Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 218 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Lo. e Gi. Li. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Difesa (Brigata Alpina "Julia" - 8° Reggimento Alpini), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliataria ex lege in Trieste, piazza (...); Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: per l'annullamento dell'ALLEGATO "B" - foglio prot.-OMISSIS- a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- notificato al ricorrente a mani in data 04/04/2022; per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del provvedimento sopra citato nonché dell'allegato "D" (a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- alla comunicazione -OMISSIS- dd. 21/12/2021; ivi compreso l'invito a produrre la documentazione relativa all'obbligo vaccinale; di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento, comunque denominati, relativamente al periodo di sospensione o, in via gradata, del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del Codice dell'Ordinamento Militare e per la relativa condanna dell'Amministrazione a corrispondere tali somme quale risarcimento del danno subito dal ricorrente in conseguenza dei provvedimenti sopra citati; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a vedersi riconosciuti, per il periodo di sospensione, la maturazione di classi e scatti economici, la maturazione della licenza ordinaria, gli effetti pensionistici, gli accantonamenti contributivi, i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari e l'accertamento della validità del periodo di sospensione ai fini dello svolgimento delle attribuzioni specifiche/periodi di comando richiesti per l'avanzamento; nonché per la condanna dell'Amministrazione, ex art. 30 c.p.a., al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto subito dal ricorrente derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; previa, ove necessario, disapplicazione dell'art. 2 del Decreto Legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in Legge n. 3 del 21.01.2022, recante "Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali"; previa, ove necessario, remissione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati dal signor -OMISSIS- il 21/6/2023: per l'annullamento - del decreto di detrazione dell'anzianità di grado -OMISSIS-, notificato l'11/04/2023, emesso dal Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, a firma del Dirigente dott. -OMISSIS-; - di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per la condanna dell'Amministrazione al pagamento della perdita economica subita dal ricorrente a seguito della detrazione di anzianità decretata e degli effetti derivanti dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso introduttivo notificato il 19 aprile 2022 e depositato il successivo giorno 18 maggio 2022, il ricorrente, C.le Magg. C.a. dell'Esercito italiano effettivo alla Compagnia Comando Supporto Logistico - 8° Reggimento Alpini di Venzone (UD), ha impugnato l'atto in epigrafe compiutamente indicato, con cui è stata disposta nei suoi confronti la sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa per inosservanza dell'obbligo vaccinale e, conseguentemente, decurtata la sua retribuzione nel periodo di sospensione. Il ricorrente ha dedotto le seguenti censure: 1) Violazione ed errata applicazione degli artt. 885 - 877 - 878 - 893 - 914 -915 - 916 - 917 - 920 - 922 - 936 e 1352 del Codice dell'Ordinamento militare, decreto legislativo n. 66 del 15.03.2010 - incompetenza - violazione ed errata applicazione dell'art. 4 della legge n. 17 del 25.01.1982 e dell'art. 4 della legge n. 97 del 27.03.2001 - violazione del decreto legge 127/2021 - violazione del decreto legge n. 44/2021 - violazione della legge n. 76/2021 - violazione della legge n. 106/2021 - violazione dei principi di imparzialità e proporzionalità - illogicità ed ingiustizia manifesta; 2) Illegittimità costituzionale del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022, per violazione degli artt. 2 - 3 - 4 - 13 - 32 - 35 - 36 - 117 della Costituzione - violazione degli artt. 3, 21 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione dell'art. 14 della Convenzione dei diritti dell'uomo - violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale n. 12 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali - violazione dell'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione del regolamento UE 953/2021 - violazione della dichiarazione di Helsinki - violazione art. 500 del d.lgs. n. 297/1994 (T.U. della scuola) e dell'art. 82 del d.P.R. n. 3/1957. Ha indi chiesto: a) l'annullamento del provvedimento impugnato, previa eventuale rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale prospettate; b) l'accertamento del diritto a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento relativamente al periodo di sospensione; c) in via gradata, l'accertamento del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del d.lgs. n. 66/2010; d) in ogni caso, la condanna dell'Amministrazione al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto. 2. L'Amministrazione si è costituita in giudizio in resistenza al ricorso. 3. Con l'ordinanza -OMISSIS-del 23 marzo 2023 questo T.A.R. ha sospeso il giudizio nell'attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella causa C-765/2021 su questione pregiudiziale. 4. Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 9 giugno 2023 e depositato il successivo 21 giugno 2023, il ricorrente ha gravato, chiedendone l'annullamento, il decreto di detrazione dell'anzianità di grado nel frattempo emesso dall'Amministrazione, denunciandone l'illegittimità per: 1) Violazione dell'art. 4 ter del decreto legge n. 44/2021 convertito in legge n. 76 del 28.05.2021 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa; 2) Violazione delle disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate - violazione degli articoli 2251 bis, 2251 ter, 2251 quater, 2251 sexies, 2252, 2252 bis, 2252 ter, 2253, 2253 bis, 2253 ter, 2253 quater, 2253 quinquies, 2253 sexsies, 2253 septies, 2254 bis, 2254 ter, 2254 quater, 2255, 2255 bis, 2255 ter, 2256 del d.lgs. n. 66/2010 - violazione del decreto legislativo n. 94 del 29.05.2017 - violazione del decreto legislativo n. 173 del 27.12.2019 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. 5. Il 5 settembre 2023 ha presentato apposita istanza di fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio e, poi, con atto in data 18 marzo 2024 ha chiesto il passaggio della causa in decisione senza discussione. 6. All'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la causa è passata in decisione. 7. Il ricorso è fondato solo in minima parte. Per il resto è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato. 8. Le censure relative all'illegittimità della disposta sospensione dal servizio sono inammissibili. Dall'esame degli atti risulta infatti che con atto -OMISSIS- del 21 dicembre 2021, spedito per la notifica al ricorrente in data 23 dicembre 2021 e da questi ricevuto il successivo 30 dicembre 2021 (doc. 007 - fascicolo Ministero in data 31/05/2024), è stato accertato l'inadempimento dell'obbligo vaccinale ed è stata disposta a carico del medesimo la sospensione dall'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari, con i correlati effetti di legge. Come da preliminare rilievo formulato con l'ordinanza collegiale n. -OMISSIS- e ribadito all'odierna udienza ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., l'effetto lesivo della sfera giuridica del ricorrente, in ragione della sospensione dal servizio, si era già manifestato il 21 dicembre 2021 (rectius il 30 dicembre 2021); sicché era quell'atto a dover essere immediatamente impugnato, cosa che invece non è avvenuta. Con l'atto del 31 marzo 2022, impugnato con il presente ricorso, l'Amministrazione ha solamente operato una ricognizione del periodo di sospensione, quantificando l'effettiva durata della sospensione dal servizio già in precedenza disposta. Per la parte in cui si ribadisce la già disposta sospensione ed i suoi effetti, l'atto ricognitorio impugnato non presenta alcuna novità ; ne consegue la natura meramente confermativa dell'atto in parte qua (cfr. T.A.R. Piemonte, n. 196/2024). Le censure che in questa sede contestano in sé l'istituto della sospensione sono quindi inammissibili per carenza d'interesse. 9. Quanto alle restanti questioni di merito, in buona parte infondate, questo Collegio condivide in toto le argomentazioni sviluppate dal T.A.R. Lombardia, Brescia, nella sentenza n. 940/2023 che devono qui intendersi richiamate. 9.1. Nello specifico del primo motivo di ricorso, quanto alla censura d'incompetenza del Comandante di Corpo ad adottare l'atto ricognitivo del periodo di sospensione, è sufficiente ribadire che l'art. 4-ter, comma 2, del d.l. 44/2021, prevede che il rispetto dell'obbligo vaccinale sia assicurato, per il personale del comparto difesa e sicurezza, da "i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale", nel senso chiarito dal T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023 ("La competenza di cui alla disposizione appena citata si riferisce ad " assicurare il rispetto dell'obbligo" di vaccinazione: questo significa, con tutta evidenza, non solo accertare i casi di inosservanza di tale obbligo, ma anche applicare la sospensione dal lavoro che la legge prevede come conseguenza di tale inosservanza, perché il rispetto di un qualsivoglia obbligo viene assicurato anche applicando le conseguenze sfavorevoli che l'ordinamento prevede per il caso di inosservanza. Peraltro la legge prevede che la sospensione sia automatica e contestuale all'accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale: il 3° comma dell'art. 4 ter cit. dispone infatti che " L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro" . Pertanto il titolare del potere di accertamento può senza dubbio dichiarare l'avvenuta sospensione dal lavoro del pubblico dipendente, con un atto che è meramente ricognitivo dell'effetto prodotto ex lege, e non costitutivo"). 9.2. L'ulteriore censura relativa alla violazione dell'art. 893, comma 2, del d.lgs. n. 66/2010 ("Il rapporto di impiego può essere interrotto, sospeso o cessare solo in base alle disposizioni del presente codice") è inammissibile, perché essa attiene, a ben vedere, ad un vizio che doveva essere dedotto con la tempestiva impugnativa del presupposto decreto di sospensione dal servizio. La censura è comunque manifestamente infondata "perché è nozione istituzionale che un atto avente forza di legge, quale il decreto legge che ha introdotto l'obbligo di vaccinazione anti-Covid per alcune categorie di lavoratori, ben può derogare a una fonte di pari rango, qual è il codice dell'ordinamento militare. Che poi la norma derogatoria, giustificata dall'emergenza pandemica, sia collocata all'interno del medesimo codice oppure in un corpus normativo distinto, non ha nessuna incidenza sulla legittimità e sull'efficacia della norma medesima. Peraltro la scelta di non collocare la norma all'interno del c.o.m. risulta del tutto ragionevole, considerando sia il carattere temporaneo della stessa, collegata alla durata della pandemia, sia il fatto che l'obbligo vaccinale è stato previsto con identica disciplina, in un corpus normativo unitario, anche per altre categorie di dipendenti pubblici estranei all'ordinamento militare" (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023). 9.3. La censura relativa alla violazione dell'art. 920 del d.lgs. n. 66/2010 ("Al militare durante la sospensione dall'impiego compete la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo. Agli effetti della pensione, il tempo trascorso in sospensione dal servizio è computato per metà ") è fuori fuoco atteso che essa non tiene conto né si confronta con quanto previsto dalla norma speciale derogatoria. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, introdotto dall'art. 2 del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, dettava precise disposizioni sulle modalità di accertamento della violazione dell'obbligo vaccinale e sulle sue esatte conseguenze, prevedendo al riguardo che "... L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". Si osserva, peraltro, che le ipotesi in cui è prevista la corresponsione di emolumenti al personale sospeso dall'impiego (art. 82 del d.P.R. 3/1957, art. 920 del d.lgs. 66/2010) si correlano a vicende (procedimenti penali o disciplinari pendenti) che "procedono in modo autonomo ed insensibile, rispetto alla volontà dell'incolpato o dell'imputato di poterne bloccare lo svolgimento (per l'effetto, dimostrandosi giustificata l'erogazione di alcune provvidenze, quali la corresponsione di parte degli assegni a carattere fisso e continuativo e dell'assegno alimentare); laddove la persistenza della sospensione dal diritto all'erogazione della prestazione lavorativa (e della percezione degli emolumenti a fronte di essa spettanti) consegue a fatto "proprio", volontariamente posto in essere dal dipendente (obbligato a vaccinarsi) e dal medesimo liberamente rimuovibile, in ogni momento, per effetto del mero assolvimento del comportamento doveroso di cui trattasi" (cfr. T.A.R. Lazio, n. 4914/2022). Come ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza n. 14/2023 (al paragrafo 13.2) a proposito della norma analoga valevole per il personale sanitario, la sospensione dal lavoro prevista dall'art. 4 ter del d.l. 44/2021 non è una sanzione, ma è "una conseguenza calibrata, in termini di sacrificio dei diritti dell'operatore sanitario, che sia strettamente funzionale rispetto alla finalità perseguita di riduzione della circolazione del virus. E ciò tanto in termini di durata, posto che... il legislatore ha introdotto, sin dall'inizio, una durata predeterminata dell'obbligo vaccinale, modificandola, costantemente, in base all'andamento della situazione sanitaria, giungendo ad anticiparla appena la situazione epidemiologica lo ha consentito; quanto in termini di intensità, trattandosi di una sospensione del rapporto lavorativo, senza alcuna conseguenza di tipo disciplinare, e non di una sua risoluzione". Del tutto generica è poi la deduzione che "alle categorie di soggetti obbligati per legge alla somministrazione del vaccino in oggetto avrebbe dovuto essere rilasciata una apposita prescrizione medica che, invece, come noto, non viene rilasciata da alcun medico curante derivandone anche da tale circostanza l'illegittimità del provvedimento di sospensione oggi impugnato", atteso che l'obbligo di vaccinazione discendeva direttamente dalla legge, senza necessità di ulteriori intermediazioni. In ogni caso il vizio attiene all'originario provvedimento sospensivo. 10. Il secondo motivo è in buona parte inammissibile e precisamente nella parte in cui con esso la parte ricorrente ha dedotto l'illegittimità della disposta sospensione per la violazione di parametri costituzionali e internazionali; censure che, tuttavia, andavano rivolte al provvedimento col quale la sospensione era stata disposta. 10.1. Quanto alle conseguenze patrimoniali, connesse in effetti agli specifici provvedimenti qui gravati, si rileva quanto segue. 10.1.1. Quanto agli aspetti concernenti il riconoscimento di un assegno alimentare, sotto il profilo della legittimità costituzionale dell'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, la Corte Costituzionale ha già esaminato la questione, ritenendola infondata, anche sotto il profilo della proporzionalità e ragionevolezza (cfr. par. 14 della sentenza n. 15/2023). 10.1.2. Fatto salvo quanto si osserverà in seguito (pt. 10.1.4), anche la dedotta violazione dell'art. 36 Cost. risulta manifestamente infondata atteso che "la situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa in cui si viene a trovare il dipendente che non abbia adempiuto all'obbligo vaccinale deriva pur sempre da una scelta individuale di quest'ultimo e non da un fatto oggettivo. Nondimeno il legislatore, proprio nel rispetto della eventuale scelta del lavoratore di non attenersi all'obbligo vaccinale, si è limitato a prevedere la sospensione del rapporto di lavoro, disciplinando la fattispecie alla stregua di una impossibilità temporanea non imputabile. Di conseguenza, poiché la prestazione offerta dal lavoratore che non si è sottoposto all'obbligo vaccinale non è conforme al contratto, come integrato dalla legge, è certamente giustificato il rifiuto della stessa da parte del datore di lavoro e lo stato di quiescenza in cui entra l'intero rapporto è semplicemente un mezzo per la conservazione dell'equilibrio giuridico-economico del contratto" (così la richiamata sentenza n. 15/2023). 10.1.3. Le altre censure proposte (violazione dell'obbligo vaccinale in oggetto rispetto all'art. 32 della Costituzione e le questioni relative al consenso libero e informato della persona interessata) erano da dedursi con l'impugnativa del provvedimento del dicembre 2021, ormai consolidatosi. Non giova alla ricorrente nemmeno il richiamo alla sentenza della Corte di Giustizia C-765/2021 che ha giudicato irricevibile il rinvio pregiudiziale sottopostole dal Tribunale di Padova. La ricorrente, nella sua memoria depositata in giudizio il 16 febbraio 2024, enfatizza un unico passaggio motivazionale della pronuncia del giudice europeo ("il rilascio di dette autorizzazioni condizionate non comporta, in quanto tale, alcun obbligo, in capo ai destinatari potenziali di tali vaccini, di farsi somministrare questi ultimi, tanto più che il giudice del rinvio non ha esplicitamente posto l'interrogativo se le persone assoggettate all'obbligo vaccinale previsto all'articolo 4 del decreto-legge n. 44/2021 fossero obbligate ad assumere unicamente i vaccini oggetto delle suddette autorizzazioni condizionate" (punto 36) senza cogliere che l'argomento è stato speso per rilevare che non era stata adeguatamente chiarita dal giudice rimettente la rilevanza del parametro del diritto Ue invocato. D'altra parte la stessa pronuncia sul punto chiarisce senza equivoci che "Di conseguenza, in assenza di qualsiasi spiegazione da parte del giudice del rinvio circa i motivi per cui esso mette in discussione la validità delle autorizzazioni all'immissione in commercio condizionate nonché circa quelli relativi all'eventuale nesso tra, da un lato, la validità di tali autorizzazioni e, dall'altro, l'obbligo vaccinale contro la COVID-19 previsto all'articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, si deve giudicare che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non soddisfa i requisiti ricordati al punto 31 della presente sentenza per quanto riguarda la prima questione" (punto 37). 10.1.4. L'impugnazione merita, invece, di essere accolta, laddove rivolta alle conseguenze pregiudizievoli ulteriori rispetto alla privazione della retribuzione o di altro compenso o emolumento, fatte derivare dal Ministero intimato e compendiate nel provvedimento del 31 marzo 2022 e, poi, in quello del 22 giugno 2022, gravato col ricorso per motivi aggiunti. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. 1 aprile 2021, n. 44 legittima, invero, durante la sospensione dal servizio, unicamente la privazione della retribuzione o compenso o emolumento (in termini T.A.R. Lombardia - Milano, sez. I, 2 gennaio 2023, n. 16; T.A.R. FVG, sez. I, 27 febbraio 2023, n. 74; T.A.R. Sicilia - Palermo, sez. III, 6 giugno 2023, n. 1877; T.A.R. Lombardia - Milano, sez. V, 21 novembre 2023, n. 2750). Depone, invero, in tal senso, oltre al pacifico dato testuale, la circostanza, correttamente evidenziata dal ricorrente, che il legislatore, con riguardo ai casi di sospensione dal servizio per motivi penali e disciplinari, si è preoccupato di disciplinare specificamente le conseguenze che ne derivano sotto il profilo economico e giuridico, nel mentre, nel caso specifico, nulla ha disposto sul punto, essendosi limitato a stabilire che "L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". In parte qua, il ricorso va, pertanto, accolto e, per l'effetto, annullati i provvedimenti gravati laddove viziati. Ne deriva l'obbligo per l'Amministrazione intimata di conformarsi sul punto alla presente decisione e di disporre in merito, adottando ogni necessario atto e/o provvedimento. 11. Le domande di accertamento (i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari) e di condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno sono del tutto generiche e, pur proposte, non sono state adeguatamente e analiticamente dedotte nel corpo del ricorso. 12. In conclusione, alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso e il ricorso per motivi aggiunti vanno accolti nei sensi e limiti dianzi evidenziati. Il ricorso introduttivo, per il resto, deve essere, in parte, dichiarato inammissibile e, in parte, rigettato. 13. Le spese di lite, per la novità di alcune delle questioni esaminate, possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie nei sensi e limiti evidenziati in motivazione e, per l'effetto, annulla il provvedimento prot.-OMISSIS- (in parte qua) e il provvedimento n. -OMISSIS- 22/06/2022. Per il resto, dichiara il ricorso introduttivo in parte inammissibile e in parte lo respinge. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Modica de Mohac - Presidente Manuela Sinigoi - Consigliere, Estensore Daniele Busico - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 94 del 2017, proposto da -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Bu. Vi., Ma. Fr., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Bu. Vi. in Perugia, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; e con l'intervento di ad adiuvandum: -OMISSIS- S.r.l. unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Va. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento emesso dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, di diniego di accesso alle agevolazioni ex art. 14, comma 1, lett. c), del D.M. 592/2000, con riguardo ad un'attività di ricerca industriale Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. -OMISSIS- s.r.l. in data -OMISSIS- presentava domanda di accesso alle agevolazioni di cui all'art. 14, comma 1, lett. c) del D.M. n. 593/2000, riconosciute in relazione alla "attribuzione di specifiche commesse o contratti per la realizzazione delle attività di cui al comma 6 del medesimo art. 14" - ovvero un'attività di ricerca industriale commissionata al laboratorio -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l. (già -OMISSIS- s.p.a.). Con nota prot. -OMISSIS-del -OMISSIS- il Ministero dell'Università e della Ricerca (di seguito "MIUR"), comunicava l'ammissibilità del progetto di ricerca ad una agevolazione complessiva di euro 206.582,75 nella forma del credito d'imposta, richiedendo quindi "ai fini dell'effettivo riconoscimento della predetta agevolazione" una serie di integrazioni documentali. 2. -OMISSIS- s.r.l. inviava il contratto di ricerca stipulato con -OMISSIS- s.p.a. in data -OMISSIS- con oggetto denominato come "Studi, analisi, ricerche, progettazioni e sviluppo sperimentale, volti al potenziamento dei servizi di ricerca industriale e di ingegneria integrata a favore delle p.m.i., anche in termini di strumentazioni, attrezzature e software, per conseguire un notevole miglioramento dei suddetti servizi forniti all'utenza nell'ottica dell'integrazione di sistemi aziendali"; il MIUR con nota del -OMISSIS- preavvisava la società circa la "...non accoglibilità del contratto stipulato con il -OMISSIS-oratorio -OMISSIS- s.p.a." in ragione del parere acquisito dal Gruppo di Lavoro incaricato dell'istruttoria, secondo cui "Dall'esame del documento tecnico allegato al contratto risulterebbe che il progetto si propone l'integrazione di energia geotermica con l'energia prodotta da motori a combustione interna o esterna tipo Stirling, alimentati da biogas prodotto da rifiuti organici di un edificio per coprire i fabbisogni energetici dell'edificio stesso. Il progetto, a partire dal suo titolo risulta generico, velleitario, inadeguato come presupposti, attività, contenuti e obiettivi e mancante in modo assoluto non solo dei requisiti scientifici ma anche dei presupposti tecnici necessari". -OMISSIS- provvedeva ad inviare le proprie osservazioni con missiva del -OMISSIS-, alla quale allegava documentazione integrativa; inoltre modificava il titolo del progetto. 3. In seguito il MIUR comunicava la sospensione della valutazione istruttoria delle varie domande di agevolazione a vario titolo connesse con il laboratorio -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l.; infatti l'Amministrazione il -OMISSIS- aveva effettuato una segnalazione alla Procura della Repubblica in merito ad eventuali illeciti o irregolarità emersi in seguito ad una serie di operazioni ritenute "sospette" dal Gruppo di Lavoro che si era trovato ad esaminare l'istruttoria di numerose domande di finanziamento in cui l'istante o il -OMISSIS-oratorio di ricerca -OMISSIS- -OMISSIS- (ex -OMISSIS- srl) erano alternativamente soggetto proponente la domanda di finanziamento ovvero laboratorio contraente del contratto di ricerca. In buona sostanza i due soggetti presentavano plurime domande di ammissione a finanziamento e si candidavano talvolta come -OMISSIS-oratorio, talvolta come soggetto beneficiario, quindi in alcuni casi la prima affidava commesse alla seconda e in altri viceversa. Da accertamenti risultava poi che il medesimo -OMISSIS- dal 2010 era stato Presidente del CdA del laboratorio contraente e Amministratore Unico della ricorrente, ed inoltre aveva incarichi sia nell'azienda Commissionaria che nel -OMISSIS-oratorio affidatario, cosi come alcuni suoi familiari. 4. Il MIUR, con nota prot. -OMISSIS- del -OMISSIS-2016 preannunciava, nuovamente, il rigetto della domanda di agevolazione segnalando: - che dopo il primo preavviso di non accoglibilità la società istante, in sede di invio di documentazione integrativa, aveva cambiato il titolo e l'oggetto del progetto e dunque quello originario doveva ritenersi abbandonato perché le relative criticità non erano state sanate; - in merito al nuovo progetto, che "Dalla documentazione integrativa trasmessa è evidente che essa tratta del tentativo di trasferire conoscenze tecnico scientifiche dal -OMISSIS-oratorio Affidatario al Soggetto Beneficiario, senza alcun ulteriore sforzo di ricerca industriale in quanto dagli obiettivi realizzativi e dalle attività svolte si è in presenza di una palese ed evidentissima attività di progettazione e sviluppo industriale. Infatti, tutta la documentazione non evidenzia significativi elementi di innovatività scientifica e tecnologica riconducibili ad attività di Ricerca Industriale. Le attività descritte si configurano palesemente come una concretizzazione di metodi e tecniche presenti allo stato dell'arte ai fini della realizzazione del nuovo progetto e non possono che considerarsi di prevalente ricerca industriale. (..) I brevetti allegati sono, altresì, una evidenza ulteriore che il progetto tratta della concretizzazione di conoscenze già note e, non sono in alcun modo, nel caso di specie, evidenza del fatto che l'attività svolta nell'ambito del progetto sia di prevalente Ricerca industriale. Anche il nuovo progetto presentato, seppur dal punto di vista della creatività appare di un qualche interesse, non ha alcun elemento caratterizzante che lo configuri come progetto a contenuti di prevalente Ricerca Industriale ma piuttosto esso appare essere in tutta la sua descrizione un esempio di progettazione creativa e sviluppo industriale con al più elementi di sviluppo sperimentale. (..) In definitiva, alla luce di quanto sopra descritto, anche la documentazione presentata per il progetto dal nuovo titolo è tale da potersi considerare correlata ad una iniziativa di progettazione, sviluppo industriale e, al più, con presenza di attività di sviluppo sperimentale; essa è assolutamente carente di tutte le caratteristiche che ragionevolmente possono far ritenere la stessa di prevalente Ricerca Industriale.". 5. -OMISSIS- s.r.l. presentava le proprie osservazioni il -OMISSIS- 2016, alle quali allegava anche la rendicontazione relativa alle spese del progetto di ricerca per il quale è stata richiesta l'agevolazione di che trattasi, nonché documentazione relativa ai brevetti riconosciuti in riferimento alla stessa attività oggetto di finanziamento. 6. In data -OMISSIS- 2016 seguiva il provvedimento definitivo, con il quale il MIUR comunicava la non accoglibilità dell'istanza di agevolazioni, facendo altresì riferimento al verbale della Commissione del -OMISSIS- 2016 e affermando che dalla documentazione integrativa presentata emergeva palese "che l'attività di ricerca presentata, non solo non è assolutamente di prevalente ricerca industriale, ma alla luce dei fatti rilevati, dalla carenza documentale e dall'analisi del materiale prodotto, non vi è alcuna prova che essa sia stata svolta, anzi tutt'altro. In ogni caso l'eventuale attività di ricerca industriale svolta non è in alcun modo documentata. Del resto lo sviluppo di un brevetto già depositato non richiede, in gran parte dei casi, prevalenza di attività di ricerca industriale (che magari è stata già svolta precedentemente alla domanda di brevetto) ma solo sviluppo industriale (attività routinaria di aziende di progettazione e di laboratori di ricerca) e/o sviluppo pre- competitivo (...) in ogni caso non erano presenti nella documentazione di rito e non sono presenti nella documentazione successivamente prodotta, elementi che possano far ritenere che sia stata svolta attività di ricerca industriale per "sviluppare" tale brevetto". 7. -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento del -OMISSIS- 2016 articolando tre motivi di impugnazione. 7.1. Con un primo motivo si censura la violazione dell'art. 10 bis della l. 241/90 e il difetto di motivazione, oltre all'asserita violazione del principio di partecipazione e della leale collaborazione tra cittadino e P.A., affermando che l'esito finale di non finanziabilità sarebbe stato reso sulla base di un parere del Gruppo di esperti del -OMISSIS- 2016, quindi successivo al preavviso di rigetto, che la ricorrente aveva potuto conoscere solo in sede di provvedimento negativo finale, così impedendo il contraddittorio su tale ultimo parere; inoltre l'Amministrazione non avrebbe in alcun modo controdedotto in merito alle osservazioni presentate dalla ricorrente il -OMISSIS- 2016. 7.2. Con un secondo motivo si asserisce la violazione degli artt. 3 e 6 del d.lgs. 297 del 27 luglio 1999, degli artt. 3, 5 e 7 del decreto interministeriale n. 275 del 22 luglio 1998, e degli artt. 2 e 14 del d.m. 593 dell'08 agosto 2000; nonché infine la violazione del principio dell'affidamento. Dal quadro normativo sopra richiamato emergerebbe che il Ministero aveva escluso da finanziamento il progetto della ricorrente operando illegittimamente un inedito controllo sul contenuto del contratto allorchè il progetto era già stato ritenuto ammissibile: la verifica sul contenuto del contratto di ricerca sarebbe non già condizione per l'ammissibilità della domanda bensì soltanto per la liquidazione del beneficio, perché l'ammissibilità del progetto avrebbe dovuto essere deliberata solo sulla base della domanda, avendo la procedura di verifica carattere esclusivamente automatico. Inoltre la scelta di non finanziare il progetto sarebbe stata presa dal Ministero "appiattendosi" sui pareri espressi rispettivamente il -OMISSIS-2016 e il successivo -OMISSIS- dal Gruppo di Esperti, nonostante tale organo non abbia alcuna competenza circa la valutazione dei progetti di ricerca, né sarebbe prevista per legge l'emissione di un suo parere nell'ambito della procedura di che trattasi. 7.3. Infine con il terzo motivo la ricorrente censura il difetto di motivazione, la violazione del principio dell'affidamento, l'eccesso di potere per sviamento, il travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, l'ingiustizia manifesta. Innanzitutto poiché la domanda di finanziamento sarebbe stata presentata ai sensi dell'art. 2 del D.M. 593 del 2002 sarebbero senz'altro ammissibili le attività di ricerca industriale non esclusiva, come quella in oggetto. Inoltre già dal titolo del progetto emergerebbe pacificamente che il progetto presentato da -OMISSIS- avrebbe carattere di ricerca industriale; il rilascio dei brevetti depositati nel procedimento dimostrerebbe peraltro come l'attività di ricerca per la quale è stata richiesta l'agevolazione rientrerebbe pienamente tra quelle ammissibili perché attesterebbe che il risultato della ricerca è dotato di novità, originalità ed industrialità anche ai sensi del Codice della Proprietà Industriale. Infine il medesimo rilascio di detti brevetti dimostrerebbe che l'attività di ricerca sia stata effettivamente svolta, in contrasto con quanto ritenuto dal MIUR nel provvedimento definitivo. 8. La ricorrente con atto di cessione del -OMISSIS- 2017 ha ceduto a -OMISSIS- s.r.l.s. l'intero ramo di azienda inerente i Servizi di Progettazione di Ingegneria Integrata, con tutti i cespiti occorrenti per lo svolgimento dell'attività aziendale ceduta. Quindi la cessionaria ha notificato il -OMISSIS-2020 e depositato nel presente giudizio il successivo 28 agosto atto di intervento ad adiuvandum, precisando che secondo la prevalente giurisprudenza, in conformità alle previsioni di cui all'art. 2558 c.c., la cessione del complesso dei beni funzionalmente organizzati per l'esercizio di un'impresa determina l'automatico subentro del cessionario nella titolarità dei rapporti contrattuali - di carattere non personale - che attengono all'azienda ceduta. Pertanto la cessionaria sarebbe dotata di legittimazione ad intervenire nel presente giudizio in quanto titolare nei confronti del MIUR del diritto di credito al finanziamento oggetto del presente giudizio. 9. Si è costituito il giudizio il Ministero dell'Istruzione e della ricerca, che ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, trattandosi di domanda di contributo economico soggetto a procedura di valutazione automatica, nella cui valutazione la P.A. era priva di discrezionalità, dovendo limitarsi ad accertare la ricorrenza dei presupposti di legge. Quindi l'Amministrazione ha contestato la legittimazione all'intervento di -OMISSIS- srl, in quanto la cessione di azienda è avvenuta in epoca successiva all'emanazione del provvedimento impugnato, che aveva escluso il sorgere del credito: discende da ciò che il credito non può essere stato trasferito nel patrimonio della cessionaria perché inesistente nel patrimonio della cedente. Al contrario se la società fosse effettivamente titolare del diritto di credito sarebbe cointeressata, quindi avrebbe dovuto impugnare il provvedimento del -OMISSIS- 2016 autonomamente. Nel merito la difesa erariale confutava partitamente i singoli motivi di impugnazione. 10. Nel frattempo era emerso che il Sig. -OMISSIS-, legale rappresentante di -OMISSIS- srl e di -OMISSIS-srls, in concorso con altri soggetti tra cui il figlio -OMISSIS-, era stato rinviato a giudizio avanti al Tribunale di Perugia (R.G.N.R. -OMISSIS-/13) per il reato di cui all'640 bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) integrato mediante presentazione di domande di finanziamenti per attività di ricerca in concreto mai svolta nonchè emissione di fatture per operazioni inesistenti. Da documentazione versata in atti risultava che nel maggio 2018 il predetto procedimento si trovava nella fase dell'udienza preliminare. 11. Con sentenza n. -OMISSIS- 2018 il Tribunale di Perugia ha dichiarato il fallimento della ricorrente, evento poi dichiarato nel presente giudizio con memoria del 21 settembre 2020; questo Tar con sentenza n. -OMISSIS- 2020 ha dichiarato l'interruzione del processo con decorrenza dalla data in cui la parte ha fatto la dichiarazione nella memoria, ovvero il 21 settembre 2020. 12. -OMISSIS-, interveniente ad adiuvandum, ha riassunto il processo con atto notificato in data 27 dicembre 2020 e depositato il 5 gennaio del 2021; senonchè il Tar Umbria con sentenza n. -OMISSIS- 2022 ha dichiarato l'estinzione del processo per mancata riassunzione nel termine perentorio di 90 giorni decorrenti dalla data di conoscenza legale dell'evento interruttivo, ovvero dalla memoria del 21 settembre 2020. 13. A seguito di appello, il Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS- 2023 ha riformato la sentenza di primo grado in punto di decorrenza dell'interruzione del processo, considerando che "a seguito dell'intervenuto mutamento del quadro normativo verificatosi a far tempo dal 1° settembre 2021, per l'entrata in vigore dell'art. 143, comma 3, del d.lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi dell'impresa e dell'insolvenza, in attuazione della l. n. 155/2017), il quale ha previsto che a seguito dell'apertura della liquidazione giudiziale (già dichiarazione di fallimento), il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l'interruzione è dichiarata dal giudice." Sulla base di tale principio la conoscenza legale dell'evento interruttivo doveva ritenersi fissata non già dalla data di deposito della memoria della ricorrente, bensì dalla pubblicazione della sentenza con cui il Tar Umbria aveva dichiarato l'interruzione, ovvero il -OMISSIS-: rispetto a tale data la riassunzione doveva ritenersi sicuramente tempestiva. Il Consiglio di Stato ha ritenuto altresì che, vertendosi in uno dei casi tassativi di rimessione in primo grado, "All'esito del rinvio, pertanto, il primo giudice andrà a esaminare per la prima volta tutte le altre questioni di rito e di merito, compresa quella della possibilità, per l'interveniente ad adiuvandum, di riassumere il giudizio interrotto", ed ha rimesso il processo al Tar Umbria. 14. In vista della discussione del ricorso le parti hanno depositato memorie. All'udienza pubblica del 9 aprile 2024, uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Deve essere disattesa l'eccezione di difetto di giurisdizione spiegata dalla difesa erariale sul presupposto che, essendo il contributo disciplinato direttamente dalla legge, all'Amministrazione è demandato esclusivamente il compito di accertare la sussistenza dei presupposti specificamente indicati dalla normativa, senza spendita di alcun potere discrezionale. Sul punto è noto l'orientamento giurisprudenziale in tema di contributi pubblici secondo cui la controversia deve essere devoluta al Giudice Ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, ed alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l'effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l'an, il quid, il quomodo dell'erogazione, ovvero qualora la vertenza attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento dei beneficiari alle condizioni statuite in sede di lex specialis, in quanto in tal caso il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione; al contrario è configurabile una situazione soggettiva d'interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la questione riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse (cfr. fra le tante, T.A.R. Marche, sez. I, 27 febbraio 2024, n. 187, T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 04 dicembre 2023, n. 6660, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 05 giugno 2023, n. 1383). Nel caso de quo è oggetto di contenzioso il provvedimento con cui si dichiarava la "non accoglibilità del contratto" ovvero in buona sostanza la non meritevolezza del progetto, principalmente perché l'attività oggetto del contratto di ricerca non era stata ritenuta di ricerca industriale, bensì di mero sviluppo industriale, oltre alle perplessità circa l'effettivo svolgimento dell'attività . Trattavasi evidentemente di valutazione di merito, non a caso svolta dalla Commissione di esperti istituita con Decreto del MIUR n. -OMISSIS- 2005, collegio che quindi valutava il contenuto del progetto in maniera approfondita facendo uso anche di discrezionalità tecnica. Deve quindi confermarsi la giurisdizione del presente Giudice, trovandosi la società ricorrente in posizione di interesse legittimo rispetto all'erogazione di un contributo la cui attribuzione dipende da provvedimenti discrezionali. 2. Come chiarito dal Consiglio di Stato, che riteneva la riassunzione del processo tempestiva, va preliminarmente esaminata la questione della legittimazione dell'interveniente a riassumere il processo interrotto, giacchè se si ritenesse che l'interveniente fosse carente di tale potere, il processo dovrebbe dichiararsi estinto, con la conseguente perdita di interesse alla delibazione delle ulteriori questioni. 2.1. Secondo un orientamento "Nel processo amministrativo, chi sia intervenuto "ad adiuvandum" non può ampliare la materia del contendere e non può sottoporre al collegio istanze processuali autonome e diverse da quelle del ricorrente in ordine allo svolgimento del giudizio. Pertanto sono inammissibili le istanze processuali dell'interventore relative allo spostamento della udienza, formulate sotto forma di istanza di differimento dell'udienza al 28.9.2023 e di anticipazione al 14.9.2023, e le istanze inerenti la composizione del Collegio giudicante, sottoposte in data anteriore alle istanze analoghe di parte ricorrente, come già osservato con i decreti presidenziali 13.9.2023 nn. 3752 e 3753." (Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2023, n. 8487). Dunque l'interventore ad adiuvandum non potendo estendere l'oggetto del processo non potrebbe neppure riassumere il processo interrotto in assenza di iniziativa delle altre parti costituite. 2.2. Senonchè lo scrutinio della sussistenza della legittimazione dell'interveniente alla riassunzione del processo presuppone la qualificazione dell'effettiva tipologia dell'intervento spiegato da -OMISSIS-, che sebbene espressamente qualificato ad adiuvandum dalla parte non ne presenta i requisiti di sostanza. Nel processo amministrativo è espressamente contemplato l'intervento volontario oppure jussu iudicis del controinteressato pretermesso (art. 28 primo comma cod. proc. amm.) ovvero l'intervento di chi vanta un interesse dipendente dalla posizione giuridica di un'altra parte e ne sostiene o avversa le ragioni (intervento ad adiuvandum o ad opponendum). In particolare "l'intervento ad adiuvandum può essere svolto da colui il quale vanti una posizione di fatto, dipendente o collegata alla situazione fatta valere con il ricorso principale (cd. intervento adesivo-dipendente), escludendosi invece tale possibilità nei riguardi del cointeressato (cd. intervento autonomo/principale), cioè di colui il quale vanti un interesse personale e diretto all'impugnazione del provvedimento oggetto di censura" (Cons. Stato, sez. III, 04 aprile 2023, n. 3442). In altri termini le condizioni che legittimano la proposizione dell'intervento adesivo sono rappresentate: dalla alterità dell'interesse vantato rispetto a quello che legittimerebbe alla proposizione del ricorso in via principale, visto che l'intervento è volto a tutelare un interesse diverso, ma collegato, rispetto a quello fatto valere dal ricorrente principale - cosicchè la posizione dell'interessato è meramente accessoria e subordinata rispetto a quella della parte principale - e dalla configurabilità di un vantaggio derivante, anche in via mediata e indiretta, dall'accoglimento del ricorso principale. E', pertanto, inammissibile l'intervento ad adiuvandum promosso da chi sia ex se legittimato a proporre direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l'interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all'impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che deve essere azionato mediante proposizione di ricorso principale nei prescritti termini decadenziali. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 settembre 2022, n. 8114, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 10 marzo 2023, n. 4169, T.A.R. Umbria, 05 luglio 2023, n. 435). 2.3. -OMISSIS-srl, pur potendo identificare il proprio interesse in senso tecnico come dipendente e/o collegato a quello del ricorrente principale - dato che, quale cessionario di azienda della ricorrente deriva il proprio interesse dal contratto di cessione con quest'ultima - e dunque potendo definirsi in astratto quale interveniente ad adiuvandum, non vanta un interesse indiretto all'accoglimento del ricorso, nè ha una posizione diversa ma collegata al ricorrente principale, ma ha precisamente il medesimo interesse di quest'ultimo. La società interveniente, quale successore a titolo particolare nel diritto (rectius, nell'interesse) controverso, all'esito della cessione è l'unico titolare di tale interesse perché -OMISSIS- si è disfatta in suo favore del relativo ramo di azienda. L'interveniente può qualificarsi quale cointeressata all'impugnazione principale, sebbene in via solamente successiva, poiché quale potenziale destinataria del finanziamento in seguito alla cessione di azienda si trova ora nell'identica posizione della ricorrente, ma non era onerata dell'impugnativa del provvedimento nei termini - come opinato dalla difesa erariale - perché essendo stata operata la cessione solo successivamente, allora non era portatrice di alcun interesse neppure di mero fatto all'impugnazione. Dunque deve dichiararsi la legittimazione di -OMISSIS-ad intervenire nel presente processo quale successore a titolo particolare di -OMISSIS- srl, ed in virtù di tale interesse qualificato all'annullamento del provvedimento impugnato era senz'altro legittimata a riassumere il processo interrotto perché abilitata alle medesima facoltà spettanti alle altre parti processuali. 3. Ciò chiarito deve procedersi all'esame del merito del ricorso, che si appalesa integralmente infondato. 4. Non può essere condiviso il primo gruppo di censure, incentrato sulla presunta obliterazione delle garanzie procedimentali correlate al preavviso di rigetto, unitamente all'asserita omessa valutazione delle osservazioni della parte privata con riguardo al contenuto del provvedimento finale. 4.1. Innanzitutto, non corrisponde al vero che il provvedimento finale sarebbe stato adottato sulla base del verbale del gruppo di lavoro del -OMISSIS- 2016 - dunque in una riunione successiva all'invio del preavviso di rigetto - recante motivazioni nuove e non condivise con la ricorrente, che sulle stesse avrebbe dovuto potersi difendere prima dell'adozione del provvedimento di diniego definitivo. Il preavviso di diniego del -OMISSIS-2016 era basato principalmente su tre ragioni: a) le perplessità sul ruolo di amministratore/socio svolto dallo stesso soggetto (-OMISSIS-) sia nella società beneficiaria del contributo sia nel laboratorio affidatario, i quali enti in altre domande di finanziamento si scambiavano i ruoli; b) la riconducibilità delle attività svolte a mera progettazione e sviluppo industriale, senza alcun significativo elemento di innovatività scientifica e tecnologica che afferisse alla richiesta attività di ricerca industriale; c) l'irrilevanza sotto il precedente profilo dei brevetti ottenuti dalla ricorrente nel medesimo campo oggetto di ricerca, brevetti che anzi confermavano l'assenza di attività originale ulteriore rispetto ai brevetti stessi. Tali argomenti erano i medesimi su cui si basava anche il provvedimento finale di rigetto e su cui aveva abbondantemente interloquito la ricorrente nelle osservazioni dell'ottobre 2016, senza apportare alcun elemento che inducesse il Ministero a determinarsi differentemente. 4.2. Peraltro il contenuto del verbale del gruppo degli esperti non introduceva alcun sostanziale elemento di novità rispetto a quanto già oggetto di discussione tra le parti, dato che oltre a specificare ulteriormente il concetto di ricerca industriale e il contenuto della circolare 2474 del 2005 sullo svolgimento dell'istruttoria dei progetti - di cui si dirà infra - il Gruppo di lavoro svolgeva alcune osservazioni sul contenuto della relazione illustrativa inviata da -OMISSIS- nel 2011 (in risposta al primo preavviso di rigetto) sostenendo che detto scritto era una sorta di "collage" di testi scientifici e tesi di laurea reperibili in argomento sul web, e che non apportava alcun elemento di novità idoneo a dimostrare l'esistenza di effettiva ricerca industriale. In conclusione l'interlocuzione tra il Ministero e la parte privata era stata varia ed approfondita, e comunque le osservazioni critiche del Gruppo di lavoro attenevano a difetti strutturali del progetto, certamente non superabili con l'eventuale presentazione di deduzioni difensive già comunque presentate in precedenza sui medesimi argomenti. 5. Non è meritevole di positiva valutazione neppure il secondo motivo di ricorso laddove pretende di trarre dalla normativa applicabile argomenti a favore dell'esercizio da parte del Gruppo di lavoro di un controllo non previsto dalla lex specialis che aveva portato all'esclusione del progetto della ricorrente in seguito ad una valutazione sul contenuto del contratto di ricerca, mentre secondo la ricorrente l'ammissibilità del progetto avrebbe dovuto essere riconosciuta solo sulla base delle mere dichiarazioni della ricorrente, o comunque della comprova dell'avvenuta stipulazione del contratto senza poterne valutare i contenuti. 5.1. Il D.M 275 del 1998 agli artt. 4 e 5 opera una scansione ben precisa degli adempimenti procedurali prodromici all'ammissibilità a finanziamento del contratto di ricerca: - scaduti i termini per la presentazione delle domande, il Ministero controlla il contenuto delle dichiarazioni entro i 60 giorni successivi e la formazione di un elenco dei soggetti ammissibili sulla base delle eventuali priorità ; - i soggetti collocati nell'elenco entro i 30 giorni successivi inviano al Ministero copia dei contratti di ricerca ovvero in alternativa una dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante della beneficiaria del finanziamento, attestante l'avvenuta stipula del contratto con i laboratori di ricerca o altri soggetti, di cui vanno indicati gli estremi identificativi, oltre all'attività di ricerca oggetto del contratto; - solo sulla base delle sopra indicate comunicazioni o documentazioni il MIUR forma l'elenco dei soggetti beneficiari, che pubblica nella Gazzetta Ufficiale, dandone comunicazione anche per via telematica ai soggetti medesimi. E' vero che il procedimento di cui sopra non contempla espressamente alcuna forma di controllo approfondito da svolgersi in via preventiva sul contenuto del contratto, ma ai sensi dell'art. 7 sono previste forme di controllo e di monitoraggio a campione che successivamente potranno portare alla revoca del beneficio. 5.2. Non può tuttavia condividersi l'interpretazione di tali disposizioni secondo cui il contenuto del contratto di ricerca condizionerebbe non l'ammissibilità della domanda bensì solo la liquidazione del beneficio: è evidente il palese contrasto con il buon andamento della PA e l'economia degli atti giuridici di una lex specialis che per ipotesi consentisse, in assenza di idonee verifiche, di attribuire un beneficio economico ad un progetto non meritevole - salvo il recupero delle provvidenze in un secondo momento all'esito di un controllo più approfondito - con l'evidente rischio di non recuperare in seguito soldi pubblici messi a disposizione in carenza di adeguata istruttoria. 5.3. Proprio per porre rimedio all'inadeguatezza di un'istruttoria di progetti spesso scientificamente complessi operata mediante procedura standardizzata, nel 2005 con Decreto del MIUR n. 3247/Ric del 6 dicembre 2005, è stato istituito formalmente un Gruppo di Lavoro incaricato di esaminare la documentazione trasmessa dai soggetti proponenti nell'ambito delle domande di agevolazione "ai fini del più efficace svolgimento delle complessive attività di selezione, controllo e monitoraggio, previste ai sensi dell'art. 14 del decreto ministeriale n. 593 dell'8 agosto 2000, comma 2, è istituito uno specifico Gruppo di esperti con il compito di assicurare il necessario supporto alle attività di competenza del Ministero". Quanto invece alla necessità "di rendere più efficace l'attività di individuazione delle richieste ammissibili alla concessione delle agevolazioni descritte" con la circolare n. 2474 del 17 ottobre 2005, pubblicata sulla G.U. n. 251 del 27 ottobre 2005, è stata modificata la fase di valutazione preventiva dell'ammissibilità delle domande che ha previsto - per l'agevolazione di interesse nella presente sede - l'obbligo di invio nella fase antecedente alla formazione dell'elenco delle domande finanziabili del contratto di ricerca che dovrà obbligatoriamente contenere: l'indicazione dettagliata e motivata della criticità tecnico- scientifica dell'iniziativa, la descrizione dettagliata degli obiettivi, attività e programma delle attività, il diagramma temporale dell'iniziativa, il quadro economico dettagliato dei costi, le modalità di pagamento, oltre a numerose altre informazioni sull'altro contraente. 5.4. Quindi nel 2007 la domanda di finanziamento presentata dalla ricorrente era sottoposta all'approfondita istruttoria preventiva svolta dal Gruppo di esperti all'uopo nominato, e sulla base di tali parametri il progetto presentato da -OMISSIS- veniva ritenuto incompleto, non conforme agli obiettivi e quindi non accoglibile. Né poteva ritenersi sorto alcun legittimo affidamento della ricorrente all'erogazione del beneficio, dato che l'ammissibilità solo provvisoria del progetto era stata deliberata in assenza di controlli documentali, al cui invio era seguito subito, già nel gennaio 2011, il preavviso di diniego dell'accoglibilità della misura. 6. Anche il terzo motivo deve essere respinto. 6.1. La domanda di ammissione a beneficio è stata presentata ai sensi del D.M. 593 del 2002 che all'art. 2 comma 2 prevede: "L'intervento di sostegno può estendersi anche a non preponderanti attività di sviluppo precompetitivo consistenti nella concretizzazione dei risultati delle attività di ricerca industriale in un piano, un progetto o un disegno relativo a prodotti, processi produttivi o servizi nuovi, modificati, migliorati, siano essi destinati alla vendita o all'utilizzazione, compresa la creazione di un primo prototipo non idoneo a fini commerciali" tuttavia tale previsione va letta in combinato disposto con il comma 3, che prevede che le predette "attività di sviluppo precompetitivo sono ammissibili purché necessarie alla validazione dei risultati delle attività di ricerca industriale". Quindi non solo le attività di ricerca industriale devono sussistere, ma devono essere altresì preponderanti, perché le eventuali attività di sviluppo precompetitivo devono avere valenza strettamente ancillare rispetto alla ricerca industriale. Già da tale considerazione discenderebbe il rigetto di tale motivo di censura, dato che non è controverso che la ricerca industriale non fosse preponderante nel progetto in esame, ma il Gruppo di esperti ha ritenuto completamente assente tale attività dal contratto di ricerca, che involgerebbe al più attività di sviluppo industriale. 6.2. Peraltro rispetto a tale valutazione caratterizzata da discrezionalità tecnica, il sindacato di questo Tribunale deve arrestarsi al riscontro di eventuali elementi sintomatici di illogicità, irragionevolezza, travisamento, che appaiono palesemente assenti nel caso de quo e del resto non sono stati neppure enunciati in maniera specifica dalla ricorrente. Né il titolo del progetto di ricerca né l'avvenuta presentazione di una domanda di brevetto in materia analoga bastavano a dimostrare che trattavasi di attività di ricerca industriale, come ritenuto in maniera ragionevole dal Gruppo di esperti che sul punto ha motivato diffusamente. E' pienamente condivisibile il ragionamento per cui, se una domanda di brevetto riguarda una determinata attività di ricerca, allorchè tale brevetto sia rilasciato la ricerca è evidentemente conclusa e quella stessa attività non può costituire l'oggetto di un ulteriore contratto di ricerca da finanziarsi con il beneficio in contestazione, ma al più, come ritenuto dall'Amministrazione può implicare attività ulteriore di mero sviluppo industriale. Peraltro è la stessa ricorrente ad ammettere l'identità dell'attività oggetto di brevetto e di quella oggetto del contratto di ricerca, allorchè sostiene che la prova dell'effettuazione dell'attività di ricerca industriale assegnata a -OMISSIS- -OMISSIS- è l'avvenuto rilascio del brevetto. Dunque la domanda di agevolazione è diretta a finanziare non una nuova attività di ricerca, ma attività già svolta e oggetto di privativa, ed è stata correttamente ritenuta non ammissibile dall'Amministrazione. 6.3. Le osservazioni della Commissione di esperti in merito alla mancata documentazione dell'effettuazione dell'attività di ricerca non sono neppure confutate in maniera convincente né nel ricorso né nelle osservazioni del 2016: d'altro canto il documento denominato "relazione dettagliata delle attività svolte" datata -OMISSIS- 2012, che avrebbe dovuto, a ricerca conclusa, dare conto dei costi delle attività e dei risultati raggiunti non conteneva nulla di tutto ciò, ma si limitava a riportare stralci di documenti scientifici collazionati, ed in punto di costi riferiva dell'avvenuta emissione di una serie di fatture da parte del laboratorio contraente senza una specifica analisi degli importi. 7. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la ricorrente e l'interveniente ad adiuvandum in solido al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero, che si liquidano complessivamente in euro 2.000 (duemila/00), oltre agli oneri ed accessori di legge. Nulla per la controinteressata non costituita. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e le altre parti di causa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Davide De Grazia - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 357 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ca. e Ar. Pl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via (...); per l'annullamento - del provvedimento disciplinare del 31 gennaio 2022 numero 333/SSA/I/232778, notificato all'interessato in data 8 febbraio 2022 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Marilena Di Paolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso notificato il 1° aprile 2022, l'odierno ricorrente, -OMISSIS-, agente scelto della Polizia di Stato, ha impugnato il decreto del Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza emesso il 31 gennaio 2022, notificato l'8 febbraio 2022, con il quale è stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi uno, ai sensi dell'art. 6, n. 1 e n. 4, in relazione all'art. 4, n. 3 del d.P.R. n. 737/1981. 2. Il provvedimento disciplinare risulta fondato sulla seguente motivazione: "dall'aprile del 2020 al febbraio del 2021 manteneva, al di fuori di esigenze di servizio, relazioni con compagnie non confacenti al proprio stato. Inoltre, in violazione dei doveri inerenti alle funzioni, rivelava notizie ed informazioni di uffici riguardanti le attività di Polizia giudiziaria e controllo del territorio, turbando la regolarità del servizio". 3. In particolare, il procedimento disciplinare era stato avviato dopo l'arresto di S.A., pregiudicato, avvenuto in Lecco in data 30 ottobre 2020, in concorso con il cittadino albanese F.C., per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, in quanto trovati in possesso di 450 gr di cocaina, oltre 2,3 kg. di hashish e circa 7 gr. di marijuana. 4. Dall'analisi del cellulare di S.A. e dai successivi riscontri sui tabulati telefonici acquisiti in sede di indagine, erano emersi numerosi ed assidui contatti dell'agente scelto -OMISSIS- con il pregiudicato sopraindicato e con i familiari di quest'ultimo, anche dopo il suo arresto. 5. In particolare, tale stretta frequentazione, quasi fraterna, era emersa dai numerosi contatti telefonici, dall'analisi delle chat wh. e da Fa., intrattenuti fino alla mattina del giorno in cui S.A. è stato tratto in arresto, di cui viene dato ampiamente conto nell'annotazione redatta in data 26 febbraio 2021 da personale della Squadra Mobile della Questura di Lecco. 6. Nelle chat intercorse, inoltre, erano state rilevate alcune richieste di informazioni relative al servizio di controllo del territorio svolto dalle volanti che S.A. aveva rivolto a -OMISSIS-, confidando sulla sua disponibilità ; in ben quattro occasioni, tutte documentate, S.A., mentre si trovava in alcuni locali della Provincia di Lecco, aveva inviato all'agente scelto -OMISSIS-, tramite wh., le foto di alcuni avventori, chiedendogli se appartenessero alle FF.OO.: una volta il -OMISSIS- aveva confermato che uno dei soggetti fotografati era effettivamente un appartenente all'Arma dei Carabinieri. In un'altra circostanza, sempre mediante lo stesso mezzo di comunicazione, aveva informato l'amico sulla propria posizione durate il servizio di volante e gli aveva inviato foto raffiguranti sia l'autovettura di servizio che colleghi e persone sottoposte a controlli documentali. 7. Era inoltre emerso un altro rapporto di conoscenza dell'agente scelto -OMISSIS- con altri soggetti trovati in possesso di sostanze stupefacenti e tratti in arresto in data 21 luglio 2020 dalla Polizia Ferroviaria di Milano e il 28 ottobre 2020 dalla Squadra Mobile di Lecco. 8. Pertanto, l'agente scelto -OMISSIS- era stato deferito alla locale A.G. per il reato di rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio. 9. In data 20 aprile 2021, il Pubblico Ministero titolare dell'indagine aveva formulato richiesta di archiviazione per speciale tenuità del fatto, rilevando che: "- non ricorrono le condizioni per dover richiedere l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato; - il reato per cui si procede rientra nella cornice edittale prevista dall'art. 131-bis, commi 1 e 4 c.p.; - non ricorrono le cause ostative di cui all'art. 131-bis, co. 2 e 3 c.p; - le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio portano a ritenere le condotte di reato di particolare tenuità, attese le motivazioni addotte alla base delle stesse, ascrivibili ad una superficiale valutazione delle conseguenze penali in relazione alla rivelazione di segreti d'ufficio; - l'instaurazione di un giudizio penale non appare coerente con le finalità per cui questo è stato disegnato dal Legislatore". 10. In data 9 giugno 2021 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco aveva accolto la richiesta del Pubblico Ministero, emettendo decreto di archiviazione del procedimento penale. 11. Il Questore di Lecco, acquisito il citato decreto in data 29 giugno 2021, a seguito di formale istanza finalizzata a conoscere lo stato del procedimento penale, avviava l'inchiesta disciplinare, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. n. 737/1981, nominando, con atto del 10 settembre 2021, notificato il 13 settembre 2021, il funzionario istruttore, il quale, a sua volta, in data 21 settembre 2021, formalizzava la contestazione degli addebiti, individuando ex art. 6, commi 1, 4 e 7 della citata normativa, in relazione alla condotta tenuta dall'agente, la sanzione della "sospensione dal servizio". 12. L'agente De Beo, in data 17 ottobre 2021, presentava memoria difensiva, con la quale negava di conoscere i pregiudizi penali a carico di S.A. e dei suoi familiari, nonché contestava di aver rivelato segreti d'ufficio. 13. Il procedimento disciplinare si è concluso con l'adozione del provvedimento disciplinare oggetto dell'odierno ricorso. 14. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Interno per resistere al ricorso depositando documenti e memorie e insistendo per il rigetto del ricorso. 15. All'udienza pubblica del 22 maggio 2024 la causa è passata in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è affidato a tre motivi di illegittimità . 2. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 6, dPR 737/81: il ricorrente sostiene che siano stati violati i termini per l'esercizio del potere disciplinare. A suo dire la contestazione degli addebiti sarebbe avvenuta oltre i 40 giorni dalla comunicazione del decreto di archiviazione, e ciò in violazione dell'art. 9, comma 6, d.P.R. 737/81 che prevede "Quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione". 2.1. Il motivo è infondato. 2.2. Si osserva che l'art. 9, comma 6, del d.P.R. 737/81 presuppone che sia stata pronunciata una sentenza, sia essa di condanna o di assoluzione, con la quale sia stato definito il processo penale, situazione che non ricorre nel caso di specie, dove invece non è stata esercitata l'azione penale - si evidenzia - non per infondatezza della notitia criminis, ma per la speciale tenuità del fatto. 2.3. Il citato articolo, inoltre, fa decorrere il dies a quo del termine di decadenza per la contestazione degli addebiti, che coincide con l'inizio del procedimento disciplinare, dalla pubblicazione o dalla notificazione della sentenza, adempimenti non prescritti per il decreto di archiviazione. 2.4. Non trattandosi dunque di casi simili, il citato art. 9, comma 6, non può trovare applicazione analogica come invece sostiene parte ricorrente, dal momento che l'art. 12 delle preleggi prevede che se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, salvo il divieto di analogia in malam partem, sancito dal successivo art. 14, per le leggi penali e leggi eccezionali. 2.5. Ebbene, nel caso di specie, in virtù del rinvio contenuto nell'art. 31 del d.P.R. n. 737/1981, ai procedimenti disciplinari dell'Amministrazione di pubblica sicurezza è applicabile analogicamente l'art. 103 d.P.R. n. 3/1957, secondo il quale "l'ufficio del personale che abbia comunque notizia di una infrazione disciplinare commessa da un impiegato svolge gli opportuni accertamenti preliminari e, ove ritenga che il fatto sia punibile con la sanzione della censura, rimette gli atti al competente capo ufficio; negli altri casi contesta subito gli addebiti all'impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni". 2.6. Per costante giurisprudenza la norma ora citata, secondo cui la contestazione degli addebiti deve avvenire "subito", non mira a vincolare l'Amministrazione all'osservanza di un termine prestabilito e puntuale, tale da comportare col suo decorso la decadenza dell'azione disciplinare, bensì indica una regola di ragionevole prontezza e tempestività, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti e alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell'iter procedimentale (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 6 febbraio 2023, n. 1212). 2.7. Non è infatti previsto, all'art. 12, d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 - che costituisce la normativa speciale rispetto a quella generale dettata dal d.P.R. n. 3 del 1957 -, alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti disciplinari a carico degli agenti della Polizia di Stato, con la conseguenza che l'Amministrazione procedente deve ottemperare solo ad una regola di ragionevole prontezza nell'effettuare detta contestazione; inoltre, l'uso del termine "subito" nel contesto dell'art. 103, d.P.R. n. 3 del 1957, ai fini della contestazione degli addebiti, per l'orientamento giurisprudenziale consolidato, presenta una mera valenza sollecitatoria, sicché residua all'Amministrazione un ampio spazio di azione ai fini dell'espletamento degli adempimenti finalizzati al reperimento e alla valutazione degli elementi relativi alle vicende oggetto di esame; infatti, nel procedimento disciplinare a carico dell'agente di Polizia di Stato - che ha inizio con la contestazione degli addebiti e termina con l'adozione del provvedimento sanzionatorio o con il proscioglimento dell'incolpato - vanno distinti i termini inderogabili, che sono quelli posti a garanzia dell'inquisito, e cioè quelli previsti per la presentazione delle giustificazioni, la presa di visione degli atti e, appunto, per il preavviso di trattazione davanti alla Commissione, da quelli ordinatori o sollecitatori, che sono tutti gli altri termini (Consiglio di Stato sez. III 20 giugno 2018 n. 3779, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. V, 23 febbraio 2024, n. 718). 2.8. Ciò chiarito, va ulteriormente precisato che il d.P.R. n. 737/1981 non indica puntualmente quale sia l'atto di avvio del procedimento disciplinare, ossia quello che materialmente impedisce la decadenza dal potere, sicché spetta all'interprete individuarlo. 2.9. Orbene, analizzando il corpus normativo va rilevato come per l'irrogazione del richiamo scritto, della pena pecuniaria e della deplorazione il procedimento si avvia con la contestazione scritta degli addebiti (v. artt. 17 e 18 d.P.R. 737 cit.); viceversa, nel caso delle sanzioni più gravi, il primo atto del procedimento è la nomina del funzionario istruttore (art. 19, comma 2 d.P.R. 737 cit.), il quale comunica l'avvio (rectius, contesta per iscritto gli addebiti) al dipendente entro 10 giorni. 2.10. Nel caso di specie, dunque, il termine di riferimento è da individuarsi nel 13 settembre 2021, data in cui il Questore di Lecco aveva disposto l'espletamento di una inchiesta disciplinare notificando la nomina del funzionario istruttore, e la contestazione degli addebiti è avvenuta il 21 settembre 2021. 2.11. Sulla ragionevolezza dei termini per la contestazione degli addebiti, considerata la natura afflittiva del procedimento disciplinare, si osserva inoltre che nella disciplina del procedimento sanzionatorio contenuta nella L. 689/81, l'art. 14 prescrive che la contestazione degli addebiti deve essere fatta "immediatamente" e se la contestazione non è avvenuta immediatamente, deve essere fatta entro il termine di 90 giorni. Da ciò si trae dunque un ulteriore argomento per sostenere la ragionevolezza del termine entro il quale è avvenuta la contestazione degli addebiti e cioè nel termine di 85 giorni. 2.12. Ebbene, il periodo intercorso tra il fatto, la segnalazione (29 giugno 2021) e l'avvio del procedimento disciplinare, considerando anche l'approssimarsi del periodo estivo (luglio - agosto) in cui l'attività lavorativa subisce un naturale rallentamento legato al godimento delle ferie da parte del personale, si è manifestato in linea con quei criteri di ragionevole prontezza e tempestività di cui sopra, rendendo manifestamente infondata la doglianza del ricorrente. 3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti posti a fondamento della sanzione, violazione della sfera della discrezionalità della P.A., violazione e falsa applicazione dell'art. 6 d.P.R. 737/81: in sintesi, il ricorrente sostiene che l'Amministrazione avrebbe erroneamente riportato la sua condotta alle fattispecie previste dall'art. 6 comma III, cioè ai casi in cui: - vengono poste in essere in modo abituale o reiterato le mancanze sanzionate con la pena pecuniaria; - si sia ricevuta una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo che non comporti la destituzione di diritto; - l'aver denigrato l'Amministrazione o i superiori; - l'aver tenuto un comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto; - l'aver tollerato abusi commessi da dipendenti; - aver compiuto atti contrari ai doveri derivanti dalla subordinazione; - l'assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume ovvero di pregiudicati; - l'uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope risultante da referto medico 8 legale; - l'allontanamento senza autorizzazione, dalla sede di servizio per un periodo superiore a cinque giorni; - l'omessa o ritardata presentazione in servizio per un periodo superiore a quarantotto ore e inferiore a cinque giorni o, comunque, nei casi in cui l'omissione o la ritardata presentazione in servizio di cui all'art. 4, n. 10, provochi gravi disservizi ovvero sia reiterata o abituale. Non solo la condotta tenuta dall'odierno ricorrente non rientrerebbe affatto nelle fattispecie sopra descritte ma, a suo dire, l'Amministrazione non avrebbe considerato che il decreto di archiviazione avrebbe ritenuto non gravi i fatti e il giudice penale non avrebbe svolto alcun tipo di accertamento dei fatti. Infine, il ricorrente esclude la consapevolezza e la conoscenza dei precedenti penali a carico del soggetto tratto in arresto. 4. Il motivo non è fondato. 4.1. Innanzitutto si osserva che il provvedimento impugnato si fonda sui fatti tipici di cui all'art. 6, n. 1 e n. 4, in relazione all'art. 4, n. 3 del d.P.R. n. 737/1981. 4.2. La fattispecie di cui al combinato disposto degli artt. 6, n. 1 e n. 4, e 4, n. 3, del d.P.R. n. 737/1981 contempla le "mancanze...di particolare gravità ovvero...reiterate o abituali" in relazione al "mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato" nonché in relazione ad un "comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto". 4.3. Per quanto riguarda l'infrazione di cui all'art. 4 n. 3 del d.P.R. n. 737/1981, vale a dire il "mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato" dai tabulati telefonici versati negli atti delle indagini preliminari, è emerso che l'agente scelto -OMISSIS- frequentava e aveva instaurato un rapporto di amicizia quasi fraterno con S.A. e con la sua famiglia, rapporto che andava ben al di là di quello di semplice avventore del ristorante di quest'ultimo. Risulta infatti che -OMISSIS- e S.A. si sono tenuti in contatto telefonico e tramite messaggi via chat con una costante frequenza fino alla mattina dell'arresto di S.A. e risulta inoltre che -OMISSIS-, il 23 luglio 2020, aveva scritto a S.A. "-OMISSIS-torna tra noi" informandolo come quest'ultimo, arrestato per droga, fosse stato scarcerato e sottoposto al regime degli arresti domiciliari. Dalla relazione istruttoria redatta dal funzionario istruttore emergono inoltre ulteriori elementi a supporto dello stretto legame instaurato dal -OMISSIS- con la famiglia di S.A.; in particolare, il funzionario istruttore aveva allegato una nota investigativa redatta dal Dirigente della DIGOS di Lecco, che aveva documentato, dopo l'arresto di S.A., un incontro conviviale e amichevole di -OMISSIS- con i parenti di S.A., presso il bar del palazzetto dello sport di Me.. Si legge inoltre che dagli stessi accertamenti investigativi, emergevano altresì contatti del -OMISSIS-, non motivati da finalità istituzionali, con un dipendente di un esercizio commerciale destinatario di una misura interdittiva antimafia e di un cittadino kossovaro, tale -OMISSIS-, entrambi arrestati per reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti. 4.4. Quanto al procedimento penale a carico del -OMISSIS-, assumono rilevanza le chat che riportano le richieste di informazioni che S.A. gli rivolgeva per identificare eventuali appartenenti alle forze dell'ordine presenti nei locali dallo stesso frequentati e per conoscere la localizzazione delle pattuglie sul territorio, informazioni evidentemente utili per poter svolgere la sua illecita attività di spaccio lontano dalle forze dell'ordine. 4.5. Contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente - la quale sostiene che in sede penale non sarebbe stato svolto alcun accertamento sui fatti - il decreto di archiviazione ex art. 131-bis c.p. per la speciale tenuità del fatto è stato emesso in quanto "le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio portano a ritenere le condotte di reato di particolare tenuità, attese le motivazioni addotte alla base delle stesse, ascrivibili ad una superficiale valutazione delle conseguenze penali in relazione alla rivelazione di segreti d'ufficio" e dunque esso è stato adottato sul presupposto di un giudizio di fondatezza della notitia criminis, considerato che l'art. 131-bis c.p. non esclude la responsabilità penale ma prevede una causa di non punibilità per i reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, applicabile nel caso di specie. 5. Non può quindi negarsi che il comportamento contestato al ricorrente in sede disciplinare sia in contrasto coi doveri del personale della Polizia di Stato e capace di arrecare grave nocumento alla credibilità e al prestigio di quest'ultima, in considerazione delle sue funzioni istituzionali, né è dato cogliere profili di irragionevolezza nella valutazione dell'Amministrazione in merito alla gravità della condotta dell'incolpato, il quale, ancora dopo l'arresto del pregiudicato aveva continuato a mantenere rapporti di convivialità con i parenti dell'arrestato. 6. Occorre rammentare che per il regolamento di servizio dell'Amministrazione della pubblica sicurezza il personale della Polizia di Stato ha il precipuo dovere di "non mantenere, al di fuori di esigenze di servizio, relazioni con persone che notoriamente non godono pubblica estimazione, non frequentare locali o compagnie non confacenti alla dignità della funzione" (art. 12, n. 4, d.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782) e di "non frequentare senza necessità di servizio o in maniera da suscitare pubblico scandalo persone dedite ad attività immorali o contro il buon costume ovvero pregiudicate" (art. 12, n. 5, d.P.R. n. 782/85) e, in generale, "deve mantenere una condotta irreprensibile, operando con senso di responsabilità, nella piena coscienza delle finalità e delle conseguenze delle proprie azioni in modo da riscuotere la stima, la fiducia ed il rispetto della collettività, la cui collaborazione deve ritenersi essenziale per un migliore esercizio dei compiti istituzionali, e deve astenersi da comportamenti o atteggiamenti che arrecano pregiudizio al decoro dell'Amministrazione" tenendo anche fuori servizio una "condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni" (art. 13 d.P.R. n. 782/85). 6.1. Alla luce degli elementi in atti, il Collegio ritiene che l'apprezzamento dell'Amministrazione dell'Interno in ordine alla sussistenza dei presupposti degli illeciti disciplinari ascritti al dipendente sia esente da palese travisamento dei fatti. 7. Con il terzo e ultimo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l'eccessività della sanzione inflitta: a dire del ricorrente, la sanzione sarebbe del tutto sproporzionata rispetto alla condotta contestata, tenuto anche conto del fatto che, a mente dell'art. 13, comma 1, del d.P.R.737/81, l'organo competente ad infliggere la sanzione deve tener conto di tutte le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell'età, della qualifica e della anzianità di servizio e sanzionare con maggior rigore le mancanze commesse in servizio o che abbiano prodotto più gravi conseguenze per il servizio, quelle commesse in presenza o in concorso con inferiori o indicanti scarso senso morale e quelle recidive o abituali. Nel caso di specie non vi sarebbe alcuna prova che la mancanza descritta nella nota di contestazione del 21 settembre 2021, anche alla luce del giudizio di tenuità proposto dal P.M. ed accolto dal G.I.P. di Lecco, sia stata reiterata o abituale, o che abbia gettato scandalo nell'Amministrazione. 8. Il motivo è infondato. 8.1. Occorre premettere che per costante giurisprudenza, in punto di individuazione e dosimetria della sanzione disciplinare, l'Amministrazione gode di ampia discrezionalità, sindacabile dal giudice amministrativo solo ab externo nei casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità o palese arbitrarietà (ex multis, Cons. St., sez. II, 31 gennaio 2023, n. 1103, cit.; Cons. St., sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484; T.A.R. Piemonte, sez. I, 13 febbraio 2022, n. 124). 8.2. Nel caso di specie, il funzionario istruttore ha tenuto conto di tutte le circostanze, esposte a pag. 5 della relazione istruttoria, ritenendo prevalente la gravità della condotta in quanto le frequentazioni del -OMISSIS- con soggetti dediti ad attività criminose quali spaccio di sostanze stupefacenti, non sono deontologicamente conformi al regolamento di servizio, cui un appartenente ai ruoli della Polizia di stato ha il dovere di uniformarsi e ciò è stato considerato come altamente lesive del vincolo fiduciario di appartenenza che lega la Polizia di Stato ai propri dipendenti. 8.3. A fronte di un simile riprovevole comportamento, di particolare gravità per il decoro e l'immagine della Polizia di Stato, la sanzione inflitta al ricorrente non appare sproporzionata né illogica. 8.4. Quanto al trasferimento d'ufficio, la giurisprudenza ha chiarito che il trasferimento per motivi di opportunità ed incompatibilità ambientale dell'appartenente alla Polizia di Stato, disposto ai sensi della norma appena citata, "non ha carattere sanzionatorio né disciplinare, non postulando comportamenti sanzionabili in sede penale o disciplinare, ed è condizionato solo alla valutazione del suo presupposto essenziale costituito dalla sussistenza oggettiva di una situazione di fatto lesiva del prestigio, decoro o funzionalità dell'amministrazione che sia, da un lato, riferibile alla presenza del dipendente in una determinata sede e, dall'altro lato, suscettibile di rimozione attraverso l'assegnazione del medesimo ad altra sede" (T.A.R. Milano, sez. III, 30/04/2018, n. 1156; T.A.R. Palermo, sez. I, 18/11/2022, n. 3273; T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 07/12/2021, n. 928; T.A.R. Cagliari, sez. II, 03/07/2019, n. 599). 9. Per quanto sopra esposto il ricorso va dunque respinto. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite nei confronti del Ministero dell'Interno che liquida in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) oltre accessori se previsti dalla legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Gabbricci - Presidente Alessandro Fede - Referendario Marilena Di Paolo - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 13 del 2024, proposto da Consorzio Stabile Re. S.C. a r.l.., La To. Co. S.r.l., in proprio e rispettivamente quale mandataria e mandante del RTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 7654584A89, rappresentate e difese dagli avvocati Al. Bo., Pa. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, ivi domiciliataria ex lege, via (...); nei confronti Impresa De. Im. S.r.l., in proprio e anche mandataria del RTI con Ri. Co. S.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pa. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ri. Co. S.p.a., in proprio e quale mandante del RTI con De. Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensiva - del Decreto Provveditoriale prot. n. 20430 del 28.11.2023, relativo all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forli` - 1° stralcio. CUP D69D07000090001 CIG 7654584A89", con cui "è stata confermata l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 06.09.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto indicato in oggetto al Raggruppamento Temporaneo tra Imprese "De. Im. s.r.l. di (omissis) (VA) CF 02692000124 - Ri. Co. s.p.a. di (omissis) (CE) CF 02217930615", risultato 1^ in graduatoria con il punteggio totale di 92,780/100 ed il ribasso del 23,290%, come da verbale di procedura aperta n. 5068 di rep. delle sedute in data 18.06.2019 e 09.07.2019 che, all'esito della disposta istruttoria, tenuto conto delle premesse sopra riferite e dell'esito della pronuncia del CDS, viene nella sostanza confermata", e con cui è stato disposto che "L'appalto è aggiudicato al suddetto RTI per l'importo complessivo netto di Euro 26.745.351,82"; - della nota prot. 20789 del 5.12.2023 con cui l'Ente appaltante ha comunicato al RTI Re. - La To. Co. l'adozione del suddetto provvedimento; - ove occorra, del provvedimento prot. 18407 del 27.10.2023 con cui la stazione appaltante ha comunicato ai sensi dell'art. 7 L. 241/1990 l'avvio del procedimento culminato con l'adozione del gravato Decreto Provveditoriale prot. n. 20430 del 28.11.2023; - ove occorra, del decreto prot. n. U.0017276 del 6.9.2019 con cui è stata disposta l'aggiudicazione nei confronti del RTI Impresa De. Im. S.r.l., nonché della nota prot. n. U0017432 del 9.9.2019 con cui siffatta aggiudicazione è stata comunicata alle odierne ricorrenti a mezzo PEC; - di tutti gli atti presupposti, connessi e successivi al soprarriferito Decreto Provveditoriale, ancorché non conosciuti. NONCHÉ per la dichiarazione di invalidità e comunque di inefficacia del contratto di appalto eventualmente stipulato con gli operatori economici illegittimi aggiudicatari (dichiarandosi, ad ogni effetto, ed ove occorra, anche la disponibilità del ricorrente a subentrare nell'esecuzione dell'appalto ai sensi di quanto previsto dall'art. 122 c.p.a.), E PER LA CONSEGUENTE CONDANNA dell'Ente intimato a risarcire il danno cagionato alla ricorrente in forma specifica ovvero, in subordine, per equivalente monetario nella misura che sarà determinata in corso di causa. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna, dell'impresa De. Im. S.r.l. e di Ri. Co. S.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2024 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.-Con il ricorso in esame il Consorzio stabile Re. s.c. a r.l. ha impugnato il Decreto del Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia e la Emilia Romagna del 28.11.2023 relativo all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì - 1° Stralcio" con il quale è stata confermata l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 6.9.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto al RTI formato da Ri. Co. s.p.a.(mandante) e De. Im. s.r.l. (mandataria) risultato primo in graduatoria. Come evidenziato in ricorso la prima aggiudicazione era a suo tempo stata impugnata dall'odierno istante, Consorzio Stabile Re. e da La To. Co., in proprio e quali imprese componenti il relativo R.T.I, nelle posizioni rispettive di mandante e mandataria deducendo la illegittimità della aggiudicazione in quanto disposta a favore di impresa in procedura concordataria ex art. 161 c. 6 Legge Fallimentare, non ammessa alla continuità aziendale, non avendo presentato, nemmeno al momento della aggiudicazione, il relativo piano e lamentando che il raggruppamento aggiudicatario avrebbe omesso di comunicare alla Stazione appaltante tale circostanza, rilevante ai fini della procedura. L'adito Tribunale Amministrativo con la sentenza n. 76/2020 accoglieva il motivo di ricorso relativo alla dedotta violazione dell'art. 80 c. 5 lett. b) del Decreto Legislativo n. 50/2016 in ragione del fatto che la mandante del raggruppamento aggiudicatario aveva presentato, solo in corso di gara, in data 4.2.2019, domanda di concordato con riserva ai sensi dell'art. 161, comma 6 L. Fall e sul presupposto che in tale evenienza sia preclusa la partecipazione a gare pubbliche. Ha altresì rilevato la violazione dell'art. 80 co.5 bis del Codice degli appalti, in ragione del ritardo con cui la mandataria avrebbe comunicato, solo in data 19.7.2019 a distanza di cinque mesi, il fatto che la mandante avesse presentato la domanda di concordato con riserva. L'adito Tribunale Amministrativo respingeva altresì il ricorso incidentale condizionato proposto dalla mandataria del raggruppamento aggiudicatario volto alla designazione di una nuova impresa mandante, ritenendola non consentita ai sensi dell'art. 48 co. 19 ter d.lgs. 50/2016 poiché volta ad eludere in pendenza di gara il riscontrato mancato possesso dei requisiti di partecipazione. Tale sentenza costituiva oggetto di appello al Consiglio di Stato con due distinti ricorsi poi riuniti proposti dalla Ri. Co. e dalla De. Im. s.r.l., ai quali il Ministero aderiva. La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, registrando un conflitto di orientamenti giurisprudenziali, riteneva di rimettere alla Adunanza Plenaria una serie di questioni concernenti il tema ed i profili della presentazione della domanda di concordato in bianco ai fini della valida partecipazione alla gara. L'Adunanza Plenaria si pronunciava in merito a ciò con la sentenza n. 9 del 2021 affermando in sintesi, per quel che qui rileva, che benchè l'autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica debba intervenire entro il momento dell'aggiudicazione, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un'autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante. Successivamente la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4728/2023, si pronunziava sugli appelli e li accoglieva, rigettando il ricorso di primo grado. I provvedimenti impugnati costituiscono, quindi attuazione della suindicata sentenza sul cui vincolo conformativo è sceso il giudicato. Il Consiglio di Stato, in particolare, ha affermato che la domanda di presentazione di un concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica esclusione, né inibisca la partecipazione alle procedure per l'affidamento di contratti pubblici. Nel caso di specie si era verificato un mancato rilascio della autorizzazione da parte del Tribunale competente prima della aggiudicazione della gara non essendo stata presentata un'istanza in tale senso dalla impresa concordataria; tale autorizzazione era comunque intervenuta prima della stipula del contratto. Il Consiglio di Stato ha stabilito che questa specifica circostanza comporta la necessità che la stazione appaltante provveda ad una apposita valutazione, alla luce della particolarità del caso concreto, sulla rilevanza e sulla idoneità ad assumere efficacia integrativa o sanante, di tale autorizzazione, sottratta al g.a., ai sensi dell'art. 34 co. 2 c.p.a. e rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante. In tale contesto motivazionale il Consiglio di Stato ha anche espressamente respinto la censura dell'odierna ricorrente secondo la quale non sarebbero stati rispettati, nel caso di specie, gli obblighi informativi a carico dell'impresa, precisando che, se l'informazione alla stazione appaltante deve essere tempestiva ed adeguata in applicazione dei principi di buona fede, leale cooperazione e correttezza, in caso di dichiarazione omessa, parziale o reticente spetterà alla stazione appaltante stessa valutarne l'incidenza sul rapporto fiduciario con l'operatore economico, ma senza nessun automatismo espulsivo. Il Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia ed Emilia Romagna provvedeva, quindi, ad ottemperare a quanto stabilito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4728/2023, comunicando agli interessati l'avvio del procedimento con nota 27.10.2023 n. 18407. L'Amministrazione, in seguito ad istruttoria, adottava il provvedimento di conferma della aggiudicazione qui gravato, ritenendo non inficiato il rapporto fiduciario con il raggruppamento capeggiato da De. Im. s.r.l. tenuto conto anche dell'avvenuta informazione degli sviluppi della procedura concorsuale. A sostegno del gravame le odierne ricorrenti hanno dedotto tre articolati motivi di gravame così riassumibili: I)VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 10 L. N. 241/90. ECCESSO DI POTERE, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CARENZA DI MOTIVAZIONE, PERPLESSITÀ : la stazione appaltante non avrebbe tenuto in considerazione nella motivazione dell'atto gravato l'articolata memoria presentata dalle ricorrenti. II. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 32, 33, 48, 80, 83 E 84, D.LGS. N. 50/16. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 161 E 186-BIS, L. N. 267/42. VIOLAZIONE DELL'ART. 94, COMMA 5, LETT.D), D.LGS. N. 36/2023. VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. CARENZA DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. IRRAGIONEVOLEZZA. ILLOGICITÀ .TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO. CONTRADDITTORIETÀ . SVIAMENTO: sarebbe mancato l'esame delle criticità riguardanti l'impresa controinteressata, dal momento che a) Ri. ha presentato domanda di concordato "in bianco" il 5.02.2019, nel corso della procedura di gara, senza curarsi di domandare al Giudice fallimentare la prescritta autorizzazione; b) al momento della aggiudicazione disposta il favore del RTI De. - Ri. (9.09.2019), la mandante Ri., che versava in situazione di concordato "in bianco" già dal precedente mese di febbraio, non era autorizzata alla prosecuzione della gara; c) l'autorizzazione al Giudice Fallimentare è stata richiesta da Ri. solo dopo l'aggiudicazione e persino dopo l'impugnazione della stessa aggiudicazione da parte del RTI Re. innanzi al TAR; d) nel caso di specie l'autorizzazione sarebbe stata chiesta ed intervenuta con notevole ritardo e dopo la scadenza del termine legale (60 gg) per la stipula del contratto. III. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 32, 33, 48, 80, 83 E 84,D.LGS. N. 50/16. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT.161 E 186-BIS, L. N. 267/42. VIOLAZIONE DELL'ART. 94, COMMA 5, LETT. D), D.LGS. N.36/2023.VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. CARENZA DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. IRRAGIONEVOLEZZA. ILLOGICITÀ .TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO. CONTRADDITTORIETÀ . SVIAMENTO: sarebbero venuti meno in capo a Ri. Co. s.p.a. i requisiti generali e speciali risultando prospettata la cessione del ramo di azienda, come risultante dal provvedimento assunto dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e non preso in considerazione dalla stazione appaltante al momento della conferma dell'aggiudicazione; sarebbe evidente che Ri. in conseguenza della cessione finirà per privarsi dell'azienda necessaria alla realizzazione dell'appalto. Si sono costituiti il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna eccependo l'infondatezza di tutti i motivi "ex adverso" dedotti costituendo il provvedimento impugnato esecuzione del giudicato reso "inter partes" e non essendo venuto meno il rapporto fiduciario con la stazione appaltante. Si è costituita De. Im. s.r.l. evidenziando tra l'altro come con la sentenza n. 4728 del 2023 il Consiglio di Stato nell'accogliere gli appelli ha respinto il ricorso di primo grado avverso l'originaria aggiudicazione che dunque non è mai stata annullata; l'attività dell'Amministrazione sarebbe orientata al conseguimento del "risultato" inteso come puntuale esecuzione dei lavori oggetto della gara in ossequio appunto all'omo principio compendiato dall'art. 1 del d.lgs. 36 del 2023 non applicabile "ratione temporis" ma comunque utilizzabile in via interpretativa, come recentemente ritenuto dal Consiglio di Stato. Si è costituita anche Ri. Co. s.p.a. eccependo l'inammissibilità del ricorso in quanto parte ricorrente avrebbe dovuto esperire azione di ottemperanza innanzi al Consiglio di Stato trattandosi di dare esecuzione ai criteri conformativi di cui alla sentenza n. 4728/2023 rappresentando altresì la pendenza nell'ambito della procedura concorsuale della cessione del ramo d'azienda e l'individuazione dell'operatore economico che effettuerà i lavori. Alla camera di consiglio del 24 gennaio 2024 parte ricorrente ha rinunciato alla tutela cautelare in vista della celere fissazione dell'udienza di merito. In prossimità della trattazione nel merito le parti hanno depositato ampie memorie e documentazione insistendo per le conclusioni già rassegnate per la fase cautelare. Segnatamente le ricorrenti hanno insistito per la fondatezza della pretesa azionata evidenziando il mancato apprezzamento da parte dell'Amministrazione della attuale situazione di Ri. Co. allo stato priva dei requisiti richiesti per la realizzazione dei lavori per cui è causa, essendo ancora pendente la cessione del ramo di azienda. La difesa della capogruppo De. Im. s.r.l. ha insistito per il rigetto del gravame eccependo altresì l'inammissibilità delle doglianze dirette a rimettere in discussione profili già coperti dal giudicato così come del terzo motivo per la mancata indicazione del requisito generale di cui Ri. Co. sarebbe priva; non sarebbe "ratione temporis" applicabile l'art 94 co.5 del Codice dei contratti pubblici approvato con d.lgs. n. 36/2023 secondo cui l'autorizzazione deve intervenire prima dell'aggiudicazione. Con memoria la difesa di parte ricorrente ha replicato alle suindicate eccezioni evidenziando come l'oggetto dell'impugnativa sia nuovo atto non meramente confermativo affetto da vizi del tutto autonomi rispetto a quelli prospettati con il ricorso avverso l'originaria aggiudicazione. Anche la difesa di De. Im. ha depositato memoria di replica tra l'altro evidenziando come le doglianze di cui al secondo motivo, per quanto appunto già argomentato nella memoria conclusiva o violano il principio del "ne bis in idem" (pretendendo che l'aggiudicazione sarebbe illegittima per contestazioni già sollevate nel giudizio concluso con la sentenza n. 4728/2023) o contrastano con l'art. 80 del d.lgs 50/2016 e con il principio di tassatività delle cause di esclusione nella parte in cui pretendono di imporre un effetto escludente per i tempi in cui svolge la procedura di approvazione del concordato in corso presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere o per le modalità supposte nel concordato medesimo, quali l'ipotizzata cessione di azienda, modalità e tempi che non rientrano in alcuna delle cause di esclusione previste dall'art. 80 del Codice dei contratti, di cui al D.lgs. 50/2016. Alla pubblica udienza del 8 maggio 2024, uditi i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.-E' materia del contendere la legittimità del provvedimento del 28 novembre 2023 con cui il Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia e la Emilia Romagna ha confermato relativamente all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì - 1° Stralcio" l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 6.9.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto al RTI tra Ri. Co. spa e De. Im. s.r.l. risultato primo in graduatoria. Lamentano le ricorrenti quali imprese del raggruppamento temporaneo capeggiato dal Consorzio Stabile Re. oltre l'insufficiente motivazione del provvedimento impugnato in relazione alle circostanze sopravvenute, il mancato esame da parte della stazione appaltante della situazione attuale della mandante Ri. Co. s.p.a. asseritamente priva dei requisiti generali e speciali per risultare nuovamente aggiudicataria dei lavori di che trattasi. 2.- Preliminarmente va esaminata l'eccezione di inammissibilità del gravame sollevata da Ri. Co.. Diversamente da quanto argomentato dalla controinteressata, con il ricorso in esame le ricorrenti hanno dedotto vizi almeno in parte del tutto nuovi ed autonomi nei confronti dell'aggiudicazione confermativa intervenuta il 28 novembre 2023, sostenendo la carenza in capo a Ri. dei requisiti ex art. 80 d.lgs. 50/2016 in relazione alla perdurante pendenza della procedura di approvazione del concordato con continuità aziendale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e dell'ipotizzata cessione del ramo di azienda. Tanto basta, ad avviso del Collegio, per superare l'eccezione e ritener per ciò ammissibile il ricorso vertente quanto meno parzialmente su profili di legittimità sopravvenuti al giudicato riguardanti provvedimento di conferma propria in quanto preceduto da una rinnovata valutazione istruttoria da parte dell'Amministrazione, secondo il consolidato criterio distintivo tra conferma propria ed impropria tracciato dalla giurisprudenza (ex plurimis T.A.R. Lombardia Milano sez. II, 29 settembre 2022, n. 2126). 3.- Sono invece inammissibili per violazione del principio del "ne bis in idem" come eccepito da De. Im. s.r.l. le doglianze di cui al secondo motivo di gravame con cui parte ricorrente di fatto pretende di riproporre censure in realtà già sollevate nel giudizio concluso con la sentenza n. 4728 del 2023. Il giudicato ha infatti come visto già ampiamente rilevato come benchè di norma l'autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica debba intervenire entro il momento dell'aggiudicazione, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un'autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante, senza possibilità per il g.a. di compiere tale valutazione per il divieto di cui all'art. 34 co. 2 c.p.a. inerente i poteri autoritativi non esercitati. Con la sentenza n. 4728/2023 il Consiglio di Stato ha anche escluso la violazione dell'obbligo di buona fede da parte dell'aggiudicataria la quale ha correttamente informato la stazione appaltante degli sviluppi della procedura concorsuale. Costituisce "ius receptum" in relazione al processo amministrativo che, ai sensi degli artt. 2929 c.c. e 324 c.p.c., la regola del "ne bis in idem" presuppone l'identità nei due giudizi delle parti in causa e degli elementi identificativi dell'azione proposta e quindi che in quei giudizi sia chiesto l'annullamento degli stessi provvedimenti, o di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità in quanto inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di impugnazione (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 10 maggio 2021 n. 3618; Id. sez. IV, 23 giugno 2015, n. 3158; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 3 gennaio 2022, n. 4) 4.- Venendo al merito il terzo motivo di gravame, per quanto argomentato, non merita condivisione. 4.1.- Ai sensi dell'art. 80 co. 5 lett b) del d.lgs. n. 50/ 2016 "pro tempore" applicabile "Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni"...omissis..... " l'operatore economico sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o sia in corso nei suoi confronti un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall'articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza adottato in attuazione della delega di cui all'articolo 1 della legge 19 ottobre 2017, n. 155 e dall'articolo 110". La suindicata norma va dunque coordinata con il richiamato art. 110 del Codice del 2016 ai sensi del quale l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale su autorizzazione del giudice delegato anche senza la necessità di avvalersi di requisiti di altro soggetto può partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori forniture e servizi. Va poi evidenziato che il concordato con continuità aziendale introdotto dall'art. 186 bis R.D. 16 marzo 1942 n. 267 diversamente da quello "ordinario" prevede la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore e la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento in una o più società (Anac Determinazione 23 aprile 2014, n. 3; Cassazione civile sez. I, 16 giugno 2023, n. 17273) Ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento di pubbliche commesse, l'impresa che si trovi in concordato preventivo con continuità aziendale, necessita di autorizzazione del giudice per tutto il periodo compreso tra la presentazione della domanda di accesso al concordato e fino all'omologazione del concordato medesimo, ma non successivamente all'intervenuta omologa: dopo di essa infatti, salvo che non intervengano la risoluzione o l'annullamento del concordato, viene meno l'esigenza dell'autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione, così come non occorre che la partecipazione sia accompagnata dal deposito della relazione di un professionista indipendente attestante la capacità dell'impresa di adempiere al contratto (T.A.R. Toscana sez. III, 20 marzo 2023, n. 286). Una volta ottenuta l'autorizzazione giudiziale - che come chiarito dall'Adunanza Plenaria può intervenire per quanto riguarda le procedure di affidamento soggette all'applicazione del d.lgs. 50/2016 anche successivamente all'aggiudicazione e prima della stipulazione del contratto ove la stazione appaltante dia conto in motivazione delle ragioni di pubblico interesse - la perdurante pendenza della procedura di concordato non è motivo di esclusione contemplato dall'art. 80 co. 5 lett. b) del citato decreto. 4.2.- Come noto per giurisprudenza pacifica le cause di esclusione devono ritenersi di stretta interpretazione e l'eventuale incertezza interpretativa va risolta nel senso di assicurare la più ampia partecipazione dei concorrenti, in omaggio al principio eurounitario del "favor partecipationis"(ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 14 marzo 2016, n. 1015; id., sez. V, 17 marzo 2015, n. 1375.) Nel caso di specie le ricorrenti come visto individuano quale causa di esclusione l'art. 80 co. 5 lett. b) d.lgs. 50/2016 requisito di cui la mandante Ri. Co. del RTI aggiudicatario sarebbe privo. Ma diversamente da quanto prospettato dalla difesa di parte ricorrente non risulta provata l'apertura di un procedimento di liquidazione a carico della mandante Ri. Co. non essendo sufficiente in tal senso la nota depositata e firmata dalla stessa (doc. n. 2) tenuto sempre conto la mera pendenza di una istanza di fallimento o di liquidazione giudiziale non è causa di esclusione dalla gara (C.G.A.S. 24 aprile 2015, n. 363). Giova invece rilevare come ai sensi dell'art. 94 co. 5 lett. d) del d.lgs. n. 36/2023 - non applicabile "ratione temporis" alla procedura di che trattasi - costituisce causa di esclusione automatica la sottoposizione dell'operatore economico a procedura di liquidazione giudiziale e di concordato preventivo in difetto di autorizzazione preventiva "entro la data dell'aggiudicazione" e sempre che "non intervengano ulteriori circostanze escludenti relative alle procedure concorsuali". 4.3.- Non ignora il Collegio come in tale ambito le perplessità avanzate dalle ricorrenti in merito alla concreta possibilità per il raggruppamento aggiudicatario di procedere all'esecuzione dei lavori contrattuali possano avere consistenza, venendo però in rilievo una ragione valevole sul piano dell'opportunità, non sindacabile dall'adito Tribunale al di fuori delle tassative fattispecie di giurisdizione estesa al merito, e non su quello della legittimità in assenza di una corrispondente causa di esclusione tra quelle delineate dalla fonte normativa primaria ratione temporis applicabile alla fattispecie. Nel concordato con continuità aziendale di cui all'art. 186 bis L.F. d'altronde diversamente dal concordato "ordinario" l'obiettivo legislativo del recupero della stabilità aziendale può essere perseguito proprio con la cessione dell'azienda in esercizio (ex multis Cassazione civile sez. I, 5 aprile 2022, n. 10988). Infine non da ultimo trascura parte ricorrente che l'esecuzione del contratto potrebbe essere pur sempre assicurata, se del caso, anche con modifiche meramente interne al raggruppamento ovvero tramite l'apporto della mandataria De. Im. (ex multis Consiglio di Stato Ad. plen., 27 maggio 2021, n. 9). 5.- Il primo motivo di gravame, infine, non merita ugualmente adesione. Trascura parte ricorrente che per giurisprudenza del tutto pacifica la valutazione circa la ricorrenza delle cause facoltative di esclusione dalle gare pubbliche rientra nell'ambito della ampia discrezionalità della P.A. ed è sindacabile solo in caso di manifesta pretestuosità e ai soli fini di un eventuale riesame da parte della stessa P.A. (ex plurimis, Consiglio di Stato, A.P. n. 16/2020; Id. sez. V, 18 ottobre 2022, n. 8864; Id. sez. III, 10 febbraio 2021, n. 1248; id. n. 505/2021; Id, sez. IV, 8 ottobre 2020, n. 5967) e che al contempo l'atto di ammissione (a differenza dell'esclusione) è motivabile "per relationem" ove correlato alle deduzioni del concorrente stesso (ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 22 novembre 2023, n. 2762; Consiglio di Stato sez. IV, 10 novembre 2021, n. 7501). Nella fattispecie la stazione appaltante previo parere dell'Avvocatura dello Stato e richiamata la più volte citata sentenza n. 4728/2023 del Consiglio di Stato ha non irragionevolmente escluso la sussistenza di ragioni ostative alla conferma dell'aggiudicazione, nell'ambito di una valutazione discrezionale di sua spettanza. 6.- Alla luce delle suesposte argomentazioni il ricorso è in parte inammissibile ed in parte infondato. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite attesa l'obiettiva complessità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna Bologna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile ed in parte lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Carpentieri - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere Paolo Amovilli - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 353 del 2023, proposto da El. Za., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ar. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Emilia-Romagna, Provincia di Reggio Emilia, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - dell''atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 con oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell''art. 14 comma 6 LR 15/2013"; - della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Paola Pozzani, nessuno presente per le parti come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 recante in oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell'art. 14 comma 6 LR 15/2013", e dell'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 80 del 27.10.2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio il 28 dicembre 2023, ha speso le proprie difese con memoria del 18 gennaio 2024 ed ha depositato memoria ex art. 73 C.p.a. il 4 aprile 2024. La ricorrente ha precisato la propria posizione con memoria depositata in giudizio il 19 aprile 2024. Entrambe le parti hanno depositato copiosa documentazione. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La ricorrente, proprietaria, in (omissis) (RE), via (omissis), di un edificio residenziale in zona agricola, rappresenta che presentava al Comune di (omissis), in data 8.7.2023, prot. n. 8753, una s.c.i.a. in sanatoria avente ad oggetto la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina, del relativo locale tecnico, della pavimentazione perimetrale, di un piccolo fabbricato in legno ad uso spogliatoio e di una tettoia; ricevuti i documenti ed i chiarimenti richiesti, il Comune di (omissis), con atto 11.10.2023 prot. n. 13122 della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio, comunicava alla ricorrente l'inefficacia della s.c.i.a., "verificata l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP; verificata la non applicabilità dell'art. 4.1.3. comma 6 del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq. di SU". Faceva seguito l'ordinanza 27.10.2023 n. 80, con la quale l'Amministrazione comunale ha disposto la demolizione delle opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria ed anche di una recinzione, accertando, altresì, la sussistenza di una lottizzazione abusiva: "...Confermando quanto relazionato dalla comunicazione di inefficacia trasmessa dal Comune di (omissis) con Prot. n. 13122 del 11.10.2023 si precisa che dagli atti trasmessi risulta quanto segue: 1. Accertata difformità urbanistica ed edilizia sul mappale (omissis) (ex (omissis)) ad uso piscina e manufatti diversi (spogliatoio e wc, locale tecnico, tettoia); le dimensioni della difformità riguardano la piscina di mq. 132,92 di superficie, uno spogliatoio e wc di mq. 8,00, un locale tecnico di mq. 12,00 e una tettoia di mq. 35,02; 2. Accertata difformità urbanistica ed edilizia di muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis); 3. Accertata difformità urbanistica ed edilizia della pavimentazione realizzata sul mappale (omissis); 4. I succitati lavori di esecuzione dei manufatti e della recinzione risultano terminati da tempo, a maggio 2019, come da dichiarazione allegata alla scia 2023/041/S; 5. Accertata difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis) Pratica n. RE0065467 in atti dal 11.5.2023 Protocollo NSD n. ENTRATE.AGEV-STI.REGISTRO UFFICIALE.20433-58.11/05/2023 presentato il 11.5.2023 (n. 65467.1/2023)". Con il primo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" la ricorrente evidenzia, con riguardo alle opere di cui alla s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023, che l'art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, nel prevedere l'accertamento di conformità, mediante s.c.i.a. in sanatoria, degli interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, non detta alcuna disposizione volta a disciplinare il relativo procedimento e prospetta che in materia sussistano due orientamenti giurisprudenziali, l'uno rivolto a riconoscere l'applicabilità dell'istituto del silenzio assenso, l'altro a negarla. In particolare la difesa attorea si riferisce, quanto al primo, alle pronunce che affermano che "la s.c.i.a. in sanatoria, presentata ex art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001, si presta a rendere operanti le correlate prescrizioni di cui all'art. 19 e ss., legge n. 241 del 1990, in materia di silenzio assenso, dovendo essere ragionevolmente riconosciuto a tale segnalazione carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità dei fatti attestati e a produrre, con l'inutile decorso del tempo per l'emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una diversa volontà delle parti, ossia l'avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria... Di talché, non essendo intervenuto alcun motivato provvedimento inibitorio allo spirare del trentesimo giorno dalla segnalazione, il titolo in sanatoria deve essere considerato esistente...". (facendo riferimento a T.A.R. Campania, Salerno, 24.3.2022 n. 809; T.A.R. Campania, Napoli, 9.12.2019 n. 5789; T.A.R. Lazio, Roma, 9.1.2018 n. 156; T.A.R. Calabria 29.5.2019 n. 1085; Cons. Stato, Sez. V, 31.3.2014 n. 1534). Nel caso di specie, tale silenzio significativo si sarebbe formato in quanto il Comune di (omissis), a seguito della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria in data 8.7.2023, ha chiesto tempestivamente alla ricorrente, in data 7.8.2023, prima della scadenza del termine di 30 giorni, chiarimenti e determinata documentazione e, ottenute, in data 6.9.2023, le precisazioni richieste, l'Amministrazione comunale si è pronunciata con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dal ricevimento delle integrazioni e, pertanto, quando il titolo edilizio in sanatoria sarebbe ormai venuto ad esistenza. Parte attrice da atto che un diverso orientamento qualifica la fattispecie come silenzio rigetto (facendo riferimento a T.A.R. Lombardia, Milano, 21.3.2017 n. 676) o come silenzio inadempimento (in riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20.2.2023 n. 1708), ma ne contesta il fondamento poiché la prima declinazione ermeneutica replicherebbe la disciplina dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, precisando che nelle relative sentenze si farebbe riferimento anche al termine di 60 giorni previsto dall'art. 36, comma 3, quando, invece, il legislatore avrebbe tenuto ben distinte le fattispecie, prevedendo: - la disciplina dell'art. 36 per i casi di "interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio di attività nelle sole ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformità da essa"; - la disciplina di cui all'art. 37 per la diversa fattispecie riguardante "la realizzazione di interventi di cui all'art. 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla s.c.i.a.", senza operare alcun riferimento, neppure indirettamente, all'art. 36 né prevedere che il mancato, tempestivo, pronunciamento della Amministrazione sia da qualificarsi come silenzio rigetto. Quanto alla seconda declinazione interpretativa dell'orientamento in disamina, la difesa attorea sottolinea che sarebbe stato affermato (in riferimento a Cons. Stato, n. 1708/2023 cit.) che "il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento" in considerazione del fatto che "dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio": sul punto la ricorrente sottolinea che nella impossibilità, sulla base di detta impostazione, di far riferimento, per il pronunciamento dell'Amministrazione comunale, ad alcun termine determinato - non al termine dell'art. 19 della L. n. 241/1990, la cui inosservanza comporterebbe il silenzio assenso, non al termine di cui all'art. 36, la cui inosservanza è qualificata come silenzio rigetto, e neppure al termine previsto in via generale dall'art. 2, comma 2, della L. n. 241/1990, atteso che, sulla base della giurisprudenza citata, 30 giorni non sarebbero sufficienti per accertare la duplice conformità urbanistica di un'opera abusiva - verrebbe a determinarsi una situazione di assoluta incertezza, non essendo dato comprendere quando possa configurarsi l'inadempimento, così da consentire all'interessato di attivarsi giudizialmente per contrastare l'inerzia della Amministrazione. Né tale tesi sarebbe percorribile, ad avviso del patrocinio attoreo, sulla scorta del fatto che, in caso di esito favorevole, il quantum della somma da corrispondersi a titolo di oblazione debba essere determinato dal responsabile del procedimento medesimo, poiché non sussisterebbe alcuna preclusione a che la somma dovuta venga determinata in un momento successivo alla formazione, per decorso del termine di 30 giorni, del titolo edilizio in sanatoria: tale tesi sarebbe ancora meno spendibile con riferimento al caso di specie, avuto riguardo alla normativa regionale di riferimento. La ricorrente fa riferimento all'art. 17, comma 3, della L. Reg. 21.10.2004 n. 23 laddove prevede per le nuove costruzioni il pagamento di un importo a titolo di oblazione predeterminato dalla stessa norma, commisurato "al contributo di costruzione in misura doppia ovvero, in caso di esonero, in misura pari a quella prevista dalla normativa regionale e comunale, e comunque per un ammontare non inferiore a 2.000 euro": pertanto, assume la difesa attorea, l'intervento del responsabile del procedimento, nel caso considerato, non sarebbe a rigore necessario e il modulo relativo alla s.c.i.a. in sanatoria prevede che l'importo della oblazione sia indicato dal privato e preventivamente versato. L'esponente contesta l'impostazione della decisione del Consiglio di Stato n. 1708/2023 laddove si legge, altresì, che il silenzio inadempimento è soluzione che "appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio", poiché la disciplina di cui all'art. 19 della L. n. 241/1990 non esclude una valutazione espressa della Amministrazione, prevedendo anzi, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti prescritti, l'adozione di "motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa". Inoltre, aggiunge parte attrice, la s.c.i.a. in sanatoria ha per oggetto opere di minore impatto e rilevanza, per le quali l'accertamento della doppia conformità rispetto alla disciplina urbanistico - edilizia può essere adeguatamente effettuato nel termine di 30 giorni previsto dalla legge, tenuto conto anche del fatto che il termine in questione è suscettibile di essere interrotto per chiarimenti e integrazioni, per poi, una volta ottenuto quanto richiesto, riprendere nuovamente il suo corso. In conclusione, la difesa attorea prospetta che la comunicazione di cui all'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, in quanto pervenuta oltre il termine di 30 giorni dall'inoltro delle integrazioni richieste dall'Amministrazione comunale, sarebbe da ritenersi, sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale che ritiene preferibile, priva di efficacia, come previsto anche dall'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 (in riferimento al comma 8-ter) che il Comune di (omissis), a dimostrazione della ritenuta applicabilità della norma in questione anche nel caso di specie, avrebbe richiamato espressamente in detta comunicazione: il titolo edilizio in sanatoria sarebbe, pertanto, venuto ad esistenza e l'inefficacia dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 si riverberebbe sulla ordinanza 27.10.2023 n. 80, determinandone l'illegittimità per vizio derivato ed anche per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, difettando il presupposto per ordinare il ripristino dello stato dei luoghi, costituito dalla abusività delle opere considerate. Nella memoria finale la difesa attorea aggiunge che la tesi volta ad escludere la possibile formazione del silenzio assenso sulla s.c.i.a. in sanatoria confliggerebbe anche con quanto previsto dal D.Lgs. 25.11.2016 n. 222 ("Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124") sottolineando che l'art. 2 del D.Lgs. citato sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990": la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" indica la "S.c.i.a. in sanatoria" prospettando, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria è da considerarsi soggetta al regime del silenzio assenso, secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Con il secondo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Violazione dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione degli artt. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. del Comune di (omissis). Eccesso di potere per travisamento. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" parte ricorrente ritiene che nel caso di specie sussista il presupposto della doppia conformità posto che, a differenza di quanto ritenuto dal Comune di (omissis), le opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023 sarebbero conformi alla disciplina urbanistico - edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia alla data di presentazione di detta segnalazione: precisa, infatti, che si tratterebbe della medesima disciplina, atteso che le opere di cui trattasi sono state realizzate nel maggio del 2019 e il vigente R.U.E. del Comune di (omissis) è stato approvato con delibera di C.C. 21.12.2011 n. 72. La determinazione del Comune sarebbe erronea nel ritenere non sanabili le opere ridette, adducendo "l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP" ed anche la "non applicabilità dell'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" poiché la s.c.i.a. in sanatoria di cui si discute riguarda la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina e delle relative strutture accessorie costituite dal locale tecnico ove sono alloggiati gli impianti della piscina, da uno spogliatoio in legno, da una tettoia a bordo piscina per la sosta e il riparo delle persone e dalla pavimentazione perimetrale alla piscina: le opere descritte - prospetta l'esponente - sarebbero state realizzate in stretta contiguità spaziale rispetto all'attiguo edificio abitativo (la piscina è posta di fronte a detto edificio, alla distanza di una ventina di metri), per il quale, con autorizzazione edilizia 7.1.2000 n. 47/99/A, è stato assentito il mutamento di destinazione d'uso da fabbricato rurale a edificio residenziale. A sostegno della pertinenzialità la ricorrente adduce che la Regione Emilia-Romagna, con nota 24.6.2020 n. PG/2020/463171 del Servizio giuridico del territorio, disciplina dell'edilizia, sicurezza e legalità (in actis al documento n. 8), ha precisato che costituisce pertinenza dell'edificio residenziale la piscina posta a servizio dell'edificio medesimo, "con dimensioni non superiori al 20% del volume dell'edificio principale, che non ha una potenziale autonoma utilizzazione economica" e, come si evincerebbe dalla relazione tecnica del Geom. Al. Be. del 5.12.2003 (in actis al documento n. 9), la piscina di cui trattasi ha un volume di 152 mc. inferiore al 20% del volume del fabbricato principale, pari a 1462,27 mc. (1462,27mc x 20% = 292,45 mc.). Inoltre, aggiunge la ricorrente, la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonoma utilizzazione economica, considerato che la stessa, come risulterebbe dalla relazione succitata, ha le dimensioni di una piscina ad uso privato destinata a soddisfare le esigenze delle persone residenti nell'edificio abitativo, risultando, altresì, strettamente connessa all'edificio medesimo non solo per la sua ubicazione, ma anche per il fatto che la piscina è dotata di impianti derivanti dalla abitazione ridetta, sia per l'adduzione idrica, sia per l'energia elettrica: la pertinenzialità sarebbe implicitamente - ad avviso della difesa attorea - riconosciuta dallo stesso Comune di (omissis) che nulla avrebbe eccepito in ordine al fatto che, per la sua sanatoria, sia stata presentata una s.c.i.a. Inoltre, sottolinea la esponente, il riferimento operato dal Comune di (omissis), con l'atto impugnato, alla assenza di titolo per intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E., non sarebbe corretto trattandosi di pertinenza di un edificio residenziale, e avrebbe, perciò, titolo per intervenire il proprietario dell'edificio medesimo, ancorché privo della qualifica di imprenditore agricolo. A sostegno della tesi, la ricorrente evidenzia che l'art. 4.1.3. del R.U.E. del Comune di (omissis) prevede la possibilità di ottenere il mutamento di destinazione d'uso degli edifici rurali in edifici residenziali, così che, una volta assentito detto mutamento, deve ritenersi consentita, per il proprietario, la realizzazione di opere pertinenziali dell'edificio principale: questa prospettazione sarebbe confermata dalla giurisprudenza, essendosi ritenuta legittima la realizzazione, in ragione del riconosciuto carattere pertinenziale, di una piscina di dimensioni contenute a corredo di un edificio a destinazione residenziale sito in zona agricola (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. V, 16.4.2014 n. 1951; idem, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Puglia, Lecce, 1.6.2018 n. 931; idem, 14.1.2019 n. 40; T.A.R. Liguria 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Sicilia, Palermo, 13.2.2015 n. 441). Sarebbero, così, suscettibili di sanatoria anche il locale tecnico, lo spogliatoio in legno, la tettoia e la pavimentazione perimetrale, trattandosi di elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina (citando con riferimento al locale tecnico, Cons. Stato, n. 1951/2014), insuscettibili, per le loro dimensioni contenute, di alterare in modo significativo l'assetto del territorio. Quanto al fatto che il Comune di (omissis), con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, ha addotto altresì, che, nel caso di specie, non sarebbe applicabile l'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. "in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" la difesa attorea ne contesta l'assunto in quanto la disposizione medesima disciplinerebbe l'ampliamento delle unità edilizie abitative e delle superfici accessorie esistenti, senza escludere la possibilità di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: nel caso in esame, detto limite, come sarebbe evidenziato nella relazione sopra del Geom. Be., sarebbe stato rispettato anche considerando i locali accessori (spogliatoio e locale tecnico), mentre la tettoia non sarebbe computabile a fini volumetrici, essendo aperta su tutti i lati. Aggiunge l'esponente che il locale spogliatoio e il locale tecnico hanno, rispettivamente, una volumetria di 17,78 mc. e di 27 mc. che sommata al volume della piscina (152 mc.) porta ad una volumetria complessiva di 196,78 mc., inferiore al 20% del volume del fabbricato principale (292,45 mc.) concludendo che le opere oggetto di sanatoria sarebbero da considerarsi conformi alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento e, così, suscettibili di sanatoria. Con il terzo motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23, nonchè per eccesso di potere per travisamento sotto altro profilo" la ricorrente lamenta che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha disposto la demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", ma la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, per alcune difformità riguardanti l'edificio principale e anche la recinzione anzidetta: su tale s.c.i.a. l'Amministrazione comunale non si sarebbe ancora pronunciata, avendo chiesto integrazioni, da ultimo, con nota 26.9.2023 prot. n. 12395, alla quale ha fatto seguito, in data 26.10.2023, la trasmissione delle integrazioni richieste; anche in tale caso si sarebbe formato il silenzio assenso, dovendosi, così, escludere la possibilità di ordinare la demolizione dell'opera medesima. Inoltre, l'ordinanza 27.10.2023 n. 80 oggetto di gravame sarebbe da considerarsi illegittima anche nell'ipotesi in cui il procedimento di sanatoria dovesse considerarsi ancora pendente poiché per giurisprudenza consolidata - prospetta la difesa attorea - è "illegittima l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive emessa in pendenza della già avvenuta presentazione di una domanda in sanatoria; questo in quanto nelle more della definizione di tali domande i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi" (citando Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.2021 n. 7448). I Con il quarto motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione e falsa applicazione dell'art. 30 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380 e dell'art. 12 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Eccesso di potere sotto i profili della illogicità e del travisamento sotto ulteriore profilo" evidenzia l'esponente che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha contestato anche una "difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis)", la quale nel caso di specie non sussisterebbe. La difesa attorea sottolinea che la lottizzazione c.d. "cartolare", come espressamente sancito dall'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 12 della L. Reg. n. 23/2004, è ravvisabile allorquando la trasformazione del suolo sia predisposta "mediante il frazionamento e la vendita, ovvero mediante atti negoziali equivalenti, del terreno frazionato in lotti", i quali, per le loro oggettive caratteristiche - con riguardo soprattutto alla dimensione correlata alla natura dei terreni ed alla destinazione degli appezzamenti considerata sulla base degli strumenti urbanistici, al numero, all'ubicazione o all'eventuale previsione di opere di urbanizzazione - rivelino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio degli atti adottati dalle parti (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3215, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4429, Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937). Nel caso di specie, precisa il patrocinio della ricorrente, mancherebbe il presupposto fondamentale per la sussistenza di una lottizzazione "cartolare", atteso che al frazionamento dell'originario mappale n. (omissis) non ha fatto seguito alcuna vendita del terreno frazionato, vendita che non sarebbe configurabile, considerato che la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonomo sfruttamento economico: il frazionamento di cui trattasi è stato effettuato in data 16.5.2023, dandone comunicazione anche al Comune di (omissis) (con riferimento al documento n. 13 in actis), in funzione della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria riguardante la piscina, al fine di distinguere catastalmente la piscina medesima dalla restante area di proprietà, in cui era presente un magazzino, anch'esso realizzato in assenza di titolo edilizio, per il quale è stata presentata dalla ricorrente, in data 7.7.2023, prot. n. 8752, una c.i.l.a. ai fini della sua demolizione. Pertanto, conclude sul punto l'esponente, ancorché l'Amministrazione comunale, con l'atto impugnato, pare essersi riferita esclusivamente alla lottizzazione c.d. "cartolare", sarebbe da escludersi che possano configurarsi anche la lottizzazione "materiale" e la lottizzazione c.d. mista, caratterizzata, quest'ultima, dalla compresenza delle attività negoziali e delle attività materiali volte alla edificazione del terreno dovendosi, in base alla giurisprudenza, considerare che la fattispecie lottizzatoria nella veste "materiale" implica la realizzazione di "opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest'ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori; siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all'amministrazione" (citando Cons. stato, Sez. VI, 4.11.2019 n. 7530): deve, pertanto, trattarsi di una radicale trasformazione del suolo a fini edificatori che non può riscontrarsi, a prescindere dalla dimostrata legittimità dell'intervento, nella realizzazione di una piscina a servizio di un edificio residenziale in zona agricola, non comportando tale opera, tra l'altro, alcun aggravio del carico urbanistico (rinviando a Cons. Stato, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142). Il Comune resistente precisa in fatto che la ricorrente è proprietaria di un complesso immobiliare sito in via (omissis) a (omissis) (RE), che consta di un'abitazione principale (già fabbricato rurale, oggi edificio residenziale) e di un'ampia porzione di terreno agricolo, compendio su cui - nel corso degli anni - sono stati fatti diversi interventi di trasformazione edilizia in assenza di valido titolo. In particolare, in data 28.04.2023 la ricorrente depositava presso il Comune di (omissis) la comunicazione di avvenuto frazionamento dell'ex mappale (omissis) nei nuovi mappali (omissis) e (omissis), frazionamento che era stato presentato all'Agenzia delle Entrate - Ufficio Provinciale di Reggio Emilia - in data 18.04.2023; sul mappale (omissis), secondo la difesa dell'Ente, sono stati commessi svariati abusi edilizi, che - di fatto - lo caratterizzano in modo del tutto differente rispetto al mappale (omissis), sul quale pure sono stati commessi abusi edilizi che la ricorrente ha dichiarato di voler demolire con CILA presentata al Comune in data 08.07.2023, prot. n. 8752, ripristinando in tal modo l'originaria connotazione agricola del terreno (con riferimento ai documenti nn 3, 4, 5, 6, 7 e 8 in actis). Inoltre, prosegue l'Amministrazione, al fine di sanare le opere abusive non rimosse con la CILA di cui sopra, la ricorrente presentava al Comune due distinte pratiche di Segnalazione Certificata di Inizio Attività : la n. 2023/029/S, acquisita con prot. n. 5985 del 12.05.2023, relativa alla sanatoria di opere eseguite su edificio residenziale e sulla recinzione esterna dell'area cortiliva (immobile identificato catastalmente al foglio 20, mappale 205) e la n. 2023/041/S, acquisita con prot. n. 8753 del 08.07.2023, relativa alla sanatoria di una piscina - di oltre 112 mq. di superficie - e di manufatti annessi (su terreno agricolo, identificato catastalmente al foglio 20, mappale (omissis)). Quindi, sottolinea l'Amministrazione, emerge che le opere realizzate sul mappale (omissis) (piscina, tettoia, pavimentazione, locali tecnici, spogliatoio, recinzioni perimetrali alla piscina) sono dalla ricorrente medesima qualificate come "pertinenze" dell'edificio residenziale di cui al mappale 205, ma non sono state inserite nella stessa comunicazione di SCIA in sanatoria. Il Comune resistente aggiunge che dalla relazione fotografica e dagli elaborati grafici allegati alla SCIA prot. 8753, peraltro, si evince che gli interventi abusivamente realizzati sul mappale (omissis) hanno determinato la creazione di un autonomo lotto, con piscina e locali accessori, oltre ad una tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo (di oltre 35 mq. di superficie coperta), lotto del tutto indipendente rispetto all'abitazione principale, al punto che da questa è separata da due cancelli e da uno stradello carrabile (rinviando ai documenti nn. 20 e 21 in actis): ciò comporterebbe che gli abusi edilizi e i frazionamenti dei mappali catastali hanno determinato la creazione di tre distinti lotti all'interno della proprietà della ricorrente, tutti serviti da uno stradello privato interno: uno con abitazione a area cortiliva di pertinenza, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale 205), uno con piscina, zona relax, tettoia con zona pranzo-cucina e locali accessori, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale (omissis)) ed uno che - a seguito della demolizione dei fabbricati abusivi che vi insistono - riacquisterà la sua originaria natura di terreno agricolo (mappale (omissis)). Inoltre, le due SCIA menzionate hanno avuto una sorte tra loro differente: - la n. 2023/029/S, prot. n. 5985, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale 205, dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata accettata dal Comune con atto prot. n. 602/2024; - la n. 2023/041/S, prot. n. 8753, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale (omissis), dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata dichiarata inefficace dal Comune con atto prot. n. 13122 del 11.10.2023. Quest'ultima, oggetto di impugnazione, è stata dal Comune motivata con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti (rinviando all'estratto del PSC di cui al documento n. 25 ed all'estratto del RUE di cui al documento n. 26 in actis) per i seguenti motivi: - assenza di titolo ad intervenire in zona agricola, ai sensi dell'art. 4.1.1 e seguenti del RUE (in quanto intervento in zona agricola effettuato da non imprenditore agricolo - IAP); - per l'inapplicabilità dell'art. 4.1.3 comma 6 del RUE, in quanto l'intervento è stato eseguito su edificio non di recente costruzione e con ampliamento superiore ai 30 mq. di superficie (la sola tettoia sarebbe di 35,02 mq. con riferimento al documento n. 20 in actis). Con l'ordinanza impugnata il Comune ingiungeva di demolire le opere abusive, non sanabili perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (PSC e RUE) realizzate in assenza di valido titolo edilizio sul mappale (omissis), e di ripristinare lo stato dei luoghi, con precisa identificazione delle opere da demolire: piscina, spogliatoio-wc, locale tecnico, tettoia, muri perimetrali, pavimentazione esterna e recinzioni sul lato ovest, sud ed est. Sul primo motivo l'Amministrazione precisa che le tesi della ricorrente non sono condivise dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha invece affermato essere necessario un espresso pronunciamento del Comune sulla SCIA in sanatoria: "... il procedimento (relativo alla sanatoria di abusi edilizi tramite SCIA, n. d.r.) può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento. Innanzitutto, infatti, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento... Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio" (citando Cons. Stato, sez. II, 20.02.2023, n. 1708 e per una puntuale ricostruzione dell'istituto della SCIA in sanatoria riferendosi a T.A.R. Lazio Roma, sez. II-quater, 07.12.2023, n. 18386): di conseguenza, sottolinea la resistente, il procedimento avviato dalla ricorrente con la SCIA prot. n. 8753/2023 è stato correttamente concluso dal Comune con la comunicazione di inefficacia della SCIA stessa (prot. n. 13122, del 11.10.2023), atto motivato con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti. Sul secondo motivo, il Comune precisa che la nota della Regione citata dalla ricorrente si riferisce al quantum del contributo e non al concetto di pertinenzialità e che la declaratoria di inefficacia della SCIA impugnata è corretta in quanto non sussiste nel caso di specie la consistenza della misura inferiore ai 30 mq sostanziandosi l'intervento in un'opera che non sarebbe sanabile nemmeno da un imprenditore agricolo; la pertinenzialità sarebbe esclusa in quanto si tratta di un opera non contenuta ma di una piscina di 112 mq, e ai fini IMU (l'art. 1, comma 741, lett. b) della L. n. 160/2019 individua le pertinenze dell'abitazione principale nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7), e le piscine, che sono da ricomprendere ai sensi delle descrizioni contenute nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 5 del 14.03.1992 "Revisione generale della qualificazione della classificazione e del classamento del N.C.E.U." nella categoria C/4 (Fabbricati e locali per esercizi sportivi), sono escluse dal concetto di pertinenza. Inoltre, sottolinea l'Amministrazione, la giurisprudenza citata dalla ricorrente, al fine di affermare la pertinenzialità della piscina rispetto all'edificio principale, ha comunque quale presupposto per l'applicazione del regime di SCIA la circostanza che la piscina stessa sia costituita da un elemento prefabbricato e non determini modifiche al territorio, circostanze che non ricorrono nel caso de quo. Di conseguenza, controdeduce sul punto l'Amministrazione, risulterebbe irrilevante la tesi sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: non si tratterebbe di una questione di limite percentuale, ma è la natura stessa delle opere abusive che non ne consentirebbe la sanatoria tramite SCIA. Infine, conclude il Comune, l'argomento relativo all'implicito riconoscimento della piscina quale pertinenza dell'abitazione da parte del Comune stesso, che nulla avrebbe eccepito in ordine alla sanatoria dell'abuso tramite SCIA, non terrebbe conto del tenore della "comunicazione di inefficacia" della SCIA stessa, che - attraverso il richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE - implicitamente affermerebbe che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, avrebbero potuto essere realizzate solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Sul terzo motivo di ricorso il Comune di (omissis) precisa che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, Prot. n. 5985 e ciò sarebbe agevolmente rilevabile dalla tavola di raffronto tra la porzione di recinzione sanata con la SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985, segnata in viola, e la porzione di recinzione - non sanata - oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 80/2023, segnata in giallo (con riferimento al documento n. 28 in actis): sarebbero secondo la resistente, pertanto, irrilevanti le argomentazioni del ricorso relative alla "pendenza" del procedimento SCIA n. 2023/029/S poiché la eventuale pendenza del medesimo non rileverebbe, avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Sul quarto motivo di ricorso l'Amministrazione sottolinea che il frazionamento di più opere abusive censurate in via sostanziale integrerebbe una fattispecie di lottizzazione abusiva mista rinviando alla pronuncia del T.A.R. Sardegna, Sez. II, 20.03.2023, n. 194, che la descrive come categoria dogmatica "... caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dall'art. art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nell'attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso...": nel caso in esame, conclude sul punto l'Amministrazione, è stato accertato un disegno unitario, con un rilevante impatto negativo sul territorio rurale, con aggravio del relativo carico urbanistico e con pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita al Comune a garanzia del corretto uso del territorio deponendo per la correttezza della qualificazione della fattispecie come "lottizzazione abusiva". Illustrate brevemente le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che le questioni poste dalla ricorrente sugli effetti del decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in sanatoria non siano rilevanti nel caso de quo in quanto la fattispecie concreta non rientra in tale istituto di semplificazione in base ad un consolidato principio espresso dalla giurisprudenza in materia. Va premesso che l'art. 2 del D.Lgs. n. 222 del 2016, richiamato dal ricorrente, sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990", prevedendo la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" il richiamo alla "S.c.i.a. in sanatoria"; in ragione di ciò prospetta, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria sarebbe da considerarsi soggetta al regime del "silenzio assenso", secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Sul punto il Collegio rileva che il citato n. 41 della tabella A, Sez. II, si riferisce alla s.c.i.a. in sanatoria per interventi realizzati in assenza di s.c.i.a. o in difformità da essa, mentre nel caso concreto, si tratta, come sarà approfondito nel prosieguo della presente decisione, di attività esclusa dai procedimenti semplificati: la costruzione delle opere di cui è causa avrebbe necessitato il permesso di costruire e non la s.c.i.a e, perciò, nel caso di specie, è assente il presupposto stesso - previsto dalla norma - per l'applicazione della disposizione invocata con la conseguenza che alla declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. impugnata non è applicabile il regime amministrativo previsto dall'art. 19 della Legge n. 241 del 1990. Il Collegio, sul punto richiama la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 1055 del 10 aprile 2024 laddove precisa in via generale che dalla necessaria applicazione dell'istituto del permesso di costruire alla fattispecie concreta "deriva l'inapplicabilità dell'art. 19 della legge 241/1990: "L'errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della d.i.a. (oggi SCIA) poiché frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest'ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un'eventuale responsabilità amministrativa, non già la sanatoria della d.i.a. mancante di un requisito essenziale; di conseguenza, il provvedimento con cui l'Amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante d.i.a., occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all'attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento" (cfr.: T.a.r. Puglia Bari, sez. II, 20.02.2017 n. 147)". In particolare, sulla s.c.i.a. in sanatoria, la sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, n. 809 del 24 marzo 2022, ritiene che non è ricollegabile portata infirmante all'inosservanza del termine di 30 giorni ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990 quando le opere abusive esulano dal perimetro del regime abilitativo della SCIA, essendo subordinate al previo rilascio del permesso di costruire: la pronuncia precisa che a tale premessa consegue "l'assenza di effetti legittimanti ricollegabili alla SCIA in sanatoria prot. n. 67995 del 21 novembre 2019, la quale, dacché formata al di fuori del corrispondente modello legale tipico (stante l'assoggettamento dell'opera eseguita ad un più rigoroso regime abilitativo), era da considerarsi 'tamquam non esset', così da giustificare l'impugnata determinazione reiettiva senza l'operatività della preclusione temporale ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990". Quanto alla sussistenza nel caso concreto della necessità del permesso di costruire anziché dell'applicabilità degli istituti di semplificazione, vanno considerati sia gli aspetti definitori del concetto di pertinenzialità rilevante in materia sia l'orientamento ermeneutico sulla qualificazione della specifica opera abusiva, nonché la concreta consistenza dell'intervento edilizio di cui è causa. Sul concetto generale di pertinenzialità il Collegio rinvia a quanto precisato dal T.A.R. Lazio, Sez II Stralcio, n. 7463 del 16 aprile 2024, in adesione al pacifico orientamento giurisprudenziale che "assegna al concetto di "pertinenza", in campo urbanistico-edilizio, un significato più ristretto e meno ampio rispetto alla definizione civilistica di cui all'art. 817 c.c., essendo configurabili come tali "solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscono la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico, e dovendosi altresì tener conto, oltre che della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche della consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essendo il vincolo pertinenziale caratterizzato oltre che dal nesso funzionale, anche dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa" (cfr. ex multis T.A.R. Lazio, Sez. II S, 17 novembre 2023, n. 17168; T.A.R Lazio, II quater, 21 novembre 2022, n. 15371; id., 12 luglio 2022, n. 9594; 26 aprile 2021, n. 4824)". In particolare, sulle piscine l'esegesi cui intende aderire il Collegio ritiene che l'opera interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell'edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio che comporta e della non necessaria complementarità all'uso delle abitazioni poiché non riveste un'obiettiva funzione di migliore utilizzazione della res principalis, tale che in sua assenza risulterebbero impedite o sacrificate talune delle materiali possibilità di sfruttamento o godimento di quest'ultima (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, n. 993 del 24.10.2022; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 9.9.2020, n. 3730; T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, n. 800 del 30.09.2021). In coerenza con tale indirizzo interpretativo, si è di recente rilevato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 02/01/2024, n. 44) che la piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata e perciò configura una nuova costruzione, non potendo essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, atteso che, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di divertimento; in effetti, la realizzazione della piscina comporta una "durevole trasformazione del territorio" e, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede, sì che non può coincidere con la relativa nozione civilistica di pertinenza, nel presupposto che la nozione di pertinenza urbanistica è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, viceversa tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione. Nel caso di specie, una piscina di oltre 112 mq. di superficie, assistita da opere ulteriori (locali accessori e tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo di oltre 35 mq. di superficie coperta), non può essere definita come "di dimensioni contenute" incidendo, pertanto, significativamente sulla trasformazione del territorio e non riveste il carattere di intrinseca funzionalità rispetto alla res principalis sopra delineato; nel provvedimento impugnato di declaratoria di inefficacia della s.c.i.a., infatti, emerge, attraverso il riferimento all'istruttoria svolta in contraddittorio endoprocedimentale ed al richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE, sia che le opere costituiscono un ampliamento superiore ai 30 mq di SU in edificio di non recente costruzione sia che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, si sarebbero potute realizzare solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Di conseguenza, risulta inconferente la tesi attorea sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale, in quanto difetta nel caso concreto la natura stessa di opera pertinenziale. Infine, la nota della Regione Emilia-Romagna invocata a sostegno della pertinenzialità della piscina è chiaramente rivolta alla definizione della medesima esclusivamente ai fini del pagamento e alla qualificazione del contributo di costruzione e, pertanto, la relativa portata interpretativa è confinata in tale ambito: nella nota medesima, infatti, si chiarisce che la natura pertinenziale di una piscina di volume inferiore al 20% dell'abitazione principale rileva al fine di considerarla quale Superficie accessoria che non richiede il versamento della quota degli oneri di urbanizzazione (U1 e U2) ma è soggetta al solo versamento della quota relativa al costo di costruzione (QCC) da calcolarsi non sulla classificazione catastale, bensì, in relazione alla tipologia OMI, formulando un chiarimento di connotazione sostanzialmente tecnico-economica ai fini dell'imposizione della prestazione patrimoniale imposta, che risponde a presupposti diversi da quelli rilevanti nella presente sede. Quanto, poi, al locale tecnico, allo spogliatoio in legno, alla tettoia e alla pavimentazione perimetrale, che la stessa ricorrente qualifica come elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina, vale il consolidato orientamento per cui la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 11/03/2024, n. 2321). Pertanto, al regime edilizio della piscina, necessitante di un permesso di costruire, si associano evidentemente le altre opere alla stessa collegate. Sul terzo motivo di ricorso, relativo all'ordine di demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", proposto in base all'assunto attoreo secondo il quale la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, il Collegio ritiene che l'Amministrazione abbia ampiamente chiarito, con precisazioni sulle quali la difesa attorea non ha ulteriormente coltivato il motivo in disamina, che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985: pertanto, la eventuale "pendenza" di quest'ultima è irrilevante nel presente giudizio avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Il Collegio, infine, ritiene che l'esame dell'ultima doglianza possa dichiararsi assorbito in considerazione della dirimente questione esaminata, relativa all'inconfigurabilità della consistenza pertinenziale delle opere de quibus quale elemento fondante della declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente e di per sé idoneo a sorreggere il conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi. Il Collegio ritiene che, in considerazione della peculiarità della materia, le spese di lite possano essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 664 del 2019, proposto da -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati An. Si. Ed. Ba. e Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro Ente di Diritto Pubblico Parco Regionale della Valle del Lambro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pi. Fe. ed En. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. En. Ro. in Milano, Piazza (...); nei confronti del Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Corso di (...); sul ricorso numero di registro generale 1984 del 2019, proposto da -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati An. Si. Ed. Ba. e Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Corso di (...); nei confronti del Parco Regionale della Valle del Lambro, non costituito in giudizio; per l'annullamento - quanto al ricorso n. 664 del 2019: del provvedimento (prot. -OMISSIS-) recante parere ai sensi dell'art. 32 del decreto legge n. 269/2003, reso dal Parco Regionale della Valle del Lambro in data 26.02.2010 sulla istanza presentata dal dante causa delle ricorrenti per la sanatoria di opere eseguite sul fabbricato di proprietà, sito in -OMISSIS- (MB), meglio descritto in atti, nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale; - quanto al ricorso n. 1984 del 2019: del provvedimento ("Protocollo: -OMISSIS-") - avente ad oggetto "Domanda, ai sensi dell'art. 32 del D.L. 269/2003, di definizione degli illeciti edilizi N.-OMISSIS- per l'intervento in sanatoria di eliminazione locale caldaia, chiusura parziale porticato esistente per formazione taverna, realizzazione bagno di servizio in strada della -OMISSIS- n. -OMISSIS- fg. -OMISSIS- mapp. -OMISSIS-.. Diniego definitivo", emesso dal Comune di -OMISSIS- in data 25.07.2019 e notificato in pari data, sulla istanza presentata dal dante causa delle ricorrenti per la sanatoria di opere eseguite sul fabbricato di proprietà, sito in -OMISSIS- (MB), meglio descritto in atti, nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale, ivi incluso il preavviso di diniego; nonché per la condanna del Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore e dei suoi Responsabili, anche in solido tra loro, al risarcimento del danno ingiusto cagionato alle ricorrenti. Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS- e dell'Ente di Diritto Pubblico Parco Regionale della Valle del Lambro; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 maggio 2024 la dott.ssa Silvia Torraca e uditi i difensori della parte ricorrente e del Comune, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con il ricorso iscritto al N. R.G. 664/2019 -OMISSIS- e -OMISSIS-, quali proprietarie - in forza di successione mortis causa di -OMISSIS- - del fabbricato sito in -OMISSIS-, Strada delle -OMISSIS-, meglio descritto in atti, hanno impugnato il parere negativo reso in data 26.02.2010 dall'Ente Parco Regionale della Valle del Lambro ai sensi dell'art. 32 D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326) sulla istanza presentata in data 09.01.2004 dal loro dante causa ai fini del condono di opere abusive realizzate nel predetto immobile. Hanno esposto che il Comune era rimasto inerte in relazione alla suddetta istanza e che, solo a seguito di accesso agli atti dalle stesse richiesto dopo il decesso del de cuius, avevano appreso del parere negativo espresso dall'Ente Parco sin dal 2010 e mai comunicato al richiedente. Con il primo motivo di gravame le ricorrenti hanno censurato il suddetto parere in ragione: dell'asserita contraddittorietà rispetto all'autorizzazione edilizia e paesaggistica rilasciata in favore del dante causa per le opere realizzate nel medesimo immobile nel 1997 (di cui quelle successive costituivano mero ampliamento/completamento); della violazione e falsa applicazione dell'art. 32 D.L. 269/2003, non potendo le opere oggetto dell'istanza di sanatoria essere qualificate come "nuova costruzione"; del difetto di istruttoria e del travisamento dei fatti. Con il secondo motivo di ricorso sono state dedotte violazioni di natura procedimentale in relazione all'art. 32, co. 43 D.L. 269/2003 e agli artt. 2, 2-bis e 10-bis l. 241/1990. Si sono costituiti in giudizio il Parco Regionale della Valle del Lambro e il Comune di -OMISSIS-, entrambi deducendo l'inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, appuntandosi lo stesso avverso un atto endoprocedimentale, e l'infondatezza nel merito delle censure ex adverso articolate. 2. Con autonomo gravame (iscritto al N. R.G. 1984/2019) le ricorrenti hanno impugnato il successivo diniego emesso dal Comune di -OMISSIS- sull'istanza di condono edilizio sopra richiamata, chiedendone l'annullamento per i medesimi motivi già articolati avverso il parere negativo del Parco Regionale, oltre alla condanna del Comune, in persona del Sindaco e dei suoi Responsabili, anche in solido tra loro, al risarcimento dei danni cagionati. Si è costituito il solo Comune di -OMISSIS-, richiamando le difese già svolte nel giudizio contraddistinto al N. R.G. 664/2019 e deducendo l'infondatezza della domanda risarcitoria. 3. In vista dell'udienza di discussione le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 73 c.p.a. All'udienza pubblica del 29 maggio 2024 entrambi i ricorsi sono stati trattenuti in decisione. DIRITTO 1. In via preliminare il Collegio dispone d'ufficio la riunione dei ricorsi ex art. 70 c.p.a., in quanto soggettivamente ed oggettivamente connessi, poiché pendenti tra le stesse parti e vertenti, rispettivamente, su un atto endoprocedimentale e sul provvedimento conclusivo del medesimo procedimento, dei quali è stato chiesto l'annullamento per identici motivi. 2. Ciò premesso, deve in primo luogo essere dichiarata l'inammissibilità per carenza di interesse del ricorso iscritto al N. R.G. 664/2019, avendo lo stesso ad oggetto un atto di natura endoprocedimentale, come tale privo di efficacia lesiva. Come ben evidenziato da Cons. Stato, Sez. V, Sent., 10/02/2004, n. 480, infatti, "la determinazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico trova comunque origine nell'avvio di un procedimento edilizio partitamene disciplinato, anche nelle sue diverse scansioni temporali. L'atto assume una valenza esterna nella parte in cui esprime la valutazione compiuta dell'amministrazione in ordine agli interessi affidati alla sua cura. Ma la concreta lesività del provvedimento si manifesta solo nel momento in cui esso è trasposto o richiamato nell'atto finale che definisce la domanda di sanatoria edilizia (Cons. Stato, V Sez. 20 marzo 2000, n. 1511; Cons. Stato, VI Sez., 28 gennaio 1998, n. 114). In tal senso si pone anche una generale esigenza di tutela dell'affidamento del privato, considerando che l'atto dell'autorità titolare del potere di tutela del vincolo è denominato parere e che l'assetto di interessi complessivo riguardante la richiesta di sanatoria è sintetizzato e delineato compiutamente solo dal provvedimento dell'autorità comunale". Nel caso di specie, parte ricorrente ha impugnato il parere negativo reso dall'Ente Parco in un momento in cui il Comune non aveva ancora concluso il procedimento relativo all'istanza di sanatoria; una volta che tale procedimento è stato definito mediante l'emanazione del provvedimento di diniego dell'istanza - adottato dal Comune in data 25.07.2019 - le odierne ricorrenti hanno tempestivamente proposto autonomo ricorso avverso quest'ultimo, il quale costituisce l'unico provvedimento lesivo della loro situazione giuridica. 3. Passando all'esame del ricorso contraddistinto al N. R.G. 1984/2019, va osservato quanto segue. 3.1. Con il primo motivo si contesta la qualificazione di "nuova costruzione" assegnata alle opere oggetto della richiesta di sanatoria, con conseguente violazione dell'art. 3 D.P.R. 380/2001, e si deduce il difetto motivazionale del provvedimento impugnato, atteso che "non solo il porticato esterno dell'immobile di Via della -OMISSIS- era già stato parzialmente chiuso per ricavare dei vani tecnici (e detto intervento assentito, pur in costanza del vincolo paesaggistico), ma detta circostanza era altresì già nota alla P.A., la quale disponeva della documentazione comprovante lo stato di fatto autorizzato ed assentito". 3.2. La censura è infondata. 3.3. È pacifico che le opere abusivamente realizzate consistessero nella eliminazione del locale caldaia, nella (ulteriore) chiusura parziale del porticato (da un lato con muratura, dall'altro con basculante) ai fini della formazione di una taverna e nella realizzazione di un bagno di servizio interno. Ciò posto, non può condividersi la tesi di parte ricorrente secondo cui le suddette opere non integrerebbero una nuova costruzione, esaurendosi in un mero "ampliamento/completamento" di quelle assentite nel 1997: e ciò, in primo luogo, perché l'autorizzazione alla realizzazione di determinate opere non ne legittima automaticamente il relativo ampliamento (tanto più ove si consideri la consistenza dell'intervento de quo, che ha comportato la creazione di nuova volumetria - 38 mq - e superficie utile, ossia una trasformazione urbanisticamente rilevante dell'assetto edilizio preesistente, necessitante del previo rilascio del permesso di costruire) e, in secondo luogo -e per quanto qui maggiormente interessa- perché tale conclusione risulta inficiata nei presupposti, posto che all'epoca del rilascio della autorizzazione relativa alle prime opere (1997) non sussisteva il vincolo del Piano Territoriale di Coordinamento del Parco, approvato con deliberazione di Giunta Regionale n. 7/601 del 28 luglio 2000, rettificata con D.G.R. n. 7/6757 del 9 novembre 2001. Dirimente risulta, dunque, la circostanza che le opere di cui è controversia - essendo state ultimate in data 29 marzo 2003 - fossero assoggettate all'imposizione del predetto vincolo. Come è noto, infatti, l'art. 32, co. 27 D.L. 269/2003 cit. stabilisce che "...le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:... d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". 3.4. Ad avviso di parte ricorrente, "la sanabilità delle opere realizzate in zona vincolata è da escludere solo se si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta (divieti di edificazione o prescrizioni di inedificabilità ex art. 33 legge n. 47 del 1985) e non anche nella diversa ipotesi di vincolo di inedificabilità relativa, ovvero di vincolo di tutela suscettibile di essere rimosso mediante un giudizio ex post di compatibilità delle opere da sanare da parte della competente autorità (ad es. cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 696 del 4.5.1995). Sul punto, si ribadisce che l'area in questione è edificata, ad esempio con l'immobile delle ricorrenti, dunque non può discutersi di inedificabilità assoluta". 3.5. Tale tesi non merita condivisione. Secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (v., da ultimo, Sez. VI, 12/12/2023, n. 10697), "ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. d), del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni - e cioè che le opere siano realizzate prima dell'imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori senza aumento di superficie e volume (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo, indipendentemente dal fatto che il vincolo non sia di carattere assoluto, non può essere sanato (Cons. Stato, sez. VI, 15/11/2022, n. 9986)". Ne deriva che, a prescindere dalla natura relativa o assoluta del vincolo paesaggistico insistente sull'area, l'opera in concreto realizzata (come visto, tamponatura del porticato esistente e creazione di un bagno di servizio interno, con aumento di superficie di circa 38 mq) non era sanabile, non essendo riconducibile alle c.d. opere minori di cui ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 al D.L. 269/2003 (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). 3.6. Del pari privo di pregio è l'assunto di parte ricorrente secondo cui l'intervento di cui è causa non potrebbe qualificarsi in termini di "nuova costruzione" neppure ai sensi dell'art. 3, co. 1, lett. e.6) D.P.R. 380/2001 "atteso il modesto aumento volumetrico ricavato dalla parziale chiusura del porticato (38 mq) e quindi ben inferiore al limite del 20% condonabile". Nel caso di specie, l'intervento effettuato è consistito nella tamponatura di un originario portico, di fatto trasformandolo in un vano chiuso. Secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. da ultimo, sez. II, 1 settembre 2021, n. 6186) "l'installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati, determina, senz'altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria" (v. ex multis Cons. Stato, sez. II, 27 giugno 2019, n. 4437; sez. V, 5 maggio 2016, n. 1822). L'intervento, cioè, va riguardato dall'ottica del risultato finale, ovvero il rilevato aumento di superficie e di volumetria, sia che ciò consegua alla chiusura su tutti i lati, sia che ne implichi anche la copertura, pure con superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili. La avvenuta realizzazione di un vano aggiuntivo mediante tamponatura di un portico non può neppure qualificarsi come pertinenza in senso urbanistico, in quanto integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie". 4. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente ha censurato la violazione delle garanzie procedimentali previste dalla l. 241/1990, attesa la tardiva conclusione del procedimento (avvenuta a distanza di quindici anni dalla presentazione dell'istanza di condono) nonché l'omessa tempestiva comunicazione, da parte del Comune, del parere negativo reso ai sensi dell'art. 32 D.L. 269/2003 dal Parco Regionale della Valle del Lambro (conosciuto dalle ricorrenti solo nove anni più tardi e a seguito di istanza di accesso agli atti dalle stesse avanzata), con conseguente lesione del legittimo affidamento ingenerato nel privato. 4.1. Il motivo non è suscettibile di favorevole apprezzamento. Soccorrono sul punto le conclusioni formulate da Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9, secondo cui "la mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere "legittimo" in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata". Secondo la giurisprudenza consolidata, in particolare, i provvedimenti che sanzionano l'attività edilizia abusiva - ivi compresi i dinieghi di sanatoria - sono atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né ancora alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare, e non potendo l'interessato dolersi del fatto che l'amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi; "sicché è legittima e doverosa l'adozione del provvedimento di diniego del condono anche quando sia trascorso un lungo periodo di tempo dalla presentazione dell'istanza, senza necessità di una specifica motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse, ulteriori rispetto a quelle inerenti al ripristino della legittimità violata" (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 3 aprile 2023, n. 1103, richiamata da T.A.R. Sicilia, Catania, 30 ottobre 2023, n. 3222). Pertanto, la circostanza che il diniego del Comune sia stato emesso a distanza di ben quindici anni dalla presentazione dell'istanza di condono, non permette di radicare alcun affidamento tutelabile, né per quanto riguarda l'estensione delle categorie della sanatoria, né relativamente alla persistenza del potere di intimare la rimessione in pristino (in tal senso, T.A.R. Brescia, sez. II, 10 luglio 2023, n. 577). 5. Per tutte le ragioni sin qui esposte, il diniego di condono risulta quindi legittimamente adottato. 6. Dalla reiezione della domanda caducatoria discende, quale logico corollario, l'infondatezza della domanda risarcitoria proposta dalle ricorrenti. 7. In conclusione, il ricorso contraddistinto al N. R.G. 1984/2019 deve essere respinto. 8. Tenuto conto della risalenza della controversia nonché della peculiarità della vicenda sotto il profilo procedimentale, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i giudizi. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, previa riunione dei ricorsi indicati in epigrafe, dichiara l'inammissibilità del ricorso N. R.G. 664/2019 e respinge il ricorso N. R.G. 1984/2019. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le ricorrenti. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gabriele Nunziata - Presidente Silvia Cattaneo - Consigliere Silvia Torraca - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1856 del 2024, proposto dalla Id. soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 89103193D9, rappresentata e difesa dagli avv. ti Ro. e Fa. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ro. Pa. in Roma, via (...); contro l'Università degli Studi Roma "La Sapienza", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti della C.M. Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti An. An., An. Ru., Ma. Or. e Ma. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - delle decisioni del RUP della stazione appaltante all'esito della seduta riservata del 16 maggio 2023, riportate nel Verbale n. 8, nella parte in cui si è ritenuto che: i) il costo del lavoro indicato dalla CM Se. s.r.l. nella propria offerta economica le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi; ii) l'offerta economica stessa fosse congrua e ammissibile; - della determinazione dell'Ateneo del 2 agosto 2023 di aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se. s.r.l.; nonché per l'accertamento della circostanza per cui la CM Se. s.r.l. doveva essere esclusa dalla gara; nonché per la declaratoria dell'inefficacia del contratto d'appalto stipulato e del subentro nell'esecuzione del servizio. Visti il ricorso, la memoria e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio di Università degli Studi Roma "La Sapienza" e i relativi allegati, nonché l'atto di costituzione in giudizio e la memoria della C.M. Se. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 il dott. Massimiliano Scalise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Con l'atto introduttivo del presente giudizio, la Id. soc. coop. (di seguito anche "Id." o "ricorrente") ha impugnato gli atti sulla cui base la procedura aperta per l'affidamento dell'appalto quinquennale relativo ai servizi di pulizia delle sedi dell'Università di Roma "La Sapienza" è stata aggiudicata in favore della la C.M. Se. s.r.l. (di seguito anche "CM Se." o "controinteressata" o "aggiudicataria"). 2 - La gara europea d'appalto, per un importo a base d'asta nel quinquennio di circa euro 45 milioni, è stata aggiudicata secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base del miglior rapporto qualità /prezzo (punti 80 per l'offerta tecnica e 20 punti per l'offerta economica). A seguito delle operazioni valutative delle offerte presentate (trentacinque), è scaturita la graduatoria finale, in cui la CM Se. s.r.l. si è classificata al primo posto con punti 90,842 e la Id. si è posizionata al secondo posto, con punti 89,39. In particolare, l'aggiudicataria ha offerto un ribasso del 18,25%, avendo stimato i costi della manodopera in euro 34.990.650,04 contro gli euro 36.780.796,00 stimati dalla stazione appaltante (circa euro 1.8 milioni in meno), con un utile corrispondente a circa lo 0,47% dell'importo offerto (circa euro 175.000,00 nel quinquennio). 3 - Successivamente, hanno avuto luogo le operazioni di verifica della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, articolatesi attraverso diverse interlocuzioni e richieste di chiarimenti, e conclusesi con un giudizio positivo dell'Ateneo, che così ha concluso: "Dall'analisi complessiva della documentazione, e delle giustificazioni presentate e a seguito dell'audizione tenuta in data 09/05/2023, analizzate tutte le componenti dei costi, tenuto conto dell'offerta nella sua complessità, il RUP e la Commissione valutano congrua e sostenibile, e pertanto ammissibile, l'offerta". 4 - E' seguito il provvedimento dell'Università del 2 agosto 2023, recante la comunicazione dell'aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se., alla quale, poi, lo stesso Ateneo ha consegnato i lavori in via d'urgenza già il 1° settembre 2023, a fronte della stipula del contratto avvenuta il 2 febbraio 2024. 5 - Non appena avuta notizia dell'aggiudicazione in favore della prima classificata, la ricorrente si è attivata per conseguire l'accesso agli atti e ai verbali di gara, riuscendo a soddisfare integralmente la sua pretesa ostensiva solo a seguito di vari tentativi e della sentenza di questa Sezione n. 17209/2023. 6 - La ricorrente ha, poi, gravato gli esiti della gara, focalizzando le censure sulla pretesa inosservanza, da parte della CM Se., dei trattamenti retributivi minimi stabiliti dal CCNL del settore e sull'asserita incongruità della relativa offerta. 7 - Il ricorso è stato affidato a tre motivi: i) violazione di legge: violazione degli articoli 95, comma 10 e 97, comma 5, lettera d) del d.lgs n. 50/2016; illegittimità dell'avere la CM Se. calcolato i costi della manodopera considerando per il primo anno del servizio i livelli contrattuali minimi del periodo "07/2021-07/2022", ossia dell'anno antecedente a quello in cui il servizio avrebbe potuto iniziare a venir svolto, e per ognuno dei successivi quattro anni di servizio i livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente; eccesso di potere: difetto di istruttoria e manifesta illogicità dei giudizi del RUP, che ha ritenuto che il costo della manodopera considerato dalla CM Se. le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi e che la sua offerta economica fosse congrua; ii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, che ha ritenuto: 1) che i costi della manodopera considerati dalla CM Se. le consentissero di rispettare i minimi salariali retributivi; 2) che l'offerta economica da essa presentata fosse congrua per non essersi egli, altresì, reso conto che tale operatore economico, avendo basato il calcolo del costo della manodopera del triennio 2023/2026 utilizzando il dato percentuale INPS del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%, ha mancato di considerare gli oneri INPS obbligatoriamente da sostenersi, ammontanti in relazione alle ore di lavoro ordinario, al complessivo importo di euro 120.585,09, con inosservanza dei limiti inderogabili tabellari stabiliti dalla contrattazione collettiva; iii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, secondo cui l'offerta economica della CM Se. le consentiva di rispettare i minimi salariali retributivi ed era congrua per il fatto di non essersi accorto che, in relazione all'incidenza del dato percentuale INPS, essa ha calcolato il costo delle ore di lavoro supplementari: 1) per il triennio dal 2023 al 2026, considerando il dato percentuale del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%; 2) per tutti i cinque anni del servizio, senza ricomprendere nel calcolo medesimo la maggiorazione del 28% dovuta per tale tipo di prestazione. 8 - L'Università di Roma "La Sapienza" si è costituita in resistenza al ricorso e, con una succinta relazione, ha sostenuto l'attendibilità delle valutazioni compiute sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria. Lo stesso ha fatto la CM Servizi con un'articolata memoria, in cui ha dedotto alcuni aspetti di inammissibilità del ricorso e ne ha argomentato l'infondatezza. In particolare, ha sostenuto che: i) il margine derivante da alcune sovrastime compiute in sede d'offerta di circa euro 414.000 sarebbe idoneo ad assorbire i maggiori costi quantificati nei primi due mezzi; ii) il terzo mezzo sarebbe infondato. 9 - In vista dell'udienza, la ricorrente con puntuale memoria ha meglio articolato le proprie tesi, anche alla luce delle deduzioni della controinteressata. 10 - All'udienza pubblica del 22 maggio 2024, uditi gli avvocati come da verbale, la causa è stata assunta in decisione. 11 - In via preliminare, il Collegio deve esaminare i profili di inammissibilità del ricorso eccepiti dalla controinteressata. In particolare: i) sotto un primo versante, è stato affermato che il giudizio sulla congruità dell'offerta prima classificata sarebbe un giudizio globale e sintetico, espressione di discrezionalità tecnica, e non potrebbe risolversi in una "caccia all'errore", risultando altrimenti la relativa censura inammissibile; ii) sotto un secondo angolo di visuale, la ricorrente avrebbe omesso di contestare il merito dei verbali relativi al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta prima classificata antecedenti al verbale n. 8, nei quali sarebbero stati trattati aspetti cruciali per la valutazione della sua sostenibilità : essi sarebbero, quindi, divenuti incontestabili e risulterebbero idonei a sorreggere la legittimità valutazione finale compiuta nel verbale n. 8. Entrambi i citati profili non colgono nel segno. 11.1 - Non il primo tenuto conto che: i) la prima parte del primo e del secondo mezzo, con cui la ricorrente ha lamentato il mancato rispetto da parte dell'aggiudicataria, in sede d'offerta, dei minimi retributivi fissati dal CCNL del settore, in violazione degli artt. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, afferiscono ad una fase distinta e precedente rispetto a quella di valutazione della congruità dell'offerta: detta fase ha, infatti, esclusivo riguardo alla verifica dello scostamento oggettivo del costo della manodopera offerto rispetto ai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale, senza che siano ammesse e valutabili giustificazioni su tale aspetto; e l'eventuale scostamento è sufficiente a determinare l'esclusione dalla gara del concorrente; ii) in ogni caso, il resto del ricorso è volto a far valere aspetti di erroneità e di lacunosità nell'operato dell'Ateneo in sede di valutazione della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, di portata tale da integrare evidenti errori di fatto e palesi illogicità, pienamente sindacabili in sede giurisdizionale, quali componenti essenziali per il corretto esercizio del potere tecnico-discrezionale da parte della stazione appaltante (cfr. ex multis, Cons. St., V, n. 3854/2024). 11.2 - Le stesse conclusioni di infondatezza valgono per il secondo rilievo, ove si consideri che il fuoco dell'impugnazione si è correttamente concentrato sul verbale (il n. 8), in cui l'Ateneo ha concluso l'esame della sostenibilità dell'offerta della CM Servizi, compendiando gli esiti dell'istruttoria precedentemente condotta e documentata nei precedenti verbali (tutta l'attività pregressa è richiamata al penultimo capoverso di pag. 1 del verbale n. 8) e traendone le relative conclusioni ultimative. Nel verbale n. 8, infatti, la stazione appaltante, tirando le somme dell'attività fino a quel momento compiuta, si è espressa in modo definitivo sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria e ha concluso la sua analisi, ritenendo che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta, pur discostandosi lievemente dai livelli individuati dalle Tabelle ministeriali, risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge". Pertanto, l'impugnazione del solo verbale n. 8 non determina alcuna conseguenza in punto di inammissibilità delle censure ricorsuali, posto che esso ha richiamato tutta l'attività istruttoria (e interna) compiuta, tracciandone le conseguenze definitive in chiave valutativa. 12 - Venendo al merito, il ricorso va accolto, in quanto è fondato per quanto di ragione. 13 - Con la prima parte del primo e secondo motivo la ricorrente ha lamentato: - il contrasto con l'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016 dell'operato della CM Se., nella parte in cui ha considerato, in sede d'offerta: i) un costo della manodopera inferiore ai minimi salariali retributivi; ii) l'incidenza INPS sul costo del lavoro, tenendo conto di un'aliquota erronea e più bassa rispetto a quella di legge (il 28,44% in luogo del 29,44%); - la conseguente illegittimità dei giudizi del RUP, che non si è accorto di tale aspetto e, conseguentemente, ha mancato di escluderla. In tesi, la CM Se., per dimostrare che il costo della manodopera da essa quantificato in sede d'offerta in euro 34.990.650,04 la metteva in grado di rispettare i minimi salariali retributivi, ha spostato all'indietro di un intero anno il primo periodo/anno di svolgimento del servizio, al fine di potersi avvalere degli inferiori costi del lavoro applicabili nell'anno precedente; e tale modus procedendi è stato proiettato per l'intera durata del contratto: per ognuno dei successivi quattro anni di servizio successivi al primo, quindi, l'aggiudicataria si è attenuta ai livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente. Conseguentemente, la CM Se. avrebbe derogato in pejus i minimi salariali della contrattazione collettiva nazionale di settore, in contrasto con quanto previsto dall'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, con una sottostima nei costi di manodopera pari circa euro 430.000,00 (315.000,00 relativi alla retribuzione +120.000,00 per i minori oneri previdenziali), tali da erodere interamente l'utile dichiarato di circa euro 175.000,00. La censura così riassunta coglie nel segno per quanto di ragione. 13.1 - Va subito considerato in fatto che la CM Servizi in giudizio ha ammesso: - di non aver tenuto conto, in relazione al primo anno di esecuzione del contratto, degli aumenti retributivi scattati da luglio 2022 e di aver considerato, per i successivi quattro anni, i minimi salariali validi per l'anno precedente, senza tener conto degli aumenti stabiliti (e della relativa decorrenza) in sede di rinnovo del CCNL di settore (cfr. sul punto l'all. 22 depositato in giudizio dalla ricorrente il 22 febbraio 2024); - di aver stimato, in sede d'offerta, l'incidenza degli oneri contributivi sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio, applicando l'aliquota del 28,44% e non già in quella del 29,13%, in tesi individuata come corretta. La stessa aggiudicataria ha quantificato la sottostima dei connessi costi di manodopera in circa euro 240.000,00, che in tesi sarebbero assorbiti dalla sopravvalutazione, compiuta in sede di offerta, di altre voci di costo, che avrebbero generato un risparmio complessivo, sempre nel quinquennio, di circa euro 414.000,00. In chiave esimente, quanto alla sottovalutazione dei costi di manodopera l'aggiudicataria ha affermato di aver calcolato il costo del lavoro considerando quale momento di avvio del servizio il 2021, seguendo le indicazioni dell'Amministrazione sul punto. Sennonché tale rilievo, se vale a giustificare il mancato aggiornamento dei minimi salariali relativi al primo anno, non giustifica certamente il disallineamento relativo agli anni successivi; e ciò tenuto conto che sia al momento della pubblicazione del bando (luglio 2021) che al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte (17 gennaio 2022) era già stato concluso e vigeva l'accordo collettivo del settore (lo stesso recava la data dell'8 giugno 2021), con la conseguenza che le decorrenze dei vari aumenti per gli anni successivi al primo, obliterate dalla CM Servizi, erano da ritenersi, nella rispettiva scansione temporale, ampiamente note e conoscibili a tutte le imprese del settore. Per quest'ultima ragione, non risulta utilmente invocabile - contrariamente a quanto affermato dalla CM Servizi - neppure l'istituto della revisione dei prezzi, attesa l'impossibilità di annoverare l'accordo collettivo dell'8 giugno 2021 fra gli eventi successivi alla stipula del contratto, futuri e non addebitabili alla volontà dell'imprenditore tali da incidere sull'equilibri contrattuale; detto accordo era, infatti, vigente già alla data della pubblicazione del bando di gara e di esso dovevano e potevano tener conto tutte le imprese operanti nel settore. In ogni caso, il Collegio ritiene di dover estendere alla fattispecie in esame l'orientamento giurisprudenziale, affermato nella vigenza del d.lgs n. 50/2016, secondo cui l'aumento derivante dal periodico rinnovo dei contratti collettivi di lavoro applicabili al settore, non può essere considerato un evento imprevedibile ma una normale evenienza di cui l'imprenditore dovrebbe sempre tenere conto nel calcolo della convenienza economica dell'offerta presentata in gara (cfr. in tal senso Cons. St., V, n. 453/2024; id., n. 6652/2023). 13.2 - A tale stregua, è emerso un quadro in cui: - la CM Servizi non ha allineato la sua offerta (quanto meno per gli anni successivi al primo) a quelli che l'accordo collettivo di settore dell'8 giugno 2021 all'art. 73 ha definito in modo emblematico "trattamenti minimi contrattuali", non potendosi desumere dal tenore dell'accordo che i relativi importi fossero considerabili quali valori medi o meramente indicativi; in tal ottica, non giova all'aggiudicataria, al fine di dimostrare la correttezza del suo operato, la considerazione relativa ai costi di manodopera su base aggregata e la loro congruenza complessiva con le tabelle ministeriali, tenuto conto del rilievo per cui il rispetto dei minimi salariali risponde all'esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della giusta retribuzione e serve ad evitare manovre speculative sulla retribuzione dei dipendenti finalizzate a rendere l'offerta in gara più competitiva; a tale stregua, la verifica del rispetto dei minimi, per presidiare in modo effettivo le finalità cui è preordinata, va effettuata prendendo a riferimento gli importi previsti dal CCNL di settore per i profili professionali corrispondenti a quelli impiegati nella commessa e non già, come erroneamente ritenuto dall'aggiudicataria e dalla stazione appaltante, gli importi complessivi su base aggregata; - la CM Servizi ha sottostimato l'incidenza INPS sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio; - da tali condotte è derivata la mancata previsione di costi di manodopera che la stessa aggiudicataria ha quantificato in un importo notevole (circa euro 240.000,00). 13.3 - Ciò premesso in fatto, il Collegio è dell'avviso che nella fattispecie all'esame rientri nell'ambito applicativo: - dell'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'offerta economica l'operatore deve indicare i propri costi della manodopera..... Le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell'aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all'articolo 97, comma 5, lettera d)" - dell'art. 97, comma 6 (prima parte), d.lgs. n. 50/2016, secondo cui "6. Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge. Non sono, altresì, ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza di cui al piano di sicurezza e coordinamento previsto dall'articolo 100 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81...". La disposizione testé enunciata fa riferimento non già ad uno scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, d.lgs. n. 50/2016, dato questo indicativo e da valutare nella sede del giudizio di congruità dell'offerta, bensì ad uno scostamento - come nella specie - del costo del lavoro "dai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale" concretamente applicabile al singolo imprenditore (essendo proprio tale contrattazione la "fonte autorizzata dalla legge" a cui fa riferimento l'art. 97, comma 6 citato). Tale scostamento non tollera alcun tipo di giustificazione da parte del singolo operatore economico, radicando, quindi, non già un potere discrezionale della stazione appaltante di valutare (in contraddittorio con l'impresa) l'eventuale giustificazione dell'anomalia dell'offerta, bensì un potere vincolato di esclusione automatica dalla gara. Esclusione che prescinde, quindi, da una complessiva valutazione discrezionale (da parte della stazione appaltante) dell'impatto del summenzionato scostamento del costo del lavoro sulla congruità economica globale dell'offerta e sulla sua sostenibilità finanziaria. La ragion d'essere di tale esclusione automatica risiede, infatti, nella circostanza che il mancato rispetto del minimo retributivo stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale vigente non può mai essere giustificato (a prescindere, quindi, dal suo concreto impatto sulla sostenibilità economica dell'offerta), stante il ruolo centrale che detta contrattazione svolge nella definizione dei parametri costituzionali di "sufficienza" e "proporzionalità " della retribuzione del lavoratore subordinato (cfr. art. 36 Cost.) (cfr. in tal senso T.A.R. Lazio, Roma, II, n. 8473/2024 e id., I-bis, n. 15870/2023, secondo cui "... una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsti dai Contratti collettivi il parametro utilizzato al fine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore"; cfr. anche T.A.R. Veneto, I, n. 958/2017, secondo cui "una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsi dai contratti collettivi, in base ad un criterio costantemente seguito dalla giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale, il parametro comunemente utilizzato alfine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore, ai sensi dell'art. 36 della Costituzione"). Quanto precede risulta coerente con il principio generale sancito dall'art. 30, comma 3, del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X". Il rispetto dei trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile al singolo operatore economico costituisce, dunque, una condicio sine qua non di partecipazione alla gara. Tali coordinate ermeneutiche trovano un loro compiuto riconoscimento nel consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui la valutazione della possibilità di escludere l'offerente in applicazione dell'articolo 97, comma 5, lett. d) del d.lgs. n. 50 del 2016 "deve invero intendersi riferita all'incongruità complessiva del costo del lavoro, quale risultante all'esito delle giustificazioni prodotte nel corso del subprocedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta - rispetto al quale il riferimento ai costi risultanti dalle tabelle ministeriali di cui all'art. 23 comma 6 del codice costituisce utile parametro di riferimento, secondo quanto di seguito specificato - laddove, per contro, il mancato rispetto dei minimi salariali inderogabili previsti dalla leggi o da fonti autorizzate dalla legge (id est dalla contrattazione collettiva) comporta ex se l'esclusione dalla procedura di gara, non essendo in relazione al mancato rispetto di detti minimi salariali ammesse le giustificazioni, come claris verbis statuito dall'art. art. 95 comma 6 del Codice secondo cui "Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge..." (cfr. ex multis Cons. St., V, n. 1652/2023). Il che conferma, quindi, che l'eventuale violazione dei minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile - lungi dal consentire all'operatore economico di giustificare lo scostamento retributivo - impone piuttosto l'esclusione dalla gara di detto operatore. 13.4 - Calando tali coordinate ricostruttive nella fattispecie all'esame, a fronte dell'accertato disallineamento dell'offerta dell'aggiudicataria rispetto ai trattamenti minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile (quanto meno per gli anni successivi al primo) e delle sottostime dei costi di manodopera che ne sono conseguiti, la stazione appaltante ha totalmente pretermesso l'apprezzamento di tale preliminare e dirimente aspetto. Difatti, essa ha affermato, peraltro senza fornire alcuna adeguata motivazione, che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta...risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge" e ha proceduto all'esame di congruità dell'offerta ritenendo, anche in questo caso in modo eccessivamente generico, che il rilevato disallineamento rispetto ai livelli individuati dalle tabelle ministeriali fosse giustificato. Emerge, dunque, con evidenza che l'iter valutativo della stazione appaltante risulta viziato da un palese travisamento dei fatti e da evidenti profili di contraddittorietà rispetto al quadro istruttorio emerso. Infatti, a fronte del carattere evidente del surrichiamato disallineamento, la stazione appaltante avrebbe dovuto procedere senz'altro all'esclusione dell'aggiudicataria, essendo destinata a passare in secondo piano ogni ulteriore profilo inerente alla valutazione delle giustificazioni a suffragio della sostenibilità dell'offerta, così come ogni profilo inerente allo scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, del d.lgs n. 50/2016 (tabelle aventi, a differenza del CCNL, un valore soltanto orientativo). Di qui l'illegittimità degli atti impugnati per violazione degli artt. 95, comma 10 e 97, comma 6 del d.lgs n. 50/2016. 14 - Per mera completezza, si soggiunge che, quand'anche l'aggiudicataria avesse dimostrato di aver osservato i trattamenti minimi previsti dalla vigente contrattazione collettiva o comunque che il disallineamento accertato non avesse conseguenze in punto di sottovalutazione dei costi di manodopera, i restanti motivi di gravame sarebbero comunque stati accolti. E ciò in quanto, come puntualmente dedotto e comprovato dalla ricorrente e non adeguatamente smentito dalla controinteressata, l'offerta da quest'ultima presentata sarebbe stata da ritenere comunque incongrua e non sostenibile. 14.1 - La ricorrente, infatti - a fronte di un ribasso del 18,25% (con circa 187.655 ore di lavoro in meno rispetto a quanto stimato in sede di lex specialis) e dell'appostazione di un utile su cinque anni pari a circa euro 175.000,00 pari allo 0,47% dell'importo offerto di euro 34.990.650,04 - ha compiutamente illustrato i profili di sottostima: i) conseguenti al mancato rispetto dei trattamenti minimi inderogabili stabiliti nel CCNL di settore per un importo complessivo di circa euro 315.000,00 di costi non considerati; ii) derivanti dal calcolo dei contributi previdenziali sulla base di un'aliquota più bassa rispetto a quella vigente (28,44% rispetto a quella del 29,44%), per un importo complessivo di circa euro 120.000,00 di costi non considerati; iii) relativi all'erroneo calcolo dei contributi previdenziali sul lavoro complementare, per il quale è stata computata un'aliquota più bassa e il relativo calcolo non ha compreso la maggiorazione del 28%, per un importo complessivo di circa euro 390.000,00 di costi non considerati. In tesi, tali profili di sottostima erano tali da erodere il ridotto margine di utile (circa 175.000,00 nel quinquennio), rendendo l'offerta incongrua e insostenibile. Sul punto, giova puntualizzare che, con l'articolazione di tali censure, la ricorrente non ha inteso compiere una "caccia all'errore" ma ha piuttosto individuato puntuali circostanze di fatto idonee a determinare la palese erroneità e l'evidente travisamento nelle valutazioni compiute dalla stazione appaltante in merito alla congruità dell'offerta della CM Servizi. 14.2 - Orbene, in relazione alle predette censure, l'aggiudicataria ha: - allegato di aver compiuto, in sede d'offerta, delle sovrastime con riguardo ai costi per la manodopera (circa euro 101.000), ai costi per la sicurezza (circa 78.000) e all'assistenza sanitaria integrativa (euro 54.000), sovrastime che, unite all'utile di circa euro 175.000,00, formerebbero un margine di circa euro 414.000,00, sufficiente ad assorbire le paventate sottostime; - quanto alla censura sub i), l'aggiudicataria, realizzando l'allineamento, tempo per tempo, degli importi a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, ha ridotto la sottostima a circa 244.000,00; - quanto alla censura sub ii), la CM Servizi ha riconosciuto di aver calcolato i contributi previdenziali con un'aliquota non corretta (28,44% in luogo di 29,13% e non già di 29,44% come affermato nel ricorso) e conseguentemente ha ridotto la sottostima a circa euro 68.000,00. - quanto alla censura sub iii), ha affermato che, a mente dell'art. 33 del CCNL la maggiorazione andrebbe applicata ai soli istituti retributivi diretti e indiretti, senza impattare sul calcolo degli oneri contributivi. La medesima aggiudicataria ha, quindi, concluso nel senso della piena sostenibilità dell'offerta. 14.3 - Ciò premesso, è rilevante considerare che la ricorrente, con successiva memoria non fatta oggetto, neppure nel corso della discussione, di alcuna adeguata confutazione, ha puntualmente dedotto quanto segue. 14.3.1 - La paventata sovrastima relativa ai costi per la manodopera (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 per ciascuno dei cinque anni di contratto), quantificata ritoccando l'importo dei costi di manodopera offerti da euro 34.990.650,04 ad euro 34.889.719,84 (cfr. pag. 12 delle prime giustificazioni alla stazione appaltante del 20 ottobre 2022 e pag. 7 delle seconde giustificazioni del 23 febbraio 2023, entrambe fornite alla stazione appaltante - cfr. all. ti 18 e 19 depositati in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024), è stata successivamente superata da quanto affermato dalla stessa aggiudicataria nella successiva nota consegnata al RUP il 9 maggio 2023 in sede di audizione (cfr. cfr. all. 20 depositato in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024). In tale nota, la CM Servizi, per fronteggiare i rilievi del RUP sul minor assenteismo dichiarato, ha proceduto a modificare al rialzo il costo della manodopera annuo, quantificandolo in euro 6.994.965,98 (per una somma di euro 34.974,82 nel quinquennio). Ora, alla luce di ciò, è emerso che il margine di sovrastima si è inevitabilmente ridotto dalla somma inizialmente indicata (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 annui) a circa euro 3.000,00 annui e a circa euro 15.000,00 nel quinquennio. Conseguentemente, il margine attivo idoneo ad assorbire le sottostime puntualmente quantificate nel ricorso è destinato ad assottigliarsi da circa euro 414.000,00 (stimati dall'aggiudicataria) a circa euro 330.000 nel quinquennio. 14.3.2 - Quanto alla sottostima dei costi, il Collegio rileva che, anche a voler assumere la correttezza delle prospettazioni formulate dalla CM Servizi in giudizio sulle prime due censure: i) il riallineamento degli aumenti previsti anno per anno ai minimi retributivi inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva determina una sottostima dei costi di manodopera di circa euro 240.000,00; ii) il calcolo degli oneri contributivi secondo l'aliquota del 29,13% determina una sottostima di costi per un importo di circa euro 68.000,00. 14.3.3 - A tali importi, poi, vanno aggiunti, ad avviso del Collegio, sia quelli relativi derivanti dal calcolo dei contributi sul lavoro supplementare con l'aliquota del 29,13% (in luogo dell'aliquota del 28,44% utilizzata) sia soprattutto quelli derivanti dal calcolo degli oneri contributivi includendo nell'imponibile la maggiorazione del 28% prevista per il lavoro supplementare. La tesi dell'aggiudicataria, secondo cui quest'ultima componente sarebbe esente dagli oneri contributivi non può aver pregio ove si consideri che: i) la maggiorazione forfettaria e convenzionale del 28% costituisce la retribuzione per il lavoro supplementare, vale a dire per quello reso, nell'ambito di rapporti di lavoro a tempo parziale, oltre l'orario contrattuale, e avente un costo orario sensibilmente inferiore rispetto all'ora lavorativa ordinaria; ii) la normativa rilevante in materia (la l.n. 153/1969 per gli aspetti previdenziali e il d.P.R. n. 917/1986 per gli aspetti fiscali) depone nel senso che l'assoggettamento a prelievo contributivo del reddito di lavoro dipendente debba tendenzialmente avvenire sulla medesima base imponibile individuata ai fini fiscali ex art. 48 del TUIR (oggi art. 51); e tale norma così dispone "Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui si riferiscono": il quadro normativo è, dunque, chiaro nel ricomprendere anche la maggiorazione del 28% nell'imposizione contributiva, rientrando la stessa, in quanto forma di retribuzione convenzionale e forfettaria del lavoro supplementare, nel novero delle somme e dei valori corrisposti "in relazione al rapporto di lavoro" (cfr. in tal senso anche Cons. St., V, n. 453/2024, secondo cui in caso di utilizzo del lavoro supplementare, "gli oneri previdenziali sul corrispondente e complessivo costo non possono certamente essere negletti o non valorizzati nell'ambito dell'appalto.."). Né a conclusioni opposte può indurre il richiamo all'art. 33 del CCNL, invocato dall'aggiudicataria: tale previsione, infatti, in piena coerenza con l'ambito oggettivo di intervento rimesso alla contrattazione collettiva, laddove prevede che "Le ore di lavoro supplementare sono retribuite come ore ordinarie, incrementate ai sensi dell'art. 6, comma 2 del D.lgs. 81/2015 dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari su tutti gli istituti retributivi indiretti e differiti, compreso il TFR, determinata convenzionalmente e forfetariamente, tra le parti, nella misura del 28%, calcolato sulla retribuzione base e retribuito il mese successivo all'effettuazione della prestazione. La definizione di quanto sopra è coerente con quanto previsto all'articolo 6 del D.lgs. 81/2015", disciplina il differente aspetto dell'incidenza della maggiorazione sui vari istituti retributivi (al fine di determinarne il loro adeguamento), senza incidere sull'adempimento degli obblighi contributivi, disciplinati da una disciplina pubblicistica, inderogabile e autosufficiente. Sulla base di quanto precede, emerge un'ulteriore sottostima dei costi di importo pari ad almeno circa euro 248.000,00. 14.3.4 - In definitiva, sommando tutti i costi che - come emerso dall'esame delle risultanze in atti -l'impresa non ha considerato (circa euro 240.000,00 per costi di manodopera + euro 68.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi + circa euro 248.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi sul lavoro supplementare) e ponendoli a confronto del margine "attivo" derivante dalle sovrastime compiute (per circa euro 330.000,00) emergono con sufficiente evidenza l'insostenibilità dell'offerta e la sua non congruità . E ciò in quanto le voci di costo, per la loro entità, non solo sono certamente tali di erodere ogni margine di utile ma sono suscettibili di dar luogo all'esecuzione del servizio in perdita. Di tutto ciò evidentemente non ha tenuto conto la stazione appaltante che, in sede di verifica di congruità dell'offerta - pur avendo dato luogo ad un articolato contraddittorio con l'aggiudicataria e pur avendo preso atto delle diverse rettifiche compiute sui costi di manodopera e degli errori nel calcolo degli oneri contributivi - si è limitata a valutare il solo scostamento dai parametri medi di cui alle tabelle ministeriali, senza porsi la questione preliminare e assorbente della coerenza degli importi offerti con i trattamenti minimi inderogabili. E sul punto il Collegio deve ribadire nella specie il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui, col riferimento al "costo della manodopera, costituente un elemento essenziale dell'offerta economica - tanto è vero che deve essere oggetto di una specifica indicazione ai sensi dell'art. 95 comma 10 del d.lgs n. 50/2016 - la valutazione della stazione appaltante deve essere condotta con particolare rigore, esigendo quindi dall'impresa sottoposta a verifica spiegazioni assolutamente adeguate" (cfr. sul punto, ex multis Cons. St., V, n. 3968/2020 e in senso ana T.A.R. Lombardia, Milano, IV, n. 1194/ 2020; T.A.R. Molise, I, n. 175/2020). D'altro lato, l'Ateneo si è appiattito sulle deduzioni dell'aggiudicataria concludendo, senza corredare le conclusioni raggiunte degli elementi atti ad illustrare l'iter logico seguito a tal fine, che "l'offerta nella sua complessità ...fosse congrua e sostenibile...", dato questo smentito dalle surrichiamate risultanze documentali, non adeguatamente considerate in sede endoprocedimentale e, per contro, ben evidenziate in tutte le loro implicazioni dalla ricorrente. Del resto, a riprova della superficialità dell'istruttoria condotta dall'Ateneo, vanno anche considerate l'omessa considerazione della valenza e degli effetti sulla sostenibilità dell'offerta di due aspetti dedotti nel ricorso e non oggetto di alcuna contestazione da parte della CM Servizi, l'uno afferente al monte ore degli addetti da assumersi ex novo e l'altro relativo ai costi per la formazione. Quanto al primo aspetto, l'aggiudicataria ha indicato che avrebbe fatto prestare ai dieci addetti di secondo livello da assumersi ex novo n. 721,25 ore settimanali e, quindi, matematicamente a ciascuno più di 72 ore per settimana, laddove il monte ore massimo è fissato in 40 ore. Conseguentemente i costi della sicurezza sono stati calcolati solo sui 10 addetti, quando per prestare le ore di lavoro previste (nel rispetto del monte ore massimo) sarebbe stato necessario più del doppio delle risorse necessarie, con relativi maggiori costi della sicurezza. Quanto al secondo aspetto, l'aggiudicataria ha previsto in sede di offerta di far svolgere nel quinquennio n. 177.750 ore di formazione e di appostare per esse un costo di soli euro 99.591,86, come se ciascuna ora di formazione, nell'impossibilità di farle svolgere tutte "on the job", potesse effettivamente costare appena 56 centesimi di euro. Sulla base di tutto quanto fin qui illustrato, il Collegio osserva che l'attività della stazione appaltante risulta viziata da manifesto errore di fatto e da palese illogicità, avendo la stessa pretermesso l'adeguata valutazione di circostanze di fatto deponenti in modo preciso e univoco nel senso dell'insostenibilità dell'offerta della CM Servizi e quindi nel senso della sua esclusione dalla gara. Orbene, il Collegio non ignora che, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, il giudizio di verifica della congruità dell'offerta ha natura globale e sintetica e costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale riservato all'Amministrazione, come tale limitatamente sindacabile. Tuttavia è altrettanto innegabile che l'analisi della stazione appaltante debba avere riguardo a tutte le componenti dell'offerta e che il sindacato giurisdizionale si esplichi con pienezza nelle ipotesi di manifesta e macroscopica erroneità dell'operato del seggio di gara. Questo è il caso della fattispecie all'esame, in cui è stata censurata l'omessa considerazione della portata e degli effetti non già di poste aleatorie o valutative ma di talune voci di costo (alcune delle quali ammesse anche dalla ricorrente e comunque tutte emerse in sede endoprocedimentale) non considerate in sede di offerta che, se poste a confronto con il margine (tutt'altro che cospicuo) di utile stimato, erano tali da condurre all'insostenibilità di quest'ultima e da determinare l'esclusione dell'aggiudicataria (cfr. in tal senso, ex multis, Cons. St., V, n. 6786/2020; id., n. 2796/2020; id., n. 4820/2018; id., VI, n. 4350/2017). Ne consegue che gli atti impugnati risultano manifestamente erronei o illogici rispetto alle complessive risultanze emerse a seguito dei giustificativi presentati dall'interessata. 15 - In definitiva, sulla base di quanto in precedenza illustrato, il ricorso deve essere accolto e, per l'effetto: i) vanno annullati gli atti impugnati meglio identificati in epigrafe; ii) va accertata l'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione a favore della controinteressata, che avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara; iii) va accolta la domanda di annullamento dell'aggiudicazione impugnata. Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene, altresì, che ricorrano i presupposti di cui all'art. 122 del cod.proc.amm. per la dichiarazione di inefficacia del contratto d'appalto, essendo stata presentata dalla ricorrente la domanda di subentro nel contratto nella forma di domanda risarcitoria in forma specifica e non essendo stata fornita in giudizio alcuna allegazione di elementi a ciò ostativi. Invero, qualora la controinteressata fosse stata esclusa, la ricorrente avrebbe senz'altro conseguito l'aggiudicazione dell'appalto, in quanto classificata seconda nella gara, a seguito di scorrimento nell'ordine di graduatoria. Ne consegue che il contratto di appalto in corso di esecuzione deve essere dichiarato inefficace a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, con subentro della ricorrente nel contratto stesso, ai sensi dell'art. 124 del cod.proc.amm., previa verifica del possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente e dalla legge di gara. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto: - annulla il provvedimento di aggiudicazione impugnato e tutti gli atti identificati in epigrafe, sulla cui base la stazione appaltante è pervenuta alla sua adozione; - dichiara l'inefficacia del contratto di appalto stipulato e il subentro nello stesso della parte ricorrente, a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, previo svolgimento delle relative verifiche; - condanna l'Università degli Studi Roma "La Sapienza" e la C.M. Se. s.r.l. al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente, che liquida, a carico di ciascuna delle parti soccombenti, in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre ad oneri come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Sapone - Presidente Massimiliano Scalise - Referendario, Estensore Marco Savi - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1126 del 2023, proposto da Vi. Br. e Gr. Ro., rappresentati e difesi dagli avvocati Or. Cu. e Mo. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'Avvocato Or. Cu. in Firenze, (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in (...), largo (...); per l'annullamento del Decreto motivato di occupazione di urgenza del Comune di (omissis), Area Tecnica, a firma del Responsabile pro-tempore, Dr. Fa. Al., numero 1 del 25 gennaio 2023, notificato in data 3 febbraio 2023 (AG 78772644938-2 e AG 78772644931-4, emesso ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 22-bis del DPR numero 327 del 2001; nonché di tutti gli atti presupposti, connessi, conseguenti, ancorché incogniti, comprese le Delibere di approvazione del progetto della Giunta del Comune di (omissis) n. 123 del 17 novembre 2022 e n. 124 del 29 novembre 2022 e il silenzio sulla richiesta di annullamento in autotutela, con conseguente inefficacia del Verbale di immissione in possesso del 9 febbraio 2023. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il dott. Giovanni Ricchiuto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO I Sig. Vi. Br. e Gr. Ro. hanno impugnato con ricorso straordinario al Presidente della repubblica il decreto di occupazione di urgenza n. 1 del 25 gennaio 2023, emesso del Comune di (omissis), ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 22 bis del DPR n. 327/2001, nonché le precedenti delibere di approvazione del progetto della Giunta del Comune di (omissis) n. 123 del 17 novembre 2022 e n. 124 del 29 novembre 2022 e il silenzio sulla richiesta di annullamento in autotutela, con conseguente inefficacia del verbale di immissione in possesso del 9 febbraio 2023. Nel ricorso si è avuto modo di evidenziare che il terreno di cui sono proprietari gli attuali ricorrenti è ubicato nel Comune di (omissis), di cui al Foglio (omissis) del N.C.T., particella n. (omissis), ed è stato oggetto di una prima approvazione del progetto definitivo di cui alla delibera della Giunta Comunale n. 76 del 30 giugno 2022 e della deliberazione di avvio del procedimento, n. 100 del 27 settembre 2022, relativa alla realizzazione di un'area dedicata a sport equestri dove ricavare una pista per corse di cavalli e maneggio. Il relativo progetto è stato poi sostituito da un ulteriore progetto prima definitivo e poi esecutivo, contenuto rispettivamente nella delibera n. 123 e 124 del 17 novembre e del 29 novembre 2022, entrambe dirette a consentire la realizzazione di un'area dedicata a sport equestri dove ricavare una pista per corse di cavalli e maneggio, da utilizzare anche per la corsa del Palio delle Contrade. Detti provvedimenti prevedevano l'esproprio di una superficie 1310 mq e, quindi, di una parte del terreno così come previsto dal piano particellare, con la proposta di un'indennità provvisoria di 1310 euro, senza tuttavia specificare i parametri di riferimento. Il successivo decreto del 25 gennaio 2023, n. 1 ha così disposto l'occupazione anticipata di tutta la particella (omissis) per complessivi 2486 mq (senza che questo fosse previsto dalla dichiarazione di pubblica utilità di cui alla Delibera n. 123 del 17 novembre 2022) e un'indennità in via provvisoria per l'intera particella calcolata peraltro sempre per l'importo di Euro 1310,00. In particolare nell'impugnare i provvedimenti sopra citati si sostiene l'esistenza dei seguenti vizi: 1. la violazione degli artt. 1 e 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, degli articoli 20, 21 e 22-bis DPR 327 del 2001, degli artt. 41 e 42 Cost. e l'emergere di diversi profili di eccesso di potere, in quanto il decreto non comprende l'indicazione delle ragioni di urgenza essendo presente solo un generico rinvio alla necessità di rispettare i tempi del previsto finanziamento; 2. la violazione degli artt. 1, 3, 7 e 8 della L. 7 agosto 1990, n. 241, degli artt. 16 e 17 DPR 327 del 2001 e la violazione degli artt. 41 e 42 Cost., oltre vari profili di eccesso di potere, in quanto la delibera n. 123 del 17 novembre 2022 sarebbe stata approvata senza alcuna comunicazione di avvio del procedimento; una volta che è stato riapprovato il progetto definitivo con la delibera 123 del 17 novembre 2022, l'Amministrazione avrebbe dovuto comunicare il relativo avvio del procedimento ai ricorrenti; 3. la violazione degli artt. 1 e 3 L. 7 agosto 1990, n. 241 e l'eccesso di potere, in quanto il decreto n. 1 del 25 gennaio 2023, risulta divergere da quanto previsto dalla precedente delibera 123 del 17 novembre 2023 che non avrebbe legittimato un'occupazione sine titulo sull'intera particella; 4. l'eccesso di potere per irragionevolezza, contraddittorietà, la violazione del principio di proporzionalità e necessarietà e del principio del legittimo affidamento. Il Comune di (omissis) si è opposto al ricorso straordinario promosso dai ricorrenti che è stato poi trasposto presso questo Tribunale. Lo stesso Comune, nel costituirsi, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso in quanto trasposto tardivamente e in violazione dei termini previsti dal combinato disposto di cui agli art. 11 e 119 del cpa. L'inammissibilità del ricorso sussisterebbe anche in considerazione di un altro profilo, in quanto sussisterebbe l'inammissibilità del ricorso per non essere stata impugnata tempestivamente la deliberazione di Giunta Comunale n. 123 del 17 novembre 2022, con la quale è stata dichiarata la pubblica utilità dell'opera. Nel merito si sono contestate le argomentazioni dedotte chiedendo il rigetto del ricorso. In particolare il Comune ha evidenziato che sussisterebbero le ragioni di urgenza alla base dell'adozione del provvedimento di occupazione in quanto nel mese di giugno 2023 sarebbero iniziate le attività prodromiche al Palio delle Contrade, la cui gara ufficiale è fissata per il 18 agosto 2023 e, ancora, in ragione della necessità di non perdere il finanziamento, per una quota pari ad euro 360.000,00 con contributo di Regione Toscana, nella parte in cui si richiede che i lavori devono essere terminati entro il 30/11/2023. Nel corso del giudizio tutte le parti hanno presentato memorie, anche in replica alle eccezioni dedotte. In particolare la ricorrente ha eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 48 c.p.a. nella parte in cui prevede il termine di sessanta giorni per la trasposizione, perché laddove fosse interpretato come termine dimezzato sia per la notifica del ricorso che del relativo deposito si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Detta interpretazione avrebbe l'effetto di costituire un'implicita abrogazione dell'art. 10 del DPR 1199 del 1971 che legittima i controinteressati e le Amministrazioni a proporre opposizione per la trasposizione in sede giurisdizionale. In questi termini, e all'udienza del 16 maggio 2024, il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è irricevibile per tardività della trasposizione del ricorso straordinario in questa sede giurisdizionale, in violazione dei termini previsti dal combinato disposto degli art. 11 e 119 del cpa. 1.1 E' dirimente constatare che il presente giudizio rientra tra le controversie soggette alla dimidazione dei termini processuali di cui all'art. 119 c.p.a., nella parte in cui detta disposizione prevede che "le disposizioni di cui al presente articolo si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative a... f) i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità e i provvedimenti di espropriazione delle invenzioni adottati ai sensi del codice della proprietà industriale". In tali procedimenti (in questo senso è il comma 2) "tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati salvo, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché quelli di cui all'articolo 62, comma 1, e quelli espressamente disciplinati nel presente articolo". 1.2 Ai fini di dimostrare la tardività della riassunzione è necessario premettere che il ricorso straordinario è stato notificato il 5 giugno 2023. L'Amministrazione si è opposta al ricorso straordinario con atto del 29 giugno 2023, notificato il 24 luglio 2023, mentre i ricorrenti hanno notificato e depositato il ricorso in riassunzione solo il 23 ottobre 2023, e, quindi, sessanta giorni dopo l'atto di opposizione, al netto della sospensione feriale. Tuttavia, stante la dimidiazione del termine per operare la trasposizione, la successiva notifica del presente ricorso sarebbe dovuta avvenire entro il 23 settembre 2024. 1.3 L'applicabilità del termine dimidiato di trenta giorni per effettuare la trasposizione in sede giurisdizionale di un ricorso al Presidente della Repubblica è stata sancita da un costante orientamento giurisprudenziale, nella parte in cui ha evidenziato che "ragioni di ordine logico, oltre che di sistematicità, impongono di ritenere applicabile la dimidiazione del termine anche nel caso della trasposizione... Alla stessa soluzione si addiviene anche in forza della lettura della norma alla luce della sua ratio, che è quella di garantire il diritto alla difesa, assicurando il mantenimento dell'ordinario termine decadenziale per esercitare l'accesso alla giustizia, nonostante il dimezzamento di tutti gli altri termini endogiudiziali, tra cui quello per la trasposizione. Essa, infatti, non integra una nuova esplicazione del diritto alla difesa, se non mediante la mera riassunzione, che non richiede alcun particolare adempimento giustificante l'equiparazione alla proposizione del ricorso e, dunque, il più lungo termine di sessanta giorni" (T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, sent. n. 371 del 18 maggio 2020; T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, sez. I, sent. n. 204 del 6 marzo 2023). 1.4 In altre pronunce è stato statuito che "...il termine per la trasposizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato costituisce termine processuale, soggetto come tale a dimezzamento degli ordinari sessanta giorni, previsti dall'art. 10 d.p.r. 1199, a trenta (Cons. Stato, Sez. VI, 20 agosto 2019, n. 5771; T.A.R. Lazio, sez. I, sent. n. 7674 del 10 giugno 2022). Ancora più chiaramente si è sancito che per le materie soggette all'art. 119 c.p.a., il deposito dell'atto di costituzione, di cui all'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, avanti al Tribunale deve eseguirsi nel termine dimidiato di 30 giorni (Cons. St., sez. VI, 20 agosto 2019, n. 5771). 1.5 L'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971 si limita a sancire l'obbligo di riproporre il ricorso davanti alla sede giudiziaria così come individuata, senza che lo stesso ricorso possa essere integrato o modificato nei motivi e nelle conclusioni, obbligando inoltre la stessa parte che intende riassumere il giudizio a notificare, alle altre parti e a pena di inammissibilità, il successivo avviso di voler insistere nel ricorso. 1.7 Ne consegue che l'atto di trasposizione in nessun modo può essere equiparato alla proposizione del ricorso già introdotto, così come nemmeno l'avviso di voler insistere nel ricorso può essere assimilato alla notificazione del ricorso introduttivo in primo grado (Cons. Stato, sez. VII, sent. n. 1443 del 9 febbraio 2023). 1.8 Si consideri, ancora, che secondo precedenti pronunce, quale che sia la sequenza degli adempimenti formali compiuti per la trasposizione del ricorso straordinario, deve essere osservato per entrambi gli adempimenti (deposito e notifica) il termine perentorio di trenta giorni, laddove risulti operante (come nel caso di specie) l'istituto della dimidiazione di cui all'art. 119, comma 2), termine quest'ultimo che decorre dal perfezionamento, per l'originario ricorrente, della notificazione dell'atto di opposizione (Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 6124 del 26 ottobre 2018 Tar Lazio, Roma, Sez. Terza, 31 maggio 2023, n. 9253). 1.9 L'esistenza delle pronunce sopracitate, oltre il carattere inequivoco dell'art. 119 cpa, consente di ritenere insussistenti i presupposti dell'istituto dell'errore scusabile di cui all'art. 37 cpa, sussistendo la violazione dei termini per operare la trasposizione del ricorso presentato in sede amministrativa. 2. Le argomentazioni sopra citate e dirette a confermare il fondamento dell'eccezione di tardività del ricorso, sono sufficienti anche per ritenere insussistenti anche i profili di illegittimità costituzionale dell'art. 48 cpa. Il ricorrente sostiene che l'art. 48 c.p.a. sarebbe incostituzionale, laddove detta disposizione fosse interpretata applicando anche alla trasposizione e nelle materie di cui all'art. 119 il termine dimezzato, sia per la notifica che per il deposito del ricorso che si intende riassumere. Detta disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, legittimando un'implicita abrogazione dell'art. 10 del DPR 1199 del 1971 nella parte in cui consente ai controinteressati e alle Amministrazioni di proporre opposizione e di consentire la trasposizione in sede giurisdizionale entro il termine di sessanta giorni. A parere del ricorrente, poiché l'abbreviazione dei termini disposta dall'art. 119 c.p.a. non riguarda il termine per la proposizione del ricorso (salvo le disposizioni specifiche dettate dall'art. 120, comma 2 e 5 per le materie di cui all'art. 119, lett. a)), è da ritenere che non si applichi nemmeno all'atto di trasposizione, in quanto esso includerebbe una domanda del soggetto interessato che sarebbe assimilabile al ricorso introduttivo. 2.1 Dette argomentazioni non sono condivisibili, non sussistendo i presupposti di sospetta incostituzionalità . 2.2 Le pronunce sopra citate hanno evidenziato come sussista una sostanziale differenza (per le caratteristiche proprie degli stessi atti) tra l'atto di proposizione del ricorso e la riassunzione a seguito dell'opposizione per la trasposizione in sede giudiziale. 2.3 La trasposizione di un ricorso in origine presentato innanzi al Presidente della Repubblica non integra una nuova esplicazione del diritto alla difesa, ma solo il compimento di alcuni adempimenti processuali, circostanza quest'ultima che è di ostacolo a consentire un'equiparazione con l'atto di proposizione del ricorso e, dunque, anche il termine proprio di quest'ultimo e pari a sessanta giorni. 2.4 Come si è avuto modo di anticipare è, infatti, con l'opposizione che si apre la fase del giudizio in sede giurisdizionale, circostanza quest'ultima che trova conferma proprio nel tenore dell'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, laddove il Legislatore ha avuto modo di precisare che, con l'atto di trasposizione, ci si limita a riproporre il ricorso in origine presentato in sede amministrativa, senza che quest'ultimo possa essere integrato o modificato nei motivi e nelle conclusioni. 2.5 Si consideri, inoltre, che il ricorso straordinario è "alternativo" rispetto al ricorso giurisdizionale, secondo quanto previsto dall'art. 8 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 e che, ancora, il ricorso straordinario diviene improcedibile qualora quest'ultimo sia stato erroneamente trasposto in sede giurisdizionale (in questo senso è l'art. 10 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199). 2.6 A conferma di dette considerazioni è possibile far riferimento anche alle conclusioni alle quali è pervenuta di recente l'Adunanza Plenaria n. 11/2024 che, pronunciandosi in merito alla natura del ricorso straordinario, lo ha qualificato come un rimedio "giustiziale alternativo a quello giurisdizionale, di cui condivide solo alcuni tratti strutturali e funzionali". 2.7 Ai fini di operare detta qualificazione l'Adunanza Plenaria ha considerato dirimente l'applicazione del principio di alternatività di cui all'art. 8 sopra citato, in quanto la scelta di optare per la trasposizione impedisce il proseguimento dell'esame della controversia innanzi al Presidente della Repubblica e, ciò, con l'effetto che "la decisione resa su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, sebbene il giudizio fosse stato ritualmente trasposto in sede giurisdizionale, è nulla ai sensi dell'art. 21-septies del c.p.a., in quanto emanata in difetto assoluto di attribuzione". 2.8 Affermare di fatto l'esistenza di un'unica controversia che, iniziata presso una sede "giustiziale" prosegue (dopo l'opposizione) presso un organo giurisdizionale, ha l'effetto di confermare che l'atto di riassunzione non è suscettibile di essere equiparato all'originaria proposizione del ricorso già introdotto. Ne consegue che la trasposizione si sostanzia nel compimento di una serie di atti (deposito del ricorso e avviso) che hanno la sola finalità di consentire la prosecuzione di un giudizio di fatto già instaurato. 2.9 Ulteriore conseguenza è quella che deve ritenersi ammissibile (senza che risultino esistenti i dedotti profili di sospetta incostituzionalità ) anche la previsione di termini differenti e, quindi, sia per quanto riguarda l'iniziale proponimento di un ricorso sia, ancora, con riferimento all'atto di riassunzione in una sede giurisdizionale e, ciò, nelle materie di cui all'art. 119 c.pa. che risultano disciplinate da un rito che prevede la compressione e la riduzione di tutti i termini processuali. 3. Si consideri, da ultimo, che gli art. 48 e 119 cpa, nella parte in cui prevedono la dimidiazione dei termini in particolari materie come quella in esame e in quanto disposizioni contenute nel codice del processo del 2010, sono disposizioni successive che possono ben incidere su una disciplina speciale e ad esso antecedente, come è appunto il d.P.R. n. 1199 del 1971. 3.1 In conclusione il ricorso va dichiarato irricevibile ai sensi dell'art. 35 comma 1 lett. a), mentre la novità della fattispecie esaminata consente la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile nei termini così precisati in parte motiva. Compensa le spese tra le parti costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Riccardo Giani - Presidente Giovanni Ricchiuto - Consigliere, Estensore Nicola Fenicia - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. GALANTI Alberto - rel. Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3. "(OMISSIS) di (OMISSIS) (OMISSIS) snc", in persona del legale rappresentante, corrente in (OMISSIS) (OMISSIS); avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Mantova il 24/06/2022; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere Alberto Galanti; lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Fulvio Baldi (ribadite in udienza), che ha concluso chiedendo annullarsi il provvedimento impugnato, con rinvio al Tribunale di Mantova: per (OMISSIS) e (OMISSIS), limitatamente all'applicazione della circostanza sub articolo 452-novies c.p., con rigetto nel resto; per (OMISSIS) s.r.l., limitatamente all'applicazione della confisca ed alla condanna quale responsabile civile, con rigetto nel resto. letta la memoria difensiva depositata in data 28/04/2023 dall'Avv. (OMISSIS) per l'imputato (OMISSIS), che, nel formulare motivi nuovi, si riporta al ricorso e ne chiede l'accoglimento; udita, per la parte civile Provincia di (OMISSIS), l'Avv. (OMISSIS), in sostituzione dell'Avv. (OMISSIS) del Foro di (OMISSIS), la quale, nel sottolineare che la giurisdizione amministrativa (T.A.R. Brescia n. 748/2019; C.D.S. n. 305/2023, T.A.R. Brescia n. 403/2023) ha escluso che l'AIA in possesso di (OMISSIS) concernesse il trattamento di inerti, chiede rigettarsi il ricorso, anche per quanto concerne le statuizioni civili. udito, per la parte civile per il Parco Regionale del (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) del Foro di (OMISSIS), che conclude per l'inammissibilita' o il rigetto del ricorso. udito il difensore dell'imputato (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) del Foro di Padova, si riporta al ricorso, ai motivi nuovi e alle conclusioni, e ne chiede l'accoglimento; udito il difensore dell'imputato (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) del Foro di Padova, che si riporta al ricorso e ne chiede l'accoglimento; udito il difensore dell'ente (OMISSIS), Avv. (OMISSIS) del Foro di Padova, che si riporta al ricorso e ne.chiede l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa in data 24/06/2022, il Tribunale di (OMISSIS), nell'assolvere gli imputati in relazione a numerosi capi di imputazione: - dichiarava non doversi procedere in ordine al Capo 1), in riferimento a (OMISSIS) in relazione all'articolo 256 comma 1, lettera a), Decreto Legislativo n. 152 del 2006, per intervenuta prescrizione (assolvendo nel contempo gli altri imputati); - condannava (OMISSIS) e (OMISSIS), in ordine al Capo 11), in cui era contestato l'articolo 29-quaterdecies, comma 1, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, alla pena di Euro 20.000 di ammenda; - condannava (OMISSIS) ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, in relazione al reato presupposto di cui al Capo 1), limitatamente alla fattispecie di cui all'articolo 256 comma 1, lettera a), Decreto Legislativo n. 152 del 2006, al pagamento di una somma pari a 250 quote da Euro 500 ciascuna (totale Euro 125.000); - disponeva la confisca nei confronti di (OMISSIS) del profitto, quantificato in Euro 80.000. 2. Il Tribunale, inoltre, condanna'va (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in solido al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili costituite (Provincia di (OMISSIS) e Parco del (OMISSIS)) determinato in via equitativa in Euro 20.000 per la provincia di (OMISSIS) ed Euro 15.000 per l'Ente Parco regionale del (OMISSIS), con pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva. 3. Avverso tale sentenza propongono, tramite i propri difensori di fiducia, ricorso per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) di (OMISSIS) (OMISSIS). 4. Il ricorso di (OMISSIS): 4.1. Relativamente al Capo n. 1) (sentenza ex articolo 129 c.p.p.), evidenzia come sussistessero i presupposti per giungere ad un sentenza di assoluzione nel merito anziche' ad una pronuncia di proscioglimento per prescrizione del reato; in proposito, censura: 4.1.1. inosservanza delle norme previste a pena di nullita' e segnatamente dell'articolo 178 lettera c) e 191 c.p.p.. in riferimento all'accertamento tecnico non ripetibile disposto ai sensi dell'articolo 360 del codice di procedura penale dal pubblico ministero in data 13 giugno 2016, che sa -ebbe nullo per omesso avviso al (OMISSIS) della data e del luogo di campionamento, nonostante all'epoca del disposto accertamento questi fosse gia' stato attinto da indizi di reita'. Da cio' discenderebbe la nullita' conseguente del campionamento effettuato in data 9 giugno 2019 (eccezione ritualmente formulata in udienza in data 8 ottobre 2019). Lamenta altresi' il ricorrente la violazione dell'articolo 220 delle disposizioni di attuazione del codice di rito, il quale a sua volta rimanda alle norme del codice di procedura penale; a cascata, deduce la nu lita' delle operazioni di apertura dei campioni, delle analisi e della relazione redatta dagli ausiliari di p.g. nominati dal P.M.; 4.1.2. violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p. in riferimento all'ordinanza (impugnata ai sensi dell'articolo 586 c.p.p.) di ammissione delle prove datata 14 gennaio 2020, di cui si contesta anche la mancanza di motivazione in ordine alla dedotta incompatibilita' ad assumere ufficio di consulente tecnico da parte dei dottori (OMISSIS) e (OMISSIS); deduce il ricorrente che i predetti erano stati inseriti dal pubblico ministero nella lista in cui al âEuroËœarticolo 468 c.p.p. come testimoni e quindi non avrebbero potuto essere sentiti come consulenti tecnici. Inoltre, in capo agli stessi, proprio in quanto "ausiliari del pubblico ministero", gravava una incompatibilita' con l'ufficio di testimone; 4.1.3. violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera b), cod. poc. pen., in riferimento agli articoli 256, comma 1, 183, 184, 184-bis, e 184-ter Decreto Legislativo n. 152 del 2006; violazione dell'articolo 606, comma 1, lettere c) ed e), cod. poc. pen., per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita' della motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata e da altri atti del processo (e in particolare i documenti prodotti all'udienza del 21 Aprile 2022); illogicita' della motivazione per travisamento dei fatti e della prova. Lamenta il ricorrente che il giudice ha ritenuto sufficienti alla fine della prova della penale responsabilita' dell'imputato il mero esame visivo e fotografico, senza svolgere alcun accertamento in ordine alla composizione del materiale in imputazione; lamenta che lo stesso pubblico ministero nel corso dell'udienza preliminare aveva espressamente richiesto disporsi perizia in tal senso e che tale richiesta era stata rigettata dal giudice; lamenta inoltre il ricorrente la classificazione del materiale eterogeneo quale rifiuto, compiuto dal dottor (OMISSIS) attraverso una mera percezione visiva, con conseguente erronea esclusione della sua classificazior e come "(OMISSIS)". Evidenzia in proposito come dalla documentazione prodotta emergesse con chiarezza che il materiale sequestrato forse in realta' stato ceduto da (OMISSIS) alla (OMISSIS), che lo aveva acquistato per il successivo utilizzo nel proprio ciclo produttivo, elemento di primaria importanza su cui la sentenza impugnata tace, rinvenendosi solo nella relazione del dottor (OMISSIS) l'apodittica affermazione secondo cui tale materiale non poteva essere impiegato per la produzione di manufatti in calcestruzzo presso l'impianto della (OMISSIS). Al contrario, i tre consulenti della difesa raggiungono conclusioni opposte, ritenendo sussistenti tutti i presupposti per qualificare tali materiali quali "sottoprodotti" o "(OMISSIS)"; 4.1.4. Lamenta, ancora, il ricorrente, violazione di legge, sempre con riferimento all'articolo 256 Decreto Legislativo n. 152 del 2006, per non aver tenuto conto la sentenza dei rapporti commerciali intercorrenti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), oggetto di ampia produzione documentale da parte della difesa; 4.1.5. Censura, il ricorrente, violazione di legge con riferimento alla errata esclusione della applicazione della qualificazione del materiale quale "cessazione della qualifica di rifiuto" (EOW), nonche' manifesta illogicita' della motivazione in ordine alla ritenuta attualita' della qualifica di rifiuto in capo ai materiali sequestrati; lamenta altresi' nullita' dell'asserto secondo cui graverebbe sull'interessato provare la sussistenza di tutti i presupposti per la cessazione della qualifica di rifiuto; sottolinea come la produzione di (OMISSIS) possa essere autorizzata anche in assenza di uno specifico regolamento comunitario o decreto ministeriale; 4.1.6. Denuncia il ricorrente l'omessa valutazione nella sentenza impugnata delle deduzioni critiche avanzate dai consulenti della difesa (Dott. (OMISSIS), Dott. (OMISSIS)) sulla rappresentativita' dei campionamenti effettuati dal dottor (OMISSIS); 4.1.7. Censura la dichiarata inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese dall'imputato (OMISSIS) e dai suoi figli (OMISSIS) e (OMISSIS) al C.T. del P.M. ai sensi dell'articolo 228, comma 3, c.p.p.; 4.1.8. Lamenta infine la mancanza di motivazione in ordine alla valutazione delle prove documentali prodotte dalla difesa all'udienza del 21 aprile 2022; 4.2. Relativamente al Capo n. 11) (sentenza di condanna): 4.2.1. Violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p. in riferimento all'articolo 29-quaterdecies Decreto Legislativo n. 152 del 2006. Lamenta il ricorrente come erroneamente il giudice abbia ritenuto che (OMISSIS) fosse tenuta, dopo l'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 46/2014, a munirsi entro i termini di cui all'articolo 29, comma 2, Decreto Legislativo n. 152 del 2006, dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) anche per l'attivita' IPPC 5.b.3 (gestione e trattamento di scorie di fusione e ceneri). Sostiene infatti, anche alla luce delle indicazioni fornite dalla Giunta della Regione Lombardia in data 8 aprile 2014 e della circolare del MATTM del 17 giugno 2015, che, per le attivita' tecnicamente connesse e coinsediate, gia' autorizzate in AIA (nel caso di specie l'attivita' era quella di cui al punto 6.5) ma entrate in IPPC successivamente al citato decreto legislativo, non vi sia obbligo di richiedere l'AIA (come modifica sostanziale), ma essa andra' aggiornata in occasione del primo riesame dell'attivita' IPPC principale. A conferma, il ricorrente cita ben due aggiornamenti dell'AIA effettuati dalla provincia di (OMISSIS), il primo in data 24/10/2014 e il secondo in data 29/06/2018, ossia dopo l'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 46/2014, senza che sia stata sollecitata una richiesta per modifica sostanziale. Aggiunge inoltre il ricorrente che, se le attivita' IPPC sono governate, sotto il profilo tecnico, dall'obbligo di rispetto dell(OMISSIS)d. "BAT" di settore, la relazione ARPA del 14/12/2015 precisa che le BAT venivano correttamente applicate; 4.2.2. Sostiene il ricorrente che, in ogni caso, alla luce delle indicazioni ministeriali e regionali, e' fuor di dubbio che una eventuale errata interpretazione della normativa non potrebbe che ritenersi conseguenza di un errore inescusabile, in quanto indotto dagli enti pubblici preposti alla tutela dell'ambiente; 4.2.3. Violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p. in riferimento all'articolo 452-novies c.p.; lamenta il ricorrente che, da un lato, il giudice promette qualsivoglia motivazione in ordine alla esistenza dell'aggravante in parola; dall'altro, sottolinea come essa trovi applicazione quando dalla commissione del fatto derivi la violazione di uno o piu' norme poste a tutela dell'ambiente; nel caso di specie ci si trova di fronte ad una sola violazione, sussunta nell'ambito dell'articolo 29-quaterdecies nel codice penale, circostanza da cui non puo' che risultare l'insussistenza della contestata aggravante; 4.2.4. Violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., violazione di legge in riferimento agli articoli 546 e 125 c.p.p. per mancanza di motivazione nella parte in cui ha disposto la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite, Provincia di (OMISSIS) ed Ente Parco del (OMISSIS); la motivazione fornita dal giudice e' infatti assolutamente generica, laddove individua, per la provincia di (OMISSIS), il danno patrimoniale nel danno da maggiore attivita' amministrativa e nel danno di immagine il danno non patrimoniale; nonche' per quanto riguarda l'ente Parco, laddove individua danni patrimoniali nei costi di vigilanza e nella maggiore attivita' amministrativa resasi necessaria nel corso degli anni, danno peraltro non richiesto dalla parte civile con riferimento al capo 11); 4.2.5. Violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p. in riferimento agli articoli 546 e 125 c.p.p. nella parte in cui nel dispositivo ha condannato l'imputato al pagamento di una provvisionale, laddove nella motivazione veniva assunta una decisione di segno opposto. 5. Il ricorso di (OMISSIS): 5.1. Il primo motivo di ricorso riproduce le medesime doglianze gia' esposte al par. 4.2.1; 5.2. Il secondo motivo di ricorso riproduce le medesime doglianze gia' esposte al par. 4.2.3; 5.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta l'assenza e l'illogicita' della motivazione nella parte in cui ritiene che la responsabilita' del (OMISSIS) discenda dalla sua qualifica di "incaricato nella gestione dei rifiuti", cui il giudice ha invece negato rilevanza con riferimento alle altre imputazioni; 5.4. Il quarto motivo di ricorso lamenta l'assenza di motivazione nella dosimetria della pena, calcolata in misura prossima al massimo edittale in assenza di qualsivoglia motivazione che non si esaurisca in una mera clausola di stile; 5.5. Il quinto motivo di ricorso riproduce le medesime doglianze gia' esposte al par. 4.2.4, lamentando altresi' la mancanza di prova in ordine all'esistenza di un effettivo pregiudizio; 5.6. Il sesto motivo di ricorso riproduce le medesime doglianze gia' esposte al par. 4.2.5. 6. Il ricorso di (OMISSIS) di (OMISSIS) (OMISSIS): 6.1. I motivi di ricorso indicati quali 1), 1.2), 2), 3) e 4) sono sovrapponibili a quelli presentati da (OMISSIS) in riferimento alla sentenza di proscioglimento in ordine al Capo 1) ed elencati al par. 4.1., cui la Corte rinvia; 6.2. Con il quinto motivo di ricorso, la ricorrente censura l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001. Il motivo si articola in due distinte censure. 6.2.1. In primo luogo, si censura il difetto di prova in ordine all'effettivo interesse o vantaggio (da intendersi in senso di "profitto") conseguito dall'ente; 6.2.2. In secondo luogo, si censura la mancanza di prova di "colpa di organizzazione", avendo l'ente adottato il "modello di organizzazione e gestione" e avendo indebitamente il giudice dedotto, ex post, la colpa di organizzazione dell'ente dalla mera commissione del reato presupposto da parte dell'apicale; 6.3. Con il sesto motivo la ricorrente censura l'applicazione della misura della confisca a carico dell'ente: 6.3.1. In primo luogo, censura come il giudice non abbia motivato in ordine alla derivazione immediata e diretta del profitto dalla commissione del reato presupposto, come richiesto dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione; 6.3.2. In secondo luogo, censura la quantificazione del danno, operata dal giudice "in via equitativa" e senza alcun aggancio con elementi concreti; 6.4. Con il settimo motivo di ricorso la ricorrente lamenta come la sentenza abbia condannato (OMISSIS), in qualita' di responsabile civile, al risarcimento del danno in favore dell'Ente Parco del (OMISSIS), senza che quest'ultimo abbia esercitato l'azione civile nei suoi confronti, citandola quale responsabile civile; 6.5. Con l'ottavo motivo, la ricorrente censura di illogicita' la motivazione in riferimento alle modalita' di determinazione sia del numero delle quote applicate all'ente come sanzione pecuniaria ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, che della loro entita' unitaria. 7. Con memoria del 28 aprile 2023, il difensore di (OMISSIS) depositava motivi nuovi. Ribadisce, in primo luogo, la censura in merito all'espunzione delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) e (OMISSIS), da doversi ritenere inutilizzabili con esclusivo riferimento agli atti irripetibili. Ribadisce, altresi', che la titolarita' dei cumuli di materiali in capo alla (OMISSIS) emerge anche da specifici documenti, come le dichiarazioni rese da (OMISSIS) in data 2.2.2016 nella lettera in risposta alla richiesta del Comune di (OMISSIS) in data 22.12.2015. Ribadisce infine la totale mancanza di motivazione del giudice di primo e unico grado in ordine a tale elemento dirimente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con riferimento al ricorso presentato dall'Avv. (OMISSIS) in data 14/11/2022, la Corte analizzera' in primo luogo la parte relativa al Capo di sentenza sub 1), dichiarato prescritto dal Tribunale di (OMISSIS) (pagg. 1-66). Il ricorso e', in parte qua, inammissibile. 1.1. La Corte ha Sez. 4, n. 8135 del 31/01/2019, Rv. 275219 - 01 ha chiarito che in tema di impugnazioni, l'imputato che, senza aver rinunciato alla prescrizione, proponga ricorso per cassazione avverso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, e' tenuto, a pena di inammissibilita', a dedurre specifici motivi a sostegno della ravvisabilita' in atti, in modo "evidente e non contestabile", di elementi idonei ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua e la configurabilita' dell'elemento soggettivo del reato, affinche' possa immediatamente pronunciarsi sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129, comma 2, c.p.p., ponendosi cosi' rimedio all'errore circa il mancato riconoscimento di tale ipotesi in cui sia incorso ii giudice della sentenza impugnata. Il ricorrente, pur rubricando le proprie doglianze come violazioni di legge, sollecita a questa Corte una rivalutazione del compendio probatorio, evidentemente preclusa in sede di legittimita', e propone in ogni caso censure motivazionali che parimenti non possono trovare ingresso in questa sede, avendo ormai da tempo le Sezioni Unite di questa Corte chiarito, con un condivisibile dictum, che, "in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimita' vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva" (cosi' Sez. Un. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv. 244275, nella cui motivazione si e' precisato che detto principio trova applicazione anche in presenza di una nullita' di ordine generale; conf. Sez. 6, n. 10074 dell'8/2/2005, Algieri, Rv. 231154; Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003 dep. il 2004, Balsano ed altri, Rv. 227098). Ancora, si e' ritenuto che, in sede di legittimita', non e' consentito il controllo della motivazione della sentenza impugnata allorche' sussista una causa estintiva del reato, e cio' sia quando detta causa sia sopraggiunta nelle more del giudizio in Cassazione, sia quando, come nel caso che ci occupa, sia stata dichiarata con lo stesso provvedimento nei cui confronti e' proposta l'impugnazione (cosi' Sez. 5, n. 588 del 4/10/2013 dep. il 2014, Zambonini, Rv. 258670). Pertanto, il giudizio di legittimita' deve essere limitato alle sole violazioni di legge, e, in questo limitato ambito, potranno essere oggetto di scrutinio le sole violazioni che determinino una "evidenza" di elementi idonei ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua e la configurabilita' dell'elemento soggettivo del reato. Nel caso di specie, escluso a priori ogni vaglio sugli asseriti vizi di motivazione da parte di questa Corte (con conseguente inammissibilita' dei relativi motivi), in riferimento alle lamentate violazioni di legge, come si accennera' nei sottoparagrafi che seguono, tale situazione di "evidenza" non ricorre. 1.2. Cio', in primo luogo, con riferimento alla asserita riconducibilita' dei materiali oggetto di contestazione, all'interno della categoria del c.d. "(OMISSIS)" ((OMISSIS)). 1.2.1. Tale istituto, disciplinato dalla direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008 (c.d. "direttiva quadro", o framework directive, in materia di rifiuti) e ribattezzato dal legislatore italiano come "cessazione della qualifica di rifiuto", ha sostituito la previgente disciplina delle c.d. "materie prime secondarie" (articolo 181-bis del TUA), spostando il focus della disciplina dal "risultato" di un processo di recupero al "processo" stesso. L'(OMISSIS) puo' definirsi come un "processo di recupero del rifiuti", al termine del quale il rifiuto cessa di essere tale e torna a svolgere un ruolo utile nel circuito economico come prodotto. In tal senso, le Linee Guida sulla direttiva 2008/98/CE predisposte dalla Commissione UE nel giugno 2012 precisano che le obbligazioni specifiche del produttore e del detentore permangono finche' il processo di recupero non e' completo, in conformita' con gli obiettivi della Direttiva Quadro, cosi' minimizzando il rischio di danni per la salute e l'ambiente. L'(OMISSIS) indica pertanto tutto il "processo" che determina il passaggio da un "rifiuto" a un "prodotto", e, quindi, tutte le fasi attraverso cui questo passaggio si articola e si determina; da cio' consegue che, fino al completamento del processo, il rifiuto resta tale (in tal senso, la Corte ha precisato - Sez. 3, n. 18891 del 22/11/2017, dep. 2018, Battistella, Rv. 272879 - 01 - che i rifiuti esitati dall'attivita' di trattamento, che non hanno ancora cessato di essere tali, continuano ad essere assoggettati alla disciplina in materia di gestione dei rifiuti; pertanto, l'accertamento della cessazione della qualita' ha efficacia "costitutiva" e non "dichiarativa", sicche' essa opera ex nunc e non ex tunc, stante il chiaro tenore letterale dell'articolo 184-ter, u.c., Decreto Legislativo n. 152 del 2006). 1.2.2. Le condizioni che determinano la possibilita' per un rifiuto di cessare di essere tale sono indicate dall'articolo 184-ter del TUA, secondo cui un rifiuto cessa di essere tale, quando e' stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l'oggetto e' comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non portera' a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana. Le caratteristiche anzidette devono indeflettibilmente ricorrere tutte insieme. In tal senso si e' espressa la giurisprudenza della Corte, (Sez. 3, n. 36692 del 03/07/2019, Bordonaro, n. m.), secondo cui occorre che il rifiuto sia sottoposto ad un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i predetti criteri specifici, da adottare nel rispetto delle condizioni dianzi esposte. 1.2.3. Quanto alla "tipologia" di sostanze od oggetti che sono suscettibili di diventare materie prime al termine del processo di recupero, la qualifica di (OMISSIS) puo' in primo luogo essere assegnata a tipologie di materiali da Regolamenti comunitari. La normativa Europea ha tuttavia disciplinato solo alcune ristrette ipotesi: - Regolamento (UE) n. 333/2011 del 31 marzo 2011 recante "I criteri che determinano quando alcuni tipi di rottami metallici cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio"; - Regolamento (UE) n. 1179/2012 del 10 dicembre 2012 recante "I criteri che determinano quando i rottami di vetro cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio"; - Regolamento (UE) n. 715/2013 del 25 luglio 2013 recante "I criteri che determinano quando i rottami di rame cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio". L'articolo 6 della direttiva 19 novembre 2008, n. 2008/98/CE prevede che "se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformita' della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile". Il comma 2 dell'articolo 184-ter TUA stabilisce che "i criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformita' a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o piu' decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della L. 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto". L'Italia a sua volta ha disciplinato i seguenti casi di (OMISSIS): - Decreto del Ministero dell'ambiente 14 Febbraio 2013, n. 22, "Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 Aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni"; - Decreto del Ministero dell'ambiente 28 marzo 2018, n. 69, "Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di conglomerato bituminoso ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152", in vigore dal 3 luglio 2018; - Decreto del Ministero dell'ambiente 15 maggio 2019 n. 62, "Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di prodotti assorbenti per la persona (PAP) ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152"; - Decreto del Ministero dell'ambiente 31 marzo 2020 n. 78, "Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto della gomma vulcanizzata derivante da pneumatici fuori uso, ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152", in vigore dal 5 agosto 2020; - Decreto del Ministero dell'ambiente 22 settembre 2020, n. 188, "Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto da carta e cartone, ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152"; - Decreto del Ministero dell'ambiente del 27 settembre 2022 n. 152, "Regolamento che disciplina la cessazione della qualifica di rifiuto dei rifiuti inerti da costruzione e demolizione e di altri rifiuti inerti di origine minerale, ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152". 1.2.4. La Direttiva non entrava nel merito delle competenze istituzionali dei singoli Stati membri, mentre l'articolo 184-ter TUA prevedeva che la disciplina come (OMISSIS) per specifiche tipologie di rifiuto dovesse passare attraverso uno o piu' decreti del MATTM (acronimo di "Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare"); la possibilita' che potesse essere autorizzato un processo di (OMISSIS) "caso per caso", al di fuori dei casi espressamente contemplati, era stata fermamente smentita dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato con la sentenza n. 1229/2018, il quale ha affermato il potere di assegnare la qualifica di (OMISSIS) a determinati materiali "caso per caso", non va riferito al singolo materiale da esaminare, bensi' inteso come "tipologia" di materiale da esaminare e fare oggetto di piu' generale previsione regolamentare, a monte dell'esercizio della potesta' autorizzatoria). Il nuovo paragrafo 4 dell'articolo 6 della direttiva, tuttavia, nel testo modificato dalla direttiva 2018/851/UE, prevede che "laddove non siano stati stabiliti criteri a livello di Unione o a livello nazionale ai sensi, rispettivamente, del paragrafo 2 o del paragrafo 3, gli Stati membri possono decidere caso per caso o adottare misure appropriate al fine di verificare che determinati rifiuti abbiano cessato di essere tali in base alle condizioni di cui al paragrafo 1, rispecchiando, ove necessario, i requisiti di cui al paragrafo 2, lettere da a) a e), e tenendo conto dei valori limite per le sostanze inquinanti e di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente e sulla salute umana. Tali decisioni adottate caso per caso non devono essere notificate alla Commissione". La L. n. 128 del 02/11/2019 ha modificato radicalmente l'articolo 184-ter del TUA. La nuova disciplina, molto articolata, trova il punto focale nella previsione secondo cui, in mancanza di criteri specifici adottati con i regolamenti ministeriali, le autorizzazioni per lo svolgimento di operazioni di recupero siano rilasciate o rinnovate direttamente dalle amministrazioni competenti nel rispetto delle condizioni di cui all'articolo 6 della direttiva 2008/98/CE, sulla base di criteri dettagliati definiti provvedimento autorizzatorio e previo parere obbligatorio (introdotto dall'articolo 34, comma 1, lettera a), del Decreto Legge n. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108) di ISPRA o ARPA competente (sulla base delle linee guida aggiornate, da ultimo, dal SNPA con Quaderno n. 41/2022). 1.2.6. Appare in conclusione del tutto evidente, pertanto, che fino al novembre del 2019 non fosse possibile attribuire ai materiali "de qua" la qualifica di (OMISSIS), cio' che rende di solare evidenza l'impossibilita' per la Corte di valutare ictu oculi la sussistenza dei presupposti per una assoluzione nel merito. 1.3. Analoghe considerazioni possono essere svolte in riferimento al censurato profilo dell'inversione dell'onus probandi. La giurisprudenza consolidata della Corte, che il Collegio condivide, ha precisato con giurisprudenza univoca che trattandosi di norme aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti, "l'onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge deve essere assolto da colui che ne richiede l'applicazione (Sez. 3, n. 38950 del 26/06/2017, Roncada, n. m.; Sez. 3, n. 56066 del 19/09/2017, Sacco, Rv. 272428 - 01; Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336 - 01; Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari, Rv. 262129 - 01; Sez. 3, n. 17453 del 17/04/2012, Buse', Rv. 252385 - 01; Sez. 3, n. 16727 del 13/04/2011, Spinello, n. m.; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504 - 01). Tale giurisprudenza e' una applicazione dell'indirizzo consolidato secondo cui (v. Sez. 3, n. 20410 del 08/02/2018 Rv. 273221 - 01 Boccaccio) il principio di inversione dell'onere della prova "specificamente riferito al deposito temporaneo, e' peraltro applicabile in tutti i casi in cui venga invocata, in tema di rifiuti, l'applicazione di disposizioni di favore che derogano ai principi generali". In tal senso, gia' Sez. 3, sentenza n. 47262 dell'8/09/2016, Marinelli, n. m., aveva precisato che il principio dell'inversione dell'onere della prova corrisponde ad un "principio generale gia' applicato in giurisprudenza: in tema di attivita' di raggruppamento ed incenerimento di residui vegetali previste dall'articolo 182, comma 6 bis, primo e secondo periodo, Decreto Legislativo n. 152 del 2006 (cfr. Sez. 3, n. 5504 del 12/01/2016, Lazzarini), di deposito temporaneo di rifiuti (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo), di terre e rocce da scavo (Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato), di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate presenti sulla battigia per via di mareggiate o di altre cause naturali (Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014, Aloisio), di qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali (Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano), di deroga al regime autorizzatorio ordinario per gli impianti di smaltimento e di recupero, prevista dall'articolo 258 comma 15 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 relativamente agli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee (Sez. 3, n. 6107 del 17/01/2014, Minghini), di riutilizzo di materiali provenienti da demolizioni stradali (Sez. 3, n. 35138 del 18/06/2009, Bastone)". Il principio e' stato successivamente ribadito anche da Sez. 3, n. 3598 del 23/10/2018, dep. 2019, Fortuna, n. m.. 1.3.1. Tale prova inoltre, che grava sull'interessato, non puo' essere fornita (Sez. 3, n. 41607 del 6/07/2017, Garlando, n. m.) mediante mera testimonianza, atteso che l'articolo 184-bis Decreto Legislativo n. 152 del 2006 richiede "condizioni specifiche che devono essere adeguatamente documentate anche e soprattutto sotto il profilo prettamente tecnico, involgendo, come e' noto, le caratteristiche del ciclo di produzione, il successivo reimpiego, eventuali successivi trattamenti, la presenza di caratteristiche atte a soddisfare, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e l'assenza di impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana", e che "incombe sull'interessato, anche successivamente alla modifica dell'articolo 183, comma 1, lettera p), l'onere di fornire la prova della destinazione del materiale ad ulteriore utilizzo, con certezza e non come mera eventualita'". Principio che trova pacificamente applicazione al caso dell'(OMISSIS), che riposa sul medesimo principio derogatorio. 1.3.2. Le sopra esposte considerazioni valgono anche, pertanto, in riferimento alla prospettata (ma non dimostrata) ipotesi di classificare i materiali in parola come "sottoprodotti", circostanza del resto esclusa dal giudice del merito anche alla luce della tipologia di materiali rinvenuti (tra cui degli "scarti di fonderia", pag. 8). 1.4. Analogamente, in relazione alle ordinanze dibattimentali impugnate con la sentenza, non appare evidente l'esistenza di elementi per procedere ictu oculi all'assoluzione. I motivi appaiono pertanto manifestamene infondati in quanto si pongono in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte senza addurre alcun profilo di novita' (Sez. 2 -, Sentenza n. 17281 del 08/01/2019, Delle Cave, Rv. 276916 - 01). 1.4.1. Quanto alla violazione del diritto agli avvisi ex articolo 360 c.p.p., evidenzia il collegio come, correttamente, il ricorrente faccia riferimento alla disposizione di cui all'articolo 220 disp. att. c.p.p., a mente del quale "quando nel corso di attivita' ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale sono compiuti con l'osservanza delle disposizioni del codice". Tuttavia, proprio alla luce del richiamo contenuto alle norme del codice di rito, il Collegio evidenzia come questa Corte (v., ex plurimis, Sez. 6, n. 10350 del 6/02/2013; Sez. 2, n. 2087 del 10/01/2012; Sez. 2, n. 34149 del 10/07/2009) e la stessa Corte Costituzionale (sent. n. 239/2017) hanno in modo costante distinto il "rilievo" dall'"accertamento tecnico". Si tratta, come noto, di categorie di atti di indagine che il codice non definisce in alcun punto, tanto che alcuni in dottrina hanno in proposito parlato di "endiadi". Cosi' non e'. L'articolo 359 c.p.p. (rubricato "Consulenti tecnici del pubblico ministero"), si riferisce ad entrambi i tipi di operazioni, laddove l'articolo 360 si riferisce solo ai secondi, con conseguente esclusione, quanto ai "rilievi", del diritto al previo avviso all'indagato, che puo' partecipare alle operazioni solo "ove presente" (arg. ex articoli 354 e 356 c.p.p., 114 disp. att. c.p.p.). La giurisprudenza della Corte ha nel tempo chiarito che con il termine "rilievi" si intende un'attivita' di mera osservazione, individuazione ed acquisizione di dati materiali, mentre gli "accertamenti" comportano un'opera di studio critico, di elaborazione valutativa, ovvero di giudizio di quegli stessi dati o di valutazioni critiche su basi tecnico-scientifiche (Sez. 5, n. 11866 del 29/09/2000, D'Anna; Sez. 2, n. 45751 dell'8/02/2016, Siino; Sez. 1, n. 18246 del 25/02/2015, Cedrangolo; sez. 1, n. 45283 del 10/10/2013; Sez. 2, n. 33076 del 25/07/2014; Sez. 1, n. 2443 del 13/11/2007, Pannone: "in tema di indagini preliminari, la nozione di accertamento tecnico concerne non l'attivita' di raccolta o di prelievo dei dati pertinenti al reato... priva di alcun carattere di invasivita', bensi' soltanto il loro studio e la loro valutazione critica"; Sez. 2, n. 34149 del 10/07/2009, Chiesa, Rv. 244950: "in tema di indagini preliminari, mentre il rilievo consiste nell'attivita' di raccolta di dati pertinenti al reato, l'accertamento tecnico si estende al loro studio e valutazione critica secondo canoni tecnico-scientifici"; conformi, in relazione ai prelievi di campioni di DNA: Sez. 1, n. 18246 del 25/02/2015, Rv. 263859 - 01; Sez. 1, n. 31880 del 30/03/2022, Rv. 283573 - 01). La giurisprudenza, anche Costituzionale, ha nel tempo assimilato il concetto di "prelievo" a quello di "rilievo" (v. citata sent. Corte Cost. n. 239/2017; Sez. 1, n. 2443 del 13/11/2007, Rv. 239101 - 01"la nozione di accertamento tecnico concerne non l'attivita' di raccolta o di prelievo dei dati pertinenti al reato... priva di alcun carattere di invasivita', bensi' soltanto il loro studio e la loro valutazione critica"), essendo entrambi mezzi volti all'apprensione di un dato materiale, una cosa, un campione, di essa rappresentativo. D'altra parte, come evidenziato in dottrina, il fatto che il codice riservi in alcune disposizioni (articoli 224-bis e 359-bis c.p.p.) particolari cautele in relazione a talune forme di "prelievi" e non invece ai "rilievi", e' ricollegabile alla peculiare circostanza che solo nel caso del "prelievo" l'attivita', in quei casi specifici, presenta carattere invasivo della liberta' personale (Sez. 1, n. 2443 del 13/11/2007, Pannone, Rv. 239101 - 01: "In tema di indagini preliminari, la nozione di accertamento tecnico concerne non l'attivita' di raccolta o di prelievo dei dati pertinenti al reato, priva di alcun carattere di invasivita', bensi' soltanto il loro studio e la loro valutazione critica"). Resta inteso che, ove non si applichino le garanzie di cui all'articolo 360 c.p.p., particolare attenzione e cura dovranno essere rivolte alla verbalizzazione dell'attivita' (prevista dall'articolo 357 c.p.p. solo per gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria, ma da estendersi all'attivita' di indagine in generale, soprattutto ove non assistita dalla dialettica tra le parti), onde consentirne il controllo (e la contestazione) in contraddittorio nelle successive fasi processuali. Tuttavia, lo stesso giudice delle leggi citato ha evidenziato che, anche operazioni di rilievo o prelievo, e in generale di repertazione, possano richiedere, "in casi particolari, valutazioni e scelte circa il procedimento da adottare, oltre che non comuni competenze e abilita' tecniche per eseguirlo, e in questo caso, ma solo in questo, puo' ritenersi che quell'atto di indagine costituisca a sua volta oggetto di un accertamento tecnico, prodromico rispetto all'atto da eseguire poi sul reperto prelevato". Infatti, possono verificarsi situazioni in cui per la repertazione del campione, necessario agli accertamenti peritali, siano richieste specifiche competenze tecniche ovvero si debba ricorrere a tecniche particolari e in "tal caso anche l'attivita' di prelievo assurge alla dignita' di operazione tecnica non eseguibile senza il ricorso a competenze specialistiche e dovra' essere compiuta nel rispetto dello statuto che il codice prevede per la acquisizione della prova scientifica" (Sez. 2, n. 2476 del 27/11/2014, Rv. 261867 - 01). Non a caso, accorta dottrina parla, in proposito degli accertamenti tecnici, di categoria "liquida", proprio a sottolinearne la natura "mobile" dei confini. Si tratta, in questi casi, di un apprezzamento in concreto rimesso al giudice del fatto, insindacabile in sede di legittimita' ove sorretto da adeguata motivazione. Quanto alle "tecniche" di campionamento, il Collegio evidenzia, in riferimento ai rifiuti, che se e' vero che tale attivita' puo' essere particolarmente delicata in merito alla scelta delle metodiche da adottare e della rappresentativita' del campione (circostanza che rende consigliabile assicurare in ogni caso il contraddittorio), la Corte di Giustizia UE (sentenza 28 marzo 2019, cause riunite da C-487/17 a C-489/17, Verlezza), ha precisato che in materia di rifiuti, e' richiesto solamente che le operazioni di campionamento "devono offrire garanzie di efficacia e di rappresentativita'" e che i relativi metodi siano "riconosciuti a livello internazionale". Questa Corte (Sez. 3, n. 1987 del 08/10/2014, Rv. 261786 - 01), del resto, ha evidenziato del resto come non sia imposto per il campionamento dei rifiuti l'uso di particolari metodologie (nella specie il metodo UNI 10802) e che la scelta sul metodo da utilizzare per il campionamento e' questione di fatto, in mancanza di una normativa generale vincolante sul punto. Analogamente la Corte si e' espressa in tema di inquinamento delle acque (Sez. 3, n. 32996 del 14/05/2003, Rv. 225547 - 01: "in tema di controllo dei reflui degli scarichi il metodo di campionamento e' regolamentato da una metodica flessibile, in quanto accanto al criterio ordinario, riferito ad un campione medio prelevato nell'arco di tre ore, prevede la possibilita' di criteri derogatori in relazione alle specifiche esigenze del caso concreto, quali quelle derivanti dalle prescrizioni contenute nell'autorizzazione allo scarico, dalle caratteristiche del ciclo tecnologico, dal tipo di scarico cosi' come dal tipo di accertamento, la cui valutazione spetta all'autorita' amministrativa di controllo nonche', in sede processuale, al giudice penale"; Sez. 3, n. 36701 del 03/07/2019, Rv. 277158 - 01: " In tema di inquinamento idrico, la norma sul metodo di prelievo per il campionamento dello scarico ha carattere procedimentale e non sostanziale e, dunque, non ha natura di norma integratrice della fattispecie penale, ma rappresenta il mero criterio tecnico ordinario per il prelevamento, ben potendo il giudice, tenuto conto delle circostanze concrete, motivatamente ritenere la rappresentativita' di campioni raccolti secondo metodiche diverse"), nonche' di mangimi per animali (Sez. 3, n. 21652 del 02/04/2009, Rv. 243726 - 01: "Le norme relative al prelevamento e all'analisi di campioni di merci hanno carattere ordinatorio e non costituiscono condizioni per il regolare esercizio dell'azione penale, sicche' eventuali irregolarita' in materia non determinano nullita', pur dovendo il giudice, che da tali analisi voglia trarre elementi di convincimento per la decisione, motivare adeguatamente in ordine all'attendibilita' del risultato"). Da quanto sopra evidenziato, appare evidente che non possa attribuirsi all'attivita' di campionamento dei rifiuti la "natura" di accertamento tecnico ex se, essendo al contrario 14 rimessa al giudice del fatto la valutazione in ordine al quantum di competenza e difficolta' tecnica richiesto per l'effettuazione delle operazioni di prelievo, al fine di valutare la necessita' di attivare la procedura garantita di cui all'articolo 360 c.p.p.. Nel caso di specie, non vi e' dubbio che, ontologicamente, il campionamento dei rifiuti appartenga alla categoria dei "rilievi", e non a quella degli "accertamenti tecnici", e che potendosi in ipotesi lamentar eun vizio di motivazione, il relativo scrutinio va in concreto escluso alla luce delle considerazioni espresse dal Collegio al par. 1.1. A cio' si aggiunga che il giudice del fatto ha escluso la natura "irripetibile" delle operazioni di campionamento dei rifiuti (pag. 2 ordinanza 14/01/2020, riportata a pag. 9 del ricorso), valutazione in fatto non sindacabile dalla Corte. Dalla sopra esposte considerazioni consegue la inammissibilita' anche delle censure relative alla pretesa violazione del diritto all'avviso da parte del ricorrente, indipendentemente dall'avvenuta iscrizione o meno dello stesso sul registro degli indagati e dalla dedotta natura irripetibile delle operazioni, nonche' delle conseguenti lamentate nullita'. 1.4.2. Manifestamente infondata e' poi la parte di doglianza secondo cui il pubblico ministero avrebbe dovuto procedere alla nomina di consulenti tecnici per l'effettuazione degli accertamenti tecnici, posto che l'articolo 117 delle norme di attuazione del codice di procedura penale prevede l'applicabilita' della "procedura" di cui all'articolo 360 c.p.p. (ove applicabile) anche agli accertamenti tecnici "che modificano lo stato dei luoghi, delle cose o delle persone", prescindendo quindi dalla nomina di consulenti. 1.5. Lamenta inoltre il ricorrente che i funzionari ARPA, nominati ausiliari tecnici per le operazioni di sopralluogo, inseriti nella lista ex ar. 468 c.p.p. come testimoni, sarebbero stati escussi quali consulenti, e quindi non sarebbero come tali stati autorizzati, incorrendo, inoltre, nell'incompatibilita' a testimoniare prevista per gli ausiliari del pubblico ministero. 1.5.1. Quanto al primo profilo, Il motivo e' pertanto manifestamente infondato. La Corte ha ritenuto in passato (Sez. 3, Sentenza n. 37490 del 21/09/2011, n. m.) che il consulente del Pubblico Ministero puo' essere interrogato come testimone al dibattimento "per una sorte di "conversione" in quello praeter peritiam previsto dall'articolo 233 c.p.p.", cosi' "convogliando nel processo pareri e conoscenze utili ai fini della decisione (Cass. Sez. 3 sentenza 22260/2008)" e che (Sez. 2, n. 4128 del 09/10/2019, Consolo, Rv. 278086 - 01) "in tema di prova testimoniale, il divieto di apprezzamenti personali non opera qualora il testimone sia persona particolarmente qualificata che riferisca su fatti caduti sotto la sua diretta percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e specifica attivita' giacche', in tal caso, l'apprezzamento diventa inscindibile dal fatto". In sostanza, il c.d. "teste tecnico" puo' non solo riferire fatti di cui ha avuto immediata percezione, ma altresi' svolgere considerazioni che costituiscono retaggio del suo bagaglio professionale, in maniera del tutto analoga al consulente tecnico, purche' nei limiti dei capitoli di prova ammessi, circostanza, questa, non dedotta nel motivo di impugnazione. 1.5.2. Il secondo rilievo e' del pari manifestamente infondato. Nell'ordinamento processuale esistono due differenti nozioni di "ausiliario" del magistrato. Ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera n) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2000, ai fini del pagamento delle dovute competenze sono ausiliari del magistrato "il perito, il consulente tecnico, l'interprete, il traduttore e qualunque altro soggetto competente, in una determinata arte o professione o comunque idoneo al compimento di atti, che il magistrato o il funzionario addetto all'ufficio puo' nominare a norma di legge". Ai sensi dell'articolo 373 c.p.p., invece, (âEuroËœ"ausiliario del pubblico ministero" (cosi' come l'ausiliario del giudice ex articolo 126) e' colui che assiste il pubblico ministero e redige i verbali. L'articolo 197 c.p.p., alla lettera d) prevede che non possono assumere la veste di testimoni "coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario, nonche' il difensore che abbia svolto attivita' di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi dell'articolo 391-ter", con cio' rendendo evidente che l'incompatibilita' si riferisce solo agli ausiliari di cui all'articolo 373 del codice di rito (Sez. 5, n. 17951 del 07/02/2020, Zilio, Rv. 279175 - 02: "sussiste l'incompatibilita' con l'ufficio di testimone solo per l'ausiliario in senso tecnico, che appartiene al personale della segreteria o della cancelleria dell'ufficio giudiziario, e non invece in relazione ad un esperto, estraneo all'amministrazione giudiziaria, che abbia svolto occasionalmente funzioni di ausiliario della polizia giudiziaria in fase di indagini preliminari"; in tal senso, anche Sez. 5, n. 32045 del 10/06/2014, Colombo, Rv. 261652 - 01). 1.6. Il motivo relativo al lamentato "travisamento del fatto e della prova" (pag. 19 ricorso) e' inammissibile in quanto totalmente svolto in fatto, risolvendosi nella mera contestazione della "correttezza" della motivazione (sufficienza o meno dell'"esame visivo" dei materiali ai fini della loro classificazione), territorio in cui il sindacato della Corte non puo' certamente spingersi. Il Collegio evidenzia come, anche di recente, la Corte (Sez. 3, n. 16355 del 16/03/2023, Abom), abbia affermato che "l'accertamento della natura di un oggetto quale rifiuto, ai sensi dell'articolo 183 Decreto Legislativo n. 3 aprile 2006, n. 152 costituisce una questione di fatto, demandata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimita', se, come nel caso in esame, sorretta da motivazione esente da vizi logici o giuridici (v. Sez. 3, n. 25548 del 26/03/2019, Schpeis, Rv. 276009; Sez. 3, n. 7037 del 18/01/2012, Fiorenza, Rv. 252445), anche perche' tale qualificazione non deve necessariamente basarsi su un accertamento peritale, âEuroËœpotendo legittimamente fondarsi, come nel caso in esame, anche su elementi probatori, quali le dichiarazioni testimoniali, i rilievi fotografici o gli esiti di ispezioni e sequestri (v. Sez. 3, n. 33102 del 07/06/2022; Bartucci, Rv. 283417; conf. Sez. 3, n. 7705 del 1991, Rv. 18780)". Non puo' del resto non evidenziarsi come (pagina 8 della sentenza), in ordine alla tipologia e composizione del materiale, il Tribunale evidenzi che il teste Garattoni, ufficiale di P.G., all'udienza 29/09/2020 ha riferito che si trattava di enormi cumuli (stimati successivamente da ARPA in circa 130.000 tonnellate e poco piu' di 55.000 mc) di materiale prevalentemente ente, inerte, frammisto a plastica, legno, metalli, scorie metalliche e scarti di fonderia, visibili anche dalla strada e posti nelle vicinanze di un affluente del fiume (OMISSIS), l'affluente (OMISSIS), in area sottoposta a vincolo paesaggistico; tale circostanza veniva confermata dal teste (OMISSIS) all'udienza 29/01/2021; dal Dott. (OMISSIS) sia nella sua relazione che nell'escussione all'udienza 19/11/2021; dal Dott. (OMISSIS), il quale confermava la presenza di 5 cumuli i materiali che dal punto di vista merceologico potevano essere raggruppati in quattro categorie: materiale in ingresso costituito da una miscela di rifiuti fini e grossolani; materiale in uscita dal trattamento costituito da materiale fine; materiale in uscita dal trattamento costituito da materiale grossolano definito in planimetria come "sopravaglio"; terre e rocce da scavo. A pagina 9 della sentenza, poi, il giudice rappresenta inoltre come le dichiarazioni anzidette "trovano evidente conferma da quanto riprodotto nelle fotografie eseguite in occasione del sopralluogo del 15/04/2016". Il motivo, pertanto, risulta del tutto inammissibile in quanto volto a censurare vizi di motivazione (v. par. 1.1., cui si rimanda). 1.7. Altrettanto inammissibili sono i motivi relativi alla valutazione della documentazione relativa ai rapporti commerciali tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e alla illegittimita' della dichiarata inutilizzabilita' delle dichiarazioni rese da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), profili astrattamente censurabili sotto il profilo della "omessa" o "apparente" motivazione. Sul primo punto, la sentenza impugnata precisa che la deposizione del teste (OMISSIS) ha chiarito che il materiale contenuto nei cumuli, anche se in ipotesi proveniente da (OMISSIS), stante la sua natura eterogenea, non avrebbe potuto essere utilizzato nel processo produttivo di (OMISSIS) (pag. 12), con cio' escludendo implicitamente la rilevanza della documentazione prodotta (in quanto non comproverebbe la sussistenza del requisito del riutilizzo "certo") e sottraendosi al sindacato di legittimita'. Sul secondo punto, la sentenza impugnata (che sul punto - pagina 11 - motiva ampiamente) ha fatto ineccepibile applicazione dell'articolo 228, comma 3, c.p.p., che esclude qualsiasi utilizzabilita' delle dichiarazioni rese dagli indagati a periti e consulenti tecnici che non siano funzionali allo svolgimento dell'incarico, espungendo dal materiale probatorio ogni riferimento a tali dichiarazioni. La censura in realta' e' volta a dimostrare che, anche senza tali dichiarazioni, la prova della provenienza del materiale rinvenuto presso (OMISSIS) fosse evidente e tale da condurre certamente all'assoluzione. Al contrario, a pagina 12 della sentenza impugnata si precisa che "epurati i verbali di udienza dalle dichiarazioni dei CT della difesa che riportano presunte dichiarazioni rese dai (OMISSIS) sull'uso che ne facevano del materiale dei cumuli, va evidenziato che la circostanza secondo la quale il materiale venisse utilizzato dalla (OMISSIS), e' riferito, appunto, solo dai consulenti della difesa. Questa circostanza e', invece, e' stata categoricamente smentita non solo dai testi che erano dipendenti della (OMISSIS) (di cui si e' gia' detto), ma anche dal dottor (OMISSIS), che ha negato decisamente che quel materiale potesse essere utilizzato, per le sue qualita', nel processo produttivo di (OMISSIS). Ad analoghe conclusioni deve giungersi anche valutate le dimensioni dei cumuli e la composizione del materiale degli stessi (miscellanea di rifiuti)". La motivazione non appare mancante, ne' apparente, con conseguente inammissibilita' dei motivi. 1.8. In riferimento alla parte della doglianza secondo cui la declaratoria di prescrizione potrebbe esporre il ricorrente ad azioni di responsabilita' da parte della societa' chiamata a rispondere ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, la Corte ritiene che essa sia inammissibile. Ed infatti, ha in precedenza chiarito (v. Sez. 6, n. 41768 del 22/06/2017, Rv. 271287) come sia inammissibile per difetto di interesse il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, emessa con riferimento a reato presupposto della responsabilita' da reato degli enti, non essendo configurabile un autonomo interesse dell'imputato neppure nel caso in cui dalla responsabilita' dell'ente possano discendere conseguenze economiche indirette o riflesse per la sua posizione di socio o amministratore. 1.9. Conclusivamente, la Corte ritiene che, alla luce delle sovraesposte considerazioni, non sussistano i presupposti di quella "evidenza" di innocenza che consentirebbe di rilevare, ictu oculi, la prevalenza di una causa di assoluzione rispetto all'estinzione del reato per prescrizione. I motivi vanno pertanto dichiarati inammissibili. 2. Tutti i motivi relativi al Capo 11) di incolpazione, in punto di affermazione di responsabilita', sono inammissibili per difetto di specificita'. 2.1. La Corte ritiene opportuno prendere le mosse dalla propria precedente pronuncia resa nel giudizio cautelare (Sez. 3, n. 38753 del 09/07/2018, Rv. 273710), che riporta in modo chiaro il quadro normativo (incidentalmente, il Collegio evidenzia come non sussista alcuna ipotesi di incompatibilita', posto che - Sez. 6, n. 9388 del 03/02/2021, Alampi, Rv. 280716 - 01 - "il giudice della Corte di Cassazione, che abbia partecipato alla decisione sul ricorso cautelare, non e' incompatibile a trattare il giudizio sul ricorso avverso la sentenza di condanna proposto dal medesimo imputato, posto che il giudizio di legittimita', avente ad oggetto la verifica della corretta applicazione delle norme e dell'insussistenza nella motivazione dei vizi di contraddittorieta' o di manifesta illogicita', non comporta una valutazione nel merito della vicenda concreta neanche nel caso di travisamento della prova, essendo lo scrutinio comunque limitato alla verifica della logica interna della decisione di merito", circostanza del resto non dedotta, correttamente, dal ricorrente). La predetta sentenza ha affermato che "la necessita' dell'AIA per le installazioni che svolgono le attivita' di cui all'Allegato VIII alla Parte Seconda del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 e' stabilita dall'articolo 6, comma 13 del medesimo decreto legislativo. L'autorizzazione e' rilasciata secondo le procedure stabilite dagli articoli 29-bis e ss. del Decreto Legislativo n. l'allegato VIII alla Parte Seconda del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 ha subito anch'esso l'ultima modifica ad opera del Decreto Legislativo n. 46/2014, che ne ha disposto, con l'articolo 26, comma 1, l'integrale sostituzione. Esso individua le categorie di attivita' di cui all'articolo 6, comma 13 citato e vi comprende ora il trattamento di scorie e ceneri, in precedenza non previsto. Il Decreto Legislativo n. 46/2014, in considerazione delle modifiche apportate alla disciplina di settore, contiene, nell'articolo 29, alcune disposizioni transitorie che riguardano specificamente, al comma 3, i gestori delle installazioni esistenti che non svolgono attivita' gia' ricomprese all'Allegato VIII alla Parte Seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come introdotto dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128, i quali erano tenuti a presentare istanza per il primo rilascio della autorizzazione integrata ambientale, ovvero istanza di adeguamento ai requisiti del Titolo III-bis della Parte Seconda, nel caso in cui l'esercizio debba essere autorizzato con altro provvedimento, entro il 7 settembre 2014. Il successivo comma 3 impone all'autorita' competente al rilascio del titolo abilitativo il completamento dei procedimenti, avviati in esito alle istanze di cui al comma 2, entro il 7 luglio 2015, consentendo, nelle more, la prosecuzione dell'attivita' in base alle autorizzazioni previgenti, se del caso opportunamente aggiornate a cura delle autorita' che le hanno rilasciate, a condizione di dare piena attuazione, secondo le tempistiche prospettate nelle istanze di cui al comma 2, agli adeguamenti proposti nelle predette istanze, in quanto necessari a garantire la conformita' dell'esercizio dell'installazione con il titolo III-bis della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni. L'articolo 5, comma 1, lettera i-quater Decreto Legislativo n. 152 del 2006 definisce la "installazione" come "unita' tecnica permanente, in cui sono svolte una o piu' attivita' elencate all'allegato VIII alla Parte Seconda e qualsiasi altra attivita' accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attivita' svolte nel luogo suddetto e possa influire sulle emissioni e sull'inquinamento. E' considerata accessoria l'attivita' tecnicamente connessa anche quando condotta da diverso gestore". L'articolo 5, comma 1, lettera i-quinquies definisce la "installazione esistente" come quella che, "al 6 gennaio 2013, ha ottenuto tutte le autorizzazioni ambientali necessarie all'esercizio o il provvedimento positivo di compatibilita' ambientale o per la quale, a tale data, sono state presentate richieste complete per tutte le autorizzazioni ambientali necessarie per il suo esercizio, a condizione che essa entri in funzione entro il 6 gennaio 2014. Le installazioni esistenti si qualificano come "non gia' soggette ad AIA" se in esse non si svolgono attivita' gia' ricomprese nelle categorie di cui all'Allegato VIII alla Parte Seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come introdotto dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128". La pronuncia, nel rimarcare che "proprio le specifiche finalita' indicate dal legislatore ed, in ogni caso, desumibili dal complesso delle norme solo in parte in precedenza richiamate, impongono una rigorosa e restrittiva interpretazione, tale da non vanificare gli effetti di questa particolare disciplina e che, pare quasi superfluo precisano, non puo' prescindere da una altrettanto rigorosa disamina dei contenuti del titolo abilitativo e della corrispondenza tra quanto autorizzato e le condizioni effettive di svolgimento dell'attivita', senza che tale verifica possa arrestarsi di fronte alla mera disponibilita' dell'autorizzazione", conclude nel senso che "se l'AIA e' richiesta per le "installazioni" che svolgono le attivita' descritte nell'Allegato VIII (articolo 6, comma 13) e se tra le installazioni rientra qualsiasi altra attivita' accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attivita' svolte e possa influire sulle emissioni e sull'inquinamento, e' evidente che tale connessione non puo' che riferirsi comunque ad attivita' comprese tra quelle elencate nel suddetto allegato e non anche riferibili ad altre attivita' eventualmente svolte nel medesimo insediamento, con la conseguenza che l'AIA rilasciata per attivita' non comprese nell'Allegato VIII alla Parte Seconda del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 prima delle modifiche apportate dal Decreto Legislativo n. 46/2014 comporta l'applicazione della disciplina transitoria di cui all'articolo 29 del citato decreto legislativo e la conseguente necessita' di una nuova istanza di rilascio dell'AIA, ovvero di una istanza di adeguamento". Il principio e' stato riaffermato da Sez. 4, n. 18835 dell'11/04/2019, in cui la Corte era stata nuovamente adita nella prosecuzione della fase cautelare: "se l'AIA e' richiesta per le "installazioni" che svolgono le attivita' descritte nell'Allegato VIII (articolo 6, comma 13) e se tra le installazioni rientra qualsiasi altra attivita' accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attivita' svolte e possa influire sulle emissioni e sull'inquinamento, e' evidente che tale connessione non puo' che riferirsi comunque ad attivita' comprese tra quelle elencate nel suddetto allegato e non anche riferibili ad altre attivita' eventualmente svolte nel medesimo insediamento, con la conseguenza che l'AIA rilasciata per attivita' non comprese nell'Allegato VIII alla Parte Seconda del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 prima delle modifiche apportate dal Decreto Legislativo n. 46/2014 comporta l'applicazione della disciplina transitoria di cui all'articolo 29 del citato decreto legislativo e la conseguente necessita' di una nuova istanza di rilascio dell'AIA, ovvero di una istanza di adeguamento". 2.2. Rispetto al quadro normativo e ai profili giuridici gia' oggetto di valutazione da parte di questa Corte, che il Collegio ribadisce, la difesa adduce che la circolare del MATTM del 17 giugno 2015 (n. 12422, "Ulteriori criteri sulle modalita' applicative della disciplina in materia di prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento alla luce delle modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 4 marzo 2014, n. 46") prevede che, per le "attivita' tecnicamente connesse e coinsediate", gia' autorizzate in AIA (nel caso di specie l'attivita' era quella di cui al punto 6.5) ma entrate in IPPC successivamente ai citato decreto legislativo, non vi sia obbligo di richiedere l'AIA (come modifica sostanziale), ma essa andra' aggiornata in occasione del primo riesame dell'attivita' IPPC principale (considerazioni analoghe sarebbero state svolte dalla Regione Lombardia nella circolare dell'8/04/2014). Tale affermazione, che introduce un profilo di parziale novita' rispetto ai precedenti dicta della Corte, necessita delle seguenti precisazioni. Sovente, nella prassi, accanto ad una attivita' autorizzata in AIA vi sono altre attivita', collegate alla prima, per le quali non e' previsto tale titolo autorizzativo. Si parla in proposito di "attivita' tecnicamente connesse". Si e' visto in precedenza come l'AIA sia richiesta per ogni "installazione" in cui sono svolte una o piu' attivita' elencate all'allegato VIII alla Parte Seconda e come l'articolo 5, lettera I-quater, del testo unico precisi che il concetto di "installazione" include, oltre all'"unita' tecnica permanente", anche "qualsiasi altra attivita' accessoria, che sia tecnicamente connessa con le attivita' svolte nel luogo suddetto e possa influire sulle emissioni e sull'inquinamento". La circolare del Ministero dell'ambiente del 27 ottobre 2014, prot. 22295, emanata a chiarimenti del decreto legislativo 46/2014, precisa che, come "attivita' accessoria", si intende una attivita'. 1. svolta nello stesso sito dell'attivita' IPPC, o in un sito contiguo e direttamente connesso al sito dell'attivita' IPPC per mezzo di infrastrutture tecnologiche funzionali alla conduzione dell'attivita' IPPC e; 2. le cui modalita' di svolgimento hanno "qualche implicazione tecnica" con le modalita' di svolgimento dell'attivita' IPPC (in particolare nel caso in cui il loro fuori servizio determina direttamente o indirettamente problemi all'esercizio dell'attivita' IPPC). Il Collegio rileva come la stessa Circolare del MATTM del 17 giugno 2015, n. 12422, citata dalla difesa, all'articolo 1 precisa che "se nell'ambito di installazioni gia' dotate di autorizzatone integrata ambientale (AIA) ai sensi della precedente normativa ci sono parti non esplicitamente autorizzate con AIA (ad esempio perche' gestite da un diverso gestore) esse potranno essere dotate di AIA in occasione del primo riesame o aggiornamento sostanziale dell'autorizzazione che si rendera' necessario, ma ad esse non sono applicabili le scadenze (7 settembre 2014 e 7 luglio 2015) previste nell'articolo 29, commi 2 e 3, del Decreto Legislativo n. 46/2104. Per tali parti, essendo tecnicamente connesse ad una attivita' gia' soggetta alla disciplina IPPC, l'applicazione delle migliori tecniche disponibili era difatti gia' richiesta e garantita, o con le autorizzazioni specifiche non AIA, o attraverso opportune disposizioni dell'AIA gia' vigente per l'attivita' IPPC", salvo precisare che "diverso e' il caso per di attivita' assoggettate alla disciplina IPPC solo a seguito dell'emanazione del D.lgs. 46/2014, coinsediate ad un impianto gia' dotato di AIA, ma non tecnicamente connesse ad esso. Tali attivita', difatti, ai sensi del Decreto Legislativo n. 46/2104 sono soggette alla scadenza del 7 settembre 2014, poiche' rientrano in una distinta installazione, nella quale non sono svolte attivita' gia' soggette ad AIA". Nel premettere, confermando la propria giurisprudenza (Sez. U. Civ. n. 23031 del 2/11/2007; Sez. 3, Ord. n. 6619 del 07/02/2012, Zampano, Rv. 252541 - 01; Sez. 3, n. 19330 del 27/04/2011, Santoriello, n. m.), che le circolari ministeriali costituiscono un mero ausilio interpretativo e non esplicano alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari, poiche' non possono comunque porsi in contrasto con l'evidenza del dato normativo, la Corte evidenzia come punto focale della valutazione e' nel caso di specie stabilire se la porzione di attivita' svolta da (OMISSIS), entrata in AIA (circostanza non contestata dal ricorrente) per effetto del âEuroËœDecreto Legislativo n. 46/2014 come IPPC 5.3 b.3 (trattamento di scorie e ceneri), fosse "tecnicamente connessa" all'attivita' principale dell'azienda, ossia l'attivita' IPPC 6.5. ("eliminazione e smaltimento delle carcasse animali"). 2.3. Sul punto, la sentenza impugnata (pag. 24), nel riportare la deposizione del teste Garattoni, ufficiale di polizia giudiziaria, evidenzia come tale attivita' fosse "smarcata dall'attivita', in teoria, principale di (OMISSIS) Agricoltura, che non era la lavorazione di inerti, ma la lavorazione di rifiuti organici. Mi spiego meglio. (OMISSIS) agricoltura aveva, dalla nostra analisi e da quella dei tecnici barba, una autorizzazione integrata ambientale prevista al punto 6.5 delle attivita' di IPPC previste dal testo unico ambientale, l'allegato 8 se non ricordo male... Questa autorizzazione, la 6.5, riguardava la lavorazione di 20.000 tonnellate l'anno di rifiuti organici per la produzione di fertilizzanti, insomma, quella era la loro attivita' cardine. Marginalmente, in teoria, all'inizio marginalmente, avevano iniziato anche a trattare - questo l'avevamo appurato poi facendo un'analisi storica delle loro attivita' - anche gli inerti. Il trattamento avveniva o, meglio, la nuova autorizzazione per la lavorazione di inerti era iniziata in procedura semplificata; ma vuol dire che l'attivita' principale era e rimaneva l'attivita' IPPC 6.5, l'AIA; all'interno dell'AIA c'era un'autorizzazione secondaria, chiamiamola cosi', in procedura semplificata... che riguardava se non ricordo m 60.000 tonnellate l'anno... leggendo l'atto c'erano delle discrepanze rispetto a quanto previsto dalla norma... per la legge la procedura semplificata e' previsto che quanto entri in azienda tanto puo' essere lavorato... la cosa che balzava di piu' all'occhio era il fatto della lavorazione di scorie e ceneri che non era prevista o, meglio, in base al decreto 46 la societa' avrebbe avuto la necessita' di una nuova autorizzazione che non aveva". Dal brano estrapolato dalla sentenza emerge in modo chiaro come l'attivita' di produzione e gestione di scorie e ceneri fosse effettivamente tecnicamente connessa ad altra attivita', ma non a quella autorizzata in AIA (gestione di carcasse animali), bensi' a quella che (OMISSIS) Agricoltura svolgeva in forma semplificata (pur essendo di fatto divenuta l'attivita' principale, e svolta per quantitativi superiori rispetto a quelli gestibili in forma semplificata, v. teste Garattoni sul punto) ed aveva ad oggetto la gestione di rifiuti inerti. Il giudice, infatti, conclude (pag. 29) nel senso che "l'attivita' di gestione di rifiuti per scorie e ceneri e' attivita' connessa all'attivita' di gestione di inerti per l'edilizia (e non certo all'attivita' di gestione di carcasse e residui animali) e che pertanto tale attivita' andava autorizzata con AIA da richiedere nei brevi termini previsti dalla novella normativa". Il motivo e' pertanto manifestamente infondato. 2.4. Sostengono i ricorrenti che l'attivita' di gestione di ceneri e scorie fosse svoYa legittimamente in forza dell'AIA rinnovata in data 30 gennaio 2013 n. 21/12, il cui allegato tecnico individuava, tra i codici CER dei rifiuti autorizzati, anche le scorie di fusione e le ceneri, poi "adeguata" nel 2018, cio' da cui discenderebbe la liceita' della gestione di tali rifiuti. La questione richiede un breve passaggio sulle pronunce del giudice amministrativo prodotte dalla difesa di parte civile Provincia di (OMISSIS) in sede di discussione. La sentenza n. 405/2023 del T.A.R. Brescia (che conferma la propria precedente statuizione n. 748/2019, relativa alla comunicazione di avvio del procedimento di revoca dell'autorizzazione), in particolare, sottolinea in premessa come con Atto Dirigenziale in data 5.11.2019 sia stato disposto l'annullamento dell'AIA rilasciata nel 2018 a (OMISSIS), con particolare riferimento all'attivita' di gestione di rifiuti inerti R5. Evidenzia il giudice amministrativo che "le attivita' di recupero rifiuti svolte presso il sito di -OMISSIS- sono state autorizzate con una prima AIA nel 2007, che e' stata oggetto di successive modifiche e integrazioni, fino all'AIA del 2013. Quest'ultima e' stata oggetto di aggiornamento normativo con la determinazione n. -OMISSIS-del 24/10/2014, che pero' ha riguardato soltanto l'attivita' di produzione fertilizzanti L. P. P.C. e non l'attivita' di trattamento scorie e ceneri. Infatti in data 20/5/2014, la ricorrente aveva presentato domanda di modifica sostanziale dell'AIA 2013 riferita alla realizzazione di 5 autoclavi e di un nuovo trituratore per la trasformazione di scarti di origine animale con aumento della capacita' di produzione di fertilizzanti; per quanto riguarda l'attivita' R5 non era previsto alcun intervento a parte il mero ampliamento dell'area E, di stoccaggio dei prodotti finiti. Ne' il contenuto dell'AIA 2013 per il trattamento rifiuti inerti IPPC e' stato aggiornato con il provvedimento n. -OMISSIS- del 29 giugno 2018. Nell'ambito del procedimento di riesame sull'intera installazione ex articolo 29 octies, comma 4 lettera a) del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, attivato d'ufficio, la Provincia, preso atto della parziale revoca del sequestro preventivo all'epoca disposta con ordinanza del Tribunale di (OMISSIS) n. -OMISSIS-, ha approvato -infatti- l'aggiornamento dell'AIA vigente in relazione all'attivita' di recupero rifiuti R5 confermando le prescrizioni esistenti. L'attivita' di produzione inerti per l'edilizia e' quindi disciplinata al punto B. 4.2 dell'allegato tecnico dell'AIA 2018 negli stessi termini gia' previsti nell'AIA 2013. I successivi provvedimenti adottati dall'autorita' giudiziaria ordinaria hanno superato l'interpretazione avvallata con la prima pronuncia del Tribunale del riesame, sulla base della quale era stato rilasciato l'aggiornamento 2018, ritenendo insufficiente titolo autorizzativo per l'attivita' di recupero inerti non solo l'AIA del 2013, ma - con la piu' recente pronuncia - anche l'aggiornamento del 2018. La III sezione della Cassazione penale con sentenza 21 agosto 2018, n. -OMISSIS- ha infatti annullato l'ordinanza del Tribunale del riesame secondo cui doveva considerarsi ancora valida l'AIA rilasciata nel 2013 con riferimento ad attivita' all'epoca non qualificate IPPC. Ha ricordato la Corte di Cassazione che il Decreto Legislativo n. 46 del 2014, nel modificare il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, ha disciplinato la fase transitoria all'articolo 29, commi 2 e 3, secondo i quali i gestori delle installazioni esistenti che non svolgevano attivita' gia' ricomprese all'Allegato VIII alla Parte Seconda del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, come introdotto dal Decreto Legislativo n. 29 giugno 2010, n. 128, erano tenuti a presentare istanza per il primo rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, ovvero istanza di adeguamento.ai requisiti del Titolo III-bis della Parte Seconda, nel caso in cui l'esercizio dovesse essere autorizzato con altro provvedimento, entro il 7 settembre 2014. In sostanza i gestori di installazioni esistenti al momento dell'entrata in vigore del decreto erano tenuti ad adeguare, entro termini stabiliti, la propria attivita' al nuovo regime autorizzatorio richiesto e, quindi, con l'avvio del procedimento previsto dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articoli 29-bis e seguenti finalizzati ad imporre, per tali specifiche attivita', l'applicazione dei piu' rigorosi presidi ambientali imposti dall'ordinamento. L'autorita' competente avrebbe dovuto rilasciare il titolo abilitativo con il completamento dei procedimenti avviati in esito a tali istanze entro il 7 luglio 2015, consentendo, nelle more, la prosecuzione dell'attivita' in base alle autorizzazioni previgenti, se del caso opportunamente aggiornate. Sicche' "il mancato adeguamento nei termini e la prosecuzione dell'attivita', ormai rientrante nell'allegato 8, configura la violazione dell'articolo 29-quaterdecies, comma 1, perche' effettuata in assenza di AIA". Anche il Tribunale di (OMISSIS), in sede di giudizio di rinvio, ha osservato che risulta pacifico che -OMISSIS- svolge attivita' rientrante nell'allegato VIII della parte II del Decreto Legislativo n. 152 del 2006 distinta dall'attivita' IPPC di produzione fertilizzanti e che dalla novella del 2014 tale attivita' e' soggetta ad AIA, che la societa' non ha mai presentato un'istanza di adeguamento ai nuovi standard ma solo di "rinnovo" della precedente autorizzazione, poi effettivamente rilasciata ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 29 octies T. U.A. e che tale domanda non puo' considerarsi equipollente ad un'istanza di rilascio e/o adeguamento ne' sotto il profilo formale, ne' sotto quello sostanziale, poiche' il provvedimento lascia invariato il quadro BAT autorizzato ("Best available techniques", cioe' le migliori tecniche disponibili stabilite a livello Eurounitario)". Ad analoghe conclusioni e' del resto giunto anche il Consiglio di Stato che, adito avverso la sentenza TAR Brescia n. 748/2019, citata in precedenza, nella sentenza n. 305/2023 (prodotta in udienza dalla parte civile Provincia di (OMISSIS)), precisa sul punto che "l'autorizzazione contenuta nell'A.I.A. 2015 riferita all'attivita' R5, comprensiva del trattamento di scorie e ceneri, non essendo attivita' tecnicamente connessa all'attivita' IPPC 6.5, era soggetta alla disciplina transitoria di cui all'articolo 29 del Decreto Legislativo n. 46 del 2014 e dunque non era piu' efficace". Non sussiste dubbio alcuno, pertanto, sulla illegittimita' della originaria determinazione, successivamente annullata in autotutela, e sulla conseguente permanenza dell'illecito durante tutto il periodo contestato. 2.5. Sul punto, il Collegio evidenzia come la Corte, nel contiguo settore delle autorizzazioni urbanistiche, abbia affermato che (Sez. 3, n. 12389 del 21/07/2017, Minosi, Rv. 271170 - 01) l'attivita' svolta dai giudice in presenza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo consiste nel valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie e non nel disapplicare l'atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della pubblica amministrazione, e che "in disparte l'ipotesi dell'illiceita' del provvedimento, la illegittimita' rilevante per il giudice penale non puo' che essere quella derivante dalla non conformita' del titolo abilitativo alla normativa che ne regola l'emanazione o alle disposizioni normative di settore, dovendosi, al contrario, radicalmente escludersi la possibilita' che il mero dato formale dell'esistenza del permesso di costruire possa precludere al giudice penale ogni valutazione in ordine alla sussistenza del reato", per concludere nel senso che "l'attivita' svolta dal giudice in presenza di un titolo abilitativo edilizio illegittimo consiste quindi nel valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie e non nel disapplicare l'atto amministrativo o effettuare comunque valutazioni proprie della P.A." (Conformi: Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Menga, Rv. 273218 - 01; Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, lodice, Rv. 275565 - 01). Tale principio puo' essere agevolmente esportato nell'ambito delle autorizzazioni ambientali, in riferimento alle quale deve essere affermato il principio di diritto secondo cui " In presenza di un provvedimento amministrativo, che autorizza la gestione di rifiuti, non conforme alla normativa che ne regola l'emanazione o alle disposizioni normative di settore, il giudice deve valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie, senza disapplicare l'atto amministrativo illegittimo". 2.6. Del tutto irrilevante appare poi la deduzione secondo cui dalla relazione ARPA del 14/12/2015 risulterebbe che le "BAT" di settore fossero correttamente applicate, posto che la violazione contestata e' una violazione formale che sanziona l'assenza di titolo autorizzativo per una attivita' in se' considerata, e non anche le "modalita'" di svolgimento di tale attivita'. 2.7. Conclusivamente, la sentenza impugnata applica in modo corretto la nozione di "attivita' tecnicamente connessa" alle risultanze processuali (essendo di solare evidenza la mancanza di correlazione tecnica tra la gestione di carcasse di animali e la gestione di scorie e ceneri), con motivazione con cui il ricorso non si confronta affatto, limitandosi ad una alternativa ricostruzione della normativa vigente, disancorata dalle emergenze processuali e, pertanto, inammissibile. Deve quindi essere fatta applicazione del principio, gia' affermato da questa Corte, secondo cui e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che "risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione" (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849). 3. Manifestamente infondato e' poi il motivo secondo cui mancherebbe l'elemento psicologico del reato, in quanto il ricorrente sarebbe stato tratto in inganno dalle indicazioni ministeriali e regionali. In punto di elemento psicologico del reato, ritiene la Corte che l'"inevitabilita'" dell'ignoranza della legge (Sez. 3, n. 1131 del 3/12/2020, dep. 2021, Rizzo, n. m.) "per il comune cittadino e' sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia", ma che tale obbligo "e' particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attivita', i quali rispondono dell'illecito anche in virtu' di una culpa levis nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilita' dell'ignoranza, occorre, cioe', che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceita' del comportamento tenuto (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994 - dep. 18/07/1994, P.G. in proc. Calzetta, Rv. 197885)". Le Sezioni Unite della Corte, nella citata sentenza, hanno precisato altresi' che il dovere di informazione non va valutato "in astratto", bensi' in relazione all'attivita' svolta dal soggetto che allega la scusabilita' dell'ignoranza, sussistendo in relazione all'attivita' svolta il preciso dovere giuridico di conoscere le disposizioni di legge e della tecnica che la regolano (articolo 43 c.p.). Per l'effetto, mentre per il comune cittadino l'inevitabilita' dell'errore va riconosciuta ogniqualvolta l'agente abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto "dovere di informazione" attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia, per coloro che svolgono professionalmente una determinata attivita' tale obbligo di informazione e' particolarmente rigoroso, tanto che essi rispondono dell'illecito anche in virtu' della culpa levis nello svolgimento dell'indagine giuridica. Con riferimento alla gestione di rifiuti, la Corte ha inoltre precisato che "in tema di illecita gestione di rifiuti si deve escludere l'ipotesi della buona fede quando la fallace interpretazione del contenuto della autorizzazione e la erronea convinzione di possedere un titolo legittimante e' dovuta ad un comportamento colposo poiche' in tal caso l'imputato e' venuto meno al dovere, che grava sui privati che svolgono in modo professionale attivita' normativamente regolate, di accertare con diligenza quale sia la disciplina del settore" (Sez. 3, n. 31159 del 12/06/2008, Simonetti, n. m.). Nel caso di specie, alla luce delle sovraesposte considerazioni, emerge con chiarezza come, nel corso degli anni, (OMISSIS) avesse progressivamente spostato il centro della propria attivita' dal settore della gestione delle carcasse animali a quello degli inerti (si vedano, a pag. 23-25 della sentenza, le dichiarazioni del teste Garattoni sulla capacita' produttiva della societa' estrapolata dai MUD e dal sistema ORSO), e che l'attivita' di gestione di scorie e ceneri fosse correlata non gia' all'attivita' autorizzata in AIA ma a quella svolta in forma semplificata, circostanza che non poteva essere ignota al legale rappresentante. Inoltre, e' cio' e' decisivo, al paragrafo che precede si e' evidenziato come (OMISSIS) sarebbe stata tenuta a munirsi di AIA nel termine breve previsto dal Decreto Legislativo n. 46/2014. Nessuna "induzione in errore", ne' "ignoranza inevitabile" puo' essere quindi lamentata dall'imputato, posto il chiaro tenore letterale della norma e delle stesse circolari ministeriali invocate. Correttamente, pertanto, il Tribunale di (OMISSIS) esclude la sussistenza di un errore sul fatto (pag.30), poiche' "nel caso di specie la normativa era chiara, l'attivita' di gestione delle scorie non era certamente connessa ad altra attivita' IPPC gia' esercitata dalla societa' e, quindi, era necessario presentare domanda di modifica sostanziale dell'AIA". 4. Parzialmente fondata e' invece la doglianza relativa alla asserita violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p. in riferimento all'articolo 452-novies c.p.. 4.1. Ed infatti, la norma (c.d. "aggravante ambientale") stabilisce che "se dalla commissione del fatto deriva la violazione di una o piu' norme previste dal citato Decreto Legislativo n. 152 del 2006 o da altra legge che tutela l'ambiente"; nel caso di specie, non appare revocabile in dubbio che l'articolo 29-quatruordecies sanziona la violazione dell'obbligo di munirsi di autorizzazione integrata ambientale per le attivita' IPPC, per cui la prosecuzione dell'attivita' senza munirsi del titolo autorizzativo determina la violazione degli articoli 29-ter e seguenti del TUA. La Corte evidenzia come il tenore letterale della norma induce a ritenere che debba escludersi che l'aggravante contenga un rinvio a sole norme penali, dovendo invece ritenersi che essa rinvii anche, e soprattutto, a norme extrapenali, volte alla tutela dell'ambiente. In linea teorica, quindi, la "violazione" di cui alla disposizione in parola, se certamente non puo' concernere gli articoli 29-ter e 29-sexies, relativi all'autorizzazione (che altrimenti la contestazione dell'aggravante si risolverebbe in un tautologismo sanzionatorio), potrebbe riguardare altre disposizioni, quali quelle concernenti l'utilizzo delle migliori tecniche disponibili (29-septies), il riesame periodico (29-octies), la modifica degli impianti o del gestore (29-nonies), il rispetto delle condizioni e i controlli (29-decies), le comunicazioni dovute (29-undecies). Nel caso di specie, era contestata in rubrica la violazione dell'articolo 6, comma 13, del TUA, il quale prevede il rilascio di AIA per le modifiche sostanziali. Sul punto, tuttavia, nell'affermare la sussistenza dell'aggravante, la motivazione della sentenza e' totalmente assente. La sentenza deve quindi essere annullata con rinvio per nuovo esame sul punto. 4.2. Il Collegio precisa che non si pongono, in concreto, problemi di prescrizione del reato. Nel caso di specie, come chiarito a pagina 30 della sentenza del Tribunale di (OMISSIS), il sequestro preventivo dei macchinari per la gestione di ceneri e scorie era stato revocato (con provvedimento del 25/07/2019, rinvenibile in atti) e l'AIA, come visto, annullata in autotutela. Correttamente, pertanto, la decisione impugnata richiama sul punto Sez. 3, n. 5480 del 12/12/2013, Manzo, Rv. 258930 - 01, secondo cui "qualora in un reato permanente la condotta venga interrotta e successivamente ripresa, il termine della prescrizione decorre dal momento della cessazione finale (Fattispecie in tema di attivita' edilizia abusiva, ripresa dopo la sospensione determinata dall'esecuzione di sequestro preventivo)". Il Giudice territoriale ha pertanto fatto buon governo del principio (Sez. 3, n. 68 del 25/11/2014, Patti, Rv. 261792 - 01) secondo cui "nel caso di contestazione di un reato effettuata nella forma cosiddetta "aperta", ovvero senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, qualora in sede di giudizio di legittimita' debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione della permanenza, e' necessario verificare in concreto se, nella motivazione del provvedimento impugnato, il giudice della cognizione abbia o meno ritenuto provato il protrarsi della condotta criminosa fino alla data della sentenza di primo grado". Nel caso di specie, in cui il reato era stato contestato come "tuttora permanente", il termine prescrizionale ha quindi iniziato a decorrere a far data dalla sentenza di primo grado, ossia il 24/06/2022. 5. Il ricorrente censura altresi' la mancanza di motivazione della sentenza nella parte in cui ha disposto la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite. Il motivo si articola in realta' in due distinte censure. 5.1. In primo luogo, il ricorrente lamenta che non sia stata fornita motivazione in ordine alla sussistenza di un danno in favore delle parti civili. Il motivo e' manifestamente infondato. Come noto, la legittimazione attiva all'azione di risarcimento del "danno ambientale" in senso stretto, proprio in ragione della natura "superindividuale" del bene in questione, e' riservata dall'articolo 311 del TUA allo Stato, e, per esso, al Ministro dell'ambiente. La Corte ha sul punto ribadito (Sez. 3, n. 8795 del 2/12/202, dep. 2021, Lazzarini. n. m.) che "spetta soltanto allo Stato, e per esso al Ministro dell'Ambiente, la legittimazione alla costituzione di parte civile nel procedimento per reati ambientali, al fine di ottenere il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in se' considerato come lesione dell'interesse pubblico e generale all'ambiente". La Corte Costituzionale, tuttavia (sent. n. 126/2016), ha stabilito che la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali spetta "non solo al Ministero ma anche all'ente pubblico territoriale e ai soggetti privati che per effetto della condotta illecita abbiano subito un danno risarcibile ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, diverso da quello ambientale". Per gli "enti territoriali" la legittimazione e' limitata alla richiesta di risarcimento "non del danno all'ambiente come interesse pubblico, bensi' (al pari di ogni persona singola od associata) dei danni direttamente subiti: danni diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello, generico, di natura pubblica, della lesione dell'ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale" (Sez. 3, n. 911 del 10/10/2017, dep. 2018, Tombari, Rv. 272499). La richiesta in tal caso (Sez. 3, n. 1997 del 15/11/2019, dep. 2020, Bucci, Rv. 277556 - 02) puo' avere ad oggetto "un danno patrimoniale e non patrimoniale", ulteriore e concreto, conseguente alla lesione di altri loro diritti particolari diversi dall'interesse pubblico alla tutela dell'ambiente, pur se derivante dalla stessa condotta lesiva (in questo senso: Cass., sez. 3, sentenza n. 24677 del 9/07/2014). La pronuncia impugnata ha fatto buon governo di tali principi, avendo proceduto a ritenere sussistente un danno patrimoniale e non patrimoniale diverso da quello ambientale in senso stretto, laddove individua, per la provincia di (OMISSIS), il danno patrimoniale nel danno da maggiore attivita' amministrativa, e, il danno non patrimoniale nel danno di immagine; per quanto riguarda l'Ente Parco del (OMISSIS), i danni patrimoniali nei costi di vigilanza e nella maggiore attivita' amministrativa resasi necessaria nel corso degli anni. Si tratta, quanto al danno patrimoniale, di quel "danno da sviamento di funzione od alla funzionalita' dell'Ente", o "danno da disservizio" riconosciuto in plurimi procedimenti da questa Corte (v. Sez. 3 Civ., n. 21936 del 06/07/2017, n. m.), identificabile con quello derivante dall'imposizione all'Ente pubblico del distoglimento di ingenti risorse umane e materiali dai fini istituzionali per far fronte alla grave situazione cagionata, la cui sussistenza puo' essere provata anche attraverso presunzioni alla stregua di canoni di probabilita', con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (Sez. 3 Civ., n. 8662 del 05/10/2016, dep. 2017, Rv. 643837 - 02). Quanto al "danno di immagine", la sua risarcibilita' nell'alveo del danno non patrimoniale e' stata del pari confermata da questa Corte nei procedimenti per reati ambientali (Sez. 4, Sentenza n. 24619 del 27/05/2014, Rv. 259153 - 01; conforme anche Sez. 3, n. 36444 28/05/2019, Alessandroni), laddove si e' affermato che tale danno "puo' essere rappresentato dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell'ente nel che si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente e, quindi, nell'agire dell'ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca (v. Cass. civ., Sez. 3, n. 4542 del 22/03/2012, Rv. 621596; Sez. 3, n. 12929 del 04/06/2007, Rv. 597309)". Sul punto (relativo all'"an" del danno risarcibile) non si ravvisa alcun difetto di motivazione, emergendo il maggiore costo in termini di attivita' amministrativa e di vigilanza dalla sentenza impugnata, laddove menziona i numerosi provvedimenti e controlli amministrativi resisi necessari per far fronte alle criticita' concernenti la (OMISSIS). In ordine al "quantum" del danno, il giudice si e' inoltre attenuto alla giurisprudenza civile della Corte, secondo cui, nel liquidare il danno in via equitativa, "il giudice non e' tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata di un univoco e necessario rapporto di consequenzialita' di ciascuno degli elementi esaminati e l'ammontare del danno liquidato, essendo sufficiente che il suo accertamento sia scaturito da un esame della situazione processuale globalmente considerata. (Sez. 3 Civ., n. 22885 del 10/11/2015, Rv. 637822 - 01)". 5.2. Il ricorrente lamenta (come violazione di legge, ma indicando il vizio come 606, comma 1, lettera c), c.p.p.), altresi' che l'Ente Parco del (OMISSIS) non avrebbe formulato richiesta di risarcimento del danno in riferimento al Capo di imputazione sub 11). La circostanza dedotta non e' desumibile dal testo del provvedimento impugnato, in cui non vengono analiticamente descritte le conclusioni delle parti civili (pag. 15). Inoltre, a pagina 13 ss. delle conclusioni rassegnate dalla parte civile Parco Regionale del (OMISSIS) (peraltro non allegate al ricorso), si menziona espressamente il danno relativo all'attivita' istruttoria afferente l'autorizzazione integrata ambientale in capo a (OMISSIS) (v. in particolare pag. 15 conclusioni). Il motivo e' quindi inammissibile per genericita'. 6. Con l'ultimo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui nel dispositivo ha condannato l'imputato al pagamento di una provvisionale. Il motivo e' manifestamente infondato. A pagina 31 della motivazione della sentenza si legge infatti che "il giudice, rilevato che il dispositivo della sentenza e' affetto da errore materiale in quanto ha condannato gli imputati al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva in mancanza delle condizioni di legge, avendo liquidato il danno a favore delle parti civili in via equitativa, visto l'articolo 130 c.p.p., dispone la correzione dell'errore materiale nel dispositivo nel senso che deve essere espunta la seguente condanna: "condanna gli imputati al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad Euro 10.000,00 per la provincia di (OMISSIS) e' pari ad Euro 7.500,00 per il Parco Regionale del (OMISSIS)". La Corte, nel premettere che (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 277281 - 01) in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione, qualora la divergenza dipenda da un errore materiale, obiettivamente riconoscibile, contenuto nel dispositivo (come, all'evidenza, nel caso di specie), e' legittimo il ricorso alla motivazione per individuare l'errore medesimo ed eliminarne i relativi effetti (tra le altre, Sez. 6, n. 24157 del 1/3/2018, Cipriano, Rv. 273269; Sez. 2, n. 13904 del 9/3/2016, Palumbo, Rv. 266660; si veda anche Sez. 4, n. 26172 del 19/5/2016, Ferlito, Rv. 267153, a mente della quale nell'ipotesi in cui la discrasia tra dispositivo e motivazione della sentenza dipenda da un errore nella materiale indicazione della pena nel dispositivo e dall'esame della motivazione emerga in modo chiaro ed evidente la volonta' del giudice, potendosi ricostruire il procedimento seguito per determinare la sanzione, la motivazione prevale sul dispositivo' con la conseguente possibilita' di rettifica dell'errore in sede di legittimita', secondo la procedura prevista dall'articolo 619 c.p.p., non essendo necessarie, in tal caso, valutazioni di merito), per cui nessuna nullita' della sentenza puo' esser ravvisata in relazione all'articolo 546, comma 1, lettera f) c.p.p., evidenzia come la correzione dell'errore materiale e' gia' stata disposta in motivazione dal giudice, per cui la condanna al pagamento della provvisionale risulta gia' essere stata espunta dal dispositivo. 7. Il ricorso di (OMISSIS): 7.1. Il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso sono inammissibili per le ragioni esposte in precedenza. 7.2. Il terzo motivo di ricorso lamenta l'assenza e l'illogicita' della motivazione nella parte in cui ritiene che la responsabilita' del (OMISSIS) discenda dalla sua qualifica di "incaricato nella gestione dei rifiuti", cui il giudice ha invece negato rilevanza con riferimento alle altre imputazioni. Il motivo e' manifestamente infondato. La sentenza impugnata, a pagina 30 precisa che "non possono valere con riferimento all'imputazione qui contestata le considerazioni svolte nella premessa perche' egli sicuramente si occupava della gestione della materia dei rifiuti, come emerge dalle visure camerali della societa', e quindi lo stesso va ritenuto responsabile alla pari del legale rappresentante della societa'". Del resto, a pagina 2 della sentenza, il giudice chiarisce anche che i dipendenti della (OMISSIS), escussi, hanno precisato che il (OMISSIS) curava il settore ambientale e i rifiuti. Tale affermazione non appare manifestamente illogica o contraddittoria rispetto alle premesse della sentenza, in quanto del tutto ragionevole appare l'esclusione della responsabilita' del (OMISSIS) con riferimento ai cumuli di rifiuti rinvenuti all'interno del sito (OMISSIS), di sicura provenienza illecita e quindi al di fuori del perimetro della normale attivita' di impresa (non essendo emersi in concreto elementi idonei a stabilire un concorso dell'imputato nell'attivita' di gestione illecita di detti rifiuti), laddove al contrario l'espressa previsione di responsabilita' gestionali in materia di rifiuti, risultante anche presso la Camera di Commercio, sicuramente impegna lo stesso con riferimento alle attivita' autorizzate (sia pure con autorizzazione viziata) di gestione degli stessi. 6.3. Il quarto motivo di ricorso lamenta l'assenza di motivazione nella dosimetria della pena, calcolata in misura prossima al massimo edittale in assenza di qualsivoglia motivazione che non si esaurisca in una mera clausola di stile. La doglianza e' manifestamente infondata. La Corte premette che il reato in parola e' punito con la pena alternativa dell'arresto fino ad un anno o dell'ammenda da 2.500 Euro a 26.000 Euro, per cui nella scelta di optare per la pena pecuniaria in luogo di quella detentiva, il giudice ha gia' manifestato di tenere in considerazione criteri di adeguamento della pena al fatto. Inoltre, a pagina 31 della sentenza, il giudice motiva la scelta dosimetrica "alla luce della gravita' del fatto e della capacita' criminale dimostrata" dall'indagato. La gravita' del fatto non puo' che essere desunta dal complesso della motivazione della sentenza, come illustrato nel par. 2 (v. Sez. 2, n. 38818 del 07/06/2019, Rv. 277091 - 01; Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012, Spezzacatena, Rv. 255096 - 01: "Il difetto di motivazione, quale causa di nullita' della sentenza, non puo' essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa, costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, per cui, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statuizione anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito"). La Corte ritiene quindi che, seppure in modo succinto, il giudice abbia motivato sufficientemente sulla dosimetria della pena. 8. Il ricorso di (OMISSIS). 8.1. I motivi di ricorso indicati quali 1), 1.2), 2), 3) e 4) sono inammissibili in quanto sovrapponibili a quelli presentati da (OMISSIS) in riferimento alla sentenza di proscioglimento in ordine al Capo 1); il Collegio rinvia pertanto alla motivazione fornita sul punto. 8.2. Con il quinto motivo di ricorso, la ricorrente censura l'affermazione di responsabilita' di (OMISSIS) ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001. Il motivo si articola in due distinte censure. In primo luogo, si censura il difetto di prova in ordine all'effettivo interesse o vantaggio conseguito dall'ente. In secondo luogo, si censura la mancanza di prova di "colpa di organizzazione", avendo l'ente adotta il modello di organizzazione e gestione. Entrambi i profili sono manifestamente infondati. 8.2.1. Quanto al primo aspetto, la Corte rammenta che mentre il criterio di "interesse" esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante secondo un metro di giudizio marcatamente "soggettivo", quello del "vantaggio" assume una connotazione essenzialmente "oggettiva", come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, cit; Sez. 5, n. 40380 del 15/10/2012,; Sez. 6, n. 12653 del 25/03/2016; Sez. 2, n. 52316 del 09/12/2016; Sez. 6, n. 38363 del 2018). L'utilizzo della disgiuntiva "o" consente di ritenere sufficiente uno solo dei due termini previsti dalla legge: Sezione Seconda Penale, Sentenza 9 gennaio 2018, n. 295 (in proc. Tarantino), ha infatti precisato che ai fini della configurabilita' della responsabilita' dell'ente, e' sufficiente che venga provato che lo stesso abbia ricavato dal reato un vantaggio, anche quando non e' stato possibile determinare l'effettivo interesse vantato ex ante alla consumazione dell'illecito e purche' non sia contestualmente stato accertato che quest'ultimo sia stato commesso nell'esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi. A contrario, ed in positivo, si puo' quindi ritenere che "le condotte dell'agente, poste in essere nell'interesse dell'ente, sono quelle che rientrano nella politica societaria ossia tutte quelle condotte che trovano una spiegazione ed una causa nella vita societaria". Pertanto, la definizione del "vantaggio", va inteso come "la potenziale o effettiva utilita', ancorche' non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del reato presupposto"". Come rilevato in dottrina, l'"interesse" va inteso in senso oggettivo "come proiezione finalistica della condotta", riconoscibilmente connessa alla condotta medesima, laddove il "vantaggio" non e' stato qualificato dal legislatore in termini patrimoniali (che' laddove cio' ha voluto intendere ha usato il termine "profitto"), avendo invece una portata semantica ampia, capace di comprendere anche altre tipologie di vantaggio non economico. Il vantaggio puo' inoltre (Sez. 3, n. 21034 dei 05/05/2022, Capicchioni, n. m.) essere valutato "anche in termini di risparmio di costi, tanto che si deve ritenere posta nell'interesse dell'ente, e dunque forte di responsabilita' amministrativa, anche quella condotta che... attui le scelte organizzative o gestionali dell'ente da considerare inadeguate, con la conseguenza che la condotta, anche se non implica direttamente o indirettamente un risparmio di spesa, se e' coerente con la politica imprenditoriale di cui tali scelte sono espressione e alla cui attuazione contribuisce, e' da considerare realizzata nell'interesse dell'ente (cfr., Sez. 6, n. 15543 del 19/01/2021, 2L Ecologia Servizi S.r.l., Rv. 281052)". La sentenza impugnata, sul punto (pag. 31), stabilisce che "nel caso di specie, il reato commesso da (OMISSIS) e' reato evidentemente commesso nell'interesse dell'ente che ne ha tratto un'altrettanto evidente vantaggio, che consiste nell'aver utilizzato per la gestione dei rifiuti un sito senza adottare alcun presidio ambientale al di fuori di qualsiasi autorizzazione amministrativa, controllo e prestazione di garanzie fideiussorie (richieste per il sito autorizzato)". Come appare evidente, la motivazione non e' apparente, fornendo precise indicazioni in termini di vantaggio, inteso in termini di risparmio di spesa, connesso alla mancata predisposizione dei necessari presidi ambientali e alla mancata presentazione delle, altrettanto necessarie, garanzie finanziarie. 8.2.2. Anche il secondo profilo di censura e' manifestamente infondato. Ai sensi dell'articolo 6 del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, l'ente non risponde se prova: a) che l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento e' stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi e' stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b). Ai sensi del comma 2 dell'articolo 6, i M.O.G. devono rispondere alle seguenti esigenze: a) individuare le attivita' nel cui ambito possono essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalita' di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare iI mancato rispetto delle misure indicate nel modello. E' ormai dato di comune esperienza che il modello di organizzazione e gestione debba essere realizzato "su misura" (taflored) per ciascuna impresa e per ogni diversa organizzazione. Cio', come rilevato in dottrina, soprattutto in relazione alle peculiarita' dei reati ambientali, che determinano la necessita' che la mappatura dei rischi sia condotta in modo specifico per ciascun reato, non essendo pienamente configurabile una modalita' attuativa unitaria per il gruppo di questi reati, che possono essere commessi, nell'ambito dell'attivita' d'impresa, con modalita' che nella pratica possono risultare estremamente eterogenee e disparate. La Corte ha di recente osservato (Sez. 6, n. 23401 del 11/11/2021, Impregilo, Rv. 283437 - 01) che l'imputazione all'ente dell'illecito commesso dall'apicale e' collegato "all'inidoneita' od all'inefficace attuazione del modello stesso, secondo una concezione normativa della colpa: in estrema sintesi, l'ente risponde in quanto non si e' dato un'organizzazione adeguata, omettendo di osservare le regole cautelari che devono caratterizzarla", secondo le linee dettate dal citato articolo 6 del decreto. Scendendo in concreto, a pag. 32 della sentenza impugnata si legge che "il Modello Organizzativo adottato e' generico e lacunoso perche' non sono state adottate e cautele organizzative e gestionali per prevedere la commissione dei reati, tra cui quello di gestione abusiva di rifiuti. Nella parte che qui interessa ed in particolare in merito ai reati ambientali, nel Modello Organizzativo viene descritta l'attivita' svolta ed in merito ai rifiuti si da' atto che gli stessi sono gestiti conformemente alle normative vigenti oppure mediante l'applicazione di rigide procedure di controllo sull'affidabilita' dei fornitori. Non e' previsto null'altro. In merito al rischio di inquinamento del suolo, sottosuolo e acque, si da' atto di procedure, istruzioni operative, rispetto dei requisiti ambientali etc., ma nulla e' previsto in concreto, non sono indicate le misure da adottare e da chi (affol. 977). Il modello ha un organigramma senza indicazione delle persone che rivestono le qualifiche indicate, e' previsto l'organo di vigilanza ma non risulta istituito. Pare a questo giudice che tale assetto organizzativo possa pacificamente ritenersi negligente, in senso normativo, fondato sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilita' del soggetto collettivo (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014). E' evidente che nel caso di specie sussiste una "colpa di organizzazione" dell'ente che ha consentito al suo legale rappresentante di commettere il reato, in assenza di procedure e organismi di controllo, a tutto vantaggio dell'ente stesso che ha creato un sito illegale di gestione dei rifiuti, con risparmi di spesa evidenti e consistenti. Le indicate carenze organizzative consentono di ritenere configurato l'illecito amministrativo in capo a (OMISSIS)". La motivazione, sul punto, non risulta ne' apparente ne', tantomeno, illogica, essendo al contrario conforme alla giurisprudenza della Corte; e' quindi del tutto infondata la censura secondo cui il giudice avrebbe operato un non consentito sillogismo "commissione del reato=responsabilita' amministrativa dell'ente", avendo al contrario operato una valutazione in concreto dell'inidoneita' del Modello adottato (e non efficacemente attuato, non avendo l'ente neppure proceduto alla nomina dell'organismo di vigilanza), con conseguente colpa di organizzazione. In materia di reati ambientali, pertanto, il modello di organizzazione e gestione, per avere efficacia esimente, deve essere adottato in riferimento alla specifica struttura e tipo di attivita' dell'impresa, prevedendo in modo chiaro e preciso i compiti, le responsabilita' individuali e gli strumenti in concreto volti a prevenire la commissione di reati contro l'ambiente; esso, inoltre, deve essere efficacemente attuato, mediante l'istituzione dell'organismo di vigilanza (salvi i casi di cui all'articolo 6, commi 4 e 4-bis, Decreto Legislativo n. 231 del 2001) dotato di concreti poteri di controllo e la previsione di sistemi di revisione periodica, che garantiscano la "tenuta" del modello nel tempo. Peraltro, la Corte ha evidenziato (Sez. 4, n. 38363 del 09/08/2018, Consorzio Melinda S.C.A., Rv. 274320) che "l'autonomia della responsabilita' dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ha commesso il reato-presupposto, prevista dall'articolo 8, Decreto Legislativo n. 8 giugno 2001, n. 231, deve essere intesa nel senso che, per affermare la responsabilita' dell'ente, non e' necessario il definitivo e completo accertamento della responsabilita' penale individuale, ma e' sufficiente un mero accertamento incidentale, purche' risultino integrati i presupposti oggettivi e soggettivi di cui agli articoli 5, 6, 7 e 8 del medesimo decreto, tale autonomia operando anche nel campo processuale", accertamento incidentale con cui il Giudice di merito si e' cimentato ampiamente. La Corte aggiunge, ad abundantiam, come il ricorrente abbia censurato la mera "illogicita'", e non anche l'"illogicita' manifesta", della pronuncia, per cio' solo risultando, in parte qua, il motivo inammissibile. 8.3. Con il sesto motivo la ricorrente censura l'applicazione della misura della confisca a carico dell'ente. Il motivo e' parzialmente fondato. 8.3.1. L'articolo 19, comma 1, del Decreto Legislativo n. 231 del 2001 stabilisce che "nei confronti dell'ente e' sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che puo' essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede". In questo caso, la confisca ha per oggetto beni che costituiscono il "provento" del reato (per utilizzare il lessico Eurounitario), mentre il decreto non conosce l'ipotesi ne' del sequestro impeditivo, ne' dello "strumento" del reato. La confisca in parola, secondo la prevalente giurisprudenza della Corte (v., ex plurimis, Sez. 2, n. 40226 del 23/11/2006, Bellavita, Rv. 235593 - 01), consiste in una misura sanzionatoria con funzione ripristinatoria della situazione economica precedente la commissione del fatto illecito, o, in una "una forma di prelievo pubblico a compensazione di guadagni illeciti" (Sez. U., n. 41936 del 25.10.2005, Muci, Rv. 232164 - 01). In ordine alla nozione di profitto confiscabile, se corrisponde al vero che la giurisprudenza piu' risalente (Sez. U., n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italmpianti, Rv. 239924 - 01) aveva limitato il concetto di utile confiscabile al "vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale" dal reato presupposto, va considerato che la successiva giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte ha progressivamente dilatato tale nozione. Sez. U. n. 38691 del 25/06/2009, Caruso, Rv. 244189 - 01, pur richiedendo ancora il nesso di diretta derivazione causale dalla condotta dell'agente, ha tuttavia ritenuto che siano confiscabili sia i beni che siano "in tutto o in parte l'immediato prodotto di una condotta penalmente rilevante", che quelli che ne costituiscono "l'indiretto profitto della stessa, siccome frutto di reimpiego da parte del reo del denaro o di altre utilita' direttamente ottenuti" (c.d. "surrogati"). Successivamente Sez. U. n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261116 - 01 (caso Thyssenkrupp) hanno precisato che il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca deve intendersi come "comprensivo non soltanto dei beni che l'autore del reato apprende alla sua disponibilita' per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma altresi' di ogni altra utilita' che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attivita' criminosa". Analogamente, Sez. U. n. 2014 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258647 - 01, ha inteso quale componente del profitto confiscabile qualsiasi utilita' che sia conseguenza dell'attivita' criminosa, non solo in via diretta, ma anche indiretta e mediata, anche ottenuta dalla trasformazione della res originaria in altro bene. Quanto alle Sezioni semplici, Sez. 4, n. 38363 del 09/08/2018, Consorzio Melinda S.C.A., citata, ha poi affermato che costituisce profitto confiscabile ogni effettivo "vantaggio economico indiretto, derivante dal risparmio conseguente alla posposizione delle esigenze della sicurezza del lavoro a quelle della produzione", principio che puo' essere ragionevolmente esteso alla materia dei presidi ambientali. La parte del motivo che limita la confiscabilita' al solo profitto di diretta e immediata derivazione del reato e', pertanto, manifestamente infondata e correttamente il Tribunale ha disposto la confisca. 8.3.2. Fondata e' invece la parte di doglianza che censura la quantificazione del profitto operata dalla sentenza impugnata. Se, infatti, la quantificazione in via equitativa costituisce una modalita' corretta di quantificazione del "danno", tale criterio non puo' trovare applicazione in materia di confisca del "profitto" del reato, che va invece quantificato in modo "certo", sulla base delle indicazioni fornite dalle citate pronunce. Esso potra' ben consistere in risparmi di spesa; essi, tuttavia dovranno essere quantificati in concreto dal Giudice procedendo, a mero titolo esemplificativo, ad una stima dei costi di smaltimento lecito dei rifiuti ammassati, ovvero del costo di una fidejussione relativa a tale operazione di gestione dei rifiuti. La sentenza va pertanto annullata, limitatamente alla quantificazione della disposta confisca, per nuovo esame. La Corte dichiara irrevocabile l'accertamento di responsabilita' ai sensi dell'articolo 624 c.p.p., concernendo l'annullamento un "punto" della sentenza (il quantum della confisca) funzionalmente autonomo rispetto all'accertamento della responsabilita' (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216239 - 01; Sez. 3, n. 47579 del 23/10/2003, Arici, Rv. 226646 01). 8.4. Il settimo motivo e' fondato. Agli atti risulta allegato il provvedimento con cui il Tribunale ha (correttamente) escluso la costituzione di parte civile nei confronti di (OMISSIS), ente imputato ex Decreto Legislativo n. 231 del 2001, e quello che ha disposto la citazione di (OMISSIS) come responsabile civile da parte della Provincia di (OMISSIS) (provvedimenti del 30/04/2019). Non risulta, dai documenti a disposizione della Corte, analoga citazione da parte dell'Ente Parco del (OMISSIS). Del resto, le conclusioni rassegnate dall'ente in data 13 maggio 2022 concernono esclusivamente gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (a differenza delle conclusioni della Provincia di (OMISSIS), che concernono anche (OMISSIS)), e la stessa difesa dell'Ente Parco ha confermato, in udienza di trattazione orale, di non aver citato l'ente quale responsabile civile. La sentenza, a pagina 31, condanna tuttavia "gli imputati e la responsabile civile costituita (OMISSIS) al risarcimento dei danni, in solido con gli imputati, cagionati alle parti civili Provincia di (OMISSIS) e Parco Regionale del (OMISSIS)", cosi' incorrendo in un evidente vizio di motivazione. La sentenza, sul punto, va pertanto annullata senza rinvio. 8.5. Con l'ottavo e ultimo motivo, la ricorrente censura di illogicita' la motivazione in riferimento alle modalita' di determinazione sia del numero delle quote applicate all'ente come sanzione pecuniaria ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, che della loro entita' unitaria. Anche in questo caso viene lamentata la mera "illogicita'", e non anche (âEuroËœ"illogicita' manifesta", della pronuncia, per cio' solo risultando il motivo inammissibile. Ad ogni buon conto, il motivo e' anche manifestamente infondato. L'articolo 25-undecies, comma 2, lettera b), n. 1), del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, prevede, per la violazione del comma 1, lettera a), dell'articolo 256 del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, la sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote. Il Giudice, a pagina 32 della sentenza, illustra in modo non illogico la scelta sulla dosimetria della sanzione pecuniaria, inflitta nella sua massima estensione: "Tenuto conto della gravita' del fatto (immensi cumuli di rifiuti) e durata della Condotta (rilevato che i cumuli sono presenti dal 2012 fino ad oggi sul sito della (OMISSIS)), del grado di responsabilita' dell'ente (responsabilita' massima, rilevato che il reato e' stato posto in essere per interesse e a vantaggio economico consistente nel disporre di un sito illegale per la gestione di rifiuti, al di fuori del proprio sito) e il fatto che non e' stata ancora posta in essere alcuna attivita' per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto (poiche' i cumuli sono ancora sul sito (OMISSIS)) o per prevenire la commissione di ulteriori illeciti (poiche' non risulta essere stato adottato altro Modello organizzativo adeguato), pena equa si ritiene essere quella di 250 quote di Euro 500 ciascuna. L'importo della quota e' parametrato alle condizioni economiche di (OMISSIS) che e' sicuramente una societa' florida, di medie dimensioni". Tale motivazione appare congrua in riferimento ai parametri seguiti per la quantificazione, non manifestamente illogica ne' in contrasto con le altre risultanze processuali, destinandosi pertanto il motivo di ricorso all'inammissibilita' per manifesta infondatezza. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di (OMISSIS) di (OMISSIS) (OMISSIS) srl, limitatamente alla condanna al risarcimento del danno quale responsabile civile in favore del Parco Regionale del (OMISSIS). Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), limitatamente al giudizio sull'aggravante di cui all'articolo 452-novies c.p. e alla confisca del profitto del reato, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di (OMISSIS) in diversa composizione fisica. Dichiara inammissibili i ricorsi nel resto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. D'ASCOLA Pasquale - Primo Presidente f.f. Dott. STALLA Giacomo M. - Consigliere Dott. FERRO Massimo - Consigliere Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere Dott. RUBINO Lina - Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa - Consigliere Dott. FALASCHI Milena - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 31123-2018 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS); - ricorrente - contro COMUNE DI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS); - controricorrente - avverso la sentenza n. 3291/2017 del TRIBUNALE di (OMISSIS), depositata il 26/03/2018. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2022 dal Consigliere MILENA FALASCHI; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale FULVIO TRONCONE, il quale conclude affinche' le Sezioni Unite della Corte, in relazione ai due dubbi interpretativi posti dall'ordinanza interlocutoria n. 6781 del 1 marzo 2022, accolgano il ricorso. RITENUTO IN FATTO In data 17.05.2016 il Comune di (OMISSIS) contestava ad (OMISSIS), nella qualita' di titolare di autorizzazione per l'esercizio del servizio di autonoleggio con conducente, la violazione dell'articolo 85, comma 4, del C.d.S. in quanto "acquisiva un servizio di trasporto senza effettuare il preventivo contratto con il cliente e trasporto effettuato senza partire dalla rimessa per detto servizio - rimessa sita nel Comune di (OMISSIS) - Importo tramite (OMISSIS)". Il (OMISSIS) proponeva opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione, con ricorso proposto dinanzi al Giudice di pace di (OMISSIS), chiedendo l'annullamento del verbale e delle sanzioni comminategli. Deduceva la genericita' della contestazione formulata. Sosteneva, inoltre, che il trasporto era stato regolarmente richiesto e concordato mediante l'applicazione Uber Black, di modo che l'incontro delle volonta' era avvenuto tramite la piattaforma web; che non vi era mai stato uno stazionamento dell'auto nelle piazzole riservate ai taxi; che l'efficacia delle disposizioni di cui al Decreto Legge n. 207/2008, modificative della L. n. 21/1992 (relative all'obbligo di partenza e rientro delle corse necessariamente presso la rimessa), ritenute da piu' autorita' illogiche, era stata sospesa da piu' decreti legge succedutisi nel tempo (articoli 3, 11 e 13 L. n. 21 del 1992). Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del Comune di (OMISSIS), che chiedeva il rigetto dell'opposizione del (OMISSIS), il giudice adito, con sentenza n. 12279 del 2016, accoglieva il ricorso annullando il verbale impugnato, sul presupposto che, con l'emanazione del Decreto Legge n. 5 del 2009 (articolo 7 bis), l'efficacia degli articoli 3 e 11 L. n. 21 del 1992, nella nuova formulazione, era stata sospesa. In virtu' di impugnazione interposta dal Comune di (OMISSIS), il Tribunale di (OMISSIS), nella resistenza del (OMISSIS), con sentenza n. 3291 del 2018, accoglieva il gravame e, in riforma della sentenza di prime cure, rigettava il ricorso originariamente presentato dal (OMISSIS), condannandolo al pagamento delle spese del giudizio. A sostegno della decisione il Tribunale esponeva che gli articoli 3 e 11 della L. n. 21 del 1992, come modificati dall'articolo 29, comma 1 quater, del Decreto Legge n. 207/2008, convertito con la L. n. 14/2009, erano applicabili nella fattispecie, in quanto la sospensione dell'efficacia delle suddette norme - disposta dall'articolo 7 bis del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, inserito dalla legge di conversione 9 aprile 2009, n. 33 - era stata prorogata solo fino al 31.03.2010; di converso, sulla durata di tale sospensione non spiegava alcun effetto il termine, e le relative proroghe, fissato per l'adozione di disposizioni attuative del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti dall'articolo 2, comma 3, del Decreto Legge n. 40/2010, convertito con modificazioni dalla L. n. 73/2010. Avverso la sentenza del Tribunale di (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), sulla base di tre motivi, cui ha resistito con controricorso il Comune di (OMISSIS). Fissata la trattazione della causa all'adunanza camerale del 04.03.2021, venivano acquisite le conclusioni della Procura Generale, motivate nel senso dell'accoglimento del ricorso, ritualmente comunicate alle parti, e veniva depositata memoria ex articolo 380-bis.1 c.p.c. dal solo ricorrente. All'esito della camera di consiglio, la Seconda Sezione rimetteva la causa alla pubblica udienza per la rilevanza nomofilattica della questione. Per la decisione sul ricorso, fissata la trattazione in udienza pubblica per il giorno 25.11.2021, e' stato applicato lo speciale rito "cartolare" previsto dall'articolo 23, comma 8 bis, del Decreto Legge 137 del 28-10-2020, convertito con modificazioni dalla L. 1812-2020 n. 176 e prorogato a tutto il 2022 dal Decreto Legge 30-12-2021 n. 228, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15, non avendo alcuna delle parti depositato istanza per la trattazione orale della causa. Sono state acquisite nuove conclusioni della Procura Generale, motivate nel senso della declaratoria di inammissibilita', in subordine, per il rigetto del ricorso. In prossimita' della pubblica udienza entrambe le parti curavano il deposito di memorie ex articolo 378 c.p.c. All'esito della camera di consiglio, la Seconda Sezione, con ordinanza interlocutoria n. 6781 del 2022, rimetteva gli atti al Primo Presidente, per la risoluzione di una questione di massima di particolare importanza, sia per la mancanza di precedenti univoci o pienamente convincenti, sia per la sentita esigenza nomofilattica caratterizzante l'interpretazione di norme disciplinanti la questione di diritto circa la vigenza o la sospensione alla data di maggio 2016 - epoca dei fatti contestati al ricorrente - delle modifiche recate al testo della L. n. 21 del 1992 (e, per quanto specificamente interessa la vicenda in esame, agli articoli 3 e 11 di tale legge) dall'articolo 29, comma 1 quater, del Decreto Legge n. 207 del 2008 (inserito dalla legge di conversione n. 14 del 2009), la cui soluzione reputava rilevante per la decisione del ricorso. Il Primo Presidente assegnava il ricorso alle Sezioni Unite e seguiva la fissazione dell'odierna udienza, in vista della quale venivano depositate conclusioni scritte del pubblico ministero nel senso dell'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 85, comma 4, C.d.S., dell'articolo 3 Cost. per manifesta illogicita' e travisamento, nonche' del principio di legalita' di cui all'articolo 1 L. n. 689 del 1981, ritenendo la sostanziale irriferibilita' della normativa di cui alla L. n. 21 del 1992 alle nuove e non disciplinate modalita' offerte dalle applicazioni informatiche. Ad avviso del ricorrente la normativa di cui alla L. n. 21 del 1992 - legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea - emanata in un'epoca in cui vi era il telefono cellulare ma con caratteristiche ben diverse rispetto agli attuali smartphone, sarebbe divenuta oggettivamente inapplicabile, facendo riferimento ad una realta' del tutto superata, come emergerebbe anche da recente segnalazione, AS1354 del 10.03.2017, al Parlamento e al Governo da parte dell'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato, che ha riconosciuto la stessa oggettiva diversita' dei servizi resi tramite piattaforma web e la conseguente irriferibilita' delle previsioni normative di cui alla legge quadro. Al riguardo richiama anche il parere n. 3586 del 23.12.2015 reso dal Consiglio di Stato, Sez. Prima, su richiesta del Ministero dell'interno, proprio in siffatta materia, cui ha fatto seguito la successiva nota del Ministero dell'interno dell'11.03.2016, relativamente all'inapplicabilita' dell'articolo 85 C.d.S. ai nuovi servizi telematici di trasporto. Di converso la Polizia Municipale di (OMISSIS) ha inopinatamente ritenuto di emettere la nota del 04.05.2016, che ha espressamente ad oggetto "Disposizioni attuative degli articoli 85 e 86 del Codice della Strada e della L. 21/1992". Il ricorrente ricorda, inoltre, l'analogia che si era realizzata qualche decennio fa con il servizio di radiotaxi, preso in esame dalla sentenza gravata: sebbene non preso in considerazione dal legislatore, nessuna sanzione viene comminata ai sensi dell'articolo 86 C.d.S. a chi recluta la clientela tramite le centrali di radiotaxi anziche' stazionando sulle aree a cio' specificamente riservate. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dei principi generali di cui agli articoli 3 e 41 Cost. per avere i provvedimenti ed i comportamenti adottati dal Comune di (OMISSIS) nella presente vicenda determinato una limitazione della libera attivita' economica privata non giustificata da alcun motivo di "utilita' sociale", conformemente alla pronuncia della Corte costituzionale n. 174 del 2014. Nel senso della dubbia costituzionalita' delle norme contenute nella L. n. 21 del 1992 si e' gia' espresso il TAR Lombardia con il decreto n. 1105 del 2013. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione degli articoli 3 e 11 L. n. 21 del 1992 per intervenuta sospensione legislativa dell'efficacia del disposto di cui all'articolo 29, comma 1 quater Decreto Legge n. 207 del 2008. Ad avviso del ricorrente, le disposizioni invocate dal Comune di (OMISSIS) non riguarderebbero la presente vicenda, altrimenti si incorrerebbe nella violazione dei principi costituzionali di legalita', uguaglianza, ragionevolezza e liberta' economica. Lo stesso legislatore ha immediatamente sospeso l'efficacia della novella in oggetto, in particolare l'articolo 7 bis L. n. 33 del 2009, specificamente reiterato dai dd.ll. nn. 78 e 194 del 2009, in quanto l'articolo 1, comma 1136, L. n. 205 del 2017 espressamente afferma che "conseguentemente, la sospensione dell'efficacia disposta dall'articolo 7 bis, comma 1, del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009 n. 33, si intende prorogata fino al 31 dicembre 2018", dissipando ogni residuo dubbio circa la perdurante sospensione - ab origine e senza soluzione di continuita' - dell'efficacia delle disposizioni introdotte con il Decreto Legge n. 207 del 2008. Nei medesimi termini si era in precedenza gia' espresso anche il Decreto Legge n. 244 del 2016 c.d. Milleproroghe. Ritiene il ricorrente che volga nello stesso senso la nota prot. n. 6446 del 31.03.2016 che ha ribadito come "in relazione alla questione se sia da ritenersi sospesa l'efficacia dell'articolo 29 comma 1 quater (...) milita a favore di tale interpretazione il dato testuale del Decreto Legge n. 40/2003 (articolo 2, comma 3), in ragione del quale il Legislatore ha inteso subordinare l'attuazione della novella legislativa al decreto interministeriale de quo. Se ne desume che, almeno finche' legittimamente (e cioe' fino allo scadere del 31.12.2016) il Decreto non sara' emanato, dovrebbe essere inibita l'efficacia dell'articolo 29, comma 1 quater...". Rileva preliminarmente il Collegio che le tre censure vanno esaminate e trattate unitariamente, in quanto tutte volte alla pregiudiziale affermazione dell'applicabilita' (o meno) alla fattispecie del noleggio di autovetture con conducente, di cui all'articolo 7-bis, comma 1, del Decreto Legge n. 5 del 2009, conv in L. n. 33 del 2009, della sospensione dell'efficacia delle modifiche previste agli articoli 3 e 11 della L. n. 21 del 1992, introdotte dall'articolo 29, comma 1 quater del Decreto Legge n. 207 del 2008 e dell'articolo 9, comma 3 Decreto Legge n. 244 del 2016, conv. in L. n. 19 del 2017. Esse sono meritevoli di accoglimento nell'ambito dei confini che di seguito verranno illustrati. L'ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione, 1 marzo 2022 n. 6781, individua la questione di diritto alla stessa sottoposta nei seguenti termini: se, all'epoca dei fatti contestati al ricorrente (maggio 2016), le modifiche recate al testo della L. n. 21 del 1992 (e, per quanto specificamente interessa la vicenda in esame, agli articoli 3 e 11 di tale legge) dall'articolo 29, comma 1 quater, del Decreto Legge n. 207 del 2008 (inserito dalla legge di conversione n. 14 del 2009) dovessero ritenersi vigenti o sospese. In particolare, osserva il Collegio remittente che, secondo il ricorrente, l'articolo 9, comma 3, del Decreto Legge 30 dicembre 2016, n. 244, convertito in L. 27 febbraio 2017, n. 19, la' dove prevede (nel secondo periodo) che "la sospensione dell'efficacia disposta dall'articolo 7-bis, comma 1, del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, si intende prorogata fino al 31 dicembre 2017", estenderebbe retroattivamente la sospensione di efficacia dell'articolo 29, comma 1 quater del Decreto Legge 30 dicembre 2007 n. 207 dalla data del 31 marzo 2010, fino alla quale essa era gia' stata prorogata, alla data del 31 dicembre 2017, cosi' creando un continuum di sospensione di efficacia dal 2009 al 2017. Cosi' individuata la questione oggetto di scrutinio, l'ordinanza interlocutoria ritiene sia meritevole di un supplemento di riflessione l'approdo ermeneutico al quale e' giunta la Corte con le sentenze n. 12679 del 2017 e n. 28077 del 2021. Con tali pronunce si e' affermato che la sospensione dell'efficacia delle modifiche alla disciplina di cui agli articoli 3 e 11 della L. n. 21 del 1992, introdotta dall'articolo 29 del Decreto Legge n. 207 del 2008, era cessata al 31 marzo 2010, secondo quanto previsto dall'articolo 5, comma 3, del Decreto Legge n. 194 del 2009, conv. in l. n. 25 del 2010, ponendosi tale norma come l'ultima (la precedente era l'articolo 23, comma 2 Decreto Legge n. 78 del 2009, conv. in L. n. 102 del 2009) che aveva prorogato l'iniziale sospensione prevista dall'articolo 7-bis del Decreto Legge n. 5 del 2009 introdotto dalla legge di conversione n. 33 del 2009. Secondo detto indirizzo, rispetto a tale cessazione, a nulla valeva l'individuazione del termine del 31 dicembre 2016 contenuto nell'articolo 2, comma 3 del Decreto Legge n. 40 del 2010, in quanto riferito all'adozione di un decreto ministeriale volto a impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, pratiche non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia, senza alcuna rinnovata sospensione della efficacia delle disposizioni di cui al Decreto Legge n. 207 del 2008. Non poteva, infatti, ritenersi che il mero rinvio ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, ancorche' previa intesa con la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, contenuto nell'articolo 2 cit. potesse avere l'effetto di impedire l'efficacia di una disciplina inserita nella legge-quadro per il trasporto dotata, peraltro, di indubbia idoneita' prescrittiva. La successiva pronuncia del 2021, riportando l'iter argomentativo della precedente del 2017, ha affermato che l'articolo 9, comma 3, del Decreto Legge n. 244 del 2016, nel testo risultante dalla legge di conversione n. 19 del 2017, nella parte in cui prevede che "Conseguentemente, la sospensione dell'efficacia disposta dall'articolo 7-bis, comma 1, del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, si intende prorogata fino al 31 dicembre 2017", ha inteso disporre una nuova sospensione delle disposizioni introdotte dall'articolo 29, comma 1- quater, a far tempo dal 1 marzo 2017, data di entrata in vigore delle modifiche apportate con la legge di conversione, sino al 31 dicembre 2017, senza che a tale ius superveniens potesse attribuirsi il contenuto e la valenza di una legge retroattiva o di interpretazione autentica. L'ordinanza di rimessione pone in luce come l'interpretazione della seconda parte del comma 3 dell'articolo 9 del Decreto Legge n. 244 del 2016 si presti ai seguenti dubbi. In primo luogo essa non appare perfettamente coerente con il dato letterale della disposizione, la' dove essa recita "la sospensione... si intende prorogata". Il senso letterale della parola "prorogata", infatti, sembra alludere alla "protrazione" di una sospensione ancora in essere, non alla "riattivazione" di una sospensione cessata anni prima. In secondo luogo, l'ordinanza riporta un passaggio della motivazione della sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2020 la quale, pur senza affrontare il tema oggetto del presente scrutinio (essendo stata sottoposta al suo esame la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 10-bis del Decreto Legge n. 135 del 2018), sembra, tuttavia, offrire una ricostruzione della disciplina in esame non del tutto coincidente con quella di cui ai citati precedenti di questa Corte. In particolare, l'iter argomentativo seguito dalla Consulta sulla questione alla stessa sottoposta si conclude al paragrafo 3.1 del Considerato in diritto con l'affermazione che "Per meglio comprendere l'assetto normativo vigente, va precisato che l'articolo 10-bis ha a sua volta abrogato, a decorrere dal 10 gennaio 2019, sia il comma 3 dell'articolo 2 del Decreto Legge n. 40 del 2010 (al comma 5), che l'articolo 7-bis del Decreto Legge n. 5 del 2009 (al comma 7), che avevano sospeso l'efficacia della piu' stringente disciplina dettata dall'articolo 29, comma 1-quater, del Decreto Legge n. 207 del 2008. Di conseguenza, dalla indicata data del 10 gennaio 2019 hanno acquistato efficacia le disposizioni modificative della L. n. 21 del 1992 introdotte dall'articolo 29, comma 1-quater, del Decreto Legge n. 207 del 2008, come ulteriormente modificate dall'articolo 10-bis del Decreto Legge n. 135 del 2018, mentre e' venuta meno la previsione di "urgenti disposizioni attuative" dirette a contrastare il fenomeno dell'abusivismo, da adottare con decreto ministeriale". Tale dictum, a parere del Collegio che ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, lascia "il dubbio che, nella ricostruzione normativa operata dalla Corte costituzionale, le disposizioni modificative della L. n. 21 del 1992 introdotte dall'articolo 29, comma 1-quater, del Decreto Legge n. 207 del 2008 non siano mai entrate in vigore prima del 10 gennaio 2019, quando esse entrarono in vigore con le modifiche recate dall'articolo 10-bis del Decreto Legge n. 135 del 2018". La Sezione remittente ricorda che anche la giurisprudenza di merito, proprio alla luce delle considerazioni fin qui esposte e delle incertezze presenti (per l'interpretazione patrocinata dal ricorrente si veda Trib. Roma 26.05.2017), propende a favore della tesi che per l'intero periodo dal 1 marzo 2010 al 31 dicembre 2017 la materia disciplinata, prima, dal testo originario della L. n. 21/1992 e, poi, dal testo di tale legge come modificato dal Decreto Legge n. 207/2008 deve intendersi come totalmente deregolata. Il giudice di merito ha, in primo luogo, rilevato come l'articolo 29, comma 1-quater Decreto Legge n. 207 del 2008, prevedendo la sostituzione integrale di commi e articoli di legge preesistenti, implichi il duplice effetto dell'abrogazione di tali disposizioni e, al tempo stesso, dell'introduzione nell'ordinamento giuridico di nuove disposizioni, inserite in luogo di quelle soppresse e nella medesima sede originariamente destinata a queste ultime; in secondo luogo, si e' poi sottolineato come la sostituzione comporti l'eliminazione della sequenza testuale da un testo normativo e l'inserimento di una nuova sequenza al posto di quella, con conseguente unificazione dei momenti dell'abrogazione e dell'inserimento. Sulla scorta dei tali premesse, il Tribunale capitolino ha quindi richiamato Corte Cost. n. 13/2012 ("il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate non opera in via generale e automatica e puo' essere ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate") e Cass., Sez. Un., n. 25551/2007 ("a questo proposito va in generale affermato che, nel regime di successione delle leggi, mentre l'abrogazione della disposizione che modifica o sostituisce quella precedente non comporta la sua reviviscenza, tale effetto puo' invece predicarsi in caso di abrogazione di una disposizione che abbia come contenuto quello di abrogare una disposizione precedente sicche' cio' che viene meno e' proprio l'effetto abrogativo"); per concludere che, nel periodo di sospensione dell'efficacia delle disposizioni recate dal Decreto Legge n. 207/2008, non ricorreva alcuna reviviscenza delle disposizioni contenute nel testo previgente della L. n. 21 del 1992. Questo e', dunque, il perimetro oggettivo della remissione. Per una riconsiderazione complessiva del tema da parte di queste Sezioni Unite e per una piu' chiara comprensione della questione rimessa e' necessario premettere un sintetico quadro delle disposizioni di legge rilevanti. L'intervento del legislatore nazionale sulla disciplina amministrativa del noleggio con conducente trova la propria fonte nella L. n. 21 del 1992 (Legge quadro per il trasposto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea). In particolare, per quanto specificatamente interessa la vicenda in esame, l'articolo 3 (Servizio di noleggio con conducente) nella sua originaria formulazione prevedeva che "1. Il servizio di noleggio con conducente si rivolge all'utenza specifica che avanza, presso la sede del vettore, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio. Lo stazionamento dei mezzi avviene all'interno delle rimesse o presso i pontili di attracco", mentre il successivo articolo 11 (Obblighi dei titolari di licenza per l'esercizio del servizio di taxi e di autorizzazione per l'esercizio del servizio di noleggio con conducente) disponeva che "1. I veicoli o natanti adibiti al servizio di taxi possono circolare e sostare liberamente secondo quanto stabilito dai regolamenti comunali. 2. Il prelevamento dell'utente ovvero l'inizio del servizio sono effettuati con partenza dal territorio del comune che ha rilasciato la licenza per qualunque destinazione, previo assenso del conducente per le destinazioni oltre il limite comunale o comprensoriale, fatto salvo quanto disposto dal comma 5 dell'articolo 4. 3. Nel servizio di noleggio con conducente, eserci'to a mezzo di autovetture, e' vietata la sosta in posteggio di stazionamento su suolo pubblico nei comuni ove sia eserci'to il servizio di taxi. E' tuttavia consentito l'uso delle corsie preferenziali e delle altre facilitazioni alla circolazione previste per i taxi e altri servizi pubblici. 4. Le prenotazioni di trasporto per il servizio di noleggio con conducente sono effettuate presso le rispettive rimesse. 5. I comuni in cui non e' eserci'to il servizio di taxi possono autorizzare i veicoli immatricolati per il servizio di noleggio con conducente allo stazionamento su aree pubbliche destinate al servizio di taxi. 6. I comuni, ferme restando le attribuzioni delle autorita' competenti in materia di circolazione negli ambiti portuali, aeroportuali e ferroviari, ed in accordo con le organizzazioni sindacali di categoria dei comparti del trasporto di persone, possono, nei suddetti ambiti, derogare a quanto previsto dal comma 3, purche' la sosta avvenga in aree diverse da quelle destinate al servizio di taxi e comunque da esse chiaramente distinte, delimitate e individuate come rimessa. 7. Il servizio di taxi, ove eserci'to, ha comunque la precedenza nei varchi prospicienti il transito dei passeggeri". Per effetto dell'articolo 29, comma 1-quater, del Decreto Legge n. 207 del 2008 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, nella L. n. 14 del 2009) l'articolo 3 cit. e' stato modificato nel seguente testo "1. Il servizio di noleggio con conducente si rivolge all'utenza specifica che avanza, presso la rimessa, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio. 2. Lo stazionamento dei mezzi deve avvenire all'interno delle rimesse o presso i pontili di attraccomma 3. La sede del vettore e la rimessa devono essere situate, esclusivamente, nel territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione" e l'articolo 11 cit. nel seguente testo "1. I veicoli o natanti adibiti al servizio di taxi possono circolare e sostare liberamente secondo quanto stabilito dai regolamenti comunali. 2. Il prelevamento dell'utente ovvero l'inizio del servizio sono effettuati con partenza dal territorio del comune che ha rilasciato la licenza per qualunque destinazione, previo assenso del conducente per le destinazioni oltre il limite comunale o comprensoriale, fatto salvo quanto disposto dal comma 5 dell'articolo 4. 3. Nel servizio di noleggio con conducente, eserci'to a mezzo di autovetture, e' vietata la sosta in posteggio di stazionamento su suolo pubblico nei comuni ove sia eserci'to il servizio di taxi. In detti comuni i veicoli adibiti a servizio di noleggio con conducente possono sostare, a disposizione dell'utenza, esclusivamente all'interno della rimessa. I comuni in cui non e' eserci'to il servizio taxi possono autorizzare i veicoli immatricolati per il servizio di noleggio con conducente allo stazionamento su aree pubbliche destinate al servizio di taxi. Ai veicoli adibiti a servizio di noleggio con conducente e' consentito l'uso delle corsie preferenziali e delle altre facilitazioni alla circolazione previste per i taxi e gli altri servizi pubblici. 4. Le prenotazioni di trasporto per il servizio di noleggio con conducente sono effettuate presso la rimessa. L'inizio ed il termine di ogni singolo servizio di noleggio con conducente devono avvenire alla rimessa, situata nel comune che ha rilasciato l'autorizzazione, con ritorno alla stessa, mentre il prelevamento e l'arrivo a destinazione dell'utente possono avvenire anche nel territorio di altri comuni. Nel servizio di noleggio con conducente e' previsto l'obbligo di compilazione e tenuta da parte del conducente di un "foglio di servizio" completo dei seguenti dati: a) fogli vidimati e con progressione numerica; b) timbro dell'azienda e/o societa' titolare della licenza. La compilazione dovra' essere singola per ogni prestazione e prevedere l'indicazione di: 1) targa veicolo; 2) nome del conducente; 3) data, luogo e km. di partenza e arrivo; 4) orario di inizio servizio, destinazione e orario di fine servizio; 5) dati del committente. Tale documentazione dovra' essere tenuta a bordo del veicolo per un periodo di due settimane. 5. I comuni in cui non e' eserci'to il servizio di taxi possono autorizzare i veicoli immatricolati per il servizio di noleggio con conducente allo stazionamento su aree pubbliche destinate al servizio di taxi. 6. I comuni, ferme restando le attribuzioni delle autorita' competenti in materia di circolazione negli ambiti portuali, aeroportuali e ferroviari, ed in accordo con le organizzazioni sindacali di categoria dei comparti del trasporto di persone, possono, nei suddetti ambiti, derogare a quanto previsto dal comma 3, purche' la sosta avvenga in aree diverse da quelle destinate al servizio di taxi e comunque da esse chiaramente distinte, delimitate e individuate come rimessa. 7. Il servizio di taxi, ove eserci'to, ha comunque la precedenza nei varchi prospicienti il transito dei passeggeri". La normativa introdotta dall'articolo 29, comma 1-quater Decreto Legge n. 207 del 2008 (comma aggiunto dalla legge di conversione del 27 febbraio 2019 n. 14) ha ridisegnato la disciplina del servizio di noleggio con conducente (NCC) prevista dalla L. n. 21 del 1992 rendendo piu' stringenti i vincoli territoriali, aumentando anche i controlli sul loro rispetto e le sanzioni in caso di violazione. In particolare, sono stati introdotti a carico dei prestatori dei servizi di NCC: l'obbligo di avere la sede e la rimessa esclusivamente nel territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione; l'obbligo di iniziare ogni singolo servizio dalla rimessa e di ritornarvi al termine del servizio; l'obbligo di compilare e tenere il "foglio di servizio"; l'obbligo di sostare, a disposizione dell'utenza, esclusivamente all'interno della rimessa. E' stato inoltre confermato l'obbligo, gia' previsto dalla L. n. 21 del 1992, di effettuazione presso le rimesse le prenotazioni di trasporto. Le modifiche apportate dall'articolo 29 cit. hanno avuto applicazione per un brevissimo lasso di tempo (dal 1 marzo 2009, data di entrata in vigore della L. n. 14 del 2009, al 14 aprile 2009, data di entrata in vigore dell'articolo 7-bis Decreto Legge 10 febbraio 2009 n. 5, inserito dalla legge di conversione del 9 aprile 2009 n. 33). In particolare, il legislatore ha inizialmente previsto una prima sospensione fino al 30 giugno 2009 (articolo 7-bis cit., nel testo originario). Detto termine e' stato successivamente prorogato al 31 dicembre 2009 dall'articolo 23, comma 2, Decreto Legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 102 del 2009 e, successivamente, al 31 marzo 2010, dall'articolo 5, comma 3, Decreto Legge 30 dicembre 2009 n. 194, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 25 del 2010. E', poi, intervenuto l'articolo 2, comma 3, Decreto Legge 25 marzo 2010 n. 40 il quale, sempre nel testo applicabile ratione temporis, prevedeva che "3. Ai fini della rideterminazione dei principi fondamentali della disciplina di cui alla L. 15 gennaio 1992, n. 21, secondo quanto previsto dall'articolo 7-bis, comma 1, del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, ed allo scopo di assicurare omogeneita' di applicazione di tale disciplina in ambito nazionale, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza Unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono adottate, entro e non oltre il 31 dicembre 2016, urgenti disposizioni attuative, tese ad impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia. Con il suddetto decreto sono, altresi', definiti gli indirizzi generali per l'attivita' di programmazione e di pianificazione delle regioni, ai fini del rilascio, da parte dei Comuni, dei titoli autorizzativi." L'articolo 2, comma 3 cit. e' stato, poi, fatto oggetto di successivo intervento da parte del legislatore ad opera dell'articolo 9, comma 3 Decreto Legge n. 244 del 2016, come modificato dalla legge di conversione n. 19 del 2017, con il quale si e' disposto che "All'articolo 2, comma 3 del Decreto Legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 maggio 2010, n. 73, le parole: "31 dicembre 2016" sono sostituite dalle seguenti: "31 dicembre 2017". La seconda parte del disposto dell'articolo 9, comma 3 cit. continua con la precisazione che "Conseguentemente, la sospensione dell'efficacia disposta dall'articolo 7-bis, comma 1 del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009 n. 33, si intende prorogata fino al 31 dicembre 2017." Infine, sulla materia e' intervenuto l'articolo 10-bis Decreto Legge n. 135 del 2018, che in sede di conversione, di cui alla L. n. 12 del 2019, ha riprodotto le disposizioni gia' contenute nel Decreto Legge n. 143 del 2018 (di due soli articoli su "Misure urgenti in materia di autoservizi pubblici non di linea"), contestualmente abrogandole e che, per quanto qui di interesse, cosi' dispone "1. Alla L. 15 gennaio 1992, n. 21, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3, comma 1, le parole: "presso la rimessa" sono sostituite dalle seguenti: "presso la sede o la rimessa" e sono aggiunte, infine, le seguenti parole: "anche mediante l'utilizzo di strumenti tecnologici"; b) all'articolo 3, il comma 3 e' sostituito dal seguente: "3. La sede operativa del vettore e almeno una rimessa devono essere situate nel territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione. E' possibile per il vettore disporre di ulteriori rimesse nel territorio di altri comuni della medesima provincia o area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione, previa comunicazione ai comuni predetti, salvo diversa intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata entro il 28 febbraio 2019. In deroga a quanto previsto dal presente comma, in ragione delle specificita' territoriali e delle carenze infrastrutturali, per le sole regioni Sicilia e Sardegna l'autorizzazione rilasciata in un comune della regione e' valida sull'intero territorio regionale, entro il quale devono essere situate la sede operativa e almeno una rimessa"; all'articolo 11, il comma 4 e' sostituito dal seguente: "4. Le prenotazioni di trasporto per il servizio di noleggio con conducente sono effettuate presso la rimessa o la sede, anche mediante l'utilizzo di strumenti tecnologici. L'inizio ed il termine di ogni singolo servizio di noleggio con conducente devono avvenire presso le rimesse di cui all'articolo 3, comma 3, con ritorno alle stesse. Il prelevamento e l'arrivo a destinazione dell'utente possono avvenire anche al di fuori della provincia o dell'area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione. Nel servizio di noleggio con conducente e' previsto l'obbligo di compilazione e tenuta da parte del conducente di un foglio di servizio in formato elettronico, le cui specifiche sono stabilite dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con proprio decreto, adottato di concerto con il Ministero dell'interno. Il foglio di servizio in formato elettronico deve riportare: a) targa del veicolo; b) nome del conducente; c) data, luogo e chilometri di partenza e arrivo; d) orario di inizio servizio, destinazione e orario di fine servizio; e) dati del fruitore del servizio. Fino all'adozione del decreto di cui al presente comma, il foglio di servizio elettronico e' sostituito da una versione cartacea dello stesso, caratterizzata da numerazione progressiva delle singole pagine da compilare, avente i medesimi contenuti previsti per quello in formato elettronico, e da tenere in originale a bordo del veicolo per un periodo non inferiore a quindici giorni, per essere esibito agli organi di controllo, con copia conforme depositata in rimessa"; f) all'articolo 11, dopo il comma 4 sono inseriti i seguenti: "4-bis. In deroga a quanto previsto dal comma 4, l'inizio di un nuovo servizio puo' avvenire senza il rientro in rimessa, quando sul foglio di servizio sono registrate, sin dalla partenza dalla rimessa o dal pontile d'attracco, piu' prenotazioni di servizio oltre la prima, con partenza o destinazione all'interno della provincia o dell'area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione. Per quanto riguarda le regioni Sicilia e Sardegna, partenze e destinazioni possono ricadere entro l'intero territorio regionale. 