnazione - la sua pubblicazione online, non potendo quest'ultima, in assenza di un'espressa previsione in tal senso della legge o della lex specialis, rivestire la forma di pubblicità legale opponibile erga omnes. Rileva, dunque, il Collegio come l'effettiva conoscenza del sopravvenuto provvedimento di rettifica sia temporalmente collocabile solo in un momento successivo alla pubblicazione online, a mezzo del deposito nel presente giudizio, rendendo pertanto tempestiva la proposizione dei motivi aggiunti di cui è causa. 10. Nel merito, ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato. 11. Prima di procedere al vaglio delle singole doglianze, giova ricostruire, sia pure sinteticamente, il perimetro normativo e fattuale che delimita la vicenda. 11.1. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze, con decreto del 6 agosto 2021, ha assegnato al MASE la somma di 600.000.000,00 euro per la realizzazione di progetti "faro" di economia circolare, che promuovano - nell'ambito dell'Investimento 1.2, Missione 2, Componente 1 del PNRR - l'utilizzo di tecnologie e processi ad alto contenuto innovativo nei settori produttivi individuati dal Piano d'azione europeo sull'economia circolare, quali: elettronica e ICT, carta e cartone, plastiche, tessili. In esecuzione del provvedimento del MEF, con decreto n. 397 del 28 settembre 2021, il MASE ha individuato quattro Linee d'intervento: A, B, C e D. 11.2. L'ambito di interesse in questa sede è la linea d'intervento D, relativa a progetti di infrastrutturazione della raccolta delle frazioni tessili pre-consumo e post-consumo, nonché di ammodernamento dell'impiantistica e di realizzazione di nuovi impianti di riciclo delle frazioni tessili in ottica sistemica c.d. 'Textile Hubs'. La misura in questione intende incentivare progetti di poli tecnologici per il tessile, volti alla realizzazione di impianti che - tramite tecnologie innovative - consentano un recupero dei rifiuti tessili maggiormente performante rispetto a quello ottenuto dall'impiantistica attualmente disponibile. In attuazione di tale Linea d'intervento, il MASE, in data 15 ottobre 2021, ha pubblicato l'Avviso M2C.1.1 I 1.2 (successivamente modificato il 24 novembre 2021 e l'11 febbraio 2022), cui ha risposto l'odierna ricorrente, con un progetto - collocato al secondo posto della graduatoria nazionale - finalizzato alla realizzazione, nel Comune di Prato, di un nuovo impianto di selezione delle frazioni tessili, pre e post-consumo. 11.3. In questa prospettiva e coerentemente con le finalità precipue della misura nonché della normativa europea di settore, l'Avviso ha previsto: - all'art. 5, che il contributo massimo concedibile per ciascuna proposta segue le modalità stabilite, in tema di aiuti di stato, "dall'articolo 47, commi 8 e 9, del Regolamento UE 'GBER', come modificato dal Regolamento della Commissione n. 2021/1237/UE", a tenore del quale, salvo la maggiorazione in presenza dei requisiti specificati al comma 9, "l'intensità di aiuto non supera il 35% dei costi ammissibili"; intendendosi, per costi ammissibili, in base al comma 7 immediatamente precedente, i "costi d'investimento supplementari necessari per realizzare un investimento che conduca ad attività di riciclaggio o riutilizzo rispetto a un processo tradizionale di attività di riutilizzo e di riciclaggio di analoga capacità che verrebbe realizzato in assenza di aiuti"; - all'art. 13, quanto alla verifica delle proposte, che queste siano esaminate sulla "base dei criteri di valutazione di cui all'Allegato 1 al presente Avviso"; - all'art. 14, comma 5, che "le spese ammissibili sono riportate nell'allegato 2 del presente Avviso"; - all'allegato 2, con riguardo alle "spese ammissibili delle proposte di cui all'art. 14", che per talune di esse vi sia un tetto massimo. Nello specifico: "a) Suolo impianto/intervento. Le spese relative all'acquisto del suolo aziendale sono ammesse nel limite del 10 per cento dell'investimento complessivo del progetto. b) Opere murarie e assimilate. Per quanto riguarda i programmi di sviluppo industriale le spese relative ad opere murarie sono ammissibili nella misura massima del 30 per cento dell'importo complessivo degli investimenti per ciascuna proposta.... f) Spese per consulenze. Nella misura massima del 4% dell'importo complessivo della Proposta, sono ammissibili le spese per consulenze connesse alla Proposta...". Il richiamo - contenuto nell'art. 5 dell'Avviso pubblico - all'art. 47 del Regolamento U.E. 'GBER', dunque, ha comportato la necessità, per gli operatori che aspiravano al finanziamento a fondo perduto, di indicare nella proposta: a) l'investimento complessivo per la realizzazione della proposta oggetto di finanziamento; b) l'investimento c.d. ana o controfattuale, corrispondente al costo astrattamente necessario per la realizzazione di un'attività di riciclaggio o di riutilizzo da realizzarsi a mezzo di una tecnologia tradizionale, avente una capacità analoga a quella oggetto del progetto innovativo e realizzabile in assenza di aiuti; c) l'importo supplementare, corrispondente alla maggiorazione di costi, rispetto all'investimento ana, derivante dall'utilizzo di una tecnologia innovativa. 11.4. Orbene, in base alle norme appena richiamate, è evidente come, coerentemente con gli obiettivi di derivazione eurounitaria dichiarati, l'Avviso abbia inteso, per ciascuna proposta inserita in graduatoria: a. finanziare il 35% dei costi ammissibili; b. individuare i costi ammissibili nel c.d. investimento supplementare, ottenuto dalla differenza tra l'investimento complessivo necessario per realizzare il progetto e l'investimento ana (che consiste nella spesa da sostenere per completare un intervento di analoga capacità - i.e. l'impianto di riciclo - ma secondo la metodica tradizionale in assenza di aiuti); c. prevedere un tetto per talune voci di costo ammissibili: in particolare, il 10% per l'acquisto del suolo aziendale, il 30% per le opere murarie o assimilate ed il 4% per l'attività di consulenza. Sicché in estrema sintesi, la misura in questione - anche in base ai chiarimenti forniti dal Ministero con la relazione depositata il 28 febbraio 2024 - ha previsto che ciascuna proposta positivamente valutata sia destinataria, fino alla capienza del relativo plafond, di un contributo pari al 35% dell'investimento supplementare (ovvero e semplificando, di quegli ulteriori costi indispensabili per rendere innovativo il progetto rispetto alla sua versione tradizionale, nella prospettiva del Piano d'azione europeo sull'economia circolare); con il solo limite, per le spese relative all'acquisto del suolo aziendale, alle opere murarie o assimilate ed all'attività di consulenza, che le stesse non possano essere ammesse oltre il tetto massimo previsto dall'allegato 2 dell'Avviso pubblico. 12. Ritenuto che l'originaria quantificazione del finanziamento erogabile alla società Al. avesse disatteso tali limiti quantitativi, correttamente il Ministero ha ravvisato la necessità di riparametrare gli importi dei contributi assegnati entro le percentuali stabilite dall'Allegato 2 per quelle specifiche voci di costo, ma non può non rilevarsi l'irragionevolezza e la illogicità dell'iter seguito e del metodo di calcolo prescelto dal Ministero, per un duplice ordine di ragioni, che rivela la fondatezza di entrambi i motivi di ricorso. 12.1. Per quanto sin qui detto e invertendo - per ragioni logico-deduttive - l'ordine di esame delle censure dedotte in ricorso, deve osservarsi, in primis, come l'Amministrazione sia intervenuta unilateralmente sulla proposta della società ricorrente, senza procedere - in spregio al principio di leale collaborazione ed alle previsioni del bando - ad alcuna forma di interlocuzione per il tramite del R.U.P. ovvero della Commissione di valutazione, e dunque, per un verso, impedendo alla società interessata di fornire, prima della conclusione del procedimento, il proprio apporto partecipativo; per altro verso, realizzando una inammissibile modifica della proposta originariamente presentata dalla società Al. Se. Am. S.p.A.. Nella relazione depositata dal Ministero in esecuzione dell'ordinanza istruttoria del 29 gennaio 2024, si legge, infatti: "il totale dell'Investimento Complessivo delle singole proposte è stato riproporzionato...". Con una siffatta interpolazione unilaterale della proposta presentata, il Ministero ha innanzitutto alterato l'opzione del proponente, invadendo la sfera volitiva del privato (che astrattamente avrebbe potuto non avere più interesse ad una proposta così riformulata, anche in termini di sostenibilità economico-finanziaria), così esorbitando dalla propria competenza, in assenza di una norma attributiva del relativo potere. Non solo. Per tale via, l'Amministrazione procedente ha altresì travolto la correttezza della valutazione della proposta a monte, dal momento che -in base ai criteri dettati dall'allegato 1 dell'Avviso- l'esame ha coinvolto tra l'altro il "Piano Finanziario", dovendo la Commissione apprezzare, anche attraverso un'analisi controfattuale, la "congruità, attendibilità e fattibilità del piano finanziario" dell'intervento proposto, di talché è "valutato positivamente il piano finanziario incluso nella Proposta, che preveda voci di costo coerenti e attendibili rispetto alla dimensione dell'Intervento e al tipo di attività previste". 12.2. Un secondo errore di metodo è poi ravvisabile, avuto riguardo alle doglianze lamentate con il primo motivo di ricorso, in quelle che il MASE definisce "semplici proporzioni matematiche" all'uopo applicate. Difatti, nella citata relazione del Ministero è specificato che, dopo aver riproporzionato l'investimento complessivo "al fine di rispettare l'intensità massima consentita" per le singole voci di spesa (suolo impianto/intervento; opere murarie e assimilate; consulenze), "successivamente, è stato calcolato l'Investimento Supplementare, pari alla differenza tra il "totale Investimento Complessivo ricalcolato" e il "totale Investimento Ana dichiarato". Infine, il contributo massimo erogabile è stato calcolato applicando all'Investimento Supplementare le intensità previste dal Regolamento GBER (35%)". Fermo quanto sin qui rilevato da questo Collegio in ordine alla illegittimità della scelta di procedere ad un'alterazione unilaterale della proposta formulata dall'interessata, in ogni caso il metodo di calcolo prescelto dal Ministero sarebbe risultato illogico ed irrazionale, intervenendo esclusivamente sul primo (il minuendo, ovvero l'investimento complessivo) dei due termini dell'operazione, per questa via, compromettendo il risultato finale, quale assetto di interessi voluto dal privato, anche sotto il profilo della sostenibilità economico-finanziaria dell'investimento. Giova infatti osservare come, quand'anche si fosse ritenuto legittimo - in una reductio ad absurdum - intervenire sulla proposta del ricorrente, la ragionevolezza avrebbe imposto quanto meno di procedere ad una riduzione proporzionale anche dell'importo dell'investimento ana. La rimodulazione da parte del MASE delle sole voci di costo dichiarate dal proponente per l'investimento complessivo, in assenza di una corrispondente riparametrazione di quelle medesime voci di costo così come quantificate dalla società Al. per l'investimento ana, ha condotto al risultato paradossale per cui, a fronte di una spesa oggettiva da sostenere per l'acquisto del suolo aziendale, il finanziamento in concreto riconosciuto al proponente è stato pari ad una cifra negativa (dunque non già da finanziare, ma da 'restituirè all'Amministrazione, in termini di erosione del contributo complessivamente erogato). In altre parole, nel decurtare le singole voci dell'investimento complessivo - nella convinzione di riparametrarle alle percentuali ammesse - il MASE ha di fatto alterato la realtà, perché altro è la spesa occorrente per realizzare l'investimento complessivo, altro è il costo massimo finanziabile per quella singola voce di spesa; a maggior ragione, allorché ha contestualmente deciso di lasciare immutati i costi dell'investimento ana così come dichiarati dal proponente, il quale dunque si è ritrovato un valore di spesa per l'investimento complessivo inferiore rispetto al costo ana. Il che è un assurdo logico, prima ancora che giuridico. L'investimento complessivo è infatti ontologicamente - per come costruito dalla disciplina applicabile - un numero maggiore, o tutt'al più uguale, all'investimento ana. Nell'esempio riportato, il costo per l'acquisto del suolo, potrebbe al più non essere finanziato, eventualmente coincidendo l'importo della relativa spesa da sopportare sia nella versione tradizionale del progetto (id est investimento ana) che in quella più performante e compatibile con gli obiettivi europei, sì che la differenza tra la voce di costo per l'investimento complessivo e quella per l'investimento ana possa essere pari a zero, alcun miglioramento in termini di innovazione apportando l'acquisto del suolo aziendale nella realizzazione di quell'impianto; ma non può dar luogo ad una cifra negativa, di talché il proponente debba vedersela decurtata dall'importo complessivamente finanziabile. Compito dell'Amministrazione è infatti la verifica della compatibilità della proposta presentata, senza tuttavia ingerire nella sfera di competenza del privato: essa può dire se la proposta è economicamente sostenibile, finanziariamente congrua, se è compatibile con le finalità dell'avviso e in generale del PNRR, se rispetta i requisiti soggettivi ed oggettivi di ammissibilità richiesti, ma non può certamente sua sponte rideterminare quell'importo così come formulato e nella sostanza dire al privato che per l'acquisto di quel terreno (su cui ha intenzione di realizzare l'impianto di trattamento dei rifiuti in questione), ad esempio, egli non pagherà 100 ma pagherà 40. E men che meno la stessa Amministrazione può stabilire che l'acquisto del medesimo terreno per la realizzazione di un impianto 'analogò gli costerebbe comunque 80, come originariamente indicato dal proponente. Diversamente opinando, sarebbe destituita di fondamento la previsione - tra i costi finanziabili - di quelli ad esempio necessari all'acquisto del suolo aziendale, poiché si avrebbe come risultato, nella ipotesi più favorevole, un finanziamento pari a zero, o peggio ancora un importo negativo (da sottrarre e non aggiungere all'importo totale del contributo da erogare). Altrimenti detto - seguendo l'esempio di cui sopra - la spesa per l'acquisto del suolo giammai potrebbe essere finanziata, contrariamente a quanto stabilito dall'avviso pubblico. D'altro canto, se questa fosse stata l'intenzione, il provvedimento ministeriale avrebbe inserito la voce "acquisto del suolo" (ma ana discorso può essere fatto - mutatis mutandis - per le opere murarie o per l'attività di consulenza) direttamente tra le spese "non ammissibili" nella seconda parte dell'Allegato 2. 12.3. L'irrazionalità del metodo di calcolo congegnato emerge con ancor maggiore evidenza se si guarda alla ratio sottesa alla disciplina applicabile: la finalità dichiarata di questa misura - come delle altre destinatarie dei fondi PNRR con decreto del MEF del 6 agosto 2021 - è quella di incentivare progetti "faro" che promuovano l'utilizzo di tecnologie e processi ad alto contenuto innovativo, sì da superare lo "stato dell'arte" nei settori produttivi individuati dal Piano d'azione europeo sull'economia circolare, tra cui il settore tessile qui in rilievo. Ed allora, la previsione di un limite percentuale di spesa finanziabile per talune voci di costo è con tale finalità coerente: perché se la normativa intende promuovere uno sviluppo tecnologico del settore, se in altri termini intende favorire quei progetti innovativi di infrastrutturazione della raccolta dei rifiuti nonché l'ammodernamento dell'impiantistica esistente e la realizzazione di impianti di riciclo in un'ottica sistemica di cd. 'Textile Hubs', è certamente giustificabile la disposizione che stabilisce la corresponsione di un aiuto in misura ridotta per quelle voci di spesa - come l'acquisto del suolo aziendale o le opere murarie - che hanno una incidenza a tali fini trascurabile, rispetto a quelle voci del progetto maggiormente funzionali al perseguimento dell'obiettivo atteso. 12.4. Pur tuttavia, proprio le considerazioni appena svolte sulla ratio, conducono questo Collegio a ritenere soltanto parzialmente accoglibile la prospettazione di parte ricorrente, cioè fintanto che sostiene l'irrazionalità della scelta del MASE di intervenire sulla proposta come formulata in risposta all'Avviso del 15 ottobre 2021 e vieppiù di lasciare inalterato l'investimento ana, modificando il solo investimento complessivo, col risultato di una illegittima quantificazione dei costi ammissibili e conseguentemente dei costi erogabili. Tanto più se si considera che la proposta di Al. ha superato indenne, ed anzi con ottimi risultati in termini di valutazione, le tre fasi previste dall'articolo 10 dell'Avviso per l'istruttoria delle proposte. Non può invece trovare condivisione lì dove si spinge ad individuare la base di calcolo - su cui applicare le intensità percentuali previste dall'Allegato 2 - non già all'interno dell'investimento supplementare (e, quindi, dei costi ammissibili, come indicato dalla normativa europea), ma bensì nel rapporto tra investimento supplementare ed investimento complessivo. In questa ipotesi si avrebbe, infatti, un ingiustificato aumento dei costi ammessi a finanziamento proprio per quelle voci di spesa cui la disciplina di settore ha inteso accordare una rilevanza residuale in relazione alla ridotta capacità di apportare innovazione. Sarebbe così disattesa ancora una volta la ratio che, nell'ottica del Piano nazionale di ripresa e resilienza come declinato nell'Avviso in questione, è quella di favorire ed incentivare il superamento dello "stato dell'arte" - sotto il profilo tecnologico - nel mercato interno dell'Unione (ex art. 2, punto 129, del Regolamento U.E. n. 651/2014), garantito proprio da quel plus di investimento dato dalla differenza tra l'investimento complessivo e l'investimento ana (di un sistema alla maniera tradizionale). Al contrario, si avrebbe che una parte preponderante del contributo ammesso sia destinata a finanziare proprio gli elementi - come ad esempio l'acquisto del suolo - meno idonei ad assicurare innovazione e ammodernamento. La previsione di un tetto percentuale di ammissibilità del contributo a fondo perduto per talune voci di costo, riguardata attraverso il prisma della ratio che la sottende, consente dunque di rilevare errori di calcolo - nella individuazione della base su cui applicare i limiti percentuali di spesa ammessa a finanziamento, come indicati dall'Allegato 2 - da ambo le parti: A. per l'Amministrazione tali percentuali atterrebbero ad un rapporto tutto interno al solo investimento complessivo; B. per la ricorrente, invece, il tetto di spesa ammesso andava calcolato - non già come percentuale interna all'investimento complessivo - ma come rapporto tra investimento supplementare ed investimento complessivo. Mentre le osservazioni dianzi esposte, in uno con la lettura delle disposizioni dell'Avviso, che a loro volta rinviano alla disciplina del Regolamento U.E. n. 651/2014, conducono ad individuare un'operazione di calcolo a valle: applicando i limiti quantitativi dell'allegato 2 come percentuale interna all'investimento supplementare. Sicché, per singola voce di spesa, va calcolato il costo ammissibile (i.e. l'investimento supplementare quale differenza tra l'investimento complessivo e l'investimento ana dichiarati dal proponente) e la cifra così ottenuta - se non dovesse già rispettarli - va poi riparametrata ai vincoli quantitativi richiesti dall'Avviso (10%, 30% e 4%) sul totale dell'importo complessivo degli investimenti ammissibili (cioè sul totale dell'investimento supplementare). 12.5. Nella ricostruzione della suesposta modalità di calcolo, giova ulteriormente considerare che l'operazione realizzata dal MASE tradisce confusione tra 'costi ammissibilà e 'requisiti di ammissibilità ' della proposta presentata (gli uni disciplinati dall'allegato 2; gli altri, dall'art. 6 dell'Avviso). Il calcolo eseguito dall'Amministrazione - quale percentuale tutta interna all'investimento complessivo - fa ritenere infatti che il MASE abbia considerato i limiti percentuali previsti dall'allegato 2 quali requisiti di ammissibilità della proposta, tanto da ritenere che l'investimento complessivo dovesse essere formulato senza oltrepassare quelle intensità di spesa (di qui la rimodulazione operata), testimoniando ancora una volta la erroneità del ragionamento seguito. Occorre innanzitutto osservare che se così avesse voluto la norma, se cioè il proponente fosse stato tenuto a rispettare tali limiti percentuali in sede di formulazione della componente "investimento complessivo" della proposta, il Ministero, una volta verificata la violazione dei requisiti richiesti dall'Avviso, avrebbe dovuto disporre, previo preavviso di rigetto, la esclusione della proposta della ricorrente per la impossibilità di pervenire ad una corretta quantificazione dei costi ammissibili, per come formulata. In ogni caso, una siffatta interpretazione - dei limiti percentuali di spesa quali requisiti di ammissibilità della domanda - si scontrerebbe, oltre che con la già esposta ragione giustificatrice delle disposizioni in esame, anche con la loro collocazione sistematica. Difatti, nell'adottare l'Avviso pubblico di cui è causa, il Ministero ha inserito la previsione di un tetto percentuale di spesa nell'ambito dell'allegato 2 (che disciplina le spese ammissibili e non ammissibili) e non invece tra i requisiti di ammissibilità della proposta, né tantomeno tra i requisiti di ricevibilità della stessa - che quindi avrebbero dovuto essere vagliati dal R.U.P. nella iniziale fase istruttoria o comunque dalla Commissione in sede di verifica dell'ammissibilità della proposta ex art. 10 dell'Avviso. Tant'è che la Commissione (che in sede di valutazione della proposta era tenuta a considerare anche sostenibilità e congruità delle voci di costo, nonché attendibilità e fattibilità del piano finanziario) ha ampiamente apprezzato la bontà del progetto presentato dalla società Alia: proprio perché l'Avviso richiamava, per la valutazione delle proposte, i criteri di cui all'allegato 1, e non rimandava invece alla prima parte dell'allegato 2, che - per espressa previsione dell'articolo 14, comma 5 - individua "le spese ammissibili". L'art. 10 dell'Avviso pubblico, peraltro, nel disciplinare l'iter procedimentale da seguire per la istruttoria delle proposte, ha individuato tre fasi in cui articolare il procedimento, ed in particolare ha previsto che, superata la verifica di regolarità della proposta da parte del R.U.P., si è ammessi alla fase 2, per la "verifica dell'ammissibilità della proposta secondo le condizioni soggettive e oggettive di ammissibilità di cui, rispettivamente, agli articoli 4 e 6 del presente avviso, da parte della commissione di cui al successivo articolo 12". È dunque incontestabile che l'ammissibilità della proposta dipenda esclusivamente dal positivo apprezzamento dei requisiti disciplinati dagli articoli 4 e 6 dell'Avviso, e non anche delle disposizioni di cui all'allegato 2 (che disciplina i costi ammissibili, cioè quell'investimento supplementare finanziabile). 12.6. Per quanto sin qui rilevato, è indubbio che, malgrado una formulazione non particolarmente chiara dell'Allegato 2, allorché rimanda - quale parametro di riferimento per individuare il limite percentuale stabilito, peraltro con sintagmi differenti - all'"investimento complessivo del progetto" ovvero all'"importo complessivo degli investimenti per ciascuna proposta" o ancora "all'importo complessivo della Proposta", non può non riferirsi al totale dell'investimento supplementare, non può in altre parole porsi in antitesi con la definizione europea di costo ammissibile, cui lo stesso Avviso expressis verbis rinvia. Ad abundantiam, questo Collegio rileva come la ricostruzione cui si è pervenuti trova conferma nel decreto del 9 dicembre 2014 del Ministero dello Sviluppo Economico, recante l'"Adeguamento alle nuove norme in materia di aiuti di Stato previste dal regolamento (UE) n. 651/2014 dello strumento dei contratti di sviluppo, di cui all'art. 43 del decreto-legge n. 112/2008.". Nell'allegato 2 di tale decreto (rubricato "Spese e costi ammissibili. Indicazioni e condizioni di ammissibilità ") che fornisce "le indicazioni e le condizioni di ammissibilità delle spese definite in relazione alle tipologie dei progetti di investimento individuate nei Titoli II, III e IV", con riguardo alle spese relative all'acquisto del suolo aziendale ed alle opere murarie e assimilate, è specificato che il limite percentuale indicato va rapportato all'"investimento complessivo ammissibile del progetto" o ancor meglio, "all'importo complessivo degli investimenti ammissibili per ciascun progetto d'investimento". 12.7. Invero - come già la locuzione utilizzata alla lettera b), relativa alle opere murarie, meglio suggerisce - l'allegato 2, nel fissare la soglia massima ha riguardo alle spese ammissibili, vale a dire all'investimento supplementare complessivamente ammesso a finanziamento, su cui calcolare la percentuale del 35% prevista per gli aiuti di stato dal Regolamento U.E. 'GBER'. Tale lettura non solo conduce, in termini aritmetici, al medesimo risultato della rideterminazione dei costi applicata proporzionalmente sia agli importi dell'investimento complessivo che a quelli corrispondenti dell'investimento ana, ma perviene a tale esito del tutto legittimamente sotto il profilo giuridico, giacché -senza modificare le scelte del privato- la soglia percentuale viene applicata ex post, sui fondi erogabili e dunque di competenza del Ministero a mezzo del decreto di concessione dei contributi, in aderenza alle finalità della normativa di settore e alla definizione eurounitaria di costo ammissibile di cui all'art. 47 'GBER' espressamente richiamato dalla lex specialis. 12.8. Sicché, concludendo, in base all'Allegato 2 dell'Avviso pubblico del 15 ottobre 2021 - cui rinvia l'art. 14, comma 5 - per le spese relative alle voci 'suolo impianto/interventò, 'opere murarie e assimilatè e 'consulenzè non può essere riconosciuto un contributo che superi, rispettivamente, il 10%, il 30% ed il 4% del totale dell'investimento supplementare, ovvero dell'importo complessivo degli investimenti ammissibili per ciascuna proposta. Con la conseguenza che il MASE, dopo aver verificato che il risultato della sottrazione tra l'investimento complessivo e l'investimento ana (così come dichiarati dal proponente) non consentiva di rispettare - per singola voce di costo - le proporzioni previste dall'Allegato 2 sul totale dei costi ammissibili coì ottenuti per differenza, avrebbe dovuto: a) più correttamente ed in coerenza con il bando (art. 13, comma 3), interloquire con la società proponente in sede istruttoria - di valutazione delle proposte ritenute ricevibili dal R.U.P. ed ammissibili dalla stessa Commissione - chiedendo chiarimenti circa il rispetto delle soglie massime fissate dall'allegato 2 dell'Avviso; b) disattesa tale facoltà del bando o comunque non rinvenendo alcuna soluzione in fase istruttoria, intervenire a valle sull'investimento supplementare, in sede di quantificazione dei contributi ammissibili a mezzo del decreto di concessione dei contributi - questo sì di competenza del Ministero intimato - riducendo l'importo dell'investimento ammissibile per la singola voce di costo fino alla concorrenza del tetto, nel rispetto delle disposizioni dell'Avviso. 13. Ravvisata, in conclusione, l'illegittimità dell'atto di riesame impugnato con motivi aggiunti, con la conseguente necessità che l'Amministrazione resistente si ridetermini, alla luce delle osservazioni formulate da questo Collegio, nel rispetto dei termini procedimentali. 14. Ritenuto, di conseguenza, che il ricorso principale debba essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse (in quanto è stato emanato l'ulteriore provvedimento di riesame) e che i motivi aggiunti debbano essere accolti nei termini indicati. 15. Ritenuto che la novità della questione giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma Sezione Seconda Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 4270 del 2023, integrato da motivi aggiunti, come in epigrafe proposto, così provvede: - dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso principale; - accoglie il ricorso per motivi aggiunti nei termini di cui in parte motiva e, per l'effetto, annulla l'atto di riesame del 4 settembre 2023, salvi gli ulteriori provvedimenti del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica; - compensa tra le parti le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, via Flaminia n. 189, nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Donatella Scala - Presidente Francesca Mariani - Primo Referendario Maria Rosaria Oliva - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Stralcio ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6668 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da Lo. Ca., rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Sa., Be. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Ma. An. Za., non costituito in giudizio; per l'annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione - Direzione generale per il personale scolastico n. 0000395 del 27 marzo 2019, di approvazione e pubblicazione dell'elenco dei candidati ammessi a sostenere la prova orale per l'accesso al Corso - concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali, indetto con il D.D.G. del 23 novembre 2017, n. 1259, pubblicato sulla G.U. (IV serie speciale - Concorsi) n. 90 del 24 novembre 2017 (doc. 1); - dell'esito della prova scritta sostenuta dall'odierna ricorrente, conosciuto in data 8 maggio 2019 (doc. 2); - del D.D.G. del 23 novembre 2017, n. 1259, pubblicato sulla G.U. (IV serie speciale - Concorsi) n. 90 del 24 novembre 2017, di indizione del Corso - concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali, (i) nella parte in cui - riferendosi all'ipotesi di impossibilità di svolgere, per cause di forza maggiore sopravvenute, la prova scritta nella giornata programmata - prevede il "rinvio [della prova] con comunicazione, anche in forma orale, ai candidati presenti" (art. 8, c. 10), limitatamente all'ipotesi in cui tale prescrizione dovesse essere interpretata nel senso che il rinvio non riguarda l'intera prova scritta, intesa in senso unitario, ma riguarda lo svolgimento della prova in una singola sede; (ii) nella parte in cui, prescrivendo lo svolgimento della prova scritta con l'ausilio di sistemi informatici, non ha previsto che tali sistemi informatici siano dotati di un meccanismo di salvataggio automatico delle prove (doc. 3); - delle Istruzioni operative prova scritta, pubblicate sul sito internet del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in data 12 ottobre 2018, nella parte in cui non prevedono che il sistema informatico da utilizzarsi per la prova scritta sia dotato di un meccanismo di salvataggio automatico delle prove (doc. 4); - di qualsiasi ulteriore atto presupposto, conseguenziale o comunque connesso. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 14\11\2019: per l'annullamento: - del decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione - Direzione generale per il personale scolastico n. 0001205 del 1° agosto 2019 (doc. 1), recante l'approvazione della graduatoria generale nazionale, per merito e titoli, del concorso finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali, indetto con D.D.G. del 23 novembre 2017, n. 1259 e con il quale sono dichiarati vincitori i candidati utilmente collocati entro il 2900° posto; - dell'avviso del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione n. 0035372 del 1° agosto 2019 (doc. 2), recante le istruzioni, rivolte ai vincitori del concorso, per esprimere l'ordine di preferenza tra 17 regioni disponibili; - del decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione - Direzione generale per il personale scolastico n. 0001229 del 7 agosto 2019 (doc. 3), di rettifica della graduatoria generale nazionale per merito e titoli del concorso per dirigenti scolastici indetto con D.D.G. del 23 novembre 2017, n. 1259; - dell'assegnazione ai ruoli regionali dei vincitori del concorso per dirigenti scolastici indetto con D.D.G. del 23 novembre 2017, n. 1259 (doc. 4), pubblicata sul sito internet del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in data 9 agosto 2019; - delle ulteriori assegnazioni ai ruoli regionali, a seguito di rinunce all'assunzione in servizio, dei vincitori del concorso per dirigenti scolastici indetto con D.D.G. del 23 novembre 2017, n. 1259 (doc. 5), pubblicata sul sito internet del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in data 28 agosto 2019; - dell'assegnazione ai ruoli regionali di 61 vincitori a seguito dello scorrimento della graduatoria del concorso per dirigenti scolastici indetto con D.D.G. del 23 novembre 2017, n. 1259 (doc. 6), pubblicata sul sito internet del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in data 30 agosto 2019; - del decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione - Direzione generale per il personale scolastico prot. n. 0001461 del 9 ottobre 2019 (doc. 7), di depennamento della graduatoria di concorso ex art. 15, c. 4 del Bando di concorso; - di qualsiasi ulteriore atto presupposto, consequenziale o comunque connesso. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 12/11/2021: per l'annullamento: - del decreto n. 1357 del 12 agosto 2021 del Ministero dell'Istruzione - Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione - Direzione Generale per il Personale Scolastico (doc. 1), di rettifica della graduatoria generale nazionale, per merito e titoli, del concorso finalizzato al reclutamento di dirigenti scolastici presso le istituzioni scolastiche statali, indetto con D.D.G. del 23 novembre 2017, n. 1259; - dell'ulteriore assegnazione ai ruoli regionali dei vincitori del concorso per dirigenti scolastici indetto con D.D.G. del 23 novembre 2017, n. 1259 (doc. 2), pubblicata sul sito internet del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in data 16 agosto 2021; - dell'ulteriore assegnazione ai ruoli regionali dei vincitori del concorso per dirigenti scolastici indetto con D.D.G. del 23 novembre 2017, n. 1259 (doc. 3), pubblicata sul sito internet del Ministero dell'istruzione in data 30 agosto 2021; - dell'elenco delle assegnazioni pubblicato sul sito internet del Ministero dell'Istruzione il 31 agosto 2021. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca; Visti gli artt. 35, co. 1, lett. c, e 85, co. 9, cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 19 luglio 2024 la dott.ssa Dalila Satullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Rilevato che parte ricorrente, esponendo di aver partecipato alla prova scritta del corso-concorso nazionale, per titoli ed esami, finalizzato al reclutamento di Dirigenti Scolastici presso le istituzioni scolastiche statali, di cui al decreto del Direttore Generale del Personale Scolastico del 23 novembre 2017, ha chiesto l'annullamento degli atti in epigrafe indicati con riferimento alla mancata ammissione alla successiva prova orale; - che il Ministero resistente si è costituito in giudizio senza depositare memorie; - che parte ricorrente ha depositato istanza di passaggio in decisione, chiedendo che venisse dichiarata la cessazione della materia del contendere; - che all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del 19 luglio 2024, tenutasi in modalità da remoto come previsto dall'art. 87, comma 4 bis, c.p.a., la causa è stata trattenuta in decisione; considerato che con l'art. 5, c. 11 quinquies, d.l. n. 198/2022, il legislatore, al dichiarato fine "di coprire i posti vacanti di dirigente scolastico", nonché di "prevenire le ripercussioni sull'Amministrazione dei possibili esiti dei contenziosi pendenti" in relazione al concorso indetto con decreto del direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca n. 1259 del 23 novembre 2017 - oggetto del presente giudizio - ha previsto l'organizzazione di un corso intensivo di formazione con espletamento di una prova finale, le cui modalità di partecipazione dovranno essere definite con decreto del Ministro dell'istruzione e del merito da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 198 del 2022; - che al corso intensivo di formazione sono ammessi i partecipanti al concorso di cui al primo periodo che abbiano sostenuto almeno la prova scritta e a condizione che, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto: a) abbiano proposto ricorso entro i termini di legge e abbiano pendente un contenzioso giurisdizionale per mancato superamento della prova scritta del predetto concorso; b) abbiano proposto ricorso entro i termini di legge e abbiano pendente un contenzioso giurisdizionale per mancato superamento della prova orale del predetto concorso ovvero abbiano superato la prova scritta e la prova orale dopo essere stati ammessi a seguito di un provvedimento giurisdizionale cautelare, anche se successivamente caducato; - che parte ricorrente versa proprio nelle condizioni descritte dalla suddetta previsione; Ritenuto pertanto che, per effetto della richiamata sopravvenienza normativa, parte ricorrente ha conseguito l'anelato bene della vita sotteso alla proposizione del giudizio in trattazione. - che alla luce di quanto sopra esposto, secondo l'oramai consolidato orientamento giurisprudenziale (v. Consiglio di Stato, sez. VII, n. 3756/2024, 3759/2024, n. 3760/2024, n. 3763/2024, n. 2265/2023, n. 2305/2023, n. 4696/2023, n. 5160/2023, n. 6690/2024), il ricorso ed i motivi aggiunti devono essere dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza d'interesse; - che, contrariamente a quanto richiesto da parte ricorrente, non è invece prospettabile la cessata materia del contendere, atteso che il bene della vita è stato conseguito non grazie ad una successiva attività amministrativa integralmente satisfattiva dell'interesse azionata, ma in ragione della predetta sopravvenienza normativa; - che le motivazioni dell'improcedibilità giustificano la compensazione delle spese processuali. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta Stralcio, definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li dichiara improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Dalila Satullo - Presidente FF, Estensore Fabio Belfiori - Referendario Valentino Battiloro - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6655 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); nei confronti -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato La. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento decreto del direttore generale del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione, emesso in data 27.3.2019, e ciò nella parte in cui non include il nominativo della ricorrente nella graduatoria degli ammessi; del verbale n. 12 della sottocommissione n. 8 per la valutazione delle prove di esame; della scheda di valutazione dell'elaborato n. 2215 del ricorrente, del verbale del 25.1.2019 e dell'avviso pubblico del 19.4.2019 con i relativi allegati. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca e di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 27 settembre 2024 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il signor -OMISSIS- ha impugnato e chiesto l'annullamento del decreto del direttore generale del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione, emesso in data 27.3.2019, e ciò nella parte in cui non include il nominativo della ricorrente nella graduatoria degli ammessi; del verbale n. 12 della sottocommissione n. 8 per la valutazione delle prove di esame; della scheda di valutazione dell'elaborato n. 2215 del ricorrente, del verbale del 25.1.2019 e dell'avviso pubblico del 19.4.2019 con i relativi allegati. Il ricorrente ha, inoltre, chiesto la condanna dell'Amministrazione a procedere all'ammissione alla prova orale, o, in via gradata, alla nuova correzione dell'elaborato scritto della ricorrente, all'attribuzione di un valido giudizio di merito e all'eventuale espletamento della valutazione dei titoli e alle prove orali e sempre in ulteriore via gradata l'annullamento delle prove scritte con la ripetizione delle stesse in sede unica nazionale; nonché al risarcimento del danno patrimoniale e morale dovuto all'illegittimo comportamento della stessa Amministrazione, da accertarsi e liquidarsi anche in via equitativa. In sintesi è accaduto che il ricorrente non ha superato la prova scritta del concorso per l'accesso ai ruoli della dirigenza scolastica, indetto con decreto del M.I.U.R. n. 1259 del 23.11.2017 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 90 del 24.11.2017; in data 27.3.2019 il Ministero ha pubblicato l'elenco nominativo degli ammessi alla prova orale tra cui non figura il nominativo della ricorrente. A fondamento del ricorso ha dedotto i seguenti motivi: 1° ) violazione dell'art. 97 della Costituzione; eccesso di potere per difetto di motivazione ed illegittimità dei criteri di valutazione. In prima battuta, il ricorrente ha lamentato che non sarebbero stati predisposti "parametri di riferimento, ovvero "un giudizio tecnico, ancorché sintetico, che consenta di ricostruire il percorso logico giuridico che ha portato all'assegnazione del punteggio in forma numerica". Né i parametri di riferimento, in numero di quattro, risultano sufficienti, mancando, proprio nella scala di riferimento, una votazione rapportata a 70/100, requisito minimo di ammissione alle prove orali" (cfr. pag. 4). 2° ) Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta, travisamento dei fatti, sviamento, disparità di trattamento. Con tale motivo si è dedotto che "la sottocommissione 8, che ha corretto l'elaborato della ricorrente, nell'attribuire le votazioni ha applicato rigidamente la scala di riferimento, attribuendo solo i 4 punteggi indicati nella griglia; così facendo è stata inevitabilmente costretta ad arrotondare i punteggi attribuiti. Altre sottocommissioni (ad esempio la n. 34) ha utilizzato in maniera elastica la griglia di correzione, non limitandosi ai 4 punteggi indicati, ma assegnando punteggi (Livelli) che variano da 3,75-3,50- 3,25-1,75- 1,25 (all.11 Scheda n. 8567 e n. 8592 - 8423)". 3° ) Eccesso di potere. Con tale motivo la ricorrente ha lamentato che "in data 13/03/2019, ultimo giorno di correzione (...), in cui è stato corretto l'elaborato codice 2215 dell'odierno ricorrente (...), risulta che la sottocommissione riunitasi alle ore 8.20 concludeva i lavori alle ore 12.30; pertanto, nell'arco di tempo di 4 ore e 10 minuti (senza alcuna pausa?) la stessa procedeva alla valutazione di 22 elaborati. È dunque accertato che, in chiara violazione di quanto disposto e senza alcuna motivazione, il tempo medio dedicato alla valutazione degli elaborati ed alla compilazione delle schede di valutazione è stato di circa 11 minuti". 4° ) Eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà . Il ricorrente ha esposto di aver ottenuto un punteggio totale di 61/100, ma che tale esito sarebbe stato compromesso "dalle soggettive difficoltà incontrate dal candidato in conseguenza dell'invalidità da cui è affetto e per la quale è stato concesso da parte dell'USR Sicilia l'ausilio di una insegnante di sostegno in qualità di tutor (...) che si è occupata autonomamente di digitare sulla tastiera del computer quanto dettatole"; in sostanza, il software messo a disposizione da CINECA non avrebbe consentito uno svolgimento agevole della prova, con finale compromissione del risultato finale. 