4-ter. Fermo restando quanto previsto dal comma 3, e' in ogni caso consentita la fermata su suolo pubblico durante l'attesa del cliente che ha effettuato la prenotazione del servizio e nel corso dell'effettiva prestazione del servizio stesso". Essendo la questione all'attenzione di queste Sezioni Unite costituita dalla definizione del limite temporale della sospensione dell'efficacia della riforma di settore (giova ribadirlo, se nel senso della sua permanenza nel periodo 1 aprile 2010 - 31 dicembre 2017 ovvero della sua negazione, con tutto cio' che ne consegue in termini di disciplina applicabile al caso di specie), onde poter assolvere al compito di interpretazione di siffatte norme, occorre prendere le mosse dai servizi disciplinati dalla legge quadro n. 21 del 1992, la quale - come sopra esposto - nel prevedere due tipologie di servizio, taxi e noleggio con conducente, con il Decreto Legge 30 dicembre 2008 n. 207, in particolare con l'articolo 29, comma 1-quater, ha provveduto a ridisegnare in larga parte la disciplina dello svolgimento dei servizi NCC prevedendo l'introduzione di una serie di vincoli a tale attivita'; tuttavia l'efficacia di tale disciplina e' stata pacificamente ed in termini espliciti sospesa fino al marzo 2010 e, successivamente, dal 1 gennaio 2017 fino al 31 dicembre 2018, per cui permangono dubbi sul periodo compreso tra il 1 aprile 2010 ed il 31 dicembre 2016, non espressamente e dettagliatamente disciplinato. L'esigenza di adeguare le disposizioni della L. n. 21 del 1992 - in considerazione sia di problematiche relative al rapporto tra i servizi di taxi e di noleggio con conducente (va ricordato che in origine gli obblighi di servizio pubblico discendevano solo per il servizio di taxi, i quali risultano disciplinati dalle leggi regionali, ai cui criteri devono attenersi i comuni nel regolamentarne l'esercizio, enti ai quali sono delegate le funzioni amministrative), sia per l'esigenza di rispondere alle nuove realta' economiche che offrivano servizi non immediatamente riconducibili a quelli previsti dalla regolamentazione nazionale, anche al fine di superare i dubbi riguardanti la loro legittimita' - ha caratterizzato le ultime legislature, a cio' stimolate anche dagli interventi delle Autorita' indipendenti di settore, quali l'Autorita' di Regolazione dei Trasporti (che ha inviato al Governo ed al Parlamento il 21 maggio 2015 un atto di segnalazione sulla rilevanza economico-regolatoria dell'autotrasporto di persone non di linea) e l'Autorita' Garante per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM), intervenuta piu' volte proprio sul tema della riforma della disciplina del settore Taxi e NCC (da ultimo, il 10 marzo 2017, ha inviato una segnalazione al Parlamento ed al Governo in cui si sottolinea che il settore dalla mobilita' non di linea - taxi e NCC - richiede una riforma complessiva, in quanto e' ancora regolato dalla L. n. 21 del 15 gennaio 1992, oramai non piu' al passo con l'evoluzione del mercato). Il profilo dell'autonomia privata di regolare a propria discrezione i fenomeni economici (associativi o di scambio) e' stato certamente incentivato dalla globalizzazione e da internet. Basti pensare alla creazione della starticolo up Uber, nota per avere creato nel 2010 l'omonima applicazione per mettere in contatto diretto gli automobilisti ed i passeggeri, offrendo cosi' un servizio di trasporto automobilistico distinto dai tradizionali autoservizi pubblici di linea. L'irrompere sul mercato di questa nuova applicazione ha generato non poche frizioni tra le parti sociali che sono spesso sfociate in contenziosi giurisdizionali. Di qui - alla luce di quanto previsto nel decreto "milleproroghe" 2017 - la scelta del legislatore di posticipare almeno fino al gennaio 2018 l'entrata in vigore dell'articolo 29, comma 1-quater L. 30.12.2008 n. 207. Conseguentemente alla nuova disciplina per il NCC che viene delineata dal Decreto Legge n. 143 del 2018, il comma 5 dell'articolo 1 dispone l'abrogazione del comma 3 dell'articolo 2 del Decreto Legge n. 40 del 2010 che prevedeva l'adozione, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza Unificata, di disposizioni per impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia e per definire gli indirizzi generali per l'attivita' di programmazione e di pianificazione delle regioni, ai fini del rilascio, da parte dei Comuni, dei titoli autorizzativi. Il termine per l'emanazione di tale decreto interministeriale e' stato differito 12 volte, da ultimo al 31 dicembre 2018 dall'articolo articolo 1, comma 1136, lettera b), della L. n. 205 del 2017, che - per quanto gia' esposto - ha anche confermato la sospensione dell'efficacia, per l'anno 2018, delle disposizioni del Decreto Legge n. 207/2008. Analogamente, il comma 7 dispone, a decorrere dal 1 gennaio 2019, l'abrogazione dell'articolo 7-bis Decreto Legge n. 5 del 2009, cioe' della norma che aveva disposto la sospensione fino al 31 marzo 2010 dell'operativita' dell'articolo 29, comma 1-quater, del Decreto Legge 30 dicembre 2008 n. 207. Va, infine, ricordato come l'articolo 10-bis Decreto Legge n. 135 del 2018 abbia abrogato, a decorrere dal 10 gennaio 2019, sia il comma 3 dell'articolo 2 Decreto Legge n. 40 del 2010, che l'articolo 7-bis Decreto Legge n. 5 del 2009, che avevano sospeso l'efficacia della disciplina dettata dall'articolo 29, comma 1-quater, del Decreto Legge n. 207 del 2018. Di conseguenza, dal 1 gennaio 2019 hanno acquistato efficacia le disposizioni modificative della L. n. 21 del 1992 introdotte dall'articolo 29, comma 1-quater del Decreto Legge n. 207 del 2008, come ulteriormente modificate dall'articolo 10-bis del Decreto Legge n. 135 del 2018, mentre e' venuta meno la previsione di "urgenti disposizioni attuative" dirette a contrastare il fenomeno dell'abusivismo, da adottare con decreto ministeriale (cfr. testualmente, Corte Cost. 56/2020, par. 3.1.). Solo per completezza si osserva che la legge annuale per la concorrenza (L. n. 124 del 2017, articolo 1, commi 179-182) conteneva la delega per l'emanazione di un decreto legislativo di riordino del settore taxi e NCC, da esercitare entro il 29 agosto 2018, ma tale delega non e' stata mai esercitata. Cosi' ricostruito l'excursus storico della disciplina normativa, giova poi chiarire - sempre nell'ottica di una migliore interpretazione del testo normativo - che l'articolo 9, comma 3, Decreto Legge n. 244 del 2016, come modificato dalla legge di conversione n. 19 del 2017 che modifica parzialmente l'articolo 2, comma 3 Decreto Legge n. 40 del 2010, convertito dalla L. n. 73 del 2010, sostituendo le parole "31 dicembre 2016" con "31 dicembre 2017", e' stato approvato nella Prima Commissione permanente (Affari Costituzionali) in sede referente del Senato della Repubblica a seguito del recepimento dell'emendamento 9.20, ritirati gli emendamenti 9.16, 9.17, 9.18, 9.22, 9.23 e 9.25, respinti quelli recanti i numeri 9.15, 9.19, 9.21 e 9.24, che meglio rispondevano al quesito esegetico posto dall'ordinanza interlocutoria nel senso che la disposta sospensione opera per tutto il periodo 1 aprile 2010 - 31 dicembre 2017. Siffatta impostazione tuttavia consente di collegare la disposizione citata all'articolo 2, comma 3 Decreto Legge n. 40 del 2010 (il quale stabiliva che: "3. Ai fini della rideterminazione dei principi fondamentali della disciplina di cui alla L. 15 gennaio 1992, n. 21, secondo quanto previsto dall'articolo 7-bis, comma 1, del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, ed allo scopo di assicurare omogeneita' di applicazione di tale disciplina in ambito nazionale, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza Unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono adottate, entro e non oltre il termine di sessanta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore del presente decreto, urgenti disposizioni attuative, tese ad impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia. Con il suddetto decreto sono, altresi', definiti gli indirizzi generali per l'attivita' di programmazione e di pianificazione delle regioni, ai fini del rilascio, da parte dei Comuni, dei titoli autorizzativi.") all'articolo 29, comma 1-quater del Decreto Legge n. 207 del 2008, facendone conseguire la sospensione anche dell'efficacia della riforma che ridisegna i principi fondamentali del servizio del noleggio con conducente di cui alla L. n. 21 del 1992, in quanto il nuovo e piu' rigoroso regime postula la necessita' dell'adozione di una disciplina complessiva (statale, regionale e comunale) con l'adozione di decreti ministeriali concertati tra i Ministeri interessati e previa intesa con la Conferenza Unificata di Stato, regioni e di comuni. In altri termini, la maieutica dell'articolo 9, comma 3 Decreto Legge n. 244 del 2016, come modificato dalla legge di conversione n. 19 del 2017, non consente di dare attuazione alla nuova disciplina nella sua globalita' senza la messa a regime dell'intero settore. Ne' a siffatta interpretazione e' di ostacolo il principio secondo cui la norma di interpretazione autentica puo' essere adottata solo per ovviare ad una situazione di grave incertezza normativa o a forti contrasti giurisprudenziali, con la conseguenza che il legislatore sarebbe abilitato ad intervenire solamente al ricorrere di siffatti eventi, tali da giustificare, di conseguenza, l'esegesi legislativa. Infatti, si rischierebbe di affrontare la tematica dell'interpretazione autentica sulla base di un criterio approssimativo, ossia non considerando la giurisprudenza costituzionale in materia di leggi interpretative, attraverso la quale, seppur con esiti variabili, i giudici delle leggi sono giunti a riconoscere la legittimita' dell'intervento (autenticamente) interpretativo, e quindi, retroattivo del legislatore, non solo in casi di incertezza normativa (v. Corte Cost. n. 15 del 2012 che richiama le sent. nn. 271 e 257 del 2011, n. 209 del 2010, nn. 311 e 24 del 2009, nn. 162 e 74 del 2008; in tal senso vedi anche Corte Cost. nn. 156 del 2014, n. 170 del 2013, n. 264 del 2012, n. 78 del 2012) o di anfibologie giurisprudenziali, ovvero nei casi in cui il legislatore si limiti a selezionare uno dei possibili significati che possono ricavarsi dalla disposizione interpretata (rimanendo entro i possibili confini interpretativi: v. Corte Cost. sentenze n. 227 del 2014, n. 170 del 2008 e n. 234 del 2007), ma anche nell'ipotesi in cui il legislatore intervenga per contrastare un orientamento giurisprudenziale (c.d. diritto vivente) sfavorevole, sempre che l'opzione ermeneutica prescelta rinvenga il proprio fondamento nella cornice della norma interpretata (v. Corte Cost. n. 271/2011 cit.). Cosi' intesa, l'incertezza normativa cui il legislatore cercherebbe di far fronte mediante l'intervento esegetico potrebbe articolarsi nella diversa accezione oggettiva (oggettivo contrasto giurisprudenziale) ovvero soggettiva (indesiderato indirizzo giurisprudenziale). La Corte costituzionale rinviene il fondamento dell'adozione dello strumento legislativo interpretativo nella sussistenza di contrasti giurisprudenziali che diano luogo ad incertezza applicativa della norma ad oggetto ovvero nel consolidamento di uno specifico orientamento giurisprudenziale, la cui caratteristica sarebbe da rintracciarsi nella contrarieta' a quanto disposto dal legislatore, costretto, al fine di imporre la propria interpretazione, ad un intervento correttivo. Si e' assistito ad un iniziale orientamento in cui si era tentato di tracciare - seppure a grandi linee - i contorni della norma di interpretazione autentica, ricercandone gli elementi costituzionalmente necessari affinche' la norma potesse considerarsi legittima, per poi passare ad una seconda fase, nella quale il giudice delle leggi si e' allontanato dalla questione della specifica natura da riconoscere alle leggi interpretative, quali norme effettivamente interpretative ovvero innovative criptoretroattive (in tal senso v., tra le altre, Corte Cost. n. 234 del 2007), concentrandosi piuttosto sulla ricerca del loro presupposto giustificativo. In linea di principio, dunque, la Corte costituzionale evidenzia la potenzialita' retroattiva delle leggi di interpretazione autentica - la cui legittimita' e' ammessa nell'ordinamento costituzionale nazionale, con l'unico limite dell'articolo 25, comma 2 Cost. in materia penale - nella prospettiva, pero', di preservazione dei principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento dei cittadini (v. Corte Cost. n. 166 del 2012), da considerarsi come principi di "civilta' giuridica". Pertanto, l'intervento legislativo interpretativo sembra essere ammissibile allorche' - sebbene destinato ad incidere sulle posizioni giuridiche soggettive dei singoli - sia tale da garantire una compensazione ragionevole allo svantaggio arrecato. Ed e' proprio sulla ragionevolezza della norma interpretativa che sembra fondarsi il nucleo del sindacato di legittimita' costituzionale cui aspira il giudice delle leggi. Al fine di risultare costituzionalmente legittima, l'esegesi normativa, infatti, dovrebbe essere ragionevolmente giustificata da motivi imperativi di interesse generale (v. Corte Cost. n. 191 del 2014 e n. 170 del 2013), di modo da bilanciare gli effetti retroattivi anche a danno dei diritti acquisiti dai soggetti interessati. Il giudice e', dunque, chiamato a valutare l'astratta idoneita' interpretativa della norma che si pone come tale, attraverso la disamina degli elementi esteriori (rubrica, titolo, autoqualificazione...) ovvero rintracciandone il fine giustificativo (ratio legis...), fino a spingersi ad analizzare il contesto storico in cui la disposizione e' stata approvata (volonta' storica del legislatore) ovvero giovandosi di altre norme di analogo tenore (interpretazione analogica) o, ancora, rileggere la disposizione alla luce dell'evoluzione del quadro giuridico complessivo (interpretazione evolutiva), di modo che l'intervento interpretativo risulti capace di ricondurre a razionalita' e a logicita' le norme. Ed e' quanto occorso nella specie, in quanto proprio facendo applicazione di siffatti principi, in particolare quello dell'interpretazione evolutiva, va ravvisata la volonta' del legislatore nel senso di estendere la sospensione dell'efficacia della disciplina di riforma - dopo averla disposta espressamente quasi nell'immediatezza dell'entrata in vigore della medesima e fino al 31 marzo 2010 - con la previsione contenuta nel comma 3 dell'articolo 9 del Decreto Legge n. 244 del 2016, per cui il termine del suo vigore e' stato posticipato al 31 dicembre 2016 (divenuto successivamente 31 dicembre 2017) anche quanto alle disposizioni di cui all'articolo 29, comma 1-quater, proprio per ricondurre a coerenza il complessivo quadro delle proroghe finalizzato all'adozione e alla creazione di un sistema unitario e complessivo. Sotto siffatto profilo il ricorso va, pertanto, accolto per avere il Tribunale di (OMISSIS) fatto applicazione di una norma i cui effetti al momento della commissione dell'illecito amministrativo erano sospesi e quindi inefficaci anche le norme regionali derivate dalla disciplina statale. Permane, allora, la questione posta dall'ordinanza interlocutoria con il secondo dubbio interpretativo: "Se, durante il periodo di sospensione dell'efficacia delle disposizioni recate dall'articolo 29, comma 1-quater, del Decreto Legge n. 207 del 2008 debbano ritenersi reviviscenti le disposizioni dettate dalla L. n. 21/1992 (articoli 3 e 11) nel testo precedente alle modifiche recate dal menzionato articolo 29 del Decreto Legge n. 207/2008 o se, al contrario, tali disposizioni non possano ritenersi tornate in vigore durante la sospensione dell'efficacia dell'articolo 29, comma 1-quater, Decreto Legge n. 207/2008, in quanto abrogate e non reviviscenti, con conseguente deregolazione della materia dalle stesse disciplinata". Come e' noto, il fenomeno della reviviscenza indica la condizione di ripresa di vigore della situazione giuridica - ovvero del rapporto - oggetto della vicenda di temporanea e/o permanente stasi, condizione che si verifica per il sopraggiungere di una nuova situazione normativa per la quale le norme abrogatrici vengono a mancare. Per quanto qui di interesse - anche se si e' in presenza della diversa fattispecie di sospensione della efficacia della riforma, che comunque da taluni e' ritenuta abrogativa della originaria disciplina, cui va assimilata per eadem ratio - si sarebbe in presenza di ipotesi di abrogazione legislativa (nella specie, peraltro, solo temporanea), che si suole ricondurre al brocardo latino lex posterior derogat priori. L'abrogazione costituisce effetto dell'entrata in vigore di una norma contrastante con un'altra di pari grado, effetto che spetta al giudice interpretare, prendendo in considerazione ai fini della valutazione la norma da applicare alla fattispecie concreta. La questione controversa e' quella degli effetti, nel senso se si tratti di un fenomeno istantaneo e irreversibile ovvero se esso sia comunque ravvisabile in ipotesi di contrasto tra due discipline che pur si susseguono nel tempo. Al riguardo si osserva che alcune relativamente recenti pronunce della Corte costituzionale rese in sede di giudizio di legittimita' della legge hanno investito disposizioni abrogatrici e i loro effetti sono stati pacificamente intesi dalla stessa Corte costituzionale e dalla giurisprudenza ordinaria successiva come comportanti il ripristino delle norme illegittimamente abrogate (v. Corte Cost. sent. n. 162 del 2012, sent. nn. 5, 32 e 94 del 2014). In passato un esito di questo tipo era stato considerato in termini altamente critici sia in dottrina sia in giurisprudenza, mentre oggi si tende a riconoscere che il sistema di garanzia di conformita' delle leggi alla Costituzione non sarebbe completo se non prevedesse la possibilita' di estendere il sindacato della Corte anche sulle norme abrogatrici e non potesse implicare l'annullamento dell'abrogazione, qualora essa fosse ritenuta illegittima. Ci si deve chiedere se la reviviscenza a seguito di abrogazione della norma abrogatrice sia, al pari dell'abrogazione stessa, un istituto autonomo o se, al contrario, essa costituisca un esito interpretativo che si impone per logiche che sono intrinseche allo stesso istituto dell'abrogazione. Il problema non sembra essere stato finora analizzato in questi termini in modo diffuso. La piu' attenta dottrina ha sempre affermato che la questione della reviviscenza consiste, in ultima analisi, in un problema di interpretazione di diritto positivo, dimostrando in tal modo di propendere per la ricostruzione del fenomeno in chiave di esito interpretativo e non quale istituto giuridico dotato di propria autonomia. Il verificarsi della reviviscenza nei casi concreti si ritiene che debba essere sempre frutto di un'attivita' interpretativa, poiche' uno dei pochi caratteri comuni a tutte le ipotesi di reviviscenza consiste proprio nell'assenza, da parte del legislatore o eventualmente dell'organo che procede al controllo di validita' dell'atto normativo, di una dichiarazione di ripristino in forma espressa e vincolante erga omnes. Si tratta di una condizione inevitabile proprio in ragione della circostanza che il legislatore italiano si e' sempre disinteressato di porre una disciplina di qualunque tipo sul fenomeno. Nell'affrontare la questione della reviviscenza, pertanto, si prenderanno le mosse dalla ricostruzione delle questioni comuni a tutte le ipotesi, che riguardano principalmente la definizione dell'abrogazione e la questione delle lacune eventualmente colmabili mediante ripristino di norme abrogate. La chiave di lettura che viene scelta per affrontare il problema e' quella di valutare l'impatto della reviviscenza in relazione alla certezza del diritto e alla sua crisi. La reviviscenza, infatti, tende in concreto ad evitare che nell'ordinamento si formino lacune, privando di una disciplina positiva una materia gia' oggetto di regolamentazione legislativa. Come gia' affermato da questa Suprema Corte, soprattutto in materia di espropri, nel riconoscere la reviviscenza della precedente disciplina, il giudice deve compiere un'attivita' interpretativa che parte dalla necessaria premessa "a meno che il legislatore non abbia stabilito una nuova disciplina" (v. Cass. n. 5550 del 2009; Cass. n. 28431 del 2008; Cass., Sez. Un., n. 26275 del 2007), che mostra l'attenzione del giudice nell'applicare le norme dell'ordinamento, verificandone la operativita'. Tali decisioni confermano l'indirizzo secondo cui la reviviscenza di norme abrogate opera in via di eccezione e non automaticamente, descrivendo una ordinaria attivita' interpretativa del giudice che individuato un vuoto, mira a colmarlo, e cio' indipendentemente dalle ragioni che hanno causato la lacuna normativa. La Corte di legittimita' con siffatte pronunce non solo ha riconosciuto la teoria della reviviscenza, l'ha anche applicata nel caso concreto, facendo l'analisi della stratificazione normativa e individuando quella vigente ed applicabile al caso in esame. Chiaramente la giurisprudenza richiamata non costituisce una teorizzazione generale della reviviscenza di norme abrogate, tuttavia apre le porte al fenomeno per consentire a siffatto meccanismo di colmare una totale carenza di disciplina normativa venutasi a creare a seguito di vicende diverse che possono colpire l'effetto abrogativo. E poiche' nel nostro ordinamento non ci sono disposizioni di rango costituzionale o legislativo che prevedano espressamente quali siano le conseguenze sul piano normativo nelle ipotesi di abrogazione di una norma, le norme sull'ammissibilita' e sulle condizioni di reviviscenza devono essere necessariamente desunte per via interpretativa. Al riguardo soccorrono l'interprete le Disposizioni sulla legge in generale (le c.d. "preleggi"), che all'articolo 11 stabiliscono che la legge dispone soltanto "per l'avvenire", vietando gli effetti retroattivi; salvo l'ambito penale, in cui sussiste un divieto costituzionale di retroattivita' in peius della legge successiva (articolo 25, comma 2, Cost.), in ogni altro settore dell'ordinamento tale disposizione legislativa e' derogabile, ma soltanto tramite una previsione espressa di norma legislativa. Si tratta di una tutela minima che la legge non sia retroattiva, salvo espressa previsione. Naturalmente si pongono problemi di diritto intertemporale che possono essere risolti proprio con la reviviscenza. L'altra disposizione che ci viene in soccorso e' l'articolo 15, che indica i casi in cui le leggi devono considerarsi abrogate, si' da realizzare lo scopo che il mutamento del diritto si realizzi unicamente con un atto di volonta' novativa da parte del legislatore, sul presupposto della configurazione in modo logico dell'abrogazione quale fenomeno obiettivo e automatico. La prassi, tuttavia, pare disegnare una distanza da questa impostazione, dovuta soprattutto alla difficolta' di separare con nettezza il riconoscimento dell'abrogazione dall'attivita' interpretativa. Venendo al nostro caso, peraltro frequente nella prassi, e sempre che si voglia fare rientrare nel concetto di abrogazione in senso ampio, ci troviamo di fronte ad una abrogazione per novellazione della disciplina (come definita da avveduta recente dottrina), tramite sostituzione o modifica del testo di una disposizione previgente. In queste ipotesi il legislatore puo' preferire adeguare un preesistente corpus di norme intervenendo su singole parti, senza predisporre un nuovo atto normativo integralmente sostitutivo dei precedenti, riformando - anche solo in parte - un singolo istituto o piu' istituti previsti senza emanare un nuovo testo iuris. L'entrata in vigore della disposizione modificatrice ha una duplice conseguenza: da un lato introduce una nuova disciplina, dall'altro nello stesso tempo puo' abrogare quella precedente. Una disposizione che innova l'ordinamento mediante la modifica di testi normativi previgenti pone questioni peculiari in relazione alle ipotesi di reviviscenza: il venir meno di una simile disposizione, infatti, potrebbe essere inteso come il venire meno della modifica da essa disposta, ripristinando la disposizione modificata nella sua formulazione anteriore. E del resto l'articolo 15 delle preleggi afferma che una delle modalita' di abrogazione consiste nella "incompatibilita' tra le nuove disposizioni e le precedenti". Nell'abrogazione c.d. tacita il compito di individuare la disciplina abrogata grava di fatto e di diritto sull'interprete: se piu' disposizioni, poste dal legislatore in tempi diversi, regolano la stessa materia senza che quelle posteriori abbiano espressamente previsto l'abrogazione di quelle anteriori, l'eventuale contrasto fra le stesse dovra' essere risolto riconoscendo l'abrogazione delle norme espresse dalle disposizioni piu' antiche da parte di quelle desunte dalle piu' recenti, per cui l'attivita' interpretativa deve avere ad oggetto entrambe le discipline. Si deve tenere presente, pero', che la vigenza di una norma puo' cessare anche senza che ne intervenga l'abrogazione da parte di una successiva. E' il caso di leggi che dispongano autonomamente il tempo per cui resteranno vigenti e che pertanto possiamo definire come leggi temporanee. Un'altra ipotesi e' quella in cui sia sopravvenuta, per cause materiali o per volonta' anche solo temporanea del legislatore, l'impossibilita' di dare esecuzione a una norma o a una serie di norme. Quest'ultima ipotesi appare integrare la fattispecie in esame in ordine alla quale il legislatore del 2008/2009 aveva espresso la volonta' di un regime piu' rigoroso per differenziare il servizio taxi da quello di NCC, ponendo a carico di quest'ultimo maggiori limitazioni sanzionate come illeciti amministrativi piu' dettagliati, senza pero' far venire meno la disciplina di settore. Trovandoci di fronte a siffatta tecnica di normazione, poiche' il legislatore non ha nel tempo completato l'intento dichiarato con il Decreto Legge n. 207/2008 di predisporre una riforma unitaria per assicurare omogeneita' di applicazione della disciplina dei trasporti non di linea in ambito nazionale, differendo per ben dodici volte il termine per l'emanazione del decreto interministeriale (decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza Unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281), previsto dall'articolo 7-bis, comma 1, del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, cio' costituisce prova che con il rinvio e la relativa sospensione - onde evitare di incorrere in un vuoto normativo in un settore particolarmente sensibile quale quello del trasporto su territorio nazionale, che proprio con la riforma vuole garantire la composizione di interessi di utilita' sociale con quelli della libera attivita' economica privata, contrastando il fenomeno dell'abusivismo - non abbia voluto abrogare la disciplina previgente, che peraltro non appare abrogata ma al piu' rafforzata dalla previsione di nuovi illeciti amministrativi che si aggiungono a quelli di cui alla L. n. 21 del 15 gennaio 1992 nella originaria formulazione, oramai considerata non piu' al passo con l'evoluzione del mercato. Su questo approccio di ricostruzione del fenomeno si fonda l'effetto ripristinatorio o meglio di permanenza della precedente disciplina, che si basa sull'analisi oggettiva delle vicende della norma abrogatrice in relazione alla norma previgente. In conclusione, vanno affermati i seguenti principi di diritto: "Il legislatore, con la disposizione di interpretazione autentica, di cui al comma 3 dell'articolo 9 del Decreto Legge n. 244 del 2016, ha sospeso l'efficacia delle fattispecie introdotte con l'articolo 29, comma 1-quater Decreto Legge n. 2007/2008, inserito dalla legge di conversione n. 14/2009, posticipandola al 31 dicembre 2016 (divenuto successivamente 31 dicembre 2017). Le fattispecie introdotte con il predetto articolo 29, comma 1-quater cit. non abrogano le previgenti ipotesi di cui agli articoli 3 e 11 legge quadro n. 21 del 1992 (articolo 3. Servizio di noleggio con conducente 1. Il servizio di noleggio con conducente si rivolge all'utenza specifica che avanza, presso la sede del vettore, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio. Lo stazionamento dei mezzi avviene all'interno delle rimesse o presso i pontili di attracco. Art. 11. Obblighi dei titolari di licenza per l'esercizio del servizio di taxi e di autorizzazione per l'esercizio del servizio di noleggio con conducente 1. I veicoli o natanti adibiti al servizio di taxi possono circolare e sostare liberamente secondo quanto stabilito dai regolamenti comunali. 2. Il prelevamento dell'utente ovvero l'inizio del servizio sono effettuati con partenza dal territorio del comune che ha rilasciato la licenza per qualunque destinazione, previo assenso del conducente per le destinazioni oltre il limite comunale o comprensoriale, fatto salvo quanto disposto dal comma 5 dell'articolo 4. 3. Nel servizio di noleggio con conducente, eserci'to a mezzo di autovetture, e' vietata la sosta in posteggio di stazionamento su suolo pubblico nei comuni ove sia esercito il servizio di taxi. E' tuttavia consentito l'uso delle corsie preferenziali e delle altre facilitazioni alla circolazione previste per i taxi e altri servizi pubblici. 4. Le prenotazioni di trasporto per il servizio di noleggio con conducente sono effettuate presso le rispettive rimesse. 5. I comuni in cui non e' eserci'to il servizio di taxi possono autorizzare i veicoli immatricolati per il servizio di noleggio con conducente allo stazionamento su aree pubbliche destinate al servizio di taxi. 6. I comuni, ferme restando le attribuzioni delle autorita' competenti in materia di circolazione negli ambiti portuali, aeroportuali e ferroviari, ed in accordo con le organizzazioni sindacali di categoria dei comparti del trasporto di persone, possono, nei suddetti ambiti, derogare a quanto previsto dal comma 3, purche' la sosta avvenga in aree diverse da quelle destinate al servizio di taxi e comunque da esse chiaramente distinte, delimitate e individuate come rimessa. 7. Il servizio di taxi, ove esercito, ha comunque la precedenza nei varchi prospicienti il transito dei passeggeri), che vengono pertanto solo integrate dalla successiva previsione e comunque sono da ritenere vigenti al momento della commissione della violazione contestata". Alla luce di quanto sopra affermato, la decisione di accoglimento dell'appello si pone, dunque, in contrasto con tali principi, sicche' il ricorso va accolto; ne discende l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio del procedimento al Tribunale di (OMISSIS), in persona di diverso magistrato, affinche' riesamini la vicenda alla luce dei principi sopra affermati e accerti se la condotta contestata integri o meno l'illecito amministrativo ai sensi e per gli effetti degli articoli 3 e 11 previsti dalla L. n. 21 del 1992 nella versione antecedente alla riforma di cui al Decreto Legge n. 207 del 2008. Al giudice del rinvio e' rimessa anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita', ai sensi dell'articolo 385 c.p.c. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e rinvia al Tribunale di (OMISSIS), in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Pubblico Ministero del tribunale di Milano; nel procedimento a carico di: (OMISSIS) nato a (OMISSIS); quale legale rappresentante di (OMISSIS) s.r.l.; avverso la ordinanza del 30/11/2022 del tribunale di Milano; udita la relazione svolta dal Consigliere Giuseppe Noviello; udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Francesca Costantini che ha chiesto l'inammissibilita' del ricorso; udite le conclusioni del difensore dell'indagato (OMISSIS), avv.to (OMISSIS) che si e' riportato alla memoria in atti. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 30 novembre 2022, il tribunale del riesame, adito ai sensi dell'articolo 322 bis c.p.p. dal Pubblico Ministero del medesimo tribunale, avverso l'ordinanza del relativo Gip, del 24.10.2022, con la quale era stata rigettata la richiesta di convalida di sequestro preventivo di urgenza e contestuale sequestro preventivo impeditivo, rigettava l'impugnazione. 2. Avverso tale ordinanza il Pubblico Ministero del tribunale di Milano ha proposto ricorso, deducendo cinque motivi di impugnazione. 3. Con il primo motivo, deduce l'erronea interpretazione dell'articolo 15 delle norme di attuazione del Piano delle regole del PGT del Comune di (OMISSIS) del 2012, con riferimento al concetto di cortile in esso richiamato. Si contesta l'affermazione per cui la predetta previsione, cosi' come formulata, non contenendo la definizione espressa di cortile, non avrebbe consentito di stabilire con certezza la nozione di "cortile" con la stessa adottata. Il tribunale, omettendo in tal modo di interpretare il predetto concetto di "cortile", sarebbe giunto alla predetta conclusione trascurando di applicare gli ordinari canoni di interpretazione delle norme, con particolare riguardo alla analisi del significato che il linguaggio comune e tecnico attribuiscono al termine "cortile", della portata delle pertinenti norme edilizie e urbanistiche del Comune di (OMISSIS), nel quadro dei criteri di individuazione del genus "cortile" elaborati dalla giurisprudenza. In tal modo, risulterebbe incomprensibile il percorso logico seguito dal collegio della cautela nella lettura del PGT di Milano e dei Regolamenti Edilizi del medesimo comune, in rapporto alla definizione di "cortile" rilevante nel caso di specie. 4. Con il secondo motivo, ha dedotto l'erronea interpretazione dell'articolo 9 del Regolamento edilizio del 2014 del Comune di (OMISSIS), laddove esso specifica i casi in cui, ai fini di una corretta applicazione degli articoli 13, 15 e 17 delle NTA del PGR, gli spazi non possono considerarsi cortili. In particolare, il tribunale avrebbe omesso di esaminare il citato articolo 9 in coordinamento con gli articoli 13, 15, e 17 del PGT del 2012 e con le altre norme del regolamento Comunale indicato, che definirebbero la funzione di cortile e sarebbero tutte tra loro complementari. 5. Con il terzo motivo, rappresenta l'erronea interpretazione dell'articolo 5 comma 24 delle N. T. del PGT del Comune di (OMISSIS), adottato e approvato nel 2019. Si contesta la tesi del tribunale del riesame secondo la quale l'articolo 5 comma 24 citato avrebbe modificato il significato della nozione di cortile, ai fini della applicazione del PGT e del Regolamento Edilizio, piuttosto che esplicitare, semplicemente, come invece ritenuto dal ricorrente, la portata della nozione medesima. Si sarebbe confusa la natura definitoria della suindicata previsione, con l'aspetto sostanziale della disciplina dettata in materia di "cortile" in ambito edilizio ed urbanistico. Disciplina invece rimasta sempre inalterata, tanto da essere stata pedissequamente riprodotta nel testo dell'articolo 21 comma 2 lettera b) N. A. del successivo Piano del Governo del Territorio approvato il 14.10.2019 ed entrato in vigore nel 2020. 6. Con il quarto motivo lamenta la violazione dell'articolo 12 comma 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e dell'articolo 12 della legge della Regione Lombardia n. 12/2005. Si osserva che ai sensi delle predette norme, e senza che il tribunale abbia operato al riguardo alcun rilievo, essendo scattate le relative cd. "misure di salvaguardia" - posto che a fronte di un permesso di costruire del 16.12.2019, inerente il progetto originario, le NTA del nuovo PGT erano state adottate il 5.3.2019, e quindi approvate il 14.10.2019, con pubblicazione successiva dell'avviso di approvazione definitiva in data 5.2.2020 - il SUE del Comune di (OMISSIS) avrebbe dovuto sospendere la pratica, procedere alla verifica della cd. "doppia conformita'" e valutare quindi definitivamente la richiesta di permesso di costruire, inerente le opere in questione, solo all'indomani della entrata in vigore del nuovo piano. Sarebbe quindi erronea la tesi della legittimita' del primo permesso di costruire rilasciato e del successivo atto di variante essenziale, sulla scorta, come ritenuto dal tribunale di Milano, dell'articolo 5 delle disposizioni di attuazione del PGT del 2019, secondo il quale le definizioni di cui al predetto articolo "si applicano ai titoli edilizi presentati successivamente all'entrata in vigore del PGT...ad eccezione delle varianti anche essenziali ai titoli edili gia' validi ed efficaci a tale data per i quali continuano ad applicarsi le norme e definizioni previgenti..". Cio' in quanto le norme tecniche di attuazione non possono prevalere sulla norma di salvaguardia disposta dal legislatore statale. 7. Con il quinto motivo deduce la violazione dell'articolo 321 cod., proc. pen., contestando la tesi della assenza del periculum in mora in ragione della distanza intercorsa tra la data di inizio dei lavori e la data dell'esposto da cui scaturi' l'indagine, posto che lo stato avanzato dei lavori non sarebbe incompatibile con la funzione tipica del sequestro preventivo, a fronte di opera abusiva dalle rilevanti dimensioni, in grado di incidere sul carico urbanistico, con rischi per la salute e la vivibilita' dell'ambiente. 8. La difesa di (OMISSIS) ha depositato memoria con la quale ha condiviso le argomentazioni gia' redatte per iscritto dal Sostituto Procuratore Generale e ha insistito per la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso proposto. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Si premette che la vicenda attiene - secondo quanto riassunto nell'atto di impugnazione - alla previa demolizione di due palazzine alte circa 12 metri, con costruzione, in luogo delle stesse, di un unico immobile alto piu' di 27 piani, autorizzato quale ristrutturazione edilizia per una superficie lorda di circa 3.300 mq., cui si aggiungeva, attraverso il rilascio di un permesso di costruire per nuova costruzione, un intervento per una superficie lorda di circa 155 mq, con superficie lorda finale di 3500 mq. circa. Viene in rilievo, in questa sede, la legittimita' dei titoli edilizi abilitativi rilasciati, non gia' sotto il profilo della relativa tipologia, di ristrutturazione (nozione, questa, da ultimo specificata da questa Corte con sentenza della sez. 3 -, n. 1670 del 06/10/2022 (dep. 18/01/2023) Rv. 284056 - 01) ovvero di "nuova opera", bensi' in relazione alla operativita', nel caso concreto, della nozione di "cortile" delineata dagli strumenti urbanistici locali, riguardo all'area di intervento edilizio in questione. Nel senso che la sussistenza o meno, nell'area interessata dalla edificazione, di una situazione di fatto riconducibile nell'ambito di concetto di "cortile", come rinvenibile alla luce di disposizioni di strumenti urbanistici applicabili, costituirebbe condizione determinante per ritenere o meno la preclusione per l'effettuazione dell'intervento edilizio assentito. 2.1 primi tre motivi, che riguardano l'analisi di NTA del PGT e di disposizioni del regolamento edilizio, tra loro omogenei, siccome inerenti la individuazione della nozione di "cortile", devono essere esaminati congiuntamente. 2.2. Il ricorrente innanzitutto lamenta l'erronea interpretazione delle citate previsioni, specificamente indicate in ricorso, in funzione della individuazione della nozione di cortile, da tenere presente per valutare la legittimita' dei titoli edilizi rilasciati rispetto alla situazione di fatto, siccome individuata, dallo stesso tribunale, come rilevante, per la determinazione della legittimita' dei titoli edilizi che hanno riguardato le opere in contestazione. E in tale prospettiva rappresenta come la lettura sistematica delle medesime previsioni condurrebbe a ricostruire un concetto di cortile riconducibile alle caratteristiche fattuali proprie dell'area in esame e, come tale, in grado di portare ad escludere, inficiando la validita' dei titoli abilitativi rilasciati per l'intervento edile contestato e per il quale si e' richiesto il sequestro, la legittimita' del relativo rilascio. 2,3. Si tratta di una censura inammissibile, in quanto si richiede la valutazione della corretta interpretazione delle disposizioni citate, non consentita in questa sede. Questa Suprema Corte, infatti, ha precisato che in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, oltre che il vizio di violazione di legge, ma non anche l'affermata erronea interpretazione di un atto amministrativo, poiche' essendo relativa ad atti privi di carattere normativo rientra, ai sensi dell'articolo 325, comma 1, c.p.p., nella valutazione del fatto (in motivazione, Sez. 3 -, n. 14977 del 25/02/2022 Rv. 283035 - 01; Sez. 3, n. 37451 del 11/04/2017 Rv. 270543 - 01). E' pur vero che mentre le NTA di un Piano Urbanistico rientrano nel novero degli atti amministrativi, il cui sindacato incontra in questa sede i limiti anzidetti, diverso e' il caso del Regolamento Edilizio, atteso che (Cass. civ. Sez. 3, n. 6933 del 05/07/1999 Rv. 528289 - 01; Cass. S.U. 28.11.1994,n. 10124) esso sul piano contenutistico si distingue dagli atti e dai provvedimenti amministrativi, in quanto questi ultimi costituiscono espressione di una semplice potesta' amministrativa e sono diretti alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralita' di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili; i regolamenti, invece, sono' espressione di una potesta' normativa attribuita all'amministrazione e secondaria rispetto a quella legislativa, e disciplinano, in astratto, tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma egualmente innovativa rispetto all'ordinamento giuridico esistente, con precetti che presentano, appunto, i caratteri della generalita' ed astrattezza. Rientrano, quindi, tra le fonti di diritto oggettivo di cui all'articolo 1 preleggi Il regolamento comunale, in particolare, si inquadra in quelli, tra le fonti oggettive del diritto, propri di enti pubblici non statali, e rimanda alle disp. gen. con particolare riferimento ai regolamenti " di altre autorita' " (distinte come tali dal Governo) disciplinati da "leggi particolari". Per esso, quindi, diversamente dalle NTA, non puo' escludersi in via generale il sindacato di questa Corte. Che tuttavia, nel caso di specie e' precluso, in quanto il ricorrente, nel prospettare il vizio di violazione di legge, solleva una complessiva e coordinata ricostruzione interpretativa, che include, accanto ad una norma regolamentare, anche previsioni di portata meramente amministrativa, quali quelle immediatamente prima richiamate integranti NTA. 2.4. Oltre ai predetti vizi di violazione di legge, il ricorrente ha anche dedotto, attraverso la complessiva elaborazione dei tre motivi qui in esame, il vizio di motivazione, in termini di apparenza e quindi inesistenza della stessa, come tale ammissibile in questa sede. Tale critica appare fondata. Il collegio della cautela ha richiamato la decisione del Gip laddove aveva sottolineato la sussistenza di caratteri "complessi ed indefiniti" della nozione di "cortile " in parola, ed ha quindi dichiarato di condividere tali rilievi, da una parte sostenendo altresi', l'irrilevanza, ai fini del decidere, del PGT approvato il 14.10.2019, cosi' da doversi circoscrivere l'analisi giuridica alle sole previsioni del PGT del 2012, dall'altra dissentendo dalla tesi del P.M. per cui sarebbe emersa, in ogni caso, con chiarezza, anche gia' solo attraverso le previsioni del PRG del 2012, la nozione urbanistica di "cortile", al contrario reputata dal tribunale delicata, complessa, articolata e controvertibile. Tanto che il collegio, alfine, conclude ribadendo che la "definizione dello spazio di interesse quale ‘cortile' risulta pertanto assai piu' complessa di quanto non prospetti l'accusa" (cfr. pag. 19). Si tratta, tuttavia, di una motivazione che, da una parte, al di la' della decisione finale di rigettare la richiesta di sequestro, reputando legittimi i titoli abilitativi rilasciati, esclude la rinvenibilita', nel caso concreto, di un "cortile" preclusivo degli interventi edili in contestazione ma non fornisce, in alcun modo, il concetto di "cortile" enucleabile dalle previsioni urbanistiche utilizzabili, e come tale parametrabile rispetto alla concreta area interessata dall'intervento edilizio; dall'altra, e a maggior ragione, omettendo in proposito ogni positiva quanto opportuna definizione di "cortile" (funzionale, nella stessa prospettiva dei giudici, per decidere in ordine all'accoglimento o meno della richiesta di sequestro) e, piuttosto, indugiando e limitandosi a sostenere esclusivamente la complessita' dell'articolazione di una nozione al riguardo, quale regola generale e astratta con cui confrontare di volta in volta i singoli casi concreti, incorre nella redazione di una motivazione apparente, in assenza della puntuale e esplicita enunciazione del percorso logico giuridico sotteso alle finale decisione di rigetto. Ed invero, la mera sottolineatura, tra l'altro, della complessita' ed incertezza della nozione di "cortile", la citazione, a conforto di tale rilievo, della intervenuta adozione di una Determina dirigenziale costitutiva di una "Commissione" per la formulazione di un parere sul punto e con riguardo ai vari casi concreti, la evidenziazione della sussistenza di pareri della difesa che avrebbero a buona ragione evidenziato, secondo il collegio della cautela, con riguardo al predetto concetto di cortile, un carattere "aperto" "multiforme" e "per nulla scontato", appaiono argomentazioni che, sia per la genericita' del richiamo a contributi tecnici, sia per l'assenza della illustrazione delle ragioni a supporto delle stesse, cosi' che le argomentazioni medesime del tribunale risultano essenzialmente assertive, sia per la scarsa o secondaria rilevanza, in ogni caso non illustrata, della strumentalita', a fini interpretativi, di una casistica amministrativa, sia per la carenza del ricorso a espliciti e puntuali criteri ermeneutici, denotano il raggiungimento di una conclusione, quale quella della insussistenza di un "cortile" e del rigetto dell'impugnazione, operata in assenza di una esistente e ben illustrata elaborazione interpretativa, coerente e comprensibile. In altri termini emerge, attraverso la mera evidenziazione della difficolta' nella elaborazione della nozione gia' piu' volte citata, l'abbandono di ogni reale sforzo interpretativo, posto che anche a fronte della piu' complessa previsione normativa e' dato alfine rinvenire, attraverso la analisi letterale e tutti gli altri noti criteri interpretativi della specifica previsione, il significato giuridico finale della stessa. Cosicche', come gia' prima osservato, si rinviene una motivazione apparente, quale e' quella che "non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicita' del discorso argomentativo su cui si e' fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti",(Sez. 11, n. 4787 del 10/11/1993, Di Giorgio), ovvero quella in cui si dissimuli la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, o sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonea a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov; nello stesso senso anche Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Giovannini, Rv. 260314). 4.Anche il quarto motivo e' fondato. Va precisato che il tema della rilevanza delle cd "misure di salvaguardia" nel caso in esame consegue alle argomentazioni introdotte dal tribunale del riesame, nella parte in cui individua la normativa da applicarsi rispetto al caso di specie (cfr. pag. 13 dell'ordinanza), per cui non emerge alcuna novita' in ordine alla censura dedotta dal ricorrente sul punto. 4.1.Deve altresi' premettersi, in proposito, che l'urbanistica e l'edilizia devono essere ricondotte alla materia "governo del territorio", di cui all'articolo 117, comma 3, Cost., materia di legislazione concorrente in cui lo Stato ha il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio (da ultimo, Sentenza della Corte Costituzionale n. 102 del 29 maggio 2013; ordinanza della Corte Costituzionale n. 314 del 2012; sentenza n. 309 del 2011, cfr. anche sentenze n. 362 e n. 303 del 2003; Cass. Pen. (Sez. F - n. 46500 del 30/08/2018 Rv. 274173 - 01; Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016 Ud. (dep. 20/06/2017) Rv. 270210 - 01). 4.2. Quanto alle cd. "misure di salvaguardia" in materia di governo del territorio, va premesso che l'articolo 12, comma 3, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 stabilisce che: "In caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, e' sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell'ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all'amministrazione competente all'approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione". 4.3. L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2 del 2008 ha ritenuto che la disciplina sulle misure di salvaguardia di cui al citato articolo 12, comma 3, del Testo Unico edilizia, ha una valenza mista: edilizia, in quanto e' volta ad incidere sui tempi dell'attivita' edificatoria, ed urbanistica, in quanto finalizzata alla salvaguardia, in definiti ambiti temporali, degli assetti urbanistici in itinere e, medio tempore, dell'ordinato assetto del territorio. 4.4. Quanto al termine di durata delle misure di salvaguardia, stabilito dal legislatore e sopra indicato (tre anni dall'adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell'ipotesi in cui questo sia stato sottoposto all'amministrazione competente per la approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione), come ribadito dalla Corte Costituzionale con la citata decisione n. 102/2013, esso esprime un principio di ragionevole temporaneita' delle misure di salvaguardia in esame, finalizzato alla salvaguardia degli assetti urbanistici in itinere, cui consegue, da una parte, l'impossibilita' della loro riduzione sul piano cronologico ma, anche, l'impossibilita' del loro ulteriore differimento temporale, ove irragionevole e arbitrario, e dunque il loro necessario rispetto in sede di normazione subordinata a quella legislativa nazionale e, se conforme, regionale, sul piano cronologico ed edilizio urbanistico, perche' finalizzata alla salvaguardia degli assetti urbanistici in itinere (cfr. pure Cons. Stato, Ad.Plen., 7 aprile 2008, n. 2). 4.5.Come gia' rilevato dalla Corte Costituzionale (Sentenza della Corte Costituzionale n. 102/2013 cit. e di recente, seppur incidentalmente, Sentenza n. 11 del 23/11/2021 - 25/11/2021), la ratio della normativa statale esprime l'intenzione del legislatore di evitare che la non ancora intervenuta approvazione da parte della Regione, o comunque di altra autorita' competente, di eventuali previsioni di non edificabilita' previste dal piano in vigore, consenta ai proprietari delle aree interessate di realizzare nuove costruzioni nel periodo intercorrente tra la predisposizione di un nuovo piano e l'approvazione di questo da parte della Regione, in tal modo eludendo, durante tale fase, le stesse previsioni contenute nel progettato nuovo piano. Il giudice delle leggi ha quindi opportunamente sottolineato che "l'adozione del piano, pertanto, ha funzione cautelativa nei riguardi di quei progetti che non si conformano allo stesso: consegue da cio' l'effetto di salvaguardia previsto dal comma 3 dell'articolo 12 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, e' strettamente collegato all'adozione del piano, cioe' dello strumento urbanistico modificativo della precedente previsione". In tal senso si e' espressa anche di recente la giurisprudenza amministrativa, laddove ha precisato che l'esigenza sottesa alle misure di salvaguardia "e' dunque di carattere conservativo e si identifica nella necessita' che le richieste dei privati - fondate su una pianificazione ritenuta non piu' attuale, in quanto in fieri, e quindi potenzialmente modificata - finiscano per alterare profondamente la situazione di fatto e, di conseguenza, per pregiudicare definitivamente proprio gli obiettivi generali cui invece e' finalizzata la programmazione urbanistica, rendendo estremamente difficile, se non addirittura impossibile, l'attuazione del piano in itinere" (cfr. Cons. Stato, sez. H 23 marzo 2020 n. 2012; Sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 257). In altri termini, come precisato da questa Suprema Corte, si tratta di una normativa transitoria con finalita' meramente cautelare e di salvaguardia, volta a consentire che nelle more fra l'adozione e l'approvazione, la situazione dei luoghi non venga pregiudicata, rendendo vana la previsione del nuovo assetto del territorio, come concepito dal nuovo P.R.G., di cui vengono cosi' anticipati gli effetti (Sez. civ. 1 n. 19314 del 17/12/2003, Rv. 568998 - 01). Consegue, alla luce della previsione di cui al citato articolo 12, comma 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, secondo il quale "in caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, e' sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda", che in tal caso, nel corso del procedimento di approvazione di un piano urbanistico o sue varianti, grava sull'amministrazione comunale competente l'onere di sospendere ogni determinazione sulla domanda di rilascio del permesso di costruire in attesa della definitiva approvazione del piano. Nel contempo, e' opportuno altresi' evidenziare che la predetta disposizione di cui all'indicato articolo 12 vale non semplicemente a sospendere l'iter amministrativo eventualmente gia' avviato, ma anche, "ad indurre le amministrazioni locali a definire tempestivamente l'iter procedimentale conseguente all'adozione degli strumenti urbanistici generali con il loro tempestivo invio agli organi deputati alla loro approvazione, correlando agli eventuali ritardi burocratici un regime di minor favore, volto, essenzialmente, ad evitare le strumentalizzazioni che un non sollecito esercizio dell'azione amministrativa renderebbe possibile e (con contenuti in certo modo sanzionatori delle spesso defatiganti lungaggini amministrative) a favorire una maggiore responsabilizzazione degli amministratori locali, in funzione anche, come cennato nella decisione di rimessione, dell'esigenza di tutelare il valore costituzionale della proprieta' e delle connesse facolta' edificatorie". (cfr.Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, sentenza n. 2 del 2008 cit.). Cosicche' appare privo di fondamento il rilievo, talvolta formulato, per cui eventuali deroghe alle misure di salvaguardia che mantengano ferme ed applicabili le disposizioni del precedente piano urbanistico anche per i titoli richiesti all'indomani dell'avvio della nuova procedura pianificatoria ancora in fieri, risponderebbero alla altrimenti non considerata esigenza di non lasciare il privato interessato alla merce' delle lentezze procedimentali della Pubblica Amministrazione. 4.6.Deve anche ricordarsi che, con sentenza della Corte Costituzionale n. 402 del 2007, si e' evidenziato che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 - in relazione a quanto disposto dall'articolo 1, comma 1, e dall'articolo 2 commi 1 e 3 del medesimo Decreto del Presidente della Repubblica n. - costituisce disciplina recante i principi fondamentali e generali in materia di attivita' edilizia(gia' richiamati in via generale e in premessa al paragrafo 4.1.), ai quali il legislatore regionale deve attenersi. Infatti, l'articolo 1, comma 1, del Testo Unico dell'edilizia, prevede che: "il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell'attivita' edilizia"; i commi 1 e 3 dell'articolo 2, rispettivamente, stabiliscono che: "le regioni esercitano la potesta' legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico" e che "le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi". L'articolo 2 citato poi, al comma 4, in una evidente progressione discendente circa la individuazione delle possibili fonti disciplinanti la materia edilizia, rappresenta che il Comuni nell'ambito della propria autonomia statutaria e normativa "disciplinano l'attivita' edilizia". 4.7.Puo' dunque evidenziarsi, in sintesi, alla luce di quanto sinora osservato, (cfr. anche Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 3834 del 2005) che l'articolo 12 comma 3 citato, ha recepito i contenuti sostanziali dell'articolo unico della L. 3 novembre 1952, n. 1902 (Misure di salvaguardia in pendenza dell'approvazione dei piani regolatori), ed esprime il principio secondo cui le amministrazioni debbono definire in tempi congrui l'iter procedimentale conseguente all'adozione degli strumenti urbanistici generali con il loro tempestivo invio agli organi deputati alla loro approvazione e quello della limitazione di efficacia di titoli abilitativi in presenza di una pianificazione urbanistica in evoluzione, ed inoltre, la giurisprudenza Costituzionale (Sentenza n. 402 del 2007) ha riconosciuto espressamente all'articolo 12, comma 3, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 il valore di norma statale di principio in materia di governo del territorio, di cui all'articolo 117, comma 3, Cost. E' utile aggiungere, sempre in tema di normazione di principio di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, che il giudice delle leggi anche di recente ha precisato che la competenza legislativa concorrente non e' contraddistinta da una netta separazione di materie, ma dal limite "mobile" e "variabile" costituito dai principi fondamentali, limite che "e' incessantemente modulabile dal legislatore statale sulla base di scelte discrezionali, ove espressive di esigenze unitarie sottese alle varie materie" (sentenza n. 245 del 21 dicembre 2021, n. 68 del 2018, punto 12.1.1. del Considerato in diritto, che richiama le sentenze n. 16 del 2010 e n. 50 del 2005). 4.8.Quanto al caso in esame, la legge della Regione Lombardia appare in linea con la disciplina di cui al citato articolo 12, laddove all'articolo 13 comma 12 prevede che "nel periodo intercorrente tra l'adozione e la definitiva approvazione di atti di PGT si applicano le misure di salvaguardia in relazione a interventi, oggetto di domanda di permesso di costruire ovvero di denunzia di inizio di attivita' che risultino in contrasto con le previsioni degli atti medesimi". 4.9. Alla luce di quanto sinora osservato, va dunque va ribadito, come gia' precisato da questa Suprema Corte, che, in materia urbanistica, a seguito della adozione dei piani urbanistici, ovvero dal momento in cui l'organo amministrativo competente delibera formalmente il piano e lo pubblicizza, onde consentire la presentazione delle osservazione da parte dei soggetti interessati, entrano in vigore le misure di salvaguardia, con lo scopo di impedire che antecedentemente alla approvazione del piano vengano eseguiti interventi che compromettano gli assetti territoriali previsti dal piano stesso, cosi' che integrano la violazione dell'articolo 20 della L. 28 febbraio 1985 n. 47, ora articolo 44 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) gli interventi posti in essere dopo la adozione ed antecedentemente alla approvazione del piano ed eseguiti in contrasto con le misure di salvaguardia (Sez. 3, n. 37493 del 10/06/2003, Soluri, Rv. 226316). 5. Nel caso in esame, emerge dalla stessa ordinanza impugnata che mentre il primo permesso di costruire e' stato rilasciato il 16.12.2019 e la variante essenziale il 4 maggio 2021, il nuovo PGT era stato approvato due mesi prima del primo rilascio, ovvero il 14 ottobre 2019 (e adottato il 5.3.2019), per entrare poi in vigore il 5 febbraio 2020. Corretto e' quindi il rilievo critico proposto dal ricorrente - a fronte della notazione del tribunale della irrilevanza ai fini in esame, della nuova disciplina urbanistica ancora in fieri (cfr. pag. 12 della ordinanza), siccome meramente successiva ai titoli abilitativi di riferimento, pur nella ritenuta diversa portata della stessa in ordine alla nozione di "cortile" enucleabile dalla disciplina previgente -, posta la espressa disposizione di cui al citato articolo 12 comma 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 per cui "in caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, e' sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell'ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all'amministrazione competente all'approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione". Ne' osta, come invece rilevato dal tribunale, la previsione di cui all'articolo 5 delle NTA per cui le definizioni di cui al predetto articolo "si applicano ai titoli edilizi presentati successivamente all'entrata in vigore del PGT...ad eccezione delle varianti anche essenziali ai titoli edili". Cio' in quanto le norme tecniche di attuazione del PGT non possono prevalere sulla norma di salvaguardia disposta dal legislatore statale, (e nel caso di specie' anche regionale), attesa la gerarchia delle fonti, anche nel quadro della peculiare rilevanza della normativa Statale in materia, di cui ai gia' citati articoli 1, comma 1, e 2 commi 1 e 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. In altri termini, non puo' certamente ritenersi - come invece, nella sostanza consegue da quanto sostenuto in ordinanza - che ai sensi dell'articolo 5 punto 24 delle norme di attuazione del PGT del 2019, di rango subordinato alle citate disposizioni legislative e regionali, secondo il quale "...le definizioni contenute nel presente articolo...si applicano ai titoli edilizi presentati successivamente all'entrata in vigore del PGT (...) ad eccezione delle varianti anche essenziali ai titoli edilizi gia' validi ed efficaci a tale data, per i quali continuano ad applicarsi le norme e le definizioni previgenti", sia possibile derogare alle citate norme di salvaguardia, attraverso una previsione che, invero, mira a eludere ovvero porre nel nulla le stesse, procrastinando, rispetto a domande di titoli (e titoli rilasciati) successivi all'avvio della nuova pianificazione, l'efficacia di previsioni pregresse al nuovo PGT, sulla base della sola intervenuta adozione di titoli edilizi cui debbano seguire titoli in variazione essenziale, ovvero ritenendo di escludere potenziali contrasti sottolineando l'efficacia, ovvia, di disposizioni del nuovo PGT per i titoli successivi alla sua entrata in vigore. Cosi' surrettiziamente mirando a trascurare il senso e la disciplina delle misure di salvaguardia, quale e' la funzione cautelativa nei riguardi di quei progetti che non si conformino alla pianificazione urbanistica in fieri e finale. Ne' appare convincente, alla luce di quanto sinora illustrato, anche con riguardo ai limiti della pianificazione comunale rispetto ai principi fissati con Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, quella giurisprudenza amministrativa secondo cui, in base al principio della successione nel tempo delle norme, con l'approvazione di un nuovo Piano Regolatore, le disposizioni successivamente intervenute sostituiscono integralmente le precedenti prescrizioni del vecchio Piano riguardanti la zona medesima, e non possono essere disapplicate dallo stesso Comune, in favore di una "ultrattivita'" del precedente PRG cosi' sostituendosi integralmente alle precedenti disposizioni le quali non possono comunque conservare alcuna efficacia, salvo il caso di una specifica norma transitoria ah hoc. Tanto piu' che quest'ultima affermazione, nell'apparire contrastante, lo si ribadisce, con i principi e le ragioni sinora esposte, appare tradursi in una affermazione meramente incidentale, invero priva di ogni opportuna quanto adeguata argomentazione (cfr. in proposito Cons. Stato Sez. IV, Sent. (ud. 22/11/2011) 09-02-2012, n. 693). 6. Da ultimo, appare fondato anche il quinto motivo, essendo irrilevante - in se' - ai fini cautelari, il decorso del tempo tra l'inizio dei lavori e la data di esecuzione del sequestro e tantomeno lo stato avanzato dei lavori abusivi, alla luce del principio per cui e' ammissibile il sequestro preventivo di opere costruite abusivamente, anche nell'ipotesi in cui l'edificazione sia persino ultimata, fermo restando l'obbligo di motivazione del giudice, in tale ultimo caso, circa le conseguenze ulteriori sul regolare assetto del territorio rispetto alla consumazione del reato, derivanti dalla libera disponibilita' del bene (Sez. 3, n. 52051 del 20/10/2016 Rv. 268812 - 01). 7.Nessun ostacolo alla presente valutazione del ricorso proposto, in termini di questione esaminata dal collegio della cautela e non contrastata dal ricorrente, e' dato dal profilo psicologico inerente al fumus del reato in esame, atteso che non e' dato rinvenire alcuna puntuale ed esplicita valutazione da parte del tribunale sul punto (che, va ricordato, puo' assumere rilievo in sede cautelare reale solo ove emerga ictu oculi la buona fede dell'agente, la quale comunque, ove mai affrontata nel prossimo giudizio di rinvio, e' esaminabile pur sempre alla luce del quadro normativo emergente dalle considerazioni precedentemente sviluppate). E invero, a pag. 19 della ordinanza, il tribunale, piuttosto che argomentare sull'eventuale tematica della evidenza della buona fede sostiene solo che "i profili di colpa" "non si presentano con quella evidenza che l'accusa prospetta", e a pagina 21 ha solo osservato che la difesa "ha introdotto una serie di elementi di criticita'...tanto sotto il profilo oggettivo quanto sotto il profilo soggettivo" aggiungendo a tale ultimo riguardo, genericamente, la necessita' per il collegio di non poter trascurare le citate criticita'. 8.Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che la ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale del riesame di Milano. P.Q.M. annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di Milano competente ai sensi dell'articolo 324, comma 5, c.p.p..

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GIUSTI Alberto - Presidente Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere Dott. FALASCHI Milena - Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - rel. Consigliere Dott. CAPONI Remo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 17043-2018 R.G. proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS) ( (OMISSIS)) ed (OMISSIS); -ricorrenti- contro (OMISSIS) SNC, (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS); - controricorrenti e ricorrenti in via incidentale- avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia n. 196-2018 depositata il 05/03/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2022 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI. FATTI DI CAUSA 1.L' (OMISSIS). s.n.c., (OMISSIS) ed (OMISSIS), in qualita' di legali rappresentanti della societa', citarono in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo (OMISSIS) ed (OMISSIS) per sentirli condannare all'arretramento del fabbricato, dell'autorimessa e del terrapieno realizzati in posizione antistante alla struttura alberghiera in violazione delle distanze previste dal d.M 1444-68, articolo 9. La costruzione consisteva nella sopraelevazione di un vecchio manufatto adibito a laboratorio-magazzino, realizzato alla distanza di 1,5 metri dal confine ed a 6 metri dalla frontistante parete del fabbricato " (OMISSIS)", nonche' nell'ampliamento dell'edificio preesistente, posto alla distanza di dieci metri dal predetto albergo. 1.1.Il Tribunale di Bergamo accolse per quanto di ragione la domanda e condanno' i convenuti ad arretrare la porzione di edificio costruita in sopraelevazione; rigetto', invece la domanda in relazione all'autorimessa ed al terrapieno. 1.2.Proposero appello (OMISSIS) ed (OMISSIS); si costituirono per resistere al gravame e spiegarono appello incidentale la societa' (OMISSIS). s.n.c., (OMISSIS) ed (OMISSIS). 1.3.Nel corso del giudizio d'appello, venne prodotta la sentenza del Consiglio di Stato N. 2782-2013, che aveva dichiarato inammissibile per tardivita' l'impugnazione proposta dalla societa' (OMISSIS) avente ad oggetto la legittimita' della concessione edilizia. 1.4.La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza del 22.11.2017, rigetto' l'appello principale ed accolse l'appello incidentale. 1.5.La corte distrettuale non ritenne rilevante il giudicato amministrativo in quanto la sentenza del Consiglio di Stato si era limitata a dichiarare inammissibile l'impugnazione proposta dalla societa' per tardivita', senza pronunciarsi nel merito della legittimita' dell'intervento edilizio. In ogni caso, poiche' la domanda di annullamento della concessione edilizia aveva ad oggetto il controllo di legittimita' dell'esercizio del potere da parte della PA, era esclusa l'efficacia del giudicato amministrativo nelle controversie fra privati aventi ad oggetto la lesione del diritto di proprieta' derivante dalla violazione delle distanze legali. 1.6.La Corte d'appello accerto' che l'opera realizzata era differente dal precedente manufatto per forma altezza e volume, costituiva una nuova costruzione e violava le distanze; escluse che l'intervento edilizio avesse natura di "sopralzo", in relazione al quale era legittima la distanza preesistente prevista dall'articolo 5 delle NTA del Comune di (OMISSIS). In ogni caso, la inderogabilita' della normativa sui distacchi tra fabbricati prevista dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, avente rango primario, determinava l'illegittimita' di ogni previsione regolamentare in contrasto con il limite minimo di distanza. 1.7.La Corte distrettuale accolse l'appello incidentale proposto dalla societa' con riferimento alla violazione delle distanze dell'autorimessa, che considero' parte integrante del fabbricato, in quanto l'altezza dell'autorimessa sporgeva di cm86 e, quindi di oltre 16 centimetri rispetto alle previsioni dell'articolo 7 delle NTA del Comune di (OMISSIS). La Corte distrettuale rigetto', invece, l'appello incidentale, non ravvisando la violazione delle distanze rispetto al terrapieno, attese le sue modeste dimensioni e la funzione sostanzialmente ornamentale. 2.Avverso la sentenza della Corte d'appello hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) ed (OMISSIS) sulla base di cinque motivi. 2.1. L' (OMISSIS). s.n.c., (OMISSIS) ed (OMISSIS) hanno resistito con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi. 2.2.I ricorrenti hanno depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale. 2.3.In prossimita' dell'udienza, le parti hanno depositato memorie illustrative. 2.4.Il Sostituto Procuratore Generale in persona del Dott. Alessandro Pepe ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell'360, comma 1, n. 5 c.p.c., l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla sentenza del Consiglio di Stato N. 2782-2013, oltre alla violazione del giudicato amministrativo, ai sensi dell'articolo 2909 c.c., relativamente al potere di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo, previsto dalla L. n. 2248 del 1865, articolo 5, All. E. I ricorrenti denunciano l'erroneita' della statuizione della Corte d'Appello di Brescia nella parte in cui ha affermato che il giudicato amministrativo ha avuto ad oggetto la legittimita' della concessione edilizia mentre, invece, il Consiglio di Stato avrebbe accertato, con autorita' di giudicato, che l'intervento edilizio doveva essere qualificato come "sopralzo" e non come nuova costruzione. Tale statuizione sarebbe vincolante nel giudizio avente ad oggetto la violazione delle distanze, al fine di evitare un contrasto di giudicati mentre, invece, la Corte d'appello avrebbe erroneamente disapplicato l'articolo 8 delle NTA, che esclude l'applicabilita' delle norme sulle distanze per i "sopralzi", con evidente violazione del ne bis in idem. Affermano i ricorrenti che il giudizio civile ed amministrativo sono caratterizzati da identita' soggettiva, petitum e causa petendi, perche' aventi ad oggetto l'accertamento delle distanze minime legali fra fabbricati frontistanti. 1.Il motivo e' infondato. 1.1.Non merita accoglimento la censura relativa al vizio motivazionale in quanto la Corte d'appello non ha omesso l'esame della sentenza del Consiglio di Stato ma, esaminandola, ha ritenuto irrilevante il giudicato amministrativo nel presente giudizio per ragioni che questo collegio condivide. 1.2.Come correttamente affermato dalla Corte di merito, il Consiglio di Stato non ha valutato la legittimita' delle norme urbanistiche del Comune di (OMISSIS) ma ha pronunciato in rito, dichiarando l'inammissibilita' dei ricorsi. Infatti, come risulta dalla motivazione della sentenza del Consiglio di Stato, per due dei tre ricorsi era stata omessa la notifica alla Regione Lombardia mentre il terzo ricorso, nella parte in cui aveva impugnato le NTA, era stato dichiarato inammissibile per tardivita', considerando che il dies a quo decorreva dal momento in cui gli atti avevano manifestato la concreta attitudine lesiva, coincidente con la conoscenza della concessione edilizia (pag. 4 della sentenza del Consiglio di Stato del 16.4.2013). In tali ipotesi, non puo' dirsi formato il giudicato amministrativo, non contenendo detta decisione nessun accertamento sul merito del ricorso, con la conseguenza che all'adito giudice ordinario non e' precluso l'esame di quelle delibere nonche' di disapplicarle, in caso di riconosciuta illegittimita', limitatamente al caso sottoposto al suo esame (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 5982 del 09/07/1987). L'esercizio da parte del giudice ordinario del potere di disapplicare un atto della p.a. e' precluso solo quando la legittimita' dell'atto sia stata accertata dal giudice amministrativo con sentenza passata in giudicato, resa nel contraddittorio delle parti (Cassazione civile sez. II, 04/02/2005, n. 2213). 1.3. La Corte di merito ha anche ribadito il consolidato il principio di questa Corte, secondo cui la pronuncia del giudice amministrativo, investito della domanda di annullamento della licenza, concessione o permesso di costruire ha ad oggetto il controllo di legittimita' dell'esercizio del potere da parte della Pubblica Amministrazione ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la P.A., sicche' non ha efficacia di giudicato nelle controversie tra privati, proprietari di fabbricati vicini, aventi ad oggetto la violazione della normativa in tema di distanze legali, che e' posta a tutela non solo di interessi generali ma anche della posizione soggettiva del privato (Cassazione civile sez. II, 14/05/2015, n. 9869). 2.Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, articolo 5 All. E, in relazione al contenuto delle NTA del PRG di (OMISSIS); la Corte d'appello, nell'affermare che gli strumenti urbanistici comunali non possono derogare al DM 1444-68, non avrebbe indicato nessuna delle norme tecniche del Comune di (OMISSIS) (NTA) contrastanti con la disciplina statale in tema di distanze fra fabbricati. Ne conseguirebbe l'inapplicabilita' dell'istituto della disapplicazione previsto della L. n. 2248 del 1865, articolo 5, allegato E. in relazione all'articolo 5 delle NTA, che prevedono una nozione di "sopralzo" diversa da quella di "nuova costruzione", ai fini del calcolo delle distanze. L'articolo 5 delle NTA prevede, infatti, che "in caso di sopralzo la verifica delle si distanze si intende soddisfatta ove siano mantenuti i rapporti e le distanze esistenti" e tale norma, siccome non tempestivamente impugnata dalla parte interessata non potrebbe essere disapplicata. 2.1.Con la memoria ex articolo 378 c.p.c., i ricorrenti hanno posto la questione dell'applicabilita' della normativa sopravvenuta, con particolare riferimento alle modifiche previste dalla L.120 del 2020, articolo 19, comma 1, lett.a) e b), ritenendo che sopraelevazione fosse legittima anche per effetto dello ius superveniens. 2.2.Nell'incipit della memoria illustrativa, i ricorrenti hanno evidenziato come il fulcro del presente giudizio sia costituito dalla disapplicazione dell'articolo 8 delle NTA del Comune di (OMISSIS) per contrasto con il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9. Pur prendendo atto dell'orientamento giurisprudenziale che assimila la sopraelevazione ad una nuova costruzione, rilevano come l'articolo 2 bis, comma 1 ter del Testo Unico dell'Edilizia, nella formulazione adottata dalla L. 120 del 2020, consenta l'aumento volumetrico dei fabbricati esistenti anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Inoltre, la normativa sopravvenuta avrebbe ampliato il concetto di intervento di "ristrutturazione edilizia", come previsto dall'articolo 3, lettera d del citato TUE, comprendendo anche gli interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, specificando che l'intervento possa prevedere "incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana". Nel caso di specie, quindi, per effetto della normativa sopravvenuta la sopraelevazione rientrerebbe nell'ambito della ristrutturazione. 2.3.Il motivo e' infondato. 2.4.La vicenda processuale va certamente esaminata alla luce dello ius superveniens, trattandosi di normativa posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione e pertinente rispetto alle questioni in esso prospettate (Cass. 19617/2018; Cass. 10547/206). 2.5.Secondo la costante interpretazione giurisprudenziale in materia di distanze nelle costruzioni, infatti, qualora subentri una disposizione derogatoria favorevole al costruttore, si consolida - salvi gli effetti di un eventuale giudicato sull'illegittimita' della costruzione - il diritto di quest'ultimo a mantenere l'opera alla distanza inferiore, se, a quel tempo, la stessa sia gia' ultimata, restando irrilevanti le vicende normative successive (tra le tante Cass. Civ., Sez. II, 4.2.2021, n. 2640; Cass. Civ., Sez. II, 26.7.2013, m.18119). Il sopravvenire della disciplina normativa meno restrittiva comporta, invero, che l'edificio in contrasto con la regolamentazione in vigore al momento della sua ultimazione, ma conforme alla nuova, non possa piu' essere ritenuto illegittimo, cosicche' il confinante non puo' pretendere l'abbattimento o, comunque, la riduzione alle dimensioni previste dalle norme vigenti al momento della sua costruzione. 2.6. Ai fini della decisione della controversia, e' opportuno esaminare sommariamente lo stato della normativa e della giurisprudenza in materia. 2.7.Innanzitutto, la nozione di ricostruzione di un edificio, in passato, era individuata in un intervento che fosse contenuto nei limiti preesistenti di altezza, volumetria, sagoma e area di sedime dell'edificio. Le eventuali eccedenze invece andavano considerate come nuova costruzione. Da cio' discendeva, in tema di distanze, che le nuove costruzioni dovevano essere soggette alle distanze legali, mentre per le ricostruzioni le distanze erano quelle previste per l'edificio originario (in tal senso Cass. Civ., Sez. II n. 473/2019). 2.8. Tale distinzione si basava su una serie di disposizioni, a partire dalla L. n. 457 del 1987, articolo 31, comma 1, lettera d), per passare poi all'articolo 3, comma 1, lettera d), del Testo Unico dell'Edilizia (Decreto del Presidente della Repubblica n. 6 giugno 2001 n. 380), il quale, nella sua formulazione originaria, prevedeva che "nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica". Basandosi su tale norma, la giurisprudenza ha quindi ripetutamente ribadito che si ha ricostruzione, che segue le sorti dell'edificio preesistente, quando ci si contenga nei limiti di sagoma, volumi, area di sedime di quest'ultimo, si ha nuova costruzione per cio' che eccede (ex multis Cass. Civ, Sez. II, n. 15041/2018). 2.9. Il D. L. 69 del 2013 ha novellato l'articolo 3 del T.U dell'edilizia, comprendendo, nell'ambito della ristrutturazione edilizia gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica. Nella nuova formulazione, per aversi una ricostruzione bastava dunque rispettare la volumetria originaria, senza necessita' di rispettare la sagoma. 2.10. Il Decreto Legge n. 32 del 2019, convertito nella L. 55 del 2019, e' intervenuto sul tema delle distanze per le costruzioni al fine di semplificare e velocizzare i procedimenti sottesi alla realizzazione degli interventi edilizi di rigenerazione del tessuto edificatorio nelle aree urbane. 2.11.In questo quadro, la L.55 del 2019 ha operato una serie di modifiche agli standard urbanistici fissati dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, che prevedeva limiti inderogabili "di distanza tra i fabbricati", tali da vincolare i comuni nell'adozione degli strumenti urbanistici e tali da poter essere invocati, previa disapplicazione dello strumento urbanistico eventualmente difforme, nelle controversie tra privati. 2.12.I cambiamenti al Decreto Ministeriale n. N. 1444 del 1968 sono in concreto intervenuti mediante le modifiche apportate dal Decreto Legge n. 32 del 2019 all'articolo 2 bis del TU edilizia, con riferimento a quelle disposizioni che consentivano a Regioni e Province autonome di adottare disposizioni derogatorie sulle distanze legali. 2.13.Il Decreto Legge n. 32 del 2019 ha aggiunto i seguenti commi al citato articolo 2 bis: "1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densita' edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio." 1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima e' comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purche' sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo." 2.14. Discende da quanto sopra delineato che con le modifiche apportate dal Decreto Legge n. 32 del 2019, articolo 5, all'articolo 2 bis del TU edilizia, la demolizione e ricostruzione di un fabbricato e' consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purche' sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo. In caso diverso, le eventuali disposizioni derogatorie sulle distanze devono comunque essere previste dai Comuni nell'ambito degli strumenti urbanistici. 2.15. Dette previsioni non consentivano quindi l'aumento di volumetria e le leggi regionali in contrasto con la legge statale sono state dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale in tutte le occasioni in cui e' stata adita. 2.16.E' utile ricordare la sentenza della Corte Costituzionale N. 30 del 2020, che, pronunciandosi sulla legittimita' dell'articolo 9, comma 8 bis della Legge Regionale Veneto n. 14 del 2009, la quale consentiva deroghe alle altezze dei fabbricati, ha ribadito l'inderogabilita' delle norme sulle distanze previste dal Decreto Ministeriale n.1444-68, articolo 9. 2.17.La Corte Costituzionale e' nuovamente intervenuta con la sentenza N. 70-2020 per dichiarare costituzionalmente illegittime le previsioni della Legge Regionale Puglia n. 5 del 2019 (Piano Casa Puglia) che consentiva, in caso di demolizione e ricostruzione un aumento volumetrico. Con tale decisione, ribadendo il suo consolidato orientamento (tra le tante Corte Cost n. 86/2019; Corte Cost. 125/2017), il giudice delle leggi ha ribadito, sulla base del Decreto Legge n.32 del 2019, articolo 2 bis, l'inderogabilita' delle norme statali, in quanto necessarie a offrire una protezione unitaria su tutto il territorio nazionale in relazione alle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza. 2.18. Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, nelle prime applicazioni delle modifiche apportate dal Decreto Legge n. 32 del 2019, articolo 5 all'articolo 2 bis del TU Edilizia, ha affermato che la demolizione e ricostruzione di un fabbricato e' consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purche' sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo; in caso diverso, le eventuali disposizioni derogatorie sulle distanze devono comunque essere previste dai Comuni nell'ambito degli strumenti urbanistici (Consiglio di Stato sez. IV, 16/10/2020, n. 6282 in fattispecie antecedente al S.L. N. 76 del 2020, convertito nella L. n. 120 del 2020, che ha ulteriormente modificato l'articolo 2 bis del TU Edilizia). 2.19. Al fine di allargare l'ambito degli interventi di ristrutturazione e riqualificazione urbana, senza incorrere nel rilievo di incostituzionalita', il legislatore e' nuovamente intervenuto sul Testo Unico dell'Edilizia. 2.20. Il D. L. 16.7.2020 m.76, articolo 10 convertito con modificazioni dalla L.11.9.2020 n. 120 ha inciso profondamente sulla struttura del Decreto del Presidente della Repubblica n. 6.6.2001, n. 380 attraverso una serie di interventi puntuali, aventi come finalita' l'esigenza di "semplificare e accelerare le procedure edilizie, di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo del suolo". 2.21.Le singole previsioni del decreto sono intervenute su specifici profili della disciplina edilizia, con l'obiettivo pratico di fornire strumenti normativi favorevoli alla rigenerazione dei tessuti urbani. 2.22.Secondo autorevole dottrina, con il decreto semplificazioni, il legislatore statale ha compiuto una "manutenzione straordinaria del Testo Unico dell'Edilizia", proseguendo nel percorso intrapreso con il "decreto sbloccacantieri" del 2019, che, pur avendo indicato una serie di obiettivi ritenuti prioritari nella rigenerazione urbana, era intervenuto soprattutto in materia di distanza tra costruzioni con previsioni che non avevano superato il vaglio di costituzionalita'. 2.23.Proprio in tema di distanze tra gli edifici, la novita' introdotta dalla L. 120 del 2020 e' proprio la rivisitazione del concetto di "ristrutturazione edilizia" (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1 lettera d) ed il suo conseguente coordinamento con la definizione di "manutenzione straordinaria" (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lett.b)). In tal senso sono orientate le norme in tema di demolizione- ricostruzione, che costituiscono il fulcro della normativa inserita con la L.120 del 2020. 2.24. Ai sensi dell'articolo 3, lettera d) costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. La norma prosegue affermando che, nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia, sono ricompresi altresi' gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilita', per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. Inoltre, al solo fine di promuovere interventi di rigenerazione urbana, sono ammessi incrementi di volumetria, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali. 2.25.Con le modifiche apportate dall'articolo 3, lettera d), gli interventi di ristrutturazione possono, quindi, consistere anche in demolizioni e ricostruzioni in cui, rispetto all'edificio originario mutino la sagoma, i prospetti, il sedime e le caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. In tali casi, l'intervento deve mantenersi rispettoso unicamente del volume preesistente, con possibilita' di formazione di un manufatto tipologicamente anche radicalmente diverso dal preesistente. 2.26. Quando, invece, " la legislazione vigente o gli strumenti comunali lo consentano", sono ammessi incrementi di volumetria "anche per interventi di rigenerazione urbana". 2.27.Questa flessibilita' derogatoria non e' ammessa ne' per gli edifici tutelati, per le zone A (o come diversamente definite dalle leggi regionali) cosi' come nei "centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico", fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici. In tali ipotesi, la ricostruzione ed il ripristino degli edifici crollati o demoliti deve mantenersi fedele all'esistente, ossia deve rispettare non solo il volume ma anche la sagoma, il sedime e le caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio demolito, senza possibilita' di incrementi volumetrici. 2.28. E' stato osservato in dottrina che gli interventi di ristrutturazione edilizia sarebbero fortemente penalizzati qualora dovessero rispettarsi anche per i nuovi edifici le distanze tra costruzioni previste dal Decreto Ministeriale n. 1444-68, articolo 9 nell'ambito di interventi di rigenerazione urbana che abbiano come fine un nuovo modello di citta' "urbana" e lo sviluppo del territorio. 2.29. Le criticita' emerse con il c.d "Decreto del Fare" (D. L. 69 del 2013) e con il "Decreto Sbloccacantieri" (L.55 del 2019) sono state, quindi, superate con il nuovo testo dell'articolo 2 bis, comma 1 ter, che consente di sfruttare gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. 2.30. Ne e' seguita la modifica dell'articolo 2 bis, comma 1 ter del Testo Unico dell'Edilizia, da parte della L.120 del 2020, che, nel nuovo testo, cosi' recita: "in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell'area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione e' comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l'intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti" 2.31.La norma introduce il principio secondo cui ogni intervento di demolizione - ricostruzione, nel contesto di un intervento unitario, indipendentemente dalla qualificazione come ristrutturazione o nuova costruzione ("in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici"), puo' essere realizzato sulla linea di confine del fabbricato demolito, anche ove quest'ultimo risulti "legittimamente" posto ad una distanza da fabbricati e da confini inferiore da quelle attualmente previste. La norma prosegue indicando la possibilita' che anche eventuali "incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti all'intervento" possano essere collocati sul filo dell'edificio preesistente, anche fuori della sagoma e con superamento dell'altezza del manufatto demolito. 2.32. Cosi' ricostruito il quadro normativo in relazione allo ius superveniens, nel caso di specie, la normativa sopravvenuta non incide sulla fattispecie in esame, in cui il fabbricato ricostruito e' diverso dal preesistente manufatto per "forma, altezza e superficie " (pag.11 della sentenza impugnata) e l'intervento costruttivo non rientra nel regime derogatorio previsto dall'articolo 3 lettera d), ovvero per promuovere un intervento di rigenerazione urbana. 2.33.Si tratta di costruzione realizzata dal privato in violazione del Decreto Ministeriale n.1944-68, articolo 9, in ragione dell'entita' delle modificazioni apportate al volume ed alla collocazione del fabbricato, che rendevano l'opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente. L'opera aumentava il volume e modificava la sagoma dell'edificio demolito, senza rispettare le distanze preesistenti, e cioe' di quelle conformi alla normativa vigente al momento in cui e' stato realizzato l'intervento originario (Cassazione civile sez. II, 24/06/2022, n. 20428; Cass. Civ., Sez. II, 14.4.2022, n. 12196). 2.34. L'intervento costruttivo e' avvenuto in assenza di alcun intervento di pianificazione urbanistica, che legittimasse l'aumento di volumetria. 2.35.La normativa introdotta sulle distanze dalla L.120/2020 e' coerente con il perseguimento dell'interesse pubblico e non gia' con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che e' invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile e dal Decreto Ministeriale n.1444-68. 2.36.Allo stato attuale della normativa, in ogni caso di demolizione con ricostruzione - e quindi anche in presenza di aumento di volumetria nei casi consentiti dall'articolo 3, lettera d) del TUE - la costruzione deve rispettare le distanze preesistenti. 2.37. Come chiarito anche dalla relazione ministeriale al decreto semplificazioni (Decreto Legge n. 76 del 2020), l'articolo 2, comma 1-ter, ha rimosso il vincolo del medesimo sedime e della medesima sagoma ma solo per gli interventi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione disciplinati da un piano urbanistico che preveda un programma di rigenerazione urbana, nella specie non sussistente. 2.38. L'ulteriore profilo di ricorso riguarda la qualificazione dell'intervento edilizio. I ricorrenti sostengono che si tratti di "sopralzo" di un edificio preesistente e non di nuova costruzione, ragione per la quale esso sarebbe legittimo ai sensi dell'articolo 5 delle NTA del Comune di (OMISSIS), che cosi' dispone: "in caso di sopralzo la verifica delle distanze si intende soddisfatta ove siano mantenuti i rapporti e le distanze esistenti", mentre la distanza di metri dieci rispetto alle pareti finestrate dei fabbricati antistanti si applicherebbe agli interventi di nuova costruzione e di ampliamento, ai sensi dell'articolo 8 delle NTA. 2.39. Anche tale profilo e' infondato. 2.40. Come correttamente statuito dalla Corte di merito, in tema di distanze tra costruzioni, il Decreto Ministeriale n. 2 aprile 1968 n. 1444, articolo 9 comma 2, essendo stato emanato su delega della l. 17 agosto 1942 n. 1150, articolo 41 quinquies (cd. legge urbanistica), aggiunto dalla l. 6 agosto 1967 n. 765, articolo 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicche' le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densita', altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (Cassazione civile sez. un., 07/07/2011, n. 14953; Cassazione civile sez. II, 15/01/2021, n. 624). 2.41 Ne consegue che, una volta che i Comuni abbiano proceduto alla pianificazione del territorio, effettuando la ripartizione per zone omogenee, le distanze minime sono quelle previste dal citato decreto n. 1444 del 1968, articolo 9, sia nel caso in cui lo strumento urbanistico preveda distanze inferiori, sia nel caso di assenza di previsioni sul punto. Nella prima ipotesi si verifica l'inserimento automatico della norma cogente di cui al decreto n. 1444 del 1968, in sostituzione della illegittima previsione di distanze inferiore a quella minima. Nella seconda ipotesi - quando cioe' lo strumento urbanistico non contenga previsioni al riguardo, ragioni di ordine sistematico e di interpretazione conforme impongono l'analoga conclusione della inserzione automatica della disciplina dettata dal richiamato decreto. 2.42, Nel caso di specie, poiche' l'intervento edilizio era diverso dal preesistente manufatto per forma, altezza, volume e superficie, doveva osservare la distanza di dieci metri dall'edificio frontistante, per inserzione automatica dell'articolo 9 del DM 1444-68 ed in conformita' all'articolo 8 delle NTA del Comune di (OMISSIS). 3.Con il terzo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del disposto di cui agli articoli 113 e 115 c.p.c e la nullita' della sentenza, ai sensi dell'articolo 132 n. 4 c.p.c., in quanto la Corte d'appello non avrebbe considerato che vi era una discrasia in ordine alla misurazione delle distanze, sulla base delle diverse conclusioni cui erano giunti il CTU in primo grado ed in appello. Tale discrasia si riverberebbe sulla nullita' della motivazione. 3.1.Il motivo e' inammissibile perche' difetta di specificita' per non avere il ricorrente allegato gli atti ed i documenti su cui il motivo di ricorso si fonda, attraverso la trascrizione, anche sommaria, delle consulenze svolte nei gradi di merito. 5.Con il quarto motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell'articolo 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 7 e 8 delle NTA del Comune di (OMISSIS), per avere la Corte di merito ritenuto che l'autorimessa sporgesse di sedici centimetri rispetto al limite massimo di sporgenza dalla quota zero, facendo coincidere il "piano di calpestio" dell'autorimessa interrata con la "soletta" dell'autorimessa stessa. L'errore della Corte consisterebbe nell'aver applicato l'articolo 8, comma 12 delle NTA, che disciplina le autorimesse edificate a confine mentre, nel caso di specie, l'autorimessa sarebbe posta alla distanza di 1,5 metri dal confine e troverebbe, pertanto, applicazione dell'articolo 8 comma 11 delle NTA, del quale rispetterebbe le condizioni. Dalla CTU emergerebbe infatti che il pavimento del piano terra del fabbricato e il piano di calpestio esterno sporgono di 16 cm oltre la fascia di tolleranza e non la "soletta" dell'autorimessa, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte d'Appello di Brescia. 6.Con il quinto motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento agli elaborati peritali della CTU di secondo grado ed alle osservazioni critiche del proprio CT. I ricorrenti rilevano come la Corte d'Appello di Brescia abbia omesso di considerare le risultanze della relazione peritale, che dimostrerebbe il pieno rispetto alla fascia di tolleranza di 70 cm della "soletta" di copertura dell'autorimessa interrata. La Corte avrebbe anche omesso di considerare che i 16 cm di eccedenza riguarderebbero il "piano di calpestio" esterno soprastante, elemento estraneo alla "soletta" dell'autorimessa. 6.1.I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente perche' attinenti al calcolo della distanza dell'autorimessa, sono infondati. 6.2.L'articolo 8, comma 11 delle NTA del Comune di (OMISSIS) prevede che "per le costruzioni completamente interrate-in tutte le zone- la distanza minima dai confini deve essere di mt 1,50". 6.3.L'articolo 8, comma 12 delle NTA cosi' recita: " E' ammessa la costruzione a confine nei seguenti casi ove si tratti di autorimessa o di locale di servizio interrati aventi altezza interna non superiore a mt 2,30 e sporgenza - rispetto alla quota 00 come definita dal precedente articolo 7 - non eccedente i 70 cm. 6.4. E' incontestato- ed e' stato oggetto di puntuale accertamento da parte della Corte d'appello - che l'autorimessa realizzata dai ricorrenti non era completamente interrata in quanto il piano di copertura sporgeva di 86 cm. 6.5.In tale ipotesi, la sporgenza sarebbe stata ammissibile solo in caso di costruzione posta al confine e non nei casi in cui la costruzione sia realizzata a distanza dal confine; in tal caso, l'autorimessa deve essere completamente interrata e ad una distanza minima di mt 1, 50 dal confine. 6.6.Assorbente al riguardo appare la considerazione che l'articolo 873 c.c., che stabilisce per le costruzioni su fondi limitrofi, se non unite o aderenti, la distanza non minore di tre metri, assegna ai regolamenti locali la sola potesta' di disporre una distanza maggiore, ma non gia' di definire la nozione di costruzione, cioe' di stabilire le caratteristiche in base alle quali l'opera possa definirsi costruzione e quindi ritenersi soggetta alla normativa sulle distanze (Cass. N. 23843 del 2018; Cass. N. 144 del 2016; Cass. N. 5136 del 2015; Cass. N. 19530 del 2005) 6.7.La nozione di costruzione, agli effetti dell'articolo 873 c.c., e' infatti necessariamente unica e non puo' subire deroghe, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, da parte delle norme locali, atteso il loro rango secondario e la delimitata competenza loro assegnata in materia. 6.8.Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli articolo 873 c.c. e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidita', stabilita' ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e cio' indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa (Cass. N. 23856 del 2018; Cass. n. 27399 del 2014; Cass. 15972 del 2011). Solanto l'immobile completamente interrato si sottrae pertanto al rispetto della normativa in tema di distanze, non anche quello che si eleva dal suolo, indipendentemente dalla relativa altezza (Cass. n. 3793 del 2012; Cass. 5956 del 1996). 6.9. Alla luce della nozione unitaria di costruzione, il piano di copertura dell'autorimessa comprende non solo la soletta ma anche il terrazzo che la ricopre, il quale e' strettamente integrato alla soletta ed emerge complessivamente dal piano di campagna, violando l'articolo 11 delle NTA del Comune di (OMISSIS). 6.10. Correttamente, la Corte di merito, ai fini della determinazione della quota zero, ha richiamato l'articolo 7 NTA, che considera la "media delle quote del terreno lungo la linea di intersezione di esso con l'edificio da costruire" ed ha ritenuto che dovesse tenersi conto dell'intero perimetro dell'edificio di nuova costruzione, comprensivo della villa e dell'autorimessa, in conformita' alla nozione unitaria di costruzione. 7. Deve essere esaminato il ricorso incidentale. 7.1. Deve essere, in primo luogo, rigettata l'eccezione di inammissibilita' del ricorso incidentale, sia in relazione alla carenza di interesse, per essere i fratelli (OMISSIS) e l' (OMISSIS) vittoriosi in relazione alla regolarita' dell'autorimessa, sia perche' sarebbe stata introdotta una domanda nuova. 7.2.Osserva il collegio che il primo motivo dell'appello incidentale, con il quale era stato impugnato il rigetto della domanda di arretramento dell'autorimessa, era stato parzialmente accolto dalla Corte d'appello (pag. 15-15 della sentenza impugnata), che ha aderito alla terza ipotesi elaborata dal CTU, tenendo conto del perimetro della villa e dell'autorimessa mentre i ricorrenti in via incidentale avevano chiesto che venisse calcolato il perimetro della sola autorimesse; in tal modo, la demolizione avrebbe interessato non solo la soletta ma anche il terrazzo che la ricopriva. 7.3. Poiche' l'appello incidentale era stato parzialmente accolto, sussisteva l'interesse a ricorrere in cassazione al fine di ottenere una pronuncia piu' favorevole. 7.4. Ne' sussiste il vizio di novita' della domanda poiche' la demolizione dell'autorimessa, e non solo della soletta, era stata riproposta in sede di appello incidentale, ove, solo in via subordinata era stato chiesta la demolizione della porzione eccedente la sporgenza massima di 70 cm dalla quota 0. 7.5.Ne consegue che non vi e' stata modifica della domanda ma riproposizione, della domanda proposta in via principale, che era stata rigettata dalla Corte d'appello. 7.6. I motivi, contrariamente a quanto eccepito dai ricorrenti, sono specifici in quanto idonei a censurare con chiarezza la statuizione della Corte d'appello. 7.7.Con il primo motivo, si deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 7 e 8 delle NTA del PRG del Comune di (OMISSIS) in materia di distanze delle autorimesse dal confine; si rileva che la quota zero dovesse essere calcolata sulla base del perimetro della sola autorimessa e non dell'autorimessa e della villa, come affermato dalla Corte d'appello. Sarebbe quindi errata l'adesione alla terza ipotesi interpretativa elaborata dal CTU in quanto l'articolo 7 del NTA del Comune di (OMISSIS) individuerebbe la quota zero con riferimento "all'edificio da costruire" da identificarsi nella sola autorimessa. La decisione della Corte di merito sarebbe erronea perche' basata esclusivamente sul fatto che il titolo abilitativo edilizio era comprensivo sia del fabbricato residenziale che dell'autorimessa, atteso il rapporto di pertinenzialita' tra edificio ed autorimessa. 7.8. il motivo e' infondato. 7.9. Come argomentato in relazione al quarto e quinto motivo del ricorso principale, la Corte di merito, ai fini della determinazione della quota zero, ha correttamente applicato l'articolo 7 NTA, che considera la "media delle quote del terreno lungo la linea di intersezione di esso con l'edificio da costruire" ed ha ritenuto che dovesse tenersi conto dell'intero perimetro dell'edificio di nuova costruzione, comprensivo della villa e dell'autorimessa, in conformita' alla nozione unitaria di costruzione. 8.Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 873 c.c. e articolo 8 NTA del PRG del Comune di (OMISSIS) per avere la Corte di merito escluso che il terrapieno realizzato sopra l'autorimessa fosse un'opera rilevante ai fini del calcolo delle distanze dal confine poiche' costituiva un'opera di modeste dimensioni con funzioni sostanzialmente ornamentali. La Corte d'appello ha ritenuto che le ridotte dimensioni del terrapieno e la sua sporgenza da terra possano essere calcolate a partire dai 70 cm di altezza previsti per l'autorimessa, non considerando invece, piu' correttamente, l'intera altezza del terrapieno che fuoriesce dal piano originario di campagna. 8.1.Il motivo e' fondato. 8.2. Questa Corte ha affermato, con orientamento che si condivide, che, in tema di distanze legali, diversamente dal muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale, che, per la parte che adempie alla sua specifica funzione, non puo' considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'articolo 873 c.c., devono invece ritenersi soggetti a tale norma, perche' costruzioni, il terrapieno e il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (Cass. n. 23843 del 2018; Cass. n. 10512 del 2018; Cass. n. 11388 del 2013). 8.3.La sentenza impugnata ha errato nell'affermare che il terrapieno non era soggetto al rispetto delle distanze perche' costituiva un'opera di modeste dimensioni con funzioni sostanzialmente ornamentali, senza verificare se fosse opera dell'uomo e se adempiva alla specifica funzione di sostegno e contenimento. 8.4.Il motivo deve, pertanto, essere accolto. 8.5.La sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimita', alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione. 8.7.Il giudice di rinvio provvedera' anche in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimita'. 9.Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita', alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. BORSELLINO Maria D. - Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - rel. Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 27/10/2021 della CORTE APPELLO di PERUGIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FULVIO BALDI, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; uditi l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) nonche' l'avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza in data 12/02/2019, confermava la sentenza del 12/09/2016 con cui il Giudice dell'udienza preliminare dello stesso Tribunale, all'esito di giudizio abbreviato, aveva assolto (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di peculato. Secondo la prospettazione accusatoria gli imputati - (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita' di presidenti dei gruppi consiliari regionali; (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita' di consiglieri regionali, ritenuti anch'essi pubblici ufficiali- ed in concorso con i Presidenti dei rispettivi gruppi consigliari e (OMISSIS) nella qualita' di responsabile della Segreteria del gruppo consigliare ed in concorso con il presidente del gruppo - si erano appropriati dei fondi pubblici della Regione (OMISSIS), previsti per il finanziamento delle attivita' dei Gruppi consiliari dalla Legge Regionale n. 34 del 10 agosto 1988. 2. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20535/2020, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Ancona, annullava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia. In tale pronunzia la Suprema Corte formulava tutta una serie di principi in ordine: - alla natura giuridica dei gruppi Consiglieri ed al vincolo di destinazione delle somme erogate; - alla nozione di "spese rimborsabili "; - alla prova della condotta appropriativa. Nel rilevare che i giudici di merito non avevano fatto corretta applicazione dei principi di diritto indicati ha, quindi, onerato la Corte di appello di Perugia in sede di rinvio di verificare, applicando i principi indicati, in ordine alle singole posizioni processuali ed alle singole categorie di spese se, ed in che termini, fosse configurabile il reato contestato. 3. La Corte di appello di Perugia, con sentenza in data 27 ottobre 2021, pronunziando in sede di rinvio, per quello che ancora in questa sede rileva, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente ai reati loro ascritti riferiti all'anno 2008 per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione; ha condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 80), 125) e 126), limitatamente alle spese postali e convegnistiche; ha condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) limitatamente alle spese per i periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" e per la messaggistica "(OMISSIS)" e per talune delle spese di ristorazione. Con provvedimento in data 17 gennaio 2022 la Corte di appello, rilevata la sussistenza di un errore materiale nel dispositivo, in relazione alla omessa statuizione di confisca, ha disposto correggersi il dispositivo inserendo l'inciso: "visto l'articolo 322-ter c.p.p. ordina la confisca della somma di Euro 4.600,00 nei confronti di (OMISSIS) e della somma di Euro 21.500,00 + Euro 1.800,00 dei confronti di (OMISSIS) o dei beni di cui gli imputati avessero la disponibilita' per un valore equivalente". 4. Contro detta sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione entrambi i predetti imputati a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia. 4.1. (OMISSIS), con un primo ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS), formula i seguenti motivi. Con il primo motivo denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., nullita' della sentenza in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. Assume che, valutati anche i principi fissati dalla Corte EDU, nel caso in esame risultava palese la violazione dei diritti difensivi, non essendosi proceduto alla rinnovazione dell'audizione dell'imputato. Rileva che avendo il primo giudice espressamente valorizzato le dichiarazioni del (OMISSIS) ai fini assolutori e posto che la corte di merito aveva operato una "svalutazione" del peso probatorio di tali dichiarazioni, si rendeva indispensabile una rinnovata audizione dello stesso al fine di effettuare i necessari chiarimenti in ordine alla percezione dei rimborsi ed al legame istituzionale delle spese effettuate con la propria attivita' all'interno del gruppo consiliare. Con il secondo motivo denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), vizio di motivazione per non essersi il giudice del rinvio conformato ai principi di diritto fissati dalla Suprema Corte quanto alla verifica della legittimita' delle spese in questione. Lamenta per l'anno 2009 che: - quanto alla ritenuta illegittimita' delle spesa di ristorazione di Euro 200,00 la Corte territoriale nell'affermare che non era dato sapere se la stessa fosse collegata ad un evento di natura istituzionale, per un verso, aveva finito per rovesciare l'onere della prova a carico dell'imputato e, per altro verso, aveva del tutto trascurato di prendere in esame le giustificazioni fornite dall'imputato nel corso del proprio interrogatorio e del proprio esame; in ordine alla ulteriore spesa di Euro 200,00 per un rimborso legato ad un convegno indetto dal Ministero del lavoro era palese il vizio motivazionale in quanto la Corte di merito aveva omesso di considerare che non e' possibile, da parte del giudice penale, sindacare l'attivita' politica e le scelte di merito del Presidente di un gruppo consiliare. Osserva, quanto all'anno 2010 ed all'anno 2011, che gli addebiti riguardavano spese postali inerenti la spedizione di auguri natalizi corredati da una newsletter, in relazione alle quali non poteva ritenersi, come apoditticamente affermato dalla Corte di appello, che le stesse erano "scisse" dall'attivita' consiliare e riguardavano mera attivita' propagandistica del consigliere. Con il terzo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' vizio di motivazione in relazione alla nozione di disponibilita' giuridica del denaro in capo all'imputato. Nel premettere che presupposto indefettibile ai fini della configurabilita' del reato di peculato e' che il pubblico ufficiale abbia il possesso o, comunque, la concreta disponibilita' del denaro osserva che i giudici territoriali avevano omesso di considerare che, come precisato dal ricorrente, lo stesso non aveva mai gestito direttamente di denaro ovvero avuto la disponibilita' di carta di credito o di fondo cassa generalizzato e preventivo per le proprie spese. Con il quarto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 110- 314 c.p. nonche' vizio di motivazione in ordine al ritenuto concorso dell'imputato nei delitto di peculato con i capi-gruppo pro-tempore. Rileva che la sentenza aveva del tutto omesso di motivare in relazione alla condotta concorrente del Consigliere Regionale (OMISSIS) con i tre capi-gruppo succedutisi nella Presidenza del Gruppo Consiliare, non potendosi ritenere l'attivita' concorrente integrata nella richiesta di rimborsi aventi ad oggetto attivita' regolarmente realizzate dal consigliere regionale, ove anche ritenuti non dovuti. Il medesimo (OMISSIS), con altro ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS) formula i seguenti motivi. Con il primo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988 nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione desumibile in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- Gruppo Tutela Spesa Pubblica; esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016 e relazione della Dott.ssa (OMISSIS) Direzione Generale Assemblea Reg. (OMISSIS) depositata con memoria ex articolo 415-bis c.p.p. Osserva che, in disparte la considerazione che la Corte di appello aveva affermato la responsabilita' dell'imputato per l'illecito rimborso di Euro 400,00 per spese per "convegni/convegnistiche" sebbene nella parte ricostruttiva si elencavano "per convegni" solamente Euro 350,00 - dato questo sintomatico della illogicita' del ragionamento - i giudici di appello, dopo avere rilevato il rimborso di Euro 350,00 per spese convegnistiche, constatando che almeno 150,00 Euro di quelle spese erano lecite e giustificate, aveva condannato, del tutto illogicamente, l'imputato per essersi fatto rimborsare Euro 400,00 di spese per convegni. Evidenzia, ancora, che quanto alle spese di Euro 200,00 per la cena con otto commensali al Ristorante "(OMISSIS)", estranee alla suindicata tipologia, a parte la mancanza di coordinamento rispetto alla condanna ritenuta in dispositivo, il dato relativo alla mancanza di documentazione coeva non appariva decisivo, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, alla luce dei principi fissati alla giurisprudenza di legittimita' in tema di irrilevanza della semplice carenza documentale. Rileva che la sentenza della Corte di appello, in relazione alla ritenuta carenza di documentazione giustificativa coeva, da un lato si poneva in contrasto con il dictum della Cassazione e, per altro verso, appariva il frutto di un errore percettivo in quanto i giudici non avevano tenuto conto di quanto dichiarato dall'imputato in sede di indagini. In ordine alla spesa di Euro 200,00 per il convegno organizzato dalla Fondazione (OMISSIS) con oggetto "Oltre l'ideologia della crisi- lo sviluppo, l'etica ed il mercato nell'enciclica (OMISSIS) con conclusioni del Ministro del Lavoro Sacconi, rileva che la Corte di appello nel affermarne la "non inerenza" aveva violato i principi affermati dalla Suprema Corte in sede di annullamento, non considerando che tale partecipazione costituiva espressione di una scelta politica e che l'evento corrispondeva appieno a quelli che sono gli obiettivi ed i compiti del gruppo consiliare e del singolo consigliere. Con il secondo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34 del 1988, violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi alla Procuratore Generale della Corte dei Conti in data 15/10/2015; provvedimento di archiviazione del Procuratore Generale della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per le (OMISSIS) in data 12/06/2016 e documenti depositati unitamente alla memoria ex articolo 415-bis c.p.p. Deduce che la Corte di appello non aveva considerato che quanto alle "spese postali" ne era previsto il rimborso ai sensi dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34 del 1988, spese in relazione alle quali il Procuratore Generale della Corte dei Conti aveva disposto l'archiviazione e che del tutto erronee erano le conclusioni cui erano pervenuti i giudici in ragione di una asserita insufficienza documentale. Osserva che, nella specie, le spese postali riguardavano gli auguri natalizi inviati dal (OMISSIS) nell'ambito dell'attivita' istituzionale espletata e che il foglio notizie allegato - stampato senza ricorrere a fondi istituzionali - aveva il solo scopo di informare gli elettori della attivita' istituzionale posta in essere dal gruppo, e che i giudici appello aveva omesso di prendere in esame le dichiarazioni rese dall'imputato il quale aveva chiarito la insussistenza di qualunque fine propagandistico. Con il terzo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 516 e 522 c.p.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione. Assume che la condanna dell'imputato era stata basata su una asserita carenza documentale per tutti i capi, non tenendo conto che lo stesso era stato archiviato in sede contabile e che aveva riguardato, nella sostanza, fatti del tutto diversi sostenendosi la non inerenza di spese che, per contro, non apparivano per nulla eccentriche rispetto a quelle ammesse dalla legge regionale. Con il quarto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. inoltre, vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- (OMISSIS); esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016 nonche' spontanee dichiarazioni rese dall'imputato innanzi alla Corte nel precedente grado di appello. Rileva che, in ragione della riforma della pronunzia assolutoria alla luce di quanto in precedenza dichiarato dall'imputato, la corte di appello, al fine di accertare la responsabilita' oltre ogni ragionevole dubbio avrebbe dovuto procedere d' ufficio alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con l'audizione dell'imputato. Con il quinto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988, violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione. Osserva che dal momento che la giustizia contabile aveva escluso anche profili di colpa dell'imputato la Corte di appello avrebbe dovuto motivare in relazione all'elemento psicologico del reato, profilo in relazione al quale la motivazione era assai carente. Con il sesto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p. violazione degli articoli 314 e 640 c.p. nonche' vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- (OMISSIS); esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016. Osserva che la Corte di appello non aveva considerato che dalle complessive risultanze istruttorie era emerso che il (OMISSIS) non aveva la disponibilita' di somme sicche', in ipotesi, si era in presenza del reato di truffa. L'Avv. (OMISSIS) ha depositato in data 18 gennaio 2023 nell'interesse dell'imputato memoria, contenente motivi nuovi, con la quale ha precisato che all'esito del giudizio dibattimentale instaurato nell'ambito del medesimo procedimento nei confronti di alcuni imputati che non avevano optato per il rito abbreviato, la Corte d'appello di (OMISSIS), con sentenza del 23 maggio 2022, divenuta irrevocabile il 16 ottobre 2022 stante l'omessa impugnazione da parte del Procuratore generale, aveva assolto gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (oltre a (OMISSIS)) dall'accusa di peculato contestata agli stessi in qualita' di "Presidenti pro-tempore del Gruppo Consiliare (OMISSIS)", gruppo di cui (OMISSIS) era consigliere. Ha precisato che agli stessi era contestato di essersi appropriati indebitamente di importi assegnati al gruppo e nella loro disponibilita' "a titolo di rimborso delle spese sostenute per ristorazioni, valori bollati, omaggi, telefonia, affitti, stampe, manifesti e servizi televisivi" (in parte riferibili agli imputati personalmente, in parte "genericamente al gruppo"), addebiti fondati sul rilievo per cui "le spese non erano fornite di documentazione idonea a giustificare il costo e la sua riconducibilita' ad attivita' funzionali al Gruppo", rilevando che dalle motivazioni della sentenza della Corte d'Appello di Ancona si aveva riscontro della piena sovrapponibilita' - rispetto al presente giudizio di legittimita' - delle categorie di spesa esaminate (spese per ristorazione, spese postali e spese di rappresentanza), vuoi delle modalita' di documentazione (documentazione contabile coeva alla spesa) vuoi degli indici presuntivi dell'addebito (l'asserita mancanza di idonea giustificazione successiva delle spese da parte degli imputati). Ha, ancora, rilevato che (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita' di Capigruppo del Gruppo consiliare di (OMISSIS) ((OMISSIS)), erano stati irrevocabilmente assolti, quindi, da due contestazioni coincidenti con quelle per le quali l'odierno ricorrente, (OMISSIS), era stato condannato in concorso proprio con i predetti capigruppo. Ha ribadito che, come rilevato nell'atto di ricorso, la decisione impugnata aveva omesso di esaminare il profilo relativo al contributo concorsuale di (OMISSIS) rispetto alla disposizione dei rimborsi operata da quegli stessi Capigruppo, definitivamente ritenuti estranei ad ogni ipotesi appropriativa e che allo stato la conferma della sentenza di appello avrebbe implicato l'accertamento di un dolo di concorso rispetto alla condotta dei capogruppo, la cui illiceita' e' stata definitivamente esclusa nel collegato processo penale. Ha, ancora, osservato che la sentenza della Corte d'appello di (OMISSIS), che aveva assolto i Presidenti del Gruppo consiliare al quale apparteneva l'odierno ricorrente, (OMISSIS), rileva nel presente giudizio di legittimita' anche con riferimento alla definizione del perimetro di legalita' delle spese dei gruppi regionali, fondato specificamente sull'interpretazione della legge regionale vigente al momento dei fatti (I. r. 34/1998), ribadendo come una corretta ermeneusi della disciplina della Regione (OMISSIS) riferita all'epoca dei fatti faceva riferimento a quel parametro indicato dalla Corte in sede di annullamento per sindacare la legittimita' delle spese (sono illegittime le spese "del tutto scisse" dalle iniziative del Gruppo consiliare), radicalmente disatteso dal giudice del rinvio, come gia' dedotto in ricorso. 4.2. (OMISSIS) formula i seguenti motivi. Con il primo motivo, articolato in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese telefoniche ed all'acquisto di messagistica (OMISSIS), denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), omissione della motivazione rafforzata a seguito della riforma della sentenza di primo grado nonche' omessa disamina della memoria difensiva ed omessa valutazione del dolo del reato contestato; violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p.; violazione del combinato disposto dell'articolo 314 c.p. in relazione all'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988; violazione del diritto di difesa per mancata audizione del teste (OMISSIS). Assume che la corte di appello, nel riformare la pronunzia assolutoria di primo grado, non si era adeguatamente confrontata con la ricostruzione del giudice di primo grado il quale, nel pronunziare l'assoluzione sul punto, aveva affermato che trattavasi di "invii evidentemente finalizzati ad informare la popolazione su attivita' politico istituzionali in corso" da ritenere ammissibili in forza della normativa regionale laddove la corte di appello, del tutto apoditticamente, aveva concluso nel senso che si trattava di attivita' totalmente avulsa da quella istituzionale. Rileva che la motivazione, in proposito, era gravemente carente in quanto i giudici di merito avrebbero dovuto valutare il contenuto dei singoli messaggi per verificare se avessero un mero fine di propaganda elettorale, come ritenuto e che nel pervenire alle proprie conclusioni i giudici del rinvio non si erano conformati ai principi di diritto fissati dalla Suprema Corte quanto alla verifica della legittimita' delle spese in questione non chiarendo per quale ragione le stesse dovevano essere ritenute "scisse" dall'attivita' consiliare e riguardanti mera attivita' propagandistica del consigliere. Deduce, ancora, che la Corte di merito aveva omesso di considerare che le spese per la messagistica (OMISSIS) alla luce del disposto di cui all'articolo 34 L.Reg. 34/1998 erano da ritenere legittime. Assume, altresi', che in ragione della riforma della sentenza assolutoria in primo grado si rendeva necessaria ex articolo articolo 603 comma 3-bis c.p.p. la rinnovazione dell'audizione del teste (OMISSIS) sentito in sede di indagini difensive ed il cui verbale di audizione era stato allegato alla memoria in data 4 marzo 2015, teste il quale aveva reso delle dichiarazioni decisive in relazione alla finalizzazione dei messaggi in questione. Con il secondo motivo articolato in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese per la spedizione dei periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), omissione della motivazione rafforzata a seguito della riforma della sentenza di primo grado nonche' omessa disamina della memoria difensiva ed omessa valutazione del dolo del reato contestato; violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p.; violazione del combinato disposto dell'articolo 314 c.p. in relazione all'articolo 1-bis Legge Regionale Marche n. 34 del 1988. Assume che la corte di appello, nel riformare la pronunzia assolutoria di primo grado, non si era adeguatamente confrontata con la ricostruzione del giudice di primo grado il quale, nel pronunziare, l'assoluzione sul punto aveva affermato che trattavasi di spese lecite "aventi ad oggetto tematiche strettamente connesse a questioni di interesse regionale ed all'attivita' consiliare e del suo Presidente " da ritenere legittime in forza della normativa regionale ex articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988, laddove la corte di appello, del tutto apoditticamente, aveva concluso nel senso che si trattava di attivita' totalmente avulsa da quella istituzionale. Rileva che la motivazione, in proposito, era gravemente carente in quanto i giudici di merito avrebbero dovuto valutare l'autonomia della scelta del politico di veicolare nel modo ritenuto opportuno le prospettive e le attivita' del gruppo, come ritenuto dal primo giudice, omettendo di considerare che, nel caso in esame, trattavasi di gruppo unipersonale composto dal solo (OMISSIS) e che, peraltro, non potevano immaginarsi mere finalita' propagandistiche in quanto i fatti risalivano agli anni 2008-2009 mentre le elezioni regionali si sarebbero svolte nel 2010. Osserva, ancora, che la corte di merito non aveva adeguatamente motivato sul punto, non aveva rispettato i dicta della Suprema Corte in sede di annullamento ed aveva omesso di considerare che le spese in questione, riguardanti le riviste "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)", erano da ritenere legittime alla luce del disposto di cui all'articolo 1 bis- L.Reg. 34 del 1998. Assume che risultando evidente che dette spese erano legittime e che mancava una condotta distrattiva doveva essere pronunzia sentenza di proscioglimento nel merito in luogo della dichiarata prescrizione per i fatti del 2008. Con il terzo motivo articolato, in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese di ristorazione denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera b) c) ed e), c.p.p., violazione dell'articolo 546 comma 3 c.p.p. in relazione all'articolo 81 c.p., violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p. nonche' vizio di motivazione. Evidenzia che la sentenza doveva essere ritenuta viziata sul punto in quanto nella parte dispositiva si faceva riferimento alla condanna per le spese di ristorazione di cui alla parte motiva in relazione ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) ma in seno a tali capi difettava una esatta indicazione dei singoli fatti contestati. Osserva che la corte di appello da un lato non aveva fatto corretta applicazione dei principi di diritto fissati dalla Suprema Corte in sede di annullamento e, per altro verso, aveva finito per operare una invasione di campo laddove aveva ritenuto che all'imputato era precluso la possibilita' di svolgere la propria attivita' istituzionale con lo strumento ritenuto piu' idoneo. Con il quarto motivo denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., nullita' della sentenza in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. Assume che, pure valutati i principi fissati dalla Corte EDU, nel caso in esame risultava palese la violazione dei diritti difensivi non essendosi proceduto alla rinnovazione dell'audizione dell'imputato il quale nel corso dell'interrogatorio aveva chiarito che tutte le spese erano finalizzate a fare conoscere l'attivita' del gruppo. Con il quinto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 81 nonche' vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Assume che la corte non aveva in alcun modo motivato in relazione ai singoli aumenti di pena in continuazione. Con il sesto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 130 c.p.p. in combinato disposto con l'articolo 546 comma 3 c.p.p. e dell'articolo 81 c.p. Assume che in ragione dell'esatto ammontare dei profitti non era possibile procedere alla confisca nella forma di correzione di un errore materiale. Gli avv. ti (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori del sig. (OMISSIS), hanno depositato in data 19 gennaio 2023 memoria contenente motivi nuovi con cui hanno ribadito che la sentenza impugnata aveva male individuato il perimetro delle spese legittimamente realizzate dai Presidenti dei Gruppi consiliari alla luce della legge regionale in vigore al tempo nella Regione (OMISSIS) (I. r. 34 del 1998). Hanno rilevato che la patologia che aveva inficiato l'iter valutativo di cui in motivazione della sentenza impugnata appariva ancor piu' evidente sulla scorta dal parallelo giudizio intervenuto nei confronti di alcuni degli altri Presidenti di Gruppi consiliari istituiti in seno all'Assemblea regionale marchigiana definito con sentenza irrevocabile. Hanno assunto che i rilievi contenuti - per la piena omogeneita' del contesto (normativo), della tipologia di spese (spese per ristorazione, spese postali, spese di rappresentanza) e delle contestazioni mosse (mancanza di adeguata giustificazione "successiva") - sgombravano il campo da ogni dubbio in ordine alla legittimita' dei rimborsi ottenuti dal Presidente del Gruppo (OMISSIS), risultando evidente la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza gravata e il mancato adeguamento della stessa ai principi di diritto stabiliti dalla sentenza di annullamento con riferimento ai tre insiemi di spese per i quali era intervenuta la condanna dell'imputato e in relazione ai quali erano stati partitamente esposte le doglianze nell'atto di ricorso: le spese di telefonia e concernenti il servizio di messaggistica (OMISSIS) (doglianze raccolte nel motivo n. 1); le spese relative alla spedizione dei periodici "(OMISSIS)" e (OMISSIS)" (doglianze di cui al motivo n. 2); le spese di ristorazione (doglianze di cui al motivo n. 3). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi meritano accoglimento per le ragioni appresso specificate. 2. Appare opportuno un preliminare richiamo ai principi fissati dalla Suprema Corte nella pronunzia di annullamento, indispensabile al fine di valutare la fondatezza delle censure formulate. 2.1. Relativamente alla prima questione, avente ad oggetto la natura giuridica dei gruppi Consigliari ed il vincolo di destinazione delle somme erogate, nel precisare che trattavasi di un argomento rilevante ai fini della corretta definizione delle finalita' in ragione delle quali sarebbe stato possibile fare uso delle somme messe a disposizione dei gruppi consigliari regionali da parte del Consiglio della Regione (OMISSIS), la Corte di Cassazione ha richiamato, in primo luogo, la sentenza n. 1130 del 1988 della Corte Costituzionale in cui e' stato affermato che " dal momento che i gruppi sono gli organi nei quali si raccolgono e si organizzano all'interno dell'assemblea i consiglieri eletti al fine di elaborare congiuntamente le iniziative da intraprendere e di trovare in essi gli adeguati supporti organizzativi per poter svolgere adeguatamente i propri compiti, non e' arbitrario che i gruppi consiliari vengano dotati di mezzi adeguati e di personale idoneo, affinche' ogni consigliere sia messo in grado di concorrere all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale e, in particolare, all'elaborazione dei progetti di legge, alla preparazione degli atti di indirizzo e di controllo, all'acquisizione di informazioni sull'attuazione delle leggi e sui problemi emergenti dalla societa', alla stesura di studi, di statistiche e di documentazioni relative alle materie sulle quali si svolgono le attivita' istituzionali del Consiglio regionale". Ha evidenziato che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 187 del 1990, aveva avuto modo di precisare che "i gruppi consiliari sono organi del Consiglio regionale, caratterizzati da una peculiare autonomia in quanto espressione, nell'ambito del Consiglio stesso, dei partiti o delle correnti politiche che hanno presentato liste di candidati al corpo elettorale, ottenendone i suffragi necessari alla elezione dei consiglieri. Essi, pertanto, contribuiscono in modo determinante al funzionamento e all'attivita' dell'assemblea, curando l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica". Dunque, i gruppi consigliari sono organi del Consiglio regionale al cui interno esprimono i partiti o le correnti che hanno presentato liste di candidati. I gruppi contribuiscono al funzionamento dell'attivita' assemblare ed ogni consigliere deve essere messo in condizione di concorrere, nel modo indicato, all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale; un'attivita', quella dei gruppi consigliari, funzionale a quella del Consiglio regionale. Ha, quindi, ulteriormente precisato: " Si tratta di affermazioni riprese in seguito dalla stessa Corte costituzionale che, con la sentenza n. 39 del 2014, richiamando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite civili di questa Corte (Sez. U, n. 609 del 01/09/1999, Rv. 529547), ha chiarito e valorizzato ulteriormente la connotazione pubblicistica delle funzioni svolte dai gruppi 5 costituiti in seno ai consigli regionali, definendoli non solo come organi del consiglio e proiezioni dei partiti politici in assemblea regionale, ma anche "come uffici comunque necessari e strumentali alla formazione degli organi interni del consiglio", in quanto funzionalmente inerenti all'istituzione regionale. Nello stesso senso Corte Cost. n. 107 del 2015, in cui si e' aggiunto significativamente che i gruppi consiliari contribuiscono in modo determinante al funzionamento ed all'attivita' dell'assemblea regionale, assicurando "l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica". Si tratta di principi recepiti dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 8145 del 2010, ha concorso a delineare ulteriormente la connessione tra gruppi consigliari e partiti politici. Secondo il giudice amministrativo infatti: "(...) in via generale il gruppo consiliare non e' un'appendice del partito politico di cui e' esponenziale, ma ha una specifica configurazione istituzionale come articolazione del consiglio regionale, i cui componenti esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato dai partiti e dagli elettori (...)". Il Gruppo consigliare non e' un'appendice del partito politico a cui appartiene il singolo consigliere. Non diversamente, le Sezioni Unite civili sono giunte alle stesse conclusioni con l'ordinanza 31 ottobre 2014, n. 23257 (cui hanno fatto seguito le ordinanze 21 aprile 2015, n. 8077, 28 aprile 2015, n. 8570, e 29 aprile 2015, n. 8622) con riguardo alla gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali ed alla ritenuta giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla responsabilita' erariale del componente del gruppo, autore di "spese di rappresentanza" prive di giustificativi. Si e' affermato che: a) i gruppi consiliari hanno "natura pubblicistica" "in rapporto all'attivita' che li attrae nell'orbita della funzione istituzionale del soggetto giuridico, assemblea... regionale, nel cui ambito sono destinati ad operare"; b) i contributi pubblici sono erogati ai gruppi consiliari "con gli specifici vincoli ad essi impressi dalla legge": vincoli "dettagliatamente predefiniti... con esplicito esclusivo asservimento a finalita' istituzionali del consiglio regionale e non a quelle delle associazioni partitiche o, tanto meno, alle esigenze personali di ciascun componente"; c) tenuto conto della qualifica di pubblico ufficiale, ai sensi dell'articolo 357 c.p., comma 1, che la giurisprudenza penale della Corte attribuisce al presidente del gruppo partitico del consiglio regionale, questi, nel suo ruolo, partecipa alle modalita' progettuali ed attuative della funzione legislativa regionale, nonche' alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo". (in tal senso, Sez. 6, n. 1561 del 14/01/2019, Fiorito, Rv. 274940). In questo contesto assume rilevante valenza Sez. U. civ. n. 12 marzo 2019, n. 10772 in cui la Corte, richiamando le proprie precedenti pronunce (Sez. U, 31 ottobre 2014, n. 23257; Sez. U, 21 aprile 2015, n. 8077; Sez. U, 28 aprile 2015, n. 8570; Sez. U, 29 6 aprile 2015, n. 8622; Sez. U, 8 aprile 2016, n. 6895; Sez. U, 7 settembre 2018, n. 21927; Sez. U., 17 dicembre 2018, n. 32618; Sez. U, 16 gennaio 2019, n. 1035 e 1034, quest'ultima con riferimento alla Regione Emilia Romagna) ha ulteriormente chiarito che "la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali e' soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilita' erariale, sia perche' a tali gruppi - pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica - va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica in relazione alla funzione strumentale al funzionamento dell'organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell'origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo". Nell'occasione, le Sezioni unite, richiamando Corte Cost. n. 235 del 2015, hanno ulteriormente precisato che: a) in ordine alla gestione delle somme erogate a titolo di contributi pubblici ai gruppi consiliari, i capigruppo dei Consigli regionali e tutti i consiglieri regionali, anche se sottratti alla giurisdizione di conto, restano assoggettati alla responsabilita' amministrativa e contabile (oltre che penale, ricorrendone i presupposti); b) l'accertamento rimesso in tale ambito alla Corte dei conti, affinche' non debordi dai limiti esterni imposti alla sua giurisdizione, non puo' investire l'attivita' politica del presidente del gruppo consiliare o le scelte di "merito" dal medesimo effettuate nell'esercizio del mandato, ma deve mantenersi nell'alveo di un giudizio di conformita' alla legge dell'azione amministrativa (articolo 1 della L. n. 20 del 1994), come ribadito anche dalla Corte costituzionale (n. 235 e 107 del 2015) e che la riconducibilita' delle spese sostenute dai singoli consiglieri a determinate categorie di spesa, pur astrattamente previste, non vale, di per se', a fare escludere necessariamente la possibilita' che le singole spese siano "non inerenti" all'attivita' del gruppo, nei casi in cui non sia rispettato il parametro di ragionevolezza, soprattutto con riferimento alla entita' o proporzionalita', oltre che all'effettivita' delle spese, anche sotto il profilo della veridicita' della relativa documentazione; c) in siffatto alveo rimane la verifica, rimessa alla Corte dei conti, della "manifesta difformita'", in cio' consistendo propriamente il giudizio di non "inerenza" delle attivita' di gestione del contributo erogato ai gruppi consiliari rispetto alle finalita', di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente, in termini di congruita' e di collegamento teologico delle singole voci di spesa ammesse al rimborso alle finalita' pubblicistiche dei gruppi. Dunque: 1) un collegamento teleologico tra spese e finalita' di preminente interesse pubblico da verificare in termini di congruita'; 2) una verifica che non attiene al merito delle scelte ovvero all'attivita' politica, ma alla conformita' alla legge dell'azione amministrativa, in cui l'astratta riconducibilita' delle spese a determinate categorie, pur teoricamente previste, non esclude che le stesse siano non inerenti rispetto all'attivita' dei gruppo, come definita dalla Corte costituzionale; 3) una verifica che si realizza anche attraverso il parametro di ragionevolezza, in relazione all'entita', alla proporzionalita', alla effettivita' delle spese, alla veridicita' della relativa documentazione e che puo' condurre 7 alla manifesta difformita' della spesa rispetto al perseguimento delle finalita' sottese al funzionamento del Gruppi consigliari. Un denaro, quello attribuito ai gruppi consigliari regionali, pubblico, gestito da pubblici ufficiali, funzionalmente vincolato nel senso indicato; il gruppo consigliare non e' un'appendice del partito politico a cui appartiene il singolo consigliere. Non e' in discussione il principio secondo cui, a seguito delle modifiche apportate alla norma incriminatrice di cui all'articolo 314 co. pen., con la L. n. 86 del 1990, l'origine o - se si preferisce-la natura pubblica o privata del denaro altrui e/o delle altre cose mobili altrui, che costituiscono l'oggetto materiale del peculato, e' un dato irrilevante ai fini del perfezionamento del reato, che e' integrato dal fatto appropriativo di denaro o cosa mobile "altrui" di pertinenza di qualunque soggetto giuridico, pubblico o privato, individuale o collettivo, e non piu' dal denaro o dalla cosa mobile "appartenente alla p.a." secondo la previgente disciplina normativa. Il tema, decisivo rispetto ai fatti oggetto del processo, attiene invece al se ed in che limiti l'attivita' del singolo consigliere componente di un gruppo consiliare, esterna rispetto alla diretta partecipazione ai lavori dell'assemblea dell'ente pubblico territoriale, debba essere scandita da nessi di collegamento funzionale con la vita e le esigenze del gruppo, nel senso indicato dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza richiamata. La questione e' quella di definire la portata del vincolo di destinazione impresso ai contributi erogati dall'ente al gruppo consiliare e, quindi, i limiti entro cui di quei contributi e' possibile fare uso legittimo da parte del singolo consigliere. Limiti in relazione ai quali divenga possibile tracciare, con criteri compatibili con il principio di determinatezza delle condotte pena/mente rilevanti, la pertinenzialita' dell'avvenuto impiego (spendita) da parte del gruppo (e per esso del suo presidente e dei singoli consiglieri) dei contributi gli scopi e obiettivi che di essi contributi costituiscono causa. Sulla base della ricostruzione normativa compiuta e dei principi richiamati, discende in negativo che: a) non possono essere imputate al fondo per il funzionamento dei Gruppi consigliari le spese connesse all'attivita' politica dei partiti, di cui i consiglieri sono espressione, che non siano espressione e connesse ad iniziative del gruppo, volte, cioe', al funzionamento del gruppo; b) non possono essere imputate al fondo le spese che i singoli consiglieri sostengono per la loro personale attivita' politica, spese volte alla "cura" del proprio consenso politico, delle relazioni personali sul territorio con esponenti della societa' civile, con l'informazione, con gli elettori; rapporti finalizzati alla conservazione o all'incremento del consenso politico soggettivo, della visibilita' personale del consigliere, ma del tutto scissi da iniziative e dalle funzioni del gruppo consigliare, nel senso indicato; 8 c) non possono essere imputate al fondo le spese che i consiglieri hanno in ragione dei rapporti personali tra essi, ovvero per l'organizzazione di iniziative politiche che non trovino nel gruppo consigliare la fonte di riferimento e di legittimazione; d) non possono chiaramente essere imputate le spese connesse alle esigenze private del consigliere. Affermare che anche il singolo consigliere possa dare attuazione alle attivita' del gruppo non consente di ritenere che le spese derivanti da ogni atto o comportamento del consigliere possano essere imputate al fondo solo in ragione del rapporto con lo status di consigliere; affermare che le iniziative del gruppo consigliare possano essere attuate anche attraverso il singolo consigliere non consente di ritenere che ogni condotta, ogni comportamento, ogni partecipazione del singolo consigliere ad un evento, anche pubblico, sia espressione dell'iniziativa del gruppo consigliare e che quindi ogni spesa- in quanto di per se' legata all'attivita' del singolo consigliere- sia imputabile al Fondo per il funzionamento. Sul tema si evoca spesso un precedente giurisprudenziale di questa Sezione (Sez. 6, n. 33069 del 12/5/2003, Tretter, Rv. 226531), secondo cui l'attivita' di un gruppo consiliare, estranea alla diretta partecipazione ai lavori dell'assemblea dell'ente pubblico territoriale, sarebbe sempre scandita da nessi di collegamento funzionale con la vita e le esigenze del gruppo, inteso come proiezione del partito politico dei cui progetti e interessi e' portatore". Nell'osservare che con la sentenza impugnata la Corte di merito aveva affermato il principio secondo cui " non risponde del delitto di peculato il presidente di un gruppo consiliare provinciale che si appropri di contributi ottenuti dalla provincia per l'esplicazione dei compiti del proprio gruppo, impiegandoli per sostenere spese di propaganda politica o di rappresentanza (nella specie, per l'acquisto di materiale propagandistico e di oggetto-regalo di modesto valore per gli elettori, per pranzi e rinfreschi in occasione di incontri pre-elettorali), trattandosi di attivita', benche' non istituzionali, comunque legate da nesso funzionale con la vita e le esigenze del gruppo" ha evidenziato la necessita' di una rivisitazione di dette considerazioni in ragione dei principi generali evidenziati. 2.2. In ordine al concetto di spese rimborsabili ed al tema delle spese "c.d. di rappresentanza e di quelle di ristorazione" la Corte di Cassazione ha precisato che il legislatore ha individuato le singole categorie di spesa di rappresentanza ed e' stata la giurisprudenza, soprattutto contabile, a specificare una serie di criteri e principi necessari per delimitarne l'ammissibilita' e la liceita', precisando che vi sono cioe' degli elementi sostanziali e formali che consentono di delimitare la nozione di spesa di rappresentanza e chiarendo che: " La spesa deve essere strettamente correlata con le finalita' istituzionali dell'ente; pertanto, "le spese di rappresentanza possono essere ritenute lecite, solo se sono rigorosamente giustificate e documentate, con l'esposizione, caso per caso, dell'interesse istituzionale perseguito, della dimostrazione del rapporto tra l'attivita' dell'ente e la spesa, della qualificazione del soggetto destinatario e dell'occasione della spesa" (cfr., Corte dei conti, Sez. 2, 20 marzo 2007, n. 64). La spesa deve avere inoltre uno scopo anche promozionale per l'ente; essa deve essere effettuata per l'immagine o per l'attivita' dell'ente: "Le attivita' di rappresentanza, in altri termini, garantiscono una proiezione esterna dell'amministrazione verso la collettivita' amministrata e sono finalizzate ad apportare vantaggi che l'ente trae dall'essere conosciuto"(cfr. Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, 30 luglio 2012, n. 356) Se, quindi, la spesa viene effettuata a fini promozionali di un singolo, per quanto rappresentativo dell'ente (es. il sindaco), la stessa non e' ammissibile e non puo' essere considerata quale spesa di rappresentanza appena delineata (cosi', testualmente, Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 5 novembre 2012, n. 466). Inoltre, si sottolinea, la spesa deve rispondere a criteri di ragionevolezza, sobrieta', sia con riguardo all'evento eventualmente realizzato, sia con riferimento ai valori di mercato. (cfr., fra gli altri, Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per l'Abruzzo, sentenza 30 ottobre 2008, n. 394). Ancora, secondo la Corte dei conti, affinche' possano essere considerate legittime le spese di rappresentanza, esse devono avere i caratteri dell'ufficialita' e dell'eccezionalita'. Nel primo senso, devono, quindi, finanziare "manifestazioni della pubblica amministrazione idonee ad attrarre l'attenzione di ambienti qualificati o dei cittadini amministrati al fine di ricavare i vantaggi correlati alla conoscenza dell'attivita' amministrativa. L'attivita' di rappresentanza ricorre in ogni manifestazione ufficiale attraverso gli organi muniti, per legge o per statuto, del potere di spendita del nome della pubblica amministrazione di riferimento" (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 5 novembre 2012, n. 466, citata.) Ovviamente, come ripetuto sovente dalla giurisprudenza, la spesa non puo' essere rivolta nei confronti di politici o di dipendenti interni all'ente, ma dev'essere rivolta all'esterno (cfr., fra le altre, Corte dei conti, sezione giurisdizionale per l'Umbria, sentenza 30 marzo 2000, n. 160). Si aggiunge che, alla luce dei principi di trasparenza e del generale obbligo di motivazione, e' necessario fornire una rigorosa giustificazione del fine istituzionale perseguito e del rapporto tra l'attivita' dell'ente e la spesa; le spese devono essere rendicontate analiticamente, evidenziandone, in modo documentale, la natura, le circostanze che hanno generato la spesa, i modi e i tempi di tali erogazioni (Cfr. Corte 10 dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, sentenza 5 luglio 2013, n. 246). Una nozione di spesa di rappresentanza rigorosa ma coerente con i principi generali in precedenza indicati; una nozione di spesa conforme alla consolidata definizione che di essa fornisce anche la Corte di cassazione secondo cui per "spese di rappresentanza" devono intendersi solo quelle destinate a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell'ente pubblico al fine di accrescere il prestigio dell'immagine dello stesso e darvi lustro nel contesto sociale in cui si colloca (fra le tante, Sez. 6, n. 36827 del 04/07/2018, M, Rv. 274023; Sez. 6, n. 16529 del 23/02/2017, Ardigo', Rv. 270794; Sez. 6, n. 10135 Raimondi, Rv, 254763). Si tratta di principi che certo non possono essere derogati per i gruppi consigliari regionali, atteso che: a) questi non sono "altro" o "cosa diversa" rispetto all'ente Regione; b) i gruppi consigliari gestiscono denaro pubblico della stessa Regione; c) le somme erogate per il fondo per il funzionamento dei gruppi fanno parte del bilancio della Regione; d) le somme erogate devono essere utilizzate per le finalita' di cui si e' detto; e) rispetto a quelle somme vi era un intrinseco dovere di giustificazione e di controllo. Il tema non e' quello del se l'iniziativa e l'attivita' del gruppo possa essere attuata dal singolo consigliere, quanto, piuttosto, come gia' detto, del se esista una "iniziativa" del gruppo in ragione della quale il singolo consigliere regionale opera. Le somme erogate per il funzionamento dei Gruppi consigliari non costituiscono una sorta di "zona franca", di elargizione liberale di denaro da parte della Regione che i singoli consiglieri possono "modellare" e "piegare" liberamente in ragione del senso politico personale, del loro status, come se fossero state somme di cui si possa disporre per creare o gestire il consenso politico del singolo o per tessere relazioni personali in prospettiva di convenienze e di utilita' della propria carriera politica, all'interno o all'esterno del partito di appartenenza. Dunque, ad esempio, non sono spese di rappresentanza e non sono spese di ristorazione rimborsabili quelle prive di uno specifico collegamento con il gruppo, quelle cioe' non imputabili al gruppo nel senso indicato, quelle aventi ad oggetto donativi del singolo consigliere in occasione di feste o ricorrenze, quelle giustificate in ragione dell'attivita' politica e della visibilita' della sola persona; non sono spese di rappresentanza quelle relative ad incontri con colleghi interni all'ente di appartenenza; non sono spese di rappresentanza quelle sostenute in occasione di incontri con avventori casuali, quelle sostenute per cene o pasti con i propri collaboratori, quelle sostenute in occasioni di incontri con politici, ma pur sempre sganciate da funzioni di visibilita' del gruppo consigliare. Non sono spese di rappresentanza, cioe', tutte quelle estranee alla rappresentanza del gruppo, all'accrescimento della sua capacita' operativa all'interno del Consiglio, e connesse solo alla proiezione esterna ed alle esigenze di visibilita' del consigliere o del partito di appartenenza". Ha, infine, chiarito che: "le considerazioni esposte assumono rilievo anche per le altre categorie di spese, nel senso che, pur volendo prescindere dal tema del se all'epoca in cui i fatti sarebbero stati commessi, fosse o meno previsto un trattamento economico onnicomprensivo anche per quel che concerne le spese rimborsabili, il tema che deve essere verificato e' se le "ulteriori" spese, anche diverse da quelle espressamente disciplinate, siano sostenute per il funzionamento del gruppo consigliare e per il perseguimento delle finalita' ad esso sottese, cosi' come indicate". 2.3. Per quanto concerne la prova della condotta appropriativa, nel rilevarevtale concetto "non coincide affatto con l'assenza di giustificazione della spesa" ha evidenziato che ai fini della prova della responsabilita' penale e della condotta di appropriazione, secondo quanto affermato costantemente dalla giurisprudenza di legittimita': " a) non puo' darsi di per se' rilievo alla mancanza di coeva giustificazione, nel senso che non puo' intendersi come intrinsecamente illecita la spesa per il solo profilo formale, salva la sua concreta verifica; b) la prova della condotta appropriativa deve essere fornita dalla Pubblica Accusa. (Sez. 6, n. 38245 del 03/07/2019, De Luca Cateno, Rv. 276712; Sez. 6, n. 35683 del 01/06/2017, Adamo, Rv. 270549). In tale contesto, si pone il tema: a) delle c.d. spese ambivalenti, cioe' di spese la cui natura strutturale non sia di per se' rivelatrice della loro incompatibilita' ontologica rispetto alle finalita' pubbliche attributive del potere di spesa; b) della impossibilita', ai fini penali, di far discendere la prova della condotta appropriativa per le c.d. spese ambivalenti da una giustificazione incerta, incompleta dubbia, non univoca (Sez. 6, n. 2166 del 09/04/2019, Marino, Rv. 276067). Si tratta di un tema che risente tuttavia di quanto gia' in precedenza detto in ordine: a) all'onere oggettivo in capo ai consiglieri di documentazione della spesa e della sua giustificazione, derivante dalla natura del denaro e dalla sua destinazione funzionale; b) alla necessita' che la spesa sia finalizzata al perseguimento degli scopi per cui le somme erano erogate al fondo di funzionamento dei gruppi consigliari; c) all'esatta individuazione delle finalita' del Fondo, di cui pure si e' detto. Il giudizio di ambivalenza, ovvero quello della strutturale incompatibilita' della spesa rispetto alle finalita' istituzionali del gruppo, e' un giudizio di relazione che viene formulato avendo come polo di riferimento la corretta individuazione, nel senso indicato, della 12 finalita' dei gruppi consigliari; la spesa e' davvero ambivalente se e' in astratto compatibile con le reali finalita' del fondo, queste ultime correttamente individuate. Quanto alle spese effettivamente ambivalenti, il tema dell'appropriazione deve senza dubbio prescindere da meccanismi presuntivi e di distribuzione dell'onere della prova; in tal senso va in parte rimodulato il principio affermato da Sez. 6, n. 23066 del 2009, Provenzano, secondo cui integra il delitto di peculato l'utilizzazione di denaro pubblico accreditato su un capitolo di bilancio intestato a "spese riservate", quando non si dia una giustificazione certa e puntuale del suo impiego per finalita' strettamente corrispondenti alle specifiche attribuzioni e competenze istituzionali del soggetto che ne dispone, tenuto conto delle norme generali della contabilita' pubblica, ovvero di quelle specificamente previste dalla legge. La questione ha una dimensione fattuale e probatoria, oltre che giuridica. La prova della finalita' illecita della spesa per cui si chiede ed ottiene il rimborso e' innanzitutto direttamente proporzionale alla "distanza", al "quantum" che intercorre tra la causa apparente della spesa rispetto alla ragione giustificativa dell'attribuzione del potere di spesa. La necessita' di approfondire sul piano probatorio la causale della spesa si pone dunque in senso progressivo rispetto alla capacita' dimostrativa della documentazione "ex ante" prodotta, cioe' al momento in cui viene chiesto il rimborso; quanto piu' sara' neutra o ambigua la documentazione originaria, tanto piu' potra' essere evidente la necessita' di approfondire ed investigare. E' possibile che le indagini colorino di significato indiziario l'originaria documentazione, ed allora, davanti a richieste di spiegazioni, puo' assumere rilievo la capacita' dimostrativa della documentazione "ex post", eventualmente prodotta nell'ambito dello sviluppo dialettico del procedimento, ovvero le giustificazioni fornite. In situazioni come quella in esame, la prova dell'appropriazione e' connessa innanzitutto alla rilevanza causale apparente della spesa, alla sua specificita' originaria, per come rappresentata al momento in cui fu richiesto il rimborso, nel senso che e' possibile che sin dall'inizio la spesa abbia una giustificazione documentale pienamente compatibile ovvero, viceversa, strutturalmente incompatibile con le finalita' giustificative del potere di spesa (es., in astratto, spesa per una festa di compleanno di un parente, per pagare stanze di albergo a soggetti terzi, o per un regalo privato) In questi ultimi casi la prova della condotta appropriativa, per certi versi, e' docu mentale. Nel caso in cui, invece, la documentazione originaria sia causalmente muta (uno scontrino relativo ad una consumazione tra due o piu' persone, o ad un acquisto da un dato negozio, una ricevuta di ristorazione) ovvero sia indicativa di una causale astrattamente compatibile con quelle giustificanti la spesa, ma tuttavia generica (es. "spese di rappresentanza" "spese di ristorazione"), il tema della prova della condotta 13) appropriativa assume una valenza indiziaria e si sposta all'interno dell'accertamento processuale. La questione si pone nei casi in cui, a fronte di una documentazione originaria muta od opaca, vi siano risultanze di indagini che colorino quella documentazione originaria di significato penalmente rilevante sotto molteplici profili; ci si puo' riferire: a) ai casi in cui venga accertato che il consigliere si trovasse in un posto diverso da quello in cui risulta emesso il documento contabile per il quale si e' chiesto il rimborso; b) ai casi in cui, nel corso dello stesso giorno, risultino emessi piu' scontrini in luoghi diversi e distanti tra loro; c) ai casi in cui risultino una quantita' di scontrini o di documenti che, per frequenza e sistematicita', riveli una finalita' non compatibile con quella istituzionale, perche' esplicita la sostanziale inesistenza di una iniziativa del gruppo; d) ai casi in cui la documentazione contabile riguardi spese avvenute in luoghi ovvero in giorni che solitamente si frequentano in periodi di vacanza, quando l'attivita' istituzionale dei gruppi consigliari e' sospesa; e) ai casi in cui le contabili di prelievi dal conto corrente del gruppo siano anticipate e temporalmente distanti dalla data della documentazione per cui si chiede il rimborso. Si tratta di situazioni in cui le risultanze investigative si sviluppano sulla base di una documentazione "neutra" e portano a far emergere una situazione in cui il difetto di giustificazione della spesa si manifesta in modo chiaro e stringente, atteso il numero, il tipo, la sequenza, la sistematicita', l'oggetto, le coordinate di tempo e di luogo delle spese, le modalita' di gestione complessiva del denaro. In tali contesti la dialettica probatoria puo' rivelare e fare emergere l'esistenza di situazioni altamente significative sul piano probatorio della condotta appropriativa. Non si intende fare riferimento ai casi in cui, a fronte di situazioni come quelle appena indicate ed ad una fisiologica richiesta di spiegazioni a seguito delle risultanze di indagini, il soggetto interessato produca documenti o alleghi circostanze che, pur incomplete, pur non decisive, lascino il fondato, ragionevole dubbio che quella spesa possa essere stata comunque sostenuta per il conseguimento delle finalita' istituzionali. Assumono invece i casi in cui l'interessato, in situazioni come quelle descritte, non fornisca nessuna spiegazione - ad esempio del perche' sia stato chiesto il rimborso di una spesa sostenuta in un luogo ed in un tempo in cui egli era altrove - ovvero adduca spiegazioni o produca documenti che, al di la' dei convincimenti soggettivi (che al piu' possono assumere rilievo sul piano dell'accertamento del dolo), confermino, anche solo implicitamente, la causale esterna della spesa rispetto alle finalita' attributive del potere e finiscono per provare l'interversione del possesso. Un procedimento probatorio indiziario complesso, in cui il requisito della molteplicita' degli indizi, che consente una valutazione di concordanza, e quello di gravita' si completano a vicenda; un ragionamento indiziario in cui elementi singoli di limitata valenza possono assumere rilievo per il loro numero elevato e per la loro cadenza 14 sistematica e possono accompagnarsi ad altri indizi, forse numericamente minori, ma di maggiore consistenza dimostrativa del fatto da provare. (ex multis Sez. 5, n. 16397 del 21/2/2014, P.G. in proc. Maggi, Rv. 259552) ". 3. Cio' premesso occorre muovere da un primo dato che inficia la tenuta logica della sentenza impugnata con riferimento alla posizione di entrambi gli imputati, non risultando rispettato il dictum della Cassazione quanto alla esatta individuazione delle "spese non rimborsabili". 3.1. Secondo quanto stabilito in dispositivo (OMISSIS) e' stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 80), 125) e 126): "limitatamente alle spese postali e convegnistiche" e (OMISSIS) e' stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) "limitatamente alle spese per i periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" e per la messaggistica "(OMISSIS)" e per quelle di ristorazione meglio indicate in motivazione", risultando evidente la (parziale) "indeterminatezza" del dispositivo. Orbene i rapporti che regolano la motivazione ed il dispositivo della sentenza penale sono complessi e non sono soggetti ad un'unica disciplina, perche' la regola secondo la quale il rapporto esistente nel processo penale tra il dispositivo e la motivazione della sentenza, regola che si risolve nel ritenere quest'ultima inidonea a svolgere una autonoma efficacia giuridica, capace di incidere, a posteriori, sul contenuto essenziale del dispositivo, puo' essere derogata nei casi in cui, essendo la motivazione ed il dispositivo emessi contestualmente, la prima puo' possedere l'attitudine ad incidere sul comando giuridico che dalla sentenza penale deriva, posto che entrambe le parti essenziali di essa trovano una simultanea origine, capace di rendere intelligibile il comando stesso. Tuttavia, fuori dai casi di emanazione contestuale di motivazione e dispositivo della sentenza penale, e' alla pronuncia di quest'ultimo che e' affidata nel processo penale la funzione dell'applicazione della legge al fatto contestato all'imputato, mentre la motivazione adempie ad una finalita' meramente strumentale per cui e' improduttiva di conseguenze giuridiche diverse da quelle coerenti col dispositivo. Ne consegue che la motivazione non puo', di regola, supplire alle eventuali omissioni del dispositivo. Nel caso in esame la mancata esatta indicazione delle spese "non rimborsabili" oggetto delle contestate condotte di peculato nel dispositivo non poteva essere integrata dalla motivazione ove, peraltro, i giudici di merito, quanto alla specifica posizione del (OMISSIS), hanno introdotto un altro elemento di confusione ed incertezza in quanto hanno indicato come non consentite "spese per ristorazione" che non possono logicamente ricomprendersi nelle speSe "convegnistiche", non comprendendosi, quindi, per quali esatti fatti, alla lettura del dispositivo, il suindicato imputato e' stato ritenuto responsabile. Altrettanto "anomala" appare la condanna dello (OMISSIS) ritenuto responsabile per fatti di peculato individuati solo ex posta fronte di una ben piu' ampia contestazione contenuta nel capo di imputazione riguardante numerose spese. Sotto questo profilo, ove non volesse ritenersi sussistente una vera e propria nullita' ex articolo 546 c.p.p., sussiste certamente un vizio di motivazione decisivo in quanto la suddetta carenza si ripercuote sulla coerenza e logicita' del complessivo impianto motivazionale. 4. Risultano, parimenti, fondate le censure relative alle gravi carenze motivazionali della pronunzia de qua con la quale e' stato operato un parziale "overturning" rispetto alla pronunzia assolutoria di primo grado, senza che la Corte territoriale si sia, peraltro, conformata al thema decidendum come delineato nella sentenza di annullamento. La giurisprudenza di questa Corte si e' ripetutamente occupata del tema del "ribaltamento" della sentenza assolutoria di primo grado. Secondo una prima elaborazione giurisprudenziale la sentenza che, in riforma totale della decisione di primo grado, sostituisce l'assoluzione dell'imputato con l'affermazione di colpevolezza, deve contenere una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte. Ne discende che il giudice di appello dovra' confrontarsi con le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l'integrale riforma senza limitarsi ad inserire delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire un percorso argomentativo, nuovo e compiuto, che dimostri, in primo luogo, con una rigorosa analisi, "l'incompletezza o l'incoerenza" della decisione appellata, "non essendo altrimenti razionalmente giustificata la riforma" (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. U, n. 6682 del 4/2/1992, Musumeci, Rv. 191229; Sez. U, n. 45276 del 30/10/200.3, Andreotti, Rv. 226093). Per la riforma di una sentenza assolutoria nel giudizio di appello non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio gia' acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, ma occorre invece una "forza persuasiva superiore", tale da far venire meno "ogni ragionevole dubbio". La condanna, infatti, come significativamente evidenziato da Sez. 6, n. 40159 del 3/11/2011, Galante, Rv. 251066 "presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza". Orbene appare evidente che la corte territoriale ha posto a fondamento i medesimi elementi di prova gia' valorizzati dal Tribunale per pervenire ad una pronuncia liberatoria, fornendone una lettura prospettata come piu' plausibile. Nel delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio, non ha, pero', proceduto alla necessaria confutazione delle difformi valutazioni del primo giudice, mettendone in luce le carenze o le aporie o, quanto meno, dando conto delle ragioni dell'incompletezza o incoerenza dei piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza. In particolare la Corte territoriale, senza affrontare funditus il tema delle spese c.d. ambivalenti e di quelle del tutto scisse da iniziative e dalle funzioni del gruppo consiliare (ed in tal modo violando anche il disposto di cui all'articolo 627 c.p.), si e' limitata a richiamare genericamente il tenore della documentazione in atti ed ha ritenuto ininfluenti le dichiarazioni rese dagli imputati sulle quali era stata fondata la pronunzia assolutoria proprio in ragione dei chiarimenti forniti circa la legittimita' delle stesse, pervenendo, del tutto apoditticamente, alla conclusione circa la finalita' di "propaganda politica personale" delle spese per cui e' intervenuta la statuizione di condanna. E sebbene il G.U.P., nel pervenire alla pronunzia assolutoria, aveva anche esaminato la documentazione prodotta dagli imputati e le loro memorie (vedi, in particolare, quanto al (OMISSIS) memoria con allegato provvedimento di archiviazione da parte della Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale delle (OMISSIS) della Corte dei Conti in data 19/11/2015 e quanto allo (OMISSIS) la messagistica (OMISSIS) e le riviste con allegate memorie) la Corte di appello di Perugia non ne ha fatto cenno alcuno (se non per sommi capi) ovvero ne ha richiamato il contenuto con considerazioni del tutto generiche ed apodittiche Il ribaltamento dello scrutinio di responsabilita' compiuto nel processo di appello sullo stesso materiale probatorio acquisito in primo grado doveva essere, comunque, sorretto da 20 argomenti dirimenti, conseguenti alla rinnovata disamina delle prove tale da rendere evidente l'errore della sentenza assolutoria, la quale deve rivelarsi, rispetto a quella di appello, non piu' razionalmente sostenibile, per essere stato del tutto fugato ogni ragionevole dubbio sull'affermazione di responsabilita', procedimento nel caso in esame non correttamente seguito. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, in accoglimento dei motivi sin qui esaminati dedotti dai suindicati ricorrenti, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Firenze, che, nella piena liberta' delle valutazioni di merito di sua competenza, dovra' porre rimedio alle rilevate carenze motivazionali, uniformandosi ai richiamati principi di diritto. Giova rilevare che, a fronte dei cennati vizi e delle anzidette gravi lacune motivazionali, la questione relativa alla nullita' della sentenza impugnata in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. rimane di fatto assorbita: spettera' al giudice del rinvio valutare, se a fronte di quanto argomentato dal primo giudice - le cui argomentazioni dovranno costituire punto di partenza ed oggetto "adeguato confronto" - appaia indispensabile, per esigenze legate ad una rivalutazione di prove dichiarative ritenute decisive, disporre la rinnovazione dell'attivita' istruttoria. Rimangono assorbiti tutti i rimanenti motivi perche' afferenti a questioni la cui delibazione resta logicamente subordinata all'esito del nuovo scrutinio del tema, principale, della responsabilita', fermo restando che gia' in questa sede deve rilevarsi che, alla luce del devoluto e di quanto statuito dalla Suprema Corte con la suddetta sentenza, non potra' piu' essere messa in discussione la qualificazione dei fatti in questione quale ipotesi di peculato ex articolo 314 c.p. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente Dott. APRILE Ercole - Consigliere Dott. GALLUCCI Enrico - Consigliere Dott. TRIPICCIONE Debora - rel. Consigliere Dott. DI GERONIMO Paolo - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 3. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 4. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 5. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 6. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 7. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 8. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 9. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 10. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 11. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 12. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 13. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 14. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 15. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 16. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 17. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 18. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 19. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 20. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 21. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 22. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 23. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 24. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 25. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 26. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 27. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 28. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 29. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 30. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 31. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 32. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 33. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 34. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 35. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); 36. (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza emessa il 13 luglio 2021 dalla Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dai Consiglieri Dott.ssa TRIPICCIONE Debora e Dott. DI GERONIMO Paolo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. MOROSINI Piergiorgio, che ha concluso ha chiedendo il rigetto dei ricorsi di tutti i ricorrenti ad eccezione di quello relativo a (OMISSIS), per il quale ha chiesto l'inammissibilita'; udito il difensore della parte civile, Regione Lombardia, avv. FORLONI Antonella, che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi degli imputati nei confronti dei quali e' ancora costituita; uditi i difensori degli imputati: avv. DIODA' Nerio Giuseppe, in difesa di (OMISSIS); avv. AIELLO Domenico, in difesa di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); avv. LUNGHINI Giacomo Umberto, in difesa di (OMISSIS); avv. CORSO Piermaria in difesa di (OMISSIS), e, quale sostituto processuale dell'avv. ROSSI Claudio in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) e dell'avv. PENSA Jacopo Giuseppe Alessandro in difesa di (OMISSIS); avv. DINACCI Filippo, in difesa di (OMISSIS); avv. QUADRI Gianluca, in difesa di (OMISSIS); avv. NEGRINI Marco Giuseppe, in difesa di (OMISSIS); avv. BRUNO Pierfrancesco, in difesa di (OMISSIS); avv. FORONI Pietro, in difesa di (OMISSIS); avv. MAIONE Luigi, in difesa di (OMISSIS); avv. SCALVI Gianbattista Ludovico, in difesa di (OMISSIS); avv. BIGNOTTI Antonio, in difesa di (OMISSIS), e, quale sostituto processuale dell'avv. PISONI Luigi in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS); avv. MANCUSI Davide in difesa di (OMISSIS); avv. SFORZA Claudio, quale sostituto processuale dell'avv. MARINI Massimo, in difesa di (OMISSIS); avv. ODDI Silvia, anche in sostituzione dell'avv. APICELLA Michele, in difesa di (OMISSIS); avv. SILVA Franco Claudio, in difesa di (OMISSIS); avv. MORRA Piermario, quale sostituto processuale dell'avv. AVIDANO Alberto, in difesa di (OMISSIS); avv. GATTO Simone, in difesa di (OMISSIS), e quale sostituto processuale dell'avv. BELTRANI Carlo in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) e dell'avv. Cammarata Leonardo in difesa di (OMISSIS); avv. PROIETTI Daria, quale sostituto processuale dell'avv. RONCORONI Simona, in difesa di (OMISSIS); avv. FERABECOLI Gabriele, quale sostituto processuale dell'avv. VINCI Paolo, in difesa di (OMISSIS); i quali hanno insistito per l'accoglimento dei ricorsi proposti. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 18 gennaio 2019, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati di seguito indicati rilevando la sopravvenuta estinzione per prescrizione delle condotte di peculato commesse nel 2008 e rideterminato il trattamento sanzionatorio in relazione alle condotte commesse successivamente. In particolare, la dichiarazione di prescrizione ha riguardato le seguenti posizioni: (OMISSIS), quanto al capo 6 e, limitatamente ai fatti commessi nell'anno 2008, (OMISSIS) (capo 11), (OMISSIS) (capo 20), (OMISSIS) (capi 21 e 61), (OMISSIS) (capo 22), (OMISSIS) (capi 6, 27 e 61), (OMISSIS) (capo 28), (OMISSIS) (capo 31), (OMISSIS) (capo 37), (OMISSIS) (capo 24), (OMISSIS) (capo 42), (OMISSIS) (capi 48 e 48 A), (OMISSIS) (capi 6, 50 e 61), (OMISSIS) (capo 52), (OMISSIS) (capi 6, 56 e 61) e (OMISSIS) (capo 62). La medesima sentenza ha, invece, assolto (OMISSIS) dai fatti ascritti al capo 23 limitatamente alle spese sostenute nelle date del 25/11/2011, 4/3/2011, 29/4/2011, 6/3/2012 e 19/4/2012, perche' il fatto non sussiste e dichiarato non doversi procedere in ordine ai fatti commessi nell'anno 2008 per intervenuta prescrizione, rideterminando il trattamento sanzionatorio; ha assolto (OMISSIS) dai reati ascritti al capo 55, limitatamente alla spesa sostenuta il 12/11/2009, perche' il fatto non sussiste e dichiarato non doversi procedere in ordine ai fatti commessi nell'anno 2008 per intervenuta prescrizione, rideterminando il trattamento sanzionatorio. La sentenza ha, inoltre, revocato la confisca disposta nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), e (OMISSIS). Quanto alle statuizioni civili, ha, infine, revocato quanto disposto a carico di (OMISSIS) ed ha, invece, confermato le ulteriori statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado, ovvero: - la condanna generica al risarcimento del danno cagionato alla Regione Lombardia e l'assegnazione di una provvisionale diversamente quantificata in relazione alle posizioni dei singoli imputati, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); - la condanna di (OMISSIS) al risarcimento del danno cagionato alla Regione Lombardia, quantificato in Euro 673,00 e titolo di danno patrimoniale e in Euro 1000,00 a titolo di danno non patrimoniale; - la condanna di (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido tra loro, al risarcimento del danno cagionato alla medesima Regione Lombardia liquidato in Euro 127.000,00 a titolo di danno patrimoniale e in Euro 12.000,00 a titolo di danno non patrimoniale. 2. Va premesso che, per quanto rileva in questa Sede, la sentenza impugnata ha confermato la condanna per il reato di peculato in relazione alle condotte di appropriazione, poste in essere dagli imputati nella qualita' di consiglieri regionali presso la Regione Lombardia e, limitatamente agli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali Presidenti dei Gruppi consiliari, avente ad oggetto somme di denaro prelevate dal contributo stanziato al gruppo di appartenenza ai sensi della Legge Regionale 27 ottobre 1972, n. 34, articolo 2-ter, impiegato per spese estranee e non funzionali all'espletamento del mandato consiliare. Il tutto, con riferimento alle legislature dal 2009 al 2012. 2.1. In particolare, secondo la concorde ricostruzione delle due sentenze di merito, sulla base della legislazione regionale all'epoca vigente (L. n. 34 del 1972 e L. n. 17 del 1992) nonche' della disciplina relativa al trattamento economico ed ai rimborsi dei consiglieri regionali lombardi, le spese che potevano essere imputate al fondo per il funzionamento del gruppo erano solo quelle connesse alle funzioni istituzionali dei gruppi. Occorre, dunque, il collegamento teleologico-funzionale tra l'attivita' del singolo consigliere e la vita e le esigenze del gruppo. Si e' ritenuto, sulla base della citata disciplina regionale, che il denaro del fondo fosse nella disponibilita' materiale del Presidente di ciascun gruppo, gravato dell'onere di vigilanza e di rendicontazione contabile, e nella disponibilita' giuridica dei singoli consiglieri, i quali potevano accedere al rimborso delle spese sostenute attraverso una mera autodichiarazione, corredata dalla relativa documentazione contabile; tale "autodichiarazione" fungeva sostanzialmente da ordine di spesa rivolto alla struttura amministrativa del gruppo consiliare che, limitandosi a svolgere controlli di carattere esclusivamente formale, circoscritti alla corrispondenza della spesa con quella rimborsabile, operava come "tesoreria" o cassa. La prova della condotta appropriativa e' stata, pertanto, desunta sulla base di una valutazione logica degli elementi documentali prodotti, ponendo soprattutto l'accento sulla indeterminatezza e "plurivocita'" della documentazione prodotta dagli interessati in allegato alle richieste di rimborso, giudicata priva di elementi suscettibili di rendere possibile la verifica circa l'inerenza della spesa al fine istituzionale. 2.2. La sentenza impugnata ha, inoltre disatteso la lettura estensiva proposta dagli appellanti della "inerenza" delle spese al mandato consiliare, comprensiva anche dell'attivita' politica svolta dal consigliere e di tutti gli esborsi che siano comunque correlati all'esercizio del mandato consiliare, con esclusione delle sole spese volte a soddisfare gli interessi egoistici e personali. Si e', infatti, adottata una nozione di "inerenza" circoscritta alle sole spese "connesse ad iniziative del gruppo, decise dal gruppo, volte al funzionamento del gruppo" e, per quanto riguarda le spese di rappresentanza, alle sole spese correlate con le finalita' istituzionali dell'ente e rispondenti ai requisiti desumibili dalla giurisprudenza della Corte dei conti (scopo promozionale per l'immagine o per l'attivita' dell'ente, rispondenza a criteri di ragionevolezza, sobrieta', ufficialita', eccezionalita', destinazione all'esterno e non nei confronti di politici o di dipendenti pubblici). Sulla base di tali canoni di giudizio, la sentenza ha escluso l'inerenza delle spese di ristorazione alle spese di rappresentanza del gruppo ove non connesse ad un incontro istituzionale debitamente documentato ed organizzato dal gruppo consiliare. Sono state, pertanto, qualificate come spese di rappresentanza solo quelle destinate a coprire esigenze organizzative ed eventi pubblici (convegni, tavole rotonde, comizi), o a fornire ospitalita' (pranzi, cene..) a personalita' istituzionali in occasione di tali avvenimenti, con esclusione di quelle personali o volte alla promozione dell'attivita' politica del singolo consigliere, sostenute in occasione di incontri con singoli cittadini, imprenditori, politici, giornalisti, ivi compresi i pranzi o le cene su "politiche regionali", in quanto di per se' non collegate con la finalita' istituzionale prescritta di proiezione dell'immagine esterna del gruppo. Analogo criterio e' stato adottato con riferimento alle spese di viaggio che, tenuto conto dei rimborsi gia' previsti per i singoli consiglieri dalla Legge Regionale 23 luglio 1996, n. 17, articoli 3 e 5, sono state ritenute "inerenti" e dunque quali spese di rappresentanza solo se strettamente connesse ad eventi o rappresentanze istituzionali collegate all'attivita' istituzionale del gruppo. Sono state, infine, escluse le spese sostenute dal personale per trasferte, vitto e alloggio e cio' alla luce della disciplina regionale vigente all'epoca dei fatti (Legge Regionale n. 21 del 1996, articolo 21 poi trasfuso nella Legge Regionale n. 20 del 2008, articolo 67) che prevedeva lo stanziamento di un budget, prestabilito ed omnicomprensivo, per il personale di staff e segreterie. 2.3. La sentenza, inoltre, disattendendo le deduzioni difensive in merito alla rilevanza "scusante" della prassi amministrativa e del vademecum che ogni gruppo consiliare distribuiva agli eletti, privo di puntuali e specifiche indicazioni sulla rendicontazione delle spese, ha ritenuto sussistente l'elemento psicologico del reato. In particolare, ha rilevato che, a fronte della ipotizzata incertezza della interpretazione di talune nozione, quale quella di spese di rappresentanza, i singoli consiglieri avevano fatto affidamento sulla prassi deformalizzata adottata dal personale amministrativo e sulla presenza dei controlli successivi, anziche' attivarsi attraverso lo strumento del quesito ad organi qualificati o del ricorso all'autorita' giurisdizionale contabile. 3. Propongono ricorso per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Si procedera' ad illustrare il contenuto dei ricorsi analizzando, innanzitutto, le questioni comuni a piu' ricorrenti per poi affrontare le questioni relative alle specifiche posizioni dei singoli ricorrenti. 4. La disponibilita' del denaro e la configurabilita' del peculato. Una prima questione dedotta dai ricorrenti, con esclusione della posizione di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), censura la qualificazione giuridica delle condotte contestate come peculato in relazione alla ritenuta disponibilita' giuridica del denaro e, conseguentemente, alla sua illecita appropriazione. Si deducono, infatti, la violazione dell'articolo 314 c.p., l'erronea interpretazione delle leggi regionali (Legge Regionale Lombardia n. 34 del 1972, articoli 1 e 2-ter e Legge Regionale Lombardia n. 17 del 1992, articolo 4, comma 1, nonche' dell'articolo 6 del regolamento attuativo di entrambe le leggi approvato con delibera n. 192 del 19/6/2001 dal Consiglio Regione Lombardia) e vizi di motivazione in relazione alla ritenuta disponibilita' giuridica del denaro da parte dei singoli consiglieri. Si assume, infatti, che, alla stregua della citata disciplina regionale, i fondi regionali su cui gravavano i rimborsi non erano nella disponibilita' immediata dei singoli consiglieri ma del Presidente del Gruppo, cui competeva sia l'autorizzazione della concessione del rimborso a seguito di specifica istanza del consigliere che l'obbligo di redigere e depositare il rendiconto annuale presso l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale cui spettavano le successive verifiche in merito alla regolarita' (formale) nella sua redazione. Pertanto, sulla base dell'iter che regolava il rimborso delle spese ai consiglieri, occorre distinguere tra lo stanziamento del fondo a favore del gruppo consiliare, nella persona del suo Presidente, ed il rimborso delle spese, che, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, non viene direttamente "ordinata" e, sostanzialmente "autoliquidata" dal singolo consigliere, ma sottoposto ad un controllo preliminare di carattere formale da parte della struttura amministrativa del gruppo e ad una successiva autorizzazione del presidente stesso. 4.1. A conferma di tale diverso inquadramento del rapporto esistente tra il singolo consigliere ed il denaro pubblico, si segnala, da un lato, che i consiglieri non avevano a disposizione una carta di credito regionale e, dall'altro, non avevano alcun potere di autorizzare i rimborsi. Il consigliere, dunque, era un mero creditore e non un "ordinatore di spesa". Cio' sarebbe emerso dall'istruttoria dibattimentale in cui i testi, sia della struttura amministrativa del gruppo (tra i tanti, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) che della Regione (il funzionario regionale (OMISSIS)) hanno confermato i controlli effettivi cui erano sottoposte le richieste rimborso, hanno riferito anche di rimborsi non accolti e della non necessita', confermata anche dalle informazioni assunte presso l'Ufficio Bilancio del Consiglio Regionale ed il Presidente del Gruppo di riferimento (v. teste (OMISSIS)) di una specifica rendicontazione delle spese, all'epoca non prevista dalla legge regionale, essendo sufficiente la presentazione di un documento attestante l'esborso. 4.2. Nel ricorso degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si deduce, inoltre, l'illogicita' e contraddittorieta' della sentenza impugnata laddove afferma la colpevolezza degli imputati in assenza del contributo del presidente del gruppo consiliare, pur riconoscendo che solo quest'ultimo aveva la disponibilita' materiale del fondo e che solo attraverso questa il singolo consigliere avrebbe potuto definitivamente appropriarsi del denaro pubblico. 4.3. Altri profili di illogicita' segnalati da alcuni ricorrenti attengono: a) alla incompatibilita' tra la necessaria "autodichiarazione" del consigliere e la ritenuta disponibilita' giuridica del bene pubblico che richiede, invece, la possibilita' di disporne in autonomia; b) all'assenza di una contestazione di concorso da parte dei funzionari amministrativi che omettevano i controlli. 4.5. Sotto altro profilo, il ricorrente (OMISSIS) rileva che, anche a voler ammettere che il consigliere regionale aveva la disponibilita' giuridica del denaro, non vi sarebbe stata, secondo le coordinate della giurisprudenza di legittimita', una appropriazione con la distrazione del denaro per finalita' di carattere privato in quanto le spese sostenute, rispetto alle quali la sentenza impugnata considera legittime solo quelle specificamente asservite alle finalita' istituzionali del Consiglio regionale e del gruppo consiliare, riguardavano, comunque, spese per ristorazione e trasporti in relazione ad incontri sul territorio con il collegio elettorale di riferimento del gruppo consiliare e dunque correlate al ruolo istituzionale del consigliere. 5. La diversa qualificazione del fatto. Quale logica conseguenza della dedotta censura appena esaminata, molti ricorsi invocano una riqualificazione delle condotte contestate ora nel reato di cui all'articolo 316-ter c.p. o in quello di cui all'articolo 640-bis c.p., ora nel delitto di abuso di ufficio - avendo i consiglieri sostenuto le spese per finalita' non di carattere privato - ora, infine, sul presupposto che non essendo stato contestato il concorso da parte dei funzionari amministrativi addetti al controllo ed alla successiva erogazione dei rimborsi, il singolo consigliere approfittando dell'errore del funzionario amministrativo deputato al controllo delle richieste, abbia indebitamente ricevuto detto rimborso, del reato di cui all'articolo 316 c.p.. In particolare, con riferimento all'ipotesi prospettata nella maggior parte dei ricorsi, ovvero l'articolo 316-ter c.p., in considerazione della filiera di controlli cui era sottoposta l'istanza, si pone l'accento sulle effettive risultanze probatorie ovvero che i singoli consiglieri avrebbero, al piu', depositato documenti falsi o attestanti cose non vere per ottenere la liquidazione dei rimborsi. Con riferimento a tale diversa qualificazione della condotta si rileva in taluni casi (ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS)) che le somme mensili di cui e' stato chiesto il rimborso non hanno superato la soglia di punibilita' prevista dall'articolo 316-ter c.p., comma 2, la carenza dell'elemento soggettivo del reato e, comunque la sua prescrizione (ricorso proposto da (OMISSIS)). 6. L'onere della prova. I ricorrenti hanno, inoltre, contestato, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, il criterio probatorio applicato dalla Corte di appello, sottolineando come - pur essendo stato formalmente ribadito il principio per cui l'onere della prova ricade sul pubblico ministero - in concreto si e' determinata una vera e propria inversione del suddetto onere. Occorre premettere che tale tematica e' strettamente collegata a quella che si trattera' in seguito, concernente la mancata ammissione dei testi indicati dalle difese degli imputati. E' utile evidenziare fin da subito, infatti, come i ricorrenti hanno concordemente dedotto che, da un lato, sono stati valorizzati meri indizi, spesso privi dei requisiti di gravita' e precisione, in ordine alla non riferibilita' dei rimborsi ad attivita' istituzionali e, al contempo, si e' impedito agli imputati di fornire la prova della legittimita' dei contributi percepiti. I ricorrenti partono dall'assunto secondo cui la Corte di appello avrebbe unicamente menzionato, senza in concreto applicarlo, il consolidato orientamento secondo cui, in tema di peculato, la prova del reato non puo' discendere dalla sola carenza di formale giustificazione della spesa, ne' dall'insufficienza della documentazione prodotta a sostegno della richiesta di rimborso, essendo onere della pubblica accusa dimostrare che i fondi sono stati, in concreto, destinati a finalita' incompatibili con il perseguimento dell'interesse pubblico. 6.1 Nella sentenza impugnata, si e' dato atto di come molte delle spese per le quali i ricorrenti hanno ottenuto il rimborso avevano un giustificato sostanzialmente "neutro", nel senso che la voce di spesa di per se' non e' indicativa della concreta destinazione del denaro, potendo essere compatibile tanto con un impiego lecito, quanto con una distrazione di fondi. Cio' si sarebbe verificato, in particolare, per le numerosissime spese per "ristorazione", rispetto alle quali la Corte di appello avrebbe dovuto richiedere dalla pubblica accusa la prova specifica dell'estraneita' di tali esborsi a finalita' pubblicistiche del tipo di quelle contemplate dalla normativa in tema di contributi ai gruppi regionali. La Corte di appello, invece, si sarebbe affidata ad elementi indiziari privi dei necessari caratteri di gravita', univocita' e precisione, enucleando una serie di elementi fattuali che, in realta', sarebbero privi di un'effettiva capacita' probatoria. In particolare, i ricorrenti deducono che, con riguardo alle spese di ristorazione per "consumazioni singole", la Corte di appello ha ritenuto che queste dissimulassero un mero rimborso indebitamente ottenuto dal consigliere in relazione a pasti dal medesimo consumati, al di fuori di qualsivoglia evento avente rilevanza esterna. In altre circostanze, invece, e' stato stigmatizzato il fatto che le consumazioni, in quanto avvenute presso bar, autogrill, pizzerie, trattorie o, comunque, esercizi commerciali per loro natura destinati a fornire un servizio non "di rappresentanza", non potessero rientrare tra le finalita' per le quali era consentito il rimborso. Ulteriore indice sintomatico della sussistenza del reato e' stato individuato in relazione al luogo o alla data della consumazione, ritenendo sufficiente il fatto che la spesa fosse stata fatta al di fuori della Regione Lombardia, ovvero in giorni festivi. Come pure si e' ritenuto che la reiterazione nello stesso giorno o in piu' giorni consecutivi di consumazioni presso i medesimi bar e ristoranti fosse circostanza dimostrativa del fatto che le spese erano inerenti alle ordinarie e quotidiane necessita' dei consiglieri, piuttosto che allo svolgimento di attivita' collegata a quella dei gruppi. Sostengono i ricorrenti, pertanto, che la Corte di appello avrebbe basato la propria decisione su elementi indiziari equivoci e, comunque, inidonei a fornire quel grado di affidabilita' richiesto dall'articolo 192 c.p.p., peraltro omettendo anche di considerare che, per gran parte delle spese in questione, non era possibile ritenere provata la sussistenza dell'appropriazione senza consentire agli imputati di dimostrare le ragioni della spesa. 6.2. Ulteriore critica al ragionamento probatorio seguito dalla Corte risiede nell'aver ritenuto non giustificate le spese effettuate in assenza della correlativa documentazione di una iniziativa organizzata dal gruppo. Anche in tal caso, infatti, l'inferenza probatoria non conseguirebbe alla corretta valutazione di un quadro indiziario univoco e preciso, bensi' sarebbe il frutto di una non consentita inversione dell'onere probatorio. A ben vedere, infatti, la Corte si sarebbe limitata a prendere atto della "mancata giustificazione", in tal modo rinnegando la premessa secondo cui la prova del peculato non puo' discendere dalla mera carenza della documentazione prodotta dal pubblico agente, occorrendo la dimostrazione, in concreto, della destinazione a finalita' non consentite. In conclusione, i ricorrenti lamentano - sia pur con diversita' di formulazione della medesima doglianza - che la Corte di appello avrebbe sopperito alla mancanza di accertamento specifico dell'utilizzo delle somme valorizzando elementi indiziari risultanti, in realta', privi dei requisiti di cui all'articolo 192 c.p.p., non fosse altro che la mera indicazione della causale del rimborso poteva al piu' costituire un elemento di dubbio circa la finalita' della spesa, ma non fondare di per se' il presupposto per una sentenza di condanna. 7. Illegittimita' dell'ordinanza di esclusione dei testi e del rigetto di rinnovazione dell'istruttoria. Strettamente collegato al tema dell'inversione dell'onere probatorio e della insussistenza di un valido apparato indiziario, e' la questione relativa alla sostanziale mancata ammissione dei plurimi testi che i ricorrenti avevano indicato, fin dal primo grado, al fine di fornire giustificazione delle spese sostenute (questione sollevata da tutti i ricorrenti, esclusi gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)). Occorre premettere che, sul punto, le situazioni dei singoli ricorrenti sono sostanzialmente allineate, posto che per alcuni non e' stata ammessa alcuna prova a discarico, per altri vi e' stata una parziale e limitata ammissione dei testi indicati, peraltro in gran parte comuni, chiamati a riferire sulle modalita' del rimborso, piuttosto che sulla giustificazione e sulla finalita' delle spese. I ricorrenti lamentano che la scelta compiuta nel giudizio di primo grado e confermata in appello avrebbe leso il fondamentale diritto di difendersi provando, riconosciuto anche dalla CEDU. 7.1. Rappresentano i ricorrenti che l'ordinanza adottata dal Tribunale di Milano in data 19 aprile 2016 era stata ritualmente oggetto di impugnazione, unitamente alla sentenza di primo grado, essendo stata dedotta la mancanza di idonea motivazione in ordine all'omessa ammissione delle testimonianze richieste. Il Tribunale, infatti, si sarebbe limitato ad ammettere un numero limitatissimo di testi, senza motivare specificamente sulle ragioni per cui i testi chiamati a deporre sulla finalita' delle spese e l'occasione in relazione alle quali erano state sostenute non fossero rilevanti ai fini del giudizio. La Corte di appello, anziche' esaminare nel merito il motivo di impugnazione, avrebbe ritenuto l'intervenuta sanatoria della nullita', sul presupposto che le parti, in quanto presenti al compimento dell'atto, avrebbero dovuto eccepirne la nullita' immediatamente dopo, ai sensi dell'articolo 182 c.p.p., e al momento della chiusura del dibattimento (si veda pg. 80 della sentenza di appello). In tal modo, la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un error in procedendo, applicando al caso di specie un principio, costantemente applicato dalla giurisprudenza, ma con riguardo alla diversa ipotesi di revoca della prova orale gia' ammessa. A fronte della mancata ammissione ab origine delle prove testimoniali indicate dagli imputati, la nullita' dell'ordinanza, essendo a regime intermedio e collocandosi nella fase del giudizio, era stata correttamente eccepita con l'impugnazione della sentenza. 7.2. Ulteriore argomento adotto dalle difese dei ricorrenti attiene alla manifesta contraddittorieta' della motivazione con la quale la Corte di appello ha ritenuto di condividere l'esclusione di gran parte dei testi indicati dalle difese, ritenendo che l'ordinanza del Tribunale avrebbe comportato un "implicito" rigetto delle richieste di prova orale stante la superfluita' della stessa, anche con riguardo al collegamento tra la spesa contestata "l'attivita' politica del consigliere, i suoi rapporti con la base elettorale e le organizzazioni territoriali" (si vedano pg. 79-81 della sentenza). Deducono i ricorrenti che, invero, l'oggetto delle testimonianze, proprio perche' concernente il collegamento tra la funzione ricoperta ed il contesto nell'ambito del quale la spesa veniva sostenuta, ricadeva su un profilo probatorio centrale e necessario per ritenere o escludere la sussistenza del reato. Premesso che le spese sostenute - specie quelle per ristorazione - sono per loro natura "neutre", la prova testimoniale costituiva il mezzo tipico mediante il quale gli imputati potevano riempire di contenuto il mero documento contabile e dimostrare la legittimita' della spesa. 7.3. Ulteriore contraddittorieta' della motivazione e' stata dedotta in ordine al fatto che la Corte di appello, pur dando atto del fatto che, secondo la prassi invalsa, i rimborsi venivano elargiti a seguito della mera presentazione della documentazione di spesa, avrebbe erroneamente negato la necessita' dell'istruttoria orale, nonostante questo fosse l'unico strumento mediante il quale gli imputati, a distanza di anni e non essendo tenuti alla conservazione di documentazione comprovante l'attivita' svolta, potevano dimostrare la legittimita' della spesa (ricorso (OMISSIS)). 8. L'individuazione delle spese ammesse a rimborso. Questione proposta da una pluralita' di ricorrenti, sia pur con diversita' di prospettive ed impostazioni, e' quella concernente l'esatta individuazione delle spese ammesse a rimborso. In particolare, si e' sostenuto che la Corte di appello avrebbe dato una lettura riduttiva e non conforme alla legislazione regionale in materia del novero delle spese suscettibili di rimborso, ritenendo che sarebbero tali solo quelle collegate ad un incontro istituzionale ed organizzato dal Gruppo consiliare di appartenenza. Sarebbero, pertanto, sicuramente insuscettibili di rimborso tutte quelle spese sostenute dai singoli consiglieri e connesse non solo all'attivita' prettamente politica, ma anche allo svolgimento del mandato consiliare che si manifestava in forme essenzialmente individuali ed al di fuori di iniziative concordate dal Gruppo. Secondo l'impostazione recepita nella sentenza di appello, pertanto, non erano rimborsabili le spese relative al mantenimento dei rapporti tra i singoli Consiglieri ed i territori regionali, come pure il confronto con la societa' civile, con specifiche categorie di soggetti interessati dall'attivita' normativa del Consiglio regionale e con gli organi di informazione. 8.1. Avverso tale impostazione e' stato in primo luogo evidenziato come la Legge Regionale 27 ottobre 1972, n. 34 e Legge Regionale 7 maggio 1992, n. 17, non contengono affatto un elenco tassativo delle spese rimborsabili, bensi' enucleano quelle che sono le categorie di maggior ricorrenza, salvo restando che il presupposto del rimborso sarebbe costituito dalla mera "inerenza" della spesa rispetto all'espletamento del mandato consigliare. Quanto detto, comporterebbe che la Corte di appello avrebbe errato nel valutare le singole spese raffrontandole con le esemplificazioni contenute nelle predette leggi, mentre avrebbe dovuto verificare in concreto l'inerenza della spesa all'attivita' svolta dal singolo Consigliere. La Corte di appello si sarebbe sottratta a tale onere, limitandosi ad affermare che il dato oggettivo legittimamente la spesa dipenda dall'esistenza di una "iniziativa" del gruppo, in assenza della quale l'attivita' del singolo Consigliere, pur se inerente alle funzioni svolte, non poteva comportare l'imputazione dell'esborso ai fondi regionali 8.2. Ulteriore equivoco nel quale sarebbe incorsa la Corte di appello risiederebbe nell'aver acriticamente equiparato l'attivita' partitica all'attivita' politica del gruppo, omettendo di considerare che mentre la prima e' volta essenzialmente all'affermazione del partito di appartenenza, la seconda e' insita nello svolgimento del ruolo di Consigliere regionale, nella misura in cui questi e' portatore di istanze politiche (da intendersi quale selezione degli interessi e delle modalita' di perseguimento degli stessi) nell'ambito dell'assemblea regionale (profilo dedotto, in particolare, da (OMISSIS)). 8.3. Occorre segnalare, inoltre, l'argomentazione prospettata principalmente dal ricorrente (OMISSIS) che tuttavia, pur se formulata in maniera implicita, e' comune anche ad altri ricorrenti (in particolare (OMISSIS) e (OMISSIS)). Si e' sostenuto che la Corte di appello ha dato una lettura parziale della disciplina in tema di contributi regionali, omettendo di valorizzare quanto previsto dall'arti della Legge Regionale n. 17 del 1992, secondo la quale i contributi potevano essere utilizzati non solo dal gruppo consiliare in quanto tale, ma anche dai singoli Consiglieri i quali, con riferimento all'attivita' di "informazione e comunicazione" erano legittimati ad organizzare il proprio le attivita' ritenute utili. La Corte di appello avrebbe omesso di confrontarsi con tale norma, non specificando il contenuto dell'attivita' di "informazione e comunicazione", ritenendo che le spese rimborsabili fossero solo quelle riferite ad iniziative assunte dal Gruppo ed omettendo di valutare come la richiamata normativa consentisse espressamente anche lo svolgimento della "promozione istituzionale" propria di ciascun Consigliere. Sulla base di tale prospettazione, ne conseguirebbe l'erroneita' del ragionamento induttivo operato dalla Corte di appello, secondo cui sarebbero oggetto di appropriazione tutte le somme per le quali mancherebbe un collegamento funzionale con la rappresentanza del gruppo, proprio perche' la legislazione regionale consentiva il rimborso delle spese concernenti l'attivita' svolta direttamente dal Consigliere ed inerenti al mandato, senza che cio' comportasse necessariamente un'iniziativa del gruppo di appartenenza. 8.4. Sempre con riguardo all'individuazione delle spese ammesse a rimborso, ulteriori censure comuni riguardano la dedotta duplicazione tra i rimborsi per trasporto e ristorazione rispetto alle diarie riconosciute al Consigliere. Sul punto i ricorrenti hanno dedotto che non vi fosse alcuna duplicazione, posto che la diaria concerneva l'attivita' del Consigliere svolta nell'ambito delle attribuzioni proprie dell'attivita' consiliare, mentre le spese di trasporto e ristorazione sostenute nell'esercizio dell'attivita' "esterna", in quanto direttamente funzionali all'organizzazione dei gruppi, erano autonomamente rimborsabili. 8.5. Questione analoga viene posta anche in relazione alle spese sostenute per il costo del personale di staff e segreterie, avendo la Corte di appello erroneamente ritenuto che per tali voci i consiglieri avevano a disposizione un contributo omnicomprensivo, sicche' qualsivoglia rimborso di spese ulteriori doveva ritenersi non consentito. In tal modo, non si sarebbe tenuto conto del fatto che le spese, a prescindere dalla regolarita' contabile, non erano state comunque dettate da finalita' privatistiche. Inoltre, con il primo motivo di ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), si deduce che le spese contestate riguarderebbero rimborsi disposti non gia' in favore della (OMISSIS), bensi' di collaboratori volontari che, sia pur in assenza di un formale contratto di lavoro, prestavano la loro attivita' in favore del gruppo. 8.6 Taluni ricorsi hanno, inoltre, dedotto specifiche censure in relazione a singole spese. Nell'ambito dell'ampio primo motivo di ricorso formulato nell'interesse di (OMISSIS), si deduce specificamente l'erronea valutazione di non rimborsabilita' della spesa sostenuta per l'acquisto di tre cellulari, motivata dalla Corte di appello sul presupposto che i beni non fossero stati inventariati e che, comunque, si trattava di beni non necessari, posto che ai Consiglieri regionali era stato gia' dato in un uso un telefono cellulare. Il ricorrente contesta che il giudice di merito sia intervenuto a sindacare l'opportunita' della spesa, escludendo che un Consigliere regionale potesse legittimamente decidere di avvalersi di piu' telefoni. 8.6.1 Nel contesto del piu' ampio quinto motivo volto a censurare l'inversione dell'onere probatorio e la mancata ammissione dei testi a difesa, il ricorrente (OMISSIS) ha espressamente contestato, oltre alla ricostruzione relativa alla non spettanza del rimborso per spese di ristorazione, anche la ritenuta incompatibilita' con le finalita' istituzionali di un rimborso per spese di ristorazione datato 15 agosto, sul mero presupposto che la giornata festiva fosse incompatibile con l'attivita' di rappresentanza. Sostiene il ricorrente che in quell'occasione ebbe modo di incontrare i consiglieri comunali di (OMISSIS), ove risiedeva. Contesta, inoltre, le spese per libri ammontante ad Euro 262,00 riferendo che si trattava di acquisti per esigenze di aggiornamento, nonche' per offrire un modesto omaggio ai partecipanti ad incontri politico-istituzionali. Infine, contesta anche la spesa di Euro 11,00 per taxi, evidenziando come si trattasse di una spesa portata a rimborso una sola volta e sostanzialmente irrilevante. 8.6.2 Con il nono motivo di ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), si deduce violazione di legge in ordine alla ritenuta configurabilita' del reato di peculato con riguardo alle consumazioni di pranzi presso il ristorante "(OMISSIS)". In particolare, il ricorrente eccepisce che la Corte di appello avrebbe errato nell'escludere l'inerenza di tale spesa al "funzionamento" del gruppo, non considerando che si trattava di spese autorizzate dal capogruppo e finalizzate a consentire la preparazione dell'attivita' consiliare. Peraltro, la mera sottoscrizione della ricevuta costituiva una mera attestazione della sua presenza, senza che cio' abbia comportato richieste di rimborso e l'effettiva percezione di somme di denaro. 8.6.3 Nell'ambito del complessivo motivo di ricorso (n. 4) dedicato all'individuazione delle spese suscettibili di rimborso, (OMISSIS) ha sollevato puntuali contestazioni in ordine alla ritenuta esclusione di determinate spese tra quelle collegate allo svolgimento di attivita' esterna svolta in qualita' di Consigliere. In particolare, contesta che alcune ricevute non riguardavano, come sostenuto dai giudici di merito, un singolo pasto, bensi' una consumazione per piu' persone. In altri casi, invece, il ricorrente ha prodotto documentazione a riprova degli incontri svolti sul territorio e collegati all'attivita' consiliare. 8.6.4 Con il quarto motivo di ricorso (OMISSIS) deduce l'"errore logico" nella valutazione della illiceita' della spesa di pernotto dell'11/9/2010 presso il (OMISSIS) attesa l'attestazione scritta del citato Patronato da cui risulta che il (OMISSIS) non venne mai ospitato presso tale struttura. Con il quinto motivo deduce analogo vizio con riferimento alle spese di pernotto presso (OMISSIS) nei giorni 20/11 e 25/11, giustificate dalla partecipazione del (OMISSIS) alla trasmissione televisiva (OMISSIS) in onda su Rai 1 in cui fu invitato ad esporre i progetti nelle politiche agricole regionali di cui si occupava nel gruppo consiliare (OMISSIS). Il (OMISSIS) non ha potuto dimostrare tale circostanza a causa della riduzione della lista testimoniale da parte del Tribunale; la Corte territoriale ha peraltro affermato la illiceita' tout court di tale spese considerandola attivita' di autopromozione. Con l'ottavo motivo di ricorso (OMISSIS) deduce, inoltre, il vizio di mancata applicazione dell'attenuante di cui all'articolo 323-bis c.p., posto che nel giudizio contabile il danno ascritto al (OMISSIS) e' stato quantificato in Euro 13.768,88. 8.6.5 Con il primo motivo di ricorso (OMISSIS) ha dedotto i vizi di violazione dell'articolo 314 c.p. e manifesta illogicita' della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di peculato in relazione alle c.d. spese informatiche rimborsate all'imputato. Come dichiarato dallo stesso (OMISSIS) all'udienza dell'8 marzo 2017, dette spese erano destinate a dotare i suoi quattro collaboratori di strumenti tecnologici idonei a lavorare in sinergia con questo (effettuando ricerche, preparando materiale che veniva caricato sul suo sito internet, integrando la mailing list) ed a diffondere nel territorio notizie dell'attivita' svolta. Tali spese sono state ritenute astrattamente pertinenti dal Tribunale che ha, comunque, affermato la responsabilita' del (OMISSIS) in considerazione della mancata inventariazione di detti beni all'atto dell'acquisto e della loro mancata riconsegna. Tale ultimo assunto e' stato contestato con l'atto di appello al quale e' stata allegata la "lettera del gruppo Consiliare Lombardia" del 25/2/2014 da cui risulta che detti beni sono stati inventariati alla data del 25/272014 e dunque erano nella disponibilita' del Gruppo (OMISSIS). In relazione a tale profilo si deduce l'illogicita' della motivazione della sentenza impugnata che laddove non desume da tale lettera la prova della restituzione dei beni da parte dell'imputato. 8.6.6 Con l'ottavo motivo di ricorso (OMISSIS) deduce violazione di legge in relazione al ritenuto concorso nella condotta commessa dal capogruppo (OMISSIS) (capo 61), atteso che la sottoscrizione sporadica della ricevuta dei pranzi "(OMISSIS)" non costituiva autorizzazione della spesa ma attestazione della propria presenza e di quella altrui, preliminare alla procedura di controllo. Il controllo e la successiva autorizzazione non spettavano infatti al (OMISSIS) ma alla struttura amministrativa del Gruppo. 8.6.7 Con il secondo motivo di ricorso (OMISSIS) ha dedotto il vizio di violazione di legge nella parte in cui la sentenza ha escluso che la L. 20 luglio 2008, n. 20, articolo 67 consentisse ai gruppi di trasferire risorse dal fondo di funzionamento del gruppo a quello per le spese di retribuzione del personale ma solo in base ad un apposito trasferimento ed incremento del fondo per il personale, requisito che non e' previsto dalla legge. 9. Insussistenza dell'elemento soggettivo ed errore sul fatto. I ricorrenti hanno dedotto il vizio di motivazione e violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte di appello nel disconoscere la mancanza del dolo in capo agli imputati. Si assume che i rimborsi erano stati chiesti sulla base delle puntuali indicazioni ricevute dai funzionari regionali preposti al controllo ed all'erogazione delle somme, i quali avevano sempre fatto affidamento su prassi consolidate e criteri ritenuti validi anche in precedenti legislature. Segnalano concordemente i ricorrenti che, all'atto del loro insediamento, avevano ricevuto un apposito vademecum, contenente specifiche indicazioni in ordine sia alle spese per le quali era possibile ottenere il rimborso, sia alla documentazione di supporto che doveva essere prodotta. Il fatto che gli imputati si fossero costantemente attenuti alla prassi amministrativa consolidata, nonche' alle indicazioni appositamente impartite sul punto fin dall'insediamento, dimostrerebbe l'assoluta buona fede nel richiedere i rimborsi. La Corte di appello non avrebbe adeguatamente valorizzato tali elementi e, con argomentazioni contraddittorie, ha affermato che il vademecum conteneva indicazioni generiche, ma, al contempo, ne ha richiamato il contenuto per giustificare la non inerenza delle spese portate a rimborso. 9.1. Erronea sarebbe stata anche la valutazione sull'effettivita' dei controlli, non avendo la Corte di appello considerato che non tutte le richieste di rimborso erano accolte, a dimostrazione di come i Consiglieri potevano far legittimo affidamento sul fatto che, ove pure fossero state indicate spese non inerenti, le stesse non sarebbero state rimborsate. Per converso, il mancato rilievo da parte dei funzionari amministrativi preposti al controllo aveva determinato l'assoluta convinzione circa la legittimita' dei rimborsi e la corretta individuazione delle categorie di spese per le quali era possibile attingere ai fondi assegnati ai gruppi. Si assume, infine, che non sarebbero pertinenti i richiami alla giurisprudenza della Corte dei Conti, posto che in quel giudizio la responsabilita' presuppone la colpa e non la dolosa distrazione nell'uso dei fondi pubblici. 9.2. Secondo una prospettazione comune a gran parte dei ricorrenti, nel caso di specie sarebbe stato configurabile un errore su legge diversa da quella penale che, ai sensi dell'articolo 47 c.p., comma 3, escluderebbe la punibilita'. Si censura la motivazione recepita dalla Corte di appello, secondo cui nel caso di specie non si verterebbe in tema di errore su legge extrapenale, bensi' nell'ipotesi di errore su legge richiamata dalla norma incriminatrice e, quindi, integrativa della stessa, rispetto alla quale l'errore non rileverebbe se non nei limitatissimi casi di cui all'articolo 5 c.p.. I ricorrenti contestano tale ricostruzione, deducendo che l'errore non concernerebbe il profilo normativo, rappresentato dalla necessaria inerenza delle spese all'esercizio del mandato, bensi' sul dato fattuale relativo al fatto che le spese erano state sostenute in un contesto comunque ricollegabile all'attivita' esterna svolta dai singoli Consiglieri. Si tratterebbe, quindi, non gia' di un errore sulla nozione di "spese di rappresentanza", bensi' nella erronea percezione, in punto di fatto, di determinati contesti come rientranti nell'attivita' esterna svolta dai gruppi e dai singoli Consiglieri. 9.3. Strettamente collegato al profilo inerente la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato e' la doglianza concernete la mancata valorizzazione dei mutamenti giurisprudenziali intervenuti, dopo la commissione dei fatti, in ordine all'esatta individuazione degli elementi costitutivi del delitto di peculato, con specifico riferimento all'indebito utilizzo di somme di denaro da parte dei Consiglieri regionali. E' stato sottolineato come, all'epoca dei fatti, la giurisprudenza di legittimita' era assestata sul principio affermato con la sentenza "Tretter", nella quale era stata esclusa la configurabilita' del peculato nel caso di impiego dei fondi "per sostenere spese di propaganda politica o di rappresentanza (nella specie, per l'acquisto di materiale propagandistico e di oggetto-regalo di modesto valore per gli elettori, per pranzi e rinfreschi in occasione di incontri pre-elettorali), trattandosi di attivita', benche' non istituzionali, comunque legate da nesso funzionale con la vita e le esigenze del gruppo" (Sez.6, n. 33069 del 12/5/2003, Rv. 226531). Evidenziano i ricorrenti che solo per effetto di un'evoluzione giurisprudenziale sopravvenuta a distanza di anni dal compimento dei fatti per i quali si procede, la Cassazione aveva rivisitato, in senso maggiormente rigoroso, i principi sostenuti nella sentenza "Tretter". La Corte di appello, pertanto, nel valutare l'elemento soggettivo avrebbe dovuto tener conto di tale evoluzione giurisprudenziale, rilevante al fine di stabilire se - al momento del fatto - gli imputati potessero o meno avere effettiva consapevolezza della illegalita' della loro condotta. Il ricorso proposto da (OMISSIS). 10. Una considerazione a parte va riservata, per la peculiarita' delle questioni proposte rispetto a quelle dedotte dagli altri imputati, al ricorso proposto da (OMISSIS) nel quale sono stati dedotti tre motivi di ricorso. 10.1 Con il primo e secondo motivo, si deduce il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del concorso doloso nel reato di peculato commesso con i capogruppo (OMISSIS) e (OMISSIS)- (OMISSIS). Ai predetti si contesta di aver indebitamente ottenuto il rimborso dei pranzi sostenuti presso il ristorante "(OMISSIS)", trattandosi di consumazioni svolte al di fuori di qualsivoglia evento esterno, al quale partecipavano solo i Consiglieri. Sostiene il ricorrente che le spese in questione avvenivano nell'ambito di una convenzione stipulata con il predetto ristorante, abitualmente frequentato dai Consiglieri in quanto vicino alla sede regionale. Per effetto della convenzione, i singoli Consiglieri si limitavano a sottoscrivere le ricevute senza anticipare la spesa; successivamente le ricevute venivano direttamente inviate all'ufficio di presidenza che procedeva al rimborso, imputando la relativa spesa alla quota di rimborso prevista per ciascun Consiglieri. Sostiene il ricorrente che i pranzi in questione si svolgevano nelle pause di lavoro dell'ordinaria attivita' consiliare ed erano momenti di lavoro e confronto, sicche' non poteva certamente sostenersi la finalita' privatistica della spesa. Inoltre, si contesta anche la configurabilita' di un contributo morale rispetto al reato di peculato, sul presupposto che (OMISSIS) si era limitato ad apporre una firma sulle ricevute, seguendo una prassi ultradecennale e con il conforto e l'avallo del Presidente del gruppo e dell'ufficio preposto al controllo. 10.2. Con il terzo motivo, inoltre, deduce il vizio di motivazione in relazione all'eccessivo aumento disposto a titolo di continuazione. Le questioni sul trattamento sanzionatorio. 11. Nell'interesse degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente con i motivi di ricorso indicati sub D) ed E), e' stata dedotta la violazione dell'articolo 62-bis c.p. sul presupposto che la riduzione della pena, in considerazione del riconoscimento dell'attenuante, non e' avvenuta nella sua massima estensione, nonostante il contributo conoscitivo offerto dai ricorrenti. 11.1 Nell'interesse dell'imputato (OMISSIS), oltre ai motivi comuni gia' illustrati, con il settimo motivo di ricorso si deduce il vizio di motivazione con riguardo alla determinazione degli aumenti a titolo di continuazione. In particolare, si lamenta l'omessa indicazione del reato piu' grave, nonche' la mancanza di motivazione sugli aumenti disposti per ciascun reato posto in continuazione. 11.2 Con il quarto motivo (OMISSIS) ha dedotto la violazione dell'articolo 133 c.p. in relazione alla riduzione della pena non nella misura proporzionale di un terzo, nonostante la prescrizione del reato in relazione all'anno 2008, in relazione al quale le spese rimborsate erano pari ad un terzo di quelle totali ascritte all'imputato. 11.3 Anche nel ricorso proposto da (OMISSIS) si censura l'eccessivita' del trattamento sanzionatorio ed omessa motivazione su invocata riduzione del trattamento sanzionatorio e su aumento a titolo di continuazione. In particolare, con il quarto motivo deduce la violazione dell'articolo 530 c.p.p., comma 2, censurando: a) l'eccessivita' del trattamento sanzionatorio; b) le statuizioni civili e la somma ingente assegnata a titolo di provvisionale di cui chiede la revoca o la sospensione. 11.4 Con il primo motivo di ricorso (OMISSIS) deduce i vizi di violazione di legge e contraddittorieta' della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della continuazione tra i reati oggetto della sentenza impugnata (capi 6, 50 e 61) e quelli di cui alla sentenza di condanna n. 6297/13 della Corte di appello di Milano in quanto relativa a reati della medesima natura (peculato e truffa in danno della Regione Lombardia) commessi dall'imputato nella qualita' di consigliere regionale nel periodo immediatamente antecedente (2006-2008). E' erronea al riguardo la considerazione espressa dalla sentenza impugnata in merito alla impossibilita' per il (OMISSIS) di prevedere la propria rielezione e, dunque, di programmare gli ulteriori reati, in quanto, (OMISSIS) era gia' consigliere regionale alla data del 2006 e la 8 legislatura e' durata dal 3 aprile 2005 fino al 10 maggio 2010 per cui non era necessaria alcuna previsione di elezione. 11.5 Con i motivi 10-11 (OMISSIS) deduce i vizi violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della continuazione interna in relazione ad ogni singolo rimborso ed alla continuazione esterna in relazione al reato di cui al capo 61. Se si accede alla tesi della disponibilita' giuridica del denaro, la condotta deve essere considerata unitariamente in relazione al fatto che l'erogazione dei fondi al singolo consigliere avveniva in un'unica soluzione e su base annuale. Il momento consumativo del reato va dunque individuato in quello di elargizione del rimborso e non in quello di anticipazione della singola spesa. Quindi si tratta di una condotta unitaria sia in relazione alla sottoscrizione delle ricevute dei pranzi (OMISSIS) (capo 61 in concorso con il capogruppo) che per le altre voci di spesa. Con i motivi 12-13) l'imputato deduce i vizi di travisamento della prova in ordine all'intervenuto risarcimento del danno e violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6, illogicita' della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio e mancanza di motivazione in merito alla possibilita' di concedere le attenuanti generiche nella misura massima. Nonostante la produzione, a sostegno dei motivi di appello, della documentazione attestante l'avvenuto rimborso del danno erariale, comprensivo di interessi e spese, ed il versamento "volontario" di Euro 3940,06, per un totale di Euro 74.293,30 oltre Euro 1990,53 per le spese di giudizio, la sentenza impugnata, omettendo ogni valutazione al riguardo, ha escluso la possibilita' di una rideterminazione del trattamento sanzionatorio in senso favorevole al (OMISSIS) in considerazione dell'entita' del danno cagionato, della reiterazione delle condotte (gia' considerate ai fini della continuazione), della natura voluttuaria delle spese e dell'assenza di qualsiasi condotta riparatoria nonostante l'intervenuta condanna in sede contabile. Le questioni relative alle statuizioni civili. 12. (OMISSIS) deduce un motivo unico avverso le sole statuizioni civili deducendo vizi cumulativi di violazione di legge e di mancanza e manifesta illogicita' della motivazione nella parte in cui ha escluso la sussistenza di elementi per pervenire ad una pronuncia favorevole all'imputato in considerazione del fatto che la norma in vigore all'epoca dei fatti, Legge Regionale n. 20 del 2008, articolo 67, comma 9, non richiedeva alcun titolo ai fini dell'assunzione come collaboratori esterni. 12.1 Con i motivi 19-20 (OMISSIS) deduce la violazione dell'articolo 185 c.p. con riferimento al riconoscimento del danno patrimoniale alla parte civile e vizio di motivazione in merito al mancato riconoscimento del risarcimento del danno erariale. Si reitera la censura sulla erronea individuazione del danno risarcibile nella misura pari alle somme oggetto di indebita appropriazione ed al pregiudizio cagionato al buon andamento della Pubblica Amministrazione, trattandosi di danno di esclusiva competenza della Corte dei conti e gia' risarcito in tale sede. Si deduce, pertanto, anche la illegittimita' della provvisionale determinata nella misura ari al 50% delle somme oggetto di indebita appropriazione. Poiche' il danno erariale e' stato gia' risarcito in sede contabile, si censura la violazione del ne bis in idem. Le memorie e i motivi aggiunti. 13. Con memoria trasmessa unitamente al mandato difensivo, l'avv. Avidano Alberto, codifensore di (OMISSIS), ha presentato i seguenti motivi aggiunti: - Violazione di legge in relazione alla erronea qualificazione giuridica della condotta ascritta ai capi 43 e 61, da sussumere nel reato di cui all'articolo 640 bis c.p. o in subordine in quello di cui all'articolo 316-ter c.p. non avendo il (OMISSIS) la disponibilita' del denaro. In relazione a tale motivo si eccepisce la prescrizione del reato. - Mancanza di motivazione sulla configurabilita' di un concorso doloso del (OMISSIS) nella condotta del Presidente del gruppo consiliare. 13.1 Con memoria depositata il 7/6/2022, pervenuta il 17/6/2022, il difensore di (OMISSIS) ha ulteriormente illustrato i primi due motivi di ricorso insistendo per il suo accoglimento. 13.2 Con memoria trasmessa il 10/6/2022 il difensore di (OMISSIS) ha presentato un motivo aggiunto deducendo il vizio di violazione di legge in relazione alla qualificazione giuridica della condotta come peculato anziche' a sensi dell'articolo 316-ter c.p. rispetto al quale, ad avviso della difesa, difetterebbe, comunque, l'elemento psicologico del reato. 13.3 Il difensore di (OMISSIS) ha depositato memoria illustrando ulteriormente i motivi di ricorso; in particolare si prospetta la possibile riqualificazione della condotta ai sensi dell'articolo 640-bis c.p. o dell'articolo 316-ter c.p.. Con riferimento alle censure relative alla ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico doloso, si insiste sull'applicazione retroattiva di un principio di diritto difforme da quello affermato dalla giurisprudenza di legittimita' all'epoca dei fatti in tema di spese rimborsabili (si richiama nuovamente la sentenza Tretter) che ha legittimato l'affidamento dell'imputato sulla correttezza e liceita' del proprio operato con inevitabili ricadute in termini di accessibilita' e prevedibilita' della sanzione. Sotto tale profilo si insite sulla configurabilita' dell'errore ai sensi dell'articolo 47 c.p.. 13.4 Con memoria del 13 giugno 2022 il difensore di (OMISSIS) ha illustrato ulteriormente i motivi di ricorso allegando documentazione a sostegno delle argomentazioni esposte (ovvero, programma convegno a Venezia dal 23 al 25 giugno 2011; ricevute spese sostenute personalmente dall'imputato). In particolare, quanto al secondo motivo, si deduce che il ragionamento della Corte territoriale e' viziato in quanto introduce un requisito formale non previsto dalla legge e una inversione dell'onere della prova. Si segala, altresi', che anche la Corte dei Conti ha ritenuto legittime le spese per i pasti dei collaboratori e che il contenuto della sentenza e' stato travisato dalla Corte territoriale. Sempre in relazione a tali spese si censura il passaggio della sentenza sulla loro non rimborsabilita' in considerazione del fatto che il D.P.C.M. 21 dicembre 2012 e' successivo ai fatti per cui si procede. Segnala, infatti, la difesa che la stessa Corte dei Conti ha ritenuto le spese del 2012, antecedenti detto D.P.C.M., rimborsabili. 14. Il Sostituto Procuratore Generale, Dott. Morosini Piergiorgio, ha depositato una requisitoria scritta, da considerare come memoria, con la quale ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi presentati da (OMISSIS) e (OMISSIS) e per il rigetto di tutti gli altri ricorsi. 15. La parte civile, Regione Lombardia, ha depositato memoria in cui ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi degli imputati nei cui confronti permane la costituzione di parte civile. 16. All'udienza del 28 giugno 2022, in considerazione dell'adesione all'astensione dalle udienze proclamata dalle Camere penali da parte della maggior parte dei difensori, e' stato disposto il rinvio all'odierna udienza con la dichiarazione di sospensione dei termini di prescrizione per tutti gli imputati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Preliminarmente, occorre dichiarare l'inammissibilita' dei ricorsi proposti nell'interesse di (OMISSIS) e (OMISSIS). Per quanto concerne il primo, si rileva la tardivita' del ricorso, posto che la sentenza impugnata era stata depositata il 6 ottobre 2021 e il termine assegnato per il deposito della motivazione, pari a 90 giorni, scadeva il successivo 11 ottobre; calcolando il termine per impugnare pari a 45 giorni, ne consegue che il termine ultimo e' maturato il 25 novembre 2021, mentre il ricorso risulta depositato mediante PEC - il 13 gennaio 2022. 1.1 Diverse le ragioni che, invece, rendono inammissibile il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS). Con attestazione apposta dalla cancelleria della Corte di appello di Milano, risulta che il ricorso, presentato a mezzo PEC, risulta sottoscritto digitalmente, mentre difetta la sottoscrizione tanto della nomina del difensore, che degli allegati al ricorso. La disciplina emergenziale, che ha consentito la proposizione dei mezzi di impugnazione mediante PEC, ha introdotto specifici requisiti, previsti a pena di inammissibilita', finalizzati a garantire la certezza e la regolarita' degli atti inoltrati per via telematica. Il Decreto Legge 29 ottobre 2020, articolo 24, cosi' come modificato in sede di conversione dalla L. 28 dicembre 2020, n. 176, al comma 6-bis prevede che " l'atto in forma di documento informatico e' sottoscritto digitalmente...omissis... e contiene la specifica indicazione degli allegati, che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformita' all'originale"; il successivo comma 6-sexies, lettera b), precisa ulteriormente che l'impugnazione e' inammissibile "quando le copie informatiche per immagine di cui al comma 6-bis non sono sottoscritte digitalmente dal difensore per conformita' all'originale". La giurisprudenza - Sez. 6, n. 37704 dell'11/7/2022 - ha gia' avuto modo di pronunciarsi sulla norma in questione e, nell'evidente finalita' di contenerne il formalismo, ha affermato che non costituisce causa di inammissibilita' dell'impugnazione la mancata sottoscrizione digitale da parte del difensore degli allegati che siano autonomi ed indipendenti rispetto al contenuto dell'atto di impugnazione (fattispecie in cui la mancata sottoscrizione riguardava una certificazione medica allegata ad una richiesta di differimento dell'udienza). Seguendo tale impostazione, l'inammissibilita' si verifica solo qualora la mancata sottoscrizione da parte del difensore per conformita' all'originale delle copie informatiche allegate al ricorso riguardi atti che devono tuttavia essere essenziali ai fini della completezza e al perfezionamento dell'impugnazione proposta. Quest'ultima ipotesi ricorre sicuramente nel caso di specie, nel quale difetta la sottoscrizione digitale della nomina del difensore, elemento evidentemente necessario a garantire la conformita' all'originale dell'atto e la conseguente legittimazione a proporre l'impugnazione. Per completezza, occorre aggiungere che nel vigore della disciplina emergenziale, l'inammissibilita' per mancanza di valida sottoscrizione digitale, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 24, comma 6-sexies, doveva essere dichiarata, anche d'ufficio, dal giudice del provvedimento impugnato. La mancata dichiarazione di inammissibilita' da parte della Corte di appello, tuttavia, non esclude il potere della Cassazione di rivalutare autonomamente la sussistenza di un motivo di inammissibilita' del ricorso. 2. Gli altri ricorsi, con l'unica eccezione delle posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS), pongono delle questioni comuni concernenti: a) la natura giuridica dei gruppi consiliari; b) la disponibilita' da parte dei consiglieri regionali del denaro del fondo per il funzionamento del gruppo consiliare; c) la qualificazione giuridica della condotta; d) la valutazione di non inerenza delle spese rimborsate e la ripartizione dell'onere della prova; e) la configurabilita' di un errore di errore di fatto idoneo ad escludere la punibilita' della condotta ai sensi dell'articolo 47 c.p.. Si procedera', pertanto, ad esaminare tali questioni comuni per poi procedere all'esame delle singole posizioni dei ricorrenti e degli eventuali ulteriori motivi di ricorso nei limiti di quanto necessario, nonche', da ultimo, all'esame delle specifiche posizioni degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS). 3. La natura giuridica dei gruppi consiliari. I gruppi consiliari sono stati qualificati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale come organi del Consiglio regionale e proiezioni dei partiti politici in assemblea regionale (cfr. Corte Cost. nn. 130 del 2014, 39 del 2014; 187 del 1990; n. 1130 del 1988), ovvero come uffici comunque necessari e strumentali alla formazione degli organi interni del consiglio (Corte Cost. n. 1130 del 1988). Essi pertanto contribuiscono in modo determinante al funzionamento e all'attivita' dell'assemblea, assicurando l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica" (Corte Cost. n. 187 del 1990). Nello stesso senso Corte Cost. n. 107 del 2015 ha, inoltre, aggiunto, che l'attivita' di gestione amministrativa e contabile dei contributi pubblici assegnati ai gruppi consiliari e' funzionale all'esercizio della sfera di autonomia istituzionale che ai gruppi consiliari medesimi e ai consiglieri regionali deve essere garantita (sentenza n. 187 del 1990), affinche' siano messi in grado di "concorrere all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale e, in particolare, all'elaborazione dei progetti di legge, alla preparazione degli atti di indirizzo e di controllo, all'acquisizione di informazioni sull'attuazione delle leggi e sui problemi emergenti dalla societa', alla stesura di studi, di statistiche e di documentazioni relative alle materie sulle quali si svolgono le attivita' istituzionali del Consiglio regionale" (sentenza n. 1130 del 1988). La giurisprudenza delle Sezioni civili di questa Corte, ha avuto modo di precisare la duplice natura giuridica del gruppo consiliare regionale ritenuta, al pari di quella del gruppo parlamentare, privatistica limitatamente all'attivita' direttamente connessa alla matrice partitica dalla quale traggono origine, e pubblicistica, in rapporto all'attivita' che li attrae nell'orbita della funzione istituzionale del soggetto giuridico, assemblea parlamentare o regionale, nel cui ambito sono destinati ad operare (cfr. Cass. civ., Sez. U, n. 23257 del 31/10/2014, Rv. 632757; Sez. U., n. 3335 del 19/2/2004 con riferimento ai gruppi parlamentari). Ne consegue che, mentre con riferimento al primo piano di azione, i gruppi consiliari assumono una veste analoga a quella dei partiti politici di riferimento, allorche', invece, svolgono le attivita' strettamente correlate al funzionamento dell'assemblea regionale, assumono una natura pubblicistica, partecipando, quali strutture interne agli organi assembleari, all'esercizio della funzione legislativa pubblica. In considerazione di tale multiforme natura giuridica dei gruppi dei Consigli regionali, le Sezioni unite civili di questa Corte hanno, pertanto, affermato che la gestione dei fondi pubblici a questi erogati e' soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilita' erariale, sia perche' a tali gruppi - pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica - va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica, in quanto strumentale al funzionamento dell'organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell'origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo, senza che rilevi il principio dell'insindacabilita' di opinioni e voti ai sensi dell'articolo 122 Cost., comma 4, non estensibile alla gestione dei contributi (Sez. U, n. 5589 del 28/02/2020, Rv. 657218). In tale prospettiva, e' stata, pertanto, riconosciuta la qualifica di pubblico ufficiale al Presidente del gruppo consiliare regionale, in quanto partecipa alle modalita' progettuali e attuative della funzione legislativa, nonche' alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo medesimo (Sez. 6, n. 1561 del 11/09/2018, dep. 2019, Fiorito, Rv. 274940; Sez. 6, n. 14580 del 02/02/2017, Narduzzi, Rv. 269536). Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento ai consiglieri componenti del gruppo, in relazione a tutte le attivita' correlate all'esercizio della funzione pubblicistica e che trovano esplicazione per il tramite del gruppo stesso e delle iniziative che in tale ambito vengono assunte. 4. Il contributo per il funzionamento dei gruppi consiliari della regione Lombardia. La L. 6 dicembre 1973, n. 853, concernente l'autonomia contabile e funzionale dei Consigli Regionali a statuto ordinario, ha espressamente previsto, nell'ambito delle spese generali del Consiglio, i contributi per il funzionamento dei gruppi consiliari, inquadrati nell'ambito della categoria di spese per "Servizi degli organi statutari" (articoli 1 e 2). La L. n. 853 del 1973, articolo 3 ha, inoltre, rinviato alle specifiche leggi regionali gli stanziamenti da iscrivere nel capitolo di spesa relativo, tra l'altro, ai contributi in esame. Per quanto attiene alla Regione Lombardia, la specifica disciplina relativa all'erogazione del contributo per il funzionamento dei gruppi consiliari nel periodo in contestazione (anni 2008-2012) e' contenuta nella Legge Regionale 27 ottobre 1972, n. 34, in tema di provvidenze e contributi per il funzionamento dei gruppi consiliari, e nella Legge Regionale 7 maggio 1992, n. 17, contenente modifiche ed integrazioni alla L. n. 34 del 1972 ed alla Legge Regionale 23 giugno 1977, n. 31 relativa all'assegnazione di personale ai gruppi consiliari e norme in materia di rendiconto dei gruppi consiliari. Tali leggi sono state successivamente abrogate con decorrenza dal 1 luglio 2013 dalla Legge Regionale 24 giugno 2013, n. 3, articolo 23. Tuttavia, nel valutare le condotte contestate ai ricorrenti si fara' riferimento al quadro normativo, oggi abrogato, vigente all'epoca dei fatti. Dall'esame delle due leggi regionali del 1972 e del 1992 emerge, innanzitutto, che il contributo per il funzionamento di ciascun gruppo consiliare e' assegnato sulla base di una previa deliberazione consiliare che fissa: i criteri generali sui tempi e le modalita' delle erogazioni, la natura delle spese per cui i contributi possono essere utilizzati e le forme di rendicontazione periodica che, ove non eseguita nelle forme prescritte, comporta la sospensione delle erogazioni successive (Legge Regionale n. 34 del 1972, articolo 2, comma 2). Il contributo viene erogato mensilmente dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio, si compone di una quota fissa, uguale per ogni gruppo e tale da garantire le attivita' fondamentali, e da una quota commisurata, anche in modo non direttamente proporzionale, alla consistenza numerica di ogni singolo gruppo sulla base di una tabella allegata alla Legge Regionale n. 34 del 1972 (Legge Regionale n. 34 del 1972, articolo 2, comma 1). Analogo contributo spetta anche al gruppo misto, ma, in tal caso, il consigliere che, successivamente alla costituzione dei gruppi, aderisca al gruppo misto, non ha diritto alla quota costante mensile di cui alla tabella 1 punto 1 allegata alla Legge Regionale n. 34 del 1972 (articolo 2-bis). Ai sensi del successivo articolo 2-ter, comma 2, "Il contributo di cui al comma 1 e' erogato per il tramite del gruppo consiliare di appartenenza in base alle modalita' deliberate dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio". 4.1 La Legge Regionale del 1972 ha inizialmente vincolato la destinazione del contributo mensile per il funzionamento del gruppo consiliare alle seguenti finalita': a) assicurare l'espletamento del mandato consiliare; b) spese di formazione, aggiornamento, consulenze esterne occasionali, documentazione, rappresentanza, divulgazione e accesso e utilizzo delle nuove tecnologie (articolo 2-ter). Le finalita' del contributo in esame sono state successivamente estese dalla Legge Regionale n. 17 del 1992, articolo 1, comma 2, oltre che alle spese di funzionamento, di aggiornamento, studio e documentazione, anche alle attivita' di diffusione della conoscenza delle attivita' del gruppo attraverso azioni di informazione e comunicazione. Per tale ragione, il successivo comma 2-ter ha previsto la costituzione nel bilancio del Consiglio regionale di un fondo per la comunicazione dei consiglieri e dei gruppi consiliari le cui risorse sono assegnate annualmente dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio ai gruppi regionali secondo il criterio della consistenza numerica dei gruppi consiliari costituiti. Si demanda, infine, ad un regolamento dell'Ufficio di Presidenza la disciplina dell'utilizzo del fondo in esame in relazione al quale, il comma 2-bis della norma in esame prevede espressamente che "per le attivita' di informazione e comunicazione i gruppi consiliari o i singoli consiglieri possono organizzare le attivita' in proprio o acquistare direttamente sul mercato i servizi". Ai sensi dei successivi articoli 2 e 3 e', comunque, esclusa la possibilita' di utilizzare, anche parzialmente, i contributi erogati dal Consiglio regionale: - per finanziare direttamente o indirettamente le spese di funzionamento degli organi centrali o periferici di partiti o movimenti politici e delle loro articolazioni politiche e amministrative o di altri raggruppamenti interni ai partiti o ai movimenti (fatta salva la possibilita' per i gruppi di disporre pagamenti, a titolo di quota di partecipazione a spese effettivamente sostenute per specifiche e documentate iniziative svolte congiuntamente ed aventi ad oggetto materie che rientrano nella competenza regionale); - in favore di membri del parlamento nazionale o Europeo, dei consiglieri regionali, provinciali e comunali, dei candidati alle cariche predette, nonche' di coloro che rivestono cariche di presidenza, di segreteria e di direzione politica e amministrativa a livello nazionale, regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale, nei partiti politici, movimenti e loro articolazioni politico amministrative (con l'eccezione, tuttavia, dei pagamenti eseguiti a titolo di corrispettivo per collaborazioni o di rimborso di spese vive effettuate per acquisire collaborazioni di persone aventi particolare competenza o specifiche conoscenze utili allo svolgimento delle attivita' istituzionali del gruppo consiliare); per corrispondere ai consiglieri regionali compensi per prestazioni d'opera intellettuale o per qualsiasi altro tipo di collaborazione. La legge regionale del 1992 contiene, inoltre, una generica disposizione disciplinante le modalita' di erogazione del contributo in esame al singolo consigliere componente del gruppo, prevedendo un meccanismo fondato sull'anticipo del costo da parte dell'interessato e sul successivo rimborso delle spese "adeguatamente documentate" (articolo 2, comma 4). Spetta, infine, al presidente del gruppo consiliare redigere ed approvare, entro il 31 marzo di ogni anno, il rendiconto delle spese sostenute nell'anno precedente (Legge Regionale n. 17 del 1992, articoli 4 e 6); tale rendiconto e' soggetto al controllo dell'ufficio di presidenza del consiglio regionale che ne verifica la regolarita' della redazione, anche attraverso una interlocuzione con il presidente del gruppo al quale puo' chiedere chiarimenti e l'esibizione della documentazione relativa alle spese sostenute dal gruppo (articolo 7). Qualora non venga adempiuto l'obbligo di deposito del rendiconto ovvero emergano delle irregolarita', l'ufficio di presidenza dispone l'immediata sospensione del contributo assegnando un temine non superiore a trenta giorni per la regolarizzazione; qualora l'irregolarita' non sia sanata entro tale termine, l'ufficio di presidenza trattiene dai contributi relativi all'anno successivo una somma pari agli importi ritenuti non regolarmente spesi dal gruppo. 4.2 La specifica disciplina delle modalita' di erogazione dei contributi gravanti sul fondo per il funzionamento dei gruppi consiliari e sul fondo per la comunicazione e' stata adottata dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale della Lombardia con le delibere n. 192 del 19 giugno 2001 e n. 68 del 2 marzo 2009. Con la prima delibera e' stata disciplinata la modalita' di erogazione del contributo mensile spettante ai gruppi consiliari. Innanzitutto, all'articolo 1 viene specificata la destinazione del contributo mensile spettante a ciascun grippo consiliare per due categorie di spese: a) spese di funzionamento, di aggiornamento, di studio e documentazione nonche' per diffondere la conoscenza del gruppo consiliare; b) spese di formazione, di aggiornamento, di consulenze esterne occasionali, di documentazione, di rappresentanza, di divulgazione, di accesso e di utilizzo delle nuove tecnologie sostenute dai consiglieri regionali per l'espletamento del mandato consiliare. Si prevede, inoltre, che tali spese devono essere supportate da regolare documentazione e che i presidenti dei gruppi sono responsabili della regolarita' della documentazione prodotta e della corrispondenza della stessa alle finalita' sopra esaminate (articolo 6). La successiva delibera del 2 marzo 2009 contiene, invece, la disciplina delle modalita' di utilizzo del fondo per l'espletamento delle attivita' di informazione e comunicazione dei consiglieri e dei gruppi consiliari, istituito dalla Legge Regionale n. 17 del 1992, articolo 2-ter. Innanzitutto, all'articolo 1, comma 2, si ribadisce la previsione gia' contenuta all'articolo 1, comma 2-bis della citata legge regionale, che consente ai gruppi consiliari ai singoli consigliari di organizzare le attivita' di informazione e comunicazione in proprio o di acquistare direttamente sul mercato i servizi, secondo le modalita' definite da ciascun gruppo. In particolare, il successivo articolo 2 contiene una disciplina delle tipologie di attivita' rientranti nell'ambito delle attivita' di informazione e comunicazione. La norma prevede, infatti, che i gruppi consiliari o i singoli consiglieri possono: - organizzare attivita' ed eventi a rilevanza esterna o interna quali, ad esempio, convegni e seminari; tenere rapporti a tutti i livelli di responsabilita' con gli organi della stampa d'informazione quotidiana e periodica, della radio e della televisione, in ordine alla pubblicazione di articoli ed alla diffusione di notizie; organizzare conferenze stampa; - stendere e diffondere articoli e comunicati stampa; curare attivita' editoriali e di comunicazione multimediale; svolgere ogni altra attivita' similare, connessa e strumentale alle precedenti. Anche i contributi gravanti sul fondo in questione vengono erogati ai gruppi consiliari dalla competente struttura organizzativa in rate mensili l'ultimo giorno lavorativo di ogni mese, salva diversa richiesta formulata dal presidente del gruppo (articolo 6). Entrambi i regolamenti prevedono, inoltre, che le spese gravanti sui due fondi devono essere supportate da regolare documentazione e devono essere rendicontate dal presidente del gruppo consiliare, responsabile della regolarita' della documentazione prodotta e della sua rispondenza alle specifiche finalita' del contributo, secondo una disciplina analoga, quanto a termini per la redazione e approvazione del rendiconto (31 marzo di ogni anno) e poteri di verifica spettanti all'Ufficio di Presidenza, a quella generale contenuta nella Legge Regionale n. 17 del 1992 (cfr. articoli 4, 6, 7, 8). 5. Il trattamento economico dei consiglieri regionali Il trattamento economico dei consiglieri regionali e' regolato dalla Legge Regionale 23 luglio 1996, n. 17 (in vigore all'epoca dei fatti) e si compone di quattro voci: a) indennita' di funzione; b) diaria a titolo di rimborso spese; c) rimborso spese di trasporto sostenute per gli spostamenti dal comune di residenza a quello sede del consiglio regionale; d) indennita' e rimborso spese di missione. In particolare per quanto rileva in questa sede, va considerato che la L. n. 17 del 1996, articolo 6, nel disciplinare il trattamento di missione dei consiglieri regionali, prevede che per le missioni nel territorio regionale funzionali all'espletamento del mandato, per le quali il consigliere e' autorizzato di diritto, spetta un rimborso spese omnicomprensivo pari al 35% dell'indennita' di funzionale. Ove, invece, il consigliere regionale sia inviato in missione fuori dal territorio della Regione Lombardia, per l'espletamento delle funzioni esercitate o per ragioni delle cariche ricoperte, ai sensi del comma 1, sara' corrisposta: a) per le missioni all'estero, un'indennita' giornaliera di trasferta pari a quella stabilita per il personale dello stato compreso nel gruppo 2) della tabella A allegata al decreto del Ministro del tesoro del 24 maggio 1990 e successive modificazioni; b) per le missioni nel territorio nazionale, un'indennita' giornaliera di trasferta pari a quella stabilita per il personale dello Stato di cui alla lettera a); c) sia per le missioni all'estero che nel territorio nazionale, spetta il rimborso delle spese di alloggio, vitto e di trasporto effettivamente sostenute e documentate, previa contestuale riduzione dell'indennita' giornaliera di trasferta da determinarsi dall'ufficio di presidenza del consiglio regionale. Il successivo comma 3 disciplina, infine, il rimborso spettante al consigliere regionale per le attivita' connesse al mandato, ma non coperte da indennita' di missione, espletate nel territorio nazionale o presso le istituzioni dell'Unione Europea. La disciplina di tali voci sara' analizzata specificamente nel par. 12 dedicato all'esame delle tipologie di spese oggetto di imputazione. 6. Le spese per le segreterie e gli staff di assistenza ai consiglieri. La Legge Regionale 7 luglio 2008, n. 20, articolo 67 prevede, infine, che per lo svolgimento delle attivita' necessarie all'esercizio delle proprie funzioni i gruppi consiliari si avvalgono di specifiche unita' organizzative, denominate segreterie e staff assistenza ai consiglieri, scelte in virtu' di un rapporto di natura fiduciaria. Ai sensi del comma 3 le risorse finanziarie necessarie per l'acquisizione del personale per le segreterie di ciascun gruppo consiliare e per gli staff di ciascun consigliere sono determinate dall'Ufficio di Presidenza con riferimento ai limiti e alle disponibilita' di bilancio concernenti le spese dei gruppi consiliari. Il budget dei singoli gruppi viene diviso in due quote (segreteria e staff) quantificate secondo la tabella di cui al comma 5. Le specifiche disposizioni relative alle modalita' di assunzione del personale ed al rimborso delle spese sostenute dai consiglieri per il personale del proprio staff saranno esaminate nei paragrafi relativi ai motivi di ricorso proposti da (OMISSIS) e da (OMISSIS). 7. La disponibilita' del denaro. Una volta esaminata la disciplina regionale vigente all'epoca dei fatti, si puo' passare all'esame della questione relativa alla configurabilita' in capo ai singoli consiglieri del possesso del denaro conferito al gruppo di appartenenza a titolo di contributo per il suo funzionamento e per le attivita' di informazione e comunicazione. Come emerge dalla disciplina regionale sopra esaminata, il contributo veniva erogato direttamente al gruppo consiliare attraverso l'accreditamento degli importi su un conto corrente intestato al gruppo, in relazione al quale il potere di firma spettava al Presidente del gruppo stesso, cui competeva anche un potere di vigilanza da esercitare sia in via preventiva sulla documentazione presentata a corredo delle istanze di rimborso che in via successiva attraverso la redazione del rendiconto annuale delle spese. Dalla ricostruzione delle due sentenze di merito non risulta, inoltre, che i consiglieri avessero a disposizione una carta di credito "regionale", dovendo, in ogni caso, anticipare le singole spese per poi presentare, con cadenza mensile, l'istanza di rimborso corredata da adeguata documentazione. La sentenza impugnata, riprendendo le argomentazioni di quella di primo grado, ha ritenuto che, poiche' i consiglieri si limitavano a presentare una "autodichiarazione" corredata da documentazione contabile, che veniva sottoposta ad un mero controllo formale da parte della competente struttura amministrativa, limitato alla sola rispondenza della spesa a quelle rimborsabili, i singoli consiglieri avevano di fatto la disponibilita' giuridica del denaro agendo come ordinatori di spesa nei confronti della struttura amministrativa, che operava come "tesoreria" o cassa. 7.1 Ad avviso del Collegio tale inquadramento giuridico del rapporto consigliere-fondo per il funzionamento del gruppo non puo' essere condiviso, dovendosi differenziare le posizioni dei ricorrenti in ragione del ruolo rivestito e delle modalita' di consumazione della condotta appropriativa contestata. Come meglio si illustrera' di seguito, infatti, la rilevanza penale e la qualificazione giuridica delle condotte in esame deve essere accertata tenendo conto della diversa posizione dei presidenti dei gruppi rispetto ai singoli consiglieri, nonche' delle condotte poste in essere in concorso tra i predetti. Va, innanzitutto, premesso che, in linea generale, il consolidato orientamento di questa Corte, dal quale il Collegio non intende discostarsi, interpreta la nozione di possesso assunta dall'articolo 314 c.p. attribuendole un significato piu' ampio di quello civilistico. Si ritiene, infatti, non necessario che il pubblico ufficiale abbia la materiale detenzione o la diretta disponibilita' del denaro, essendo sufficiente la disponibilita' giuridica, ossia la possibilita' di disporne, mediante un atto di sua competenza o connesso a prassi e consuetudini invalse nell'ufficio, e di conseguire quanto poi costituisca oggetto di appropriazione (tra le tante, Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi, Rv. 257385; Sez. 6, n. 7492 del 18/10/2012, Bartolotta, Rv. 255529; Sez. 6, n. 11633 del 22/01/2007, Guida, Rv. 236146). Nella nozione di possesso qualificato dalla ragione dell'ufficio o del servizio e' stato, inoltre, ricompreso non solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa su un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilita' della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento (Sez. 6, n. 19424 del 3/5/2022, Grasso, Rv. 283161). La giurisprudenza di legittimita' ha ulteriormente ampliato la nozione penalistica di possesso con riferimento alle c.d. procedure complesse, quali le ordinarie procedure di spesa. Si e', infatti, ritenuto che il possesso del denaro della pubblica amministrazione puo' anche essere mediato e far capo congiuntamente a piu' pubblici ufficiali quando la disciplina di natura pubblicistica prevede che l'atto dispositivo sia di competenza di un organo collegiale ovvero richieda l'intervento di piu' organi (Sez. 5, n. 15951 del 16/1/2015, Bandettini, Rv. 263263; Sez. 6, n. 39039 del 15/4/2013, Malvaso, Rv. 257096). Si e', pertanto, affermato che l'inversione del titolo del possesso e la conseguente appropriazione del denaro, rilevante ai fini della consumazione del delitto di peculato, puo' realizzarsi anche attraverso l'atto dispositivo di competenza del pubblico agente che consenta di conseguire materialmente il bene. Cio' anche, con riferimento alle procedure complesse, allorche' l'atto finale del procedimento e' emesso da un organo che non concorre nel reato in quanto indotto in errore da coloro che si sono occupati della fase istruttoria, configurandosi, in tal caso, il delitto di peculato mediante induzione in errore ai sensi degli articoli 48 e 341 c.p. (Sez. 6, n. 30637 del 22/10/2020, De Luca, Rv. 279884; Sez. 6, n. 39039 del 15/04/2013, Malvaso, Rv. 257096). 7.2 Va rilevato che la nozione penalistica di "possesso" e' stata declinata dalla giurisprudenza di questa Corte in termini non omogenei con riferimento all'utilizzo dei fondi assegnati ai gruppi consiliari. Sin dai primi casi affrontati da questa Corte si e', infatti, posto il problema della configurabilita' o meno di una disponibilita' di detti fondi da parte dei singoli consiglieri e, in ultima analisi, della qualificazione giuridica della condotta come peculato ovvero quale indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (articolo 316-ter c.p.). Premessa comune ai diversi orientamenti emersi sul tema e' la indiscussa natura pubblicistica dei contributi erogati ai gruppi, trattandosi di fondi gravanti sul bilancio regionale e destinati alla realizzazione della funzione primaria dei gruppi medesimi in seno al Consiglio regionale (cfr. in relazione alla sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti, Cass. civ., Sez. U, n. 5589 del 28/02/2020, Rv. 657218; Cass. civ., Sez. U., n. 21927 del 07/09/2018, Rv. 650450). Va, inoltre, considerato che, con riferimento all'ipotesi piu' comune nelle singole realta' regionali - l'assegnazione del fondo al capogruppo ovvero, come nella fattispecie in esame, direttamente al gruppo ma con l'attribuzione del potere di gestione al capogruppo - la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale il Collegio non intende discostarsi, ha costantemente ravvisato la configurabilita' del reato di peculato in relazione a condotte del presidente del gruppo, appropriative o di utilizzo del denaro per finalita' esclusivamente privatistiche o comunque non riconducibili, neppure indirettamente, all'attivita' politica ed istituzionale (Sez. 6, n. 1561 del 11/09/2018, dep. 2019, Fiorito, Rv. 274940). Cio' sia nel caso in cui il presidente del gruppo abbia agito nel proprio esclusivo interesse sia nel caso in cui abbia autorizzato il rimborso ai singoli consiglieri delle c.d. "spese minute", nonostante la mancanza di qualsiasi giustificativo comprovante la causale e il beneficiario della spesa, essendo egli obbligato, dalla vigente normativa regionale in tema di obbligo di rendicontazione, al controllo della destinazione dei fondi a lui resi disponibili in ragione del ruolo istituzionale ricoperto (Sez. 6, n. 14580 del 02/02/2017, Narduzzi, Rv. 269536). In buona sostanza, nessun dubbio puo' porsi in ordine alla diretta disponibilita' dei fondi in capo al Presidente del gruppo, essendo questi - salvo le ipotesi di delega ad altri - l'unico soggetto legittimato a prelevare il denaro sia direttamente, sia autorizzando il rimborso delle spese sostenute dai consiglieri. 7.3 Gli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte si sono, invece, differenziati allorche' si e' esaminata la posizione del singolo consigliere regionale al quale la legislazione regionale non assegni direttamente il potere di gestione del fondo. Un primo orientamento, condiviso dalla sentenza impugnata ed affermato da questa Corte in relazione all'esame della posizione di uno dei coimputati la cui posizione e' stata stralciata in ragione del rito speciale prescelto, ha posto l'accento sulla modalita' di conseguimento del rimborso delle spese anticipate dai consiglieri regionali, basata sulla presentazione di un'autodichiarazione corredata da documentazione e su un controllo di carattere meramente formale da parte della struttura amministrativa. Si e', pertanto, ritenuto, anche sulla base dell'ampia nozione di "possesso" elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte, che tale meccanismo replicasse quello ordinario delle spese pubbliche che vede, da un lato, un soggetto "ordinatore" della spesa, che ha la disponibilita' giuridica del denaro, e, dall'altro, un soggetto "esecutore", il "tesoriere". In buona sostanza, secondo questo orientamento, il consigliere regionale, presentando un'autodichiarazione corredata dalla documentazione, agisce come "ordinatore di spesa" nei confronti della struttura amministrativa che opera alla stregua di un ufficio cassa (Sez. 6 n. 4990 del 11/7/2018, (OMISSIS), Rv.274227). Tale soluzione ermeneutica e' stata successivamente condivisa e sviluppata da Sez. 6, n. 11001 del 15/11/2019, Valenti, Rv. 278809, che, pronunciandosi in relazione ad una fattispecie molto simile a quella oggetto del presente procedimento, ha ravvisato in capo ai singoli consiglieri una disponibilita' "mediata" del fondo, ponendo l'attenzione sul meccanismo di rimborso emerso dall'attivita' istruttoria. Nella fattispecie, infatti, risultava accertato che le richieste di rimborso, corredate da documentazione a sostegno, erano state presentate e liquidate dalla competente struttura organizzativa senza alcuna ingerenza da parte dei presidenti dei gruppi, investiti per legge dei compiti di vigilanza e rendicontazione, nell'erogazione delle somme. Ad analoghe conclusioni e' pervenuta anche Sez. 6, n. 167675 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418, ma in una fattispecie non sovrapponibile a quelle oggetto delle altre pronunce. Nella fattispecie concreta, infatti, la legge regionale attribuiva indistintamente al presidente del gruppo regionale e ai singoli consiglieri la disponibilita' giuridica del contributo stanziato per il funzionamento del gruppo consiliare che veniva trasferito mensilmente in un conto corrente intestato al gruppo. In relazione a tale peculiare fattispecie, si e', pertanto, affermato che integra il reato di peculato e non quello di indebita percezione di erogazioni pubbliche, aggravato dall'abuso delle qualita' del pubblico ufficiale, come modificato dalla L. 9 gennaio 2019, n. 3, articolo 1, comma 1, lettera l), la richiesta di rimborso avanzata dal consigliere regionale, relativa a spese sostenute per finalita' estranee all'esercizio del mandato, da imputare al fondo pubblico assegnato al proprio gruppo consiliare, poiche' in tal caso la disponibilita' giuridica del danaro intesa quale possibilita' di disporne con proprio atto - e' un antecedente della condotta e la falsa rappresentazione della realta' (attraverso la produzione di giustificativi di spesa volti ad accreditare la legittimita' del rimborso) e' diretta a mascherare l'interversione del possesso, laddove nel reato di cui all'articolo 316-ter c.p. l'impossessamento del bene o del danaro costituisce l'effetto della condotta decettiva, necessariamente susseguente ad essa (Rv. 279418-10). Per mera completezza, va, infine, chiarito che le pronunce, ascrivibili all'orientamento in esame, richiamano altro precedente di questa Corte, Sez. 6, n. 53331 del 19/9/2017, Piredda, che, tuttavia, ha ravvisato la configurabilita' del delitto di peculato in relazione ad un differente quadro normativo regionale (Liguria) in cui i contributi per il funzionamento dei gruppi consiliari, venivano erogati dall'Ufficio di presidenza del Consiglio regionale a ciascun gruppo e, sin dal conferimento, ripartiti tra i singoli consiglieri che ne potevano, dunque, disporre direttamente salvo poi presentare, ai fini della redazione del rendiconto annuale da parte del Presidente del gruppo, i relativi documenti giustificativi. 7.4 A difformi conclusioni e', invece, pervenuto altro orientamento che, pur riprendendo la nozione penalistica di possesso sopra esaminata, ha sottolineato la necessita', affinche' possa configurarsi una disponibilita' giuridica del bene, che il rapporto tra il pubblico ufficiale e la "cosa" sia connotato, da un lato, dal dovere di custodia del bene, e, dall'altro, dal potere, esercitabile in autonomia, di attribuire alla stessa una diversa destinazione (Sez. 6, n. 40595 del 2/3/2021, Bernardini, in motivazione). Sulla base di tale premessa ermeneutica, la Corte ha dunque, ritenuto che la disponibilita' giuridica del denaro spetta soltanto a chi ha un "potere di firma". Si e', pertanto, escluso che la presentazione della richiesta di rimborso - che nella fattispecie concreta veniva direttamente autorizzata dal presidente del gruppo il quale si limitava a controllare solo le spese "maggiori" - possa rilevare ai fini della configurabilita' in capo al richiedente di una disponibilita' giuridica dei fondi, anticipando, cosi', al momento della sua presentazione il momento consumativo della condotta appropriativa. Ad avviso della Corte, dunque, cio' che rileva, in assenza di un affidamento di fatto del potere di disporre del denaro stanziato per il gruppo consiliare, non e' il mancato esercizio del dovere di vigilanza e controllo, quanto, piuttosto, l'analisi delle regole di gestione del fondo medesimo. L'assegnazione dei fondi ai gruppi consiliari avviene, infatti, secondo due schemi tipici: 1) l'assegnazione dei fondi ad un soggetto "tesoriere" che autorizza i rimborsi delle spese anticipate dai singoli, se del caso previa verifica formale e sostanziale delle spese; 2) l'attribuzione a ciascun componente del gruppo consiliare, di regola tramite l'utilizzo di carte di credito, di un diritto ad un fondo cassa con un vincolo di destinazione e successivi obblighi di rendicontazione e di restituzione dell'eventuale residuo. Nella fattispecie esaminata nella sentenza "Bernardini" (relativa alla Regione Emilia-Romagna), considerando che, sulla base della disciplina regionale, i contributi erano affidati al Presidente del gruppo, con l'eccezione dei gruppi misti in cui ogni consigliere era assegnatario di una quota, la Corte ha escluso la configurabilita' del delitto di peculato in relazione alla condotta del consigliere regionale che, senza avere la disponibilita' di fondi per il funzionamento del gruppo consiliare, ottenga rimborsi gravanti sul fondo del gruppo di appartenenza per spese non rimborsabili (Rv. 282742-01). Sulla base di tali considerazioni, escluso, dunque, che il ricorrente avesse il possesso o la disponibilita' dei fondi, la Corte ha riqualificato una parte della condotta, consistita nel presentare documentazione giustificativa falsa per ottenere rimborsi non spettanti, nel reato di truffa aggravata di cui all'articolo 640 c.p. e articolo 61 c.p., n. 9, dichiarandolo estinto per prescrizione, ed ha, invece, annullato senza rinvio la sentenza impugnata in relazione ad altre richieste di rimborso, rispetto alle quali la valutazione di non inerenza della spese portata a rimborso si fondava su un mero giudizio di inopportunita' ovvero mancava un'adeguata motivazione del carattere fraudolento della condotta. E' opportuno evidenziare, peraltro, come in una piu' risalente pronuncia si era gia' ritenuto che l'indennita' elargita dalla Regione, tramite il meccanismo del rimborso, in favore dei propri consiglieri, per le spese di trasporto da questi sostenute per il raggiungimento del luogo di esercizio del mandato, rientra, ove indebitamente percepita, tra le erogazioni rilevanti ai sensi dell'articolo 316-ter c.p. (Sez. 6, n. 50255 del 13/11/2015, Tripodi, Rv. 265406). La soluzione ermeneutica adottata da Sez. 6, n. 40595 del 2021, e' stata successivamente condivisa da Sez. 6, n. 29678 del 7/7/2022, Villani, in cui la Corte, sulla base della medesima disciplina regionale gia' analizzata dalla sentenza Bernardini, preso atto della intervenuta assoluzione dei capigruppo per difetto dell'elemento psicologico del reato del reato di peculato in concorso con i singoli consiglieri, ha escluso che questi ultimi avessero la disponibilita' giuridica del fondo per il funzionamento del gruppo, non avendo un potere di firma ne' altra forma di delega individuale che consentisse loro di operare direttamente sul conto corrente del gruppo. Sulla base di tale premessa ermeneutica, la Corte ha, pertanto, riqualificato le condotte ascritte ai consiglieri, escludendo la configurabilita' del reato di peculato. In definitiva, secondo il piu' recente orientamento giurisprudenziale, l'elemento di discrimine, sulla base del quale ritenere sussistente o escludere il delitto di peculato, e' fondato sull'esame delle modalita' concrete mediante le quali i consiglieri ottengono l'erogazione del denaro proveniente dal fondo. Li' dove tale erogazione non consiste in un mero "prelievo" dal fondo, bensi' si inserisce in un meccanismo di anticipo della spesa da parte del consigliere e dalla successiva richiesta di rimborso, viene meno il requisito della disponibilita' del denaro. A ben vedere, e' proprio lo schema dell'anticipazione di spesa e del rimborso che si pone in antitesi con lo schema della disponibilita' - sia pur mediata - del denaro, nella misura in cui il rimborso consiste necessariamente in una richiesta rivolta ad un organo diverso (di norma il Presidente del gruppo) che, evidentemente, e' l'unico a poter formalmente disporre del denaro. 7.5. Il Collegio intende dare continuita' a tale secondo orientamento, dovendosi dare atto che questo costituisce il frutto di una evoluzione giurisprudenziale che, per affinamenti successivi, e' pervenuta ad una tipizzazione della fattispecie di peculato, valorizzando il dato relativo alla effettiva disponibilita' del denaro. Ai fini della configurabilita' del delitto di peculato mediante indebito utilizzo dei fondi per il funzionamento dei gruppi consiliari e', infatti, necessario che il rapporto tra il consigliere regionale ed il denaro sia connotato da una disponibilita', materiale o giuridica, ma, in ogni caso, diretta del bene. A tal fine, dunque, cio' che rileva e' il conferimento - per legge, in virtu' di specifica delega o anche di una prassi interna all'ufficio - di un autonomo potere di "firma" che consenta al pubblico agente di disporre liberamente del denaro nel rispetto del vincolo legale di destinazione del denaro che, come visto, nel caso di specie, attiene al funzionamento del gruppo consiliare ed alle attivita' di informazione e comunicazione. Va, invece, esclusa la configurabilita' della disponibilita' del denaro qualora il pubblico agente sia privo di tale autonomo potere di spesa e possa accedere al contributo stanziato solo previa presentazione di un'istanza di rimborso, corredata da documentazione giustificativa e soggetta a forme piu' o meno incisive di controllo. Contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, dunque, la prassi interna all'ufficio, qualora non consista nel conferimento di un autonomo potere di spesa del denaro, ma nel mancato esercizio della funzione di controllo spettante alle singole strutture amministrative sulle richieste di rimborso ovvero nel carattere meramente formale del controllo svolto, non puo' mai costituire una forma di disponibilita' giuridica del denaro. Ad avviso del Collegio, tale impostazione ermeneutica e' frutto di una erronea sovrapposizione dei piani concernenti, da un lato, il potere di disporre del denaro, e, dall'altro, i controlli funzionali al rispetto del vincolo di destinazione pubblicistica dello stesso. In buona sostanza, si finisce per considerare la prassi interna sui controlli preventivi quale fatto costitutivo della disponibilita' giuridica del denaro. Tale soluzione impone, tuttavia, la creazione di una figura ibrida di disponibilita' giuridica in cui il rapporto tra il pubblico agente e la res non e' diretto, ma "mediato" da un terzo, ovvero il soggetto preposto al controllo. Il terzo, nel caso in esame il Presidente del gruppo con l'ausilio della struttura amministrativa competente, viene, dunque, considerato come lo strumento attraverso il quale il pubblico agente esercita il proprio potere di disposizione del denaro, replicando sostanzialmente lo schema comune nelle procedure di pagamento in caso di maneggio di denaro pubblico, connotate dall'emissione di ordini di pagamento diretti alla banca incaricata del servizio di tesoreria che provvede materialmente alla loro esecuzione. Cosi' facendo, si adotta un'interpretazione della nozione di disponibilita' che rischia di creare frizioni con il principio di tassativita' e con il divieto di analogia nell'interpretazione dell'articolo 314 c.p.. La soluzione ermeneutica qui censurata omette di considerare che, con riferimento allo schema di utilizzazione del fondo per il funzionamento del gruppo consiliare, connotato dalla assenza di un autonomo potere di spesa da parte del singolo consigliere, ogni qualvolta il rimborso di una spesa non sia automatico, ma sia sottoposto ad un controllo che puo' anche condurre all'esclusione dell'imputazione al fondo di talune spese per difetto di inerenza, la posizione del consigliere regionale non puo' essere assimilata a quella di un ordinatore di spesa, quanto, piuttosto, a quella di un creditore. Trattasi, peraltro, di una situazione creditoria "condizionata", essendo il soddisfacimento del preteso rimborso subordinato al positivo espletamento del controllo di inerenza della spesa. Un'interpretazione costituzionalmente orientata impone, dunque, di restringere l'area della disponibilita' giuridica del denaro, necessaria precondizione ai fini della configurabilita' del reato di peculato, alle sole ipotesi in cui il pubblico agente abbia, per ragioni di ufficio o di servizio, la disponibilita' diretta del denaro e, dunque, la capacita' giuridica, svincolata da controlli preventivi, di utilizzarlo "uti dominus". 7.6. Venendo al caso di specie, l'istruttoria svolta ha rivelato l'assenza di tale disponibilita' diretta in capo ai singoli consiglieri regionali i quali potevano accedere al denaro dei due fondi del gruppo consiliare di appartenenza solo all'esito di un procedimento amministrativo interno connotato: a) dalla presentazione dell'istanza di rimborso delle spese anticipate (con cadenza mensile); b) dal controllo svolto dalla struttura amministrativa interna al gruppo e dalla ulteriore verifica da parte del presidente del gruppo cui i funzionari potevano rivolgersi in caso di dubbio sull'inerenza della spesa portata a rimborso; c) dal materiale rimborso delle spese ritenute inerenti, di regola tramite bonifico bancario in favore del singolo consigliere ovvero tramite assegni bancari sottoscritti dal presidente del gruppo. Sebbene la maggior parte dei testi escussi abbia riferito che i controlli eseguiti dalla struttura amministrativa erano di carattere meramente formale, limitandosi alla mera corrispondenza della spesa a quelle coperte dai due fondi, mentre quelli dei Presidenti dei gruppi erano sostanzialmente assenti o limitati ad un mero confronto con i funzionari sull'inerenza di talune spese dubbie, l'analisi dell'intero compendio istruttorio contenuta nelle due sentenze di merito ha, comunque, evidenziato che non venivano accolte tutte le istanze. Cio' e' emerso, ad esempio dalle deposizioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). In particolare, la teste (OMISSIS) ha riferito che circa il trenta per cento delle istanze di rimborso venivano respinte. Tali risultanze istruttorie rivelano, dunque, una situazione di fatto ben diversa da quella esaminata dal precedente di questa Corte relativo al giudizio abbreviato celebrato nei confronti del coimputato (OMISSIS), essendosi chiaramente acclarato nel corso dell'istruttoria dibattimentale che ne' la legge regionale, ne' la prassi interna a ciascun gruppo consiliare ne', infine, i singoli capigruppo hanno conferito ai singoli consiglieri un autonomo e diretto potere di utilizzazione dei due fondi per il funzionamento dei gruppi consiliari e per le attivita' di comunicazione ed informazione. Mentre, dunque, non vi e' alcun dubbio, alla luce della specifica disciplina regionale, che i capigruppo avessero la disponibilita' giuridica del denaro, deve, invece, escludersi che ad analoghe conclusioni possa pervenirsi in relazione al rapporto, ove autonomamente considerato, tra il singolo consigliere ed il fondo in esame. L'applicazione delle coordinate ermeneutiche appena esposte alla fattispecie in esame conduce, pertanto, ad una differente qualificazione giuridica delle condotte ascritte ai singoli ricorrenti dovendosi, a tal fine, distinguere tra le condotte contestate esclusivamente al singolo consigliere regionale e quelle contestate, invece, al presidente del gruppo consiliare, da solo o in concorso con taluni consiglieri. 8. La qualificazione giuridica delle condotte: le appropriazioni ascritte ai singoli Consiglieri. Procedendo, innanzitutto, all'esame delle condotte appropriative contestate ai singoli consiglieri regionali (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) rileva il Collegio che, in assenza della contestazione di un concorso con il capogruppo, dette condotte non possono integrare il contestato delitto di peculato, difettando in capo ai singoli consiglieri la condizione essenziale del possesso o della disponibilita' giuridica diretta del denaro del fondo. Alla luce della concorde ricostruzione dei fatti contenuta nelle due sentenze di merito, si ritiene che le condotte tenute dagli imputati sopra individuati debbano devono essere qualificate quale indebita percezione di erogazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 316-ter c.p.. Tali condotte, infatti, sono consistite nel conseguimento del rimborso delle spese sostenute sulla base di specifiche istanze corredate da documentazione contabile (scontrini o fatture), senza alcun ricorso a condotte fraudolente idonee a sussumere dette condotte nell'ambito del reato di truffa aggravata. L'erogazione risulta, infatti, conseguita senza alcuna induzione in errore da parte della competente struttura amministrativa, sulla base di un'istanza corredata da documentazione inadeguata a giustificare la spesa sostenuta ed approfittando delle maglie larghe dei controlli che avrebbero dovuto essere espletati sull'inerenza delle spese al funzionamento del gruppo o alle attivita' di comunicazione ed informazione. 8.1. Rileva, tuttavia, il Collegio che, a seguito della derubricazione del reato contestato ai singoli consiglieri nella meno grave ipotesi prevista dall'articolo 316-ter c.p., e' maturata la prescrizione per tutte le condotte ascritte; applicando, infatti, il termine massimo di 7 anni e 6 mesi, pur tenendo conto dei periodi di sospensione, anche i fatti commessi in epoca piu' recente e risalenti al 2012, risultano ampiamente prescritti. Va, inoltre, aggiunto che non sussistono elementi per giungere ad una piu' favorevole sentenza di assoluzione nel merito. Dal quadro probatorio descritto dalle due sentenze di merito emerge, infatti, l'esistenza di plurimi rimborsi - in particolare per consumazioni singole, spese di carburante e viaggi, spese per l'acquisto di beni voluttuari - che, in base alle osservazioni che nel prosieguo verranno svolte in ordine alla perimetrazione delle spese legittimamente rimborsabili (si vedano i parr. 10, 11 e 12), sono sicuramente riferibili a spese personali dei singoli consiglieri e, pertanto, rientrano appieno nella previsione del reato di cui all'articolo 316-ter c.p., trattandosi di rimborsi indebitamente conseguiti per spese con certezza non imputabili ai fondi destinati ai gruppi consiliari. Quanto detto comporta che, con riguardo all'aspetto penale va rilevata l'intervenuta prescrizione, ma al contempo deve ritenersi che il fatto di reato, produttivo dell'obbligo risarcitorio, e' stato accertato e richiedera' l'ulteriore esame da parte del giudice civile al fine di circoscrivere - secondo le indicazioni fornite nel prosieguo - l'effettiva entita' dei rimborsi indebitamente conseguiti. 8.2. La possibilita' di una pronuncia assolutoria va, inoltre esaminata sotto l'altro profilo, dedotto da alcuni dei ricorrenti, relativo al superamento o meno della soglia (Euro 3.999,96) che, in base al comma 2 della predetta norma, determinano la configurabilita' del reato, piuttosto che del mero illecito di natura amministrativa. Ritiene il Collegio che la questione vada risolta considerando che le richieste di rimborso e la conseguente percezione delle erogazioni avveniva su base mensile e, quindi, non deve tenersi conto delle singole spese - il piu' delle volte di minima entita' - bensi' del totale mensile indicato dai consiglieri, posto che l'indebita percezione era riferita all'ammontare mensile frutto della sommatoria delle singole spese. Nel caso di specie non sarebbe in alcun caso possibile far riferimento alle singole voci di spesa poste a fondamento della richiesta di rimborso, proprio perche' l'elemento costitutivo del reato va valutato con riguardo alla somma indicata nel rendiconto mensile, essendo questo il dato rilevante ai fini della richiesta di rimborso e della conseguente erogazione. Si puo' affermare, conseguentemente, che ove la condotta di indebita percezione si fondi su una richiesta di rimborso unitaria, nella quale confluiscono plurimi elementi di spesa sostenuti nell'arco di un periodo temporale predeterminato, il superamento della soglia deve essere valutato con riguardo all'entita' complessiva della somma richiesta a rimborso (la fattispecie in esame, proprio perche' presuppone un'unica richiesta di rimborso mensile, non consente di applicare i principi affermati in relazione alle diverse ipotesi di plurime e autonome richieste di erogazione, anche se basate su un titolo unitario, si veda: Sez. 6, n. 45917 del 23/9/2021, Prigitano, Rv. 282293; Sez. 6, n. 24890 del 20/2/2019, Giorgio, Rv. 277283; Sez. 6, n. 7963 del 26/11/2019, dep. 2020, Romano, Rv. 278455-02; Sez. 6, n. 31223 del 24/6/2021, Ciccarini, Rv. 282105). Cosi' impostata la questione, viene meno la possibilita' di pronunciare una sentenza assolutoria, anziche' il proscioglimento per intervenuta prescrizione, proprio perche' l'insussistenza del reato derivante dal mancato superamento della soglia prevista dall'articolo 316-ter c.p., comma 2, non emerge ictu oculi ed imporrebbe un non consentito accertamento di merito, rispetto al quale prevale il fatto estintivo. 9. Le appropriazioni contestate ai Presidenti dei gruppi consiliari. Le osservazioni svolte in ordine alla necessaria disponibilita' diretta del denaro sono funzionali all'esame delle posizioni dei Presidenti dei gruppi consiliari, nonche' dei singoli consiglieri imputati a titolo di concorso con i primi e, come si dira' di seguito, consentono di ravvisare la configurabilita' dei reati di peculato loro ascritti. Preliminarmente si rileva che i fatti commessi in epoca antecedente al 29 dicembre 2009, considerando il termine massimo di prescrizione previsto per il reato di cui all'articolo 314 c.p., maggiorato dei periodi di sospensione, risultano prescritti. Deve, pertanto, pronunciarsi sentenza di annullamento senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) in relazione ai fatti di cui al capo 61). Analoga decisione deve essere adottata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui ai capi 48), 48a), 61) e 62), con riferimento ai soli fatti commessi in epoca antecedente al 29 dicembre 2009. Nei confronti dei predetti imputati, pertanto, l'esame del reato di peculato, deve essere svolto limitatamente alle imputazioni non coperte dall'intervenuta prescrizione, nonche' nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con riferimento al capo 61), e nei confronti di (OMISSIS), con riferimento al capo 17), essendo a costoro contestati fatti commessi in epoca successiva al dicembre 2009. 9.1. Cosi' delimitato l'ambito dell'accertamento e tenendo presenti i principi affermati in precedenza, ad avviso del Collegio e' necessario valutare in primo luogo le ragioni della configurabilita' del peculato, distinguendo tra la posizione dei presidenti di gruppo ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) e quella dei consiglieri ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) per la parte di imputazione concernente il peculato contestato a titolo di concorso del singolo consigliere con il presidente del gruppo. Nell'esaminare la posizione dei consiglieri, si e' gia' avuto modo di chiarire le ragioni per le quali la disponibilita' del denaro - sulla base delle legislazione regionale all'epoca vigente - doveva essere riconosciuta esclusivamente in capo ai presidenti dei gruppi regionali. Solo costoro, infatti, avevano il potere di firma necessario per consentire la materiale erogazione dei rimborsi e, soprattutto, erano onerati di uno specifico compito di vigilanza circa l'effettiva riconducibilita' delle spese di cui si chiedeva il rimborso a quelle afferenti l'attivita' consigliare. Premesso, pertanto, che i presidenti dei gruppi erano coloro cui competeva la disponibilita' diretta delle somme stanziate per il funzionamento dei gruppi, ne consegue che l'utilizzo di tali risorse per finalita' diverse da quelle previste dalle leggi regionali integra necessariamente il delitto di peculato. Analoga fattispecie e', inoltre, configurabile nei confronti dei singoli consiglieri che, sottoscrivendo il documento contabile posto a fondamento delle richieste di rimborso materialmente presentate dal capogruppo (si fa riferimento alle condotte indicate al capo 61), hanno posto in essere il presupposto fattuale necessario per la successiva commissione del reato di peculato. Quanto detto consente di chiarire la sostanziale differenza esistente tra gli imputati del presente procedimento, atteso che nei confronti di alcuni consiglieri non e' stato contestato il concorso con il Presidente del gruppo di appartenenza, per altri, invece, l'imputazione era basata sul predetto concorso e, quindi, non e' possibile giungere alla derubricazione del reato di peculato in quello di cui all'articolo 316-ter c.p., proprio perche' l'effetto estensivo della fattispecie concorsuale consente di ritenere sussistente, anche nei confronti del consigliere, il presupposto della disponibilita' del denaro da parte del presidente del gruppo. La contestazione del peculato nella forma del concorso dei consiglieri con i rispettivi presidenti dei gruppi consiglieri pone l'ulteriore problematica di verificare la sussistenza dell'elemento dell'utilizzo dei fondi per finalita' esulanti da quelle consentite dalla legislazione regionale e, conseguentemente, di stabilire quali fossero le spese legittimamente rimborsabili. 10. L'onere della prova e la mancata ammissione dei testi a discarico. Superata la questione inerente alla qualificazione giuridica, in termini di peculato, delle appropriazioni di denaro da parte dei Presidenti dei gruppi e dei Consiglieri con questi concorrenti, si puo' procedere all'esame del motivo di ricorso proposto da tutti gli imputati e relativo alla ritenuta violazione del riparto dell'onere probatorio da parte dei giudici di merito. La sentenza di appello ha affrontato espressamente tale aspetto (p. 57 e seg.), evidenziando come gli appellanti avessero contestato l'inversione dell'onere probatorio, insito nel fatto che - a fronte di documentazione di spesa incompleta o dal contenuto ambiguo - si era preteso che fossero gli imputati a dimostrare le finalita' delle spese portate a rimborso. La Corte di appello ha escluso la lamentata inversione dell'onere probatorio, richiamando la giurisprudenza costituzionale (C. Cost., sent. n. 39 del 2014), nonche' la giurisprudenza della Corte dei conti, concordemente inclini a ritenere che - a prescindere dall'esistenza o meno di una specifica previsione normativa l'impiego di fondi pubblici impone una precisa rendicontazione. Sulla base di tale premessa, la Corte ha ritenuto condivisibile il principio affermato da Sez. 6, n. 23066 del 14/5/2009, Provenzano, Rv. 244061, secondo cui sarebbe configurabile il delitto di peculato qualora non si dia una giustificazione certa e puntuale del suo impiego per finalita' strettamente corrispondenti alle specifiche attribuzioni e competenze istituzionali del soggetto che ne dispone, tenuto conto delle norme generali della contabilita' pubblica, ovvero di quelle specificamente previste dalla legge (in senso conforme, Sez. 6, n. 14580 del 2/2/2017, Narduzzi, Rv. 269536). In una fattispecie similare a quella in esame, si e' anche affermato che in tema di peculato per distrazione delle somme percepite quali contributi dai gruppi consiliari regionali, deve escludersi la legittimita' dell'impiego di fondi pubblici in relazione a spese non giustificate o rispetto alle quali siano prodotti scontrini o fatture privi di giustificazione o recanti indicazioni talmente generiche da impedire la verifica della loro riconducibilita' all'attivita' istituzionale, quali scontrini di acquisto di beni, titoli di viaggio o ricevute di consumazioni presso bar e ristoranti senza alcuna menzione dell'identita' degli ospiti o dell'occasione (Sez. 6, n. 53331 del 19/9/2017, Piredda, Rv. 271654). Si tratta di un'impostazione che, invero, e' stata superata da questa Corte, proprio sulla base di un'attenta applicazione del riparto dell'onere probatorio che caratterizza il giudizio penale. L'indirizzo attualmente consolidato, ritiene che non sia configurabile il delitto di peculato nel caso di inadeguatezza o incompletezza dei giustificativi contabili relativi a spese di rappresentanza, che non permettano di riferire gli esborsi a finalita' istituzionali dell'ente, gravando sull'accusa l'onere della prova dell'appropriazione del denaro pubblico e della sua destinazione a finalita' privatistiche (Sez. 6, n. 21166 del 9/4/2019, Marino, Rv. 276067). Il profilo della carente giustificazione e' stato al piu' valorizzato in termini indiziari, essendosi sostenuto che in tema di indebito utilizzo di contributi erogati ai gruppi consiliari regionali, la prova del reato di peculato non puo' desumersi dalla mera irregolare tenuta della documentazione contabile, essendo necessario l'accertamento dell'illecita appropriazione delle somme, pur potendo l'assoluta inadeguatezza giustificativa del supporto contabile acquisire una valenza altamente significativa dell'utilizzo indebito del denaro, per l'impossibilita' di collegare lo stesso alle funzioni istituzionali del gruppo (Sez. 6, n. 3664 del 26/11/2021, dep. 2022, Mucilli, Rv. 28287; Sez. 6, n. 11001 del 15/11/2019, dep. 2020, Valenti, Rv. 278809-03). Si e' anche precisato che non e' configurabile il delitto di peculato nel caso in cui il pubblico agente non fornisca giustificazione in ordine all'utilizzo del contributo erogato per l'esercizio delle funzioni del gruppo consiliare regionale, non potendo derivare l'illiceita' della spesa da tale mancanza, occorrendo comunque la prova dell'appropriazione e dell'offensivita' della condotta, quantomeno in termini di alterazione del buon andamento della pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 38245 del 3/7/2019, De Luca, Rv. 276712). 10.1. L'indirizzo consolidatosi nella piu' recente giurisprudenza di legittimita' sopra richiamata deve essere ribadito, posto che i principi generali in tema di riparto dell'onere probatorio nel processo penale non consentono surrettizie inversioni della regola secondo cui compete all'accusa dimostrare i presupposti di fatto della fattispecie di reato. E' la pubblica accusa, pertanto, a dover dimostrare l'utilizzo in concreto di ciascuna somma di denaro di provenienza pubblicistica, provando che le risorse sono state impiegate per finalita' diverse da quelle consentite. Il Collegio e' consapevole che - a fronte di migliaia di spese, molte delle quali per importi minimali - la prova richiesta all'accusa e' estremamente onerosa, ma tale difficolta' non puo' essere superata invertendo l'onere della prova e gravando gli imputati di una giustificazione puntuale delle spese che, a ben vedere, e' di altrettanto difficile dimostrazione, tanto piu' in un sistema che ab origine non imponeva la dettagliata predisposizione di documentazione giustificativa. Individuato il principio applicabile nel disciplinare l'onere della prova con riguardo alla specifica fattispecie di peculato in esame, e' agevole rilevare come la Corte di appello - pur non contestando apertamente la regola di giudizio sopra evidenziata - ha in concreto operato una vera e propria inversione della stessa, ritenendo che tutte le spese per le quali non emergesse ictu oculi la compatibilita' con le finalita' istituzionali, dovessero essere imputate a titolo di peculato. Nella sentenza impugnata si afferma, infatti, che sarebbe onere della difesa allegare documentazione giustificativa delle spese, in presenza di elementi significativamente idonei a corroborare sul piano logico l'ipotesi accusatoria, per cui l'onere della prova a carico dell'accusa sorgerebbe solo a fronte di allegazioni difensive idonee a dimostrare un'adeguata destinazione (p. 62). Tale paradigma di giudizio, invero, nasconde una vera e propria inversione dell'onere della prova, nella misura in cui si afferma che la pubblica accusa sarebbe onerata di fornire dimostrazione dell'indebito utilizzo del denaro solo nel caso in cui vi sia un'allegazione difensiva a sostegno del legittimo utilizzo dei fondi. In tal modo, tuttavia, si fa gravare in prima battuta sull'imputato l'onere di indicare le ragioni e le modalita' della spesa di cui ha ottenuto il rimborso, invertendo la regola secondo cui e' sempre la pubblica accusa a dover fornire la prova degli elementi costitutivi del reato. Tale erronea impostazione trascura, tuttavia, di considerare che nel processo penale l'imputato puo' rimanere anche totalmente inerte, eventualmente confidando nell'incompleta o insufficiente prova data dall'accusa. Il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio comporta che l'incertezza probatoria ricada a carico dell'accusa. Ritenendo, invece, che l'insufficiente allegazione di elementi giustificativi delle spese faccia presumere l'indebito utilizzo dei fondi pubblici, l'equivocita' della prova si tradurrebbe nella dimostrazione del fatto costituente reato. Occorre dare atto che, nel tentativo di contemperare i principi in tema di onere della prova e carenza dell'allegazione difensiva, la Corte di appello ha valorizzato la possibilita' di dimostrare la distrazione sulla base di elementi indiziari (quali la tipologia di spesa e di esercizio commerciale, il numero dei commensali, la ripetitivita' delle consumazioni) che, tuttavia, per le ragioni che si illustreranno nell'individuare quali erano le spese legittimamente rimborsabili, non presentano affatto quei requisiti di univocita' e specificita' richiesti dall'articolo 192 c.p.p.. Va, innanzitutto, chiarito che la prova indiziaria puo' essere utilizzata ai fini dell'accertamento della destinazione dei fondi per il rimborso di spese esulanti dalle finalita' istituzionali, ma cio' solo a condizione che la tipologia delle spese sia di per se' inequivocabilmente incompatibile con l'espletamento del mandato consiliare (Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418-08). Sul tema deve ribadirsi il principio, gia' affermato da questa Corte, secondo cui solo le spese ontologicamente incompatibili con le finalita' istituzionali dell'ente integrano di per se' una distrazione punibile, mentre le spese di natura ambivalente, astrattamente compatibili sia con dette finalita', sia con il soddisfacimento di un interesse esclusivamente personale dell'agente, integrano il reato solo ove la pubblica accusa dimostri che le stesse siano state effettuate non gia' in correlazione con eventi di promozione dell'ente, bensi' per il soddisfacimento di un interesse meramente privatistico (Sez. 6, n. 2226 del 13/11/2019, dep. 2020, Schiavone, Rv. 278217). 10.2. La sentenza impugnata non solo non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, ma e' incorsa in un'ulteriore alterazione della dinamica probatoria, li' dove - proprio valorizzando la ritenuta autoevidenza della illegittimita' dei rimborsi - ha condiviso l'ordinanza istruttoria con la quale il Tribunale di Milano aveva sostanzialmente escluso gran parte dei testi a discarico addotti dagli imputati e che avrebbero dovuto deporre sulle occasioni in cui le spese erano state sostenute, fornendo la dimostrazione del loro collegamento con le funzioni proprie dei Presidenti di gruppo e dei Consiglieri regionali. La Corte di appello ha rigettato le istanze di riapertura dell'istruttoria presentata da plurimi imputati, escludendo, altresi', la nullita' dell'ordinanza adottata dal Tribunale all'udienza del 19 aprile 2016, con la quale non venivano ammessi gran parte dei testi a discarico indicati dagli imputati. La questione concernente la violazione del diritto di difesa, per effetto della mancata ammissione dei testi a discarico, e' stata ritenuta infondata sul presupposto che il Tribunale avrebbe, sia pur implicitamente, rigettato le richieste di prova ritenendo le testimonianze superflue. Precisa la Corte di appello che, ove pure si volesse ritenere sussistente la nullita' dell'ordinanza per difetto di motivazione, il vizio non sarebbe stato tempestivamente dedotto dai ricorrenti, dato che la nullita', essendosi verificata in udienza ed alla presenza delle parti, doveva essere immediatamente dedotta dopo la pronuncia dell'ordinanza ritenuta viziata, con conseguente applicazione della preclusione prevista dall'articolo 182 c.p.p., comma 2. A supporto di tale soluzione, il giudice di appello ha richiamato anche un precedente di questa Corte che, con riferimento alla diversa ipotesi della revoca di testimoni di cui era stata gia' disposta l'ammissione, ha ritenuto che l'ordinanza, resa in difetto di motivazione sulla superfluita' della prova, produce una nullita' di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'articolo 182 c.p.p., comma 2, con la conseguenza che in caso contrario essa e' sanata (Sez. 5, n. 51522 del 30/9/2013, Abatelli, Rv. 257891). Tale principio, secondo una isolata pronuncia (Sez. 5, n. 39764 del 29/5/2017, Rhafor, Rv. 271849) che la Corte di appello richiama, sarebbe applicabile anche al caso di specie, in cui il difetto di motivazione concerne l'ordinanza ammissiva delle richieste istruttorie. 10.3. La soluzione recepita nella sentenza impugnata non e' condivisibile. Invero, il profilo concernente la mancanza di motivazione in ordine al rigetto delle richieste istruttorie non rileva esclusivamente sotto il profilo formale del vizio di omessa motivazione dell'atto, avendo i ricorrenti contestato nel merito la ritenuta superfluita' delle prove orali, posta a fondamento dell'implicito rigetto da parte del giudice di primo grado, nonche' della mancata rinnovazione in appello. La Corte di appello, invece, si e' limitata essenzialmente a risolvere la questione sotto il profilo della nullita' dell'atto, in tal modo non confrontandosi con i motivi di appello con i quali ci si doleva non tanto dell'invalidita' formale, quanto dell'errore di giudizio sotteso alla mancata ammissione delle prove. Si ritiene, pertanto, che gli imputati hanno correttamente impugnato l'ordinanza che negava loro l'ammissione dei testi unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell'articolo 586 c.p.p., proprio perche' l'impugnazione concerneva il merito della decisione di rigetto e le sue conseguenze sull'accertamento della penale responsabilita'. Ne' e' dubitabile che i motivi formulati dagli appellanti concernessero espressamente il merito della decisione, piuttosto che la validita' della stessa sotto il profilo della nullita' dell'ordinanza, posto che le impugnazioni erano dichiaratamente finalizzate a condurre ad una riapertura dell'istruttoria, proprio per colmare quella lacuna che si era determinata per effetto della ritenuta erroneita' dell'esclusione dei testi indicati dagli imputati. 10.4. La Corte di appello, dopo aver ritenuto l'insussistenza della nullita' dell'ordinanza istruttoria, ha esaminato nel merito le richieste di rinnovazione probatoria ai sensi dell'articolo 603 c.p.p., ritenendo che le prove non fossero rilevanti in quanto volte a dimostrare la mera riconducibilita' delle spese ad esigenze di carattere "politico", anziche' a dimostrare l'indefettibile collegamento delle spese allo svolgimento di iniziative del gruppo consiliare. Tale impostazione e' stata contestata dai ricorrenti, i quali hanno sottolineato come le prove testimoniali di cui lamentavano l'esclusione erano volte a dimostrare le occasioni e le ragioni per cui le spese erano state sostenute. Si tratta, a ben vedere, di un dato probatorio che doveva essere dimostrato dalla pubblica accusa, al fine di provare l'estraneita' della spesa alle finalita' pubblicistiche, ma ove l'imputato abbia chiesto comunque di fornire una prova potenzialmente liberatoria, la stessa non poteva essere esclusa, sulla base di una valutazione di irrilevanza svolta a priori. Invero, la Corte di appello, nell'elencare l'oggetto delle singole impugnazioni sul tema della prova (p. 84-91), da' atto di come - pur nella genericita' della capitolazione delle circostanze - i testi erano chiamati a deporre essenzialmente sulla natura degli incontri conviviali, sui partecipanti e sul collegamento con l'attivita' consigliare. Orbene, tali elementi fattuali sono necessariamente rilevanti ai fini dell'accertamento del reato, proprio perche' consentono di cogliere il contesto e le ragioni per le quali sono state sostenute le spese oggetto di rimborso, sicche' non e' condivisibile il giudizio di irrilevanza espresso dalla Corte di appello sul punto. In definitiva, puo' ben affermarsi che nel presente procedimento si e' avuta una duplice violazione in tema di prova, la prima concernente la sostanziale inversione dell'onere probatorio, conseguente alla sopravvalutazione della carente giustificazione documentale delle spese e sull'apprezzamento di meri elementi indiziari, in gran parte privi del carattere della gravita' ed univocita'; al contempo, agli imputati e' stato sostanzialmente impedito di fornire elementi a discarico, in tal modo limitando indebitamente il diritto di difesa. 10.5. Alla luce di tali considerazioni, si ritiene non solo la fondatezza dei motivi di ricorso - sostanzialmente proposti da tutti i ricorrenti - in relazione all'inversione dell'onere della prova, ma anche dei motivi concernenti l'omessa ammissione dei testi a discarico. La sentenza impugnata va, dunque annullata con rinvio nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui ai capi 48), 48a), 61) e 62), commessi in epoca successiva al 29 dicembre 2009, nonche' nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con riferimento al capo 61), e nei confronti di (OMISSIS), con riferimento al capo 17), affinche' si proceda a nuovo esame delle condotte loro ascritte e, in particolare, della inerenza o meno ai due fondi destinati ai gruppi consiliari delle spese per cui detti imputati hanno conseguito i relativi rimborsi. Rispetto a quest'ultimo aspetto, il giudice del rinvio dovra' anche farsi carico di rivalutare - alla luce dei parametri sopra indicati - le posizioni relativa ai ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno specificamente proposto ricorso in cassazione in relazione alla mancata ammissione, fin dal primo grado, delle prove testimoniali. I restanti imputati per i quali e' stata pronunciato annullamento con rinvio, invece, non hanno impugnato sul punto la sentenza di appello, sicche' nei loro confronti non occorrera' rivalutare la rilevanza delle prove orali. 11. I motivi concernenti l'inerenza delle spese rispetto al mandato consiliare. La problematica centrale del giudizio in esame e' costituita dall'individuazione di quali fossero le spese per le quali i Presidenti dei gruppi potevano legittimamente disporre il rimborso delle spese sostenute dai consiglieri. La Corte di appello ha individuato (p. 64 e seg.) il perimetro delle spese rimborsabili, ritenendo che fossero tali solo quelle "connesse ad iniziative del gruppo, decise dal gruppo, volte al funzionamento del gruppo", escludendo dal rimborso le spese sostenute per l'attivita' politica del singolo consigliere, volte alla cura del proprio consenso politico, ovvero a tenere contatti con esponenti della societa' civile, al di fuori di un'iniziativa del gruppo. In buona sostanza, il discrimine tra le spese rimborsabili e quelle aventi natura meramente personale e' stato individuato nella "esistenza o meno di una iniziativa del gruppo". Con specifico riferimento alle cosiddette spese di rappresentanza, la Corte di appello ha individuato ulteriori limiti, ritenendo che possano considerarsi lecite solo le spese che attengono alla funzione di rappresentanza dell'ente, che, per consuetudine o per motivi di reciprocita', sono sostenute in occasione di rapporti di carattere ufficiale tra soggetti aventi veste rappresentativa del gruppo e soggetti esterni, appartenenti ad altri enti o rappresentativi della societa' civile, nonche' le spese connesse ad eventi ed iniziative di carattere istituzionale (principio tratto da Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep.2020, Giovine, Rv. 279418-06). Partendo da tali presupposti, la Corte di appello ha ritenuto che fossero sicuramente non rimborsabili - con conseguente integrazione del peculato - tutte quelle spese che, sulla base di una pluralita' di elementi indiziari, non risultavano compatibili con spese di rappresentanza sostenute in occasione di incontri organizzati dal gruppo consiliare. Ragionando in tal senso, la Corte di appello ha escluso che potessero essere legittimamente ricondotte alle spese di rappresentanza tutte le spese di ristorazione presso locali aventi caratteristiche incompatibili con la funzione di rappresentanza (trattorie, pizzerie, bar, autogrill); le spese concernenti consumazioni "singole" o per un numero limitato di persone, evidentemente incompatibili con un evento "pubblico"; le spese sostenute a favore dei soli componenti del gruppo. 11.1. Con riguardo alle spese per viaggi e soggiorni alberghieri si e' valorizzata la carenza di prova in ordine al collegamento di tali spese con incontri ed eventi organizzati dal gruppo, soprattutto con riguardo ai soggiorni svolti fuori regione. Sono state oggetto di contestazione anche le cosiddette spese per il personale di staff, impiegato dai singoli consiglieri, in assenza ed al di fuori delle regole per lo svolgimento di attivita' lavorativa all'interno dell'ente regionale. In relazione alle spese per acquisto di biglietti ferroviari o per rifornimento di carburante, la Corte di appello ha ritenuto sussistente una duplicazione di rimborso, posto che i consiglieri regionali godevano gia' di un autonomo trattamento di missione. 12. Attivita' del gruppo e dei singoli consiglieri. I criteri utilizzati dalla Corte di appello sono solo parzialmente condivisibili. Prendendo le mosse dalle spese di ristorazione, occorre precisare che queste, rientrano tutte nella categoria delle spese di natura ambivalente, essendo astrattamente compatibili sia con finalita' pubbliche, sia con il soddisfacimento di un interesse esclusivamente personale dell'agente. Tale dato rendeva necessaria una valutazione maggiormente attenta sia in punto di prova, ma ancor prima in ordine all'individuazione di quali attivita' il singolo consigliere poteva o meno svolgere anche al di fuori di un'iniziativa di gruppo. La Corte di appello, rifacendosi a principi elaborati con riguardo a leggi regionali diverse, ha ritenuto che fossero consentite le sole spese di ristorazione collegate ad eventi organizzati dal gruppo. Si tratta di un'affermazione non condivisibile, in quanto si pone in contrasto con la legislazione regionale lombarda che, invero, riconosceva espressamente la possibilita' per i singoli consiglieri di organizzare incontri ed eventi della piu' varia natura, finalizzati a garantire il costante rapporto dei consiglieri con i territori, nonche' con una pluralita' di categorie di soggetti potenzialmente interessati dall'attivita' normativa regionale, oltre che con gli organi dell'informazione. Rinviando per la compiuta disamina della legislazione regionale al p. 3, e' qui sufficiente richiamare la Legge Regionale n. 34 del 1972, articolo 2-ter, in base al quale i contributi erano erogati "al fine di assicurare l'espletamento del mandato consigliare", dizione che, pur sinteticamente, fa gia' riferimento al mandato del singolo, posto che i gruppi consigliari in quanto tali non possono ritenersi onerati dello svolgimento del mandato, trattandosi di mere strutture di sostegno ed aggregazione tra piu' consiglieri. Maggiore chiarezza e' stata fatta con il Regolamento relativo alle modalita' di erogazione del contributo (adottato il 19 giugno 2001), li' dove all'articolo 1 espressamente si precisa che il contributo mensile era finalizzato non solo a coprire le spese di funzionamento del gruppo, di aggiornamento, di studio e di documentazione, nonche' per diffondere la conoscenza del gruppo consigliare (lettera a), ma anche per far fronte alle spese di formazione, aggiornamento, consulenze esterne, rappresentanza, divulgazione ed accesso alle nuove tecnologie sostenute dai Consiglieri regionali per l'espletamento del mandato (lettera b). La lettura congiunta della Legge Regionale n. 34 del 1972 e del relativo regolamento rendono evidente come, accanto all'attivita' del gruppo in quanto tale, era prevista anche un'attivita' del singolo consigliere, cui si riconosceva la possibilita' di accedere al fondo per far fronte ad una pluralita' di spese, ivi comprese quelle di rappresentanza. Tale ambito e' stato ulteriormente esteso dalla Legge Regionale n. 17 del 1992, il cui articolo 1, comma 2-bis consentiva ai gruppi consiliari e ai singoli consigliari di organizzare le attivita' di informazione e comunicazione in proprio o di acquistare direttamente sul mercato i servizi, secondo le modalita' definite da ciascun gruppo. Nello svolgimento di tali funzioni, il successivo articolo 2 elencava, in maniera peraltro non tassativa, le tipologie di attivita' rientranti nell'ambito delle attivita' di informazione e comunicazione, ricomprendendovi quelle volte a: organizzare attivita' ed eventi a rilevanza esterna o interna quali, ad esempio, convegni e seminari; tenere rapporti a tutti i livelli di responsabilita' con gli organi della stampa d'informazione quotidiana e periodica, della radio e della televisione, in ordine alla pubblicazione di articoli ed alla diffusione di notizie; organizzare conferenze stampa; stendere e diffondere articoli e comunicati stampa; curare attivita' editoriali e di comunicazione multimediale; svolgere ogni altra attivita' similare, connessa e strumentale alle precedenti." Orbene, ritiene la Corte che sulla base del dato normativo sopra richiamato e' del tutto riduttiva l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui i consiglieri erano privi di una sfera di azione autonoma, potendo svolgere le sole attivita' concordate ed organizzate dall'intero gruppo. Il richiamato quadro normativo, invece, dimostra l'esatto contrario e, cioe', che i singoli consiglieri potevano gestire personalmente ed in autonomia tutta una articolata serie di attivita', ricomprendenti incontri sul territorio, organizzazione di convegni ed eventi di vario genere, incontri con rappresentanti di enti locali e di categorie portatori di interessi diffusi, rapporti con la stampa ed altri mezzi di informazione. In buona sostanza, l'adempimento del mandato consigliare contemplava il continuo raccordo con la realta' esterna, senza che cio' richiedesse alcuna preventiva organizzazione da parte del gruppo consiliare. La Corte di appello, pertanto, e' incorsa in una riduttiva lettura delle richiamate norme, ritenendo che tutta l'attivita' che i consiglieri svolgevano singolarmente andasse ricondotta nell'attivita' politica genericamente intesa quale propaganda, supporto e diffusione di aspetti di interesse partitico, per cio' solo non ricompresa nello svolgimento del mandato consiliare. Si tratta di un'assimilazione errata che non trova alcuna giustificazione ne' su un piano logico generale, ne' su quello strettamente giuridico. La sfera propriamente politica, infatti, e' necessariamente diversa rispetto all'attivita' consiliare, posto che solo quest'ultima presuppone un diretto collegamento con la funzione legislativa svolta dai consiglieri. A mero titolo esemplificativo, deve ritenersi che ove un consigliere si fosse recato presso un ente locale, per incontrare rappresentati dell'ente stesso, piuttosto che cittadini, per discutere di iniziative legislative o, comunque, di problematiche di competenza dell'amministrazione regionale, tale attivita' rientrerebbe appieno nell'adempimento del mandato consiliare e non potrebbe riduttivamente qualificarsi quale attivita' volta all'aumento della visibilita' del consigliere in quanto politico. Diversamente, ha natura esclusivamente politica qualsivoglia iniziativa legata essenzialmente alla sfera della propaganda e dell'affermazione di un determinato partito, quali possono essere gli incontri preelettorali, lo svolgimento di assemblee limitate agli aderenti e simpatizzanti di una determinata parte politica, l'organizzazione di convegni su tematiche che esulano dalla competenza dell'ente di appartenenza. Orbene, tenendo presente tali coordinate, deve ritenersi che tutta la valutazione compiuta dai giudici di merito e' inficiata in radice dal fatto che la quasi totalita' delle spese sostenute sono state ritenute non rientranti tra quelle rimborsabili per il solo fatto che riguardavano attivita' svolte individualmente dal consigliere regionale e non organizzate dal gruppo di appartenenza. 12.1. Una volta superata tale impostazione, la natura ambivalente delle spese di ristorazione diviene ancor piu' evidente e, al contempo, il ragionamento sillogistico su cui si fonda la sentenza impugnata mostra appieno l'equivocita' degli elementi indiziari sui quali si basa. I dati probatori sui quali si sono basati i giudici di merito, infatti, consistono semplicemente in un elenco di spese, recanti l'indicazione della data, dell'importo e del locale presso il quale e' avvenuta la consumazione. Tali elementi, invero, non consentono affatto - da soli - di ritenere dimostrato che, in concomitanza con quella determinata spesa, il consigliere che ne ha chiesto il rimborso non ha svolto una di quelle varie attivita' che, secondo le richiamate previsioni normative, rientravano nella sua esclusiva e personale facolta' di azione. Uno degli elementi che e' stato illogicamente valorizzato dai giudici di merito e' quello concernente la tipologia di esercizio commerciale presso il quale la consumazione e' avvenuta. Si e' ritenuto, infatti, che la spesa sostenuta presso bar, pizzerie e osterie, dovesse ritenersi di per se' inconciliabile con le cosiddette spese di rappresentanza, presupponendo queste necessariamente un contesto ambientale formale ed incompatibile con i locali sopra menzionati. L'elemento indiziario sopra indicato e' fallace per due motivi. In primo luogo, nulla esclude che locali denominati quali "osteria", piuttosto che "trattoria" o pizzeria, offrano un servizio di standard elevato e quindi - secondo la tesi dei giudici di merito - compatibili con la funzione di rappresentanza. Ma, a ben vedere, vi e' un dato ancor piu' dirimente. I giudici di merito, anche richiamando la giurisprudenza della Corte dei conti, hanno ritenuto che la scelta di svolgere incontri con soggetti istituzionali in ristoranti, anziche' nelle sedi proprie, non puo' legittimare il consigliere regionale a riversare sul fondo per la gestione dei gruppi gli oneri conseguenti. Tanto meno potrebbero ricondursi nel concetto di spese di rappresentanza gli incontri privi dei caratteri dell'ufficialita' e della eccezionalita'. Si tratta di affermazioni che, pur pienamente condivisibili nell'ambito del controllo demandato alla giurisdizione contabile, non possono essere direttamente traslate in ambito penale, nel quale la configurazione del reato di peculato presuppone esclusivamente un utilizzo dei fondi per finalita' diverse da quelle consentite, mentre e' precluso al giudice di compiere qualsivoglia valutazione circa la scelta discrezionale in ordine alle modalita' ed entita' della spesa sostenuta. In buona sostanza, al giudice penale compete esclusivamente di valutare se la spesa sia correlata o meno all'assolvimento del mandato consiliare, non potendo anche sindacare, nel merito e su profili prettamente discrezionali, la necessita' e l'adeguatezza della spesa, in relazione alla possibilita' di svolgere il medesimo incontro in altra sede e senza affrontare esborsi, ovvero sostenendo costi piu' limitati. Parimenti non sindacabile e' l'eccessivita' della spesa sostenuto, posto che il necessario contenimento della spesa pubblica e' gia' garantito dalla legislazione regionale nella parte in cui stabilisce un tetto massimo al contributo mensile, esulando del tutto dall'ambito di valutazione del giudice penale se tale spesa sia adeguata o meno rispetto alla finalita' pubblicistica perseguita dal soggetto che si e' avvalso del rimborso. Per completezza, si rappresenta che, sia pur con riguardo ad un diverso contesto normativo, questa Corte ha ipotizzato la possibilita' che il giudice penale valuti l'indebito utilizzo dei contributi erogati ai gruppi consiliari anche con riferimento all'entita' delle spese sostenute ed alla loro rispondenza a parametri di ragionevolezza e proporzionalita', sul presupposto che la verifica in ordine alle modalita' di utilizzo dei fondi non attiene al merito delle scelte ovvero dell'attivita' politica, ma alla conformita' alla legge dell'azione amministrativa (Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418-02). Si tratta di un principio condivisibile a condizione che la non riferibilita' della spesa alle finalita' pubbliche - costituente l'elemento costitutivo del reato di peculato - non venga desunta dalla sola eccessivita' dell'esborso. Quest'ultimo aspetto, invero, attiene sicuramente al rispetto dei principi generali in tema di corretto svolgimento dell'attivita' amministrativa, ma non puo' integrare, di per se', l'elemento costitutivo richiesto dalla fattispecie di cui all'articolo 314 c.p., rispetto al quale rileva esclusivamente la "distrazione" del denaro dalla finalita' per la quale viene messo a disposizione del pubblico agente, mentre le violazioni relative alle modalita' del suo utilizzo, a patto che non venga violato il vincolo di destinazione, potranno al piu' rilevare solo sotto il profilo della responsabilita' contabile. 12.2. Sulla base di tali parametri, al giudice del rinvio competera' l'esame delle singole voci di spesa per ristorazione, verificando se ed in che misura risulti l'estraneita' della spesa rispetto alle finalita' istituzionali come sopra individuate e riferite anche all'attivita' del singolo consigliere o presidente del gruppo. Nel compiere tale valutazione, non ci si potra' basare su elementi indiziari privi di adeguata certezza ed univocita' (quali, ad esempio, il numero dei commensali, la tipologia di locale in cui la spesa e' stata sostenuta, la vicinanza tra piu' spese di ristorazione, l'acquisto di generi alimentari, tra cui dolci, bibite ed altri beni potenzialmente utilizzabili in occasione di incontri pubblici), sicche', nel caso in cui la natura ambivalente della spesa non consenta di affermare, in termini di certezza, che la stessa non era ricollegata ad alcuna delle molteplici attivita' consentite dalla normativa regionale, non potra' che prendersi atto del mancato raggiungimento della prova del reato, a prescindere dal fatto che l'imputato abbia o meno offerto giustificazione della causale della spesa. 12.3. Diverse considerazioni vanno fatte, invece, per le cosiddette consumazioni singole, consistenti in spese per le quali la documentazione attesta inequivocabilmente - sia per l'indicazione numerica della consumazione, sia per l'importo speso - la fruizione del servizio da parte di un solo soggetto. Rispetto a tali esborsi, infatti, potra' valorizzarsi l'elemento indiziario della presumibile mancanza di una pluralita' di soggetti con i quali il pubblico agente ha avuto modo di relazionarsi, potendosi presumere che la spesa copriva un mero consumo personale del consigliere, in quanto tale non rientrante in alcuna delle attivita' contemplate nella legislazione regionale. 12.4. Discorso a parte va fatto anche per le spese di ristorazione dei consiglieri sostenute presso ristoranti convenzionati (in particolare il ristorante "(OMISSIS)"). In tal caso, e' stato contestato il delitto di peculato commesso dal presidente del gruppo in concorso con il singolo consigliere che, partecipando al pranzo, poneva in essere il presupposto di fatto per il successivo pagamento dello stesso con i fondi del gruppo. Secondo la ricostruzione operata in punto di fatto dalla Corte di appello e, sostanzialmente, neppure contestata dai ricorrenti, alcuni gruppi consiliari avevano stipulato una convenzione con ristoranti collocati nelle vicinanze della sede della Regione, concordando un prezzo forfettario e, soprattutto, che il singolo fruitore del pranzo non dovesse anticipare alcuna somma di denaro, limitandosi a sottoscrivere lo scontrino fiscale attestante la consumazione del pranzo. Successivamente, era lo stesso ristoratore a presentare la richiesta di pagamento al gruppo consiliare ed il presidente autorizzava il pagamento, imputando le somme ai singoli consiglieri che avevano partecipato al pranzo. Orbene, poiche' tale modalita' veniva seguita dai soli consiglieri ed in concomitanza con la loro partecipazione all'attivita' consiliare, deve condividersi la tesi sostenuta dai giudici di merito, secondo cui in tal modo i presidenti dei gruppi interessati hanno consentito l'indebito utilizzo dei fondi messi a loro disposizione per far fronte alle ordinarie spese dei consiglieri, per i quali questi gia' percepivano un'apposita diaria, con conseguente duplicazione del rimborso (per la normativa sul punto si veda p. 4). Ne' puo' dubitarsi della sussistenza del dolo in capo al singolo consigliere (motivo dedotto da (OMISSIS) e comune anche a (OMISSIS)), dovendosi dare continuita' al principio secondo cui, ai fini del concorso doloso del capogruppo che autorizzi il rimborso di spese sostenute dal consigliere per finalita' non istituzionali, e' necessario l'accertamento della piena consapevolezza da parte del primo dell'uso illecito del danaro pubblico, che non puo' desumersi dall'assenza di adeguate verifiche della conformita' tra giustificativi di spesa ed iniziative del gruppo, ne' dall'ampiezza dei rimborsi consentiti (Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418-09). Nel caso di specie, deve ritenersi che il presidente del gruppo ed il singolo consigliere avevano necessariamente contezza dell'indebito utilizzo dei fondi, posto che la convenzione con il ristoratore era espressamente finalizzata a consentire ai singoli di consiglieri di consumare dei pasti che non provvedevano a pagare, in tal modo conseguendo un vantaggio patrimoniale indebito, posto che le spese collegate allo svolgimento dell'attivita' presso il Consiglio regionale erano gia' coperte dalla diaria. 12.5. Nell'esaminare il quadro normativo di riferimento, si e' richiamata la disciplina concernente il rimborso per le spese di viaggio, in particolare, la L. n. 17 del 1996, articolo 6, relativa al il trattamento di missione dei consiglieri regionali, prevedeva che per le missioni nel territorio regionale funzionali all'espletamento del mandato, per le quali il consigliere e' autorizzato di diritto, spetta un rimborso spese omnicomprensivo pari al 35% dell'indennita' di funzione. Per le spese di missione al di fuori del territorio regionale, invece, l'articolo 6 stabiliva un autonomo trattamento di missione per il consigliere "inviato in missione fuori dalla regione Lombardia"; in tale ultimo caso si trattava, quindi, di un'indennita' spettante solo a fronte di uno specifico incarico. Sulla base di tali norme, quindi, deve ritenersi che correttamente la Corte di appello ha escluso la possibilita' di ottenere un ulteriore rimborso per le spese di carburante e di viaggio, per gli spostamenti intra-regionali, proprio perche' si trattava di spese gia' coperte dal trattamento di missione sopra richiamato. Analoghe considerazioni valgono per le missioni fuori regione che, a prescindere dal fatto che dovevano essere espressamente autorizzate, non potevano in alcun caso consentire la richiesta di rimborso con imputazione della spesa sul fondo per il funzionamento dei gruppi, trovando una diversa ed apposita disciplina nella Legge Regionale n. 17 del 1996. 12.6. Ultima voce di rimborso che richiede uno specifico esame e' quella concernente le spese sostenute in favore del personale di staff nominato a supporto dell'attivita' dei gruppi. Si tratta di una problematica che si pone, in particolare, in relazione all'imputata (OMISSIS), all'epoca dei fatti presidente del gruppo "(OMISSIS)" che, in tale veste, si sarebbe indebitamente appropriata della somma complessiva di Euro 66.319,00, gran parte della quale utilizzata (oltre che per effettuare rifornimenti di carburante e pagare biglietti ferroviari) per rimborsare spese sostenute da "collaboratori volontari". Sostiene la ricorrente che tale condotta non potrebbe integrare il reato di peculato, sia perche' il denaro era stato materialmente riversato in favore dei collaboratori, sia perche' questi ultimi erano pienamente legittimati a svolgere attivita' di supporto ai gruppi, erano autorizzati ad accedere agli uffici regionali e ad avvalersi degli strumenti informatici messi a loro disposizione. Deduce la ricorrente che la Legge Regionale n. 17 del 1992, articolo 3, comma 2, prevedeva espressamente che i divieti di erogazione di rimborsi "non si applicano ai pagamenti eseguiti a titolo di corrispettivo per collaborazioni, nonche' per pagamenti eseguiti a titolo di rimborso di spese vive incontrate per acquisire collaborazioni di persone aventi particolari competenze o specifiche conoscenze utili allo svolgimento delle attivita' istituzionali dei gruppi consiliari". Nel caso di specie, quindi, dovrebbero ritenersi del tutto leciti i rimborsi delle spese vive sostenute dai collaboratori, individuati fiduciariamente dal Presidente del gruppo. La tesi difensiva non e' condivisibile, in quanto non si confronta con la legislazione regionale che disciplinava specificamente l'assunzione di collaboratori fiduciari da parte dei gruppi consiliari (Legge Regionale n. 20 del 2008, articoli 66 e 67), ne' con il dettato del regolamento relativo alle modalita' di utilizzo del fondo per le attivita' di informazione dei gruppi consiliari, con il quale si dava attuazione alla Legge Regionale n. 17 del 1992. L'articolo 3 del regolamento precisava, infatti, che la stipula di contratti, anche aventi ad oggetto forme di collaborazione occasionale, doveva ritenersi disciplinata dalla Legge Regionale n. 20 del 2008, in tal modo escludendo la possibilita' di collaborazioni volontarie, prive di qualsiasi forma di contrattualizzazione e senza una puntuale disciplina dei compensi spettanti ai collaboratori. Sul punto, pertanto, devono condividersi appieno le considerazioni svolte dalla Corte di appello sia nel trattare in generale la tematica in questione (si veda, in particolare, p. 75-77), sia la motivazione specificamente riferita all'imputata (OMISSIS). 13. Le spese sicuramente incompatibili con le finalita' pubbliche. Il giudice del rinvio, nel procedere alla ricognizione delle spese riconducibili o meno alle finalita' pubbliche contemplate dalla legislazione regionale, dovra' valorizzare quelle ipotesi in cui e' stato chiesto ed ottenuto il rimborso con riguardo all'acquisto di beni intrinsecamente non riconducibili ad un rapporto di strumentalita' con lo svolgimento delle funzioni di consigliere. L'indebita appropriazione potra' essere ritenuta sussistente - senza il rischio di incorrere nell'inversione dell'onere della prova, ne' di applicare criteri inferenziali privi dei requisiti di gravita' e non equivocita' - con riguardo a tutti quegli esborsi che sono ictu oculi destinati a soddisfare esigenze personali del fruitore, senza possibilita' che possa essere fornita alcuna spiegazione alternativa. A mero titolo esemplificativo e salvo restando che la verifica, per ciascuna spesa, non puo' che essere rimessa al giudice del merito, non appaiono in alcun modo compatibili con l'assolvimento del mandato elettorale i rimborsi che risultano siano stati ottenuti per acquistare sigarette, caramelle, biglietti della lotteria, gratta e vinci, nonche' beni voluttuari di vario genere, ma comunque dimostrativi del soddisfacimento di esigenze personali slegate dall'assolvimento del mandato elettorale. Tali spese rientrano a pieno titolo tra quelle per le quali la finalita' appropriativa del denaro e' sostanzialmente autoevidente, dal che consegue la configurabilita' del reato di peculato. Peraltro, i medesimi criteri atti a dimostrare il carattere indebito dell'erogazione percepita, avrebbero dovuto trovare applicazione anche in relazione alle condotte riqualificate ai sensi dell'articolo 316-ter c.p. ove non fosse stata dichiarata l'intervenuta prescrizione. 14. Dolo ed errore sul fatto. Gli imputati, sia pur con varieta' di formulazione, hanno eccepito l'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato, anche in conseguenza dell'errore sul fatto ingenerato dalle indicazioni ricevute in ordine all'individuazione delle spese rimborsabili. Si afferma, infatti, che la legislazione all'epoca in vigore, letta congiuntamente alle indicazioni che erano state fornite ai consiglieri fin dal momento del loro insediamento, li avrebbe indotti a confidare nella legittimita' delle richieste di rimborso. In tal caso, quindi, sarebbe configurabile un errore sul fatto e non sul precetto penale. La doglianza e' infondata, dovendosi dare continuita' al principio secondo cui l'errore dei consiglieri circa la facolta' di disposizione del pubblico denaro, asseritamente indotto da regolamenti interni dei singoli gruppi che consentano il rimborso per una vasta tipologia di spese, con causale generica ed in assenza di un effettivo controllo, si risolve in un errore sulla legge penale e, pertanto, non esclude l'elemento soggettivo del reato (Sez. 6, n. 167675 del 18/11/2019, dep. 2020, Giovine, Rv. 279418 - 07). Peraltro, all'esito della diversa perimetrazione delle spese per le quali puo' ritenersi lecito il rimborso, anche la questione attinente alla sussistenza del dolo perde gran parte della sua valenza. In base alle osservazioni in precedenza svolte, infatti, si e' ritenuto che possano integrare il delitto di peculato solo quelle spese che - in mancanza di prove ulteriori - appaiono per loro natura assolutamente incompatibili con l'espletamento del mandato consiliare. Si tratta, pertanto, di spese rispetto alle quali non e' sostanzialmente ipotizzabile - pur a fronte delle indicazioni che i consiglieri avevano ricevuto - la loro riconducibilita' alla funzione pubblica, essendo intrinsecamente destinate a soddisfare esigenze meramente personali. Se queste sono le spese il cui rimborso integra il delitto di peculato, sul versante del dolo ne consegue l'impossibilita' di configurare un effettivo dubbio circa la natura illecita delle stesse. 15. La posizione dell'imputato (OMISSIS) richiede una ulteriore specificazione, avendo questi eccepito che - a seguito del differimento dell'udienza del 28 giugno 2022 per l'adesione di alcuni difensori all'astensione dalle udienze - nei suoi confronti non poteva tenersi conto della sospensione del termine di prescrizione, non avendo avanzato istanza di rinvio. La questione deve ritenersi assorbita, posto che le ipotesi di reato contestate a (OMISSIS) al capo 61, in concorso con il capogruppo (OMISSIS), sono ugualmente tutte prescritte. Vi sarebbe, infatti, un'unica spesa indicata nell'annualita' 2010 che, tuttavia, risulta effettuata a fine 2009 e, quindi, rientra nel periodo coperto dalla prescrizione. 16. L'annullamento con rinvio per la rivalutazione della sussistenza del fatto, determina l'assorbimento dei motivi concernenti il trattamento sanzionatorio ed il riconoscimento della continuazione. 17. Il ricorso di (OMISSIS). Passando all'esame del ricorso proposto da (OMISSIS), la sentenza impugnata, pur dichiarando estinto per prescrizione il reato di truffa aggravata ascritto all'imputato in concorso con il consigliere regionale (OMISSIS), ha confermato le statuizioni civili in favore della Regione Lombardia (condanna al risarcimento dei danni liquidati in Euro 127.600 a titolo di danno patrimoniale ed Euro 12.000 a titolo di danno morale). Secondo il ricorrente tale capo della sentenza sarebbe affetto da vizi cumulativi di violazione di legge e di mancanza ed illogicita' della motivazione in quanto sulla base della disciplina all'epoca vigente (la Legge Regionale n. 20 del 2008, articolo 67, comma 9) non era richiesto alcun titolo ai fini dell'assunzione come collaboratori esterni. Il motivo e' infondato per le ragioni di seguito esposte. Va, innanzitutto, considerato che la Legge Regionale n. 20 del 2008 prevede che per lo svolgimento delle attivita' necessarie all'esercizio delle proprie funzioni i gruppi consiliari si avvalgono di specifiche unita' organizzative denominate segreterie e staff assistenza ai consiglieri scelte in virtu' di un rapporto di natura fiduciaria. Erroneamente il ricorrente afferma che la costituzione di tali rapporti di collaborazione esterna fosse governata esclusivamente da tale carattere intuitus personae del rapporto. Come gia' rilevato dalla sentenza impugnata, l'articolo 67 della citata legge regionale, nel consentire l'acquisizione a tale titolo di personale esterno all'amministrazione regionale con contratto di diritto privato a tempo determinato, ivi compreso il contratto di collaborazione professionale o di consulenza professionale, prevede espressamente che tale rapporto viene costituito con la sottoscrizione del contratto individuale, sottoscritto per l'amministrazione dal presidente del Consiglio regionale o dal suo delegato, sulla base di schemi contrattuali approvati dall'Ufficio di Presidenza, che tengono conto della professionalita' richiesta, dei diversi ambiti di autonomia e responsabilita' del personale interessato (comma 12). In ogni caso, anche a prescindere da tale chiara disposizione normativa, va considerato che, con il contratto stipulato, il (OMISSIS) si era impegnato a svolgere una prestazione altamente specialistica rispetto alla quale, come risulta dalla sentenza impugnata, lo stesso ha dolosamente taciuto di non essere in possesso del corrispondente grado di professionalita'; che l'importo della retribuzione era stato determinato proprio in ragione della natura di tale prestazione e che detto importo e' stato percepito dal (OMISSIS) a fronte dello svolgimento di attivita' di diversa natura. Risulta, infatti, dalla sentenza impugnata che il contratto di collaborazione del (OMISSIS) aveva ad oggetto la "valutazione dell'attivita' legislativa attinente i rapporti tra Regione ed Enti Locali con particolare attenzione alla provincia di Lecco a supporto dell'attivita' del Consigliere (OMISSIS)". Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, l'oggetto del contratto implicava un'elevata professionalita' del collaboratore esterno, essendo imprescindibile, a tal fine, quanto meno un titolo di laurea, mentre il (OMISSIS), operaio imbottigliatore, possedeva solo un diploma di licenza media. Risulta, inoltre, che lo stesso (OMISSIS), nel corso dell'esame dibattimentale, ha ammesso che il ricorrente aveva svolto un'attivita' diversa da quella oggetto del contratto, consistente nel mantenimento dei rapporti del Consigliere regionale con il territorio. Pertanto, considerati l'elevata professionalita' richiesta dal contratto di collaborazione del (OMISSIS), la sua totale inadeguatezza, la difforme prestazione svolta e le attestazioni sottoscritte dal (OMISSIS) in merito alla congruita' della retribuzione erogata (Euro 8.000 al mese circa, pari ad un importo complessivo di Euro 196.000), ritiene il Collegio che la sentenza impugnata, senza incorrere in alcuna violazione di legge e con motivazione immune da vizi, ha legittimamente escluso la possibilita' di pervenire ad un proscioglimento dell'imputato, essendo ravvisabile nella condotta tenuta gli estremi degli artifici e raggiri, consistiti nel silenzio maliziosamente serbato sulle competenze professionali del (OMISSIS) e sulla sua totale inadeguatezza rispetto all'oggetto dell'incarico, reputando tale condotta idonea a configurare un fatto illecito civile e, in particolare, un vizio del consenso della pubblica amministrazione che, ove fosse stata informata delle effettive competenze del (OMISSIS), non avrebbe concluso il contratto di collaborazione avente l'oggetto sopra riportato. Va, infatti, ribadito che anche il silenzio, maliziosamente serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l'elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volonta' negoziale del soggetto passivo (cfr. da ultimo, Sez. 6, n. 13411 del 05/03/2019, Rv. 275463 - 04). Tale definizione del dolo della truffa contrattuale rileva, nei medesimi termini, anche ai fini della individuazione del vizio del contratto concluso per effetto di siffatta condotta. Secondo il costante orientamento delle Sezioni civili di questa Corte, infatti, il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell'altro e' annullabile ai sensi dell'articolo 1439 c.c., atteso che il dolo costitutivo di tale delitto non e' ontologicamente diverso, neanche sotto il profilo dell'intensita', da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e cosi' a viziarne il consenso (cfr. Cass. civ.: Sez. 1, n. 18930 del 27/09/2016, Rv. 641831; Sez. 2, n. 7468 del 31/03/2011, Rv. 617294; Sez. 2, n. 13566 del 26/05/2008, Rv. 603359). Si e', inoltre, aggiunto che il dolo che vizia la volonta' e causa l'annullamento del contratto implica necessariamente la conoscenza da parte dell'agente delle false rappresentazioni che si producono nella vittima e il convincimento che sia possibile determinare con artifici, menzogne e raggiri la volonta' altrui, inducendola specificamente in inganno (Cass. civ., Sez. 2, n. 13034 del 24/05/2018, Rv. 650830). 18. Le sorti delle statuizioni civili. La presenza delle statuizioni civili disposte nei confronti degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nei cui confronti, a seguito della riqualificazione delle condotte ascritte ai sensi dell'articolo 316-ter c.p. e' stata dichiarata la prescrizione dei reati, impone di valutare le rispettive impugnazioni ai sensi dell'articolo 578 c.p.p.. Ritiene il Collegio che benche', come affermato nel par. 8, non sussistano i presupposti per un proscioglimento nel merito degli imputati sopra citati, non e' possibile confermare le statuizioni civili disposte nei loro confronti. Cio' in quanto, la valutazione della fondatezza o meno della pretesa risarcitoria della Regione Lombardia richiede un nuovo giudizio in fatto, per le ragioni gia' esposte nei parr. 10, 11 e 12, al fine di selezionare per quali spese gli imputati abbiano indebitamente riscosso il relativo rimborso. La sentenza impugnata va conseguentemente annullata con rinvio agli effetti civili nei confronti dei citati imputati, in relazione alle imputazioni come riqualificate nel precedente paragrafo. 18.1. Quanto alla individuazione del giudice competente in sede di rinvio, va innanzitutto considerato che sulla questione esiste un contrasto giurisprudenziale. Secondo un primo orientamento maggioritario, tale giudice va individuato, ai sensi dell'articolo 622 c.p.p., nel giudice civile competente in grado di appello (in tal senso, si veda, tra le tante, Sez. 5, n. 28848 del 21/09/2020, D'Alessandro, Rv. 279599; Sez. 5, n. 26217 del 13/07/2020, Rv. 279598 - 02; Sez. 4, n. 13869 del 05/03/2020, Sassi, Rv. 278761). Secondo altro orientamento, invece, il giudice del rinvio va individuato nello stesso giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 21251 del 26/03/2013, Rv. 255654) presupponendo l'articolo 622 c.p.p. il gia' definitivo accertamento della responsabilita' penale o l'accoglimento dell'impugnazione proposta dalla sola parte civile avverso sentenza di proscioglimento (Sez. 3, n. 15653 del 27/02/2008, Colombo, Rv. 239865). Nell'ambito di tale orientamento possono iscriversi anche le pronunce che individuano nel giudice penale il giudice competente per la fase rescissoria in caso di annullamento con rinvio della sentenza di appello che abbia dichiarato la prescrizione del reato con affermazione della responsabilita' dell'imputato ai soli effetti civili per violazione dell'obbligo previsto dall'articolo 603 c.p.p., comma 3-bis, (Sez. 6, n. 28215 del 25/09/2020, Rv. 279574 - 02; Sez. 2, n. 9542 del 19/02/2020, Rv. 278589). Va, infine, considerato un terzo orientamento secondo il quale in tema di giudizio per cassazione, il rinvio al giudice civile, ai sensi dell'articolo 622 c.p.p., non puo' essere disposto qualora l'annullamento delle disposizioni o dei capi della sentenza impugnata concernenti l'azione civile dipenda dalla fondatezza del ricorso dell'imputato agli effetti penali (Sez. 3, n. 15216 del 24/01/2022, Sparta, Rv. 283229; Sez. 6, n. 31921 del 06/06/2019, De Angelis, Rv. 277285). 18.2 P Collegio intende dare continuita' al primo orientamento per il seguente ordine di ragioni. Occorre, innanzitutto, considerare la ratio dell'articolo 622 c.p.p., da individuarsi nel principio di economia in ragione del quale va esclusa la perdurante attrazione delle pretese civili nel processo penale, una volta che siano definitive le statuizioni di carattere penale, tra le quali rientrano anche quelle che dichiarano l'estinzione del reato per prescrizione. Invero, come gia' autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013, Sciortino, Rv. 256087), l'inciso iniziale "fermi gli effetti penali" dell'articolo 622 c.p.p. non implica un riferimento esclusivo a un "accertamento" della responsabilita' penale in quanto tra gli "effetti penali della sentenza" rientrano certamente quelli scaturenti da una declaratoria di estinzione del reato. Le Sezioni Unite hanno, pertanto, individuato nel giudice civile il giudice del rinvio in caso di accoglimento del ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui il giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato (o per intervenuta amnistia) senza motivare in ordine alla responsabilita' dell'imputato ai fini delle statuizioni civili (Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013, Sciortino, Rv. 256087). Coerentemente con tale impostazione ermeneutica, inoltre, in una successiva pronuncia il Supremo Consesso ha individuato nel giudice civile competente per valore in grado di appello il giudice del rinvio in caso di annullamento agli effetti civili della sentenza che, in accoglimento dell'appello della parte civile avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, abbia condannato l'imputato al risarcimento dei danni senza procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonesi, Rv. 281228). Secondo l'interpretazione della norma qui condivisa, l'articolo 622 c.p.p. disciplina, dunque, la fase in cui, all'esito del giudizio di cassazione, la regiudicanda penale si sia esaurita (essendosi prescritto il reato), ed il giudizio debba proseguire con riferimento alle sole statuizioni civili. In tale ipotesi, infatti, non essendovi piu' alcuno spazio per il giudice penale, viene meno la ragione della sua competenza promiscua conseguente alla costituzione di parte civile. Tale soluzione appare coerente con la connotazione di accessorieta' dell'azione civile rispetto al processo penale, recentemente sottolineate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021 in cui ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 578 c.p.p., sollevata in riferimento all'articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all'articolo 6, paragrafo 2, della CEDU nonche' in riferimento allo stesso articolo 117 Cost., comma 1, e all'articolo 11 Cost., in relazione agli articoli 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, e all'articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. In tale pronuncia la Corte costituzionale, premettendo che l'articolo 622 c.p.p. costituisce una marcata deviazione dal principio generale di accessorieta' dell'azione civile nel processo penale, ha tenuto conto dell'ermeneusi della norma consacrata nelle due citate pronunce delle Sezioni Unite in forza della quale il giudizio rescissorio di rinvio dinanzi al giudice civile puo' assumere non solo carattere meramente "prosecutorio", ma anche carattere "restitutorio" (si fa riferimento a Sez. U. n. 40109 del 2013, Sciortino). Sulla base delle considerazioni sopra esposte e, in particolare dell'interpretazione dell'incipit dell'articolo 622 c.p.p. fatta propria dalle Sezioni Unite, puo', dunque, affermarsi che questo si riferisce anche alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, consentendo il rinvio al giudice civile anche nelle ipotesi in cui, per un vizio della motivazione o per un errore di diritto, il giudice dell'impugnazione non possa determinare con certezza l'an della responsabilita'. In tale ipotesi, dunque, il giudizio rescissorio di rinvio avra' ad oggetto sia l'an che il quantum della pretesa risarcitoria. 19. Tenuto conto delle considerazioni sopra esposte, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui al capo 61) perche' il reato e' estinto per intervenuta prescrizione; annullata senza rinvio nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui ai capi 48), 48a), 61) e 62), commessi in epoca antecedente al 29 dicembre 2009, perche' i reati sono estinti per intervenuta prescrizione; annullata, nei confronti dei predetti ricorrenti, con riferimento ai medesimi capi, relativi ai fatti commessi in epoca successiva, nonche' nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con riferimento al capo 61), e nei confronti di (OMISSIS), con riferimento al capo 17), con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Al rigetto del ricorso proposto da (OMISSIS) consegue la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali. All'inammissibilita' dei ricorsi proposti da (OMISSIS) ed (OMISSIS) segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila da versare in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi ritenere che gli stessi abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita' (Corte Cost. n. 186 del 2000). (OMISSIS) e (OMISSIS) vanno, inoltre, condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, Regione Lombardia, che si liquidano in complessivi Euro 3.900,00. Alla riqualificazione delle condotte ascritte a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nei reati di cui all'articolo 316-ter c.p., consegue, invece, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perche' tali reati sono estinti per intervenuta prescrizione; quanto alle statuizioni civili relative alle imputazioni come riqualificate, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), va disposto l'annullamento agli effetti civili della sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui al capo 61) perche' il reato e' estinto per intervenuta prescrizione. Annulla senza rinvio la medesima sentenza nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riferimento ai fatti di cui ai capi 48), 48a), 61) e 62), commessi in epoca antecedente al 29 dicembre 2009, perche' i reati sono estinti per intervenuta prescrizione; annulla altresi' la stessa sentenza nei confronti dei predetti ricorrenti, con riferimento ai medesimi capi, relativi ai fatti commessi in epoca successiva, nonche' nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), con riferimento al capo 61), e nei confronti di (OMISSIS), con riferimento al capo 17), e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta il ricorso proposto da (OMISSIS) e lo condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, Regione Lombardia, che liquida in complessivi Euro 3.900,00. Riqualificati gli ulteriori fatti contestati a (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nei reati di cui all'articolo 316-ter c.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche' tali reati sono estinti per intervenuta prescrizione; annulla agli effetti civili la medesima sentenza, in relazione alle imputazioni come riqualificate, nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte d'Appello di Venezia sezione PRIMA Penale composta dai Magistrati: 1. Dott. Francesco Giuliano - Presidente 2. Dott. Alberta Beccaro - Consigliere 3. Dott. David Calabria - Consigliere Udita la relazione della causa fatta alla udienza pubblica/camerale, odierna dai Dott.ri Beccaro e Calabria Inteso il P.G. dott. appellant (...) difensor come da verbale, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: GI.EM. Nato a Roma il 03.06.1969 Elettivamente domiciliato presso Avv. Or.Do. del Foro di Milano Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Or.Do. del Foro di Difensore di fiducia Avv. Co.Mi. del Foro di Milano MA.PA. Nato a (...) Domiciliato presso l'Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Li.Ro. del Foro di Vicenza PE.MA. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Vi.Ma. del Foro di Bologna PI.AN. Nato (...) Domiciliato presso Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Ni.Be. del Foro di Milano Difeso di fiducia dall'Avv. Gi.To. del Foro di Milano ZI.GI. Nato a (...) Residente a (...) Libero - NON PRESENTE Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Gi.Ma. del Foro di Vicenza ZO.GI. Nato a (...) Domiciliato presso Avv. En.Am. del Foro dì Vicenza Libero - PRESENTE Difensore di fiducia Avv. En.Am. del Foro di Vicenza Difensore di fiducia Avv. Tu.Pa. del Foro di Pisa RESPONSABILE AMMINISTRATIVO BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona del legale rappresentante pro tempore Difensore Avv. Fr.Mu. del Foro di Milano - non presente, sostituito dall'Avv. Ro.Bo. del Foro di Padova per delega orale PRESENTE RESPONSABILE CIVILE - ESTROMESSO con ordinanza depositata all'udienza del 22/04/2022. BANCA (...) in liquidazione coatta amministrativa in persona dei legali rappresentanti pro tempore Di.Gi., Fe.Cl. e Vi.Fa. Parti civili: + 229 (omissis) IMPUTATI: Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. stralciato ad altro procedimento, Zi.Gi. e Zo.Gi., a.1) in ordine al reato previsto e punito dagli arti 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., e 2637 c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amava), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie di seguito descritta, attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della. Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta piassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., stralciato ad altro procedimento in qualità di direttore generale delia medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione. Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuatone della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, della segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; in tempi diversi, diffondevano notizie false e ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni B. (deliberato annualmente - ai sensi dell'art. 6 dello Statuto sociale e dell'art 2528 c.c. -dall'assemblea dei soci su proposta del consiglio di amministrazione, formulata sulla scorta di una perizia di stima del valore del relativo soprapprezzo elaborata da un esperto indipendente appositamente incaricato), e ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della medesima Banca (...) e dell'omonimo Groppo bancario. Operazioni simulate ed altri artifici consistite (condotte poste in essere da ciascuna delle persone indagate, secondo il rispettivo ruolo): i) nella ripetuta concessione di finanziamenti a favore di terzi soggetti finalizzati all'acquisto (nel mercato secondario) ed alla sottoscrizione (in occasione delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014) di azioni B., per un controvalore complessivo di circa Euro 963 mln (di cui circa Euro 545 mln sino al 31.122012, circa Euro 155 nel 2013, circa Euro 255 nel 2014 e circa Euro 8 mln nel primo trimestre 2015), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito (per talune operazioni formalizzato per iscritto, per un complessivo controvalore azionario di circa Euro 160 mln), cosi determinando una apparenza di liquidità del titolo sul mercato secondario e, al contempo, cosi consentendo la riduzione contabile del controvalore delle azioni proprie detenute; ii) nella omessa iscrizione al passivo dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014 di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., pari all'importo complessivo delle operazioni di finanziamento finalizzate all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. sopra indicato; iii) nella mancata comunicazione all'esperto incaricato della stima del valore del soprapprezzo dell'azione B., dell'esistenza e dell'entità della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come sopra descritta. Diffusione di notizie false compiuta mediante la pubblicazione di comunicati stampa, di comunicazioni al pubblico, anche ex art. 114, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, di comunicazioni ai soci e dei bilanci d'esercizio al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014, contenenti mendaci indicazioni circa (condotte materiali poste in essere da Zo.Gi., Zi.Gi., So.Sa. (Stralciato ad altro procedimento) e Pe.Ma., con il contributo di GI.Em., Pi.An. e Ma.Pa., che partecipavano alla attuazione della prassi dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. sopra descritta): - la reale entità del patrimonio (nei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014), a causa della mancata iscrizione di una riserva indisponibile ex art. 2358 c.c., per un importo corrispondente all'ammontare dei finanziamenti correlati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni B. (pari a circa Euro 545 mln al 31.12.2012, circa Euro700 mln al 31.12.2013 e circa Euro 955 mln al 31.12.2014); - la solidità patrimoniale della Banca (comunicati stampa e comunicazioni ai soci del 30/3/2012; 8/8/2012; 3/9/2012; 19/3/2013; 27/4/2013; 27/4/2013; 10/9/2013; 2/4/2014; 9/9/2014; 26/10/2014; 4/12/2014; 19/3/2014) enfatizzata a dispetto della reale situazione derivante dal sopra descritto fenomeno di concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizioni di azioni B. e di lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle medesime e/o di garanzia del rendimento dell'investimento; - la crescita progressiva della compagine sociale (comunicati 27/8/2013; 18/3/2014; 29/8/2014; 26/10/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), lasciando intendere che essa derivasse dalla progressiva maggiore appetibilità dell'azione B. quale strumento di investimento, omettendo di rappresentare resistenza e l'entità della prassi della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie sopra descritta; - il buon esito delle operazioni di aumento di capitale 2013 e 2014 (comunicati 9/8/2013; 27/8/2013; 18/3/2014; 8/8/2014; 29/8/2014; 10/2/2015; 3/3/2015), tacendo la circostanza relativa al massiccio ricorso al finanziamento per la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione nell'ambito dei c.d. Aucap; Con raggravante di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone. In (...), nel corso degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014. Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) a.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. r) D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - ZO.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società a capo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenite reati della stessa specie, commettevano il reato sub a.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nel mantenimento del valore dell'azione e dell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto, realizzati anche attraverso un artificioso funzionamento del mercato secondario delle azioni B. e mediante una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca. In (...), nel corso degli anni (...), alle date sopra riportate ed in occasione della pubblicazione dei bilanci d'esercizio 2012, 2013 e 2014 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa., (stralciato ed altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., b1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 81, co. II 110, 112, n. 1, c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a., in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1), e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale e traendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti, e tenendo i rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia durante la verifica ispettiva; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalatone e comunicazioni air Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, durante l'attività ispettiva compiuta dalla stessa Autorità presso la sede sociale, occultavano con mezzi fraudolenti - l'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario, per un controvalore complessivo di circa Euro 250 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di oltre Euro 300 mln, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - l'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. c/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; e, comunque, omettevano di dare comunicazione di tali circostanze, cosi determinando effettivamente, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, che, conseguentemente, non dava luogo ad approfondimenti conoscitivi in sede ispettiva ed alla quale, di fatto, era impedito di accertare l'esistenza della suddetta prassi. Mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale sia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58. In (...) dal (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) b.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile delia Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in concorso tra loro, in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub b.1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. c.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81 co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.6.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.9.2012) contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 268 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2012), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 280 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia medesima, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2012, stabiliva, con Lettera di intervento datata 5.3.2013, un obiettivo patrimoniale (c.d. Target ratio, in termini di Core Tier 1 capital ratio pari o superiore all'8%) non coerente con la situazione patrimoniale della stessa B. e, comunque, ometteva di assumere ulteriori misure ed iniziative di vigilanza coerenti rispetto alla reale situazione patrimoniale della B., Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.pa, in liquidazione coatta amm.va (già Sc.p.a.) c.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett., a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub al), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad atro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. d.1) reato previsto e punito dagli artt. 61 n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1 c.p., 2638, co. II e III, c.., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 5.3.2013 - n. 228149, di fornire "dettagliate informazioni in ordine alle motivazioni sottostanti l'incremento, sia a livello individuale che consolidato, delle azioni o quote proprie ricomprese tra gli elementi negativi del patrimonio di base, passate da Euro 30,48 mln a Euro 239,85 mln" nel periodo 30.6/30.9.2012), nella Comunicazione 20.3.2013, con la quale era rappresentato falsamente che "L'incremento ... registrato al 30 settembre 2012 rispetto al 30 giugno 2012 è da ascrivere principalmente a fenomeni di ciclicità legati alle procedure di gestione delle azioni proprie. Le domande di acquisto di azioni della banca si sono invece concentrate nel IV trimestre, anche in relazione alla consueta maggiore propensione e convenienza sotto il profilo finanziario di procedere, da parte dei soci, all'acquisto nell'ultimo periodo dell'anno... I dati al 31 dicembre 2012 evidenziano un Core Tier 1 ratio e un Total Capital ratio rispettivamente all'8,37% e all'11,40%, ipotizzando l'integrale capitalizzazione dell'utile. Nell'ipotesi di distribuire un dividendo pari al 50% dell'utile distribuibile, il Tier 1 ratio si posizionerebbe all'8,23% comunque al di sopra del target minimo". - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.12.2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.3.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 545 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistato da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 544 mln; ed inoltre, - nella Informativa preventiva 23.4.2013 relativa alla imminente operazione dì aumento di capitale (mediante emissione di azioni ordinarie e contestuale emissione di prestito obbligazionario convertibile, per l'importo complessivo di Euro 506 mln), nella quale non era indicato che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione di finanziamenti correlati alla sottoscrizione medesima ed era rappresentato, pertanto contrariamente al vero, che il relativo "impatto... sul Tier 1 ratio " era stimato in un incremento complessivo di 175 punti base; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della B., adottava la Lettera di intervento datata 24.6.2013 con la quale (rilevato che "alla data del 30 settembre 2012" B. deteneva azioni proprie per un controvalore complessivo superiore al limite del "5% del capitale" in assenza della necessaria autorizzazione) prescriveva a B. l'adozione di "ogni Iniziativa sul piano procedurale e dei controlli alfine di assicurare uno scrupoloso rispetto dei limiti previsti per il riacquisto o rimborso di proprie azioni" e di richiedere "la prescritta autorizzazione, laddove ne ricorrano i presupposti" senza assumere ulteriori misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, DI L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.p.a.) d.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub d. 1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. e.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, il 2,81, co. II, 110 e 112, n. 1, cp., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione delia medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30-6-2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.9.2013), contraente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 555 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca, anteriore e prossima al 25.10.2013), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 626 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2013 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 15.3.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 700 mln; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e dì garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) e.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di prendente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sube.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. f.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p. n. 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai scasi della L. 1 settembre 1993, a 385), avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; -- So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delie operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella Informativa preventiva datata 5.3.2014 relativa alla imminente operazione di aumento di capitale mediante emissione di azioni ordinarie per l'importo complessivo massimo di Euro 700 min, tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima e rappresentando, pertanto falsamente, die "nell'ipotesi di effettuazione dell'importo massimo", l'Aucap determinerebbe un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma" del 10,89% (rispetto a quello esistente dell'8,50%) e del ''Total Capital ratio" del 13,85% (rispetto a quello esistente dell'11,41%) con un incremento "quantificabile in circa 239" punti base; - nella Informativa integrativa datata 11.4.2014 relativa alla operazione di aumento di capitale sopra indicata (contenente la precisazione che la stessa sarebbe stata compiuta per un importo massimo di Euro 683,754 mln), tacendo che tale operazione sarebbe stata realizzata anche mediante la concessione a favore di terzi di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione medesima ed attestando, pertanto falsamente, che le azioni di nuova emissione soddisfano "tutte le condizioni previste dagli artt. 28 e 29 della CRR" e rappresentando, pertanto ancora falsamente, che la relativa "stima dell'impatto patrimoniale" evidenziava un livello del "Tier 1 capital ratio pro-forma post aucap" del'11,65% (rispetto a quello esistente del 9,21%) e del "Total Capital ratio pro-forma post aucap" del 14,25 (rispetto a quello esistente dell'11,81%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia, la quale, a seguito della "istanza di autorizzazione a classificare gli strumenti di capitale come strumenti di capitale primario di classe 1 ai sensi dell'art 26 par. 3, del Regolamento (UE) n. 575/2013" (contenuta nella Informativa integrativa suddetta), sulla scorta della mendaci informazioni ricevute, adottava il provvedimento autorizzato richiesto con atto del 15.4.2014, in difetto dei prescritti presupposti (trattandosi, in parte, di c.d. azioni finanziate). Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) BANCA (...) S.p.a. in liquidatone coatta amm.va (già S.c.p.a.) f.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s) D. L.vo 8 giugno 2001, n. 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub f1) nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...) consistiti nella autorizzata classificazione delle azioni di nuova emissione sottoscritte come strumenti di capitale primario di classe 1". In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. g.1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co, II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi die precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., (adesso S.p.a. in liquidazione cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a.1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella Use di istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione dì vigilanza periodica al 31.3.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.4.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi tramite finanziamenti appositamente concessi in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 728 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica ai 30.6.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in data 11.8.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra, indicata, per un importo complessivo di circa Euro 718 mln; - nella Comunicazione 1.9.2014, nella quale era rappresentato falsamente che "con riferimento alla segnalazione di vigilanza prudenziale al 30 giugno 2014... si è ravvisato il mancato soddisfacimento a livello consolidato del requisito combinato di riserva di capitale... con un deficit di euro 85 milioni rispetto al livello minimo previsto.... l'aumento dì capitale di euro 607,8 milioni - già in corso alla data del 30 giugno, completato lo scorso 8 agosto con l'integrale sottoscrizione dello stesso... consentiva di coprire ampiamente il deficit registrato... tenendo conto dell'aumento di capitale già regolato, la posizione patrimoniale del Gruppo risulta in surplus di euro 550,8 milioni..." ed era attestato falsamente il livello dei "Fondi Propri" (indicato in Euro 2,989 mld e, quelli "pro-forma" in Euro 3,635 mld) e dei ratios patrimoniali (ovverosia, 8,55% CET1 Ratio e 10,67% CET1 Ratio pro-forma; 8,55% Tier 1 Ratio e 10,67% Tier 1 Ratio pro-forma; 10,21% Total Capitai Ratio e 12,38% Total Capital Ratio pro-fonna); - nella segnalazione di vigilanza periodica al 30.9.2014 (trasmessa alla Banca d'Italia in epoca anteriore e prossima al 25.10.2014), contenente l'indicazione di un ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di orca Euro 886 mln; - (a seguito della richiesta di Banca d'Italia, formulata con Nota datata 25.10.2014 - n. 1053731/14 nella quale, dato atto che "Banca (...) ha eseguito dall'inizio del 2014 operazioni di riacquisto di azioni proprie (buybacks) per un ammontare complessivo netto di Euro 195 mln. Le segnalazioni prudenziali di codesta banca confermano il progressivo aumento delle deduzioni per azioni proprie in portafoglio dal common equity tier 1: Euro 32,3 mln a dicembre 2013; Euro 91,7 mln a marzo 2014; Euro 178,2 mln, di cui 52,4 mln detenute indirettamente, a giugno 2014.... (la B.) ha altresì proceduto al rimborso e successivo annullamento di azioni proprie per complessivi Euro 61,7 mln, a motivo di successioni ed escussioni per recupero crediti", era domandata "la puntuale verifica della correttezza dei dati segnalati tempistica e modalità di esecuzione dei buybacks; ... le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali ì titoli sono depositati; chiarimenti circa la coerenza dei riacquisti effettuati con le disposizioni della Capital Requirement Regulation e delle successive norme tecniche di attuazione") nella Comunicazione datata 4.11.2014, ove era rappresentato falsamente che "La Banca... ha proceduto ai riacquisti da Soci e agli annullamenti delle azioni proprie nella consapevolezza che la riduzione di capitale connessa ai medesimi era più che compensata dalla sottoscrizione degli aumenti di capitale in corso.... le predette operazioni di riacquisto e annullamento di azioni proprie eseguite dalla banca dall'inizio del 2014... sono comunque avvenute nell'ambito dì un complessivo rafforzamento patrimoniale del Gruppo Bancario, che ha visto il proprio Common Equity Tier 1 Ratio incrementarsi dal 1° gennaio 2014 di circa 141 bps"; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) g2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità, di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa., (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub g.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), in epoca posteriore e prossima al (...), in data (...), in data (...), in epoca anteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., h1) reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., 2638, co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche con i capi che precedono e con quelli seguenti, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a, in liquidatone cotta amm.va), società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposte alla vigilanza della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie come descritta sub a. 1); - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente fa predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite della struttura alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberatone degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità dì dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione dei adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca Centrale Europea, esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B. - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.12.2014 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 15.3.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln; - nella segnalazione di vigilanza periodica al 31.3.2015 (trasmessa in epoca anteriore e prossima al 25.4.2015), contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 963 mln; - nella Informativa al Pubblico al 31.12.2014, contenente l'indicazione di un ammontare dei Fondi Propri superiore a quello reale, a causa delia mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, per un importo complessivo di circa Euro 955 mln e, di conseguenza, l'indicazione falsata dei requisiti patrimoniali prudenziali (CET 1 ratio pari al 10,44% e Total Capital ratio pari all'11,55%); così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca Centrale Europea che, conseguentemente, sulla scorta della descritta falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della Banca, ometteva di adottare misure ed interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della B. medesima. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Banca (...) S.p.a., in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) h.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001. n. 231, perché, in concorso tra loro. - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di (fingente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub h1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...) e (...), in epoca posteriore e prossima al (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. i) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a-1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente si processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinalo ed attuato concretamente la predetta prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alte proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Dividerne Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazione e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili relativa alle operazioni di aumento di capitale realizzate nel corso del 2013 (c.d. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2012 e nel primo quadrimestre 2013 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a.1), ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo (felle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo, la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancate evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sui prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In Vicenza, in data 10 giugno 2013 Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi. 1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 e 112, n. 1, c.p., e 173-bis D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., avendo avallato la prassi aziendale della concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie come descritta sub a.1), e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallato la predetta prassi aziendale e compiuto, per il tramite della ZE. S.r.l., operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., e partecipando consapevolmente al processo deliberativo relativo al contenuto dei prospetti; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predette prassi, e partecipando consapevolmente alla predisposizione del contenuto dei prospetti; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predispostone dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite della struttura aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di istruttoria e deliberazione degli affidamenti correlati, attività condotta anche nella prospettiva della adozione di aumenti di capitale di sopperire alle carenze patrimoniali; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabile della società, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalatone e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza, e partecipando alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture; allo scopo di conseguire un ingiusto profitto per la Banca predetta, nei prospetti richiesti per la offerta al pubblico di adoni di nuova emissione relativa alle operazioni di aumento di capitate realizzate nel corso del 2014 (c.c. Aucap e Mini Aucap), con l'intenzione di ingannare i destinatari dei prospetti medesimi, - occultando la sussistenza, l'entità e gli effetti del fenomeno della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. meglio descritto sub a.1), esponevano false informazioni sulla situazione patrimoniale della società, anche con riferimento ai requisiti prudenziali di vigilanza; - esponevano false informazioni circa i volumi (ed il relativo controvalore complessivo) delle azioni B. realmente scambiate nell'anno 2013 e nel primo quadrimestre 2014 nell'ambito del mercato secondario (in contropartita diretta della Banca, ed a valere sull'apposito Fondo Acquisto Azioni Proprie) al netto delle operazioni di acquisto compiute tramite i finanziamenti appositamente concessi dalla stessa B. in applicazione della prassi descritta sub a1) ed occultavano lo squilibrio tra il controvalore complessivo delle domande di assegnazione e delle domande di cessione del medesimo titolo" la persistente situazione di significativo ritardo e di rilevante mancata evasione (per numero e controvalore) delle richieste di vendita di azioni B. provenienti dai soci; in modo idoneo a indurre in errore gli investitori, cui era impedito di acquisire notizie utili al conseguimento di un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive della stessa Banca, nonché sin prodotti finanziari oggetto di offerta. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, ed allo scopo di occultare i reati precedenti e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Gi.Em., Ma.Pa., Pe.Ma., Pi.An., So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), Zi.Gi. e Zo.Gi., m.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110, 112, n. 1, c.p. e 2638 co. II e III, c.c., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, anche in riferimento alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 RGNR - Mod. 21, (allegata al presente Avviso) in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione Della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in liquidazione coatta amm.va), società a capo dell'omonimo Gruppo bancario, sottoposta alla vigilanza della Banca d'Italia ai sensi della L. 1 settembre 1993, n. 385, e della Banca Centrale Europea ai sensi del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, avendo avallato la prassi aziendale della concessione di numerosi finanziamenti finalizzati air acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie (operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito, per talune operazioni formalizzato per iscritto), attuata al fine di rappresentare alle Autorità di Vigilanza, ai soci ed al mercato, una falsa situazione patrimoniale e di adeguatezza rispetto ai requisiti prudenziali di vigilanza della Banca stessa; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca, avendo avallalo la predetta prassi aziendale, ed avendo compiuto, per il tramite della ZE. Srl, operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B.; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca, avendo diretto, coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi aziendale; - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attualo concretamente la predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca, avendo cooperato concretamente alla attuazione della predetta prassi aziendale, anche per il tramite delle strutture alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione di alcune rilevanti operazioni con le controparti; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca, avendo cooperato concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase dì istruttoria e deliberazione degli affidamenti; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, cooperando concretamente nella attuazione della predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendale alle proprie dipendenze, particolarmente nella gestione degli adempimenti contabili, nella predisposizione dei bilanci d'esercizio, delle segnalazioni e comunicazioni all'Autorità di Vigilanza; al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea, nell'ambito dello svolgimento dell'esercizio di valutazione approfondita (c.d. "Comprehensive Assessment") previsto dall'art. 33, par. 4, del Regolamento (UE) n. 1024/2013 cit. ed oggetto della Decisione della Banca centrale Europea del 4 febbraio 2014 i) durante l'attività ispettiva compiuta dalla Banca d'Italia presso la sede sociale nel periodo marzo/agosto 2014 (consistita nel c.d. "Asset Quality Rewiev") occultavano con mezzi fraudolenti e, comunque, omettevano di dare comunicazione, - dell'esistenza di numerosi finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario e/o alla sottoscrizione delle medesime azioni in sede di operazioni di aumento di capitale, per un controvalore complessivo di circa Euro 728 mln (che, nel corso della medesima ispezione, aumentava sino al maggiore importo di circa 6 886 min, per effetto di nuove operazioni compiute durante il periodo di svolgimento della verifica), operazioni caratterizzate dall'impegno assunto per conto della Banca di riacquisto dei titoli medesimi entro un termine prestabilito e conseguente estinzione dell'affidamento (per talune operazioni formalizzato per iscritto); - dell'esistenza di lettere rilasciate a favore di terzi soggetti, contenenti l'impegno da parte della Banca al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di un determinato rendimento dell'investimento; mezzi fraudolenti consistiti nel materiale nascondimento delle lettere contenenti l'impegno al riacquisto delle azioni B. e/o la garanzia di rendimento dell'investimento sopra indicati, nella indicazione nella documentazione interna relativa agli affidamenti correlati sopra indicati di una causale diversa da quella reale e nella mancata rilevazione nella contabilità aziendale aia della correlazione tra affidamenti ed acquisto delle azioni proprie, sia delle garanzie e/o impegni di cui alle lettere sopraindicate; ii) esponevano fatti materiali non rispondenti al vero circa la situazione patrimoniale della B., - (a seguito della richiesta della Banca d'Italia, formulata con Nota datata 9.6.2014 - il 590133/14 di compilare un "questionario... (Preliminary Capital Plan)" contenente "informazioni idonee a valutare, distintamente per i vari annali di raccolta (interni ed esterni) l'ammontare aggiuntivo di capitale e di strumenti di ATI che potrebbero essere ottenuti in tempi rapidi (6 o 9 mesi) per fronteggiare eventuali shortfall" precisando "sia le operazioni già pianificate o in corso di attuazione, sia le misure aggiuntive che potrebbero essere perfezionate in caso di necessità entro i termini sopra indicati") nella Comunicazione datata 20.6.2014 ove erano indicati, quali interventi di rafforzamento patrimoniale realizzabili celermente, il "rimborso anticipato in azioni del prestito obbligazionario 2013-2018 convertibile di tipo soft mandatory... per un importo di euro 253 milioni e "l'incremento di CET" per effetto degli aumenti di capitale attualmente in corso per un importo totale di euro 673 milioni, di cui euro 608 milioni di aumento in opzione ai soci", omettendo di rappresentare che la sottoscrizione del suddetto prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni dì nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra descritta; - nelle comunicazioni trasmesse alle Autorità di vigilanza nell'ambito dell'esercizio di "stress test", contenenti l'indicazione, contrariamente al vero, di ratios patrimoniali e dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quelli reali, a causa della mancata considerazione, quale cimento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln; - nel Capital Plan comunicato in data 10.11.2014, relativo alle misure programmate per la copertura del deficit di capitale emerso all'esito dell'esercizio di "stress test" (nello scenario avverso, pari a Euro 223 mln), contenente l'indicazione, contrariamente al vero, dell'ammontare del patrimonio di vigilanza superiore a quello reale, a causa della mancata considerazione, quale elemento negativo, del controvalore delle azioni B. acquistate e/o sottoscritte da terzi soggetti tramite finanziamenti appositamente concessi, in attuazione della prassi sopra indicata, per un importo complessivo di circa Euro 886 mln, ed omettendo di precisare che la sottoscrizione del prestito obbligazionario 2013-2018 e delle azioni di nuova emissione nell'ambito dell'Aucap 2014 erano parzialmente avvenute mediante la concessione di finanziamenti correlati secondo la prassi sopra; così effettivamente determinando, in modo consapevole, un ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea medesime, le quali, conseguentemente, non davano luogo, neppure in sede ispettiva, ad approfondimenti conoscitivi, e la BCE valutava idonee le misure di rafforzamento patrimoniale indicate da B. per fare fronte alla deficienza emersa all'esito del c.d. "Comprehensive Assessment" ed all'esito del Processo di revisione e valutazione prudenziale per l'anno 2014 stabiliva (con la relativa decisione SREP) requisiti prudenziali non coerenti con la reale situazione patrimoniale della stessa B. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in concorso tra oltre cinque persone, in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116, D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richieda di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), dal marzo ad agosto 2014 (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) Banca (...) S.p.a. in liquidazione coatta amm.va (già S.c.p.a.) m.2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e sanzionato dagli artt. 5, lett. a) e b), 6 e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n, 231, perché, in concorso tra loro, - Zo.Gi., in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca (...) S.c.p.a., società capogruppo dell'omonimo Gruppo bancario; - Zi.Gi., in qualità di membro del consiglio di amministrazione della medesima Banca; - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento), in qualità di direttore generale della medesima Banca; - Gi.Em. in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca; - Pi.An., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Finanza della medesima Banca; - Ma.Pa., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Crediti della medesima Banca; - Pe.Ma., in qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della medesima Banca; in difetto di un modello organizzativo idoneo (comunque, di fatto non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie, commettevano il reato sub m.1), nell'interesse ed a vantaggio della stessa Banca (...), consistiti nello svolgimento della attività bancaria in difetto della adozione da parte della Banca d'Italia e della Banca Centrale Europea di interventi di vigilanza coerenti con la reale situazione patrimoniale della Banca. In (...), dal (...) (con riferimento alla attività ispettiva) e nel mese di (...) (con riferimento alla decisione SREP) SO.SA. (stralciato ad altro procedimento) e GI.EM. n.1) in ordine al reato previsto e punito dagli artt. 61, n. 2, 81, co. II, 110 c.p. e 2638, co. II e III, c.c., perché, in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso rispetto al capo che precede ed alle imputazioni di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 (allegata al presente Avviso), - SO.SA. in qualità di direttore generale, - GI.EM., in qualità di vice direttore generale responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), società sottoposta alla vigilanza della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ai sensi del D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, con riferimento alla operazione di aumento di capitale compiuta nel periodo 12.5/8.8.2014, avente in oggetto una offerta in opzione agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili di azioni ordinarie di nuova emissione e di obbligazioni nominative (e anche una offerta al pubblico indistinto dell'eventuale inoptato), a seguito della richiesta di dati e notizie di CONSOB datata 16.5.2014, nella successiva interlocuzione con la medesima Autorità di Vigilanza, comunicavano, contrariamente al vero (condotta materiale di So.Sa., quale firmatario delle missive, compiuta d'intesa con Gi.Em.), i) nella Nota datata 23.5.2014, - la decisione assunta dalla Banca "di astenersi, con riferimento all'Offerta in opzione, dalla prestazione di raccomandazioni personalizzate all'investimento" e, pertanto, del "divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale a favore dei titolari del diritto di opzione"; - l'adozione da parte della Banca "allo scopo di dare effettività alla menzionata prescrizione interna ed evitare forme surrettizie di raccomandazione personalizzata all'investimento... " di "modalità specifiche di adesione all'offerta idonee a contenere occasioni di contatto diretto tra gli addetti alla rete ed i titolari del diritto di opzione" (costituite, "a seguito della comunicazione informativa" neutra da parte della Banca contenente indicazione delle "caratteristiche principali dell'operazione e le modalità richieste per l'adesione", dalla preventiva manifestatone di interesse alla sottoscrizione da parte degli interessati "accedendo ad una apposita sezione del sito internet della Banca" oppure tramite l'invio per posta di un modulo prestampato, preventivamente trasmesso agli aventi diritto in allegato alla suddetta comunicazione informativa preliminare); - che la Banca si sarebbe astenuta dalla erogazione di finanziamenti finalizzati alla sottoscrizione di azioni B., essendo questa possibilità limitata all'operazione di aumento di capitale riservato a nuovi soci e finalizzato all'ampliamento della base sociale (c.d. "mini Aucap"); ii) nella Nota datata 4.7.2014, che - erano "immutate le modalità di offerta in opzione, agli azionisti ed ai possessori di obbligazioni convertibili... " e, nel fornire i dati relativi all'andamento della operazione, che l'offerta in opzione aveva registrato adesioni da parte di 20.448 clienti, tutte perfezionate ad "iniziativa cliente", con valutazione positiva della appropriatezza nella misura del 83,9%; iii) nella Nota 15.10.2014, - che l'unica operatività effettuata nell'ambito dell'Offerta in opzione, era quella ad "iniziativa cliente"; - che tutti i 29,364 sottoscrittori "aventi diritto" avevano aderito all'offerta previa valutazione di appropriatezza, il cui esito era stato positivo nella misura del 82% circa; - che (nella unita Nota di osservazioni della funzione di Compliance), "la Banca ha inteso presidiare il rischio di consulenze surrettizie prevedendo un meccanismo volto a fare in modo che il contatto tra banca e clienti titolari del diritto di opzione si stabilisse solo in seguito ad una comunicazione preliminare"; e omettevano dunque, di rappresentare alla Commissione medesima, la realizzazione da parte della Banca, sino dal febbraio 2014 (e, dunque, prima dell'approvazione del prospetto previsto dall'art. 94, D.L.vo n. 58/98 cit.), di una strutturata azione commerciale finalizzata alla promozione della partecipazione all'aumento di capitale e concretizzatasi in consigli personalizzati di investimento, cosi ostacolando consapevolmente le funzioni di vigilanza della CONSOB, cui era conseguentemente impedita l'emanazione degli opportuni provvedimenti e l'adozione delle pertinenti iniziative di Vigilanza. Con le aggravanti di avere commesso il fatto in relazione a società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell'art. 116, D.L.vo n. 58/98 cit. ed allo scopo di occultare i reati di cui alla richiesta di rinvio a giudizio presentata nell'ambito del procedimento n. 5628/15 R.G.N.R. - Mod. 21 cit., e di garantirsi l'impunità rispetto ad essi. In (...), in data (...) Banca (...) n. 2) in ordine all'illecito amministrativo dipendente da reato previsto e punito dagli artt. 5, lett. a) e b), 6, e 25-ter, co. I, lett. s), D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato indicato sub e.l) commesso da - So.Sa. (stralciato ad altro procedimento) in qualità di direttore generale della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), - Gi.Em., in qualità di vice direttore generale, responsabile della divisione mercati, della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a.), in concorso tra loro, in difetto di un modello di organizzazione idoneo (comunque non efficacemente attuato) a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi, e nell'interesse ed a vantaggio della stessa BANCA (...) S.c.p.a., consistiti nel rafforzamento patrimoniale dell'ente perseguito ed attuato con l'operazione dì aumento di capitale compiuta nel corso dell'anno 2014. In (...), in data (...) CONCLUSIONI PEL PROCURATORE GENERALE: Con riferimento agli appelli proposti dagli imputati ZO., MA. e PI. chiede dichiararsi l'improcedibilità con riguardo alle fattispecie medio tempore prescritte, con conseguente rideterminazione della pena, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, Per il resto chiede confermarsi la sentenza. Con riferimento all'appello proposto dall'imputato GI. chiede affermarsi la penale responsabilità del predetto, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando la pena richiesta come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. Con riferimento all'appello proposto da B. in L.c.a. chiede ridursi l'entità della sanzione ex art. 12 comma 2 lett. a) D.Lgs. 231/2001 nella misura massima della metà, come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022, con irrogazione, per l'effetto, della sanzione pecuniaria nella misura di euro 324.000,00= e conferma nel resto. Con riferimento, infine, agli appelli proposti dal Pubblico Ministero nei confronti degli imputati PE. e ZI. chiede affermarsi la penale responsabilità dei predetti, ad eccezione delle fattispecie medio tempore prescritte, quantificando le pene richieste come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022 previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di equivalenza. CONCLUSIONI PELLE PARTI CIVILI: Il difensore della parte civile Banca d'Italia, Avv. St.Ce., conclude chiedendo che la Corte rigetti gli appelli degli imputati Gi., Ma., Pi. e Zo. e confermi la sentenza per quanto riguarda le statuizioni civili a favore delta Banca d'Italia, inclusa la conferma della condanna in solido alla provvisionale. In accoglimento degli appelli della Pubblica Accusa, proposti contro gli imputati Pe. e Zi., chiede estendersi ai medesimi le statuizioni civili in favore della Banca d'Italia e per l'effetto la loro condanna in solido al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da liquidarsi in separato giudizio, con condanna a una provvisionale pari a quella stabilita in primo grado. Per il resto conclude come da memoria depositata all'udienza del 22.9.2022. Il difensore della parte civile CONSOB, Avv. Va.Ci., in sostituzione dell'Avv. Deborah Spedicati, chiede la conferma dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato Gi. per il reato di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza svolte da CONSOB, contestato nel capo d'imputazione NI, e la conferma delle statuizioni civili pronunciate in favore della stessa CONSOB, con condanna al pagamento delle spese per questo grado dì giudizio. Si richiama per il resto alla memoria depositata all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Pa.Ci. (67), chiede l'accoglimento delle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9.2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Re.Be. (24), si associa alle conclusioni della Procura Generale e si riporta alle conclusioni scritte depositate all'udienza del 23.9,2022. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca. (55), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Be.Ca., in sostituzione dell'Avv. Br.Ba. (16), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce. (62), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ca.Sp. (205), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimene deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ro.Pa. (163), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ca.Ma. (140), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delie parti civili, Avv. Ca.Ma., in sostituzione dell'Avv. Ni.D'A. (80), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co. (72), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. An.Bu. (42), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ez.Co., in sostituzione dell'Avv. Na.De. (84), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Si.Ba. (13), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ve.Bo. (40), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. An.Ca. (44), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Ma.Ma. (139), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Be., in sostituzione dell'Avv. Gi.Vi. (219), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede raccoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa. (160), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Fa.Pa., in sostituzione dell'Avv. Da.Tr. (211), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Pi.Ce. (63), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. St.An. (7), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Lu.Be. (22), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Do.Bo., in sostituzione dell'Avv. Al.Le. (127), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23,9,2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Mo. (156), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. Ma.Sa., in sostituzione dell'Avv. Pi.Lu. (136), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Il difensore delle parti civili, Avv. El.Ce., in sostituzione dell'Avv. Ra.Di. (92), presenta le conclusioni scritte dei propri assistiti, allegate al verbale d'udienza 23.9.2022, e ne chiede l'accoglimento, deposita altresì nota spese della quale chiede la liquidazione. Si dà altresì atto che all'udienza del 23.9.2022 le parti civili sotto elencate, su invito del Presidente e con l'accordo delle parti, hanno depositano le rispettive conclusioni scritte con allegate note spese, alle quali si riportano integralmente chiedendone l'accoglimento: (omissis) Il difensore delle parti civili, Avv. Fr.Ra., in sostituzione dell'Avv. An.Fi. (105), dichiara di non presentare conclusioni scritte dei propri assistiti e di riportarsi alle conclusioni già depositate in primo grado, chiedendone l'accoglimento, senza ulteriore deposito, CONCLUSIONI DELLE DIFESE MA., PI. e ZO.: Chiedono in principalità l'assoluzione dei rispettivi assistiti, avanzando richieste subordinate come da rispettivi atti di appello e motivi nuovi successivamente depositati, giusta conclusioni rispettivamente rassegnate alle udienze del 28.9.2022 (ZO.), del 30.9.2022 (MA.) e del 5.10.2022 (PI.), alle quali si riportano. CONCLUSIONI DELLA DIFESA GI.: Dichiara di rinunciare espressamente a tutti i motivi enunciati nell'atto di appello tranne che ai motivi nn. II, III, XIII, XX (quest'ultimo peraltro reso oggetto di rinuncia implicita, come da verbale d'udienza 23.9.2022, quanto alla svolta eccezione di nullità della sentenza), XXI, XXII e XXIII. Quanto al trattamento sanzionatorio invoca la rideterminazione in senso più favorevole come da verbale d'udienza 23.9.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA ZI.: Conclude per l'accoglimento del proprio appello e per il rigetto di quello del Pubblico Ministero, come da verbale d'udienza 5.10.2022. CONCLUSIONI DELLA DIFESA PE.: Conclude chiedendo il rigetto dell'appello del Pubblico Ministero e la conferma della sentenza di assoluzione, come da verbale d'udienza 30.9.2022. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. La sentenza Con sentenza 19.3.2021, il Tribunale di Vicenza: - dichiarava Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. responsabili, nelle qualità dai predetti rispettivamente rivestite all'interno della Banca (...) S.c.p.a. (adesso S.p.a. in LCA.), dei reati, siccome loro rispettivamente ascritti in rubrica (il capo NI era ascritto, fra essi, al solo GI.), di aggiotaggio ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 2637 c.c. (reato di cui al capo A1, commesso in Vicenza nel periodo successivo al 27.4,2013 e sino al 2015, in occasione della pubblicazione dei bilanci di esercizio degli anni 2013 e 2014), di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza ex artt. 81 co. 2, 110, 112 nr 1 c.p., 2638 co. II, III c.c., aggravato dalla natura di società con titoli diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 D.L.vo 58/98 (capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1, posti in essere in Vicenza, dal maggio del 2012 all'anno 2015, nelle date di cui ai rispettivi capi di imputazione), di falso in prospetto, ex artt. 61 nr. 2, 81 co. 2, 110, 112 nr. 1 c.p., 173 bis D.L.vo 58/98 (capi I ed L, posti in essere, in Vicenza, rispettivamente, il 10 giugno del 2013 ed il 9 maggio del 2014) e, esclusa l'aggravante di cui all'art. 112 nr. 1 c.p., riconosciute a tutti gli imputati le attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle residue aggravanti contestate ed unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione, ritenuto più grave il delitto di cui al capo H1, condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione; - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno; - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Dichiarava i predetti imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Disponeva nei confronti dei medesimi la confisca per equivalente sino a concorrenza dell'importo di euro 963.000.000. - Dichiarava non doversi procedere nei confronti degli stessi imputati, con riferimento ai reati di aggiotaggio di cui al capo A1 (limitatamente alle condotte contestate fino alla data del 27.4.2013), perché estinti per prescrizione. - Condannava i suddetti imputati, nei termini seguenti, al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili: - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili private di cui all'elenco allegato alla sentenza (con esclusione, relativamente agli imputati GI. e MA., del risarcimento in favore delle parti private Al.Br., Lo.Al., Lo.Da., Lo.Tr., Pi.So. e To.La.), con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute da dette parti; - Gi.Em., Ma.Pa., Pi.An. e Zo.Gi. erano condannati al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile Banca d'Italia, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore della medesima parte, pari ad euro 601,017,39 oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte civile; - Gi.Em. era condannato al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile CONSOB, con rimessione delle parti innanzi al giudice civile per la relativa liquidazione, nonché al pagamento di una provvisionale in favore di detta parte nella misura dì euro 186.570,00, oltre che al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte avite. - Assolveva Pe.Ma. e Zi.Gi. dai reati loro ascritti perché il fatto non costituisce reato. - Dichiarava, inoltre, Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) e, riconosciuta l'attenuante ex art. 12, co. II, lett. a) D.L.vo 231/01 ed applicata la disciplina della pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo cit., condannava detto ente al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 364.000,00, oltre al pagamento delle spese processuali, disponendo inoltre, nei confronti del medesimo ente, la confisca della somma di euro 74.212.687,50. - Disponeva, con riferimento alla posizione di Zo.Gi., la trasmissione degli atti al P.M. in relazione all'ipotesi di reato contestata sub capo N1; - Dichiarava improcedibile la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del responsabile civile Banca (...) in L.C.A. 1.1 Gli addebiti L'affermazione di penale responsabilità attiene alle vicende emerse a seguito dell'ispezione avviata dalla squadra inviata presso l'istituto di credito vicentino dalla BCE nel febbraio del 2015 in relazione a irregolarità emerse nella gestione dell'attività d'impresa bancaria, irregolarità rappresentate: - dal sistematico ricorso della banca al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario; - dal rilascio, in favore dei soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno al riacquisto delle azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli; - dagli "storni" di interessi, autorizzati dagli organi di vertice dell'istituto onde neutralizzare i costi dei finanziamenti all'uopo erogati dalla Banca; - dagli investimenti di consistenti risorse in fondi esteri poi utilizzati, almeno in parte, per la detenzione indiretta dì azioni proprie. Tali anomalie operative, per effetto dei provvedimenti adottati all'esito dell'ispezione BCE del febbraio del 2015, avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale, stimato in circa un miliardo di euro di deduzioni dal patrimonio di vigilanza, come confermato dalla stessa banca verificata nella relazione semestrale del 30.6.2015 e, quindi, nel bilancio d'esercizio 2015. Ne era seguita anche l'iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3 miliardi di euro. Quindi, nel 2016, la banca aveva deliberato un piano di rafforzamento patrimoniale che tuttavia non era andato a buon fine (con particolare riferimento all'aumento di capitale, previsto nella consistente misura di 1,5 miliardi, tanto che il Fondo (...) aveva rilevato la proprietà dell'istituto sottoscrivendo aumenti di capitale per complessivi 2,3 miliardi). Di qui la dichiarazione, da parte della BCE, dello stato di dissesto o di rischio di dissesto e, successivamente, ravvio della procedura di LCA, decisa con decreto del Ministro dell'Economia del 25.6.2017. Con sentenza 21.12.2018, poi, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato lo stato di insolvenza dell'istituto di credito. E' in questo contesto di crisi - successivamente sfociato, come appena precisato, nella dichiarazione dello stato di insolvenza - che si inscrivono le condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e (quanto al solo imputato GI.) della CONSOB, nonché di falso in prospetto, condotte che costituiscono (oltre agli illeciti amministrativi contestati all'ente Banca (...) in L.C.A.) gli addebiti ritenuti provati nella pronunzia del tribunale di Vicenza. In particolare gli imputati, nelle loro rispettive qualità di esponenti di vertice dell'istituto bancario, avrebbero posto in essere una serie di azioni coordinate finalizzate alla manipolazione del mercato, attraverso una artificiosa rappresentazione di una solidità patrimoniale della banca in realtà inesistente e della liquidità del titolo azionario, mediante la sistematica concessione di assistenza finanziaria ai clienti per l'acquisto di azioni della banca, l'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo del valore delle azioni finanziate ed il mantenimento di un valore sovradimensionato del suddetto titolo (aggiotaggio manipolativo). Avrebbero, altresì, diffuso informazioni mendaci (prevalentemente attraverso la emissione di comunicati stampa indirizzati al mercato ed ai soci) inerenti alla situazione della banca, alla liquidità del titolo azionario e al pieno successo delle operazioni di aumento di capitale effettuate negli anni 2013 e 2014 (aggiotaggio informativo). Inoltre avrebbero posto in essere condotte di ostacolo alla vigilanza ai danni della Banca d'Italia e della BCE occultando la sistematica attività di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie e in tal guisa impedendo l'adozione di tempestivi piani di vigilanza coerenti con la reale situazione della banca, conseguendo, inoltre, l'autorizzazione alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale primario di classe 1 e superando positivamente, infine, il Camprehensive Assessment (ovverosia l'esercizio di valutazione approfondita con il quale la BCE aveva verificato lo stato di salute delle principali banche europee) con l'effetto di accedere al Meccanismo Unico di Vigilanza. Il solo GI., poi, avrebbe ostacolato la vigilanza della CONSOB in relazione all'aumento di capitale 2014, omettendo la rappresentazione delle operazioni commerciali finalizzate alla promozione dell'aumento di capitale in questione. Ulteriori condotte delittuose poste in essere dagli imputati, infine, sarebbero state quelle di falso in prospetto in relazione alla predisposizione e diffusione dei prospetti informativi inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni all'atto degli aumenti di capitale degli anni 2013 e 2014. Nell'occasione, infatti, per un verso, sarebbero state occultate le informazioni inerenti al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso, sarebbero state comunicate informazioni fuorvianti in merito all'andamento del mercato secondario delle azioni stesse. Nel complesso si sarebbe trattato di condotte tutte avvinte da un evidente nesso di strumentalità in quanto sistematicamente ispirate dalla medesima intenzione, da un lato, di creare un'apparenza di liquidità del titolo azionario e, dall'altro, di accreditare la solidità patrimoniale dell'istituto di credito. Solo in quest'ottica, del resto, nella prospettiva d'accusa, sarebbero interpretabili le condotte dei singoli imputati, altrimenti del tutto prive di senso, posto che le corrette attività di appostazione della riserva di bilancio e di scomputo del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza avrebbero reso prive di ogni effetto le operazioni correlate. Di qui la contestazione della responsabilità concorsuale degli imputati. 1.2 Il compendio probatorio Il giudizio di penale responsabilità scaturiva dalla valutazione coordinata di un panorama probatorio assai vasto e composito, segnatamente costituito da elementi di natura testimoniale (deposizioni degli agenti operanti, di ex dirigenti dell'istituto di credito, nonché di funzionari e dipendenti della banca, di clienti, ecc.) e documentale (e-mail, documenti contabili, verbali del CdA, piani industriali, ecc.), dagli esiti di operazioni di intercettazione telefonica, nonché dalle conclusioni cui erano pervenute approfondite attività di ispezione; conclusioni, queste ultime, che erano state dapprima documentate attraverso l'acquisizione delle relative relazioni e, quindi, confermate e precisate in sede di escussione dibattimentale degli ispettori e dei funzionari di vigilanza. Inoltre un rilievo significativo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato anche all'approdo cui era pervenuta la meticolosa attività di ricostruzione di quegli aspetti della gestione aziendale rilevanti ai fini della compiuta comprensione delle reali dinamiche e della esatta portata del fenomeno delle operazioni di capitale finanziato siccome effettuata dai consulenti tecnici del P.M.. Costoro, in effetti, avevano ripercorso, attraverso uno scrupoloso vaglio della notevole mole della documentazione disponibile, tutte le singole operazioni giungendo ad una precisa quantificazione del fenomeno; quantificazione, peraltro, sostanzialmente allineata, seppure per difetto, ai dati indicati dalla stessa banca nella Relazione sulla Gestione dei bilanci 2015-2016 (euro 1086,9 mln). Le indagini della GdF, poi, avevano consentito di riscontrare le evidenze ispettive e di delineare compiutamente il contributo fornito dai singoli imputati. Infine, anche la relazione ex art 33 L.f. - nella quale erano stati compendiati gli esiti di un accurato esame dei bilanci e degli indici di redditività, efficienza e solidità patrimoniale, nonché dei margini di struttura essenziale dell'istituto di credito - aveva rappresentato un prezioso contributo (peraltro convergente con le ulteriori risultanze processuali) per l'esatta comprensione del fenomeno del capitale finanziato. 1.3 La competenza Il tribunale, dopo avere premesso che la questione della competenza territoriale avrebbe dovuto essere valutata alla stregua delle indicazioni contenute nell'imputazione nonché delle allegazioni delle parti unicamente relative al fatto storico siccome stigmatizzato nell'imputazione medesima (fatta salva l'ipotesi - espressamente esclusa dal primo giudice - che dal capo di incolpazione emergessero macroscopici errori, immediatamente rilevabili come tali), ribadiva la competenza territoriale dell'a.g. vicentina, siccome già affermata (in sede di udienza preliminare e, quindi, negli atti preliminari al dibattimento), ritenendo le eccezioni difensive inammissibili e, comunque, infondate. Sotto il primo profilo il tribunale di Vicenza, per un verso, richiamava il contenuto della decisione della Corte di Cassazione (Cass. Sez. I, nr. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018) che - già investita della questione a seguito di conflitto negativo sollevato dal GIP di Milano - aveva in tal senso deliberato, la trama argomentativa della quale veniva dal primo giudice puntualmente ripercorsa; per altro verso evidenziava il difetto di fatti nuovi idonei a superare tale decisione (posto che il capo di incolpazione, medio tempore, non aveva subito sostanziali modifiche), concludendo, quindi, per la vincolatività della decisione medesima. In ogni caso, sotto il secondo profilo (quello dell'infondatezza delle eccezioni di incompetenza), il tribunale respingeva le ricostruzioni difensive che individuavano in Roma il luogo di commissione del più grave reato contestato sub B1, trattandosi del luogo nel quale aveva sede la Banca d'Italia e ove, pertanto, detto istituto aveva ricevuto il rendiconto ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process), al momento della ricezione (ovvero della valutazione) del quale - sempre secondo le prospettazioni difensive -, atteso il contenuto asseritamente decettivo del documento in questione, si sarebbe verificato l'evento di ostacolo. Ciò in ragione del fatto che la falsa informazione - sub specie di "occultamento fraudolento" - contenuta in tale documento non rientrava affatto nel perimetro dell'imputazione di riferimento; imputazione che - precisava il primo giudice - circoscriveva al periodo ricompreso tra l'inizio e la fine dell'ispezione il momento di commissione delle attività di intralcio alla vigilanza. Assegnare rilievo, sul punto, all'invio del citato documento da parte del coimputato So.Sa. (posizione stralciata e giudicata separatamente), infatti, avrebbe significato modificare indebitamente il capo di imputazione (peraltro inserendovi una condotta che, nella sua materialità, sarebbe stata espressione di una differente modalità di aggressione al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice), con conseguente contestazione di un fatto nuovo. Più nel dettaglio il tribunale non condivideva le osservazioni difensive, le quali: - da un lato evidenziavano come il capo di imputazione sub B1, là dove faceva riferimento all'occultamento o, comunque, alla mancata comunicazione di informazioni, necessariamente ricomprendesse, tra le comunicazioni "fuorvianti", anche la suddetta comunicazione ICAAP (sulla base della quale, del resto, l'ente incaricato della vigilanza aveva determinato l'oggetto dell'attività ispettiva che di lì a poco avrebbe svolto presso la sede dell'istituto vigilato); - dall'altro lato contestavano che dall'indicazione del tempus commissi delicti siccome precisato in imputazione potessero desumersi effetti decisivi in ordine alla delimitazione del perimetro dell'imputazione, trattandosi di indicazione - espressione dell'avvenuta, censurabile selezione, da parte del P.M., di una sorta di "finestra temporale" non corrispondente alle evidenze disponibili - non certo prevalente, sempre secondo le difese, rispetto alla descrizione del fatto siccome esposto nel capo di imputazione medesimo. Ad avviso del primo giudice, invero, la prospettazione d'accusa era chiara nell'individuare l'oggetto dell'addebito nelle condotte poste in essere nel corso dell'attività ispettiva, condotte rispetto alle quali l'invio della citata comunicazione ICAAP costituiva un fatto autonomo, estraneo a quello contestato sub B1 e neppure preso in considerazione come antecedente causale delle medesime condotte incriminate. Conclusivamente, l'eccezione di incompetenza territoriale, avanzata in relazione all'asserito rilievo da assegnarsi, sul punto, alla citata comunicazione ICAAP, oltre ad essere inammissibile per difetto di sopravvenienze rilevanti ex art, 25 c.p.p. (l'addebito di riferimento essendo rimasto inalterato rispetto all'imputazione provvisoria valutata dalla citata Cass. 15537/2018), era comunque infondata. Infine, neanche poteva sostenersi la competenza territoriale dell'a.g. milanese, pure prospettata da talune difese facendo leva sulle contestazioni di falso in prospetto di cui ai capi I ed L della rubrica. Si era in presenza, infatti, di reati puniti con pena edittale inferiore rispetto a quella prevista per il reato ex art. 2638 c.c., siccome nella specie aggravato ai sensi del comma terzo. In effetti, il raddoppio delle pene previsto dall'art. 39 co. 1 L. 262/05 non poteva ritenersi applicabile alla fattispecie in esame, in quanto modificata, anche in punto di trattamento sanzionatorio, dal medesimo intervento legislativo, come arguibile dalla ratio di detto intervento, quale ricavabile tanto dal tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit., quanto dai relativi lavori preparatori. In ogni caso - e fermo, comunque, il principio di irretrattabilità del foro commissorio sancito dall'art. 25 c.p.p., - anche i reati di cui ai predetti capi I ed L erano stati commessi in Vicenza, presso la sede della banca vicentina, all'atto della pubblicazione dei prospetti informativi, tale essendo il momento consumativo del reato (e non già in Milano, sede della CONSOB, presso la quale detti prospetti erano stati depositati per l'approvazione). Donde la conferma della competenza del tribunale berico. 1.4 Il patrimonio di vigilanza e l'acquisto di azioni proprie: quadro normativo di riferimento Il tribunale, dopo avere esplicitamente richiamato il quadro normativo in ordine alla vigilanza informativa, regolamentare ed ispettiva sul settore bancario ed avere puntualmente delineato nozione e caratteristiche del "patrimonio di vigilanza" (nella sua accezione più ampia rispetto al semplice "patrimonio aziendale", in quanto ricomprendente, oltre al capitale sociale e alle riserve, anche gli strumenti di natura non strettamente patrimoniale ma rappresentanti "canali di patrimonializzazione"), precisava come, alia stregua delle disposizioni in materia, il "patrimonio di vigilanza" dovesse necessariamente corrispondere quantomeno all'ammontare del patrimonio interno assorbito dalle attività bancarie, in ragione della funzione assegnatagli di copertura dei rischi di mercato, operativo e di credito. Quindi, richiamati gli indici di riferimento per la valutazione delia capacità degli istituti di credito di sostenere le proprie attività in presenza dei rischi tipici ed evocata, altresì, la più recente disciplina di riferimento, il primo giudice precisava come il patrimonio di vigilanza complessivo dovesse intendersi costituito dalla somma algebrica tra il "patrimonio di base o capitale di classe 1" (Tier 1) e il "patrimonio supplementare o capitale di classe 2" (Tier 2), intesi come insieme di risorse capaci di assorbire le perdite, rispettivamente, in condizioni di continuità di impresa, ovvero di stato di crisi-In un siffatto contesto - proseguiva il tribunale - l'attività di vigilanza della Banca d'Italia assolveva, tra l'altro, alla funzione di valutare se gli strumenti finanziari emessi dagli istituti di credito fossero o meno computabili come strumenti di capitale primario, con la precisazione che, tra gli strumenti destinati ad essere integralmente dedotti dal capitale primario, rientravano certamente gli investimenti in azioni proprie (ivi comprese quelle che la banca fosse stata contrattualmente obbligata ad acquistare), e questo all'evidente fine di evitare il doppio computo del capitale. Con specifico riferimento al periodo interessato dalle imputazioni (2012-2015), poi, il giudice di prime cure puntualizzava come la composizione del patrimonio di vigilanza fosse disciplinata dalle Circolari della Banca d'Italia n. 263 del 27.12.2006 e n. 155 del 18.12.1991, circolari che, identificando il patrimonio di vigilanza come la somma algebrica tra il patrimonio di base (Tier 1) e il patrimonio supplementare (Tier 2), al netto delle deduzioni, esigevano che il rapporto tra il Tier 1 ed il totale delle esposizioni creditizie ponderate non dovesse essere inferiore al 4,00% e che il patrimonio di vigilanza, inteso come la somma di patrimonio di base Ver 1 e patrimonio supplementare Tier 2, dovesse essere almeno pari all'8% delle attività ponderate per il rischio. La Circolare n. 263/2006, poi, non prevedeva alcuna autorizzazione della Banca d'Italia per la computabilità delle azioni proprie nel patrimonio di vigilanza. Inoltre, a decorrere dal 2014, la disciplina di riferimento era costituita dal regolamento UE n. 575/2013 (Capital Requirements Regulation - CRR) e dalla Circolare della Banca d'Italia n. 286 del 17 dicembre 2013, con l'effetto che alla nozione di patrimonio di vigilanza era subentrata quella di "fondi propri" (costituiti dalle tre componenti: CET1, Additional Tier 1 e Tier 2), Secondo il CRR le banche avrebbero dovuto disporre di un requisito di capitale primario di classe 1 (CET) pari al 4,5% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio, di un requisito di capitale di classe 1 (Tier 1) pari al 6% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio e, infine, di un patrimonio di vigilanza totale (patrimonio di base più patrimonio supplementare) pari all'8% dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio. Ciò posto, il primo giudice, con riferimento al tema dell'acquisto delle azioni proprie da parte di un istituto di credito, richiamava i limiti progressivamente sempre più stringenti introdotti sul punto, oltre alle specifiche condizioni legittimanti le autorizzazioni in materia da parte dell'autorità di vigilanza, sottolineando come il principio dell'obbligatoria deduzione dal patrimonio di vigilanza delle azioni riacquistate fosse rimasto immutato nel tempo, trattandosi di principio (nel periodo 2006-2013 previsto dalle citate circolari della Banca d'Italia, come progressivamente aggiornate) essenziale per la tutela dei terzi, posto che, nel momento in cui la banca finanziava l'acquisto di azioni proprie, l'apporto patrimoniale era destinato ad assumere carattere fittizio, inidoneo a incrementare il patrimonio destinato alla copertura di rischi e perdite aziendali. E, in proposito, il primo giudice delineava puntualmente il regime prudenziale previsto successivamente all'1.1.2014, regime nel cui ambito rilevava anche il processo interno di autodeterminazione dell'adeguatezza patrimoniale che gli istituti di credito erano chiamati ad effettuare e di cui avrebbero dovuto comunicare gli esiti alfa Banca d'Italia attraverso una apposita comunicazione (ICAAP) - la responsabilità della quale era rimessa agli organi societari di amministrazione e di controllo - destinata ad illustrare le caratteristiche di tale processo. Era proprio il resoconto ICAAP - proseguiva il tribunale - a consentire all'organo di vigilanza di effettuare una valutazione completa (destinata a concludersi con l'attribuzione di un punteggio ricompreso tra 1 e 5) delle caratteristiche qualitative fondamentali (attraverso un'attività di supervisione denominata SREP/Supervisory Review Evaluation Process, caratterizzata anche da un confronto diretto tra organo di vigilanza ed istituto vigilato). 1.5 La ricostruzione dei fatti. 1.5.1 L'ispezione della BCE del febbraio 2015 ed i riscontri all'analisi BCE. In ordine all'ispezione BCE del febbraio 2015 - avviata dopo che una serie di evidenze (ivi compresa la pubblicazione, a ottobre del 2014, di un articolo sul quotidiano "Il Sole 24 Ore", a firma Cl.Ga., nel quale si era fatto espresso riferimento proprio al tema del finanziamento delle azioni) avevano fatto emergere come la B. avesse riacquistato azioni proprie in difetto della previa autorizzazione alla vigilanza - il Tribunale precisava che detta ispezione, svoltasi dal febbraio al luglio del 2015, aveva effettivamente dimostrato il diffuso ricorso da parte dell'istituto di credito ad operazioni di assistenza finanziaria ai soci per l'acquisto di azioni proprie; azioni che, proprio in quanto acquistate con finanziamenti concessi dall'emittente, non avrebbero dovuto essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza (ovverosia nei "fondi propri", secondo la terminologia adottata dall'art. 28, par. 1, lett. B, CRR). Sulla base, in particolare, della puntuale deposizione dell'ispettore Em.Ga. (responsabile del team della vigilanza), il primo giudice ricostruiva dettagliatamente natura, svolgimento ed esiti dell'ispezione in questione. Ebbene, si era trattato di una ispezione sul rischio di mercato, finalizzata, nell'ordine: - a verificare eventuali fenomeni di assistenza finanziaria relativi alle operazioni di aumento di capitale; - a controllare la corretta valutazione del prezzo delle azioni; s ad analizzare, infine, le operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi sottoscritti alla fine del 2012 dalla banca vigilata. L'arco temporale di riferimento assunto dagli ispettori era stato quello tra il 1.1.2014 ed il 28.2.2015. Il c.d. "mini aucap", poi, non era stato incluso nell'accertamento perché, in tale occasione, la banca aveva effettuato operazioni dì taglio piccolo (6250 euro/100 azioni) per le quali aveva espressamente previsto la possibilità di finanziamento da parte dello stesso istituto di credito, con corretta deduzione delle azioni acquistate dal patrimonio di vigilanza. Per il mercato secondario, poi, erano state analizzate tutte le operazioni per un controvalore superiore ai 250.000 euro. Quanto alla metodologia operativa seguita per intercettare le operazioni di capitale finanziato erano stati adottati criteri dì tipo quantitativo e qualitativo. Sotto il primo profilo erano state tracciate le operazioni caratterizzate da "una relazione forte" tra ammontare finanziato e sottoscritto (nel senso che il "finanziato" avrebbe dovuto essere superiore al "sottoscritto", sia con riferimento alle operazioni "full", ovverosia quelle in cui l'intero finanziamento era stato utilizzato per l'acquisto delle azioni; sia a quelle cc.dd. "fifty-fifty", ovverosia nelle quali solo una parte del finanziamento era stato impiegato per l'acquisto dei titoli). In ordine al dato temporale erano stati analizzati, in relazione al mercato primario, solo i finanziamenti concessi nel "periodo sospetto", ricompreso tra la data di inizio del collocamento e il giorno della consegna del titolo al cliente (c.d. delivery date), pari a circa tre mesi. Diversamente, in ordine al mercato secondario, erano state analizzate tutte le operazioni di acquisto in cui i finanziamenti erano stati erogati nei tre mesi antecedenti (posto che dai colloqui avuti con Se.Ro., addetto all'ufficio soci, gli ispettori avevano appreso che la tempistica media seguita dalla banca per evadere un ordine di acquisto di azioni non superava, per t'appunto, ì 90 giorni circa). In ogni caso - precisava il tribunale - gli ispettori avevano verificato che, generalmente, ì finanziamenti erano risultati concessi pochi giorni prima dell'esecuzione dell'ordine di acquisto. Altri elementi considerati ai fini ispettivi erano stati l'analisi dei conti, quasi tutti caratterizzati da bassissima operatività, nonché la valutazione delle P.E.F., (ovverosia le pratiche elettroniche di fido), risultate costantemente connotate dall'indicazione di causali estremamente generiche e ripetitive e, pertanto, ritenute sintomatiche di "operazioni eccentriche". Inoltre, anche la circostanza che le operazioni fossero "operazioni in bianco" (ovverosia prive di garanzia) costituiva una prassi anomala rispetto ai normali standard creditizi di sana e prudente gestione del portafogli creditizio di una banca. Quindi, con specifico riferimento agli esiti dell'ispezione, il tribunale illustrava le seguenti evidenze: a) l'esistenza di capitale finanziato per un importo complessivo di 506 milioni, capitale che, proprio in quanto oggetto di finanziamento, avrebbe dovuto essere detratto dal patrimonio di vigilanza; b) il rilascio di lettere di impegno collegate ad acquisti sul mercato secondario (peraltro non registrate nella contabilità aziendale né rappresentate nei documenti di bilancio) con le quali l'istituto si era vincolato al rimborso del capitale investito dagli azionisti nella banca, A fine ispezione, in relazione a tali lettere di impegno (la scoperta delle quali - precisava il tribunale sulla scorta della deposizione del teste Em.Ga. - aveva rappresentato un vero e proprio punto di svolta nell'ispezione, trattandosi della prova documentale della consapevolezza, da parte del management, del carattere finanziato dell'acquisto delle azioni), l'istituto era stato costretto a dedurre dal CET 1 circa 21 milioni di euro; c) il fenomeno degli storni di interessi alla clientela fonde tenerla indenne dei costi derivanti dal finanziamento correlato all'acquisto delle azioni). In alcuni casi si era trattato di storni non "baciati" da finanziamenti e, pertanto, sintomatici di un comportamento concludente dell'azienda finalizzato a riconoscere al cliente un corrispettivo per il possesso delle azioni, con conseguente accrescimento dei rischi legale e reputazionale a carico dell'azienda medesima. Peraltro la pratica degli "storni" aveva generato un vincolo sul rendimento delle azioni tale da precluderne la computabilità nel patrimonio di vigilanza; d) la sopravvalutazione del valore dell'azione, valore deciso a monte dal CdA senza considerare i dati fondamentali dell'azienda sotto il profilo economico-patrimoniale; profilo, in effetti, caratterizzato da risultati economici modesti; e) lo squilibrio del mercato secondario delle azioni, in quanto connotato da una marcata asimmetria tra ordini di acquisto e ordini di vendita (572,5 milioni contro 1.000.000,000, nel periodo gennaio 2013 - dicembre 2014); asimmetria, peraltro, risultata all'origine proprio del ricorso al capitale finanziato, quale strumento per contrastare l'illiquidità del titolo; f) l'investimento per euro 350,000.000 nei fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" ad esposizione sconosciuta, effettuato in modo non prudente né trasparente. Si trattava, in effetti, di fondi ad esposizione non comunicata, dei quali, sostanzialmente, B. era sottoscrittore unico (sicché, più che di fondi, si era in presenza di una gestione patrimoniale delle risorse dell'istituto di credito). Né i dirigenti della banca avevano fornito delucidazioni agli ispettori sulla natura degli investimenti in detti fondi se non a seguito della comunicazione che la mancata disclosure avrebbe comportato lo scomputo dell'intero importo di 350 milioni di euro dal patrimonio di vigilanza. Solo a quel punto, infatti, erano stati comunicati gli investimenti sottostanti ed era così emerso non solo che detti fondi avevano investito in asset in buona parte legati allo stesso istituto di credito ma, soprattutto, che i fondi medesimi erano stati lo strumento utilizzato per l'acquisto di azioni proprie, nel 2012, per un importo di 60 milioni di euro (in luogo di quello dichiarato di 54 milioni circa), titoli poi dismessi al 31 dicembre del 2014; g) l'esistenza della società di diritto irlandese B.Fi., utilizzata anche per alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato (operazioni relative, segnatamente: a) alla campagna "svuota fondo" 2012, tradottasi nell'acquisto dì azioni proprie, per il valore complessivo di 30 milioni di euro, per il tramite delie società italiane denominate Pe., Gi. e Lu., all'uopo provviste del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate da B.Fi.; b) alla dismissione delle azioni proprie detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" ed "(...)" ed acquistate, per una rilevante percentuale, dalla società So. Ltd. a mezzo di un finanziamento erogatole dalla predetta società di diritto irlandese B.Fi.). In definitiva - precisava il primo giudice - gli esiti cui era pervenuta l'attività ispettiva avevano generato un impatto deflagrante sul patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, comportandone la riduzione per un valore di 607 milioni di euro (come da tabella riassuntiva riportata a pag. 288 della sentenza impugnata). Ne era seguita la predisposizione di un radicale piano di rafforzamento del capitale, onde consentire alla banca di rientrare immediatamente nei parametri richiesti dalla BCE. Nondimeno, nel prosieguo, la verificata impraticabilità degli interventi necessari a ripristinare la corretta operatività dell'istituto ne aveva imposto la liquidazione coatta amministrativa. Quindi, in ordine alla capacità probatoria da riconoscersi, nei limiti delineati dalla giurisprudenza di legittimità, agli accertamenti ispettivi, il tribunale precisava che tale capacità derivava, segnatamente, dalla competenza del personale dell'organo di vigilanza; dalla imparzialità propria dì tale organo (le cui valutazioni, del resto, avevano determinato un nuovo assetto di governance dell'istituto di credito); dalla coerenza, infine, tra gli esiti dell'ispezione e quanto verificato dai consulenti del P.M.. Peraltro anche il dott. Fe.Pa., consulente della difesa dell'imputato PE., aveva rimarcato il carattere "profondamente innovativo" e metodologicamente "ineccepibile" dei criteri seguiti dal team ispettivo nel corso della vigilanza, sottolineando anche la natura prudenziale dell'accertamento (sottostimato) che ne era derivato in punto di quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre - precisava il tribunale - numerosi erano stati i riscontri all'analisi della BCE. Trattavasi: a) dello squilibrio del mercato secondario, siccome manifestatosi a partire dal 2011 (squilibrio che, in difetto del ricorso al finanziamento delle azioni, avrebbe portato al "blocco della liquidità" già dal secondo trimestre del 2012; b) delle dichiarazioni di numerosi esponenti del management aziendale (segnatamente: i testi Fi.Ro., responsabile dell'Ufficio Soci, e Se.Ro., addetto allo stesso Ufficio Soci, i quali avevano rievocato l'incremento della richiesta di vendita delle azioni a partire dagli anni 2011/2012 e l'abbandono del relativo criterio cronologico a decorrere dallo stesso 2011; il teste Co.Tu., il quale aveva riferito che già dal 2009 erano state effettuate "operazioni svuota fondo" - rivolte cioè ad azzerare il fondo acquisto azioni proprie della banca - a ridosso della fine dell'anno per abbellire il bilancio; il teste Ma.Ba., il quale aveva dichiarato che dalla metà del 2011 aveva iniziato a sentire parlare di "operazioni K", finanziamenti correlati e operazioni c.d. "baciate" nel corso delle riunioni della Divisione Mercati con i capi area; l'ex direttore generale dal 2001 al 2005 e dal 2008 all'ottobre 2011, Di.Gr., il quale aveva confermato le tensioni sul mercato a causa della scarsità di domande di acquisto delle azioni, tensioni da lui fronteggiate rivolgendosi a investitori istituzionali che avevano comprato azioni B. con intesa verbale di riacquisto); c) degli appunti del segretario generale Ma.So. relativi alle operazioni c.d. "baciate", dal medesimo teste definite come operazioni sulle quali, dietro indicazione dei vertici aziendali, occorreva "spingere" per aumentare il capitale; d) degli ulteriori riscontri documentali in ordine all'andamento asimmetrico del mercato secondario (in particolare la e-mail di cui al documento nr. 166 e l'appunto di cui al documento 881 prodotti dal P.M. - cfr. pag. 304 della sentenza impugnata); e) delle attività "svuota fondo", attuate anche attraverso le operazioni c.d. "baciate" (per un importo stimato dai CCTT del P.M., con riferimento all'anno 2012, pari a 287 milioni di euro), delle quali avevano complessivamente riferito svariati testi (segnatamente i testi Fi.Ro., En.Da., Gi.Ca., Ma.Ba., Co.Tu. e Fr.Pi.); f) delle stesse dichiarazioni rese, nel corso del suo esame, dall'imputato Gi.Zi. (il quale aveva riferito che alla fine del 2012, attraverso la sua società Ze. s.r.l. aveva acquistato azioni dell'istituto di credito per "dare una mano alla banca" e consentire lo sblocco di richieste di vendita inevase); g) della ricostruzione del fenomeno del capitale finanziato siccome effettuata dall'Internal audit (e compendiata nel documento nr. 22 prodotto dal P.M.); h) delle dichiarazioni dibattimentali del teste Ro.Ri., gestore private di Contrà Porti (il quale aveva riferito delle modalità di attuazione delle operazioni più consistenti di capitale finanziato - i cc.dd. "big ticket" -caratterizzate da un arco temporale ristretto di 6/12 mesi e dalla corresponsione di un compenso variabile tra lo 0,50% e il 2%); i) delle articolate modalità di occultamento delle operazioni correlate, costituite, segnatamente: dal divieto di comunicazioni scritte (come riferito dai testi Co.Tu., Al.Cu. e Gi.Gi.; il teste Fr.Te., dal canto suo, aveva parlato di un eccesso di riservatezza al riguardo); dall'utilizzo di formule generiche nelle causali degli affidamenti (in particolare "cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare e/o immobiliare") tali da occultare all'esterno - ma, al contempo, da rendere immediatamente riconoscibili all'interno - le operazioni correlate; dal distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni; dalla cura prestata nell'evitare l'assoluta coincidenza di importo tra finanziamento ed azioni acquistate; e, infine, dall'inserimento nel portafoglio titoli dei clienti anche di azioni diverse; j) dell'esistenza delle lettere di impegno (l'Internal audit ne aveva censite in numero di 65); k) degli "storni" di interessi, siccome verificati anche dalle attività di audit (il documento richiamato era quello nr. 18 della produzione del P.M.) e oggetto di deposizione testimoniale (segnatamente, le deposizioni di Da.Es., funzionario addetto al "Risk Management", nonché quelle di Co.Tu., di Gi.Ca. e di Lu.Ve.); l) delle modalità seguite per il collocamento delle azioni quali evidenziate, ancora, dalla relazione di audit (modalità costituite: dall'acquisto con mezzi propri a fronte della promessa di una remunerazione proveniente dal pagamento dei dividendi, associata all'eventuale plusvalenza del prezzo dell'azione con eventuali scostamenti compensati attraverso storni di competenze non giustificati; dall'acquisto con mezzi propri di azioni B. per circa il 50% dell'importo disponibile e sottoscrizione per la parte rimanente di un time deposit a tasso di favore, in linea di massima del 4%, acquisto, questo, proposto a partire dal 2013; da finanziamenti "baciati" con storno competenze/spese e rendimento garantito, con durata, in genere, di 6/12 mesi; da fidi per "operazioni K" concessi a clienti cui era proposto un affidamento per ragioni proprie del cliente e con erogazione condizionata alla sottoscrizione di almeno il 10% dell'operazione per acquisto di azioni proprie; operazione, questa, poi estesa anche alle posizioni con fidi a revoca da revisionare su clienti individuati in tabulati forniti dalla Divisione Mercati; dall'acquisto di azioni proprie proposto in occasione di affidamenti su clientela con rating compreso tra 1 e 5 per il retati (ovverosia per i singoli clienti) e tra 1 e 6 per il corporate (ovverosia per le imprese); m) dei riscontri dibattimentali in ordine alla prassi adottata dai vertici dell'istituto per dare attuazione alle operazioni correlate con l'obiettivo di raggiungere, sia in occasione dei nuovi finanziamenti che nelle procedure di rinnovo, il rapporto del 10% tra il capitale sottoscritto e l'importo erogato. Dalle dichiarazioni dei testi, invero, era emersa la forte pressione praticata sulla rete aziendale per la conclusione delle operazioni "baciate" (deposizioni Al.Ba., Gi.Gi., Co.Tu., Ma.Ni., Di.Ip., Al.Cu.) al punto tale che alcuni collaboratori, come i private banker An.Vi. e Fr.Te., avevano rassegnato le dimissioni (il Te. proprio sul rilievo della contrarietà etica rispetto alle operazioni di capitale finanziato). Il verbale di conciliazione successivo alle dimissioni del Te., peraltro, aveva previsto l'inserimento di una clausola di riservatezza. Anche i bollettini sindacali acquisti nel corso del dibattimento, infine, avevano comprovato, così come le e-mail parimenti acquisite, le pressioni per il raggiungimento degli obiettivi di capitale assegnati (cfr. pagg. 317-318 della sentenza); n) delle dichiarazioni dibattimentali rese da clienti di rilievo (cfr. dep. Lo., Fe., Mo., Ro., To., Ti., Ma., Ca., Ma., Br., Ca., Gi. e Si.Ra.) che avevano concluso le operazioni aventi ad oggetto i "big ticket', là dove costoro avevano concordemente delineato lo schema operativo di riferimento (operazione a termine/apertura conto corrente dedicato/remunerazione variabile tra lo 0,5% e l'1%); o) delle dichiarazioni rese dall'ispettore Gi.Ma. (confermate dalla testimonianza del direttore regionale B. della Lombardia, della Liguria e del Piemonte, Gi.Gi. e dal direttore di B.Fi. Pi.Ra.) con specifico riferimento alle modalità operative seguite per realizzare lo "svuota fondo" del 2012 attraverso la società controllata irlandese B.Fi. per il tramite delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., all'uopo provviste -come detto sopra - del relativo capitale unicamente grazie ai bonifici effettuati in favore di esse dalle tre loro controllanti lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., a loro volta finanziate, per l'appunto, da B.Fi.; p) dell'operazione di acquisto di un'importante frazione delle azioni B. già detenute dai fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", effettuata dalla società So. Ltd. per l'importo di 25 milioni di euro, secondo quanto emerso dalle stesse risultanze delle attività di revisione interna nonché dal contenuto delle deposizioni dibattimentali, ivi compresa quella di Iorio Francesco, amministratore delegato e d.g. di B. dal 1.6.2015 al 4,12,2016; questi aveva confermato come, di fatto, i suddetti fondi esteri fossero stati utilizzati sia per acquistare in origine azioni della banca sia per effettuare investimenti in società riconducibili a soggetti già finanziati dall'istituto (investimenti, questi ultimi, che, generando un rischio aggiuntivo, avrebbero imposto che fosse seguito un iter autorizzativo ben diverso, con competenza al rilascio del benestare da parte del CdA - cfr. pagine 325-329 della sentenza); q) delle dimissioni del private banker An.Vi., generate dalle pressioni ricevute per concludere le operazioni "baciate" e dall'atteggiamento dilatorio assunto dal d.g. Sa.So. a seguito delle conseguenti richieste di approfondimento della vicenda provenienti dal responsabile dell'audit Ma.Bo. (cfr. deposizione Vi. e documentazione di riferimento); r) della denunzia del fenomeno degli acquisti correlati effettuata, nel corso dell'assemblea del 26 Aprile 2014, dal socio Ma.Da. e della conseguente inerzia degli organi societari; s) delle anomalie riscontrate in occasione della revisione legale del bilancio della banca da parte della società K. in punto di adeguatezza patrimoniale con particolare riferimento alle operazioni fatte in contestualità, anomalie che avevano indotto la responsabile dell'ufficio legale interno a sollecitare l'esecuzione di un apposito audit ottenendo, tuttavia, un fermo diniego da parte del d.g. So. e di Pi.An., responsabile della Divisione Finanza (il quale ultimo aveva replicato: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa" - cfr. deposizione An.Pa., responsabile dell'ufficio legale interno); t) del contenuto del file audio (ritenuto dal tribunale utilizzabile, trattandosi di documento registrato dagli addetti informatici a ciò deputati e non già di abusiva registrazione effettuata da ignoti, donde il rigetto della relativa eccezione avanzata dal difensore dell'imputato MA.) inerente allo svolgimento dei lavori del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Tale registrazione aveva inequivocabilmente documentato tanto l'esistenza del fenomeno delle operazioni "baciate" quanto l'approntamento di strategie per occultare tale fenomeno alla vigilanza (cfr. pagg. 335-336 della sentenza); u) dell'allestimento della "Task Force gestione soci" che, nelle intenzioni dei vertici della banca, avrebbe dovuto approntare, in extremis, una strategia difensiva in relazione ai diversi profili di irregolarità emersi nel corso degli accertamenti ispettivi e favorire l'assunzione di una posizione comune a fronte delle sempre più pressanti richieste da parte dei clienti, dei reclami relativi al deprezzamento delle azioni e del rischio di fuga dei correntisti. Era stata proprio la questione, emersa sin dalle prime interlocuzioni, del fenomeno del capitale finanziato, peraltro di dimensioni notevolissime (pari a un miliardo di euro, secondo il teste Ma.Li.) che, di fatto, aveva impedito alla Task Force di esplicare qualsivoglia concreta attività (cfr. deposizione del teste Gi.Am.; e-mail di cui ai documenti nn.ri 525, 528 del P.M:); v) della quantificazione del capitale finanziato chef determinata dall'audit interno, su incarico BCE, nella misura di euro 941.335.883 e riferita a nr. 917 posizioni correlate, era poi stata fissata dalla società Er. (all'esito di una accurata ricostruzione del fenomeno, a partire dall'anno 2008, che aveva visto coinvolti il personale della Divisione Mercati ed i singoli capi area, questi ultimi richiesti di confermare/integrare i dati che andavano emergendo) nella misura di euro 1.086.892.062; w) della relazione redatta ex art. 33 l.f. dai commissari giudiziali che avevano individuato le cause del dissesto dell'istituto di credito, segnatamente: nella fissazione di un prezzo delle azioni sovrastimato (anche a causa della predisposizione di piani economico-finanziari mirabolanti, se non addirittura fantasiosi e per l'effetto dell'ausilio di professionisti incuranti dei dati utilizzati per le loro stime e valutazioni); nel massiccio ricorso alle operazioni correlate; nell'effettuazione di operazioni non strettamente riconducibili all'attività di erogazione del credito alla clientela bensì consistenti in investimenti in altre società, partecipazioni, ovvero in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) quali i fondi lussemburghesi (che avevano anche agito da "società veicolo" per operazioni "back to back") e, quindi, in definitiva, in operazioni eccessivamente speculative, rischiose o addirittura illecite; nella continua pratica di sollecitare il mercato azionario stimolando gli acquisti di azioni proprie grazie ai finanziamenti correlati, occultando le perdite e sovrastimando i titoli; e, infine, nella decisione di celare il continuo peggioramento della qualità del credito attraverso la sottostima delle rettifiche e l'occultamento delle perdite a bilancio. 1.5.2 La consulenza tecnica dei P.M. Assoluto rilievo, nella ricostruzione dei fatti, era dal primo giudice assegnato agli esiti della consulenza tecnica disposta - nel corso delle indagini - dagli inquirenti. In particolare i consulenti dott.ssa La.Ca. e prof. Ro.Ta., all'esito di una valutazione analitica della documentazione a disposizione riferibile a ciascuno dei 965 clienti che erano stati segnatati per avere operato tramite finanziamento - valutazione, peraltro, fondata sull'adozione di un approccio prudenziale (caratterizzato, per evitare duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti, dall'attribuzione all'organo deliberante il finanziamento del controvalore di uno solo degli acquisti) - avevano evidenziato: con riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati (quesito nr. 1): - che dei 965 clienti segnalati solamente 91 non erano stati finanziati da B., sicché le posizioni finanziate erano pari a nr. 874; - che l'ammontare degli acquisti finanziati era pari a complessivi 1.031,6 milioni di euro (per un totale di azioni B. acquistate tramite finanziamento pari a 15.426.391), di cui euro 963 milioni riferiti ad acquisti di azioni B. ed euro 68 milioni riferiti a sottoscrizioni di prestito obbligazionario convertibile; - che la quota prevalente degli acquisti era riferibile a operazioni finanziate da B. (essendo imputabili alle controllate B.Fi. e Ba.Nu., rispettivamente, acquisti per euro 55,4 milioni e per euro 5,2 milioni); - che, quanto all'aumento di 506 milioni di euro di capitale effettuato nel 2013, la banca aveva finanziato il 28% dell'operazione, per un valore complessivo di euro 143 milioni; - che, quanto all'aumento di capitale nell'anno 2014 per euro 607,8 milioni, l'ammontare finanziato era stato di 136 milioni (pari al 22%); - che nel 64% degli acquisti il rapporto tra finanziamento e acquisto delle azioni era risultato pari o superiore al 90%; - che, quanto all'ammontare del valore dei titoli suddiviso per ciascun organo deliberante in relazione al periodo oggetto di indagine (30.6.2012-31-3.2015), al CdA andava "attribuito" un valore di euro 414.193.319 (pari al 35% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al Comitato Crediti un valore di euro 160-029.069 (pari al 13% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile Divisione Crediti, Ma.Pa., un valore di euro 108.418.754 (pari al 9% delle delibere relative a finanziamenti correlati); al responsabile della Divisione Mercati, Gi.Em., un valore di euro 32.941.194; al Comitato Esecutivo un valore di euro 63.196.606; al Comitato Centrale Fidi, infine, un valore di euro 49.936.575; con riferimento al fenomeno della vendita delle azioni con patto di riacquisto (quesito nr. 2): - che tale fenomeno si era concretizzato nel rilascio di lettere in favore di 14 azionisti, trattandosi dei soggetti nei confronti dei quali la banca si era incontrovertibilmente impegnata al riacquisto delle azioni, il tutto per un valore complessivo di 46,6 milioni di euro (le restanti lettere non erano state prudenzialmente considerate in quanto contenenti un impegno "più debole", ovvero perché mai consegnate agli azionisti); con riferimento alla determinazione del patrimonio di vigilanza e del livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali (quesito nr. 3) : - che, doverosamente detratti dall'ammontare del patrimonio di vigilanza (ovvero dall'ammontare dei "fondi propri", secondo la terminologia introdotta dal CRR), quale comunicato dalla Banca all'organo di vigilanza, tanto l'importo complessivo degli acquisti di azioni B. effettuati dai clienti considerati finanziati, quanto l'ammontare degli impegni al riacquisto di azioni ritenuti effettivamente vincolanti e prudenzialmente diminuite anche le attività ponderate per il rischio (RWA) del medesimo ammontare (sul rilievo che le operazioni di finanziamento non sarebbero state ragionevolmente poste in essere se non per il raggiungimento dello scopo in questione), la differenza tra il Total Capital Ratio comunicato e quello rettificato andava da un minimo di 1,16% a un massimo del 3,4% (31.3.2015). Inoltre: il CET 1 ratio rettificato al 31.3.2014 (6,63%) ed al 30.6.2014 (6,24%) si attestava a un livello inferiore alla soglia minima regolamentare del 7%; il Tier 1 Ratio rettificato si attestava ad un livello inferiore rispetto alla soglia target comunicata alla Banca d'Italia, pari all'8%, per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013 (valore minimo 6,32%, valore massimo 7,34%); per il Total Capital Ratio, infine, il dato rettificato al 31.3.2014 (8,51%), al 30.6.2014 (7,94%), al 30.9.2014 (9,57%), al 31,12.2014 (8,47%) e, infine, al 31,3,2015 (8,51%), si posizionava costantemente sotto la soglia minima regolamentare del 10,5%. con riferimento all'effetto distorsivo del fenomeno di assistenza finanziaria all'acquisto di azioni sul funzionamento ed andamento del mercato secondario (quesito nr. 5): - che il fenomeno del ricorso al capitale finanziato - risultato massiccio in coincidenza della fine dell'anno, con conseguenti, repentine diminuzioni del fondo acquisto azioni proprie - aveva comportato una profonda distorsione del mercato. In effetti la dettagliata ricostruzione delle dinamiche di acquisto dei titoli sul mercato secondario aveva reso evidente come il ricorso ai finanziamenti degli acquisti di azioni avesse consentito alla banca di mantenere il funzionamento del mercato secondario solo fino al 2012, A partire dall'anno successivo, infatti, l'istituto non era più stato in grado di garantire la liquidità del titolo; con riferimento alla stima del valore dell'azione (quesito nr. 4): - che il prof. Ma.Bi. (l'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) aveva basato il suo giudizio sui criteri, rispettivamente, reddituale (c.d. Income Approach), di mercato (c.d. Market Approach) e del costo (c.d. Cost Approach). Il CdA dell'istituto, dal canto suo, nel determinare il valore del titolo aveva assegnato rilievo pressoché esclusivo al criterio reddituale (Income Approach). Peraltro, l'assemblea, nel triennio di riferimento, aveva approvato il valore dell'azione allineandosi al valore massimo calcolato dal predetto professionista con riferimento al parametro in questione. Ebbene, l'approccio del prof. Bi. non era condivisibile in quanto non conforme alle raccomandazioni della dottrina e della prassi professionale, avendo comportato una sopravvalutazione del capitale economico di B. nel periodo 31.12.2012 - 31.12.2013. Quanto all'anno successivo, sebbene il professionista avesse preso atto di una riduzione del valore del titolo, si era comunque in presenza di una sovrastima dell'azione, in considerazione degli effettivi risultati economici consuntivi dell'attività dell'istituto e del marcato disallineamento con le quotazioni di borsa delle principali banche italiane. Pertanto, doverosamente considerato il fenomeno del capitale finanziato, era stato necessario procedere ad effettuare una nuova stima del capitale economico della banca e, quindi, del valore delle azioni, sia non rettificando gli RWA sia operando tale rettifica (ricostruzione, quest'ultima, più favorevole agli imputati). Il risultato era stato, in entrambi i casi, quello di una significativa riduzione di valore del titolo, stimato nei seguenti termini: al 31.12.2012 tra euro 21,94 e euro 22,49 (a fronte dì un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 55,77 euro e 56,31 euro); al 31.12.2013 tra euro 26,78 ed euro 27,45 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 54,40 e 55,05 euro); al 31.12.2014 tra euro 23,87 ed euro 24,94 (a fronte di un valore determinato dal prof. Bi., rettificato per il capitale finanziato, stimabile tra 41,68 euro e 42,70 euro). In definitiva, secondo il tribunale, i consulenti del P.M., avevano compiuto una ricostruzione dei fenomeni analizzati esaustiva e affidabile in quanto espressione di metodologia ispirata a prudenza; ricostruzione, peraltro, significativamente coerente con il perimetro già tracciato dagli ispettori BCE. In particolare ì consulenti avevano verificato che gli acquisti di azioni e obbligazioni fossero avvenuti attingendo, in tutto o in parte, a risorse fornite dalla banca mediante un nuovo affidamento concesso prima dell'operazione, ovvero mediante l'impiego di eventuali preesistenti erogazioni non ancora utilizzate. Inoltre avevano rispettato la normativa prudenziale in materia. In particolare la riprova dello scrupolo che aveva guidato l'azione dei consulenti era costituita dal fatto che i predetti avessero espunto ben 91 posizioni rispetto al numero di operazioni finanziate originariamente individuati dall'Internai audit. La diversa quantificazione del capitale finanziato compiuta dagli ispettori BCE, poi, era essenzialmente dipesa dal differente arco temporale oggetto di verifica (sul punto il tribunale, a pagina 380 della sentenza, riportava una tabella sinottica). Gli esiti di consulenza, inoltre, erano risultati coerenti con il materiale probatorio acquisito, non solo di tipo testimoniale ma anche documentale (davvero inequivoco, sul punto, ad avviso del primo giudice, era il contenuto della registrazione audio della seduta del Comitato di Direzione del 10 novembre 2014, là dove il d.g. So. aveva affermato espressamente "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare..."). Né, del resto, i consulenti delle difese avevano proposto una quantificazione alternativa del fenomeno del capitale finanziato in esame, sostanzialmente essendosi limitati a sostenere come i cc.tt. del P.M. avessero effettuato una stima in eccesso. Per converso emergevano dati inequivoci del fatto che si fosse trattato di una stima prudenziale, attuata per difetto. A riscontro di ciò il Tribunale richiamava la vicenda dell'operazione finanziata conclusa con la El. (operazione avente un valore, ad avviso dei consulenti, di 17 milioni di euro ma ammontante, secondo il teste Pi.Ca., a ben 20 milioni di euro). Infine, neppure le ulteriori censure difensive erano fondate ad avviso del primo giudice. In particolare, nella prospettiva del tribunale, era errata la tesi secondo la quale l'obbligo di detrazione dal capitale di vigilanza avrebbe presupposto l'esistenza di un "nesso teleologico" tra il finanziamento erogato e l'acquisto delle azioni (tesi che i consulenti delle difese ZO. e ZI. ancoravano alla circolare n. 263/2006 della Banca d'Italia). In effetti la ratio della normativa prudenziale - precisava il primo giudice - era quella di tutelare l'effettiva integrità del patrimonio aziendale, sicché non era affatto sostenibile un'interpretazione tale da rimettere alla volontà dei contraenti l'individuazione delie operazioni di finanziamento destinate all'acquisto delle azioni, esponendo a scontate elusioni le regole poste a presidio dell'integrità del patrimonio dì vigilanza. In realtà tutta la normativa di riferimento (a partire dalla circolare di Banca d'Italia n. 155/91 fino al Regolamento UE 575/13 e, ancora, al Regolamento UE 241/14) assegnava rilievo unicamente al dato oggettivo dell'utilizzo del finanziamento per l'acquisto delle azioni. Parimenti oggettivi, del resto, erano i criteri di cui alla circolare n. 263/2006 evocata dalle difese (contenente, sul punto, disposizioni che suggerivano di porre a confronto elementi meramente oggettivi, quali il dato temporale dell'erogazione del finanziamento e quello dell'acquisto delle azioni, nonché i relativi importi, senza assegnare rilievo alcuno alla finalità perseguita dalle parti). Anche l'ulteriore prospettazione difensiva secondo cui la deduzione del valore del finanziamento dal patrimonio di vigilanza non si sarebbe dovuta effettuare con riferimento all'acquisto di azioni sul mercato secondario (in quanto, in tal caso, la banca, avendo finanziato un cliente dotato di merito creditizio, non si sarebbe esposta al rischio di impresa) era destituita di fondamento. Questo non solo per l'assenza di un regime differenziato (tanto nella normativa comunitaria quanto in quella nazionale) con riferimento agli acquisti sul mercato primario, ovvero secondario, ma, soprattutto, per ragioni logiche. Anche in caso di acquisto di azioni proprie sul mercato secondario, infatti, l'omessa decurtazione del valore delle azioni dal patrimonio di vigilanza avrebbe determinato l'effetto distorsivo di annacquamento di tale presidio di garanzia. Senza considerare, poi, che subordinare alla ponderazione del merito creditizio la computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza avrebbe significato, in ultima analisi, rimettere a valutazioni discrezionali l'effettiva entità del patrimonio di vigilanza medesimo. Infine, nella prospettiva del primo giudice, neppure la censura relativa alla mancata specifica considerazione - nel valutare l'esistenza di operazioni correlate - del fattore temporale coglieva nel segno. Questo, solo a considerare il fatto che larghissima parte (circa l'86%) degli acquisti di azioni che, secondo i consulenti del P.M., erano stati finanziati aveva avuto luogo entro novanta giorni dal finanziamento. Conclusivamente, le stime effettuate dai predetti consulenti erano affidabili e semmai peccavano per difetto piuttosto che per eccesso nella quantificazione del fenomeno del capitale finanziato. 1.6 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza riteneva provata la commissione di una pluralità di reati di aggiotaggio, posti in essere tra l'anno 2012 e l'anno 2015 e concretizzatisi: - nella sistematica concessione di assistenza finanziaria per l'acquisto e la sottoscrizione di azioni della banca onde determinare l'apparenza di liquidità del titolo; nell'omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile pari all'importo delle azioni finanziate; e, infine, nella mancata comunicazione all'esperto incaricato di stimare il sovrapprezzo delle azioni B. dell'esistenza della prassi del capitale finanziato (aggiotaggio manipolativo): - nella diffusione di mendaci informazioni relative all'entità del patrimonio societario, alla solidità patrimoniale della banca, alla crescita della compagine sociale e al buon esito delle operazioni di aumento di capitale (aggiotaggio informativo. In particolare, dopo una accurata ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, il tribunale, quanto all'ipotesi di "aggiotaggio manipolativo", indicava come simulate le sistematiche operazioni di capitale finanziato effettuate, trattandosi di operazioni, per l'appunto, di natura simulata o, comunque, artificiosa. Simulata, più precisamente, doveva ritenersi tale natura con riferimento alle operazioni di finanziamento per importi corrispondenti al valore delle azioni e caratterizzate non già dal rimborso del finanziamento da parte del cliente bensì dall'impegno (orale, ovvero assunto per iscritto) al riacquisto delle azioni stesse da parte della banca, senza costi per il cliente (e talvolta con un rendimento garantito), essendosi in presenza, in tal caso, di un mutamento solo apparente della titolarità delle azioni, in realtà sempre rimaste nella proprietà della banca (con conseguente rischio derivante dalla fluttuazione del valore del titolo non già in capo al cliente, ma all'istituto di credito), donde una radicale estraneità di siffatte operazioni rispetto all'ipotesi ex art. 2358 c.c.. Analogamente simulate erano anche le operazioni di acquisto di azioni proprie effettuate tramite i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)", trattandosi - di fatto - di una gestione patrimoniale di risorse interne, attuata al solo fine di svuotare il "fondo acquisto azioni proprie". Artificiosa, con riferimento alle altre operazioni di capitale finanziato, doveva ritenersi la loro natura sia quanto allo scopo (costituito, al solito, dal finanziamento dell'acquisto con risorse della banca) sia quanto alle modalità di gestione del trattamento contabile (in ragione dell'omessa appostazione a riserva del controvalore, dell'omessa decurtazione del patrimonio di vigilanza ed anche dell'occultamento al mercato), il tutto al fine di fare apparire tali acquisti come espressione della dinamica fisiologica di un attivo mercato secondario. Peraltro - precisava il tribunale - era emersa la mancata comunicazione al prof. Bi. (ovverosia all'esperto incaricato della stima del sovrapprezzo delle azioni) della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie, con l'effetto che detta stima (come, del resto, precisato dallo stesso Bi.) ne era risultata pesantemente condizionata (cfr. pagg. 419-422 della sentenza). Quanto, poi, agli addebiti di "aggiotaggio informativo" costituiti dalla diffusione di notizie false, si trattava - secondo la valutazione del primo giudice, pienamente adesiva, anche sul punto, rispetto all'impostazione d'accusa - di informazioni comunicate con una pluralità di mezzi che, per diffusività e platea dei destinatari di riferimento, erano obiettivamente risultate idonee a raggiungere praticamente tutte le tipologie di operatori. Più nel dettaglio, la falsità era risultata effettivamente attinente: - ai bilanci d'esercizio al 31.12.2012, al 31.12.2013 ed al 31.12.2014, stante la mancata iscrizione di una quota di riserva pari al valore delle azioni proprie; -ai comunicati stampa (taluni dei quali - quelli emessi ex art. 114 TUF - valevoli anche come comunicazioni al pubblico) dell'8.8.2012 diffuso ex art. 114 D.L.vo 58/98 (ove si evidenziavano, in particolare, valori falsati quanto alla solidità patrimoniale del gruppo e al miglioramento della liquidità strutturale, il tutto in un contesto nel quale si rimarcavano l'espansione della rete di vendita, l'incremento della clientela e l'aumento della compagine sociale); del 19.3.2013 (nel quale, comunicandosi i risultati del bilancio di esercizio e consolidato al 31.12.2012, si evidenziavano "Il rafforzamento della posizione di liquidità" e "l'ulteriore incremento della solidità patrimoniale" e si riportava l'entusiastico messaggio del presidente ZO.); del 27.4.2013 (di comunicazione del risultato del bilancio al 31.12.2012, nel quale si sottolineava la stabilità del valore dell'azione a 62,50 euro sulla base di un'approfondita perizia formulata da un autorevole consulente esterno", si riportava l'apprezzamento dell'assemblea per i risultati positivi conseguiti dalla banca e, ancora, si citava il giudizio lusinghiero del presidente ZO.); del 27.8.2013 (significativamente dedicato alla comunicazione del "miglioramento della gestione operativa" e del significativo rafforzamento patrimoniale", per effetto della positiva conclusione dell'operazione di raccolta di ingenti risorse, in ragione di un consistente aumento di capitale e di una altrettanto consistente raccolta di ben 253 milioni di prestito convertibile, comunicandosi che l'istituto poteva vantare un Core Tier al 30 giugno pari al 9%; anche in tal caso la comunicazione riportava il consueto messaggio positivo dei presidente ZO.); deH'8.8.2014, effettuato ai sensi dell'art. 114 D.L.vo 58/98 (con il quale si comunicavano i risultati dell'aumento di capitale 2014, conclusosi con "pieno successo", e si riferiva il giudizio del presidente ZO. in ordine al fatto che l'istituto potesse vantare "coefficienti patrimoniali particolarmente elevati"); del 29,8,2014 (nel quale si illustravano ì risultati della semestrale del 2014, ribadendosi il successo dell'aumento di capitale di tale anno, segnalandosi l'accrescimento della base sociale e della clientela e l'incremento "significativo" dei proventi derivanti dall'attività bancaria tradizionale e, complessivamente, si enfatizzavano gli elementi di crescita); del 26.10.2014 (nel quale si comunicava il positivo superamento del Comprehensive Assessment si evidenziavano, altresì, gli effetti positivi delle iniziative di patrimonializzazione esperite nel 2013 e nel 2014 e, infine, si informavano i destinatari che tali iniziative avevano portato l'istituto di credito a poter vantare una *eccedenza di CET1 pari a circa 30 milioni di euro"); del 10.2.2015 (avente ad oggetto i risultati preliminari del bilancio al 31.12.2014, nel quale si evidenziava la politica particolarmente prudenziale adottata dal CdA su indicazione della BCE, con aumento degli accantonamenti su crediti e rettifica degli avviamenti; si precisava che il risultato negativo era conseguente proprio all'adozione di una politica improntata a misura e all'origine, secondo il presidente ZO., di scelte al contempo *coraggiose e prudenziali"; si ribadiva il successo delle iniziative di rafforzamento patrimoniale; si sottolineava, infine, la crescita dei proventi derivanti dall'attività tradizionale in favore di una clientela ulteriormente aumentata); del 3.3.2015 (avente ad oggetto i risultati definitivi al 31.12.2014, nel quale, pur dandosi atto dei rilievi della BCE in ordine alla possibile riduzione del requisito minimo di CET 1, si rassicuravano gli interlocutori con la precisazione che i requisiti minimi erano stati ripristinati e, anzi, superati "già prima della citata riduzione del requisito di Cet1 Ratio"); - alle comunicazioni ai soci (tutte confezionate sulla base di un apposito format e sottoscritte dal presidente ZO.) in data 30.3.2012, 3.9.2012, 19.3.2013, 10.9.2013, 2.4.2014, 9.9.2014, 4.12.2014 e 19.3.2015, tutte costantemente caratterizzate da informazioni rassicuranti in punto di patrimonializzazione dell'istituto, di sicurezza dell'investimento azionario, di enfatizzazione della stabilità del titolo e nelle quali, inoltre, si minimizzava il profilo dell'allungamento dei tempi di vendita dell'azione. Ebbene, tutte le citate condotte manipolative e informative avevano avuto l'effetto di alterare sensibilmente il prezzo delle azioni B.. Se ciò, in effetti, era di immediata percezione per le condotte manipolative (l'investitore essendo stato evidentemente influenzato dalla vivacità degli scambi del titolo sul mercato secondario e dalle valutazioni conseguentemente alterate del valore del titolo medesimo siccome assegnato dall'esperto prof. Bi., la stima del quale aveva prodotto effetti anche sul mercato primario, sollecitato artificiosamente), altrettanto doveva dirsi per quanto riguardava le condotte di alterazione informativa. Questo, in ragione della marcata influenza della comunicazione di dati falsati inerenti a profili di assoluto rilievo nell'economia della scelta di un soggetto interessato all'investimento azionario, in particolare con riferimento ai dati inerenti alla patrimonializzazione dell'emittente (prospettata come particolarmente solida) e alla liquidità del titolo (presentato come appetibile, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario). Di qui la conclusione, alla quale coerentemente perveniva il tribunale, in ordine all'efficacia decettiva delle comunicazioni effettuate, nelle occasioni sopra indicate, dall'istituto dì credito. Del resto gli effetti concreti prodotti da tali comportamenti manipolativi e di falsa informazione erano agevolmente riscontrabili - proseguiva il tribunale -analizzando le vicende societarie dell'epoca: - da un lato, infatti, gli investitori avevano perseverato nel riporre fiducia nell'istituto di credito, continuando a investire, ovvero astenendosi dal disinvestimento; - dall'altro, gli aumenti di capitale confluiti senza assistenza finanziaria erano stati comunque consistenti (nell'aucap 2013, su un totale di 506 milioni, 363 milioni erano confluiti senza finanziamenti; nel mini aucap 2013, su 100 milioni, 44 erano confluiti senza assistenza finanziaria; nell'aucap 2014 il rapporto era stato di 471,8 milioni confluiti senza assistenza su un totale di 607,8 milioni; nel mini aucap 2014, infine, il rapporto era stato di 60 milioni su 102 milioni). Inoltre la movimentazione sul mercato secondario, depurata dalle azioni finanziate, sì era attestata sul significativo valore di 900 milioni di euro. Tutto ciò aveva consentito di mantenere il valore del titolo artificiosamente alto. In effetti, a fronte dei valori stimati dal prof. Bi., erano emersi - all'esito di una rinnovata valutazione, posta in essere con criteri prudenziali - valori decisamente inferiori. In particolare: - nel 2012 l'azione era stata sovrastimata di un valore tra 6,73 euro e 6,19 euro rispetto al valore reale, da ridursi, rispettivamente, di una percentuale tra il 10,8% e il 9%; - al 31.12.2013 la sovrastima era stata ricompresa tra 8,10 e 7,20 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 13% alni,9%; - al 31.12.2014 la sovrastima era stata ricompresa tra 6,32 e 5,30 euro, con un valore reale, pertanto, inferiore dal 18,9% al 16,9%. Inoltre le condotte di aggiotaggio informativo avevano contribuito a rafforzare l'affidamento sulla stabilità patrimoniale dell'istituto di credito. Infatti i dati rettificati avevano evidenziato, anche nell'ipotesi più favorevole, un CET 1 ratio al 31.3.2014 del 6,63% e, al 30.6.2014, del 6,24% (valori, entrambi, al di sotto della soglia regolamentare del 7%); un Tier 1 Ratio dal 6,32% al 7,345% per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2013, inferiore, pertanto, rispetto alla soglia-target comunicata alla Banca d'Italia pari all'8%; un Total Capital Ratio al 31.3.2014 dell'8,51%, al 30,6,2014 del 7,94%, al 30.9.2014 del 9,57%, al 31.12.2014 dell'8,47%, al 31.3.2015 dell'8,51% (ovverosia sempre inferiore rispetto alla soglia regolamentare dei 10,5%), Analogamente, le condotte di aggiotaggio manipolativo avevano contribuito ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta del mercato, secondo quanto puntualmente evidenziato dai consulenti del P.M.. Con riferimento, poi, al profilo del concorso dei reati, il tribunale precisava come l'art. 2637 c.c prevedesse tre diverse modalità di esplicazione della condotta delittuosa, all'origine, rispettivamente, delle ipotesi di aggiotaggio informativo e aggiotaggio manipolativo o operativo. Di qui la natura della disposizione in esame quale disposizione contenente "norme penali miste cumulative", ovverosia inerenti a condotte non equipollenti o alternative, bensì costituenti differenti elementi materiali di altrettanti reati, con la conseguenza, nel caso di realizzazione di tali diverse condotte, della sussistenza di una pluralità di reati. Questo con la doverosa precisazione che, mentre tra aggiotaggio manipolativo e informativo era ravvisabile unicamente il concorso materiale di reati, nel caso di pluralità di condotte omogenee, per concludere nel senso dell'unicità ovvero della pluralità di reati, sarebbe stato necessario verificarne l'appartenenza o meno ad un'unica manovra manipolativa, ovvero informativa. E, a tale fine, il tribunale precisava come il momento consumativo del reato dovesse individuarsi nel tempo e nel luogo in cui si fossero verificate la sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario e la destabilizzazione del sistema bancario. In applicazione di tali criteri il primo giudice concludeva nel senso della ravvisabilità di ben 16 reati, posti in essere nel periodo tra il 2012 ed il 2015 e, segnatamente: -di 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio finanziario operativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario informativo (2012, 2013, 2014, 2015); - di 4 reati di aggiotaggio bancario operativo (2012, 2013, 2014, 2015) traendone, peraltro, la conseguenza che le condotte poste in essere sino al 27.4.2013 (data di approvazione del bilancio 2012) dovessero ritenersi prescritte. Infine, quanto alle posizioni soggettive degli imputati - successivamente oggetto di separata, dettagliata analisi - il tribunale precisava che dovevano ritenersi responsabili dei reati di aggiotaggio: - Zo.Gi., per avere egli sostenuto e condiviso l'operatività del capitale finanziato; per avere sottoscritto personalmente i comunicati ai soci rappresentativi dì uno stato patrimoniale, finanziario ed economico, totalmente contrario a quello effettivo; nonché per avere approvato, in qualità di presidente del CdA, il bilancio privo dell'appostazione delle riserve previste per legge, oltre ai comunicati che contenevano le mendaci informazioni della situazione della banca e degli esiti degli aucap, in tal guisa rafforzando con le proprie dichiarazioni, l'apparenza di solidità dell'istituto di credito; - Gi.Em., Ma.Pa. e Pi.An., in ragione del totale coinvolgimento dei predetti nell'operatività dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie, e ciò nella piena, effettiva consapevolezza (stanti le modalità di occultamento) della finalizzazione di tale operatività ad alterare gli equilibri del mercato, ad annacquare il capitale e, infine, ad ingannare il pubblico. 1.7 I reati di ostacolo alla vigilanza Dopo avere effettuato una ricostruzione degli esiti delle attività di vigilanza della Banca d'Italia poste in essere, nei confronti dell'istituto di credito, nel periodo 2007-2012 - esiti che avevano evidenziato delle criticità, poi parzialmente superate dall'istituto - il tribunale collocava le condotte di ostacolo alla vigilanza ravvisabili nella vicenda sub iudice nel periodo che aveva avuto inizio con le ispezioni poste in essere a decorrere dal 2012. Al riguardo il primo giudice premetteva come la fattispecie di reato in esame consistesse, per un verso, nell'esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero nonché nell'occultamento, con mezzi fraudolenti, di fatti che avrebbero dovuto essere comunicati all'autorità di vigilanza (2638 co. 1 c.c.); e, per altro verso, nella frapposizione di ostacoli alla vigilanza, posti in essere in qualsiasi forma, anche omissiva (2638, co. 2 c.c.). Segnatamente, la fattispecie di cui al primo comma della disposizione in esame prevedeva un reato di mera condotta, integrato, in via alternativa, da taluni specifici comportamenti; il secondo comma, invece, delineava un reato a forma libera, di danno (consistente nell'evento naturalistico dell'ostacolo). Ciò posto, nell'ipotesi di condotta di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti che avesse creato ostacoli rilevanti all'autorità di vigilanza, il tribunale riteneva sussistente unicamente l'ipotesi di reato ex art. 2638, co. 2, c.c., dovendo farsi applicazione, in tal caso, dei principi di sussidiarietà e consunzione (valorizzati anche dalla Corte EDU e riconosciuti nell'art. 4 protocollo 7 CEDU e nell'art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea), posto che emergeva con evidenza come l'evento di ostacolo previsto dalla fattispecie di cui all'art. 2638 co. 2 c.p. esaurisse l'intero disvalore della condotta. Nel pervenire a siffatta conclusione, peraltro, il tribunale si discostava motivatamente dalla ricostruzione effettuata, in fattispecie analoga, dalla giurisprudenza di legittimità, là dove la corte regolatrice (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 42778 del 26/05/2017, Consoli e altro) aveva invece ravvisato, tra le due fattispecie in esame, un rapporto riconducibile al concorso formale. Tanto premesso, il primo giudice precisava come la contestazione sub B1 avesse ad oggetto la vigilanza ispettiva a differenza delle condotte stigmatizzate ai successivi capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, dal primo giudice indicate come inerenti alla vigilanza informativa. Ebbene, nel caso dell'addebito sub B1 si era in presenza sia di attività di occultamento, con mezzi fraudolenti, delle operazioni di capitale finanziato e delle lettere di impegno al riacquisto, al fine di ostacolare l'autorità di vigilanza (attraverso, segnatamente, l'indicazione di una causale generica, la mancata contabilizzazione delle operazioni finanziate e il materiale occultamento delle lettere), sia dell'omessa comunicazione delle suddette operazioni alla squadra ispettiva. Diversamente - proseguiva il tribunale - gli addebiti di cui ai capi C1, D1, G1, H1 avevano ad oggetto l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in relazione alle segnalazioni ed alle interlocuzioni con le autorità di vigilanza (Banca d'Italia e BCE) intercorse negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 e, quanto all'addebito di cui al capo F1, l'esposizione di fatti non rispondenti al vero in occasione dell'aumento di capitale del 2014. Ciò posto, il tribunale: - esclusa, con riferimento alle condotte predette, la ravvisabilità dell'esimente fondata sul principio del nemo tenetur se detegere in relazione al precedente delitto di aggiotaggio (trattandosi di principio unicamente disciplinato nell'art. 384 c.p., ovverosia in una disposizione contenente una norma eccezionale derogatoria rispetto a quella di cui all'art. 61 nr. 2 c.p. e, in ogni caso, di esimente avente valore eminentemente processuale); s escluso, del pari, che quelli oggetto di contestazione fossero addebiti frutto di u una sorta di "replicazione" di contestazioni in realtà aventi ad oggetto una unitaria condotta di ostacolo alla vigilanza, protrattasi per un triennio (essendosi piuttosto in presenza di condotte che erano state realizzate nel corso di plurime attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi), ricostruiva i singoli fatti di reato nei termini di seguito esposti. 1.7.1 L'ostacolo alla vigilanza durante l'ispezione di Banca d'Italia 2012 (capo B1) Nel corso dell'anno 2012 (segnatamente tra il 28 maggio e il 12 ottobre 2012) era stata effettuata una attività di ispezione avente ad oggetto la governance dell'istituto, gli standard creditizi, i meccanismi di sorveglianza e di controllo delle singole posizioni, la correttezza dei criteri di classificazione all'interno delle regole di vigilanza e l'osservanza delle regole di provisioning (attività, questa, di correzione del valore dei crediti con impatto sul conto economico della banca e sul bilancio), ispezione che si era conclusa con un giudizio parzialmente sfavorevole fondato sulla constatazione di un complessivo degrado del portafoglio accompagnato da inefficienze nei processi allocativi e di gestione dell'erogato. Ebbene, alla stregua delle testimonianze degli ispettori (e, segnatamente, di quanto riferito dal teste Gi.Sc., responsabile della squadra ispettiva), poteva dirsi pacifico che ove agli ispettori fossero state esibite le lettere di impegno al riacquisto e fosse stata comunicata l'esistenza del capitale finanziato - come sarebbe stato doveroso, peraltro, nell'ottica di una leale collaborazione tra vigilato e autorità vigilante - sarebbe effettivamente emersa l'irrealizzabilità del piano industriale approntato dall'istituto per migliorare la gestione del credito. La prassi del ricorso al capitale finanziato (e, nell'ambito di tale prassi, quella del rilascio delle lettere di impegno), infatti, era già consolidata nel 2012, come pure documentalmente provato. Né, d'altro canto, poteva sostenersi che tale fenomeno fosse comunque emerso nel corso dell'ispezione, in quanto le dichiarazioni rese, sul punto, dal teste Cl.Am. della Divisione Crediti - là dove questi aveva sostenuto di avere riferito in proposito all'ispettore Ge.Sa. - erano - state decisamente smentite tanto dal predetto Sa. quanto dai restanti componenti della squadra ispettiva. Peraltro - puntualizzava il tribunale - la versione dell'Am., finalizzata a ridimensionare il coinvolgimento della Divisione Crediti nell'operatività illecita della banca sul capitale finanziato, scontava plurimi profili di incertezza e contraddittorietà (segnatamente in relazione al ricorso alla formula generica "cogliere opportunità mobiliari o immobiliari" quale causale dei finanziamenti, nonché in ordine alle motivazioni per le quali il predetto Am. non avrebbe comunicato al collega Bo., responsabile dell'audit, le rivelazioni asseritamente fatte all'ispettore Sa.), Era certamente vero che anche la deposizione del Sa. si presentava scandita da contestazioni e da incertezze circa la corretta individuazione dei documenti esibiti, nel corso dell'ispezione, con riferimento alle posizioni finanziate. Nondimeno, mentre le dichiarazioni dell'Ambrosino in ordine alla presunta rivelazione agli ispettori delle operazioni finanziate non avevano trovato riscontro alcuno, neppure nelle dichiarazioni del collega De. (il quale aveva riferito che l'Am. gli aveva confidato di avere consegnato agli ispettori medesimi documenti che avrebbero potuto loro consentire di verificare l'esistenza di operazioni "baciate", negando, tuttavia, detto teste che l'Am. gli avesse rivelato di avere esplicitamente palesato tale prassi agli ispettori), le stesse erano anzi state smentite dai testi Lu.Br., Fr.Fe. e Sa. Re., dei quali i primi due erano appartenenti alla squadra ispettiva; quanto riferito dal Sa. era stato del resto confermato dalla narrazione dei fatti proposta tanto dal responsabile delia squadra ispettiva, Gi.Sc., quanto dagli altri componenti del team oltre che dal responsabile del servizio di vigilanza ispettiva, Ca.Ba.. Pertanto il tribunale, valorizzando altresì la puntuale deposizione del teste ispettore Gi.Ma., traeva la conclusione che la prassi del capitale finanziato non fosse stata "intercettata" nel corso dell'ispezione del 2012 poiché si era trattato di fenomeno che aveva essenzialmente interessato clienti affidabili sotto il profilo del rischio creditizio, rispetto ai quali, quindi, non emergeva alcuna anomalia (sicché, tenuto conto del perimetro del mandato ricevuto dagli ispettori, non v'era stata ragione di effettuare, con riferimento a costoro, alcun approfondimento ispettivo). Del resto, sul piano logico, la circostanza che nessun dirigente dell'istituto di credito (né il menzionato Cl.Am., né l'imputato Pa.Ma. e neppure l'imputato Em.Gi.) avesse fatto cenno alcuno, in occasione delle successive verifiche ispettive (compresa quella, decisiva, effettuata dalla BCE nel 2015), al fenomeno in esame, nonché il fatto che tutti i predetti dirigenti avessero pervicacemente negato, interloquendo con l'ispettore Ma., la natura finanziata delle operazioni in questione, costituivano formidabili riscontri dell'infondatezza delle dichiarazioni rese dal predetto teste Am.; infondatezza, del resto - soggiungeva il tribunale - ulteriormente avvalorata dal rinvenimento, negli appunti contenuti nell'agenda sequestrata al teste Al.Ba., dell'inequivoca ed assai significativa annotazione, redatta in prossimità del 23.4.2015: "evitare di fare ammissioni. Giustificare creditiziamente le operazioni". Di qui la conclusione della sussistenza dei presupposti tutti del reato di ostacolo contestato, essendosi in presenza, per un verso, del fraudolento occultamento dell'illecita operatività realizzata nel contesto temporale in cui si era svolta l'ispezione del 2012; e, per altro verso, della sistematica omissione della comunicazione agli ispettori tanto delle operazioni di finanziamento correlato quanto delle lettere di impegno al riacquisto delle azioni. 1.7.2 Le condotte di ostacolo successive all'ispezione del 2012 Quindi il tribunale evidenziava come, con riferimento ai periodo successivo all'ispezione del 2012 (e, segnatamente, all'arco temporale ricompreso tra il 30.6,2012 ed il 31.3.2015), fosse stato effettivamente possibile ricostruire documentalmente il dipanarsi del dialogo tra l'istituto bancario vicentino e l'autorità di vigilanza attraverso l'acquisizione dei flussi informativi inviati da B.. A tale riguardo era costantemente emerso l'occultamento della reale situazione patrimoniale del gruppo, in particolare con riferimento all'incidenza del fenomeno del capitale finanziato sui coefficienti del patrimonio di vigilanza in tale ampio periodo. Sul punto le conclusioni cui erano pervenuti i consulenti del P.M. - peraltro, precisava il primo giudice, all'esito di una valutazione particolarmente prudente (in quanto caratterizzata dallo scomputo dal CET 1 anche dell'ammontare degli RWA) - non consentivano davvero di nutrire perplessità. Si era in presenza, in effetti, di violazioni costanti dei requisiti patrimoniali, peraltro mai comunicate nelle informazioni rese all'autorità di vigilanza (comunicazioni, tutte, puntualmente riportate nella tabella riassuntiva di cui al documento nr. 485 prodotto dal P.M. all'udienza del 21.11.2019). Più nel dettaglio: - con riferimento all'anno 2012 (capo CI) si trattava della comunicazione del 17.9,2012, riferita al 30.6.2012, e di quella del 21.11.2012, riferita al 30.9.2012, nelle quali venivano indicati, rispettivamente, valori delle azioni proprie nella misura di 30 milioni e di 240 milioni. In entrambi i casi, infatti, era stata omessa la comunicazione delle operazioni di capitale finanziato per i significativi valori di 268 milioni a giugno e di 280 milioni a fine settembre. L'effetto distorsivo che ne era derivato era evidente, posto che il Tier Ratio, tenuto conto dei valori non comunicati, si sarebbe abbassato al 30 giugno dall'8,20% ai 7,34% nonché, al 30 settembre, dal 7,38% al 6,48%. Analogamente il TCR (Total Capital Ratio) si sarebbe ridotto dall'I 1,33% al 10,50% e dal 10,46% al 9,59%. La falsa comunicazione, poi, era stata all'origine del target patrimoniale deciso dalla Banca d'Italia, come precisato dal teste Ma.Pa.. In effetti, qualora i dati omessi fossero stati comunicati, ciò avrebbe comportato un immediato innalzamento del livello di monitoraggio e l'adozione di provvedimenti restrittivi concernenti operatività dell'istituto, distribuzione degli utili e fissazione di limiti all'importo totale della parte variabile delle remunerazioni della banca. Di assoluta evidenza, quindi, era l'ostacolo frapposto alla vigilanza; con riferimento al primo semestre dell'anno 2013 (capo DI) si trattava: - della falsa rappresentazione dei dati patrimoniali contenuta nelle segnalazioni relative al 31.12.2012 ed al 31.3.2013 (in effetti, con riferimento alia segnalazione relativa al 31.12.2012, la comunicazione del capitale finanziato per 545 milioni, ove effettuata, avrebbe comportato la flessione del Tier 1 Ratio dall'8,23% al 6,46% e del Total Capital Ratio dall'll,26% al 9,55%; nella comunicazione del 31.3.2013, poi, non erano state segnalate azioni proprie); - della falsità della comunicazione inoltrata il 20.3.2013 e relativa al superamento del limite del 5% degli acquisti (comunicazione con la quale, nel rispondere al rilievo critico della Banca d'Italia risalente al 5.3.2013, l'istituto di credito aveva rassicurato la vigilanza sostenendo che l'incremento del valore del fondo acquisto azioni proprie fosse imputabile a una mera contingenza, legata alla gestione delle attività dì compravendita delle azioni proprie con i soci e sostenendo, in particolare, che vi era stata una vendita di azioni da parte di pochi clienti con successivo ricollocamento dei titoli presso clienti soci). Inoltre l'istituto aveva inserito un ulteriore elemento di rassicurazione, là dove aveva dichiarato che era in corso la valutazione di un rafforzamento patrimoniale il quale avrebbe portato il Core Tier 1 al 9% già entro la fine del 2013; aveva prospettato, infine, il raggiungimento del 10% nel biennio successivo. Ne era seguita la lettera di richiamo del 24.6.2013, lettera nella quale era stato stigmatizzato il superamento, a causa dell'acquisto di azioni proprie, del limite del 5% del capitale sociale. A seguito dell'ispezione del 2015, poi, era emersa la falsità delle circostanze esposte nella missiva a firma Sa.So. del 20.3.2013 e, segnatamente, si era compreso come l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie non fosse stato affatto la conseguenza contingente di un'impennata nelle richieste di acquisto di azioni concentrate nel quarto trimestre, bensì l'effetto dell'illiquidità del titolo azionario; illiquidità che, infatti, proprio a partire dal 2012, aveva indotto l'istituto di credito a fare massiccio ricorso alle operazioni di capitale finanziato onde azzerare il fondo acquisto azioni proprie che impattava negativamente sul capitale di vigilanza; - della falsità, infine, dell'informativa preventiva del 23 aprile 2013 relativa al programmato aumento di capitale (informativa, a firma Sa.So., nella quale erano stati illustrati gli effetti del rafforzamento patrimoniale, segnalandosi che dopo tale operazione il Tier Ratio 1 sarebbe passato dall'8,23% al 9,1% e, quindi, al 9,98%, a seguito della conversione del soft mandatory). Peraltro neppure a seguito delle successive interlocuzioni dì Banca d'Italia, inerenti anche al profilo della liquidabilità del titolo, erano stati effettuati riferimenti, da parte dei rappresentanti di B., al fenomeno del capitale correlato. Infatti sì era sempre sostenuto, da parte dell'istituto di credito, che l'operazione di aumento di capitale si sarebbe presto conclusa con pieno successo. Sul punto - precisava il tribunale - il teste Ma.Pa. aveva chiarito che se la prassi delle operazioni di capitale finanziato fosse stata riferita, come doveroso, la Banca d'Italia sarebbe certamente intervenuta esercitando i poteri di controllo derivanti dalla legge. In particolare l'ente di vigilanza avrebbe imposto sia lo scomputo dell'ammontare del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza sia l'adozione di misure di risanamento. Invece, tacendo queste informazioni, l'istituto di credito aveva lucrato effetti favorevoli immediati: la Banca d'Italia aveva deciso di non avviare un procedimento sanzionatorio e neppure aveva adottato interventi che avrebbero precluso la distribuzione dei dividendi ed imposto il decremento della parte variabile della remunerazione dei dirigenti come previsto dalla normativa della stessa Banca d'Italia. La stessa operazione di aumento di capitale, poi, sarebbe stata valutata diversamente; ° con riferimento al secondo semestre dell'anno 2013 (capo E1) si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza relative al 30.6.2013, al 30.9.2013 e al 31.12.2013 (nelle quali mai era stato ricompreso l'ammontare delle operazioni di capitale finanziato per gli importi calcolati dai consulenti tecnici nella misura di 555 milioni a fine giugno, di 626 milioni a fine settembre e di 700 milioni a fine dicembre del 2013). Conseguentemente, senza l'effetto distorsivo prodotto dall'omessa rappresentazione della corretta quantificazione dei coefficienti patrimoniali, il T1 Ratio sarebbe passato a fine giugno dall'8,1% al 6,32%; al 30.9.2013 dall'8,50% al 6,50%; al 31.12.2013 dal 9,1% al 6,89%. Analogamente il TCR si sarebbe ridotto dall'I 1,06% al 9,32% al 30 giugno; dall'11,41% al 9,48% nel settembre; dall'11,8% al 9,55% al 31 dicembre. In definitiva in tutto il periodo in esame il Tier 1 Ratio sarebbe stato ben inferiore alla soglia-target dell'8%, siccome fissata dall'autorità di vigilanza; con riferimento all'aumento di capitale 2014 (capo F1) si trattava: - dell'informativa preventiva del 5.3.2014 e dell'informativa integrativa dell'11.4.2014. In entrambi i casi era stata omessa l'indicazione che l'operazione di aumento di capitale sarebbe stata portata a termine anche mediante la concessione di forme di assistenza finanziaria ai clienti, con conseguente indicazione di ratios patrimoniali post-aucap del tutto falsati. Quanto al c.d. miniaucap (ovverosia ad un aumento di capitale destinato a nuovi soci), previsto anche nel 2014, si era precisato che le quote di capitale finanziato non sarebbero state computate nel patrimonio di vigilanza. Vi era stato anche, in data 9.4.2014, un incontro tra i vertici dell'istituto di credito e la vigilanza. All'esito delle interlocuzioni la Banca d'Italia aveva autorizzato la classificazione patrimoniale richiesta. Solo a seguito dell'ispezione BCE e CONSOB del 2015, infatti, era emerso come l'operazione di aumento di capitale fosse stata pianificata con erogazione di finanziamenti correlati, per un importo accertato di euro 136.314.287 (pari al 22% dell'operazione). I dati dell'aumento di capitale erano stati, pertanto, gravemente falsati. Di qui la conclusione che il provvedimento autorizzativo della Banca d'Italia fosse stato ottenuto a seguito dello sviamento della funzione di vigilanza. Il teste Ma.Pa., del resto, aveva anche in tal caso precisato come, se la Banca d'Italia avesse avuto contezza dei dati occultati, non avrebbe di certo autorizzato l'operazione nei termini in cui ciò era avvenuto. Per contro, sarebbe palesemente emersa la grave difficoltà della banca di collocare i propri titoli sul mercato; - con riferimento alla vigilanza prudenziale della banca d'Italia nel 2014 (capo G1), si trattava: - della falsità delle segnalazioni di vigilanza alla data del 31.3.2014, del 30.6.2014, del 30.9.2014 (per l'omessa indicazione tra gli elementi negativi delle quote di capitale finanziato, pari a 728 milioni alla data del 31 marzo, a 718 milioni alla data del 30 giugno e a 886 milioni alla data del 30 settembre. Conseguentemente il CET 1 ratio era passato, a fine marzo, dall'8,99% al 6,63%; a fine giugno dall'8,55% al 6,24%; a fine settembre dal 10,8% all'8,01%); - della falsità della comunicazione 1.9.2014 nella parte in cui si era attestato il raggiungimento degli obiettivi di raccolta aucap 2014 per l'importo di 607,8 milioni e, di conseguenza, il livello dei fondi propri e dei ratios patrimoniali. In particolare la comunicazione dell'istituto di credito di avere già riassorbito, attraverso la chiusura dell'aumento di capitale, il temporaneo mancato rispetto del "buffer" - ovverosia della riserva obbligatoria di conservazione del capitale pari al 2,5% - aveva indotto l'autorità di vigilanza a non assumere iniziative in ordine a tale violazione (dovuta ai riacquisti di azioni proprie che, dì fatto, avevano neutralizzato, per il valore corrispondente, l'aumento di capitale, come precisato dal teste En.Se.) perché, per l'appunto, immediatamente "riassorbita"; - nonché della falsità della comunicazione 4.11.2014, relativa alle giustificazioni fornite all'organo di vigilanza in relazione al fenomeno di riacquisto delle azioni proprie (per l'ammontare di 194 milioni nel primo semestre del 2014) nonché in relazione ai 52,4 milioni di euro di azioni detenuti indirettamente attraverso i fondi lussemburghesi "(...)" e, "(...)". In particolare la banca, da un lato, aveva ribadito che sì era trattato di riacquisti imposti dalla necessità di evadere (e domande di investimento dei clienti nella consapevolezza che il disavanzo sarebbe stato coperto dall'aumento di capitale in corso; aumento di capitale che, peraltro, aveva portato ad un incremento proprio del CET Ratio di circa 141 bps (punti base). Dall'altro lato la banca aveva confermato la correttezza dei dati contenuti nelle segnalazioni di vigilanza sulle operazioni svolte attraverso i fondi esteri. Diversamente, ove la Banca d'Italia avesse avuto contezza di quanto occultatole (e cioè, complessivamente, delle operazioni di capitale finanziato e dell'impegno al riacquisto delle azioni), avrebbe preso atto di una situazione patrimoniale radicalmente differente. La falsità della comunicazione, quindi, aveva prodotto l'effetto di impedire interventi dì vigilanza coerenti con l'effettiva situazione patrimoniale dell'istituto di credito. 1.7.3 Le condotte di ostacolo alfa vigilanza BCE (capo H1) Al riguardo il tribunale, premesso che a seguito dell'entrata in vigore, in data 4.11.2014, del Sistema di Vigilanza Unico, talune competenze primarie in materia di vigilanza erano state trasferite alla BCE, con conseguente ricomprensione anche della predetta Banca Centrale tra i soggetti destinatari della tutela ex art. 2638 c.c., individuava, alla stregua dell'imputazione, le condotte di ostacolo rispettivamente: - nella segnalazione di vigilanza al 31.12.2014 (in ragione della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dall'11,73% all'8,04%) e nella segnalazione di vigilanza al 31.3.2015 (in ragione, anche in tal caso, della mancata integrale detrazione del capitale finanziato che, ove effettuata correttamente, avrebbe comportato un abbassamento del CET 1 ratio dal 10,67% al 7,49%). Tali condotte decettive, in entrambi i casi, avevano impedito alla vigilanza l'adozione di tempestivi provvedimenti; - nonché nella informativa al pubblico al 31.12.2014; 1.7.4 Le condotte di ostacolo relative al Comprehensive Assessment (capo M1) Con riferimento alle condotte di ostacolo poste in essere in danno di Banca d'Italia e BCE impegnate nella vigilanza in fase di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment), svoltasi nel periodo tra il febbraio e l'agosto del 2014, il tribunale riteneva provate condotte di ostacolo tradottesi tanto nell'omessa comunicazione di informazioni essenziali (inerenti al fenomeno dell'assistenza finanziaria e al rilascio della lettere di impegno al riacquisto) quanto nell'esposizione di fatti non veritieri sulla situazione patrimoniale del gruppo come descritta nella nota 20,6.2014 e nel capital pian inviato in data 10.11.2014. In particolare nel corso della Asset Quality Review - AQR (ovverosia della Revisione della Qualità degli Attivi di bilancio), dopo che erano stati formulati rilievi molto critici per la banca da parte delle autorità di vigilanza (con l'ispettore Vi.Ca. che aveva esposto forti perplessità in ordine alla patrimonializzazione dell'istituto di credito, evidenziando come il progettato aumento di capitale sarebbe sostanzialmente servito solo a colmare il deficit; e aveva anche avanzato seri dubbi sulla stessa concreta possibilità di portare a compimento l'operazione di aumento di capitale), i vertici dell'istituto avevano rassicurato la vigilanza stessa sotto tutti i profili. Nel corso dell'ispezione, tuttavia, non era emerso in alcun modo il fenomeno del capitale finanziato né era venuta alla luce l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto; elementi che, se conosciuti, avrebbero portato ad esiti del Comprehensive Assessment ben diversi. Anche il Preliminary Capital Plan - predisposto dall'istituto di credito su richiesta della Banca d'Italia in data 9.6.2014, in previsione dell'entrata in vigore del meccanismo unico di vigilanza, e inviato all'autorità di vigilanza il 20.6.2014 - era stato caratterizzato dalla prospettazione di un obiettivo di patrimonializzazione rassicurante (euro 608 milioni per effetto dell'aumento di capitale); prospettazione, tuttavia, radicalmente falsata dalla mancata precisazione che anche tale risultato era dovuto al massiccio ricorso al capitale finanziato. Quindi, con il Capital Pian elaborato il 10.11.2014 (e, pertanto, successivamente agli esiti del Comprehensive Assessment che, pubblicati il 26.10.2014, avevano evidenziato la necessità dell'adozione di misure di implementazione del capitale, posto che gli Stress Test avevano rivelato un deficit da scenario avverso di 223 milioni), l'istituto di credito vicentino aveva adottato delle contromisure (segnatamente: l'utilizzo dell'aumento di capitale già collocato e la conversione del soft mandatory per 223 milioni) che avevano portato la BCE ad adottare una decisione SREP (ovverosia una decisione inerente al processo di revisione e valutazione prudenziale, consistente nell'analisi dei profili di rischio delle banche) con la quale veniva fissato un requisito minimo di CET1 ratio pari ad almeno il 10,25% ed erano stati richiesti l'adozione di un piano di capitale, da realizzarsi entro l'aprile del 2016, nonché il rafforzamento delle strutture organizzative dei processi e delle strategie di controllo interno. Al solito, la mancata comunicazione delle essenziali informazioni in ordine al massiccio ricorso al capitale finanziato, anche in occasione dell'aumento di capitale, aveva avuto lo scopo - effettivamente raggiunto - di procrastinare l'emersione delle situazioni di illiquidità del titolo e di sotto-patrimonializzazione dell'istituto di credito, di fatto seriamente ostacolando le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della BCE, tenute all'oscuro delia esatta situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo. Di qui l'adozione da parte degli organi di vigilanza di provvedimenti (la citata decisione SREP del febbraio 2015) incoerenti con tale situazione e, per contro, la mancata adozione di contromisure impellenti e indifferibili (come precisato dal teste ispettore En.Se.). Solo in occasione dell'ispezione BCE del 2015 - concludeva il tribunale - sarebbe effettivamente emersa la macroscopica divergenza tra i flussi informativi indirizzati alla vigilanza nel triennio 2012-2015 e la reale situazione patrimoniale della banca. 1.7.5 L'ostacolo alla vigilanza nei confronti di CONSOB (capo N1 - posizione G1) Il tribunale riteneva provato anche l'addebito stigmatizzato sub N1), inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere, nei confronti di CONSOB, in relazione all'operazione di aumento di capitale 2014. In estrema sintesi, dopo avere dettagliatamente illustrato - in relazione tanto alla disciplina generale quanto al modello concretamente adottato da B. - il quadro normativo delle attività di intermediazione finanziaria (con particolare riguardo agli obblighi incombenti sugli intermediari nella relazione con la clientela sia nella fase precontrattuale, sia in quella di conclusione del contratto, sia nel corso dell'esecuzione del rapporto in un'ottica di tutela dell'investitore al fine di agevolarlo nella comprensione delle caratteristiche, dei rischi e dei costi dei prodotti finanziari offerti in un mercato di libera concorrenza), il primo giudice ricostruiva puntualmente l'episodio in questione. Nel caso di specie B. aveva pianificato una operazione che prevedeva un'offerta a pagamento mediante emissione di azioni ordinarie in opzione ai soci per un importo massimo di euro 700.000.000, nonché un aumento di capitale ordinario a pagamento mediante emissioni di azioni ordinarie finalizzata all'ampliamento della base sociale da offrire ai non soci per un importo massimo di 300.000.000 di euro. Nel corso della seduta del CdA 15.4.2014, poi, era stata definitivamente approvata l'operazione in questione, con l'individuazione dell'ammontare definitivo dell'aumento di capitale (aumento di capitale scindibile fino al controvalore massimo di 608.000,000 dì euro), la definizione del rapporto di opzione (una nuova azione ogni nove possedute con definizione del rapporto di attribuzione del premio fedeltà nella misura di un'azione ogni quattro) e la decisione che le azioni eventualmente inoptate sarebbero state offerte al pubblico indistinto e assegnate a coloro che ne avessero fatto richiesta durante il perìodo di offerta. Le azioni erano state emesse al prezzo di 62,5 euro, determinato sulla base della relazione di stima dell'esperto indipendente. Solo con riferimento al mini aucap, poi, era stato previsto che potessero essere concessi ai nuovi soci finanziamenti correlati alla sottoscrizione dell'aumento di capitale. In relazione a tale operazione l'istituto di credito aveva rappresentato, nelle relative comunicazioni inviate alla CONSOB, siccome specificamente richiamate in imputazione (trattasi della comunicazione formale 23.5.2014 in risposta alla richiesta di dati e notizie del 16.5.2014; della nota 4.7.2014; dell'ulteriore nota 15.10.2014), l'adozione di un modello operativo fondato su un atteggiamento neutro in ordine alla collocazione dei propri titoli nei confronti dei titolari dei diritti di opzione, attestando di avere predisposto modelli procedurali tesi a garantire la genuinità dell'iniziativa del cliente e sottolineando altresì che, come deciso, eventuali operazioni dì finanziamento sarebbero state previste solo con riferimento all'operazione di mini aucap. Tali modelli prevedevano, per i soci titolari del diritto di opzione: - da un lato l'esclusione dell'applicabilità della valutazione di adeguatezza, onde non interferire con l'esercizio del predetto diritto di opzione; - dall'altro lato l'astensione dalla prestazione di raccomandazioni all'investimento e di consulenza per i medesimi titolari del diritto di opzione e della connessa prelazione, i quali, infatti, onde contenere le occasioni di contatto diretto tra costoro e gli addetti di rete, avrebbero potuto aderire autonomamente all'aumento di capitale inviando richieste via internet, inserendo il proprio codice fiscale in una apposita pagina web, ovvero a mezzo raccomandata. In altri termini l'istituto di credito aveva rappresentato, nella comunicazione formale 23.5.2014, che avrebbe compensato il "sacrificio" della valutazione di adeguatezza (sacrificio resosi necessario per evitare che tale "filtro", posto a presidio dell'investitore, potesse pregiudicare il libero esercizio del diritto di opzione - e della connessa prelazione - nel caso di soggetto che, già socio e interessato ad avvalersi dell'opzione, non avesse superato detto vaglio) con l'assicurazione che i titolari di opzione sarebbero stati messi al riparo da influenze di sorta da parte della rete dell'istituto di credito, onde scongiurare qualsivoglia rischio che le determinazioni dei clienti potessero essere influenzate da consigli dì investimento fomiti dalla rete della banca in una situazione di conflitto di interesse. La CONSOB aveva approvato il prospetto relativo all'aucap 2014 in data 8.5.2014 e il successivo 9.5.2014 la banca aveva comunicato agli azionisti i dettagli delle operazioni informandoli della facoltà di esercitare i! diritto di opzione. In linea con l'originaria comunicazione alla CONSOB, por, si collocavano le successive comunicazioni dell'istituto all'ente di vigilanza rese nelle date del 4.7.2014 e del 15.10.2014. Ebbene, precisava il primo giudice, contrariamente a quanto comunicato a COIMSOB ed alla stregua di inequivoche prove tanto testimoniali (oltre alla deposizione del dirigente CONSOB, Francesco Adria, il tribunale valorizzava quelle dei dirigenti B. Al.Mo. e Gi.Am.) quanto documentali (tra le quali plurime, assai significative, comunicazioni via e-mail intercorse tra dirigenti B.), era emersa la natura meramente formale dei presidi organizzativi adottati dall'istituto di credito, peraltro sistematicamente aggirati nella pratica commerciale in attuazione di un'attività di pianificazione che si era caratterizzata per una fortissima pressione commerciale sulla rete (come precisato da numerosi dirigenti B. e, segnatamente, dai testi Gi.Ca., Ma.Ni., Lu.Ve., Ro.Pr. e Fu.Bo.), posto che: a) ben lungi dall'essere riconducibili alla spontanea iniziativa dei clienti, gli acquisti erano stati sollecitati dalla rete commerciale dell'istituto, appositamente istruita e sistematicamente resa oggetto di forti pressioni per la collocazione dei titoli; b) circa il 60% delle richieste di acquisto di azioni inviate via internet (modalità che, come detto, secondo il modello predisposto, unitamente all'invio della richiesta in modalità cartacea attraverso la spedizione di lettera raccomandata, avrebbe dovuto essere seguita dalla clientela interessata alla sottoscrizione di azioni onde evitare contatti inappropriati con la rete dell'istituto) erano risultate inviate da indirizzi IP di computer in uso a dipendenti della banca. Inoltre era emersa la prassi della presentazione brevi manu delle missive, in luogo dell'invio per raccomandata; c) contrariamente a quanto esposto all'autorità di vigilanza, in larghissima parte le adesioni all'offerta da parte degli opzionisti (26.000 su 29.000) si erano concretizzate al di fuori del sistema nella preventiva raccolta delle manifestazioni di interesse; d) mediante le modalità predisposte dalla banca, infatti, avevano aderito solo 2778 del 29.360 titolari del diritto di opzione, inviando 1695 lettere e 1083 manifestazioni di interesse via web; e) erano state create vere e proprie liste di clienti da contattare per supportare° la rete di vendita, nell'ambito di un'accurata pianificazione commerciale volta a favorire al massimo la collocazione delle azioni (ben 7434 soci che avevano aderito all'iniziativa, infatti, erano risultati inseriti nelle liste predisposte dalla banca); f) il 32% degli aderenti all'aucap censiti nel database delle manifestazioni di interesse aveva richiesto al momento dell'adesione un quantitativo di azioni esattamente corrispondente a quanto registrato nell'applicativo predisposto dalla banca nella fase di preadesione; g) era emersa la prassi di aggirare il test di adeguatezza (previsto per le adesioni del pubblico indistinto sino al 9.7.2014) facendo acquistare sul mercato secondario al cliente 100 azioni prima dell'aucap, in modo che il medesimo cliente potesse rientrare tra i soci e, quindi, potesse partecipare all'aumento di capitale senza effettuare le valutazioni di adeguatezza. Più nel dettaglio, i casi di consulenza surrettizia accertati - come precisato dall'ispettore An.Me. - erano risultati corrispondenti ad operazioni di acquisto per un valore pari a 143,17 milioni di euro su 497,98 milioni di euro complessivi. Secondo gli esiti della replica del test di adeguatezza standard effettuato in sede ispettiva (test che, infatti, sarebbe stato doveroso effettuare in caso di consulenza) era poi emerso che in almeno il 72% dei casi per un controvalore di 83 milioni di euro si sarebbe trattato di operazioni non adeguate, in quanto tali destinate ad essere bloccate dalla procedura. Inoltre si era acquisita contezza di agevolazioni (segnatamente, time deposit a tassi vantaggiosi) e anche di massicci finanziamenti concessi per l'acquisto di azioni proprie, non solo per garantire l'azzeramento del fondo acquisto azioni proprie ma anche per conseguire gli obiettivi di aumento di capitale, peraltro nell'ambito di iniziative commerciali che erano state taciute alla CONSOB e che avevano portato alla conclusione di operazioni di vendita di titoli in assenza delle doverose informazioni circa la natura e le caratteristiche delle operazioni medesime. Pertanto l'incremento di rischio per la clientela era stato del tutto privo di presidi nei sistemi di verifica di adeguatezza degli investimenti. In definitiva - concludeva il primo giudice - B. aveva fornito alla CONSOB, con riferimento alla predetta operazione di aumento di capitale, un quadro informativo falso e gravemente fuorviante, tanto in ordine al modello di servizio adottato per rapportarsi alla clientela quanto in punto di erogazione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie. La rilevanza decettiva di tali condotte era stata indubbia: ove la CONSOB fosse stata informata della pianificazione commerciale all'origine del collocamento delle azioni, infatti, avrebbe sicuramente esercitato in modo più pervasivo i propri poteri, sia di controllo che istruttori ex art. 94 TUF, e avrebbe imposto un più rigoroso modello di operatività fondato sulla consulenza e sull'obbligo di somministrazione di test di adeguatezza bloccante. Né, ad avviso del giudice di prime cure, poteva aderirsi alla tesi difensiva proposta dall'imputato Em.Gi.. Costui - risultato il dirigente che aveva maggiormente supportato e coadiuvato il direttore generale Sa.So. nell'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale - aveva sostenuto, infatti, di avere agito nella convinzione dell'esistenza di una pregressa pianificazione commerciale concordata dall'istituto di credito con l'autorità di vigilanza. Tale tesi difensiva, tuttavia, era stata nettamente smentita dalle emergenze istruttorie. Da un lato, infatti, la banca aveva sempre attestato alla vigilanza che le operazioni di sottoscrizione erano avvenute ad iniziativa dei clienti; dall'altro lato era emersa un'operatività volta alla pianificazione commerciale dell'operazione non verbalizzata e, quindi, evidentemente elaborata e attuata nella piena consapevolezza di agire al di fuori del perimetro di regolarità tracciato dalla normativa Mifid. Né - proseguiva il tribunale - poteva accedersi alla tesi difensiva dell'imputato GI. secondo cui questi non era responsabile del reato in esame essendosi limitato a dare attuazione alle direttive impartitegli; in contrario deponevano la sua veste di dirigente apicale (responsabile della Divisione Mercati e vice direttore generale) nonché la prova - da considerarsi raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio - dell'incondizionato allineamento del GI. all'illecita politica gestoria ideata dal direttore generale So., cui il GI. medesimo aveva contribuito materialmente offrendo un fondamentale apporto partecipativo. Peraltro - concludeva, sul punto, il primo giudice - lo stesso presidente Zo.Gi. aveva preso parte tanto alla riunione del 3 aprile 2014, nel corso della quale il d.g. So. aveva illustrato alla rete le modalità operative pianificate per l'aucap e la campagna di contatto della clientela (al riguardo il riferimento era alla e-mail di cui al doc. 241 del P.M. in cui si esplicitava chiaramente la "campagna di contatto" all'uopo programmata), quanto alla precedente seduta del CdA del 4 marzo, in occasione della quale aveva fatto esplicito riferimento alla necessità dì "fare formazione sulla rete", chiarendo che "non devono parlare", ovverosia all'esigenza di stimolare i clienti ad aderire all'aumento di capitale e alla congiunta necessità di occultare tale prassi operativa. Donde la trasmissione degli atti al P.M. con riferimento alla posizione di tale imputato. 1.8. I reati di falso in prospetto In proposito va premesso che oggetto dei capì di imputazione sub I) ed L) sono i prospetti informativi redatti dall'istituto dì credito e depositati presso la CONSOB relativi agli aumenti di capitale realizzati negli anni 2013 e 2014 ed inerenti alle offerte al pubblico di azioni di nuova emissione e di obbligazioni convertibili in azioni La condotta di falso, secondo le suddette imputazioni, sarebbe consistita nell'occultamento di informazioni rilevanti in merito all'esistenza, all'entità e agli effetti del fenomeno degli investimenti correlati all'acquisto di azioni B., nonché nella comunicazione dì informazioni fuorvianti in ordine all'andamento del mercato secondario delle stesse azioni. Sul punto il tribunale, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento (artt. 94, 94 bis, 173 bis D.Lvo 58/98 - TUF), evidenziava gli elementi costituivi della fattispecie delittuosa in esame precisando trattarsi di "reato comune", finalizzato ad approntare tutela al risparmio nella sua accezione "dinamica" e caratterizzato da una condotta reticente o fuorviante idonea a trarre in inganno l'investitore (senza peraltro la necessità della causazione di danno, come invece previsto dalla previgente fattispecie ex art. 2623 c.c.). In siffatta prospettiva la falsità non avrebbe dovuto necessariamente avere a oggetto dati materiali necessari ma anche notizie e valutazioni fondanti l'offerta (con l'ovvia precisazione che, in tal caso, più che di falsità delle predette valutazioni si sarebbe trattato di un difetto di genuinità e di imparzialità delle stesse). Anche l'occultamento di informazioni, poi, avrebbe potuto integrare la condotta materiale della fattispecie in questione, qualora inerente a dati o informazioni parimenti rilevanti. In ogni caso, essendosi in presenza dì reato di pericolo concreto, requisito essenziale della condotta decettiva era l'idoneità a trarre in inganno il destinatario; quest'ultimo, nella concretezza del caso sub iudice, non si sarebbe dovuto identificare nell'investitore professionale e neppure - ed a fortiori - in quello istituzionale, bensì nel piccolo/medio risparmiatore, ovverosia in quel soggetto che, generalmente, si limita alla lettura della sola "nota di sintesi", decisamente più breve e predisposta proprio al fine di renderlo edotto del contenuto "concreto" della proposta di investimento. Sotto il profilo soggettivo, poi, la norma era caratterizzata dalla combinazione del dolo specifico e di quello intenzionale: alla volontà e rappresentazione del fatto tipico commesso con l'intenzione di ingannare i destinatari del prodotto finanziario, infatti, si accompagnava lo scopo di conseguire un ingiusto profitto, per sé ovvero per altri. Tanto premesso - proseguiva il tribunale - negli anni 2013 e 2014 la banca vicentina aveva realizzato due aumenti di capitale, il primo deliberato il 16.4.2013 ed il secondo, caratterizzato da due offerte, il 15.4.2014. In entrambi i casi i prospetti comunicati dalla banca erano risultati caratterizzati dall'occultamento dell'esistenza, dell'entità e degli effetti del fenomeno della concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. e, quindi, dall'occultamento di informazioni essenziali perché l'investitore potesse determinarsi correttamente. Questo benché la prassi della concessione di siffatta tipologia di finanziamenti risalisse al 2009 (quando l'istituto aveva iniziato a proporre a clienti "amici" acquisto dì azioni proprie in grandi quantità - i c.d. "big ticket" - nell'ambito di operazioni "baciate", ovvero caratterizzate dalla tendenziale corrispondenza tra importo del finanziamento concesso e controvalore delle azioni acquistate, al fine di procedere allo svuotamento periodico del fondo acquisto azioni proprie) e benché detto fenomeno, che aveva interessato tanto il mercato primario quanto quello secondario, avesse raggiunto dimensioni consistenti già a partire dal 2012 (nel quarto trimestre de) 2012, infatti, il numero dì azioni finanziate era risultato corrispondere ad un controvalore di euro 545.520.996). Ora, con riferimento al mercato primario, nell'ambito degli aumenti di capitale finalizzati all'ampliamento della base sociale (mini aucap 2013 e 2014), l'istituto di credito aveva previsto espressamente l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie. Analoga informativa, invece, non era stata inserita nei prospetti relativi agli aumenti di capitale destinati ai titolari del diritto di opzione, ovvero al pubblico indistinto, sebbene, poi, in concreto, gli accertamenti ispettivi BCE e CONSOB avessero dimostrato come gli aumenti di capitale 2013 e 2014 fossero stati in larga parte realizzati proprio ricorrendo al massiccio finanziamento degli investitori che sottoscrivevano azioni di nuova emissione (nel 2013, su un controvalore totale di euro 506 milioni, le operazioni finanziate erano ammontate a 136.034,044,00 euro; nel 2014, poi, i finanziamenti concessi dall'istituto avevano riguardato azioni per un controvalore di 146,451.259 euro). Solo a seguito dell'ispezione BCE del 2015, infatti, l'istituto aveva ammesso l'esistenza delle operazioni di finanziamento correlato, per un valore complessivo determinato, in sede di internai audit, di 1.086 milioni di euro alla data del 31.10.2015, informazione che, come inevitabile, aveva provocato effetti dirompenti. Di qui la conclusione cui perveniva il primo giudice circa la penale responsabilità derivante dalla radicale assenza, nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento di capitale, dell'esistenza e dell'entità del fenomeno delle operazioni finanziate, trattandosi di informazioni che, ove conosciute, avrebbero evidentemente indotto un investitore ragionevole ad una ben maggiore ponderazione nella decisione di sottoscrivere gli aumenti di capitale. L'occultamento di tali informazioni, poi, aveva ovviamente alterato anche i dati di bilancio e, di conseguenza, le informazioni ad essi inerenti che erano state riportate nei prospetti relativi agli aumenti di capitale in questione. L'effetto che ne era derivato era stato, anche in tal caso, quello di distorcere gravemente la conoscenza degli investitori circa la rappresentazione dei livelli patrimoniali della società. Per tutto il periodo 30.6.2012-31.12.2012, infatti, il Tier 1 Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia dell'8% quale prescritta dalla Banca d'Italia nella lettera di intervento del 2.3.2012. Anche nel 2013, poi, si era registrata analoga violazione di detto requisito target. Così come durante il successivo esercizio 2014, quando il CET Ratio si era attestato ad un livello inferiore alla soglia regolamentare del 7% e il Total Capital Ratio aveva parimenti raggiunto un livello inferiore a quello minimo regolamentare del 10,5%. I dati di bilancio richiamati nei prospetti inerenti alle operazioni di aumento del capitale, quindi, avevano indotto i risparmiatori a confidare in un livello di solidità patrimoniale dell'istituto di credito in realtà ben inferiore a quello prescritto. Donde l'idoneità decettiva delle informazioni fornite sul punto. Infine, anche le informazioni inerenti ai volumi delle azioni scambiate nell'ambito del mercato secondario erano risultate del tutto inattendibili per effetto della mancata comunicazione del fenomeno delle operazioni finanziate (fenomeno al quale la banca aveva fatto ricorso massicciamente, a partire dal 2012, proprio allo scopo di assicurare la negoziabilità del titolo, provocando, tuttavia, in tal guisa, una grave alterazione della dinamica del mercato secondario) e avevano ingenerato nei terzi la convinzione di una solo apparente liquidità delle azioni. In questo contesto era stata occultata al mercato - sostenendosi, nei prospetti, che le richieste di cessioni delle azioni sarebbero state sottoposte appena possibile al CdA - la persistente situazione di grave ritardo nell'evasione delle richieste di vendita di azioni provenienti dai soci (nel corso del 2013, in effetti, il time to sell era passato dai 28 giorni del mese di gennaio ai 311 giorni della fine dell'anno); richieste, peraltro, neppure sempre evase in ordine cronologico. In definitiva la mancata comunicazione di tali informazioni aveva ingenerato l'apparenza di un'appetibilità del titolo in realtà inesistente. Donde, anche sotto tale profilo, la sussistenza della condotta di reato di falso in prospetto. Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive, il tribunale evidenziava come Zo.Gi., presidente del CdA dal 1996 al 2015, fosse certamente responsabile delle operazioni di aumento di capitale del 2013 e anche della redazione dei relativi prospetti, per avere egli, su incarico del CdA, conferito al d.g. So. e al vice d.g. PI. i poteri all'uopo necessari, nonché per avere egli sottoscritto il documento di registrazione e la dichiarazione di responsabilità. Analogamente, con riferimento all'aumento di capitale 2014, i poteri conferiti allo ZO. dal CdA in ordine all'operazione di aumento di capitale rendevano evidente la responsabilità del predetto nella falsificazione dei prospetti illustrativi di detta operazione Considerazioni del medesimo tenore, poi, venivano dal tribunale svolte con riferimento alla posizione del PI., trattandosi di un vice direttore B. nonché del responsabile della Divisione Finanza, ovverosia di una divisione alla quale, secondo l'organigramma dell'istituto di credito, competeva proprio l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi. Infine anche gli imputati GI. e MA. venivano giudicati responsabili del reato in questione, avendo i predetti, sebbene non coinvolti - secondo il primo giudice - nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, partecipato attivamente ad assicurare, conoscendone perfettamente le esigenze sottostanti, l'operatività del meccanismo dei finanziamenti correlati all'acquisto delle azioni B. mediante massiccio ricorso al capitale finanziato; meccanismo del quale avevano contribuito a occultare l'esistenza e l'entità. 1.9. Le singole posizioni processuali. 1.9.1 Zo.Gi. Il tribunale, dopo avere richiamato la normativa di dettaglio emanata da Banca d'Italia per disciplinare gli assetti del governo societario dell'impresa bancaria (assetti che attribuivano al presidente del CdA il ruolo di garanzia in ordine al corretto funzionamento dell'organo, precisando come costui non dovesse essere un componente esecutivo e non dovesse svolgere, neppure di fatto, funzioni gestionali) e dopo avere ricostruito la composizione, all'epoca dei fatti, del CdA di B., precisava che Zo.Gi. era stato presidente dell'istituto di credito dal 1996 al novembre del 2015 nonché presidente del comitato esecutivo. Tutti gli elementi disponibili, poi, convergevano nel delineare il ruolo dominante e pervasivo svolto dall'imputato nell'organizzazione dell'attività della banca, tanto che l'attenzione degli organi di vigilanza, sin dal 2007, aveva evidenziato tale criticità, stigmatizzando l'autoreferenzialità dei meccanismi di governance instaurati dall'imputato. Peraltro era stata proprio la strategia di crescita (aumento degli sportelli; continua espansione dimensionale) imposta alla banca dal Presidente a porsi all'origine delle problematiche degli aspetti patrimoniali del gruppo che, infatti, proprio per fare fronte alla progressiva crescita dei costi di gestione, era stato costretto a ricorrere sistematicamente ad aumenti di capitale. Inoltre i meccanismi di governo societario - e, in particolare, il ruolo predominante rivestito, nel consiglio di amministrazione, dall'imputato nonché la visione maturata e attuata dallo stesso dì un successo imprenditoriale commisurato alla continua espansione dimensionale dell'istituto - erano stati sistematicamente censurati dall'autorità di vigilanza (in particolare: in occasione del rapporto ispettivo del 2008; dell'ispezione di follow up del 2009; dell'ispezione sul credito del 2012; della vigilanza in relazione all'aumento di capitale del 2013). Del resto la struttura verticistica del governo aziendale era emersa da tutte le risultanze probatorie disponibili. In effetti - precisava il primo giudice - l'imputato esercitava una forma pervasiva di controllo sulle dinamiche del consiglio, nel cui seno le decisioni assunte non erano mai state oggetto di discussione o dibattito, il tutto mentre il controllo assicurato dal collegio sindacale era risultato meramente formale, come verificato da Banca d'Italia nell'ispezione 2008. Di fatto era lo ZO., con riferimento tanto al consiglio di amministrazione, quanto al collegio sindacale, a selezionare i candidati (dep. Zi., Gr., Lo.), scegliendoli, per cooptazione, tra esponenti dell'imprenditoria locale (individuando, peraltro, soggetti inesperti dei complessi meccanismi dell'impresa bancaria) e ad affiancare loro professionisti già legati alla persona dello stesso presidente da pregresse esperienze professionali. In particolare il tribunale, sulla base di puntuali deposizioni al riguardo (trattasi, segnatamente, della deposizione resa dal teste Da.Lo.), ricostruiva una situazione caratterizzata dall'assenza di obiezioni di sorta alle proposte presidenziali, da un clima dì effettiva intimidazione - se non di vero e proprio terrore - che rendeva difficile manifestare qualsiasi dissenso, nonché da modalità di votazione, in assemblea, che rendevano identificabili le singole manifestazioni di voto. In effetti il CdA si era costantemente limitato ad approvare le proposte del presidente e tutte le decisioni erano state sempre unanimi, sicché lo stesso ruolo del consiglio era stato, di fatto, svuotato di ogni profilo sostanziale. Emblematica di ciò - ad avviso del tribunale - era stata la vicenda dell'acquisizione di un immobile da adibire a sportello bancario nella località turistica di Cortina, operazione fortemente voluta dallo ZO. (in particolare per il ritorno di immagine che, a suo giudizio, ne sarebbe derivato) e che era stata conseguentemente accettata dal d.g. So. contro ogni logica dì convenienza economica, tanto che aveva portato all'esito fallimentare di una perdita di oltre venti milioni di euro (come peraltro comprovato dal contenuto della conversazione telefonica intercettata riportata a pag. 589 della sentenza impugnata e come confermato dalla relazione ex art. 33 l.f.). Altrettanto significativa del ruolo predominante dell'imputato in seno al CdA, poi, era la vicenda - la cui ricostruzione esatta era stata resa possibile dalla documentazione costituita dal relativo file audio - inerente alla determinazione del prezzo dell'azione in deroga alle stesse regole procedurali dell'istituto deliberata in occasione della seduta 1.4.2014. Connotato da analoga "impronta padronale", inoltre, era anche il rapporto tra l'imputato, da un lato, ed il management e le strutture aziendali, dall'altro. Infatti, ripetutamente, gli incarichi di vertice erano stati assegnati a soggetti indicati dal presidente (era il caso dei d.g. Gr. e So., di Ro., di Fa., consulente nel settore degli affari internazionali; di Ra., al quale era stato affidato l'incarico di presidente della società Mo. che gestiva il patrimonio immobiliare della banca), con il CdA che si era limitato a ratificarne le decisioni. Era lo ZO. a decidere su tutto: retribuzioni, posizioni, crediti, affidamenti, parco automobili (si veda la deposizione di Um.Se., direttore della controllata siciliana Ba.Nu. dal 2012), L'imputato si era occupato anche delle campagne pubblicitarie (cfr. la deposizione del teste Ma.Pa.) e addirittura della concessione, agli amici, di tassi di interesse fuori mercato ed in perdita per la banca (come nel caso dell'imprenditore amico Re.Ca., secondo la deposizione del teste Gi.Am.). Più nel dettaglio, il coinvolgimento dello ZO. nell'attività gestionale era stato confermato da numerose, convergenti deposizioni. Era il caso, in particolare, delle testimonianze di Al.Sa., Iv.Me. e Gi.Am., quest'ultima relativa anche alla riunione tenutasi l'il.11.2014 a seguito della pubblicazione dell'articolo del Sole 24 Ore che aveva messo in discussione il valore del titolo. In detta riunione ZO. aveva esplicitamente affermato, tra l'altro, che ì soci che avessero voluto vendere i titoli avrebbero potuto essere sostenuti con finanziamenti e la trascrizione della già menzionata seduta del Comitato di Direzione 10.11.2014 (doc. P.M. nr. 110) riscontra tali indicazioni del presidente. Le e-mail acquisite al fascicolo del dibattimento (docc. P.M. nr. 298, 299, 322, 320, 521), al pari degli appunti di Ma.So. contenuti nel "maxi quaderno giallo", poi, confermavano il ruolo operativo del presidente. Il teste Se.Ro., inoltre, aveva riferito al teste Ma.Pa. - cfr. la deposizione di quest'ultimo - che le decisioni di vendita delle azioni andavano ricondotte allo ZO. e, sul punto, non mancavano conferme documentali: la e-mail del 16.6.2014 (allegato 31 relazione CONSOB), avente ad oggetto il sollecito rivolto dalla segreteria del presidente ZO. al Ro. circa un reclamo - indirizzato direttamente al medesimo presidente ZO. -riguardante i ritardi nella vendita di azioni della sig.ra Ro.Sa.; il documento del P.M. nr. 321 (relativo a una corrispondenza e-mail tra Fi.Ro. e Da.Fa. del 20.1.2014); gli appunti del So.; infine le stesse dichiarazioni ammissive rese dall'imputato nel corso dell'interrogatorio del 24.3.2017. Lo strettissimo rapporto tra lo ZO. ed il d.g. So. (quest'ultimo, peraltro, proposto dallo stesso ZO. come consigliere delegato nel 2015, ovverosia poco prima dell'ispezione BCE, quando oramai la banca versava in condizioni di forte criticità ed aveva superato solo per il "rotto della cuffia" il Comprehensive Assessment tramite la conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza dal CdA nella seduta del 26.10.2014, convocata presso la tenuta toscana del presidente sita in (...) era stato delineato da numerosi testi escussi (Di.Gr., Se.Ro., Ad.Ca., Pa.An., Vi.Do., Ma.So.) e confermato dallo stralcio della conversazione intercettata tra Gi.Zi. e il suo interlocutore Pa.Ba. nello del 26.8.2015 (riportata a pag. 599 della gravata sentenza), dove si affermava che i due erano sostanzialmente inscindibili e "viaggiavano a braccetto". Lo stesso So. del resto, in occasione di talune conversazioni intercettate, si era riferito spesso al diretto coinvolgimento del Presidente nelle vicende gestorie della banca (il richiamo era ai progressivi 459, 300, 610, 845, 1570, 1587, nonché agli SMS di cui ai documenti nn.ri 653, 654, 655 - pagg. 600-603 della gravata sentenza). Con riferimento all'aucap del 2014, poi, la scheda file audio della seduta del CdA del 4.3-2014 aveva documentato il diretto coinvolgimento del presidente nella pianificazione dell'operazione in questione, mentre le dichiarazioni del coimputato GI. avevano ribadito tale coinvolgimento, peraltro confermato anche dalla documentazione disponibile (era il caso della e-mail costituente l'allegato nr. 75 alla relazione CONSOB). Lo ZO., inoltre, aveva avuto un ruolo attivo anche durante il comitato di direzione "allargato" del 20.4.2015 nel quale erano state affrontate, tra gli altri temi, le questioni dei soci finanziati e della creazione di una task force che avrebbe dovuto gestire il problema dei soci che chiedevano di vendere le proprie azioni. In tal senso deponeva il documento nr. 362 del P.M. costituito dagli appunti di Gi.Am., siccome "interpretati" dallo stesso Am. durante la propria deposizione. Nel corso di tale comitato di direzione, infatti, si era discusso anche del problema costituito dall'impossibilità di ricorrere all'impiego del fondo acquisto azioni proprie, ovvero allo strumento che, ad avviso del Presidente, doveva servire - secondo quanto riferito dal teste Am. - "a rendere più liquido l'investimento in azioni della (...)". Del resto le modalità della risoluzione del rapporto con il d.g. So. (risoluzione intervenuta solo quando, nel corso dell'ispezione BCE, la situazione era divenuta insostenibile a seguito dell'emersione della vicenda dei fondi lussemburghesi, della prassi delle lettere di impegno e dei finanziamenti correlati) dovevano ritenersi sintomatiche - nella ricostruzione dell'episodio fattane dal primo giudice - delle modalità gestorie dello ZO. e della volontà di assicurare al So. un commodus discessus. L'imputato, infatti, aveva fulmineamente risolto il contratto con il direttore generale (al quale, nondimeno, era stato riconosciuto di avere operato "con diligenza e correttezza nell'interesse della banca" e, soprattutto, era stata attribuita una buonuscita di ben 4 milioni di euro); questo era avvenuto nonostante il contrario parere del consigliere Gi.Zi. (documentato dal file audio della seduta del CdA) il quale aveva chiesto di valutare il licenziamento, al posto della risoluzione consensuale, al fine di salvaguardare la posizione dello stesso CdA. Peraltro dell'intervento dello ZI. il verbale consiliare non recava traccia alcuna (e questo nonostante la esplicita richiesta avanzata, in tal senso, dal menzionato consigliere). Si era trattato, quindi, di una decisione unilaterale di ZO., non preceduta da alcun dibattito in seno asl CdA (come riferito dallo stesso ZI. e come, del resto, confermato dalla deposizione del teste Ad.Ca.). Nell'occasione la finalità perseguita dallo ZO. - ad avviso del tribunale - era stata evidentemente quella di assicurarsi, "attraverso il fulmineo e ben retribuito congedo del direttore generale infedele", "un salvacondotto a fronte delle condotte illecite in fase di accertamento da parte della squadra ispettiva" (così si legge a pagina 611 della sentenza impugnata). Solo in quest'ottica, pertanto, poteva essere ragionevolmente interpretato quanto avvenuto in occasione delle successive sedute del CdA del 15 maggio, 27 maggio, 9 giugno e 11 giugno 2015, allorché sì era discusso della possibilità di intraprendere azioni legali nei confronti del So. per poi alla fine decidere, su proposta dello stesso ZO., di non procedere in alcun modo nei confronti dell'ex direttore generale. In definitiva l'accordo per la risoluzione del contratto con il manager con riconoscimento di una buonuscita multimilionaria - accordo deciso e repentinamente attuato dallo ZO. non solo in contrasto con le previsioni statutarie (che attribuivano al CdA la competenza in materia) e con la normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, ma anche in radicale conflitto con l'interesse dell'istituto di credito - costituiva un elemento di prova della corresponsabilità dell'imputato. Sintomatiche dell'interesse (a proteggere il So.) perseguito, con detto accordo, dallo ZO. - significativamente definito, in un colloquio captato dagli investigatori, uno che ha governato come un monarca assoluto" e che, quindi, non era certo all'oscuro di quanto andava emergendo nel corso dell'ispezione - erano proprio alcune conversazioni intercettate (cfr. stralci riportati alle pagg. 611-613 della sentenza). Quindi il primo giudice, ad ulteriore sostegno della conclusione cui perveniva in ordine alla piena responsabilità dello ZO. nella gestione dell'istituto di credito con riferimento specifico alle condotte oggetto di imputazione, richiamava specificamente le operazioni correlate effettuate da taluni imprenditori. Trattasi, segnatamente: - di Se.Pi. (presidente del CdA della società It.). Costui, nel corso della deposizione resa in dibattimento, aveva ricostruito gli acquisti "baciati" dì azioni B. effettuati, originariamente su proposta dello ZO., con il ricorso ad affidamenti da parte dell'istituito di credito (il tutto per un'operatività di euro 4.400.000). Secondo detto teste lo ZO. era a conoscenza dell'esistenza dei finanziamenti correlati a lui concessi, iniziati nel 2005. Nel 2013, quando il teste era stato ospite dell'imputato a Castello di Albola, lo ZO. si era dimostrato soddisfatto dell'aumento di capitale e nell'occasione avevano parlato, tra l'altro, delle operazioni finanziate effettuate dal Pitacco, facendo anche specifico riferimento all'importo complessivo; - di Al.Be., imprenditore del settore dell'editoria legato da risalente rapporto di amicizia con l'imputato. Anche tale dichiarante (cfr. verbale di s.i.t. acquisito ex art. 493, co, 3, c.p,p.) aveva ricostruito le operazioni finanziate effettuate al fine di acquistare le azioni di B., per un valore complessivo di euro 1,25 milioni a fronte di un finanziamento di pari importo. Sebbene detto teste avesse riferito di non avere mai parlato con lo ZO. di tali operazioni "baciate", le relative dichiarazioni - sul punto - erano state smentite dai testi Gi.Gi. (direttore regionale della Lombardia) e Al.Ba. (responsabile della Divisione Crediti di B. dal gennaio 2015). Il primo, dopo avere ricostruito le operazioni "baciate" effettuate da detto imprenditore in condizioni di neutralità economica (donde i relativi storni che gli avevano garantito il totale rimborso degli interessi maturati), aveva precisato che il Be. gli aveva riferito di avere parlato con lo ZO. di una di tali operazioni (quella effettuata tramite la B.Me.), Il teste Al.Ba., dal canto suo, aveva dichiarato di avere discusso con l'imputato ZO. della posizione del Be., ragguagliandolo circa gli acquisiti di azioni tramite finanziamenti "baciati" effettuati in precedenza dallo stesso Be. per "Vare una cortesia alla banca". Ciò era avvenuto nel corso di un incontro cui aveva partecipato lo stesso imprenditore, il quale, nell'occasione, aveva espressamente chiesto che l'operazione "fosse smontata"; - di Do.Ir.. presidente di C., società del settore delle costruzioni e amica di famiglia dello ZO.. In questo caso le azioni B. erano state acquistate, per un valore di 1 milione di euro, impiegando parte di un più consistente finanziamento (5 milioni) concesso dall'istituto. A detta della Ir. la proposta iniziale le era stata avanzata, con riferimento all'aumento di capitale allora in fieri, proprio dallo ZO. il quale, poi, l'aveva "dirottata" sul d.g. So.. Dal canto suo il figlio della Ir., Ha.Mi. (vicepresidente e amministratore delegato di C.), il quale aveva poi portato avanti la trattativa, escusso in dibattimento non aveva ricordato con chi avesse effettivamente trattato (sebbene in sede di indagini, come emerso dalla contestazione del P.M., avesse riferito di avere interloquito, in proposito, con lo ZO. oppure con il manager Al.Cu.; soggetto, quest'ultimo, che - parimenti escusso in dibattimento - aveva smentito di essersi personalmente occupato della questione); - dei fratelli Ra.. In particolare Ra.Si., imprenditore del settore abbigliamento e cliente storico di B., aveva riferito di avere aderito, unitamente ad alcuni suoi familiari, alla proposta di operazioni "baciate". Più volte costui (al pari dei fratelli) aveva chiesto rassicurazioni al riguardo allo ZO. ed era stato sempre tranquillizzato. Nel 2013 i Ra. avevano iniziato a sollecitare la chiusura delle operazioni, al che Fu.Bo. ed Em.Gi. avevano tentato di dissuaderli. Dichiarazioni di analogo tenore, poi, erano state rese da Ra.Gi., sebbene costui avesse riferito, diversamente dal fratello, che le discussioni con lo ZO. avevano riguardato la solidità della banca e non già le operazioni "baciate" in corso. Nondimeno - precisava il tribunale - la conversazione nr. 560 intercettata sull'utenza in uso al So., nella quale costui, esprimendo disappunto sull'atteggiamento negazionista dello ZO., riferiva in termini coincidenti con la narrazione di Ra. Silvano, confermava la tesi di quest'ultimo in ordine al contenuto dei colloqui - aventi ad oggetto proprio il tema dell'acquisto delle azioni della banca - intercorsi tra i fratelli Ra. e il presidente ZO.; - di Fr.Zu. e Fe.Ri.. Il primo, cognato di ZO., aveva riferito di un fido concessogli per partecipare, a titolo di amicizia e senza alcun rischio, all'aucap 2014, operazione della quale, tuttavia, non aveva parlato con lo ZO.. Nondimeno dalle schede di analisi dei consulenti del P.M. erano emersi, complessivamente, acquisti di azioni effettuati dalla famiglia Zu. per 984 mila euro con risorse erogate all'uopo dall'istituto. Quanto al Ri., amico dell'imputato da decenni, ex direttore di musei e consulente della banca per la stima delle opere d'arte, aveva effettuato operazioni per gli aucap 2013 (300 mila euro) e 2014 (200 mila euro) e aveva riferito che lo ZO., quando aveva appreso di una di tali operazioni, aveva espresso il proprio compiacimento, sebbene il teste avesse pure precisato che con l'imputato aveva interloquito solo in relazione alla sua sottoscrizione dell'aucap, non già circa le modalità di acquisto delle azioni. Quando poi, nel 2015, aveva manifestato allo ZO. le proprie preoccupazioni per gli acquisti finanziati, l'imputato aveva ribattuto in modo brusco ("Ma chi ti ha detto di farli?"), lasciandolo perplesso; s di Gi.Ro., noto imprenditore del settore della valigeria. In tal caso le operazioni finanziate erano state molteplici (la prima per l'ammontare di 700,000 euro; successivamente anche per l'importo di 5 milioni). Ripetutamente aveva incontrato lo ZO. in occasione di cene e pranzi e, quando gli aveva chiesto rassicurazioni, era stato costantemente tranquillizzato. Richiesto di precisare se l'imputato fosse a conoscenza delle modalità seguite per l'acquisto delle azioni, il teste aveva risposto affermativamente sulla base di considerazioni di tipo logico (basate, per un verso, sulla posizione di vertice rivestita dall'interlocutore, definita dal teste quella del "capo", del "padre-padrone della banca" e, per altro verso, sull'importanza di dette operazioni nell'ambito della gestione dell'istituto di credito). Peraltro, precisava il tribunale, la registrazione del file audio del 18.6,2013 relativo alla breve conversazione intercorsa tra lo ZO. ed il coimputato GI. poco prima dell'inizio della seduta del CdA - conversazione della quale lo stesso GI. aveva poi chiarito il significato (inerente all'interesse manifestato da un imprenditore catanese, tale Riccardo Coffa, per una operazione "baciata") - dimostrava la piena consapevolezza, in capo allo ZO., della prassi esistente in relazione a tale tipologia di operazioni. Altro significativo elemento a carico dello ZO. era rappresentato, nella prospettiva del tribunale, dall'elevatissima concentrazione di operazioni correlate presso il "gestore private" Ro.Ri. nella filiale di Contrà Porti, la stessa ove l'imputato aveva acceso i propri conti correnti. In effetti lo strettissimo rapporto tra i due (ulteriormente comprovato dalla riassunzione de) "gestore" dopo che questi si era dimesso a seguito del trasferimento ad altra filiale; riassunzione, con immediata ricollocazione presso la filiale di Contrà Porti, conseguente a una semplice visita dello stesso Ri. presso l'abitazione dell'imputato) avrebbe avvalorato la conclusione circa la piena consapevolezza, in capo al presidente, della prassi delle operazioni "baciate" che il predetto Ri. effettuava in favore di una selezionatissima cliente, peraltro per importi estremamente ingenti. Questo benché il medesimo Ri. avesse negato di avere parlato di tali operazioni con l'imputato e, a maggior ragione, di avere da questi ricevuto, al riguardo, autorizzazioni di sorta. Del resto - precisava il tribunale - il teste Da.Ti. aveva dichiarato di essere stato rassicurato dallo stesso presidente ZO. - all'uopo interpellato dal "gestore private" Ri. che aveva sostanzialmente fatto da tramite - circa ii fato che le operazioni "baciate" di sua pertinenza sarebbero state chiuse. Anche l'inerzia dell'imputato a seguito della segnalazione di anomalie inerenti ad operazioni correlate ricevuta nella primavera-estate del 2014 deponeva nel senso della fondatezza dell'impostazione d'accusa, al pari, del resto, delle dimissioni del consulente private banker An.Vi., dimessosi in conseguenza delle insostenibili pressioni che riceveva dai superiori (a loro volta in tal senso istruiti dai vertici aziendali) proprio con riferimento alla conclusione di operazioni "baciate". Peraltro, una pec contenente l'esposizione delle ragioni delle dimissioni era stata trasmessa dal Vi., su consiglio del proprio avvocato, sia al CdA che allo stesso ZO., il quale ultimo l'aveva letta in data 7.7.2014 senza, tuttavia, sollecitare approfondimenti al riguardo. Del resto era significativo che la vicenda si fosse poi definita con un accordo transattivo e con l'impegno alla riservatezza. Di spiccato rilievo probatorio, poi, erano tanto l'inerzia manifestata dallo ZO. a seguito della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 26.4.2014, dal socio B. Da. con riferimento alla prassi degli acquisti finanziati, quanto l'atteggiamento, altrettanto inerte, assunto dallo stesso imputato a seguito della ricezione di due lettere anonime che denunziavano il fenomeno della pressione della rete commerciale per favorire la sottoscrizione di operazioni correlate. Conclusivamente, a fronte di tali convergenti elementi, le dichiarazioni rese dall'imputato in occasione degli interrogatori resi in fase di indagine e, successivamente, nel corso dell'esame dibattimentale svoltosi alle udienze - 23,6.2020 e 26.11.2020 - là dove questi aveva sostenuto di essere stato tenuto all'oscuro dell'esistenza del fenomeno delle operazioni correlate, di essersi fidato della valutazione di un esperto di indiscusso prestigio con riferimento al valore assegnato al titolo azionario e, infine, di avere avviato le operazioni di aumento di capitale facendo affidamento sul giudizio della Banca d'Italia in ordine alla solidità dell'istituto di credito - venivano dal tribunale giudicate come destituite di fondamento e scopertamente difensive. I fenomeni del capitale finanziato, delle lettere di impegno e degli investimenti effettuati tramite fondi esteri, infatti, erano stati espressione di prassi note, avallate e, anzi, incentivate dal presidente, vero e proprio dominus assoluto dell'istituto di credito. Egli aveva ricoperto, per circa un ventennio, una posizione di dominio incontrastato, aveva selezionato e fidelizzato il management, anche con trattamenti economici più che generosi (cfr. sul punto, la deposizione del teste Ma.Ma.), aveva imposto la regola dell'approvazione unanime delle sue proposte in CdA ed aveva sistematicamente agito (in forza di una asimmetria di poteri che, peraltro, trovava plastico riscontro anche nell'ammontare delle rispettive retribuzioni, quella dell'imputato risultando quasi dieci volte superiore a quelle degli altri consiglieri) in modo tale da indirizzare l'espansione territoriale dell'istituto nelle aree del Paese ove egli aveva i suoi insediamenti imprenditoriali (Toscana, Friuli, Sicilia), ovvero nelle località di vacanza da lui frequentate (Cortina). In definitiva tutte le dinamiche inerenti alla vita dell'istituto di credito erano state determinate dallo ZO., a partire dalle più importanti strategie d'impresa e fino alle attività più spicciole (posto che era emerso che all'imputato veniva sottoposta, per approvazione, finanche la lista degli invitati alle cene "istituzionali" periodicamente organizzate a casa Lo.), In siffatta prospettiva le conversazioni telefoniche intercettate nelle quali il d.g. Sa.So. evidenziava la piena riconducibilità delle scelte operative al Presidente, ben lungi dall'essere interpretabili come attuazione di una callida determinazione del predetto So., ispirata da logica autodifensiva (come invece sostenuto dalla difesa dello ZO.), costituivano coerente riscontro del pieno coinvolgimelo dell'imputato nell'attività delittuosa. Del resto talune conversazioni significative erano state effettuate impiegando utenze riconducibili a terzi (trattasi dell'utenza 3311650993 intestata a De.Mi.), donde, anche sotto tale profilo, l'insostenibilità della tesi della artificiosità di tali colloqui, il tenore dei quali, peraltro, era del tutto coerente con le richiamate acquisizioni probatorie testimoniali e documentali. Inoltre le affermazioni fatte dal So. in ordine al coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni dì capitale finanziato avevano trovato conforto anche negli SMS inviati dai coimputati MA. e GI. al predetto So., messaggi attraverso i quali costoro sollecitavano il benestare del presidenti su alcune operazioni correlate (trattasi dei documenti nn.ri 653 "ricordati di messaggiare il presidente per le pratiche di oggi in CdA - quelle su acquisto, valori mobiliari... Fe. 11 milioni, Mo. 14 milioni, Fe. 20 milioni"; 654: "il presidente sta arrivando bisogna parlargli di Da. e Ca."; 655: "Ti ricordo Zi. da parlarne al pres per il fido da farsi alla sua finanziaria". Di qui la conclusione in ordine alla sussistenza dei presupposti tutti per affermare il coinvolgimento dell'imputato, a titolo di concorso, in tutti i reati ascrittigli. 1.9.2 Gi.Em. Con riferimento a Gi.Em. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Mercati (della quale egli, a far tempo dalla fine del 2007, era stato il responsabile -spettandogli in tale veste, fino alla cessazione del rapporto avvenuta nel giugno 2015, la direzione e il coordinamento dell'attività commerciale della banca - oltre a rivestire in B. il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma di cui ai docc. nr. 262-267 del Pubblico Ministero. Evidenziava poi come il GI. fosse anche membro del Comitato Soci, ossia dell'organo endoconsiliare deputato alla disamina preventiva delle richieste di acquisto e cessione delle azioni B. prima che le stesse fossero sottoposte al CdA. Ciò premesso il tribunale, nel rinviare al cap. X della sentenza quanto alla disamina della penale responsabilità del GI. per il reato di cui al capo N1, affermava che l'istruttoria dibattimentale consentiva di ritenere "emerso in modo univoco" il diretto coinvolgimento del GI. "in tutti gli aspetti della illecita operatività della Banca", elencando al riguardo le seguenti condotte dal predetto poste in essere: - aveva significativamente contribuito alla definizione e all'attuazione delle prassi operative in tema di capitale finanziato: - aveva partecipato direttamente alle più rilevanti operazioni di capitale finanziato (c.d. "big ticket"); - aveva personalmente sottoscritto alcune lettere di impegno di B. al riacquisto delle azioni precedentemente vendute ai clienti cui esse erano indirizzate, autorizzando altresì in via preventiva la sottoscrizione di analoghe lettere da parte dei funzionari a lui sottoposti; - aveva co-organizzato e programmato una capillare attività di monitoraggio della produttività della rete commerciale, esercitando forti pressioni sui dipendenti della stessa al fine di stimolare il raggiungimento degli obiettivi di raccolta del capitale; - aveva personalmente autorizzato storni di interessi come forma di remunerazione dell'investimento in azioni B.; - aveva, in molteplici occasioni, ostacolato l'accertamento dell'illecita operatività della banca non soltanto nei confronti delle autorità di vigilanza esterna ma altresì nei confronti delle società di revisione (cfr. in particolare l'episodio che aveva coinvolto la società di revisione K.) e della vigilanza interna (audit). Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il primo giudice anzitutto illustrava i contenuti - evidenziati in particolar modo negli appunti manoscritti redatti dal segretario generale Ma.So. (doc. nr. 389 del P.M.), il quale ne aveva riferito nel suo esame dibattimentale - della riunione del Comitato di Direzione tenutasi l'8.11.2011, cui avevano partecipato fra gli altri, oltre al GI., il direttore generale Sa.So., il presidente Zo.Gi., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. (dirigente altresì preposto alla redazione dei documenti contabili), il responsabile della Divisione Finanza An.Pi., il direttore generale della controllata toscana Ca. Fr.To., il vicedirettore generale della controllata siciliana Ba.Nu. Um.Se.. In quella sede, dopo che il PE. aveva evidenziato la necessità di collocare più di 100 milioni di azioni, il To. e il Se. (secondo quanto ricostruito nel suo esame dibattimentale dal teste assistito To., il quale peraltro evidenziava come all'epoca si ritenesse in generale inapplicabile l'art. 2358 c.c. alle banche popolari in quanto cooperative) avevano prospettato espressamente la necessità di ricorrere ad operazioni c.d. "baciate" - benché "non facili da proporre come nell'occasione riconosciuto dal To. - al fine di aumentare il collocamento delle azioni, tenuto conto anche del fatto che mancavano ormai solo poco più di 30 giorni alla chiusura natalizia. Indi il primo giudice evidenziava come al GI. fosse ben nota -quantomeno dal giugno 2011 - la situazione, documentata in atti e altresì, riferita da vari testi, di crescente disallineamento tra le domande di acquisto di azioni e le richieste di vendita delle stesse (le quali sopravanzavano le domande di acquisto in maniera sempre più accentuata ed evidente), il che aveva determinato sin dal 2011 un incremento progressivo ed esponenziale del ricorso al capitale finanziato, secondo un "cambio di passo" riscontrabile proprio all'indomani della menzionata riunione del comitato di direzione tenutasi l'8.11.2011. In tale contesto - proseguiva il tribunale - Em.Gi. si era distinto in modo particolare per l'attivo ruolo svolto nell'organizzazione e nel coordinamento delle iniziative c.d. "svuota fondo", rivolte cioè ad attuare il sistematico svuotamento del fondo acquisto azioni proprie di B. (portato infatti a zero tanto alla fine del 2012 quanto alla fine del 2013) nonché per le pressioni - sempre più accentuate specie a partire dalla fine dell'anno 2012 - da lui esercitate sulla rete commerciale affinché fosse incrementato il collocamento delle azioni. Ampio spazio veniva dato al riguardo, in sentenza, alla deposizione dei testi Fi.Ro. (responsabile dell'Ufficio Soci) e Co.Tu. (funzionario in staff alla Divisione Mercati), secondo i quali il direttore generale So. e il GI. - che veicolava le direttive del So. all'intera rete - monitoravano congiuntamente l'andamento delle domande di acquisto e cessione delle azioni e prendevano le decisioni su quante azioni la banca potesse riacquistare, al che conseguiva il sorgere di un'esigenza di occultamento del capitale finanziato. Indi il primo giudice illustrava gli elementi probatori (fra cui le deposizioni dei testi Co.Tu., Gi.Gi., Ma.Ni., Al.Ba., Al.Cu., En.Da., Lu.Ve., Se.Ro., Ro.Ri. e altri) in base ai quali emergeva il ruolo del GI. nell'organizzazione delle attività di occultamento del capitale finanziato, segnatamente: - mediante il divieto, imposto alla rete, di comunicare per iscritto informazioni sul capitale finanziato; - mediante l'utilizzo nelle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) di una formula - estremamente generica ("necessità per investimenti immobiliari e mobiliari"); - mediante la raccomandazione di attuare un distanziamento temporale tra il fido e l'acquisto delle azioni e/o di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche azioni diverse da quelle di B.. La promozione e sollecitazione da parte del GI. dell'occultamento del capitale finanziato, posta in essere nei modi sopra indicati, ad avviso del primo Giudice si traduceva in un rilevante contributo dato dall'imputato all'alterazione della veridicità dei flussi informativi indirizzati all'autorità di vigilanza. In particolare tre episodi, secondo il tribunale, evidenziavano quella che in sentenza (cfr. pag. 647) veniva definita come la * pervicace condotta di Em.Gi. tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delle autorità di vigilanza ovvero della società di revisione": - la vicenda del private banker An.Vi., oggetto di una segnalazione da parte dell'avv. Es. che aveva a sua volta dato luogo ad accertamenti effettuati dall'audit, il cui responsabile Ma.Bo. (sentito come teste in dibattimento) aveva consegnato il 4.9.2014 il relativo report al direttore generale So., che dapprima assumeva un atteggiamento dilatorio salvo poi, pressato dal Bo., convocare il GI. nel gennaio 2015 e consegnargli il report dell'audit; di quest'ultimo, secondo il teste Co.Tu., il GI. aveva detto allo stesso Tu. - il quale pure aveva avuto in visione il report - che non avrebbe dovuto parlare con nessuno; s l'episodio della società di revisione K. (ricostruito all'udienza del 19.12.2019 dal teste Vi.An., partner di detta società; allo stesso episodio aveva altresì fatto riferimento l'avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., ricordando di essere stata zittita in malo modo tanto dal direttore generale So. quanto dal responsabile della Divisione Finanza PI. quando aveva cercato di sollecitare un audit su ciò che era stato riscontrato dalla società di revisione); per la precisione K. aveva, nel corso del suo controllo, individuato 17 posizioni a suo avviso sospette a causa della sostanziale coincidenza tra il valore delle azioni sottoscritte e l'utilizzo dei fidi concessi nonché a causa della vicinanza temporale tra la concessione del finanziamento e la data di acquisto delle azioni; il teste An. aveva dapprima informato il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio, Ma.Pe., e il collegio sindacale; indi, unitamente al PE., aveva presentato l'elenco delle 17 posizioni al direttore generale So. che lo aveva indirizzato al GI.; questi aveva rassicurato l'An. di K. circa la regolarità delle operazioni, l'assenza di criticità, il' rispetto del merito creditizio, l'assenza di correlazioni tra gli acquisti delle azioni e le erogazioni dei finanziamenti; tuttavia K. aveva insistito per ottenere un parere favorevole della direzione affari legali della banca (parere che l'avv. Pa. non riteneva di poter rilasciare), sicché si era giunti a un compromesso - secondo quanto riferito dalla stessa teste Pa. - basato sull'invio a K. di una lettera interlocutoria (elaborata con il contributo anche del GI. che aveva insistito per evidenziare in essa il rispetto del requisito del merito creditizio) contenente l'impegno a svolgere le operazioni necessarie per chiarire le operazioni segnalate; - le modalità di interlocuzione tenute dal GI. con la squadra ispettiva della BCE nel 2015, allorquando l'ispettore Gi.Ma., sentito come teste, aveva cercato di instaurare un contraddittorio preliminare con i vertici aziendali su poco meno di una cinquantina di posizioni già emerse, durante l'ispezione, come connotate dal compimento di operazioni correlate. Secondo quanto riferito dal teste Ma. il GI., nell'incontro con lui avuto il 12.5.2015 (presente anche il teste Al.Ba., la cui agenda conteneva al riguardo appunti idonei a riscontrare appieno il teste Ma.) aveva escluso trattarsi di operazioni correlate, ribadendo all'ispettore che tutti i finanziamenti erano giustificati dal merito creditizio; il GI. aveva anche preso parte alla predisposizione, sempre in relazione a quella cinquantina di posizioni emerse come critiche, di schede da consegnare all'ispettore Ma., il quale però le aveva giudicate inadeguate e insufficienti (analoga valutazione delle schede era stata previamente compiuta dal teste Ma.Bo., responsabile dell'audit). Indi il tribunale passava in rassegna le risultanze istruttorie - indicate in sentenza come plurime e convergenti (fra esse si citavano le deposizioni dei testi Gi.Ca., capo area; Gi.Gi., direttore regionale; Ma.Ni., capo area, Al.Cu., capo area, ed altri ancora) - circa il ruolo svolto dai GI. nell'azione di coordinamento e impulso della rete commerciale tesa a promuovere la stipula, a ritmi sempre più incalzanti, di operazioni correlate. Il primo Giudice evidenziava altresì come il GI. risultasse avere personalmente sottoscritto 16 - per un totale di 80 milioni di euro - fra le 65 lettere B. di impegno al riacquisto delle proprie azioni (tali lettere - in alcuni casi particolarmente impegnative per la banca - avevano l'evidente funzione di rassicurare i soci) consegnate alla squadra ispettiva BCE nella primavera del 2015. Sul punto la sentenza dava ampio risalto, in particolare, alla deposizione del teste Co.Tu. e a quella del teste Lo.Be., capo area. Sempre sul tema delle lettere di impegno il primo giudice indicava come particolarmente significativa, riportandone il contenuto (leggibile a pag. 95 della relativa perizia), la trascrizione della conversazione telefonica n. progr. 