5° ) Violazione dei principi costituzionali di cui all'art. 97 della Costituzione, dell'art. 3 della legge 241/1990; eccesso di potere per manifesta iniquità, disparità di trattamento e lesione della par condicio, difetto d'istruttoria e di motivazione, contraddittorietà, illogicità ed irrazionalità dei giudizi. Con tale motivo la ricorrente ha contestato che la valutazione attribuita all'elaborato (43,80) risulterebbe "incongruente e non consente la ricostruzione del procedimento logico deduttivo seguito dalla commissione nell'utilizzo della griglia di valutazione", stigmatizzando l'irrazionalità dei voti negativi assegnati. In particolare, ha censurato la legittimità di alcuni criteri ("Coerenza e pertinenza con le competenze del Dirigente Scolastico previste dall'art. 25 del d.lgs. 165/2001"; "inquadramento normativo con un uso pertinente, consapevole e critico delle norme citate"; "sintesi, esaustività ed aderenza all'oggetto del quesito", per il quale ha chiesto l'attribuzione del massimo punteggio di 20). 6° ) Eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità ed irrazionalità relativi alla risposta al quesito n. 2. Il ricorrente ha stigmatizzato l'illegittimità della votazione relativa al quesito sopra indicato, deducendo che "l'elaborato risulta organico e con una corretta proprietà linguistica e costruzione logica. Pertanto non solo non è possibile immaginare le ragioni di tale negativa valutazione, ma la stessa si palesa tanto arbitraria quanto irragionevole": ha, quindi, chiesto l'attribuzione del punteggio massimo di 16. 7° ) Violazione dell'art. 35 del d.lgs. 165/2001, del principio di imparzialità ; eccesso di potere per perplessità sull'azione amministrativa. La ricorrente ha, altresì, censurato la trasparenza della procedura, rimarcato che "il dott. An. Fr. Ma., componente della 12ma sotto commissione Lazio, fa anche parte del Comitato tecnico scientifico nominato dal MIUR, comitato che, come sopra evidenziato, ha predisposto le prove di esame. Oltre al dott. Ma. risultano altri nominativi che hanno effettuato corsi di preparazione ed in particolare: Dott. Vi. Gi., Dott. Lu. Ma., docente nel corso di preparazione dirigente scolastico; emerge con evidenza che avere svolto corsi di preparazione e contemporaneamente fatto parte del Comitato Tecnico Scientifico ha comportato una disparità di trattamento fra i candidati preparati da soggetti che erano a conoscenza delle prove di esame". Tale illegittima posizione determinerebbe, pertanto, l'illegittimità dell'operato della sottocommissione. 8° ) Violazione dell'art. 8, punto 2 e 12 del bando di concorso. Ulteriore doglianza ha investito la legittimità della procedura concorsuale, nel senso che "il 17 ottobre 2018, a causa di ordinanza chiusura delle scuole nella città di Cagliari, la prova per la regione sarda è stata rinviata. Il MIUR, che in tale fattispecie, al fine di garantire la unicità della prova su scala nazionale, avrebbe dovuto disporre il rinvio della prova, come espressamente previsto dal bando di concorso, invece, ha pensato bene, in aperta violazione del bando stesso, di rinviare la prova scritta limitatamente ai candidati residenti in Sardegna e di fare espletare per il resto d'Italia la prova scritta, violando in tal modo, palesemente, il principio di unicità della prova scritta su tutto il territorio nazionale". 9° ) Violazione dell'art. 8, punto 4 e 9 del bando di concorso. Il ricorrente ha, inoltre, dedotto che "in violazione a quanto disposto dal bando su cinque quesiti assegnati due di essi consistevano nella soluzione di un caso concreto, oggetto della prova orale così come previsto dall'art 9 c. 2". 10° ) Eccesso di potere sotto il profilo della disparità di trattamento. violazione della par condicio dei concorrenti. non unicità e non simultaneità della prova a livello nazionale. Il ricorrente ha, inoltre, contestato che "il giorno 17 ottobre 2018 venivano pubblicati la bibliografia ed i quadri di riferimento; gli stessi venivano mantenuti per la prova suppletiva (tenuta in data 13 dicembre 2018 da parte dei concorrenti della regione Sardegna). Quindi i candidati che hanno sostenuto la prova in data 13/12/2018 hanno potuto usufruire dei quadri di riferimento e della relativa bibliografia con ben 55 giorni di anticipo rispetto alla tempistica prescritta dal bando. Tale opportunità (metodologia di valutazione, fonti bibliografiche e sitografiche per la prova della lingua straniera) si è tradotta in un indiscutibile vantaggio". 11° ) Violazione dell'art. 15, comma 8 del DM 138/2017. Il ricorrente ha, ancora, contestato che "nessun valido coordinamento è stato esercitato dal presidente della commissione iniziale al fine di consentire un'applicazione uniforme dei criteri di correzione. La violazione del principio base regolatore delle procedure concorsuali, ovvero quello della necessaria uniformità valutativa, assicurata appunto attraverso il coordinamento del Presidente della commissione è venuto meno". 12° ) Violazione del principio di buon andamento ed imparzialità . Il ricorrente ha, altresì, lamentato che "per tutta la durata della prova il codice alfanumerico unitamente al codice fiscale ed al documento di identità di ogni candidato si trovava poggiato in evidenza sulla postazione assegnata, ben visibile dal personale di vigilanza (...). Necessita ulteriormente premettere che il computer non era on line, e non si conoscono le modalità di trasmissione degli elaborati. Infine, le buste contenenti il codice alfanumerico e i dati anagrafici di ogni concorrente con relativa sottoscrizione dei candidati sono state chiuse senza alcuna sigillatura da parte del comitato di vigilanza, non è dato sapere come nelle successive operazioni di spostamento al MIUR sia stato garantito l'anonimato, atteso che nel verbale di scioglimento dell'anonimato non si fa alcun cenno al sistema informatico di trasmissione degli elaborati". 13° ) Violazione del DPR 487/94 sul diritto di accesso agli atti delle procedure concorsuali. Ancora, il ricorrente ha lamentato l'omessa ostensione di tutti gli atti della procedura concorsuale, compresi quelli degli altri concorrenti. 14° ) Mancata presenza di testimoni durante la randomizzazione degli elaborati. Infine, il ricorrente ha contestato la legittimità della distribuzione degli elaborati alle varie sottocommissioni. 15° ) Irregolare partecipazione in videoconferenza, non prevista dal regolamento, del presidente della sottocommissione n. 8. Da ultimo, il ricorrente ha contestato che il prof. Ca. Bo. non ha partecipato alla riunione plenaria del 25.1.2019 tenutasi presso il MIUR. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca e, in qualità di controinteressata, la signora -OMISSIS-. Con motivi aggiunti depositati in data 27.10.2019 il ricorrente ha impugnato il provvedimento di approvazione della graduatoria dei vincitori con la conseguenziale immissione nei ruoli dei dirigenti scolastici dei vincitori, deducendone l'illegittimità in via derivata con richiamo ai motivi del ricorso principale. Ed ancora, con motivi aggiunti depositati in data 28.11.2020 il ricorrente ha impugnato il decreto dipartimentale n. 986 del 6.8.2020 ed il relativo allegato, sempre per illegittimità derivata. Ed infine, con motivi aggiunti depositati in data 28.11.2021 la ricorrente ha impugnato il decreto dipartimentale n. 1357 del 12.8.2021, ancora per illegittimità derivata. In vista dell'udienza di discussione del merito, con ordinanza presidenziale del 4 marzo 2024, n. 1206, è stata autorizzata l'integrazione del contraddittorio per pubblici proclami sul sito web dell'Amministrazione. All'udienza pubblica del 27 settembre 2024 la causa è stata trattenuta per la decisione. DIRITTO Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto. Non coglie nel segno il primo motivo, afferente alle regole della disciplina concorsuale, tenuto conto che, dall'esame degli atti di causa, emerge che i criteri di valutazione delle prove sono stati individuati nella riunione plenaria del 25 gennaio 2019 in cui la commissione ha approvato la griglia di valutazione (compressiva dei criteri e degli specifici indicatori), così com'era stata predisposta dal comitato tecnico scientifico, istituito ai sensi dell'art. 13 del DM 3 agosto 2017, n. 138. L'approvazione di tale griglia sostanzia la fissazione di precisi e vincolanti criteri per tutti i commissari, indipendentemente dal fatto che, nella riunione preliminare alcuni di questi (come il prof. Ca. Bo.) non vi avessero partecipato: il che depone, altresì, per il rigetto del quindicesimo motivo. Neppure il secondo motivo profila censure condivisibili. L'asserita inadeguatezza del software che ha gestito lo svolgimento della prova scritta e l'inadeguatezza dei supporti di sostegno ai concorrenti affetti da disabilità non pujò certo comportare l'illegittimità delle operazioni oggetto della procedura controversa. A tal proposito, va ricordato che questo Tribunale ha già ritenuto infondate censure analoghe a quelle proposte nel presente giudizio, osservando che le contestazioni proposte dai candidati alla procedura avverso il sistema informatico utilizzato dalla p.a. resistente "possono essere raggruppate nell'ambito di due tipologie: le "disfunzioni" attribuibili ad una specifica e voluta impostazione del programma informatico (ossia il software) e quelle derivanti dal cattivo funzionamento della strumentazione informatica (hardware) messa a disposizione dei candidati. Semplificando, possono essere ricondotte nell'ambito della prima tipologia le seguenti "disfunzioni": a) funzioni "taglia", "copia" e incolla" disabilitate; b) lay-out grafico fuorviante; c) schermata riepilogativa non conforme a quella del tutorial del MIUR; h) correttore automatico disabilitato; i) assenza report finale; l) salvataggio non automatico; m) pagine "vuote". Mentre sono riconducibili alla seconda tipologia le seguenti: d) barra spaziatrice difettosa; e) tasti danneggiati; f) tasto "shift" incantato; g) dimensione dei caratteri diversa tra le postazioni. Con riferimento alla prima tipologia il Collegio rileva come la gran parte di tali questioni, seppure riferite da parte ricorrente come "disfunzioni" che avrebbero determinato un aggravamento della prova ed un inutile dispendio di tempo, si configurano in realtà come delle modalità di funzionamento dell'applicativo utilizzato dal Ministero e rese note a tutti i candidati prima dello svolgimento della prova mediante la pubblicazione sul sito istituzionale del ministero delle relative istruzioni. Come accertato in giurisprudenza, qui richiamabile in virtù del principio iura novit curia, siffatte istruzioni prevedevano espressamente l'onere dell'utilizzo del tasto conferma e procedi per salvare le risposte date e dunque per evitare la generazione di pagine "vuote"; in particolare poi era specificato anche che "...Per l'ultima domanda, cliccando sul pulsante "Conferma e Procedi", si procederà alla conferma della risposta ed alla visualizzazione della pagina di riepi. Si deve cliccare su "Conferma e Procedi" per tutte le risposte, sia aperte che chiuse, compresa l'ultima. Sarà sempre possibile tornare alla domanda precedente tramite il tasto "torna alla domanda precedente". Se si cambia la risposta (sia aperta che chiusa) occorre confermare la modifica tramite il bottone "Conferma e Procedi".". Parimenti è a dirsi per la disattivazione delle funzioni "copia", "taglia" e "incolla" e di quella del correttore automatico, che l'amministrazione ha nell'impostazione del programma ritenuto di espungere. Si tratta di scelte rimesse alla discrezionalità dell'amministrazione e che appaiono peraltro non solo razionali e logiche (anche per le prove scritte svolte senza il supporto informatico non vi è di certo la possibilità di utilizzare tali funzioni), ma altresì poste a garanzia degli stessi candidati poiché il richiedere, ogni volta che si inseriscono risposte o modifiche di queste, la conferma della volontà di voler salvare il testo così inserito consente ai candidati di avere piena consapevolezza delle conseguenze di operazioni (come il semplice pigiare di un tasto) che per la loro facilità ed immediatezza potrebbero essere compiuti anche in maniera meramente automatica. Risulta quindi che qualora i candidati non avessero cliccato "Conferma e procedi", ma avessero cliccato sul bottone "Vai alla pagina di riepi" o "Torna alla domanda precedente", il sistema li avvisava e avveniva quanto segue: - 1. il sistema tramite apposita finestra di conferma avvisava i candidati che, siccome non era stata confermata la risposta se tornavano alla domanda precedente avrebbero perso la risposta digitata. - 2. Se i candidati confermavano di voler tornare alla domanda nei log viene registrato il messaggio "Il candidato ha deciso di non salvare la risposta per la domanda" che significa che i candidati hanno scelto di non salvare la risposta. Appare dunque evidente la razionalità e logicità di adempimenti richiesti proprio al fine di garantire che la prova nel testo salvato e sottoposto poi alla valutazione della Commissione fosse realmente quella corrispondente alla volontà del candidato, finalità che invece sarebbe stata lesa se il sistema avesse salvato automaticamente a prescindere dalla manifestazione di volontà del candidato e in assenza di qualsiasi avvertimento o conoscenza di simili effetti che dunque sarebbe conseguiti alla mera scrittura del testo di risposta. Con riferimento poi al lay-out grafico fuorviante perché ritenuto non conforme agli standard in utilizzo nella prassi ed alla schermata riepilogativa non conforme a quella del tutorial del MIUR poiché le risposte salvate erano contrassegnate con il blu e quelle da completare in rosso, il Collegio in primo luogo non può non rilevare l'assoluta carenza di prova di resistenza sugli effetti positivi che, eliminate tale condizioni, sarebbero derivate sull'esito della prova sostenuta dalla ricorrente ed in secondo luogo ne rileva la palese infondatezza posto che, per quanto probabilmente sempre migliorabile, non sembra sussistere alcuna previsione che imponga una determinata impostazione visiva della pagina di lavoro o escluda quella utilizzata nel concorso in questione; quanto poi all'inversione dei colori (rosso e blu) per evidenziare nella schermata riepilogativa le risposte date e quelle ancora da dare, essa appare un mero errore materiale probabilmente più addebitabile al tutorial che non al sistema informatico atteso che nella prassi ricorrente e nella forma mentis che ne deriva è proprio il colore rosso ad essere utilizzato per attirare l'attenzione su errori o parti mancanti. Si tratta dunque in sostanza di doglianze tutte infondate perché non costituenti affatto disfunzioni o mal funzionamenti del sistema e comunque riconducibili a scelte discrezionali o addirittura di merito dell'amministrazione. Relativamente alle "disfunzioni" riferite alla seconda tipologia, il Collegio ne ritiene l'infondatezza perché non supportate da alcun supporto probatorio da parte della ricorrente, posto che esse sono riferite genericamente a quanto sarebbe occorso a taluni candidati, ma nulla è detto, né tantomeno viene allegato, in merito al se il computer messo a sua disposizione in occasione della prova presentasse tali problematiche (con relativo onere di contestare tale circostanza immediatamente alla commissione o al personale di assistenza e chiederne la verbalizzazione); risultando per altro verso che le postazioni dotate di attrezzature informatiche e munite dell'applicativo software del concorso, messe a disposizione dei candidati, erano state collaudate da tecnici individuati dalle amministrazioni scolastiche" (cfr. Tar Lazio, 15 maggio 2023, nn. 8241 e 8236, nonché id., 22 maggio 2023, n. 8669 e 8673). Ancora, con riferimento alla medesima procedura concorsuale, è stato evidenziato che "le critiche espresse nel ricorso al sistema di software prescelto dalla amministrazione appartengono ad una dimensione puramente tecnica, priva di incidenza sulla posizione delle ricorrenti e sull'intero concorso" e che "quanto alla deduzione per cui non si può avere certezza del corretto trattamento delle prove d'esame, è evidente come essa non possa certo determinare un'inversione dell'onere della prova che incombe in capo alla parte ricorrente" (cfr. Tar Lazio, 9 maggio 2022, n. 5768 e id., 30 maggio 2022, n. 6970) A ciò deve aggiungersi che con riferimento ad analoghe doglianze, il giudice d'appello ha avuto modo di evidenziare che "relativamente alle dedotte disfunzionalità del software, il motivo è infondato non essendo state allegate disfunzioni concrete e specifiche (infatti, se effettivamente il sistema informatico avesse fatto registrare anomalie, sarebbe stato onere della ricorrente rappresentare tale circostanza alla commissione o al personale di assistenza presente alla prova e pretendere una verbalizzazione sul punto), e risultando per altro verso che le postazioni dotate di attrezzature informatiche e munite dell'applicativo software del concorso, messe a disposizione dei candidati, erano state più volte collaudate da tecnici individuati dalle amministrazioni scolastiche" (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 12 gennaio 2021, n. 395). Possono, poi, essere esaminati congiuntamente, per ragioni di affinità tematica, il terzo, quarto, quinto e sesto motivo, che afferiscono alla specifica valutazione riservata al ricorrente. Si tratta di censura infondate. Per quanto riguarda i motivi terzo, quinto e sesto è noto che, per giurisprudenza pacifica, il "voto numerico attribuito dalle competenti commissioni alle prove o ai titoli nell'ambito di un concorso pubblico o di un esame - in mancanza di una contraria disposizione - esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della commissione stessa, contenendo in sé stesso la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni. Quale principio di economicità amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla commissione nell'ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato e la significatività delle espressioni numeriche del voto, sotto il profilo della sufficienza motivazionale in relazione alla prefissazione, da parte della stessa commissione esaminatrice, di criteri di massima di valutazione che soprassiedono all'attribuzione del voto, da cui desumere, con evidenza, la graduazione e l'omogeneità delle valutazioni effettuate mediante l'espressione della cifra del voto, con il solo limite della contraddizione manifesta tra specifici elementi di fatto obiettivi, i criteri di massima prestabiliti e la conseguente attribuzione del voto" (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 9 aprile 2024, n. 3235). Si tratta di votazioni assegnate nel rispetto di preventivi riferimenti, ossia sulla base di una dettagliata griglia di correzione redatta dal comitato tecnico scientifico, istituito ai sensi dell'art. 13 del DM 3 agosto 2017, n. 138, che è stata approvata nella seduta del 25 gennaio 2019 e ha preso espressamente in considerazione sia i criteri sia gli indicatori specifici. Con riguardo, invece, al quarto motivo, le denunciate disfunzioni del programma di risposta (che avrebbero, a dire del ricorrente, precluso la possibilità di utilmente completare la prova) non sono state dimostrate, potendo, tali inconvenienti, essere imputati all'incapacità di correttamente seguire le istruzioni d'uso pubblicate sul sito web del MIUR, corredate da video dimostrativo. Privo di fondamento è anche il settimo motivo, afferente alla posizione di alcuni commissari. In primo luogo, va considerato che, per giurisprudenza costante, "la contestazione della composizione della commissione giudicatrice di un concorso - salvi i casi di macroscopica incompetenza tecnica dei suoi componenti o di palese conflitto di interessi - se non dedotta "ab initio", nei termini decorrenti dalla partecipazione al concorso o dalla piena conoscenza dell'atto di nomina, è ammissibile successivamente solo se corredata da un'adeguata prospettazione e deduzione circa la concreta ed effettiva incidenza negativa, di tale asseritamene errata composizione, sulla valutazione delle prove del ricorrente o, comunque sull'esito complessivamente ingiusto della procedura. In sostanza, la doglianza di errata composizione della Commissione giudicatrice non può "ex se" giustificare l'azzeramento della procedura: o essa denuncia vizi macroscopici, che dimostrano da soli, in modo diretto e assiomatico, il pregiudizio per il buon andamento della procedura, che non può dunque essere recuperata, oppure, quando si tratti di presunti vizi formali che di per sé non evidenziano alcun automatico vulnus sulla qualità tecnica e sulla imparzialità dei giudizi forniti dalla Commissione, sarà onere del ricorrente, che propone il motivo, se non dimostrare, quanto meno dedurre e prospettare, in modo serio, analitico e argomentato i modi e le ragioni per cui, nello specifico caso concreto, quell'errata e illegittima composizione della Commissione ha inficiato il giudizio della sua prova o, comunque, l'esito complessivo del concorso" (cfr. T.A.R. Campania - Napoli, 14 settembre 2010, n. 17412). Tanto premesso, come del resto evidenziato dal Consiglio di Stato (cfr. sez. VI, 12 gennaio 2021, n. 396) "la natura tassativa delle cause di incompatibilità esclude ogni tentativo di applicazione analogica o interpretazione estensiva, attesa l'esigenza di assicurare la certezza dell'azione amministrativa e la stabilità della composizione delle commissioni esaminatrici"; e "secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, le fattispecie di incompatibilità non possono trovare un'applicazione meramente formalistica, ma occorre altresì verificare se la situazione concreta dedotta in giudizio sia idonea ad incidere sul giudizio della commissione medesima nel senso di orientarlo a favore di un candidato (o di un gruppo di candidati) piuttosto che di un altro, sicché - ai fini dell'integrazione della fattispecie di cui al citato art. 35, comma 3, lettera e), d.lgs. n. 165/2001 - devono sussistere elementi concreti, univoci e concordanti idonei a dimostrare l'influenza che un componente della commissione possa avere esercitato in favore di alcuni candidati per avere rivestito un ruolo decisivo o significativo all'interno dell'amministrazione che indice il concorso". Tanto premesso, non vi è prova che i membri indicati dalla ricorrente (nella specie: Ma., Ginardi, Martano) abbiano fornito un qualsiasi apporto causale nella determinazione dei criteri valutativi ed abbiano addirittura inciso sulla trasparenza delle operazioni concorsuali, alterandone il risultato. Piuttosto, dal verbale della seduta plenaria della commissione del 25 gennaio 2019 (composta dalla commissione centrale e dalle 37 sotto-commissioni) si evince che essa è stata convocata al fine di "visualizzare nella piattaforma la schermata nella quale sono riportati i quesiti e la risposta individuata come corretta dal Comitato tecnico scientifico istituito con D.M. n. 263/2018 e s.m.i." in quanto, trattandosi di domande a risposta chiusa, non era necessario predisporre un'apposita griglia di correzione. Per quanto concerne, infine, la posizione del commissario Ma. si evidenzia che l'articolo 16, comma 2, lett. a) del DM 138/2017 prevede che i presidenti, i componenti e i componenti aggregati della Commissione e delle sottocommissioni del concorso non possono "essere componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, ricoprire cariche politiche e essere rappresentanti sindacali, anche presso le Rappresentanze sindacali unitarie, o essere designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali; né esserlo stati nell'anno antecedente alla data di indizione del concorso". Si tratta di una previsione che riproduce il disposto dell'art. 35, comma 3, lett. e) del d.lgs. 165/2001, secondo cui le commissioni per il reclutamento nelle pubbliche amministrazioni sono composte "esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, scelti tra funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime, che non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali". Ciò posto, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che "le fattispecie di incompatibilità non possono trovare un'applicazione meramente formalistica, ma occorre altresì verificare se la situazione concreta dedotta in giudizio sia idonea ad incidere sul giudizio della commissione medesima nel senso di orientarlo a favore di un candidato (o di un gruppo di candidati) piuttosto che di un altro, sicché - ai fini dell'integrazione della fattispecie di cui al citato art. 35, comma 3, lett. e), d.lgs. n. 165 del 2001 - devono sussistere elementi concreti, univoci e concordanti idonei a dimostrare l'influenza che un componente della commissione possa avere esercitato in favore di alcuni candidati per avere rivestito un ruolo decisivo o significativo all'interno dell'amministrazione che indice il concorso" (cfr. T.A.R. Sicilia - Catania, 11 maggio 2022, n. 1291). Ne consegue che "l'incompatibilità tra l'incarico di componente delle commissioni esaminatrici e la titolarità di cariche politiche deve essere esclusa per coloro i quali ricoprano la carica politica in enti o amministrazioni diverse da quella che procede alla selezione, fermo restando che, in tali casi, per escludere l'incompatibilità è anche necessario accertare che la sfera di influenza dell'attività svolta dal soggetto ricoprente cariche politiche in amministrazioni diverse, non estenda i suoi effetti anche sull'ente che indice la selezione" (cfr. T.A.R. Sardegna, 27 giungo 2016, n. 532). Detto altrimenti, il "divieto di ricoprire cariche politiche da parte dei commissari di concorso non è violato dall'assunzione della funzione di membro della Commissione da parte di un soggetto che ricopra la carica di consigliere comunale, poiché tale causa di incompatibilità può essere estesa anche a i soggetti che ricoprano cariche politiche presso Amministrazioni Pubbliche diverse da quella procedente solo nel caso in cui vi sia un qualche elemento di possibile incidenza tra l'attività esercitabile da colui che ricopre la carica e l'attività dell'ente che indice il concorso" (cfr. T.A.R. Campania - Napoli, 5 agosto 2019, n. 4255). Insomma, nel caso di specie, in difetto di una prova contraria, non è possibile ravvisare alcun pericolo, neppure remoto, di incidenza sul neutrale svolgimento del concorso. Pure infondato è l'ottavo motivo, esaminabile congiuntamente al decimo, con cui è stata contestata la violazione del principio di unicità e contestualità delle prove concorsuali nelle diverse regioni d'Italia. Ai sensi dell'art. 8, comma 2, del DDG 1259 del 23 novembre 2017 la "prova scritta è unica su tutto il territorio nazionale e si svolge in una unica data in una o più regioni, scelte dal Ministero, nelle sedi individuate dagli USR", con la precisazione, di cui al successivo comma 9, che qualora "per cause di forza maggiore sopravvenute, non sia possibile l'espletamento della prova scritta nella giornata programmata, ne viene stabilito il rinvio con comunicazione, anche in forma orale, ai candidati presenti". Si tratta di un'ipotesi che, ad avviso del Collegio, è perfettamente corrispondente all'improvvisa ed imprevedibile chiusura delle scuole, disposta dalle competenti autorità sarde. Del resto, sarebbe stato del tutto irragionevole disporre il rinvio della prova su tutto il territorio nazionale a causa dell'oggettiva impossibilità di svolgimento nella data prestabilita nella sola Regione Sardegna. A ciò si aggiunga che lo stesso ricorrente non ha offerto alcun principio di prova - ma solo generiche asserzioni e congetture - in ordine all'indebito vantaggio di cui avrebbero fruito i concorrenti sardi, anche alla luce del fatto che il Ministero ha espressamente specificato che le domande proposte alla sessione del dicembre 2018 erano diverse e la loro difficoltà era equivalente a quella dei questi precedenti. Nel verbale del 26 novembre 2018 è stato, infatti, accertato che "tutti i quesiti sono equivalenti e che tutte le tracce ancora presenti in piattaforma, con esclusione di quelle somministrate il 18 ottobre u.s. e di quelle pubblicate sul sito del MIUR, sono e continueranno ad essere coperte dal carattere di riservatezza, in conformità con l'impegno assunto da ciascun componente e coordinatore al momento dell'assunzione dell'incarico". Né tali considerazioni possono essere inficiate dal fatto che le prove nelle altre sedi non sarebbero iniziate contemporaneamente in quanto, neanche in questo caso, parte ricorrente ha fornito alcun elemento in grado comprovare le proprie asserzioni; e ciò, soprattutto a fronte di quanto significato nella relazione del Ministero, in cui è stato evidenziato che "i computer utilizzati dai candidati per lo svolgimento della prova sono stati preventivamente scollegati da internet e che l'eventuale utilizzo di telefoni cellulari o di qualsiasi altro strumento idoneo alla memorizzazione o alla trasmissione di dati in sede concorsuale avrebbe rappresentato un comportamento fraudolento sanzionato dall'art. 8, comma 13 del Bando con l'esclusione dal concorso". Con riguardo, poi, alla contestazione afferente l'illegittima strutturazione dei quesiti, dedotta con il nono motivo, nel senso che si sarebbe trattato di veri e propri "casi" da risolvere, ciò causando - a dire del ricorrente - la patente violazione della disciplina concorsuale, è sufficiente richiamare quanto già evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa in merito a censure analoghe proposte con riferimento al medesimo concorso, ossia che tale doglianza "impinge nel merito delle determinazioni rimesse alla discrezionalità tecnica della commissione, in parte qua non inficiate da macroscopica illogicità o irragionevolezza" (cfr. Consiglio, sez. VI, 12 gennaio 2021, n. 395). La prova di un prestabilito svolgimento delle operazioni concorsuali depone per il rigetto anche dell'undicesimo motivo, afferente a doglianze relativa a profili organizzativi cui il ricorrente non ha riferito alcuna, specifica, incidenza riguardante lo svolgimento della propria prova ed il relativo esito. Insussistente è, poi, la violazione del principio dell'anonimato, dedotta con il dodicesimo motivo. Come noto, nei concorsi pubblici il criterio dell'anonimato nelle prove scritte delle procedure di concorso, nonché in generale in tutte le pubbliche selezioni, costituisce il diretto portato del principio costituzionale di uguaglianza, buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione. Per giurisprudenza costante, infatti, "nell'ambito dei concorsi a pubblici impieghi, la violazione del principio dell'anonimato da parte della commissione può comportare una illegittimità da pericolo c.d. astratto per cui va fornito un principio di prova da parte dei candidati interessati sulla possibilità che tale violazione possa tradurre in concreto quel pericolo astratto" (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 17 ottobre 2022, n. 8803). Nello specifico, con la nota prot. 0041127 del 18.9.2018 il Ministero ha stabilito che: "Il candidato estrae un codice personale anonimo dall'urna (si ricorda che i codici sono stampati in numero triplo rispetto al numero dei candidati previsti). - Successivamente, il responsabile tecnico d'aula carica sul sito https://concorsodirigentiscolastici.miur.it tutti i file criptati presenti nella chiavetta USB. - In particolare, cliccando sul bottone di upload dei risultati verrà visualizzata la finestra da cui selezionare la sorgente dei risultati (chiavetta USB) e dovrà caricare tutti i file.BAC. - In questo modo gli elaborati dei candidati saranno messi a disposizione della commissione esaminatrice per la successiva fase di correzione. - Successivamente i candidati controfirmeranno il registro cartaceo d'aula per attestare l'uscita e potranno allontanarsi dall'aula. - Al termine della prova deve essere redatto apposito verbale d'aula che deve dare evidenza di tutte le fasi essenziali della prova e di eventuali accadimenti particolari. - Si ricorda che anche per le aule con più di 1 responsabile tecnico d'aula è previsto un unico verbale d'aula. - Un fac-simile di verbale d'aula è disponibile sulla pagina d'aula. - Il verbale d'aula va firmato dai componenti del Comitato di Vigilanza - Occorre scannerizzarlo e caricarlo, unitamente al registro d'aula, nella pagina d'aula completo di ogni eventuale allegato. Si prega di richiamare l'attenzione dei comitati di vigilanza sull'importanza di tale adempimento, necessario a garantire la disponibilità degli atti della procedura al fine di dare riscontro ad eventuali richieste di accesso agli atti da parte di questa Direzione generale. - Al termine delle operazioni di upload e dopo aver caricato il verbale d'aula il referente tecnico d'aula dovrà dichiarare la fine dei lavori tramite il pulsante "Termina le operazioni per la prova" sul sito https:/concorsodirigentiscolastici.miur.it. - Successivamente, il responsabile tecnico d'aula si recherà davanti ad ogni postazione e procederà a chiudere e disinstallare l'applicazione software della prova". Con la predetta nota il Ministero ha, altresì, precisato che "lo scopo del codice personale anonimo è duplice. Il primo è quello di disaccoppiare la prova dall'identità del candidato che l'ha svolta. Il secondo è quello di assicurare la non ripudiabilità della prova. In estrema sintesi il codice sarà associato alla prova del candidato e riportato all'interno della prova salvandolo con essa all'interno del file criptato. Questo file, che custodisce l'elaborato del candidato ed il codice personale anonimo, non conterrà invece alcuna informazione relativa al candidato. L'associazione tra l'identità del candidato ed il codice personale anonimo (e di conseguenza con la prova criptata) sarà custodita nella busta cartacea internografata che sarà aperta solo ad avvenuta correzione di tutti gli elaborati da parte della commissione giudicatrice. Va inoltre precisato che neppure la commissione giudicatrice, fino a che non aprirà le buste, potrà vedere la corrispondenza fra prova e codice personale anonimo in modo da assicurare una correzione del tutto anonima. Quindi, la procedura che utilizza il file criptato, contenente elaborato e codice personale anonimo, e la busta cartacea internografata, contenente modulo anagrafico (e quindi l'identità del candidato) e il codice personale anonimo (univoco ed estratto a caso e controfirmato dal candidato stesso), assicura la non ripudiabilità dell'elaborato da parte del candidato. Si precisa, inoltre, che il file criptato che contiene il codice personale anonimo e l'elaborato del candidato assicura che nessuno possa modificarne il contenuto o cambiare l'associazione tra candidato e prova". A ciò si deve aggiungere che, sempre secondo la predetta direttiva, "la busta A4 contenente i codici personali, sigillata e siglata sui lembi dal comitato di vigilanza, dovrà essere inserita e conservata, unitamente alla chiavetta USB, ai codici personali non estratti, agli originali dei verbali d'aula e del registro cartaceo, nel plico A3 predisposto per la prova scritta, sui cui lembi di chiusura il comitato di vigilanza apporrà la firma e la data. Su tale ultimo plico dovrà essere riportato il numero delle bustine (contenenti moduli anagrafici e codici personali) nello stesso custoditi e il numero dei candidati". Poiché, quindi, la procedura in esame ha previsto, proprio per assicurare l'anonimato delle prove, la presenza di ben tre buste sigillate racchiuse una all'interno dell'altra, la censura della ricorrente, formulata, peraltro, in modo del tutto generico, è destituita da ogni fondamento. Del resto, nella propria relazione sui fatti di causa il Ministero ha precisato che quando "una commissione accedeva alla piattaforma WEB per correggere i compiti poteva visualizzare (come è facilmente riscontrabile dai verbali) solo il codice di correzione del compito e le risposte in esso contenute. La commissione non poteva in alcun modo risalire al codice anonimo associato al codice di correzione, in quanto tale associazione era conservata unicamente nel database CINECA, che è protetto. La commissione era quindi "cieca" rispetto al codice anonimo e, in generale, all'identità del candidato". Si tratta di una procedura a "doppio cieco" in cui "la commissione, quando corregge i compiti, non vede nessuna informazione riguardante i candidati, e quando carica in piattaforma l'associazione candidato-compito (aprendo la busta internografata) non vede quale compito - e quindi quale voto - sta associando al candidato. In questo modo l'anonimato è assolutamente tutelato"; dopodiché, associati "tutti i codici fiscali a tutti i codici anonimi, si aveva quindi accesso al riepi dei risultati (in questo momento, sul database CINECA era presente l'associazione tra codice fiscale del candidato e codice anonimo e anche quella tra il codice anonimo e il compito e quindi il voto) sulla base del quale è stata predisposta la lista degli ammessi alla prova orale". Da ultimo, non è fondato nemmeno il tredicesimo motivo, con cui il ricorrente ha lamentato la limitazione della possibilità di conoscere i dati afferenti ad altri concorrenti e di accedervi liberamente: si tratta, con tutta evidenza, di una previsione direttamente funzionalizzata a garantire le prerogative di riservatezza sottese alla posizione degli stessi candidati e dovendosi, comunque, considerare che le garanzie di ostensione sono assicurate dal combinato disposto tra gli artt. 22 e 25 della legge 241/1990. È, poi, inammissibile per genericità il quattordicesimo motivo, non essendo comprensibile quale concreta conseguenza sarebbe stata imputata dal ricorrente alle modalità di distribuzione interna degli elaborati da correggere. Il rigetto del ricorso principale comporta, con ogni evidenza, il rigetto dei due ricorsi per motivi aggiunti, comprese le domande risarcitorie. Le spese di lite possono essere compensate, tenuto conto della particolarità della fattispecie. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Fanizza - Presidente FF, Estensore Giuseppe Grauso - Referendario Marco Arcuri - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1352 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ra. Iz. e Li. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Iz. e Associati in Roma, via (...); contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, Corte dei Conti - Ufficio della Presidenza, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); sul ricorso numero di registro generale 1955 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ra. Iz. e Li. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Iz. e Associati in Roma, via (...); contro Corte dei Conti, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per l'accertamento quanto al ricorso n. 1352 del 2019: della responsabilità della Corte dei conti per i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dal dott. -OMISSIS- per effetto della condotta della medesima Corte nonché per effetto dell'illegittimità del provvedimento di rimozione (adottato con delibera -OMISSIS- del 7 maggio 2014 del Consiglio di presidenza), accertata con sentenza n. -OMISSIS-/2018 resa dal Consiglio di Stato e pubblicata il 20 febbraio 2018, e, per l'effetto, per la condanna della Corte dei conti al risarcimento in favore del ricorrente, del danno non patrimoniale, allo stato quantificabile, nella misura di Euro 157.407,96 per la componente di danno biologico, nella misura di Euro 78.703,98, per la componente di danno morale, e nella misura di Euro 660.000,00, per la componente del danno alla reputazione, ovvero alla maggiore o minor somma, da accertarsi in via equitativa ex art. 1226 c.c.; con riguardo ai profili patrimoniali, alla ricostruzione della carriera del dott. -OMISSIS- ricomprendente, oltre le differenze stipendiali rispetto al trattamento economico che sarebbe spettato all'interessato nel suo naturale stato di servizio, anche le conseguenti differenze sul relativo trattamento pensionistico e sul trattamento accessorio di fine rapporto, anche mediante l'applicazione dell'art. 34, comma 4, del c.p.a.; il tutto oltre interessi e rivalutazione; quanto al ricorso n. 1955 del 2024: per l'ottemperanza alla sentenza della Sez. I del TAR Lazio - Roma n. -OMISSIS- del 27 marzo 2014, confermata in appello dalla Sez. IV del Consiglio di Stato con sentenza -OMISSIS- del 2 febbraio 2016, passata in giudicato; alla sentenza della Sez. I del TAR Lazio - Roma n. -OMISSIS- del 26 aprile 2017, confermata in appello dalla Sez. V del Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS- del 20 febbraio 2018, passata in giudicato, previo accertamento della nullità del provvedimento del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti adottato il 16 aprile 2019 (-OMISSIS- del 21 maggio 2019), notificato al ricorrente il 23 maggio 2019, che rigetta nuovamente l'istanza di trattenimento in servizio del dott. -OMISSIS-. Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Corte dei Conti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 maggio 2024 la dott.ssa Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con ricorso r.g. n. 1352/2019 -OMISSIS- ha chiesto la condanna della Corte dei conti al risarcimento in suo favore dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per effetto dell'illegittimità del provvedimento di rimozione del 7 maggio 2014, accertata con sentenza n. -OMISSIS-/2018 del Consiglio di Stato. Il ricorrente ha dedotto che nel 2003 era stato indagato, unitamente ad altri soggetti, per i reati di cui agli artt. 319 e 321 c.p. e, nella pendenza del procedimento, aveva presentato le proprie dimissioni; il procedimento penale si era concluso con il proscioglimento per prescrizione, a seguito del quale il ricorrente aveva inoltrato alla Corte dei Conti la richiesta di revoca della domanda di collocamento a riposo, cui la Corte non dava seguito, accettando, invece, le dimissioni originariamente presentate. Con la sentenza del Consiglio di Stato -OMISSIS- del 16 gennaio 2008 era stata accertata l'illegittimità del provvedimento con cui non era stata accolta la domanda di revoca presentata il 30 maggio 2006, e ciò in quanto la comunicazione del provvedimento di accettazione delle dimissioni era avvenuta il 6 giugno 2006, successivamente alla comunicazione della revoca (sulla vicenda erano intervenute in precedenza, tutte con il medesimo esito, l'ordinanza n. -OMISSIS- del 26.7.2006, la sentenza n. -OMISSIS- del 2.2.2007 del TAR del Lazio e l'ordinanza n. -OMISSIS- del 12 giugno 2007 del Consiglio di Stato). Inoltre, a seguito dell'avvio del procedimento penale, era stata disposta una prima sospensione cautelare dall'esercizio delle funzioni in base all'art. 13, comma 2, del Regolamento di disciplina della Corte dei conti; tale misura era stata sospesa dal TAR, con decisione poi confermata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. -OMISSIS- del 30 luglio 2007. Successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio formulata nell'ambito del procedimento penale, la Corte dei conti aveva nuovamente sospeso in via cautelare l'interessato, revocando poi la sospensione in seguito all'istanza di riesame presentata dal ricorrente. Il Tribunale di Roma, il 14 marzo 2011, aveva ritenuto il ricorrente responsabile, insieme agli altri imputati, del reato ascritto, di tal che la Corte dei Conti, ritenendo applicabile al personale di magistratura la disciplina dettata dalla legge n. 97/2001, aveva disposto la sospensione dell'interessato dalle funzioni e dallo stipendio, con delibera -OMISSIS-/CP/2011 del 12 aprile 2011. Tuttavia, all'interessato era stato negato l'assegno alimentare che, ai sensi dell'art. 13 del Regolamento di disciplina, doveva essere riconosciuto in tale ipotesi; il ricorrente aveva quindi impugnato la sospensione innanzi al TAR Lazio che, con ordinanza del 9 giugno 2011, n. 2104, aveva sospeso gli effetti dei provvedimenti impugnati nella parte in cui non si era provveduto alla corresponsione dell'assegno alimentare. Nelle more della definizione del procedimento penale e, segnatamente, il 14 dicembre 2011, il ricorrente aveva presentato domanda di trattenimento in servizio per un quinquennio oltre il limite del 70° anno di età ; su tale istanza il Consiglio di Presidenza si era originariamente espresso in termini interlocutori, decidendo di rinviare la decisione all'esito del procedimento penale. La Corte d'Appello di Roma, con decisione del 14 maggio 2012, aveva dichiarato di non doversi procedere essendo il reato ascritto "estinto per intervenuta prescrizione". Il ricorrente aveva quindi chiesto di essere riammesso in servizio, in quanto, a norma dell'art. 4 della legge 97/2001, l'intervento di una pronuncia di proscioglimento avrebbe dovuto comportare l'automatica perdita di efficacia della misura della sospensione, rinnovando anche l'istanza di permanenza in servizio oltre il compimento del 70° anno, che sarebbe intervenuto il successivo 21 maggio 2012. La richiesta era stata supportata dall'allegazione della favorevole valutazione espressa dal Presidente della Sezione delle Autonomie, presso la quale il ricorrente svolgeva le proprie funzioni. Tuttavia il 21 maggio 2012 il Presidente della Corte, dal momento che l'adunanza del Consiglio, già fissata per il 22/23 maggio 2012, sarebbe stata successiva al compimento del 70° anno di età del ricorrente, aveva adottato un decreto d'urgenza con cui, facendo proprio il parere negativo espresso in merito dalla I Commissione all'esito della riunione del 18.5.2012, aveva respinto entrambe le istanze, rilevando che la sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato non poteva equipararsi ad una pronuncia di proscioglimento né di assoluzione ai sensi dell'art. 4 della legge n. 97/2001. Il Consiglio di Presidenza, rinvenendo l'opportunità di delibare separatamente le due istanze del ricorrente (riammissione e trattenimento in servizio), aveva ritenuto di non accogliere quella di trattenimento oltre il compimento del 70° anno di età, ratificando quindi, con provvedimento del 2 luglio 2012, il decreto del Presidente, limitatamente alla parte relativa a tale aspetto. Rispetto alla questione della riammissione in servizio, il Consiglio di presidenza, invece, aveva originariamente disposto di rinviare la decisione sulla ratifica o meno del decreto presidenziale a data successiva. Anche tale determinazione era stata ritenuta illegittima dal TAR Lazio che, con l'ordinanza n. -OMISSIS-/2012, nel chiarire che "la dizione della norma sia ampiamente comprensiva delle sentenze propriamente di assoluzione e di quelle di non doversi procedere", aveva ribadito la necessità di un'automatica caducazione del provvedimento di sospensione. Nell'ambito della medesima pronuncia, il TAR aveva inoltre chiaramente affermato che "il mancato pronunciamento del Consiglio" in ordine alla ratifica o meno del provvedimento presidenziale era lesivo della posizione dell'istante ed aveva quindi accolto l'istanza sospensiva del provvedimento impugnato "nella parte in cui il Consiglio di Presidenza non provvede in merito alla riammissione del ricorrente, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione". Il Consiglio di presidenza, quindi, riscontrata l'impossibilità di mantenere la misura della sospensione obbligatoria, aveva adottato la sospensione facoltativa dall'esercizio delle funzioni. Il TAR Lazio, con la sentenza n. -OMISSIS-/2014, successivamente confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS-/2016, aveva annullato i provvedimenti impugnati. Il 19 marzo 2013 era stato confermato dalla Cassazione il proscioglimento dell'imputato, con sentenza n. -OMISSIS-/2013, ed era stato riattivato il procedimento disciplinare, nonostante l'interessato fosse stato già collocato a riposo dall'11 giugno 2012. Il provvedimento disciplinare di rimozione era poi stato annullato dal TAR Lazio, con sentenza n. -OMISSIS-/2017, confermata dalla sentenza n. -OMISSIS-/2018 del Consiglio di Stato, che aveva affermato: "il provvedimento sanzionatorio si infrange comunque sull'insuperabile circostanza - sottolineata dal dott. Ca. nei motivi di impugnazione riproposti ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm. - che tale periodo di sospensione è venuto meno dal punto di vista giuridico, per effetto del definitivo annullamento del provvedimento del Consiglio di presidenza che lo ha disposto, ad opera della più volte citata sentenza 2 febbraio 2016, -OMISSIS-, della IV Sezione di questo Consiglio di Stato. Tale statuizione, ormai divenuta cosa giudicata, priva quindi di base fondante la decisione dell'organo di autogoverno - pur in astratto conforme a legge - di riavviare il procedimento disciplinare al fine di dare sistemazione definitiva al periodo di sospensione cautelare applicato nei confronti dell'originario ricorrente". Dal definitivo accertamento dell'illegittimità del periodo di sospensione sofferto deriverebbe la necessaria restitutio in integrum a favore del magistrato dall'aprile 2011 sino al 14 maggio 2012. Con riguardo agli altri periodi di sospensione precedentemente sofferti, dal 13 al 18 aprile 2006 e dal 7 febbraio 2008 al 28 settembre 2009, il Consiglio di Stato aveva chiarito che "il primo periodo è venuto meno per effetto di un altro annullamento giurisdizionale (sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio 2 febbraio 2007, n. -OMISSIS-, confermata dalla IV Sezione di questo Consiglio di Stato, con sentenza 16 gennaio 2008, -OMISSIS-), per cui valgono in questo caso le considerazioni svolte in precedenza. Con riguardo al secondo periodo vi è stata invece una revoca deliberata dallo stesso Consiglio di presidenza della Corte dei conti (deliberazione n. -OMISSIS- del 29 settembre 2009), dopo la sospensiva ottenuta dal dott. Ca. in sede giurisdizionale". Pertanto, con riguardo alle predette sospensioni avrebbe dovuto essere riconosciuta la piena reintegrazione rispetto alla differenza stipendiale connessa allo stato sospensivo e agli altri accessori contributivi e previdenziali. Il ricorrente ha quindi lamentato: 1.Violazione del dovere di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori, integrante gli estremi del mobbing; 2. illegittimità del provvedimento di rimozione e colpevolezza dell'Amministrazione, accertate in sede giurisdizionale con la sentenza del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-/2018, specificando poi i danni patrimoniali e non patrimoniali sofferti. Si è costituita la Corte dei Conti resistendo al ricorso. Con altro ricorso recante r.g. n. 1955/2024 il ricorrente ha agito per l'ottemperanza alla sentenza di questo Tribunale n. -OMISSIS- del 27 marzo 2014, confermata in appello dal Consiglio di Stato con sentenza -OMISSIS- del 2 febbraio 2016, e alla sentenza di questo Tribunale n. -OMISSIS- del 26 aprile 2017, confermata in appello dal Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS- del 20 febbraio 2018, passata in giudicato, chiedendo, altresì, l'accertamento della nullità del provvedimento del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti adottato il 16 aprile 2019 (-OMISSIS- del 21 maggio 2019), notificato al ricorrente il 23 maggio 2019, che ha respinto nuovamente l'istanza di trattenimento in servizio. Il ricorrente ha dedotto che, nonostante egli avesse più volte sollecitato la Corte dei Conti a dare esecuzione ai giudicati formatisi sulle sentenze sopra citate, il Consiglio di Presidenza aveva adottato il provvedimento -OMISSIS- del 21.05.2019, con il quale aveva nuovamente respinto l'istanza di trattenimento in servizio, fondando tale rigetto esclusivamente sul valore "centrale ed assorbente, nonché prioritario rispetto ad altri aspetti" dell'esito del giudizio penale, e ciò in asserita ottemperanza della sentenza del Consiglio di Stato -OMISSIS-/2016. A sostegno del ricorso sono state formulate le seguenti censure: 1.Violazione degli artt. 112 e 114 c.p.a.; art. 21-septies l. 241/1990; art. 97 Cost. Nullità del provvedimento del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti del 19 aprile 2019 (n. 133/CP/2019 del 21.05.2019) per violazione ed elusione del giudicato formatosi sulla sentenza del TAR Lazio n. -OMISSIS-/2014, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato -OMISSIS-/2016, nonché sulla sentenza del TAR Lazio n. -OMISSIS-/2017, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-/2018. Dall'esame del testo della richiamata pronuncia del Consiglio di Stato poteva evincersi che in nessun passaggio si era mai ritenuto che il rinvio della decisione sull'istanza di trattenimento in servizio all'esito della definizione del giudizio penale fosse stato correttamente disposto, né che lo stesso giudizio potesse costituire l'elemento centrale o comunque condizionante l'esercizio del potere. Di contro, l'unico elemento ritenuto effettivamente rilevante era la nota del Presidente della Sez. Autonomie che evidenziava l'opportunità dell'accoglimento dell'istanza. Inoltre, l'art. 72 del d.l. 112/2008 conferiva la "facoltà all'amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell'efficiente andamento dei servizi", mentre nel caso di specie il potere sarebbe stato utilizzato perseguendo una finalità sanzionatoria, in carenza di potere ed in violazione del giudicato. Quanto al quadro istruttorio di riferimento, il potere avrebbe dovuto essere esercitato rivalutando ora per allora l'istanza di trattenimento in servizio presentata in data 14 dicembre 2011 e reiterata in data 16 maggio 2012, mentre il provvedimento di rigetto si fondava su ampi stralci non solo della motivazione della sentenza della Corte d'appello, sopravvenuta, ma anche di quella della Corte di Cassazione, depositata ad oltre un anno dal collocamento a riposo dell'istante. 2.Violazione dell'art. 112 c.p.a. e dell'art. 97 Cost. Mancata ottemperanza alla sentenza del TAR Lazio n. -OMISSIS-/2017, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-/2018. Anche con riferimento al diritto alla restitutio in integrum riconosciuto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-/2018, che aveva confermato la sentenza del TAR Lazio - Roma n. -OMISSIS-/2017, l'Amministrazione non aveva dato esecuzione al giudicato. Tale pronuncia aveva individuato tre diversi periodi di sospensione illegittima dal servizio: il primo, dal 13.4.2006 al 18.4.2006, disposto dal Consiglio di Presidenza con la deliberazione n. 170 del 3.5.2006, contestualmente accettando la domanda di collocamento a riposo a far data dal 19.4.2006; questa deliberazione era stata annullata dal TAR Lazio con la sentenza n. -OMISSIS-/2007, confermata in appello dal Consiglio di Stato con sentenza -OMISSIS-/2008; essa tuttavia non aveva avuto conseguenze sul piano economico in danno del ricorrente; il secondo dal 7.2.2008 al 28.9.2009; tale sospensione era stata disposta dal Consiglio di Presidenza con provvedimento in seguito revocato dallo stesso Organo con deliberazione n. -OMISSIS- del 29.9.2009; per effetto di tale sospensione il ricorrente per tutto il periodo aveva percepito, a titolo di c.d. "assegno alimentare", somme pari ai 2/3 della retribuzione dovuta; su tali somme in ogni caso non sono stati versati i contributi previdenziali a carico dell'Amministrazione; il terzo, dall'11.4.2011 al 14.5.2012; tale sospensione era stata disposta dal Consiglio di Presidenza con la deliberazione -OMISSIS- del 12.4.2011 e pedissequo d.P.C.M. del 31.5.2011 e anche in questo caso per tutto il periodo il ricorrente aveva percepito, a titolo di c.d. "assegno alimentare", somme pari ai 2/3 della retribuzione dovuta, senza il versamento dei contributi previdenziali. Si tratterebbe di una sospensione cd. obbligatoria, ex art. 4 l. 97/2001, disposta a seguito della sentenza del Tribunale di Roma del 14.3.2011, che però doveva ritenersi venuta meno ope legis nel momento in cui la Corte d'Appello, con dispositivo del 14.5.2012, aveva prosciolto il dott. -OMISSIS- dal reato ascritto, in virtù dell'estinzione dello stesso per prescrizione (tale decisione era stata poi confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza n. -OMISSIS-/2013). L'intervento della pronuncia di proscioglimento doveva ritenersi dirimente, in quanto, come chiarito dal Consiglio di Stato, la restitutio era dovuta al ricorrente poiché nessun potere disciplinare avrebbe potuto essere attivato per regolare gli effetti economici di tale periodo di sospensione. Infatti, essendo intervenuta ope legis la riammissione in servizio del dott. -OMISSIS- per il periodo dal 14.5.2012 fino al suo collocamento a riposo il 22.5.2012 (secondo quanto affermato dal TAR Lazio - Roma, sent. -OMISSIS-/2014, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza -OMISSIS-/2016), nessuna sanzione disciplinare avrebbe potuto retroagire all'inizio del periodo di sospensione obbligatoria per darvi copertura. La Corte dei conti aveva giustificato l'esercizio di un potere disciplinare postumo poiché riteneva che, non rinvenendosi alcuna soluzione di continuità fra l'ultima sospensione cautelare e il collocamento a riposo dell'incolpato, si potesse invocare l'orientamento assunto dalla sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 8/1997, in base al quale il provvedimento di destituzione potrebbe retroagire dall'adozione dell'ultima sospensione cautelare. Tuttavia, nel caso di specie, tale effetto non sarebbe stato più perseguibile in ragione della riammissione in servizio del ricorrente che, intervenuta prima del collocamento a riposo e del provvedimento di rimozione, avrebbe interrotto quella continuità temporale che avrebbe consentito di retrodatare gli effetti della destituzione. Anche in questo giudizio si è costituita la Corte dei Conti resistendo al ricorso. All'udienza pubblica del 15 maggio 2024 entrambi i ricorsi sono stati trattenuti in decisione. DIRITTO Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei due ricorsi, aventi ad oggetto provvedimenti connessi. Nel merito deve osservarsi che i provvedimenti che hanno dato origine alla domanda risarcitoria sono stati adottati dalla Corte dei Conti a seguito della sentenza del Tribunale di Roma n. -OMISSIS- del 14.3.2011, che ha condannato il ricorrente per il reato di cui all'art. 319 c.p. alla pena di tre anni di reclusione, oltre alle sanzioni accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni, dell'incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione per la durata di due anni e dell'estinzione del rapporto di pubblico impiego, nonché al risarcimento dei danni subiti dalla Corte dei Conti, costituitasi parte civile, quantificati in via equitativa in euro 30.000, oltre alle spese processuali. Dopo la pronuncia della sentenza il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti, con deliberazione -OMISSIS- del 12.4.2011, ha sospeso il ricorrente dal servizio, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 97/2001, a decorrere dal 14 aprile 2011. Successivamente, la Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 4039 del 14.5.2012, ha dichiarato il reato estinto per intervenuta prescrizione. Nel frattempo, in data 14 dicembre 2011, il ricorrente ha presentato al Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti un'istanza di trattenimento in servizio per un quinquennio a decorrere dalla data del compimento del 70° anno di età, sulla base della normativa all'epoca vigente; quindi, in data 16 maggio 2012, all'esito della pubblicazione del dispositivo della sentenza penale di appello, il dott. -OMISSIS- ha chiesto di essere riammesso in servizio. Il Presidente della Corte dei Conti, con decreto n. 1 del 21.5.2012, adottato in via di urgenza, ha respinto entrambe le istanze; tale decreto è stato ratificato dal Consiglio di Presidenza con la deliberazione n. 82 del 3.7.2012 - per la parte riguardante il rigetto dell'istanza di trattenimento in servizio - e con la deliberazione n. 155 del 5.12.2012, relativamente alla richiesta di riammissione in servizio. Con quest'ultima deliberazione, in particolare, il Consiglio di Presidenza ha disposto il collocamento a riposo del ricorrente a decorrere dal 22 maggio 2012 (al compimento del 70° anno di età ) stabilendo che, per il periodo dal 14 al 21 maggio 2012, permanesse "in posizione di sospensione facoltativa dal servizio e dalle funzioni"; con D.P.C.M. dell'11 giugno 2012, il ricorrente è stato formalmente collocato in quiescenza, per raggiunti limiti di età, a decorrere dal 22 maggio 2012. I suddetti provvedimenti sono stati impugnati innanzi a questo Tribunale che, con sentenza n. -OMISSIS- del 27.3.2014, successivamente confermata dal Consiglio di Stato con sentenza -OMISSIS- del 2.2.2016, ha accolto il ricorso; tali pronunce sono oggetto del ricorso per l'ottemperanza al giudicato. Il processo penale si è concluso con la sentenza della Corte di Cassazione n. -OMISSIS- del 3.7.2013, che ha confermato l'assoluzione per prescrizione; all'esito, il Consiglio di Presidenza ha riaperto il procedimento disciplinare, deliberando, in data 7 maggio 2014, l'irrogazione della sanzione della rimozione, con decorrenza dal 14 aprile 2011, ossia la data di inizio del periodo di sospensione cautelare obbligatoria dal servizio (delibera del 12.4.2011, -OMISSIS-/CP/2011). La deliberazione di rimozione è stata successivamente annullata dal TAR Lazio con la sentenza n. -OMISSIS- del 26.4.2017, poi confermata dal Consiglio di Stato con la decisione n. -OMISSIS- del 20.2.2018, anch'essa oggetto del ricorso per ottemperanza. Per ragioni di ordine logico deve preliminarmente essere esaminato quest'ultimo ricorso, con il quale è stata lamentata la nullità per violazione ed elusione del giudicato della delibera del 16 aprile 2019, non impugnata in via ordinaria, con la quale è stata respinta l'istanza di trattenimento in servizio oltre il limite del 70^ anno d'età . Anche al fine di valutare la fattispecie risarcitoria, infatti, occorre esaminare i provvedimenti adottati dall'Amministrazione e le condotte assunte da quest'ultima per dare esecuzione ai giudicati intervenuti. A tal fine deve, in primo luogo, evidenziarsi che la delibera del 2 luglio 2012, con la quale è stata respinta l'istanza di trattenimento in servizio presentata il 14 dicembre 2011, reiterata il 16 maggio 2012, è stata annullata dal giudice amministrativo per la contraddittorietà della motivazione adottata rispetto alle precedenti determinazioni del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti. Il Consiglio di Stato, infatti, nella sentenza -OMISSIS-/2016, confermando la decisione di primo grado, ha rilevato che il Consiglio di Presidenza "dapprima ha rinviato l'oggetto della decisione all'esito del giudizio d'appello pendente in sede penale, individuando come elemento ostativo all'accoglimento dell'istanza lo stato di sospensione dell'interessato, poi, una volta intervenuta la sentenza di proscioglimento, da un lato ha mantenuto gli effetti del provvedimento di sospensione dal servizio del magistrato, dall'altro ha contraddittoriamente valutato l'istanza in modo negativo, dando spazio ad altre cause ostative, quale la carenza professionale del dott. -OMISSIS- in ragione della attuale sospensione dal servizio. Analogamente, appaiono condivisibili i vizi riscontrati in merito al processo decisionale condotto dall'Organo di autogoverno della magistratura contabile che ha disconosciuto l'unico elemento istruttorio esistente e disponibile, consistente nel parere del Presidente della Sezione delle Autonomie, del 17 e 18 maggio 2012, per il quale "... l'esperienza maturata dal Cons. -OMISSIS- negli anni di permanenza alla Sezione, unita a quella accumulata nel servizio precedentemente prestato, è suscettibile di recare un considerevole contributo alla comprensione dei nodi che bloccano l'attuazione del complesso delle disposizioni applicabili... in modo da rendere l'azione della Sezione più sollecita, sicura ed efficace...". 3.2. E' chiaro che il quadro procedimentale che si è prodotto e gli elementi istruttori presenti deponessero in senso favorevole all'istante e, comunque, non potevano essere disattesi sulla base di una motivazione incongrua rispetto alle precedenti determinazioni, sul punto, dello stesso Consiglio. Pertanto, non può rinvenirsi alcun vizio di motivazione né alcuna errata interpretazione della normativa di riferimento, perché la pronuncia impugnata ha tenuto debitamente in conto sia il carattere discrezionale del potere riconosciuto dall'art. 72 del d.l. 112/2008 sia le ragioni poste a fondamento del diniego della Corte dei conti che apparivano prive di pregio, oltre che in contrasto con le risultanze dell'istruttoria" (Cons. Stato, sent. -OMISSIS-/2016). La sentenza ha quindi chiarito che dall'istruttoria erano emersi elementi favorevoli all'istante, che non avrebbero potuto essere disattesi sulla base di una motivazione incongrua rispetto alle precedenti determinazioni. Il provvedimento successivamente adottato, del quale viene lamentata la nullità, ha motivato la nuova determinazione di diniego essenzialmente sulle statuizioni della sentenza della Corte d'Appello di Roma del 14.5.2012-19.6.2012, in attesa della quale il Consiglio di Presidenza dell'epoca aveva inizialmente rinviato la decisione sull'istanza. Nel provvedimento in esame si dà, infatti, innanzitutto conto del fatto che il Presidente della Corte dei conti, in data 1 agosto 2016, successivamente alla ricezione, in data 10 giugno 2016, dell'istanza del dott. -OMISSIS- di integrale esecuzione del giudicato, aveva formulato richiesta di parere all'Avvocatura Generale dello Stato, in particolare in relazione all'istanza di trattenimento in servizio, all'esito della citata sentenza del Consiglio di Stato, e che il suddetto parere è stato trasmesso alla Corte dei conti dall'Avvocatura Generale dello Stato con nota del 21 novembre 2018, nella quale si è osservato che il Consiglio di Presidenza, in ottemperanza al giudicato, era tenuto ad adottare un nuovo provvedimento, restando libero di rivalutare la questione, con il solo limite di non deliberare in contrasto con quanto già statuito dal giudice amministrativo. Il Consiglio di Presidenza ha poi ricordato che il Consiglio di Stato, nella citata sentenza -OMISSIS-/2016, ha evidenziato che la decisione sull'istanza era stata inizialmente posposta all'esito del giudizio di appello, per poi dare contraddittoriamente rilievo ad altre cause ostative, senza invece effettuare una valutazione delle risultanze del giudizio d'appello, nel frattempo conclusosi. Quindi, premesso che l'esito del giudizio penale avrebbe dovuto essere considerato elemento centrale ed imprescindibile, nonché prioritario rispetto ad altri aspetti, nella valutazione dei presupposti per l'accoglimento o il rigetto dell'istanza di trattenimento in servizio, il Consiglio di Presidenza ha rilevato che il ricorrente è stato destinatario di una pronuncia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, con contestuale conferma del capo civile di condanna al risarcimento dei danni per i fatti compiuti, risultando in particolare che la Corte d'appello di Roma ha preliminarmente affermato "...che il giudice d'appello (e la Corte di Cassazione), nel dichiarare estinto per prescrizione (o amnistia) il reato per il quale è in primo grado intervenuta sentenza di condanna alle pene di giustizia, nonché al risarcimento dei danni, è tenuto ad esaminare i motivi di gravame in funzione del giudizio di responsabilità, ai soli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili", e che, all'esito dello scrutinio dei motivi di impugnazione, la Corte ha statuito che "sussistono pertanto i presupposti perché sia dichiarato estinto il reato nei confronti degli appellanti e siano confermate le statuizioni civili nei loro confronti". Il provvedimento ha quindi dato conto del fatto che "dalla sentenza di secondo grado, unitamente alla disamina di quella di primo grado, per quanto non oggetto di riforma in sede di appello, è risultato giudizialmente, stante l'accertamento ai fini della decisione sul capo civile, che il dott. -OMISSIS-, in concorso con-OMISSIS-, aveva accettato la promessa formulata dall'imprenditore -OMISSIS- di una somma di denaro pari a circa il 6-7% dell'importo dei lavori che sarebbero riusciti a fare assegnare all'impresa di -OMISSIS- dalle Poste Italiane, ove il dott. -OMISSIS- esercitava la funzione di Delegato titolare al controllo, ai sensi dell'art. 12 della legge n. 259/1958". Quindi, "Rilevato che, dalla lettura della sentenza di appello (pag. 12), risulta in particolare che: "Alla luce di questa conversazione [conversazione ambientale del 28 maggio 2003 tra -OMISSIS-,-OMISSIS- - Consigliere di Stato - e -OMISSIS-] e della motivazione del Tribunale che l'ha riascoltata in camera di consiglio, e premesso che essa è stata fedelmente registrata e trascritta dai periti nominati dallo stesso Tribunale, i quali hanno attribuito le varie voci ai tre appellanti, vanno disattesi i motivi di appello dedotti dai rispettivi difensori, risultando evidente che -OMISSIS- promise una lauta remunerazione ai due magistrati i quali, senza affatto dimostrarsene stupiti e scandalizzati, come sostengono i difensori, si prestarono a offrirgli canali ed entrature per raggiungere i suoi illeciti scopi e formularono concrete proposte e strategie (...), nella piena consapevolezza dell'importanza del loro apporto causale al programma criminoso di -OMISSIS-". Rilevato che, dalla suddetta sentenza, emerge altresì che "..dalla intercettazione ambientale risulta invece che la promessa di -OMISSIS-, relativa al 6-7% degli utili provenienti dagli sperati appalti, fu implicitamente ma chiaramente accettata da entrambi i quali si impegnarono a loro volta a farlo "entrare alle Poste", chiarendo il -OMISSIS-che essi potevano organizzare un "incontro con Cuturi" al quale andava sollecitata "una programmazione" e aggiungendo -OMISSIS- "un incontro da me" e precisando lo stesso -OMISSIS- di aver già concordato con Cuturi che egli avrebbe gestito in prima persona gli appalti mentre Sarnii, cioè il dirigente a cui sí riferiva Cuturi, "può essere che servirà dopo". Rilevato, pertanto, che la sentenza del giudice d'appello ha confermato, quanto al capo civile, i fatti illeciti nella loro realtà fenomenica, già accertati in primo grado dal Tribunale di Roma", il Consiglio di Presidenza ha ritenuto "che la condotta illecita posta in essere dal dott. -OMISSIS-, come giudizialmente accertata anche dal giudice d'appello - la cui pronuncia risulta poi definitivamente confermata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. -OMISSIS- del 3 luglio 2013-, stante la tipologia e la gravità della stessa, non disgiunta dall'offensività nei confronti della Corte dei conti - come riconosciuto nel capo civile-risulta essere elemento ostativo all'accoglimento dell'istanza di trattenimento in servizio e assorbente in ordine ad ogni ulteriore profilo, posto che il compimento dei gravi fatti corruttivi comporta l'assoluta inconciliabilità dello svolgimento (o del relativo proseguimento - ovviamente in astratto, trattandosi di valutazione ora per allora) da parte del relativo autore della funzione pubblica, a maggior ragione di quella magistratuale", anche tenuto conto della "sub-valenza dell'interesse privato al trattenimento in servizio oltre il limite del 70° anno d'età rispetto al prevalente interesse pubblico, costituito dalla tutela dei valori e dei principi distintivi della magistratura contabile, segnatamente l'indipendenza, l'imparzialità e la terzietà della stessa, incompatibile ¬ come detto - con il mantenimento in servizio di un soggetto autore di gravi fatti corruttivi". Il nuovo provvedimento, quindi, non presenta elementi in contrasto con le statuizioni oggetto di giudicato, essendo stata emendata la contraddittorietà motivazionale che il Consiglio di Stato aveva rilevato tra le precedenti determinazioni, il quadro istruttorio e il rigetto dell'istanza. La motivazione del nuovo provvedimento assunto è stata incentrata su un unico aspetto ostativo, ritenuto assorbente rispetto agli altri elementi raccolti, sicché può considerarsi sanato il vizio riscontrato nelle sentenze anzidette. Quanto, poi, alla rinnovata valutazione di merito, risulta evidente che essa non possa essere sindacata in sede di ottemperanza, circoscritta alla verifica circa l'avvenuta emenda del vizio della contraddittorietà rilevata dalle sentenze anzidette; tutto quanto fuoriesce dal perimetro di cognizione testé individuato costituisce, infatti, il frutto di una nuova attività valutativa, rientrante pienamente nello spazio decisionale, latamente discrezionale, ancora persistente in capo all'Amministrazione ed espressamente fatto salvo dalle decisioni giurisdizionali di cui si chiede la corretta esecuzione; ne consegue che, per far valere i vizi, anche della motivazione, del nuovo provvedimento, sarebbe stato necessario azionare un ricorso ordinario, oramai non più proponibile per la maturata decadenza dall'impugnativa. Né può sostenersi, come dedotto dal ricorrente, che il diniego di trattenimento in servizio, risolvendosi a tutti gli effetti in una valutazione disciplinare sulla condotta dell'istante, sarebbe nullo anche per violazione del giudicato che ha accertato l'estinzione del potere disciplinare. I due procedimenti, infatti, sono del tutto autonomi e ancorati a diversi presupposti, sicché non possono essere considerati sovrapponibili. Il primo motivo del ricorso per ottemperanza è dunque infondato. Va quindi esaminata la seconda doglianza, vertente sul giudicato formatosi sulle sentenze del TAR Lazio e del Consiglio di Stato, aventi ad oggetto le somme dovute a titolo di restitutio in integrum, con riferimento ai periodi di sospensione cautelare dal servizio sofferti dal 7 febbraio 2008 al 28 settembre 2009 e dal 14 aprile 2011 al 13 maggio 2012. Anche tale domanda è infondata. Deve premettersi, in merito, che, esaminando il ricorso per l'ottemperanza proposto, risulta evidente che l'istante, pur menzionando nell'epigrafe tanto le sentenze del TAR Lazio n. -OMISSIS-/2014, confermata in appello dalla sentenza del Consiglio di Stato -OMISSIS-/2016, quanto la n. -OMISSIS-/2017, confermata in appello dalla sentenza del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-/2018, svolge le proprie argomentazioni con riguardo esclusivamente alla seconda coppia di sentenze (n. -OMISSIS-/17 e n. -OMISSIS-/18),, mentre nulla deduce in ordine alle prime due, sicché l'effettivo oggetto del presente giudizio di ottemperanza è costituito dalla verifica circa la corretta esecuzione delle sentenze in ordine alle quali l'istante ha effettivamente svolto le proprie difese e alla luce proprio di quanto da lui offerto a dimostrazione dell'asserita inottemperanza al giudicato. Tale conclusione è pienamente conforme al principio processuale che valorizza l'aspetto sostanziale del processo amministrativo, costituito, appunto, dalla verifica della legittimità del provvedimento impugnato alla stregua (esclusivamente) di quanto prospettato, in punto di diritto e di fatto, dall'attore in giudizio, non rilevando, per converso, le indicazioni, di carattere meramente formale, recate dall'epigrafe del ricorso. Venendo, quindi, all'esame delle due sentenze rilevanti nella specie, né quella del Tar Lazio n. -OMISSIS-/2017, né quella del Consiglio di Stato che l'ha confermata, hanno avuto ad oggetto l'impugnazione o la pretesa di restitutio in integrum fondata sulla perdita di efficacia dei provvedimenti di sospensione cautelare dal servizio assunti nei confronti del ricorrente. Ed, invero, la pronuncia di primo grado ha annullato il provvedimento di rimozione (delibera del Consiglio di Presidenza -OMISSIS-/2014) e il conseguente d.P.R. del 26.2.2015 impugnato con motivi aggiunti, senza però accertare e dichiarare l'illegittimità dei periodi di sospensione cautelare antecedenti alla rimozione, né pronunciarsi sul diritto del ricorrente alla restitutio in integrum, non oggetto di domanda. Il ricorrente ha richiamato, a sostegno della propria richiesta di ottemperanza, il punto 28 della motivazione della sentenza n. -OMISSIS-/2018 del Consiglio di Stato, ove si legge: "Ma il provvedimento sanzionatorio si infrange comunque sull'insuperabile circostanza - sottolineata dal dott. Ca. nei motivi di impugnazione riproposti ex art. 101, comma 2, cod. proc. amm. - che tale periodo di sospensione è venuto meno dal punto di vista giuridico, per effetto del definitivo annullamento del provvedimento del Consiglio di presidenza che lo ha disposto, ad opera della più volte citata sentenza 2 febbraio 2016, -OMISSIS-, della IV Sezione di questo Consiglio di Stato. Tale statuizione, ormai divenuta cosa giudicata, priva quindi di base fondante la decisione dell'organo di autogoverno - pur in astratto conforme a legge - di riavviare il procedimento disciplinare al fine di dare sistemazione definitiva al periodo di sospensione cautelare applicato nei confronti dell'originario ricorrente. Infatti, dal definitivo accertamento dell'illegittimità di tale periodo di sospensione da parte della IV Sezione di questo Consiglio di Stato, pur successiva al giudicato, deriva l'effetto ormai non più controvertibile di restitutio in integrum a favore del magistrato per il periodo di sospensione in questione". Tuttavia, è lo stesso ricorrente a precisare, nell'ultima memoria, che "Il periodo di sospensione annullato cui si riferisce il su citato capo della sentenza è quello che va dal 16 maggio 2012 al 20 maggio 2012, rispetto al quale la Corte dei conti ha, dapprima, provato a mantenere lo stato sospensivo, negando la riammissione in servizio prevista per legge e, poi, ha cercato di applicare la diversa misura della sospensione facoltativa in sede di ratifica collegiale del provvedimento presidenziale adottato in via d'urgenza. Ciononostante, questo TAR ha affermato che "è illegittimo il diniego pronunciato sull'istanza di riammissione in servizio avanzata dall'interessato, come pure il provvedimento che ne ha disposto la permanenza in posizione di sospensione facoltativa, in quest'ultimo caso trattandosi, oltretutto, di una decisione di ratifica di un provvedimento presidenziale avente ad oggetto il differente istituto della sospensione obbligatoria" (sentenza n. -OMISSIS-/2014)". È pacifico, pertanto, che la sospensione in questione è quella di alcuni giorni del maggio 2012 e non coincide con quelli oggetto della domanda di restitutio in integrum azionata nella presente sede di ottemperanza, ovvero, come sopra precisato, dal 7 febbraio 2008 al 28 settembre 2009 e dal 14 aprile 2011 al 13 maggio 2012. Le sentenze delle quali viene chiesta l'ottemperanza, invero, hanno riguardato solo i provvedimenti disciplinari di rimozione, disponendone l'annullamento in considerazione del ritenuto esaurimento del potere disciplinare a seguito della cessazione dal servizio. I riferimenti effettuati nelle pronunce del Tar e del Consiglio di Stato ai provvedimenti di sospensione cautelare sono quindi inseriti sempre nell'ambito della valutazione della persistenza del potere disciplinare, ovvero al fine di chiarire se l'esistenza di periodi precedenti di sospensione dal servizio possa giustificare la definizione del procedimento disciplinare, pur dopo la cessazione dal servizio, solo al fine di regolamentare tali periodi; peraltro, e la circostanza assume grande rilevanza proprio in sede di ottemperanza, va osservato che la sentenza di primo grado specifica che "risulta che il ricorrente stesso non abbia chiesto alcuna restituzione di emolumenti non percepiti in costanza di sospensione" (Tar Lazio, sentenza n. -OMISSIS-/2017). Peraltro, anche la sentenza di conferma del Consiglio di Stato ribadisce espressamente, ai parr. 29 e ss., con riferimento alle varie sospensioni intervenute, che le stesse non sono oggetto del giudizio, in quanto quella relativa al periodo dal 13 al 18 aprile 2006 era venuta meno per effetto di annullamento in altro giudizio (sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio 2 febbraio 2007, n. -OMISSIS-, confermata dalla IV Sezione di questo Consiglio di Stato, con sentenza 16 gennaio 2008, -OMISSIS-) - non in questione nella presente sede -, mentre quella riguardante il periodo dal 7 febbraio 2008 al 28 settembre 2009, oggetto della pretesa di restitutio in integrum in via di ottemperanza, era stata precedentemente revocata dallo stesso Consiglio di presidenza della Corte dei conti (deliberazione n. -OMISSIS- del 29 settembre 2009). Il ricorso per l'ottemperanza deve dunque essere rigettato. Va quindi esaminato il ricorso proposto per l'accertamento della responsabilità della Corte dei conti per i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dal ricorrente per effetto dell'illegittimità del provvedimento di rimozione (adottato con delibera -OMISSIS- del 7 maggio 2014 del Consiglio di presidenza), accertata con la sentenza del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-/2018. Nella fattispecie viene dedotta una responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione, il cui riconoscimento, secondo l'orientamento costante della giurisprudenza, non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell'illegittimità dell'azione amministrativa, dovendo, al contrario, il giudice svolgere una più penetrante indagine, estesa anche alla valutazione dell'elemento soggettivo della colpa (non del funzionario agente ma) dell'Amministrazione intesa come apparato. Di qui la necessità di verificare se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l'esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi, con conseguente affermazione, da un lato, della responsabilità dell'Amministrazione per danni derivanti da un atto illegittimo, quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'adozione del provvedimento viziato; con esclusione, viceversa, della medesima forma di responsabilità allorché l'indagine presupposta conduca, per contro, al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (Cons. Stato, sez. V, 20 agosto 2013, n. 4189; Tar. Lazio, Roma, sez. I, 2 luglio 2015, n. 8831). Alla luce dei suesposti principi nel caso in esame la domanda risarcitoria non può essere accolta per la manifesta insussistenza dell'elemento psicologico della colpa. Ai fini della sussistenza di una responsabilità della p.a. causativa di danno da provvedimento illegittimo, infatti, la valutazione dell'elemento della colpa non può essere affidata al dato oggettivo dell'adozione del provvedimento finale, bensì alla dimostrazione che la p.a. abbia agito con dolo o colpa grave, di modo che il difettoso funzionamento dell'apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento gravemente negligente od ad una intenzionale volontà di nuocere, in palese contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, di cui all'art. 97 Cost. (Cons. Stato, sez. V, 27 aprile 2006, n. 2359; Cons. Stato, sez. IV, 11 ottobre 2006, n. 6059). Di contro, nella vicenda in esame lo stesso svolgimento del giudizio che ha condotto all'annullamento del provvedimento impugnato ha evidenziato che il quadro normativo e giurisprudenziale in materia di avvio del procedimento disciplinare a fronte della intervenuta cessazione dal servizio è risultato di oscillante interpretazione, come ampiamente ricostruito nelle citate pronunce del Tar e del Consiglio di Stato che hanno annullato il provvedimento di rimozione, ritenendo non applicabile la disciplina generale del pubblico impiego, richiamata in proposito dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 8/97, ma quella prevista per i magistrati ordinari, nel solco delle pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione citate, con conseguente esaurimento del potere disciplinare a seguito delle cessazione del magistrato dal servizio. L'esame delle pronunce che si sono susseguite evidenzia quindi che, con riferimento al potere esercitato, ai suoi presupposti e ai limiti della valutazione consentita al Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti, si registrava un quadro normativo e giurisprudenziale non chiaro e definito, circostanza che impedisce di ravvisare in capo all'Autorità quel coefficiente di colpa imprescindibile ai fini dell'affermazione della sua responsabilità per l'adozione di un provvedimento illegittimo, riconducibile ai parametri di cui all'art. 2043 c.c.. Del resto, nel medesimo senso depone l'analisi delle vicende del procedimento penale, dal momento che, come sopra evidenziato, il giudizio di primo grado si era concluso con una pronuncia di condanna, mentre quello di appello è stato definito con l'accertamento della prescrizione e la conferma delle statuizioni civili. Anche tale ricorso deve quindi essere respinto. La peculiarità e la complessità della vicenda controversa giustificano, comunque, la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti, li respinge. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonino Savo Amodio - Presidente Francesca Petrucciani - Consigliere, Estensore Alberto Ugo - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Quater ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7480 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ma. Bi., rappresentato e difeso dagli avvocati Ro. Pi. e An. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An. Tr. in Terni, largo (...); contro Ministero dell'Interno, Dipartimento Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e Difesa Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Qu. Te., non costituito in giudizio; per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - della disposizione di servizio avente ad oggetto "attribuzioni dell'incarico di Capo Turno nel Turno di servizio A" prot. dipvvf.DCEMER.Registro ODS.R.000118 datato 28 febbraio 2023, emessa dal Ministero dell'Interno-Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso pubblico e della Difesa civile, Direzione Centrale per l'Emergenza, il Soccorso Tecnico e l'Antincendio Boschivo Ufficio di Coordinamento e Gestione dell'Emergenza Centro Operativo nazionale, con cui è stato attribuito, con decorrenza 1 marzo 2022, al sig. Qu. Te. l'incarico di Capo Turno del Turno A; - di tutti gli atti/provvedimenti presupposti, ad oggi sconosciuti, costituenti le valutazioni effettuate dall'Amministrazione resistente, richiamate nel provvedimento impugnato, in esito alla ricognizione disposta con DdS n. 99 del 17 febbraio 2023, ai fini dell'attribuzione dell'incarico di Capo Turno nel Turno di Servizio A, ove e nella parte in cui dette valutazioni sono state adottate in violazione dei principi di cui all'art. 14 del D.P.R. 28 febbraio 2012, n. 64 Regolamento di servizio del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, di uniformità di trattamento, imparzialità e trasparenza; - nonché, per quanto occorrer possa, delle valutazioni rese dai Funzionari di Guardia in ordine al CR Ma. Bi. e al CR Qu. Te., ad oggi sconosciute, ove lesive degli interessi del ricorrente; per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 4 novembre 2023: - dell'ordine di Servizio prot. n. 324 del 11 agosto 2023 adottato dal Ministero dell'Interno, Dipartimento dei vigili del Fuoco, del Soccorso pubblico e della Difesa Civile, Direzione Centrale per l'emergenza, il soccorso tecnico e l'antincendio boschivo Ufficio di Coordinamento e Gestione dell'emergenza Centro Operativo Nazionale, avente ad oggetto "competenze Specifiche del Capo Turno (CT) e Vice Cpo Turno (VCT) e ricognizione per l'attribuzione dell'incarico di CT e VCT" e relativi allegati; - dell'ordine di Servizio prot n. 338 del 24 agosto 2023 del Ministero dell'Interno, Dipartimento dei vigili del Fuoco, del Soccorso pubblico e della Difesa Civile Direzione Centrale per l'emergenza, il soccorso tecnico e l'antincendio boschivo Ufficio di Coordinamento e Gestione dell'emergenza Centro Operativo Nazionale, avente ad oggetto "Competenze specifiche del Capo Turno (CT) e Vice Capo Turno (VCT) -Assegnazione incarichi di CT e VCT" con cui, in esito alla suddetta ricognizione di cui all'OdS n. 324 dell'11 agosto 2023, è stato confermato, con decorrenza 1 settembre 2023, l'incarico di Capo Turno del Turno A al CR Qu. Te.; per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 21 febbraio 2024: - della graduatoria depositata in giudizio in data 1 dicembre 2023 dall'amministrazione resistente; - della nota dirigenziale prot. n. 31095 del 4 agosto 2023, anch'essa depositata in giudizio dall'amministrazione resistente soltanto in data 1 dicembre 2023; nonché per la condanna dell'amministrazione resistente - al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dal ricorrente, anche per perdita di chance, nonché per violazione dell'immagine professionale del medesimo, danni che saranno quantificati in corso di causa, ovvero da liquidarsi in via equitativa in misura almeno pari alle differenze retributive che al ricorrente sarebbero spettate per effetto del legittimo conferimento dell'incarico di Capo Turno del Turno A, con ogni conseguenza in ogni alle spese, da distrarsi. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, Dipartimento Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e Difesa Civile; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2024 il dott. Agatino Giuseppe Lanzafame e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'atto introduttivo del giudizio, il ricorrente ha impugnato il provvedimento del 28 febbraio 2023 con cui l'amministrazione resistente ha attribuito - all'esito di una ricognizione interna avviata in data 17 febbraio 2023 - al sig. Qu. Te. l'incarico di Capo Turno nel turno di servizio A presso il Centro Operativo Nazionale dei Vigili del Fuoco (d'ora in poi anche CON), e ne ha chiesto l'annullamento, previa adozione di misure cautelari, sulla base di due motivi in diritto. 1.1. Con il primo motivo ha lamentato l'illegittimità del provvedimento impugnato per "violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione; violazione e falsa applicazione dell'art. 1, l. 7 agosto 1990, n. 241, dell'art. 1 d.lgs. 13 ottobre 2005 n. 217, nonché dell'art. 14 d.p.r. 28 febbraio 2012, n. 64; eccesso di potere per assoluta carenza di motivazione (e) difetto di istruttoria; violazione del giusto procedimento (nonché per) mancata trasparenza degli atti adottati dalla pubblica amministrazione", osservando che non erano noti i criteri predeterminati dalla p.a. per l'attribuzione dell'incarico di Capo Turno nel turno di servizio A presso il CON e che comunque la p.a. non aveva dato evidenza, nella motivazione del provvedimento di nomina, delle ragioni per cui aveva attribuito tale incarico al sig. Te.. 1.2. Con il secondo motivo ha contestato il provvedimento gravato per "eccesso di potere per illogicità manifesta, disparità di trattamento, travisamento dei presupposti ed erronea valutazione dei fatti", sostenendo che la nomina del sig. Te. era del tutto illogica ed irrazionale "visto che il ricorrente si trova in posizione superiore allo stesso nella relativa graduatoria nazionale CR ed ha comunque una maggiore anzianità di servizio e maggiore esperienza professionale". 2. Con memoria dell'1 giugno 2023, l'amministrazione resistente ha svolto le proprie difese, senza depositare documentazione, e ha insistito per il rigetto delle domande di parte ricorrente evidenziando: - che la scelta del sig. Te. era avvenuta sulla base di una pluralità di criteri di valutazione oggettivi (indicati in memoria); - che - in particolare - il criterio dell'anzianità di servizio del ruolo era recessivo rispetto all'anzianità di servizio presso il CON, poiché "per poter svolgere la funzione di Capo Turno del CON, per quanto attiene l'acquisizione delle competenze specifiche, è fondamentale l'esperienza maturata direttamente presso il suddetto Ufficio"; - che comunque "l'attribuzione dell'incarico di cui si discute è connotata da caratteri di fiduciarietà ". 3. Con memoria del 2 giugno 2023, parte ricorrente ha insistito per l'accoglimento della domanda cautelare, osservando che "le argomentazioni spese dalla difesa (della p.a.) si rivelano in più punti vere e proprie integrazioni postume della motivazione: così, ad es., quando in tali difese elenca "i criteri di valutazione" che avrebbe adottato il dirigente ai fini dell'attribuzione dell'incarico per cui è causa..., criteri mai evidenziati in modo trasparente ed imparziale al momento della selezione e neppure comunicati al ricorrente in esito ad apposita istanza di accesso agli atti". 4. Con ordinanza Tar Lazio, I-quater, 8 giugno 2023, n. 9775, questo Tribunale ha disposto il deposito da parte della p.a. resistente "di tutti gli atti e i documenti in base ai quali il provvedimento gravato è stato emanato - ivi compresi gli atti oggetto dell'istanza di accesso prodotta dal ricorrente, ovvero gli atti con cui la p.a. ha predeterminato i criteri di valutazione ai fini dell'attribuzione del Capo Turno del Turno di Servizio A e le valutazioni rese dai Funzionari di Guardia in ordine al CR Ma. Bi. e al CR Qu. Te. - oltreché di tutti gli atti che l'amministrazione ritiene utili al giudizio, in uno con una puntuale relazione sui fatti di causa". 5. Il 16 giugno 2023, l'amministrazione ha depositato documentazione, omettendo tuttavia di depositare "gli atti con cui la p.a. ha predeterminato i criteri di valutazione ai fini dell'attribuzione del Capo Turno del Turno di Servizio A e le valutazioni rese dai Funzionari di Guardia in ordine al CR Ma. Bi. e al CR Qu. Te.". 6. Con ordinanza Tar Lazio, I-quater, 21 luglio 2023, n. 4200 questo Tribunale, dopo aver osservato che l'amministrazione non aveva depositato quanto espressamente richiesto con la precedente ordinanza istruttoria, ha accolto la domanda cautelare - osservando che "il provvedimento gravato sembra caratterizzato da una motivazione soltanto apparente nella parte in cui afferma che la decisione sia stata assunta effettuate le dovute valutazioni e sentiti i sigg. Funzionari di Guardia, atteso che alcun atto del procedimento riporta né le predette valutazioni del dirigente, né le osservazioni svolte dai Funzionari di Guardia" e notando che "l'asserita circostanza che l'attribuzione dell'incarico di cui si discute sia connotata da caratteri di fiduciarietà ... non appare escludere il dovere della p.a. - che ha indetto una procedura comparativa per l'attribuzione dell'incarico - di individuare preventivamente dei criteri di massima per la decisione e di dare contezza (nel provvedimento di nomina) delle ragioni che hanno condotto all'attribuzione dell'incarico" - e ha conseguentemente ordinato all'amministrazione di "rinnovare - entro 60 giorni... - la procedura avviata con atto di ricognizione del 17 febbraio 2023, previa definizione dei criteri di attribuzione dell'incarico". 7. In esecuzione della predetta ordinata, con ordine di servizio 11 agosto 2023, n. 324, l'amministrazione resistente ha quindi rinnovato la procedura per l'attribuzione degli incarichi di Capo Turno (ivi compreso quello oggetto del presente giudizio), indicendo una ricognizione "riservata al personale appartenente al ruolo dei CS/CR in possesso di una anzianità di servizio presso il CON non inferiore a 2 anni", nell'ambito della quale, al fine dell'assegnazione degli incarichi, sarebbe stata valutata sia la specifica anzianità di servizio presso il CON (con attribuzione di 1 punto ogni 30 giorni di servizio), sia l'anzianità di servizio nel ruolo CS/CR (con attribuzione del punteggio di 0,1 punti ogni 30 giorni di anzianità ). 8. All'esito di tale ricognizione, con successivo ordine di servizio 24 agosto 2023, n. 338 l'amministrazione ha nuovamente attribuito al sig. Qu. Te. l'incarico di Capo Turno. 9. Con motivi aggiunti depositati in data 4 novembre 2023, il ricorrente ha impugnato i predetti ordini di servizio nn. 324 e 338 del 2023 e ne ha chiesto l'annullamento - previa adozione di misure cautelari - sulla base di tre motivi in diritto. 9.1. Con il primo motivo ha lamentato l'illegittimità di tutti gli atti impugnati con i motivi aggiunti per violazione e/o elusione dell'ordinanza cautelare Tar Lazio, I-quater, n. 4200/2023, nonché per "violazione e falsa applicazione dell'art. 14 del d.p.r. 28 febbraio 2012, n. 64, "Regolamento di servizio del Corpo nazionale dei vigili del fuoco"; violazione e falsa applicazione dell'art. 3 l. n. 241/1990; eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà (e) difetto di istruttoria; violazione e falsa applicazione dell'art. 11, d.lgs. n. 217/2005; violazione del giusto procedimento (e) mancata trasparenza degli atti adottati dalla Pubblica Amministrazione", osservando tra l'altro: - che l'amministrazione non avrebbe potuto limitare la ricognizione al solo personale in possesso di un'anzianità di servizio presso il CON non inferiore a due anni (ovvero non avrebbe potuto introdurre una clausola che precludeva la nomina del ricorrente all'incarico oggetto del presente giudizio); - che i parametri di valutazione adottati dall'amministrazione erano non conformi al dato normativo e regolamentare nonché viziati per eccesso di potere nella misura in cui attribuivano "all'anzianità presso il CON non solo la funzione di elemento determinante la partecipazione alla ricognizione... ma anche un punteggio di molto superiore all'anzianità di servizio nel ruolo di CR, addirittura attribuendo 1 punto ogni 30 gg di servizio presso il CON e 0,1 punti ogni 30 gg di anzianità nel ruolo di CS/CR". 9.2. Con il secondo motivo ha sostenuto che gli ordini di servizio gravati erano affetti da "nullità ex art. 31 c.p.a. nonché ex art. 112 e 114 c.p.a." in quanto erano "in palese contrasto" con l'ordinanza cautelare Tar Lazio, I-quater, n. 4200/2023. 9.3. Con il terzo motivo ha evidenziato che anche i nuovi provvedimenti adottati dal Ministero resistente erano illegittimi per "eccesso di potere per illogicità manifesta, disparità di trattamento, travisamento dei presupposti ed erronea valutazione dei fatti", in quanto avevano condotto alla nomina di un soggetto che aveva minore anzianità di servizio e minore esperienza professionale. 9.4. Con lo stesso atto, infine, il sig. Bi. ha chiesto a questo Tar di condannare l'amministrazione resistente "al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dal ricorrente, anche per perdita di chance, nonché per violazione dell'immagine professionale del medesimo". 10. Con memoria depositata in data 1 dicembre 2023, il Ministero resistente ha preso posizione sulle censure spiegate nell'atto di motivi aggiunti, ha depositato tutti gli atti relativi alla nuova ricognizione (ivi compreso un prospetto denominato graduatoria, contenente l'indicazione del punteggio di tutti i soggetti che avevano presentato domanda, ivi compreso il ricorrente) e ha insistito per il rigetto delle domande del ricorrente, sottolineando tra l'altro: - che "all'esito del rinnovato procedimento, il ricorrente non (era) stato oggetto di provvedimento di esclusione e la sua istanza (era) stata ritualmente valutata, ma, in considerazione dei titoli posseduti non si (era) utilmente collocato in graduatoria"; - che i criteri stabiliti dall'amministrazione per l'attribuzione dell'incarico nell'ordine di servizio n. 324/2023 erano legittimi in quanto "le già richiamate specificità e unicità del CON richiedono che l'attribuzione delle funzioni di CT e VCT debbano necessariamente essere legate all'esperienza maturata presso il CON e non genericamente all'anzianità nel ruolo di appartenenza". 11. Alla camera di consiglio del 15 dicembre 2023, parte ricorrente ha chiesto "un rinvio congruo al fine di valutare se impugnare la sopravvenuta graduatoria prodotta in giudizio". 12. Con motivi aggiunti depositati in data 21 febbraio 2024, parte ricorrente ha esteso l'impugnazione alla graduatoria "priva di riferimenti e sottoscrizione, depositata in giudizio in data 1 dicembre 2023 dall'amministrazione resistente" - lamentandone l'illegittimità per tutti quanti i motivi già spiegati nel precedente atto di motivi aggiunti avente a oggetto l'impugnazione degli atti della nuova ricognizione - non mancando di sottolineare che la predetta graduatoria "mai pubblicata e/o comunicata... non riporta alcun protocollo, non è sottoscritta, non si comprende neppure da chi redatta, trattandosi di un semplice file PDF, e soprattutto riporta la data del 29 novembre 2023 successiva di oltre tre mesi al provvedimento di conferimento dell'incarico al controinteressato". Con lo stesso atto ha introdotto una nuova censura avverso gli atti della procedura - con cui ha lamentato la loro illegittimità per "violazione e falsa applicazione dell'art. 38 d.p.r. 17 luglio 2022, n. 121; violazione e falsa applicazione dell'art. 6 del CCNL del 24 maggio 2000 delle aziende e amministrazioni autonome dello Stato, richiamato nei successivi CCNL applicabili al personale del Corpo dei Vigili del Fuoco; violazione dei principi di cui all'art. 14 d.p.r. 28 febbraio 2012, n. 64 "Regolamento di servizio del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, di uniformità di trattamento, imparzialità e trasparenza", nonché dei principi di cui al d.lgs. n. 217/2005 (ed) eccesso di potere per contraddittorietà ed irragionevolezza", sostenendo che dalla documentazione versata in atti in data 1 dicembre 2023 emergeva che la p.a. non aveva comunicato alle organizzazioni sindacali, né che la procedura poi indetta con l'ordine di servizio n. 324/2023 sarebbe stata riservata al personale appartenente in possesso di una anzianità di servizio presso il CON non inferiore a 2 anni, né che nell'ambito della medesima procedura sarebbero stati adottati criteri di valutazione che attribuivano all'esperienza già svolta presso il CON un peso molto maggiore rispetto alla generica anzianità di servizio. 13. Con memoria depositata in data 1 marzo 2024, l'amministrazione resistente ha preso posizione sul nuovo atto di motivi aggiunti, notando, tra l'altro, che: - il fatto che le modifiche introdotte erano state "condivise dalle OO.SS. (era) comprovato dalla circostanza che nessuna contestazione formale risulta essere stata presentata all'attualità dalle organizzazioni medesime"; - che comunque, era documentalmente provato che nota 11 agosto 2023, n. 32178, l'amministrazione aveva comunicato alle OO.SS. l'atto di ricognizione, rendendole edotte delle decisioni finali che aveva assunto all'esito della fase di informazione delle OO.SS. avviata il 4 agosto 2023; - che "la graduatoria per l'assegnazione della funzione di CT nei turni A, B, C e D relativa alla procedura di cui al citato OdS 324, non (era) contrassegnata da protocollo in quanto atto interno riportante solo ed esclusivamente elementi oggettivi di valutazione, in assenza di alcun elemento soggettivo"; che "la data indicata dal ricorrente si riferisce chiaramente a quella del documento di trasmissione della stessa alla scrivente difesa erariale (DCEMER 47265 del 29 novembre 2023)" e che "nella tabella, in cui è riportata la graduatoria, è riportato chiaramente il termine temporale di riferimento per gli elementi di valutazione, il 21 agosto 2023"; - che "il ricorrente (era) stato riportato nella tabella della graduatoria dei CT, pur non in possesso del requisito dei due anni di anzianità presso il CON, per completezza, evidenziando che con i parametri di valutazione di cui ai punti A. e B. del contestato OdS 324 il ricorrente non avrebbe comunque raggiunto una posizione utile in graduatoria per l'assegnazione della funzione di CT presso il CON". 14. Con memoria del 2 marzo 2024, parte ricorrente ha insistito per l'accoglimento della nuova domanda cautelare avanzata con gli atti di motivi aggiunti, sottolineando ancora una volta le criticità del documento indicato come "graduatoria". 15. Con ordinanza Tar Lazio, 12 aprile 2024, n. 1437, questo Tribunale ha rigettato la nuova domanda cautelare avanzata con gli atti di motivi aggiunti, osservando che "la reindizione della procedura di selezione dei Capo Turno presso il CON disposta dall'amministrazione con il provvedimento dell'11 agosto 2023 non si pone in contrasto (ma anzi è coerente) con quanto ordinato da questo Tribunale con ordinanza Tar Lazio, I-quater, n. 4200/2023"; evidenziando che "la decisione dell'amministrazione... di assegnare - ai fini dell'attribuzione dell'incarico di capo turno presso il CON - un maggior peso all'esperienza specifica presso il CON rispetto a quello assegnato alla generica anzianità nel ruolo non appare prima facie di per sé manifestamente illogica/irragionevole (anche alla luce di quanto dedotto dalla p.a. in ordine alla specificità del servizio presso il CON e dell'assenza di precise e convincenti contestazioni rispetto a tale specificità da parte del ricorrente)"; e sottolineando, infine, che "il prospetto denominato "graduatoria" depositato in atti (i cui punteggi non sono oggetto di contestazione da parte del ricorrente) appare dimostrare che in ogni caso (a prescindere da ogni considerazione sugli ulteriori requisiti previsti dal nuovo atto di ricognizione) l'applicazione dei criteri (adottati) (che, come si è detto, appaiono il frutto di una scelta discrezionale prima facie non manifestamente irragionevole) non poteva che condurre all'attribuzione dell'incarico al sig. Te.". 16. Con memoria del 31 maggio 2024, parte ricorrente ha insistito per l'accoglimento delle sue domande, sottolineando, tra l'altro, che i criteri di valutazione stabiliti nel nuovo atto di ricognizione sub A e B, nella misura in cui hanno attribuito un maggior peso al periodo di servizio svolto presso il CON rispetto all'anzianità di servizio "hanno letteralmente stravolto il rispetto del criterio di sovraordinazione di cui all'art. 14 del più volte citato d.p.r. n. 64/2021 che, invece, impone, come sopra esposto nell'ambito della stessa qualifica la sovraordinazione determinata dall'anzianità definita nel provvedimento di promozione e, in caso di parità, dalla posizione di precedenza nel ruolo". 17. Con memoria di replica del 10 giugno 2024, l'amministrazione ha insistito per il rigetto del ricorso, sottolineando che l'art. 14, comma 4, d.p.r. 28 dicembre 2012 n. 64, nell'individuare i criteri di sovraordinazione fa espressamente "salvi gli incarichi assegnati dal dirigente", come quelli oggetto del presente giudizio. 18. Con note depositate rispettivamente in data 30 giugno e 1 luglio 2024 le parti hanno insistito nelle rispettive domande. 19. All'udienza pubblica del 2 luglio 2024, il ricorso è stato discusso e trattenuto in decisione. 20. In primo luogo il Collegio evidenzia l'improcedibilità per difetto di interesse della domanda di annullamento degli atti della procedura avviata con atto di ricognizione del 17 febbraio 2023, e del conseguente provvedimento del 28 febbraio 2023 avente a oggetto la nomina del sig. Te. quale Capo Turno A presso il CON. A tal riguardo è sufficiente sottolineare che: - è provato in atti (oltreché ammesso dallo stesso ricorrente, cfr. primo atto di motivi aggiunti, pag. 4) che a seguito dell'ordinanza Tar Lazio, I-quater, n. 4200/2023, la p.a. resistente ha indetto una nuova procedura (i cui atti sono stati impugnati con motivi aggiunti dal ricorrente) per la nomina dei capo turno presso il CON, all'esito della quale il sig. Te. è stato nuovamente nominato Capo Turno A presso il CON con provvedimento del 24 agosto 2023 (anch'esso impugnato con i motivi aggiunti); - è chiaro che il ricorrente non potrebbe trarre più alcun beneficio dall'annullamento dei provvedimenti originariamente impugnati con l'atto introduttivo del presente giudizio, ormai superati dai successivi provvedimenti adottati dall'amministrazione. 21. Tanto premesso, i motivi aggiunti non sono fondati e le domande ivi spiegate devono essere rigettate per le ragioni di seguito illustrate. 22. Va innanzitutto evidenziato che non sono fondate le censure con cui il ricorrente ha lamentato che gli atti della nuova procedura sarebbero stati adottati in violazione dell'ordinanza Tar Lazio, I-quater, n. 4200/2023. Con il predetto provvedimento, infatti, questo Tribunale ha evidenziato le criticità degli atti impugnati con il ricorso introduttivo del giudizio - sotto il profilo della mancata predeterminazione dei criteri di valutazione dei candidati alla procedura e dell'assenza di una congrua motivazione del provvedimento di nomina adottato all'esito della stessa - disponendo che si procedesse alla rinnovazione della predetta procedura "previa definizione dei criteri di attribuzione dell'incarico". È evidente allora che la decisione della p.a. di indire una nuova ricognizione delle disponibilità per i ruoli di Capo Turno, con un ordine di servizio nel quale (oltre ad essere state precisate ulteriormente i compiti del Capo Turno e del suo vice, nell'ottica di garantire la continuità dello svolgimento delle relative mansioni) sono stati indicati preventivamente i criteri che sarebbero stati seguiti dalla p.a. per l'attribuzione dell'incarico (non contraddice ma) è coerente con l'ordine adottato da questo Tribunale in sede cautelare. 23. Va poi evidenziata l'infondatezza della censura (spiegata con il secondo atto di motivi aggiunti) con cui il ricorrente ha lamentato che le OO.SS. non sarebbero state preventivamente informate del fatto che la procedura indetta con l'ordine di servizio n. 324/2023 sarebbe stata riservata al personale appartenente in possesso di una anzianità di servizio presso il CON non inferiore a 2 anni, né che nell'ambito della medesima procedura sarebbero stati adottati criteri di valutazione che attribuivano all'esperienza già svolta presso il CON un peso molto maggiore rispetto alla generica anzianità di servizio. A tal riguardo, il Collegio rileva innanzitutto che: - è provato in atti che con nota del 4 agosto 2023, la p.a. resistente ha informato l'ufficio competente per le Relazioni sindacali della volontà di procedere all'indizione di una nuova ricognizione per l'attribuzione dell'incarico di Capo Turno, chiarendo espressamente già in tale nota che i parametri di valutazione sarebbero stati quelli poi inseriti sub A e B nell'ordine di servizio n. 324/2023 (1 punto ogni 30 gg di servizio presso il CON 0,1 e 0,1 punti ogni 30gg di anzianità ), ovvero - in sostanza - evidenziando che nella ricognizione sarebbero stati introdotti criteri idonei a favorire l'assegnazione a soggetti con una maggiore esperienza presso il CON; - è parimenti provato che con nota del 7 agosto 2023 l'amministrazione - facendo seguito alle richieste delle organizzazioni sindacali - ha convocato una riunione con le medesime OO.SS. in data 10 agosto 2023; - è infine provato che il giorno stesso della pubblicazione dell'ordine di servizio n. 324/2023 la p.a. ha trasmesso all'Ufficio relazioni sindacali l'atto approvato. Da quanto sopra il Collegio ritiene sia evidente l'infondatezza della censura di parte ricorrente. E, infatti, per un verso va notato che i criteri di cui alle lettere A e B (che come si dirà, non appaiono irragionevoli né illogici e sono già di per sé idonei a determinare la legittimità della nomina del sig. Te., cfr. infra sub 24 e 25) sono stati preventivamente comunicati alle OO.SS. Per altro verso va evidenziato che il fatto che l'ordine di servizio n. 324/2023 abbia introdotto un ulteriore requisito di partecipazione (un'esperienza biennale presso il CON) non indicato nell'originaria comunicazione trasmessa all'Ufficio Relazioni sindacali non appare rilevante, tenuto conto che: - da un lato, il criterio della necessaria esperienza biennale presso il CON ha la stessa ratio dei criteri già comunicati alle OO.SS. (ovvero la valorizzazione dell'esperienza specifica presso il CON come criterio principe per l'attribuzione del ruolo di Capo Turno) e gli obblighi informativi di cui alle disposizioni richiamate dal ricorrente (su tutti l'art. 38, d.p.r. n. 121/2022) non paiono potersi interpretare nel senso di obbligare l'amministrazione a riavviare il processo di informazione già espletato nel caso in cui la stessa adotti minime modifiche all'atto sottoposto alle OO.SS. ove tali modifiche siano coerenti con la ratio della proposta condivisa con le organizzazioni sindacali; - dall'altro lato, e soprattutto, appare verosimile (e non smentito da parte ricorrente, che non ha prodotto alcun principio di prova in senso contrario) quanto evidenziato dalla p.a. in ordine al fatto che il criterio dell'esperienza biennale sia stato condiviso con le OO.SS. durante l'incontro del 10 agosto 2023, tenuto conto del fatto che non risulta in atti alcuna rimostranza da parte delle organizzazioni sindacali (a cui l'ordine di servizio n. 324/2023 è stato trasmesso il giorno stesso della sua pubblicazione). 24. Tanto chiarito, il Collegio ritiene che non siano fondate le censure con cui parte ricorrente ha lamentato l'illegittimità dei criteri (indicati nell'ordine di servizio sub A e B) adottati dall'amministrazione ai fini del conferimento dell'incarico di Capo Turno. 24.1. A tal riguardo, il Collegio evidenzia innanzitutto che: - il Centro Operativo Nazionale (CON) è la sala operativa nazionale prevista nell'ambito dell'articolazione del dispositivo di soccorso del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, secondo quanto indicato all'art. 62, c. 1, lett. a, d.p.r. n. 64/2012 (il quale prevede un sistema articolato su tre livelli, provinciale, regionale e nazionale); - l'art. 64, comma 6, d.p.r. n. 64/2012 individua specifici compiti svolti dal CON nell'ambito del dispositivo di soccorso del CNVVFF, ulteriori rispetto a quelli spettanti a tutte le sale operative (indicati al comma 3 del medesimo articolo) e diversi da quelli previsti per il livello provinciale e regionale (indicati ai commi 4 e 5), prevedendo che il Centro Operativo Nazionale curi le attività di: "a) allertamento, mobilitazione ed autorizzazione all'invio di squadre, nuclei specialistici e mezzi operativi in caso di interventi complessi non gestibili con le sole risorse delle direzioni regionali ed interregionali; b) comunicazione con altre sale operative istituzionali di livello nazionale; c) monitoraggio della consistenza dei mezzi e del personale operativo, nonché dei nuclei specialistici; d) invio all'estero di squadre operative; e) monitoraggio della ricaduta radioattiva al suolo attraverso la rete di rilevamento nazionale; f) attivazione dei piani di emergenza attinenti agli scenari di intervento"; - le funzioni di Capo turno presso il CON sono state puntualmente individuate dall'amministrazione con ordine di servizio del 4 luglio 2017 n. 101, nel quale è evidenziato che tale soggetto "partecipa attivamente, insieme al vice capo turno, al funzionario di guardia e al funzionario di seconda guardia, al passaggio delle consegne ad inizio e fine di ogni turno di servizio", "supporta il funzionario di guardia nella compilazione... dell'elenco del personale in straordinario", indica "a ciascun operatore la propria postazione di lavoro sulla base della planimetria della sala emergenza", "cura l'invio del notiziario", "partecipa al briefing istituzionale", "controlla costantemente il flusso e la lavorazione delle comunicazioni in entrata e in uscita", "invia al notiziario documenti e annotazioni relative a interventi rilevanti", "sovraintende, il corretto riscontro delle anomalie radiometriche", "coordina l'aggiornamento e/o la chiusura delle notizie elencate nel CONGE", "comunica "eventuali carenze di personale", "dirige il de-briefing di fine turno", "supporta i funzionari di guardia in merito a valutazioni di carattere operativo e/o di comunicazione ad altri uffici", "avalla e trasmette richieste di ferie e/o permessi del personale garantendo la funzionalità operativa del turno", "compila il foglio presenze", "segnala... problematiche, disservizi e disfunzioni relative alla funzionalità logistica e operativa del CON"; - ulteriori specifiche sui compiti del Capo Turno sono poi state individuate nell'OdS n. 324/2023 (non contestato sotto tale profilo dall'odierno ricorrente) proprio in considerazione del fatto che la figura del CT indicata nel citato OdS n. 101/2017 svolge le attività del Responsabile di Sala Operativa Nazionale di cui al combinato disposto dell'art. 64 e 65 del d.p.r. n. 64/2012. 24.2. Ciò premesso, il Collegio ritiene che i criteri per la valutazione dei candidati all'incarico di Capo Turno individuati nell'OdS n. 324/2023 ("A. anzianità di servizio presso il CON, con attribuzione del punteggio di 1punto ogni 30gg di servizio; B. anzianità di servizio nel ruolo CS/CR, con attribuzione del punteggio di 0,1 punti ogni 30gg di anzianità ") non appaiono né gravemente illogici né manifestamente irragionevoli nella misura in cui attribuiscono all'esperienza presso il CON un rilievo particolarmente elevato rispetto alla generica anzianità nel ruolo di Capo Squadra/Capo Reparto, tenuto conto di quanto sopra evidenziato in ordine alla specificità delle funzioni attribuite dalla normativa vigente al CON e al Capo Turno presso lo stesso. Al contrario, i suindicati parametri appaiono una ragionevole espressione dell'ampia discrezionalità che è costantemente riconosciuta all'amministrazione nella scelta dei criteri per l'assegnazione di un incarico che non appare scevro da profili di carattere fiduciario (sull'ampia discrezionalità delle decisioni dirigenziali in materia, v. ex multis Tar Perugia, I, 1 luglio 2024, n. 516 e Tar Torino, II, 7 marzo 2024, n. 235). D'altronde, se è vero che - come già notato in sede cautelare - la circostanza che un incarico sia connotato da elementi di fiduciarietà non elide il dovere della p.a. di definire previamente criteri di massima per la sua attribuzione e di dare contezza delle ragioni della stessa (nel rispetto dei generali principi di "uniformità di trattamento, imparzialità e trasparenza" che - ai sensi dell'art. 14, d.p.r. n. 64/2012 devono sempre ispirare l'assegnazione di incarichi da parte del dirigente, v. Tar Palermo, III, 1 agosto 2023, n. 2529), è parimenti vero che nella definizione dei criteri di attribuzione di un siffatto incarico non può che riconoscersi la più ampia discrezionalità alla p.a., con conseguente limitazione del sindacato del giudice amministrativo alle sole ipotesi di criteri manifestamente illogici o irragionevoli. 24.3. È poi appena il caso di evidenziare che non convincono le doglianze con cui parte ricorrente ha evidenziato che i criteri stabiliti nell'OdS n. 324/2023, nella misura in cui non conducono alla nomina del più anziano, violerebbero il criterio di sovraordinazione di cui all'art. 14, d.p.r. n. 64/2012. A tal riguardo, il Collegio concorda con quanto recentemente affermato in altri giudizi in ordine al fatto che "l'anzianità di servizio... non costituisce regola unica ed inderogabile nell'ambito della disciplina del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, né tantomeno può valere in via esclusiva in sede di conferimento di incarichi, come espressamente previsto dall'art. 14 del D.P.R. 64 del 2012: il quarto comma della disposizione in esame fa infatti espressamente salvi rispetto all'applicazione del criterio di sovraordinazione funzionale "pura" gli incarichi assegnati dal dirigente" (cfr. Tar Perugia, I, 1 luglio 2024, n. 516 e - in senso ana - Tar Torino, II, 7 marzo 2024, n. 235). È poi appena il caso di evidenziare che la circostanza che l'applicazione dei criteri di cui A e B sia effettuata senza grave pregiudizio al criterio di sovraordinazione appare comunque garantita dal fatto che l'OdS n. 324/2023 prevede che l'attribuzione delle qualifiche "avverrà sulla scorta della graduatoria, differenziata per ognuna delle tre qualifiche previste al comma 1 dell'art. 10 del d.lgs n. 217/2018 e s.m.i. a al fine di assegnare gli incarichi di cui alla presente secondo l'ordine di priorità Capo Reparto, Capo Squadra Esperto, Capo Squadra, costituita attribuendo i punteggi di cui ai punti A. e B., tenendo conto, per quanto possibile, delle preferenze manifestate" (diposizione, quest'ultima, che garantisce che un capo squadra, anche se in possesso di maggiore esperienza presso il CON, non possa in ogni caso superare un capo reparto, ove entrambi concorrano per la medesima posizione). 24.4. Da ciò l'infondatezza delle censure rivolte avverso i criteri stabiliti nell'OdS n. 324/2023, la cui applicazione ha legittimamente determinato la nomina del sig. Te. quale Capo Turno del turno di servizio A presso il CON. 25. Quanto sopra evidenziato in ordine alla legittimità dei criteri di selezione adottati dalla p.a. rende improcedibile la doglianza con cui parte ricorrente ha contestato la clausola dell'ordine di servizio n. 324/2023 che prevedeva che la procedura fosse "riservata al personale appartenente al ruolo dei CS/CR in possesso di una anzianità di servizio presso il CON non inferiore a 2 anni". Deve infatti notarsi che il prospetto contenente i calcoli (incontestati) effettuati dalla p.a. in ordine al punteggio posseduto in relazione ai criteri A e B da parte di tutti i soggetti (ivi compreso il sig. Bi.) che hanno manifestato interesse alla ricognizione per la selezione dei Capi Turno (denominato "graduatoria", ancorché all'evidenza lo stesso non abbia alcun valore provvedimentale, costituendo al più un appunto propedeutico al provvedimento di nomina adottato e impugnato) appare idoneo a dimostrare, infatti, che in applicazione dei criteri di cui si è già rilevata la legittimità (appunto i criteri indicati nell'OdS n. 324/2023 sub A e B) il sig. Bi. non avrebbe in ogni caso conseguito un punteggio tale da consentirgli di ottenere la nomina a Capo Turno al posto del sig. Te.. È evidente, allora, che parte ricorrente non avrebbe alcun interesse all'annullamento di una siffatta clausola "di sbarramento", atteso che ciò non determinerebbe in alcun modo l'accesso al bene della vita per cui lo stesso ha proposto ricorso (la nomina a Capo Turno A) e tenuto conto che il tipo di incarico oggetto della ricognizione non appare richiedere la formulazione di una graduatoria con carattere provvedimentale suscettibile di scorrimenti (in disparte la circostanza che è incontestato che parte ricorrente andrà in pensione il 1 ottobre 2024, con ciò che ne consegue in termini di evidente carenza di interesse a un posizionamento utile a meri fini di scorrimento futuro). 26. È poi appena il caso di evidenziare che quanto detto in ordine al fatto che quella versata in atti dall'amministrazione resistente non è una graduatoria con carattere provvedimentale (non essendo configurabile in capo all'amministrazione l'obbligo di adottarne una nel caso oggetto del presente giudizio), depone per l'irrilevanza delle osservazioni spiegate da parte ricorrente in ordine alla forma del documento denominato "graduatoria". 27. Infine, è appena il caso di notare che non sussistono i presupposti per accogliere la domanda risarcitoria formulata da parte ricorrente. Per un verso, infatti, è stata già evidenziata la legittimità del provvedimento di nomina del sig. Qu. Te. (OdS n. 338/2023) sulla base dei ragionevoli criteri stabiliti con l'OdS. n. 324/2023. Per altro verso, poi, nessun risarcimento potrebbe conseguire dall'accertamento dell'illegittimità del primo provvedimento di nomina impugnato con l'atto introduttivo del giudizio (le cui criticità erano state evidenziate in sede cautelare da questo Tribunale e che sono poi stati superati dall'OdS. n. 324/2023 e dal suo esito), tenuto conto che il risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo (nel caso di specie, quello a essere nominato come Capo Turno A) "è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell'agire illegittimo della pubblica amministrazione" (Tar Catania, III, 22 febbraio 2024, n. 230 e Consiglio di Stato, IV, 12 settembre 2023, n. 8282); che anche il risarcimento del danno da perdita di chance richiede che sia dimostrata una probabilità di successo significativa (Tar Lazio, I-stralcio, 11 dicembre 2023, n. 18534); e che nel caso di specie l'esito netto della procedura avviata con il nuovo atto di ricognizione (cui l'amministrazione è addivenuta sulla base di criteri logici, ragionevoli e nient'affatto stravaganti) appare idoneo ad escludere la sussistenza dei suindicati presupposti. 28. Conclusivamente, per tutte le ragioni sopra illustrate, il ricorso introduttivo deve essere dichiarato improcedibile e tutte le domande avanzate con gli atti di motivi aggiunti devono essere respinte. 29. Le spese processuali - tenuto conto di tutte le circostanze del caso di specie - possono essere integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Quater, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto: - dichiara improcedibile il ricorso introduttivo; - respinge le domande formulate nei motivi aggiunti. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Concetta Anastasi - Presidente Agatino Giuseppe Lanzafame - Referendario, Estensore Caterina Lauro - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Quater ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10327 del 2022, proposto da Pa. Pi., rappresentato e difeso dall'avvocato St. Fe. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Pa. Bo. ed altri, non costituiti in giudizio; per l'annullamento in parte qua, previa concessione di idonee misure cautelari, del decreto del 17 giugno 2022 del Dipartimento della Pubblica Sicurezza - Direzione Centrale degli Affari Generali e le Politiche del Personale della Polizia di Stato, di rideterminazione della graduatoria di merito e dichiarazione dei vincitori del Concorso interno straordinario, per titoli, per 1000 posti per la nomina alla qualifica di Sostituto Commissario della Polizia di Stato, indetto dal Capo della Polizia di Stato-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza con Decreto del 31 dicembre 2020, pubblicato nel Bollettino del personale del Ministero dell'Interno-supplemento straordinario n. 1/25bis del 20 giugno 2022, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e comunque consequenziale, ancorché di data e tenore sconosciuto, che incida sfavorevolmente sulla posizione giuridica del ricorrente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 luglio 2024 il dott. Agatino Giuseppe Lanzafame e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'atto introduttivo del presente giudizio, il sig. Pa. Pi. ha impugnato il decreto del 17 giugno 2022 con cui l'amministrazione ha rideterminato la graduatoria del Concorso interno straordinario, per titoli, per 1000 posti per la nomina alla qualifica di Sostituto Commissario della Polizia di Stato, indetto con decreto del 31 dicembre 2020 e ne ha chiesto l'annullamento, previa adozione delle più opportune misure cautelari, "nella parte in cui non (gli riconosce) il corretto punteggio previsto dal bando di concorso (e non lo vede quindi) collocato in posizione utile per l'immissione nel ruolo di Sostituto Commissario della Polizia di Stato". 1.1. A sostegno della propria pretesa il ricorrente ha innanzitutto evidenziato: - che in data 21 febbraio 2022 l'amministrazione aveva provveduto a pubblicare la graduatoria della predetta procedura concorsuale, nella quale il sig. Pi. era collocato in posizione n. 2449, con un punteggio di 23,258; - che a seguito della pubblicazione della suindicata graduatoria, il sig. Pi. aveva presentato domanda di autotutela (chiedendo la rettifica del punteggio attribuito ai suoi titoli) nonché istanza di accesso agli atti della procedura; - che in data 21 giugno 2022, l'amministrazione resistente aveva trasmesso al sig. Pi. il verbale 22 aprile 2022, n. 66, corredato dalla scheda di valutazione dei titoli, con cui la Commissione aveva rivalutato la posizione del ricorrente attribuendogli un punteggio pari a 27,258; - che contestualmente l'amministrazione aveva pubblicato la nuova graduatoria, adottata con il decreto impugnato nel presente giudizio. 1.2. Tanto premesso in fatto, il ricorrente ha lamentato l'illegittimità della graduatoria gravata per "violazione dell'art. 3, l. n. 241/1990; difetto assoluto di motivazione e di istruttoria; violazione ed errata applicazione dei principi di cui all'art. 1, l. n. 241/1990 e dell'art. 97 Cost. e dei connessi principi di legalità, trasparenza ed imparzialità della p.a; eccesso di potere; illogicità ed irragionevolezza manifesta; disparità di trattamento ed illegittimità derivata", osservando in sintesi: a) che dalla scheda di valutazione emergeva che l'amministrazione aveva omesso di computare nel punteggio totale 0,3 punti per la categoria A9 (titoli relativi alla formazione del candidato) nonostante questi fossero stati attribuiti al ricorrente nella relativa casella della scheda titoli; b) che il Ministero resistente gli aveva attribuito un punteggio errato per la categoria A2 (anzianità nel ruolo degli ispettori), in quanto: - avrebbe dovuto assegnargli il punteggio massimo di 6 - previsto per i soggetti con oltre 30 anni di anzianità nel ruolo - considerando anche il periodo trascorso nel ruolo dei sovrintendenti, nel quale era transitato in data 7 luglio 1992; - che in ogni caso avrebbe dovuto riconoscergli 25 anni e 5 mesi di anzianità nel ruolo degli ispettori (e non 25 anni e 4 mesi), in quanto il periodo eccedente il venticinquesimo anno era sostanzialmente pari a 5 mesi (1 settembre 2020 - 30 gennaio 2021); c) che per la categoria A8 (incarichi e servizi di particolare rilevanze) la p.a. gli aveva attribuito un punteggio di 2, nonostante lo stesso avesse comprovato titoli per 2,3. 2. Con memoria del 6 ottobre 2022, il Ministero resistente ha spiegato le proprie difese, evidenziando, in via preliminare, l'inammissibilità del ricorso e, nel merito, l'infondatezza delle censure di parte ricorrente. 2.1. Sotto il primo profilo, ha eccepito "la mancata impugnazione del decreto ministeriale del 21 febbraio 2022 con cui è stata pubblicata la graduatoria di merito del concorso, giacché atto immediatamente lesivo degli interessi del ricorrente". 2.2. Nel merito, ha puntualmente argomento in ordine all'infondatezza delle diverse censure di parte ricorrente, sottolineando: - che "la mancata indicazione nella barra riepilogativa di titoli e punteggi... di punti 0,3 relativi al calcolo dei titoli attinenti alla formazione del candidato (A9) è una mera irregolarità materiale che non ha prodotto alcun pregiudizio al ricorrente che si è visto comunque assegnare tale punteggio nel calcolo finale, come è evincibile dalla somma dei titoli e dalla voce "totale titoli-punteggio""; - che in relazione all'anzianità di servizio nel ruolo degli ispettori non poteva essere considerato il periodo trascorso nel ruolo dei sovrintendenti e che il calcolo relativo ai mesi era corretto in quanto era stato "effettuato attraverso l'utilizzo di un applicativo appositamente predisposto, il quale, ai fini del calcolo del relativo punteggio, ha preso in considerazione il periodo di anzianità maturato alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda, ovvero il 30 gennaio 2021" e conseguentemente "l'ulteriore periodo di anzianità che sarebbe maturato solo in data 1 febbraio 2021, dunque successivamente al completamento del mese di gennaio non poteva essere oggetto di valutazione"; - che il punteggio assegnato in relazione agli incarichi e servizi di particolare rilevanza annotati nel foglio matricolare (A8), era corretto in quanto "il punteggio massimo attribuibile per tale categoria (era) di 2 punti, in conformità al verbale di determinazione dei criteri di valutazione dei titoli... dettato in attuazione dell'art. 5, comma 1, lett. a), punto 8, del bando di concorso che prevede la valutabilità di "incarichi e servizi di particolare rilevanza conferiti con provvedimento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, ovvero di altre amministrazioni a seguito di specifica autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza, annotati nello stato matricolare, fino a punti 2"". 3. Con ordinanza Tar Lazio, I-quater, 14 ottobre 2022, n. 6392, questa sezione ha evidenziato che il ricorso "appare fornito di sufficiente fumus boni iuris limitatamente alla sola censura con cui il ricorrente ha lamentato che nella sezione relativa all'anzianità di servizio nel ruolo degli ispettori, relativa al conteggio dei mesi (A2), gli sono stati valutati solo quattro mesi di servizio nonostante il periodo di anzianità rilevante ai fini della procedura (dal 1 settembre 2020 al 30 gennaio 2021, data di scadenza del bando) fosse sostanzialmente pari a cinque mesi" e ha quindi accolto la domanda cautelare ordinando "al Ministero resistente un riesame della posizione del ricorrente limitatamente a tale profilo, tenuto conto, peraltro, del fatto che il 30 gennaio 2021 era sabato". 4. In data 16 novembre 2022, l'amministrazione ha depositato il verbale 2 novembre 2022, n. 69 con cui la Commissione concorsuale ha riesaminato la posizione di parte ricorrente limitatamente al profilo indicato da questo Tribunale in sede cautelare, ritenendo di dover confermare la propria precedente decisione, in quanto "il calcolo della natura di servizio ha una natura fissa e pertanto non tiene conto del carattere feriale o festivo del giorno rispetto al quale essa è calcolata". 5. Con memoria del 21 dicembre 2022, il ricorrente ha insistito nelle sue domande, soffermandosi in particolar modo sull'irragionevolezza del limite massimo di 2 punti previsto in relazione ai titoli di cui alla categoria A8. 6. Con ordinanza Tar Lazio, I-quater, 25 gennaio 2023, n. 477, questo Tribunale - dopo aver evidenziato che "da quanto risulta agli atti, il ricorrente non ha impugnato... il provvedimento di riesame adottato dalla p.a. ma si è limitato a depositare una memoria con la quale ha insistito nelle altre censure proposte con l'atto introduttivo (la cui carenza di fumus è già stata implicitamente evidenziata da questo Tribunale con l'inoppugnata ordinanza Tar Lazio, I-quater, n. 6392/2022)" - ha dichiarato improcedibile la domanda cautelare proposta con il ricorso introduttivo. 7. In data 5 maggio 2023, parte ricorrente ha chiesto a questo Tribunale di "disporre la sollecita fissazione dell'udienza di discussione nel merito del ricorso". 8. All'udienza pubblica del 16 luglio 2024, il ricorso è stato discusso e trattenuto in decisione. 9. Il ricorso è infondato e va respinto per le ragioni di seguito illustrate. 10. Preliminarmente, va rilevata l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità che l'amministrazione ha sollevato con la propria memoria difensiva. Non può non notarsi, infatti, che il decreto di rideterminazione della graduatoria adottato dalla p.a. resistente (e gravato nel presente giudizio) si caratterizza come un composito provvedimento di secondo livello (cfr. Consiglio di Stato, II, 4 giugno 2020, n. 3537 e Tar Lazio, II, 13 dicembre 2010, n. 36323) con cui l'amministrazione resistente - a seguito di una nuova e più completa istruttoria - per un verso ha rettificato (ovvero ha annullato in parte) la propria precedente determinazione (accogliendo parzialmente l'istanza di autotutela presentata dall'odierno ricorrente e riconoscendo al sig. Pi. 4 punti in più rispetto a quelli precedentemente attribuitigli) e allo stesso tempo ha confermato (sempre all'esito della stessa attività di effettivo riesame della posizione del ricorrente) le proprie precedenti conclusioni in relazione alle ulteriori contestazioni dallo stesso avanzate in sede di autotutela (oggi riproposte in sede giurisdizionale). Quanto sopra rende evidente che il gravame proposto avverso la nuova graduatoria - che sostituisce e integra l'originaria graduatoria del 21 febbraio 2022 - è tempestivo e ammissibile (cfr. Tar Lazio, I-quater, 20 ottobre 2022, n. 13504). 11. Tanto premesso, nessuna delle censure di parte ricorrente può essere accolta. 11.1. Del tutto priva di pregio è innanzitutto la prima doglianza formulata dal sig. Pi., con la quale è stato osservato - in sostanza - che nella barra orizzontale della scheda di valutazione non erano stati inseriti 0,3 punti allo stesso spettanti per la categoria A9. È, infatti, provato in atti che quello rilevato dal ricorrente è solo un mero refuso nella compilazione di una parte della scheda che non ha prodotto alcun pregiudizio al sig. Pi.: dal conteggio dei punteggi attribuiti dalla Commissione per i singoli titoli così come dettagliati nella scheda, infatti, è evidente che il ricorrente si è visto attribuire in sede di "totale titoli" anche 0,3 punti per la categoria A9 (punti che quindi sono stati correttamente computati dall'amministrazione nel totale di 27,258). 11.2. Parimenti priva di pregio è la censura con cui parte ricorrente ha lamentato che l'amministrazione avrebbe dovuto considerare, a fini dell'attribuzione del punteggio per la categoria A2, il servizio prestato dal ricorrente nel ruolo dei sovrintendenti. A tal riguardo, non può che condividersi quanto osservato dall'amministrazione nelle proprie difese in ordine al fatto che la mancata valutazione dell'anzianità di servizio maturata nel ruolo dei sovrintendenti dal 7 luglio 1982 è stata fatta in stretta osservanza dell'art. 5, lett. a, n. 2 del bando di concorso che fa esclusivo riferimento all'anzianità di servizio maturata nel ruolo degli ispettori. 11.3. Improcedibile, invece, è la censura con cui l'odierno ricorrente ha lamentato che nell'attribuzione del punteggio relativo alla categoria A2 la Commissione avrebbe dovuto riconoscergli quantomeno un'anzianità nel ruolo degli ispettori di 25 anni e 5 mesi (e non invece di 25 anni e 4 mesi). A tal proposito, il Collegio osserva che: - tanto in sede di valutazione (cfr. verbale n. 66/2022) quanto in sede processuale (cfr. memoria del 6 ottobre 2022) l'amministrazione ha evidenziato la correttezza del calcolo dell'anzianità, sottolineando che i mesi di anzianità conteggiati (oltre i 25 anni) erano corretti, in quanto il quinto mese preteso dal ricorrente sarebbe maturato (oltre la data di scadenza del termine di presentazione della domanda del 30 gennaio 2021, ovvero) solo in data 1 febbraio 2021, al completamento del mese di gennaio; - con ordinanza cautelare Tar Lazio, I-quater, n. 6932/2022, questo Tribunale ha disposto un riesame della posizione del ricorrente da parte dell'amministrazione, invitando la Commissione a vagliare la possibilità di valorizzare la circostanza che la data in cui scadeva il termine per la presentazione della domanda era un sabato; - con verbale n. 69/2022, l'amministrazione ha provveduto ad effettuare il riesame disposto da questo Tribunale, ritenendo di dover confermare la propria precedente decisione non solo perché il calcolo "da un'ulteriore verifica effettuata, risulta correttamente effettuato (1 settembre 1995 - 30 gennaio 2021)", ma anche perché "il calcolo dell'anzianità ha una natura fissa e non tiene conto del carattere feriale o festivo del giorno rispetto al quale essa è calcolata". È evidente allora che - ancorché questo Collegio abbia ancora di recente manifestato un particolare rigore nel valutare i verbali di riesame adottati in ambito concorsuale (chiarendo che sono atti meramente confermativi i verbali con cui l'amministrazione si limiti sostanzialmente a ribadire quanto già affermato in precedenza, ovvero verbali che appaiano meramente ricognitivi delle ragioni poste alla base della propria precedente decisione cfr. Tar Lazio, I-quater, 2 gennaio 2024, n. 82, che richiama Consiglio di Stato, II, 27 gennaio 2022, n. 559) - il verbale n. 69/2022 non può che essere qualificato come un provvedimento di (parziale) conferma in senso proprio, atteso che la Commissione appare avere effettivamente riesaminato la posizione del ricorrente, confermando la propria precedente decisione sul punto con argomenti nuovi (sulla cui correttezza o meno questo Collegio non può esprimersi in ragione della mancata impugnazione del predetto verbale) e non frontalmente in contrasto con il concreto ordine di riesame impartito nel caso di specie. La mancata impugnazione di tale provvedimento, allora, non può che determinare l'improcedibilità della censura. 11.4. Infondata, infine, è la censura con cui parte ricorrente ha lamentato che la Commissione avrebbe dovuto attribuirgli 2,3 punti (invece che 2) per la categoria A.8 (incarichi e servizi di particolare rilevanza). A tal riguardo, il Collegio evidenzia che: - l'art. 5, comma 1, lett. a, n. 8, del bando di concorso prevedeva espressamente che fossero assegnati non più di due punti per tale tipologia di titoli; - la Commissione, tanto in sede di fissazione e specificazione dei criteri, quanto in sede di valutazione del ricorrente si è puntualmente attenuta a quanto previsto dalla lex specialis; - il limite fissato dalla lex specialis (che peraltro parte ricorrente non ha espressamente gravato) e ribadito dall'amministrazione nel verbale con cui sono stati specificati i criteri di valutazione titoli (anch'esso non espressamente impugnato) non appare manifestamente ingiusto, né palesemente illogico, ma appare essere una ragionevole espressione dell'ampia discrezionalità di cui - com'è noto - gode l'amministrazione nella determinazione dei criteri di valutazione dei titoli in sede concorsuale (cfr. da ultimo sul punto Tar Catanzaro II, 11 giugno 2024, n. 927). 12. Per tutte le ragioni sopra spiegate il ricorso non può essere accolto. 13. Le spese processuali - tenuto conto di tutte le circostanze del caso - possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Quater, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Concetta Anastasi - Presidente Agatino Giuseppe Lanzafame - Referendario, Estensore Caterina Lauro - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 11610 del 2023, proposto dal sig. Fa. Te., rappresentato e difeso dagli Avvocati Ca. Ca. e Prof. Sa. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, Via (...); Consap S.p.A. - Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici, non costituita in giudizio; per l'ottemperanza - della sentenza del TAR Lazio, Roma, Sez. II, n. 4649/2023 pubblicata in data 16/03/2023, previo accertamento della nullità e/o della inefficacia del provvedimento reso dalla Commissione Tecnica in data 27.04.2023, invero non conosciuto né trasmesso, ed appreso solo in quanto comunicato per estratto da CONSAP s.p.a., Direzione Promozione Nuove Iniziative e Garanzie Finanziarie, mediante invio di pec al legale e domiciliatario indicato nelle domande, Avv. Co. Ca. (Avv. Ca. C.), in data 25 maggio 2023, con il quale, a seguito di asserita rivalutazione della domanda/istanza di indennizzo effettuata a seguito della sentenza del TAR Lazio (n. 4649/2023), la predetta è stata nuovamente ed integralmente rigettata; - ovvero, anche e comunque, per l'annullamento del provvedimento reso dalla Commissione Tecnica in data 27.04.2023, invero non conosciuto né trasmesso, ed appreso solo in quanto comunicato per estratto da CONSAP s.p.a., Direzione Promozione Nuove Iniziative e Garanzie Finanziarie, mediante invio di pec al legale e domiciliatario indicato nelle domande, Avv. Co. Ca. (rectius, Avv. Ca. C.), in data 25 maggio 2023, con il quale, a seguito di asserita rivalutazione della domanda/istanza di indennizzo effettuata a seguito della sentenza del TAR Lazio (n. 4649/2023), la predetta è stata nuovamente ed integralmente rigettata; - in ogni caso, per l'accertamento della nullità e/o della illegittimità degli atti, delle operazioni concernenti e dei provvedimenti relativi al procedimento di rivalutazione della domanda/istanza di indennizzo inoltrata dal ricorrente alla CONSAP s.p.a. in relazione alle azioni emesse da Ba. delle Ma. s.p.a. acquistate dallo stesso, affidate ex lege alla valutazione della Commissione Tecnica istituita presso il MEF - e comunque di tutti gli altri atti e/o provvedimenti, precedenti, successivi, connessi ed anche istruttori rispetto a quelli impugnati, ancorché non conosciuti, ove comunque funzionali e/o finalizzati all'istruttoria procedimentale ed alla successiva adozione del provvedimento di diniego e rigetto della domanda avanzata dalla ricorrente; - con espressa e rituale richiesta di accertamento del diritto in capo al ricorrente di ottenere l'indennizzo previsto dalla Legge ed espressamente richiesto nell'originaria domanda/istanza inviata alla CONSAP s.p.a., nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nella stessa e nell'odierno ricorso, nonché del corrispondente obbligo in capo alle Amministrazioni resistenti di riconoscere e di corrispondere l'indennizzo richiesto dal ricorrente, nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nella stessa e nell'odierno ricorso, e, in subordine, di risarcire il danno patito nella misura del medesimo importo del contributo richiesto e non concesso; - in ogni caso, oltre interessi e rivalutazione monetaria, come per Legge; - e, ancora, con espressa e rituale riserva di reclamare, nel giudizio incardinato con l'odierno ricorso e/o in uno successivo, il risarcimento del danno ulteriore inferto alla ricorrente a fronte del complessivo modus operandi delle Amministrazioni resistenti; - nonchè per ottenere la contestuale nomina di un Commissario ad acta che si sostituisca fin da subito all'Amministrazione, al fine di disporre l'effettiva valutazione dell'originaria domanda e di riconoscere il giusto indennizzo dovuto ex lege. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2024 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. L'odierno ricorrente è stato azionista della Ba. delle Ma. S.p.a., che in seguito è stata posta in liquidazione coatta amministrativa. 2. Nel 2020, il ricorrente ha presentato domanda per ottenere l'erogazione dell'indennizzo previsto dal Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), istituito con l'art. 1, comma 493, della legge del 30 dicembre 2018, n. 145, in favore dei risparmiatori danneggiati dalle banche poste in liquidazione coatta amministrativa "dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1° gennaio 2018", al ricorrere dei presupposti ivi stabiliti. 3. In data 26 luglio 2022, la società concessionaria pubblica Consap S.p.A. - che istruisce le richieste di indennizzo e gestisce il relativo procedimento - ha comunicato all'istante il rigetto dell'istanza. Tale rigetto poggia sulla seguente motivazione: "In relazione alla domanda ID 102178, la documentazione allegata dall'istante, anche a seguito di integrazione, non è risultata idonea/sufficiente per il riconoscimento dell'indennizzo del F.I.R. Sulla base della documentazione acquisita in relazione alla domanda di indennizzo, non risultano elementi valutabili quali principio di prova della sussistenza di una violazione massiva del TUF. L'istanza risulta carente della documentazione bancaria necessaria per la dimostrazione della violazione massiva dedotta, documentazione il cui onere di conservazione ricade anche sul cliente della Banca. In ragione di ciò, la Commissione tecnica, ha deliberato che, nel caso di specie, non sussistono i requisiti per il riconoscimento dell'indennizzo previsto dalla richiamata normativa" (art. 1, comma 493, della legge del 30 dicembre 2018, n. 145). 4. L'odierno ricorrente aveva provveduto ad impugnare il summenzionato provvedimento reiettivo innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione II (RG 13739/2022). Il ricorso era stato accolto con sentenza di questa Sezione n. 4649 del 16 marzo 2023. Il fulcro motivazionale della sentenza è il seguente: "il provvedimento impugnato risulta viziato da un'evidente violazione di legge, oltre che affetto da eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. Difatti, spettava alla Commissione tecnica, ai sensi dell'art. 1, comma 501, della legge n. 145/2018 e dell'art. 7, comma 1, del d.m. 10 maggio 2019 del MEF, riscontrare in concreto la sussistenza delle violazioni massive del TUB poste in essere dalla banche - anche nei periodi temporali diversi dal c.d. "periodo sospetto" - in relazione alla posizione dell'istante, avvalendosi se del caso dei poteri istruttori forniti dal legislatore proprio in considerazione della debolezza informativa (posizione asimmetrica) in cui versa quest'ultimo rispetto all'istituto di credito. Anziché operare secondo diritto, la Commissione ha illegittimamente invertito il riparto dell'onere probatorio, che il legislatore poneva a suo carico, sulla dimostrazione delle violazioni massive. In conclusione, il gravame è fondato e va pertanto accolto; per l'effetto va annullato il provvedimento di Consap del 26 luglio 2022.... Le amministrazioni intimate sono tenute a conformarsi in via esecutiva alla presente decisione, ri-esercitando il rispettivo potere amministrativo emendato dai vizi di illegittimità ivi accertati e adottando gli atti amministrativi conseguenti alla presente pronuncia giurisdizionale, fermo restando che, in caso di determinazione favorevole all'istante, dalle somme dovute dovranno essere scomputati gli importi medio tempore corrisposti in via parziale". In breve, acclarato che i risparmiatori danneggiati sono legittimati al pagamento dell'indennizzo de quo soltanto se (e nella misura in cui) venga prima accertata l'esistenza di taluni requisiti (tra i quali il fatto che l'istituto di credito abbia commesso alcune violazioni massive del TUF e che esista, inoltre, uno specifico nesso di causalità tra tali violazioni e il danno subì to dal singolo risparmiatore), questa Sezione ha rilevato - con la sentenza n. 4649 del 16 marzo 2023 - che: a) in base alla disciplina di legge applicabile al caso de quo, l'onere di dimostrare la sussistenza (o meno) dei presupposti dell'indennizzo in esame non incombe sul singolo risparmiatore, bensì sull'Amministrazione (segnatamente sulla Commissione tecnica che riceve la richiesta di indennizzo da parte del singolo risparmiatore); b) con il 1° provvedimento reiettivo l'Amministrazione ha respinto la richiesta di indennizzo basandosi su un evidente malgoverno delle regole di riparto dell'onere di dimostrazione dei requisiti costitutivi dell'indennizzo de quo; tale malgoverno si è disvelato nel momento in cui l'Amministrazione ha ritenuto che incombesse sul risparmiatore (anziché sulla Commissione tecnica) l'onere di dimostrare i requisiti di accesso all'indennizzo de quo. 5. A seguito dell'appello proposto dal Ministero intimato avverso la summenzionata sentenza, il Consiglio di Stato ha integralmente confermato detta sentenza (Cons. St., sez. VII, 5 giugno 2024 n. 5029). 6. Nelle more della definizione del giudizio appello, su istanza del ricorrente la Commissione tecnica si è rideterminata negativamente (in asserita esecuzione della sentenza di 1° grado di questa Sezione) sulla richiesta di indennizzo dell'odierno ricorrente. Questo nuovo provvedimento negativo reca la seguente motivazione: "La Commissione tecnica nella seduta del 27 aprile u.s., nel prendere atto di tale richiesta, "rileva che l'indicazione delle violazioni massive è già stata effettuata secondo quanto suggerito dal TAR del Lazio, mentre in questi casi viene in evidenza la sola prospettazione di eventuali violazioni individuali; pertanto, nel merito, la Commissione conferma il rigetto delle istanze, osservando che la possibilità di produrre la documentazione della quale si lamenta la mancata consegna da parte della banca è stata offerta agli istanti (che avrebbero avuto l'onere di conservarla) in sede di integrazione. Né è possibile per la Commissione tecnica rivolgere tale richiesta alla banca cessionaria (che ha dichiarato di esserne sprovvista) non disponendo essa di poteri istruttori eccedenti la verifica di quanto dichiarato". 7. Con l'odierno ricorso per ottemperanza ex artt. 112 e segg. c.p.a., pertanto, il ricorrente insorge avverso questo 2° provvedimento reiettivo, instando in via principale per la sua declaratoria di nullità per violazione e/o elusione del giudicato e, in via subordinata, per il suo annullamento per violazione di legge e/o eccesso di potere (laddove il Collegio ritenga che detto provvedimento non sconfini in una violazione del giudicato). In ogni caso con pieno accertamento del diritto del ricorrente a beneficiare dell'indennizzo ex art. 1, comma 493, della legge del 30 dicembre 2018, n. 145. 8. Il Ministero intimato si è costituito in giudizio con memoria di stile. 9. Alla camera di consiglio del giorno 25 settembre 2024, il Collegio - previa discussione della causa - ha introiettato quest'ultima in decisione. DIRITTO 10. Il Collegio ritiene che la domanda spiegata in via principale (avente ad oggetto l'accertamento della nullità del provvedimento impugnato per violazione e/o elusione del giudicato) è fondata e va quindi accolta, con conseguente improcedibilità della domanda di annullamento spiegata in via subordinata (ciò in ossequio al consolidato indirizzo ermeneutico inaugurato dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 2 del 2013, a mente della quale "nel caso in cui il giudice dell'ottemperanza ritenga che il nuovo provvedimento emanato dall'amministrazione costituisca violazione ovvero elusione del giudicato, dichiarandone così la nullità, a tale dichiarazione non potrà che seguire la improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse della seconda domanda" di annullamento). 11. Ed infatti, come già visto nella parte in fatto, il dictum della sentenza cognitoria di primo grado (integralmente confermata dal Giudice d'appello) dispone chiaramente che l'onere di dimostrare la sussistenza (o meno) dei presupposti dell'indennizzo in esame, non incombe sul singolo risparmiatore bensì sull'Amministrazione (segnatamente sulla Commissione tecnica che riceve la richiesta di indennizzo da parte del singolo risparmiatore). Orbene, il 2° provvedimento reiettivo qui impugnato reca statuizioni che disattendono platealmente questa regula iuris sul riparto degli oneri probatori. Con tale provvedimento, infatti, l'Amministrazione resistente afferma - in buona sostanza - che: (i) la Commissione tecnica aveva comunque offerto al ricorrente la possibilità di produrre tutta la documentazione necessaria (ancorchè l'istituto bancario si fosse rifiutato di ostenderla al ricorrente); (ii) la Commissione tecnica non sarebbe in condizione di richiedere detta documentazione all'istituto bancario. Entrambe le affermazioni disvelano, pertanto, lo stesso errore di fondo commesso dall'Amministrazione con il primo provvedimento reiettivo (già annullato da questa Sezione mercè la sentenza ottemperanda) e cioè l'errore di ritenere che debba essere il risparmiatore (anziché l'Amministrazione) il soggetto gravato dall'onere di dimostrare gli elementi di fatto che occorrono ai fini della delibazione positiva della richiesta di indennizzo. Ne discende che l'atto impugnato - in quanto adottato in frontale contrasto con il dictum della sentenza ottemperanda - deve essere dichiarato nullo per violazione del giudicato (cfr. art. 21 septies l. n. 241 del 1990), con conseguente improcedibilità delle domande proposte in via subordinata. 12. Inoltre, l'applicazione del principio del "one-shot" impedisce - quale conseguenza immediata e diretta - che la P.A. conservi ancora nel caso di specie il potere di decidere in senso sfavorevole per il ricorrente per una terza volta, determinandosi pertanto la consumazione della discrezionalità della pubblica amministrazione e restando "precluso all'amministrazione di potere tornare a decidere sfavorevolmente nei confronti dell'amministrato anche in relazione ai profili non ancora esaminati" (in tal senso, Consiglio di Stato, 25 febbraio 2019, n. 1321). Quanto precede implica che debba essere accolta, quindi, anche la domanda di condanna ad adottare il provvedimento di attribuzione dell'indennizzo nella misura fissata dalla legge, e fatto salvo lo scorporo di eventuali pagamenti parziali, sussistendo le condizioni fissate dall'art. 34, co.1, lett. c), secondo periodo, c.p.a., atteso che, come detto, con l'adozione del secondo provvedimento di diniego illegittimamente adottato l'Amministrazione: - ha consumato la discrezionalità assegnata dalla L. n. 145/2018 per l'esame di siffatte istanze di indennizzo; - in difetto di prova contraria rispetto alla fondatezza sostanziale della pretesa, avuto riguardo altresì alla complessiva prospettazione delle ragioni della parte ricorrente, deve ritenersi preclusa la possibilità di provvedere una terza volta in modo sfavorevole per il privato istante. Va preso atto, infine, della rinunzia espressamente formulata dalla parte ricorrente alla domanda avente ad oggetto il risarcimento dei danni "aggiuntivi" (e cioè dei danni che si sarebbero addizionati, in tesi, al pregiudizio del mancato indennizzo), avendo la parte ricorrente chiaramente esplicitato (con l'ultima memoria in atti) di voler abdicare a tale richiesta risarcitoria nell'ipotesi (ora inveratasi) in cui il Collegio accolga la domanda di accertamento positivo del diritto all'indennizzo de quo. 13. Per tutto quanto precede, pertanto, il ricorso va accolto ai sensi di cui in motivazione e per l'effetto: - si dichiara la nullità del provvedimento di diniego qui impugnato; - si condanna l'Amministrazione resistente a provvedere al rilascio del provvedimento di ammissione all'indennizzo e di liquidazione dei relativi emolumenti in favore del ricorrente in conformità ai criteri fissati dalla legge n. 145/2018, entro e non oltre il termine di 90 (novanta) giorni dalla comunicazione (o, se anteriore, dalla notificazione) della presente sentenza, fatta salva la necessità di scorporare gli eventuali importi medio tempore corrisposti in via parziale. Il Collegio ritiene, altresì, che sussistano i presupposti per nominare sin d'ora, per il caso di ulteriore inerzia dell'Amministrazione, un commissario ad acta, nella persona dell'Ispettore Generale Capo dell'Ispettorato Generale di Finanza (IGF) della Ragioneria Generale dello Stato, con facoltà di delega a un dirigente dello stesso Ispettorato, affinché si insedi e provveda, su istanza di parte, nell'ulteriore termine di 60 (sessanta) giorni. 14. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto: - lo accoglie e, per l'effetto, ordina l'esecuzione della sentenza in epigrafe con le modalità e i termini di cui in motivazione, disponendo che l'Amministrazione provveda a concludere il procedimento nel termine di 90 (novanta) giorni, decorrente dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza; - per il caso di ulteriore inerzia dell'Amministrazione, nomina quale commissario ad acta l'Ispettore Generale Capo dell'Ispettorato Generale di Finanza (IGF) della Ragioneria Generale dello Stato, con facoltà di delega a un dirigente dello stesso Ispettorato, affinché si insedi e provveda, su istanza di parte, nell'ulteriore termine di 60 (sessanta) giorni; - condanna l'Amministrazione soccombente al pagamento delle spese, dei diritti e degli onorari di lite, che si liquidano in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge e oltre alla rifusione del contributo unificato (se versato). Manda alla segreteria del Tribunale affinché la presente sentenza sia comunicata alle parti del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2024, con l'intervento dei magistrati: Francesco Riccio - Presidente Igor Nobile - Primo Referendario Michele Tecchia - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Stralcio ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 12950 del 2018, proposto da Pa. An. ed altri, rappresentati e difesi dagli avv. Ra. Pi. e Gi. Mo., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Caserta, via (...) e domicilio digitale eletto presso gli indirizzi p.e.c. (omissis) e (omissis); contro Ministero della difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via (...); per l'accertamento del diritto dei ricorrenti, ufficiali superiori delle Forze armate, al ripristino della progressione economica automatica per classi e scatti stipendiali prevista dalla legge per il personale dirigente e per quello ad esso assimilato, ai soli fini del trattamento economico, che ricomprenda le classi e gli scatti maturati nel periodo 1° gennaio 2011-31 dicembre 2015, nonché al ripristino per il medesimo periodo dei meccanismi di adeguamento retributivo previsti dall'art. 24, l. 23 dicembre 1998 n. 448, ed a percepire il corrispondente trattamento economico a far data dal 1° gennaio 2016. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore nella camera di consiglio straordinaria di smaltimento del giorno 20 settembre 2024 il dott. Valerio Torano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - I ricorrenti riferiscono di essere tutti ufficiali superiori con qualifiche dirigenziali o equiparate a fini retributivi che hanno prestato servizio nel periodo 1° gennaio 2011-31 dicembre 2015 e lamentano che l'Amministrazione militare, anche al cessare degli effetti del c.d. blocco retributivo previsto dagli artt. 9, comma 21, d.l. 31 maggio 2010 n. 78, conv. nella l. 30 luglio 2010 n. 122, 1, d.P.R. 4 settembre 2013 n. 122 e 1, commi 254-256, l. 23 dicembre 2014 n. 190, avrebbe continuato a non riconoscere loro l'arco temporale di cui sopra ai fini della progressione economica per aumenti periodici prevista dalla legge. Conseguentemente, con il ricorso all'esame, notificato e depositato il 13 novembre 2018, i medesimi hanno chiesto l'accertamento del diritto a percepire il trattamento economico previsto dagli artt. 1811 e 1811-bis, d.lgs. 15 marzo 2010 n. 66, considerando come utile anche il periodo di servizio sottoposto al citato blocco retributivo, con condanna dell'Amministrazione al pagamento degli arretrati dovuti al 1° gennaio 2016, oltre a rivalutazione ed interessi monetari. Infatti, assumono i ricorrenti a suffragio della propria posizione che la ratio dell'art. 9, comma 21, d.l. n. 78 del 2010, conv. nella l. n. 122 del 2010, sia stata soltanto la temporanea cristallizzazione delle retribuzioni del comparto pubblico al fine di soddisfare le contingenti esigenze di contenimento della spesa, sì che gli anni 2011-2015 dovrebbero essere considerati ai fini della progressione economica per classi e scatti a far data dalla cessazione degli effetti del blocco stesso e dunque dal 1° gennaio 2016. In subordine, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 9, commi 1 e 21, d.l. n. 78 cit., conv. nella l. n. 122 cit., 1, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 122 del 2013 e 1, comma 256, l. n. 190 del 2014, che hanno esteso il congelamento retributivo in parola agli anni 2014 e 2015, per violazione degli artt. 1, 3, 36 e 53 Cost., dato che l'arresto di tutti gli adeguamenti stipendiali dal 2010 al 2015 avrebbe leso il loro diritto a percepire una retribuzione adeguata e proporzionata al lavoro svolto, ridondando in un'irragionevole discriminazione rispetto a colleghi pari grado che eccederebbe la finalità di contenimento della spesa pubblica per retribuzioni. Si è costituito in giudizio con comparsa di puro stile il Ministero della difesa. Con ordinanza presidenziale istruttoria 15 marzo 2024 n. 1535 è stato ordinato all'Amministrazione di depositare ogni chiarimento o documento utile al fine del decidere; a tale incombente il Ministero della difesa ha ottemperato in data 28 marzo 2024, versando in atti la relazione prot. n. M_D GMIL REG2019 0046914 del 16 gennaio 2019 ed i relativi allegati, con la quale si illustrano le ragioni a sostegno del rigetto del gravame. L'Amministrazione, quindi, con memoria del 9 luglio 2024 ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso per: a) genericità, non avendo i ricorrenti osteso le proprie generalità complete, ostacolando così la possibilità per la difesa erariale di promuovere un'eventuale eccezione di incompetenza territoriale; b) insussistenza dei presupposti per potersi promuovere un ricorso collettivo. Nel merito, ha argomentato per l'infondatezza del gravame, in quanto gli artt. 9, commi 1 e 21, d.l. n. 78 cit., 1, d.P.R. n. 122 cit. e 1, commi 254-256, l. n. 190 cit., hanno sterilizzato sino al 31 dicembre 2015 gli effetti dei meccanismi di adeguamento retributivo e di progressione automatica degli stipendi del personale in regime di diritto pubblico senza possibilità di recupero. Ciò implica che soltanto dal 1° gennaio 2016 abbiano ripreso a decorrere tanto il sistema di aumento automatico per classi e scatti quanto quello di adeguamento di cui all'art. 23, l. 23 dicembre 1998 n. 448, senza alcuna possibilità di tenere in considerazione gli anni 2011-2015. Ha anche sottolineato la difesa erariale che gli artt. 1811 e 1811-bis, d.lgs. n. 66 del 2010, introdotti dal d.lgs. 29 maggio 2017 n. 94, producono, in realtà, effetto dal 1° gennaio 2018, sì che la loro applicazione non è pertinente ai fini delle questioni sottoposte al presente giudizio. Quanto alla questione di costituzionalità di cui è causa, invece, l'Amministrazione ha ricordato come la disposizione de qua (i.e. l'art. 9, comma 21, d.l. n. 78 cit.) sia stata oggetto di vari arresti giurisprudenziali, che ne hanno costantemente riconosciuta la legittimità sotto i medesimi profili denunciati dai ricorrenti (cfr. Corte cost. 12 dicembre 2013 n. 304, 17 dicembre 2013 n. 310, 4 giugno 2014 n. 154, 18 luglio 2014 n. 219, 23 luglio 2015 n. 178). Alla camera di consiglio straordinaria di smaltimento del 20 settembre 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione. 2. - Il gravame può essere deciso facendo applicazione dei principi affermati dalla sezione nelle sentenze 29 settembre 2023 nn. 14409 e 14418 e 24 luglio 2023 n. 12396, con le quali sono stati definiti ricorsi attinenti a fattispecie pienamente sovrapponibili. Esso, pertanto, è complessivamente infondato e da rigettare, come pure manifestamente infondata appare la questione di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti, alla luce della copiosa giurisprudenza della Corte costituzionale sedimentatasi negli anni passati sui problemi da essi sollevati. 2.1 Le eccezioni preliminari articolate dalla difesa erariale, in primo luogo, non possono essere condivise. Infatti, appare del tutto pretestuoso il fatto che la parte pubblica lamenti l'incompletezza delle generalità declinate dai ricorrenti nell'atto introduttivo del giudizio, dato che l'Amministrazione statale resistente è lo stesso soggetto che eroga loro mensilmente la retribuzione e che essi si sono chiaramente identificati mediante il riferimento univoco al proprio codice fiscale, da loro puntualmente indicato nell'atto introduttivo del giudizio. Pertanto, con un minimo di diligenza la difesa erariale ben avrebbe potuto raccogliere tutti gli elementi necessari per argomentare, entro il termine di legge, circa l'eventuale incompetenza di questo Tribunale in modo preciso, con riferimento cioè a singole posizioni individuali, e non del tutto genericamente e in relazione a mere ipotesi. Circa i presupposti per la presentazione di un ricorso collettivo, rileva il collegio che non appaiono meritevoli di accoglimento gli argomenti dell'Amministrazione premessi ai motivi di merito e concernenti la supposta inammissibilità di esso, dato che a fronte di posizioni che, come quelle dedotte nel corrente giudizio, sono caratterizzate dalla serialità e, in definitiva, dalla medesima situazione sostanziale dei singoli ricorrenti, oltre che dall'identicità dei motivi sottoposti alla decisione del giudice amministrativo, appare legittima la proposizione di un unico atto introduttivo, che peraltro consente di realizzare i principi di concentrazione e ragionevole durata del processo, evitando il proliferare di innumerevoli gravami identici su medesime questioni (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 6 luglio 2023 n. 6624; sez. VII, 20 aprile 2023 n. 4025; TAR Lazio, Roma, sez. I stralcio, 29 settembre 2023 nn. 14409 e 14418; sez. I stralcio, 24 luglio 2023 n. 12396). 2.2 Nel merito, l'art. 9, comma 21, d.l. n. 78 cit., dispone che: "21. I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici". Gli artt. 1, d.P.R. n. 122 cit. e 1, commi 254-256, l. n. 190 cit., hanno poi esteso il perimetro applicativo del blocco retributivo in parola anche agli anni 2014 e 2015. In concreto, i ricorrenti contestano il fatto che l'Amministrazione militare non abbia considerato utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dall'ordinamento di settore gli anni 2011-2015, pur essendo spirato il periodo di efficacia del congelamento economico, adducendo come ostativa la specifica previsione contenuta nell'art. 9, comma 21, secondo periodo, d.l. n. 78 cit., conv. nella l. n. 122 cit. In realtà, l'interpretazione seguita dal Ministero della difesa appare corretta, perché gli effetti del blocco retributivo de quo sono strutturali e, quindi, non possono che riverberarsi anche sulle classi e sugli scatti futuri, in coerenza con il dichiarato obiettivo, ritenuto giudicato costituzionalmente compatibile (Corte cost. 17 dicembre 2013 n. 310), di creare economie e non già di differire semplicemente l'erogazione della spesa; effetto, quest'ultimo, che si verificherebbe in caso di ricalcolo virtuale delle classi e degli scatti esattamente come se fossero maturati (TAR Lazio, Roma, sez. I stralcio, 29 settembre 2023 nn. 14409 e 14418; sez. I stralcio, 24 luglio 2023 n. 12396; in termini v. anche: TAR Campania, Napoli, sez. VII, 20 dicembre 2022 n. 7938; TAR Emilia-Romagna, Parma, sez. I, 8 agosto 2022 n. 237; TAR Toscana, sez. I, 6 dicembre 2019 n. 1672; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 26 luglio 2019 n. 1934; Catania, sez. I, 11 luglio 2019 nn. 1751-1753). In definitiva, l'esegesi proposta dai ricorrenti avrebbe per effetto l'elusione dell'esplicito divieto legislativo di recupero delle classi e degli scatti oggetto di blocco, posto direttamente a tutela degli equilibri di bilancio ex art. 81 Cost., con susseguente rigetto della domanda di accertamento del diritto ipotizzato (TAR Lazio, Roma, sez. I stralcio, 29 settembre 2023 nn. 14409 e 14418; sez. I stralcio, 24 luglio 2023 n. 12396). Ne consegue che soltanto dal 1° gennaio 2016 hanno ripreso a decorrere tanto il sistema di aumento automatico per classi e scatti quanto quello di adeguamento di cui all'art. 23, l. n. 448 del 1998, senza alcuna possibilità di tenere in considerazione gli anni 2011-2015. 2.3 Con riferimento alla questione di costituzionalità prospettata in relazione alla protrazione del blocco stipendiale per gli anni 2014 e 2015, il collegio ritiene necessario ricordare le argomentazioni con le quali la Corte costituzionale ha in passato escluso le criticità denunciate dai ricorrenti in relazione all'art. 9, comma 21, d.l. n. 78 cit., conv. nella l. n. 122 cit., sì che essa, anche nella presente sede processuale, ben può qualificarsi come inammissibile perché manifestamente infondata (TAR Lazio, Roma, sez. I stralcio, 29 settembre 2023 nn. 14409 e 14418; sez. I stralcio, 24 luglio 2023 n. 12396; sez. II, 11 maggio 2015 n. 6654; in termini v. anche: TAR Lazio, Roma, sez. I, 23 febbraio 2023 n. 3099; sez. I, 11 gennaio 2023 n. 461). In primo luogo, la sentenza della Corte costituzionale 4 giugno 2014 n. 154 ha affrontato il nucleo centrale della questione posta all'attenzione dai ricorrenti in relazione agli artt. 2, 3 e 36 Cost., chiarendo che per le censure relative agli artt. 2 e 3 Cost., l'intervento in esame è giustificato nel suo complesso "dalle notorie esigenze di contenimento della spesa pubblica, in presenza del carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato nonché temporalmente limitato dei sacrifici richiesti" (cfr. Corte cost. n. 310 del 2013), posto che "la misura adottata è giustificata dall'esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea 'cristallizzazionè del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata con modalità per certi versi simili a quelle già giudicate da questa Corte non irrazionali ed arbitrarie (...), anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto ai dipendenti (v. Corte cost. 1° luglio 1993 n. 296, 31 dicembre 1993 n. 496, 14 luglio 1999 n. 299, 20 giugno 2002 n. 263). Né sussiste una lesione dell'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, posto che "il legislatore può anche emanare disposizioni che modifichino in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, sempre che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto " (Corte cost. n. 310 cit., 27 giugno 2012 n. 166, 22 ottobre 2010 n. 302, 24 luglio 2009 n. 236 e 9 luglio 2009 n. 206). Con specifico riferimento, poi, alla disparità di trattamento rispetto a chi abbia raggiunto un grado superiore o una maggiore anzianità prima del 2011, è stato chiarito che nell'ordinamento non esiste un principio di omogeneità di retribuzione a parità di anzianità ed anzi "è ammessa una disomogeneità delle retribuzioni anche a parità di qualifica e di anzianità ", naturalmente in situazioni determinate (Corte cost. 4 giugno 2014 n. 154, 12 dicembre 2013 n. 304). E in una tale prospettiva non può considerarsi irragionevole un esercizio della discrezionalità legislativa che privilegi esigenze fondamentali di politica economica, a fronte di altri valori pur costituzionalmente rilevanti (Corte cost. n. 154 del 2014 n. 154, n. 310 cit., n. 304 del 2013). Con riguardo all'art. 36 Cost., poi, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che il giudizio sulla conformità a tale parametro non può essere svolto per singoli istituti, né giorno per giorno, ma occorre valutare l'insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza (v. Corte cost. nn. 310 e 304 cit., 9 novembre 2006 n. 366, 14 luglio 2006 n. 287, 22 novembre 2002 n. 470 e 28 aprile 1994 n. 164). Da ultimo, in relazione all'art. 53 Cost., la medesima giurisprudenza costituzionale ha stabilito che alle disposizioni in esame non può riconoscersi natura tributaria, atteso che non danno luogo ad una prestazione patrimoniale imposta, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, destinata a reperire risorse per l'erario (Corte cost. 11 ottobre 2012 n. 223). Al contrario, l'art. 9, comma 21, d.l. n. 78 cit., va interpretato secondo il parametro solidaristico, di cui all'art. 2 Cost., e conformemente a quanto previsto dall'art. 81 Cost., a cui ha dato attuazione la l. 24 dicembre 2012 n. 243 (Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione), con l'introduzione, tra l'altro, di regole sulla spesa, e dell'art. 97, comma 1, Cost., ma ancor prima dal nuovo art. 119, comma 1, Cost., che pongono l'accento sul rispetto dell'equilibrio dei bilanci da parte delle pubbliche amministrazioni, anche in ragione del più ampio contesto economico europeo (TAR Lazio, Roma, sez. I stralcio, 29 settembre 2023 n. 14418; sez. I stralcio, 11 gennaio 2023 n. 461). Ritiene il collegio che le argomentazioni ritraibili dalla lettura delle sopra citate sentenze della Corte costituzionale siano valide anche rispetto ai profili sollevati dalla parte ricorrente in relazione al limitato regime di proroga del blocco degli adeguamenti retributivi stabilito per gli anni 2014 e 2015 dagli artt. 1, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 122 cit. e 1, comma 256, l. n. 190 cit. A tal riguardo, si osserva con valenza assorbente che il "legislatore può temporaneamente congelare gli incrementi retributivi che (...) sarebbero altrimenti spettati ai pubblici dipendenti, sempre che la retribuzione di risulta assicuri comunque il rispetto del canone di proporzionalità e sufficienza di cui all'art. 36 Cost." (v. Corte cost. 15 novembre 2018 n. 200; 6 maggio 2016 n. 96). Nella specie, i ricorrenti non hanno concretamente illustrato in che modo - e soprattutto in quale misura - i due anni aggiuntivi di blocco degli adeguamenti retributivi, derivanti della mancata progressione automatica per aumenti periodici ordinariamente prevista dalla legge, avrebbero leso l'idoneità dell'insieme del trattamento complessivo comunque loro spettante rispetto all'obiettivo di remunerare adeguatamente il lavoro svolto ovvero di assicurare a loro e alle relative famiglie un'esistenza libera e dignitosa (TAR Lazio, Roma, sez. I stralcio, 29 settembre 2023 n. 14409; sez. I stralcio, 24 luglio 2023 n. 12396). Ciò, peraltro, tenuto conto del fatto che le misure di contenimento della dinamica retributiva di cui è causa, per quanto indubbiamente penalizzanti, sono state introdotte in una congiuntura di crisi eccezionale della finanza pubblica e, comunque, non hanno decurtato diritti patrimoniali già acquisiti ed i cui proventi sono correntemente utilizzati dai lavoratori per sovvenire alle esigenze quotidiane, ma hanno, più limitatamente, precluso la possibilità di godere degli incrementi futuri che in circostanze normali sarebbero stati riconosciuti (TAR Lazio, Roma, sez. I stralcio, 29 settembre 2023 n. 14409; sez. I stralcio, 24 luglio 2023 n. 12396). In altri termini, stanti le peculiari caratteristiche del sacrificio imposto dagli artt. 9, comma 21, d.l. n. 78 cit., conv. nella l. n. 122 cit., 1, d.P.R. n. 122 cit. e 1, comma 256, l. n. 190 cit., non vi sono ictu oculi elementi per ritenere che esso abbia anche illegittimamente compromesso i valori tutelati dall'art. 36 Cost. per il solo fatto di essere stato esteso agli anni 2014 e 2015 (TAR Lazio, Roma, sez. I stralcio, 29 settembre 2023 n. 14409; sez. I stralcio, 24 luglio 2023 n. 12396). 3. - Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima stralcio, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele - Presidente Vincenzo Blanda - Consigliere Valerio Torano - Primo Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima Stralcio ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8115 del 2020, proposto dal -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. An. Ga., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...) e domicilio digitale eletto presso l'indirizzo p.e.c. (omissis); contro Ministero della difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via (...); per l'annullamento del decreto dirigenziale prot. n. M_D GMIL REG2020 0255978 del 30 giugno 2020, notificato il 15 luglio 2020, con cui è stato rigettato il ricorso gerarchico proposto dal ricorrente il 18 febbraio 2020 avverso la scheda valutativa n. 50 del 5 dicembre 2019, relativa al periodo 1° novembre 2018-2 settembre 2019, notificatagli il 20 gennaio 2020, e di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, inclusi gli elementi di informazione del Ministero degli affari esteri e delle cooperazione internazionale datati 2 ottobre 2019 e utilizzati per la compilazione della scheda. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore nella camera di consiglio straordinaria di smaltimento del giorno 20 settembre 2024 il dott. Valerio Torano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il -OMISSIS- è un ufficiale superiore dell'Esercito italiano al quale, nel contesto del servizio prestato presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI), Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (UAMA), quale capo sezione controlli documentali ex l. 9 luglio 1990 n. 185, è stata comunicata il 20 gennaio 2020 la scheda valutativa n. 50 n. 50 del 5 dicembre 2019, relativa al periodo 1° novembre 2018-2 settembre 2019, nella quale gli è stata assegnata la qualifica di "superiore alla media". In particolare, l'odierno ricorrente è stato ritenuto un ufficiale di solida preparazione tecnica e consolidata esperienza professionale che tuttavia, nel periodo in esame, come segnalato dal direttore dell'UAMA, ha evidenziato un calo motivazionale che ha reso necessaria un'azione di stimolo nei suoi confronti e che ha influito negativamente sul suo rendimento complessivo. Infatti, negli elementi d'informazione resi dall'UAMA il 2 ottobre 2019, in cui il rendimento dell'ufficiale è stato definito come "sufficiente", è stato rappresentato "un vistoso calo di rendimento rispetto al precedente periodo di valutazione", palesatosi anche in un comportamento non esemplare nei confronti di superiori, colleghi e sottoposti e non pienamente trasparente, con scarsa attenzione alla produttività e alla valorizzazione delle risorse umane. Inoltre, è stato dato conto di una sufficiente capacità di organizzazione del lavoro e in una minore spinta motivazionale, oltre che di una non sempre presente disponibilità ad assumersi le responsabilità del ruolo affidato e della mancata osservanza delle disposizioni interne su orari e assenze dal servizio. Non ritenendo adeguato tale giudizio se posto a raffronto con gli immediati precedenti di carriera presso il medesimo ufficio, il -OMISSIS-. -OMISSIS-. in data 18 febbraio 2020 ha interposto ricorso gerarchico nei confronti della suddetta scheda. Con decreto dirigenziale prot. n. M_D GMIL REG2020 0255978 del 30 giugno 2020, notificato il 15 luglio 2020 e adottato dopo aver acquisito le controdeduzioni dei compilatori, la suddetta impugnazione in sede amministrativa è stata rigettata nel merito delle censure svolte circa l'assenza nel documento caratteristico della necessaria coerenza, perché vi sarebbero varie contraddizioni tra il giudizio espresso negli elementi d'informazione e la valutazione operata per numerose voci interne oltre che all'interno della stessa scheda, in una con la mancanza di oggettività dell'intero procedimento. Pertanto, con il ricorso all'esame, notificato il 14 ottobre 2020 e depositato il successivo giorno 15, il -OMISSIS-. -OMISSIS-. ha impugnato l'atto indicato in epigrafe, lamentando: I) eccesso di potere sotto molteplici profili, in quanto i fatti e le circostanze riferiti dal direttore dell'UAMA non corrisponderebbero al vero e sarebbero smentiti anche dalle voci nn. 4, 7 e 9 della scheda, che qualificano il ricorrente come buon esempio di correttezza, rettitudine e coerenza, sicuramente leale e sincero e tale da riscuotere facilmente stima e apprezzamento, oltre che dal fatto che al ricorrente è stata riconosciuta per intero un'indennità retributiva accessoria legata ai risultati conseguiti e che ne è stata anche chiesta la proroga del distacco; II) eccesso di potere sotto altri profili, perché i non lusinghieri giudizi del direttore dell'UAMA sono contraddetti anche dal fatto che al ricorrente è stata riconosciuta, da parte dello stesso dirigente, l'indennità prevista dall'art. 7, d.i. 26 aprile 2013 e che, come detto, ne è stata chiesta la proroga del distacco in essere; il tutto per tacere dell'encomio solenne ottenuto con nota del Comando logistico dell'Esercito prot. n. M_D E2463 REG2020 0048886 del 23 giugno 2020 per le attività svolte in qualità di capo ufficio logistico del Polo di mantenimento dei mezzi di telecomunicazione, elettronici e optoelettronici. Si è costituita l'Amministrazione resistente con memoria di puro stile. Alla camera di consiglio straordinaria di smaltimento del giorno 20 settembre 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione. 2 - Il ricorso è infondato, potendo essere definito alla luce dei principi recentemente affermati dalla sezione nelle sentenze 12 giugno 2024 n. 11919, 31 gennaio 2024 n. 1876 e 27 ottobre 2023 nn. 15993-15994 e nella giurisprudenza ivi richiamata; i due motivi di gravame, poi, possono essere esaminati congiuntamente, stante la trasversalità del vizio di eccesso di potere che è lamentato, sia pur sotto diversi profili, in ciascuno di essi. Si premette che il procedimento relativo alla documentazione caratteristica del personale militare è uno strumento organizzativo del quale si avvale l'Amministrazione per fotografare, in relazione a determinati periodi di tempo e nella prospettiva degli avanzamenti di carriera, l'efficienza dei propri dipendenti (TAR Lazio, Roma, sez. I, 12 giugno 2024 n. 11919; sez. I, 31 gennaio 2024 n. 1876; 27 ottobre 2023 nn. 15993-15994; sez. I, sez. I, 8 settembre 2020 nn. 9351 e 9352; TAR Piemonte, sez. I, -OMISSIS-dicembre 2019 n. 1290). I giudizi formulati dai superiori gerarchici nelle schede valutative sono espressione di discrezionalità tecnica che concerne le capacità e le attitudini proprie della vita militare e che, come tali, impingono nel merito dell'azione amministrativa, soggiacendo al sindacato del giudice amministrativo nei limiti dell'arbitrarietà, irrazionalità, illogicità e travisamento dei fatti, che spetta al ricorrente dimostrare (TAR Lazio, Roma, sez. I, 12 giugno 2024 n. 11919; sez. I, 31 gennaio 2024 n. 1876; sez. I, 27 ottobre 2023 nn. 15993-15994; sez. I, 8 settembre 2020 nn. 9351 e 9352; TAR Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 10 luglio 2019 n. 315). Ciò comporta che, di là dei vizi di legittimità, la correttezza sostanziale, la validità e l'attendibilità delle valutazioni espresse dall'Amministrazione non possono essere esaminate in sede giurisdizionale - potendo essere prospettate solo in sede di ricorso gerarchico - in quanto costituiscono un tipico apprezzamento di merito riservato all'Amministrazione (TAR Lazio, Roma, sez. I, 12 giugno 2024 n. 11919; sez. I, 31 gennaio 2024 n. 1876; sez. I, 27 ottobre 2023 nn. 15993-15994; sez. I, 8 settembre 2020 nn. 9351 e 9352; sez. I, 19 luglio 2018 n. 8153; sez. I, 8 settembre 2016 n. 9579; sez. I, 20 gennaio 2015 n. 965; sez. I, -OMISSIS-gennaio 2014 n. 1166; sez. I, 28 agosto 2013 n. 7978). Tanto premesso, si sottolinea altresì che un obbligo di specifica motivazione in materia di documentazione caratteristica si pone solo nel caso di attribuzione di valori estremi, sia in senso positivo che negativo, giacché le schede valutative dei militari non debbono contenere un elenco analitico di fatti e circostanze relative alla carriera o ai precedenti di servizio, ma debbono formulare un giudizio sintetico su tali caratteristiche riscontrate nel complesso della prestazione nel periodo considerato ai fini valutativi (TAR Lazio, Roma, sez. I, 12 giugno 2024 n. 11919; sez. I, 31 gennaio 2024 n. 1876; sez. I, 27 ottobre 2023 nn. 15993-15994; sez. I, 8 settembre 2020 nn. 9351 e 9352; sez. I, 10 dicembre 2013 n. 10659). Nella specie, rileva il collegio che al -OMISSIS-. -OMISSIS-. è stata attribuita la qualifica finale di "superiore alla media" e cioè la seconda migliore possibile dopo quella di "eccellente", essendo seguita in ordine decrescente da "nella media", "inferiore alla media" e "insufficiente"; pertanto, viene in questione uno scostamento peggiorativo di ridotta entità rispetto alla qualifica di "eccellente" riportata nella scheda valutativa n. 49 del 21 novembre 2018, relativa al periodo 1° novembre 2017-31 ottobre 2018. Ciò comporta che, in adesione alla sopra ricordata giurisprudenza, l'Amministrazione non sia tenuta a fornire una motivazione analitica circa tale flessione, dato che il documento caratteristico del personale militare fotografa il rendimento complessivo del giudicando limitatamente a un predeterminato lasso temporale, senza che fatti precedenti o successivi possano interferire, di modo che, vigente il principio dell'autonomia dei giudizi riferiti ai diversi periodi di servizio considerati, ogni nota caratteristica è autonoma, cioè indipendente, dall'altra e la diversità di valutazione tra un periodo ed un altro, costituendo un evento fisiologico, non richiede particolari spiegazioni (TAR Lazio, Roma, sez. I, 12 giugno 2024 n. 11919; sez. I, 31 gennaio 2024 n. 1876sez. I, 27 ottobre 2023 nn. 15993-15994; sez. I, 8 settembre 2020 nn. 9351 e 9352; TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, 5 luglio 2018 n. 226). In questo senso, si osserva altresì che la valutazione è eseguita ciclicamente e si riferisce soltanto al periodo di tempo preso in esame, non è configurabile alcun affidamento meritevole di tutela circa il mantenimento della superiore qualifica precedentemente conseguita (TAR Lazio, Roma, sez. I, 12 giugno 2024 n. 11919; sez. I, 31 gennaio 2024 n. 1876sez. I, 27 ottobre 2023 nn. 15993-15994; sez. I, 8 settembre 2020 nn. 9351 e 9352; TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, 10 dicembre 2019 n. 956; TAR Piemonte, sez. I, 16 ottobre 2015 n. 1431). Nel merito delle censure svolte, le contraddizioni con altri atti amministrativi cui il ricorrente fa ripetutamente riferimento non sembrano sussistenti alla luce dei chiarimenti forniti dal direttore dell'UAMA con nota prot. n. D GMIL REG2020 0166222 del 28 aprile 2020 e dal compilatore con nota prot. n. M_D E24476 REG2020 0021589 del 18 maggio 2020, di cui l'Amministrazione ha tenuto conto nel disporre il rigetto del ricorso gerarchico. In tal senso, la richiesta di estensione del mandato è datata 30 novembre 2018 era giustificata dal rendimento molto superiore che l'ufficiale aveva avuto nell'anno precedente per cui erano stati redatti i precedenti elementi d'informazione chiusi il 31 ottobre 2018, sì che alcuna attinenza ha rispetto al periodo successivo oggetto dell'odierno scrutinio. Egualmente è a dirsi per il riconoscimento economico dei risultati conseguiti nell'anno 2018, laddove le criticità che hanno condotto alla deteriore valutazione del -OMISSIS-. -OMISSIS-. si collocano cronologicamente nell'anno 2019. Anche l'encomio solenne da lui ottenuto nel 2020 si riferisce non all'attività da lui svolta presso l'UAMA, bensì al servizio reso alle dipendenze di un diverso reparto dell'Esercito italiano, sì che non vale a dimostrare alcuna particolare patologia dell'impianto motivazionale della scheda n. 50 cit. Nel medesimo senso, non si ravvisa alcuna particolare contraddizione, suscettibile di determinare l'accoglimento del gravame, tra il giudizio conclusivo reso sulla base degli elementi d'informazione rassegnati dall'UAMA il 2 ottobre 2019, rilevando anzi il collegio che il compilatore della scheda appare aver valorizzato i precedenti di carriera del -OMISSIS-. -OMISSIS-. al fine di limitare le ricadute negative del giudizio formulato dall'Autorità civile da cui egli dipendeva all'epoca dei fatti. Giudizio che, ove supportato da una più analitica motivazione, ben avrebbe potuto sorreggere l'attribuzione di una qualifica finale inferiore a quella in concreto ottenuta. In definitiva, sulla base di tutto quanto sopra il ricorso va respinto, trovando conferma anche per la vicenda che ci occupa che se è vero che le qualità caratteriali ed intellettuali di un individuo sono per loro natura non modificabili, è altrettanto vero che esse possono manifestarsi all'esterno in modo non costante nel tempo e difatti il giudizio che su queste viene espresso nel processo di valutazione periodica del personale militare non si fonda sul mero possesso di esse, ma sulla capacità dimostrata dal valutato di saperne fare un appropriato utilizzo nel corso dello specifico arco temporale oggetto di scrutinio, capacità che è senz'altro misurabile in termini di differente rendimento nel servizio (TAR Lazio, Roma, sez. I, 12 giugno 2024 n. 11919; sez. I, 31 gennaio 2024 n. 1876; sez. I, 27 ottobre 2023 nn. 15993-15994). 3. - Stanti le peculiarità della fattispecie scrutinata, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima stralcio, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, d.lgs. -OMISSIS-giugno 2003 n. 196, e all'art. 10, reg. (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo a identificare il ricorrente. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2024, con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele - Presidente Vincenzo Blanda - Consigliere Valerio Torano - Primo Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Stralcio ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 12265 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Em. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto ex art. 25, comma 1, lett. a), cod. proc. amm., presso la segreteria dell'intestato Tribunale in Roma, via (...); contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via (...); per l'annullamento del provvedimento del Ministero dell'Interno n. -OMISSIS- del 4 luglio 2019, con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata dall'odierno ricorrente in data 26 marzo 2014, ai sensi dell'art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 27 settembre 2024 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del provvedimento del Ministero dell'Interno n. -OMISSIS- emesso il 4 luglio 2019, con il quale è stata respinta la domanda di concessione della cittadinanza italiana presentata dall'odierno ricorrente in data 26 marzo 2014, ai sensi dell'art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, essendo emersi sul suo conto i seguenti elementi pregiudizievoli di carattere penale: - sentenza del 5 dicembre 2001 con condanna alla reclusione di anni 1 e mesi 10 e multa di euro 2.065,83 (pena sospesa) per il reato di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti in concorso, con successiva applicazione dell'indulto; - sentenza del 14 marzo 2003 con condanna alla reclusione di mesi 5 e giorni 10 e multa di euro 2.000,00 per il reato di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti in concorso. L'impugnativa è stata affidata ai seguenti motivi di diritto: I. Violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990 e del diritto di difesa ex art. 24 della Cost., avendo il Ministero dell'Interno motivato il diniego di cittadinanza con una formulazione che non permette di comprendere quale sia l'effettiva contestazione mossa all'odierno ricorrente. II. Violazione dell'art. 6 della legge n. 241/1990 e violazione dei principi del giusto procedimento, non avendo l'Amministrazione valutato l'integrazione sociale del ricorrente, il quale ha fatto ingresso in Italia la prima volta nel 1999 e, a far data dal 2001, è sempre stato titolare di regolare permesso di soggiorno, dapprima per motivi famigliari, in seguito per motivi di lavoro ed infine di permesso di soggiorno U.E. per soggiornanti di lungo periodo. Il Ministero dell'Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, contestando le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del provvedimento impugnato. All'udienza di smaltimento dell'arretrato del giorno 27 settembre 2024 la causa è passata in decisione. Il ricorso è infondato e va respinto. Giova in via preliminare osservare, alla luce della giurisprudenza in materia, come di recente sintetizzata dalla Sezione (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), che l'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell'art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza "può " essere concessa. Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, nei "diritti politici" di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l'espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all'autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d'ordine politico-amministrativo; si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999; sez. IV n. 798/1999; n. 4460/2000; n. 195/2005; sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08; sez. VI, n. 3006/2011; Sez. III, n. 6374/2018; n. 1390/2019, n. 4121/2021; TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012; n. 3920/2013; 4199/2013). L'interesse dell'istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale e se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura "composita", in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell'identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell'agire del soggetto (il Ministero dell'Interno) alla cui cura lo stesso è affidato. In questo quadro, pertanto, l'Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l'assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile. La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di "cittadinanza sostanziale" che giustifica l'attribuzione dello status giuridico. In altri termini, l'inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l'Amministrazione ritenga che quest'ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all'ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis, TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227/2021; n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009; Cons. St., sez. III, n. 4121/2021; n. 8233/2020; n. 7122/2019; n. 7036/2020; n. 2131/2019; n. 1930/2019; n. 657/2017; n. 2601/2015; sez. VI, n. 3103/2006; n. 798/1999). Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo, ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall'Amministrazione - circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale - non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole. Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell'esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell'inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all'autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l'acquisizione dello status di cittadino. Il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell'esame del merito della scelta adottata, riservata all'autonoma valutazione discrezionale dell'Amministrazione (ex multis, Cons. St., Sez. IV n. 6473/2021; Sez. VI, n. 5913/2011; n. 4862/2010; n. 3456/2006; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, n. 3226/2021, sez. II quater, n. 5665/2012), la quale, nello svolgere tale delicata valutazione, "ben può rilevare che nell'ultimo decennio vi sono state condotte penalmente rilevanti (e quindi espressive di una non compiuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale), così come può valutare i fatti per periodi ancora maggiori ai dieci anni" (T.A.R. Lazio, sentenza n. 5615/2015). Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, il Collegio ritiene infondate le censure formulate con il ricorso, avendo l'Amministrazione valutato in maniera non manifestamente illogica la situazione dell'odierno ricorrente, risultando a suo carico ben due condanne per il reato di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti in concorso (cfr., preavviso di diniego in data 12 aprile 2017), che rappresentano un chiaro indice sintomatico di inaffidabilità e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dal rispetto delle regole di civile convivenza e dalla rigorosa, sicura osservanza delle leggi vigenti nell'ordinamento giuridico italiano. In tale quadro, dette condanne sono state considerate dalla P.A. non nel loro valore isolato, ma complessivamente, nell'ambito di un giudizio globale sul comportamento dell'interessato, e, proprio in virtù della loro particolare combinazione, sono state non irragionevolmente ritenute dall'Amministrazione "indici sintomatici di inaffidabilità del richiedente e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale", dato che congiuntamente considerate manifestano in re ipsa una carente integrazione del ricorrente e una scarsa aderenza ai valori della comunità oltre che una scarsa considerazione degli obblighi che si accompagnano a detta concessione (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, n. 5708/2019). Come già ripetutamente chiarito da questa Sezione, tale giudizio prognostico è frutto di una valutazione complessa, in cui l'Autorità chiamata a formularlo non si limita a considerare in modo atomistico i singoli precedenti, ma li valuta nel complesso insieme dei loro reciproci rapporti, nella periodicità e reiteratività, nella loro natura: si tratta, appunto, di "indicatori", cioè di "elementi di fatto" che sono apprezzati, sotto il profilo della loro valenza significativa dell'indole del richiedente, in modo "globale", trattandosi di esprimere un giudizio "sintetico", che ha natura di valutazione "d'impatto" (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. n. 3527/2022, 5113/2022, 5348/2022, 6941/22, 7206/22,8206/22, 8127/22, 8131 e 32, 8189/22, 8932/22, 9291/22). In tale prospettiva, pertanto, è stata riconosciuta non irragionevole la valenza prognostica negativa attribuita a quelle condotte che, come la detenzione e la cessione di stupefacenti, hanno ad oggetto una fattispecie particolarmente grave, idonea a mettere a rischio l'altrui incolumità, oltre ad essere un chiaro indice di scarsa aderenza ai valori della comunità (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. Il quater, 15 aprile 2015, n. 5554). Si tratta, infatti, di addebiti considerati particolarmente rilevanti ai fini della formulazione del giudizio prognostico relativo all'utile inserimento dell'aspirante cittadino, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza in materia, condivisa dalla Sezione (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, nn. 4236/2022, 4704/2022, 6522/17, in cui è stato ribadito che "il Ministero dell'Interno abbia legittimamente esercitato il potere discrezionale di cui dispone, assolvendo all'onere di motivazione e senza venir meno ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità nel bilanciamento degli interessi, ritenendo che l'unica condanna subita dal richiedente (...) costituisce indice di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale. Tale giudizio non è frutto di mero automatismo, come lamenta l'appellante, in quando non difetta la motivazione circa il carattere ostativo della condotta penale e la ritenuta irrilevanza della riabilitazione. Con riguardo al precedente penale per cessione illecita di sostanze stupefacenti, il Ministero ritiene, infatti, seppure sinteticamente, che "la condotta del richiedente è indice di inaffidabilità e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale". Si tratta di giudizio logicamente condivisibile, come evidenziato dal primo giudice, alla luce delle emergenze sociali che assumono maggiore disvalore e allarme nella nostra comunità nazionale; basti pensare all'automatismo espulsivo che il legislatore fa scaturire per i cittadini extracomunitari dalle condanne in materia di stupefacenti, ex art. 4 D.lgs. 286 del 1998" (Consiglio di stato, sez. III, 21/10/2019 n. 7122/2019). Come anticipato, tale orientamento è stato condiviso dalla Sezione rimarcando che "l'Amministrazione non ha valutato in maniera illogica la situazione dell'istante, se si tiene conto che il reato posto in essere rientra fra quelli che destano particolare allarme sociale in quanto colpisce beni giuridici primari riconosciuti e tutelati dalla Costituzione nei confronti di tutte le persone, quale la salute dei cittadini nonché la sicurezza pubblica (...), precisando che "il fatto è punito con la reclusione da sei a venti anni e che anche se nella sua forma più lieve, di cui al comma 5 del D.P.R. 309/1990 (integrata dalla condotta pregiudizievole tenuta dal ricorrente), è prevista la pena ridotta della reclusione da sei mesi a quattro anni, il massimo edittale stabilito è comunque superiore alla soglia individuata dall'art. 6, comma 1, lett. b), della legge n. 91/1992, superata la quale si entra nell'area dei reati immediatamente ostativi. Sul punto, si specifica che detta norma definisce espressamente l'ambito delle ipotesi criminose che precludono il conseguimento della cittadinanza richiesta per matrimonio con cittadino italiano, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 91/1992 - che costituisce un vero e proprio diritto soggettivo per il richiedente (al fine di tutelare l'unità familiare del cittadino italiano) - persino a chi è coniuge del cittadino italiano" (TAR Lazio, sez. V bis, n. 4236/2022, nonché n. 4704/2022; n. 6522/2022, 6554/2022, nonché, da ultimo, da Lazio, sez. V bis, n. 16216/2022). Quanto alla dedotta risalenza dei reati contestati, è sufficiente rilevare che per giurisprudenza oramai costante il mero decorso del tempo, anche ove superiore al decennio, non può condurre, di per sé, ad escludere la portata offensiva del fatto criminoso nell'ambito del giudizio comparativo compiuto dall'Amministrazione che, nell'esercizio del suo potere valutativo circa l'avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale, può tener conto di un complesso di circostanze atte a dimostrare la suddetta integrazione. Tale potere, infatti, si estende anche alla delibazione di comportamenti riprovevoli ancorché risalenti, come quelli in esame, ponendosi simile scrutinio su un piano differente ed autonomo rispetto alla valutazione dello stesso fatto ai fini della responsabilità penale (Consiglio di Stato sez. III, 15.02.2019, n. 802). Siffatte conclusioni sono in linea con la giurisprudenza anche di questo Tribunale, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, secondo cui la discrezionalità dell'Amministrazione procedente nella concessione dello status civitatis, di cui sono stati delineati sopra gli ampi margini di esercizio - a tutela dei rilevanti interessi dello Stato - consente che "le valutazioni volte all'accertamento di una responsabilità penale si pongano su di un piano assolutamente differente e autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell'adozione di un provvedimento amministrativo, con la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale possano valutarsi negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali penali" (ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, sez. I ter, nn. 10323/2021, 3345/2020, 347/2019, 6824/2018, Sez. II, n. 1833/2015). Alla luce di siffatta osservazione - che si fonda sul noto fenomeno della "pluriqualificazione" del fatto giuridico, per cui lo stesso comportamento può assumere diversa rilevanza, sul piano penale, civile, fiscale, amministrativo, ecc., a seconda dei settori d'azione, delle materie e delle finalità perseguite [poiché simile scrutinio si pone su un piano differente e autonomo rispetto alla valutazione dello stesso fatto ai fini dell'accertamento di una responsabilità penale (cfr. Cons. St., sez. III, 15/02/2019 n. 802)] - non potrebbe neppure valere l'osservazione di parte ricorrente secondo cui in ordine al fatto che con riferimento ai reati contestati è stata concessa la riabilitazione con ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Milano in data 19 marzo 2013, rimanendo comunque i comportamenti addebitati indicativi di una personalità non incline al rispetto delle regole di convivenza civile, tale da giustificare il diniego del rilascio della cittadinanza italiana (T.A.R. Lazio, Roma, n. 5615/2015). Né appare valutabile in favore del ricorrente il fatto che in ordine al primo reato contestato è intervenuta in data 16 gennaio 2009 la declaratoria del Tribunale di Milano di applicazione dell'indulto ai sensi della legge n. 241/2006, trattandosi di istituto che, a differenza dell'amnistia (che costituisce causa di estinzione del reato) si limita a condonare, in tutto o in parte, la pena inflitta senza che vi sia la cancellazione dei reati commessi. Del resto, nell'ambito del giudizio prognostico sull'affidabilità del richiedente, anche in un'ottica di precauzione adeguatamente avanzata, non si deve tenere conto solamente dei fatti penalmente rilevanti, ma si deve valutare anche l'area della prevenzione dei reati e di qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale, con accurati apprezzamenti sulla personalità e sulla condotta di vita del naturalizzando, al fine di valutare quale sia la probabilità che questi possa arrecare in futuro pregiudizio alla comunità nazionale e alla sicurezza dello Stato (cfr., di recente, Consiglio di Stato sez. III, 14 febbraio 2022, n. 1057). Quanto esposto vale, pertanto, a supportare il negativo giudizio cui è pervenuta l'Amministrazione in ordine al reato valutato come ostativi alla concessione della cittadinanza, a prescindere dalle ulteriori contestazioni inerenti il possesso di un reddito superiore ai parametri di legge, non avendo d'altra parte il ricorrente neppure rappresentato elementi che possano integrare meriti speciali, atteso che lo stabile inserimento, anche nella realtà economica, se, per un verso, rappresenta una condizione del tutto ordinaria, in quanto costituisce solo il presupposto per conservare il titolo di soggiorno, per altro verso rappresenta soltanto il prerequisito per la concessione della cittadinanza alla stregua di quanto sopra osservato. Il conferimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione presuppone infatti l'accertamento di un interesse pubblico da valutarsi anche in relazione ai fini propri della società nazionale e non già sul semplice riferimento dell'interesse privato di chi si risolve a domandare la cittadinanza per il soddisfacimento di personali esigenze. Il riconoscimento della cittadinanza, per sua natura irrevocabile (salvi i casi di revoca normativamente previsti), si fonda infatti su determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2022, n. 104) e, pertanto, presuppone che "nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda" (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657). Deve in conclusione affermarsi che il provvedimento gravato è stato legittimamente adottato sulla base delle risultanze istruttorie emerse al momento della sua adozione, tra le quali riveste particolare significatività gli addebiti di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti in concorso, che presentano un oggettivo disvalore che l'Amministrazione ha correttamente considerato con la dovuta attenzione. Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quinta Stralcio, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del Ministero dell'Interno, complessivamente liquidate in Euro 1.000,00 (mille/00), oltre oneri ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Alessandro Tomassetti - Presidente Enrico Mattei - Consigliere, Estensore Antonietta Giudice - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda Quater ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 11324 del 2022, proposto da Associazione Culturale Gr. Im., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Oristano, via (...); contro Ministero della Cultura, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Associazione Culturale Mo. e Associazione Culturale Mu. St., non costituiti in giudizio; per l'annullamento - del Decreto ministeriale n. 650 del 15.07.2022 adottato dal Ministero della Cultura - Direzione Generale Spettacolo, con riferimento alle tabelle ed ai punteggi attribuiti agli organismi di cui all'art. 24 comma 4 bis DM 27.7.2017 come modificato dal DM 25.10.2021 (FUS 2022-2024), pubblicato e quindi conosciuto in data 15.07.2022; - nonché di tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali, e, in particolare, dei seguenti ulteriori atti: - tutti i verbali della Commissione consultiva per la Musica, relativi all'esame e valutazione dei progetti triennali 2022/2024 e delle istanze annuali 2022 relative al settore: "Festival", di cui all'art. 24, comma 4-bis del DM 25.10.2021 (FUS 2022-2024), e in particolare il verbale n. 3 pagine 7 - 12, e la tabella n. 2; - la Tabella allegata al verbale n. 3, denominata "Prospetto punteggi Qualità Artistica - Festival di musica contemporanea e d'autore / Prime istanze triennali (Art. 24, c.4 bis)" - "DG-S|15/07/2022|VERBALE 38 - Allegato Utente 4 (A04)" contenente tabella dei punteggi attribuiti ai Festival di musica contemporanea e d'autore - prime istanze triennali; - gli atti ad essi allegati, i pareri e punteggi espressi e resi dalla commissione medesima e, in ogni caso, ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Cultura; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 luglio 2024 il dott. Luigi Edoardo Fiorani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso notificato il 12 settembre 2022 e depositato il 5 ottobre 2022, l'Associazione Culturale Gr. Im. ha impugnato il Decreto ministeriale n. 650 del 15 luglio 2022 adottato dal Ministero della Cultura - Direzione Generale Spettacolo, con riferimento alle tabelle ed ai punteggi attribuiti agli organismi di cui all'art. 24 comma 4 bis DM 27 luglio 2017 come modificato dal DM 25 ottobre 2021 (FUS 2022-2024), pubblicato in data 15 luglio 2022, unitamente a tutti gli atti presupposti, preparatori, connessi e consequenziali, quali, in particolare, i verbali della Commissione consultiva per la Musica, relativi all'esame e valutazione dei progetti triennali 2022/2024 e delle istanze annuali 2022 relative al settore "Festival", di cui all'art. 24, comma 4-bis del DM 25 ottobre 2021 (FUS 2022-2024), meglio individuati in epigrafe. 2. Riferisce la ricorrente di aver presentato domanda di finanziamento per un progetto triennale relativo alla categoria di cui all'art. 24 comma 4 bis del D.M.. 27 luglio 2017 e s.m.i. (organizzazione del "Festival Sete Sò is Sete Luas" per il triennio 2022-2024) e di aver conseguito un punteggio pari a 8,5, inferiore alla soglia minima di ammissibilità qualitativa pari a 10 punti. 3. Il ricorso è affidato a due motivi. 3.1. Con il primo (rubricato "Violazione dell'art. 97 Cost., degli artt. 24 e 113 Cost. Violazione dell'art. 3 l. 241/1990. Difetto di motivazione. Erronea ed incomprensibile attribuzione dei punteggi al progetto presentato da parte ricorrente. Violazione del DM 27.07.2017 e ss.mm. Contraddittorietà intrinseca della valutazione resa dalla Commissione rispetto ai parametri dalla stessa espressi in sede di riunione e di cui al verbale n. 3/2022"), premesso che non sarebbero stati pubblicati e resi noti i verbali 1 e 2 della Commissione, l'associazione ricorrente lamenta l'assenza di qualsivoglia motivazione a sostegno dei punteggi numerici assegnati dalla Commissione stessa ai candidati, con particolare riferimento ai fenomeni 3 ("Qualità artistica del progetto", in relazione al quale la ricorrente ha conseguito il punteggio di 1 su 7), 5, 6, 7 e 10 (rispettivamente, "Innovatività dei progetti e assunzione del rischio culturale anche attraverso la programmazione di nuove composizioni, prime italiane e prime assolute"; "Multidisciplinarietà dei progetti"; "Interventi di educazione e promozione presso il pubblico a carattere continuativo realizzati anche attraverso rapporti con università e scuole per l'avvicinamento dei giovani" e "Continuità pluriennale del soggetto e affidabilità gestionale", per cui la ricorrente ha conseguito un punteggio pari a 0) e 13 ("Sviluppo, creazione e partecipazione a reti nazionali e internazionali", per il quale la ricorrente ha ottenuto 1 punto su 2). 3.2. Con il secondo (rubricato "Eccesso di potere - contraddittorietà tra gli atti del procedimento amministrativo. In particolare, contraddittorietà tra il verbale n. 3 ed i punteggi attribuiti dalla Commissione di valutazione"), la ricorrente evidenzia che l'attribuzione del punteggio di 0 ad alcuni dei fenomeni elencati nel primo motivo invererebbe una evidente contraddittorietà tra gli atti del procedimento, in relazione al contenuto del verbale n. 3, con il quale la Commissione aveva stabilito di attribuire tale punteggio ai soli fenomeni "non presenti; non compilati o non pertinenti". 4. Il Ministero della Cultura si è costituito in resistenza in data 10 ottobre 2022. 5. In esito alla camera di consiglio del 25 ottobre 2022, l'istanza cautelare è stata respinta con ordinanza n. 6633 del 26 ottobre 2022. 6. All'udienza pubblica del 15 luglio 2024, in vista della quale la sola parte resistente ha depositato memoria ex art. 73 c.p.a., la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Ritiene preliminarmente il Collegio che non vi siano i presupposti per disporre l'integrazione del contraddittorio, dovendo trovare applicazione al caso in esame il secondo comma dell'art. 49 c.p.a. 2. Ciò posto, i due motivi di ricorso - che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione - sono infondati. 3. Va premesso che la parte ricorrente non ha svolto contestazioni rispetto alle puntuali difese svolte dall'amministrazione (cfr. in particolare le pagine 3 e 4 della memoria ex art. 73 c.p.a.) circa la non rilevanza, rispetto al caso in esame, del contenuto dei verbali n. 1 e 2 della Commissione. 4. Venendo al merito del ricorso, si osserva che le doglianze articolate nel gravame censurano, per un verso, la mancanza di motivazione alla base dei giudizi espressi dalla Commissione e, per l'altro verso, l'irragionevolezza dei voti attribuiti con riguardo ad alcuni specifici fenomeni. 5. Con riguardo al primo aspetto, il Collegio intende dare seguito all'orientamento recentemente espresso dal Consiglio di Stato in materia di F.U.S. (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 11227 del 27 dicembre 2023, nn. 3161 e 3162 del 5 aprile 2024, n. 3831 del 26 aprile 2024 e n. 5920 del 3 luglio 2024). 5.1. In particolare, l'ultima delle richiamate sentenze ha, richiamando i precedenti del medesimo Consiglio, evidenziato che nel sistema in esame "la valutazione viene svolta, per espressa previsione del d.m., con attribuzione di un punteggio numerico"; "la valutazione viene effettuata tenendo conto, oltre che della "qualità indicizzata" (lett. b) e della "dimensione quantitativa" (lett. c), primieramente valutando la "qualità artistica", per la quale il punteggio assegnato deve raggiungere almeno i dieci punti" (Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2699; passaggio ripreso, più di recente, da Cons. Stato, Sez. VI, 5 aprile 2024, n. 3161)". 5.1.1. In questo senso, per la richiamata sentenza, "la valutazione della "qualità artistica" implica certamente esercizio di discrezionalità tecnica. Tuttavia, il meccanismo normativo impedisce che la discrezionalità possa trasmodare in arbitrio e rimanere incontrollata, in relazione alle ragioni del punteggio attribuito, attraverso la fissazione di parametri di valutazione, indicati nell'Allegato B del D.M., per ciascuno dei quali è previsto un punteggio massimo attribuibile. Dunque, la "qualità artistica" (oggetto di valutazione) viene specificata in "obiettivi strategici", all'interno dei quali sono individuati "obiettivi operativi", i quali a loro volta si articolano in "fenomeni" (vedasi i contenuti del citato Allegato B), per ciascuno dei quali, in virtù di preventiva determinazione direttoriale, è previsto un punteggio massimo. Sicché può affermarsi che vi è specificazione di "criteri" e "subcriteri" che parcellizzano e specificano gli elementi che compongono la "qualità artistica", con previsione per ciascuno di essi di specifico punteggio, onde la discrezionalità dell'amministrazione non solo viene veicolata in ambiti obbligatori di valutazione ma viene, altresì, previamente definita e precisata in maniera tale da consentire, pur attraverso la mera attribuzione del voto numerico, di risalire all'iter logico seguito nella assegnazione del concreto punteggio attribuito (Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2699)", con la conseguenza che "la griglia di valutazione de qua e i criteri previsti in materia di contributi F.U.S. proprio "in virtù della loro specificità, molteplicità e collegamento con un punteggio massimo attribuibile, non risultano affatto generici e consentono di individuare, attraverso l'assegnazione del punteggio numerico, l'iter logico seguito nella valutazione senza necessità di ulteriore espressa motivazione" (così sempre Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2699)". 6. Con riferimento, invece, all'attribuzione, in concreto, dei punteggi, occorre rilevare che la parte ricorrente si è limitata a elencare i numerosi pregi che, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, contraddistinguerebbero, a suo avviso, il Festival dalla stessa organizzato, ma non ha provato la ricorrenza di elementi che rendano manifestamente illogiche o irrazionali le valutazioni svolte dalla Commissione, sia in relazione alle singole votazioni (e si allude in particolare a quelle pari a 0, tenuto conto che tale punteggio poteva riguardare, in base al verbale n. 3 della Commissione, anche i fenomeni non pertinenti, oltre che quelli non presenti e non compilati), sia - se del caso - in relazione ai giudizi formulati nei confronti degli altri concorrenti. 6.1. Né, infine, può assumere alcun rilievo il fatto che, nella precedente sessione, l'odierna ricorrente sia stata ammessa al finanziamento, tenuto conto delle variabili che connotano e differenziano ogni singola tornata valutativa (cfr., tra le tante, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II quater, 7 novembre 2019, n. 12817). 7. In conclusione, il ricorso non è meritevole di accoglimento. 8. Sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese, tenuto conto che l'indirizzo giurisprudenziale richiamato nel paragrafo 5 si è formato e consolidato dopo l'instaurazione del presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda Quater, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonella Mangia - Presidente Francesca Santoro Cayro - Referendario Luigi Edoardo Fiorani - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Quater ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 13835 del 2023, proposto da Pr. Ad, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ri. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Aifa Agenzia Italiana del Farmaco, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Po. S.p.A., non costituito in giudizio; per l'ottemperanza della sentenza del TAR Lazio, Roma, Sez. III Quater (Stralcio), n. 8664/2023, pubblicata in data 22.5.2023 e pronunciata sul giudizio RG n. 7932/2019, non passata in giudicato e per la declaratoria dell'inefficacia (ex art. 114, comma 4, lett. c), c.p.a.) di tutti gli atti emanati dall'AIFA in violazione o elusione della sentenza del TAR Lazio n. 8664/2023, con particolare riferimento: - alla determinazione IP/DIN n. 519, adottata dal Dirigente dell'Ufficio Certificazioni e Importazioni Parallele dell'AIFA e pervenuta alla Ricorrente in data 29.8.2023; - ad ogni altro atto e provvedimento presupposto, conseguente e/o comunque connesso inerente al procedimento in oggetto anche se non conosciuto, ivi inclusi (i) la nota dell'Ufficio Certificazioni e Importazioni Parallele dell'AIFA del 3.7.2023 di riapertura del procedimento a seguito della sentenza della sentenza del TAR Lazio, Roma, Sez. III Quater (Stralcio), n. 8664/2023, pubblicata in data 22.5.2023 e pronunciata sul giudizio RG n. 7932/2019, non passata in giudicato e per la declaratoria dell'inefficacia (ex art. 114, comma 4, lett. c), c.p.a.) di tutti gli atti emanati dall'AIFA in violazione o elusione della sentenza del TAR Lazio n. 8664/2023, con particolare riferimento: - alla determinazione IP/DIN n. 519, adottata dal Dirigente dell''Ufficio Certificazioni e Importazioni Parallele dell''AIFA e pervenuta alla Ricorrente in data 29.8.2023 ("Seconda Determina di Diniego"; - ad ogni altro atto e provvedimento presupposto, conseguente e/o comunque connesso inerente al procedimento in oggetto anche se non conosciuto, ivi inclusi (i) la nota dell''Ufficio Certificazioni e Importazioni Parallele dell''AIFA del 3.7.2023 di riapertura del procedimento a seguito della sentenza del TAR Lazio n. 8664/2023 (doc. 2), e (ii) il preavviso di diniego dell''Ufficio Certificazioni e Importazione Parallele dell''AIFA del 4.8.2023 nonché per la nomina di Commissario ad acta (ex art. 114, comma 4, lett. d), c.p.a.) qualora l''AIFA non provveda nel termine che l''Ecc.mo TAR riterrà opportuno; in via subordinata, ove ravvisatine i presupposti, previa conversione del rito, per l'annullamento - della Seconda Determina di Diniego; - di ogni altro atto e provvedimento presupposto, conseguente e/o comunque connesso inerente al procedimento in oggetto anche se non conosciuto, ivi inclusi (i) la nota dell''Ufficio Certificazioni e Importazioni Parallele dell''AIFA del 3.7.2023 di riapertura del procedimento a seguito della sentenza del TAR Lazio n. 8664/2023 (cfr. doc. 2), e (ii) il preavviso di diniego dell''Ufficio Certificazioni e Importazione Parallele dell''AIFA del 4.8.2023. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Aifa Agenzia Italiana del Farmaco; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2024 la dott.ssa Silvia Piemonte e uditi per le parti i difensori e viste le loro conclusioni come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La Società ricorrente, azienda farmaceutica che opera nel settore dell'importazione parallela dei farmaci, con un primo ricorso, definito con sentenza di accoglimento di questa Sezione in sede di smaltimento (sent. 22 maggio 2023 n. 8664), aveva impugnato il provvedimento dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) di diniego dell'Autorizzazione all'Importazione Parallela (AIP) del medicinale "Arlevert 20 mg/40 mg tablets, 50 tabletta" con Paese di origine Ungheria previo riconfezionamento nella confezione da 20 compresse. 2. Successivamente con l'atto introduttivo del presente giudizio parte ricorrente ha chiesto l'ottemperanza della richiamata sentenza e in subordine l'annullamento del provvedimento con il quale l'AIFA nuovamente le ha negato il rilascio dell'AIP dall'Ungheria per il medicinale in questione. 3. Si è costituita l'AIFA chiedendo di rigettarsi il ricorso. 4. Con ordinanza del 18 dicembre 2023 n. 19336 è stata disposta la conversione nel rito ordinario, qualificandosi l'azione come impugnatoria del provvedimento adottato dall'AIFA a seguito della nuova valutazione istruttoria. 5. In vista dell'udienza di merito le parti hanno depositato memorie e memorie di replica insistendo per l'accoglimento delle rispettive ragioni. 6. All'udienza pubblica del 9 luglio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 7. Il ricorso deve trovare accoglimento nei termini di cui di seguito. 7.1 Con il provvedimento gravato l'AIFA ha motivato il nuovo diniego ritenendo che: "Per poter adeguare la confezione di importazione a quella di riferimento italiana, Codesta Azienda ha chiesto di poter effettuare un'operazione di riconfezionamento operando il taglio del blister. La Comunicazione della Commissione Europea sulle importazioni parallele del 30.12.2003 CQM (2003) 839 definitivo e, in particolare, le sentenze ECJ (C-427/93, C- 429/93, C-436/93), hanno individuato cinque criteri che devono essere rispettati al fine di commercializzare legittimamente un medicinale di importazione parallela riconfezì onato: · il riconfezionamento è necessario per commercializzare il prodotto nel paese di importazione · il riconfezionamento non possa alterare la condizione originale del prodotto · la nuova confezione indica chiaramente chi ha riconfezionato il prodotto e il nome del produttore · la presentazione del prodotto riconfezionato non è suscettibile di danneggiare la reputazione del marchio e del suo titolare · il titolare del marchio riceva un preavviso prima che il prodotto riconfezionato venga messo in vendita. Nel rispetto del primo criterio sopra citato, lo scrivente Ufficio valuta l'accettabilità del taglio del blister solo nel caso in cui questo sia necessario ed indispensabile per l'effettivo accesso al mercato, poiché questo tipo di operazione è intrinsecamente suscettibile di alterare lo stato originario del prodotto, dato che viene effettuata sul confezionamento primario direttamente in contatto con il prodotto, e pertanto comporta sempre un potenziale rischio di impatto negativo sulla qualità del prodotto e di conseguenza un potenziale rischio per la salute pubblica. Infatti, il taglio del blister, seppure eseguito da una officina autorizzata, potrebbe comportare il rischio di possibili difetti di qualità derivanti ad esempio dall'alterazione della sigillatura del blister posta a protezione delle compresse a seguito delle operazioni di taglio. Il taglio del blister non è raccomandato, in quanto è un'operazione di produzione diversa dalle semplici operazioni di riconfezionamento descritte nella succitata Comunicazione della Commissione come ad esempio: "...apporre etichette autoadesive a bottigliette, boccette, fiale o inalatori, nell'aggiunta alla confezione di nuovi foglietti illustrativi nella lingua dello Stato membro di importazione o nell'inserimento di un articolo extra, ad esempio un vaporizzatore, proveniente da fonte diversa da quella del titolare del marchio d'impresa..." che possono, previa valutazione dell'autorità competente, essere autorizzate nell'ambito di una procedura di importazione parallela. E' considerata quindi un'operazione eccezionale da valutare solo nel caso in cui l'importatore dimostri che la confezione di medicinale che intende importare in Italia non sia autorizzata e commercializzata nel Paese di origine, come si evince anche dalle Q& A presenti sul sito dell'EMA al link https://www.ema.europa.eu/en/human- regulatorv/post-a uthorisatio n/pa ra l lel-d istribution, che prevedono: "The cutting of blisters is not recommended by the Agency but may occasionally be permitted on a case- by-case basis, provided that it does not affect the originai condition of the product and the proposals from the parallel distributor are in compliance with the conditions of the marketing authorisation. The assessment takes into account the necessity for the effective access to the market. The parallel distributor should provide a valid justification for cutting blisters and a decision on whether this is acceptable will be made by the Agency." Nel caso specifico la necessità del taglio del blister non si ravvisa poiché in Ungheria sono autorizzate e in commercio le confezioni da 20 e 50 compresse come in Italia, pertanto l'operazione di riconfezionamento con il taglio del blister non è considerata necessaria per la libera circolazione delle merci e per la commercializzazione sul mercato italiano, esistendo la possibilità di importare dall'Ungheria confezioni con un numero di compresse che non lo richiederebbe. Di conseguenza, non è stata ritenuta sufficiente la rassicurazione che l'eventuale taglio del blister, se effettuato, sarebbe stato eseguito secondo le norme GMP: tale aspetto, infatti, sarebbe stato preso in considerazione solo se necessario, in subordine e unitamente alla presenza di adeguata giustificazione sulla necessità di eseguire l'operazione stessa per poter accedere al mercato. Pertanto, in mancanza della condizione che rende necessaria l'esecuzione del taglio del blister la richiesta di importazione deve essere rigettata, poiché, come sopra richiamato, l'operazione del taglio del blister rappresenta intrinsecamente un elemento di rischio per la qualità del medicinale e quindi per la salute pubblica." 7.1 La motivazione dell'Aifa muove dunque dal richiamo ai cinque criteri che, in base alla Comunicazione della Commissione Europea sulle importazioni parallele del 30.12.2003 CQM (2003) e, in particolare, alle sentenze ECJ (C-427/93, C- 429/93, C-436/93), devono essere soddisfatti affinchè possa commercializzarsi legittimamente un medicinale di importazione parallela riconfezì onato, tra cui, per quanto di interesse in questa sede, i due seguenti criteri: · il riconfezionamento è necessario per commercializzare il prodotto nel paese di importazione · il riconfezionamento non possa alterare la condizione originale del prodotto" Secondo la ricostruzione dell'Aifa il primo criterio (sulla necessarietà del riconfezionamento) non sarebbe soddisfatto, laddove, come nel caso di specie, la commercializzazione del prodotto in Italia possa avvenire importando direttamente dall'Ungheria confezioni da 20 compresse (già disponibili sul mercato ungherese) anzichè riconfezionare quelle da 50 compresse (che attraverso il c.d. taglio del blister verrebbero appunto riconfezionate in scatole da 20 compresse) per immetterle sul mercato italiano, o in alternativa immettendo sul territorio italiano direttamente le confezioni da 50 importate dall'Ungheria. Pertanto, sempre secondo la ricostruzione dell'Aifa, non essendo soddisfatto il "criterio" della necessarietà del taglio del blister ai fini della commercializzazione del prodotto, diviene inutile procedere alla valutazione in concreto del secondo "criterio" (sul rischio di alterazione del prodotto originale), per cui "non è stata ritenuta sufficiente la rassicurazione che l'eventuale taglio del blister, se effettuato, sarebbe stato eseguito secondo le norme GMP: tale aspetto, infatti, sarebbe stato preso in considerazione solo se necessario, in subordine e unitamente alla presenza di adeguata giustificazione sulla necessità di eseguire l'operazione stessa per poter accedere al mercato." Chiarisce l'Aifa, nel provvedimento gravato, che la valutazione sull'accettabilità del taglio del blister sotto il profilo della sicurezza per la salute pubblica viene svolta solo "nel caso in cui questo sia necessario ed indispensabile per l'effettivo accesso al mercato", poiché si tratta di una operazione "intrinsecamente suscettibile di alterare lo stato originario del prodotto, dato che viene effettuata sul confezionamento primario direttamente in contatto con il prodotto, e pertanto comporta sempre un potenziale rischio di impatto negativo sulla qualità del prodotto e di conseguenza un potenziale rischio per la salute pubblica. Infatti, il taglio del blister, seppure eseguito da una officina autorizzata, potrebbe comportare il rischio di possibili difetti di qualità derivanti ad esempio dall'alterazione della sigillatura del blister posta a protezione delle compresse a seguito delle operazioni di taglio." Attesa l'intrinseca "pericolosità " del taglio del blister questo "non è raccomandato". "E' considerata quindi un'operazione eccezionale da valutare solo nel caso in cui l'importatore dimostri che la confezione di medicinale che intende importare in Italia non sia autorizzata e commercializzata nel Paese di origine, come si evince anche dalle Q& A presenti sul sito dell'EMA al link https://www.(omissis)n, che prevedono: "The cutting of blisters is not recommended by the Agency but may occasionally be permitted on a case- by-case basis, provided that it does not affect the originai condition of the product and the proposals from the parallel distributor are in compliance with the conditions of the marketing authorisation. The assessment takes into account the necessity for the effective access to the market. The parallel distributor should provide a valid justification for cutting blisters and a decision on whether this is acceptable will be made by the Agency." 8. Parte ricorrente adduce, ai fini della subordinata azione cognitoria, un primo motivo di ricorso con cui sostiene la violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241 del 1990 poiché il nuovo provvedimento sarebbe stato adottato in violazione del principio del c.d. "one shot puro" introducendo una motivazione fondata su elementi ("intrinseca pericolosità " delle operazioni di taglio del blister) che erano già nella disponibilità dell'Amministrazione, allorchè è stato adottato il primo provvedimento poi annullato in sede giudiziaria. 8.1 Tale doglianza non può essere accolta poiché infondata. Il provvedimento in questa sede gravato è stato adottato dopo che con la sentenza di questo TAR n. 8664 del 2023 stata rimessa all'Aifa l'adozione di ulteriori determinazioni a fronte dell'annullamento del precedente provvedimento di diniego. In particolare con la richiamata sentenza è stato ritenuto che: "...fermo restando che il rilascio delle autorizzazioni in materia di farmaci è espressione di un giudizio di discrezionalità tecnica insindacabile al di fuori dei casi di manifesta irragionevolezza o illogicità, l'AIFA nel caso di specie non appare aver svolto la necessaria valutazione istruttoria, limitandosi nel provvedimento gravato ad insistere sulla non accettabilità della giustificazione fornita a supporto della necessità del taglio del blister per l'effettivo accesso al mercato, finendo così per arrestare la sua valutazione solo ad uno degli elementi istruttori forniti (rectius "non forniti") dall'istante, senza chiarire se il riconfezionamento attuato attraverso il taglio del blister possa comportare anche solo per sua stessa natura o per le modalità con cui è eseguito nel caso all'evidenza il rischio di alterazione dello stato originario del prodotto o comunque delle differenze tali da poter recare un pregiudizio anche solo potenziale per la salute pubblica. Tanto avendo presente la definizione di "identità " di specialità di cui al richiamato D.M. che consente unicamente "le differenze -che- non rilevino sotto il profilo della qualità, della sicurezza e dell'efficacia," e rimette all'importatore di produrre la documentazione tecnica necessaria a dimostrare quanto dichiarato." È dunque la stessa sentenza che rimetteva all'Aifa la valutazione istruttoria in ordine alla pericolosità per la salute pubblica del taglio del blister. Di qui l'infondatezza del motivo di ricorso in questione. 9. Fondati appaiono invece i motivi di ricorso, strettamente connessi sul piano logico, con i quali parte ricorrente sostiene l'illegittimità del provvedimento gravato per eccesso di potere ("Violazione e falsa applicazione della Comunicazione della Commissione UE del 30.12.2003 in tema di importazione parallela di medicinali; Eccesso di potere per straripamento, illogicità, omessa ponderazione comparativa degli interessi, disparità di trattamento, travisamento dei fatti, contraddittorietà, carenza dei presupposti, sviamento, difetto di motivazione ed istruttoria ed ingiustizia manifesta") poiché 1'Aifa, attribuendo rilevanza assorbente e decisiva al solo requisito della necessità del taglio blister ai fini dell'accesso al mercato, ha omesso di effettuare la valutazione in concreto della pericolosità per la salute pubblica, anche solo in termini di rischio, del taglio del blister con riferimento alla fattispecie specifica in questione. Come rilevato dalla difesa di parte ricorrente l'Agenzia impropriamente richiama la Comunicazione della Commissione Europea sulle importazioni parallele del 30.12.2003 COM(2003) e la sentenza della CGUE dell'11 luglio 1996 (Cause riunite C-427/93, C-429/93 e C-436/93) ove il criterio della c.d. "necessità per l'accesso al mercato" individua in realtà una deroga al principio dell'esaurimento di cui all'art. 15, comma 1, della Direttiva (UE) 2015/2436 e all'art. 13, comma 1, del Reg.UE 2017/1001 sul Marchio dell'Unione Europea (art. 5 del D.Lgs. n. 30 del 2005). Si legge difatti nella richiamata pronuncia della CGUE che: "L'art. 7 della prima direttiva 89/104 sui marchi, al pari dell'art. 36 del Trattato, mira a conciliare gli interessi fondamentali attinenti alla tutela dei diritti di marchio e quelli relativi alla libera circolazione delle merci nel mercato comune, cosicché tali norme, che perseguono lo stesso risultato, devono essere interpretate in modo identico. Di conseguenza, conformemente alla giurisprudenza della Corte riguardante l'art. 36, il n. 2 del suddetto art. 7, il quale prevede talune deroghe al principio dell'esaurimento, dev' essere interpretato nel senso che il titolare del marchio può legittimamente opporsi all'ulteriore smercio di un prodotto farmaceutico, messo in commercio in un altro Stato membro da lui o con il suo consenso, qualora l'importatore abbia riconfezionato il prodotto e vi abbia riapposto il marchio senza l'autorizzazione del titolare, a meno che ° sia provato che l'esercizio del diritto di marchio da parte del titolare per opporsi allo smercio dei prodotti riconfezionati con il detto marchio contribuirebbe ad isolare artificiosamente i mercati nazionali nell'ambito della Comunità . Ciò si verifica, in particolare, qualora il titolare abbia messo in commercio in vari Stati membri un prodotto farmaceutico identico in confezioni diverse e il riconfezionamento effettuato dall'importatore, da un lato, sia necessario per lo smercio del prodotto nello Stato membro dell'importazione e, dall'altro, avvenga secondo modalità tali che lo stato originario del prodotto non può risultarne alterato. Per contro, tale condizione non implica che debba essere dimostrato che il titolare del marchio abbia cercato deliberatamente di isolare i mercati nazionali nella Comunità ; ° sia provato che il riconfezionamento non può alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione. Ciò si verifica, in particolare, qualora l'importatore si sia limitato ad effettuare operazioni che non comportano rischi di alterazione, ossia, ad esempio, a togliere placchette alveolate, flaconi, fiale, ampolle o inalatori dalla confezione esterna originale ed a metterli in una nuova confezione esterna, ad apporre etichette autoadesive sulla confezione interna del prodotto, ad accludere alla confezione un nuovo foglietto di avvertenze per l'uso o di informazioni o ad inserirvi un oggetto supplementare. Spetta al giudice nazionale accertare che lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione non sia indirettamente alterato dal fatto che, segnatamente, la confezione esterna o interna del prodotto riconfezionato o un nuovo foglietto di avvertenze per l'uso o di informazioni non contengano talune informazioni importanti o contengano informazioni inesatte, oppure che un oggetto supplementare inserito nella confezione dall'importatore e destinato all'assunzione e al dosaggio del prodotto non sia conforme alle modalità di uso e alle dosi previste dal fabbricante; ...". I criteri sul riconfezionamento che l'Aifa richiama traggono dunque le mosse dalla richiamata giurisprudenza europea, formatasi su questioni afferenti la tutela della proprietà industriale e commerciale ed i rapporti privati tra il titolare di un marchio e importatore, onde scongiurare l'isolamento artificioso dei mercati. Difatti tali "criteri" confluiti nella Comunicazione della Commissione del 2003 sono declinati nei seguenti termini: "Quanto ai diritti di proprietà industriale e commerciale protetti dalla legislazione di uno Stato membro, quest'ultima non può essere utilizzata per opporsi all'importazione di un prodotto che sia stato legittimamente immesso in commercio in un altro Stato membro dal titolare di tale diritto o con il suo consenso. Inoltre, il titolare del marchio non può utilizzare il suo diritto al fine di vietare il riconfezionamento di un prodotto importato in parallelo nei casi in cui: • l'esercizio del diritto relativi al marchio da parte del titolare, tenuto conto del sistema di commercializzazione da lui adottato, può contribuire all'isolamento artificioso dei mercati tra Stati membri; • il riconfezionamento non altera la condizione originale del prodotto; il prodotto riporta il nome di chi lo ha riconfezionato; • il prodotto riconfezionato non è presentato in un modo che potrebbe danneggiare la reputazione del marchio o del suo titolare; e • il titolare del marchio è stato informato anticipatamente dell'immissione in commercio del prodotto riconfezionato." Si tratta pertanto di una disciplina che è volta a disciplinare aspetti relativi alla tutela della concorrenza e a garantire il rispetto del principio della libera circolazione delle merci, scongiurando la creazione di isolati mercati nazionali. Diversamente, come ha evidenziato il Consiglio di Stato (Sez. III, sent. 23 febbraio 2024 n. 1780 che ha confermato Tar Lazio n. 8664 del 2023) "va qui aggiunto, l'art. 48 commi 3 e 5 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, nel prevedere -tra l'altro- i compiti spettanti all'Agenzia, evidenzia che tali funzioni non possono che essere preordinate al perseguimento dell'interesse pubblico di tutela della salute ad essa affidati, in ossequio alle previsioni di legge istitutive della stessa, sicché le sue valutazioni tecniche afferiscono alla qualità, alla sicurezza e all'efficacia dei medicinali, nel caso all'esame, per uso umano. 8.3. Ne discende che, l'asserita assenza di uno dei due requisiti di autorizzazione (AIP) tra cui quello della verifica della necessità o meno del taglio del blister per il mercato, allegatamente rispondente a scelte economiche non può ex sé giustificare - in assenza di valutazione sui rischi per la salute - il diniego d'importazione del farmaco. Di qui la fondatezza della censura di difetto d'istruttoria, accolta dal primo giudice, afferendo la questione inerente all'accessibilità al mercato del prodotto a rapporti di natura prevalentemente privatistica." 10. Spetta dunque all'Aifa svolgere una valutazione che attenga a profili di tutela della salute pubblica. Tuttavia si tratta di una valutazione che deve essere effettiva e riferita al singolo caso di specie e non arenarsi ad una generale presupposta "pericolosità " dell'operazione del taglio del blister. La stessa risposta dell'EMA ((European Medicines Agency) richiamata nel provvedimento gravato, come già statuito nella sentenza n. 8664 del 2023, avente comunque portata conformativa nella riedizione del potere, non conduce alle conclusioni cui perviene l'Aifa. Si legge nella richiamata sentenza: "A livello centrale europeo l'Autorità competente a verificare la conformità dei prodotti distribuiti parallelamente alle condizioni stabilite nella legislazione comunitaria sui medicinali e nell'autorizzazione all'immissione in commercio del prodotto è l'EMA (European Medicines Agency) alla quale i distributori paralleli devono inviare la notifica di distribuzione parallela di medicinali autorizzati in base all'articolo 57, paragrafo 1, lettera o), del regolamento (CE) n. 726/2004. Con riferimento specifico al "riconfezionamento", secondo quanto chiarito dall'EMA, sia pure solo a livello di informazioni, alla domanda se i distributori paralleli possono aprire la confezione e riconfezionare il medicinale, la risposta fornita è la seguente: "In linea di principio, le uniche modifiche al medicinale che possono essere richieste per consentire la distribuzione parallela sono le modifiche della lingua dell'etichettatura e del foglietto illustrativo per conformarsi ai requisiti della legislazione sui medicinali." Ne consegue che, "in generale, il riconfezionamento non è consentito". "Tuttavia, la sostituzione dell'imballaggio di un medicinale è talvolta obiettivamente necessaria se, senza tale riconfezionamento, sarebbe ostacolato l'effettivo accesso al mercato interessato o a una parte sostanziale di tale mercato. La necessità del riconfezionamento deve essere giustificata dal distributore parallelo durante una procedura di notifica. La richiesta di riconfezionamento dei medicinali viene attentamente valutata caso per caso, per garantire il rispetto dell'autorizzazione all'immissione in commercio del medicinale e della legislazione dell'UE sui medicinali per la sicurezza dei pazienti. In particolare, il riconfezionamento non può pregiudicare le condizioni originali del prodotto. Il concetto di effetti negativi sullo stato originale dei prodotti si riferisce allo stato del prodotto all'interno della confezione. Si accetta che le condizioni del prodotto non vengano pregiudicate quando il riconfezionamento interessa solo lo strato esterno, lasciando intatto l'imballaggio interno. Il prelievo dei blister dall'imballo esterno originale e il loro inserimento con uno o più imballi originali in un imballo esterno nuovo, o il loro inserimento in un altro imballo originale, l'apposizione di etichette autoadesive sull'imballo esterno originale o sui blister, o l'aggiunta alla confezione di nuove istruzioni o informazioni per l'utilizzatore è considerata un'attività che non pregiudica lo stato del medicinale all'interno della confezione." La giustificazione del distributore parallelo deve essere presa in considerazione. Le operazioni dovrebbero svolgersi in un sito con un'autorizzazione alla produzione rilasciata dall'autorità nazionale competente e in conformità con i principi e le linee guida delle GMP..." In sostanza l'EMA nelle informazioni richiamate, le quali pur non avendo valore normativo, costituiscono tuttavia espressione della valutazione tecnica discrezionale della massima Autorità regolatoria in materia, effettua una sorta di graduazione tra le operazioni di riconfezionamento, muovendo dalla loro qualificazione come "modifiche al medicinale". 8.3 Deve infatti ritenersi che il riconfezionamento, per definizione, alteri la "identità " originale del farmaco intesa nella sua completezza per come autorizzato al commercio, e ciò a prescindere dalla più incisiva alterazione dello stato originale del prodotto. Difatti anche soltanto mutamenti del confezionamento esterno, nella forma o nelle dimensioni, potrebbero comunque comportare un significativo impatto sull'uso e sui comportamenti da parte dei consumatori, nonché sulla consegna, sulla tracciabilità e sulla sicurezza del prodotto finito. Pertanto l'EMA si preoccupa di graduare le diverse tipologie di modificazioni del farmaco dovute al riconfezionamento, di talché "le modifiche della lingua dell'etichettatura e del foglietto illustrativo per conformarsi ai requisiti della legislazione sui medicinali" sono consentite, mentre tutte le ulteriori diverse operazioni di riconfezionamento non sono in generale non raccomandate. Ciò tuttavia non consente di ritenere che queste siano in maniera assoluta non ammesse, ma soltanto che per esse andrà di volta in volta effettuata un'attività istruttoria e di valutazione per verificare se non si configurino rischi per la sicurezza e la salute dei consumatori. 8.4 Nelle richiamate informazioni l'EMA richiede dunque che alle domande di "sostituzione dell'imballaggio" sia allegata da parte del richiedente la sussistenza della obiettiva necessità di tale operazione per consentire l'effettivo accesso al mercato. In questi casi, la richiesta deve essere "attentamente valutata caso per caso" per garantire il rispetto della disciplina normativa sui medicinali a tutela della sicurezza dei pazienti. Tuttavia con riferimento a tale valutazione talune operazioni sono già ritenute "accettate" dall'Autorità in quanto presuntivamente già valutate come non atte a pregiudicare le condizioni del prodotto ("Si accetta che le condizioni del prodotto non vengano pregiudicate quando il riconfezionamento interessa solo lo strato esterno, lasciando intatto l'imballaggio interno. Il prelievo dei blister dall'imballo esterno originale e il loro inserimento con uno o più imballi originali in un imballo esterno nuovo, o il loro inserimento in un altro imballo originale, l'apposizione di etichette autoadesive sull'imballo esterno originale o sui blister, o l'aggiunta alla confezione di nuove istruzioni o informazioni per l'utilizzatore è considerata un'attività che non pregiudica lo stato del medicinale all'interno della confezione.), per le altre operazioni pure riconducibili nell'ampia varietà del concetto di "riconfezionamento" invece tale presunzione non sussiste per cui dovrà essere effettuata una più approfondita verifica sull'accettabilità del riconfezionamento in quanto non pregiudichi le condizioni del prodotto. 8.5 Tra quest'ultima tipologia di operazioni appare rientrare anche il taglio del blister. La risposta fornita al riguardo dall'EMA, e fatta propria dall'AIFA a supporto del diniego gravato, definisce, in linea con quanto affermato con riferimento in generale al riconfezionamento, che anche il taglio dei blister "non è raccomandato". Tuttavia lo stesso "may occasionally be permitted on a case-by-case basis, provided that it does not affect the originai condition of the product and the proposals from the parallel distributor are in compliance with the conditions of the marketing authorisation. The assessment takes into account the necessity for the effective access to the market". (trad.: può essere occasionalmente consentito caso per caso, a condizione che non pregiudichi lo stato originale del prodotto e che le proposte del distributore parallelo siano conformi alle condizioni di autorizzazione all'immissione in commercio. La valutazione tiene conto della necessità di un effettivo accesso al mercato.) "The parallel distributor should provide a valid justification for cutting blisters and a decision on whether this is acceptable will be made by the Agency" (trad.: Il distributore parallelo dovrebbe fornire una valida giustificazione per il taglio dei blister e una decisione sull'accettabilità sarà presa dall'Agenzia.). 8.6 Dunque il taglio del blister per quanto non raccomandato, può tuttavia essere di volta in volta ritenuto accettabile e pertanto consentito, laddove non sia pregiudicato lo stato originale del prodotto e le proposte del distributore parallelo siano conformi alle condizioni di autorizzazione all'immissione in commercio. Nell'ambito di tale valutazione, posto che come ribadito dall'EMA stessa (cfr. quesito 18), le Autorità coinvolte nel procedimento di autorizzazione all'importazione parallela non hanno competenza in materia di tutela dei marchi, l'aspetto relativo all'accessibilità al mercato deve essere da queste preso in considerazione ("tenuto conto") nell'ambito dell'attività istruttoria procedimentale. La soddisfazione del criterio dell'accessibilità al mercato costituisce uno degli aspetti da considerare in sede di ponderazione degli interessi coinvolti nel procedimento ai fini della determinazione amministrativa finale. Tuttavia anche tale elemento istruttorio non può che essere considerato, poste le finalità istituzionali dell'EMA e dell'AIFA, attraverso la lente dell'interesse pubblico alla tutela della salute e della sicurezza dei consumatori finali e non certo meramente sotto l'aspetto economico di tutela della titolarità del marchio. Come infatti rilevato da parte ricorrente, le funzioni esercitate dall'Agenzia non possono che essere preordinate al perseguimento dell'interesse pubblico di tutela della salute ad essa affidato in base alle disposizioni di legge istitutive della stessa (art. 48 commi 3 e 5 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326), per cui le sue valutazioni tecniche afferiscono alla qualità, alla sicurezza e all'efficacia dei medicinali, in tal caso, per uso umano. In questo senso la necessità del riconfenzionamento per poter accedere al mercato assume rilievo avuto di mira pur sempre tale interesse pubblico e le funzioni attribuite all'Autorità, integrando sicuramente un ulteriore elemento positivo nella valutazione della relativa domanda per l'AIP e tanto, non perché costituisca un limite al potere di opposizione del titolare del marchio, ma perché rispondente all'interesse pubblico ad immettere sul mercato quel determinato farmaco." La stessa EMA nella mail prodotta da parte ricorrente (doc. n. 9 allegato al ricorso) e inviata all'Aifa in data 28 novembre 2018, pare ribadire che la propria competenza così come quella delle Autorità nazionali "sul taglio del blister" afferisce alla condizione originale del prodotto affinchè questa non risulti compromessa ("The Agency's approach to blister cutting is based on the principle of the 'originai condition of the product not being adversely affected'when it is repackaged in order to meet the national rules of the member state of importation. A confirmation to this extent is required by EMA, with further supervision taking piace at a national level, by the supervisory authority of the repackaging activity."). L'interesse dell'Agenzia, a causa della natura delicata del riconfezionamento, è che l'attività venga svolta in modo tale che il prodotto finale non crei confusione o, cosa più importante, non crei alcun rischio per la salute e la sicurezza del paziente ("...the Agency has an interest in the activity being carried out in such a way, that the end product does not cause any confusion, or more importantly does not cause any risk to the health and safety of the patient.). Testualmente l'EMA ivi conclude: "In order to ensure that this is the case, the Agency relies on the national authorities to verify, that the cutting of blisters has been carried out in a way so as not to affect the product within the packaging, and the end product does not have the potential to cause any harm (sharp edges; unclear labels, etc)." (trad. it: "Per garantire che ciò avvenga, l'Agenzia si affida alle autorità nazionali per verificare che il taglio dei blister sia stato effettuato in modo tale da non danneggiare il prodotto all'interno della confezione e che il prodotto finale non abbia il potenziale di causare alcun danno (bordi taglienti; etichette poco chiare, ecc.)." 11. In conclusione, ritiene il Collegio che, in assenza di una valutazione istruttoria sul se, con riferimento al singolo caso di specie, il riconfezionamento attuato attraverso il taglio del blister possa comportare il rischio di alterazione dello stato originario del prodotto anche solo potenziale per la salute pubblica, il provvedimento gravato deve essere annullato, fatte salve ulteriori determinazioni dell'Amministrazione. 12. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Quater, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie. Condanna l'Aifa alla refusione delle spese di lite in favore di parte ricorrente, che liquida in euro 2.000,00 (duemila,00), oltre oneri di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Maria Cristina Quiligotti - Presidente Francesca Ferrazzoli - Primo Referendario Silvia Piemonte - Primo Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda Ter ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 12897 del 2023, proposto da So. Sv. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gu. Se., Et. Ne., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); per l'annullamento: - della nota del MUNICIPIO I - U.O. AMMINISTRATIVA E AFFARI GENERALI prot. n. CA/2023/129947 del 4 luglio 2023 recante ad oggetto "Comunicazione di inefficacia della SCIA Prot. n. CA/2023/107178 del 27/05/2023 presentata da SVILUPPO S.R.L."; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2024 la dott.ssa Francesca Mariani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La ricorrente - esercente nel settore alimentare - ha impugnato il provvedimento del 4.07.2023 indicato in epigrafe, con cui Roma Capitale ha dichiarato la inefficacia della SCIA dalla medesima presentata in data 27.05.2023 per l'esercizio di attività di vicinato, da svolgersi nell'ambito del sito Unesco. Il provvedimento impugnato è così motivato: "Conclusi entro i termini gli accertamenti istruttori previsti dalla L. 241/90 si è verificato che il locale in cui si intende avviare l'attività di vicinato ricade nel sito UNESCO, nel quale è vietata l'apertura di nuove attività di vendita di generi appartenenti al settore alimentare sia ai sensi della previgente DAC 49/2019, art. 14, sia ai sensi dell'attualmente vigente DAC 109/2023, art. 16". 2. Avverso tale provvedimento la ricorrente ha, in estrema sintesi, lamentato la violazione e falsa applicazione degli articoli 11 e 12 delle preleggi, dell'art. 19 della legge n. 241/1990, dell'art. 134 Tuel, del principio del tempus regit actum, eccesso di potere per difetto dei presupposti e manifesta illogicità della motivazione, in sostanza per aver l'Amministrazione preteso di applicare nella fattispecie, tramite il richiamo alle Deliberazioni citate, un divieto non più vigente al momento della presentazione della SCIA, nonché un divieto, per contro, non ancora vigente allo stesso momento. 3. Roma Capitale si è costituita in resistenza e, richiamata la rilevanza degli interessi che hanno giustificato, nel tempo, i divieti di cui si discute (fino a quello oggi reiterato dalla DAC 109/2023), che hanno il fine di conciliare le esigenze di sviluppo del tessuto economico della Città Storica con la tutela del decoro nelle aree di maggior pregio storico-culturale, ha rappresentato che il divieto previsto dalla DAC 49/2019 (e ancor prima dalla DAC 48/2018) sarebbe stato ancora in vigore al momento della presentazione della SCIA (in quanto prorogato dalla DAC 37/2022, che sarebbe stata annullata solo parzialmente da questo Tribunale e che avrebbe quindi spiegato i suoi effetti con riferimento all'arco temporale che andava dalla scadenza dell'efficacia della previgente delibera - 13.05.2021 - all'adozione della nuova, nel maggio 2022, mentre nulla sarebbe stato disposto in ordine alla vigenza del divieto dall'approvazione della Delibera 37/2022 fino al nuovo termine da questa fissato al 31.05.2023). L'Amministrazione ha inoltre dedotto che in sede di controllo della SCIA poteva trovare applicazione la nuova DAC 109/2023. 4. Con ordinanza n. 7066 del 25.10.2023 l'istanza di sospensione cautelare è stata accolta con la seguente motivazione: "Ritenuto che l'istanza cautelare debba essere accolta, tenuto conto che il richiamo alla previgente DAC 49/2019 appare superato in conformità a quanto stabilito dalla Sezione con le recenti sentenze nn. 7929/2023, 7933/2023, 9622/2023, 9800/2023, 10637/2023, 13582/2023 e che, nella fattispecie, non può parimenti rilevare il richiamo alla DAC 109/23, atteso che il regolamento di cui alla detta delibera è entrato in vigore in un momento successivo alla presentazione della SCIA, così da risultare inapplicabile alla segnalazione in esame in ragione dell'insensibilità della stessa allo ius superveniens (cfr. da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 31 maggio 2023 n. 5404 e TRGA Bolzano, 1° giugno 2023, n. 193)". 5. In vista della discussione nel merito del ricorso, la ricorrente ha insistito per l'accoglimento del gravame. 6. Alla pubblica udienza del 24.09.2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 7. Il ricorso, come già ritenuto in sede cautelare, è fondato e deve essere accolto. 7.1. Invero, brevemente si ricorda che l'art. 14 della DAC n. 49/2019 e, in precedenza, l'art. 14 della DAC n. 47/2018, stabilivano (per quanto qui interessa), al primo periodo del primo comma, che "1. Nell'area del Sito UNESCO (...) è vietata l'apertura, anche tramite trasferimento di esercizi già operanti fuori delle medesime aree, di attività di vendita al dettaglio di generi appartenenti al settore alimentare in forma di esercizio di vicinato e di media struttura di vendita, nonché l'apertura di attività artigianali della tipologia alimentare, per un periodo di anni 3 (tre) a far data dall'entrata in vigore della deliberazione di Assemblea Capitolina n. 47/2018. (...)" e - all'ultimo periodo dello stesso primo comma - che "I dati inerenti gli indici di saturazione riferiti ai singoli Rioni che ricadono nell'area del Sito UNESCO, saranno soggetti a revisione biennale in relazione agli eventuali mutamenti degli indici stessi.". Al secondo comma, inoltre, lo stesso art. 14 prevedeva che "Entro il termine di cui al comma 1, l'Assemblea Capitolina, alla luce degli esiti della revisione degli indici di saturazione, adotterà apposito provvedimento per l'eventuale eliminazione del divieto previsto dal comma 1". All'esito di un complesso contenzioso, la Sezione, con le sentenze nn. 5342 e 5345 del 28.03.2023 ha condiviso la ricostruzione operata dal Consiglio di Stato in sede di appello cautelare, secondo cui l'ambito triennale di cui all'art. 14 enucleava un termine di decadenza automatica, il cui compimento (fissato dalla stessa delibera capitolina al 13.05.2021) comportava il venire meno del divieto di apertura delle considerate attività . La Sezione ha di conseguenza ritenuto l'illegittimità della previsione di proroga contenuta nella DAC 37/2022, in quanto adottata dopo la scadenza del termine che la stessa aveva inteso prorogare (sentenze nn. 5342 e 5345/2023, l'efficacia delle quali non risultava sospesa dal giudice di secondo grado al momento dell'adozione dell'atto impugnato e gli appelli avverso le quali sono stati ritenuti inammissibili con le sentenze del Consiglio di Stato nn. 10761/2023 e 1685/2024), rilevando, in seguito, con molteplici pronunce, l'illegittimità tout court della disposizione in essa contenuta, secondo cui "nelle more della revisione del Regolamento di cui alla Deliberazione di Assemblea Capitolina n. 47/2018, come modificata dalla Deliberazione di Assemblea Capitolina n. 49/2019, il divieto previsto dall'art. 14, comma 1 a decorrere dalla data di scadenza del termine stabilito dal medesimo comma 1 fino al 31 maggio 2023" (cfr., ex multis, Tar Lazio, Roma, sez. II ter 10 maggio 2023, n. 7929 e 7933). Pertanto, alla luce delle numerose pronunce sopra richiamate, rese in altrettanti giudizi nei quali era contestato in radice il potere amministrativo di proroga (unica espressione, finanche testualmente, del deliberato di cui alla DAC 37/2022), in quanto esercitato in un momento successivo alla scadenza del termine da prorogare, non è persuasiva la tesi di Roma Capitale secondo la quale, perlomeno per un determinato periodo (in sostanza, dalla data di entrata in vigore della stessa DAC 37/2022 e fino al 31.05.2023), il divieto da quest'ultima previsto (rectius, meramente prorogato) avrebbe comunque prodotto effetti poiché non annullato; ciò anche prescindere da quali siano state, in concreto, le ragioni per cui, nell'occasione, la P.A. si è determinata ad esercitare il proprio potere (che resta, soltanto, un mero potere di proroga di un divieto già scaduto). Ne discende l'illegittimità del provvedimento di declaratoria di inefficacia della Scia in questa sede impugnato, atteso che la segnalazione è stata presentata dalla ricorrente il 27.05.2023, data in cui, per quanto detto, non erano più vigenti le previsioni regolamentari di divieto di nuove aperture nel sito UNESCO richiamate negli atti. 7.2. A ciò si aggiunga che non persuade neanche la tesi sottesa al provvedimento, secondo cui - in sostanza - la P.A. avrebbe correttamente tenuto conto del nuovo divieto posto dalla DAC 109/2023 nell'effettuare, nei termini di cui all'art. 19, comma 3, della legge n. 241/1990, la valutazione posta a base delle declaratorie di inefficacia gravate (come noto, quest'ultima Deliberazione, approvata dall'Assemblea Capitolina in data 30.05.2023, è stata pubblicata a partire dal 7.06.2023 e prevede, all'art. 16 opposto alla ricorrente nei provvedimenti di inefficacia qui impugnati, un nuovo divieto di aperture e/o trasferimenti di esercizi nell'area del Sito UNESCO di attività di vendita al dettaglio di generi appartenenti al settore alimentare in forma di esercizio di vicinato e di media struttura di vendita, di attività di vendita di souvenir, di attività di laboratorio artigianale). Infatti, l'accertamento in ordine all'eventuale carenza dei requisiti e dei presupposti per l'esercizio dell'attività oggetto di segnalazione certificata va sì esercitato "nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione", ma sulla base dei "requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale" sussistenti al momento della presentazione della segnalazione. Al riguardo, va detto che sono senza dubbio di rilievo le argomentazioni spese da Roma Capitale sulle esigenze di tutela della Città Storica, da realizzarsi anche per il tramite di strumenti quali i divieti di cui si discute. Tuttavia, simili argomentazioni non possono motivare il profondo ripensamento del sistema di liberalizzazione delle attività economiche private attuato dal Legislatore con lo strumento (oggi) della Scia, che si verificherebbe ove si dovesse affermare - come sembra essere sotteso alla motivazione del provvedimento impugnato - l'applicabilità del principio del tempus regit actum allo scadere del termine di 60 giorni previsto per l'esercizio dei poteri inibitori dall'art. 19 citato; in questa maniera, infatti, la Segnalazione certificata sarebbe sostanzialmente equiparata ad un'istanza di autorizzazione. Una simile impostazione dell'attività amministrativa di controllo sulle SCIA, poi, risulta ancor meno condivisibile ove si consideri che, nella fattispecie, l'evenienza del "vuoto di tutela" che si è verificato - cui la P.A. ha evidentemente cercato di fare fronte applicando retroattivamente la DAC 109/2023 anche a Segnalazioni, quali quelle di cui qui si discute, presentate prima della sua entrata in vigore, sulla base del principio del tempus regit actum nel senso (non condiviso dal Collegio) espresso nei provvedimenti - è derivata, in realtà, dalla mancata adozione nei termini dei vari adempimenti cui la stessa Amministrazione si era vincolata nello stabilire originariamente il divieto (quali, ad esempio, la revisione biennale degli indici di saturazione); trattasi, dunque, di una circostanza fattuale contingente che non può motivare, in diritto, la lettura delle norme prospettata. Su quest'ultimo profilo del dato testuale, peraltro, la Sezione ha già recentemente ricordato, con riferimento a fattispecie sovrapponibile a quella in esame, che ai sensi dell'art. 19 citato la SCIA debba essere vagliata dalla P.A. alla luce della normativa vigente al momento della sua presentazione: "Invero, sebbene, come noto, ai sensi della disposizione ora citata, l'Amministrazione sia tenuta ad accertare la eventuale carenza dei requisiti e dei presupposti per l'esercizio dell'attività oggetto di Segnalazione Certificata "nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione", secondo il precedente comma 1 dell'art. 19 citato, i "requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale" sono, comunque, quelli vigenti al momento della presentazione della segnalazione. Ciò risulta chiaramente indicato, innanzitutto, nello stesso comma 1, laddove è stabilito che, "ove espressamente previsto dalla normativa [appunto] vigente", la Segnalazione è corredata "dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati (...) relative alla sussistenza [attuale, cioè al momento della presentazione] dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo", vale a dire, come già riportato, i "requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale". Inoltre, di ciò si ha ulteriore conferma dalla disposizione di cui al successivo comma 2 dello stesso art. 19, secondo cui "L'attività oggetto della segnalazione può essere iniziata (...) dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente", posto che in nessun caso potrebbe ipotizzarsi che il Legislatore abiliti il privato ad avviare un'attività (con tutto ciò che ne consegue, anche in termini di costi e oneri) sulla base di dichiarazioni sostitutive, attestazioni, asseverazioni e certificazioni, per poi pretenderne l'inibizione in virtù di normativa sopravvenuta" (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. II, 2 maggio 2024, n. 8719, alle cui più ampie motivazioni si rinvia). L'opzione interpretativa indicata si impone, altresì, a garanzia della effettività della liberalizzazione delle attività economiche private disposta dalla normativa primaria ricordata, tenuto anche conto che l'avvio di ogni attività implica adempimenti propedeutici che il privato - necessariamente - compie sulla base della legislazione vigente, non potendo poi subire gli effetti pregiudizievoli dello ius superveniens (cfr. in materia, recentemente, Consiglio di Stato, sentenza n. 5404/2023, Tar Trentino Alto Adige, Bolzano, n. 79/2016); basti pensare, infatti, che, secondo l'id quod plerumque accidit, l'avvio di un'attività economica privata ai sensi dell'art. 19 della Legge n. 241/1990 è, in realtà, il risultato di un complesso percorso (si pensi per esempio, per attività come quelle di cui si discute, alla ricerca dell'immobile, del personale, dei fornitori, ecc..) di cui la presentazione della Segnalazione Certificata con le formalità, sopra ricordate, previste dalla legge, costituisce soltanto l'ultimo adempimento. Va quindi escluso - contrariamente a quanto espresso nei provvedimenti gravati - che possa avere rilievo il principio del tempus regit actum allo spirare del termine a disposizione della P.A. per effettuare i controlli sulla sussistenza dei presupposti e requisiti di legge sottesi alla SCIA. 8. Per tutto quanto detto, il ricorso è fondato e va accolto, con annullamento del provvedimento di inefficacia impugnato e assorbimento di ogni altra censura. 