359 dell'1.9.2015 intercorsa tra il GI. e il sindaco La.Pi.. Sulle lettere di impegno il tribunale citava altresì - più avanti nel tessuto motivazionale della sentenza: cfr. sue pagg. 671-672 - il contenuto della deposizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'Internal audit, nella parte in cui riferiva di un incontro tenutosi con l'avv. An.Ge. - col quale il d.g. So. voleva concordare una linea difensiva - il 24.4,2015 a Vicenza (presenti, oltre allo stesso Bo. e al So., l'imputato GI. per la Divisione Mercati nonché An.Pi. per la Divisione Finanza, Ma.Pe. per la Divisione Pianificazione e Bilancio, l'avv. An.Pa. dell'ufficio legale e altri ancora); in tale occasione era stato proprio il GI. a parlare espressamente delle lettere di impegno dicendo che erano una ventina (in realtà, come detto, ne emersero oltre il triplo di cui 16 sottoscritte dallo stesso GI.), ammettendo di averne sottoscritte alcune e precisando che la situazione era grave, avendo ormai il fenomeno dei finanziamenti correlati raggiunto dimensioni rilevanti che avrebbero messo in crisi la banca. Il collegio vicentino passava indi ad esaminare le risultanze istruttorie (in particolare le deposizioni dei testi Gi.Ca., Co.Tu., Lu.Ve., nonché la e-mail - doc. 755 del P.M. - inviata il 29.9.2014 da Vi.Ga. al GI.) inerenti al ruolo concretamente svolto dallo stesso GI. nell'attuazione degli storni di interessi. Il primo giudice evidenziava poi come talune fra le operazioni correlate - soprattutto le c.d. big ticket, ossia quelle più importanti per rilevanza ed entità - vedessero un diretto coinvolgimento del GI. in prima persona nella loro conduzione (unitamente al direttore generale So.: i due si recavano appositamente in visita congiunta ai clienti - per lo più imprenditori - maggiormente patrimonializzati), menzionando le evidenze probatorie raccolte al riguardo e in particolare le deposizioni rese dai testi, fra cui Ro.Ri. (gestore private della filiale di Contrà Porti), Tr.Lo. (cliente), Gi.Ra. (cliente), Luca Fe.ni (cliente), Sa.Bu. (cliente), Lu.Mo. (cliente), Gi.Ro. (cliente), Pi.Ca. (cliente) e altri. Indi il tribunale passava in rassegna le deposizioni rese da parecchi testi (Di.Ip., Ma.Ni., Lu.Ve., Fu.Bo.) - fra i quali molti capi area ma anche due private banker come An.Vi. e Fr.Te., dimessisi entrambi, a loro dire, proprio a causa delle pressioni ricevute - dalle quali emergevano, a suo avviso, le sistematiche pressioni esercitate non soltanto dal direttore generale So. ma anche dall'imputato GI. sulla rete commerciale - a partire dal 2012 - affinché fossero raggiunti gli obiettivi di raccolta del capitale prefissati. L'effettivo esercizio di tali pressioni - proseguivano i giudici vicentini - trovava comunque plurimi riscontri documentali, in particolare nelle produzioni di cui ai docc. nn. 22, 91-95, 298, 657, 660 del P.M.. Altro elemento probatorio di pregnante rilevanza a carico del GI., secondo il primo giudice, era rappresentato dalla trascrizione del file audio corrispondente alla registrazione dì quanto detto nell'ambito del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014, al quale il GI. aveva preso parte unitamente al direttore generale So. e agli altri immediati suoi sottoposti. Ampi stralci di tale trascrizione sono riportati alle pagg. 666-667 della gravata sentenza. In particolare il direttore generale So., alla pag. 34 della trascrizione, dichiarava fra l'altro agli astanti che la banca aveva "fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ... Noi dobbiamo selezionare molto di più i nostri impieghi (...). Non possiamo smontarli perché ci sono azioni dietro, ma non possiamo neanche tenerci questo popò di problema. Quindi dobbiamo risolvere il problema delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere nominativo per nominativo (...)". Alla pag. 27 della trascrizione il responsabile della Divisione Finanza, An.Pi., parlava della necessità di collocare 27 milioni residui di azioni detenute dai fondi esteri trovando qualcuno che le compra a sconto"; il GI. gli replicava prospettando un possibile scambio con (...) (già (...)) che deteneva a sua volta titoli di (...) Banca. Alla pag. 67 della trascrizione il GI. si rivolgeva al So. nei seguenti termini: "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? (...)". Al riguardo il tribunale vicentino affermava che, a differenza di quanto sostenuto dagli imputati in dibattimento, non emergeva dalla trascrizione (e ancor meno dall'ascolto diretto del file audio) alcun disallineamento degli astanti rispetto alla posizione espressa dal direttore generale So., né era dato cogliere, per converso, alcuna supina subordinazione dei predetti alla volontà dello stesso So., trattandosi piuttosto di un dialogo ove ognuno dei presenti prospettava - alla pari - problemi e ipotesi di soluzione. Il primo giudice passava quindi a valutare il complesso delle affermazioni rese dall'imputato GI. in sede di esame dibattimentale, sostenendo che l'assunto di questi circa la sua non consapevolezza delle reali dimensioni quantitative del capitale finanziato era ampiamente smentito da varie convergenti emergenze probatorie fra le quali spiccavano, oltre al tenore della trascrizione del menzionato file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014, alcune produzioni documentali (segnatamente le tabelle di rendicontazione sub docc. nn. 272, 273, 274, 275 del Pubblico Ministero) e varie deposizioni testimoniali (tra cui quelle dei testi Ma.So., Co.Tu., Cl.Gi. e Ro.Pr., quest'ultimo responsabile della direzione private dall'ottobre 2014, ma anche le deposizioni dei testi Gi.Am. e Ma.Li.); veniva riportato al riguardo in sentenza anche il tenore della già sopra menzionata deposizione del teste Ma.Bo. - responsabile dell'Internal audit - in ordine ai contenuti dell'incontro con l'avv. An.Ge. tenutosi in data 24.4.2015. Il tribunale - dopo avere illustrato alle pagg. 672-676 la versione resa dall'imputato GI. su vari argomenti (oltre al tema delle lettere di impegno anche quello degli storni di interessi, quello dell'episodio della società di revisione K., quello dei propri rapporti con il d.g. So. del quale eseguiva le direttive, quello delle pesanti pressioni provenienti a suo dire dallo stesso So. e dal CdA della banca e rivolte a sé come a tutti gli altri manager, sempre a suo dire tutti coinvolti, senza esclusione di alcuno, nella vicenda delle operazioni correlate) - riteneva tale versione smentita, tanto sulla piena consapevolezza dell'illegittimità delle svolte operazioni correlate (che il GI. - a suo dire - pensava fossero invece legittime, specie dopo che l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 non aveva mosso rilievi circa l'operatività dell'art. 2358 c.c.) quanto sul loro occultamento al mercato e alla vigilanza, da una serie di risultanze probatorie di segno contrario, così sunteggiate dai giudici vicentini: - il divieto di dare indicazioni scritte, l'utilizzo della P.E.F. generica, lo scostamento temporale tra delibera di fido e acquisto delle azioni; le indicazioni date di inserire nel portafoglio titoli dei clienti anche titoli diversi dalle azioni di B.; - l'inserimento nelle delibere autorizzale e nei documenti di offerta - in occasione dei miniaucap 2013 e 2014 - del richiamo al rispetto dei limiti di cui all'art 2358 c.c.; - l'omesso riferimento, nel corso dei colloqui con gli ispettori Vi.Ca. (AQR - Asset Quality Review) e Gi.Ma. (BCE), tanto al capitale finanziato quanto, in alternativa, agli esiti - di presunta rassicurazione circa l'inapplicabilità a B. dell'art. 2358 c.c. - dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012; - la valenza dei tre episodi relativi alle vicende del private banker An.Vi., della società di revisione K. e delle schede consegnate all'ispettore Ma.. Il primo giudice escludeva altresì la fondatezza dell'assunto del GI. circa il suo essere convinto che lo scorporo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza avesse avuto luogo, definendolo come una "tesi (...) assolutamente inverosimile; è evidente che lo scopo delle operazioni finanziate era quello di dissimulare riliquidità del titolo, in ipotesi di corretta appostazione delle stesse esse sarebbero state inutili" (cfr. pag. 677 sentenza gravata). Non poteva avere infine alcuna valenza scriminante, secondo il tribunale, la necessità, dedotta dal GI., di dare esecuzione a direttive impartitegli dal CdA e/o dal direttore generale So., tenuto conto della sua veste di dirigente apicale membro della struttura esecutiva e investito ex lege di dirette responsabilità di gestione. 1.9.3 Ma.Pa. Con riferimento a Ma.Pa. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Crediti (della quale egli era stato il responsabile dal giugno 2010 sino al dicembre 2014, il che lo rendeva membro di diritto del Comitato Centrale Fidi e del Comitato Crediti) oltre a rivestire in B., a far tempo dal 18 ottobre 2011, anche il ruolo di vice direttore generale; citava a tal proposito la relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia nonché (con apparente riguardo alla sola gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati) il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale n. 262 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Crediti erano così descritte dal tribunale: - assicurare, in materia di erogazione del credito, il rispetto delle norme e disposizioni dell'Organo di Vigilanza, dello statuto nonché delle delibere degli organi superiori; - garantire l'analisi e la valutazione degli affidamenti secondo quanto previsto dalla normativa interna, nonché il loro perfezionamento e quello delle relative garanzie; - verificare la regolarità dell'iter di delibera delle concessioni di credito, nei limiti delle facoltà delegate, avvalendosi dell'attività delle strutture preposte che dipendevano dalla Divisione Crediti stessa; - presentare le proposte di finanziamento di competenza degli organi superiori, avvalendosi dell'attività della UO Analisi, anche alla luce dell'andamento del Gruppo e del settore economico di appartenenza; s garantire alla rete delle filiali un adeguato supporto di consulenza sulle tematiche di competenza, in particolare attraverso le strutture delle UO crediti di area e della U.O. Analisi; s assicurare la gestione delle attività connesse all'anagrafe generale mediante attività di controllo e di implementazione dei dati. Nel far ciò il collegio vicentino affermava più in generale che "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito, compreso il rispetto della normativa in materia, sia di fonte "esterna" (norme e disposizioni delie Autorità di vigilanza) sia di fonte "interna"(statuto e delibere degli organi sovraordinati). In particolare, oltre a curare, per quanto di competenza, la fase di analisi e valutazione degli affidamenti, la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (e delle relative garanzie) e di gestione dell'anagrafe generale (...). In ogni caso la Divisione Crediti era chiamata a stabilire - sulla base degli indirizzi dei CdA e della Direzione Generale e per quanto di competenza - le politiche di gestione del credito" (cfr. pagg. 678-679 sentenza gravata). Nondimeno - proseguiva il tribunale - nel suo esame dibattimentale del "13.6.2013" (rectius 13.6.2019) il teste Cl.Gi., indicato in tale passo della sentenza impugnata come capo area di Vicenza, aveva dettagliatamente spiegato che la struttura dei Crediti era articolata su base territoriale: vi erano una funzione crediti dedicata in capo a ogni singolo capo area e una funzione crediti in capo alla direzione regionale; ciascuna direzione regionale a sua volta coordinava le proprie quattro aree di riferimento; entro certi limiti tali strutture decentrate godevano anche di una potestà deliberativa autonoma, di talché il processo di elaborazione del credito era definito in autonomia quanto agli aspetti relativi all'analisi e alla definizione della delibera; solo se esso eccedeva la potestà deliberativa si faceva luogo a una mera verifica di adeguatezza della proposta che la struttura decentrata inviava alla Divisione Crediti, deputata in quel caso a valutare in autonomia la relativa pratica. Ciò premesso il tribunale affermava che la svolta istruttoria dibattimentale consentiva dì ritenere univocamente provata la penale responsabilità dell'imputato, dimostratosi pienamente consapevole di tutte le condotte di reato ascrittegli. Premetteva al riguardo il collegio che, a detta del teste Em.Ga. (responsabile del team ispettivo che aveva operato nei confronti di B. nell'anno 2015), l'analisi delle P.E.F. (pratiche elettroniche di fido) condotta in sede ispettiva ne aveva subito evidenziato l'assenza di garanzie nonché l'estrema genericità e ripetitività delle causali indicate (le quali per lo più utilizzavano espressioni come cogliere opportunità di investimento sul mercato mobiliare o immobiliare), il che era indice di sospettosità dal momento che in genere una banca, in caso di erogazione di fidi destinati ad acquisti di strumenti finanziari, era ben informata su quale tipologia di strumento finanziario il cliente desiderasse acquistare, su quali ne fossero le caratteristiche principali di rischio e su quali beni fossero costituiti in garanzia (essi corrispondevano per lo più agli stessi strumenti finanziari acquistati o ad altri di valore equivalente). Affermava il primo giudice che la svolta istruttoria aveva evidenziato in capo a Pa.Ma. un ruolo di centralità nel garantire che la rete si uniformasse all'istruzione operativa di utilizzare, nelle P.E.F. aventi ad oggetto capitale finanziato, la sopra evidenziata causale improntata a una formula generica e di stile (dal tribunale indicata come "causale sentinella" proprio in quanto consentiva di rendere immediatamente riconoscibile ai diversi addetti l'effettiva finalità dell'operazione di finanziamento). Il collegio giudicante citava al riguardo le deposizioni rese da vari testi. Quanto alla genesi della ed. "causale generica sentinella" il primo giudice evidenziava quanto segue: il capo area Gi.Ca. affermava che l'uso della causale generica gli era stato consigliato dai suoi superiori Ro.Pr., Lu.Ve. e Gi.Gi.; il capo area Lu.Ve. affermava che l'uso della causale generica era stato raccomandato da una direttiva di area illustrata nelle riunioni, probabilmente ad opera del responsabile della Divisione Mercati Em.Gi., ma che la Direzione Crediti ne era a sua volta a conoscenza tanto che in un'occasione egli aveva parlato direttamente con Pa.Ma. - e in maniera esplicita - dell'effettiva natura di un'operazione di finanziamento che andava a perfezionarsi con il titolare di un noto pastificio; il capo area Ma.Ni. indicava Cl.Gi. ed Em.Gi. come i soggetti dai quali proveniva l'indicazione di usare la causale generica aggiungendo che comunque la Divisione Crediti sapeva che un'operazione connotata da siffatta causale era un'operazione correlata all'acquisto di azioni della banca (in alcuni casi gli analisti della Divisione Crediti avevano anche chiesto al capo area di confermare che l'operazione fosse "baciata"); il capo area En.Da. ricordava che in alcune occasioni il direttore di filiale non aveva inserito la causale indicata (al che - a suo dire - l'Ufficio Crediti aveva restituito la pratica per il cambio della causale); il capo area e indi direttore regionale Cl.Gi. affermava di avere parlato - in alcune occasioni - di finanziamenti correlati con la Divisione Crediti e precisamente con il suo responsabile Pa.Ma. (la formula generica era stata a suo dire suggerita forse da Em.Gi. o forse da Co.Tu., funzionario in staff alla Divisione Mercati), fermo restando che - sempre a detta del Gi. - in alcune occasioni lo stesso Comitato Crediti, al quale partecipavano i direttori regionali, aveva deliberato operazioni di finanziamento in tutto o in parte correlate; il capo area e indi direttore regionale Al.Ca. (escusso ex art 210 c.p.p.) aveva attribuito - a seguito di contestazione - al MA. l'indicazione, data nel corso di alcune riunioni operative, di utilizzare la causale generica; anche secondo il teste Co.Tu. l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data dal MA., e ciò ancora alla fine dell'anno 2012 (secondo il teste Tu. il MA. aveva dato tale consiglio "perché questo tipo di operazioni era borderline e poteva destare l'attenzione della CONSOB e della Banca d'Italia"); il teste Gi.Am., responsabile nel periodo 2013-2014 della divisione retail, affermava che l'indicazione di utilizzare la causale generica era stata data da Em.Gi. ma era stata ripresa e ribadita anche da Pa.Ma., il quale - sempre a detta del teste Am. - aveva altresì respinto alcune pratiche in cui era indicata in modo esplicito la destinazione del finanziamento all'acquisto delle azioni di B.. Quanto poi all'altro espediente emerso durante l'istruttoria dibattimentale, ossia la precauzione di mantenere - per prevenire eventuali sospetti - una qual certa sfasatura temporale tra l'erogazione del fido e l'acquisto delle azioni B., il teste Co.Tu. affermava che il consiglio di far intercorrere un lasso di tempo alquanto lungo tra la delibera di affidamento, la sottoscrizione delle azioni e l'addebito sul conto era venuto da Ma.Pa. (peraltro nel corso del controesame il teste Tu. aveva dichiarato che lo scopo dell'indicazione di mantenere una sfasatura temporale non era quello di occultare l'effettiva finalità del finanziamento bensì, "principalmente", quello di evitare sconfinamenti sul c/c); il teste Lu.Ve. ricordava che la raccomandazione di far rispettare la sfasatura temporale era stata del GI., il quale aveva comunque precisato trattarsi di una linea operativa concordata con la Divisione Crediti. A memoria del teste En.Da. il consiglio di osservare la sfasatura temporale era venuto - benché di fatto i fidi non venissero gestiti dalla loro divisione di appartenenza che era la Divisione Mercati - da Em.Gi. e Co.Tu., i quali a loro volta dissero che ciò era stato specificamente concordato con la Divisione Crediti; sempre il teste capo area Da. ricordava che il MA. in una o due occasioni lo aveva contattato per operazioni correlate ove il teste stesso aveva mandato contestualmente alla Divisione Crediti sia la pratica di finanziamento sia il modulo già compilato di acquisto delle azioni, restituendogli tali pratiche con il seguente rimprovero: "non voglio vedere queste cose qua, mandi la pratica in maniera corretta e le azioni le acquisti quando la pratica è stata deliberata". Il teste Se.Ro., dell'Ufficio Soci, affermava che, a seguito dell'ispezione della Banca d'Italia del 2012, il direttore generale So. e i vicedirettori GI. e MA. avevano raccomandato alla rete di fare in modo che la data di acquisto delle azioni fosse successiva alla data di delibera dei finanziamenti, ma ciò solo per evitare - a suo dire - sconfinamenti sul c/c. Il primo giudice affermava che vi era anche una prova documentale -rappresentata dal sopra illustrato file audio della registrazione dello svolgimento del Comitato di Direzione dd. 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.) - del fatto che la linea di indirizzo in tema di rispetto della sfasatura temporale nelle operazioni "baciate" fosse stata concordata con la Divisione Crediti diretta da Pa.Ma.; ne riportava al riguardo (cfr. pagg. 685-686 sentenza gravata) un lungo stralcio - a suo dire particolarmente eloquente - relativo a un dialogo tra lo stesso MA. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.. Il tribunale procedeva quindi a illustrare la ed. "campagna riqualificazione impieghi", deliberata dal CdA il 21.10.2014 (giusta doc. nr. 102 del P.M.) e presentata al Consiglio proprio da Pa.Ma.; trattavasi di un'iniziativa finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate - in sede di rinnovo o di revisione degli affidamenti - in base al peso percentuale delle azioni B. detenute dal cliente. Il primo giudice, sempre al fine dì illustrare il ritenuto protagonismo della posizione rivestita da Pa.Ma. nell'attuazione delle operazioni correlate, ricordava un episodio narrato da Um.Se., già direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu.: dalla capogruppo B. era giunta (su indicazione di Em.Gi. e Co.Tu. della Divisione Mercati, condivisa dalla Divisione Crediti nella persona di Pa.Ma.) una lista di nominativi ai quali la stessa Ba.Nu. avrebbe dovuto concedere affidamenti accompagnati dall'acquisto di azioni B. per un controvalore pari al 10-15-20% dell'intero affidamento; il teste Se., notando che alcuni dei nomi compresi nell'elenco corrispondevano a società sottoposte a procedura concorsuale, aveva parlato con Cl.Am. - della Divisione Crediti di B., subalterno del MA. - per chiedere spiegazioni; l'Am., dopo aver conferito con il suo superiore Pa.Ma., aveva replicato che Ba.Nu. doveva limitarsi a eseguire le direttive senza discuterle e che un tanto gli era stato detto dal MA.: "Guarda, il dottor Ma. mi ha urlato e mi ha detto che questa cosa la dovete fare. Punto e basta". Il collegio vicentino passava quindi ad illustrare gli estremi di una operazione correlata di finanziamento proposta personalmente nell'ottobre 2012 da Pa.Ma. a un imprenditore da lui conosciuto nel 2007 (quindi tre anni prima di entrare in B.), ossia Ez.Ci. del gruppo (...), del quale veniva acquisito in dibattimento ex art. 493 comma 3 c.p.p. il verbale delle s.i.t. rese il 24.10.2016. Il Ci. aveva dichiarato a s.i.t. che nell'occasione il MA. si era presentato a lui proponendogli di sottoscrivere azioni B. per complessivi 5 milioni di euro; alle perplessità del Ci., che aveva risposto di non disporre delle risorse a ciò necessarie. Il MA. aveva a sua volta replicato che B. avrebbe erogato un finanziamento di pari importo, a termine con scadenza di un anno, destinato ad essere garantito dalle stesse azioni B. che poi sarebbero state tenute in custodia dalla banca. Il Ci. si era risolto ad accettare la proposta dopo che MA. lo aveva rassicurato dicendogli che operazioni analoghe erano del tutto lecite ed erano state proposte anche ad altri imprenditori (da lui non nominati trattandosi a suo dire di notizia riservata); a ottobre 2013 detta operazione era stata rinnovata annualmente e così pure l'anno seguente. Nel maggio-giugno del 2013 B. aveva proposto al Ci. di partecipare all'aumento di capitale di quell'anno, il che anche in tal caso era avvenuto grazie a un finanziamento concessogli dalla stessa B.. Un pieno riscontro alle s.i.t. del Ci. era rappresentato - ad avviso del tribunale - dalla deposizione del teste Fr.Pi., capo area del distretto Veneto occidentale (indicato al Ci., nel racconto di questi, dal MA. come colui che avrebbe seguito la sua pratica, e così era stato). Il primo giudice individuava ulteriori elementi probatori del coinvolgimento a pieno titolo di Pa.Ma. nelle operazioni correlate effettuate da B. mediante c.d. "baciate" nelle deposizioni dei testi Gi.Gi., in B. con il ruolo di direttore regionale di Lombardia, Liguria e Piemonte (secondo il quale le pratiche di fido relative a operazioni "baciate" erano preannunciate alla Divisione Crediti e condivìse con i componenti di essa incluso il suo vertice MA., il quale partecipava altresì al comitato crediti ove pure veniva sempre evidenziata - dai componenti la Divisione Crediti che vi partecipavano - l'eventuale natura "baciata" delle pratiche di fido ivi presentate), e Fu.Bo., capo area (che rendeva sul punto dichiarazioni di analogo tenore), nonché in alcuni messaggi sms (in particolare il doc. nr, 653 del Pubblico Ministero, relativo a un sms del 27.9.2011, e il suo doc. nr. 655, relativo a un sms del 26.10.2012) nei quali il MA. ricordava al direttore generale So. di riferire al Presidente circa alcune rilevanti operazioni di capitale finanziato, indicandogli nominativamente i soggetti suscettibili di essere finanziati - effettivamente risultati tali in seguito - nonché, in molti casi, il relativo importo). Ulteriore elemento probatorio indicato dal primo giudice a carico del MA. erano le risultanze degli accertamenti interni svolti dall'audit di B. sul capitale finanziato, in particolare la nota 7.5.2015 dell'Internaf audit (doc. nr. 23 del Pubblico Ministero) nella quale si evidenziava tra l'altro come la maggior parte delle numerose posizioni correlate rinvenute nel portafoglio di Ro.Ri., gestore private della filiale di Contrà Porti, fossero state deliberate da organi collegiali su presentazione proprio di Pa.Ma. (87%) oppure fossero state deliberate dallo stesso responsabile della Divisione Crediti. Il collegio vicentino passava quindi a ricostruire le interlocuzioni avute dal MA. con la vigilanza, rinviando - quanto a quelle inerenti all'ispezione della Banca d'Italia del 2012 - all'apposito cap. IX della sentenza, interamente dedicato a tale ispezione. In particolare tanto il teste Ma.Pa. (nel riferire di due incontri interlocutori da lui condotti cui aveva partecipato il MA. nel luglio 2013, il primo assieme al segretario generale Ma.So. e il secondo assieme al direttore generale Sa.So.) quar°z(il teste Vi.Ca. (nel riferire dell'accesso da lui condotto da febbraio ad agosto 2014 nell'ambito dell'AQR - Asset Quality Review, ove si era stabilmente relazionato con il MA.) precisavano che in tali occasioni nessuno aveva fatto il benché minimo riferimento al ricorso all'assistenza finanziaria per il collocamento delle azioni. Il primo giudice indi illustrava la versione dell'imputato, resa in occasione dell'esame dibattimentale tenutosi nelle udienze dell'11 e del 16 giugno 2020, evidenziando come essa da un lato fosse difforme dalle stesse dichiarazioni rese dal MA. in sede di indagini preliminari (interrogatori del 28 aprile e del 2 maggio 2017) e dall'altro lato configgesse in più punti - ad esempio nella parte in cui egli affermava che la causale generica "acquisto valori mobiliari e immobiliari", in uso almeno dal 2006, fosse un mero espediente tecnico per garantire il perfezionamento del fido in quanto, a suo dire, non esisteva il prodotto "finanziamento per acquisto azioni", o nella parte in cui egli affermava di non essere mai stato informato del fatto che i finanziamenti fossero destinati all'acquisto delle azioni - con il sopra delineato quadro probatorio. Il primo giudice evidenziava come l'esame dibattimentale del MA. divergesse radicalmente dai suoi interrogatori resi in sede dì indagine preliminare, in particolare dall'interrogatorio del 28.4,2017 in relazione alla vicenda dell'Operazione Sorgente (in tesi accusatoria si trattava di un'operazione "baciata" attraverso la quale la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato un finanziamento di 25 milioni di euro alla società So. Ltd., facente parte del gruppo Mainetti, che era stato utilizzato per acquisto di azioni B. al fine di consentirne la dismissione dal fondo estero "(...)"). In sede di esame dibattimentale il MA. negava trattarsi di operazione correlata mentre durante le indagini preliminari l'aveva definita "un'operazione baciata imposta da PI. al So. (...) Sono venuto a conoscenza di questa operazione con la proposta di affidamento giunta in Divisione Crediti. Ho compreso che si trattava di un'operazione baciata in quanto la causale dell'affidamento era indicata con la generica dicitura di cui ho detto prima, "cogliere opportunità di mercato" o analoghe, e inoltre vi era l'impegno al deposito dei titoli presso B.". Che la versione rispondente al vero fosse quella resa dal MA. in sede di indagini preliminari - proseguiva il tribunale - lo si evinceva da due elementi di prova rappresentati dal più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014 (nella trascrizione prodotta dal Pubblico Ministero quale suo doc. nr. 110, cfr. ieri particolare sua pag. 43) e da una conversazione intercettata Io.-Ma. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. Il tribunale evidenziava altresì come un ulteriore assunto del MA. - secondo cui egli e il suo sottoposto Cl.Am. avevano disvelato agli ispettori della Banca d'Italia nel 2012 il carattere correlato delle operazioni effettuate da almeno una quindicina circa dei clienti dì cui alla lista dei primi trenta soci di B. - fosse stato smentito dalle deposizioni dei predetti ispettori (che avevano concordemente negato la circostanza) e non avesse trovato il benché minimo riscontro in atti. Né - significativamente, secondo il collegio vicentino - il MA., soggetto da ritenersi nel complesso del tutto inattendibile, aveva mai accennato a tale preteso disvelamento neppure nei suoi atti giudiziari relativi alle cause di lavoro e all'azione di responsabilità dinanzi al tribunale delle imprese. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono il primo giudice riteneva indubitabili il rilevante apporto causale concorsuale del MA. a tutti i reati ascrittigli (in base alla tabella n. 1 allegata al supplemento di consulenza tecnica del Pubblico Ministero dd. 14.11.2019 egli risultava avere partecipato consapevolmente alla fase deliberativa di finanziamenti correlati per un importo di circa 800 milioni di euro, di cui 414 milioni deliberati dal CdA su pratiche presentate dall'imputato, 160 milioni deliberati dal Comitato Crediti di cui il MA. era membro, 108 milioni deliberati dallo stesso MA. quale organo monocratico dotato di autonoma potestà deliberativa, 63 e 49 milioni rispettivamente deliberati dal Comitato esecutivo e dal Comitato Centrale fidi, anche in tal caso sulla base della presentazione di pratiche effettuata dal MA.) e il pieno ricorrere dell'elemento soggettivo del reato. 1.9.4 Pi.An. Con riferimento all'imputato Pi.An. il primo giudice preliminarmente procedeva a illustrare quali fossero le funzioni della Divisione Finanza (nella quale egli operava con tale qualifica dal 2009 oltre a rivestire in B. anche il ruolo di vice direttore generale); citava al riguardo il funzionigramma B. corrispondente alla produzione documentale nr. 261 del Pubblico Ministero. Le principali competenze della Divisione Finanza erano così descritte dal tribunale: - partecipare al coordinamento e allo sviluppo delle attività del mercato primario e secondario su comparti azionari e obbligazionari: - curare l'espletamento delle attività di natura amministrativa per la predisposizione dei prospetti informativi e l'emissione dei prestiti obbligazionari del gruppo, coordinandosi con le Unità competenti; - collaborare con la Divisione Mercati nell'adeguare i prodotti e i servizi finanziari da offrire alla clientela, sulla base delle esigenze/opportunità rilevate, tenendo conto delle linee guida definite dal Comitato Prodotti e Wealth Management; s all'interno della Divisione Finanza poi il nucleo "Documentation" si occupava di valutare l'adeguatezza e l'allineamento degli strumenti finanziari e dei processi alla normativa primaria (TUF, TUB, Regolamenti CONSOB e Banca d'Italia) e secondaria nonché alla normativa interna nella prestazione dei servizi d'investimento o comunque nello svolgimento dell'attività della Divisione Finanza, con precipuo riferimento alla materia dei servizi di investimento, supportando la divisione nei rapporti con le funzioni di compliance, legale, auditing e organizzativa; - l'Unità svolgeva inoltre un ruolo di supporto alle funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari, in conformità al dettato dell'art, 31 del Regolamento intermediari, nelle fasi di aggiornamento delle stesse; - partecipazione, per la parte di competenza della Divisione Finanza, alla redazione della relazione per le Autorità di vigilanza sulle procedure di svolgimento dei servizi di investimento; s assicurare l'informativa e le segnalazioni istituzionali di propria competenza, coordinandosi con le Unità competenti. Il primo giudice affermava (cfr. pag. 703 sentenza gravata) che dall'istruttoria dibattimentale era emersa "la prova del ruolo svolto da An.Pi. in alcune operazioni di capitale finanziato di rilevante importo effettuate attraverso la controllata irlandese B.Fi. e nella sottoscrizione dei fondi lussemburghesi utilizzati come strumento di detenzione indiretta delle azioni proprie da parte della banca vicentina, in particolare - attraverso i fondi esteri - nell'ambito dell'iniziativa svuota fondo 2012 furono collocati 60 milioni di euro di azioni B.". Nel passare in rassegna gli esiti dell'attività istruttoria il collegio vicentino individuava plurime condotte ritenute penalmente rilevanti a carico del PI. e in particolare: - operazioni di capitale finanziato effettuate, estero su estero, dalle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" - tre società denominate Ma., Ju. e Br. - tanto nel 2012 (in occasione della relativa campagna svuota fondo) quanto nel 2013 (in occasione dell'aumento di capitale di quell'anno). Per la precisione - in base alla ricostruzione effettuata in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma., riscontrato dalle deposizioni rese dai testi Gi.Gi. (in B., come detto, con la veste di direttore regionale per Lombardia-Liguria-Piemonte) e Pi.Ra. (d.g. di B.Fi.) - nel novembre/dicembre 2012 la controllata irlandese B.Fi., il cui direttore era il teste Pi.Ra., risultava avere erogato tre fidi c.d. "bullet", di 10 milioni di euro l'uno, alle suddette società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali a loro volta avevano girato la liquidità cosi ricevuta a tre società italiane neocostituite e denominate Pe. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime (facenti capo al gruppo Fi., il cui direttore finanza era Ma.Sb.) avevano provveduto ad acquistare azioni B. per importi corrispondenti ai finanziamenti erogati. Indi, nel luglio 2013, la controllata irlandese B.Fi. aveva erogato nuovi finanziamenti per 3 milioni di euro alle tre società lussemburghesi denominate Ma., Ju. e Br., le quali anche in tale occasione avevano girato la liquidità così ricevuta alle tre società italiane denominate Pe.In. Srl, Lu.In. Srl e Gi.In. Srl; queste ultime a loro volta avevano sottoscritto azioni e obbligazioni convertibili per un ammontare equivalente; i testi Gi. e Ra. avevano delineato il ruolo attivo dell'imputato PI. in entrambe le operazioni (la cui istruttoria era stata seguita dalla Divisione Crediti della capogruppo B.) e in particolare il teste Ra., direttore della controllata irlandese B.Fi., aveva indicato il PI. come colui che gli aveva richiesto di impostare i suddetti finanziamenti, affermando altresì essersi trattato di operazioni atipiche per B.Fi., la quale generalmente finanziava aziende produttrici dì beni e non concludeva operazioni strettamente finanziarie (cosa questa obiettata dal Ra. al PI., il quale tuttavia gli aveva replicato - nella prima delle due occasioni - che occorreva fare l'operazione "per aiutare la banca a comprare le proprie azioni" e riuscire così a svuotare il fondo acquisto azioni proprie entro la fine dell'anno 2012). Un altro teste, Gi.Fe., direttore della Divisione Compliance, ricordava che, nel corso di un'attività ispettiva svolta dalla Compliance a Dublino nel 2013 nei confronti di B.Fi., i finanziamenti concessi alle "tre sorelle" lussemburghesi erano emersi, il che lo aveva indotto a rivolgersi al direttore generale So. che a sua volta lo aveva indirizzato al PI.; questi aveva rassicurato il Fe. dicendogli che in quel periodo B. stava acquistando molte azioni (...) e che in contropartita la Save stava comprando azioni B.; s investimento della somma complessiva di 350 milioni di euro (di cui 200 milioni investiti dalla capogruppo B., 100 per ciascun fondo, e i restanti 150 milioni investiti dalla controllata irlandese B.Fi. in due fondi lussemburghesi denominati "(...)" e "(...)" (sotto-fondi (...) Multistrateqy I e II). utilizzati quale strumento di detenzione indiretta delle azioni di B. (per tale tramite nel 2012 erano state concluse operazioni c,d. "svuota fondo" - atte cioè ad alleggerire il fondo acquisto azioni proprie di B. - del valore di 60 milioni di euro). La delibera di investimento nei fondi in oggetto, adottata dal CdA di B. in data 21.2.2012 (in atti quale doc. n. 325 del Pubblico Ministero), era stata sottoscritta dal PI. quale responsabile della Divisione Finanza dopo che lo stesso aveva illustrato al CdA i termini dell'operazione, a sua volta in precedenza pianificata nel corso di una riunione tenutasi il 5.12,2011 tra Ma.So., Fi.Ro. e An.Pi. per B. e la coppia di rappresentanti del fondo "(...)" formata da Al.Ma. - sentito quale teste ex art, 507 c.p.p. su richiesta della difesa del PI. - e Gi.Ma.. Ciò risultava dalle deposizioni del teste ispettore Gi.Ma., dei testi Ma.So. e - soprattutto - Fi.Ro. nonché dai messaggi sms (in atti quale doc. nr. 311 del P.M.) intercorsi nel novembre 2012 - pochi giorni prima della sottoscrizione dei contratti con i fondi lussemburghesi "(...)" e "(...)" avvenuta il 28.11.2012 - fra An.Pi. e i gestori dei fondi stessi. Subito dopo aver ricevuto tali capitali i due fondi "(...)" e "(...)" avevano comprato azioni B.. Secondo il tribunale vicentino il fatto che tale investimento di B. nei fondi lussemburghesi - lungi dall'indicare un interesse di questi ultimi a diventare soci della banca, come ammesso, secondo il teste Fi.Ro., anche dal direttore generale So. durante il comitato soci del 18.12.2012 - fosse stato puramente strumentale all'esigenza della stessa banca dì svuotare il proprio fondo acquisto azioni emergeva non soltanto dalla stretta consequenzialità temporale fra tutte le operazioni come sopra descritte ma altresì dalla deposizione dello stesso teste Fi.Ro. (facente parte dell'Ufficio Soci di B.), che ricordava di avere assistito al riguardo - nel novembre 2012 -a un breve incontro sul tema tra il direttore generale Sa.So., il responsabile della Divisione Mercati Em.Gi. e il responsabile della Divisione Finanza An.Pi. (nell'occasione il So., secondo la ricostruzione del teste Ro., aveva esposto la necessità di svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B. per un ammontare di 100 milioni di euro; il PI. si era Impegnato a effettuare operazioni "svuota fondo" per 60 milioni di euro e il GI. aveva assicurato che avrebbe fatto altrettanto per un valore di 40 milioni di euro). Sempre il teste Ro. affermava che, come preannunciatogli dall'imputato PI., egli era stato contattato poco prima della fine del 2012 dagli intermediari dei fondi (per il fondo "(...)" trattavasi del broker inglese Ma.Sp.; l'operazione sul piano amministrativo era stata gestita per Ma.Sp. da Ti.Ch., anch'egli sentito come teste); - di questi, gli investimenti nel sotto-fondo (...) Multistrategy II erano stati posti in essere, come sopra accennato, dalla controllata irlandese B.Fi.. Nel luglio 2013 il CdA della capogruppo B. aveva infatti ampliato il portafoglio di investimento della controllata irlandese B.Fi. portandolo dalla somma di 35 milioni a quella di 300 milioni di euro, dei quali 150 milioni erano stati dalla stessa controllata investiti, nei due mesi seguenti, nel sotto-fondo (...) Multistrategy II in due tranche rispettivamente da 100 e da 50 milioni di euro; tale investimento era avvenuto - in base alla deposizione del teste Pietro Ra., direttore di B.Fi. - su precisa indicazione di An.Pi., il quale, sempre a detta del Ra. (che evidenziava altresì l'anomalia dell'ingente importo degli investimenti in un singolo fondo rispetto a quanto era usuale per B.Fi. nonché l'anomalia relativa alla non visibilità dei sottostanti), aveva messo quest'ultimo in contatto con Gi.St. (membro del CdA di (...) Evolution Fund SIF e funzionario senior di (...) Asset Management), soggetto che - citato a deporre quale teste dalla difesa del PI. nel presente procedimento con le garanzie ex art. 210 c.p.p. in quanto indagato per reato connesso di bancarotta fraudolenta a seguito della dichiarazione di insolvenza di B. - si era avvalso della facoltà di non rispondere. Dal canto suo il teste Pi.Ra. - che aveva evidenziato una progressivamente crescente ingerenza di B. nell'autonomia gestionale di B.Fi. - affermava di essere stato rassicurato dal PI. circa le sue perplessità e preoccupazioni derivanti dalle anomalie come sopra illustrate. Le articolate modalità della successiva dismissione (avvenuta nel corso del 2014, in parte mediante operazione di equity swap in compenso tra azioni B. e azioni Veneto Banca) delle azioni B. detenute dai fondi esteri in oggetto venivano illustrate dal collegio vicentino alle pagg. 712-713 della gravata sentenza (la dismissione, accertata in sede ispettiva, era riscontrata - al pari del ruolo svolto in essa da An.Pi. - anche dalle dichiarazioni del teste Ro.Ri., gestore private della filiale B. di Contrà Porti); s operazione correlata di finanziamento effettuata in favore della società So. Ltd. (appartenente al gruppo MainettO attraverso la controllata irlandese B.Fi., che le aveva erogato un fido c.d. "bullet" per un importo di circa 25 milioni di euro. Con tale liquidità la So. Ltd. a sua volta aveva acquistato, nel dicembre 2014, 13,5 milioni dì euro di azioni B. dal fondo "(...)" di milioni di euro di azioni B. dal fondo "(...)". Il tutto emergeva dall'ispezione BCE del 2015 e anche in questo caso - osservava il primo giudice - il ruolo centrale nell'organizzazione della relativa operazione era stato rivestito da An.Pi., secondo quanto dichiarato in sede dibattimentale dai testi Pi.Ra. - direttore della controllata irlandese B.Fi. - e Wa.Ma., amministratore delegato del gruppo So. (quest'ultimo precisava che era stato il PI. a proporgli un finanziamento di 25 milioni di euro "siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni" e affermava che, vinta la propria iniziale perplessità, alla fine aveva accettato); un solido riscontro a tali deposizioni - e non solo ad esse ma altresì, ad esempio, al coinvolgimento del PI. nella decisione della banca di ricorrere alle lettere di impegno nonché al suo attivarsi per reperire una soluzione atta a consentire la dismissione delle azioni B. detenute dai fondi - era individuato dal primo giudice nel più volte menzionato file audio del Comitato di Direzione tenutosi in data 10.11.2014 (doc. nr. 110 del P.M.); un ulteriore riscontro veniva individuato nella conversazione intercettata Io./MA. recante il n. progr. 478 dell'8.9.2015. A tutto ciò si aggiungeva la deposizione resa da Al.Ma. - fondatore di (...) Asset Management - il quale, sentito come teste ex art, 507 c.p.p., su richiesta della difesa del PI., confermava che i fondi (...) Multistrategy I e II erano stati costituiti nell'interesse esclusivo di B. quale unico investitore del fondo. Il tribunale vicentino proseguiva la propria disamina indicando come dimostrati anche gli investimenti, operati dai fondi esteri in questione, su indicazione del PI., in obbligazioni emesse da società legate ai gruppi imprenditoriali Ma., Fu. e De., già fortemente esposti nei confronti di B.; contestualmente anche gli impieghi in equity risultavano essere stati indirizzati, su indicazione dello stesso PI., nei confronti di società illiquide clienti di B.: la Me.Ca. SpA (legata ad Al.Ma.) e la Ital-Finance SpA (riconducibile al gruppo De Gennaro). Inoltre - notava il primo giudice - il PI. risultava coinvolto più in generale nell'intera illecita operatività di B., risultando egli essere stato fra l'altro presente (giusta appunti manoscritti redatti dal teste Ma.So., in atti quale doc. nr. 389 del P.M.) al Comitato di Direzione tenutosi l'8.11.2011 nel quale erano stati effettuati inequivoci riferimenti alle c.d. operazioni "baciate" quale strumento da adottare per svuotare il fondo acquisto azioni proprie di B.. Allo stesso modo, sempre secondo la ricostruzione operata dal primo giudice, il PI. doveva ritenersi coinvolto anche nel rilascio delle lettere di impegno da parte di B. oltre che in altre operazioni di capitale finanziato, come riferito dai testi An.Fa. (imprenditore del settore tessile) ed Ed.Ta. (altro imprenditore). Ancora, il teste Ma.So. aveva riferito di avere presenziato a un colloquio tra il direttore generale So. e il PI. su come strutturare "operazioni volte ad acquisire capitale" con l'imprenditore Luca Fe.ni (sentito a sua volta quale teste) e con il Fondo Ag. (in quest'ultimo caso l'operazione - ricostruita in dibattimento dal teste ispettore Gi.Ma. -in sede ispettiva non era stata considerata finanziata pur essendo assistita da una lettera di impegno). Il collegio vicentino richiamava altresì l'episodio della società di revisione K. (già esaminato sopra in relazione alla posizione dell'imputato GI.) evidenziando come, in base alla deposizione resa dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale di B., risultasse essere stato presente anche il PI. - assieme al direttore generale So. e al responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. - a una riunione convocata a seguito delle richieste dì delucidazioni rivolte alla banca da K.; nell'occasione, come già detto, l'avv. Pa. si era rifiutata di fornire il parere legale richiestole, suggerendo invece al So. (che aveva reagito in malo modo) di fare subito un audit, al che il PI. - come già evidenziato supra - aveva, a suo dire, ribattuto: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa". L'imputato PI. risultava aver fatto parte anche della già citata "Task Force Gestione Soci" costituita e attivata - ufficialmente - a seguito dell'entrata in vigore del Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR) e del Regolamento Delegato UE n. 241/2014 nonché del D.L. n. 3/2015; la costituzione di tale Task Force trasversale alle varie Divisioni, che avrebbe dovuto reperire e adottare misure atte a ripristinare l'interazione con la base sociale attraversata da crescente disorientamento e scontento, era stata preceduta da una documentata riunione operativa tenutasi il 24.4.2015 (il relativo resoconto è in atti quale doc. nn. 525 del P.M.). In realtà - proseguiva il primo giudice - la partecipazione e il coinvolgimento del PI., responsabile della Divisione Finanze, nella Task Force in questione apparivano funzionalmente eccentrici rispetto agli scopi di essa e si spiegavano solo "in ragione dei suo coinvolgimento in tutti gli aspetti relativi all'anomala operatività della banca" (cfr. pag 724 sentenza gravata). Il primo giudice si diffondeva altresì sulle occasioni nelle quali il PI. aveva avuto interlocuzioni con la vigilanza. Per la precisione si trattava di due riunioni interlocutorie tenutesi nel 2013 (durante la fase preparatoria dell'aumento di capitale di quell'anno) e nell'autunno del 2014 (allorquando erano emerse le problematiche relative ai riacquisti effettuati da B. nonché al deficit patrimoniale a seguito del Comprehensive Assessment). Il tribunale affermava che in ambedue le occasioni il PI. aveva fornito alla vigilanza indicazioni false e fuorvianti circa i livelli di patrimonializzazione di B.; era stato altresì omesso in tali occasioni qualsiasi accenno agli squilibri del capitale azionario e al fenomeno del capitale finanziato. Sulla prima riunione interlocutoria, tenutasi il 27 marzo 2013 su richiesta j della stessa B. (e alla quale avevano partecipato per la banca il direttore° generale Sa.So., il segretario generale Ma.So., il responsabile della Divisione Pianificazione e Bilancio Ma.Pe. e per l'appunto il responsabile della Divisione Finanza An.Pi.), il teste Ma.Pa. - nel precisare che si trattava dì una riunione finalizzata a fornire, da parte della banca, aggiornamenti circa gli interventi pianificati per rafforzare il livello di patrimonializzazione del gruppo - aveva affermato che gli esponenti di B. gli avevano illustrato le caratteristiche principali dell'operazione programmata; queste ultime corrispondevano a quelle dell'aucap 2013 poi effettivamente realizzato, compresa la "campagna soci volta all'ampliamento della base azionaria (Euro 100 mln)", con "associata l'erogazione di finanziamenti, ai sensi dell'art. 2358 c.c. riservata ai nuovi soci. Sempre secondo il teste Pa., inoltre, tanto il PI. quanto il PE. avevano dimostrato di essere già a conoscenza del fatto che il capitale sottoscritto mediante finanziamenti concessi dalla banca non potesse essere computato ai fini del patrimonio di vigilanza se non nella quota del finanziamento nel frattempo oggetto di rimborso. A null'altro di quanto fino a quel momento accaduto si era fatto cenno, da parte dei predetti, in tale prima riunione come pure nella seconda riunione, tenutasi il 20.10.2014 tra Banca d'Italia e B. (in rappresentanza di quest'ultima erano stati presenti if PI. e il PE.). In base alla deposizione del teste ispettore Em.Ga., poi, risultava un contegno estremamente reticente del PI. in relazione alla sua conoscenza di quali investimenti fossero sottostanti ai fondi esteri dei quali sopra si è detto. Interpellato al riguardo dal team ispettivo il PI. si era limitato a giustificare tale assenza di informazioni con la reticenza dei gestori. Era stato allora rappresentato al direttore generale So., da parte della vigilanza, che in caso di mancata disclosure degli investimenti sottostanti si sarebbe scomputato l'intero importo di Euro 350 milioni dal patrimonio di vigilanza, al che le informazioni richieste erano prontamente pervenute. Il tribunale vicentino, dopo aver illustrato i contenuti della deposizione resa dal teste Massimo Castelluccio - all'epoca dei fatti in forza alla Divisione Finanza e dunque subalterno del PI. - circa le modalità della predisposizione dei documenti di offerta, passava in rassegna i contenuti di alcune conversazioni telefoniche e messaggi sms oggetto di intercettazione, contenenti, a suo avviso, significative ammissioni dello stesso PI. in ordine al proprio pieno coinvolgimento nei fatti per i quali qui si procede: conversazione progr. n. 360 dell'1.9.2015 tra il PI. e Mo.An.di UBS; messaggi sms scambiati il 3 maggio 2015 dal PI. con Em.Gi. (il primo scriveva ivi al secondo: "Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"). Indi il primo giudice illustrava i contenuti della versione dei fatti resa dall'imputato PI. - in sede di esame dibattimentale dd. 3.3.2020 - sui vari temi sopra ampiamente passati in rassegna (fra questi: prassi gestionale dei finanziamenti correlati, a suo dire appresa solo a seguito dell'ispezione BCE; lettera di impegno al riacquisto rilasciata all'imprenditore tessile Fa., in relazione alla quale il PI. sosteneva di avere detto all'imprenditore - che la pretendeva - di non poter fare nulla e di essersi limitato per parte sua a metterlo in contatto con il direttore generale So., che in effetti risultava essere il sottoscrittore della lettera di impegno poi concretamente emessa; operazione "So.", in relazione alla quale il PI. sosteneva non trattarsi di una operazione correlata; triangolazione coinvolgente le società c.d. "tre sorelle lussemburghesi", in relazione alla quale il PI. sosteneva di non aver mai saputo che alle anzidette società fosse stato erogato un finanziamento correlato per l'acquisto di azioni, scoprendolo solo dopo l'erogazione, allorquando si era avveduto che nel portafoglio titoli delle società stesse vi erano azioni B.; episodio, già più volte citato, dello scontro con l'avv. Pa. dell'ufficio legale di B. riguardo alla vicenda della società di revisione K., in relazione alla quale il PI. sosteneva di essersi limitato a dire alla Pa. che, come dirigente dell'ufficio legale alla quale era stato richiesto di redigere un parere, si sarebbe dovuta assumere le sue responsabilità; vicenda fondi "(...)" e "(...)", in relazione alla quale il PI. affermava che si era trattato di un'idea del direttore generale So. in vista dell'aucap 2013, che comunque i fondi erano stati sottoscritti dal So. sulla base del parere favorevole tanto dell'ufficio legale quanto della compliancet che in relazione alla seconda delle due operazioni egli si era limitato a presentare Gi.St. di (...) Asset Management al direttore generale della controllata irlandese B.Fi., Pi.Ra. e che, - in ogni caso - egli non era stato mai coinvolto dai fondi nella scelta degli investimenti sottostanti). Secondo il collegio vicentino tutte le anzidette affermazioni di esclusione della propria responsabilità rese dal PI. in sede di esame trovavano smentita nel complesso delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale come sopra passate in rassegna nel ricostruire i vari episodi ritenuti dallo stesso primo giudice idonei a rivestire rilevanza penale a carico dell'imputato. Quanto poi alla linea difensiva del PI. riguardo a numerosi fra i testi a suo carico (in particolare i testi Pi.Ra. e Fi.Ro.), ossia che si sarebbe trattato di testi del tutto inattendibili perché interessati a incolpare lo stesso PI. pur di allontanare ogni sospetto nei loro confronti, il tribunale ribatteva che le loro deposizioni risultavano munite di plurimi riscontri, indicati nel dettaglio alle pagg. 730-732 della gravata sentenza, 1.9.5 Pe.Ma. Con riferimento a Pe.Ma. il primo giudice - dopo avere richiamato l'ipotesi d'accusa, secondo la quale costui avrebbe concorso nei reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza nella sua qualità di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili rilevanti nella prassi aziendale della concessione dì finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni B. ed avrebbe, altresì, fornito un concreto contributo alla realizzazione dei reati di falso in prospetto in ragione della sua responsabilità nella gestione degli adempimenti contabili e nella predisposizione delle segnalazioni all'autorità di vigilanza - evidenziava come l'imputato, nel periodo d'interesse 2011-2014, avesse ricoperto l'incarico di responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione nonché quello di dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili, donde la sua estraneità alla esecuzione delle operazioni di capitale finanziato. La responsabilità del PE., pertanto, avrebbe richiesto la verifica, per un verso, "a monte", della consapevolezza, in capo al predetto, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno in esame; e, per altro verso, "a valle", dell'apporto da questi fornito alla realizzazione delle attività delittuose attraverso la predisposizione di documenti, diretti al mercato ed alle autorità di vigilanza, contenenti informazioni caratterizzate dall'occultamento di detto fenomeno. Sotto il primo profilo il tribunale premetteva una analitica individuazione del ruolo concretamente svolto dall'imputato all'interno delia compagine bancaria, sottolineando come il PE., nella sua qualità di direttore della suddetta Divisione, dipendesse gerarchicamente dal solo d.g. So.. Nella sua qualifica di dirigente preposto, poi, il predetto riferiva direttamente al CdA per il tramite del comitato di controllo. Più nel dettaglio, l'imputato costituiva il vertice di una divisione che comprendeva due uffici di staff (l'ufficio studi e lo staff del dirigente preposto), disponeva di ben 75 unità e che, attraverso le sue articolazioni (segnatamente attraverso la Direzione Pianificazione Strategica, diretta da An.Fa.), svolgeva una pluralità di attività che andavano dal supporto alla direzione generale nella redazione dei piani economici pluriennali e dei budget annuali di tutte le strutture della banca, alla gestione dei rapporti con le società di consulenza e con la struttura dell'esperto indipendente incaricato annualmente di effettuare la valutazione dell'azione; dal monitoraggio teso a verificare il rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione agli attivi ponderati (RWA) e all'andamento del fondo acquisto azioni proprie, al controllo costante dell'andamento della rete commerciale (verificato attraverso l'attività dell'ufficio CRM). Per il tramite della Direzione Ragioneria Generale - diretta da Lu.Tr. e facente parte anch'essa della Divisione Bilancio - poi, venivano curati gli adempimenti fiscali, gestita la contabilità, predisposto il bilancio di esercizio e quello consolidato e, infine, redatte le segnalazioni all'autorità di vigilanza. Ebbene, in un contesto tanto articolato era giocoforza che il PE. svolgesse un ruolo di coordinamento, occupandosi anche di assicurare una garanzia di coerenza fra i dati gestionali e quelli contabili, mentre la gestione dei dati di dettaglio e le attività correnti erano necessariamente demandate alla struttura nel suo complesso, adeguatamente dotata di risorse umane (numerose unità; plurimi dirigenti) e materiali. Quanto, poi, alle funzioni attribuite al dirigente preposto (figura prevista e disciplinata dall'art. 154 bis TUF), tale soggetto si occupava non già della redazione materiale dei documenti contabili societari, bensì della "predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione del bilancio di esercizio e, ove previsto, del bilancio consolidato, nonché di ogni altra comunicazione di carattere finanziario" (art. 154 bis co. 3). Inoltre a costui competeva attestare la corrispondenza degli atti e delle comunicazioni "alle risultanze documentali ai libri e alle scritture contabili", come previsto dall'art. 154 bis TUF. Nello specifico, all'interno di B., in linea con la normativa di riferimento, la figura del dirigente preposto era disciplinata dal "Modello del Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari"; modello che prevedeva che ciascuna funzione aziendale di controllo trasmettesse al dirigente preposto i risultati delle verifiche di propria competenza. Di qui la necessità, affinché il dirigente preposto potesse svolgere correttamente il proprio ruolo, della correttezza e veridicità delle informazioni che ciascuna struttura aziendale trasmetteva al suddetto dirigente. Tanto premesso, nessuno degli organi di controllo (collegio sindacale, audit, organismo di vigilanza, compliance) - precisava il primo giudice - aveva segnalato al PE. l'esistenza dì prassi scorrette nell'operatività del mercato interno delle azioni proprie. Quando il responsabile dell'Internal audit Ma.Bo. aveva tentato di portare a compimento la prima attività ispettiva sui finanziamenti correlati, infatti, era stato bloccato dal d.g. Sa.So., il quale gli aveva impedito di divulgare il relativo report. Il collegio sindacale, dal canto suo, pur avendo ricevuto vari segnali (sul punto il riferimento specifico del tribunale era al caso del socio Dalla Grana), non aveva effettuato alcuna comunicazione in proposito. Altrettanto doveva dirsi per la funzione di compliance che, chiamata a gestire la vicenda Vi., non aveva segnalato nulla al riguardo. In definitiva, nessuna informazione in ordine al fenomeno delle operazioni correlate era pervenuta al PE. attraverso i canali istituzionali. Né tale fenomeno era stato percepito nell'ambito dell'attività - parimenti di competenza della Divisione facente capo all'imputato - di gestione della contabilità adottata dalla banca. Il teste Lu.Tr., infatti, aveva dichiarato di avere appreso per la prima volta del fenomeno del capitale finanziato nel marzo del 2015, nel corso di una riunione tra le società di revisione e il collegio sindacale in vista della redazione della relazione al bilancio 2014. Prima di allora, infatti, secondo tale teste, il suddetto fenomeno non era rappresentato nei sistemi contabili, né era comunque noto alla struttura, né, infine, vi erano possibilità che potesse essere rilevato dalla Ragioneria Generale attraverso l'analisi dei dati disponibili. Inoltre, neppure erano emersi elementi che consentissero di concludere che il PE. avesse acquisito aliunde (rispetto ai canali istituzionali) la consapevolezza circa l'operatività dei finanziamenti correlati. Anzi, in senso opposto orientavano le deposizioni dei testi An.Fa., Lu.Tr. e Al.Mo.. Del teste Tr. si è già detto. Il teste Fa., dal canto suo, aveva riferito di avere appreso delle operazioni correlate solo nel corso della ispezione BCE del 2015, precisando che anche il PE., fino ad allora, si trovava nella medesima situazione di ignoranza del fenomeno in questione. Il teste Mo., infine, aveva sostenuto che prima dell'ispezione vi fosse consapevolezza delle "baciate" ma non della loro diffusività e, con riferimento al PE., aveva precisato che costui era a conoscenza solo dello slogan del d.g, Sa.So. secondo il quale ogni cliente affidato avrebbe dovuto possedere azioni B. pari almeno al 10% del finanziamento. Aggiungasi che anche il teste Ma.Li. - all'epoca vicedirettore di Ba.Nu. ed in rapporto di wbuona colleganza" con l'imputato durante la precedente esperienza in B. - aveva dichiarato di avere avuto con costui un colloquio confidenziale nel mese di aprile 2015 (ovverosia in piena ispezione BCE e poco prima dell'avvio della Task Force voluta dal d.g. So.) traendone la convinzione che l'imputato non fosse a conoscenza "di questa rilevanza del problema". Anche la vicenda della comunicazione delle 17 posizioni sospette da parte di K. e la deposizione dell'avvocato Pa. (vicenda oggetto di puntuale ricostruzione da parte del primo giudice alle pagg. 746-748 della sentenza) deponevano tanto per la mancata consapevolezza, in capo al PE., dell'entità del problema del capitale finanziato (problema del quale lo stesso imputato, apprendendone in occasione della qui più volte menzionata riunione nell'ufficio del So., si era poi dimostrato seriamente preoccupato, al pari della suddetta Pa.), quanto per l'estraneità del medesimo PE. rispetto alle macchinazioni tese ad occultarlo. Analoghe conclusioni dovevano trarsi, ad avviso del tribunale, con riferimento alla disclosure sui fondi "(...)" e "(...)". In proposito era stato dall'ufficio del PE. che era partita la richiesta di disclosure sui sottostanti dei fondi (richiesta, peraltro, più volte ripetuta, come precisato dal teste Lu.Tr.). Quindi, in presenza di una risposta solo parziale, l'ufficio ricompreso nella Divisione diretta dall'imputato aveva applicato il trattamento previsto dalla normativa, segnalando l'intera esposizione verso quei fondi come una "esposizione sconosciuta". Peraltro, quando, successivamente, era entrato in vigore il CRR che imponeva alla banca di avere piena conoscenza anche degli investimenti sottostanti, era stato proprio l'imputato a segnalare che, in difetto di disclosure, l'istituto avrebbe dovuto detrarre integralmente l'intero investimento dal CET 1 e solo per effetto di tale segnalazione era stato finalmente comunicato l'investimento in azioni B., come segnalato dal teste ispettore Em.Ga.. Anche l'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014 - allorché questi non si era affatto allineato alle valutazioni del prof. Bi. in ordine al valore da assegnare all'azione, ma, al contrario, aveva mosso delle critiche al riguardo - deponeva in senso favorevole all'imputato. Ove costui fosse stato coinvolto nell'illecita operatività del capitale finanziato, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che non dissentisse rispetto alla metodologia applicata nella stima del valore del titolo. Né, a fronte di tali plurime emergenze probatorie favorevoli, gli elementi valorizzati in senso contrario dal P.M. potevano legittimare differenti conclusioni circa la consapevolezza, da parte del PE., del fenomeno in esame. Non l'episodio del Comitato di Direzione dell'8 novembre 2011, nel quale pure v'era prova che si fosse parlato delle "operazioni baciate" in presenza del PE., poiché l'affermazione fatta, nell'occasione, da costui, secondo quanto riportato negli appunti del teste Ma.So. ("Avrei bisogno di 110 milioni andare a 8 con capitalizzazione dell'utile trimestrale") e, più in generale, ciò che era stato sostenuto nel corso della riunione, anche dal d.g. So. ("dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di Banca d'Italia e del Consiglio di Amministrazione"), non consentivano di concludere che il medesimo PE. fosse consapevole delle specifiche caratteristiche di quella tipologia di operazioni, né della diffusività del fenomeno e, quindi, della sua incidenza sul patrimonio della banca. Tutt'altro che inverosimile, infatti, appariva quanto sostenuto, al riguardo, dallo stesso imputato, là dove il predetto aveva precisato di non avere dato adeguato peso agli interventi effettuati, in tale occasione, dal Se. e dal Tonato in quanto, all'epoca, neppure conosceva il significato della parola "baciata". Peraltro - precisava il primo giudice - a tale riunione era stata presente anche l'avv. An.Pa., la quale tuttavia aveva dichiarato di essere venuta a conoscenza del fenomeno solo nel 2015, in occasione della citata comunicazione della società di revisione K.. Non le dichiarazioni rese dal teste So. - sebbene costui avesse narrato di colloqui con figure apicali dell'istituto nei quali si era fatto ripetutamente riferimento alle "baciate" a partire dagli anni 2010-2011 - in quanto detto teste non aveva riferito di colloqui intercorsi, a tale specifico riguardo, con il PE.. E neppure le deposizioni - sostanzialmente analoghe e, comunque, assolutamente vaghe ed incerte - rese dei testi Gi.Am., Al.Ba. e Co.Tu.. Quanto, poi, al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (del quale nel corso dell'istruttoria dibattimentale era stata ascoltata la registrazione audio), il primo giudice precisava, per un verso, che si era trattato di riunione alla quale il PE. non aveva partecipato (in quanto si trovava a Francoforte) e, per altro verso, che il riferimento alla necessità di confrontarsi con il predetto, nell'occasione chiamato in causa da GI. ("... però dobbiamo confrontarci con Ma..."), costituiva un elemento insuscettibile di univoca lettura. Era lecito ipotizzare, infatti, che il predetto GI. - come, peraltro, da questi sostenuto - intendesse riferirsi alla necessità di "tagliare gli attivi", donde, in questa prospettiva, la regolarità del coinvolgimento del PE., in quanto titolare della Divisione "competente in materia". Inoltre, con riferimento alla deposizione rese dal teste Co.Tu. in relazione alla riunione del 7 gennaio 2015 (deposizione nel corso della quale detto testimone, dapprima, aveva riferito che si era trattato della prima occasione nella quale sì era parlato di "baciate" anche in presenza di PE. e successivamente, in sede di controesame, aveva smentito le precedenti dichiarazioni, negando che nel corso di questo incontro fosse stato affrontato tale argomento), si era evidentemente in presenza, ad avviso del primo giudice, di un contributo dichiarativo del tutto inattendibile. Infine il tribunale esaminava la tesi del coimputato GI. (tesi secondo la quale: il fenomeno del capitale finanziato era noto a tutti all'interno della banca; lo stesso GI. ne ignorava la dimensione; il medesimo dichiarante aveva confidato nella regolare appostazione a bilancio dei dati relativi a detto fenomeno) evidenziandone: - per un verso, il contrasto con gli elementi probatori in precedenza citati; ° per altro verso, la intrinseca contraddittorietà (posto che non era dato comprendere cosa avrebbe dovuto appostare a bilancio la ragioneria se neppure il GI. era a conoscenza di dati precisi al riguardo e se difettavano flussi informativi interni sul punto); - e, peraltro verso ancora, la palese illogicità (in quanto la contabilizzazione di tale fenomeno avrebbe vanificato la finalità di evitare la decurtazione del valore delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza). In definitiva - concludeva il primo giudice - il compendio probatorio non consentiva di giungere all'affermazione di responsabilità del PE.. Non solo l'imputato era del tutto estraneo alla strutturazione dell'operatività delle c.d. "baciate", ma neppure era provato che fosse consapevole di tale fenomeno. Al più erano emerse una vaga e generica conoscenza, da parte del predetto, della tematica in esame e la conseguente sottovalutazione della serietà delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, non già la consapevolezza delle caratteristiche e della diffusività della illecita operatività in esame, necessarie per fondare l'elemento psicologico dei reati oggetto di addebito. Di qui l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato 1.9.6 Zi.Gi. Con riferimento alla posizione processuale di Zi.Gi., al quale era addebitato il concorso nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto (concorso estrinsecatosi nell'avere egli avallato la prassi aziendale del capitale finanziato, avendo compiuto per il tramite di Ze. s.r.l. operazioni di tale natura), il tribunale premetteva, alla stregua della deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma., la seguente ricostruzione delie operazioni riferibili all'imputato: - il 13 novembre 2012 il CdA aveva deliberato ex art. 136 TUB un affidamento di 12,5 milioni di euro in favore di Ze. s.r.l.. La causale era: "cogliere eventuali opportunità sia nel settore industriale che nel settore finanziario, nello specifico è in fase di avanzata trattativa l'acquisizione di un rilevante pacchetto di quote di Ar.Li. s.p.a. sono inoltre nell'intenzione degli imprenditori ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora nel complesso definiti". Il fido era stato accreditato il 21 novembre e, lo stesso giorno, era stato effettuato un giroconto di 10 milioni di euro utilizzati per l'acquisto di azioni B. per un pari importo; - quindi, nel luglio del 2013, la Ze. S.r.l. aveva beneficiato di un finanziamento di 1.5 milioni di euro, fido erogato il 2.9.2013 sul conto corrente (...), intestato alla predetta società. Si trattava di un incremento del fido già concesso nel 2012. In data 2 settembre 2013 - data di regolamento dell'aucap 2013 - risultava poi un'erogazione di 1,13 milioni di euro su altro conto corrente intestato alla medesima società con l'impiego di detta somma per l'acquisto di azioni B. di pari valore; - ancora, il 4.12.2014, Zi.Gi. aveva ricevuto un affidamento di 5.200.000,00 euro. La P.E.F. indicava, quale causale: "finalizzato ad intercettare alcune opportunità immobiliari e di partecipazione". Non appena ricevuta l'erogazione, il relativo importo era stato bonificato su un conto U.It. s.p.a., filiale di Padova; - il 16.2.2015, infine, Ze. s.r.l. aveva venduto 5,5 milioni di azioni sul secondario e, con il ricavato, aveva ridotto parte del debito relativo al finanziamento di 15 milioni di euro. Tale ricostruzione - precisava il tribunale - coincideva con le conclusioni dei cc.tt. del P.M. dove sì attestava che l'importo delle azioni acquistate dalla società Ze. s.r.l. tramite finanziamenti era pari a 10 milioni di euro dal 31.12.2012 al 30.6.2013, ad euro 10.565.250 dal 30.9.2013 al 30.6.2014, ad euro 10.355.250 dal 30.9.2014 al 31.12.2014 e, infine, ad euro 4.855.250 al 31.3.2015. Così ricostruite le evidenze contabili, il primo giudice concludeva per la natura "correlata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l. sulla scorta, in particolare, delle dichiarazioni rese dai testi Ma.Ba. e An.Cr.. Il primo, infatti, aveva rievocato (peraltro coerentemente con gli / esiti della consulenza dei cc.tt. del P.M.) l'operazione (da lui stesso curata su input di Em.Gi. ovvero di Al.Ba.) effettuata alla fine del 2012 e relativa al fido da 12,5 milioni di euro, parte dei quali (2,5 milioni), destinata all'acquisto della partecipazione in Ar.Li., la restante parte riservata a investimenti in azioni della banca. La pratica, poi, era stata materialmente seguita dal Criscuolo. L'operazione avrebbe dovuto avere carattere temporaneo, la liquidità essendo stata "parcheggiata" in azioni B. in attesa di un differente impiego, da effettuare previa liquidazione delle azioni. Nel 2013, poi, in occasione dell'aumento di capitale, il fido era stato esteso di ulteriori 1,5 milioni e con la relativa provvista Ze. s.r.l. aveva aderito all'iniziativa in questione. Il secondo teste (Cr.), poi, aveva sostanzialmente confermato la versione del collega Ba.. Infine anche il teste Al.Ba., responsabile della divisione "Corporate", aveva rievocato l'operazione posta in essere dallo ZI., operazione della quale, in parte, si era anche personalmente occupato allorquando, nel 2012, vi era stato un apposito incontro con lo stesso ZI. e con GI. per discuterne l'impostazione. Il teste Ba. ha precisato che vi era urgenza di effettuare l'operazione con rapidità in quanto si avvicinava la fine dell'anno 2012; che era impellente l'esigenza di liberare il fondo acquisto azioni; che, nell'occasione, ZI. aveva acconsentito ad effettuare l'operazione purché la cosa fosse gradita allo ZO.. Successivamente lo stesso ZI. gli aveva confidato di essersi prestato ad effettuare l'operazione a richiesta dì So. e GI., i quali "in sostanza gli avevano chiesto un favore e che lui si era messo a disposizione della banca". Dal canto suo lo stesso ZI. aveva ricordato di avere agito aderendo alla proposta di GI. e solo dopo avere ricevuto esplicite rassicurazioni in ordine al fatto che l'operazione non fosse intesa dal presidente ZO. come una iniziativa ostile. Il messaggio SMS inviato da MA. a So. il 26.10.2012 (doc. nr. 665 del P.M.) "ti ricordo Zi. di parlarne con il presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria", nonché il precedente' messaggio trasmesso, il 17.10.2012, dal GI. allo stesso So. "faccio anche ZI., Ma. d'accordo. Vedi problemi?" "il fratello ha già in atto l'operazione" costituivano, poi, significativi riscontri documentali dell'operazione in questione. Quindi il tribunale precisava, sulla scorta della deposizione del Criscuolo, che, con rifermento al finanziamento concesso allo ZI., erano stati applicati tassi differenziati per l'importo destinato all'acquisto di Ar. e per la parte destinata all'acquisto delle azioni e che i tassi erano stati "sistemati" con il consueto sistema dello storno. Alcuni documenti disponibili, peraltro, confermavano tale circostanza. Trattasi, segnatamente: - della richiesta di storno di cui al documento nr. 103 del P.M.; - dell'annotazione redatta da Zi.Gi. (doc nr. 730 del P.M.), contenente l'elenco delle azioni acquistate tramite finanziamento con l'indicazione di importi e tasse non deducibili "che avanziamo dalla banca" e con l'indicazione finale rimane da risolvere la vendita delle altre 80.000 azioni"; - del prospetto riassuntivo dell'applicazione del tasso di interesse (doc, nr. 737 del P.M.), estratto dal computer della segretaria della Ze. S.r.l., Ca.Ro., la quale aveva riferito di averlo redatto probabilmente su incarico di Gi.ZI. (questi, tuttavia, non aveva confermato la circostanza). In detto documento veniva riportato il tasso di interesse del 4,5% con riferimento al finanziamento di 2,5 milioni di euro relativo all'acquisizione di Ar.Li. e in esso si leggeva "calcolo eseguito non considerando il milione di aumento di capitale che si riferisce ai 10 milioni". Quanto, poi, al finanziamento di 10 milioni destinati all'acquisto delle azioni, nel consuntivo finale, alle competenze addebitate, comprensive di interessi ed imposte, venivano sottratti gli interessi "effettivamente dovuti" in ordine al finanziamento di 2,5 milioni destinato ad Ar.Li. e la differenza tra queste due somme era indicata come "differenza da rimb"; - della e-mail 15.7.2014 inviata dalla Ca. alla filiale B. in cui si precisava che le imposte di bollo andranno a confluire nel famoso rimborso concordato a suo tempo", così confermandosi l'esistenza dell'accordo per rimborsare a Ze. s.r.l. tutte le spese. La natura correlata delle operazioni effettuate dagli ZI. del resto emergeva, ad avviso del tribunale, anche da un appunto (doc. nr. 731 del P.M.) redatto dallo stesso imputato per ricostruire le operazioni effettuate con la banca. In detto appunto si legge che in data 8 maggio, a colloquio con ZO., Br. e l'avv. Am., ZI. aveva affermato essergli stato chiesto "in due occasioni di comprare azioni (2011 e 2012) con finanziamenti dove non ho percepito utili ma ho anticipato interessi passivi. La prima si è chiusa nel 2014 e la seconda per il 50% nel 2015". "Attualmente ci perdo 280.000 più oltre un milione di calo di valore: quindi la banca non è danneggiata ma ci ha guadagnato. Operazioni proposte da E. ma definite in ufficio da SS che mi ringraziava per l'aiuto. Ho sempre messo due condizioni, di non guadagnarci e che il Presidente fosse informato". Lo stesso imputato, poi, nel corso dell'esame, ha ricordato che il finanziamento era stato strutturato per l'acquisto di azioni dell'istituto e che egli lo aveva effettuato, sollecitato da GI., "per dare una mano alla banca". Del resto, nel corso della conversazione telefonica nr. 153 del 25.8.2015 intercorsa tra l'imputato e Lu.Bo., il primo aveva ammesso di essere stato finanziato dalla banca per l'acquisto delle azioni. Sicché la natura correlata dell'operazione di acquisto finanziato di azioni per 10 milioni di euro non poteva essere fondatamente revocata in dubbio. Altra operazione correlata era stata quella effettuata, per l'importo di 5 milioni di euro, da Zi.Gi. (finanziamento del 27.12.2011 ed acquisto delle azioni effettuato due giorni dopo). Con analoghe modalità, poi, lo stesso Zi.Gi. aveva partecipato all'aumento di capitale del 2013 per l'importo di 500.000 euro. La prima operazione era stata chiusa il 29.5.2014 con rimborso e annullamento delle azioni, ovverosia con un ricorso surrettizio - come emerso anche dalla deposizione del teste Ro. il quale aveva confermato che l'annullamento era un espediente al quale si ricorreva in casi eccezionali per chiudere operazioni correlate - ad uno strumento (quello dell'annullamento) previsto in caso di "inadempienza grave" del socio, inadempienza che, nel caso dì specie, non si era affatto verificata. Quindi il tribunale richiamava il finanziamento di 5 milioni di euro concesso da B. a Ze. s.r.l. e girato sul conto UBS il 5.12.2014. Nell'occasione al dipendente UBS Visentin, il quale si era relazionato con So., PI. e GI., l'imputato aveva riferito che aveva un "credito nei loro confronti" e che questa operazione "gli era dovuta" in quanto "aveva fatto molti favori alla banca". Infine il primo giudice evocava la e-mail inviata dallo ZI. a Em.Gi. e a Cl.Gi. con, in calce, l'analoga missiva inviatagli da Mi.Ga., il quale si lamentava del fatto che un dipendente B. gli avesse comunicato che il rinnovo di un secondo fido era stato anch'esso subordinato, al pari del primo, alla sottoscrizione di 50.000 azioni dell'istituto di credito. Nell'occasione l'imputato si era limitato a spiegare che "B. non opera con questa politica e che forse o hanno capito male o il funzionario si è espresso male". Ebbene, in presenza di tali evidenze probatorie lo ZI., come detto, aveva bensì ammesso di avere effettuato operazioni correlate per dare una mano alla banca ma aveva negato di essere stato consapevole delle problematiche connesse al capitale finanziato e, meno che mai, delle sue dimensioni, protestando altresì la propria totale inconsapevolezza circa la necessità dello scomputo delle azioni finanziate dal patrimonio di vigilanza. Pertanto il tribunale riteneva certamente provato che l'imputato, attraverso Ze. s.r.l., avesse posto in essere operazioni correlate. Nondimeno, sempre secondo il tribunale, non soltanto lo ZI. non aveva minimamente preso parte alla concertazione - intercorsa, ai massimi livelli, tra il management della banca ed il presidente ZO. - che aveva reso possibile la manipolazione del mercato e le condotte di false informazioni alla vigilanza, ma neppure vi era prova affidabile circa la consapevolezza, in capo ai membri del CdA (e, quindi, allo stesso ZI.), in ordine alla diffusività dell'operatività illecita in questione. Il teste ispettore Em.Ga., invero, aveva puntualmente evidenziato la difficoltà di percepire se una operazione fosse o meno correlata da parte del CdA. Dal canto suo lo stesso coimputato MA., in sede di esame, aveva ammesso che, quando presentava le pratiche di acquisti correlati in Consiglio, era solito non esplicitare mai la natura delle operazioni, limitandosi a riportare sinteticamente i dati della P.E.F.. In buona sostanza - secondo il tribunale - la valutazione circa la sussumibilità o meno delia condotta dello ZI. nell'alveo della penale responsabilità implicava, necessariamente, la esatta comprensione dei termini della questione inerente al complesso tema della responsabilità dei componenti del CdA non esecutivi, estranei a qualsivoglia funzione gestoria dell'impresa bancaria, questione che, nel caso sub iudice, andava poi "calata" in un contesto obiettivamente peculiare in quanto caratterizzato, per un verso, dalla concreta fisionomia di un organo collegiale - il CdA di B. - sottoposto alla direzione di un presidente "assolutamente operativo"; e, per altro verso, dall'assenza, in capo ai consiglieri, della effettiva conoscenza della situazione di reale illiquidità del titolo azionario. In effetti, solo in presenza di segnali di allarme effettivamente percepibili (e realmente percepiti) come tali dai consiglieri sarebbe stato possibile ritenere costoro - e, quindi, tra essi, lo ZI., il quale non si trovava affatto in una situazione dissimile rispetto a quella dei "colleghi" che avevano posto in essere anch'essi operazioni correlate - responsabili, ex art. 40 c.p., per non avere impedito attività delittuose in itinere, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità. Nel caso di specie, tuttavia, nulla consentiva di affermare che l'imputato avesse volontariamente omesso di intervenire per scongiurare la consumazione dei reati, all'uopo non potendosi ritenere sufficiente la partecipazione, da parte del predetto, ad operazioni di capitale finanziato; operazioni, peraltro, da costui poste in essere su sollecitazione dei vertici dell'istituto e senza alcun tornaconto personale. In definitiva difettavano prove univocamente sintomatiche di un consapevole concorso materiale di Zi.Gi. nei reati ascrittigli, in difetto di adeguati riscontri circa la consapevolezza, in capo al predetto, delle condotte manipolatorie e decettive poste in essere dalle figure apicali dell'istituto di credito e, ancor meno, circa la dimensione del fenomeno del capitale finanziato. Donde l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non costituisce reato 1.10 La responsabilità amministrativa di B. in L.C.A. Il tribunale, inoltre, riteneva Banca (...) in L.C.A. responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti (illeciti di cui ai capi A2, B2, C2, D2, E2, F2, G2, H2, M2, N2, posti in essere nel periodo dal 2012 al 2015, come specificato nelle relative imputazioni di riferimento) in relazione ai reati dì aggiotaggio ex art, 2637 c.c. e di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. (ovverosia con riferimento a fattispecie incluse nell'art. 25 ter lett. R ed S del D.L.vo 231/01) posti in essere da soggetti sia di vertice che sottoposti alla direzione e vigilanza di posizioni apicali. In proposito, dopo avere richiamato, in ordine alla sussistenza delle ipotesi delittuose di riferimento, quanto già in precedenze esposto al riguardo, il tribunale in primo luogo evidenziava come, ai fini della responsabilità dell'ente, non rivestisse rilievo alcuno la sottoposizione della banca a procedura concorsuale, trattandosi di evento non ricompreso tra le cause dì estinzione dell'illecito da reato previste dalla disciplina in materia (come del resto era evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che assegnava rilievo, al riguardo, unicamente al decorso del termine di legge, ovvero all'improcedibilità in caso di amnistia in relazione al reato presupposto). Fino alla cancellazione conseguente all'esito della procedura concorsuale, infatti, la società avrebbe dovuto ritenersi esistente. Né, d'altro canto, era possibile opinare diversamente sulla base di una sorta di giudizio prognostico fondato sul prevedibile esito della procedura fallimentare. Tanto premesso, neppure poteva dubitarsi che gli imputati avessero agito nell'interesse e a vantaggio dell'ente. Al riguardo il tribunale premetteva che l'interesse (da valutarsi, ex ante, secondo criteri "soggettivi" che, sebbene non coincidenti con l'elemento psicologico della fattispecie delittuosa di riferimento, dovevano comunque essere tali da esprimere la tensione finalistica dell'operato dell'autore del reato presupposto) avrebbe dovuto individuarsi nella prefigurabilità di un risultato positivo per la società. Quanto poi al vantaggio (da apprezzarsi, ex post, secondo criteri oggettivi), tale requisito si sarebbe dovuto identificare negli effetti favorevoli derivati dalla realizzazione degli illeciti. Questo con la precisazione, per un verso, che la mancata considerazione del criterio del vantaggio secondo la formulazione della disposizione vigente all'epoca dei fatti (art. 25 ter D.L.vo cit.) era circostanza di ben scarso rilievo, posto che, nel caso di specie, tutti i reati perpetrati erano caratterizzati dal correlativo interesse dell'istituto di credito; per altro verso, che l'antieconomicità a posteriori dell'operazione era ininfluente; e, peraltro verso ancora, che l'interesse dell'ente avrebbe potuto essere anche parziale o marginale, dovendosi escludere la responsabilità della società solo nel caso di interesse esclusivo dell'autore del reato (in ragione, in tal caso, della rottura "dello schema di immedesimazione organica" che costituiva il fondamento teorico dell'istituto in questione). Ebbene, nella vicenda sub iudice, le condotte delittuose erano state pacificamente poste in essere nell'interesse (anche) dell'istituto di credito. In effetti la contraria tesi difensiva (secondo la quale dette condotte si sarebbero poste in conflitto con il reale interesse della banca, in quanto, da un lato, avrebbero precluso l'effettuazione di ulteriori operazioni e in tal guisa avrebbero cagionato, fin dal momento genetico, un grave nocumento all'istituto di credito, mentre, dall'altro lato, sarebbero state realizzate nell'esclusivo interesse degli imputati, al di fuori di una politica di impresa e per finalità di mantenimento del potere gestionale da parte dei vertici amministrativi) non poteva affatto essere accolta. Ciò avrebbe infatti rappresentato l'espressione di un'interpretazione atomistica, fuorviante e retrospettiva del fenomeno delittuoso in esame e non già di una doverosa visione prospettica delle azioni criminose. Le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, infatti, erano state funzionali a far conseguire all'ente un beneficio, occultando le operazioni di capitale finanziato e così consentendo all'istituto di credito di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria e di acquisire nuovo capitale o mantenere quello esistente. Si era trattato, quindi, di condotte che, a tutto discapito del mercato, avevano generato indubbi benefici per la banca, assicurandone la continuità e garantendone la competitività nel mercato del credito, sia pure in modo rivelatosi non sufficiente, nel lungo termine, a risolvere le carenze di un'errata politica di impresa (peraltro preesistente alle operazioni di capitale finanziato) che aveva portato ad un progressivo, inesorabile, deterioramento della situazione patrimoniale (con i relativi coefficienti che, già dal 2012, erano inferiori alla soglia target, come evidenziato dai consulenti del P.M.). Le ricadute positive per l'ente delle attività delittuose, del resto, erano state convincentemente delineate dalla deposizione del teste ispettore Em.Ga.. In assenza delle condotte delittuose, in effetti, la banca si sarebbe trovata nella necessità di impegnare le risorse disponibili per reintegrare i requisiti patrimoniali, oppure di disvelare una situazione di crisi che avrebbe inevitabilmente impattato negativamente, al contempo, tanto sul capitale (trattandosi di banca cooperativa), quanto sull'operatività (trattandosi di banca commerciale). In definitiva - precisava il primo giudice - occorreva distinguere tra le singole condotte operative di capitale finanziato (che costituivano solo una parte della politica imprenditoriale e non erano indicative della proiezione finalistica del reato) e le soprastanti condotte delittuose delle false prospettazioni al mercato e alla vigilanza, nelle quali si sostanziavano i reati presupposto che erano stati funzionali a favorire l'ente, consentendo alla società di conseguire un vantaggio economico. Ponendosi in questa prospettiva, diveniva allora evidente l'interesse (se non esclusivo, quantomeno prevalente) della banca alla commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, in quanto espressione di una politica d'impresa funzionale a garantire la prosecuzione dell'attività dell'istituto, assicurando, per un verso, l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, il mantenimento di quello esistente. D'altronde, il peggioramento delle condizioni economiche dell'ente non era stato certo effetto della commissione dei reati, bensì del ricorso dissennato al capitale finanziato nell'ambito di un meccanismo divenuto progressivamente ingovernabile, il tutto mentre le condotte delittuose (che si ponevano a valle di tale fenomeno) avevano per un certo periodo di tempo consentito di contenere, limitare e ritardare gli ulteriori effetti negativi per l'ente che dal disvelamento di una siffatta realtà sarebbero inevitabilmente derivati. Quanto poi al criterio soggettivo di imputazione dell'illecito, costituito dalla colpa di organizzazione, il primo giudice ne ravvisava il ricorrere in ragione del fatto che l'ente non si fosse strutturato in modo idoneo a prevenire le condotte in questione. Nel caso di specie, infatti, non solo il modello organizzativo, nella versione aggiornata a febbraio del 2012 (documento nr. 269 del P.M.), non era stato predisposto in modo adeguato (essendo prevalentemente strutturato ai fini di anti-riciclaggio), ma neppure era stato applicato ed implementato convenientemente. Nulla era stato previsto in relazione alle modalità di predisposizione dei bilanci, al computo dei requisiti patrimoniali, anche ai fini del patrimonio di vigilanza, all'attività di erogazione del credito, ovvero alla gestione operativa, contabile e patrimoniale delle azioni (proprie e non) che, pure, costituiva l'attività su cui si focalizzava l'operatività della banca. Nessuna procedimentalizzazione delle attività di acquisto e vendita delle azioni, inoltre, era stata programmata nel modello. Né detto modello era mai stato implementato in tal senso. Si aggiunga che erano risultate assenti modalità operative per garantire la tracciabilità dei finanziamenti per l'acquisto dì azioni proprie e che neppure era stato previsto alcunché per assicurare la corretta registrazione dei collegamenti tra affidamenti e acquisto/sottoscrizione di azioni, ovvero per disciplinare le comunicazioni all'esterno, ovvero ancora per regolamentare gli aspetti afferenti al patrimonio di vigilanza. Inoltre il modello aveva previsto un Organismo dì Vigilanza collegiale composto da tre soggetti e, segnatamente, da due avvocati esterni all'istituto di credito, nonché dal responsabile interno dell'audit, soggetto, quest'ultimo, dipendente gerarchicamente dal d.g. e funzionalmente dal CdA, ovverosia proprio da coloro che egli avrebbe dovuto controllare. Donde un evidente deficit di autonomia di tale organismo. Quanto, poi, al Collegio sindacale, era risultato composto da soggetti alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) legati personalmente allo ZO., ovvero a società riconducibili a tale imputato. Le stesse relazioni ispettive di Banca d'Italia, del resto, avevano censurato la logica di cooptazione alla base della composizione dell'organo in questione, stigmatizzandone l'attività di mero controllore formale. Di qui il giudizio di complessiva grave inadeguatezza dei presidi organizzativi predisposti da B. per fronteggiare i rischi operativi assunti e la conseguente affermazione della responsabilità dell'ente. Quindi, passando alla quantificazione della sanzione, il primo giudice stabiliva, quanto al più grave delitto di aggiotaggio, il numero di 600 quote (a fronte di una forbice di riferimento tra le 400 e le 1000 quote), ridotte a 400 in ragione dell'attenuante ex art. 12, co, 2, D.L.vo 231/01, essendosi l'ente adoperato (con una proposta di transazione rivolta agli azionisti ed avente ad oggetto l'offerta di una somma a titolo di indennizzo) per ridurre le conseguenze dannose dell'illecito. Considerata, poi, la pluralità di illeciti, il tribunale determinava nella misura di 150 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter R ed in 360 quote l'aumento per quelli ex art. 25 ter S, Conseguentemente, precisato che la prescrizione di talune condotte delittuose non poteva rivestire alcun rilievo in relazione all'illecito amministrativo dell'ente, quantificava le quote complessive nella misura di 910 quote e, determinato il valore di ciascuna quota in euro 400, fissava la sanzione pecuniaria complessiva nella misura di euro 364.000,00. Infine, evidenziato che il profitto del reato andava identificato nel vantaggio economico (inteso come benefìcio aggiunto di tipo patrimoniale) causalmente derivato dal reato presupposto, e sottolineato, inoltre, come una stima in tal senso fosse stata unicamente effettuata con riferimento al reato di cui al capo N2, all'origine del sequestro, disposto dal GIP del tribunale di Vicenza in data 18.5.2017, con riferimento al valore di euro 106.012.687,50 (corrispondente all'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate alla banca, a seguito dell'aucap, dai soci il cui acquisto era stato sollecitato dalla banca stessa e che non avrebbero potuto sottoscriverlo ove fosse stato applicato il "test di adeguatezza bloccante"), il tribunale disponeva la confisca in tal senso, detraendo tuttavia l'importo di euro 31,8 milioni, oggetto di restituzione effettuata a titolo transattivo, e fissando, quindi, l'ammontare della confisca nella misura di euro 74.212.687,50 (con conseguente parziale revoca del sequestro). 1.11 Il trattamento sanzionatorio Con riferimento ai reati commessi dagli imputati ZO., PI., MA. e GI., dei quali andava ad affermare la penale responsabilità, il tribunale ravvisava la sussistenza del vincolo della continuazione, trattandosi di reati espressione di un'unitaria determinazione criminosa. Quindi: - esclusa quanto ai reati di cui ai capi A1, B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1 l'aggravante ex art. 112 nr. 1 c.p., in ragione del numero inferiore a cinque degli autori delle relative condotte; - riconosciuta, quanto ai reati di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 l'aggravante ad effetto speciale ex art. 2638 co. 3, c.c., essendosi in presenza di istituto di credito emittente strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ex art. 116 D.L.vo 58/98; - riconosciuta, altresì, in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, I, L, M1, N1, l'aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 c.p., trattandosi di condotte di ostacolo, susseguitesi nel tempo, al fine di occultare l'illecita manipolazione del prezzo sia di nascondere la falsità dei precedenti flussi informativi; - riconosciute, inoltre, a tutti gli imputati le attenuanti generiche, trattandosi di soggetti incensurati che avevano anche tenuto corrette condotte processuali (in effetti, presenti a tutte le udienze, costoro si erano anche sottoposti ad esame, eccezion fatta per ZO. il quale, peraltro, aveva reso dichiarazioni spontanee); - valutate le predette attenuanti in regime di mera equivalenza rispetto alle ravvisate aggravanti, in considerazione della notevole entità dei danni cagionati con le condotte delittuose; - ritenuto più grave il reato di cui al capo H1, in ragione della pena edittale di riferimento e del tempo significativo di protrazione della relativa condotta (esauritasi solo nell'aprile del 2015); - considerati, infine, i criteri tutti di cui agli art. 132, 133 c.p. (e, segnatamente: il ruolo apicale rivestito dagli imputati; il numero e la varietà delle condotte delittuose, protrattesi per anni; l'intensità del dolo all'origine delle medesime condotte e, in particolare, la pervicacia e l'ostinazione che avevano orientato l'azione di occultamento al mercato e alla vigilanza della reale situazione dell'istituto di credito), condannava: - Gi.Em. alla pena di anni sei e mesi tre di reclusione, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di anni due in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 ed N1 (essendo evidentemente un errore materiale la quantificazione sintetica di tale aumento nella misura di anni uno, in ragione della specifica indicazione, nella misura di mesi tre, dell'aumento di pena irrogato per ciascuno di detti reati), con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia; aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, infine, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Ma.Pa. e Pi.An. alla pena di anni sei di reclusione ciascuno, così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati); - Zo.Gi. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione così determinata: pena base per il reato di cui al capo H1, anni tre e mesi sei di reclusione; aumentata di mesi tre di reclusione per le condotte di cui al capo B1 (un mese e giorni quindici per ciascuna delle due condotte di ostacolo alla vigilanza ivi contestate); ulteriormente aumentata di mesi ventuno in relazione ai reati di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, M1 (con aumento di mesi tre per ciascuno di detti reati e con la precisazione che il capo M1 prevedeva la contestazione di due distinti reati in danno, rispettivamente, di BCE e di Banca d'Italia); aumentata, ancora, di mesi sei di reclusione con riferimento ai dodici reati di aggiotaggio (con aumento di quindici giorni per ciascuno di detti reati); e, definitivamente aumentata di mesi sei di reclusione per i reati di cui ai capi I ed L (con aumento di tre mesi per ciascuno di detti reati). Gli imputati, infine, erano dichiarati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 1.12 La confisca per equivalente. Il tribunale, premesso che la disposizione di cui all'art. 2641 c.c., prevedeva, in relazione ai reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c,, la confisca (diretta, ovvero, in via sussidiaria, per equivalente) non solo del prodotto/profitto dei reati, ma anche dei beni utilizzati per commetterlo, precisava, a tale ultimo riguardo (richiamando sul punto la sentenza della Corte Costituzionale nr. 112/2019 e la giurisprudenza di legittimità espressasi in fattispecie analoga), come in tale categoria di beni non rientrassero unicamente i tradizionali "instrumenta sceleris", ovverosia le cose intrinsecamente pericolose (il grimaldello, la stampante utilizzata per la produzione di cartamoneta falsa, ecc..) bensì qualsivoglia res l'impiego della quale avesse reso possibile la commissione del reato e, pertanto, con riferimento alla vicenda sub iudice, anche le risorse finanziarie concesse dall'istituto a titolo di finanziamento ed impiegate per l'acquisto delle azioni dell'istituto medesimo; risorse che, nella specie, erano state convincentemente quantificate dai consulenti del P.M. nella misura di euro 963,000,000,00. Nella prospettiva del primo giudice, infatti, erano proprio i finanziamenti concessi per le operazioni di capitale finanziato che avevano reso possibili i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, trattandosi di reati che erano stati commessi comunicando un patrimonio di vigilanza non veritiero, in quanto non corrispondentemente decurtato. Erano detti finanziamenti, quindi, che, nel caso in esame, costituivano "i beni utilizzati per commettere i reati". A legittimare, poi, la confisca per equivalente nei confronti degli imputati era il mancato rinvenimento della somma oggetto dì confisca diretta e, quindi, l'impossibilità (peraltro da ritenersi all'uopo rilevante anche ove soltanto transitoria) di tale ablazione diretta. Nel caso di specie la confisca diretta era impedita dall'assoggettamento dell'istituto di credito, al momento della pronuncia, a liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di procedura per effetto della quale era venuta meno in capo all'ente la disponibilità del patrimonio societario, destinato esclusivamente ad essere gestito, evitandone il depauperamento, in vista delle finalità della procedura medesima. Di qui la confisca disposta, per il valore di euro 963.000.000, nei confronti degli imputati ZO., PI., GI. e MA., con la precisazione che il principio solidaristico posto a fondamento della disciplina del concorso di persone, da un lato, e la natura eminentemente sanzionatoria della confisca per equivalente, dall'altro, implicavano che il provvedimento ablatorio fosse pronunziato, a carico di ciascuno di costoro, con riferimento all'intero importo. 1.13 Le questioni civilistiche Quindi, con riferimento alla posizione della Banca (...), citata da numerose parti civili in qualità di responsabile civile e in questa veste costituitasi in udienza preliminare, il tribunale riteneva la validità delle argomentazioni poste dall'istituto di credito a fondamento della relativa richiesta di esclusione (originariamente respinta per tardività) ex art. 83 TUB. In effetti la circostanza che l'istituto di credito fosse stato sottoposto a procedura di liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale nr. 185 del 25 giugno 2017, ove debitamente valutata alla luce delle disposizioni di legge in materia, rispettivamente, di estensione alla procedura in esame delle disposizioni in materia di fallimento (art. 201), di disciplina dell'opposizione allo stato passivo (art. 83 TUB) e di improseguibilità delle pretese creditorie avanzate innanzi al tribunale ordinario (52 TUB), comportava la improcedibilità delle domande avanzate nei confronti della banca. Tutte le ragioni di credito, infatti, avrebbero dovuto essere fatte valere in sede concorsuale e, segnatamente, nell'ambito del procedimento di verifica affidato al commissario liquidatore, nel solco, peraltro, di quanto affermato ripetutamente dal giudice di legittimità. Di qui la declaratoria di improcedibilità della domanda avanzata dalle parti civili nei confronti del responsabile civile. Evidenziava infine il tribunale come esulassero dai poteri di ius dicere del giudice penale le domande (in taluni casi affiancate alle richieste risarcitone) volte a ottenere pronunce di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni. Quanto, poi, alle domande risarcitone da talune parti riproposte, in sede di conclusioni, nei confronti dell'Istituto di credito in qualità di ente incolpato ex D.L.vo 231/01, il Tribunale, richiamando i provvedimenti che non avevano ammesso la relativa costituzione di parte civile (sul rilievo della non esperibilità dì azioni civili volte ad ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli enti in qualità di responsabili degli illeciti amministrativi), in tal senso espressamente motivava le ragioni che avevano indotto il collegio a non esaminare le relative richieste. Infine, con riferimento alle domande risarcitorie avanzate nei confronti degli imputati, il primo giudice pronunziava sentenza di condanna generica di questi ultimi in favore delle parti civili istituzionali (Banca d'Italia e CONSOB) e di quelle private (azionisti e obbligazionisti di B., siccome indicati negli elenchi, allegati al dispositivo, depurati delle parti le cui costituzioni erano state espressamente revocate, ovvero dovevano intendersi revocate per mancata presentazione delle conclusioni). In ordine ai primi, precisato che il pregiudizio patrimoniale consisteva negli esborsi e nel complessivo dispendio di risorse che le autorità di vigilanza avevano dovuto sostenere per ottenere quelle informazioni che erano state loro occultate, mentre il pregiudizio non patrimoniale doveva identificarsi nella compromissione delle finalità istituzionali delle suddette autorità e nella lesione dell'immagine che ne era derivata, il tribunale evidenziava la necessità di rimessione, per la quantificazione di dette voci dì danno, innanzi al giudice civile, in difetto di concreti elementi probatori idonei ad orientare la relativa determinazione. Nondimeno riconosceva una provvisionale nella misura di euro 601.017,39 in favore di Banca d'Italia e di euro 186.570 in favore di CONSOB, in entrambi i casi parametrandone l'entità ai costi (siccome quantificati dagli uffici interni di detti enti) sostenuti per l'aggravio di attività strettamente conseguenti alle condotte delittuose. Con riferimento, poi, alle parti civili private, osservato come il D.L. 99/17 che aveva posto in liquidazione coatta amministrativa l'istituto di credito avesse conservato i diritti dei titolari di obbligazioni subordinate nella liquidazione, sicché i predetti avrebbero potuto trovare soddisfazione solo una volta soddisfatti gli altri creditori, il primo giudice sottolineava che tutti gli investitori avevano subito un danno dalle condotte manipolative, in quanto indotti all'investimento sul presupposto di una situazione patrimoniale dell'istituto artatamente presentata come positiva e, quindi, senza essere stati posti nelle condizioni dì valutare la rischiosità dell'investimento stesso e la solvibilità della banca nell'estinguere il credito e nell'effettuare il rimborso. Segnatamente, con riferimento al delitto di aggiotaggio, il pregiudizio andava individuato nell'avere acquistato o conservato gli strumenti finanziari a prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, ovvero nell'avere effettuato un investimento che, senza le condotte manipolative, non sarebbe stato posto in essere. Analogamente, con riferimento al reato di falso in prospetto, gli investitori erano stati pregiudicati da condotte delittuose che avevano avuto l'effetto di mantenere artificiosamente alto il valore delle azioni, al contempo rappresentando una solidità patrimoniale dell'istituto in realtà insussistente. Più nel dettaglio, ad essere stati danneggiati - precisava il tribunale - non erano solo coloro che, nel periodo di commissione delle condotte delittuose, avevano acquistato azioni ad un prezzo superiore al reale valore dei titoli, ma anche gli investitori che, già in possesso di detti strumenti finanziari, si erano astenuti dal disinvestimento per effetto delle richiamate condotte manipolative. Di maggiore complessità, poi, era la questione inerente a coloro (peraltro una minima parte degli investitori, prevalentemente acquirenti di obbligazioni subordinate) che avevano acquistato le azioni successivamente alle condotte delittuose, sebbene anche con riferimento a tale categoria di investitori fosse effettivamente prospettabile un pregiudizio derivante dai reati, tenuto conto del periodo apprezzabile intercorso tra la cessazione delle condotte delittuose ed il disvelamento di quanto avvenuto (trattandosi di circostanza che aveva determinato il protrarsi di effetti di errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto di credito, con indubbio svantaggio informativo). Infine vi erano i clienti dell'istituto che avevano effettuato gli acquisti con il denaro erogato dalla banca. Costoro non avevano subito una lesione diretta, non avendo impiegato risorse proprie nell'investimento (se non nel caso di investimento solo parzialmente finanziato); nondimeno, al di là della sussistenza o meno dell'obbligazione restitutoria, l'esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi che ne era seguita e l'addebito dei costi di finanziamento costituivano pur sempre un pregiudizio effettivo. Conclusivamente, con riferimento alle parti civili private, emergeva un quadro composito, caratterizzato da posizioni eterogenee. Ebbene - precisava il tribunale - dette parti avevano quantificato: - il pregiudizio patrimoniale nel controvalore del pacchetto azionario calcolato sul valore dell'azione pari a 62,50 euro, ovvero all'ammontare della somma investita nelle operazioni di investimento (e, quindi, sostanzialmente, nella perdita dell'investimento); - ed il danno non patrimoniale in una quota parte di quello patrimoniale. Nondimeno tali parametri non potevano ritenersi appaganti, posto, per un verso, che il danno non si poteva meccanicamente identificare nella perdita del valore dell'azione in quanto i reati di aggiotaggio e falso in prospetto presentavano profili peculiari che non consentivano di determinare il relativo pregiudizio facendo ricorso a siffatto automatismo; e, per altro verso, che le parti civili si erano limitate a documentare i titoli sottoscritti (ovvero acquistati) e il prezzo pagato, senza fornire ulteriori elementi utili per la esatta quantificazione del pregiudizio. Peraltro, nulla era dato conoscere in ordine all'indennizzo corrisposto agli investitori dal FIR (Fondo Indennizzo Risparmiatori). Di qui la condanna generica al risarcimento ed il riconoscimento di una provvisionale nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle azioni od obbligazioni acquistate risultante dagli atti di costituzione di parte civile e, in ogni caso, onde evitare sperequazioni (tenuto conto del fatto che le cifre più consistenti erano quelle inerenti alle operazioni di capitale finanziato), non superiore ad euro 20.000,00 per ciascuna parte (importo dal primo giudice ritenuto tale da coprire almeno il danno non patrimoniale). Infine il primo giudice respingeva la domanda risarcitoria avanzata dagli enti esponenziali (Confconsumatori, Federconsumatori Friuli Venezia Giulia, Federconsumatorì Veneto, Codacons, Cittadinanza Onlus) per difetto di prova alcuna in ordine al pregiudizio non patrimoniale asseritamente subito a seguito delle condotte delittuose. 2. GLI APPELLI DEGLI IMPUTATI 2.1. Appello proposto da Gi.Em. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello la difesa di Gi.Em.. 2.1.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al capitolo I della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari), l'appellante - anteponendogli una premessa nella quale ha censurato in via generale il metodo argomentativo assertivo seguito nella sentenza impugnata, carente nell'enunciazione degli specifici "motivi di fatto e di diritto" attributiva delia responsabilità all'imputato GI. e tendente all'esposizione solo di alcune risultanze processuali senza nel contempo citarne molte altre, pur decisive su aspetti imprescindibili - ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018 del 7.12.2017 dep. 6.4.2018, emessa in sede cautelare, che aveva risolto in favore del foro vicentino il conflitto di competenza; conflitto sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore rispetto all'attuale e oltretutto connotato da una formulazione del capo B1 frattanto considerevolmente modificatasi). Le argomentazioni esposte in questo primo motivo d'appello dalla difesa del GI. a fondamento della dedotta competenza territoriale del Tribunale di Roma sono di tenore sostanzialmente analogo a quelle dell'appello ZO. (v. infra), cui si rinvia per il resto, fermo restando che dalla difesa dell'appellante GI. vengono particolarmente sviluppati i seguenti due argomenti: - il capo B1 contempla in sé, in realtà, sia il delitto di false informazioni (art. 2638 comma 1 c.c.) che quello di ostacolo (art. 2638 comma 2 c.c.) e i suddetti due delitti non si sono realizzati nel medesimo contesto temporale in quanto l'ispezione maggio-ottobre 2012 è stata per l'appunto preceduta dall'invio, in data 26.4.2012, della comunicazione di vigilanza (a firma del d.g. Sa.So.) avente ad oggetto il rendimento ICAAP sulla determinazione del patrimonio di vigilanza della banca al 31.12.2011; - nel decidere la questione di competenza la verifica del giudice non può essere limitata - diversamente da quanto ritenuto dal tribunale vicentino - alla mera enunciazione così come testualmente prospettata nel capo di imputazione, dovendo invece estendersi alla perimetrazione del fatto così come risultante dall'insieme di tutti gli atti allegati dalle parti (la comunicazione ICAAP inviata a Banca d'Italia il 26.4,2012 rientrerebbe per l'appunto fra gli atti di indagine specificamente relativi all'imputazione contestata sub capo B1 trattandosi di atti depositati dal Pubblico Ministero - segnatamente nel faldone n. 7 - e messi a disposizione del giudice con la richiesta di rinvio a giudizio); al riguardo vengono citati arresti giurisprudenziali di legittimità. L'appellante ha ribadito altresì - dopo averla prospettata già in primo grado nelle note d'udienza 2.4.2019 alle quali ha rinviato per tutti gli approfondimenti del caso - la possibilità di individuare in alternativa come territorialmente competente il Tribunale di Milano in quanto sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (ciò solo qualora i sia ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge n. 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile, trattandosi di questione tuttora dibattuta). 2.1.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione al capitolo II della parte I dell'impugnazione, dedicata alle questioni preliminari) l'appellante ha dedotto la violazione degli art. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. pronunciata dal tribunale in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1-6 e 1.7: s quanto al paragrafo 1.5 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); quanto al paragrafo 1.6 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle c.d. operazioni "baciate"; tali soggetti non possono infatti che definirsi carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli di partecipare a un'operazione asseritamente illecita nella prospettazione d'accusa, a differenza di quanto affermato dal tribunale; al riguardo l'appellante ha ricordato come nella stessa costruzione generale dell'impianto accusatorio si dia indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; s quanto al paragrafo 1.7 si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata l'interruzione - a seguito delia vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Ebbene, lo stesso tribunale vicentino più volte ha fatto riferimento, nel contesto dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione. Consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorre. - conseguentemente si è richiesta l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. 2.1.3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al capitolo III della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erronea ricostruzione -all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - della posizione del GI. nell'organigramma di B., dovuta tanto a un'erronea valutazione degli elementi ritenuti a carico quanto alla mancata valutazione di molti altri elementi pur esistenti a discarico. Segnatamente: la sentenza impugnata, nel sostenere che il GI. avrebbe svolto un ruolo primario agendo congiuntamente al direttore generale Sa.So. (l'operatività era gestita dal direttore generale So. e dal suo vice Gi."), contrasterebbe con un dato conclamato alla luce dell'intera vasta istruttoria dibattimentale e in particolare testimoniale, ossia il fatto che Sa.So. fosse in realtà da lungo tempo portatore, nei confronti del GI., di un sentimento - da lui apertamente manifestato - di sfiducia, contrarietà e desiderio di causarne l'emarginazione, come riferito - fra gli altri - dai testi Di.Gr., Co.Tu., Cl.Gi., Da.Es., Pa.An. (quest'ultimo in particolare, nell'evidenziare come tale connotazione del rapporto fra i due fosse evidente anche per i componenti del CdA, aveva dichiarato: Sostenere che So. facesse tandem con Gi. anche se poi il fenomeno delle baciate potrebbe anche farlo pensare, è un qualcosa che era assolutamente irreale per chi un minimo respirava la banca, anche perché era notorio che So. non amasse la professionalità di Gi..."). Tutt'altre invero erano le persone che all'interno di B. frequentavano abitualmente l'ufficio del So., menzionate nominativamente - ad esempio - dal teste Esposito in sede dibattimentale; da tale "salotto buono" (cfr, pag. 31 atto di appello) ovvero "cerchio magico" (Ibidem) il GI., in altri termini, era rigorosamente escluso; - la stessa elencazione delle funzioni e competenze tanto della Divisione Mercati quanto del suo responsabile Em.Gi., così come sunteggiata alla pag. 639 della sentenza impugnata, non risponde al vero poiché ignora il fatto che gli organigrammi e i funzionigrammi di B. hanno subito nel tempo, proprio per volere del So., accentuati cambiamenti il cui scopo era esattamente quello di emarginare il GI. coinvolgendo, nel contempo, personale fedele al direttore generale; sono state citate al riguardo tanto l'analisi condotta dal consulente tecnico della difesa prof. Pe. quanto le deposizioni rese da vari testimoni (Al.Mo., Co.Tu., Ma.Ba., Gi.Am., Cl.Am., Cl.Gi., Fi.Ro.); - sempre l'istruttoria dibattimentale, in particolare testimoniale (cfr le deposizioni dei testi Al.Ba., Co.Tu., Cl.Gi., Ma.Ni., Se.Ro., Lu.Ve., En.Da., Di.Ip., Al.Cu.), ha consentito di appurare che le scelte riguardanti le operazioni qui in discussione e le loro modalità erano decise in piena autonomia dal solo So., il quale impartiva alle strutture della banca le conseguenti direttive o in prima persona oppure avvalendosi, a guisa però di mero tramite, del GI. e/o del direttore commerciale Gi.Am.; - sempre l'istruttoria dibattimentale (cfr. le deposizioni dei testi Cl.Gi., En.Da., Co.Tu.) ha evidenziato come anche lo stesso GI. - tratteggiato nella gravata sentenza come l'autore in prima persona di pressioni estreme sulla rete commerciale - fosse in realtà destinatario di minacce e pressioni provenienti direttamente dal So.. Quanto alle fonti di prova citate in sentenza con riguardo alle pretese pressioni esercitate dal GI. (cfr. in particolare le dichiarazioni dei testi Di.Ip. e Ma.Ni.) la difesa ha argomentato nel senso del loro fraintendimento e/o vaglio solo parziale e decontestualizzato da parte del tribunale; - la sentenza gravata ha completamente omesso di considerare i seguenti due episodi - definiti gravi e inquietanti dalla difesa - in danno del GI., i y quali ben evidenziano quanto egli fosse "estraneo al milieu compatto e ristretto di gestione reale della Banca" (cfr. pag. 34 atto di appello): a) riguardo alla questione degli storni è emerso che - in seno alla Divisione Mercati diretta dal GI. - era stato ordinato da Gi.Am. al suo subalterno Al.Fe. di correggere le lettere di storno sottoscritte dallo stesso Am. obliterando la firma di questi e lasciando inalterate solo le lettere firmate dal GI., quando per converso l'estraneità di questi alla procedura degli storni deve ritenersi dimostrata anche dal rigetto, nei suoi confronti, della domanda cautelare presentata in sede civile dalla banca (cfr. documento n. 668 prodotto dallo stesso Pubblico Ministero, corrispondente al provvedimento n. 4414/2015 del Giudice del lavoro presso il Tribunale di Vicenza); b) a detta del teste Co.Tu. il collega Ad.Ca. - uno dei componenti la ristretta cerchia di frequentatori abituali dell'ufficio del d.g. Sa.So. - all'inizio del mese di maggio 2015 aveva minacciato lo stesso Tu. di licenziamento perché si era rifiutato di scrivere una relazione nella quale si dicesse falsamente che il GI. era il responsabile di tutta l'operatività illecita; - l'ostilità nei confronti del GI. si era finanche acuita dopo l'inizio dell'attività ispettiva, essendo sorta - per effetto di quanto andava ivi emergendo - l'esigenza di catalizzare sul predetto ogni responsabilità. 2.1.4 Con il quarto, il quinto e il sesto motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IV, V e VI della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha dedotto l'erroneità dell'attribuzione al GI. - all'interno del cap. XIII della gravata sentenza - dell'ideazione e attuazione delle operazioni di finanziamento correlato, rivendicando altresì in capo al predetto la genuina convinzione che tali operazioni non solo fossero lecite ma altresì che venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. Si è evidenziato in particolare al riguardo quanto segue: - il GI. era entrato in B. nel novembre 2007 allorquando la prassi delle operazioni correlate già era in essere (circostanza riferita non solo dall'imputato nel suo esame dibattimentale ma altresì dai testi Di.Gr. e Alessandro Ba. fra gli altri); - il GI. inizialmente era perplesso, e del resto si trattava di perplessità diffusa all'interno di B., circa l'applicabilità dell'art. 2358 cc. alle banche popolari come società cooperative e ciò quantomeno fino all'anno 2012, anno in cui aveva avuto luogo l'ispezione della Banca d'Italia; in tal senso del resto si era espresso anche un parere legale esterno acquisito dalla stessa B.; - la sentenza impugnata ha comunque errato nel ritenere non credibile il teste Cl.Am. circa l'andamento del suo colloquio con l'ispettore Ge.Sa. (del quale va tenuta in considerazione, in particolare, una conversazione captata - la n. 281 progn del 19.3.2017 - con il consulente tecnico del Pubblico Ministero, Pa., ove il primo diceva al suo interlocutore: "Poi, vedendo le carte, effettivamente alcune operazioni baciate c'erano", il che dimostrerebbe l'effettività dei disvelamento affermato dal teste Am.); né il tribunale ha valutato con adeguato rigore i plurimi elementi istruttori che depongono nel senso di un rapporto istituzionale "non esemplare" intrattenuto dalla Banca d'Italia, nella specifica occasione, con il So.; - plurime sono le evidenze testimoniali - citate nominativamente nell'atto di appello - di una "piana e pacifica conoscenza dell'esistenza delle operazioni correlate in capo a tutti i settori di B., incluso il settore legale nella persona dell'avv. An.Pa. (diversamente da quanto costei ha sostenuto in sede dibattimentale) e incluso soprattutto il settore bilancio e pianificazione di cui era responsabile il coimputato Ma.Pe., che oltretutto faceva parte - circostanza ben nota al Gi. - del milieu ristretto di dirigenti che avevano un rapporto esclusivo con il So. (al riguardo l'appellante ha lamentato il fatto che il PE. sia stato mandato assolto dal tribunale sull'assunto che in capo allo stesso PE. fosse insufficiente la prova dell'elemento soggettivo del reato); - il GI., atteso tutto quanto sopra (in particolare quanto osservato in relazione alla posizione del PE. e al contegno da questi tenuto), non poteva che maturare la convinzione che le operazioni correlate - a tutti note in B. - venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza; - non può condividersi per converso l'argomento, svolto a pag. 216 dalla sentenza impugnata, secondo cui è evidente che le operazioni correlate in oggetto non venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza in quanto, in caso contrario, sarebbero state del tutto inutili; tale argomento prova troppo, giacché, se davvero così fosse stato, tutti coloro che si erano occupati di operazioni correlate in B. (inclusi tutti gli esponenti dell'alta e media dirigenza, ivi compresi quelli più vicini al So.) sarebbero stati raggiunti dalle medesime imputazioni; ciò non è invece avvenuto proprio perché la Procura della Repubblica vicentina ha ritenuto mancante in capo a costoro la consapevolezza dell'intero disegno strategico intessuto al riguardi dal So. (e, con ogni probabilità, da questi tenuto riservato entro la ristretta cerchia delle persone per lui fidate, la quale non comprendeva - come detto - l'imputato GI., tenuto lontano dalle "strategie decisionali" del direttore generale stante il rapporto di emarginazione, sfiducia e contrarietà del quale egli era reso oggetto); - esistono inoltre ragioni prettamente tecniche, illustrate anche dal c.t, della difesa prof, Pe. (e passate in rassegna alle pagg. 50-51 dell'atto di appello), che rafforzano ulteriormente la conclusione da trarsi circa la genuina convinzione, in capo al GI., che le note operazioni correlate venissero contabilizzate e detratte dal patrimonio di vigilanza. 2.1.5 Con il settimo e l'ottavo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli VII e VIII della parte II dell'impugnazione) l'appellante ha passato dettagliatamente in rassegna le numerose emergenze processuali già evidenziate in prime cure dalla difesa - ma ignorate dalla sentenza impugnata - che a suo avviso depongono nel senso della non consapevolezza, in capo al GI., dell'entità del fenomeno, censurando simmetricamente l'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di quegli ulteriori elementi probatori che lo stesso tribunale ha ritenuto pesare a carico dell'imputato. In particolare si è evidenziato che: quanto al contenuto del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, le frasi ivi pronunciate dal GI. e da altri partecipanti non sono state adeguatamente contestualizzate (a quell'epoca era ormai diffusa in B. una sensazione di "quasi defaul" manifesta e recepita da tutti con ovvie preoccupazioni); in alcuni altri casi invece - come ad esempio è a dirsi per la quantificazione da parte del So. dei "finanziamenti" in oltre un miliardo di euro - sono state travisate nel significato (in realtà sarebbe chiaro, a detta dell'appellante, che il So. non si riferiva al capitale finanziato bensì alla campagna pre-affidamenti, il che emergerebbe da vari elementi della svolta istruttoria); - del tutto neutro è il fatto che il So. prima del 2013 avesse fatto fare un report a Co.Tu. (circostanza evidenziata a pag. 668 della sentenza gravata), dato che la stessa sentenza ha ricordato come tale report - al pari delle tabelle di monitoraggio mensili diffuse nel corso delle riunioni della Divisione Mercati - riguardasse tutti i soci, anche quelli non finanziati; - anche la deposizione del teste Ro.Pr., valorizzata in sentenza quale dato significativo a carico del GI., non sarebbe stata letta ed esaminata nella sua interezza dai giudici vicentini; - le prove a discarico in punto "consapevolezza" del GI. sono state completamente ignorate dal primo giudice, pur provenendo esse a volte finanche da testi altrimenti rivelatisi alquanto "ostili" nei suoi confronti come Lu.Ve., Gi.Ca., En.Da., Se.Ro., Pa.An. (dei quali l'appellante ha riportato gli stralci di deposizione favorevoli al GI.); - quanto agli elementi probatori indicati in sentenza come "a carico" dell'imputato, invece, ivi non si è specificato neppure a quali fra i plurimi distinti reati contestatigli essi si riferiscano; - attesa la sopra ben evidenziata conoscenza diffusa a tutti i livelli, in B., del ricorso a operazioni di capitale finanziato, si svuotano di valenza probatoria "a carico" elementi come gli appunti del teste Ma.So. circa i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 e come l'incontestato ruolo di coordinamento della rete che il GI. esercitava in quanto direttamente afferente alla sua qualifica di responsabile della Divisione Mercati; - vari testi, ancora una volta ignorati dalla sentenza gravata, hanno riferito circa il reiterato attivarsi del GI. per favorire l'informatizzazione della procedura (il che avrebbe reso impossibile la prassi contestata), incontrando però sempre la ferma resistenza della Divisione Risorse; - non sono minimamente risolutivi gli asseriti indici di consapevolezza evidenziati in sentenza (il divieto alla rete di comunicare informazioni per iscritto; il ricorso alla ed. "clausola sentinella" generica nelle P.E.F.; l'invito a rispettare un distanziamento temporale tra fido e acquisto delle azioni), posto che, a tacer d'altro, la formula generica - preesistente all'ingresso di GI. in B. - è risultata non essere stata utilizzata in una cospicua percentuale delle stesse operazioni correlate (circa il 35,50%) e che pure la prassi del distanziamento temporale non era stata certo introdotta, come dimostrato dalla svolta istruttoria, dal GI., in capo al quale - diversamente da quanto ritenuto in sentenza - non può affatto di dimostrata una "pervicace condotta tesa all'occultamento del capitale finanziato nei confronti delie autorità di vigilanza" (cfr. pag. 647 sentenza gravata); - la sentenza impugnata, nell'indicare come elementi a carico significativi la vicenda Vi. (e relativo report Bo.), la richiesta di chiarimenti da parte della società di revisione KP. e le schede consegnate all'ispettore Gi.Ma., ha riportato solo alcuni aspetti della relativa vicenda ignorando le risultanze processuali utili a contestualizzarli e a inquadrarli; aspetti che l'appellante ha illustrato e analizzato alle pagg. 62-66 dell'atto di impugnazione. 2.1.6. Con il nono, decimo, undicesimo e dodicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli IX, X, XI e XII della parte III dell'impugnazione) l'appellante ha illustrato quelli che a suo avviso sono fondamentali errori metodologici commessi dal primo giudice nella ricostruzione probatoria dei fatti, con particolare riguardo: - a una visibile confusione fatta tra gli elementi costitutivi della fattispecie legale dell'operazione correlata e l'individuazione dei mezzi probatori atti a verificarne l'effettiva realizzazione in una determinata situazione; all'utilizzo di "criteri" (nomenclatura estranea al diritto delle prove penali) non identificabili con le circostanze indiziarie disciplinate quali mezzi di prova dall'art. 192 comma 2 c.p.p., di talché si sarebbe persa di vista, in sentenza, la necessità che il quadro indiziario risulti connotato dai necessari requisiti di gravità, precisione, concordanza e necessità di adeguati riscontri; in altri termini la sentenza gravata non ha rispettato il citato canone processual-penalistico (cui era tenuta ad attenersi) bensì ha, piuttosto, utilizzato il metodo amministrativistico di cui alla circolare n. 263 della Banca d'Italia, e ciò benché le finalità perseguite dai vari metodi e dai differenti criteri in gioco (BCE, consulenti tecnici del P.M., CONSOB) si differenzino considerevolmente fra loro; - all'utilizzo in particolare, da parte della sentenza gravata, dei criteri impiegati dapprima da BCE e indi dai consulenti tecnici del P.M., che tuttavia sono estranei alla metodologia del processo penale di cui al citato art. 192 comma 2 c.p.p. in tema di valutazione critica delle prove indiziarie; metodologia che, se utilizzata, avrebbe dato esiti finali ben diversi e favorevoli all'imputato. 2.1.7 Con il tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XIII, XIV, XV e XVI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha censurato la sentenza impugnata laddove ha ritenuto di ravvisare una responsabilità concorsuale del GI. ex art, 110 c.p.p., anzitutto, nei reati di aggiotaggio manipolativo-operativo (articolato in una prima condotta relativa alla concessione del capitale finanziato, in una seconda condotta relativa alla mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014 e in una terza condotta relativa alla mancata comunicazione all'esperto prof. Ma.Bi. della prassi aziendale in tema di operazioni correlate), non prima peraltro di avere stigmatizzato l'illegittima "moltiplicazione", operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo Al, da ritenersi attuata in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Ha evidenziato come l'apoditticità dell'argomentare dei giudici vicentini circa il ravvisato apporto concorsuale del GI. emerga a più riprese dalla lettura della sentenza, fermo restando che, ad applicare uguale metodologia argomentativa a svariati fra i soggetti escussi come testi in dibattimento, gli stessi sarebbero a loro volta dovuti figurare quali coimputati in ragione della loro conoscenza diretta del "fenomeno" del capitale finanziato e della loro altrettanto diretta operatività all'interno del fenomeno medesimo. Ha indicato come profondamente errata, alla stregua di tali considerazioni e della necessità di rispettare i principi generali in tema di concorso nel reato, l'attribuzione generalizzata al GI. (del tutto disancorata dalle prove acquisite al processo, anche per quanto riguarda i dati numerici) della penale responsabilità con riguardo a tutte le 874 operazioni emerse, pur frammentate negli anni oggetto di contestazione. In realtà - ha proseguito l'appellante - sarebbe stato necessario dimostrare, per ciascuna singola operazione correlata, che il GI. ne aveva deliberato il finanziamento per essa specificamente utilizzato; che ne aveva seguito l'intera evoluzione; che infine aveva avuto consapevolezza della non deduzione di tale finanziamento dal patrimonio di vigilanza. L'appellante ha escluso che le generiche affermazioni contenute in sentenza riescano a evidenziare in capo al GI. la prova della sua ravvisata penale responsabilità anche per la condotta di mancata iscrizione della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. nei bilanci di esercizio 2012, 2013, 2014; per converso il primo giudice ha completamente ignorato, ad avviso dell'appellante, una serie di prove a discarico (documentali e testimoniali) che, conducono a non poter ascrivere al GI. tale condotta, per vero del tutto estranea alle competenze della Divisione Mercati. Né - ha proseguito l'appellante - può ritenersi soddisfacente il generico e indistinto ricorso, da parte del primo giudice in aderenza alla formulazione dell'imputazione, alla nozione di "agevolazione", essendo noto che, nella interpretazione giurisprudenziale dell'art. 110 c.p., la c.d. "agevolazione" o il "rafforzamento del convincimento" (dato dal concorrente nel reato a colui che materialmente pone in essere la condotta) deve comunque estrinsecarsi in una condotta individuata nei suoi tratti essenziali. Indi l'appellante ha censurato come ancora una volta apodittico, e anzi in aperto contrasto con le risultanze dell'istruttoria dibattimentale, l'argomentare della sentenza impugnata circa l'asserito apporto concorsuale del GI. al reato di aggiotaggio manipolativo quanto alla condotta di mancata comunicazione all'esperto stimatore esterno incaricato da B. nel 2010, prof. Ma.Bi., della prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto e/o sottoscrizione di azioni proprie. Ha comunque evidenziato che in base alla stessa relazione dei cc.tt del P.M. - pur ampiamente citata e utilizzata in sentenza sotto altri profili e viceversa pressoché ignorata su questo specifico punto - emerge come l'erronea stima del sovrapprezzo dell'azione B. da parte del prof. Bi., lungi dal dipendere esclusivamente dall'omessa comunicazione al predetto esperto circa l'esistenza del capitale finanziato così come adombrato in sentenza, fosse conseguita anche, e soprattutto, a una serie di errori metodologici commessi dallo stesso prof. Bi., il cui operato è in effetti ampiamente stato criticato anche dai cc.tt. del P.M. senza che il primo giudice si sia tuttavia soffermato adeguatamente su tale pur fondamentale parte della relazione di consulenza tecnica dell'accusa. Ad avviso dell'appellante la suddetta omissione del tribunale si è riverberata in maniera determinante sulla valutazione circa l'esistenza o meno di un nesso causale tra la contestata condotta di asserito nascondimento al prof. Bi. del fenomeno delle operazioni correlate e la sovrastima del valore dell'azione da parte dell'esperto, fermo restando che nessun elemento depone nel senso di un qualsivoglia apporto causale, da parte del GI., al suddetto nascondimento (lo stesso prof. Bi., nel suo esame dibattimentale, ha escluso di essersi interfacciato con il predetto). 2.1.8 Con il diciassettesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XVII della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'estraneità del GI. anche al reato di aggiotaggio informativo, posto che il primo giudice, ancora una volta mantenendosi su di un piano di assoluta indeterminata genericità, non ha dato alcuna indicazione (né tantomeno ha indicato elementi probatori a carico) su quale possa essere stato il "contributo" dell'imputato - non meglio specificato nel capo di imputazione - alla materiale diffusione di notizie false nei vari canali informativi. Né certo la prova e la determinazione del preteso "contributo" del GI. a tale specifica condotta possono trarsi, secondo l'appellante, dalla pur data per scontata - ma a sua volta contestata - "consapevolezza", in capo al predetto, delle modalità di occultamento delle operazioni correlate (consapevolezza che in ogni caso attiene al piano dell'elemento soggettivo e non già a quello - ben distinto - dell'individuazione dell'apporto causale), ferma restando l'esatta distinzione giurisprudenziale tra connivenza non punibile e concorso manifestabile nella sua forma minima, ossia appunto nella agevolazione. Ancora una volta difetta totalmente, in tesi difensiva, il rispetto dell'esigenza di individuare in termini ben delineati quale sia stata in concreto la condotta del GI. inteso quale asserito concorrente "agevolatore". 2.1.9 Con il diciottesimo e il diciannovesimo motivo (oggetto di trattazione ai capitoli XVIII e XIX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha rivendicato l'insussistenza di una condotta concorsuale del GI. nei reati di ostacolo alle funzioni di vigilanza di Banca d'Italia e BCE (capi da B1 a MI), evidenziandone in particolare l'obiettiva estraneità alla produzione dei flussi di informazione decettivi destinati alla vigilanza e a nulla potendo valere la sistematica trasposizione reiterata - di stile - operata, in ciascun capo di imputazione, di quello che altro non è se non il criterio di imputazione soggettiva della distinta condotta di aggiotaggio manipolativo di cui al capo A1. Anche in questo caso difetta totalmente in sentenza, secondo l'appellante, l'individuazione per il GI. di una specifica condotta, dotata di tipicità, atta a individuare in capo al predetto la meramente dedotta condotta agevolativa, tanto più ponendo mente al fatto che in questo specifico caso il GI. si pone quale extraneus rispetto a un reato proprio e che pertanto andrebbero semmai applicate le stringenti regole in tema di responsabilità dell'estraneo nel reato proprio. In ogni caso - ha proseguito la difesa concludendo con una disamina analitica, capo per capo dal B1 fino al MI, del compendio istruttorio acquisito in sede dibattimentale - il tribunale ha fatto malgoverno delle prove ignorando, anche per i suddetti reati di ostacolo, i pur esistenti elementi a discarico. 2.1.10 Con il ventesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XX della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il tribunale condannato il GI., in relazione al capo N1, per un fatto totalmente nuovo, naturalisticamente autonomo e non enunciato in alcun modo nel decreto che dispone il giudizio: non gli è infatti più stata ascritta una intesa, al riguardo, con il d.g. Sa.So. ma un contegno attuativo di condotte decisionali esclusive e autonome del So. stesso. In altri termini - ha proseguito la difesa - la condotta per la quale il GI. ha riportato condanna non è sovrapponibile a quella originariamente descritta nel decreto che dispone il giudizio. Di qui l'eccepita nullità. 2.1.11 Con il ventunesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXI della parte IV dell'impugnazione) l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio. In quest'ultimo infatti gli si contestava di avere preso parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti. La sentenza gravata, invece, pur dando atto (perché un tanto emerge dalla svolta istruttoria) che il contenuto dei prospetti è direttamente riconducibile alla condotta dolosa degli imputati ZO. e PI., e pur dando atto che il GI. - come pure l'altro imputato MA. - non era direttamente coinvolto nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ancora una volta ne ha fondato erroneamente la penale responsabilità (come già aveva fatto in relazione ai reati di ostacolo) sulla mera asserita consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. 2.1.12 Con il ventiduesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXII della parte V dell'impugnazione) l'appellante in subordine ha censurato il trattamento sanzionatorio sotto i seguenti profili: non corretta individuazione del reato più grave (ravvisato nel capo H1 quando viceversa, al momento di determinare la competenza territoriale dell'autorità giudiziaria vicentina, esso era stato identificato con il capo B1); mancata determinazione della pena base nei limiti di legge; mancata determinazione degli aumenti per la continuazione nel minimo di legge; mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. Illegittima deve ritenersi infine - e se ne è chiesta la revoca - la disposta confisca per equivalente non avendo il tribunale indicato le ragioni per le quali il GI. sia stato ritenuto responsabile dell'erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione del capitale finanziato de quo. 2.1.13 Con il ventitreesimo motivo (oggetto di trattazione al capitolo XXIII della parte VI dell'impugnazione) l'appellante, in relazione alle statuizioni civili, ha chiesto la revoca delle stesse; in ogni caso, e in subordine, ha chiesto sospendersi - sussistendo gravi motivi ex art. 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le partì civili. Riassuntivamente l'appellante GI. ha rassegnato le seguenti conclusioni: 1) In via preliminare principale di rito, riconosciuta l'incompetenza per territorio del Tribunale di Vicenza, pronunciarsi sentenza di annullamento ex art. 24 comma 1 c.p.p., della sentenza impugnata ordinando la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ovvero, in subordine, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano. 2) In via preliminare subordinata di rito annullarsi la sentenza impugnata ex art. 603 comma 4 c.p.p. sia in relazione al capo N1 che in relazione ai capi I e L per violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p., avendo il Tribunale di Vicenza condannato per fatti nuovi non enunciati nel decreto che dispone il giudizio. 3) In via principale di merito assolvere l'imputato GI. da tutti i reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o con altra formula ritenuta di giustizia. 4) In via subordinata di merito quanto al trattamento sanzionatorio, previa individuazione del reato più grave fra quelli ascritti nel capo B1, riduzione ai minimi di legge della pena base nonché di tutti gli aumenti operati per la continuazione interna con riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle residue aggravanti contestate. 5) In via subordinata quanto alle statuizioni civili, escludere quelli - fra soggetti costituitisi parti civili - da valutarsi come carenti di legittimazione attiva nei termini illustrati nel relativo motivo di gravame. In ogni caso revocare tutte le statuizioni civili e sospendere - sussistendo gravi motivi ex art 600 comma 3 c.p.p. - l'esecuzione della condanna al pagamento della disposta provvisionale per tutte le parti civili. 2.2 Appello proposto da Ma.Pa. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Ma.Pa.. 2.2.1 In particolare con il primo motivo, assai articolato, l'appellante ha censurato l'affermazione di responsabilità del MA. in relazione a tutti i reati contestati nel capo di imputazione sotto più profili che vengono qui di seguito illustrati. 2.2.1.1 Preliminarmente l'appellante ha eccepito la nullità della richiesta di rinvio a giudizio reiterando la già sollevata eccezione, respinta dal tribunale vicentino, di nullità delle notifiche dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. e dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare effettuate - nel domicilio da lui eletto in data 28.4.2017 nell'ambito del solo procedimento n. 5628/2015 RGNR, allora unico procedimento pendente a suo carico - con riguardo afte imputazioni relative alle condotte criminose che lo stesso MA., in tesi d'accusa, avrebbe posto in essere nell'anno 2015 (condotte che dapprima avevano costituito l'oggetto di un distinto procedimento recante il n. 5851/2017 RGNR, iscritto dalla Procura della Repubblica vicentina - a seguito del deposito dell'informativa finale 6.7,2017 della GdF di Vicenza estesa per la prima volta alle condotte commesse nell'anno 2015 - mediante stralcio dal già pendente procedimento n. 5628/2015 RGNR; indi riunito al suddetto procedimento n, 5628/2015 RGNR solo in occasione dell'udienza preliminare tenutasi nell'aprile 2018) per violazione dell'art. 157 c.p.p.. Ciò in applicazione del principio secondo cui l'elezione di domicilio effettuata dall'imputato ha validità unicamente nell'ambito del procedimento in relazione al quale essa viene effettuata, con divieto quindi di una sua ultrattività anche nei procedimenti connessi. 2.2.1.2 Indi l'appellante ha formulato richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, comprensiva in particolare del confronto tra il teste Cl.Am. (già responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B.) e il teste Ge.Sa. (componente del tea/77 ispettivo di Banca d'Italia che aveva operato nel 2012); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, sul file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (ciò solo per il caso di rigetto dell'eccezione di sua inutilizzabilità sulla quale v. infra); di una perizia super partes, mai disposta in primo grado, atta a valutare l'importo complessivo del capitale ritenuto finanziato, a individuare l'effettiva disciplina della sua deducibilità dal patrimonio di vigilanza e - prima ancora - a individuare i criteri che debbono essere utilizzati al fine di stabilire se un'operazione di finanziamento possa o meno dirsi correlata/finalizzata all'acquisto e/o alla sottoscrizione di azioni. A tale ultimo proposito la difesa ha affermato di richiamarsi anzitutto alle articolate argomentazioni svolte dalla difesa ZO. (v. infra); ha evidenziato in ogni caso come emblematico, in ordine alla necessità di disporre perizia, il fatto che, mentre il tribunale ha avallato acriticamente il criterio temporale dei tre mesi (criterio basato su una indicazione del teste Ro. nonché adottato dall'ispettore Ma. e indi dai consulenti tecnici del P.M.), nondimeno l'espletata istruttoria dibattimentale ha in realtà consentito di appurare come il concretamente riscontrato intervallo temporale - a detta dello stesso teste Ma. - si fosse di fatto attestato attorno a un massimo di un mese circa. 2.2.1.3 L'appellante ha poi rinnovato la già svolta eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014; nel caso di specie, infatti, l'autore materiale della registrazione (uno o forse più tecnici all'uopo incaricati, a suo dire, dal segretario generale Ma.So.) era un soggetto - estraneo alla conversazione tra presenti in questione - che aveva operato da una consolle di registrazione sita all'esterno dell'aula consiliare e non vi era neppure stato ammesso ad assistere da alcuno se non eventualmente dal solo So. a insaputa di tutti gli altri partecipanti. 2.2.1.4 L'appellante ha lamentato un malgoverno delle prove in quanto la gravata sentenza, nonostante la mole ponderosa, si caratterizzerebbe: a) per una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) per una elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. In primo luogo, comunque, non è dato comprendere perché tutta una serie di soggetti (si sono indicati esemplificativamente i testi Cl.Gi., Co.Tu., Gi.Am. e altri), pacificamente resisi autori materiali delle medesime condotte contestate all'imputato, non siano mai stati nemmeno indagati in relazione a tali loro condotte. La suddetta considerazione è prodromica all'ulteriore doglianza difensiva concernente la totale assenza, nella gravata sentenza, di ogni e qualsiasi valutazione in ordine alla componente psicologica dei reati contestati. A tale ultimo proposito la difesa ha evidenziato in particolare come il MA. mai abbia sostenuto di ignorare l'esistenza in B. di operazioni di finanziamento correlato; egli in effetti ha costantemente dichiarato ben altro, ossia di essere sempre stato genuinamente convinto della piena liceità delle operazioni stesse: non solo tale tipologia di operazione veniva eseguito in B. già prima del 2009, anno di assunzione del MA., ma altresì egli, da neoarrivato, aveva ricevuto assicurazioni da vari colleghi, tra cui il GI., il Co. e il Se. (all'epoca responsabile della Divisione Crediti), sul fatto che - trattandosi di una banca cooperativa - non trovasse ad essa applicazione l'art. 2358 c.c.; in tale ultimo senso anzi la banca aveva a suo tempo richiesto e acquisito pure un parere legale formulato da uno studio incaricato ad hoc (trattavasi dello studio Erede-Bonelli; il parere, redatto da uno dei massimi esperti nella materia, era stato favorevole alla tesi della inapplicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative); in effetti la dottrina e la stessa giurisprudenza fino ad epoca assai recente si erano dimostrate tutt'altro che univoche sul punto. A ciò si aggiunge la circostanza che l'effettuazione di operazioni correlate fosse emersa, alla luce della svolta istruttoria dibattimentale, quale dato pienamente noto anche all'interna audit della banca (il che renderebbe assai precaria, sotto il profilo dell'attendibilità, la posizione del teste Ma.Bo., responsabile dell'audit) nonché al suo ufficio legale (considerazioni analoghe a quelle relative al teste Bo. andrebbero dunque svolte anche con riguardo alla sua responsabile, l'altra teste avv. An.Pa.): né l'una né l'altra struttura avevano mar avvisato alcuno in B. circa il fatto che si stesse con ciò ponendo in essere un'attività illecita. Anzi la teste Pa. in sede dibattimentale si era trovata costretta ad ammettere che aveva effettivamente potuto visionare la pratica (pacificamente correlata) Ca.-Lu. ma che, essendosi essa positivamente conclusa, non aveva ritenuto di fare nulla. 2.2.1.5 L'appellante ha indi lamentato l'errata ricostruzione operata dal tribunale - alla pag. 678 della gravata sentenza - delle competenze della Divisione Crediti, affermando che i giudici vicentini si sono basati, al riguardo, essenzialmente su quanto affermato dal teste Gi.Sc. nella relazione ispettiva 2012 della Banca d'Italia (laddove lo stesso Sc. in sede dibattimentale ha ammesso di non conoscere le facoltà deliberative autonome riconosciute alla rete), mentre sarebbe stata obliterata la delibera del CdA 7.2.2012 (pur acquisita al fascicolo del dibattimento) la quale aveva ridisegnato le competenze e le funzioni della Divisione Crediti istituendo le Direzioni Regionali. In particolare non risponde affatto al vero - ha proseguito l'appellante - l'assunto del primo giudice secondo cui "le competenze assegnate alla Divisione Crediti riguardavano l'intera filiera di erogazione del credito (...) la divisione era altresì incaricata delia successiva attività di perfezionamento degli stessi (affida menti) (e delle relative garanzie)". In rea Ita i I perfezionamento e l'erogazione degli affidamenti, come pure l'acquisizione delle eventuali garanzie ad essi relative, erano - nel periodo in esame - demandati a una società controllata da B. e denominata Servizi Bancari, come riferito concordemente in sede dibattimentale dai testi Cl.Am. e Sa.R. oltre che dallo stesso imputato MA.. La difesa del MA. ha affermato altresì che, sempre in tale passo dell'impugnata sentenza, i giudici vicentini hanno equivocato anche sul ruolo svolto dal teste Cl.Gi. indicandolo come "capo area di Vicenza" Al di là del refuso "13.6.2013" in luogo di "13.6.2019" riguardo alla data dell'esame testimoniale del Gi. (che pure - a detta dell'appellante - non depone a favore della precisione ricostruttiva complessivamente impiegata dal collegio giudicante), io stesso Gi. nel corso del suo esame testimoniale aveva chiaramente detto di avere assunto la carica di Direttore regionale Ve.Oc. all'indomani della modifica dell'organizzazione commerciale della banca, disposta nell'aprile - maggio 2012 con l'istituzione delle direzioni territoriali. Infine, e più gravemente, il passo in oggetto della gravata sentenza avrebbe totalmente travisato la stessa spiegazione, in sé completa ed esatta, fornita dal teste Gi.. Dalla parafrasi del tribunale pare che ad essere articolata su base territoriale decentrata fosse la Divisione Crediti ma ciò è difforme da quanto riferito dal teste Gi. (nonché da altri testi come ad esempio il teste Ma.Ba., il teste Lu.Ve. e il teste Gi.Am.): gli Uffici Crediti articolati su base territoriale erano infatti alle dipendenze delle Direzioni Regionali, le quali a loro volta erano gerarchicamente inquadrate all'interno della Divisione Mercati. In altri termini nel periodo 2012-2015 successivo all'ispezione della Banca d'Italia la situazione era la seguente: a) la Divisione Crediti non era coinvolta in alcun modo nell'erogazione e perfezionamento dei finanziamenti; b) ciò che al riguardo veniva deliberato -in piena autonomia - dalle Direzioni Regionali era completamente estraneo al perimetro conoscitivo della Divisione Crediti. Soltanto nel 2015, come riferito con chiarezza dal teste Cl.Am., l'assetto organizzativo di B. era variato nuovamente con il ritorno alla Divisione Crediti della competenza gerarchica sui crediti in rete. Nel periodo 2012-2015, viceversa, alla stregua delle suesposte considerazioni, essendo il processo del credito non accentrato, diversamente da quanto sostenuto nella gravata sentenza, la Divisione Crediti (il cui ruolo e la cui funzione erano circoscritti alla necessità di assicurare la qualità del credito e il recupero di esso) non aveva - né poteva avere - contezza della complessiva entità del capitale finanziato. 2.2.1.6 L'appellante ha poi evidenziato come nessun rilievo fosse stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti, tanto all'esito dell'ispezione del 2012 quanto all'esito di quella del 2015, mentre per converso erano stati formulati i seguenti rilievi per omissioni e carenze a vario titolo: contro i consiglieri di amministrazione in carica all'epoca dei fatti; contro i sindaci in carica all'epoca dei fatti; contro il direttore generale (Sa.So.) in carica all'epoca dei fatti; contro i vice direttori generali in carica all'epoca dei fatti An.Pi. (Divisione Finanza) ed Em.Gi. (Divisione Mercati); contro le funzioni aziendali di controllo - ossia contro i responsabili della funzione Internai Audit (Ma.Bo.) e della funzione Compliance (Gi.Fe.) - in carica all'epoca dei fatti. 2.2.1.7 L'appellante, con riguardo alla questione della c.d. "causale sentinella" connotata da estrema genericità, ha sollevato forti dubbi sulla valenza sintomatica attribuita in tesi d'accusa - e fatta propria dal tribunale vicentino - alla causale stessa, posto che: s lo stesso teste Gi.Sc., capo team dell'ispezione 2012, aveva affermato che 'le carenze nella causale non erano un fatto sistematico, perché altrimenti lo avremmo registrato nel rapporto o, perlomeno, non mi è stato restituito come un fatto sistematico, poi non posso evidentemente immaginare che tutte le PEF siano state esaustive (...)"; - anche il teste Ge.Sa., altro membro del team dell'ispezione 2012, aveva manifestato, sotto altro profilo, considerevoli dubbi sulla natura effettiva di "sentinella" in capo alla suddetta causale generica; - l'assoluta mancanza di rilievi in merito alla presunta genericità di tale, proposta di fido contenuta nella P.E.F. era stata confermata anche dal teste Ma.D.Bo. (all'epoca direttore dei Crediti Anomali nonché uno dei diretti interlocutori con il team ispettivo); - nemmeno l'ispettore Em.Ga. nel 2015, benché le regole da seguire e applicare fossero frattanto divenute più stringenti (in quanto non più di, matrice nazionale bensì europea), aveva proposto sanzioni al riguardo nemmeno aveva invitato la banca a modificare modulistica, procedura e altro in tema di credito; - la formula generica "cogliere opportunità di investimenti mobiliari e immobiliari", lungi dall'essere stata introdotta dal MA. come poteva sembrare leggendo la sentenza impugnata, preesisteva al suo arrivo in B. e d'altra parte non era applicata unicamente ad operazioni c.d. "baciate" (lo stesso teste Fr.Io., ossia il nuovo direttore generale succeduto a Sa.So., lo aveva confermato in sede dibattimentale al pari del teste Co.Tu.); - in relazione a tutte le operazioni finanziate, così come individuate dalla consulenza tecnica Ta.-Pa.-Ca., l'esame delle P.E.F. faceva emergere il dato statistico secondo cui circa il 40% dell'importo finanziato (esattamente il 41,44%) portava causali diverse da quella sopra indicata. 2.2.1.8 L'appellante ha confutato come non rispondente al contenuto complessivo dell'espletata istruttoria dibattimentale anche l'ulteriore assunto - di cui alle pagg. 680 e ss. della sentenza impugnata - secondo il quale le pratiche riguardanti le operazioni correlate dovevano necessariamente essere predisposte su un format fornito dalla Divisione Crediti, e ciò a pena di essere rifiutate, su disposizione apparentemente impartita dal MA., in caso contrario. In realtà tutti i testi sentiti al riguardo si erano espressi de relato riportando asserite affermazioni rese loro in tal senso dall'uno o dall'altro esponente della Divisione Mercati; non a caso l'espressione utilizzata al riguardo in sentenza - "Inoltre, si disse che tale dicitura era condivisa con la Divisione Crediti e avrebbe consentito l'approvazione della pratica" (cfr. pag. 680 cit.) - era quanto mai generica e impersonale. Anche quanto all'altro preteso indicatore univoco della natura correlata dell'operazione, oltre alla c.d. "clausola sentinella", ossia la c.d. "sfasatura temporale" tra l'erogazione del fido e l'acquisto di azioni, la difesa ha osservato che la sentenza impugnata pare volutamente confondere i piani intersecando l'unica disposizione data dal MA. al riguardo (ossia che il denaro del finanziamento erogato dovesse risultare già accreditato nel c/c prima di poter procedere all'acquisto delle azioni) con il fenomeno - del quale il MA. non era in alcun modo partecipe - dell'occultamento di tale procedura agli occhi dell'eventuale controllore. In altri termini il monito in questione, rivolto dal MA. al personale a seguito della reiterata disinvoltura dimostrata in passato da B. sull'argomento (cfr. ad esempio l'operazione Lu.-Ca.), disinvoltura che come tale era stata censurata dal team ispettivo del 2012, aveva il solo fine di evitare eventuali sconfinamenti in c/c come aveva ad esempio ben spiegato fra gli altri il teste Co.Tu.. Le stesse deposizioni che sul punto vanno apparentemente in senso sfavorevole al MA., segnatamente quelle rese dai testi En.Da., Gi.Am. e Al.Cu., sarebbero state riportate in sentenza dal tribunale vicentino solo per brevi stralci completamente decontestualizzati, sì da stravolgerne il senso. 2.2.1.9 L'appellante indi ha affrontato un altro tema (svolto dalla sentenza impugnata alle pagg. 686-687), quello della "campagna riqualificazione impieghi" - intendendosi per impieghi i prestiti - anche detta "pre-deliberato", connotata semplicemente dallo stanziamento, ad opera di B., di una rilevante somma finalizzata all'applicazione di condizioni contrattuali differenziate (ossia più vantaggiose) in sede di rinnovo o revisione degli affidamenti di clienti meritevoli di un particolare rating creditizio. Il compito della Divisione Crediti, a detta dell'appellante, era esclusivamente tecnico e riguardava solo l'individuazione dei criteri di rating da utilizzare per selezionare i clienti ai quali riqualificare il prestito, formare apposite liste e inviarle alla rete per la definitiva verifica. Il tutto - ha proseguito la difesa del MA. - è stato esaustivamente spiegato in dibattimento dai testi Cl.Am. e Ma.Ba. mentre l'appellante, contrariamente a quanto parrebbe desumersi dalla sentenza gravata, non aveva nulla a che vedere con le modalità, più o meno corrette, attraverso cui tale iniziativa era poi stata presentata dalla rete commerciale ai propri clienti, non potendo ascriversi all'imputato le eventuali pressioni esercitate dalla rete medesima ° nei confronti della clientela per accompagnare l'iniziativa con inviti ad acquistare azioni B.. Al riguardo, ad esempio, la sentenza impugnata valorizzerebbe al massimo grado la deposizione del teste Um.Se. ma da un lato trattasi di soggetto che risulta avere deliberato, egli sì, numerosi finanziamenti destinati all'acquisto di azioni (sia come predecessore del MA. alla Divisione Crediti - anteriormente all'introduzione delle Direzioni Regionali - e sia in seguito come direttore generale della controllata Ba.Nu.) mentre dall'altro lato la reale natura dell'iniziativa (di per sé priva di qualsivoglia rilievo nell'alveo del problema del capitale finanziato) risulterebbe assai meglio illustrata nella relativa delibera acquisita al fascicolo del dibattimento. Anche in tal caso comunque - secondo quanto ha lamentato la difesa - il tribunale avrebbe selezionato gli elementi istruttori omettendo di menzionare quelli favorevoli all'imputato. 2.2.1.10 L'appellante ha censurato altresì il grande rilievo attribuito dalla sentenza impugnata a una serie di note e di approfondimenti provenienti dall'audit nella persona del suo responsabile Ma.Bo., posto che - come già sopra accennato - questi, al pari dell'ufficio legale della banca, era perfettamente al corrente dell'esistenza della prassi delle operazioni di finanziamento correlato e che mai tali strutture avevano segnalato alcunché, fermo restando quanto già detto in ordine al convincimento del MA. circa la liceità di tali operazioni ed esulando dall'ambito delle sue competenze quella di controllare se poi il capitale finanziato con tali operazioni venisse correttamente scomputato dal patrimonio di vigilanza. Analogamente - ha proseguito l'appellante - si sarebbe dovuto considerare l'atteggiamento di fuga dalla responsabilità tenuto dal CdA (composto non già da persone digiune della materia ma da docenti universitari, da imprenditori di primo piano e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato), il quale, sottoscrivendo ogni delibera, aveva a sua volta scelto di abdicare al proprio compito di vigilare sul rispetto degli adempimenti e sulla corretta deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza. Oltretutto - ha notato la difesa - diversi altri componenti del CdA, e non solo l'imputato Gi.ZI., avevano sottoscritto essi stessi dei finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni B. 2.2.1.11 L'appellante si è diffuso a lungo sulle due ispezioni (Banca d'Italia 2012; BCE 2015) - in particolare sulla prima - evidenziando la necessità di un confronto tra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. che avevano reso deposizioni tra loro inconciliabili ed erano stati entrambi definiti "debolmente attendibili" dal tribunale (il primo aveva sostenuto che l'effettuazione delle operazioni correlate di finanziamento non fosse stata affatto taciuta al team ispettivo del 2012, con i quali egli aveva avuto una diretta interlocuzione; il secondo - incorso peraltro in pesantissime contraddizioni nelle diverse occasioni in cui era stato sentito durante le indagini preliminari e finanche sottoposto a intercettazione telefonica dagli inquirenti - era tornato, in sede dibattimentale, ad affermare il contrario, ritrattando quanto aveva detto da ultimo agli stessi inquirenti). Ad avviso dell'appellante, comunque, l'Am., responsabile dei Crediti Ordinari nell'ambito della Divisione Crediti di B. nonché vice - assieme a Ma.D.Bo. - del MA., sarebbe assai più credibile del Sa. e più in generale dell'intero team ispettivo della stessa Banca d'Italia, la quale, dopo avere incentivato la crescita di B., non potrebbe, secondo la difesa, "permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva of peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello). Sul punto la difesa dell'appellante MA. ha menzionato l'esistenza nel web, quale fonte aperta, della registrazione di un colloquio intercorso nei primi mesi del 2014 fra il presidente di B. Zo.Gi., l'allora presidente di Ve.Ba. e l'allora capo della vigilanza della Banca d'Italia da cui si evinceva che quest'ultimo, nel ricordare ai suoi interlocutori che dal 4 novembre di quello stesso anno Banca d'Italia avrebbe dovuto passare ex lege la mano al SSM (Single Supervisory Mechanism) e che dunque i controlli sarebbero stati più severi, stava cercando di convincere Ve.Ba. ad unirsi con B.. 2.2.1.12 L'appellante ha evidenziato altresì come il tribunale non abbia riferito, nell'occuparsi della successiva ispezione del 2015, che in realtà il MA. non vi aveva nemmeno preso parte in quanto trasferito dal 18.12.2014 alla controllata siciliana Ba.Nu.. 2.2.1.13 L'appellante è poi passato a confutare con argomentazione particolarmente articolata (cfr. pagg. 126-149 atto di appello) l'assunto del collegio vicentino in ordine alla pretesa non credibilità e contraddittorietà del MA., sostenendo: a) che il contenuto dell'esame di questi sarebbe viceversa stato equivocato e travisato in più punti dal primo giudice; b) che tra i testi particolarmente valorizzati dal tribunale contro il MA. vi è ad esempio il teste Fu.Bo., non rientrante, così come vari altri, nel novero degli imputati solo a causa di una scelta operativa, definita "discutibile" degli inquirenti. Un soggetto, il Bo., che, in base al complesso dell'espletata istruttoria, emergerebbe viceversa come contraddittorio e poco credibile e del quale, in ogni caso, il tribunale (seguendo invero una tecnica redazionale spesso utilizzata nella gravata sentenza) avrebbe estrapolato solo alcuni frammenti di esame dibattimentale per lo più sfavorevoli al MA., senza porli a confronto con le rettifiche operate dallo stesso teste in sede di controesame. 2.2.1.14 L'appellante, con riguardo al capo MI relativo alle condotte di ostacolo contestate all'imputato MA. durante l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (Asset Quality Review), ha escluso anzitutto che l'AQR possa paragonarsi in tutto e per tutto a una normale ispezione, indicandone le ragioni (fra l'altro nel corso di essa, in relazione alle posizioni esaminate, nemmeno era prevista l'interlocuzione tra ispettori e funzionari dell'istituto) ed evidenziando fra l'altro, in tale contesto, come finanche la Banca d'Italia, una volta diffusi i risultati dell'AQR e dello stress test, avesse affermato che il Comprehensive Assessment era stato un esercizio di natura prevalentemente prudenziale e non contabile, ove si era fatto ricorso a metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili. Indi la difesa ha ricordato come, per costante giurisprudenza, in tema di ostacolo alla vigilanza assumano rilevanza penale solo quelle false informazioni - ovvero l'omissione o il nascondimento di informazioni - capaci di entrare in conflitto con l'esercizio della funzione concretamente svolta, presupposto a suo avviso non ricorrente nel caso in esame (fermo restando che al MA. non potrebbe contestarsi di avere taciuto al team l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, dal momento che egli era venuto a sapere di tali procedure, come altri in banca, solo all'esito dell'ispezione BCE del 2015; né in atti vi sarebbero elementi idonei a dimostrare il contrario, anzi tutti i testi escussi hanno concordemente dichiarato che le lettere di impegno al riacquisto non erano inserite nelle P.E.F., bensì venivano conservate in cartaceo presso le filiali ove il cliente aveva il c/c di riferimento; in nessun modo era segnalata l'eventuale presenza di tale impegno, che restava una pattuizione riservata tra il responsabile della rete di riferimento e la controparte). 2.2.1.15 L'appellante è passato quindi a contestare (cfr. pagg. 154-172 atto di appello) la configurabilità in capo al MA. di un apporto concorsuale rilevante ai sensi dell'art. 110 c.p., censurando anzitutto la struttura del capo d'imputazione, configurato nel senso di una piena e totale condivisione di tutti gli imputati in relazione alle condotte contestate, a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate, sul presupposto che "tutti avessero fatto tutto" e dunque sulla base di una sorta di automatismo presuntivo, A sua volta la motivazione sui punto della sentenza impugnata - circoscritta alla sua pag. 216 - è stata censurata dall'appellante come sbrigativa e insoddisfacente in quanto basata su un'asserita "consequenzialità" ("In questo contesto operativo, è consequenziale concludere che gli imputati - che nei diversi ruoli hanno posto in essere le singole condotte di manipolazione del mercato - avessero piena ed assoluta consapevolezza dell'occultamento di questa operatività al mercato e alla vigilanza") che non avrebbe invece fondamento alcuno. A parere della difesa nel dibattimento di primo grado non è stata fornita la prova che tutti gli imputati indistintamente, e l'appellante MA. in particolare, sapessero che le c.d. operazioni "baciate" non venivano scomputate dal capitale di vigilanza e che inoltre esse erano finalizzate - oltre che all'esigenza, a tutti nota, di svuotamento del fondo acquisto azioni proprie (soprattutto in coincidenza con il fine anno) nonché a creare liquidità per il mercato secondario - anche a fornire "una distorta immagine di solidità del mercato azionario ferma restando la forte differenza tra il flusso informativo che giungeva alla Divisione Crediti e quello, ben più intenso, diretto e pregnante, che invece perveniva alla Divisione Mercati e ne animava le riunioni. Al riguardo desta forte perplessità nell'appellante il fatto che una similare differenza di flussi informativi tra diverse Divisioni fosse invece stata valorizzata dal tribunale per assolvere il coimputato Ma.PE.. 2.2.1.16 L'appellante ha lamentato altresì come al MA. sia contestato di avere "avallato una prassi" senza tuttavia che - sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato - risulti provato che egli, divenuto a un certo punto consapevole che la prassi da tempo seguita era in realtà illecita, l'avesse ciononostante pervicacemente reiterata. Ha censurato altresì l'operato dell'Accusa la quale, pur dopo l'emersione di un fenomeno - nell'ambito di B. - di autonome potestà deliberative diffuse e non già accentrate, e pur avendo conferito la stessa Accusa a seguito di ciò ai propri consulenti tecnici il compito di redigere una relazione integrativa (atta a identificare, sulla scorta delle delibere esaminate, quale fosse l'organo deliberativo di volta in volta interessato), non vi ha tuttavia dato realmente seguito, astenendosi dal ripartire fra gli autori in concreto delle varie delibere le somme contestate nel capo di imputazione quale importo complessivo del capitale finanziato. D'altra parte - ha proseguito l'appellante - qualora gli inquirenti avessero effettivamente seguito tale ultima via si sarebbero necessariamente dovuti iscrivere nel registro degli indagati alcuni fra i testimoni dell'Accusa quali concorrenti materiali nel reato. Nondimeno, difettando il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso imputabile del maggiore capitale finanziato complessivo, non sarebbe possibile nemmeno valutare la reale offensività di ciascuna condotta. Il tutto comunque - ha precisato la difesa - vale, in relazione alla posizione del MA., per le sole contestazioni di fatti commessi fino al 18 dicembre 2014 dal momento che in tale data egli veniva rimosso dalla Divisione Crediti di B. e trasferito alla controllata Ba.Nu., Viceversa in sentenza il MA. è stato condannato - senza alcuna giustificazione - finanche per i fatti occorsi nell'anno 2015 (l'appellante ha osservato al riguardo che il responsabile della Divisione Crediti in carica per quegli importi è perfettamente identificabile trattandosi del teste non assistito, in quanto mai iscritto nel registro degli indagati, Al.Ba.). In via di mero subordine la difesa ha chiesto quindi che, nel caso di ravvisata penale responsabilità del MA., la stessa sia comunque ritenuta sussistente solo fino al 18 dicembre 2014. 2.2.2 Con il secondo motivo l'appellante ha censurato in via subordinata l'eccessività della pena inflitta, e ciò sia con riferimento alla pena base sia con riguardo agli aumenti operati per la ritenuta continuazione. 2.2.3 Quindi, con il terzo motivo, l'appellante - in via di ulteriore subordine - ha chiesto valutarsi le già riconosciute attenuanti generiche come prevalenti sulle contestate aggravanti nell'ambito del giudizio di bilanciamento. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: 1) assoluzione dell'imputato Ma.Pa. per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato; 2) in subordine, riduzione della pena inflitta (sia attraverso una diminuzione della pena base, quantificata nei minimi edittali, sia attraverso una riduzione dell'aumento operato per la continuazione); 3) in ulteriore subordine, riduzione della pena inflitta per effetto del richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti. 2.2.4 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa ha ulteriormente argomentato in ordine alla già chiesta riapertura dell'istruttoria dibattimentale, insistendo in maniera particolare nella richiesta di confronto fra i testi Cl.Am. e Ge.Sa. e chiedendo altresì, trattandosi di sopravvenienze: a) l'acquisizione dei verbali relativi alle dichiarazioni testimoniali rese dai predetti (Am. all'udienza 8.3.2022; Sa. all'udienza 18.3.2022) nel distinto procedimento rubricato al n. 1031/2020 pendente dinanzi al Tribunale di Vicenza in composizione collegiale a carico di So.Sa.; b) disporsi, sotto forma di perizia, l'estrazione dei dati contenuti nel server di SEC Servizi corrente in Padova, e ciò al fine di accertare la concreta attività svolta dall'ispettore Ge.Sa. nel corso dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia, con particolare riguardo a quanto da lui visionato nei giorni dall'1 al 7 luglio 2012. 2.3. Appello proposto da Pi.An. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche la difesa di Pi.An.. 2.3.1 In particolare, con il primo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione), l'appellante ha dedotto, richiamando alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p. dovuta alla totalmente omessa considerazione non soltanto di tutti i cospicui contributi orali e documentali forniti dalla difesa nel corso dell'intero dibattimento (inclusi i controesami difensivi - talora viceversa rivelatisi decisivi - dei testi a carico) ma altresì delle argomentazioni difensive esposte in una specifica ampia e dettagliata memoria depositata, nelle forme delle note d'udienza, in data 19 gennaio 2021. 2.3.2 Quindi, con il secondo motivo, l'appellante ha eccepito la violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p., nonché una carenza assoluta di motivazione, in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di coerenza intrinseca ed estrinseca delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri., sulle quali si fonda - a suo avviso in via esclusiva - la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata, e ciò benché la difesa avesse evidenziato, tanto in sede di discussione quanto nelle anzidette note d'udienza depositate il 19.1.2021, evidenti profili di inattendibilità e inutilizzabilità delle rispettive deposizioni. L'appellante ha evidenziato al riguardo i seguenti elementi: - i testi in questione sono soggetti che avevano contribuito in prima persona -loro sì materialmente - a quelle stesse condotte formanti l'oggetto della "prassi" contestata agli imputati, e in particolare al PI., nei capi d'imputazione, il che avrebbe quanto meno imposto un vaglio particolarmente stringente in ordine alla loro credibilità soggettiva e all'attendibilità di quanto da loro dichiarato; - oltre a ciò la pendenza del procedimento penale n. 2147/2019 RGNR (relativo alle asserite condotte di bancarotta connesse alla messa in L.C.A. di B. ha posto i predetti testi nella condizione di dover salvaguardare se stessi dal concreto rischio di essere incriminati in quel procedimento (nel cui ambito il Pubblico Ministero non aveva ancora cristallizzato l'imputazione né aveva ancora definito tutti i coindagati); - gli stessi testi, benché fossero stati sentiti a s.i.t. nel procedimento penale n. 2147/2019 RGNR proprio a ridosso della data del loro esame dibattimentale nel presente procedimento, in quest'ultimo hanno manifestato incertezze e lacune tali da rendere necessarie continue contestazioni, quando non addirittura letture diffuse - "in aiuto alla memoria" - dei verbali delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari quanto ai fatti che qui occupano (ciò varrebbe in particolare per i testi Ma.So. e Fi.Ro.); - più d'uno fra i suddetti testi si ritiene versi, in realtà, addirittura (come già eccepito in primo grado) in una condizione che ne avrebbe reso necessario l'esame nelle forme di cui all'art. 210 c.p.p. dal momento che a loro carico ricorrono obiettivi indizi di reità, quanto meno secondo i canoni del concorso di persone del reato, e ciò in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, con la conseguente necessaria escussione non già come testimone bensì quale imputato di reato connesso ai sensi dell'art. 210 c.p.p.. Viceversa sul punto la sentenza impugnata non contiene considerazioni di sorta; - a ciò conseguirebbe la vera e propria inutilizzabilità delle deposizioni rese dai testi Ma.So., Fi.Ro., Pi.Ra., Al.Ma. e Ro.Ri.; - ancor più peculiare sarebbe in realtà la posizione del teste Al.Ma. (sentito in qualità di testimone ex art. 194 c.p.p. all'udienza del 26.11.2020) posto che, successivamente al deposito della sentenza impugnata, è entrato nella disponibilità della difesa dell'imputato PI. (che lo ha allegato all'atto di appello e che ne ha chiesto - formulando istanza di rinnovazione probatoria ex art. 603 c.p.p. - l'acquisizione) un atto di esecuzione di perquisizione e sequestro a carico del Ma., eseguito per rogatoria dall'A.G, lussemburghese e datato 9.10.2020 (antecedente quindi all'esame dibattimentale del teste nel presente procedimento), dal quale si evincerebbe che anche il predetto Ma. - così come il teste pacificamente ex art. 210 c.p.p. Gi.St., avvalsosi in dibattimento della facoltà di non rispondere - all'epoca della sua deposizione già era iscritto (addirittura a far tempo dal 29 luglio 2020, in tesi difensiva) nel registro degli indagati del procedimento connesso n. 2147/2019 RGNR; - la vicenda relativa al teste Ma. viene indicata come di evidente gravità (la Procura della Repubblica vicentina non aveva, all'evidenza, mai reso noto che il teste, ben prima della sua ammissione ex art. 507 c.p.p., si trovasse già indagato in un procedimento fortemente connesso) ma l'unica sanzione di tale grave violazione delle garanzie difensive risiederebbe - in adesione alla costante giurisprudenza di legittimità - nell'inutilizzabilità della relativa deposizione. 2.3.3 Quindi, con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 3 dell'impugnazione, a sua volta articolato in più sotto-paragrafi che vanno dal 3.1 al 3.10), l'appellante ha eccepito il malgoverno delle prove da parte dell'impugnata sentenza, la quale a suo avviso ha ricostruito i fatti in modo incompleto e unilaterale, omettendo di considerare prove decisive in favore dell'imputato. E' stata altresì eccepita la violazione degli artt. 43 e 110 c.p. per essere del tutto carente la motivazione in merito alla prova del concorso del PI. ex art. 110 c.p. nelle condotte contestate, come pure in merito alla prova del dolo che tali condotte dovrebbe sorreggere. Più in particolare l'appellante ha osservato quanto segue; - il ragionamento probatorio del tribunale muove da un'adesione tanto incondizionata quanto infondata dello stesso alla tesi accusatoria circa la strumentali delle condotte di aggiotaggio rispetto a quelle di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza; strumentalità da cui deriverebbe quale consequenziale conclusione il concorso ex art. 110 c.p. di tutti gli imputati aventi posto in essere singole operazioni correlate (e dunque singole condotte di manipolazione del mercato) in tutte le ipotesi di reato contestate nei numerosi capi d'imputazione, e ciò indipendentemente dall'acquisizione di qualsivoglia prova in ordine alla conoscenza, rappresentazione e volontà del fenomeno e della vicenda intesi nella loro complessità; trattasi però di motivazione basata, come tale, su meri sillogismi e asserite prove logiche aventi invece dignità di mera congettura. A ciò si aggiungono, in più passi della gravata sentenza, il vero e proprio travisamento delle prove e/o l'attribuzione di rilevanza a elementi che ne sono del tutto privi (come ad esempio l'assunto - in realtà nemmeno dimostrato - che il PI. fosse uno dei più stretti collaboratori del direttore generale Sa.So.); s per il PI. era impossibile avere conoscenza della "prassi" della concessione di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. dal momento che la Divisione Finanza da lui guidata non era, né poteva essere, destinataria dei relativi flussi informativi e ferma restando l'assoluta segretezza con cui la Divisione Mercati, la Divisione Crediti e il Comitato Soci gestivano il fenomeno in oggetto (da soli sotto il controllo del direttore generale Sa.So.); oltretutto la presenza del PI. presso la sede di Vicenza di B. si limitava a una cadenza settimanale (ogni martedi, giorno in cui - pressoché settimanalmente - si teneva il CdA); - in prime cure è stata attribuita una grande rilevanza al fatto che il PI. avesse partecipato al comitato di direzione dell'8.11.2011 ma in realtà il teste Ma.So., assai valorizzato al riguardo, nel deporre non ha riferito un suo ricordo bensì una interpretazione di un suo appunto senza riuscire a ben rammentare cosa fosse effettivamente successo nell'occasione; in altri termini dal materiale probatorio in atti non riesce ad evincersi se davvero i presenti avessero ivi toccato il tema delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni B., considerando anche la ben scarsa attendibilità complessiva del teste assistito Fr.To., che aveva deposto nella veste di imputato di reato connesso ex art. 210 c.p.p. e che, anteriormente alla sua iscrizione nel registro degli indagati, aveva reso dinanzi agli inquirenti dichiarazioni di tenore tutt'affatto differente; v la motivazione della sentenza impugnata è in ogni caso illogica laddove ha mandato assolto, viceversa, l'imputato Ma.Pe. -responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione - che pure aveva partecipato anch'egli a quello stesso Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (assurto invece a "pietra miliare delta responsabilità addebitata al Dott. i Pi.": cfr. pag. 42 atto di appello), ritenendolo attendibile allorquando egli aveva sostenuto di non aver dato peso adeguato, in quell'occasione, agli interventi di Fr.To. e Um.Se. (rispettivamente facenti capo alle controllate Ca. e Ba.Nu.), che si erano riferiti - peraltro in maniera molto superficiale - alla possibile adozione di operazioni "baciate", posto che all'epoca egli nemmeno conosceva la parola "baciata". Non si comprende - prosegue la difesa - perché le analoghe dichiarazioni rese, su tale specifico punto, dal PI. non siano invece state valutate in senso a lui favorevole; - considerazioni analoghe valgono circa l'asserita rilevanza della partecipazione del PI. a ulteriori comitati e/o riunioni successivi all'8.11.2011, fermo restando che né l'appellante né alcun suo sottoposto constano aver preso mai parte alle riunioni della Divisione Mercati diretta da Em.Gi.; - vengono evidenziate le deposizioni rese dal teste Gi.Am., il quale ha espressamente escluso (dopo aver riferito di avere partecipato a 3-4 riunioni del Comitato di Direzione nel 2014) che nel corso di quegli incontri si fosse fatto riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione delle azioni B., e dal teste Ad.Ca., espressosi in senso analogo; - il lamentato malgoverno delle prove (e in particolare la totale pretermissione di elementi di prova favorevoli all'imputato PI., inclusi gli esiti del controesame del teste Tagliabue) avrebbe indotto il tribunale vicentino a ritenere - a torto - che il PI. abbia avuto un ruolo nel rilascio di lettere di impegno; quanto poi alla vicenda del teste Fa. l'appellante ha evidenziato come quest'ultimo avesse investito nell'acquisto di azioni B. non già capitale finanziato dalla stessa banca bensì capitale proprio; in ogni caso la lettera di impegno rilasciata al Fa., e a questi esibita in primo grado, risulta sottoscritta - su richiesta dello stesso Fa. - dal direttore generale So. proprio in quanto il PI. aveva rifiutato - come confermato sempre dal teste Fa. - ogni diretto coinvolgimento in un ambito chiaramente esulante dalle competenze della Direzione Finanze di sua pertinenza; infine la lettera rilasciata al Fa. non potrebbe nemmeno definirsi d'impegno, da essa derivando al più una mera disponibilità non vincolante; - quanto all'episodio della società di revisione K. va escluso - secondo la difesa - che il PI. abbia apostrofato l'avv. An.Pa., dell'uffici" legale, con l'icastica e colorita espressione da costei attribuitagli, dato che il parimenti presente dott. Ma.Pe. ha affermato, nel corso del suo esame dibattimentale, di non serbarne ricordo; - quanto alla vicenda delle cosiddette "tre sorelle lussemburghesi" la difesa ha evidenziato come la svolta istruttoria abbia fatto emergere, quale unico autore delle relative operazioni di finanziamento correlato, proprio il dott. Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese B. Fi., la cui deposizione testimoniale - perno della tesi accusatoria sul punto - deve quindi ritenersi inattendibile (se non inutilizzabile per i motivi già visti supra), oltre che basata su mere congetture e ricca di inesattezze e lacune; per giunta la deposizione dell'altro teste Gi.Gi. (appartenente alla Divisione Mercati), ritenuta in sentenza un riscontro a quella del teste Ra., secondo l'appellante è stata travisata giacché in realtà sarebbe, nel suo complesso, di tenore esattamente opposto (anche se il primo giudice ha omesso di considerarne la parte contenente elementi di discolpa per il PI.); lo stesso è a dirsi per la deposizione del teste Gi.Fe. della Co. (che, secondo la difesa, lungi dal riscontrare la deposizione del RA., l'avrebbe confutata). In ultima analisi la deposizione del teste Ra. deve ritenersi priva di riscontri, s quanto alla partecipazione del PI. al Comitato di Direzione del 10.11.2014, il relativo file audio non sarebbe acquisibile ex art. 234 c.p.p., e comunque andrebbe dichiarato inutilizzabile; sul punto l'appellante si è associato, come già in prime cure, alla relativa eccezione svolta dalla difesa del coimputato MA., svolgendo argomentazioni analoghe. Ad ogni modo, anche a voler ritenere acquisibile e/o utilizzabile quel file audio (e la relativa trascrizione), la sentenza ugualmente risulterebbe viziata da un'erronea valutazione degli interventi del PI. in quella sede, il cui tenore testuale (a ben guardare finanche contrario alle proposte fatte dal direttore generale So.) sarebbe stato travisato. Inoltre si è sottolineato (cfr. pag. 93 atto di appello) come il lamentato mancato espletamento di una perizia al riguardo impedisca oltretutto l'individuazione dei partecipanti al comitato e la corretta attribuzione dei singoli passaggi ai rispettivi loro autori. 2.3.4 Quindi, con il quarto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), l'appellante ha eccepito la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. giacché il fatto ritenuto in sentenza - con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B. - non risulta indicato in alcuno dei capi d'imputazione così come formulati dall'Accusa nei confronti dell'imputato PI., In alcun modo tali condotte, ritenute in sentenza commesse dal PI. nonché penalmente rilevanti, potrebbero rientrare nella contestatagli "prassi aziendale" avente ad oggetto "finanziamenti concessi a terzi soggetti, finalizzati all'acquisto di azioni B. sul mercato secondario. E d'altra parte, con ogni evidenza, l'investimento in OICR (Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio) non ha alcuna attinenza con l'erogazione del credito né alcuna connessione con le prassi decettive in seno a tale erogazione effettuate da altri. 2.3.5 Quindi, con il quinto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5, 6, 7 e 8 dell'impugnazione), l'appellante ha contestato anche nel merito la fondatezza dell'accusa con riguardo all'investimento in fondi esteri unknown exposure ("Op." e "At.") e alla detenzione indiretta, mediante essi, di azioni B.. Trattasi a suo dire di contegno non addebitabile al PI., pur non avendo questi mai negato di avere avuto un ruolo nella sottoscrizione dei fondi in questione. L'appellante ha evidenziato al riguardo quanto segue: s la unknown exposure non è sinonimo di decettività (in base alla deposizione del teste Da.Es., del Risk Management, il Comitato Finanza, a differenza di quanto ritenuto in sentenza, era correttamente informato di tutti i dati trasmessi dai fondi senza che alcun suo componente avesse mai lamentato profili di irregolarità); - il ricorso a fondi dedicati (che la gravata sentenza impropriamente definisce "gestione patrimoniale") era prassi diffusa tra gli istituti di credito, non solo italiani, come riferito anche dallo stesso teste Al.Ma., che pure per altri versi - ma non per questa parte della sua deposizione - risulta essere stato assai valorizzato, benché in realtà già indagato in procedimento connesso, dal giudice di prime cure; - le finalità per le quali tale investimento era stato autorizzato (vale a dire il reperimento di liquidità) erano state correttamente perseguite dal PI.; - irrilevante deve ritenersi, a fronte di altre emergenze istruttorie purtuttavia pretermesse dal tribunale, il da esso valorizzato doc. n. 350 delle produzioni del Pubblico Ministero (invero mai pervenuto nella sfera di conoscenza del PI.; né il suo invio aveva avuto alcun seguito); - la sentenza gravata ha travisato il contenuto delle deposizioni rese dai testi Fi.Ro., An.Su. (quest'ultimo peraltro connotato da evidenti profili di inattendibilità), Pi.Ra. e Al.Ma.; s più in generale (come dimostrato anche dalla vicenda dell'acceso confronto tra il teste avv. An.Su. e il teste Pa.Al., quest'ultimo responsabile della direzione Gl.Ma. all'interno della Divisione Finanza di B.; vicenda riferita nel suo esame dibattimentale dallo stesso teste Al.) si è evidenziata l'inattendibilità della ricostruzione della situazione offerta dagli esponenti di "Op." (testi Ma. e Su.), in quanto connotata da un chiaro tentativo di addossare agli esponenti di B., e segnatamente della sua Divisione Finanza, responsabilità eventualmente proprie del suddetto fondo; - peraltro - ha osservato l'appellante - l'attività istruttoria dibattimentale risulta essersi concentrata tutta su "Op." rimanendo carente sul conto di "At."; - la detenzione indiretta di azioni B. mediante i fondi "Op." e "At." in ogni caso non conduce alla prova del concorso del PI. nelle contestate condotte di aggiotaggio manipolativo sicché la sentenza presenta un vizio di motivazione sul punto, ferma restando in proposito la totale inattendibilità del teste Fi.Ro. (reso destinatario di corpose e continue contestazioni operate in dibattimento dal P.M., il Ro. era stato, fra l'altro, platealmente smentito dal teste Ti.Ch. - esponente del broker Ma.Sp. - circa la da lui asserita conoscenza tra questi e il PI., negata dal Ch.); - la condotta ascritta al PI. in relazione ai fondi "Op." e "At." neppure potrebbe condurre alla prova di un concorso dell'appellante nelle contestate condotte di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, sicché la sentenza risulta erroneamente motivata sul punto con violazione degli artt. 43 e 110 c.p., tanto più che, con il mutare della normativa di settore a seguito dell'introduzione del CRR (Capital Requirements Regulation), Regolamento UE n. 575/2013, le strutture incaricate della tenuta delle comunicazioni avevano tempestivamente adottato le richieste da indirizzare ai fondi, come chiaramente illustrato dal teste Lu.Tr.; - la motivazione della sentenza è illogica nella parte in cui, con riferimento alla posizione personale di altro imputato e segnatamente di Pe.Ma., ha ritenuto sufficiente ad escluderne la responsabilità -mandandolo così assolto - il fatto che avesse formulato una richiesta di informazioni circa i sottostanti ai fondi de quibus. Il PI. infatti, dal canto suo, non solo non aveva avuto conoscenza dell'investimento operato dai fondi stessi in azioni B. ma neppure aveva inteso in alcun modo ostacolare la conoscenza dei sottostanti dei fondi medesimi da parte delle altre funzioni dell'istituto di credito, in particolare da parte delle funzioni di controllo; di fatto, anzi, il PI. aveva delegato i rapporti con i fondi ad altre strutture di B. diverse dalla Divisione Finanza, senza mai avere anche solo azzardato la minima ingerenza nelle loro funzioni; - l'assunto del primo giudice secondo cui anche la fase di dismissione delle azioni B. da parte di "Op." sarebbe stata eterodiretta dal PI. in veste di "regista" non risponde al vero e risulta anzi smentito - sempre secondo l'appellante - dalla deposizione del teste Ti.Ch., esponente del broker Ma.Sp., che evidenzierebbe altresì l'assoluta inattendibilità sul punto del teste Ro.Ri. (appartenente alla rete commerciale e per parte sua artefice di numerosissime operazioni correlate); il Ri. era infatti giunto ad affermare che il PI. lo aveva messo in contatto con il Ch. il quale invece come già detto sopra, negava di conoscere l'imputato. 2.3.6 Quindi, con il sesto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 9 dell'impugnazione), l'appellante ha argomentato in ordine alla dedotta insussistenza di un concorso ex art. 110 c.p., del PI. nella asserita Op." posta alla base di tutti i capi di imputazione, della quale viceversa egli non era consapevole né tantomeno ad essa aveva aderito. Né certo un siffatto apporto concorsuale poteva desumersi dall'assunto che, in quanto vicedirettore generale in B., egli fosse necessariamente vincolato alle scelte del direttore generale Sa.So.. In realtà, essendo concepita l'imputazione come una contestazione complessiva di tutte le condotte in essa descritte nei confronti di tutti gli imputati, ipotizzandosi ivi un concorso di reati riuniti sotto la disciplina della continuazione, la gravata sentenza, ad avviso dell'appellante, non ha assolto al suo onere che era quello di dimostrare - sulla base però di elementi di prova certi e non di mere congetture - che l'imputato: a) fosse consapevole delle condotte poste in essere da tutti o parte degli altri pretesi concorrenti; b) avesse agito con la volontà di portare a compimento il reato. Non è in altri termini condivisibile, per la difesa, l'argomentare di una sentenza la quale, di fatto, finisce con il ricondurre vicende di enorme complessità, articolatesi nel corso di un non trascurabile lasso temporale -nonché coinvolgenti decisioni, valutazioni e specifiche azioni di controllo ascrivibili a una pluralità estremamente variegata di soggetti - a un unico semplicistico schema interpretativo che ripropone il parimenti semplicistico approccio dello spunto investigativo iniziale. Secondo l'appellante va poi considerato quanto segue: - con riguardo alla pretesa manipolazione informativa ogni concorso del PI. deve essere escluso, non avendo egli mai preso parte in alcuna misura alla definizione del contenuto dei comunicati stampa oggetto di contestazione; - con riguardo alla pretesa manipolazione operativa e al preteso ostacolo alla vigilanza la sentenza pretermette diversi fattori di elevata importanza: a) nessuna delle operazioni attribuite in ottica di accusa al PI. risultava essere stata ancora attuata all'epoca della conclusione dell'ispezione 2012 della Banca d'Italia (peraltro mirata unicamente alla verifica del rischio di credito di B.): al 12 ottobre 2012, infatti, Sa.So. e Pi.Ra. non avevano ancora sottoscritto la partecipazione ai fondi lussemburghesi "Op." e "At." né tantomeno la controllata irlandese B. Fi., della quale il Ra. era il direttore generale, aveva erogato i finanziamenti alle società lussemburghesi Br.; c) nel caso dell'ispezione BCE, iniziata il 26 febbraio 2015, B. aveva già comunicato al Regolatore le informazioni frattanto ricevute dai gestori dei suddetti fondi in ordine al preciso ammontare di azioni B. detenute dai comparti di "Op." e "At.", e ciò a far data dal luglio 2014, in perfetta ottemperanza agli obblighi informativi imposti dal CRR (Regolamento UE 575/2013); che la stessa BCE fosse stata portata a conoscenza di un tanto emergeva altresì dal suo stesso rapporto ispettivo del 2015; - manca, in ogni caso, totalmente la prova del dolo; anzi le conversazioni captate del PI. evidenzierebbero un tenore chiaramente incompatibile con la consapevolezza tipica del partecipe. 2.3.7 Quindi, con il settimo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 10 dell'impugnazione), l'appellante in subordine, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio ne ha lamentato il carattere sproporzionato. Ha chiesto altresì che le già riconosciute attenuanti generiche siano valutate prevalenti sulle contestate aggravanti in sede di giudizio di bilanciamento. Ha ribadito inoltre le argomentazioni - già svolte in sede di discussione dinanzi al tribunale - circa la necessità di ricondurre a un'unica fattispecie di ostacolo alla vigilanza le plurime condotte configurate, in tesi d'accusa e in sentenza, come altrettanti reati distinti, fra loro unificati nel vincolo della continuazione. Ha richiamato al riguardo la giurisprudenza di legittimità che costruisce il reato ex art. 2638 comma 2 c.c., come suscettibile di assumere carattere eventualmente permanente. In tal caso, indipendentemente dalla reiterazione dell'invio di comunicazioni mendaci, la prima condotta deve intendersi assorbire le successive. Ha aggiunto che la strumentalità della fattispecie di ostacolo rispetto a quella di aggiotaggio fa sì che il disvalore della condotta decettiva si esaurisca tutto nell'evento del delitto di aggiotaggio. Ritenere diversamente si tradurrebbe altresì in una violazione del principio nemo tenetur se detegere, recentemente meglio delineato da Corte Cost. n. 84 del 2021. 2.3.8 Quindi, con l'ottavo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 11 dell'impugnazione), l'appellante ha ribadito la già sollevata eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza in favore del Tribunale di Roma (fermo restando il carattere non vincolante di Cass. 15537/2018, che aveva risolto in favore del foro vicentino un conflitto di competenza sorto in relazione a un numero - tanto degli indagati quanto dei capi d'imputazione - all'epoca assai inferiore), e ciò sulla base di argomentazioni analoghe a quelle dell'appello ZO. (v. infra) - al quale qui si rinvia per il resto - ovvero in favore del Tribunale di Milano, sede della CONSOB chiamata ad approvare il prospetto da pubblicare (se ritenuto più grave il reato di falso in prospetto a seguito del raddoppio di pena disposto dall'art. 39 comma 1 della legge 262 del 2005, se e in quanto ritenuto applicabile). 2.3.9 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa dell'imputato PI. ha ulteriormente argomentato in ordine: a) all'incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza; b) alla violazione dell'art. 210 c.p.p. e dell'art. 192 comma 3 c.p.p. in relazione all'escussione di vari testi; c) alla violazione del principio nemo teneturse detegere. Conclusivamente, quindi, l'appellante ha chiesto l'annullamento o la riforma della sentenza e dell'ordinanza di rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale contestualmente impugnate, instando per l'assoluzione dell'imputato Pi.An. con la formula più ampia. 2.4 Appello proposto da Zo.Gi. Avverso detta sentenza (e con contestuale riferimento alle ordinanze del GUP e del tribunale emesse rispettivamente nelle date del 19.5.2018 e del 7.5.2019, entrambe di rigetto della già proposta eccezione di incompetenza territoriale) ha interposto appello il difensore di Zo.Gi. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti ed i capi della sentenza relativi, nell'ordine, alla competenza territoriale, alla affermazione di penale responsabilità, alla condanna risarcitoria ed alle spese processuali, al trattamento sanzionatorio, al mancato riconoscimento del concorso apparente tra le fattispecie contestate, alla confisca per equivalente e, infine, alla mancata assunzione di perizia. 2.4.1 In particolare, dopo una "introduzione" (oggetto di trattazione al paragrafo 1 dell'impugnazione) finalizzata ad evidenziare gli effetti, ritenuti pregiudizievoli per la serenità del giudizio, della "pressione" esercitata, nel contesto locale, dagli organi di informazione (argomenti già posti a fondamento della richiesta di remissione del giudizio ex art. 45 c.p.p., pure disattesa dalla Corte di Cassazione) il difensore, con il primo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 2.1 a 2.8 dell'impugnazione), ha censurato il rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale. In effetti, premesso: - che la sentenza della Corte di Cassazione n. 15537/2018 del 7.12.2017, dep. 6.4.2018 era stata motivata sul rilievo della connessione per continuazione tra i reati, rispettivamente, di cui ai capi E1 e B1, con la precisazione che il più risalente reato di ostacolo alla vigilanza oggetto di tale ultimo capo di imputazione doveva intendersi verificato in Vicenza, in quanto luogo nel quale "vengono assunte le determinazioni degli organi sociali"; - che, in sede di udienza preliminare, era stata ribadita la competenza del Tribunale di Vicenza in ragione della ritenuta infondatezza della contraria tesi difensiva che sollecitava l'individuazione presso la sede, in Roma, della Banca d'Italia, destinataria della comunicazione ICAAP, del luogo di commissione di tale reato (infondatezza argomentata sul rilievo della necessità di valutare la competenza alla stregua del perimetro dell'imputazione, rispetto al quale dovevano ritenersi estranee le vicende relative all'invio della predetta comunicazione); - che il Tribunale, con ordinanza 7,5.2019, aveva nuovamente confermato tali conclusioni, dichiarando inammissibile l'eccezione difensiva (riproposta nei medesimi termini) in ragione della preclusione derivante dalla vincolatività della citata pronunzia della Corte di Cassazione e, in ogni caso, ne aveva sostenuto l'infondatezza in considerazione della necessità di ancorare il giudizio in materia di incompetenza alla prospettazione accusatoria che, nella specie, non contemplava la contestazione dell'invio della comunicazione ICAAP; - che, infine, nella sentenza impugnata, erano state ancora una volta ribadite le argomentazioni (vincolatività della sentenza della Corte di cassazione, non superata da fatti nuovi; estraneità al perimetro dell'imputazione di riferimento della condotta dell'invio alla Banca d'Italia della comunicazione ICAAP) esposte nella precedente ordinanza 7.5.2019, il difensore ha contestato le conclusioni cui era pervenuto, sul punto, il primo giudice. Quanto al primo profilo, era errato sostenere la vincolatività della decisione della Corte di Cassazione. Si era in presenza, infatti, di pronunzia attinente ad uno specifico thema decidendum (quello della necessità di dirimere il contrasto inerente all'attribuzione della competenza - rispetto a reati oggetto di provvedimento cautelare - all'autorità giudiziaria vicentina, ovvero milanese) in ordine al quale era rimasta del tutto estranea la questione della eventuale competenza del Tribunale di Roma, in quanto non ricompresa nel perimetro del devolutum (come desumibile dalla stessa lettura della citata sentenza n. 15537/2018, sentenza dalla quale emergeva chiaramente che la Corte di cassazione, ai fini della decisione del conflitto, non aveva preso in considerazione la circostanza, pure nota al giudice di legittimità, della sopravvenuta iscrizione per il reato di falso in prospetto e come, del resto, confermato dallo stesso tribunale di Vicenza, a pag. 240 della sentenza impugnata). In ogni caso la diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito impediva che potesse legittimamente evocarsi, sul punto, qualsivoglia preclusione processuale. Quanto al secondo profilo, por, ha contestato l'estraneità dell'invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia rispetto al perimetro dell'imputazione di cui al predetto capo B1. A ben vedere, infatti, il riferimento alle comunicazioni ed alle segnalazioni all'autorità di vigilanza, siccome contenuto nel medesimo capo di incolpazione, avrebbe dovuto ritenersi, all'uopo, del tutto sufficiente, trattandosi di riferimento effettuato in modo generico (e, quindi, necessariamente tale da ricomprendere anche l'invio della citata comunicazione). Ciò posto, l'appellante: - evidenziato il difetto di vincolatività della decisione della Corte di Cassazione n. 15537/2018; - sottolineato che l'invio della comunicazione ICAAP (pacificamente costituente, per l'importanza di tale adempimento, il primo degli atti di sviamento della funzione di vigilanza) doveva ritenersi ricompreso nel perimetro dell'imputazione; - precisato, in ogni caso, che il tribunale ben avrebbe potuto attribuire a tale comunicazione il doveroso rilievo, senza affatto indebitamente anticipare un sindacato di merito sulla falsità della comunicazione medesima (donde, anche sotto tale profilo, l'infondatezza delle argomentazioni poste dal primo giudice a fondamento del rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale); - osservato, ancora, che l'indicazione del luogo di consumazione del reato siccome indicato in imputazione Vicenza") non poteva ritenersi vincolante, allorché, come nella specie, un diverso focus commissi delicti ("Roma", sede della Banca d'Italia) fosse ricavabile dagli atti posti a disposizione dei giudicante (il GUP, prima; il tribunale, poi); s e rimarcato, infine, che il primo giudice nell'esercizio del potere/dovere di correggere l'errore nel quale era incorso il P,M. nell'individuazione del luogo di consumazione del reato non avrebbe affatto incontrato i limiti costituiti, rispettivamente, dal carattere macroscopico dello sbaglio e dalle circostanze di fatto siccome descritte in imputazione, purché queste ultime fossero, come nella specie, risultanti ex actis (pena la violazione dei principi in materia di obbligatorietà dell'azione penale e di rispetto del giudice naturale precostituito per legge), ha ribadito l'incompetenza del tribunale di Vicenza per essere competente il tribunale di Roma e, pertanto, ha sollecitato la declaratoria di nullità delle impugnate ordinanze e, quindi, della sentenza che le aveva confermate. 2.4.2 Con il secondo motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi da 3.1 a 3.6 dell'impugnazione), poi, ha contestato l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, affermazione basata su una motivazione, al contempo, carente e contraddittoria rispetto a specifiche emergenze processuali. Per un verso, infatti, il tribunale aveva omesso di considerare molteplici elementi probatori, in primo luogo in relazione al tema, per vero decisivo, della mancata attivazione di "campanelli d'allarme", da parte degli organismi deputati alla vigilanza interna (e, segnatamente, dell'ufficio di In.) circa il fenomeno del capitale finanziato, ma anche ai profili della vicenda costituiti, nell'ordine, dalle caratteristiche del fenomeno in esame, dal ruolo svolto dall'imputato in relazione a tale fenomeno e, più in generale, dalla posizione rivestita dallo ZO. all'interno dell'istituto di credito. Per altro verso, poi, il percorso argomentativo della decisione appariva viziato, quanto alla posizione processuale del medesimo ZO., da marcati profili di contrasto cori le risultanze probatorie, oltre che di vera e propria illogicità con particolare riferimento alla presunta conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Sotto il primo profilo (quello della mancata valutazione di emergenze probatorie favorevoli) il difensore ha sostenuto che l'imputato non era stato affatto portato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte degli organismi di vigilanza interna e, in particolare, dai responsabili dell'In., i quali avevano dolosamente sottaciuto, sul punto, circostanze ed esiti ispettivi di assoluto rilievo. Deponevano in tal senso le dichiarazioni, in ordine all'assenza di flussi informativi interni relativi agli esiti delle verifiche compiute dall'Au. e dal Ri., dei testi Do. (membro del CdA dal 2009 e, successivamente, Presidente del Comitato Controlli, poi Comitato Rischi) e Za. (dal 2014 membro del Collegio Sindacale che, dallo stesso anno, aveva assunto la funzione di Organismo di Vigilanza). Peraltro, anche le deposizioni degli ispettori BCE Ga. e Ma. avevano evidenziato le carenze dell'In.. Inoltre, lo stesso teste Bo. aveva dichiarato di essere stato a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato perlomeno dal 2012 ma di averne parlato solo nel corso dell'ispezione, rivolgendosi all'ispettore Ga., ed aveva soggiunto di non averne mai riferito al Collegio Sindacale né all'Organismo di Vigilanza, in quanto rassicurato dal successo dell'operazione di aumento di capitale del 2014. Il teste Es. (responsabile della funzione di Ri.), dal canto suo, con riferimento alle operazioni di investimento nei fondi lussemburghesi, aveva parimenti dichiarato di non avere effettuato segnalazioni di criticità, precedentemente a quella del 2014 inerente all'incremento degli storni. Infine, anche dalla deposizione del teste Ferrante (responsabile della Co.) era emerso che il Bo. aveva ignorato qualsivoglia segnale di allarme ed aveva omesso di portare a conoscenza di tali criticità il CdA, il Collegio Sindacale e l'Organismo di vigilanza. E, in effetti, la stessa intercettazione telefonica del colloquio intercorso il 28.8.2015 tra tale teste ed il predetto Bo. confermava che mai quest'ultimo aveva riferito alcunché allo ZO.. Così delineato il contesto di omissioni informative imputabili all'ufficio di In., il difensore ha richiamato una serie di episodi specifici ulteriormente dimostrativi delle gravi carenze ed omissioni in ordine al flusso interno di informazioni inerenti al fenomeno delle operazioni "baciate". Trattasi, segnatamente: dell'"insabbiamento" degli esiti delle verifiche di audit relative ad operazioni baciate poste in essere presso le filiali di Padova e di Manzano; - della denunzia effettuata, nel corso dell'assemblea del 2014, dal socio Da.Gr., "nemico storico" dello ZO., denunzia cui non erano poi seguite attività di controllo di sorta da parte del Collegio Sindacale, al quale, del resto, il responsabile dell'au. aveva negato l'esistenza di fenomeni di capitale finanziato; - delle dimissioni del private banker Vi., dimissioni delle quali l'imputato ZO. non aveva ricevuto informazioni esaurienti, come emerso dai testi escussi e, in particolare, come dichiarato dallo stesso Bo., per effetto di una determinazione ascrivibile al d.g. So.; - della vicenda delle tre lettere anonime inviate a B. negli anni 2013 e 2014, la prima (quella del 7.10.2013), priva di riferimenti al fenomeno del capitale finanziato, le altre non portate a conoscenza del presidente ZO. o, comunque, non seguite da precise informazioni indirizzate all'imputato inerenti al fenomeno del capitale finanziato; - dell'articolo del Sole 24 Ore a firma Cl.Ga. (articolo, peraltro, bensì contenente accuse in ordine alle pressioni rivolte alla struttura per l'acquisto delle azioni, ma non anche la descrizione del fenomeno del capitale finanziato), mai seguito da attività di riscontro da parte della Direzione Generale, ovvero della Funzione di Controllo, ed in relazione al quale, in ogni caso, non era stata predisposta e portata a conoscenza del Presidente una relazione ispettiva. In definitiva, nessun serio segnale d'allarme era stato mai rappresentato allo ZO., la posizione del quale, pertanto, sul punto, non poteva ritenersi differente da quella del coimputato ZI., pure dal tribunale assolto, ovvero da quella degli altri componenti del CdA e del Collegio Sindacale. Tutti costoro, infatti, erano stati tenuti all'oscuro, per volontà del d.g. So., di quanto emerso in relazione al fenomeno del capitale finanziato nel corso delle attività di audit. Di seguito, l'appello ha evidenziato convergenti elementi probatori che avevano delineato il profilo dello ZO. non già nei termini di uno scaltro "padre padrone" dell'istituto di credito, come pure ripetutamente affermato dal primo giudice, bensì come quello di un presidente, certamente energico ma niente affatto autoritario, il quale aveva investito ingenti risorse personali e familiari nella banca, confidando nella solidità dell'istituto (dal miliardo di lire nel 1995 ai 25 milioni di euro del 2015), a riprova della buona fede che ne aveva sempre ispirato la condotta. In particolare, il difensore ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali era emerso che l'imputato: non era affatto aduso imporre le proprie decisioni; era presente raramente presso la sede dell'istituto; si occupava solo di questioni strategiche e non tecniche; non interveniva nelle pratiche di fido e non aveva avuto rapporti con gli ispettori della Banca d'Italia; pur comprensibilmente aspirando all'incremento del valore delle azioni non aveva fatto pressioni in tal senso; non aveva un ruolo determinante nella gestione del personale; si limitava a firmare i comunicati B. che, quanto alla parte riferibile allo stesso presidente, erano predisposti dal dipendente Ca. Del resto - ha precisato l'appellante - le stesse deposizioni dei testi Se. e Ro., prima facie pregiudizievoli per la posizione dell'imputato, ad una più attenta lettura deponevano in senso contrario, posto che evidenziavano come lo ZO. non avesse mai avuto un ruolo tecnico all'interno dell'istituto e, comunque, non interferisse affatto nelle decisioni di tale natura. D'altronde, a smentire il ruolo di "monarca assoluto" dell'istituto di credito attribuito allo ZO. dal primo giudice concorreva anche la circostanza che mai l'imputato avesse presieduto alcun comitato esecutivo dal 2012 al 2015 (nonostante, secondo le previsioni statutarie, ne costituisse il vertice) e che, quanto ai Comitati di Direzione/Riunioni svoltisi dal 2011 al 2015, lo stesso ZO. (anche in tal caso diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale che, infatti, aveva escluso la presenza dell'imputato al solo incontro del 10 novembre del 2014, peraltro II più importante) si era limitato a presenziare, solo per un breve saluto, a quello dell'8 novembre 2011. In tal senso, infatti, deponeva l'accurata analisi dei dati documentali disponibili e delle deposizioni assunte in dibattimento. Inoltre, nessun ruolo l'imputato aveva mai svolto con riferimento all'erogazione del credito nella consapevolezza della destinazione dei finanziamenti all'effettuazione di operazioni "baciate". In effetti la posizione dello ZO., al riguardo, non differiva da quella degli altri componenti del CdA che lo stesso primo giudice aveva ritenuto fossero rimasti all'oscuro del fenomeno del capitale finanziato (ivi compreso il coimputato ZI., assolto nonostante avesse compiuto, con la propria finanziaria, un paio di operazioni "baciate"). Sul punto, l'appellante ha richiamato plurime deposizioni testimoniali dalle quali emergeva il difetto di tale consapevolezza da parte dei componenti del consiglio, oltre alla importante conversazione telefonica del 28.8.2015, intercorsa tra il coimputato MA. e il responsabile audit Bo., nel corso della quale, al tentativo di quest'ultimo di indurre l'interlocutore a formulare un "atto di accusa" a carico dello ZO., all'evidente scopo di farne una sorta di capro espiatorio di quanto, oramai, andava inequivocabilmente emergendo, il MA. aveva ribattuto sostenendo di non avere fatto il nome del presidente in quanto il direttore generale So. non glielo aveva indicato espressamente come soggetto a conoscenza del fenomeno (ma si era limitato, come suo solito, a sostenere che aveva informato "chi di dovere") e, inoltre, aveva ribadito più volte che mai si era parlato "di baciate", alla sua presenza, con il presidente. Quanto, poi, alla svalutazione del titolo B. nell'aprile del 2015 da 62,50 a 48 euro, si era trattato, come palesato dal tenore di specifiche deposizioni testimoniali, di una decisione in relazione alla quale l'imputato aveva operato nel rispetto delle indicazioni fornitegli dagli organi preposti alla valutazione del titolo e, segnatamente, dall'esperto indipendente prof. Bi. (e, questo, nonostante lo stesso imputato ed i membri della sua famiglia fossero tra i principali azionisti della banca), mentre era stato il So. ad esprimere contrarietà alla svalutazione. In ordine alla predisposizione della "task-force", istituita con delibera del CdA del 28.4.2015, destinata a fronteggiare i problemi sorti con gli azionisti per effetto della svalutazione del titolo e ad affrontare la questione dei finanziamenti correlati, l'imputato era rimasto del tutto estraneo alla relativa iniziativa, in quanto, a partire dal mese di aprile, era stato di fatto esautorato da ogni ruolo nella banca, mentre l'unico dominus delle scelte gestionali ed imprenditoriali era l'amministratore delegato So., tanto che l'incontro dello stesso ZO. con il professionista esterno, avv. Ge., era stato solo fugace e formale. La prima conversazione telefonica intercorsa tra i due, del resto, aveva avuto luogo solo il 7 maggio 2015, al momento della cessazione dell'incarico, quando oramai le risultanze BCE erano emerse. Inoltre, con specifico riferimento alla scoperta delle lettere di garanzia, alla criticità dei fondi lussemburghesi ed alle risposte alle richieste degli ispettori BCE, l'appellante ha evidenziato che ZO., appena venuto a conoscenza dei primi esiti dell'ispezione, non aveva frapposto alcun ostacolo, ma si era attivato affinché la dirigenza fornisse piena collaborazione agli ispettori medesimi, tanto che a costoro erano state consegnate le lettere di impegno solo a seguito dell'intervento dell'imputato. Illuminanti, sul punto, erano le deposizioni degli ispettori Ga. e Ma., là dove il primo aveva riferito che l'imputato aveva dichiarato che la reazione dello ZO. era stata quella di sorpresa per l'entità del fenomeno in esame ed il secondo aveva precisato che le lettere di impegno erano state consegnate solo dopo l'intervento dello ZO. (il quale, peraltro, ad avviso del teste, non aveva colto appieno l'importanza del fenomeno del capitale finanziato, avendo manifestato preoccupazione soprattutto con riferimento al tema dei fondi di investimento e delle lettere di garanzia). Anche le deposizioni dei testi An., So., Co. e Fa., del resto, andavano nella medesima direzione, ovverosia deponevano nel senso della mancata consapevolezza, da parte del presidente, dei fenomeni illeciti (capitale finanziato/lettere di garanzia/fondi lussemburghesi). In relazione alle dimissioni dell'amministratore delegato So. poi, non si era affatto trattato di decisione adottata dal presidente per assicurare un commodus discessus al predetto onde garantirsi un "salvacondotto" a fronte dell'attività di accertamento della squadra ispettiva BCE. In effetti, non solo il tribunale non aveva considerato che i soli soggetti che avevano ottenuto dalla BCE tale "salvacondotto", tanto da essere rimasti estranei al procedimento, erano stati i veri responsabili delle irregolarità emerse (e, segnatamente, da un lato, i preposti ai controlli interni, i quali avevano violato tutti i doveri loro imposti dal ruolo ricoperto, nonché, dall'altro lato, i dirigenti/funzionari che avevano compiuto le "operazioni baciate"), ma aveva anche di fatto ignorato che ZO. mai aveva fatto ricorso ad un finanziamento per l'acquisto di azioni dell'istituto. In ogni caso, la velocità della "sostituzione" del So. era stata imposta dalla BCE che aveva sollecitato una immediata discontinuità nella gestione dell'istituto di credito, come puntualmente dichiarato dallo stesso ZO. in sede di dichiarazioni spontanee (udienza 25.6.2020) e come confermato da specifiche deposizioni testimoniali, in primis quella dell'ispettore Ma., il quale aveva riferito che la scelta di allontanare l'amministratore delegato era ascrivibile proprio alla BCE. Quanto, poi, al compenso milionario riconosciuto al So., le condizioni economiche assicurate a quest'ultimo nell'accordo - condizioni delle quali, peraltro, si erano esclusivamente occupati i dirigenti Ca. e Va. - erano state regolarmente comunicate alla BCE senza che ne derivassero obiezioni di sorta (se non la precisazione che il compenso avrebbe dovuto essere pagato in parte in azioni e, comunque, differito nel tempo). Del resto, la riferibilità alla BCE dell'avvicendamento dei vertici operativi era stata confermata, nel corso del proprio esame, anche dal coimputato GI. (sia pure con riferimento alla posizione del medesimo dichiarante). Infine, il tribunale neppure aveva considerato adeguatamente, per un verso, che ZO., prima di definire l'accordo di risoluzione del rapporto con il So., aveva contattato tutti i membri del CdA, in taluni casi incontrandoli personalmente (tanto che proprio lo ZI. - unico tra i consiglieri - aveva potuto manifestare le proprie perplessità, orientandosi nel senso del licenziamento); e, per altro verso, che la velocità e la spontaneità dell'avvicendamento erano funzionali a limitare il danno reputazionale per la banca. Anzi, lo ZO. non si era successivamente opposto all'iniziativa adottata dall'amministratore Io. di presentare un'istanza di sequestro delle somme pagate al So. ed aveva finanche promosso una azione giudiziaria verso quest'ultimo, obiettivamente incompatibile con l'intenzione di "comprarne il silenzio". Quanto, infine, alla condotta tenuta, negli ultimi mesi di presidenza, dall'imputato, quest'ultimo - il quale, peraltro, unitamente al CdA, già nei primi giorni di agosto 2015 (e, quindi, un anno prima dell'analoga iniziativa di Banca d'Italia) aveva dato incarico di presentare una denunzia presso la Procura della Repubblica di Vicenza - non aveva minimamente ostacolato gli accertamenti interni, lasciando al nuovo amministratore Iorio ogni compito inerente alle verifiche ed alle segnalazioni all'autorità giudiziaria. In definitiva, il primo giudice aveva omesso di considerare numerosi elementi probatori che, in relazione a plurimi e certamente significativi profili della vicenda, deponevano per l'estraneità dell'imputato alla concreta operatività della banca e, in particolare, alle condotte delittuose oggetto di addebito. Ciò posto, l'appello ha censurato la sentenza impugnata anche in relazione alle conclusioni cui era pervenuta in ordine alle caratteristiche del capitale finanziato. In effetti, il primo giudice si era totalmente adagiato sulla ricostruzione del fenomeno in esame siccome effettuata dai consulenti del P.M., giungendo alla conseguente conclusione che un sistema tanto pervasivo non avrebbe potuto essere ignorato dallo ZO. (sebbene, sempre secondo il tribunale, tutti gli altri membri del CdA, ivi compresi quelli che avevano effettuato, attraverso le società di riferimento, operazioni "baciate", fossero rimasti all'oscuro del fenomeno in esame). In realtà, il quadro rivelato dall'istruttoria dibattimentale era ben diverso. Innanzitutto, dalla deposizione del teste Gr. (amministratore delegato dell'istituto tra il 2001 e il 2011) era emerso, da un lato, che, nel suddetto periodo, i fisiologici problemi di liquidità "stagionale" delle azioni erano usualmente risolti mediante la richiesta di acquisti da parte di altre banche popolari, sulla base di intese che non prevedevano obblighi di riacquisto, se non "morali"; dall'altro, che si trattava di questioni rispetto alle quali ZO. - limitatosi costantemente a svolgere un ruolo istituzionale o, tutt'al più, strategico - non aveva concretamente operato. Ulteriori deposizioni testimoniali, poi, avevano consentito di attribuire solo alla persona del d.g. So. la decisione, occasionalmente adottata a fronte di situazioni specifiche, di ricorrere al finanziamento per l'acquisto di azioni proprie. Si era trattato, segnatamente, delle operazioni "De.Ro." e "Lo.Tr.". In effetti, unicamente a partire dall'anno 2012, a causa del perdurare della crisi mondiale (e, quindi, in un contesto nel quale molti clienti e soci avevano problemi di liquidità, sicché avevano iniziato a vendere in modo consistente azioni della banca), il fenomeno del capitale finanziato, per effetto dell'esclusiva iniziativa di So., aveva subito un incremento, con l'avvio di una pressione sulla rete commerciale della banca per il collocamento delle azioni medesime. D'altronde, sul punto, lo stesso coimputato GI., al di là della generica chiamata in correità di tutti i componenti del CdA della B. e di tutti i dirigenti di vertice, non aveva fornito specifici elementi probatori a carico dello ZO.. In definitiva - ha sostenuto l'appellante - tanto la genesi del fenomeno, quanto la sua successiva gestione, erano imputabili a decisioni operative facenti capo al predetto Sa.So.. Inoltre, il tribunale, pur in presenza delle marcate divergenze ravvisabili tra gli esiti degli elaborati predisposti, rispettivamente, dai consulenti del P.M. e della difesa, in ordine all'entità ed alle caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato, per un verso aveva respinto la richiesta di perizia sul punto (peraltro motivando il rigetto unicamente con riferimento al profilo dell'entità di detto fenomeno); e, per altro verso, si era supinamente allineato alle conclusioni dei cc.tt. del P.M. (sostenendo, al riguardo, che la relazione del consulente della difesa prof. Gualtieri non aveva proposto una quantificazione alternativa del fenomeno in esame, senza tenere conto del fatto che era stata proprio l'assenza di prove disponibili circa la natura correlata o meno di talune operazioni ad avere impedito tale quantificazione alternativa). A tale riguardo, innanzitutto, il difensore ha evidenziato l'errore nel quale era caduto il tribunale, alla luce della disciplina (circolare 263/2006 di Banca d'Italia) vigente all'epoca di gran parte delle operazioni "incriminate", nell'escludere che la sussistenza del nesso teleologico tra finanziamento ed acquisto delle azioni costituisse dato rilevante per l'individuazione delle operazioni di capitale finanziato. Trattavasi, al contrario, di elemento all'uopo essenziale, non potendosi a tal fine unicamente considerare il fattore rappresentato dalla coincidenza temporale tra i due negozi, pena un automatico obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza privo di effettivo ancoraggio normativo. Parimenti errata, poi, era la conclusione secondo la quale l'obbligo di deduzione avrebbe operato tanto con riferimento alle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto di credito in sede di aumento di capitale quanto all'atto di acquisto di dette azioni sul mercato secondario. In realtà, poiché solo gli acquisti del primo tipo generavano, a carico della banca, un rischio di impresi; era solo a detti acquisti che conseguiva l'obbligo di deduzione. Che, poi, la disciplina di riferimento nulla precisasse sul punto, come pure evidenziato dal tribunale, derivava dall'ovvietà della circostanza. Né potevano confondersi, in ragione della diversa ratio economica di riferimento, i finanziamenti erogati in vista dell'aumento di capitale con quelli erogati per l'acquisto di azioni già emesse, con l'effetto che, proprio in ragione di tale differenza, solo i primi facevano scattare l'obbligo di deduzione dal capitale di vigilanza. Del resto, un esplicito ancoraggio normativo a tale interpretazione poteva ravvisarsi nella disposizione di cui all'art. 28 CRR, dalla quale era possibile evincere che gli strumenti rilevanti ai fini del CET 1 erano quelli interamente liberati e non finanziati dall'ente che li aveva emessi. Nella prospettiva dell'appellante, infatti, gli unici casi nei quali gli acquisti di azioni sul secondario comportavano l'obbligo di deduzione erano - come, peraltro, ben spiegato dal consulente prof. Gu. - quelli rispetto ai quali la banca si era assunta un obbligo di acquisto ad un dato valore nominale, ovvero che erano stati effettuati, a seguito di finanziamento, da clienti privi di merito creditizio. Questo proprio perché, in entrambi i suddetti casi, la banca finiva per assumere in proprio il relativo rischio di impresa. Ulteriore seria imprecisione nella quale era incorso il primo giudice, poi, era ravvisabile nel passaggio della motivazione nel quale era stato escluso che il merito creditizio assumesse rilievo ai fini della computabilità delle azioni finanziate nel patrimonio di vigilanza. In effetti, ciò era vero esclusivamente con riferimento alle azioni di nuova emissione. Infine, il giudizio del tribunale era stato ulteriormente viziato dalla confusione tra le pratiche di sviluppo commerciale tipico delle società cooperative ed il fenomeno del capitale finanziato. A ben vedere, infatti, la proposta ai clienti di diventare soci attraverso l'acquisto del pacchetto azionario minimo poteva essere legittima o meno a seconda della prospettazione di vantaggi ovvero dell'adozione di modalità ricattatorie incidenti sulla conclusione del negozio (quali, ad esempio, il subordinare la concessione del finanziamento alla previa acquisizione dei titoli). Tuttavia, le modalità eventualmente illegittime adottate nella vendita dei titoli non avrebbero per ciò solo reso "finanziata" una operazione che non aveva le caratteristiche per la deduzione. In definitiva il primo giudice aveva sbrigativamente liquidato le argomentate conclusioni del prof. Gu., giungendo ad esiti errati con specifico riferimento al grado di diffusione delle operazioni di finanziamento correlato all'acquisto di azioni. Ciò era dipeso dai vizi metodologici che avevano caratterizzato la consulenza disposta dal p.m., poi integralmente accolta dal tribunale. Quindi, l'atto di appello ha passato in rassegna le risultanze probatorie inerenti alle vicende, individuate secondo il "campione" (necessariamente parziale) selezionato dalla pubblica accusa e ritenute dal tribunale significative della conoscenza da parte dello ZO. del fenomeno del capitale finanziato e del ruolo concretamente rivestito, in proposito, dal predetto imputato. E, a tale disamina, il difensore ha premesso l'avvertenza che tutti i clienti coinvolti nelle operazioni "baciate", avendo subito perdite milionarie in ragione dell'azzeramento del valore del titolo, avevano reso deposizioni che ponevano non trascurabili problemi di piena attendibilità, sotto il profilo del disinteresse alla esatta ricostruzione dei fatti, e che, ciononostante, avevano fornito contributi testimoniali dai quali si ricavava l'estraneità dell'imputato ai fatti sub iudice. In particolare, il difensore ha rievocato la deposizione dell'industriale Al.Fe., il quale - nonostante avesse contratto operazioni "baciate" per circa 18 milioni e ad onta del suo incarico presso il CdA di Servizi Bancari - mai aveva riferito di avere parlato delle operazioni in questione con ZO. (e neppure con il presidente del Collegio Sindacale, Za.). Analoghe considerazioni, poi, valevano per le deposizioni rese da Ca. Em., Br.Ca., Bo.Lo., Ca.Pi. (nonostante questi avesse concluso operazioni "baciate" per venti milioni di euro), Fa.An. (il quale, sebbene non avesse concluso operazioni "baciate", aveva investito somme consistenti nelle azioni della banca), Fe.Lu., Bu.Sa., D.Fr.Ma., Da.Vi.Pi., Va.Lu., Ro.Gi. (il quale, pur avendo sostenuto che il presidente avrebbe dovuto necessariamente essere al corrente della questione, aveva tuttavia escluso di avere parlato di tale questione espressamente con il medesimo presidente o comunque, aveva precisato di non serbarne memoria), Br.Fa., Ta.Ed., Fa.Al., Ri.Fr., De.Ch.Re., Co.Il., Ti.Da., Ti.An., Ma.Si., Tr.Al., Se.Al., To.En., Ba.Al.Te., Se.Cl.. Altrettanto doveva dirsi, poi, con riferimento a quanto dichiarato da Ma.Va., amministratore del gruppo So., il quale aveva trattato una importante operazione esclusivamente con il d.g. So. (e con An.Pi. della Divisione Finanza), Infine, quanto alla deposizione di Ca.Si., il difensore ha evidenziato come costui, dopo avere sostenuto in sede di indagini che, allorquando aveva manifestato perplessità sull'operazione, il funzionario della banca che gli aveva proposto tale operazione aveva replicato che "Gi. e De.Fr." gli avrebbero potuto adeguatamente illustrare, in occasione di una cena, i dettagli dell'operazione, in sede dibattimentale aveva poi mutato versione individuando nello ZO. il soggetto che, secondo il medesimo funzionario, gli avrebbe potuto chiarire i termini della questione onde rassicurarlo. Si era in presenza, ad avviso del difensore, di una testimonianza davvero sintomatica dell'"inquinamento" della genuinità delle deposizioni conseguente ad anni di clamore mediatico in ordine alla posizione di "padre padrone" della banca che i media avevano attribuito allo ZO.. A ben vedere, dalle citate deposizioni testimoniali era emerso che mai l'imputato aveva intrattenuto rapporti con i clienti (tranne in qualche occasione di rappresentanza, ovvero istituzionale) e che, in ogni caso, mai con costoro aveva trattato (e ancora meno concluso) operazioni "baciate". Infatti, neppure nel corso delle occasioni di contatto conviviale (ivi comprese le cene organizzate da Lo.Tr.) ZO. aveva affrontato il tema delle operazioni "baciate". Ciò emergeva dalle deposizioni rese dai testi Mo., Lo.Tr., Ra.Gi.. Perfino un teste ostile come Lo.Da. era stato costretto a riconoscere che mai aveva avuto colloqui con l'imputato in merito alle "baciate", mentre il teste Ra. Silvano aveva unicamente riferito di rassicurazioni generiche fornitegli dallo ZO. a fronte di richieste formulate dallo stesso teste in termini altrettanto vaghi. Inoltre, anche le testimonianze degli "amici" dell'imputato deponevano tutt'altro che a sfavore di quest'ultimo, posto che: - Ca.Re. - cfr. anche deposizione Am. - aveva bensì goduto di tassi di favore, ma non aveva trattato la questione con l'imputato e, in ogni caso, non aveva concluso operazioni "baciate"; - Ri.Fe. aveva reso dichiarazioni assolutamente generiche; - Ir.Do. e, in particolare, il di lei figlio, Ha.Mi., non avevano trattato di operazioni "baciate" con ZO., bensì con altri interlocutori; - Ra.Fo.Fe., a sua volta, non aveva affrontato il tema delle "baciate" con l'imputato; - Be.de.Pa., il quale aveva parimenti affermato di non avere parlato delle "baciate" con ZO., non poteva ritenersi smentito dai testi Gi. e Ba., posto che l'affermazione in tal senso del primo giudice era sfornita di qualsivoglia apparato motivazionale di sostegno. Si aggiunga che, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, né ZO., né le società del gruppo e neppure i familiari del predetto avevano mai concluso operazioni "baciate", fatta eccezione per il cognato dell'imputato, Zu.Fr., il quale, tuttavia, nelle dichiarazioni rese ex art. 391 bis co.2 c.p.p., acquisite al fascicolo del dibattimento, aveva precisato che mai ne aveva parlato con il proprio affine. La stessa "vicenda Ma." (vicenda che, trascurata in sentenza, è stata invece dettagliatamente ripercorsa nell'atto di appello) avrebbe dovuto ritenersi sintomatica, nella sua assoluta inverosimiglianza, del vero e proprio accanimento della pubblica accusa nella ricerca di elementi di responsabilità a carico dell'imputato. Neppure dalle dichiarazioni rese dai funzionari e dirigenti B. - ha proseguito l'appellante - era possibile desumere che ZO. fosse consapevole dell'esistenza del capitale finanziato. Nessuno di costoro, infatti, aveva avuto con l'imputato colloqui inerenti al fenomeno in esame, né aveva appreso da altri colleghi di conversazioni aventi tale oggetto alle quali avesse preso parte il presidente dell'istituto. Così era con riferimento alla deposizione del private banker Ri., dalla quale era peraltro emerso il rapporto di assoluta sudditanza tra il responsabile dell'audit Bo. ed il d.g. So.; così con riferimento alle deposizioni di Gi., dapprima responsabile della più importante area di B. e poi direttore interregionale; così, ancora, in relazione ai contributi dichiarativi: di Tu., direttore regionale (il quale aveva escluso che il coimputato GI. avesse mai parlato del fenomeno in esame allo ZO.), di To., vicedirettore e, quindi, direttore generale area Toscana, di Pa. (responsabile ufficio legale B.), di Ro., responsabile della Direzione Sviluppo, di Cu., capo area Friuli, di Ba., capo area Vicenza sud-ovest, di Te., private area Bassano, di Veronese, capo area Castelfranco e direttore regionale, di Ca., capo, area Treviso, di Da., capo area Vicenza nord, di Pi., direttore area Prato e, successivamente, direttore Veneto occidentale, di Bo., capo area Vicenza, di Ip., responsabile area Brescia, di Gi., di Ma., responsabile corporate Vicenza sud ovest, di Si., responsabile zona Th. e Sc., di Ni., capo zona Bassano, di Pr., capo area province Padova e Rovigo, di Ro., responsabile Ufficio Soci, di Be., viceresponsabile di area, di St., gestore di patrimoni private, di Sa., responsabile divisione estero, di Me., direttore della filiale di Asti, di Ta., direttore private e affluent; così, infine, in relazione alle deposizioni: di Pa. (deposizione pure valorizzata dal tribunale per sostenere il pervasivo controllo del presidente anche sull'operatività spicciola" e, segnatamente, in tema di campagne pubblicitarie); di Gi., direttore regionale di Lombardia, Piemonte e Liguria (il quale, con specifico riferimento alle operazioni "baciate" effettuate da Be.de.Pa., aveva bensì sostenuto che quest'ultimo ne avesse parlato con lo ZO., ma aveva precisato che il medesimo teste, personalmente, non aveva affrontato la questione con l'imputato) e di Ba.. Neanche dalle dichiarazioni dei soggetti addetti agli organi di controllo interno, ovvero dai membri dell'alta direzione (segnatamente, i coimputati), erano emersi elementi ai quali ancorare fondatamente l'affermazione della conoscenza, da parte dello ZO., del capitale finanziato. Quanto ai primi, l'appello ha richiamato le deposizioni del membro del Collegio Sindacale Za., nonché dei consiglieri di amministrazione Do., Co., Ro.di.Sc. e Ti., del vicepresidente Mo. e di Mi.. Quanto ai secondi il riferimento è stato all'esame reso, sul punto, dal coimputato ZI., il quale, per un verso, aveva decisamente escluso che in CdA fosse mai stato affrontato il tema in esame e che ZO. fruisse di un flusso informativo differenziato rispetto a quello degli altri consiglieri; per altro verso, con riferimento all'"operazione Ze.", aveva specificamente riferito che non si era parlato con ZO. di finanziamento correlato; e, per altro verso ancora, aveva evidenziato come l'imputato, a decorrere dagli anni 2012-2013, non avesse più avuto un'idea precisa dei conti della banca ed avesse maturato l'intenzione di dimettersi dalla presidenza nel 2016, in occasione dei 150 anni di vita dell'istituto. Peraltro, anche l'intercettazione del colloquio ZI.-Bo. del 25.8.2015 (inerente all'azione di responsabilità avviata dall'istituto nei confronti del d.g, So.) confermava il tenore delle dichiarazioni rese, con riferimento allo ZO., dal coimputato ZI.. Inoltre, ad essere valorizzate dall'appellante erano anche le deposizioni dei coimputati PI. e PE., oltre al tenore dell'intercettazione dei colloqui intercorsi tra il coimputato MA. e, rispettivamente, i funzionari Bo. (intercettazione nr. 259 del 28.8.2015) e Cu. (intercettazione nr. 526 del 9.9.2015), trattandosi di conversazioni dalle quali era stato possibile apprendere che tanto MA. quanto il Cu. non avevano mai affrontato con il presidente il tema delle operazioni "baciate". Quindi, con specifico riferimento alle dichiarazioni del GI. -dall'appellante qualificato come il vero e proprio dominus" fin dalle origini, di tutte le operazioni "baciate" - il difensore ha evidenziato come la generalizzata chiamata in correità formulata dal predetto (peraltro non accreditata di attendibilità in sentenza, se non con riferimento alla posizione dello ZO.) fosse stata smentita dai dati processuali disponibili e, segnatamente: - dal documento nr. 857 del P.M., costituito da un appunto manoscritto proveniente dallo stesso ZO., intitolato "dichiarazioni Gi." e contenente il riferimento al fenomeno dei finanziamenti correlati, documento dal quale era possibile arguire, sul piano logico, che l'imputato aveva appreso dell'esistenza di tale fenomeno solo allorquando, in data 4.5.2015, aveva raccolto le dichiarazioni del predetto GI.; - dalla deposizione resa il 3.7.2019 dal teste Tu., vice di GI.; - dall'intercettazione del colloquio intercorso tra La.Pi., membro del collegio sindacale, ed il medesimo GI., il quale ultimo neppure in un contesto di espliciti riferimenti ed ammissioni in ordine alle irregolarità degli storni e delle lettere di garanzia aveva coinvolto il presidente in dette irregolarità. Di analogo tenore, poi, era anche la conversazione nr. 2261, relativa al colloquio GI.-ZI. del 24 settembre 2015, trattandosi di colloquio dal quale emergeva che nessuno era a conoscenza dell'entità del fenomeno." D'altronde, nessun esplicito/implicito riferimento al tema delle operazioni "baciate" era contenuto in oltre 2000 ore di registrazione delle riunioni del CdA. In definitiva, il tribunale aveva ritenuto ZO. consapevole dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato pur in presenza di una sequela di testimoni che avevano deposto in senso contrario. Infatti, oltre un centinaio di testi erano stati escussi e pressoché tutti avevano concordemente affermato l'estraneità dell'imputato rispetto a tale fenomeno. Né, del resto, il giudice di prime cure aveva speso considerazioni di sorta per dimostrare la conoscenza in capo all'imputato della criticità dei fondi lussemburghesi, ovvero della presenza delle lettere di garanzia e degli storni, ovvero ancora degli interessi riconosciuti ai clienti che concludevano operazioni "baciate". Ma anche l'argomento, sostanzialmente unico, speso dal primo giudice a sostegno dell'affermazione di responsabilità - ovverosia il ruolo di vertice ricoperto dall'imputato all'interno dell'istituto di credito, in modo "pervasivo", secondo un modello "autocratico" e con una "logica padronale" - appariva obiettivamente infondato. Innanzitutto, non era affatto vero che ZO. avesse pilotato le decisioni degli esponenti di vertice dell'istituto (a partire dal d.g. So., fino ai membri del Collegio Sindacale e dei CdA), essendosi in presenza di interlocutori (imprenditori e professionisti) con competenze tecniche non certo inferiori a quella del presidente. Peraltro, l'istituto operava affidandosi al lavoro di tecnici esperti (era il caso, ad esempio, del prof. Bi.). Né persuadeva la valorizzazione, in chiave accusatoria, del fatto che le decisioni del CdA fossero assunte all'unanimità. In ogni caso, occorreva tenere distinto il piano della scelta "dello staff" e delle opzioni strategiche, inerenti alla politica di espansione della banca, da quello delle modalità tecniche di attuazione di tale "indirizzo politico". In effetti, l'imputato trascorreva pochissimo tempo presso la sede dell'istituto di credito (cfr. deposizione della teste Ca.Li.) e non conosceva ('"operatività tecnica" della banca (cfr. deposizione del teste Um.Se.). Era bensì temuto - in quanto era colui che "comandava", come riferito dal teste Pa. -ma questo non significava affatto che conoscesse il fenomeno del capitale finanziato. Del resto, l'ingerenza del presidente nella vendita delle azioni non poteva essere desunta dalle dichiarazioni rese, sul punto, dal predetto Pa. (dichiarazioni, peraltro, smentite dal teste di riferimento Ro.), né dai documenti prodotti dal P.M. sub 31 e 321 (trattandosi di documenti sostanzialmente irrilevanti sul punto), ovvero dall'autorizzazione data, dall'imputato alla vendita delle azioni possedute dallo ZI. (trattandosi di un membro del consiglio di amministrazione) e neppure, infine, dall'appunto redatto da So. recante la dizione "Ro. fascicoli procedure" (nulla essendo emerso sull'esatto oggetto della conseguente discussione). In ordine alla gestione della "divisione estero", poi, la deposizione del teste Sa. - il quale aveva riferito che il presidente era solito informarsi sull'andamento economico del settore - non provava certo che ZO. si fosse ingerito nell'attività tecnica della banca. Così come le dichiarazioni rese dall'imputato nella riunione 11.11.2014 in ordine ad un articolo di stampa che aveva messo in dubbio il valore del titolo non assumevano reale rilevanza in chiave accusatoria, in quanto non univocamente sintomatiche della conoscenza del fenomeno del capitale finanziato. Inoltre, quanto riferito dal teste Gi. - secondo il quale, a fronte delle difficoltà nella vendita delle azioni da parte dei soci che intendevano liberarsene, l'imputato aveva ipotizzato l'intervento della banca a mezzo finanziamenti - avrebbe dovuto essere interpretato non già come l'espressione di un parere favorevole al ricorso ad operazioni "baciate", bensì come una proposta di sostegno finanziario da erogarsi in favore degli stessi soci titolari dei titoli, in attesa della vendita degli stessi. Con riferimento, quindi, ai documenti valorizzati dal tribunale per affermare un ruolo operativo del presidente, l'appellante ha evidenziato; - quanto agli appunti di So. relativi alla riunione di budget 9.12.2011, che si trattava di documento che non dimostrava affatto un ruolo "operativo" del presidente; - quanto al documento 322 della produzione del P.M, che si era in presenza di una e-mail (nella quale il dipendente Ro. si lamentava di essere stato costretto, mentre era in ferie, a contattare il d.g. ed il presidente) parimenti priva di significativo rilievo sul punto; s quanto alla e-mail di cui al documento 320 della produzione del P.M., nella quale si riferiva che il presidente sosteneva "che occorre incrementare il possesso azionario delle Za.", che il reale significato di detta comunicazione era stato successivamente chiarito dal teste Ro. (il quale, sul punto, aveva precisato come Za. fosse un socio che stava a cuore allo ZO. in quanto "socio storico", sicché, in questa prospettiva, le istruzioni impartite dall'imputato perdevano di significato, non attestando affatto che il predetto avesse effettiva contezza dei portafogli delle singole posizioni); - quanto al documento 521 della produzione del P.M., che si trattava di una e-mail relativa ad un intervento di repricing dalla quale emergeva bensì l'esistenza di posizioni di "intoccabili" ma che, per un verso, non era diretta all'imputato e, per altro verso, neppure conteneva riferimenti a quest'ultimo. Allo stesso modo, privo di significativo rilievo in chiave accusatoria era il contenuto della trascrizione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11-2014. In effetti i passaggi della suddetta trascrizione inerenti, da un lato, allo svuotamento del fondo azioni proprie attraverso il ricorso alla "Fondazione CR Lucca" e, dall'altro lato, alla circostanza che il presidente ed il d.g., avrebbero di lì a poco avuto un incontro con i rappresentanti di tale istituto, non significavano affatto, tenuto conto dell'esatto tenore delle espressioni nell'occasione proferite, che il suddetto incontro fosse stato fissato in vista dell'investimento, bensì l'esatto contrario. Inoltre, la frase "Il presidente vuole vedere i numeri", proferita da An.Fa. nel corso del medesimo comitato, attestava unicamente l'interesse dell'imputato ad approfondire, con il conforto dei dati, un non meglio precisato aspetto di quanto oggetto di discussione nel corso di tale seduta. Ad avviso dell'appellante anche i rapporti tra ZO. e So. - rapporti ai quali la sentenza aveva pure attribuito ampio risalto, interpretandoli nel senso di uno stretto rapporto di collaborazione tra i due - avrebbero dovuto essere diversamente spiegati. In particolare, nessuna "insana complicità", volta a coprire una operatività illecita, aveva spinto il primo a sostenere la nomina del secondo, nel febbraio del 2015 (ovverosia in un momento di palese criticità per l'istituto), a consigliere delegato, bensì il solo, comprensibile interesse a conferire maggiore autonomia gestionale ad un soggetto apicale nei confronti del quale l'imputato nutriva stima. Peraltro, anche i tre messaggi di cui ai documenti nn.ri 653, 654 e 655, espressamente richiamati m sentenza (e relativi a comunicazioni in cui MA. o GI. avevano sollecitato So. a parlare col presidente di alcune posizioni che sarebbero poi risultate "baciate") potevano essere ragionevolmente intesi come finalizzati a preparare il terreno affinché il presidente nulla avesse da eccepire sulla concessione dei finanziamenti, piuttosto che come espressione di un consapevole coinvolgimento dello ZO. in tali operazioni correlate. La stessa risoluzione del rapporto con il d.g., poi, era stata frutto di una decisione - assunta, peraltro, dopo che era oramai emersa la realtà dei fatti - condivisa dalla dirigenza. Inoltre, la repentinità di tale iniziativa, lungi dal dimostrare una complicità dell'imputato con il direttore generale, era espressione di virtuosa capacità di assicurare la necessaria soluzione di continuità nella gestione dell'istituto, coerentemente con le direttive della BCE. L'inserimento della clausola di riservatezza, infine, rientrava nella prassi ordinaria in situazioni consimili. Le conclusioni cui era pervenuto il tribunale - ha proseguito l'appellante - non trovavano sostegno neppure nelle intercettazioni telefoniche, posto che quella, già sopra citata, relativa al colloquio tra lo ZI. ed il Ba. (nel corso della quale il primo aveva sostenuto che ZO. e il direttore generale "viaggiavano a braccetto") non era altro che espressione della obiettiva sintonia tra i due (come spiegato, del resto, dallo stesso ZI.), ma non provava nulla di più. Quanto, poi, ai colloqui intrattenuti dal So. (nn.ri 459 del 31.8.2015, 300 del 7.9.2015, 610 del 2.9.2015, 845 del 6.9.2015), si trattava di conversazioni che non indicavano affatto che il presidente fosse a conoscenza delle operazioni di capitale finanziato (e, men che meno, della questione, connessa, inerente alla mancata decurtazione dal capitale di vigilanza), potendo, in effetti, prestarsi a differenti interpretazioni e, segnatamente, legittimando la conclusione di una ben più generica conoscenza dei fatti. Questo, a fortiori, ove si fosse debitamente considerato che il predetto So., nel periodo di riferimento (da collocarsi in una fase in cui gli accertamenti BCE avevano oramai portato alla luce le gravi irregolarità gestionali), aveva un evidente interesse a sminuire il proprio ruolo e a sovradimensionare quello dello ZO.. Inoltre, l'appellante ha preso in considerazione tutti i rapporti con la clientela considerati dal primo giudice espressione del coinvolgimento dello ZO. nelle operazioni correlate. Ebbene, anche in questi casi (assai pochi, peraltro in rapporto a quelli, molto più numerosi, in cui i clienti avevano escluso qualsivoglia rapporto con il presidente), le deposizioni degli investitori non provavano in alcun modo la responsabilità dell'imputato: - così era per Ca., il quale, del resto, aveva impiegato fondi propri per l'acquisto delle azioni; - così per Pi., posto che costui, pur avendo riferito di avere parlato con ZO. dei finanziamenti ricevuti per l'acquisto delle azioni, aveva reso una deposizione contraddittoria (anche alla luce del "memorandum" prodotto in dibattimento e dei documenti dalle difese, che ne smentivano la presenza tra gli ospiti che avevano soggiornato nella residenza dell'imputato di Ca.d.), tenuto peraltro conto delle reali finalità all'origine delle operazioni di acquisto di azioni dell'istituto effettuate dal predetto Pi., finalità non già "di cortesia", bensì speculative; s così per Be.de.Pa., il quale aveva negato di aver parlato col presidente delle sue operazioni di capitale finanziato (mentre le contrarie dichiarazioni de relato rese dal Gi. - espresse, peraltro, in forma dubitativa - erano state smentite, per l'appunto, dal teste di riferimento), - così per le dichiarazioni della Ir., posto che costei aveva riferito che l'imputato l'aveva dirottata sul direttore generale (e che il teste Cu. aveva precisato, al riguardo, che a trattare l'operazione erano stati il GI. ovvero il So.); - così, inoltre, per i fratelli Ra., tenuto conto del tenore generico delle relative deposizioni in ordine alle rassicurazioni ricevute dall'imputato circa l'andamento dei loro investimenti; - così, ancora, per quanto riferito dallo Zu. e dal Ri., essendosi in presenza di dichiarazioni che, a ben vedere, deponevano in termini esattamente contrari alla consapevolezza dell'imputato in ordine al fenomeno del capitale finanziato, - così, infine, per la testimonianza di Ro., in quanto la convinzione da questi maturata in ordine alla conoscenza, in capo allo ZO., dei finanziamenti correlati era frutto di una mera deduzione personale ("io faccio riferimento alia mia azienda, Le responsabilità sono sempre del presidente", "per svolgere il compito di presidente sicuramente avrà dovuto sapere tutto"...) non già di dati concreti aventi reale efficacia probante. Quindi, l'appellante ha rievocato la registrazione del colloquio che aveva avuto luogo, tra GI. e ZO., poco prima dell'inizio del CdA del 18.6.2013, colloquio inerente ai finanziamenti chiesti dall'imprenditore catanese Ri.Co.. Ebbene, che si fosse trattato di una richiesta finalizzata a porre in essere una operazione "baciata" era una conclusione cui il tribunale era pervenuto in assenza di adeguato sostegno probatorio. Infatti, per un verso, le dichiarazioni rese sul punto dal coimputato GI. erano contraddette dalla versione dello ZO., secondo il quale l'invito che lui stesso, nell'occasione di tale colloquio, aveva rivolto al predetto GI. E meglio essere prudenti, poiché chiacchiera, chiacchiera...") non dipendeva affatto dalla natura illecita delle operazioni che interessavano il Co. (operazioni nelle quali, pertanto, non era prudente coinvolgere soggetti delle cui riservatezza non si avevano garanzie), bensì dalla scarsa solidità patrimoniale di tale imprenditore; e, per altro verso, quest'ultimo aveva negato di avere mai affrontato con ZO. il tema dei finanziamenti inerenti all'acquisto di azioni. Questo, senza che la circostanza che dall'agenda dell'imputato risultasse un incontro tra i due potesse provare il contrario, ben potendo le parti avere discusso, nell'occasione di tale contatto, di operazioni diverse da quelle "baciate". Né il tribunale aveva minimamente illustrato le ragioni che lo avevano indotto a privilegiare la lettura dell'evento fornita dal coimputato GI. rispetto a quella proposta dal teste Coffa. Infine, neppure i rapporti tra ZO. e il gestore private Ri. rivestivano un rilievo gravemente indiziente. In effetti, sebbene quest'ultimo fosse stato uno dei maggiori artefici delle "baciate", la circostanza che avesse al contempo gestito il portafogli dell'imputato non provava alcunché. Piuttosto, il fatto che ZO. mai avesse posto in essere operazioni di tale natura (avendo egli sempre acquistato azioni della banca con risorse proprie) deponeva, sul piano logico, in senso contrario. In definitiva, la sentenza era caratterizzata, per un verso, dalla sistematica pretermissione dei dati probatori che orientavano nel senso dell'estraneità dello ZO. ai reati contestati e, per altro verso, dalla eccessiva valorizzazione degli "scarni e vaghi" elementi di prova emersi a carico dell'imputato medesimo. 2.4-3 Con il terzo motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 4 dell'impugnazione), poi, l'appellante ha censurato l'affermazione di penale le responsabilità sul rilievo dell'assenza di riscontro in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico dei delitti oggetto di addebito. In effetti, la contestazione elevata a carico dello ZO. di avere avallato la prassi aziendale dei finanziamenti finalizzati all'acquisto delle azioni dell'istituto - contestazione già assai problematica sotto il profilo della tipizzazione del contributo concorsuale asseritamente offerto dall'imputato, sul quale, in effetti, non incombeva alcuna posizione di garanzia attivabile in chiave di concorso omissivo nell'altrui reato - presupponeva la consapevolezza in capo allo stesso ZO. dell'esistenza del fenomeno in esame. Sul punto, il difensore, nel sottolineare, anzitutto, la problematicità della stessa definizione delle operazioni "baciate", a fortiori nel periodo in esame, allorché l'unico riferimento normativo era costituito dalla circolare 263/2006 della Banca d'Italia (circolare che parificava le operazioni di finanziamento effettuate dalla banca per finalità di acquisto di azioni proprie al riacquisto dei titoli), ha precisato che tale riacquisto, sotto il profilo contrattuale, era caratterizzato da un "atto coordinato" tra finanziamento ed acquisto delle azioni. Ebbene, ad avviso del primo giudice, perché scattasse l'obbligo di decurtazione dal patrimonio di garanzia dei finanziamenti concessi ai soci, era sufficiente che vi fosse, tra il credito concesso e l'acquisto dei titoli, una "relazione di tipo oggettivo". Tuttavia, tale conclusione contrastava con la natura propria delle Ba.Co., ovverosia di istituti di credito che frequentemente erogavano finanziamenti a soggetti che erano già soci, oppure lo divenivano contestualmente, con l'ulteriore complicazione conseguente alla stessa fungibilità del denaro (sicché era arduo stabilire, anche nel caso di contiguità cronologica tra finanziamento ed acquisto, se le risorse oggetto del credito erogato dalla banca fossero poi state utilizzate per l'acquisto delle azioni). Di qui - ad avviso dell'appellante - la necessità di ricorrere, per individuare le "operazioni baciate", proprio a quell'ulteriore criterio del "nesso teleologico" che era stato illustrato dal consulente della difesa, prof. Gu.. In effetti, i criteri adottati dagli ispettori BCE e, segnatamente, sia quello cronologico (con l'individuazione di un periodo di riferimento di "tre mesi"), sia quello quantitativo (secondo il quale l'ammontare finanziato avrebbe dovuto essere superiore al sottoscritto), non potevano ritenersi appaganti. In particolare il primo di tali criteri, privo di ancoraggio normativo, era stato stabilito unilateralmente ed in via convenzionale. In ogni caso l'insufficienza di tali parametri era emersa anche nel corso del dibattimento, là dove, per un verso, gli stessi cc.tt. del P.M. avevano evidenziato la necessità dell'esame delle singole posizioni riferibili alla clientela e, per altro verso, l'ispettore Ga. aveva segnalato l'esigenza di analisi dettagliata del conto corrente di ciascun cliente. Ebbene, era proprio la complessità delle operazioni necessarie per la comprensione del fenomeno a rendere inverosimile che il presidente avesse potuto apprendere delle operazioni "baciate" nel corso delle attività del CdA, ovvero dall'esame dei dati dei quali disponeva in virtù della carica ricoperta. Questo, a fortiori, ove si fosse prestata la debita attenzione al fatto che i finanziamenti correlati che avevano caratterizzato l'operatività di B. non erano stati "statici" ma erano spesso cambiati nel tempo in ragione di rimborsi ovvero per altre cause (come segnalato dal teste Tr. all'udienza 5.11.2019 e come evidenziato dallo stesso consulente del P.M. dott. Pa. all'udienza 12.11.2019, là dove questi aveva suggestivamente paragonato l'esito dell'attività di consulenza non già ad una fotografia del fenomeno in esame bensì ad un film che, di tale fenomeno, aveva seguito l'andamento a decorrere dal 30.6.2012 e fino al 31.3.2015). Fatta tale premessa e ulteriormente precisato come, con riferimento alla posizione dei coimputati ZI. e PE., il primo giudice avesse correttamente escluso il coinvolgimento di costoro proprio in considerazione della difficoltà di identificare una "operazione baciata", l'appello ha evidenziato, nell'ordine: - che lo ZO., per un verso, non era affatto dotato di una competenza maggiore di quella propria dello ZI. e, per altro verso, non aveva fruito di informazioni maggiori di quelle a disposizione di tale coimputato, come emerso nel corso dell'istruttoria e come già evidenziato nello stesso atto di impugnazione; - che la prova del dolo, tanto con riferimento alla componente rappresentativa quanto a quella volitiva, non tollerava il ricorso a schemi presuntivi (neppure se "agganciati" a ipotetiche ed indimostrate posizioni di "dominio informativo") e men che meno a "indici di sospetto", pena la trasformazione "della colpa in dolo" e la degradazione "del dolo ad eventualità di dolo", proprio per effetto di una inammissibile semplificazione probatoria; - che, con riferimento al tema della decurtazione dei finanziamenti dal patrimonio di vigilanza, lo scarto tra realtà effettiva e dati patrimoniali contabilizzati costituiva un elemento centrale nella ricostruzione dell'oggetto del dolo; - che era già l'impiego, per alludere alle operazioni "baciate", di una sequela di differenti espressioni ("operazioni baciate", "operazioni correlate", "operazioni K", "big ticket", "operazioni di portage", tanto che "ogni area aveva le sue definizioni come precisato dal teste Ba.) a rendere vago il concetto di riferimento; concetto, peraltro, parimenti indeterminato anche quanto alle modalità di ricostruzione (stante la evidenziata diversità di approcci "criteriologici"); - che, per la prova del dolo in ordine alle comunicazioni che avevano omesso di registrare, decurtandoli, i finanziamenti correlati, non poteva ritenersi sufficiente una generica consapevolezza (peraltro, nella specie, insussistente) del fenomeno in esame, ove non accompagnata anche dalla conoscenza della entità delle relative dimensioni in termini di significatività tali da alterare i valori patrimoniali di bilancio e, a cascata, quelli del titolo B.; - che la peculiare natura di banca popolare dell'istituto vicentino rendeva non agevole la distinzione tra la qualifica di socio e quella di "affidato", specie in assenza di censure da parte degli organi di controllo, tanto che, sotto il primo profilo, era generalmente ritenuto fisiologico che il socio avesse pacchetti azionari, depositasse le proprie liquidità in banca e si facesse anche finanziare dalla banca medesima, sicché disporre di informazioni al riguardo costituiva elemento probatoriamente "neutro" ai finì in esame (donde l'irrilevanza di quanto emerso in ordine alle comunicazioni intercorse tra alcuni soci ed il presidente ZO., anche in occasione delle cene periodiche); - che, tenuto conto della contestazione del reato in forma concorsuale, non erano emersi elementi di sorta per ipotizzare la tesi di un previo concerto tra i diversi coimputati ed ipotetici concorrenti; - che, in ogni caso, una eventuale "vaga conoscenza" della possibilità che fossero state realizzate alcune operazioni irregolari, la mancata decurtazione delle quali non avrebbe determinato significativi scostamenti del Tier 1, ovvero degli altri parametri di bilancio (plurime testimonianze, invero, avevano evidenziato come un minimo di operazioni irregolari sarebbero state tollerate o, comunque, considerate non materialmente rilevanti), non poteva certo equivalere alla rappresentazione (e successiva volizione) del fenomeno in concreto realizzatosi, la prova del dolo richiedendo la rappresentazione e volizione "del fatto storico nella sua globalità" (con 1 conseguente irrilevanza dell'eventuale conoscenza delle operazioni poste in essere dai soli clienti Pi., Da.Ro. o Ro.); - che, d'altra parte, neppure era consentito "compensare" un deficit del momento volitivo con un solido momento rappresentativo In definitiva, per non giungere ad una inaccettabile ed incostituzionale equiparazione tra conoscibilità e conoscenza dell'oggetto del dolo e per evitare, in sostanza, di travestire un rimprovero sostanzialmente colposo sotto le mentite spoglie di un rimprovero doloso, quei "segnali d'allarme" che la giurisprudenza aveva ripetutamente valorizzato quali indicatori tanto della componente rappresentativa quanto della "accettazione del rischio", non solo avrebbero dovuto essere "perspicui e peculiari", ma anche effettivamente percepiti come fattori annunciane un illecito in itinere. Ad essi, poi, si sarebbe dovuto necessariamente accompagnare il momento volitivo. Ebbene, nel caso di specie, i segnali d'allarme che l'imputato ZO. aveva ricevuto erano sostanzialmente gli stessi (difficoltà del mercato secondario; detenzione di azioni proprie da parte dei fondi; segnalazioni del socio Da.Gr. e dell'avv. Es.; articoli di stampa; riacquisti di azioni avvenuti nel 2014) che erano pervenuti agli altri componenti del CdA. Si era trattato, inoltre, di segnali vaghi e non precipui e, ad eccezione della vicenda del dipendente Vi., tutti già a conoscenza dell'autorità di vigilanza che, nondimeno, non aveva colto alcunché del fenomeno del capitale finanziato fino a quando, nel 2015, la BCE non aveva proceduto agli approfondimenti ispettivi. E, in ogni caso, i suddetti "segnali d'allarme" non erano stati percepiti dall'imputato (come, del resto, dagli ispettori di Banca d'Italia, dagli altri consiglieri di amministrazione e dai sindaci) in quanto tali, ovverosia come specifici e precipui. Comunque l'analisi di tutti gli "indicatori sintomatico-probatori" rivelatori del dolo eventuale (siccome indicati dalla giurisprudenza di legittimità nella nota Cass. Pen. Sez. (J., 18 settembre 2014, n. 38343, Thyssenkrupp) conduceva ad escludere che l'imputato fosse stato consapevole sia del fenomeno dei finanziamenti correlati, sia - ed in ogni caso - della sua reale entità. Nulla, comunque, avrebbe consentito di affermare che ZO., se avesse avuto certezza della irregolarità della situazione, avrebbe agito in un determinato modo (secondo la verifica controfattuale riconducibile alla c.d. "prima formula di Frank"), ovverosia avrebbe "avallato" la prassi in questione; prassi, del resto, che indeboliva il patrimonio della popolare e che, pertanto, andava in direzione esattamente opposta rispetto all'obiettivo di rafforzamento dell'istituto tenacemente perseguito dal presidente. E, sul punto, l'appellante ha richiamato la pronunzia delle SSUU 26.11.2009, Nocera, in ordine all'atteggiarsi del dolo eventuale nella fattispecie di ricettazione, per evidenziare la necessità, ai fini dell'affermazione della responsabilità penale dello ZO., della conoscenza, da parte del predetto, tanto della effettiva natura quanto della portata del fenomeno delle operazioni "baciate", non essendo all'uopo sufficiente un mero stato di dubbio ovvero di sospetto. Di qui la richiesta di assoluzione per assenza dell'elemento soggettivo dei reati, in difetto di adeguata prova sul punto. 2.4.4 Con il quarto motivo (oggetto di trattazione ai paragrafi 5 e 6 dell'impugnazione), l'appellante, in via subordinata, ha censurato l'incongruità del trattamento sanzionatorio. Innanzitutto, la pena irrogata allo ZO. era stata determinata in misura superiore rispetto a quella inflitta ai coimputati sulla base di quella inesistente posizione di assoluta egemonia all'interno della struttura di vertice dell'istituto di credito che, fondata esclusivamente sulla vox populi, aveva invece costantemente scandito le argomentazioni del tribunale, pur in difetto di ogni reale riscontro alla stregua degli esiti dell'istruttoria dibattimentale. Peraltro, si trattava di una dosimetria sanzionatoria configgente con la semplice considerazione del ruolo dallo stesso primo giudice attribuito allo ZO. nella vicenda delittuosa in esame, essendosi egli, anche nella prospettiva del tribunale, limitato ad avallare una prassi da altri ideata ed attuata. Sul punto, l'appellante ha infatti ribadito come l'imputato si fosse limitato a svolgere funzioni strategiche e di rappresentanza, astenendosi dal partecipare ai comitati esecutivi e a quelli di direzione, non avesse rilasciato alcuna lettera di garanzia e fosse anche rimasto del tutto estraneo alla vicenda dei fondi lussemburghesi. Anche sotto il profilo dell'intensità del dolo, poi, fi trattamento sanzionatorio non trovava alcuna giustificazione, solo a considerare che l'imputato aveva investito, negli aumenti di capitale dell'istituto, un patrimonio personale di più di venti milioni di euro, peraltro senza mai ricorrere ai finanziamenti della banca. In ogni caso, l'incongruità della pena inflitta era palese ove confrontata con quelle irrogate ai coimputati e, in particolare, al GI., il cui ruolo centrale nell'operatività delittuosa era stato pure espressamente evidenziato dallo stesso tribunale. In definitiva, tutti i parametri ex art. 133 c.p. (e, segnatamente, quelli inerenti alle modalità dell'azione, alla capacità a delinquere, ai motivi a delinquere, alla assenza di precedenti penali, alla condotta di vita antecedente e successiva al reato, al comportamento processuale ed alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale) avrebbero dovuto univocamente orientare per il contenimento della pena al minimo, anche con riferimento agli aumenti irrogati a titolo di continuazione per i reati considerati satelliti. Peraltro, a tale ultimo riguardo (ovverosia quello inerente alla pluralità degli addebiti), l'appellante ha lamentato la violazione del divieto di bis in idem sostanziale e del principio del nemo tenetur se detegere. Ciò in quanto, per un verso, le diverse contestazioni (tanto con riferimento alle condotte di ostacolo alla vigilanza quanto a quelle di aggiotaggio) apparivano in realtà riconducibili ad un unico reato; e, peraltro verso, la consumazione della prima condotta di ostacolo alla vigilanza contestata sub B1 avrebbe necessariamente implicato le successive condotte delittuose, pena l'autoincriminazione per tali ulteriori reati. Sotto il primo profilo, infatti, l'informazione taciuta, ovvero falsata, era stata sempre la medesima (ovverosia l'esistenza di finanziamenti correlati che avrebbero comportato lo scomputo del relativo controvalore dal patrimonio di vigilanza), donde la configurabilità, con riferimento all'ipotesi delittuosa ex art. 2638 c.c., pur a fronte di una pluralità di condotte, di un unico reato (analogamente, del resto, a quanto previsto dalle fattispecie di cui agli artt. 513 bis, 609 octies c.p., parimenti caratterizzate dalla considerazione di una pluralità di "atti", rispettivamente, di concorrenza illecita e di aggressione sessuale). Avrebbe dovuto orientare in tal senso una interpretazione conforme ai principi costituzionali di proporzionalità della pena, a fortiori considerato che, nel caso di specie, erano riscontrabili tanto l'identità dei titolari degli interessi lesi dalle condotte contestate quanto la "unicità della spinta motivazionale". Peraltro, nella peculiare vicenda sub iudice, si era in presenza di una triplicazione di fattispecie a fronte di un identico nucleo fattuale di riferimento, consistente nel supposto occultamento del fenomeno delle operazioni "baciate" e nella conseguente alterazione dei dati patrimoniali, nucleo dal quale erano in effetti scaturite tanto le condotte di alterazione del prezzo dell'azione, quanto quelle di falsità in prospetto, quanto, infine, quelle di ostacolo alla vigilanza. Ebbene, il divieto di bis in idem sostanziale, finalizzato ad evitare eccedenze sanzionatone irrispettose del principio di proporzionalità della pena (divieto la cui portata sostanziale era stata recepita, nel solco delle pronunzie della Corte Edu e delia Corte di Giustizia Ue, anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza 43/18), avrebbe imposto, in ragione della sovrapponibilità fattuale delle imputazioni, l'esclusione del concorso dei reati, segnatamente facendo applicazione del principio di consunzione, con conseguente "sopravvivenza" della sola fattispecie di ostacolo alla vigilanza, più grave in ragione della contestazione della relativa aggravante di cui al terzo comma della disposizione incriminatrice di riferimento. Tale soluzione, del resto, sarebbe stata anche coerente con la doverosa considerazione del richiamato principio del nemo tenetur se detegere, rispetto al quale non poteva condividersi quanto sostenuto dal tribunale in ordine alla sua portata sostanzialmente limitata all'ambito processuale. In particolare, sul punto, per contestare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato che il principio in esame non avrebbe potuto trovare applicazione al di fuori dei casi previsti ex art. 384 c.p., l'appellante ha richiamato la sentenza della Corte di giustizia UE 24.2.2021 (là dove era stato riconosciuto, in conformità con i principi di cui agli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, il diritto al silenzio di chi fosse stato richiesto dall'autorità amministrativa di fornire notizie che avrebbero potuto esporlo a sanzioni penali), nonché la sentenza della Corte Costituzionale n. 112/19. 2.4-5 Infine, con il quinto motivo (oggetto di trattazione al paragrafo 7 dell'impugnazione), l'appellante ha censurato la violazione della disciplina in materia di confisca. In primo luogo, premesso che il tribunale aveva disposto la confisca per equivalente per un ammontare pari all'entità dei finanziamenti erogati per le operazioni "baciate" (considerando tali finanziamenti come i "beni utilizzati per commettere il reato", alla stregua della lettera dell'art. 2641 c.c. e delle considerazioni svolte, sul punto, dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza 112/19), l'appellante ha anzitutto censurato la decisione impugnata per la mancata previa verifica della concreta praticabilità della confisca diretta. In effetti, le considerazioni svolte dal primo giudice - là dove il tribunale aveva argomentato detta impossibilità sul rilievo della sottoposizione dell'istituto di credito a liquidazione coatta amministrativa -non trovavano affatto il conforto della univoca giurisprudenza di legittimità, essendo riscontrabile, in proposito, un contrario, preferibile orientamento. Per vero, l'esistenza di una procedura concorsuale non avrebbe potuto essere considerata preclusiva della confisca diretta dei beni della società, come anche precisato da recenti arresti della giurisprudenza di legittimità non solo con riferimento alla ablazione del profitto dei reati ma anche dei beni utilizzati per commetterli (Cass. Sez. V, 21.1.2020, nr. 5400; Cass. Sez. nr. 6391 del 4-18.2.2021). Peraltro, anche con riferimento al "conflitto" ravvisabile tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura e quello discendente dal sequestro, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato la prevalenza del vincolo del sequestro (Cass. Sez. III, 18.1.2020, nr. 15776). Infine, neppure sussisteva, nel caso di specie, l'unico ostacolo effettivamente in astratto ravvisabile rispetto alla confisca diretta - ovverosia quello della riferibilità dei beni da sottoporre a confisca a soggetto estraneo al reato - non potendosi l'istituto di credito ritenere tale, avendo pacificamente tratto profitto dalla commissione dei reati. In secondo luogo, l'appellante ha evidenziato come sottoporre a confisca i finanziamenti concessi dalla B. per l'acquisto delle azioni proprie in quanto "beni utilizzati" per commettere i reati di cui agli artt. 2637 e 2638 c.c., avrebbe violato i prìncipi costituzionali. In proposito ha richiamato la già citata sentenza Corte Cost. 112/19 che, ravvisata la natura sostanzialmente punitiva della confisca ex art. 187 sexies TUF in relazione ai beni utilizzati per commettere l'illecito in questione, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione in esame nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo e non del solo profitto. Questo, sul rilievo dei principi della personalità della responsabilità penale, della proporzionalità ed individualizzazione della pena e del necessario orientamento rieducativo della stessa. Sicché, tenuto conto del contenuto - del tutto speculare - ravvisabile tra la disposizione oggetto della citata declaratoria di incostituzionalità e quella di cui all'art. 2641 cc., ha sollecitato la Corte territoriale a fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione da ultimo citata, con conseguente revoca della confisca disposta nei confronti di Zo.Gi., ovvero, in alternativa, a promuovere il relativo incidente di costituzionalità. Conclusivamente, l'appellante ha chiesto: - in via preliminare, dichiararsi l'incompetenza territoriale con conseguente trasferimento del procedimento all'autorità giudiziaria di Roma; - ai sensi dell'art. 603 c.p.p., disporsi la rinnovazione del dibattimento con escussione dei testi specificamente indicati nell'impugnazione e con l'espletamento di perizia ai fini di accertare entità e caratteristiche del fenomeno del capitale finanziato; - in via principale, assolversi l'imputato per non avere egli commesso il fatto, ovvero perché il fatto non costituisce reato e, conseguentemente, revocarsi la condanna al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili; - revocarsi la confisca per equivalente per mancata previa verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti di B.; - in ogni caso, escludersi la possibilità di applicare la confisca per equivalente in relazione ai beni utilizzati per commettere il reato, ovvero, in via gradata, sollevarsi la questione di costituzionalità con riferimento alla disposizione di cui all'art. 2641, co.2, c.c. per contrasto con gli articoli 3, 27, 42 Cost; - in via subordinata, previo assorbimento delle fattispecie di aggiotaggio e falso in prospetto nel più grave delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza, applicarsi il solo trattamento sanzionatorio previsto per tale ultima fattispecie; - comunque, contenersi la pena nel minimo e, questo, tanto con riferimento alla pena base quanto agli eventuali aumenti a titolo di continuazione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza. 2.4.6 Quindi, con motivi nuovi tempestivamente depositati, i difensori dell'imputato hanno ulteriormente argomentato in ordine alla erroneità della sentenza impugnata con riferimento alla confisca. Inoltre, hanno sollecitato la rinnovazione dell'attività istruttoria nei termini più oltre precisati. Sotto il primo profilo, da un lato, hanno richiamato, oltre alla già citata sentenza della Corte Costituzionale 112/19, le precedenti pronunzie del Giudice delle leggi nn.ri 68/17, 223/18 e 63/19, onde evidenziare la natura di sanzione penale non solo della confisca per equivalente ma anche di quella diretta, stante la sua valenza punitiva là dove la stessa abbia un carattere peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale precedente all'illecito; e, dall'altro, hanno evocato la recente modifica legislativa dell'art. 187 TUF per effetto della Legge Europea 238/21 (che ha escluso che potesse disporsi la confisca del prodotto del reato di abuso finanziario nonché dei beni utilizzati per commetterlo), trattandosi di innovazione legislativa inequivocabilmente attestante come, anche in materia penale, la confisca non possa eccedere il profitto dell'illecito. Conseguentemente, hanno denunziato l'illegittimità costituzionale, non solo, come già sostenuto negli originari motivi, della disposizione di cui all'art. 2641, 2° co, c.c., ma anche di quella di cui al comma primo del medesimo articolo, là dove dette disposizioni prevedono la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato, ovvero di beni dal valore equivalente. Si tratterebbe, infatti, delle uniche (residue) ipotesi di disposizioni dell'ordinamento che, nell'ambito dei delitti finanziari, continuerebbero a prevedere la confisca dei beni utilizzati per la commissione del reato, peraltro attraverso il ricorso ad un criterio di quantificazione "rigido", non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto eventualmente da questi conseguito, con violazione, sul punto, dei parametri di cui agli artt. 3, 27 Cost.. Di qui la richiesta, in via prioritaria, di interpretazione di dette disposizioni in modo conforme alla Legge fondamentale, con conseguente limitazione della confisca disposta nei confronti dell'imputato al solo profitto del reato. In subordine, hanno sollecitato la Corte a sollevare incidente di costituzionalità. In via di estremo subordine, infine, hanno chiesto la revoca della confisca perché applicata in difetto del requisito della sussidiarietà, stante la mancata verifica della praticabilità della confisca diretta nei confronti della società, non costituendo, sul punto, la procedura concorsuale un ostacolo decisivo. Sotto il secondo profilo, poi, hanno sollecitato - evocando la giurisprudenza della Corte Edu formatasi in relazione all'art. 6 CEDU - la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e, segnatamente, hanno chiesto l'escussione dei membri del CdA e del collegio sindacale che, già citati nel giudizio di primo grado, si erano in quella sede avvalsi della facoltà di non rispondere in quanto indagati, trattandosi di soggetti la cui posizione era stata medio tempore definita con provvedimento di archiviazione, con conseguente mutamento del regime giuridico di escussione testimoniale. Il principio di effettiva oralità, infatti, avrebbe imposto l'audizione dei testimoni - a fortiori nel caso di fonti mai escusse - non solo nel caso di giudizio d'appello che faccia seguito a sentenza di assoluzione, ma ogniqualvolta si imponga il riesame di una causa, in fatto o in diritto. E, nel caso di specie, le testimonianze dei componenti del CdA e del collegio sindacale rivestirebbero il carattere della decisività ai fini della comprensione dell'effettivo ruolo svolto dallo ZO. nell'ambito di B., tenuto peraltro conto delle peculiari considerazioni svolte, sul punto, nella sentenza di primo grado. Di qui la richiesta di escussione dei testimoni Br., Mo., Do., Zu., Ti., Pa., Sb., Bi., Ma., Fa., Za., Ca. e Pi.. 2.5 Appello proposto da Zi.Gi. Avverso la suddetta sentenza ha interposto appello anche il difensore di Zi.Gi.. 2.5.1 In particolare, con il primo motivo, l'appellante ha lamentato la erronea formula assolutoria adottata dal tribunale ("perché il fatto non costituisce reato") a fronte di un compendio probatorio che avrebbe dovuto necessariamente orientare per un proscioglimento motivato dalla estraneità dell'imputato alle condotte oggetto di imputazione, ovvero dall'insussistenza dei fatti allo stesso ascritti. A ben vedere, del resto, lo stesso apparato argomentativo della decisione era caratterizzato da plurimi, significativi passaggi nei quali, da un lato, si era dato atto dell'assenza "di alcuna significativa prova del coinvolgimento dell'imputato nella programmazione e/o attuazione delie condotte di manipolazione dei mercato e di ostacolo alla vigilanza, siccome cristallizzate nelle imputazioni" (così era dato leggere alle pagg. 768 e ss. della sentenza); e, dall'altro, si era precisato che "le condotte 0 addebitate a ZI. attengono alla sua operatività in veste di cliente coinvolto in operazioni illegittime", sicché "desumere da ciò la prova di un concorso materiale di condivisione operativa delie condotte manipolatone e di falsa informazione al mercato ed alla vigilanza" avrebbe comportato " una inammissibile semplificazione probatoria..." (così alle pagg. 771 e ss.). 2.5.2 Quindi, con il secondo motivo, ha censurato la erroneità della individuazione e della valutazione delle operazioni di finanziamento correlate all'acquisto di azioni Banca (...) che avrebbero dovuto essere detratte dal capitale della banca con riferimento all'"operazione Ze." In effetti, era errato ritenere che la Ze. s.r.l. avesse acquistato azioni dell'istituto di credito in attuazione di una operazione correlata. Si trattava, in particolare, di una conclusione alla quale il primo giudice era pervenuto sulla scorta delle deposizioni dei testi Ba. e Criscuolo, della contabilizzazione dei relativi interessi e del contenuto del memorandum redatto dall'imputato. Sennonché: - incontestato il fatto che la Ze. s.r.l. avesse impiegato, per l'acquisto di azioni B., finanziamenti erogati dallo stesso istituto di credito; s e considerato che, per unanime riconoscimento, costituiva prassi comune quella dell'erogazione di credito da parte delle banche popolari in favore dei rispettivi soci (come precisato dal teste Barbagallo, le dichiarazioni del quale, del resto, erano state anche riportate nella relazione scritta fornita nel corso dell'audizione parlamentare), ha osservato l'appellante che quella compiuta da Ze. s.r.l. non poteva affatto definirsi una operazione correlata. Sul punto, infatti, il tribunale aveva acriticamente sposato la tesi dei cc.tt. del P.M. - i quali, per individuare quali fossero le cc.dd. operazioni "baciate", avevano all'uopo considerato ogni finanziamento che fosse stato utilizzato per l'acquisto di azioni dell'istituto (a prescindere, quindi, dal tempo intercorso tra finanziamento ed acquisto, nonché dalla stessa percentuale riscontrabile tra entità del capitale erogato ed importo impiegato per l'acquisto dei titoli) - e, così facendo, aveva del tutto trascurato le contrarie, argomentate considerazioni spese dal prof. Pe. e dal prof. Gu., consulenti, rispettivamente, delle parti GI. e ZI.-ZO., là dove costoro avevano dettagliatamente evidenziato come, al fine di individuare correttamente le "baciate", si sarebbero dovuti considerare gli ulteriori criteri del "nesso teleologico" e (nell'ipotesi di acquisto di titoli sul mercato secondario) del "merito creditizio" (come anche precisato, a tale ultimo riguardo, dal teste Pa. il quale, in effetti, aveva sottolineato l'importanza, quale canone interpretativo, proprio del concetto del rischio di impresa). In ogni caso, la varietà dei criteri utilizzabili sul punto - e, quindi, l'incertezza che regnava in materia - era palesemente emersa dalle variegate prassi operative adottate, in proposito, dagli organi di vigilanza (CONSOB/Banca d'Italia/società di revisione). Del resto, gli stessi PP.MM., nel corso delle rispettive requisitorie (così come nella richiesta di archiviazione nel procedimento RGNR 3862/16 iscritto a carico di tutti i membri del CdA), avevano dato mostra di essere ben consapevoli di ciò. Ebbene, nel caso della Ze. srl era decisivo considerare che tale società aveva rimborsato l'intero finanziamento di 14 milioni (versando 8,5 milioni attinti dalla liquidità propria e 5,5 milioni derivanti dalla vendita parziale degli 11 milioni in azioni B. detenuti da tale società), nonostante tale restituzione fosse poi stata del tutto obliterata nella sentenza impugnata. Più nel dettaglio, l'appellante ha precisato: - che Ze. s.r.l. era una holding finanziaria ed immobiliare, nell'ambito della quale l'imputato - il quale, peraltro, poiché quotidianamente impegnato presso l'Associazione Industriali, si recava di rado presso la sede della suddetta società - si occupava delle partecipazioni (all'epoca ammontanti, complessivamente a circa 15 milioni), mentre il fratello, Zi.Gi., curava gli investimenti immobiliari (all'epoca aventi un valore complessivo di circa 10 milioni); - che i fratelli ZI., nell'anno 2008, con i proventi della vendita delia partecipazione nella società Tr., avevano acquistato, per un controvalore di 1,2 milioni di euro, azioni B. ed avevano altresì sottoscritto, per un valore di 300.000 euro, un prestito obbligazionario convertibile, così portando la loro partecipazione nell'istituto di credito ad un valore di circa 1,5 milioni di euro (valore al quale si doveva poi aggiungere quello delle azioni detenute a titolo personale); - che, quindi, tra i titoli posseduti tramite Ze. s.r.l. e quelli posseduti dall'imputato a titolo personale, si era in presenza di strumenti finanziari aventi un valore complessivo di circa 8,5 milioni di euro, sicché lo stesso imputato, dopo il presidente ZO., era il maggior azionista della banca e, quindi, tra i soggetti che avevano subito il danno più consistente (al quale, peraltro, doveva aggiungersi il pregiudizio rappresentato dagli oltre 700,000 euro pagati a titolo di interessi passivi per i finanziamenti ottenuti dalla predetta Ze. s.r.l.); - che, nel 2012 - ovverosia nel periodo nel quale si collocavano le operazioni oggetto di contestazione - Ze. s.r.l. aveva in essere una pluralità di trattative commerciali (alcune poi concretizzatesi, altre no) per un importo complessivo di 14-15 milioni di euro (tra le operazioni in questione l'appellante ha dettagliatamente richiamato quelle relative ad "Ar", a "Do.", a Sa.Im." ed a "Ne.Co.") e, non avendo la liquidità necessaria per portarle a termine, aveva ricercato sul mercato un idoneo finanziamento, innanzitutto rivolgendosi ad U., con cui già intratteneva rapporti, e, successivamente, stanti le difficoltà operative che erano emerse (segnatamente, la necessità di disinvestimento di strumenti finanziari, come precisato dal teste Vi.), seguendo il suggerimento di Gi.Em., a B.; - che era stato intorno alla fine di settembre - inizi di ottobre 2012 che il GI. aveva iniziato ad istruire la pratica di finanziamento per un importo di 12,5 milioni di euro, importo dalla banca ritenuto coerente con il merito creditizio di Ze. s.r.l.; - che solo successivamente - in un "secondo momento" (rispetto all'avvio della pratica di finanziamento) seguendo la terminologia dell'appellante - era stato comunicato a B. che parte di questo importo, pari a circa 2,5 milioni di euro, sarebbe stato impiegato per l'acquisto della partecipazione in Ar., come precisato dai testi Ba. e Cr., il quale ultimo figurava come il proponente della P.E.F. (proposta di fido elettronica), peraltro significativamente caratterizzata da una motivazione sottostante tutt'altro che generica; - che solo a questo punto (e, quindi, in un "terzo momento") lo ZI. era stato richiesto di investire la rimanente somma di 10 milioni di euro (somma che non aveva ancora impiegato, né lo avrebbe fatto a breve) in azioni della banca, fermo restando che, non appena Ze. s.r.l. avesse venduto dette azioni, avrebbe investito il relativo importo nell'acquisto di partecipazioni in altre società, come desumibile, ancora, dalle deposizioni dei citati Ba. e Cr.- Ebbene, tale scansione degli eventi rendeva evidente come l'operazione conclusa da Ze. s.r.l. con B. non fosse affatto una operazione di "portage". Quindi, con riferimento all'Aucap 2013, il difensore ha evidenziato che si era trattato dell'adesione, da parte di Ze. s.r.l. all'operazione di aumento di capitale, adesione effettuata utilizzando, per l'importo complessivo di 1 milione di euro (500,000 euro investiti in azioni, altrettanti in obbligazioni), parte del fido di 1,5 milioni concesso dall'istituto, il tutto mentre la restante parte del finanziamento era stata destinata all'impiego in altre operazioni commerciali, come dettagliatamente riferito dall'imputato nel corso del proprio esame. Quanto, poi, alla vendita parziale delle azioni B. detenute da Ze. s.r.l. effettuata nel 2014, si era trattato della cessione di 88,000 azioni, per un controvalore di 5,5 milioni (ovverosia della vendita di circa la metà delle azioni dell'istituto detenute dalla società in questione), motivata esclusivamente da ragioni fiscali (segnatamente, dalla impossibilità di dedurre completamente gli interessi passivi del finanziamento, stante la natura di società mista immobiliare-finanziaria di Ze. s.r.l., come precisato dal consulente fiscale dott. Ba.). Peraltro, anche successivamente alla svalutazione dell'azione, gli interessi del finanziamento erano stati regolarmente corrisposti da Ze. s.r.l. con fondi propri e, già a maggio del 2014, la società aveva parzialmente restituito il finanziamento (poi rinegoziato ed estinto nel 2016) per l'importo di 1,2 milioni di euro, senza vendere alcuna azione; circostanza, questa, logicamente incompatibile con una operazione concordata ab origine. In definitiva, nessuna delle operazioni di acquisto di azioni B. poste in essere da Ze. s.r.l. aveva le caratteristiche proprie delle "baciate", se non quella della vicinanza temporale (caratteristica, quest'ultima, significativa secondo i parametri valorizzati dalla BCE ma, ad esempio, non per quelli adottati dalla CONSOB). Si era in presenza, infatti, di operazioni: - poste in essere a seguito di finanziamenti inizialmente destinati all'acquisto di partecipazioni in altre società; - caratterizzate da causali dettagliate; - realizzate da società il cui merito creditizio era ampiamente sussistente; s prive di scadenza, bensì connotate dal mantenimento, per un tempo significativo, dei titoli, poi venduti (peraltro solo in parte) unicamente per ragioni fiscali; - non connotate dallo storno di interessi, né dal rilascio di lettere di garanzia; - rispetto alle quali erano stati regolarmente pagati gli interessi (nella specie per l'importo, non certo irrilevante, di 700,000 euro); - alle quali, infine, aveva fatto seguito la restituzione del finanziamento (peraltro effettuata, in prevalenza, con fondi propri). Conseguentemente l'appellante ha escluso che si trattasse di operazioni che avrebbero dovuto comportare lo scomputo dell'importo finanziato dal patrimonio di vigilanza. Inoltre ha contestato che deponessero per la natura correlata delle operazioni effettuate da Ze. s.r.l. le circostanze pure all'uopo valorizzate dal primo giudice ai punti 2 e 2.1 della sentenza impugnata. Così era per il messaggio sms ("Faccio anche ZI.. Ma. d'accordo, Vedi problemi?") intercorso tra GI. e So. di cui al documento 661 del P.M., trattandosi di comunicazione che, al più, dimostrava che quello che era stato fatto era avvenuto all'insaputa dell'imputato; cosi per l'ulteriore messaggio sms ("Ti ricordo ZI. da parlarne con Presidente per fido da farsi sulla finanziaria") inviato da MA. a So. di cui al doc. 665 del P.M., in quanto privo di ogni valore probatorio (risultando evidente il riferimento alla disciplina ex art. 136 TUB e, dunque, alla necessità di avvertire il presidente affinché venisse adottata la relativa procedura di uscita dall'aula dell'interessato); così, inoltre, in relazione alla tabella - peraltro non redatta dall'imputato - contenente lo specchietto di riepilogo delle competenze di cui al documento nr. 737 del P.M., essendo inequivoco che quello del 4,75% ivi indicato era il tasso interno applicato ad Ar. per il favore fattole da Ze. (s.r.l. anticipandole la relativa somma, come precisato dal teste Fr. e come anche dimostrato dal documento nr. 16 prodotto dalla difesa all'udienza 30.6.2020; così, ancora, in ordine alla e-mail di cui al documento nr. 121 del P.M., trattandosi di comunicazione inerente ad una richiesta di rimborso da intendersi come avente ad oggetto la riduzione legittima dei tassi più volte sollecitata da Gi.ZI. e, per suo conto, dalla impiegata della Ze. s.r.l. Ca.Ro., come da quest'ultima precisato nel corso della propria escussione dibattimentale; così, infine, in relazione al rimborso di cui al documento nr, 121 del P.M., trattandosi di documento che andava interpretato come conseguente non già ad una richiesta di storno bensì di mitigazione dei tassi di interesse (peraltro mai andata a buon fine), come desumibile dalla congiunta valutazione delle deposizioni rese dai testi Cr., Ma. ed Am.- Quanto, poi, alle intercettazioni telefoniche valorizzate dal primo giudice al punto 2,2 della sentenza, trattavasi di conversazioni tutte successive ai fatti e che, ove debitamente contestualizzate, non avrebbero potuto affatto costituire elementi di prova a carico, attestando piuttosto - ed unicamente - il disperato tentativo dell'imputato di comprendere la ragione per la quale figurasse tra gli indagati. In tal senso, infatti, andava interpretata la telefonata nr. 135 del 25.8.2015, intercorsa con Bo.Lu. (conversazione nella quale l'imputato aveva affermato di essere uno dei consiglieri finanziati dall'istituto, al contempo negando di essere a conoscenza del fatto che tale pratica riguardasse altri soci), come, d'altronde, convincentemente spiegato dallo stesso ZI. nel corso del proprio esame dibattimentale. Infine, in relazione al memorandum di cui al documento del P.M. nr, 731, parimenti valorizzato al punto 2.2 della sentenza, il difensore ha rappresentato trattarsi di documento redatto "di getto" dal proprio assistito (il quale, peraltro, aveva fatto confusione in ordine alle date delle operazioni effettuate con Ze. S.r.l.); documento, tuttavia, che conteneva il riferimento alle sole operazioni effettuate dalla predetta Ze. s.r.l. per le quali la società aveva pagato interessi passivi ed il cui complessivo tenore, a ben vedere, deponeva per la più totale ed assoluta ignoranza di aver posto in essere operazioni anche solo irregolari. Infine, il difensore ha evidenziato come i punti 3, 4 e 5 della sentenza avessero fatto riferimento a temi (trattasi, segnatamente: dell'operazione effettuata da Gi.ZI.; dell'operazione U. inerente al finanziamento utilizzato dall'imputato per l'acquisto di derivati e non di azioni della banca; della e-mail inviata a GI. e Gi. nella quale l'imputato precisava "B. non opera con questa politica e che forse hanno capito male o il funzionario non si è espresso bene") estranei alla imputazione. Ha concluso, pertanto, chiedendo la modifica, in termini più favorevoli, della formula adottata dal primo giudice per mandare assolto Zi.Gi. e, segnatamente, insistendo per il proscioglimento del proprio assistito non già "perché il fatto non costituisce reato", bensì "per non avere commesso il fatto". 3. Appello proposto da Banca (...) in liquidazione coatta amministrativa. Avverso detta sentenza ha interposto appello Banca (...) in L.C.A. con impugnazione che ha devoluto alla cognizione della Corte i punti della sentenza inerenti alla affermazione di responsabilità dell'ente in relazione agli illeciti amministrativi ascritti ai capi di imputazione sub A2, B2, C2, D2, E2 F2, G2, H2, M2 ed N2, al mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co.2 lett. b, D. L.vo 231/01, alla quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza di cui al capo N2, alla quantificazione della sanzione ed alle spese processuali. 3-1 Con il primo motivo ha censurato la sentenza impugnata sul rilievo della erroneità dell'affermazione della sussistenza dell'interesse ovvero del vantaggio per l'ente derivante dai reati presupposti. In particolare, il primo giudice aveva esplicitamente sostenuto che i reati in contestazione, sebbene parte integrante di una politica di impresa che, all'esito, si era addirittura rivelata dannosa per l'istituto di credito, fossero stati espressione di una attività posta in essere nell'interesse ed a vantaggio di tale ente, in quanto strumentali a non farne emergere l'operatività illecita e, così, per un verso, a consentire l'afflusso di nuovo capitale e, per altro verso, ad assicurare il mantenimento di quello esistente. Questo, sul rilievo della doverosa distinzione tra le singole operazioni di capitale finanziato, da un lato, e le specifiche condotte delittuose, dall'altro; condotte, queste ultime, successive alle prime e funzionali a consentire di realizzare un vantaggio economico immediato nei termini anzidetti. In definitiva - ha precisato l'appellante - il tribunale aveva tarato la prospettiva di giudizio sulla valutazione dell'interesse dell'ente in un momento successivo rispetto alle condotte delittuose. Ebbene, tale interpretazione era errata. In effetti, il difensore, dopo avere premesso: - che la differenza tra l'ente attuale (B. in L.C.A.) e quello amministrato/diretto dagli imputati non aveva rilevanza alcuna in punto di responsabilità amministrativa, in ragione della "autonoma oggettività" che costituiva la "cifra interpretativa" della disciplina in materia; - che il criterio di ascrizione stabilito ex art. 5 D.L.vo 231/01 imponeva di avere riguardo all'interesse o al vantaggio in relazione al singolo e specifico fatto di reato presupposto volta a volta addebitato alla persona fisica; - che il fatto del quale l'ente era chiamato a rispondere, trattandosi di fatto proprio ed autonomo dell'ente medesimo, non poteva identificarsi con il reato commesso, sottolineava come l'elemento costitutivo delia responsabilità amministrativa rappresentato dall'interesse/vantaggio dovesse essere valutato con diretto riferimento alla persona giuridica e dovesse essere necessariamente tale, in un'ottica di valutazione ex ante, da prospettare il verificarsi di una situazione migliorativa per l'ente in questione; prospettiva, peraltro, da valutarsi in termini squisitamente oggettivi e non già sulla base della ricostruzione "dell'attitudine psicologica dell'autore del reato presupposto", nella sfera esclusiva del quale restavano, per contro, gli estremi costitutivi del reato perpetrato. Donde, sotto tale profilo, l'impossibilità di valutare l'interesse dell'ente sulla base del movente che aveva guidato gli autori del reato e che, ripetutamente, era stato da costoro identificato "nell'interesse della banca". In altri termini l'interesse rilevante era solo quello, per un verso, avente una dimensione oggettiva e, per altro verso, identificabile, ex ante, in un reale utile per l'ente; utile, peraltro, da valutarsi in una prospettiva funzionale e (strumentale rispetto alla persona giuridica. Quanto al vantaggio, poi, valevano le medesime considerazioni, con la precisazione, tuttavia, che la identificazione di tale elemento presupponeva una valutazione da effettuarsi ex post. Ebbene, già tali considerazioni consentivano - ad avviso dell'appellante - di apprezzare l'errore di valutazione nel quale era incorso il primo giudice, solo a considerare, da un lato, che non rientrava certamente nell'interesse della banca effettuare un aumento di capitale con mezzi della banca medesima (trattandosi di operazione che, sin dal momento genetico, si presentava come foriera di un impoverimento patrimoniale dell'istituto); e, dall'altro, che nessun vantaggio era derivato alla B. dai reati perpetrati dagli imputati, reati che, al contrario, avevano generato un pregiudizio di vaste dimensioni. Più nel dettaglio, con riferimento al fenomeno sottostante alle condotte contestate di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, il difensore ha sottolineato - alla stregua, segnatamente, di quanto riferito dai testi Ba. e Io. -come gli aumenti di capitale effettuati negli anni 2013 e 2014, lungi dal rafforzare la stabilità patrimoniale dell'istituto vicentino, avessero unicamente creato una parvenza di stabilità e solidità economico-finanziaria (posto che si erano tradotti in una costruzione fittizia di patrimonio). Per un verso, infatti, le risorse utilizzate per gli aucap erano state fornite dal medesimo istituto di credito, sicché non vi era stata alcuna reale immissione di nuove risorse finanziarie; e, per altro verso, la neutralizzazione degli interessi passivi attraverso il cosiddetto "storno" si era tradotta in un depauperamento per l'istituto di credito, per effetto di operazioni "in perdita" (come del resto emerso nel corso dell'esame dell'imputato MA. e comprovato da specifiche deposizioni testimoniali). In effetti, la deposizione del teste ispettore Ma. era stata illuminante in ordine all'antieconomicità di tali operazioni. Il contenuto delle lettere di impegno rinvenute nel corso dell'ispezione BCE, poi, aveva confermato il carattere pregiudizievole per il patrimonio societario delle operazioni suddette (in quanto sostanzialmente tali da trasformare le azioni in obbligazioni, senza alcun reale apporto di risorse nuove in cambio di una quota parte del capitale sociale, come precisato dalla teste Pa.). Donde l'impossibilità di ravvisare, ex ante, alcuna positiva ripercussione di tali operazioni, poste in essere dalle persone fisiche, sulla persona giuridica. Inoltre, altrettanto pregiudizievoli per l'istituto di credito erano state le operazioni legate all'investimento di circa 350 milioni di euro nei fondi lussemburghesi "At." ed "Op.", in considerazione della natura delle operazioni poste in essere, del tutto eccentriche (come emerso solo al momento della disclosure circa il sottostante dei fondi) rispetto all'interesse di B., peraltro unico sottoscrittore dei fondi medesimi, con conseguente aumento del rischio di danno in caso di scelta di disinvestimento (come precisato dal teste Li.), danno, poi, puntualmente verificatosi (come evidenziato dal teste Io.). D'altronde, le operazioni suddette - e, in particolare, le "operazioni baciate" - avevano costretto la govemance aziendale subentrata a seguito delle verifiche BCE a fronteggiare una situazione davvero critica, di assoluta debolezza rispetto al tentativo di recuperare le perdite della precedente amministrazione (amministrazione, la prima, che aveva concesso fidi a clienti dall'apparente merito creditizio, la capacità restitutoria dei quali, al contrario, nella maggior parte dei casi, era risultata inesistente, con l'ulteriore anomalia che le garanzie dei finanziamenti erano state costituite, sovente, dalle stesse azioni; circostanza, questa, che si era riverberata negativamente, ab origine, sulla possibilità di recupero del capitale erogato). Tanto precisato con riferimento all'operatività sottostante alle condotte delittuose ex artt. 2637 e 2638 c.c., il difensore ha ribadito come la sottoscrizione di azioni di nuova emissione attraverso finanziamenti erogati dallo stesso istituto emittente, al pari dell'acquisto delle azioni B. sul mercato secondario ugualmente effettuato attraverso l'erogazione di credito da parte della banca vicentina, fossero operazioni che, sin dall'origine, compromettevano la consistenza economico-patrimoniale dell'istituto. Ed analoghe conclusioni si imponevano per gli investimenti nei fondi lussemburghesi e per gli impegni di garanzia. Ciò posto, era su tali modalità operative sottostanti che si erano innestate le condotte di occultamento, con mezzi fraudolenti, dell'effettività della situazione. Nondimeno, si trattava di condotte (volte a far apparire come effettivo un aumento di capitale; ovvero a sostenere artificiosamente l'appetibilità del titolo; ed, in ogni caso, a nascondere la effettività della situazione sottostante) del tutto distoniche e configgenti, sul piano oggettivo, con l'interesse di B., istituto che, al pari di qualsiasi altra banca, non poteva certo ritenersi oggettivamente interessato ad un aumento di capitale fittizio, tale da risolversi in un depauperamento della consistenza economica della banca. In un siffatto contesto, la tesi espressa dal tribunale, secondo il quale i reati erano stati "strumentali proprio a non rivelare tale operatività lungi dal comprovare l'esistenza di un interesse della banca rispetto a ciascun singolo reato, deponeva in senso esattamente opposto, dato che l'istituto aveva il contrario interesse di concludere operazioni sostenibili, ovvero di interrompere una operatività pregiudizievole per i propri obiettivi istituzionali. L'esito drammatico per B. del disvelamento dell'occultamento di tali irregolari modalità operative, del resto, confermava come queste ultime fossero in radicale contrasto con gli obiettivi della banca. A ben vedere, infatti, il reato ex art. 2638 c.c., non poteva affatto sostenersi fosse stato perpetrato nell'interesse dell'ente, trattandosi di delitto sostanziatosi nell'occultamento alla autorità di vigilanza di informazioni che, se comunicate, avrebbero impedito il rilascio dei nulla osta necessari per gli aumenti di capitale, ovvero per il riacquisto delle azioni proprie e, cioè, per operazioni tutte certamente dannose, sin dall'origine, per l'ente medesimo (come concluso, in fattispecie analoga, dal P.M. presso il tribunale di Siena nel decreto di archiviazione prodotto in allegato all'atto di appello, sub 1), In buona sostanza, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale, l'interesse della banca non avrebbe certo potuto essere individuato nell'occultamento della debolezza patrimoniale dell'istituto medesimo al fine di "conseguire afflussi di capitale e mantenere l'operatività" e, così, scongiurare interventi più incisivi dell'autorità di vigilanza, trattandosi di obiettivi contrari a quelli propri di un ente bancario e, anzi, forieri di rischi e pericoli. Diversamente opinando - ha osservato l'appellante - ogni condotta di aggiotaggio ed ostacolo alla vigilanza finirebbe per trarre seco la responsabilità amministrativa dell'ente, anche nelle ipotesi, quali quelle sub iudice, caratterizzate da condotte produttive, ab origine, di un depauperamento per l'ente medesimo, con conseguente surrettizia introduzione di una sorta di responsabilità oggettiva della persona giuridica. Peraltro, la circostanza che la disposizione di cui all'art. 5, co. 2 D. L.vo 231/01 non contenesse riferimento alcuno alla nozione di vantaggio, costituiva significativo indice del fatto, con riferimento alla ipotesi disciplinata dal precedente comma, che, in assenza del relativo interesse, non sarebbe ravvisabile la responsabilità dell'ente. In effetti - ha osservato, conclusivamente, il difensore - l'unico interesse ravvisabile nella specie era quello, esclusivamente proprio del gruppo dirigente, ad occultare la reale situazione dell'istituto di credito per mantenere, il più a lungo possibile, ruoli e posizioni professionali di prestigio ed al contempo scongiurare il discredito che sarebbe derivato da una emersione del fenomeno in esame, interesse che gli imputati avevano perseguito ad ogni costo, in radicale contrasto con quello dell'istituto di credito. 3.2 Con il secondo motivo, poi, il difensore ha contestato la sussistenza della responsabilità dell'ente sotto il diverso profilo della asserita inidoneità del modello di organizzazione e gestione predisposto per la prevenzione dei reati e, in ogni caso, in ragione dell'asserita elusione fraudolenta dello stesso da parte dei vertici aziendali. In particolare l'appellante ha censurato le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, sostenendo, per contro, che B., nel predisporre ed attuare il modello di organizzazione, non si sarebbe affatto discostata dal comportamento astrattamente doveroso, con la conseguenza che, in difetto di un effettivo "scarto" tra ente modello ed ente concreto, difetterebbe il requisito dell'illecito amministrativo costituito dalla "colpa di organizzazione", siccome delineata ex art. 6 D. Lvo 231/01; colpa in concreto insussistente ove, come nella specie, il modello avesse caratteristiche tali da poter essere eluso solo attraverso un comportamento fraudolento. Ciò posto, dopo avere premesso: - che il difetto di analiticità del modello, lungi dall'esprimerne l'inadeguatezza, risponderebbe piuttosto all'ineludibile esigenza di non comprimere la libertà di organizzazione dei fattori produttivi; v che il carattere "ideale" del modello non avrebbe potuto essere "ipostatizzato", dovendosi necessariamente avere attenzione ad un modello "relativamente ideale", tenuto conto dell'attività concretamente svolta dall'ente, delle dimensioni dello stesso e, più in generale, delle caratteristiche tutte della persona giuridica di riferimento; - che, inoltre, nella valutazione del giudizio sulla sussistenza della colpa, rettamente intesa come "rimproverabilità", si sarebbero dovuti adeguatamente considerare eventuali profili di inesigibilità; s che, Infine, non si sarebbe certo potuto far automaticamente discendere dalla commissione dei reati la conclusione circa l'inadeguatezza del modello, il difensore ha analizzato le caratteristiche del modello di organizzazione effettivamente adottato da B., specificando che si trattava di modello - progressivamente aggiornato, sino al 2014 - ispirato ai principi ed alle linee guida dell'ABI.. Più nel dettaglio, la Sezione 11° del modello, con specifico riferimento alla funzione di vigilanza, prevedeva l'esistenza di un organo di controllo che, introdotto nel 2003, a decorrere dal 2008 era stato trasformato in un Organismo di Vigilanza ad hoc, composto da tre membri (il responsabile dell'audit e due soggetti esterni), munito di numerosi poteri (necessari per attuare le procedure di controllo, svolgere verifiche periodiche, coordinarsi con il responsabile della formazione del personale, raccogliere ed elaborare dati rilevanti, verificare le esigenze di aggiornamento del modello) e che curava una funzione di reporting agli organi sociali. Tale Organismo, poi, era integrato da specifiche responsabilità facenti capo alle diverse funzioni aziendali. L'Organismo di Vigilanza, a sua volta, riceveva informazioni e garantiva che coloro che avessero effettuato una segnalazione non subissero conseguenze negative di sorta da tali comunicazioni/denunzie. Inoltre, il modello, da un lato, includeva anche un sistema disciplinare quale elemento costitutivo dell'attività di controllo (sistema che contemplava un apparato sanzionatorio applicabile non solo agli organi apicali, ma a tutti i dipendenti dell'istituto, oltre ai collaboratori esterni); e, dall'altro, prevedeva un continuo monitoraggio del funzionamento del modello stesso, promuovendo all'uopo gli aggiornamenti ritenuti necessari. Nella Sezione IIIA, poi, era delineato un sistema preventivo (suddiviso nelle sotto-sezioni "Rischio", "Processo", "Funzioni Coinvolte", "Protocolli di controllo", "Normativa interna vigente") rivolto alla prevenzione del pericolo di commissione di specifici reati (questi ultimi, peraltro, oggetto di puntuale "mappatura" in un apposito allegato). E, con particolare riferimento alle ipotesi delittuose contestate, l'appellante ha precisato che, contrariamente a quanto sostenuto a pag. 795 della sentenza impugnata, per un verso, la procedura di redazione dei bilanci e la tenuta della contabilità erano effettuate facendo applicazione di manuali appositamente concepiti (ai quali si aggiungevano i "funzionigrammi", gli organigrammi ed i regolamenti interni pubblicati sull'intranet aziendale); e, per altro verso, specifica attenzione era dedicata proprio alle operazioni potenzialmente incidenti sull'integrità del capitale e/o del patrimonio sociale. Anche con riferimento alla trasparenza, poi, il modello conteneva specifiche disposizioni e, così, svolgeva una funzione, sul punto, "integrativa": alle procedure vigenti, infatti, aggiungeva disposizioni ulteriori relative all'osservanza della normativa societaria. In definitiva, quello adottato dall'istituto di credito vicentino era un valido presidio rispetto al rischio di commissione delle fattispecie penali di riferimento. In ogni caso, dopo avere ripercorso struttura e contenuto del modello, l'appellante si è concentrato sulle censure specificamente contenute nella sentenza impugnata, secondo la quale le carenze del modello in questione sarebbero state riferibili: - in primo luogo, alla composizione dell'Organismo di Vigilanza; se, in secondo luogo, all'inefficacia del modello rispetto ai reati contestati agli imputati. Ebbene, sotto il primo profilo, era sufficiente evidenziare come le stesse linee guida predisposte dall'ABI nel 2004 lasciassero ampia discrezionalità con riferimento alla composizione dell'ODV (nel senso che era previsto che le banche potessero creare un organismo ad hoc, ovvero utilizzare un organismo o una funzione già esistenti). Inizialmente la scelta di B. si era indirizzata verso un organo composto dal responsabile dell'internal audit affiancato da due soggetti esterni; quindi, nel 2014, l'istituto vicentino aveva modificato la composizione dell'organo in questione, in linea, peraltro, con l'evoluzione normativa in materia. A seguito dell'inserimento del co, 4 dell'articolo 6 D.Lvo 231/01 per effetto della legge di stabilità del 2012, infatti, B. aveva attribuito al Collegio Sindacale le funzioni in questione. Sicché, sul punto, le scelte della banca non potevano essere censurate. Quanto al secondo profilo, poi, il tribunale era pervenuto ad una valutazione di responsabilità per effetto di una erronea valutazione di inidoneità, conseguente alla stessa commissione dei reati e, in sostanza, adottando un criterio di giudizio basato su un inammissibile automatismo, di fatto tale da rendere del tutto inutili le previsioni ex artt. 6 e 7 D.Lvo 231/01. Per contro, ogni valutazione sul punto avrebbe dovuto essere effettuata secondo i criteri della "prognosi postuma" (pena la inevitabile, costante conclusione, in caso di commissione dei reati, della inadeguatezza del modello adottato dall'ente). Peraltro - ha proseguito, sul punto, il difensore - l'erroneità delle conclusioni, cui era giunto il primo giudice sarebbe emersa in termini di maggiore evidenza ove si fosse debitamente considerata la natura fraudolenta ed elusiva delle modalità di commissione del reato da parte delle persone fisiche in posizione apicale. L'elusione del modello organizzativo da parte di tali soggetti, infatti, era stata tale da "segnare una evidente scissione tra l'ente medesimo e il soggetto apicale autore del reato", la condotta di quest'ultimo non potendosi ritenere espressione "della politica di impresa dell'ente stesso", ma costituendo "una scelta personale e propria dell'autore dei fatto di reato". In definitiva - ha precisato l'appellante - "quando l'autore dei reato è un soggetto apicale, l'ampiezza dei poteri a questi conferiti introduce la variabile umana dell'abuso; essa segna i confini sussistenti tra i comportamenti ex ante prevedibili certamente compresi tra i pericoli che un valido modello organizzativo deve saper inibire, da un lato; e, dall'altro, quelli dei quali è predicabile un'intrinseca valenza fraudolenta perpetrati mediante l'abuso dei supremi poteri sociali come tali necessariamente ribelli alla possibilità di un qualsiasi controllo, seppure ben concepito e calibrato". E, sul punto, erano evidenti tanto le modalità fraudolente adottate per porre in essere le operazioni di capitale finanziato (solo a pensare alle clausole generiche inserite nei contratti di finanziamento), quanto la strumentalità delle operazioni di investimento estero nei fondi lussemburghesi. Donde la conclusione circa l'adeguatezza del modello organizzativo adottato da B.. 3.3 Quindi, con il terzo motivo, articolato in via subordinata, il difensore ha censurato il mancato riconoscimento dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D. L.vo 231/01, nonché l'errata quantificazione della sanzione pecuniaria rispetto ai criteri di determinazione del valore e del numero delle quote, anche in relazione all'aumento delle quote medesime per effetto della disciplina della pluralità di illeciti. Innanzitutto, la circostanza che la Banca si fosse dotata di un modello organizzativo sin dal 2002 ed il fatto che l'istituto avesse ristorato, a titolo transattivo, ben 66.770 azionisti, avrebbero dovuto fondare il contenimento nei minimi sia del numero delle quote che dell'aumento derivante dalla pluralità degli illeciti. La concessione dell'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b, D.L.vo 231/01, poi, avrebbe dovuto indubbiamente trovare riconoscimento. Questo, solo a considerare debitamente la condotta adottata dall'istituto di credito che, successivamente all'ispezione BCE, aveva prontamente provveduto alla revisione del modello organizzativo, dimostrando l'incontrovertibile intenzione dell'ente di dotarsi di un valido presidio per la prevenzione della commissione di ulteriori illeciti a seguito del disvelamento della mala gestio della precedente amministrazione. Infine, l'importo della singola quota era stato fissato senza tenere adeguatamente conto, come invece prescritto dall'art. 11 D.Lvo cit., delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente, al fine di assicurare l'efficacia della sanzione. La liquidazione dell'istituto di credito, invero, rendeva evidente l'inconciliabilità del valore della singola quota rispetto alla condizione dell'ente medesimo, con un conseguente "peso" della sanzione irrogata in misura sproporzionata rispetto alla effettiva responsabilità. Di qui la richiesta di determinazione nel minimo edittale della sanzione amministrativa irrogata a B. in L.C.A. 3.4 Inoltre, con il quarto motivo, l'appellante ha censurato la quantificazione del profitto del reato di ostacolo alla vigilanza contestato al capo N2 e, conseguentemente, del valore della relativa confisca. Il primo giudice, infatti, aveva disposto, nei confronti dell'istituto di credito, la confisca per l'importo di euro 74,212.687,50, quale indebito profitto del reato di ostacolo alla CONSOB perpetrato in occasione dell'aumento di capitale del 2014. In particolare, in occasione di tale aucap, l'operazione straordinaria era stata effettuata omettendo, nei confronti dell'investitore-sottoscrittore, il test di adeguatezza. In effetti, all'esito della replica del test di adeguatezza effettuato in sede ispettiva, era emerso che, su circa 10.812 sottoscrizioni, una parte consistente di operazioni, segnatamente 7.795, era stata effettuata da soggetti (non finanziati) ritenuti "inadeguati"; soggetti, pertanto, che non avrebbero potuto procedere in tal senso ovvero che avrebbero dovuto disporre di un adeguato compendio informativo. Sennonché, l'appellante ha segnalato che il profitto derivato dalle irregolari modalità di esecuzione dell'aumento di capitale, più che dall'ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB posto in essere dal GI. (ovverosia dall'imputato del reato presupposto contestato sub NI), era ascrivibile al reato ex art, 173 bis D.Lvo 58/98, contestato al capo L), di falso in prospetto relativo al medesimo aumento di capitale dell'anno 2014; delitto, tuttavia, non ricompreso nel novero dei reati presupposto di cui al D.L.vo 231/01. Donde l'impossibilità di sanzionare l'ente per la corrispondente condotta e, conseguentemente, l'insussistenza dei presupposti per la confisca del profitto del reato nei confronti dell'ente medesimo. Di qui la richiesta di dissequestro e restituzione della somma di euro 74.212,687,50. 3.5 Infine, con il quinto motivo, ha sollecitato la revoca della condanna al pagamento delle spese processuali quale effetto della invocata assoluzione dell'ente. 4 Gli appelli del P.M. 4.1 Appello inerente alla posizione di Pe.Ma. Il P.M. presso il tribunale di Vicenza ha impugnato l'assoluzione di Pe.Ma., assoluzione che il primo giudice aveva motivato sul rilievo dell'assenza di prova circa il coinvolgimento dell'imputato nella strutturazione dell'operatività delle "operazioni baciate" (e, ancor prima, circa la stessa effettiva conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno in esame, con specifico riferimento alle caratteristiche della prassi delle operazioni correlate ed alla loro diffusività) ritenendo, per contro, ragionevolmente dimostrato che costui, al più, avesse nutrito sospetti in proposito e, tuttavia, ne avesse sottovalutato le portata e le implicazioni in punto di incidenza sul patrimonio di vigilanza e sui coefficienti prudenziali. Ad orientare in tal senso le conclusioni del tribunale - ha precisato l'appellante - erano state, essenzialmente, le deposizioni rese dai testi Fa., Tr., Mo. e Li., la vicenda della disclosure sui fondi "At." ed "Op." al giugno 2014, l'episodio degli accertamenti effettuati dalla società K. incaricata della revisione del bilancio al 31.12.2014 e, infine, l'intervento dell'imputato durante la seduta del CdA dell'1.4.2014. Per contro, le circostanze della partecipazione dell'imputato al Comitato di Direzione 8.11.2011 ed alla riunione del 7.1.2015, il contenuto della registrazione della seduta del Comitato di Direzione 10.11,2014 e le deposizioni dei testi Am., Ba., Tu. e So. in ordine alle riunioni dell'alta dirigenza dell'istituto, erano stati ritenuti dati probatori "insufficienti a dimostrare la consapevolezza in capo al predetto delle condotte manipolatone poste in essere dai vertici di B.". Ebbene, la sentenza impugnata, per un verso, aveva omesso di valutare (ovvero aveva erroneamente valutato) prove in realtà pienamente dimostrative della integrale conoscenza, da parte dell'imputato, tanto della esistenza quanto dell'entità significativa del fenomeno del capitale finanziato; per altro verso, aveva radicalmente trascurato talune circostanze che, accertate nel corso del dibattimento, confermavano siffatta consapevolezza; e, per altro verso ancora, aveva effettuato una valutazione frazionata ed atomistica del materiale probatorio, astenendosi da un doveroso raffronto dei singoli elementi con l'intero compendio disponibile, conseguentemente pervenendo a conclusioni scorrette. E, al riguardo, il P.M., dopo avere richiamato le responsabilità ed i compiti che incombevano sul PE. tanto secondo il "funzionigramma" dell'istituto vicentino quanto, in ragione dell'incarico di dirigente preposto, in base alla disciplina di legge (art. 154 bis D.L.vo 58/98) ed alla normativa secondaria emanata dalla Banca d'Italia, e dopo avere altresì rievocato, sulla base della deposizione resa dal teste Tr., il meccanismo di tenuta della contabilità adottato da B., ha evidenziato il significativo rilievo probatorio, ai fini dell'esatta comprensione della posizione del PE., sotto il profilo dell'elemento psicologico dei reati in esame, rivestito, nell'ordine: a} dagli appunti redatti da So.Ma. in ordine alla seduta del Comitato di Direzione del giorno 8.11.2011 e dalla e-mail del 10.6.2011 inviata da Ro.Fi. all'imputato (oltre che ad altri dirigenti e funzionari dell'istituto). In particolare, dal contenuto di tale e-mail si ricavava chiaramente che, al momento della partecipazione alla citata seduta del Comitato di Direzione, nel quale era poi stato espressamente trattato il tema delle operazioni "baciate" (come desumibile da alcuni passaggi degli appunti manoscritti di So.), il PE. era necessariamente a conoscenza della situazione di grave squilibrio del mercato secondario delle azioni dell'istituto (con il fondo acquisto azioni proprie impegnato per ben 112 milioni di euro). Donde la conclusione che l'intervento effettuato dal PE. durante la seduta - allorquando l'imputato, in un contesto di espliciti riferimenti da parte del To., del Se. e del So. alle "baciate", aveva sollecitato un decremento dell'ammontare delle azioni proprie detenute in portafoglio per raggiungere un Tier 1 ratio dell'8% ("per andare ad S", secondo l'espressione attribuita al medesimo PE. negli appunti) - era necessariamente espressione di una effettiva conoscenza di un fenomeno strutturato ed in corso da tempo, fenomeno del quale si segnalava, durante detto incontro, la necessità di monitoraggio giornaliero e di ulteriore pianificazione. Peraltro - ha precisato l'appellante - il contenuto dell'appunto era coerente con la ricostruzione di tale fenomeno siccome effettuata dai cc.tt. del P.M. (secondo i quali, al 31.12.2010, le operazioni di capitale finanziato ammontavano a 50 milioni, mentre, nel corso dell'anno successivo, erano cresciute notevolmente sino a raggiungere il valore di ben 243 milioni). Ebbene, nonostante il tribunale avesse opportunamente valorizzato il rilievo probatorio del documento rappresentato dagli appunti in questione onde desumere il coinvolgimento, nell'operatività illecita della banca, dei coimputati GI. e PI. (visto che, in quell'occasione, erano state delineate "le strategie operative per gli interventi sul capitale ... che prevedevano il ricorso alle operazioni baciate come strumento per svuotare il fondo acquisto.."), del tutto incomprensibilmente lo stesso primo giudice aveva poi omesso di trarne le dovute, necessarie conclusioni in relazione all'analoga posizione del PE. (pure intervenuto attivamente, nel corso della riunione in questione, fornendo indicazioni rilevanti ai fini del perseguimento degli obiettivi fissati dal d.g. So.). In effetti, la versione fornita dall'imputato - secondo il quale "non aveva dato il giusto peso agii interventi di Se. e To. perché, all'epoca, non conosceva la parola "baciata" - lungi dall'essere "non inverosimile", era scopertamente difensiva; b) dalle deposizioni di So.. Am., Ba. e Tu.. Alla stregua di tali deposizioni, tutt'altro che generiche ed imprecise, era stato possibile, nell'ordine: ricostruire le modalità di funzionamento degli organi collegiali manageriali dell'istituto; apprendere che il PE., nella sua qualità di responsabile della "Divisione Bilancio e Pianificazione", aveva sempre preso parte sia ai Comitati di Direzione svoltisi sino al 2011 (e, in seguito, nuovamente convocati a partire dalla seconda metà del 2014, per effetto di una espressa richiesta BCE), sia alle informali "riunioni di direzione" convocate nel periodo intermedio; conoscere che, in occasione di tali riunioni, erano stati trattati anche i temi dell'operatività dei finanziamenti correlati, nell'ambito dei più generali argomenti della gestione del capitale, del fondo acquisto azioni proprie e dello squilibrio del mercato secondario delie azioni B.. Che, poi, il PE. non avesse compreso portata e caratteristiche del fenomeno in questione, era conclusione che contrastava, sul piano logico, con la circostanza che detto fenomeno aveva finito per rappresentare - come peraltro puntualmente osservato dal tribunale - una sistematica modalità di gestione dell'attività di impresa, protrattasi per un lungo arco temporale (5/6 anni), fino a raggiungere una dimensione quantitativa notevole (sia per il numero delle operazioni concluse, sia per il controvalore delle stesse), tale da coinvolgere i soci più importanti, da interessare tutte le zone di insediamento della banca e da rivestire una incidenza notevole, sul funzionamento del mercato secondario dei titoli B. e sulla situazione patrimoniale dell'istituto. Né alcun teste aveva riferito che il tema in esame costituisse argomento segreto, del quale le strutture della Divisione Bilancio e Pianificazione fossero state tenute all'oscuro. Peraltro, rientrava nelle competenze di detta Divisione la funzione di capital management, alla quale non era certo estranea la questione dell'entità della quota indisponibile del fondo acquisto azioni proprie (per le conseguenze sui livelli di patrimonializzazione e sui ratios patrimoniali prudenziali); c) dai risultati delle intercettazioni telefoniche. In particolare, il tribunale aveva del tutto omesso di considerare il tenore di due colloqui telefonici dai quali era possibile desumere la conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno delle "operazioni baciate". Si trattava della conversazione nr, 359 dell'1.9.2015, intercorsa tra il coimputato GI. e il membro del collegio sindacale Pi.La. (nel corso della quale era stato effettuato l'esplicito riferimento al fatto che il PE., in relazione alle operazioni baciate, "dava ordini.."); nonché della conversazione nr. 259 del 28.8.2015, intercorsa tra il responsabile audit Bo. ed il coimputato MA. (in occasione della quale quest'ultimo aveva ribadito che del fenomeno in questione erano a conoscenza anche gli altri componenti della Direzione Generale in quanto il So. era solito parlarne nel corso delle riunioni dell'alta dirigenza); d) dagli sms intercorsi tra i coimputati PI. e GI. in data 3.5.2015 (ovverosia in un momento nel quale i primi esiti dell'ispezione BCE stavano conducendo al disvelamento dell'operatività illecita della banca), là dove tali SMS contenevano l'esplicita affermazione del coinvolgimento collettivo dell'alta direzione dell'istituto ("deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori"); e) dalle dichiarazioni del teste Bo. in merito alla riunione del febbraio 2015 in previsione dell'avvio dell'ispezione BCE, riunione alla quale aveva preso parte anche il PE. e nella quale lo stesso teste aveva illustrato la criticità rappresentata dalla questione del capitale finanziato, senza che alcuno dei partecipanti avesse manifestato il benché minimo stupore; f) dalla registrazione della seduta del Comitato di Direzione del 10.11.2014, ovverosia da un elemento di eccezionale valore probatorio, in quanto, in un contesto di espliciti riferimenti a tutti gli aspetti problematici del fenomeno del capitale finanziato (natura di portage delle operazioni; obbligo di riacquisto; interessi riconosciuti alle controparti; rilascio delle lettere di garanzia del rendimento e dell'impegno al riacquisto; necessità di occultamento alla vigilanza; dimensioni del fenomeno), documentava che nessuno degli intervenuti all'incontro aveva richiesto delucidazioni sul punto, ovvero aveva manifestato dissensi, ovvero ancora stupore. Ebbene, nonostante il PE. fosse assente a quella riunione, emergeva chiaramente come le analisi che, nell'occasione, erano state discusse, fossero frutto anche del lavoro delle strutture della "Pianificazione", come, peraltro, desumibile dal riferimento, effettuato dal coimputato GI. nel corso dell'incontro, a tale "Ma." ("...allora, noi, comunque, le posizioni baciate, grosse, dobbiamo eliminarle....però bisogna confrontarsi con Ma..,.."), evidentemente da individuarsi nell'imputato, quale soggetto da interpellare per verificare le ipotesi di soluzione che andavano emergendo. Né tale riferimento poteva ritenersi - come, invece, sostenuto dal tribunale - di equivoca lettura, essendo chiaro che l'operazione di cui si era dibattuto nella riunione (ed in relazione alla quale, pertanto, occorreva confrontarsi con il PE.) non riguardava semplicemente l'eliminazione "di pezzi di attivo", bensì l'eliminazione delle operazioni "baciate" accompagnata dalla necessità di rimanere con i ratios stabili nonostante il decremento di capitale. Peraltro, tanto le e-mail intercorse tra il 14.8.2014 ed il 12.11.2014, quanto la deposizione resa dal teste Fa. confermavano il coinvolgimento dell'imputato nelle analisi inerenti all'impatto negativo delle operazioni "baciate" in ordine al margine di interesse della banca, analisi che aveva costituito il presupposto per le proposte operative formulate dal d.g. So., nel corso della predetta seduta del Comitato di Direzione, per superare le difficoltà inerenti proprio al meccanismo delle operazioni correlate. Peraltro, a fronte della mancata corretta valutazione di tali emergenze probatorie, la sentenza aveva sopravvalutato, ovvero equivocato, valorizzandoli come prove a discarico, gli elementi rappresentati, nell'ordine: a) dalla verifica compiuta dalla società di revisione K posto che, a ben vedere, una attenta analisi di quanto emerso al riguardo deponeva in senso diametralmente opposto, essendo la condotta tenuta, nell'occasione, dal PE. volta non certo ad agevolare, bensì a vanificare gli esiti di detta verifica, in adesione agli intendimenti del direttore generale; b) dalle deposizioni dei testi Fa., Tr., Mo. e Li., trattandosi di testimonianze sostanzialmente irrilevanti (così nel caso della deposizione del Tr., non avendo egli riferito di avere parlato con l'imputato delle operazioni "baciate"), ovvero di scarsa affidabilità (così con riferimento a quanto riferito dal Mo., dal Fa. e dal Li. - i quali avevano dichiarato di essersi convinti che il PE., prima del 2015, non avesse maturato una precisa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato - posto che era ragionevole ritenere che l'imputato non avesse fatto automaticamente partecipi i terzi di quanto a lui effettivamente noto); c) dall'episodio della disdosure sui fondi "At." ed "Op.", con conseguente comunicazione all'autorità di vigilanza, essendosi in presenza ai attività esecutiva di uno specifico obbligo normativo e che, comunque, ove non compiuta, avrebbe comportato effetti maggiormente penalizzanti per l'istituto; d) dalle critiche espresse dal PE., in occasione del CdA 1.4.2014, in merito all'operato dell'esperto indipendente prof. Bi., in ragione della natura implicita - se non addirittura criptica - delle critiche formulate dall'imputato (il quale, peraltro: secondo la teste Pa., aveva manifestato contrarietà alla ostensione, in favore del socio Da.Gr., successivamente all'assemblea dei soci 26.4.2014. della relazione di stima del valore delle azioni; e, secondo il teste Ca., nel corso degli anni, aveva più volte ammesso come l'elaborazione dei piani industriali fosse il modo a sua disposizione per sostenere il prezzo dell'azione e in tal guisa influire sulla relativa stima da parte dell'esperto all'uopo incaricato). Conclusivamente, il P.M. appellante ha sostenuto che le prove disponibili erano certamente tali da attestare la piena conoscenza, in capo all'imputato, a far data dalla fine del 2011, dell'esistenza e della consistenza del fenomeno delle operazioni "baciate", fenomeno che, negli anni 2013 e 2014, era stato esteso anche alle operazioni inerenti agli aumenti di capitale. Tale conoscenza non era frutto del flusso delle informazioni ufficiali che gli pervenivano in ragione del suo ruolo istituzionale, bensì effetto della partecipazione "ai momenti di confronto della Direzione Generale e, quindi, per essere stato destinatario di quanto in quei contesti veniva riferito e, più in generale, per avere preso parte al gruppo dei dirigenti B. "allineati" ....ai presidente ZO., al Direttore Generale So.Sa. alla concertazione del quale, come indicato in sentenza, devono ricondursi le decisioni e l'attuazione della prassi delle operazioni baciate". Era stato nella piena consapevolezza del fenomeno delittuoso in esame, quindi, che il PE. aveva fornito il proprio decisivo contributo all'occultamento di detto fenomeno, predisponendo ripetutamente documenti (dal bilancio ai comunicati stampa, dalle segnalazioni prudenziali alle comunicazioni di interlocuzione con le autorità di vigilanza) aventi contenuto mendace e decettivo. Di qui la richiesta di affermazione della penale responsabilità dell'imputato con conseguente condanna alla pena di anni otto e mesi due di reclusione, come già richiesto all'atto delle conclusioni rassegnate nel giudizio di primo grado. 4.2 Appello inerente alla posizione di Zi.Gi. Il P.M. ha proposto appello anche avverso l'assoluzione di Zi.Gi., sul rilievo della errata individuazione del criterio di imputazione della responsabilità penale del predetto nonché della mancata valutazione di specifici elementi probatori. Al riguardo, dopo avere sinteticamente ripercorso ì passaggi contenuti nei sette paragrafi della sentenza che il tribunale aveva dedicato all'analisi della posizione di tale imputato, il P.M. ha evidenziato, innanzitutto, che il primo giudice aveva equivocato nel l'interpretare quale fosse, secondo l'impostazione d'accusa, il profilo di responsabilità che fondava l'imputazione elevata a carico del predetto ZI.. A costui, infatti, era stato contestato di avere avallato ripetutamente la prassi illecita delle operazioni correlate, così fornendo un concreto ausilio alle attività delittuose realizzate dalla dirigenza dell'istituto, posto che tale avallo non solo aveva agevolato la conclusione di siffatte operazioni, ma, per un verso, aveva contribuito a rassicurare i dipendenti sulla "esistenza di una copertura da parte dell'organo amministrativo" e, per altro verso, essendo l'imputato membro del CdA, aveva integrato anche i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza. Era stato il consiglio, infatti, a deliberare la concessione dei fidi relativi agli acquisti di azioni nell'ambito delle "baciate", nonché ad approvare i documenti contabili e le comunicazioni dirette agli organi di vigilanza. In presenza di tali contestazioni, quindi, le affermazioni del primo giudice, secondo il quale, da un lato, l'imputato non era stato parte attiva di "una condivisione operativa delle condotte manipolatone e di falsa informazione ai mercato ed alla vigilanza" e, dall'altro, non risultava provato il suo coinvolgimento nelle scelte gestionali relative alla liquidità dell'azione e alla crisi del mercato secondario", apparivano espressione di una inesatta comprensione dell'effettivo tenore della contestazione elevata a carico dello ZI.. Inoltre, la trama argomentativa della sentenza rivelava la radicai 5 J pretermissione, ovvero la inadeguata valutazione, di significativi elementi ai prova a carico. Al riguardo, sotto il primo profilo, il P.M. ha richiamato l'omessa considerazione dell'intercettazione nr. 543 del 31.8.2015, inerente ad una conversazione intercorsa tra l'imputato e To.Ni., conversazione dalla quale era possibile evincere la piena consapevolezza, in capo allo ZI., della prassi di sollecitare la clientela, in occasione della concessione o del rinnovo del credito, all'acquisto delle azioni tramite finanziamento. Sotto il secondo profilo, poi, ha evocato, segnatamente: a) la e-mail del 2.7.2014 inviata da Mi.Ga.; b) la partecipazione da parte del medesimo imputato ad importanti operazioni di svuotamento del fondo acquisto azioni ed alla sottoscrizione di azioni in occasione degli aumenti di capitale; c) la piena consapevolezza, in capo allo stesso giudicabile, dell'impiego surrettizio dello strumento del finanziamento; d) la significativa capacità professionale dell'imputato (presidente di Confindustria Vicenza nel periodo di interesse e titolare di una holding di partecipazioni), tale da assicuragli la piena comprensione della natura illecita e decettiva delle condotte poste in essere, anche suo tramite, dalle strutture dell'istituto di credito. Tanto premesso, l'appellante ha passato in rassegna le evidenze probatorie che avrebbero dovuto, ove correttamente inquadrate e valutate, condurre ad un giudizio di penale responsabilità. Trattasi, nell'ordine: a) dell'operazione effettuata, nell'anno 2011, da Zi.Gi.. fratello dell'imputato, il quale aveva ricevuto un finanziamento di 5 milioni di euro il 27.12.2011, finanziamento al quale aveva fatto seguito, in data 29.12.2011, l'acquisto di azioni B. per un pari importo. Quindi, in occasione dell'aumento di capitale 2013, lo stesso Gi.ZI. vi aveva partecipato, come persona fisica, fruendo di un finanziamento di 500.000 euro. Ebbene, con riferimento alla prima operazione - poi chiusa da Zi.Gi. con un "annullamento" e, questo, pur in assenza di inadempimenti di sorta da parte del predetto socio che, soli, alla stregua delle regole dell'istituto, avrebbero potuto giustificare un siffatto "annullamento" - l'imputato aveva sostenuto di essere rimasto all'oscuro dell'operazione in questione, essendo stata la pratica deliberata in sua assenza, stante l'applicabilità dell'art, 136 TUB. Sennonché, l'istruttoria dibattimentale (e, segnatamente, le dichiarazioni del teste Ba.) aveva provato l'esatto contrario. Peraltro il memorandum (costituente il documento nr, 731) rinvenuto nei supporti informatici dell'imputato conteneva, con riferimento alla data dell'8 maggio, annotazioni relative a dichiarazioni rese dallo stesso ZI. in ordine al fatto che il medesimo, in due occasioni (segnatamente, nel 2011 e nel 2012), era stato richiesto di effettuare operazioni di acquisto, tramite finanziamenti, di azioni della banca, operazioni la prima delle quali era stata chiusa nel 2014 e che, con ogni evidenza, doveva identificarsi proprio nell'operazione formalmente conclusa dal fratello Gi.. Peraltro, lo stesso documento nr. 730 - predisposto da Zi.Gi. e contenente una sorta di riepilogo delle operazioni "con finanziamento" - convergeva nel dimostrare come l'operazione effettuata nel 2011, da un lato, fosse sostanzialmente riconducibile a Zi.Gi. e, dall'altro, rientrasse nell'ambito della "campagna svuota fondo" relativa al medesimo anno; b) dell'operazione compiuta tramite Ze. S.r.l. nel novembre 2012, consistita nel finanziamento di 12,5 milioni in data 13.11.2012 e nell'acquisto, il successivo 20.11.2012, di azioni per il valore di 10 milioni di euro. Sebbene l'imputato avesse sostenuto (dapprima, nella memoria 14.4.2017; quindi, nell'interrogatorio 26.9.2017) che l'acquisto delle azioni era stato frutto di una decisione estemporanea, assunta allorché l'originario obiettivo di acquisire alcune partecipazioni si era rivelato non perseguibile, in sede di esame dibattimentale costui si era visto costretto, dalle inequivoche emergenze istruttorie sul punto (costituite, segnatamente: dal contenuto delle deposizioni di Ba., Gi. e Io.; dal contenuto del messaggio sms, inviato dal coimputato MA. al d.g. So. e relativo proprio all'operazione conclusa dallo ZI.; dall'analogo messaggio inviato da GI. al medesimo So.; dallo stesso tenore del documento relativo all'operazione in questione, in quanto caratterizzato dalla causale, assolutamente generica, "ulteriori significativi investimenti che al momento non sono ancora definiti"; dal fondamentale documento64 rinvenuto presso la sede della ditta Ze. S.r.l. - documento del quale, peraltro, nessuno dei potenziali redattori aveva riconosciuto la paternità - contenente elementi univocamente sintomatici della natura "baciata" delle operazioni effettuate dalla Ze. s.r.l.; dall'ulteriore documento inerente all'accordo per non pagare neppure le imposte sugli strumenti finanziari) a mutare versione, ammettendo che il finanziamento in questione era stato strutturato, ab origine, per l'acquisto di azioni dell'istituto. Del resto, il memorandum relativo alla data dell'8 maggio confermava chiaramente la partecipazione dell'imputato ad operazioni di finanziamenti correlati; partecipazione, peraltro, ulteriormente corroborata anche dalla deposizione, de relato dall'imputato, resa, sul punto, dal teste Ba., oltre che dalle dichiarazioni del teste Cr.. In definitiva - ha osservato il P.M. - se ZI. aveva concluso, anche per conto di Ze. s.r.l., operazioni correlate per importi considerevoli, significava che lo stesso, allorquando aveva trattato in CdA le pratiche inerenti alle analoghe operazioni poste in essere dai maggiori azionisti della banca, era perfettamente in grado di comprenderne natura, entità ed implicazioni, sicché a tale imputato non potevano affatto attagliarsi le considerazioni che il tribunale aveva riservato agli altri consiglieri in ordine al difetto, sul punto, di effettiva consapevolezza; c) della partecipazione tramite Ze. s.r.l. all'aumento di capitale 2013 (siccome ricostruita nella relativa scheda redatta dai cc.tt. del p.m. a pag. 367 dell'elaborato di consulenza), caratterizzata, a fronte di una linea di credito concessa dall'istituto per 1,5 milioni di euro, dall'acquisto di azioni della banca per 565.000 euro e dall'impiego di analogo importo per la partecipazione al prestito obbligazionario previsto dall'offerta. Ebbene, la sottoscrizione di azioni di nuova emissione con provvista della banca in occasione di un aumento di capitale - ovverosia in occasione di una iniziativa finalizzata ad aumentare il patrimonio netto dell'emittente - non poteva non costituire per un componente del CdA dell'istituto (peraltro titolare di una holding di partecipazioni, quale lo ZI.) un evidente campanello di allarme in ordine alla operatività delle strutture della banca, trattandosi di una operazione che contraddiceva la finalità dell'aumento di capitale, rendendolo, di fatto, solo apparente. L'imputato, infatti, dopo essere stato richiesto di / effettuare operazioni correlate per 5 milioni a fine 2011 (con operazione conclusa a nome del fratello) e per 10 milioni a fine 2012, effettuava una nuova operazione per circa un milione in sede di aumento di capitale. Di qui l'inverosimiglianza di quanto sostenuto dal giudicabile allorché, nel commentare con i consiglieri To. e Fa. il buon esito della chiusura dell'aumento di capitale 2013, aveva espresso la propria soddisfazione per il successo dell'operazione, essendosi per contro in presenza - come non poteva sfuggirgli - di una situazione tutt'altro che favorevole; d) delle intercettazioni telefoniche e, segnatamente: della conversazione nr. 153 del 25.8.2015, nel corso della quale l'imputato aveva riferito a Lu.Bo. di essere stato finanziato, al pari di altri consiglieri, soggiungendo di non essere a conoscenza dei finanziamenti concessi ad altri "soci" anche se avrebbe potuto "immaginarlo"); della conversazione nr, 235 del 26.8.2015, intercorsa tra ZI. e Pa.Ba. di Confindustria, nella quale si riferiva che GI. aveva fatto, su indicazione del So., cose non corrette "in difesa della banca") nonché della conversazione nr. 543 del 31.8.2015 - di cui l'imputato, peraltro, in sede di esame, non aveva saputo fornire spiegazioni -in occasione della quale lo stesso ZI., parlando con il consigliere To., aveva affermato che era prassi che la banca sollecitasse i clienti ai quali concedeva credito ad impiegare parte del denaro per l'acquisto di azioni dell'istituto, secondo un modus operandi che, per quanto irregolare, era diffuso tra tutti gli istituti di credito; e) dell'affermato difetto di conoscenza, da parte del medesimo imputato, del trattamento contabile degli acquisti di azioni finanziate. Se, infatti, lo ZI. aveva sostenuto di ignorare che gli acquisti finanziati non potessero essere computati nel patrimonio di vigilanza - affermazione della quale il tribunale aveva preso atto senza effettuare, al riguardo, alcuna valutazione specifica - a deporre, sul piano logico, in senso contrario erano le qualità personali dell'appellato, gestore di una società immobiliare e di partecipazioni, attività necessariamente implicante la capacità di valutazione dei bilanci, tanto che era stato lo stesso ZI., nel corso del proprio esame, a definirsi un esperto in materia. Peraltro, costui era stato presidente di Confindustria di Vicenza ad aveva anche aspirato, per sua stessa ammissione, alla presidenza di B., ovverosia di un istituto che, al tempo, era tra le prime dieci banche italiane, con oltre 3 miliardi di patrimonio netto. In ogni caso, nel corso dell'interrogatorio 26.9.2017, acquisito a seguito delle contestazioni formulate in dibattimento ai sensi dell'art. 503 c.p.p., era stato il medesimo imputato a confermare di conoscere il divieto di computo, pur soggiungendo di non avere mai nutrito sospetti sulla regolarità della gestione in materia. Era bensì vero che, in sede di esame dibattimentale, lo ZI. aveva spiegato tali dichiarazioni sostenendo che intendeva riferirsi, quando aveva affermato di essere al corrente di tale divieto, all'epoca in cui le aveva rese e non già al momento dei fatti, allorquando, al contrario, era all'oscuro del divieto medesimo. Nondimeno, al di là delle considerazioni già spese in ordine al profilo, proprio dell'imputato, di soggetto altamente qualificato, era lo stesso tenore complessivo delle risposte fornite in occasione del citato interrogatorio a rendere evidente che il momento cui il dichiarante aveva inteso alludere era quello nel quale lo stesso era consigliere di amministrazione della banca; f) dell'episodio di Mi.Ga.. Trattasi della e-mail con la quale quest'ultimo, rappresentante della società Ar., titolare di ben due fidi, entrambi in scadenza, da circa 500.000 euro l'uno, aveva segnalato la pretesa dell'istituto di credito che detta società, onde ottenerne il rinnovo, acquistasse azioni per almeno 50.000 euro in relazione a ciascuna linea di credito; pretesa che lo stesso ZI., nell'inoltrare al coimputato GI. ed al Gi. tale missiva, aveva poi significativamente definito "un ricatto". Ebbene, l'imputato, non solo non si era confrontato con gli altri consiglieri in relazione a tale vicenda; non solo non l'aveva segnalata ai responsabili della funzione di controllo; ma, nell'interloquire con i predetti GI. e Gi., si era sostanzialmente limitato a chiedere che vi fosse un "occhio di riguardo" per l'amico Ga.; g) dell'operazione con U., ovverosia del finanziamento che lo ZI. (interessato ad effettuare una operazione di acquisto di strumenti finanziari per compensare minusvalenze per circa 200.000 euro) aveva richiesto ed ottenuto da B. a titolo di favore in quanto, come rammentato dal teste Vi., "aveva fatto molti favorì alla banca". Detto finanziamento, peraltro, era stato concesso con la "solita" causale generica e sulla base della sola "capacità patrimoniale" e, poiché in data 28.3.2014 era stata avanzata dagli ZI. una richiesta di storno in relazione all'operazione Ze., poi non processata, era concreto il sospetto che il finanziamento in esame, mai restituito a seguito del contenzioso intentato dalla banca nei confronti dell'imputato, fosse stato espressione di una remunerazione alternativa proprio allo storno delle competenze. Pertanto, non solo l'imputato aveva preso parte attiva ad alcune operazioni correlate ma il quadro probatorio deponeva nel senso della piena consapevolezza, in capo a costui, tanto dell'esistenza di una prassi diffusa in tal senso, quanto delle relative "implicazioni tecniche" per l'operatività dell'istituto. E, a tale ultimo riguardo, non erano affatto irrilevanti sia le dichiarazioni del teste Bo. (là dove costui aveva sostenuto di non avere riferito al CdA in ordine agli accertamenti effettuati sul caso Vi. proprio perché il CdA, ad avviso di detto teste, "era il principale indiziato", immaginando che alcuni componenti dell'organo in questione fossero non solo a conoscenza ma anche direttamente coinvolti nel fenomeno del finanziamento), sia il contenuto della conversazione telefonica nr. 528 del 9.9.2015, intercorsa tra il coimputato MA. ed il collega Cu. nel corso della quale il primo, a riprova della consapevolezza da parte del CdA in ordine alle correlate, aveva affermato;" ma come si fa a dire che il Consiglio non sapeva, capito Al.?", ricevendo dall'interlocutore la significativa risposta; "..dai su, l'ha fatta anche ZI. una mi hanno detto, dai su..."). Peraltro, l'imputato era ben a conoscenza delle condizioni di difficoltà incontrate dalla banca sia sul mercato secondario, sia su quello primario e comprendeva esattamente il significato e le finalità delle operazioni di finanziamento all'acquisto delle azioni e dei "portage" (come dimostrato dalla citata conversazione nr. 299, intercorsa con To., allorché aveva ammesso la "leggerezza" usata dal CdA nel finanziare i soci per l'acquisto di azioni). Il fatto poi, che costui, allorquando era stato a sua volta richiesto di effettuare operazioni correlate, avesse dichiarato che non intendeva "guadagnare nulla" (come risultante dal documento nr. 731), lungi dal poter essere interpretato quale intendimento riferibile ad un eventuale incremento del valore delle azioni (come pure sostenuto dall'imputato nel corso del suo esame) appariva, piuttosto, espressione del fatto che lo stesso ZI. non intendeva, diversamente da altri soggetti finanziati, trarre vantaggi dalla conclusione di operazioni correlate e, quindi, deponeva per la piena conoscenza, da parte del predetto, delle caratteristiche usualmente proprie di tali operazioni. In conclusione, l'imputato aveva avallato, anche tramite la realizzazione in prima persona di operazioni di tale natura, tanto sul mercato primario quanto su quello secondario, le prassi illecite di finanziamento, finendo per "rassicurare" i dipendenti della banca sulla esistenza di una "copertura" da parte dell'organo amministrativo; e, al contempo, aveva posto in essere le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza in quanto era stato tramite il CdA, del quale l'imputato medesimo era parte, che erano "passate" non solo le delibere di fido e di acquisto relative alle operazioni "baciate", ma anche l'approvazione dei documenti contabili e le segnalazioni effettuate nei confronti degli organi di vigilanza. Di qui la richiesta di riforma della sentenza impugnata con condanna dell'imputato alla pena di anni otto e mesi due di reclusione come da richieste rassegnate all'esito del giudizio di primo grado. 5 Gli appelli delle parti civili. Avverso la suddetta sentenza hanno interposto appello le parti civili Va.Gi., RO.El. e Va.De., Pa.La. e Pa.Gi., Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi., Bi.Ce., Cr.La. e Co.An." 5.1 Appello delle parti civili Va.Gi., RO.El. e Va.De. Va.Gi., RO.El. e Va.De., costituiti parti civili limitatamente all'imputazione rubricata sub Al), hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Nel merito, l'impugnazione riproduce, per incorporazione, l'appello della pubblica accusa nei confronti del predetto imputato (sicché, sul punto, non può che richiamarsi quanto esposto sub 4.1) e conclude chiedendo l'affermazione di penale responsabilità del PE. e la condanna dello stesso, in solido con ì coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni cagionati alle predette partici civili, nella misura: - di euro 124.000,00 per Va.Gi. An. (euro 37.200 a titolo di danno morale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1984 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale); - di euro 124.000,00 per RO.El. (euro 37.200 a titolo di danno morale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1984 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale); - e di euro 46.962,50 per Va.De. (euro 10.838,50 per danno non patrimoniale; la restante parte - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 578 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale), ovvero nell'importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine, dette parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel provvedimento di sequestro conservativo GUP Vicenza 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (nella misura di euro 62.000 ciascuno per Va.Gi. An. e RO.El. e ad euro 18.062,50 per Va.De.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.2 Appello delle parti civili Pa.La. e Pa.Gi. Pa.La. e Pa.Gi. (entrambi costituti parti civili in relazione all'imputazione rubricata sub Al e Pa.Gi. anche in ordine all'imputazione di cui al capo I, in quanto sottoscrittore dell'aumento di capitale 2014) hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Anche in tal caso, nel merito, l'appello riproduce, per incorporazione, l'impugnazione proposta dalla pubblica accusa nei confronti del predetto imputato. Ciò posto, gli appellanti hanno concluso chiedendo l'affermazione di penale responsabilità del PE. e la condanna dello stesso, in solido con i coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni patrimoniali cagionati alle predette parti civili, nella misura: - di euro 106.250,00 per Pa.La. (euro 62,50 moltiplicato per 1700 azioni possedute dalla parte); - e di euro 56.250,00 per Pa.Gi. (euro 62,50 moltiplicato per 900 azioni possedute dalla parte), ovvero nell'importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine, tali parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel provvedimento di sequestro conservativo del GUP Vicenza in data 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (euro 53,125 per Pa.La. e 28.125,00 per Pa.Gi.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del citato sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, nonché la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.3 Appello delle parti civili Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li. e Ca.Mi. Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li. e Ca.Mi., costituti parti civili limitatamente all'imputazione rubricata sub Al), hanno interposto appello avverso la pronunzia di assoluzione resa nei confronti di Pe.Ma.. Come nel caso degli appelli delle parti civili già esaminati, l'impugnazione riproduce, per incorporazione, quella proposta dalla pubblica accusa nei confronti del predetto imputato e conclude chiedendo l'affermazione di penale responsabilità dello stesso e la sua condanna, in solido con i coimputati e con Banca (...) in L.C.A., al risarcimento dei danni cagionati alle predette parti civili, nella misura: - quanto a Ad.Lu., di euro 67,843, 75 (euro 52,187,50 - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15,656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Ad.An., di euro 67,843,75 (euro 52.187,50-corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15.656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Ad.Ma., di euro 67,843,75 (euro 52.187,50 -corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 835 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 15.656,25 a titolo di danno morale); - quanto a Zo.Li., di euro 101.887,50 (euro 78.375,00 -corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 1254 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 23.512,00 a titolo di danno morale); - quanto a Ca.Mi. di euro 58.825,00 (euro 45.250,00 - corrispondente al valore di euro 62,50 moltiplicato per 724 azioni possedute dalla parte - a titolo di danno patrimoniale, nonché euro 13.575,00 a titolo di danno morale), ovvero nell'Importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. In subordine dette parti hanno sollecitato la condanna generica dell'imputato, con condanna al pagamento di una provvisionale, da determinarsi anche tenuto conto dell'importo riconosciuto nel citato provvedimento di sequestro conservativo GUP Vicenza 7.5.2018, pari al 50% dell'importo richiesto a titolo di danno patrimoniale (pari ad euro 26.093,00 per Ad.Lu., ad euro 26,093,00 per Ad.An., ad euro 26.093,75 per Ad.Ma., ad euro 39.1987,00 per Zo.Li. e ad euro 21.125,00 per Ca.Mi.). In ogni caso, gli appellanti hanno chiesto la conferma del già menzionato sequestro conservativo emesso dal GUP del tribunale di Vicenza in data 7.5.2018, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili, la dichiarazione di provvisoria esecutività delle condanne risarcitone e di quelle al pagamento delle spese e, infine, la subordinazione dell'eventuale sospensione condizionale della pena al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio o provvisoriamente assegnate sul relativo ammontare. 5.4 Appello delle parti civili Cr.La. e Co.An. Cr.La. e Co.An. hanno a loro volta impugnato la sentenza evidenziando come, nonostante si fossero costituiti parte civile in relazione non solo al reato di cui al capo Al), ma anche in ordine alle condotte delittuose stigmatizzate sub I) ed L), avendo sottoscritto gli aumenti di capitale 2013 e 2014 (la Cr. avendo acquistato nr. 103 azioni il 9.7.2013 ed il 25.6.2014, nonché, il 9.7.2013, obbligazioni a cinque anni successivamente convertite unilateralmente in azioni dall'istituto di credito; il Corrà avendo a sua volta acquistato nr, 74 azioni il 27.8,2013 ed il 29.8.2014, nonché, in data 24.7.2013, obbligazioni a cinque anni successivamente convertite unilateralmente in azioni dall'istituto di credito), il tribunale avesse accolto la domanda risarcitoria unicamente con riferimento al delitto di cui al citato capo Al). Di qui la richiesta di riconoscere valida e pienamente efficace la costituzione di parte civile con riferimento a tutti i reati di cui ai richiamati capi di imputazione e, conseguentemente, di condanna degli imputati al relativo risarcimento dei danni. 5.5 Appello della parte civile Bi.Ce. Il difensore delia parte civile Bi.Ce. ha proposto appello avverso la sentenza, nonché avverso l'ordinanza 28.11.2020 di rigetto della richiesta di assunzione della deposizione delta medesima parte offesa. Al riguardo, la difesa ha preliminarmente ricostruito la peculiare posizione del BI. evidenziando come il predetto, in data 14.6.2013, aderendo alla sollecitazione rivoltagli da funzionari apicali dell'istituto di credito, avesse ottenuto l'erogazione del finanziamento della somma di euro 500.000, importo interamente destinato all'acquisto di nr. 8000 azioni di B.. Quindi, in data 29.7.2014, al medesimo azionista era stata corrisposta la somma di euro 11.304,68 a titolo di rimborso degli interessi relativi all'anno precedente. Sopravvenuta la liquidazione coatta amministrativa della banca, poi, il BI., rappresentando che il finanziamento non era stato da lui richiesto, bensì era stato sollecitato dall'istituto, e precisando che detta erogazione era stata corredata dalla pattuizione circa la possibilità di restituzione, in qualsiasi momento, delle azioni sottoscritte, con conseguente annullamento de) finanziamento medesimo, aveva affermato di non essere tenuto alla restituzione dell'importo erogatogli, restituzione che, tuttavia, gli era stata intimata. Di qui l'esercizio dell'azione, nell'ambito del giudizio civile 13518/16 RG, radicato innanzi al Tribunale di Venezia - Sezione specializzata delle imprese, finalizzata alla declaratoria di nullità del negozio, ex art. 2358 c.c., azione che, successivamente, il BI. aveva trasferito, ai sensi dell'art. 75 co. 1 c.p.p., nel presente processo penale. Nondimeno, il tribunale di Vicenza aveva dichiarato l'improcedibilità dell'azione ex art. 83 T.U.B. senza affatto considerare la peculiare posizione del BI. medesimo, bensì parificandola a quella degli altri azionisti che rivendicavano il danno loro derivato dal deprezzamento delle azioni. In tal senso ricostruiti i fatti, l'appellante ha censurato la decisione impugnata, sul rilievo della perseguibilità dell'azione di nullità, in quanto azione non esperibile nell'ambito della procedura finalizzata all'accertamento del passivo (come peraltro ripetutamente precisato, proprio con riferimento alle "operazioni baciate", dalla giurisprudenza della sezione specializzata del Tribunale lagunare). Nel caso di specie, infatti, il BI., all'atto del trasferimento dell'azione nel processo penale, aveva espressamente domandato che venisse dichiarato nulla essere dovuto in adempimento del contratto di affidamento di euro 500.000,00 intervenuto con B. e relativo alia sottoscrizione di 8000,00 azioni della Banca stessa". Inoltre, una ulteriore ragione di nullità del negozio derivava, ex art. 1418 c.c., dalla illiceità della relativa causa. Per contro, il tribunale, ritenendo che l'azione fosse di tipo risarcitorio e non già demolitorio, aveva concluso nel senso della sua improcedibilità. Né poteva risultare di ostacolo all'accoglimento di detta domanda l'intervenuta procedura di liquidazione coatta amministrativa dell'istituto di credito, non essendosi per ciò solo in presenza di una soluzione di continuità incidente sul piano della soggettività della parte che aveva erogato il finanziamento. In ogni caso, la nullità del negozio e, quindi, della pretesa creditoria in capo a B., rendeva conseguentemente non riconoscibile il medesimo credito in capo a B. in liquidazione. Pertanto, la difesa ha chiesto, in via istruttoria, l'escussione del BI., ove ritenuta necessaria ai fini della prova della esclusiva provenienza da B. dell'invito ad accettare l'erogazione dell'affidamento; nel merito, ha concluso sollecitando la declaratoria di nullità del finanziamento di euro 500.000 e della coeva sottoscrizione di nr. 8000 azioni con conseguente dichiarazione che nulla era dovuto dal BI. in adempimento del suddetto contratto. Ha chiesto, infine, la liquidazione delle spese del giudizio civile trasferito nel processo penale e la condanna di B. al pagamento delle spese sostenute dalla medesima parte civile. 6 Il processo d'appello All'udienza 22.4.2022, ha avuto luogo la costituzione delle parti e la Corte, pronunziando su istanze del difensore del responsabile civile B. in liquidazione, ha pronunziato ordinanza di estromissione di detta parte. Le parti, poi, hanno depositato memorie come da verbale. Quindi, la Corte ha dato atto della predisposizione di relazione scritta, segnalando che il relativo deposito (tramite inserimento, a mezzo di apposito link, sul sito internet dell'ufficio) avrebbe potuto surrogare l'illustrazione orale e, acquisito l'accordo delle parti, è stato disposto in tal senso. Inoltre, in considerazione dell'elevatissimo numero delle parti civili e delle conseguenti implicazioni logistiche (anche in considerazione delle problematiche connesse alla pandemia da Covid 19) è stata prevista la possibilità che dette parti ed i rispettivi difensori, ovviamente senza alcuna deroga alle disposizioni di legge in materia di partecipazione alle udienze, potessero assistere (senza possibilità di interlocuzione diretta, quindi) alle udienze alle quali non avessero inteso presenziare direttamente fruendo del collegamento streaming, appositamente approntato dall'ufficio. Alla successiva udienza 16.5.2022, la Corte ha dato atto dell'avvenuto deposito della relazione scritta nei termini concordati. Quindi, le parti hanno illustrato le rispettive eccezioni (di inammissibilità delle impugnazioni; di nullità; ovvero di inutilizzabilità di singole prove) ed istanze di rinnovazione istruttoria" Tale attività è proseguita all'udienza 18.5.2022 e, all'esito, la Corte ha pronunziato ordinanza, cui si rinvia. La rinnovazione istruttoria, che si è tradotta nell'acquisizione di prove documentali ed orali, ha impegnato le udienze 30.5.2022, 1.6.2022, 8.6.2022, 13.6.2022, 15.6.2022, 17.6.2022, 20.6.2022, 24.6.2022, 5.7.2022, 8.7.2022 e 15.7.2022. La discussione, poi, ha avuto luogo alle udienze 19.9.2022, 20.9.2022, 22.9.2022, 23.9.2022, 28.9.2022, 30.9.2022 e 5.10.2022. Infine, all'udienza 10,10,2022, si sono svolte le repliche ed è stata pronunziata sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE Premessa metodologica La vicenda processuale, come s'è visto, si caratterizza per l'inusitata complessità dei fatti sub iudice, tanto per la natura estremamente specialistica delle tematiche economico-finanziarie di riferimento, quanto per le conseguenti implicazioni giuridiche, quanto, ancora, per la vastità del panorama probatorio raccolto all'esito di una lunga e laboriosa istruttoria dibattimentale. Ebbene, a tutte le tematiche rilevanti ai fini del decidere, il primo giudice ha offerto una risposta analitica, argomentata e, ad avviso di questa Corte, persuasiva, fatta eccezione, per quanto si dirà più oltre, con riferimento a talune specifiche questioni (segnatamente, in ordine alla affermazione circa la reiterazione delle contestazioni di aggiotaggio e, in parte, anche di ostacolo alla vigilanza, nonché in relazione alla confisca). Tenuto conto di ciò e considerata la diversa natura del giudizio di appello, chiamato a dare riposte alle questioni devolute con i motivi di gravame, è inevitabile il richiamo, per quegli aspetti della vicenda non oggetto di specifica censura, al provvedimento impugnato. Del resto, là dove ci si trovi in presenza di una sentenza di conferma del primo giudizio - ovverosia della c.d. "doppia conforme" - la struttura argomentativa dei provvedimenti di merito è destinata a saldarsi, in base alla omogeneità dei criteri di valutazione delle prove concretamente utilizzati (cfr. sul punto, Cass. Sez., V, n. 7437 del 15.10.2021, Ci. e altri, pag. 47; nonché Sez. II, n. 37295 del 19.6.2019, Sez. III, n. 44418 del 16.7.2013, Ar., Sez. III n. 13926 del 1.12.2011, Va.). Di qui la legittimità del rinvio alla trama argomentativa della decisione di primo grado, trama che, a ben vedere, costituisce la "cornice" all'interno della quale debbono collocarsi tutte le considerazioni svolte, nel solco delle specifiche doglianze argomentate negli atti di appello, nella presente sentenza. Tanto premesso, una ulteriore precisazione è d'obbligo. I motivi di impugnazione proposti dagli imputati affrontano, ripetutamente, questioni comuni (la competenza territoriale; i criteri di individuazione delle "operazioni baciate" e la "portata applicativa" dell'obbligo di deduzione delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito; la natura e la struttura dei reati oggetto di addebito; le sollevate eccezioni di violazione dei principi del ne bis in idem sostanziale e del nemo tenetur se detegere) e la soluzione di tali questioni - unitamente alla verifica dell'attendibilità e consistenza della chiamata di correo sopravvenuta in grado di appello - costituisce presupposto ineludibile anche con riferimento alla trattazione degli appelli proposti dal P.M.. Donde la decisione di far precedere alla trattazione dei singoli motivi di impugnazione l'analisi di questioni che, proprio in quanto di "interesse generale", ragioni di ordine espositivo e di semplificazione della struttura motivazionale rendono opportuno affrontare in un unico contesto, anche al fine di evitare superflue ripetizioni nel corso della presente trattazione. 