9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto della serialità delle questioni poste dalla ricorrente con analoghi ricorsi, chiamati anche all'odierna udienza pubblica. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato. Condanna Roma Capitale al pagamento, in favore di parte ricorrente, delle spese di lite, che liquida in euro 1.500,00 (millecinquecento,00) oltre oneri come per legge e restituzione del contributo unificato, ove versato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Donatella Scala - Presidente Achille Sinatra - Consigliere Francesca Mariani - Primo Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 11011 del 2019, proposto da Ma. St., rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. To. e Fr. Gi. Al., elettivamente domiciliato presso lo studio legale Lu. To., in Roma, al Viale (...), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia contro Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, alla Via (...) nei confronti Gi. Ga., non costituita in giudizio per l'annullamento - della delibera dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 206/19/CONS del 22 maggio 2019, pubblicata in data 26 giugno 2019, avente ad oggetto "ratifica dell'accordo con le organizzazioni sindacali del 21 febbraio 2019 relativo al trattamento economico accessorio del personale e alla applicazione, a partire dal 1° gennaio 2018, delle disposizioni di cui all'art. 22, comma 5 del decreto legge 24 giugno 2014 n. 90", nella parte in cui ha illegittimamente definito l'indennità di funzione da riconoscere ai dirigenti dell'AGCom e comunque solamente a far data dall'anno 2018; nonché per l'accertamento - dell'illegittimità del silenzio serbato e conseguentemente dell'obbligo di provvedere in capo all'AGCom sull'istanza presentata dal ricorrente con diffida inviata in data 5 giugno 2018, con cui ha richiesto di disporre le necessarie modifiche alla disciplina regolamentare dell'indennità perequativa e di funzione da riconoscere ai dirigenti dell'Autorità, cui sono conferiti incarichi dirigenziali, e di corrispondere, a seguito della predetta modifica, quanto dovuto a titolo di indennità di funzione con riferimento alle annualità 2015-2016-2017-2018; e per la conseguente condanna dell'Amministrazione resistente ad emanare il provvedimento richiesto. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 27 settembre 2024 il dott. Roberto Politi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ordinanza istruttoria n. 1575 in data 26 gennaio 2024, la Sezione ha accolto la richiesta presentata dalla parte ricorrente, unitamente all'atto introduttivo del giudizio, riguardante la produzione di taluni rilievi documentali, la cui esigenza conoscitiva non aveva incontrato pieno soddisfacimento in sede di accesso, dal ricorrente esperito presso l'Autorità . Il deposito documentale è stato, poi, effettuato da AGCom, quantunque in maniera non esaustiva secondo le richieste di parte ricorrente: la quale, pur stigmatizzando il non integrale soddisfacimento dell'esigenza conoscitiva, come sopra fatta valere, ha nondimeno convenuto sulla piena attitudine della controversia - alla luce degli acquisiti rilievi - ad essere trattenuta per la decisione. 2. Quanto sopra preliminarmente posto - e venendo, dunque, alla trattazione degli articolati profili di doglianza - va, in primo luogo, osservato come l'odierno ricorrente sia stato inquadrato presso la resistente Autorità dapprima nella qualifica di funzionario (21 dicembre 2001) e, quindi, in quella di dirigente (con decorrenza 1° ottobre 2009). Dal 15 gennaio 2015 al ricorrente stesso è stato conferito l'incarico (con durata biennale, più volte oggetto di proroga) di responsabile dell'unità organizzativa di I livello denominata "Direzione tutela dei consumatori", a sua volta articolata in tre unità organizzative di II livello ("Ufficio servizio universale, trasparenza e regolamentazione delle condizioni di offerta di servizi di comunicazione elettronica a tutela di consumatori e utenti", "Ufficio per i diritti degli utenti di reti e servizi di comunicazione elettronica e i rapporti con le associazioni dei consumatori" e "Ufficio garanzie e tutele"). 3. Sostiene la parte, con il primo motivo di ricorso, l'illegittimità della delibera n. 206/19/CONS, in quanto adottata "in violazione dei principi di parità di trattamento retributivo e dell'equità della politica retributiva, nonché in palese contrasto con quanto disposto in precedenza tramite la delibera del Consiglio dell'AGCom n. 116/14, con cui l'Autorità si era vincolata a modi? care il meccanismo dell'indennità di funzione "al ? ne di assicurare il rispetto del principio di parità di trattamento retributivo". Il meccanismo introdotto dal provvedimento impugnato avrebbe determinato "signi? cative sperequazioni tra le retribuzioni riconosciute ai dirigenti apicali dell'Autorità, nonostante questi ultimi siano titolari di incarichi tra loro omologhi, relativi - come quello conferito al ricorrente - alla direzione di Unità organizzative di I livello", derivanti dalla mancata previsione, nella citata delibera n. 206/19/CONS, del riconoscimento anche di un'indennità perequativa, "prevista solamente ? no al 2014 per gli incarichi di direzione di Unità organizzative di I livello, e poi inspiegabilmente eliminata". 3.1 Sul punto, giova preliminarmente rammentare come l'indennità perequativa di che trattasi era prevista nella delibera n. 464/04/CONS, con la quale l'Autorità aveva stabilito che la responsabilità delle unità organizzative di I livello potesse essere conferita anche a dirigenti di II fascia: con riconoscimento, in tal caso, di una "indennità perequativa" per lo svolgimento dell'incarico dirigenziale di fascia superiore. Fermo il carattere espressamente transitorio individuabile nel riconoscimento dell'indennità perequativa in discorso (l'art. 2, comma 2, del citato deliberato, infatti, ne ha previsto l'attribuzione, "nelle more della de? nizione delle necessarie modi? che al trattamento giuridico ed economico del personale", in favore dei dirigenti di II fascia incaricati di funzione dirigenziale di unità organizzative di I livello, va osservato come tale voce "perequativa" trovi giustificazione all'interno del (previgente) assetto retributivo delle posizioni dirigenziale, per come suddivise in "fasce funzionali". Se la delibera n. 336/04/CONS aveva, infatti, articolato ciascuna quali? ca funzionale (dirigente, funzionario, operativo ed esecutivo) in determinate fasce, corrispondenti a diversi gradi di autonomia e di responsabilità, la quali? ca dirigenziale risultava suddivisa nelle seguenti "fasce funzionali": - dirigenti di III fascia (livelli retributivi da 0 a 17); - dirigenti di II fascia (livelli retributivi da 18 a 32); - dirigenti di I fascia (livelli retributivi oltre il 33). Quindi, quanto alla delibera n. 464/04/CONS, il riconoscimento dell'indennità perequativa rinveniva corrispondenza logica proprio nella suddivisione in "fasce stipendiali" della quali? ca dirigenziale (corrispondenti a diversi gradi di autonomia e di responsabilità ) e nella previsione di un'indennità di funzione (quale voce "accessoria") computata in percentuale sul trattamento economico fondamentale. Gli incarichi di I livello potevano, infatti, essere conferiti, di norma, soltanto a dirigenti inquadrati almeno al 33° livello della scala stipendiale (corrispondente al livello iniziale della I° fascia dirigenziale), fatte salve le ipotesi (evidentemente eccezionali) di conferimento dell'incarico in favore di dirigenti inquadrati in un livello inferiore. Tale ultima ipotesi, per l'appunto, giustificava l'applicazione del richiamato art. 2, comma 2, della delibera n. 464/04/CONS, con riconoscimento al dirigente, per il periodo di svolgimento dell'incarico (superiore), di un'indennità perequativa riassorbibile del trattamento stipendiale pari alla differenza tra la retribuzione di livello in godimento all'atto della nomina e quella del I livello retributivo dei dirigenti di prima fascia (ossia, il livello 33). 3.2 Come sopra decifrata la ratio del riconoscimento del trattamento perequativo in discorso, va rilevato come il fondamento giustificativo di quest'ultimo sia, con ogni evidenza, venuto meno a seguito delle modi? cazioni introdotte nel 2007 al Regolamento del personale, di cui alla delibera n. 522/07/CONS. Quest'ultima, nel ridurre le "fasce funzionali" della quali? ca dirigenziale da tre a due, al ? ne di "sempli? care l'attuale articolazione in fasce delineandola corrispondentemente all'assetto organizzativo degli uffici", ha stabilito le regole per il conferimento degli incarichi: prevedendo: - da un lato, che i dirigenti di I fascia (livello superiore al 33° della tabella retributiva) avrebbero potuto essere incaricati dal Consiglio per la direzione delle unità organizzative di I livello - e (dall'altro) che i dirigenti di II fascia (fino al livello 32 della tabella retributiva) sarebbero stati assegnati, di norma, alle unità organizzative di II livello. Con successiva delibera n. 116/14/CONS è stata, poi (previa abrogazione del ripetuto art. 2, comma 2, della delibera n. 464/04/CONS, "fatti salvi gli effetti prodotti sugli incarichi già conferiti alla data di entrata in vigore della delibera n. 116/14/CONS"), abolita la suddivisione della quali? ca dirigenziale nelle due "fasce funzionali": così consentendo, nei confronti di qualsiasi dirigente, l'attribuzione della responsabilità di unità organizzative di I livello, sulla base di valutazioni non più necessariamente vincolate al livello retributivo. Inoltre, con delibera n. 630/14/CONS è stata riformata l'indennità di funzione, configurandola in misura ? ssa, invece che in percentuale rispetto alla retribuzione di livello, così da parametrarla al dato oggettivo dell'incarico svolto ed alle responsabilità del dirigente e non, invece, alla retribuzione goduta. Nell'attuale ordinamento è, quindi, venuto meno il "presupposto" giuridico della richiesta "perequazione", identificabile nella suddivisione della quali? ca dirigenziale in "fasce funzionali", corrispondenti a diversi gradi di autonomia e di responsabilità ; e, con essa, l'individuazione di un "parametro" di riferimento (identificabile, nel previgente sistema, nel livello iniziale 33 della I fascia dirigenziale) per poter operare tale livellamento. 3.3 Va, conseguentemente, esclusa l'attuale persistenza di un fondamento giustificativo ai fini del richiesto mantenimento della rivendicata componente perequativa della indennità di funzione, attesa la rilevata inassimilabilità di quest'ultima, rispetto a quella riconosciuta a ? gure dirigenziali "apicali". La disciplina oggetto di censura ha, infatti, consentito, previa abolizione della suddivisione della quali? ca dirigenziale in "fasce funzionali", a qualunque dirigente di essere incaricato - anche all'inizio della propria carriera (e, dunque, in assenza dell'anzianità originariamente richiesta per poter essere "Direttore") - della responsabilità di unità organizzative di I livello, sulla base di valutazioni non più necessariamente vincolate al livello retributivo. 4. Con il secondo e con il terzo motivo di ricorso, viene sostenuto che il provvedimento impugnato nella abbia disposto "in merito all'indennità di funzione relativa agli anni antecedenti al 2018. L'AGCom non ha dunque provveduto in alcun modo sull'istanza del ricorrente, che ha domandato la de? nizione dell'indennità di funzione anche per tali annualità, antecedenti al 2018". Invero, come dalla resistente Autorità dimostrato in atti, l'indennità di funzione dirigenziale è stata corrisposta anche per le annualità antecedenti al 2018 nei confronti di tutti i dirigenti dell'Autorità, ivi compreso il dott. St.. 4.1 Sul punto, va rammentato come l'art. 22, comma 5, del decreto legge n. 90/2014, convertito in legge n. 114/2014 ("Decreto Madia") abbia previsto che, a decorrere dal 1° luglio 2014, "gli organismi di cui al comma 1 provvedono, nell'ambito dei propri ordinamenti, a una riduzione non inferiore al venti per cento del trattamento economico accessorio del personale dipendente, inclusi i dirigenti". A seguito dell'entrata in vigore di tale disposizione, l'Autorità ha, dapprima, adottato, la delibera n. 630/14/CONS e, successivamente, la delibera n. 37/16/CONS. In conseguenza dell'annullamento del primo degli anzidetti deliberati, da parte del Giudice del lavoro compulsato ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300/1970, in data 28 dicembre 2015 veniva sottoscritto un accordo sindacale, rati? cato con delibera n. 37/16/CONS, nel quale veniva previsto che: - "l'indennità per gli incarichi di responsabile di Direzione/Servizio è pari a 12.000 euro/anno. L'indennità per l'incarico di responsabile d'ufficio è pari a 6000 euro/anno"; - "le parti concordano che in via transitoria, per l'anno 2015, a ? ni di economia procedimentale, salvo i diritti soggettivi dei singoli, è stabilito un tetto massimo retributivo di 140.000 euro oltre il quale l'indennità di funzione per gli incarichi dirigenziali deve ritenersi assorbita nel trattamento economico complessivamente goduto"; - "per l'anno 2016 le parti si impegnano a rivedere la disciplina dell'indennità di funzione per gli incarichi dirigenziali e/o speciali con effetto dal 1° gennaio 2016". 4.2 Se per l'anno di servizio 2015 è, quindi, intervenuto il riconoscimento di un'indennità calcolata in misura ? ssa (Euro 12.000 ed Euro 6.000, rispettivamente, per i dirigenti preposti alle unità organizzative di I e di II livello) ed è stato previsto un "tetto" retributivo di Euro 140.000 oltre il quale l'indennità non sarebbe stata più percepita, per i successivi anni 2016 e 2017, ancorché in difetto del perfezionamento del pur previsto accordo per la revisione della relativa disciplina, nondimeno ha trovato persistente applicazione la medesima disciplina sopra indicata. Se, quindi, anche per gli anni 2016 e 2017 l'indennità di funzione dirigenziale risulta è stata corrisposta anche nei confronti dell'odierno ricorrente, va escluso che la mancata adozione di uno speci? co provvedimento di de? nizione dell'indennità di funzione a partire dal 1° gennaio 2016 abbia precluso il riconoscimento di tale voce accessoria, in applicazione analogica della disciplina già de? nita per l'anno 2015 con la citata delibera n. 37/16/CONS. 5. Con il quarto ed ultimo motivo di diritto, il ricorrente sostiene di avere diritto al riconoscimento di "una indennità di funzione maggiorata" per lo svolgimento dell'incarico ad interim di dirigente di uno degli Uffici di II livello (segnatamente, l'Ufficio piani? cazione frequenze e autorizzazioni) in cui è articolata l'unità organizzativa di I livello della quale è responsabile. Sul punto, va condiviso quanto dall'Autorità, da ultimo, argomentato con memoria depositata in data 3 settembre 2024, segnatamente per ciò che concerne l'individuabilità, nel disposto di cui all'art. 25 del Regolamento concernente l'organizzazione e il funzionamento dell'Autorità (delibera n. 223/12/CONS, come da ultimo modi? cata con delibera n. 434/22/CONS), di ragioni a tal fine preclusive. La previsione in discorso prevede infatti, espressamente, che i dirigenti di I livello hanno la responsabilità del funzionamento della struttura cui sono preposti, della quale programmano, dirigono e controllano l'attività Pertanto, se al dirigente responsabile di un'unità organizzativa di I livello viene conferito, come nel caso di specie, anche l'incarico ad interim di dirigente di uno degli Uffici di II livello in cui è la prima è articolata, ciò non comporta l'assunzione di "ulteriori responsabilità, connesse alla pluralità di incarichi dirigenziali ricoperti" (come sostenuto dal ricorrente): quanto, piuttosto, l'"ordinaria" assunzione della responsabilità per il funzionamento della struttura, complessivamente intesa (e, conseguentemente, anche degli affari di competenza dei dirigenti di II livello). Il ricorrente, preposto all'Ufficio di I livello "Direzione tutela dei consumatori", aveva, quindi, il compito di programmare, dirigere e controllare tutte le attività della Direzione, sovrintendendo agli affari di competenza della stessa; e ciò a prescindere dal conferimento dell'incarico ad interim di dirigenza dell'Ufficio di II° livello, denominato "Ufficio per i diritti degli utenti di reti e servizi di comunicazione elettronica e i rapporti con le associazioni dei consumatori": senza che possa trovare condivisibile fondamento la pretesa al riconoscimento di una aggiuntiva identità di funzione per l'interinale svolgimento delle attività connesse all'anzidetto Ufficio di II livello, comunque rientranti nelle attribuzioni proprie del Dirigente di I livello ad esso preposto. 6. La riscontrata infondatezza delle censure articolate con il presente gravame impone la reiezione di quest'ultimo. La peculiarità della controversia integra idoneo fondamento giustificativo, ai fini della compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Roberto Politi - Presidente, Estensore Dalila Satullo, Referendario Giuseppe Bianchi, Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Stralcio ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 790 del 2013, proposto da Soc Po. S.p.A. (Soc di Ge. della Ca. di Cu. Vi. delle Qu.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ul. Co., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di (...); contro Commissario ad Acta per il Piano di Rientro dai Disavanzi del Settore Sanitario della Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ro. Ba., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); Asl 108 - Rm/H, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato St. Me., con domicilio eletto presso lo studio Vi. Di Ma. in Roma, via (...); sul ricorso numero di registro generale 2550 del 2024, proposto da Po. S.p.A. - Soc. di Ge. Ca. di Cu. Vi. delle Qu., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ul. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ul. Co. in Roma, via di (...); contro Commissario Ad Acta per il Piano di Rientro Dai Disavanzi del Settore Sanitario della Regione Lazio, Regione Lazio, Dip.To Programmazione Economica e Sociale, non costituiti in giudizio; Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ro. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Commissario Ad Acta per il Piano di Rientro Dai Disavanzi del Settore Sanitario della Reg Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Azienda Sanitaria Locale Roma 6, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato St. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; An. Se. As. S.r.l. - Soc. di Ge. Ca. di Cu. Vi. dei Pi., non costituito in giudizio; quanto al ricorso n. 790 del 2013: per l'annullamento del decreto del Commissario ad acta per il Piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario n. U00349 del 22 novembre 2012, avente ad oggetto: "Legge del 7 agosto 2012, n. 135, conv. in legge con modif. del d.l. n. 95 del 2012, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, in applicazione dell'art. 15, co. 14, assistenza ospedaliera anno 2012", reso noto con nota n. 216917 del 22.11.2012, nella parte in cui ha disposto, alla Po. S.p.a., Casa di cura Vi. delle Qu., la rideterminazione in riduzione del budget delle prestazioni ospedaliere di cui ai DPCA U0088/2012 e DPCA U0094/2012, nella percentuale del 6,8519. quanto al ricorso n. 2550 del 2024: Per l'annullamento del decreto adottato dal Commissario ad acta per il piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Lazio, n. U00349 del 22 novembre 2012, avente ad oggetto: "Legge del 7 agosto 2012, n. 135 - Conversione in legge, come modificazioni, del decreto - legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini - applicazione art. 15, comma 14 - assistenza ospedaliera anno 2012", reso noto alla società ricorrente dalla Regione Lazio, Dipartimento Programmazione Economica e Sociale, Direzione Regionale Programmazione e Risorse del Servizio Sanitario Regionale, Area Pianificazione Strategica, con nota prot. n. 216917 DB/07/09 del 22.11.2012, nella parte in cui ha disposto - con riferimento alla Po. S.p.A., Casa di Cura "Vi. delle Qu.", la rideterminazione in riduzione del budget 2012 delle prestazioni ospedaliere di cui ai DPCA U0088/2012 e DPCA U0094/2012, nella percentuale del 6,8519% (Doc. 1). Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Commissario Ad Acta per il Piano di Rientro Dai Disavanzi del Settore Sanitario della Regione Lazio e di Regione Lazio e di Asl 108 - Rm/H e di Regione Lazio e di Azienda Sanitaria Locale Roma 6 e di Commissario Ad Acta per il Piano di Rientro Dai Disavanzi del Settore Sanitario della Reg Lazio; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 20 settembre 2024 la dott.ssa Claudia Lattanzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con il ricorso R.G. 790/2013 la ricorrente - struttura sanitaria plurispecialistica accreditata dalla Regione Lazio per l'erogazione di prestazioni sanitarie sia in regime di ricovero che ambulatoriale - ha impugnato il provvedimento del Commissario ad acta per il piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Lazio, n. 349 del 22 novembre 2012, nella parte in cui ha disposto la rideterminazione in riduzione del budget 2012 delle prestazioni ospedaliere di cui ai DPCA U0088/2012 e DPCA U0094/2012, nella percentuale del 6,8519%. In particolare, la ricorrente deduce in fatto che il 30 settembre 2010 il Presidente della Regione Lazio, in qualità di Commissario straordinario per il piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, ha adottato il decreto n. 80, concernente "Riorganizzazione della Rete Ospedaliera Regionale" disponendo, per quel che qui interessa, che le strutture private di riabilitazione e lungodegenza post-acuzie avrebbero potuto proporre alla Direzione Regionale competente "la riconversione dei posti letto soppressi" in posti letto territoriali, nonché "altre attività rientranti nel fabbisogno regionale", da siglare sulla base di apposite intese. La ricorrente e la Regione, il 15 aprile 2011, concordavano, tra l'altro, quanto segue: i) "con la sottoscrizione della presente intesa la struttura Vi. delle Qu. manifesta la volontà di riconvertirsi come previsto dall'allegato E al decreto commissariale n. 80/2010"; ii) "la presente intesa di riconversione, a seguito del successivo decreto di adozione da parte del Commissario ad acta, costituisce espressione di fabbisogno delle tipologie assistenziali nello stesso indicate (...)"; iii) "i volumi economici di prestazioni riferiti alle nuove tipologie assistenziali costituiscono tetti di spesa vincolanti per il 2011 e 2012, indipendentemente da eventuali variazioni di tariffe e dal numero dei posti letto riconosciuto con la presente intesa, che, in caso di necessità, possono essere individuati in maniera da garantire rispetto di funzionalità e moduli tipo". L'accordo è stato ratificato il 14 giugno 2011. Con successivo decreto commissariale del 7 giugni 2012, è stato determinato, con riferimento alle strutture sanitarie pubbliche e private operanti sul territorio regionale, il budget 2012 delle prestazioni ospedaliere di riabilitazione e lungodegenza medica post acuzie, con onere a carico del SSR, che recepiva recepire, con riguardo alla ricorrente, i tetti di spesa già concordati in sede di intesa di riconversione. La ricorrente ha dedotto i seguenti motivi: 1. Sulla inapplicabilità del provvedimento commissariale n. 349 del 2012. 2. Illegittimità del decreto commissariale n. 349 del 2012 per violazione del principio del legittimo affidamento e dell'autonomia contrattuale, nonché per contraddittorietà intrinseca e lesione dell'art. 41 Cost. 3. Sull'incostituzionalità dell'art. 15, comma 14, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012 n. 156. Sostiene la ricorrente: - che il regime di remunerazione della ricorrente nell'ambito del SSR ha formato oggetto di specifico accordo siglato con la Regione Lazio e con la Asl Roma H, successivamente ratificato dal Commissario ad acta, con il quale, a fronte della riconversione della Casa di Cura, l'Amministrazione regionale si è espressamente vincolata a mantenere bloccato il budget riconosciuto alla struttura per tutto il periodo 2011-2012, nonché a sopportare integralmente il rischio di future modificazioni tariffarie; - che non è possibile la rideterminazione del budget a contratto già concluso; - che la ricorrente ha concluso e contrattualizzato il proprio rapporto con la Regione nella convinzione, ingenerata da controparte, che lo stesso rapporto non avrebbe subito alterazioni arbitrarie, disposte "ora per allora", e che la medesima avrebbe potuto contare sul tetto di spesa concordato e, quindi, sulla remuneratività delle prestazioni rese, a fronte, tra l'altro, dell'obbligo assunto dall'Amministrazione di tenere indenne la struttura da eventuali variazioni di budget. La ricorrente ha poi dedotto la questione di costituzionalità dell'art. 15, comma 14, del d.-1. a 95 del 2012, come convertito dilla legge n. 135 del 2012. Con ordinanza n. 2856 del 14.3.2014 il questo tribunale, sospeso il giudizio a quo e i numerosi altri proposti dalle strutture sanitarie operanti nel Lazio, ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la 4 questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, c. 14, del d-l. n. 95/2012, convertito dalla legge n. 135/2012, per contrasto con l'art. 117, comma 3, con gli artt. 3, 41 e 97, con l'art. 32, e con l'art. 117, comma 1, della Costituzione, in riferimento all'art. 1 del 1° Protocollo addizionale alla CEDU. Con sentenza n. 203/2016, la Corte costituzionale dichiarava in parte inammissibili e in parte infondate le questioni di legittimità costituzionale. A seguito della sentenza della Corte costituzionale la ricorrente ha depositato istanza ex art. 80 c.p.a. per la prosecuzione del giudizio sospeso. Con sentenza n. 9378/2017 questo Tribunale ha respinto il ricorso. Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 10678/2023, ha accolto l'appello, ritenendo che "Nel caso di specie sussiste la dedotta nullità della sentenza impugnata, perché essa si è pronunciata su due motivi, attinenti alla linearità del taglio e alla erroneità della percentuale applicata, che non sono stati dedotti dalla parte ricorrente in primo grado, la quale invece lamentava, come detto, la non applicabilità ad essa del taglio in virtù dei pregressi accordi con l'Amministrazione, la violazione del principio dell'affidamento e l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012, ove interpretato nel senso di giustificare la sua applicazione retroattiva incidente su situazioni consolidate" e ha annullato la sentenza di n. 9378/2017 rinviando la causa al primo Giudice, con onere di riassunzione del giudizio ai sensi dell'art. 105, comma 3, c.p.a. Con il ricorso R.G. 2550/2024, la ricorrente ha riassunto l'originario ricorso precisando "che non verrà ritrascritto il terzo motivo di ricorso (contenente la q.l.c. dell'art. 15, comma 14, del d.-l. n. 95/2012), in quanto superato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 203/2016, mentre verrà ritrascritta la memoria depositata da Po. per l'udienza pubblica del 6.6.2017, laddove la ricorrente ha avvalorato la fondatezza del ricorso alla luce della pronuncia del giudice costituzionale n. 203/20162". La Regione si è costituita rilevando: - che i tagli imposti dal DCA 349/12 derivano dal recepimento di una normativa di carattere statale ed emergenziale, che impone in modo indiscriminato tagli lineari sul sistema sanitario regionale, cui la Regione Lazio aveva dovuto necessariamente adeguarsi; - che l'Amministrazione Regionale è stata costretta ad effettuare in quegli anni dei tagli lineari ed indiscriminati alle spese, che hanno riguardato tutti gli erogatori privati, comprese quelle strutture che erano state oggetto di riconversione e avevano quindi da poco tempo sottoscritto un contratto in conseguenza della riconversione; tali tagli hanno dunque avuto impatto su tutto il Servizio Sanitario e rispondevano agli stringenti vincoli imposti dal Piano di Rientro per il ripristino dell'equilibrio economico regionale; - che l'applicazione di tale normativa, e dei tagli in essa previsti, ha risposto ad interessi superiori anche rispetto a quelli dettati dalla necessità di aderire alle intese di riconversione stipulate ovvero l'interesse, in quel momento preminente, di evitare il default del sistema sanitario, tutelando il diritto alla salute dei cittadini. L'Asl, costituitasi in entrambi i ricorsi, ha rilevato: - che "ogni e qualsiasi domanda formulata dalla Società ricorrente avverso e contro la Asl Rm6 risulta totalmente infondata in quanto tale Amministrazione ha partecipato all'Accordo del 15.04.11 solo nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, tra le quali non rientrano quelle di concedere autorizzazioni e/o accreditamenti ovvero di fissare tariffe, budget e numero di posti letto nei confronti dei soggetti accreditati"; - che, comunque, la natura accessiva al sub strato pubblicistico di ogni e qualsiasi contratto di diritto privato, circostanza questa che, come ampiamente noto, comporta la sottoposizione dei profili civilistici a quelli amministrativi in caso di modificazioni normative, come avvenuto nella specie, non potendosi pretendere, di contro e ad esempio, che solo altri soggetti parimenti sia eventualmente percossi dagli effetti di modificazioni normative peggiorative. L'Asl, poi, con memoria di replica, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per mancata notifica del ricorso introduttivo già ab origine, ad almeno un controinteressato" La ricorrente ha chiesto la riunione dei ricorsi. All'udienza del 20 settembre 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione. Devono anzitutto essere riuniti i ricorsi aventi lo stesso oggetto e le stesse parti, posto che, come evidenziato nella parte in fatto, il ricorso R.G. 2550/2024 è la riassunzione del ricorso R.G. 790/2013 effettuata dalla ricorrente a seguito dell'annullamento, da parte del Consiglio di stato, della sentenza di questo Tribunale. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per mancata notifica ad almeno un controinteressato sulla base della giurisprudenza costante di questo Tribunale confermata dal Consiglio di Stato che si sono espressi su ricorsi della stesa parte ricorrente. In particolare, il Consiglio di Stato ha rilevato che "l'eccezione di inammissibilità per omessa notifica ad almeno una struttura sanitaria controinteressata coglie nel segno e riveste valenza assorbente ai fini della delibazione della odierna res controversa. Invero, la questione è stata già compiutamente affrontata da questa Sezione con la pronuncia n. 10891 del 12 dicembre 2022 su un ana appello proposto da una struttura sanitaria privata laziale contro la declaratoria di inammissibilità pronunciata dal giudice di prime cure in un giudizio incardinato contro la Regione Lazio e il Commissario ad acta per il piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Lazio e nei confronti della ASL Roma 3 (già AUSL Roma D). In tale giudizio, la società ricorrente aveva domandato l'annullamento del decreto del Commissario ad acta n. U0011 del 6 febbraio 2013, in particolare nella parte in cui aveva approvato l'allegato "Budget 2011/2012", e del decreto del commissario ad acta n. 349/2012, nella parte in cui aveva disposto la rideterminazione in riduzione del budget 2012 delle prestazioni ospedaliere di cui al DCA U0088/2012 e al DCA U0094/2012, nella percentuale del 6,8519%. Il Collegio, stante il palese parallelismo delle azioni impugnatorie, ritiene applicabile lo stesso iter decisorio già seguito dalla Sezione con riguardo ai seguenti temi dirimenti. 6.1. - Quanto alla configurabilità di posizioni di potenziale controinteresse all'accoglimento del ricorso, individuabili dai DCA impugnati, mette conto di ribadire che il petitum annullatorio mira a procurare alla società appellante un incremento di risorse finanziarie rispetto a quelle singolarmente assegnate sulla base dei budget decurtati in applicazione della normativa sulla cd. spending review. Ne riviene che, muovendosi in una ben nota cornice di risorse contingentate e tetti alla spesa sanitaria, tale petitum, ove accolto sortirebbe un chiaro effetto deteriore a detrimento delle altre strutture accreditate, a propria volta destinatarie di determinate aliquote del budget complessivo per l'erogazione delle prestazioni programmate. La stessa prospettazione che il ripianamento di tale differenziale potrebbe essere effettuato con altri mezzi - come l'imposizione fiscale o il definanziamento delle strutture pubbliche, parimenti destinatarie di budget - resta meramente speculativa e non esclude, in astratto, la potenziale lesività del petitum a detrimento delle concorrenti strutture private, di per sé sufficiente a far sorgere il controinteresse a resistere all'impugnativa. Deve inoltre dissentirsi dall'insistente richiamo al carattere programmatorio generale degli atti impugnati: a ben vedere, i decreti commissariali sono atti plurimi che ripartiscono risorse, definendo posizioni differenziate e qualificate delle singole strutture sanitarie private, correlando le une alle altre in ragione dell'invarianza del saldo finanziario complessivo. Indi, come osservato nel richiamato precedente di Sezione, le strutture sanitarie private "vantano un interesse a contrastare l'effetto demolitorio, per non correre il rischio di una allocazione di risorse a loro meno favorevole ed anche per non ritardare o rendere precarie poste economiche già introitate e contabilizzate. Ancora più in radice, è loro interesse poter assumere una argomentata posizione rispetto alle diverse variabili che potrebbero profilarsi per effetto dell'accoglimento del ricorso, così da concorrere a determinare quella a loro più vantaggiosa. Nella considerazione delle reciproche posizioni vengono in rilievo, pertanto, profili di interesse che si fronteggiano specularmente e che danno adito ad aspettative parimenti meritevoli di tutela giudiziale". Non possono condurre a diversa conclusione neanche i precedenti giurisprudenziali richiamati dalla difesa dell'appellante, la cui portata è stata già esaminata nella recente pronuncia di Sezione che ha tracciato le coordinate di riferimento: difatti, il precedente più risalente - la sentenza Cons. Stato, sez. III, n. 5696/2013 - "risulta oggettivamente isolata e minoritaria nel coevo panorama giurisprudenziale", mentre nell'arresto più recente - Cons. Stato, Sez. III, n. 4080/2019 - "la tematica in oggetto viene affrontata in modo incidentale, con affermazioni che assumono la consistenza di obiter dicta, non determinanti ai fini della decisione". 6.2. - Non può, peraltro, essere scrutinata positivamente neanche l'invocata configurazione dell'ASL intimata quale controinteressata formale: la circostanza che essa sia "assegnataria di un finanziamento predeterminato, nel quale sarebbe destinato a confluire in senso riduttivo il richiesto aumento del budget assegnato al singolo operatore sanitario ricorrente" è del tutto inconferente dal momento che il saldo finanziario complessivo resta invariato, indi non si comprende quale interesse potrebbe vantare la ridetta Azienda sanitaria alla conservazione delle posizioni relative delle strutture private tra loro concorrenti. A ben vedere, l'ASL riveste unicamente i panni dell'Amministrazione esecutrice delle determinazioni regionali in subiecta materia, indi deve essere confermata la ratio decidendi già affermata dalla sentenza n. 10891/2022 giusta la quale "per l'ASL risulta sostanzialmente indifferente una diversa ripartizione del budget regionale, sicché la sua posizione è neutra rispetto al tema della modulazione dei fondi". 6.3. - Quanto invece alla notifica effettuata nei confronti della Regione Lazio, non appare persuasivo l'asserto di parte appellante atteso che il Commissario ad acta sostituisce la Regione per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo, indi non è ravvisabile un'alterità di posizioni sostanziali tale da individuare una posizione di controinteresse autonoma e distinta della Regione Lazio: invero, a dispetto della necessitata dissociazione tra la Regione commissariata e il soggetto che, su nomina del Governo, è chiamato a gestire la sanità regionale, vi è una sostanziale identità di posizioni sostanziali che non consente di ritenere soddisfatta la condizione di ammissibilità della notifica ad almeno un controinteressato ex art. 41 c.p.a.. 6.4. - Da ultimo, il Collegio non ravvisa neanche gli estremi per la concessione della rimessione in termini a causa di errore scusabile per le medesime ragioni già esposte nella precedente pronuncia di Sezione n. 10891 del 2022: difatti, del prevalente orientamento di cui ha fatto applicazione la sentenza appellata si rinvengono enunciazioni anche nella giurisprudenza antecedente al 2014 (cfr. T.A.R. Sicilia, sez. I, n. 98 del 2002; T.A.R. Catania, sez. IV, n. 39 del 2012; T.A.R. Lecce, sez. II, n. 1319 del 2012). In questi precedenti viene esaminato il caso paradigmatico del soggetto privato, accreditato con il S.S.N., che si duole delle modalità di riparto del budget complessivo di spesa concretamente disponibile a livello aziendale (ovvero del fondo unico di branca per la remunerazione delle prestazioni da erogare nell'anno tra le strutture accreditate insistenti nel medesimo ambito territoriale dell'Azienda Sanitaria Locale) ed invoca l'assegnazione di un più elevato tetto di spesa individuale. Alla luce di ciò, non si ravvisano le "oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto" cui l'art. 37 c.p.a. subordina la rimessione in termini per errore scusabile) Cons. St., sez. II, 22 aprile 2024, n. 3603; nello stesso, tra le altre, sentt. nn. 3603/2024 e 3453/2024). È poi da rilevare, che nessun rilievo può essere dato al fatto che l'eccezione sia stata avanzata dall'ASL nella memoria di replica, essendo, quella dell'inammissibilità, un'eccezione rilevabile d'ufficio. Inoltre, nessun valore può avere la notifica a un controinteressato, effettuata dalla ricorrente, solo a seguito della riassunzione del giudizio dopo che la sentenza del Consiglio di Stato aveva disposto l'annullamento della sentenza del Tribunale. La riassunzione della causa, a seguito di annullamento con rinvio della sentenza, dinanzi al giudice di rinvio instaura un processo chiuso, nel quale è preclusa alle parti, tra l'altro, ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, nonché conclusioni diverse e il giudice di rinvio ha gli stessi poteri del giudice di merito che ha pronunciato la sentenza annullata. In sostanza, il giudizio che si instaura a seguito di rinvio deve essere esattamente quello originario, non potendosi ammettere una diversa configurazione delle parti rispetto a quelle evocate nel primo giudizio. Non può ritenersi, poi che l'esame dell'eccezione di inammissibilità sia coperta dal giudicato della prima sentenza poi annullata, posto che la cognizione del giudice a cui è stata rinviata la causa è piena e copre tutte le eccezioni e censure. In sostanza, i ricorsi riuniti devono essere dichiarato inammissibili, con compensazione in ogni caso delle spese di lite, stante il complessivo andamento del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Stralcio, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li riunisce e li dichiara inammissibili. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Claudia Lattanzi - Presidente FF, Estensore Silvia Piemonte - Primo Referendario Marco Savi - Referendario
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