7 La competenza Le difese degli imputati ZO., GI. e PI., nei termini di cui ai rispettivi atti di appello e motivi nuovi, hanno eccepito l'incompetenza del tribunale di Vicenza (quanto all'imputato GI., trattasi, peraltro, del cap. I dell'atto di appello, ossia di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione). L'eccezione è infondata. Al riguardo, va anzitutto evidenziato come la (parziale) diversità delle parti dei procedimenti attinenti, rispettivamente, alla cautela ed al merito (taluni degli odierni imputati non risultando indagati al momento della risoluzione del conflitto di competenza ad opera della Corte di Cassazione con sentenza Sez. I, n. 15537 del 7.12.2017, dep. il 6.4.2018) e la estraneità della prospettata competenza del tribunale di Roma rispetto alla cognizione devoluta alla Suprema Corte adita dal GIP del tribunale di Milano in occasione di tale conflitto impediscano di ravvisare nella decisione di cui alla citata sentenza della Suprema Corte la preclusione processuale prevista ex art. 25 c.p.p.. Ciò posto, sussisteva la competenza dell'autorità giudiziaria di Vicenza. Al riguardo, va in primo luogo ribadito come il reato più grave, ai fini della competenza, sia stato correttamente individuato dal primo giudice nella fattispecie di ostacolo di cui al capo B1), in considerazione della contestata aggravante ex art. 2638, co. 3, c.c.. Le articolate argomentazioni svolte nella sentenza gravata in ordine alla inapplicabilità alle fattispecie di falso in prospetto, contestate sub I) ed L), dell'aumento di pena previsto ex art. 39, c. 1, L. 262/05 sono, invero, del tutto convincenti e, in questa sede, non possono che essere integralmente richiamate, deponendo in tal senso tanto il tenore della disposizione ex art. 39, co. 3 L. cit. quanto l'intentio legis siccome ricavabile dai lavori preparatori. Né possono condividersi le considerazioni difensive in ordine alla avvenuta consumazione del suddetto reato di ostacolo in Roma, presso la sede della Banca d'Italia, al momento della ricezione della comunicazione ICAAP da parte della predetta autorità di vigilanza. Per vero, in disparte ogni considerazione di merito in ordine alla attitudine decettiva di tale comunicazione, è decisivo osservare: - per un verso, in diritto, che la valutazione che il giudice di primo grado è chiamato a svolgere in ordine alla propria competenza deve esplicarsi nell'alveo della contestazione siccome formulata dal pubblico ministero, effettivo dominus dell'azione penale (cfr. Cass. Sez. I, n. 36336 del 23.7.2015, dep. 8.9.2015, confl. comp. in proc. Novarese), al di là dell'ipotesi della presenza, nel corpo dell'imputazione medesima, di errori macroscopici, ictu oculi percepibili come tali (Cass. Sez. I, n. 31335 del 23.3,2018, dep. 10.7.2018, confl. comp, in proc. Gi., Cass. Sez. I, n. 11047 del 24.2.2010, confl. comp. in proc, Gu.). Il sistema processuale, infatti, non può tollerare indebite incursioni del giudicante in uno spazio costituzionalmente riservato alla pubblica accusa ex art. 112 Cost., beninteso fatta eccezione per l'ipotesi - che, d'altronde, non viene in rilievo nel caso di specie - di addebito tanto impreciso da pregiudicarne la esatta comprensione (in quanto, in tal caso, sussiste il potere/dovere del giudice, in sede di udienza preliminare, di sollecitare la puntualizzazione dell'imputazione prima di disporre, in caso di mancata adesione del P.M. a tale sollecitazione, la restituzione degli atti allo stesso P.M.); - e, per altro verso, in fatto, che il predetto capo di imputazione sub B1) non contemplava, neppure indirettamente, la contestazione della condotta di invio della comunicazione ICAAP alla Banca d'Italia. Ed invero, non solo non v'è riferimento alcuno, in tale capo di imputazione, alla citata comunicazione ICAAP, ma l'articolata descrizione dei fatti ivi contestati è interamente relativa a condotte poste in essere in sede di vigilanza ispettiva, presso la sede dell'istituto vigilato. Del resto, l'indicazione del focus e del tempus commissi delicti di riferimento ("In Vicenza, dal 28 maggio ai 12 ottobre 2012"), ancorché non decisiva, costituisce chiaro riscontro dell'intenzione della pubblica accusa di escludere l'invio della comunicazione citata dal perimetro della imputazione. In buona sostanza, quello che i difensori vorrebbero ricompreso nel perimetro del capo B1), facendone discendere il radicamento della competenza in capo all'autorità giudiziaria romana, è un fatto storico distinto da quelli oggetto di addebito in tale imputazione, fatto che ben avrebbe potuto integrare una autonoma ipotesi delittuosa connessa ex art. 12 co. 1, lett. b, seconda ipotesi, c.p.p. e, pertanto, giustificare una integrazione dell'imputazione in sede di udienza preliminare ex art. 423, co. 1, c.p.p. (senza, peraltro, che possa configurarsi, in capo al giudicante, la facoltà di invitare la parte pubblica ad operare in tal senso - cfr. Cass. Sez. II, n. 44952 del 9.10.2014), ma la contestazione del quale, in ogni caso, potrebbe pur sempre essere oggetto di separato addebito. Di qui il rigetto della eccezione di incompetenza territoriale. E' solo per mera completezza, quindi, che si precisa come a non diverse conclusioni dovrebbe comunque giungersi anche ove si volesse considerare la citata comunicazione ICAAP - diversamente da quanto, lo si ripete, ritiene questa Corte - indirettamente "ricompresa" nel perimetro dell'imputazione. E, questo, sia qualora si qualificasse l'invio di tale comunicazione come modalità esecutiva dell'ipotesi di reato dì "mera condotta" e di "pericolo concreto", caratterizzato dal "dolo specifico" di ostacolo, di cui alla fattispecie ex art. 2638, co. 1, c.c.; sia nell'ipotesi in cui il medesimo invio fosse invece considerato alla stregua di una condotta integrante la diversa fattispecie, ex art. 2638, co. 2 c.c., di "delitto di evento" (evento costituito dall'intralcio al potere di vigilanza). A ben vedere, infatti, il luogo di consumazione del reato andrebbe individuato: - nel primo caso, in quello di invio della comunicazione medesima e, quindi, nella vicenda per cui è processo, sempre in Vicenza. Questo, in quanto sarebbe di certo errato confondere il momento di esecuzione della attività decettiva con quello della sua successiva efficacia, essendosi in presenza di un reato istantaneo che, conseguentemente, si consuma nel momento in cui è posta in essere la relativa condotta (ed inerendo l'accertamento del pericolo unicamente al profilo della necessaria offensività dì tale condotta e non già a quello della consumazione del reato, pena un indebito "avanzamento" della relativa soglia, senza che possa a tal fine valorizzarsi l'eventuale natura recettizia della comunicazione in questione, incidente unicamente in punto di efficacia dell'azione tipica); - e, nel secondo caso, in quello nel quale l'attività di controllo, pregiudicata dalla comunicazione ingannevole, avrebbe dovuto svolgersi (e dove, di lì a poco, ha effettivamente avuto luogo), ovverosia, nella concretezza del caso sub iudice, presso la sede dell'istituto di credito vigilato (e, pertanto, ancora una volta, nel capoluogo berico). 8 Il reato di aggiotaggio Il tribunale di Vicenza, nel capitolo VI della sentenza impugnata, ha dettagliatamente illustrato i criteri ermeneutici seguiti nella ricostruzione dell'istituto in questione, dando compiutamente conto degli approdi cui è pervenuto sul punto, anche attraverso pertinenti richiami alla giurisprudenza di legittimità di riferimento. In estrema sintesi, il primo giudice, dopo avere individuato, alla stregua della disposizione normativa in materia, le condotte integranti gli estremi del reato di aggiotaggio finanziario (finalizzato "a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati, ovvero per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato") e bancario (finalizzato "ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o gruppi bancari"), rispettivamente, nella diffusione di "notizie false" (aggiotaggio informativo) ovvero nel compimento di "operazioni simulate", ovvero ancora nell'utilizzo di altri artifici" (aggiotaggio manipolativo o operativo), ha precisato come, nella vicenda in esame, le "operazioni simulate" e gli "altri artifici" in altro non consistessero che nel sistematico ricorso al capitale finanziato, nella conseguente omessa iscrizione a bilancio della riserva indisponibile ex art. 2358 c.c. e, infine, nella mancata comunicazione dell'esistenza di detta prassi all'esperto incaricato della stima del valore del titolo. Sulle ragioni tanto della natura simulata o, comunque, artificiosa, del ricorso al capitale finanziato, quanto della conseguente omessa iscrizione a bilancio della relativa riserva, quanto, ancora, della mancata comunicazione di detta prassi in sede di stima del valore dell'azione, non resta che richiamare, in assenza dì specifiche doglianze difensive, le puntuali considerazioni svolte, in prime cure, alle pagine 397 - 406 della sentenza impugnata. Analogamente, con riferimento alla diffusione delle notizie false in sede di pubblicazione dei bilanci d'esercizio (segnatamente, al 31.12.2012, 31.12.2013 e 31.12.2014), di comunicati stampa (in data 8.2.2012, 19.3.2013, 27.4.2013, 9-8.2013, 27.8.2013, 18.3.2014, 8.7.2014, 29.8.2014, 26-10.2014, 10.2.2015, 3.3.2015), di comunicazioni ai soci (lettere del 30.3.2012, del 3,9.2012, del 19.3.2013, del 10.9.2013, del 2.4.2014, del 9.9.2014, del 4.12.2014, del 19.3.2015) e, infine, delle comunicazioni al pubblico ex art. 114 TUF, il tribunale ha evidenziato in modo rigoroso i profili di falsità e l'attitudine decettiva dei dati e delle informazioni ivi riportate. Sicché, anche al riguardo, è d'uopo il rinvio alla sentenza impugnata. Così come meritevole di richiamo, infine, è il percorso argomentativo (cfr. sentenza impugnata, pagg. 419-423) seguito dal tribunale nella dimostrazione dell'idoneità delle predette condotte operative ed informative ad incidere, per un verso, sul prezzo delle azioni B. e, per altro verso, sull'affidamento riposto nella stabilità patrimoniale di B. e dell'omonimo gruppo bancario. Diversamente, più articolate considerazioni si impongono in relazione alle conclusioni cui il primo giudice è giunto in ordine al concorso di reati, trattandosi di profilo sul quale si sono appuntate specifiche ed argomentate doglianze difensive (cfr. appello Gi., pagg. 80 e ss.; appello Pi., pagg. 145-146 nonché pagg. 12-18 dei motivi nuovi d'appello; appello Zo., pagg. 347 e ss, là dove, peraltro, il tema è stato valutato sotto lo specifico angolo visuale del divieto di "bis in idem sostanziale", come meglio precisato più oltre). Ebbene, il tribunale ha ricostruito la disposizione ex art. 2637 c.c., come una "norma penale mista cumulativa", ovverosia come una norma che contempla diverse condotte non già equipollenti ed alternative, bensì espressione di modalità esecutive di altrettanti reati, ciascuno dotato di autonomia e, pertanto, tutti sottoposti, guanto al reciproco rapporto, alla disciplina in materia di concorso di reati. Questo, con l'ulteriore precisazione che, se il rapporto tra aggiotaggio manipolativo ed informativo è tale da rendere unicamente ravvisabile il concorso materiale, ne deriva che, in caso di pluralità di operazioni omogenee (tanto nell'ipotesi di più condotte di aggiotaggio operativo, quanto in quella di aggiotaggio informativo), per comprendere se si sia in presenza o meno di una pluralità di reati si impone una analisi più approfondita. Inoltre, il giudice di prime cure ha qualificato il reato di aggiotaggio come un reato istantaneo, che si consuma al momento della diffusione delle notizie false, ovvero della realizzazione delle operazioni simulate, ovvero ancora delle altre condotte artificiose (e, al riguardo, il richiamo operato dal Tribunale è a Cass. Sez. V n. 40393 del 20.6.2012; si vedano, inoltre: Cass. Sez. V, n. 49362 del 7.12.2012, Consorte, Cass. Sez. V, n. 28932 del 4.5.2011, Ta., Cass. Sez. 5, n. 4324, 8.11,2012, dep. 29.1.2013, dall'Aglio e altro), con conseguente pericolo di destabilizzazione del sistema bancario/sensibile alterazione del prezzo dello strumento finanziario, tenuto conto del fatto che, trattandosi di reato di pericolo concreto, a venire in rilievo è il momento nel quale la "condotta acquisisce connotati di concreta lesività" (e, sul punto, la sentenza impugnata ha richiamato Cass. Sez. V, n. 4324 dell'8.11.2012). Peraltro, è appena il caso di precisare che la natura di reato di mera condotta e di pericolo concreto della fattispecie in esame - ovverosia di reato per l'integrazione del quale è sufficiente che siano posti in essere comportamenti diretti a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale di una banca - è stata anche ribadita dalla successiva giurisprudenza di legittimità, sicché, in ordine a tali specifici lineamenti dell'istituto, si è in presenza di approdi oramai consolidati (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 4619 del 27.9,2013, P.M. e P.O. in proc. Compton e altri, Sez., V, n. 54300 del 14,9,2017, Ba.). In definitiva, il tribunale di Vicenza ha risolto il problema della unità/pluralità di reati ravvisando un unico reato là dove, anche in presenza di una sequela di atti omogenei, sussista una manovra caratterizzata, per utilizzare le parole del primo giudice, "dall'unitarietà dell'attitudine manipolativa". Diversamente, secondo la medesima prospettiva esegetica, la ripetizione di condotte omogenee, poste in essere in tempi diversi, avrebbe imposto di ritenere sussistenti una pluralità di operazioni manipolative. Trattasi di una interpretazione della fattispecie di riferimento, nel complesso, rispettosa dei lineamenti di tale ipotesi delittuosa e, pertanto, in larga parte meritevole di condivisione, sebbene si impongano, come si dirà di seguito, talune, significative precisazioni. Al riguardo, va anzitutto osservato che la definizione del reato di aggiotaggio come di un reato istantaneo non riscuote, nella giurisprudenza di legittimità, consensi unanimi, essendosi sostenuta, per contro, in talune pronunzie, la natura "eventualmente permanente" della fattispecie in esame (trattasi di Cassazione Sez. II, n. 12989 del 28.11.2012, dep. 21.3.2012 Consorte ed altri; si veda, inoltre, la precedente Cass. Sez. 15.4.2011, dep. 8.7.2011, n. 26829, confl. comp. in proc. Consorte). Conseguentemente, secondo tale approccio ermeneutico, pur nell'ipotesi di una pluralità di condotte tenute in tempi (e luoghi) differenti, si sarebbe in ogni caso in presenza di un unico reato. Sennonché, in disparte ogni considerazione in ordine al fatto che, nelle vicende processuali cui ineriscono le citate pronunzie, la tematica era stata analizzata sotto lo specifico angolo visuale della competenza territoriale, va precisato come il reato di aggiotaggio ben difficilmente possa essere ricompreso nel novero tanto dei reati permanenti (ovverosia di quei reati caratterizzati dal divieto della creazione di una situazione antigiuridica la cessazione della quale rientra nel dominio del soggetto agente), quanto di quelli eventualmente permanenti (qualora - come pare corretto ritenere - tra tali delitti dovessero ricomprendersi reati caratterizzati dalla possibilità di realizzazione attraverso plurime modalità di condotta, parte a carattere istantaneo, parte a carattere permanente, nell'accezione dianzi precisata). E' bensì vero che all'origine di tale impostazione v'è anche una insopprimibile esigenza di razionalità (alla quale, peraltro, non sono estranee palpabili ragioni di equità) e, segnatamente, quella di scongiurare la incontrollata proliferazione di contestazioni là dove - come, peraltro, normalmente accade nella prassi - il reato di aggiotaggio si presenti caratterizzato da una ripetizione di condotte analoghe, generalmente poste in essere in contesti temporali limitati. Tuttavia, è agevole osservare come, per scongiurare i paventati esiti, obiettivamente irrazionali, non siano affatto indispensabili particolari sforzi di ortopedia interpretativa e, in particolare, non occorra necessariamente ricondurre il reato in questione nell'alveo dei reati permanenti o eventualmente permanenti (come, peraltro, sostenuto anche da un risalente orientamento dottrinale, consolidatosi nella vigenza della pregressa formulazione della fattispecie) e neppure in quello dei reati eventualmente abituali. A ben vedere, infatti, al di là delle differenti opzioni teoriche, occorre considerare che, nel caso di specie, il Tribunale di Vicenza, ben lungi dall'avallare un'impostazione incline ad individuare una distinta fattispecie delittuosa in ciascuna delle condotte oggetto di contestazione, con conseguente aggravamento del rischio di indebita proliferazione dei reati, ha individuato correttivi destinati ad operare in concreto, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda sottoposta al suo vaglio; correttivi che consentono di ricondurre ad unità condotte omogenee in quanto ricollegate al medesimo "evento" di pericolo determinato dalle condotte oggetto di contestazione. In particolare, è stato sufficiente valorizzare le concrete, marcate peculiarità dei fatti di riferimento, in quanto palesemente caratterizzati dall'unitarietà dell'attitudine manipolativa" delle relative condotte, del tutto analoghe e poste in essere in uno specifico arco temporale (annuale) dotato, come si dirà di seguito, di univoca significazione. Più nel dettaglio, il giudice di prime cure, adeguatamente valorizzando specifici e decisivi connotati concreti, ha considerato manifestazioni di un unico reato di aggiotaggio le condotte manipolative poste in essere all'interno Ih dell'arco temporale annuale. Questo, proprio in considerazione, per un verso del fatto che il prezzo dell'azione B. (essendosi in presenza di strumento finanziario non quotato) era determinato annualmente dall'assemblea dell'istituto, sulla base dei parametri patrimoniali ed economici evidenziati nel corso dell'anno, "in base ad una valutazione di un esperto che operava proprio sulla base delle informazioni fornite dall'istituto medesimo"; e, per altro verso, della circostanza che le condotte manipolative operative erano "pianificate sulla base dell'andamento del mercato stesso e della situazione patrimoniale della banca, in ragione delle cadenze prestabilite per le valutazioni - patrimoniali e di stima - in tal senso determinanti, che avevano periodicità annuale" (cfr. sentenza impugnata, pag, 425), Di qui la conclusione - che va condivisa - circa la ravvisabilità di tanti reati di aggiotaggio quanti sono gli anni di riferimento (dal 2012 al 2015). Più articolate considerazioni, per contro, si impongono con riferimento al profilo dei rapporti tra i reati di aggiotaggio "finanziario" e "bancario", tanto in ordine alle ipotesi di "manipolazione operativa", quanto a quelle di "manipolazione informativa". Ad orientare il tribunale nel senso della ravvisabilità del concorso di reati sono state: - sotto il primo profilo (quello inerente alla coesistenza delle ipotesi delittuose di aggiotaggio finanziario e bancario), la diversa, astratta natura degli "eventi di pericolo" considerati dalla disposizione di riferimento (costituiti, segnatamente, dalla sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari e dalla significativa incidenza sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità di una banca); - e, sotto il secondo profilo (quello del concorso tra "manipolazione operativa" e "manipolazione informativa"), la strutturale distinzione delle modalità esecutive di riferimento. E' stato per tali ragioni, quindi, che il giudice di prime cure, nell'ambito della tradizionale distinzione tra "norme miste cumulative" (o "disposizioni a più norme") e "norme miste alternative" (o "norme a più fattispecie"), è pervenuto a collocare l'ipotesi ex art. 2637 c.c. nell'alveo della prima categoria, traendone le conseguenti conclusioni richiamate in premessa. Trattasi, peraltro, di impostazione che, sebbene avallata dalla pronunzia di legittimità evocata dallo stesso tribunale (Cass. 28932/11, imp. Ta.), non è affatto condivisa dalla prevalente dottrina, incline, al contrario, ad escludere il concorso formale eterogeneo tra diverse modalità di realizzazione della medesima fattispecie ed a ravvisare, in siffatta evenienza, un unico reato caratterizzato da alternative modalità di esecuzione. Questo, in ragione della struttura unitaria della fattispecie di riferimento (un argomento in tal senso è stato tratto, in dottrina, anche dai contenuti della Relazione Ministeriale al D.Lgs. 61/2002, con particolare riguardo ai suoi par. 1. e 17.) e, in ogni caso, facendo concreta applicazione di una pluralità di parametri usualmente impiegati per risolvere i problemi posti dalla presenza di "leggi penali miste". Ebbene, la soluzione della questione sub iudice, ad avviso di questa Corte, non implica affatto, necessariamente, l'astratta adesione all'una ovvero all'altra delle opzioni teoriche di riferimento: piuttosto, passa attraverso l'adeguato apprezzamento critico della peculiare concretezza di tale vicenda. A ben vedere, ove si considerino debitamente le specificità del caso, in effetti caratterizzato: - per un verso, dalla particolare natura (un istituto di credito, per l'appunto) dell'ente di riferimento; - per altro verso, dall'inestricabile combinazione di condotte di "manipolazione operativa" ed "informativa" poste in essere dagli imputati; - e, per altro verso ancora, dalla circostanza che tali condotte manipolative hanno avuto, quale riferimento, il titolo dell'istituto di credito, non pare affatto possibile ravvisare tanti reati di aggiotaggio bancario e finanziario, operativo ed informativo, quanti sono gli anni di riferimento. In effetti, ponendosi - come doveroso - sul piano della concretezza degli accadimenti, è giocoforza concludere, anzitutto, che "l'evento di pericolo" dell'aggiotaggio bancario non risulta, di fatto, separabile dall'"evento di pericolo" costituito dall'alterazione del prezzo delle azioni B., trattandosi, in buona sostanza, di null'altro che della medesima ricaduta perniciosa dell'articolato complesso delle attività delittuose osservata da due distinte prospettive. Ravvisare, nel caso di specie, una pluralità di reati costituirebbe, quindi, l'esito di una interpretazione formalistica, contraria alla concreta realtà degli accadimenti ed in stridente contrasto con le esigenze sottese al divieto di bis in idem sostanziale. A ben diversi approdi, infatti, potrebbe giungersi - ad ulteriore riprova della decisività di un approccio incline a valorizzare le specificità del caso - solo qualora le condotte di aggiotaggio informativo avessero inciso sull'affidabilità riposta dal pubblico nell'istituto bancario senza necessariamente presupporre la manipolazione operativa del prezzo del titolo (come, invece, pacificamente avvenuto nel caso in esame). Peraltro (e, sul punto, l'obiezione articolata dalla difesa GI. al paragrafo XIII-4 coglie nel segno), opinando nel solco delle considerazioni svolte dal tribunale si finirebbe per ravvisare, sempre e comunque, in ogni caso di aggiotaggio societario incidente su uno strumento finanziario non quotato, sia il reato di aggiotaggio bancario sia il reato di aggiotaggio finanziario. In definitiva, quella che è stata in dottrina qualificata come "irriducibilità degli eventi pericolosi" (sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, da un lato; affidamento riposto nella stabilità patrimoniale della banca, dall'altro) - pure, sul piano astratto, evidentemente indiscutibile - costituisce elemento destinato a perdere ogni rilievo nell'ambito di una valutazione necessariamente calata dal piano della astratta speculazione a quello della reale dinamica degli eventi sottoposti al giudizio. Ne deriva che, nella peculiare vicenda al vaglio di questa Corte, possono essere fondatamente individuati, per ciascun anno di riferimento, gli estremi di un solo delitto di aggiotaggio e, segnatamente, di aggiotaggio bancario, ove si considerino: - da un lato, la circostanza che le modalità con le quali è possibile incidere sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca sono certamente molteplici e, quindi, non sono certo necessariamente limitate alla alterazione del prezzo dell'azione (come del resto riscontrato anche nel caso di specie, alla stregua dalla variegata natura delle condotte oggetto di contestazione, inerenti, segnatamente, anche alla diffusione di notizie false relative "alla reale entità del patrimonio", alla "solidità patrimoniale della banca", alla "crescita della compagine sociale" e, infine, al "buon esito delle operazioni di aumento di capitale"); - e, dall'altro lato, evidenti ragioni di "specialità" (essendosi in presenza, nel caso in esame, di un ente societario avente la peculiare natura di istituto di credito). Del resto, pare obiettivamente arduo obliterare una circostanza tutt'altro che trascurabile ai fini di una ricostruzione del fenomeno delittuoso che sia, al contempo, coerente con la effettiva dinamica dei fatti ed immune da estrema astrattezza e da conseguenti eccessi rigoristici. Trattasi del fatto che, nell'ambito dell'arco temporale (annuale) di riferimento, il pericolo tanto di alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, quanto del condizionamento dell'affidamento del pubblico nella stabilità patrimoniale della banca, costituivano, con ogni evidenza, un unitario "fattore di coagulazione" delle condotte antigiuridiche, comune sia alle manipolazioni operative che a quelle informative, queste ultime viste come coessenziali momenti dell'azione manipolativa, in quanto necessariamente determinate dalle prime e ineluttabilmente volte ad occultarle (onde non vanificarle). Aggiungasi che, com'è stato acutamente osservato, sovente, nella prassi - e la vicenda sub iudice, sul punto, né è la plastica conferma - le "tecniche manipolatone" non si presentano in forma esclusivamente informativa o manipolativa, bensì necessariamente assumono connotati ibridi, espressione di una combinazione, difficilmente scindibile, di condotte riconducibili alle due diverse categorie, dando così luogo ad un unico, ancorché complesso, effetto manipolativo. In ogni caso, ciò che rileva è il comune denominatore (costituito dalla oggettiva idoneità decettiva della condotta, tale cioè da influenzare il processo decisionale dell'investitore/risparmiatore) che induce ad assimilare le modalità informative a quelle operative. In definitiva, il carattere che unifica le due condotte è quello della medesima struttura fraudolenta. In altri e decisivi termini, nella peculiare fisionomia del caso in esame, caratterizzata tanto dalla riferibilità al medesimo nucleo di soggetti apicali sia delle condotte di aggiotaggio manipolativo che informativo, quanto dalla idoneità delle relative condotte a realizzare (od occultare) la medesima situazione di pericolo, una lettura dei fatti più aderente al loro concreto verificarsi induce a ricondurre le condotte di manipolazione operativa nell'orbita di quelle di manipolazione informativa, essendo dette forme eterogenee di manipolazione parti integranti di un'unica operatività delittuosa. Che, poi, nel contesto di tale, unitaria operatività abbia in concreto assunto più spiccato rilievo la "dimensione informativa" del reato in esame discende - sempre coerentemente ponendosi nell'ottica della effettiva materialità degli accadimenti - dalla semplice considerazione che, nell'ambito della inestricabile connessione tra condotte informative e condotte di manipolazione operativa di cui s'è detto, queste ultime costituivano "l'antefatto" delle prime, le quali, a loro volta, erano funzionali a rendere "proficue" le seconde, il tutto, come s'è detto, in attuazione di una inscindibile unitarietà del complessivo contegno manipolativo (si vedano, sul punto, le acute osservazioni contenute nella citata sentenza Cassazione Sez. II, n. 12989 del 28.11.2012, dep. 21.3.2012 Consorte ed altri). Ebbene, in un siffatto, peculiare contesto, il punto "di caduta" delle complessive azioni delittuose è stata la determinazione del prezzo dello strumento finanziario da parte dell'esperto, indotto in errore sulla base degli esiti dell'attività manipolativa (illeciti finanziamenti; operazioni correlate) e del conseguente flusso di informazioni false indirizzategli dalla "Divisione Bilancio". Inoltre, le informazioni decettive sono poi necessariamente confluite in quel "documento di sintesi" costituito dal bilancio, elemento essenziale per la comprensione dello "stato di salute" dell'istituto. E' solo in questi termini, quindi, che ha senso riconoscere effettivo rilievo, nella concretezza del caso di specie, alla "prevalenza" della condotta informativa su quella manipolativa. Donde la conclusione che, difformemente da quanto sostenuto dal primo giudice, non possono ravvisarsi, nel periodo di riferimento (2012-2015), 16 reati (4 reati di aggiotaggio finanziario operativo; 4 reati di aggiotaggio finanziario informativo; 4 reati di aggiotaggio bancario operativo; 4 reati di aggiotaggio bancario informativo), bensì soltanto 4 reati di aggiotaggio (bancario) singolarmente individuabili secondo una cadenza annuale, tale essendo la periodicità riferibile tanto alla determinazione del prezzo dell'azione quanto alla rappresentazione all'esterno dei "fondamentali" della banca che confluivano nel bilancio oggetto dì pubblicazione. Ovviamente, la scelta operata da questa Corte nel senso della riduzione ad unità di alcune delle fattispecie delittuose contestate (individuazione di sole quattro fattispecie di reato) implica immediate ricadute sul trattamento sanzionatorio, nel senso che ne determina necessariamente un ridimensionamento (astratta punibilità di sole quattro fattispecie in luogo delle sedici fattispecie individuate dal giudice di primo grado). Resta, in ogni caso, evidente che già in base all'impostazione adottata dal tribunale (che, come s'è detto, ha considerato manifestazioni di un unico reato le condotte di aggiotaggio di carattere omogeneo poste in essere all'interno dell'arco temporale annuale) è inevitabile calcolare in maniera diversificata la prescrizione delle diverse ipotesi di aggiotaggio, individuando un autonomo termine della relativa decorrenza con riferimento a ciascuno degli anni presi in considerazione. A tale impostazione consegue, in ogni caso, la dichiarazione di estinzione per prescrizione dei reati di aggiotaggio perfezionati negli anni fino al 2014, con conseguente eliminazione delle pene previste per le corrispondenti ipotesi di reato. 9 Il reato di ostacolo alla vigilanza In ordine alle imputazioni di ostacolo alla vigilanza in danno di Banca d'Italia, va ricordato come il tribunale, con riferimento agli addebiti, relativi ad ipotesi di vigilanza informativa, di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1, a fronte della contestazione tanto della fattispecie di cui all'art - 2638, co. 1 c.c., quanto dì quella di cui al secondo comma della disposizione in esame (e, questo, ad onta del richiamo, in rubrica, unicamente alla disposizione di cui all'art. 2638 co. 2, c.p.), abbia ritenuto sussistente, in presenza di condotte di omessa comunicazione con mezzi fraudolenti tali da creare ostacoli rilevanti alla autorità di vigilanza, unicamente il reato di cui all'art. 2638, co. 2, c.c.. Questo, in applicazione dei principi di sussidiarietà e consunzione, posto che, secondo l'opinamento del primo giudice, l'evento di ostacolo previsto ex art. 2638 co,2, c.c. avrebbe dovuto ritenersi tale da esaurire l'intero disvalore delle condotte. Diversamente, in relazione al reato di cui al capo B1, inerente alle condotte di ostacolo alla vigilanza ispettiva poste in essere in occasione dell'ispezione del 2012, a fronte della realizzazione di due condotte distinte (segnatamente: occultamento del capitale finanziato e delle lettere di impegno realizzato con mezzi fraudolenti; omessa comunicazione agir ispettori dell'anomala operatività collegata alle operazioni di capitale finanziato) il tribunale di Vicenza ha concluso nel senso della sussistenza di entrambi i reati previsti, rispettivamente, dal primo e dal secondo comma dell'art. 2638 c.c.. Infine, anche in ordine alla contestazione di cui al capo M1, il giudice di prime cure ha ravvisato una duplicità di reati, in ragione della diversità delle condotte di sviamento delle attività di controllo riferibili, rispettivamente, alla Banca d'Italia (in sede di attività ispettiva posta in essere nel corso del c.d. "Asset Quality Rewiev") ed alla Bc. (nell'ambito del c.d. "Comprehensive Assessment") Ebbene, l'esito cui il tribunale è pervenuto, con riferimento ai reati di cui ai predetti capi C1, D1, E1, F1, G1 ed H1, nell'escludere il concorso tra le due fattispecie, facendo applicazione del criterio dì consunzione, è certamente persuasivo. Al medesimo esito e per le stesse ragioni deve, tuttavia, pervenirsi anche in relazione all'imputazione stigmatizzata sub B1, essendosi parimenti in presenza, nella concretezza del caso di specie, di un solo reato. Il tribunale, in senso contrario, ha valorizzato la congiunta contestazione di condotte tanto di "occultamento con mezzi fraudolenti" delle circostanze, univocamente riferibili al fenomeno del capitale finanziato, richiamate in detta imputazione, quanto di "omessa comunicazione" di siffatte circostanze. Nondimeno, deve osservarsi, sul punto, come: - da un lato, entrambe le condotte debbano ritenersi caratterizzate dalla medesima finalità fraudolenta (essendo state poste in essere dagli stessi soggetti e nel medesimo contesto - ispezione della Banca d'Italia - con occultamento agli ispettori dell'indebito massiccio ricorso ad operazioni correlate), con la conseguenza che la stessa condotta di "omessa comunicazione" deve ritenersi solo un segmento omissivo di una più articolata condotta attiva; - dall'altro lato che, pure in relazione a tale ipotesi di reato, l'effettiva concretizzazione dell'ostacolo alla vigilanza realizzava, contestualmente alla condotta, anche l'intento perseguito, e, di conseguenza, in presenza di una fattispecie descritta e sanzionata secondo un duplice schema in termini di equivalenza (è infatti previsto lo stesso trattamento sanzionatorio per le due ipotesi), il disvalore della condotta risulta esaurito dal conseguimento dell'evento avuto di mira. Le condotte contestate al predetto capo B1, pertanto, devono ritenersi espressione di un unico reato ex art. 2638, co, 2 c.c., proprio in attuazione dei principi di assorbimento già valorizzati dal primo giudice in relazione alle ulteriori contestazioni di ostacolo alla vigilanza. E' solo per completezza, quindi, che va precisato come, anche a volere diversamente opinare sul punto - e, quindi, a voler ravvisare, con riferimento alle contestazioni elevate al predetto capo B1, nel solco della decisione del primo giudice, la coesistenza di entrambe le ipotesi di reato (2638 co. 1 e 2 c.c.) - la circostanza che le condotte di occultamento siano evidentemente collocabili, sotto il profilo temporale, all'inizio dell'attività ispettiva (ovverosia nel momento nel quale l'obbligo di cooperazione con la vigilanza avrebbe imposto l'ostensione di tutti i dati rilevanti ai fini della regolarità del controllo e, quindi, alla data del 28.5.2012, coincidente con l'inizio dell'ispezione di Banca d'Italia presso la sede dell'istituto vigilato) comporterebbe la presa d'atto dell'intervenuta prescrizione di tali condotte, con l'effetto che residuerebbe unicamente il reato di cui all'art. 2638, co.2 c.c.. Analoghe considerazioni, infine, si impongono con riferimento al reato di cui al capo M1, tenuto conto della medesimezza del percorso ispettivo/valutativo (ad onta del coinvolgimento di due autorità di vigilanza distinte ma "cooperanti", ovverosia Banca d'Italia e Bc.) nel cui ambito sono state poste in essere le condotte decettive stigmatizzate in imputazione. Si è evidentemente, in presenza, anche in tal caso, di un medesimo accadimento materiale costituito, nello specifico, da una unitaria operazione di sviamento delle attività di controllo integrata tanto dall'occultamento di dati rilevanti (quelli complessivamente inerenti al capitale finanziato), quanto dalla comunicazione di notizie non corrispondenti a verità (quelle contenute, rispettivamente, nella comunicazione 20.6.2014, inerente al "Preliminary Capital Plan", nelle informazioni relative agli "stress test" e, infine, nel "Capital Plan"), operazione che ha avuto l'effetto, per un verso, di scongiurare approfondimenti conoscitivi e, per altro verso, di indurre le autorità di vigilanza a concludere per l'idoneità delle misure di rafforzamento patrimoniale adottate dall'istituto di credito per superare le carenze emerse all'esito del c.d. Comprehensive Assessment. Pertanto - e concludendo sul punto - ritiene questa Corte che siano ravvisabili, con riferimento ai reati contestati ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1 ed M1, in danno di Banca d'Italia (e, quanto al reato di cui al capo M1, di Bc.), unicamente le ipotesi di reato di cui all'art. 2638, co. 2, c.c., e così pure per il capo N1, avente ad oggetto condotte di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB. Ciò posto, va ulteriormente precisato che il tribunale di Vicenza, dopo avere richiamato l'orientamento giurisprudenziale incline ad individuare, nelle condotte in esame, un reato eventualmente permanente, ha escluso la ravvisabilità di una unitaria attività di ostacolo alla vigilanza protrattasi per un triennio "e, quindi, di un unico reato), ritenendo integrate, piuttosto, reiterate condotte delittuose poste in essere nel corso di distinte attività di vigilanza, ciascuna compiutamente esauritasi e, quindi, concludendo nel senso di una pluralità di reati. In effetti, ad avviso del giudice di prime cure, in presenza, come nella specie, di condotte di ostacolo protrattesi a lungo, sarebbe l'effettivo esaurimento o meno dell'attività di vigilanza pregiudicata dalle suddette condotte a costituire, al riguardo, l'elemento di discrimine. Trattasi di impostazione che va condivisa. A ben vedere, infatti, qualora siano ravvisabili ostacoli frapposti ad attività di vigilanza distinte (in quanto finalizzate ad eludere specifici interventi di controllo ovvero a conseguire obiettivi mirati, ad esempio il rilascio di autorizzazioni aventi un determinato contenuto) e tutte esauritesi, non pare revocabile in dubbio l'avvenuta consumazione di una pluralità di reati (il momento di consumazione di ciascuno dei quali dovendosi conseguentemente individuare proprio all'atto dell'esaurimento delle singole attività dì vigilanza oggetto di sviamento). Guardando al fenomeno in esame da tale prospettiva, quindi, il richiamo all'opinamento giurisprudenziale in ordine alla natura "eventualmente permanente" della fattispecie di ostacolo delineata dall'art. 2638, co. 2 c.c. assume, ad avviso di questa Corte, pertinente e persuasivo rilievo, in quanto, lungi dall'apparire l'esito di un mero esercizio accademico, se non addirittura di una sterile disputa classificatoria, fornisce le coordinate per scongiurare irrazionali approdi rigoristici, al contempo senza sconfinare in inammissibili "semplificazioni sostanzialistiche". Ebbene, nel caso di specie si è in presenza proprio di una situazione siffatta, ove si consideri che, nel solco degli addebiti di riferimento, le condotte delittuose: - nel caso dell'attività ispettiva del 2012 di cui al capo B1, hanno condizionato tale ispezione, falsandone l'esito; - nel caso di cui al capo C1, hanno consentito l'adozione di una "decisione SREP" più favorevole; - nel caso di cui al capo D1, hanno avuto incidenza sulla lettera di intervento del 24.6.2013 ed hanno impedito la contestuale adozione, da parte della Banca d'Italia, di ulteriori misure ed interventi di vigilanza; - nel caso di cui ai capi E1, G1, H1, hanno impedito l'adozione, da parte della medesima autorità di vigilanza, di "contromisure" coerenti con gli effettivi requisiti patrimoniali annuali; - nel caso di cui al capo F1, hanno consentito di ottenere il provvedimento autorizzativo necessario per l'aumento di capitale 2014; - nel caso di cui al capo M1, infine, hanno falsato l'esito del Comprehensive Assessment. Al riguardo si osserva che proprio la stessa giurisprudenza di legittimità espressasi per la natura di reato eventualmente permanente del delitto di ostacolo alla vigilanza (cfr., oltre alla già nota Cass. Pen. Sez. 5, n. 6884 del 12/11/2015 dep. 22/02/2016, Gi. e altri, anche la più recente Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.) nel contempo ha opportunamente precisato come la fattispecie di cui al comma 2 dell'art. 2638 c.c., diversamente da quella di cui al comma 1, non sia un reato di condotta bensì di evento e, più in particolare, sia "una fattispecie causalmente orientata al risultato lesivo rappresentato dall'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza", essendo peraltro sufficiente, per la configurabilità del reato in esame, ""la verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute". Ebbene, l'evidente e ben marcata differenza di fisionomia (poco sopra illustrata) che intercorre tra gli eventi di ciascuna delle singole fattispecie di ostacolo alla vigilanza oggetto dei vari capi di imputazione fa sì che non possa in alcun modo accedersi alla tesi difensiva della reductio ad unitatem. Né può opinarsi in senso contrario sul rilievo delle circostanze (pure espressamente valorizzate dal difensore di ZO. nell'atto di appello, sub 6, alle pagg. 346 e ss., 350-351) costituite, segnatamente: - dall'unicità del fenomeno taciuto (ovverosia l'esistenza dell'acquisto di azioni della banca finanziato dallo stesso istituto di credito); elemento, questo, valorizzato anche dalla difesa dell'imputato PI., cfr. pag, 145 del suo atto di appello; - ovvero dalla titolarità degli interessi tesi in capo al medesimo soggetto; - ovvero ancora dall'identità della "spinta motivazionale" ravvisabile all'origine di tali condotte. Sotto il primo profilo, infatti, non può non rilevarsi che trattasi di elemento di ben scarso rilievo ai fini della valutazione in ordine al tema della unicità/pluralità di reato. Sotto il secondo profilo, poi, è decisivo osservare che le informazioni ed i dati occultati, nonostante fossero tutti attinenti al medesimo fenomeno del 1 capitale finanziato, oltre ad incidere, per quanto detto, su attività di vigilanza connotate da finalità autonome (si pensi a quanto appena precisato in relazione alla ispezione del 2012, di cui al capo B1; alla decisione SREP di cui al capo C1; all'aumento di capitale 2014 di cui al capo F1, ovvero al Comprehensive Assessment di cui al capo M1), sono stati anche obiettivamente (e necessariamente) differenti, essendo riferibili - e trattasi di considerazione, sul punto, dirimente - ad una situazione finanziaria e patrimoniale dell'istituto di credito in costante evoluzione. Sotto il terzo profilo, infine, si è evidentemente in presenza di circostanza al più valorizzatale ai fini dell'unificazione (peraltro già operata nella sentenza impugnata) delle condotte contestate sotto il vincolo della continuazione ma "ontologicamente" inidonea a consentire di concludere per la sussistenza dì un unico reato. Di qui la conclusione circa la sussistenza della pluralità dei fatti-reato di ostacolo alla vigilanza già ravvisati dal tribunale (ferme restando le precisazioni già svolte in ordine ai capi B1 ed M1, riferibili, entrambi, a condotte integranti gli estremi di un unico episodio delittuoso). Da ultimo, quanto all'ostacolo alla vigilanza contestato al solo GI. al capo N1 e perpetrato in danno di CONSOB non può che farsi rinvio a quanto precisato, sul punto, dal Tribunale, non ponendosi problemi in ordine alla unicità/pluralità di reati. 10. Il reato di falso in prospetto Con riferimento alle due ipotesi di reato di falso in prospetto oggetto di addebito, rispettivamente, ai capi I) ed L) della rubrica, la sentenza gravata, nel capitolo XI, ha operato una puntuale e convincente ricostruzione al riguardo e gli atti di impugnazione non ne sollecitano specificamente il riesame. Dì qui il richiamo a quanto evidenziato nel discorso giustificativo del primo giudice, con l'ulteriore precisazione che trattasi di reati ambedue medio tempore estinti per prescrizione. 11. I reati contestati: considerazioni generali conclusive. Alla luce delle considerazioni svolte, quindi, ricorrono tutte le fattispecie di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto oggetto di addebito, nei termini in precedenza evidenziati. Sul punto, infatti, non persuadono le censure alla affermata coesistenza di detti reati motivate facendo leva sui principi, rispettivamente, del "ne bis in idem" sostanziale (se non nei limiti indirettamente valorizzati nella unificazione delle condotte di aggiotaggio poste in essere nel medesimo arco temporale annuale, secondo quanto in precedenza evidenziato) e del "nemo tenetur se detegere" (è il caso, segnatamente, delle argomentazioni critiche esposte dalla difesa Zo., rispettivamente, ai paragrafi da 6,5.1 a 6,5.1.5 e 6.5.2. dell'atto di appello, pagg.352-363; dalla difesa PI., sotto il secondo profilo, al paragrafo 10 detratto di appello, pag, 146, e, sotto entrambi i profili, alle pagg. 12-18 dei motivi nuovi d'appello; dalla difesa PE. alle pagg. 159-179 della memoria prodotta nel corso del giudizio di primo grado e, quindi, nuovamente depositata in sede di appello, nonché, sotto il solo primo profilo e unicamente con riferimento al reato di aggiotaggio, dalla difesa GI. al cap. XIII dell'atto di appello, pagg. 80-83). Quanto al primo tra i principi evocati (ossia quello del divieto di "bis in idem" sostanziale, che, lo si ricorda, concerne le ipotesi di qualificazione normativa multipla di un medesimo fatto, e, mediante il criterio regolativo della specialità di cui agli artt. 15 e 84 c.p., fonda la disciplina del concorso apparente di norme, vietando che uno stesso fatto sia accollato giuridicamente due volte alla stessa persona), deve anzitutto osservarsi che i reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto presentano una strutturale differenza sia delle condotte, sia dei beni giuridici tutelati, sia dei soggetti passivi di riferimento. Ad accomunare tali reati, nella concretezza della presente vicenda processuale, invero, v'è solo una medesima, originaria situazione di fatto (ovverosia il dissennato ricorso al capitale finanziato e la conseguente necessità, per un verso, di amplificarne progressivamente la portata, al fine di fronteggiare una situazione sempre più incontrollabile e, per altro verso, di impedirne l'emersione), nulla di più. Ebbene, l'equivoco di fondo consiste, da parte delle difese che invocano in ispecie il "ne bis in idem" sostanziale, proprio nella nozione di "condotta" storico-naturalistica da esse adottata, fatta coincidere tout court con l'occultamento del capitale finanziato. A tal proposito non vi è ragione alcuna di discostarsi dal granitico, a dir poco, insegnamento giurisprudenziale di legittimità (costante a far tempo dalla capostipite Cass. Pen. Sez. U., n. 34655 del 28/06/2005, P.G. in proc. Do. e altro, e ulteriormente consolidatosi all'indomani dell'autorevolissimo avallo offerto da Corte Cost. n. 200/2016) secondo cui, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'individuazione dell"'idem factum", se da un lato richiede (in conformità anche alla giurisprudenza sovranazionale della Corte EDU: cfr. per tutte la nota sentenza della Grande Camera del 10 febbraio 2009, Zo. c. Russia, chiamata ad interpretare l'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione) che si abbia riguardo non già alla fattispecie normativa astratta bensì al fatto storico-naturalistico, dall'altro lato esige però che quest'ultimo sia inteso in senso complessivo, ossia in tutti i suoi elementi essenziali riconducibli alla triade costituita dalla condotta dell'imputato, dall'evento naturalistico e dal relativo nesso causale, e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. In tal senso cfr., fra le moltissime, Cass. Pen. Sez. 5, n. 1363 del 25/10/2021 dep. 14/01/2022, Ab.; Cass. Pen. Sez. 6, n. 42933 del 21/10/2021, Ma.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 30034 del 16/03/2021, Ca.; Cass. Pen. Sez. 4, n. 10152 del 02/03/2021, D'A.; Cass. Pen., Sez. 2, n. 52606 dei 31/10/2018, Bi.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 50496 del 19/06/2018, Bo.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, Pi.. Nell'occuparsi del bis in idem processuale, con la sopra citata sentenza n. 200 del 21 luglio 2016, la Corte costituzionale (che ha dichiarato illegittimo l'art. 649 c.p.p. nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussista un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale) ha ridefinito il principio del suddetto ne bis in idem processuale recependo, sul piano ermeneutico, l'opzione della Corte EDU, in ciò affermando il criterio dell'idem factum, e non dell'idem legale, ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto di nuovo giudizio. Un decisivo contributo alla rimodulazione del principio del divieto del bis in idem proviene ovviamente dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che pure, nel corso degli ultimi anni, ha fornito diverse precisazioni di principio. Con riferimento alla nozione rilevante di idem factum va evidenziato che la Corte EDU, dopo avere adottato nel tempo varie differenti interpretazioni, è infine giunta (con la citata sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, caso Se. contro Russia) a un approdo definitivo e organico. Nell'esaminare i trattati e gli strumenti internazionali che sanciscono il divieto del "bis in idem" la Corte EDU ha constatato (paragrafo 79) che non tutti usano gli stessi termini, e ha così affermato che la distinzione tra r termini "stessi atti" o "stessi fatti", da un lato, e "stesso reato", dall'altro, è stata ritenuta sia dalla CGUE che dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani un elemento importante a favore dell'adozione di un approccio basato strettamente sull'identità degli atti materiali (idem factum) e sul rifiuto della mera qualificazione giuridica (idem legale) di tali atti quale criterio di verifica della violazione, giudicata come irrilevante. La Corte EDU prende spunto da questa constatazione e, ribadendo che la Convenzione EDU deve essere interpretata ed applicata in modo da rendere pratici ed effettivi, e non teorici o illusori, i diritti in essa riconosciuti, afferma (paragrafo 80) che l'uso del termine "offence/infraction" nell'art. 4 del Protocollo n. 7 non giustifica un approccio interpretativo di tipo restrittivo; il ricorso alla mera qualificazione giuridica del medesimo fatto (idem legale) rischia di indebolire il divieto di bis in idem, piuttosto che renderlo pratico ed effettivo, perché non impedisce che per la medesima condotta una persona possa essere processata e/o condannata due volte. Di conseguenza - secondo la Corte EDU - l'art. 4 del Protocollo n. 7 deve essere interpretato nel senso che il reato è il medesimo se i fatti che lo integrano sono identici oppure sono sostanzialmente gli stessi (paragrafo 82), dovendosi intendere per fatto "l'insieme di circostanze di fatto concrete che coinvolgono io stesso imputato e che sono inestricabilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata al fine di ottenere una condanna o avviare un procedimento penale" (paragrafo 84), Così consolidatasi l'interpretazione circa la necessità di verificare la violazione dell'art. 4 Prot. 7 Convenzione EDU sull'idem factum (e non già sull'idem legale), nonostante la formulazione linguistica della norma convenzionale sembrasse attribuire rilevanza alla sola qualificazione giuridica, la giurisprudenza successiva della Corte di Strasburgo si è articolata in una serie di pronunce (fra cui, ad esempio, Ma. contro Croazia, Sez. I, 25/6/2009) che, partendo dalla nozione di idem factum, hanno verificato volta per volt sulla base di un approccio casistico (connaturato alla stessa struttura della giurisdizione europea convenzionale), l'identità formale o sostanziale dei fatti posti alla base degli addebiti mossi, assumendo quali parametri l'insieme delle circostanze fattuali concrete relative allo stesso autore e indissolubilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, incluso l'evento. Tale approccio casistico (il quale, pur partendo dalla nozione di idem factum, non ha fondato un orientamento della Corte di Strasburgo che restringesse l'identità alla sola condotta) è stato ribadito anche recentemente, come ad esempio nel caso Ga. c. Croazia (Corte EDU, Sezione 1 del 31 agosto 2021). Ciò posto quanto agli approdi della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sulla nozione rilevante di idem factum, va evidenziato che a sua volta la Corte Costituzionale, nella citata sentenza n. 200 del 2016, affermando il criterio dell'idem factum ai fini della valutazione della medesimezza del fatto storico oggetto dì nuovo giudizio, ha chiarito che l'affrancamento dall'inquadramento giuridico del fatto (ossia dall'idem legale) non implica l'affrancamento dai criteri normativi di individuazione del fatto. Il criterio dell'idem factum - afferma la Consulta - non può essere inteso nell'accezione ristretta alla sola condotta (azione od omissione), in quanto la stessa giurisprudenza della Corte EDU non è consolidata in tal senso, anche in virtù dell'approccio casistico (appena visto) che la connota, e in quanto la scelta sul perimetro dell'idem factum "è di carattere normativo", perché "ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum" (Corte Cost. n. 200 del 2016, cit., paragrafo 4). In particolare Corte Cost. n. 200/2016 ha così argomentato l'erroneità della tesi secondo cui l'idem factum dovrebbe essere individuato in ragione soltanto dell'azione o dell'omissione, trascurando evento e nesso di causalità: "Il fatto storico - naturalistico rileva, ai fini del divieto di bis in idem, secondo l'accezione che gii conferisce l'ordinamento, perché l'approccio epistemologico fallisce nel descriverne un contorno identitario dal contenuto necessario. Fatto, in questa prospettiva, è accadi mento materiale, certamente affrancato dal giogo dell'inquadramento giuridico, ma pur sempre frutto di un'addizione di elementi la cui selezione è condotta secondo criteri normativi. Non vi è, in altri termini, alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all'azione o all'omissione e non comprenda, invece, anche l'oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione. l'evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell'agente. E' chiaro che la scelta tra le possibili soluzioni qui riassunte è di carattere normativo, perché ognuna di esse è compatibile con la concezione dell'idem factum. Questo non significa che le implicazioni giuridiche delle fattispecie poste a raffronto comportino il riemergere dell'idem legale. Esse, infatti non possono avere alcun rilievo ai fini della decisione sulla medesimezza del fatto storico. Ad avere carattere giuridico è la sola indicazione dei segmenti dell'accadimento naturalistico che l'interprete è tenuto a prendere in considerazione per valutare fa medesimezza del fatto. Nell'ambito della CEDU, una volta chiarita la rilevanza dell'idem factum, è perciò essenziale rivolgersi alla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, per comprendere se esso si restringa alla condotta dell'agente, ovvero abbracci l'oggetto fisico, o anche l'evento naturalistico" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit., paragrafo 4). Proprio confrontandosi con la giurisprudenza della Corte EDU la Corte Costituzionale ha escluso che l'idem factum sia stato delimitato, dai giudici di Strasburgo, con riferimento esclusivo alla condotta: "Né la sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zo. contro Russia, né le successive pronunce della Corte EDU recano l'affermazione che il fatto va assunto, ai fini del divieto di bis in idem, con esclusivo riferimento all'azione o all'omissione dell'imputato. A tal fine, infatti, non possono venire in conto le decisioni vertenti sulla comparazione di reati di sola condotta, ove è ovvio che l'indagine giudiziale ha avuto per oggetto quest'ultima soltanto (ad esempio,, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia)". In particolare, prosegue la Consulta, "non solo non vi è modo di ritenere che il fatto, quanto all'art. 4 del Protocollo n. 7 sia da circoscrivere alla sola condotta dell'agente, ma vi sono indizi per includere nel giudizio l'oggetto fisico di quest'ultima, mentre non si può escludere che vi rientri anche l'evento, purché recepito con rigore nella sola dimensione materiale" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit. paragrafo 5). Il concetto viene più volte ribadito da tale pronuncia della Corte Costituzionale, ove in un altro passo si precisa, con ancor maggiore chiarezza, che "allo stato la Convenzione impone agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest'ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell'agente" (Corte Cost., n. 200 del 2016, cit., paragrafo 6). Sulla nozione di idem factum, a sua volta, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è, come detto, ormai da tempo consolidata - a fortiori dopo l'avallo offerto da Corte Cost. n. 200/2016 - nell'affermare che, ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi sulla base della triade condotta nesso causale-evento, non essendo sufficiente la generica identità della sola condotta. Dunque, non potendo restringere la nozione di idem factum alla sola condotta, e dovendo considerare il fatto concreto nella sua integrità, comprensivo anche dell'evento e del nesso causale, è evidente che l'identità non sussiste quando, ad esempio, vi sia una marcata differenza dell'evento nell'uno e nell'altro reato di evento oppure quando si sia in presenza, contemporaneamente, di reati di evento e di reati di condotta. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte in tema dì ne bis in idem, insomma, nessuna "indebita triplicazione di fattispecie" a fronte di un"'unica condotta fattuale" contestata (così si legge nell'appello ZO., sub paragrafo 6.5, pag. 351; di "indebita triplicazione di fattispecie" in presenza di un "unico nucleo fattuale", poi, si parla anche nella memoria PE.; pag. 164) è dato, nella specie, ravvisare tra i reati di aggiotaggio - come sopra ridotti peraltro di numero, da sedici a quattro, uno per ogni singola annualità - sub capo A1 (l'aggiotaggio è reato non già di evento bensì di pericolo concreto), quelli di ostacolo alla vigilanza (l'ostacolo ex art. 2638 comma 2 c.c., è invece reato di evento; in ispecie, peraltro, gli eventi di ciascuno dei reati sub capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, H1, M1, N1 si differenziano radicalmente - come già detto supra - gli uni dagli altri) e quelli di falso in prospetto sub capi I e L (ciascuno dei quali, necessariamente, ha in concreto implicato la redazione e diffusione all'esterno di un ben distinto e specifico documento - per l'appunto il prospetto - destinato agli aspiranti partecipanti a due ben distinte e specifiche offerte al pubblico di prodotti finanziari, rispettivamente riguardanti i due distinti aumenti di capitale 2013 e 2014) contestati agli imputati. Da ultimo, con riferimento al principio del "nemo teneturse detegere", il tribunale ha escluso che potesse essere ravvisata l'esimente in esame, invocata dalle difese sul rilievo della necessità di non autoincriminazione in relazione alle pregresse condotte di aggiotaggio manipolativo ed informativo. E, al riguardo, il primo giudice ha argomentato le proprie conclusioni in ragione, rispettivamente: - della natura eccezionale della deroga alla regola generale di cui all'art. 61 n. 2 c.p.; - dell'inammissibile "effetto paradossale" che deriverebbe dall'adesione alla prospettazione difensiva (in quanto, opinando in tal guisa, si finirebbe per assicurare un trattamento di maggior favore a colui che avesse già commesso un reato rispetto a quello riservato all'autore solo dell'ultimo reato); - e, infine, delle conseguenze pregiudizievoli che ne deriverebbero sotto il profilo della pratica impossibilità di emersione di notitiae criminis per i reati cc.dd. "senza vittima". Ebbene, le conclusioni cui è pervenuto il giudice di prime cure nell'escludere che possa trovare spazio, nella vicenda sub iudice, l'esimente in questione, meritano adesione. Orientano in tal senso le seguenti ragioni. In primo luogo, nel solco della consolidata, persuasiva giurisprudenza dì legittimità formatasi al riguardo, deve osservarsi - e trattasi, per vero, di considerazione di per sé decisiva -, come l'operatività del "diritto al silenzio" (da ricondursi nell'alveo delineato dall'art. 51 c.p., in quanto espressione del diritto a non autoincriminarsi), proprio in ragione della finalità assegnata all'istituto in esame di costituire adeguato presidio di un "equo processo", presupponga, necessariamente, un processo già in itinere e non possa, pertanto, trovare spazio in fasi ad esso antecedenti, stante la ratio dell'istituto in esame, consistente nella necessità di "protezione dell'imputato da coercizioni da parte dell'autorità". D'altro canto, neppure può fondatamente pervenirsi a differenti esiti interpretativi facendo leva - come, pure, espressamente sostenuto dalla difesa ZO. (paragrafo 6.5.2 dell'atto di appello, pagg. 360-363) - sulla recente evoluzione dei lineamenti dell'istituto in esame per effetto dell'elaborazione della giurisprudenza sovranazionale e costituzionale in materia. Il riferimento d'obbligo è alla sentenza della Corte GUE - Grande Sezione 2.2.2021 (peraltro originata dal rinvio pregiudiziale operato dalla Corte Costituzionale con l'ordinanza 117/19). A ben vedere, infatti, anche in detta prospettiva il "diritto al silenzio" (inteso come diritto a non rendere dichiarazioni di natura confessoria) implica pur sempre che la condotta che si vorrebbe scriminata sia stata posta in essere nel corso di un procedimento dal quale possano scaturire sanzioni, sebbene non necessariamente di natura penale (nel caso che ha originato la suddetta pronunzia, si trattava, com'è noto, di un procedimento CONSOB per insider trading). In altri termini, anche a seguito dell'ampliamento degli spazi di operatività riconosciuti all'istituto in esame dalla giurisprudenza sovranazionale, i confini del "right to remain silent" (rettamente da intendersi non soltanto, stricto sensu, come protezione dell'accusato rispetto all'impiego di strumenti coercitivi da parte dell'autorità finalizzati ad ottenere mezzi di prova, ma anche, più in generale, come facoltà dì astenersi dal deporre), costituisce pur sempre espressione dell'"equo processo" e, quindi, necessariamente, non può che assumere rilievo solo in ottica processuale/procedimentale. Del resto, anche la conseguente sentenza della Corte Costituzionale 84/21 (ampi stralci della quale sono, ad esempio, riportati dalla difesa PI. alle pagg. 17-18 dei suoi motivi nuovi d'appello), nel dichiarare la illegittimità costituzionale dell'art. 187 quinquiesdecies TUF "nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla Banca d'Italia o alla CONSOB risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato", là dove presuppone la previa formulazione di domande e richieste specifiche da parte delle predette autorità di vigilanza, ha conseguentemente circoscritto proprio ad un ambito procedimentale, sia pure lato sensu inteso, finalizzato all'accertamento di specifiche violazioni ed alla conseguente irrogazione di sanzioni, l'operatività del principio in esame. Ebbene, in nessun caso gli episodi di ostacolo oggetto dì addebito nel presente giudizio si collocano nel contesto di un procedimento amministrativo finalizzato alla eventuale irrogazione di sanzioni nei confronti di soggetto determinato. Questo è certamente vero "e, in effetti, è anche di immediata percezione - per i fatti di cui ai capi C1, D1, E1, F1, G1, H1 (in quanto riferibili ad interlocuzioni periodiche con Banca d'Italia e, segnatamente, alle segnalazioni periodiche poste in essere negli anni 2012, 2013, 2014, 2015 ovvero alle informazioni inerenti agli aumenti di capitale) ed N1 (inerenti all'interlocuzione con CONSOB relativa all'aumento di capitale 2014). Ma ciò è altrettanto vero anche in relazione ai fatti stigmatizzati ai capi B1 ed M1, posto che, in tali casi, l'attività di vigilanza oggetto di sviamento, nel cui ambito le condotte delittuose di riferimento sono state perpetrate, era costituita da ispezioni finalizzate a verificare la regolarità della gestione aziendale, non già da procedimenti destinati all'accertamento di violazioni amministrative ed alla irrogazione di eventuali sanzioni nei confronti di specifici soggetti. In secondo luogo, va richiamato il principio - ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e recentemente confermato proprio dalla Corte GUE e dalla Corte costituzionale nelle sentenze testé citate - secondo il quale il "diritto al silenzio" non può, in ogni caso, pregiudicare prevalenti interessi pubblici. In particolare, nella sentenza 2.2.2021, la Corte GUE ha escluso che tale diritto possa spingersi al punto di compromettere del tutto le funzioni dell'autorità di controllo. La Corte Costituzionale, dal canto suo, nella pronunzia 84/21, ha conseguentemente precisato come il diritto al silenzio non possa certo giustificare comportamenti ostruzionistici rispetto all'attività di vigilanza, ovvero manovre dilatorie, ovvero ancora l'omessa consegna di dati, documenti e registrazioni preesistenti alla richiesta dell'autorità. Infine - e con specifico riferimento proprio alla fattispecie di ostacolo alla vigilanza che viene in rilievo nel presente giudizio - il giudice della nomofilachia, in una recentissima sentenza (trattasi di Cass. Sez. V, n. 3555 del 7.9.2021, dep. 1.2.2022, Co.), consapevolmente ponendosi nel solco di precedenti pronunzie in materia e dopo avere espressamente ripercorso gli approdi delle citate sentenze della CGUE e della Corte Costituzionale, ha sottolineato come il profilo di falsità che connota la figura delittuosa ex art. 2638, co. 2, c.c. costituisca un "quid pluris" rispetto al dovere di collaborazione con l'autorità cui è conformato l'illecito amministrativo in relazione al quale era intervenuta la citata declaratoria di incostituzionalità; pertanto, all'esito di una valutazione comparativa che ha evidenziato la prevalenza dell'interesse alla tutela del bene giuridico di riferimento rispetto a quello dell'imputato all'impunità, ne ha tratto l'inequivoca conclusione che tale conclusione comparativa non è contraddetta dalla richiamata pronuncia di incostituzionalità, proprio in ragione della "pregante connotazione lesiva che caratterizza i fatti penalmente rilevanti in forza dei secondo comma dell'art. 2638 c.c.". Alla stregua delle complessive argomentazioni sin qui svolte, le censure mosse, sul punto, alla sentenza impugnata risultano destituite di fondamento. 12. I criteri di individuazione delle operazioni di capitale finanziato e la portata applicativa dell'obbligo di deduzione dal patrimonio di vigilanza dei relativi valori. S'è già detto che il tribunale è pervenuto alla quantificazione del fenomeno del capitale finanziato all'esito della congiunta valutazione di una pluralità di evidenze probatorie di varia natura (esiti di consulenza tecnica; deposizioni testimoniali; prove documentali, ecc.) e che, nel tracciare detto perimetro, ha assunto rilievo centrale la consulenza tecnica svolta dai consulenti della procura di Vicenza, dott.ssa Ca. e prof. Ta., trattandosi di consulenza che: - da un lato, ha analizzato scrupolosamente l'intera documentazione disponibile (segnatamente: sono state esaminate tutte le delibere di affidamento al fine di rilevare l'importo finanziato, la dichiarata estinzione delle somme, la durata del prestito e la distanza temporale tra finanziamento ed acquisto; inoltre, sono state oggetto di vaglio le complessive movimentazioni sia del portafoglio titoli del cliente, sia dei conti correnti interessati - talvolta risultati accesi proprio all'atto del primo finanziamento - al fine di valutare se all'acquisto dei titoli avessero concorso in tutto o in parte fondi del cliente; la verifica, infine, ha riguardato anche l'estratto conto dei titoli per riscontrare la permanenza/delle azioni/obbligazioni convertibili B. nel dossier titoli del cliente, l'esistenza di lettere di impegno e di storni/verifiche, nonché lo stato dell'indebitamento segnalato in Centrale Rischi per acclarare l'andamento della situazione debitoria; complessivamente, sono state esaminate tutte le posizioni dei 965 clienti oggetto di segnalazione, con conseguente analisi dei circa 53.500 file di riferimento); - e, dall'altro, si è ispirata ad un approccio prudenziale (in particolare, onde scongiurare il rischio di duplicazioni nel caso di finanziamenti indiretti). Inoltre, come precisato dal primo giudice, i molteplici criteri sintomatici di "correlazione" utilizzati dai predetti consulenti per individuare le operazioni "baciate" sono strati tutti basati su evidenze oggettive e sono stati posti a fondamento, nel solco tracciato dar puntuali quesiti formulati dall'inquirente, di una ricostruzione "dinamica" (di trimestre in trimestre) del fenomeno analizzato. Infine, sulla scorta dell'esito della quantificazione del fenomeno in esame, calcolato nella misura di "complessivi Euro 1,031,6 mln (per un numero totale di azioni acquistate tramite finanziamenti B. di 15.426.391), di cui Euro 963 mln riferiti ad acquisti di azioni B. ed Euro 68 mln riferiti a sottoscrizione di prestito obbligazionario convertibile" (cfr. pagg. 354-355 sentenza gravata), la medesima consulenza è giunta a determinare tanto la consistenza del patrimonio di vigilanza dell'istituto di credito, quanto il livello dei coefficienti patrimoniali prudenziali alla data del 30.6.2012 e, successivamente, con cadenza trimestrale, sino al 31,3.2015, pervenendo a conclusioni che, anche in tal caso, sono state condivise dal primo giudice. Pertanto, non può che richiamarsi quanto già dal tribunale esposto al riguardo (segnatamente, nel capitolo V della sentenza impugnata, alle pagg. 347-386). Nondimeno, come parimenti evidenziato in precedenza, in sede di esposizione dei singoli motivi di impugnazione, le difese di taluni imputati (segnatamente ZO. ed anche GI.; per quest'ultimo imputato trattasi peraltro di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione) hanno contestato sotto plurimi profili la predetta consulenza, in particolare con riferimento ai criteri impiegati per l'individuazione delle "operazioni baciate", sostenendo, conseguentemente, l'inattendibilità della determinazione dell'importo complessivo del capitale finanziato nella misura sopraindicata e, al contempo, sollecitando l'espletamento di perizia sul punto. In primo luogo, le obiezioni mosse alla consulenza Ca.-Ta. ineriscono alla mancata adozione, tra gli indici sintomatici di correlazione, di quello consistente nel nesso teleologico tra concessione del finanziamento da parte dell'istituto di credito e destinazione delle relative risorse all'acquisto delle azioni emesse dal medesimo ente (cfr. appello Zo., paragrafo 3-4 b, pagg. 156 e ss.). La difesa del solo imputato GI. (cfr, appello Gi., parte terza, cap, IX, pag. 67; trattasi peraltro - come detto - di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, giusta nota difensiva depositata in tale occasione), poi, ha lamentato l'errore metodologico nel quale sarebbe incorso il primo giudice, là dove avrebbe sostanzialmente basato la ricostruzione del fatto in punto di "capitale finanziato" sull'esito dell'applicazione di criteri di tipo "amministrativistico", sostanzialmente desunti dalla circolare n. 263 del 27.12.2006 di Banca d'Italia, non già sull'adozione del procedimento euristico avente diritto di cittadinanza nel giudizio penale e fondato sulla valutazione di prove, anche indiziarie. In questa prospettiva, pertanto, la circostanza che, rispettivamente, la Bc., la Consob e i consulenti dell'inquirente avessero fondato i rispettivi giudizi su criteri parzialmente distinti (in ragione della differente finalità delle rispettive analisi), non dimostrerebbe, ad avviso dell'appellante, la mera opinabilità di detti criteri, bensì il vizio di metodo in cui sarebbe incorso il primo giudice nell'ancorare il proprio convincimento agli esiti di una siffatta analisi. Più nel dettaglio, solo Consob, mirando alla ricerca di fatti specifici, avrebbe adottato criteri analoghi a quelli legittimamente spendibili nel processo penale. Diversamente, la Bc. e, di conserva, i consulenti del P.M., avrebbero adottato criteri utili a ricostruire "fenomeni", non già fatti specifici (cfr. atto di appello, pag. 73), donde l'inidoneità delle relative valutazioni a fondare il giudizio del tribunale. Né la erroneità, sotto tale profilo, dell'analisi dei predetti consulenti sarebbe "sanabile" ex post sul rilievo della convergenza dei relativi esiti con risultanze aliunde acquisite (dichiarazioni testimoniali; rinvenimento delle lettere di impegno; corrispondenza tra importi finanziati ed investimento in titoli, ecc.). Questo, per la semplice ragione che un mezzo di prova potrebbe "costituire riscontro ai risultato di altro mezzo di prova" solo "in quanto il tema di prova sia comune ad entrambi" (cfr. atto di appello, pag. 73), situazione nella specie non ravvisabile. Peraltro, nel peculiare caso in esame - caratterizzato dall'escussione di soli trenta testimoni in relazione a 133 operazioni, a fronte di ben 965 clienti asseritamele finanziati ed impegnati in 1274 operazioni per un ammontare complessivo di 963 milioni di euro - il presunto riscontro sarebbe addirittura costituito da una inammissibile "prova per campione". Infine, sul versante della determinazione del patrimonio di vigilanza, le censure difensive (trattasi, segnatamente, dell'obiezione avanzata dalla difesa Zo. - cfr. atto di appello, paragrafo 3.4 b), pagg. 161 e ss.) si sono specificamente appuntate sull'errata detrazione dal patrimonio di vigilanza dell'intero ammontare del capitale finanziato, sostenendosi, in senso contrario, che tale decurtazione avrebbe dovuto avere luogo, oltre che nell'ipotesi di sottoscrizione di azioni emesse, nel "mercato primario", all'atto dell'aumento di capitale, anche qualora si fosse trattato dì acquisti effettuati, sul "mercato secondario", da parte di investitori (finanziati dal medesimo istituto di credito) privi di adeguato merito creditizio. Trattasi, peraltro, di obiezioni già sollevate nel corso dell'istruttoria di primo grado ed oggetto di specifica confutazione da parte del primo giudice. Ebbene, questa Corte ha già affrontato tali temi, là dove, con ordinanza 18.5.2022, provvedendo sulle richieste di rinnovazione istruttoria, ha disatteso le relative istanze, segnatamente respingendo la sollecitazione a disporre perizia sul capitale finanziato. Tuttavia, l'analisi necessariamente sommaria allora effettuata rende indispensabili le precisazioni che seguono. Innanzitutto, quanto alla determinazione del "perimetro" del fenomeno del capitale finanziato siccome indicata in sentenza sulla scorta della consulenza Ca.-Ta., deve osservarsi che si è in presenza di stima pienamente affidabile e, al più, come si dirà, determinata per difetto. Sul punto, va anzitutto precisato che il primo giudice ha compiutamente delineato, anche in termini diacronici, la disciplina di riferimento alla stregua della quale individuare gli acquisiti di azioni finanziati dallo stesso ente (art. 2358 c.c.; Circolari Banca d'Italia n. 155 del 18.12.1991 e n. 263 del 27.12.2006; Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 c.d. CRR - "Capital Requirements Regulation"; Regolamento Delegato UE n. 241/2014 della Commissione del 7 gennaio 2014) ed ha correttamente ravvisato il fenomeno del "capitale finanziato" nell'ipotesi dì impiego per l'acquisto di azioni B. di risorse erogate all'investitore dallo stesso istituto emittente nel caso in cui la concessione del finanziamento e l'acquisto del titolo fossero oggettiva espressione di un "atto coordinato". La finalità della disciplina in materia, invero, è quella di offrire adeguata garanzia, attraverso la tutela della effettiva integrità del patrimonio di vigilanza, agli investitori ed ai terzi, sicché quel che rileva, in definitiva, è il dato obiettivo dell'impiego delle somme erogate dall'emittente per l'acquisto dei titoli dello stesso ente. E la normativa di riferimento, ove rettamente intesa, depone inequivocabilmente in tal senso. Se ciò, infatti, è di immediata percezione in relazione alla disciplina ricavabile dai Regolamenti UE 575/13 e 241/14 (là dove, il primo, all'art. 28, precisa che gli strumenti dì capitale primario non possono essere finanziati dall'ente, né direttamente né indirettamente ed il secondo individua il "finanziamento diretto" in tutti i casi in cui un ente ha concesso ad un investitore, "in qualsiasi forma, un prestito o altri finanziamenti che sono utilizzati per l'acquisto dei suoi strumenti di capitale"), potendosi univocamente ricavare, da tali disposizioni, una nozione, per l'appunto, "oggettiva" di finanziamento diretto (nel senso che è tale una operazione caratterizzata dal mero impiego delle somme erogate per l'acquisto degli strumenti di capitale), a non diversi approdi ermeneutici deve pervenirsi alla stregua delle disposizioni in vigore precedentemente all'adozione della citata disciplina sovranazionale e, segnatamente, sulla base delle prescrizioni contenute nelle citate circolari di Banca d'Italia n. 155 del 18.12.1991 e n. 263 del 27.12.2006. La prima, infatti, già identificava il finanziamento correlato come caratterizzato da "operazioni di finanziamento destinate all'acquisto di azioni" della banca emittente (cfr. circolare 155/91, sezione 1, sottosezione 3, sua p. 1.3.8 dedicata agli "Elementi negativi del patrimonio di base"; detta circolare - in atti quale documento n. 2 deposito Banca d'Italia dell'udienza 13.9.2019 - è stata più volte aggiornata nel corso del tempo; la versione prodotta da Banca d'Italia nel presente giudizio è aggiornata al 3.4.2006), guardando al fenomeno in esame secondo una prospettiva in cui rivestiva rilievo centrale il dato concreto dell'impiego delle risorse erogate per l'acquisto dei titoli e, conseguentemente, stabilendo il relativo obbligo di deduzione dal patrimonio di vigilanza, fatta salva l'ipotesi che detto acquisto non fosse stato l'effetto di una autonoma ed indipendente iniziativa dell'investitore. La seconda (in atti quale documento n. 1 deposito Banca d'Italia dell'udienza 13.9,2019, a sua volta aggiornata a più riprese nel corso del tempo; la versione prodotta da Banca d'Italia nel presente giudizio è aggiornata al dicembre 2010), poi, introducendo la nozione di "atto coordinato" (trattasi - come detto - di locuzione esplicitamente adottata dalla suddetta circolare 263/06, titolo I, cap. 2, sez, II, p. 7), precisava come il capitale finanziato, in quanto tale non computabile nel patrimonio di vigilanza, non fosse solo quello espressamente destinato (secondo la esplicita regolamentazione pattizia) all'acquisto di azioni proprie, bensì, proprio al fine di scongiurare, sul punto, manovre elusive, anche quello effettivamente risultante come tale. L'individuazione delle operazioni di finanziamento implicanti l'applicazione del regime prudenziale, quindi, veniva bensì ancorata al ricorrere di un "atto coordinato", ovverosia ad una sorta di "collegamento negoziale" tra erogazione del prestito ed acquisto del titolo; nondimeno, l'esplicito richiamo, in tale atto normativo, oltre che al profilo contrattuale, alle "caratteristiche effettive dell'operazione", indicava chiaramente l'intenzione dell'ente regolatore di attribuire rilevanza non solo ai profili formali/documentali dell'operazione medesima, bensì al concreto atteggiarsi della stessa. In definitiva, tutta la disciplina in materia si è sviluppata secondo una direttrice coerente: originariamente finalizzata ad escludere dall'alveo delle operazioni correlate unicamente gli acquisti effettuati con finanziamenti solo occasionalmente e per autonoma ed indipendente scelta dell'investitore impiegati per l'acquisto dei titoli dell'emittente, si è successivamente evoluta giungendo ad attribuire rilevanza esclusiva all'aspetto "oggettivo" dell'acquisto del titolo effettuato con risorse erogate dallo stesso istituto emittente. Trattasi, peraltro, di interpretazione che ha trovato il significativo avallo, nel corso del giudizio di primo grado, da parte del consulente Parisi84, il quale ha sostanzialmente ripercorso nei medesimi termini l'evoluzione della suddetta disciplina, a partire da quanto previsto dalle circolari della Banca d'Italia, fino alle modifiche successive agli "accordi di Basilea", come ben si ricava dal passaggio della relativa deposizione siccome opportunamente riportato a pag. 350 della sentenza impugnata. Ebbene, ponendosi in tale prospettiva, se non v'è dubbio che la sussistenza del "nesso teleologico" evocato da talune difese (sulla scorta, in particolare, della consulenza Gu.) rappresenti la più marcata manifestazione di una operazione "coordinata", è parimenti evidente che limitare il fenomeno in esame alle operazioni connotate dalla presenza di un siffatto legame di tipo "psicologico", eh e fosse esplicitamente manifestato in sede di redazione/compilazione della documentazione contrattuale, finirebbe per restringere eccessivamente e del tutto arbitrariamente l'ampiezza di detto fenomeno, in radicale contrasto con la disciplina in materia, siccome testé ricostruita. Va necessariamente ricusata, quindi, una interpretazione della normativa di riferimento che attribuisse, sul punto, rilievo decisivo alla volontà dei contraenti siccome desumibile dalla modulistica contrattuale: il legame di tipo psicologico preteso dalle difese, infatti, deve essere necessariamente indagato non solo alla stregua della documentazione pattizia ma di tutte le caratteristiche dell'operazione che possono illuminare e dimostrare il fine effettivamente perseguito dalle parti. E' solo per completezza, pertanto, che deve osservarsi come, ancorando rigorosamente (com'è d'obbligo, per quanto detto) la individuazione della "correlazione" a dati concreti, effettivamente rivelatori dì un "collegamento negoziale" (e, quindi, non solo a quanto, sul punto, espressamente consacrato in un documento contrattuale), dovrebbe, in ogni caso, necessariamente convenirsi che i criteri adottati dai consulenti del p.m. (trattasi, segnatamente: dell'indicazione generica delle finalità dell'affidamento riportate nella delibera; della durata delle linee di credito; del ridotto lasso temporale tra concessione del finanziamento ed acquisto dei titoli; dell'importo dell'affidamento in raffronto al controvalore delle azioni/obbligazioni convertibili acquistate; del riferimento alla vendita degli asset acquistati con il finanziamento quale fonte prioritaria di rimborso; della presenza delle lettere dì impegno/disponibilità al riacquisto; dell'effettuazione degli storni degli interessi applicati e/o di accrediti generici) non sarebbero affatto incompatibili, in concreto, con quello (rettamente inteso) del "nesso teleologico" evocato dai difensori, trattandosi degli unici parametri - ragionevolmente individuabili - alla stregua dei quali necessariamente indagare l'effettiva intenzione delle parti, così da ancorarla ad evidenze obiettive (e non già a dati meramente formali), onde scongiurare comportamenti opportunistici, se non anche fraudolenti. Senza trascurare il fatto che è la stessa circolare che individua criteri, in via esemplificativa, di cui è necessario tener conto, con riferimento espresso ai dati temporali e ai dati quantitativi delle somme in gioco, ovvero proprio ad alcuni dei parametri presi in esame e adottati anche dai cc.tt. (cfr. circolare 263/06, cit., titolo 1, cap. 2, sez. II, p. 7: "..si ritiene che sussista un riacquisto qualora, sotto i profili contrattuale e delle caratteristiche effettive dell'operazione (e la congiunzione sottolinea fa necessità di una valutazione unitaria), momenti dell'emissione dello strumento della banca con conseguente raccolta di fondi patrimoniali e dell'erogazione di finanziamenti a beneficio del sottoscrittore rappresentino, per ammontare e scadenze (trattasi, a ben vedere, di parametri esemplificativi che trovano specificazione in quelli concretamente adottati dai cc.tt.), un atto coordinato"). In quest'ottica, quindi, il contrasto tra il criterio teleologico indicato dal consulente prof Gu. e quelli, "sostanzialistici", che hanno orientato il vaglio dei consulenti dott.ssa Ca. e prof Ta., finirebbe decisamente per scolorire sino a divenire, in concreto, pressoché evanescente. Quanto, poi, alla contestazione del parametro di riferimento temporale (trimestrale) adottato (tra i vari criteri) dai predetti consulenti, parametro/, censurato in quanto eccessivamente ampio, deve osservarsi: - per un verso, che il riferimento al trimestre è stato conseguenza non già dì una scelta arbitraria effettuata dai suddetti professionisti, bensì, da un lato, della natura dinamica della rilevazione da costoro compiuta in adempimento dell'incarico loro conferito dall'inquirente85 (il quale, in effetti, ha richiesto una valutazione parametrata proprio a tale arco temporale, nel solco della prassi bancaria della rendicontazione trimestrale - sulla base, com'è noto, di "trimestri fissi" - e dei conseguenti obblighi di comunicazione alla vigilanza); e, dall'altro, della constatazione che, presso B., intercorreva un siffatto lasso temporale tra la data di formalizzazione (in modalità solitamente cartacea) dell'ordine di acquisto dei titoli sul mercato secondario e quella di definitivo perfezionamento dell'acquisto (all'esito dì una complessa procedura che prevedeva, tra l'altro, un accurata verifica della pratica presso l'Ufficio Soci, come precisato dal teste Ro. in sede di deposizione dibattimentale); - per altro verso, che lo stesso consulente della difesa Pe., dott. Pa., ha condiviso tale riferimento temporale; - e, per altro verso ancora - e trattasi, in ogni caso, di considerazione dirimente - che il tribunale ha precisato come, in concreto, la gran parte (l'86%) delle operazioni correlate individuate sia consistita in operazioni poste in essere entro novanta giorni (con l'ulteriore peculiarità che tanto il finanziamento quanto il successivo acquisto dei titoli è avvenuto nell'ambito del medesimo trimestre di riferimento "cfr. sentenza impugnata, pag. 385) e che l'ispettore Ma. ha avuto modo di precisare come, in realtà, grandissima parte dei finanziamenti fossero stati poi impiegati per l'acquisto delle azioni nell'arco di pochi giorni. Venendo, quindi, alle censure metodologiche articolate dalla difesa GI. (trattasi peraltro - va ribadito - di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione), deve osservarsi che nessuna automatica trasposizione di valutazioni rilevanti unicamente in sede amministrativa ha avuto luogo nel caso di specie. I consulenti del P.M., infatti, hanno scandagliato l'intera documentazione disponibile e, come detto, hanno adottato tutti i criteri, basati su elementi oggettivi, razionalmente utilizzabili per individuare la correlazione tra i finanziamenti e l'acquisto di azioni emesse da B.. Che, poi, detti criteri possano fungere da parametri anche per finalità di tipo ulteriore (e, segnatamente, di natura amministrativa) è circostanza che, ad onta delle contrarie argomentazioni difensive, non inficia minimamente gli esiti di indagine, né tantomeno li espone all'obiezione di inutilizzabilità in sede penale. Tanto precisato in ordine ai criteri di riferimento e, passando, quindi, alla valutazione degli esiti della applicazione di siffatti criteri al caso in esame, osserva questa Corte che la quantificazione dell'ammontare complessivo delle operazioni correlate cui sono pervenuti i cc.tt. dell'ufficio di Procura è obiettivamente persuasiva. Non solo, infatti, come già detto, si è trattato di un risultato scaturito da una dettagliata valutazione della documentazione tutta disponibile, ma - e trattasi di circostanza di assoluto rilievo - si è in presenza di un esito sostanzialmente coincidente con quello cui sono pervenuti sia la Bc. che lo stesso istituto dì credito (peraltro a conclusione di una verifica effettuata anche avvalendosi dell'ausilio dì società di consulenza esterna specializzata), beninteso ove si considerino debitamente i parametri di riferimento adottati, rispettivamente, da tali soggetti89. Inoltre, si è in presenza di un ordine dì grandezza sostanzialmente (e significativamente) coincidente anche con le ulteriori risultanze d'indagine, ove si consideri debitamente: - non solo che il teste Am. ha riferito che, nei primi mesi del 2015, all'esito di alcuni colloqui con i direttori di area, aveva "mappato" il fenomeno in questione, pervenendo alla quantificazione approssimativa di 800 milioni di euro; - non solo che il teste Li. ha confermato di avere appreso proprio dal teste Am. l'eclatante dimensione del capitale finanziato, riferendo di una quantificazione che si aggirava intorno al miliardo di euro; - ma che lo stesso D.G. So. - ovverosia il soggetto apicale che aveva la più completa conoscenza del tema in questione - in occasione della seduta del comitato di direzione 10,11.2014, icasticamente affermando: abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare...", ha quantificato il capitale finanziato a quella data esistente proprio nella misura - sostanzialmente corrispondente a quella individuata dai consulenti - di 1,2 miliardi di Euro. Quanto, poi, all'icastica affermazione resa dal D.G. So. in occasione della seduta del comitato di direzione 10.11.2014 (v. pag. 34 della relativa trascrizione sub doc. 110 del P.M.) va detto che taluni fra gli appellanti (in particolare GI. a pag. 54 del suo atto di appello, cap. VII, e PI. nelle spontanee dichiarazioni rese a verbale all'udienza del 15 luglio 2022 nel presente grado di giudizio, altresì prodotte nella stessa udienza dalla sua difesa in formato cartaceo) sostengono che l'espressione "....abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare - particolarmente valorizzata alla pag. 666 della sentenza di prime cure - non si riferirebbe in realtà all'entità del capitale finanziato ma "alla campagna pre-affidamenti" (cfr, pag. 54 appello GI., cap. VII; trattasi peraltro di uno fra i motivi di gravame resi oggetto di espressa rinuncia da parte della sua difesa all'udienza del 23.9.2022, come da nota difensiva depositata in tale occasione; nello stesso senso si era espresso, nel corso del suo esame dibattimentale in primo grado, anche l'imputato MA.: cfr. pagg. 100-102 verbale stenotipico 11.6.2020) oppure (cfr. in particolare la pag. 17 della versione cartacea delle spontanee dichiarazioni dell'imputato PI.), si riferirebbe - arguendosi ciò da quanto il D.G. So. afferma alle pagg. 65-66 della trascrizione del file audio del suddetto Comitato di Direzione 10.11.2014 - a una mera proposta del So. stesso "di sostituire dei finanziamenti in essere con dei time deposit. Il time deposit presuppone che il cliente depositi dei soldi alla Banca mentre il finanziamento è evidentemente un impiego della Banca verso il cliente". Può osservarsi peraltro: - che, nel corso del presente grado di giudizio, l'imputato GI., mutando avviso e linea difensiva nell'indursi a rendere dichiarazioni auto-ed etero-accusatorie (dapprima prospettate nel memoriale scritto depositato all'udienza del 30.5,2022, indi articolate e sviluppate in sede dì rinnovo dell'esame dibattimentale - e relativo controesame - tenutosi alle udienze del 15, 17 e 20 giugno 2022), ha riconosciuto (cfr. al riguardo, la pag. 21 del memoriale depositato il 30,5.2022, cit.; cfr altresì la pag. 17 del verbale stenotipico dell'esame GI. in grado di appello di data 15.6,2022) che così dicendo il So. si riferiva, nel corso di quel Comitato di Direzione del 10.11.2014, realmente a un folto gruppo di impieghi - poco redditizi - correlati all'acquisto di azioni della Banca; - che l'imputato MA. ha inteso motivare la propria interpretazione della frase del So. "...abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fere..." limitandosi a evidenziare che il GI. nell'occasione ebbe a replicare prontamente al D.G. (con un chiaro quanto esclusivo, per il MA., riferimento alla campagna "pre-affidamenti", anche detta "pre-deliberato", che sempre secondo il MA. non era riuscita a decollare) pronunciando l'espressione "Ma non li ... Ma non li prendono, Sa."; a ciò si aggiunge quanto affermato dal teste Ci.Am., appartenente alla Divisione Crediti diretta dal MA. (cfr, pag. 112 verbale stenotipia) 11.2.2020: "su tutta quanta la clientela della banca applicai i filtri per scremare i nominativi che potevano avere queste caratteristiche. E vennero fuori 6-7 mila posizioni su B. e 600 circa su Ba.Nu. di potenziale pre-deliberato. Mi sembra che il potenziale fosse 1 miliardo e 2 sulla B., e il potenziale 70 milioni su Ba.Nu.. Vado a memoria perché andiamo indietro di otto anni"). Nondimeno, se sì valuta nella sua interezza - debitamente contestualizzandolo - il relativo passo dell'intervento del So. in seno al Comitato di Direzione 10.11,2014 (cfr. pag, 34 della trascrizione di cui al doc. 110 del P.M.) emerge come il D.G. stia invece con ogni evidenza parlando di finanziamenti non già potenziali o "papabili" bensì accordati in passato, nonostante i quali - con suo preoccupato disappunto, ivi espresso - rimanevano urgentemente da collocare, quando ormai si era giunti quasi a fine anno, come per l'appunto aveva poco prima annunciato GI. al consesso, gli "85, no, adesso vedremo anche gli altri 40 che fine ... che fine fanno, perché anche quelli li devono ... devono ..." (v. pag, 30 ibidem: So. qui si riferisce - da un lato-lato - all'eccessiva entità del fondo acquisto azioni proprie, ammontante in quel momento a 85 milioni di Euro quando il limite da non superare, come illustrato al Comitato poco prima dal GI., era di appena 25 milioni, sicché andavano ricollocate azioni per un ammontare di 60 milioni già solo su quel primo fronte; e - dall'altro lato - alla presenza di azioni B. per complessivi 42 milioni di Euro nei fondi esteri; presenza che andava eliminata a sua volta trovando, del pari, una nuova collocazione a tali azioni: v. chiaramente sul punto, in seno allo stesso Comitato di Direzione, l'intervento di Pi.An., pag. 36 Ibidem). D'altra parte lo stesso GI., poco oltre (v. pagg. 36-37 ibidem), precisava - nell'ambito del medesimo Comitato di Direzione - come l'importo delle operazioni deliberate in sede di "campagna pre-affidamenti", condotta in maniera diffusa dalla rete facente capo alla Divisione Mercati da lui diretta, fosse, in realtà, al 10.11.2014, pari a "20 milioni, che sono ordini che devono arrivar su" (alla fine, secondo il teste Ci.Am., la "campagna pre-deliberato" fu chiusa con finanziamenti accordati per 169 milioni di euro: cfr. deposizione Am., pag. 112 verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020). Insomma il miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare" menzionato dal DG So. non poteva riferirsi alla campagna pre-affidamenti allora in corso (fra l'altro iniziata da pochissimo tempo, appena nel mese precedente ossia nell'ottobre 2014: cfr. pagg. 111-112 deposizione Am. cit.) bensì corrisponde con ogni evidenza - se si contestualizza in maniera corretta l'affermazione del So. - all'entità dei finanziamenti correlati già erogati in passato, tanto più che lo stesso So., nel proseguire la discussione su tale specifico tema (v. pagg. 35-36 ibidem), lamentava come fino ad allora ci si fosse rivolti più o meno sempre allo stesso bacino locale, con il rischio quindi - si badi - dì attirare un eccesso di attenzione su siffatto tipo di operazioni; ciò proprio in quanto esse venivano condotte, per lo più, sempre con i medesimi soggetti veneti laddove sarebbe stato, a suo avviso, opportuno diversificare radicalmente la platea di coloro con i quali stipulare t finanziamenti correlati, spostandola ad esempio più sull'asse Milano-Roma (v. pag. 36 ibidem: "E dopo dobbiamo sempre ricorrere al solito Ja., sempre ricorrere alla solita Vicenza, no? E, invece, bisogna che sta roba qui venga fatta Milano Roma, noi dobbiamo trovare Milano Roma, perché poi se ne parla meno. Se qui facciamo sempre e solo in ultima, facciamo intervenire i soliti, figurati se questi non parlano! Cioè, non ... non ... bisogna pianificarla meglio questa attività qua, dobbiamo ..."; concetto ribadito dal So. più avanti, cfr. pagg. 39-40 ibidem: "Sa. Ecco, però io ... Sì, se fosse possibile, io andrei fuori dal ... dal territorio, io farei più su Roma, su Milano, su ... anche se sono finanziati, ma almeno usciamo usciamo da qua"); - che l'imputato PI. ha a sua volta inteso motivare la propria personale - e diversa, si noti, da quella degli altri imputati poco sopra menzionati - interpretazione della frase del So. "....abbiamo fatto un miliardo e 2 di finanziamenti apposta per fare ..." utilizzando argomentazioni che in realtà, anche nel suo caso, contrastano con il testo complessivo della registrazione audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, del quale il PI. stesso, nell'occasione, ha estrapolato brevi frammenti decontestualizzandoli. In particolare il PI. (cfr. pagg. 15-21 della versione cartacea delle sue dichiarazioni spontanee prodotta dalla difesa e, in particolare, pag. 18), a riprova del suo assunto, ha sostenuto che "a fronte di questo passaggio del Dott. So. (...) nessuno dei partecipanti alla riunione si è stupito da quanto affermato dal DG. Se fosse vera la tesi che si parlava di finanziamenti erogati per acquistare azioni allora almeno uno dei presenti avrebbe dovuto riprendere il DG e dire "cosa stai dicendo, non è possibile fare quello che proponi". Ebbene, in primo luogo è viceversa dimostrato in base a plurimi elementi come ì presenti a quel selezionato consesso di alti dirigenti sapessero in realtà da lungo tempo che in B. venivano effettuate operazioni correlate (cfr., esemplificativamente, oltre alle propalazioni rese dall'imputato GI., sullo specifico punto, già in primo grado, i contenuti del Comitato di Direzione 8.11.2011 siccome emergenti dagli appunti presi nell'occasione dal teste Ma.So. - pagg. 47 e ss. del verbale stenotipia) 29.10.2019 - nonché, più in generale, la stessa deposizione del teste So. considerata nella sua interezza, che ampiamente si diffonde sullo specifico tema della piena contezza dell'esistenza ed entità del fenomeno dei finanziamenti correlati in capo ai vertici di B.: cfr, pagg. 56 e ss. del verbale stenotipico 29.10.2019 - ed ancora l'esame dibattimentale dell'imputato MA., che in tale sede ha a sua volta riconosciuto a più riprese - cfr. in particolare le pagg. 15-22 del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 - il notorio largo utilizzo pluriennale, fatto in B., dei finanziamenti correlati, pur, contestando egli recisamente ogni penale responsabilità sul presupposto del suo pieno convincimento circa la loro liceità e circa il loro avvenuto scomputo dal patrimonio di vigilanza). Non vi era dunque ragione alcuna, per i partecipanti al Comitato di Direzione del 10.11.2014, di stupirsi nel sentir nominare una prassi ormai consolidata da anni di massiccio utilizzo, della quale tutti i presenti erano a conoscenza. Inoltre - alle pagg. 66 e 67 della relativa trascrizione - rispettivamente "VM10" (pacificamente lo stesso PI., come questa Corte già ha acclarato nell'ordinanza istruttoria del 18 maggio 2022, pag. 37) e "VM8" (il GI.) così replicano al So. (che insisteva sulla necessità di "smontare" gli impieghi anzidetti, già stipulati per l'ammontare sopra indicato, recanti - per usare il lessico dello stesso So. - azioni ad essi "appiccicate", in modo tale da poter riuscire "a toglierci e a ridurre questi finanziamenti importanti con azioni sottostanti andiamo a liberare il cet one": VM10 (PI.): "Ci sono una serie di problemi che impediscono sta cosa qua", e prosegue elencando al So. tutte le questioni tecniche che escludono di poter ritenere fattibili le vie dì uscita ipotizzate dal So. stesso per ovviare all'indicata ingente entità di impieghi, poco redditizi, recanti "azioni appiccicate" ovvero "azioni sottostanti"; VM8 (GI.): "Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore dell'azione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati". Ma davvero decisivo, in ordine alla entità complessiva del capitale finanziato nei termini anzidetti è uno specifico passaggio della conversazione intercettata n. 459 del 31.8.2015, nella quale è lo stesso So. a fare espresso riferimento a tale eclatante ammontare (cfr. pagg. 25-26 della perizia di trascrizione: "Cioè, lei ha capito, il miliardo ... miliardo rito deliberato io!...Io non ho deliberato una pratica di fido in vita mia, no?, se non le pratiche dei dipendenti, perché io non ho mai deliberato fidi in mia autonomia, tutto quello che era in mia autonomia andava sempre agli organi... agli organi... agli organi superiori..". Infine, relativamente alle conseguenze di detta quantificazione sul patrimonio di vigilanza, va parimenti condivisa l'integrale decurtazione operata dai medesimi consulenti. Sul punto, infatti, deve anzitutto precisarsi che nessuna fonte normativa legittima differenziazioni di sorta con riferimento al finanziamento degli acquisti di titoli effettuati in sede di aumento di capitale ovvero di negoziazione delle medesime azioni sul mercato secondario. Trattasi, peraltro, di una mancata distinzione che è assolutamente ovvia e discende, ancora una volta, dalla finalità di garanzia assegnata al patrimonio di vigilanza. A ben vedere, infatti, se ciò è di immediata percezione in relazione all'emissione di nuovi titoli, non è francamente dato comprendere per quale ragione si dovrebbe pervenire a differenti conclusioni nell'ipotesi dì successivo trasferimento delle azioni: anche in tal caso, infatti, il mancato scomputo dell'importo finanziato comporterebbe il sostanziale azzeramento dell'effetto di accrescimento del patrimonio dell'emittente conseguente al versamento del corrispettivo del titolo avvenuto all'atto di originaria collocazione dell'azione. Sul punto, pertanto, ogni ulteriore digressione sarebbe davvero ultronea. Altrettanto infondata, poi, è l'opinione - sostenuta dal consulente Gu. e fatta propria dalla difesa di ZO. (cfr. atto di appello, paragrafo 3.4 b), pagg. 161 e ss.) - secondo la quale detta decurtazione dovrebbe bensì avere luogo, oltre che nel caso di collocamento di azioni di nuovo conio, anche in quello di negoziazione del titolo (parimenti finanziata dall'emittente), ma, in tale ipotesi, limitatamente all'eventualità di acquisto dì titoli effettuato da parte di investitore privo di merito creditizio, poiché solo in siffatta evenienza il rischio dell'operazione verrebbe a gravare sull'ente, conseguentemente imponendo l'adozione dei citati presidi di garanzia. Ebbene, premesso che trattasi di argomentazione che ha originato anch'essa una ampia discussione nel corso del giudizio di primo grado91 e che è stata motivatamente disattesa dal tribunale (sicché non ci si può esimere dal rilevare, sul punto, come si sia in presenza della sostanziale mera riproposizione delle censure già mosse alla impostazione d'accusa), va in ogni caso ribadito che detta osservazione critica risulta destituita di fondamento. Innanzitutto, infatti, tale opinamento è privo di qualsivoglia aggancio normativo e, anzi, è palesemente contraddetto: - dal fatto che nessuna eccezione rispetto alla equiparazione tra l'acquisto di azioni proprie ed il finanziamento concesso per l'acquisto di azioni proprie ed al conseguente obbligo di decurtazione da patrimonio di vigilanza è stata mai prevista nell'ipotesi di concessione di finanziamenti correlati, men che meno sul rilievo del merito creditizio del soggetto finanziato (anzi, le circolari Banca d'Italia - coerentemente, del resto, con le linee guida emanate dal CEBS - Committee of European Banking Supervisors -; nel prevedere l'obbligo di decurtazione, operavano un espresso riferimento anche all'ipotesi di "riacquisto" del titolo, così evidentemente alludendo a titoli precedentemente emessi); - dalla successiva evoluzione normativa che, in coerenza con quanto stabilito dalle citate circolari, ha univocamente previsto la computabilità nel CETI solo di strumenti i cui corrispettivi fossero stati versati e l'acquisto dei quali non fosse stato finanziato, direttamente o indirettamente, dall'emittente; - dal principio del "fully paid in" che informa la normativa prudenziale, principio secondo il quale le azioni devono essere interamente liberate, sicché il capitale azionario deve essere "risk free", ovverosia non gravato da rischi di controparte. Inoltre - e trattasi di osservazione dirimente - è decisivo osservare che è proprio la già ripetutamente evocata finalità di garanzia (finalità "prudenziale" e da assicurarsi attraverso il rispetto di parametri oggettivi in ordine al rapporto tra patrimonio ed attività di rischio, secondo la disciplina introdotta, dall'anno 2007, a partire dagli accordi di "Basilea 2") sottesa all'istituto della decurtazione dei finanziamenti destinati all'acquisto dei titoli ad ostare a siffatte distinzioni, trattandosi di differenziazioni che finirebbero pericolosamente per rimettere all'emittente una valutazione (quella, per l'appunto, inerente al merito creditizio del cliente finanziato) determinante per la effettività dì tale garanzia, il tutto, peraltro, in stridente contrasto - come pertinentemente osservato dal P.G. (cfr. verbale udienza 18.5.2022, pag. 62 del verbale stenotipico) - con quanto già stabilito dalla circolare 263/06 di Banca d'Italia in ordine al fatto che l"'ammontare degli strumenti computabili nel patrimonio di vigilanza detenuti" deve essere di "pronta e univoca identificazione" e con la conseguente necessità - peraltro di immediata percezione - che, in caso di difficoltà, l'istituto dì credito si troverebbe nella condizione, tutt'altro che tranquillante, di fronteggiare eventuali perdite facendo ricorso a risorse non già immediatamente disponibili, bensì da recuperare attraverso ad un complesso procedimento di rimborso dei finanziamenti concessi (ovvero di escussione delle relative, eventuali garanzie). Conclusivamente, il merito creditizio del soggetto finanziato (ovvero l'esistenza di beni a garanzia del finanziamento) non assume rilievo di sorta ai fini della determinazione del trattamento prudenziale, sicché le censure variamente articolate, al riguardo, negli atti di impugnazione, sono destituite di fondamento. 13 La chiamata in correità di Gi.Em.. Nel corso del giudizio di appello l'imputato GI., come s'è detto, ha depositato una memoria contenente dichiarazioni confessorie ed anche esplicitamente eteroaccusatorie; quindi, sì è sottoposto nuovamente all'esame, rendendo una ampia e completa confessione e chiamando i coimputati alle rispettive responsabilità. Ebbene, la circostanza che tali dichiarazioni abbiano avuto ad oggetto non solo la materialità dei fatti ed il ruolo svolto, con riferimento a detti accadimenti, dal propalante, ma anche il coinvolgimento dei correi nell'intera vicenda delittuosa consiglia di affrontare in questa sede (e, quindi, prima della trattazione dei singoli appelli), sia pure nelle sue linee generali, per evidenti ragioni di economia espositiva, i temi inerenti, per un verso, alla credibilità soggettiva del dichiarante e, per altro verso, all'attendibilità del relativo contributo dichiarativo, trattandosi, per l'appunto, di questioni che si riverberano direttamente sulle posizioni di tutti gli altri imputati. Sarà poi all'atto della trattazione delle singole impugnazioni che si darà conto della specifica incidenza di tali propalazioni su dette, singole posizioni processuali. Ebbene, va in primo luogo evidenziato che il GI. - il quale, come s'è visto, già nel corso del giudizio di primo grado aveva reso dichiarazioni parzialmente ammissive, segnatamente là dove aveva sostenuto la diffusa consapevolezza, all'interno non solo della cerchia ristretta del management ma pressoché dell'intera struttura aziendale, del sistematico ricorso alle operazioni di finanziamento correlato al fine del reperimento del capitale necessario, da un lato, per assicurare la liquidità del titolo B. e, dall'altro, per continuare a perseguire l'ambiziosa politica di rafforzamento ed "espansione" dell'istituto tenacemente propugnata dal presidente ZO. - nell'ambito del citato memoriale e, quindi, nella successiva escussione nel dibattimento d'appello, ha fornito un contributo certamente significativo per la analitica comprensione degli accadimenti. A tale riguardo, infatti, deve premettersi che le dichiarazioni dell'imputato non hanno rivestito, in concreto, carattere dirimente nella decisione di questa Corte con riferimento alla comprensione del fenomeno delittuoso nelle sue linee generali: sul punto, in effetti, il compendio probatorio era già di tali vastità e concludenza da rendere sostanzialmente superflui ulteriori elementi, se non ai fini di una più puntuale intelligenza (non decisiva, peraltro) dei meccanismi operativi concretamente attuati dai vertici dell'istituto per fronteggiare la situazione di illiquidità dei titoli azionari e per occultarne gli esiti alle autorità di vigilanza. A ben vedere, l'esistenza di una attività tanto di marcata manipolazione relativa al prezzo delle azioni B. (con conseguenti ricadute sull'affidamento riposto sulla stabilità patrimoniale dì detto istituto di credito), quanto di occultamento di tale operatività delittuosa nei confronti di Banca d'Italia/Bc. e Consob risultava evidente alla stregua degli elementi documentali e testimoniali, nonché degli esiti di consulenza, già disponibili. Così come, tanto sotto il profilo logico, quanto alla stregua delle dichiarazioni rese da taluni testimoni, emergeva in termini di immediatezza la riconducibilità di dette scelte operative alla cerchia di amministratori apicali dell'istituto di credito, non essendo, del resto, razionalmente sostenibile, alla stregua della logica più elementare (secondo quanto, più oltre, meglio precisato), che un disegno criminoso così pervasivo, sistematico e risalente potesse essere stato realizzato solo dal massimo responsabile dell'amministrazione dalla banca - ovverosia dal d.g. So. - all'insaputa tanto del presidente ZO. quanto della cerchia dei suoi più stretti collaboratori, come se si fosse trattato di un autonomo "colpo di mano" da parte di un direttore generale infedele. Piuttosto, le propalazioni del GI. sono state tutt'altro che prive di utilità nel fornire delucidazioni circa il ruolo rivestito nei fatti da taluni imputati (con riferimento alla posizione del PE. e dello ZO. si vedrà che hanno finanche assunto notevole rilievo), segnatamente concorrendo a delineare l'indispensabile regolamento dei confini, nell'ambito dell'organigramma della banca, tra i soggetti che rivestivano posizioni apicali e che avevano la piena consapevolezza di tutte le implicazioni del ricorso al fenomeno del capitale finanziato ed erano anche direttamente impegnati nelle conseguenti attività di manipolazione e di occultamento, da un lato; e, dall'altro, le strutture incaricate di mansioni più marcatamente esecutive, ai componenti delle quali sfuggiva quella visione d'insieme del fenomeno in esame che avrebbe loro consentito di apprezzarne la natura delittuosa. Ciò posto, osserva questa Corte come, nella valutazione di una chiamata di correo, la giurisprudenza di legittimità consolidatasi da anni (a partire dalla fondamentale Cass. Sez. Un, 1653 del 21.10.1992, Ma.o e altri, passando, tra le varie, per Cass. Sez. V, n. 31442 del 28.6.2006, Sa. e altro, Cass. Sez. VI, n. 16939 del 20.12.2011, De. e altro, Cass. Sez. II, n. 21171 del 7.5.2013, Lo. e fino, ex multis, a Cass. Sez. IV, n. 34413 del 18.6.2019, Kh.) fornisca sicure coordinate di riferimento, insegnando come alla valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante (da verificarsi alla stregua della personalità del predetto, delle sue condizioni socio-economiche e familiari e, più in generale, del profilo soggettivo di costui, dei rapporti intercorsi tra lo stesso propalante ed i chiamati in correità, nonché delle ragioni all'origine della determinazione alla confessione)/ debbano accompagnarsi il vaglio della consistenza intrinseca delle dichiarazioni d'accusa (da apprezzarsi alla luce, tra l'altro, della precisioni della costanza e della spontaneità del narrato) e la verifica della sussistenza di elementi di riscontro estrinseci ed "individualizzanti" - consistenti anche in valutazioni di carattere logico (cfr. al riguardo, Cass. Sez. II, n. 29648 del 17.6.2019, P.G. in proc. Pota) - rispetto a dette propalazioni, tali da consentire di corroborare la effettiva materialità dei fatti oggetto di dichiarazione e da collegarli univocamente alla posizione dei soggetti compromessi da dette accuse. E, come pure è stato autorevolmente precisato, la valutazione dei passaggi attinenti alla credibilità soggettiva ed alla attendibilità oggettiva della chiamata di correo non deve necessariamente transitare attraverso passaggi rigidamente separati, posto "che l'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non indica alcuna specifica e tassativa sequenza logico-temporale": in definitiva, "Il percorso critico che il giudice deve seguire non si correla (...) ... ad un modulo processuale predefinito, giacché il metodo di ricerca e di scansione dei singoli elementi fattuali su cui si radica un apprezzamento che non può che essere omnicomprensivo "la valutazione della prova deve essere strutturalmente unitaria/ anche se i relativi elementi dimostrativi possono essere frazionati quanto a risultati probatori "passa necessariamente attraverso un "sindacato" tanto dei dichiarante che del dichiarato: un singolo "frammento" di inattendibilità soggettiva non necessariamente incrina l'intera affidabilità oggettiva del narrato, così come, all'inverso, la riscontrata attendibilità soggettiva non esime dalla verifica globale del contenuto dichiarativo (così, Cass. Sez. II; n. 41500 del 24.9.2013, Ad. e altro; cfr., più di recente, la già citata Cass. Sez. IVB, n. 34413 del 18.6.2019, Kh.). Tanto premesso, va anzitutto precisato, con riferimento al profilo della credibilità del dichiarante, che sì è in presenza di fonte la cui attendibilità non può essere seriamente contestata. Non solo tutti ì criteri di carattere "soggettivo" ragionevolmente spendibili ai fini della relativa verifica (ed in precedenza solo esemplificativamente richiamati) depongono in tal senso (essendosi in presenza di imputato - ovviamente incensurato - che, all'interno dell'istituto di credito vicentino, rivestiva il ruolo, di assoluto rilievo, di vicedirettore generale, sicché definire il predetto come "socialmente inserito" sarebbe oltremodo riduttivo), ma anche la scelta collaborativa maturata da tale imputato è esente da profili di opacità. Se, infatti, in ordine al primo profilo, non sono davvero necessarie ulteriori considerazioni, quanto alla genesi della determinazione alla confessione osserva questa Corte come la circostanza (palesemente evincitele dal complessivo tenore delle relative dichiarazioni) che il GI. si sia determinato a dare piena consistenza alle iniziali dichiarazioni solo parzialmente ammissive (evidentemente conseguenti alla presa d'atto di una situazione probatoria a dir poco compromessa), assumendosi la piena, consapevole paternità delle condotte delittuose addebitategli, anche perché insofferente rispetto alla ritenuta "fuga" dei correi dalle rispettive responsabilità, non infici certo la credibilità del predetto. A ben vedere, infatti, quella di evitare di rimanere l'unico dirigente dell'istituto "con il cerino in mano" - per ricorrere all'efficace espressione adottata dal medesimo GI. nel corso dell'esame - è una motivazione umanamente comprensibile e, di per sé, non certo sintomatica di inattendibilità, specie ove palesata dallo stesso dichiarante, come, in effetti, avvenuto nella specie. Che, poi, detta "scelta collaborativa" possa essere stata dettata (e, anzi, sia stata ragionevolmente ispirata), oltre che da un sussulto di sensibilità e di maturità morale (secondo quanto il medesimo GI. ha pure inteso specificamente rappresentare in apertura dell'esame), anche dall'intenzione di fruire di un vantaggio personale, sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, è circostanza che, pur imponendo un'estrema cautela nel vaglio delle dichiarazioni di accusa - a fortiori essendosi in presenza di chiamata di correo intervenuta dopo la sentenza di primo grado, ovverosia in un contesto nel quale il propalante ha potuto fruire della piena conoscenza degli esiti della istruttoria dibattimentale (cfr, sul punto, Cass. Sez. I, n. 43856, 1.10.2013, Mezzero) - non vale certo, nella concretezza della presente vicenda processuale, a pregiudicare la affidabilità della fonte, la quale, peraltro, va ribadito, con le propalazioni da ultimo rese ha unicamente dato coerente seguito a quel comportamento parzialmente ammissivo già adottato nel precedente grado di giudizio. Nulla, infatti, induce a ritenere, in termini di minimo fondamento, che il GI. - le dichiarazioni del quale, peraltro, sono state costantemente accompagnate da un contegno processuale e da modalità espressive connotati da pacatezza, continenza ed assenza di qualsivoglia ostilità nei confronti dei coimputati o di terzi rimasti immuni dal processo, elementi, questi, essi stessi sintomatici di genuina rivisitazione critica del precedente operato - sia stato mosso dall'intenzione di "barattare" un eventuale, ipotetico vantaggio con l'offerta di un contributo alla comprensione dei fatti implicante anche la formulazione di accuse a carico di persone estranee agli accadimenti riferiti, sconsideratamente "trascinando" soggetti ritenuti innocenti nel gorgo delle responsabilità. E, a tale riguardo, va in questa sede anticipato, con riferimento alla posizione del coimputato ZI., quanto più oltre meglio si preciserà nel trattare la relativa posizione processuale: in relazione a costui, infatti, il GI. ha bensì reso dichiarazioni accusatorie che non si sono poi tradotte nella riforma della sentenza di assoluzione. Nondimeno, ciò è avvenuto non perché quest'ultimo non sia stato ritenuto attendibile dalla Corte; piuttosto, perché lo stesso tenore delle dichiarazioni accusatorie non ha consentito, alla stregua delle complessive evidenze disponibili, di ritenere che il predetto imputato, pur consapevole - come riferito dal chiamante in correità - dello stato di crisi del mercato secondario del titolo B. e di una certa diffusione del ricorso alle operazioni "baciate", avesse piena coscienza della natura sistemica e della conseguente entità di tale fenomeno e, soprattutto, dell'illecito "trattamento" contabile riservato a tale prassi, anche con riferimento alle comunicazioni alla vigilanza, profili, questi, sui quali il predetto GI., in effetti, non ha affatto speso considerazioni concrete. In definitiva, quindi, non vi sono ragioni di dubitare della attendibilità soggettiva del medesimo GI., attendibilità che, al contrario, è apparsa a questa Corte piena e tangibile. Quanto, poi, al profilo della intrinseca consistenza della narrazione auto ed etero accusatoria, si è in presenza di una ricostruzione puntuale dei fatti sub iudice, tanto con riferimento alle vicende delle quali l'imputato è stato diretto protagonista, quanto a quelle, di contorno, dal medesimo apprese in ragione della posizione apicale rivestita all'interno dell'istituto di credito. Il propalante, infatti, ha reso una puntuale descrizione della genesi e dello sviluppo dell'attività manipolativa invalsa presso B. e della conseguente determinazione al relativo occultamento nelle interlocuzioni con le autorità di vigilanza, non solo spiegandone puntualmente le ragioni (peraltro già evidenti) e precisando contorni ed entità del proprio ed altrui coinvolgimento in tali operatività delittuose, ma anche offrendo adeguate delucidazioni in ordine alla diffusa conoscenza, all'interno dell'istituto di credito, del tema del capitale finanziato e, presso le strutture apicali, delle condizioni di grave difficoltà in cui versava il mercato secondario. Inoltre - e proprio in questo consiste il significativo rilievo del contributo conoscitivo offerto da detta fonte - il GI., da un lato, ha chiarito la natura dei rapporti effettivi che intercorrevano, con riferimento al fenomeno in esame, tra i vertici delle articolazioni operative di B., con particolare riguardo al coinvolgimento, rimasto effettivamente in ombra all'esito dell'istruttoria svoltasi in primo grado, della struttura chiamata a curare la predisposizione dei bilanci, degli adempimenti contabili e delle segnalazioni J alle autorità di vigilanza e, quindi, del suo vertice operativo (PE.); e, dall'altro, non solo ha contribuito a delineare quali fossero le concrete modalità di esercizio della presidenza da parte dello ZO., evidenziandone il costante sconfinamento nell'attività di concreta gestione dell'istituto, ma ha specificamente fornito ulteriori elementi di prova, tali da saldarsi coerentemente con le pregresse acquisizioni dibattimentali, in ordine alla effettiva conoscenza, da parte di tale imputato, del fenomeno del capitale finanziato. Peraltro, la narrazione dei fatti offerta dal medesimo GI. è stata sistematicamente accompagnata dall'illustrazione di coerenti elementi documentali, talvolta di più limitata significazione, talaltra di ben più consistente portata probatoria, elementi l'importanza di taluni dei quali, in effetti, era "sfuggita" nel corso della precedente istruttoria (trattandosi, il più delle volte, di documenti di ostica lettura ove non interpretati da soggetto intraneo alla struttura di vertice della banca e, quindi, in grado di trarne tutte le informazioni "implicite"), sicché, anche sotto tale profilo, deve concludersi nel senso della piena intrinseca persuasività delle relative dichiarazioni. Infine - e fermo il rinvio, sul punto, ancora una volta, a quanto sarà evidenziato più oltre con riferimento a ciascuna posizione processuale - le dichiarazioni d'accusa risultano corroborate, ab extrinseco, da una sequela di convergenti elementi di prova, relativi ad ogni fatto-reato oggetto d'addebito e tali da collegare specificamente gli eventi delittuosi narrati a ciascun imputato. Trattasi - va sottolineato - non di semplici "riscontri" ad una chiamata in correità, bensì di quella congerie di seri e concludenti elementi che, secondo la persuasiva lettura offertane dal primo giudice, già erano stati ritenuti idonei a fondare autonomamente le affermazioni di responsabilità (ovvero, con riferimento all'imputato PE., ad integrare un compendio probatorio di non trascurabile rilievo, ancorché dal tribunale ritenuto insufficiente), sicché, con riferimento a tale indispensabile requisito della chiamata in correità, ogni ulteriore digressione sarebbe davvero superflua. 14 Gli atti di appello. Premessa sui criteri di valutazione della prova. Premessa indispensabile alla analisi degli atti di appello è una valutazione generale dei criteri che hanno orientato questa Corte nella valutazione della prova. Sul punto, va precisato che la vicenda sub iudice si è caratterizzata non solo - come s'è già detto - per la vastità delle evidenze disponibili, ma anche per la laboriosità connaturata allo scrutinio necessario per la esatta comprensione delle dinamiche inerenti al fenomeno del "capitale finanziato" e, ancor più, per la individuazione delle singole responsabilità. In effetti, fin dall'avvio delle investigazioni gli inquirenti si sono mossi in un contesto assai ostico in ragione, per un verso, della complessità del fenomeno che andavano analizzando e, per altro verso, della struttura articolata della banca vicentina e della costante interdipendenza delle principali articolazioni operative di tale istituto (segnatamente: i "mercati", i "crediti"; la "finanza"; il "bilancio"; ma anche la "segreteria generale"; e, infine, i servizi ai quali era demandato il "controllo interno", in primis, l'"audit"). A complicare le indagini, poi, si sono aggiunte, da un lato, le difficoltà di reperimento di prove documentali conseguenti alle disposizioni tassative, progressivamente svelate dagli investigatori, che erano state impartite dai vertici aziendali al personale della banca, al quale era stato perentoriamente ordinato di non lasciare traccia scritta dei finanziamenti correlati; e, dall'altro lato, le condotte, se non sempre ostruzionistiche, generalmente tutt'altro che collaborative adottate da molti potenziali testimoni intranei all'istituto i quali, implicati, di fatto, in ragione degli incarichi ricoperti nell'organigramma della banca, nel fenomeno del capitale finanziato, nutrivano il palpabile timore di essere in qualche misura coinvolti - quantomeno sotto il profilo di eventuali responsabilità amministrative (come, peraltro, puntualmente accaduto per i membri del CdA e del Collegio Sindacale) - nelle indagini ed avevano, pertanto, tutto l'interesse a stornare dalle loro persone (e, nel caso dei consiglieri e dei sindaci, dall'intero organismo del quale erano membri) ogni sospetto. Peraltro, tale interesse, in taluni casi, si è spinto fino al plateale tentativo di inquinare il quadro delle evidenze che avrebbero più celermente potuto° orientare le indagini (il più immediato riferimento è alla soppressione/alterazione, operata su disposizione di Am., di taluni documenti compromettenti; ma, nel prosieguo degli accertamenti, come meglio si dirà più oltre, si è avuta contezza, attraverso le attività di intercettazione telefonica, dei tentativi posti in essere da non meglio individuati appartenenti al CdA, a tutto beneficio del presidente ZO., di ottenere da Ma.Pa. la modifica di quanto riferito al collega Bo., in sede di "intervista audit", circa il fatto che So. aveva sempre affermato la conoscenza, da parte del Presidente - pudicamente definito "chi di dovere" - del capitale finanziato; infine, le dichiarazioni dal Gi. rese in sede di appello, peraltro confortate dalle comunicazioni SMS/WhatsApp intercorse con Ba.St., hanno fatto luce anche sul tentativo, parimenti rimasto inattuato, di "bonifica" delle mail del medesimo ZO.). Tutto ciò ha avuto luogo in un contesto-contesto - giova ripeterlo - non solo caratterizzato da controlli volutamente strutturati in modo inefficiente, ma nel quale si era già avvezzi alla dissimulazione ed all'occultamento di evidenze documentali che avrebbero potuto rendere percepibile all'esterno (segnatamente, agli enti di vigilanza), il sistematico ricorso alle "operazioni baciate". Emblematico di tale contesto, invero, è il comportamento assunto dal già citato Bo. allorché costui, su ordine del d,g. So., non aveva esitato a omettere di dare seguito alla relazione - peraltro materialmente "occultata" dallo stesso So. - nella quale, pure, aveva evidenziato la "scoperta" di capitale finanziato per circa 200 milioni di Euro. Fin dall'avvio delle indagini, quindi, è stato determinante il rilievo delle prove documentali non sfuggite agli investigatori (in particolare: appunti sequestrati; talune comunicazioni via mail; le "lettere di impegno" recuperate nelle varie filiali territoriali; le registrazioni audio dì alcune sedute di organismi collettivi). E, questo, non solo per quanto in esse direttamente attestato (ovvero da esse indirettamente ricavabile), ma anche per la loro intrinseca attitudine a scongiurare, da parte dei potenziali testimoni assunti a s.i.t., dichiarazioni marcatamente in contrasto con evidenze, per l'appunto, documentalmente provate. Ebbene, le difficoltà insite in tale "contesto di ricerca" si sono poi inevitabilmente tradotte, in sede dibattimentale, in un altrettanto faticoso' percorso di ricostruzione dei fatti, percorso reso particolarmente arduo, come si diceva, dall'atteggiamento di numerosi testimoni, le dichiarazioni dei quali sono spesso risultate generiche, scandite da ricordi approssimativi, se non anche palpabilmente orientate a fare emergere una generica inefficienza delle strutture a scapito della esatta ricostruzione del fenomeno e, soprattutto, delle singole responsabilità. In particolare, non ci si può esimere dal sottolineare come i membri del CdA e del Collegio Sindacale siano risultati pressoché tutti davvero scarsamente attendibili nell'escludere che a tali consessi (o, quantomeno, ai componenti più tecnicamente attrezzati dei predetti organi collegiali, finanche nel caso avessero loro stessi beneficiato di finanziamenti correlati) fossero giunte anche solo indirette notizie del fenomeno in esame e persino "indici di allarme" che avrebbero consigliato, se non imposto, l'espletamento di approfondimenti. Assolutamente emblematica, sul punto, è stata la deposizione del teste Za., esperto dottore commercialista già presidente del Collegio Sindacale e, in questa, veste, anche a capo dell'OdV, il quale, escusso nuovamente nel corso del giudizio di appello, non è stato neppure in grado di ricordare in cosa consistesse tale organismo di vigilanza. Ma altrettanto imbarazzante è stata la deposizione resa, sempre nel dibattimento di appello, dal teste prof. Br.: costui, per lunghissimi anni vicepresidente della banca, ha negato finanche di avere percepito "sintomo" alcuno di quanto, da tempo, andava accadendo nella gestione dell'istituto e, a fronte delle dichiarazioni dell'imputato GI. - il quale lo aveva indicato come presente al colloquio tra il medesimo propalante e lo ZO., colloquio nel corso del quale quest'ultimo aveva ammesso di essere a conoscenza delle "baciate parziali" - nel confermare la propria presenza in occasione di tale incontro ha nondimeno affermato di non serbare memoria di quanto specificamente riferito, sul punto, dal chiamante in correità e, questo, del tutto incredibilmente, solo a considerare, per un verso, la assoluta centralità dì tale "passaggio" e, per altro verso, la funzione di testimone che allo stesso Br., nello specifico, era stata evidentemente assegnata nell'interesse del presidente. Parimenti inaffidabili, poi, sono risultati, come meglio si dirà nell'analizzare la posizione dell'imputato PE., plurimi passaggi delle deposizioni reset dai più stretti collaboratori di tale imputato (trattasi dei testimoni Fa., Tr., Mo.). In linea di massima (e fatte salve le specificazioni che saranno più oltre effettuate) può in questa sede anticiparsi che le deposizioni più attendibili tra i contributi forniti dai soggetti, a diverso titolo, facenti capo a B., sono risultate quelle dei funzionari dell'istituto più "distanti" dai vertici aziendali, in quanto estranei alle dinamiche decisionali del fenomeno del capitale finanziato. Per il resto, il vaglio del materiale testimoniale proveniente "dall'interno" dell'istituto bancario ha imposto un approccio assai prudente, rendendo necessaria una analisi particolarmente accorta dei singoli contributi testimoniali. E, sul punto, va ribadito che la corretta chiave di lettura di tale compendio dichiarativo è stata quella già indicata (sia pure con specifico riferimento alle dichiarazioni dei principali soci finanziati) dal primo giudice (cfr, sentenza impugnata, pag. 634): nell'ambito delle rispettive deposizioni, i più o meno scarni passaggi in ordine all'esistenza del fenomeno del capitale finanziato ed alla attribuzione delle singole responsabilità sono risultati assai più persuasivi di quelli (sovente assai più consistenti dal punto di vista quantitativo) caratterizzati da generici ed autoassolutori richiami alle inadeguatezze strutturali del sistema dei controlli, ovvero da definizioni volutamente vaghe (è il caso dei riferimenti al capitale finanziato che taluni testi, non potendoli negare, hanno qualificato come "allusivi", "indiretti", "obliqui", quasi che il ricorso a simili espressioni edulcorate potesse realmente valere a rendere il significato e le implicazioni di detti riferimenti davvero inafferrabili per soggetti professionalmente assai attrezzati come erano i componenti del management di B. ed i loro più stretti collaboratori). Nondimeno, ad onta della descritta complessità del "contesto di ricerca", è stato possibile, all'esito di una assai laboriosa attività istruttoria, peraltro parzialmente rinnovata in appello, non solo ricostruire in modo appagante il fenomeno del capitale finanziato che ha finito per travolgere l'istituto di credito vicentino, ma anche delineare compiutamente le rispettive responsabilità con riferimento a tali accadimenti, come di seguito precisato in sede di valutazione dei singoli atti di impugnazione. Da ultimo, una precisazione si impone con riferimento al rilievo che, come si vedrà, hanno necessariamente assunto, nel vaglio dei compendio probatorio disponibile, le considerazioni di natura logica. Ebbene, trattasi di strumenti concettuali che non solo rivestono rilievo centrale nella spiegazione delle condotte umane e che, pertanto, non possono certo essere abbandonati se - come si è efficacemente osservato - non si voglia condannare il giudice (cui è imposta l'indicazione dei criteri adottati nella valutazione della prova, ex art, 192 c.p.p.), sul punto, all'afasia"; ma che, nella vicenda sub iudice, inerente alla modalità adottate dall'alta direzione di una impresa bancaria per fronteggiare una problematica di vitale importanza, assumono un rilievo particolarmente significativo. In altre parole, se è vero che in ogni valutazione logica del comportamento umano è ontologicamente intrinseco un margine di incertezza (non potendosi ovviamente confondere - come pure è stato precisato "l'id quod plerumque accidit" con "l'id quod semper necesse") è altrettanto vero che, in casi quali quello in esame - aventi ad oggetto l'operato di un ente "razionale" per definizione (nell'ambito del quale, quindi, tutte le decisioni erano necessariamente precedute da accurata analisi e costituivano l'esito di procedure predeterminate o, comunque, dell'agire coordinato di una pluralità di soggetti professionalmente assai attrezzati), tale margine è destinato ad assottigliarsi fin quasi a divenire davvero evanescente. 14.1 Gli appelli degli imputati 14.1.1 L'appello nell'interesse di Gi.Em. Con riguardo alla posizione dell'imputato Gi.Em. (resosi autore, nel presente grado di giudizio, di propalazioni auto ed etero accusatorie che già sono state oggetto - v. supra, par. 13 della presente sentenza - di accurato vaglio sotto il duplice profilo della credibilità soggettiva del dichiarante nonché dell'attendibilità e coerenza intrinseche del suo contributo dichiarativo) va innanzitutto dato atto della intervenuta rinuncia, da parte della difesa, a un rilevante numero di motivi di gravame. All'udienza del 23 settembre 2022 la difesa del GI. ha infatti depositato una nota avente il seguente tenore: "I sottoscritti avvocati, difensori di fiducia di Em.Gi., unitamente a quest'ultimo (...), dichiarano, a norma dell'art. 589 c.p.p., di rinunciare ai seguenti motivi così numerati nell'atto di appello: I, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIV, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX". Quanto poi all'ulteriore capitolo XX dell'atto di appello - non ricompreso, nella citata nota scritta d'udienza, fra quelli oggetto di espressa rinuncia - la difesa, in sede di discussione, ha comunque manifestato, nei seguenti termini, l'intenzione di renderlo oggetto di quella che ha definito "rinuncia implicita", di fatto non coltivando più, cioè, la relativa eccezione di nullità dell'impugnata sentenza (a suo tempo sollevata ex art. 604 comma 3 c.p.p, per ritenuta violazione dell'art. 522 c.p.p.) e limitandosi, in ultima analisi, a chiedere che le considerazioni ivi svolte vengano prese in esame unicamente, ex art. 133 c.p., al fine della determinazione del trattamento sanzionatorio. Conseguentemente l'appello risulta essere stato effettivamente coltivato dalla difesa del GI. nei seguenti, ormai circoscritti, termini: - capitolo II (pagg. 24-27 atto di appello): "Violazione degli arti. 185 c.p. e 74 c.p.p. da parte della ordinanza ex art. 491 c.p.p. del 21.3.2019 e di tutte le parti della sentenza che la richiamano"; - capitolo III (pagg. 28-36 atto di appello): "L'erronea ricostruzione della posizione di Gi. in banca"; trattasi peraltro di censure che, al pari di quanto or ora visto per il capitolo XX, attengono in via esclusiva al vaglio della personalità, del grado di protagonismo e dell'intensità dell'elemento soggettivo in capo al reo confesso GI., come tali rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 133 c.p. e dunque confluenti nell'oggetto del capitolo XXII, interamente dedicato al trattamento sanzionatorio; - capitolo XIII (pagg. 80-83 atto di appello): "L'illegittima "moltiplicazione operata in sentenza, dei reati di aggiotaggio di cui al capo A.l. La violazione del divieto di ne bis in idem sostanziale"; trattasi peraltro dì temi già ampiamente ed esaustiva mente trattati nella parte generale della presente sentenza e precisamente nei suoi paragrafi 8 e 11, ai quali senz'altro si rinvia. - capitolo XXI (pagg. 134-137 atto di appello); "Nullità della sentenza impugnata ex art. 604 c. 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 c. 2 c.p.p. avendo il tribunale condannato Gi., in relazione ai capi I) e L), per un fatto "nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio""; - capitolo XXII (pagg. 137-144 atto di appello): "In via subordinata sul trattamento sanzionatorio: corretta individuazione del reato più grave; rideterminazione ai minimi di legge della pena base; rideterminazione ai minimi di legge degli applicati aumenti per continuazione interna; concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle residue contestate aggravanti"; - capitolo XXIII (pagg. 144-148 atto di appello): "Quanto agli aspetti civili: richiesta di revoca di tutte le statuizioni civili. In ogni caso e in subordine: sospensione della condanna al pagamento della provvisionale per "gravi motivi" ex art. 600 comma 3 c.p.p.". Ciò premesso, quanto ancora residua dell'appello proposto dalla difesa di Gi.Em. è parzialmente fondato, e ciò con riguardo: - alle considerazioni già svolte nella soprastante parte generale - par. 8 - quanto al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa; - al trattamento sanzionatorio, risultando condivisibili - in applicazione di tutti i canoni di cui all'art. 133 c.p., nessuno escluso - le istanze difensive con le quali sì chiede: a) che il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p. sia condotto nel senso della prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti; b) che venga adeguatamente ridotta l'entità degli aumenti di pena praticati ex art. 81 cpv. c.p. a titolo di continuazione. Inoltre va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra sì è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. per i reati di falso in prospetto cui ai capi I e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già si è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Di seguito si procederà alla trattazione dei motivi di gravame ancora coltivati dalla difesa. 14.1.1.1. L'eccepita violazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p. ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p. del 21 marzo 2019 e ad opera di tutte le parti della sentenza che la richiamano (capitolo II dell'atto di appello, pagg. 24-27). L'appellante ha dedotto la violazione degli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p., ad opera dell'ordinanza ex art. 491 c.p.p., pronunciata dal tribunale vicentino in data 21.3.2019 (parzialmente reiettiva della richiesta di esclusione delle parti civili) e ad opera di tutte le parti della sentenza che la richiamano. L'impugnazione dell'anzidetta ordinanza si riferisce, per la precisione, ai suoi paragrafi 1.5, 1.6 e 1.7; se ne riepilogano qui brevemente i termini: - quanto al paragrafo 1.5 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile in capo agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti di causa. Essendo costoro divenuti azionisti od obbligazionisti (puri, subordinati o convertibili) in epoca successiva ai fatti che qui occupano non possono - conseguentemente - lamentare, secondo la difesa, di avere subito un danno immediato e diretto (alcuni di essi, anzi, sempre a detta della difesa, appaiono piuttosto avere messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti); - quanto al paragrafo 1.6 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle operazioni di finanziamento correlato: tali soggetti debbono infatti definirsi, secondo la difesa, carenti di legitimatio ad causam essendo consapevoli - a differenza di quanto affermato dal tribunale - di partecipare a un'operazione che viene indicata come illecita nella stessa prospettazione d'accusa: al riguardo l'appellante ricorda come proprio nella costruzione generale dell'impianto accusatorio venga data l'indicazione della sottoscrizione, da parte dei clienti/soci/finanziati, di lettere di impegno - dal tenore chiaro ed esplicito - contenenti, per l'appunto, l'impegno da parte della banca al riacquisto delle azioni B. e/o contenenti la garanzia di un determinato rendimento; - quanto al paragrafo 1.7 dell'ordinanza si è eccepita la carenza di legittimazione a costituirsi parte civile di coloro che hanno messo in vendita le loro azioni. Nei confronti di tali soggetti si è infatti verificata, secondo la difesa, l'interruzione - a seguito della vendita - del nesso causale, con il conseguente carattere solo indiretto del danno da reato (commisurato al deprezzamento fra il momento di acquisto dell'azione e la realizzazione effettiva). Osserva l'appellante come lo stesso tribunale vicentino faccia riferimento, nell'incipit dell'ordinanza impugnata, proprio alla consequenzialità immediata fra reato e danno (enunciata negli artt. 1223 e 1227 comma 2 c.c.) dalla quale far discendere la sussistenza della legittimazione; consequenzialità immediata che, nel caso di danno indiretto, per l'appunto non ricorrerebbe. Conseguentemente la difesa del GI. nuovamente richiede, nella presente sede, l'esclusione di tutte le parti civili rientranti nell'una o nell'altra delle suindicate tre categorie. Ritiene questa Corte che tali censure difensive non meritino accoglimento. Quanto agli azionisti e obbligazionisti che hanno acquistato titoli dopo i fatti oggetto del presente procedimento (paragrafo 1.5. dell'impugnata ordinanza 21.3.2019), si ravvisano anzitutto profili di inammissibilità del motivo di gravame stante la sua assoluta genericità: da un lato non vengono in alcun modo individuate, ivi, le parti civili delle quali si chiede l'esclusione per tale ragione; dall'altro lato è parimenti del tutto generica l'affermazione secondo j cui "alcuni" - anch'essi non meglio identificati - fra costoro avrebbero' "piuttosto messo in atto una manovra anche speculativa dopo l'emersione dei fatti" (cfr. pag. 25 atto di appello). Nel merito basti osservare, in ogni caso, che è del tutto indimostrata in fatto la conoscenza in capo a ciascuna delle predette non meglio identificate parti civili, al momento di acquistare i titoli, tanto dell'esistenza stessa quanto, a fortiori, dell'entità e portata complessive del fenomeno del finanziamento correlato, come pure la conoscenza di quali potessero essere le sue conseguenze sulla sorte dei titoli B. e più in generale sulla solidità dell'istituto di credito emittente. Al riguardo coglie nel segno il primo giudice allorquando evidenzia (cfr. pagg. 826-827 sentenza gravata) che "resta uno scollamento tra la cessazione delle condotte delittuose e il disvelamento, il che ha determinato il protrarsi degli effetti di una errata rappresentazione al mercato della reale situazione dell'istituto con indubbio svantaggio informativo (indotto dalle condotte delittuose) per l'investitore". Quanto poi a coloro che hanno acquistato azioni in conseguenza delle operazioni di finanziamento correlato (paragrafo 1.6. dell'impugnata ordinanza 21.3.2019), non è fondato l'assunto difensivo di partenza, secondo cui almeno costoro, fra gli acquirenti dei titoli, sarebbero stati pienamente consapevoli di partecipare a un'operazione illecita. Ciò che ha reso penalmente rilevanti le operazioni in oggetto è stato il mancato scomputo dal patrimonio di vigilanza dei titoli che grazie ad esse venivano acquistati dai soggetti finanziati; questi ultimi, al momento dell'acquisto, non potevano sapere che la banca avrebbe tenuto tale contegno omissivo né potevano sapere che essa non avrebbe rispettato le procedure autorizzative di legge concernenti l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie. In ogni caso non è stata fornita la dimostrazione di una siffatta conoscenza in capo a costoro. Si osserva anzi (e il tema verrà più ampiamente trattato infra con riguardo, in particolare, alla posizione dell'imputato MA.) che all'epoca era finanche assai controverso - in dottrina e finanche nella giurisprudenza di legittimità - lo stesso assoggettamento, o meno, delle banche cooperative e popolari al disposto dell'art. 2358 c.c., il quale detta per l'appunto le condizioni affinché una società possa, direttamente o indirettamente, accordare prestiti o fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni. La difesa del GI. obietta che quantomeno gli azionisti destinatari di lettere d'impegno non potevano non essere consapevoli dell'illiceità delle operazioni in questione. In contrario può osservarsi, in aggiunta a quanto fin qui detto: a) che le lettere di impegno emerse nel corso dell'attività ispettiva sono in numero appena superiore alla sessantina; b) che semmai i loro destinatari erano stati ulteriormente indotti - per tale via - al convincimento, dimostratosi in ultima analisi fallace, di detenere titoli non solo liquidi ma anche e soprattutto immediatamente liquidabili in ogni tempo senza assunzione di rischi di sorta. Un'efficace confutazione della suddetta tesi difensiva si rinviene d'altronde - esemplificativamente e in aggiunta alle altre deposizioni, dì tenore analogo sul punto, già citate nella nota 733 di pag. 827 della sentenza gravata - pure nella deposizione del teste Va.Ma., vertice del gruppo "So." (pag. 9 verbale stenotipia" 12.12.2019). A tale ultimo proposito, pertanto, può dirsi che colga senz'altro nel segno l'argomentazione del primo giudice - cfr. pag. 827 sentenza gravata - secondo cui "conseguenze dannose restano comunque certamente configuratoli a fronte della esposizione debitoria segnalata alla centrale rischi e all'addebito dei costi del finanziamento". Quanto infine a coloro che hanno messo in vendita le loro azioni (paragrafo 1.7. dell'impugnata ordinanza 21-3,2019), si ravvisano anzitutto profili di inammissibilità del motivo dì gravame stante la sua assoluta genericità, non venendo in alcun modo individuate, ivi, le parti civili delle quali si chiede l'esclusione per tale ragione. Nel merito basti osservare, in ogni caso, che per costoro il danno aveva già iniziato a prodursi anteriormente alla successiva messa in vendita dei titoli. Non è fondato l'assunto difensivo di partenza secondo cui, con la vendita dei titoli stessi, si sarebbe interrotto ex se il nesso causale, con l'inevitabile venir meno di quella consequenzialità immediata tra reato e danno che è richiesta dagli artt. 1223 e 1227 c.c.. A tal proposito non vi è, qui, ragione di discostarsi dal costante e consolidato insegnamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale, con riguardo all'illecito civile, si ha interruzione del nesso di causalità soltanto nell'ipotesi - con ogni evidenza non ricorrente nella presente fattispecie - in cui la causa sopravvenuta (che può identificarsi anche con la condotta dello stesso danneggiato) sia da sola sufficiente a provocare l'evento, in quanto autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, sì da assorbire sul piano giuridico ogni diverso antecedente causale e ridurlo al ruolo di semplice occasione. In tal senso cfr., da ultimo, Cass. Civ. Sez. 3, ordinanza n. 21563 del 07/07/2022 resa su ricorso proposto da Du.Em. e Mi.Ol. c. Ente Parco Regionale del fiume Si. In senso del tutto analogo cfr., ex multis, Cass. Civ. Sez. 3, sentenza n. 19180 del 19/07/2018 resa su ricorso proposto da Ga.En. c. No. S.a.s. e altri, secondo cui si ha interruzione del rapporto di causalità tra fatto del danneggiante ed evento dannoso per effetto del comportamento sopravvenuto dì altro soggetto (che può identificarsi anche con lo stesso danneggiato), quando il fatto di costui si ponga, ai sensi dell'art. 41, comma 2, c.p., come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito, ma non quando, essendo ancora in atto ed in fase dì sviluppo il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell'agente, nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto ed eventualmente dello stesso danneggiato) che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell'illecito. In tal caso - si badi - lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall'adozione di misure difensive o reattive a quella situazione, sempre che rispetto ad essa siano coerenti ed adeguate. 14.1.1.2. L'eccezione di nullità della sentenza impugnata ex art. 604 comma 3 c.p.p. per violazione dell'art. 522 c. 2 c.p.p. in relazione ai capi I e L (capitolo XXI dell'atto di appello, pagg. 134-137). Secondo la difesa il tribunale vicentino avrebbe condannato il GI., in relazione ai capi I e L (reati di falso in prospetto, dei quali va qui dichiarata in ogni caso l'estinzione per intervenuta prescrizione), per un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio, con conseguente eccepita violazione dell'art. 522 comma 2 c.p.p.. Nel decreto che dispone il giudizio, infatti, si contesta al GI. di avere preso direttamente parte alla materiale predisposizione dei testi dei due prospetti, laddove viceversa la sentenza gravata100, pur dando atto del mancato diretto coinvolgimento materiale del GI. (a differenza, secondo lo stesso primo giudice, di quanto poteva dirsi per gli imputati ZO. e PI.) nel processo di predisposizione e approvazione dei prospetti, ne avrebbe fondato - del tutto erroneamente - la penale responsabilità sulla mera asserita sua consapevolezza dell'occultamento delle operazioni finanziate. Ritiene questa Corte che l'eccezione di nullità ex art, 522 c.p.p. sia infondata e che l'affermazione di penale responsabilità nei confronti del GI., correttamente fatta dal primo giudice in epoca anteriore alla frattanto intervenuta estinzione per prescrizione dei due reati, andasse, semplicemente, da esso argomentata nel merito con diversa motivazione, non riscontrandosi per converso alcuna difformità tra il tenore di ambedue i rubricati capi d'imputazione I e L Gi.Em., in qualità di vice direttore generale responsabile della Divisione Mercati della medesima Banca, avendo coordinato ed attuato concretamente la predetta prassi, anche per il tramite delle strutture aziendali alle proprie dipendenze, particolarmente nella fase di proposta, conclusione e gestione delle operazioni con le controparti, e partecipando consapevolmente alla predisposizione dei prospetti, anche per il tramite delle proprie strutture ...") e il fatto concretamente da ascriversi all'imputato GI. sulla base della svolta istruttoria. Basti al riguardo citare - ponendo mente all'inciso, sopra evidenziato, "anche per il tramite delle proprie strutture" - il contenuto, in parte qua, della deposizione resa il 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dipendente di B. dal 2007 al 2018 con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza. Il teste Ca. (cfr. in particolare le pagg. 76, 78 e 91-92 del relativo verbale stenotipico) ha infatti individuato quali, in concreto, tra le strutture facenti capo alla Divisione Mercati capeggiata dal GI., ebbero a prendere parte diretta, per quanto di loro competenza, al gruppo di lavoro che curò la predisposizione dei prospetti in questione. 14.1.1.3. Il trattamento sanzionatone (capitoli III, XX - in parte qua - e XXII dell'atto di appello). Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato Em.Gi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere per i reati di falso in prospetto di cui ai capi 1 e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già si è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Ciò posto, risultano, come sopra accennato, condivisibili - in applicazione di tutti i canoni dì cui all'art. 133 c.p., nessuno escluso - le istanze difensive con le quali si chiede: a) che il giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p, sia condotto nel senso della prevalenza delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti nonostante l'entità eclatante dei fatti e dei danni cagionati; b) che venga adeguatamente ridotta l'entità degli aumenti dì pena praticati ex art. 81 cpv. c.p. a titolo di continuazione. Non può, infatti, non differenziarsi, in relazione ad ambedue tali profili, la posizione del GI. rispetto a quella degli altri imputati (viceversa ritenendosi adeguato all'oggettiva gravità dei fatti e delle loro conseguenze, in sé considerata, il mantenimento della pena base per il più grave reato sub capo H1 nella stessa misura - tre anni - già individuata in prime cure), e ciò sotto plurimi aspetti: - anzitutto si richiamano tutte le articolate considerazioni già svolte supra (nella parte generale della presente sentenza, par. 13) in relazione alle propalazioni auto ed etero accusatorie del GI., con riguardo tanto alla credibilità soggettiva del dichiarante quanto all'attendibilità e intrinseca consistenza del relativo contributo dichiarativo, quanto all'incidenza e pregnanza di tali propalazioni grazie alle quali il già solido quadro probatorio è andato ulteriormente rafforzandosi (con particolare - ma non esclusivo - riferimento alle posizioni dei due coimputati ZO. e PE.); - secondariamente si evidenzia come colga nel segno l'osservazione difensiva (svolta in relazione al capitolo XX dell'atto di appello, il quale è stato reso oggetto di rinuncia implicita tranne che per tale specifico e circoscritto aspetto) secondo cui può senz'altro valorizzarsi in senso favorevole al reo, ex art. 133 c.p., il fatto che lo stesso primo giudice, in relazione al capo N1, abbia riconosciuto - cfr. pag. 546 della gravata sentenza - che "le missive indicate in imputazione sono firmate da Sa.So., direttore generale di B., dall'istruttoria dibattimentale è emersa la prova che l'iniziativa commerciale tesa a garantire il buon esito dell'aumento di capitale è stata ideata ed organizzata dal direttore generale" (ossia, in altri termini, l'apporto concorsuale del GI. nella commissione del reato sub capo N1, ostacolo alla vigilanza Consob, vi è stato, sì, ma in veste di collaboratore ed esecutore materiale di direttive concepite e impartite dal d.g. Sa.So., non ponendosi quindi il GI. su un piano paritario con quest'ultimo (cfr. altresì pag. 547 della gravata sentenza: "Un fondamentale ruolo di supporto e collaborazione al direttore generale è stato svolto da Em.Gi., vicedirettore generale e responsabile della divisione mercati; le univoche risultanze probatorie sopra esposte dimostrano che egli ha puntualmente curato l'esecuzione e l'attuazione delle linee guida dettate dal suo diretto superiore Sa.So., nell'ambito della pianificazione commerciale dell'aumento di capitale"); - nella stessa ottica coglie nel segno anche l'ulteriore osservazione difensiva (svolta in relazione al capitolo III dell'atto di appello) secondo cui non risponde esattamente al vero l'assunto dell'Accusa - fatto proprio dal primo giudice - in base al quale il GI. avrebbe sempre operato, fino alla fine, in perfetta e paritaria sinergia con il direttore generale So. godendone la piena stima e condividendone integralmente ogni determinazione; in realtà emerge dalla svolta istruttoria come, da un lato, il GI. non godesse in effetti di una tale spiccata considerazione in seno a B. (viepiù vedendo egli progressivamente scemare col tempo la stima e la fiducia del d.g. So. nei suoi confronti, già mai state particolarmente elevate: cfr. in tal senso, puntualmente, le deposizioni dei testi Tu., Gi., Fa., Es., An., tutte debitamente citate alle pagg. 29-30 dell'atto di appello) mentre, dall'altro lato, il GI. - quanto meno a far tempo dal qui ripetutamente menzionato Comitato di Direzione 10,11.2014: cfr, tutti i passaggi già più volte citati sopra del relativo doc. 110 del P.M., in particolare le sue pagg. 40, 67-68, 76-77 e 78 - effettivamente si distingueva, all'interno di quel ristretto consesso di massimi dirigenti della banca, non solo per il fatto che mostrasse di avere piena e assoluta contezza delle dimensioni - ormai abnormi e ingestibili - assunte dal fenomeno dei finanziamenti correlati, in uno con l'ingravescente illiquidità dell'azione B., ma altresì per essersi già allora arrischiato ad esternare con grande chiarezza, sempre in quel ristretto consesso, le sue motivate e accorate preoccupazioni circa il modestissimo valore effettivo del titolo (oltretutto ormai "rivelato" - a una platea potenzialmente quanto mai vasta - dalle acute elucubrazioni di un articolo di stampa nazionale generalista, dal GI. ivi commentato: v. pag. 78 doc. 110 cit.) e circa le probabili rovinose conseguenze future del meccanismo perverso ormai avviato dalla banca, anche se poi, di fatto, egli non portò fino alle massime conseguenze tale suo sentire e continuò - nonostante tutto - a dare il suo apporto causale al perpetuarsi della scellerata quanto consolidata prassi ormai da anni intrapresa dalla banca. Davvero emblematiche, consapevoli e drammaticamente premonitrici, sul punto, sono le parole pronunciate dal GI. il 10 novembre 2014 in corrispondenza delle pagg. 67-68 del citato doc. 110 del P.M.; "VM 8 (GI.3 (...) Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo nei senso che, se a uno che tu gli hai dato 100; il valore ...eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati"; concetto, questo, di lì a poco ripreso e ribadito dal GI. nel medesimo ristretto consesso di vertice con parole di pari pregnanza e puntualità, a fronte delle quali può notarsi il ben diverso atteggiamento tenuto da altri fra gli astanti (cfr. pagg. 76-77 ibidem: "VM 8 (GI.): Faccio ... Per esempio, facciamo che siano 500 milioni, a titolo esemplificativo, no, e il valore dell'azione perde il 30%, sono 150 milioni che noi dovremmo ridare a questi qua in dieci anni, metti, no? Quindi, son 30 milioni... son 15 milioni l'anno. (...). - VM 10 (PI.): Sì, tocchiamoci i coglioni, comunque! (ride)"). Tenuto conto di tutti gli elementi sopra indicati, dunque, stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni due mesi sette giorni quindici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, che anche in questa sede si ritiene essere il più grave (la pur sopra illustrata "presa di coscienza" del GI. datata novembre 2014 - definita "ribellione interiore" dalla sua difesa in sede di discussione, cfr, pag. 39 verbale stenotipico 23.9.2022 - e l'altrettanto sopra illustrato scadente rapporto con il d.g. So., come detto, non si tradussero, in ogni caso, in un'astensione dal continuare a concorrere nei contegni penalmente rilevanti; tantomeno si tradussero nelle dimissioni e/o in una denuncia all'A.G.), anni tre di reclusione; ridotta ad anni due di reclusione per le concesse attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. in regime di prevalenza; aumentata di complessivi mesi sette e giorni quindici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, dì giorni ventisette per ciascuno degli ulteriori otto reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, M1, N1 e di giorni nove per il residuo reato di aggiotaggio sub capo A1). Ciò con la precisazione che l'aumento per la continuazione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue (in misura inferiore rispetto agli altri imputati per tutto quanto fin qui detto; lo stesso è a dirsi per l'aumento ex art. 81 cpv. c.p. relativo al residuo reato satellite di aggiotaggio) alla ritenuta individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento. Deve, infatti, evidenziarsi che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati di ostacolo alla vigilanza, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato, provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente, in prime cure, una pena diversa per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. La pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici va, infine, conseguentemente revocata. Per quanto poi attiene alla disposta confisca ex art. 2641 comma 2 c.c. "per il valore equivalente alla somma di Euro 963.000,000", va dato atto che l'imputato GI. è stato il solo, assieme all'imputato ZO., a formulare una doglianza al riguardo nel suo atto di gravame. Nondimeno si osserva che tale doglianza (succintamente espressa nel par. 6 del cap. XXII in tema di trattamento sanzionatorio: cfr. gli ultimi cinque righi di pag. 143 e i primi cinque righi di pag. 144 dell'atto di appello GI.), a differenza di quella - assai articolata - proveniente dalla difesa ZO., che investe anche l'an della confisca suddetta, è circoscritta al quantum della relativa statuizione e, precisamente, alla dedotta assente indicazione delle "ragioni per le quali Gi. è stato ritenuto responsabile della erogazione di tutti i finanziamenti strumentali alla formazione di quel capitale finanziato" (cfr. pag. 144 atto di appello). Si rinvia pertanto alla sottostante trattazione della posizione dell'imputato ZO. e più precisamente al par. 14.1.4,6 della presente sentenza, laddove si darà conto delle articolate argomentazioni - in fatto e in diritto - che inducono questa Corte, in accoglimento del relativo motivo di gravame prospettato dalla difesa ZO., a revocare tout court, per difetto del requisito della proporzionalità, la confisca disposta, per l'ammontare di 963 milioni Euro, nei confronti dì tutti gli imputati condannati in primo grado. 14.1.1.4. Le statuizioni civili (capitolo XXIII dell'atto di appello, pagg. 144-148). Le doglianze prospettate dalla difesa dell'imputato GI. nel suo ultimo motivo di gravame, avente ad oggetto il complesso delle statuizioni civili, possono riassumersi come segue: a) annunciata riserva di verificare, per la celebrazione del giudizio di appello, l'individuazione di eventuali revoche di costituzione di parte civile nei confronti del GI. non tenute in considerazione dal primo giudice; b) illegittimità - nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore di Banca d'Italia e Consob; insussistenza, in ogni caso, dei presupposti richiesti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in favore delle stesse parti civili; c) illegittimità - nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore delle parti civili private; insussistenza, in ogni caso, dei presupposti richiesti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in favore delle stesse; d) sussistenza, in subordine, dei presupposti ex art. 600 comma 3 c.p.p., per disporre la sospensione del pagamento delle disposte provvisionali; e) necessità di revocare le statuizioni inerenti alla condanna al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili private o comunque, in subordine, eccessività della relativa liquidazione operata dal primo giudice. Quanto al punto b), concernente la condanna al risarcimento dei danni - patrimoniali e non - in favore di Banca d'Italia e Consob da liquidarsi dinanzi al giudice civile, con condanna a una provvisionale (concernente il solo danno patrimoniale) in favore di ognuna delle due suddette parti civili, ritiene questa Corte che vada disattesa l'eccezione difensiva di insussistenza nell'an di danni risarcibili mentre, per converso, merita accoglimento la doglianza relativa all'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una provvisionale ai sensi dell'art. 539 comma 2 c.p.p.., dovendosi viceversa fare luogo, nei confronti dei due organismi di vigilanza, a una sentenza di condanna generica con rimessione in toto delle partì dinanzi al giudice civile senza previsione di alcuna provvisionale. Per ciò che concerne il pregiudizio non patrimoniale, ad avviso di questa Corte, l'an di un danno risarcibile a tale titolo può ravvisarsi quanto meno con riguardo al danno arrecato all'immagine dì ognuno dei due organismi di vigilanza. A tal proposito sì ritiene esente da censure la motivazione della gravata sentenza laddove (cfr. in particolare pag. 824) si sofferma sulla "compromissione della credibilità dell'attività svolta dalle autorità di vigilanza (...). Indice ne è il fatto che molte parti civili private hanno chiesto la citazione delle autorità di vigilanza come responsabili civili adducendone la responsabilità per non aver svolto la loro funzione con la necessaria diligenza, consentendo agli imputati di eludere i controlli e impedendo ai risparmiatori di conoscere il reale dissesto dell'istituto bancario, a riprova della percezione che le condotte delittuose hanno indotto di autorità di vigilanza inefficienti nel disimpegno delle proprie funzioni di vigilanza e, quindi, sostanzialmente inutili". Quanto poi al danno patrimoniale va debitamente evidenziato come sia la Banca d'Italia sia la Consob lo abbiano, esse stesse, esclusivamente "parametrato al costo sostenuto dall'Istituto per l'attività di vigilanza svolta dai propri funzionari e dirigenti nell'ambito dell'attività istruttoria espletata in relazione alle vicende in cui si sono contestualizzate le condotte di ostacolo e con riferimento alla collaborazione con l'autorità giudiziaria e altre autorità" (cfr. pag. 824 sentenza gravata, cit.). In altri termini, dunque, la sola posta di danno patrimoniale risarcibile ad essere stata effettivamente pretesa dai due istituti di vigilanza, e comunque la sola ad essere stata loro riconosciuta in prime cure (con l'esclusione, per ciò che concerne Banca d'Italia, dell'attività da essa svolta in relazione all'avvio della procedura di l. c.a., attività non ritenuta dal tribunale berico - cfr. pag. 825 sentenza appellata - causalmente connessa con le condotte di ostacolo e comunque qualificata, nella gravata sentenza, come attività interamente istituzionale avente carattere ordinario), è quella corrispondente al c.d. "danno da sviamento" (cfr. pag. 824 sentenza gravata, cit.: "Il danno in termini di dispersione di risorse, svolgimento di attività straordinaria, sviamento da altre attività ha trovato riscontro, sotto il profilo dell'An, nell'istruttoria dibattimentale: sono stati sentiti gli ispettori che hanno condotto le verifiche per conto delle rispettive autorità di vigilanza; sono state prodotte le relazioni ispettive che danno conto dell'attività svolta; l'istruttoria ha evidenziato la complessità degli accertamenti che hanno portato all'emersione delle condotte di ostacolo e le attività conseguenti che si sono rese necessarie"). Su tale presupposto il tribunale berico ha appuntato la propria statuizione di condanna degli imputati (con l'ovvia eccezione dei due assolti in prime cure, ossia Zi. e Pe.) al pagamento di altrettante provvisionali immediatamente esecutive in favore di Banca d'Italia e di Consob, così motivando (cfr. pagg. 824-825 sentenza gravata): "Le parti vanno, dunque, rimesse avanti al giudice civile per l'esatta quantificazione del danno. In questa sede può essere liquidata una provvisionale che si ritiene di commisurare al costo sostenuto dall'autorità di vigilanza per il dispendio di risorse in attività inutile e per l'attività straordinaria svolta a seguito delle condotte di ostacolo. I conteggi fatti dagli uffici interni sui costi complessivi sostenuti per l'attività svolta sono puntuali e costituiscono adeguato parametro di riferimento. A Banca d'Italia va dunque liquidata una provvisionale pari ad Euro 601.017,39: si è tenuto conto dei costi sostenuti per l'attività strettamente conseguente alle condotte di ostacolo e riconducibili all'aggravio dell'attività derivante dalla commissione dei reati (...). A CONSOB va liquidata una provvisionale pari ad Euro 186.570,00 (...)". Rileva tuttavia questa Corte come non si possa pronunciare, in favore di un organismo di vigilanza costituito parte civile nel processo penale, una condanna al risarcimento del cosiddetto "danno funzionale", rappresentato dallo sviamento e turbamento dell'attività di accertamento ispettivo, se non nel caso in cui dall'attività illecita derivi un pregiudizio patrimoniale, per il soggetto in questione, che sia ulteriore e dimostrato nel suo preciso ammontare rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale, Cfr. al riguardo Cass. Pen., Sez. 3, n. 52752 del 20/05/2014, Vi. e altro. In senso identico cfr. altresì, più recentemente, Cass. Pen. Sez. 5, n. 3555 del 07/09/2021 dep. 01/02/2022, Co., secondo cui, in tema di abusi di mercato, ove avvenga la costituzione di parte civile ad opera della Consob, il giudice non può pronunciare condanna al risarcimento del cosiddetto "danno funzionale", costituito dal costo dell'attività di vigilanza correlato all'istruttoria espletata per l'accertamento delle violazioni e l'irrogazione delle sanzioni, in quanto tale costo è posto, in via generale, a carico del bilancio statale per l'espletamento di attività che rientrano nelle funzioni istituzionali della Commissione, dovendosi fare salvi solamente i casi, nella motivazione del citato arresto definiti "eccezionali" o comunque "residuali", in cui dall'attività illecita dell'agente derivi un pregiudizio patrimoniale diretto, ulteriore e dimostrato nel suo preciso ammontare rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale. Resta inteso (cfr. sempre, in motivazione, la da ultimo citata Cass. Pen. 3555/2022, Co.) che è specifico onere dell'istituto di vigilanza costituitosi parte civile dimostrare quale effettivo pregiudizio, diverso e ulteriore rispetto all'esercizio della funzione istruttoria propria dell'ente, la condotta dell'imputato abbia in concreto cagionato; ciò in quanto (cfr., in motivazione, Cass. 52752/2014, Vi. e altro, cit.), se da un lato non si può in astratto escludere che una particolare attività illecita determini, in casi eccezionali, un danno patrimoniale concreto e specifico - ulteriore rispetto a quello costituito dal costo della normale attività istituzionale -, nondimeno il riconoscimento di tale danno richiederà che l'ente "fornisca rigorosamente puntuali elementi di prova sulla sua concreta esistenza ed entità nel particolare caso in esame". Ebbene, la documentazione prodotta al riguardo dai due istituti di vigilanza (avente ad oggetto "i conteggi fatti dagli uffici interni sui costi complessivi sostenuti per l'attività svolta": cfr. pag. 824 sentenza gravata; il riferimento è, per Banca d'Italia, ai suoi docc. 72 e 73 prodotti all'udienza del 6.10.2020 e, per Consob, alla nota Prot. 0093005 19 del 20 02 2019 prodotta all'udienza del 6.6.2019) non può dirsi in grado di soddisfare i requisiti posti dall'art. 539 comma 2 c.p.p. per il riconoscimento di una provvisionale immediatamente esecutiva, ponendosi come non idonea - in sé - a consentire di discernere con sicurezza, neppure in parte qua, quale ulteriore diverso e concreto pregiudizio i predetti enti abbiano potuto subire rispetto all'esercizio dell'istituzionale funzione istruttoria/ispettiva che è propria degli enti medesimi. La doglianza di cui al suesteso punto b) è stata proposta dalla sola difesa di Gi.Em. ma gli effetti del suo accoglimento (con la conseguente revoca delle provvisionali disposte in favore di Banca d'Italia e Consob) non possono che ritenersi estesi a tutti gli imputati. Quanto al suesteso punto c) delle censure espresse nel capitolo XXIII dell'appello dell'imputato GI. (vertente sull'asserita illegittimità nell'an - della condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non, patrimoniali in favore delle parti civili private, azionisti e obbligazionisti/ ovvero, in subordine, sull'insussistenza dei presupposti ex art. 539 comma 2 c.p.p. per la condanna al pagamento di una provvisionale in loro favore), le considerazioni difensive vanno viceversa disattese. Lo stesso appellante dà atto, in realtà, dell'esistenza di "elementi documentali specificamente allegati ai singoli atti di costituzione di parte civile" (cfr. pagg. 146-147 atto di appello), ed è proprio in base a tali elementi documentali che il primo giudice ha, questa volta correttamente, ritenuto integrato il requisito posto dall'art. 539 comma 2 c.p.p. ai fini del riconoscimento di una provvisionale, adottando un criterio-criterio - condivisibilmente da esso indicato come congruo - che quantifica, per ognuna delle parti civili richiedenti, l'entità di detta provvisionale "nella misura del 5% dell'importo nominale del valore delle obbligazioni od azioni acquistate, quale risultante dagli atti di costituzione di parte civile e relativi allegati e in ogni caso non super/ore ad Euro 20.000,00 per ciascuna parte, tenuto conto che gli importi che vengono in rilievo vanno da alcune migliaia di Euro sino a svariati milioni" (cfr. pag. 829 sentenza gravata). Né tale oggettivo dato documentale potrebbe mai essere posto nel nulla dall'obiezione difensiva - cfr. pagg. 146-147 atto di appello - secondo la quale il tribunale vicentino non ha provveduto a illustrare e valutare compiutamente ed espressamente in sentenza, per ciascuna singola parte civile privata, i contenuti dei suddetti allegati ai rispettivi atti di costituzione. Al riguardo va evidenziata, a fronte delle conseguenze - altrimenti esiziali in ispecie - del fenomeno del c.d. gigantismo processuale, la piena ostensibilità dei suddetti allegati documentali, ostensibilità che dunque consente di procedere, del tutto legittimamente, a una motivazione, sostanzialmente per relationem, del genere di quella adottata dal primo giudice, di cui questa Corte non può, sul punto, che condividere l'argomentare (cfr. pagg. 828-829 sentenza gravata: un dato di fatto che il rilevante numero di parti civili costituite nel presente procedimento non consente un esame specifico di ogni singola posizione. Non si può non evidenziare come l'accertamento del danno specifico concernente ogni singola posizione, a fronte di oltre 7000 parti civili costituite, avrebbe imposto una istruttoria specifica (peraltro non attivabile d'ufficio a fronte dell'onere sopra delineato a carico della parte) e comunque determinato una dilatazione dei tempi processuali incompatibile con le priorità assegnate nel processo penale e contraria agli interessi delle stesse parti civili, tenuto conto che il decorso del tempo costituisce specifica causa di estinzione del reato"). Quanto ai suestesi punti a), d) ed e) basti qui osservare, rispettivamente, che: - sub a) la riserva pur annunciata dalla difesa GI. non è poi stata sciolta; - sub d) le considerazioni svolte dalla difesa GI. ai sensi dell'art. 600 comma 3 c.p.p. sono oramai superate, nella presente sede, dalla necessità dì applicare il disposto dell'art. 605 comma 2 c.p.p.; - sub e) le valutazioni della difesa GI. (cfr. pag. 148 atto di appello), originate esclusivamente dalla considerazione secondo cui "pressoché tutti i patroni di parte civile sono stati assenti dal processo (al di fuori delle udienze relative alla costituzione di parte civile e alle udienze dedicate alle conclusioni)", collidono con il disposto dell'art. 12 del D.M. 55/2014 e successive modifiche, il quale, da un lato, necessariamente contempla una liquidazione per fasi e, dall'altro lato, attribuisce rilievo alla partecipazione in sé a ogni singola fase, inclusa quella decisionale, senza distinguere tra difese orali e scritte. Il tutto fermo restando che la sentenza di prime cure, alla sua pag. 830, ha in realtà dato espressamente atto che le difese delle parti civili private "non hanno svolto attività istruttoria e l'apporto nel corso delle udienze, salvo qualche eccezione, è stato limitato. La discussione, nella quasi totalità dei casi, si è limitata alla precisazione delle conclusioni", di ciò tenendo, quindi, già adeguatamente conto nella determinazione dei relativi importi. 14.1.2 L'appello nell'interesse di Ma.Pa. Il gravame proposto dalla difesa di Ma.Pa., ferme restando le considerazioni svolte nella soprastante parte generale (in particolare con riguardo al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa), è parzialmente fondato nei termini di seguito indicati. In particolare l'appello MA. è fondato laddove - cfr. pag. 121 nonché, più diffusamente, pagg. 179-180 atto di appello - ci si duole della declaratoria di penale responsabilità dell'imputato anche per i fatti contestati dall'Accusa come commessi nell'anno 2015 (essendo pacifico, in base agli atti, che il predetto MA. usci da B., passando a rivestire la carica dì direttore generale della siciliana Ba.Nu., in data 18.12.2014). In aggiunta a ciò Ma.Pa. va altresì assolto dai capi I e L di rubrica, corrispondenti ad altrettante fattispecie di falso in prospetto. Per tali reati contestati come commessi nelle date del 10 giugno 2013 e del 9 maggio 2014 - risulta invero maturato il termine di prescrizione; tuttavia con riguardo alla specifica posizione del MA., direttore della Divisione Crediti di B., va rilevato come la suddetta Divisione Crediti non risulti essere stata coinvolta nel gruppo di lavoro - che pure era trasversale a varie Divisioni della banca - in concreto deputato al compito di predisporre i prospetti informativi. A tale ultimo proposito cfr. la già citata deposizione specificamente resa sul punto all'udienza del 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dipendente di B. dal 2007 al 2018 con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza (deposizione in cui la Divisione Crediti non viene menzionata fra le pur numerose specificamente indicate dal teste come direttamente coinvolte nella predisposizione dei prospetti). Nelle restanti sue parti il gravame del MA. è infondato. Preliminarmente va dato atto che tutte le questioni dalla difesa trattate da pag. 1 a pag. 21 dell'atto di appello (eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio quanto a una parte delle imputazioni; eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10,11,2014; richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale), nonché tutte le questioni da essa trattate nella memoria di motivi aggiunti depositata in data 5.4.2022 (quest'ultima avente in verità ad oggetto unicamente richieste di rinnovazione istruttoria), sono già state approfonditamente vagliate e decise da questa Corte con l'ordinanza emessa in data 18.5.2022, alla quale senz'altro si rinvia. Al netto di tali questioni la rimanente parte del primo e assai articolato motivo di gravame (pagg. 21-181 atto di appello) consta di una serie di censure che contestano la sentenza impugnata sotto una pluralità di profili, ma che sono tutte accomunate dalla finalità di evidenziare le mancanze motivazionali asseritamente riscontrabili, nella trama argomentativa della decisione appellata, con specifico riferimento alla posizione dell'imputato MA.. Ad avviso dell'appellante, infatti, il primo giudice avrebbe erroneamente affermato il ruolo di concorrente del MA. in tutti i contestati reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto sulla base di elementi probatori inadeguati, carenti, ovvero smentiti da specifiche evidenze di segno contrario che, diversamente, deporrebbero per l'estraneità di costui rispetto ai fatti addebitatigli. Più specificamente ci si duole del fatto che la sentenza di prime cure, in relazione alla posizione dell'imputato MA., abbia: a) operato una costante sottrazione di elementi, pur presenti all'interno dell'istruttoria dibattimentale ma nemmeno considerati nella motivazione; b) attuato un'elusione delle questioni di fondo poste dalla difesa dell'imputato. Le suddette censure difensive possono riassumersi - in estrema sintesi - nei termini seguenti: - il tribunale si sarebbe ampiamente diffuso su aspetti concernenti la consapevolezza, in capo al MA., dell'esistenza in B. di operazioni correlate, e ciò ancorché l'imputato mai abbia sostenuto di esserne stato all'oscuro bensì abbia affermato di essere sempre stato genuinamente convinto della loro liceità per il fatto che fossero poste in essere nell'ambito di una banca cooperativa, il cui assoggettamento all'art. 2358 c.c. era del resto, all'epoca, ancora dibattuto in dottrina e in giurisprudenza (un parere legale richiesto dalla banca a un prestigioso studio, d'altra parte, aveva - a detta del MA. - escluso tale assoggettamento); inoltre non sarebbe dato comprendere come numerosi soggetti, buona parte dei quali sentiti come testimoni in dibattimento, benché pacificamente resisi autori materiali - in seno a B. - di operazioni di finanziamento correlato, non siano mai stati nemmeno indagati; del tutto inattendibili dovrebbero infine ritenersi i testi Ma.Bo. e An.Pa. - ai vertici rispettivamente l'uno della struttura dell'interna/audit e l'altra dell'ufficio legale della banca - essendo emerso dalla svolta istruttoria che gli stessi rimasero inerti ancorché ben edotti circa l'effettuazione in concreto delle operazioni correlate (cfr. pagg. 21-44 atto di appello); - la sentenza di primo grado avrebbe ricostruito in modo del tutto errato - alle sue pagg. 678-679 - le competenze e le funzioni della Divisione Crediti nel periodo 2012-2015, obliterando la delibera del CdA 7.2.2012 che le aveva ridisegnate ponendo gli Uffici Crediti, articolati su base territoriale, alle dipendenze delle Direzioni Regionali, a loro volta gerarchicamente inquadrate nella Divisione Mercati diretta dal coimputato Em.Gi.; in altri termini la Divisione Crediti diretta dal MA. non aveva ricoperto, in quell'arco temporale, alcun ruolo nell'erogazione e nel perfezionamento dei finanziamenti, attività demandata alle strutture della rete coordinate dalla Divisione Mercati, e ciò anche con riguardo alla c.d. "campagna pre-deliberato"; d'altro canto nessuno specifico rilievo era stato sollevato dalla vigilanza nei confronti della Divisione Crediti all'esito delle ispezioni del 2012 e del 2015 (cfr., pagg. 44-61 nonché 78-84 dell'atto di appello); - il primo giudice avrebbe attribuito un ingiustificato rilievo ai pretesi elementi sintomatici del carattere correlato dell'operazione di finanziamento, rappresentati in particolare: a) dalla c.d. "causale generica sentinella"; b) dalla c.d. "sfasatura temporale": la prima risultava essere stata applicata in B. da ben prima dell'assunzione del Ma. e comunque riguardava meno del 60% del complesso delle operazioni finanziate aventi carattere correlato, così come individuate dagli stessi consulenti del P.M.; la seconda, a detta di numerosi fra i testi escussi e non soltanto del MA., veniva sì regolarmente sollecitata da quest'ultimo, ma a nessun altro fine se non quello di evitare sconfinamenti di c/c (cfr. pagg. 61-78 atto di appello); - il convincimento del MA. circa la piena liceità delle operazioni di finanziamento correlato poste in essere sarebbe stato ulteriormente rafforzato - oltre che dalla consapevolezza dell'essere stato richiesto dalla banca, come detto, un parere legale a un prestigioso studio professionale - dall'assenza di comunicazioni di segno diverso da parte dell'internal audit e dell'ufficio legale, rispettivamente diretti dai già citati Ma.Bo. e An.Pa., oltre che dal contegno tenuto dal CdA - a sua volta composto non già da persone digiune della materia bensì da imprenditori di primo piano, da docenti universitari e finanche da un ex Ragioniere Generale dello Stato - che, sottoscrivendo ogni delibera, mai aveva espresso rilievi di sorta (cfr. pagg. 84-98 atto di appello). - il primo giudice, nell'occuparsi dell'ispezione condotta da Banca d'Italia nel 2012, avrebbe fatto malgoverno delle prove preferendo alla versione dei fatti resa - in senso congruente con la tesi difensiva del MA. - dal teste Ci.Am., dipendente B. direttamente subordinato allo stesso MA. nell'ambito della Divisione Crediti, secondo cui il MA. e i suoi diretti subordinati avrebbero messo a disposizione degli ispettori tutti gli incartamenti (in formato tanto cartaceo quanto digitale) relativi a una complessiva quindicina circa di posizioni di soci che avevano fruito di finanziamenti correlati, l'opposta ricostruzione sostenuta in maniera compatta da tutti i testi appartenenti al team ispettivo della Banca d'Italia, evidentemente interessati - sostiene l'appellante - a fugare dalle loro persone ogni pur giustificato sospetto di negligenza e/o lassismo nella conduzione dell'ispezione stessa. In particolare, prosegue l'appellante, non vi sarebbe ragione alcuna di prediligere - tra le deposizioni, radicalmente divergenti fra loro, rispettivamente rese dal teste Ci.Am. e dal teste ispettore Ge.Sa. (testi entrambi valutati come "debolmente attendibili" dal tribunale, che ha però ritenuto il Sa. ampiamente riscontrato tanto dalle deposizioni dei suoi colleghi quanto da elementi documentali acquisiti agli atti) - proprio quella dell'ispettore Sa. (cfr. pagg. 98-126 atto di appello); - il tribunale, nel valutare erroneamente come non credibile e contraddittorio l'esame dibattimentale del MA., ne avrebbe equivocato e travisato in più punti il contenuto, valorizzando per converso in maniera particolare le deposizioni sfavorevoli rese da testi, come ad esempio ii teste Bosso, essi sì di assai dubbia credibilità in quanto autori di condotte che - secondo l'appellante - ne avrebbero semmai legittimato l'iscrizione nel registro degli indagati (cfr. pagg. 126-149 atto di appello); - quanto alle fattispecie di ostacolo alla vigilanza contestate al MA., quelle sub capo M1, concernenti l'effettuazione del Comprehensive Assessment e dell'AQR (4sset Quality Review), non terrebbero in adeguata considerazione il fatto che non si fosse trattato di una verifica ispettiva bensì di un esercizio di natura prudenziale basato sull'utilizzo di metodi di tipo statistico non contemplati dai criteri contabili; né, per altro verso, al MA. poteva contestarsi di aver taciuto l'esistenza delle lettere di impegno al riacquisto e degli storni, avendone egli appreso l'esistenza solo all'esito dell'ispezione condotta da Bc. nel 2015 (cfr. pagg. 149-154 atto dì appello); - alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, insomma, la motivazione della gravata sentenza sarebbe viziata, circa il ravvisato apporto concorsuale dei MA. ex art. 110 c.p. alle condotte di cui ai capi d'imputazione, dal ricorso a una sorta di indebito automatismo presuntivo in base al quale dovrebbe ritenersi che tutti gli imputati indistintamente e quindi anche il MA. - a prescindere dal ruolo rivestito e dalle funzioni esercitate da ciascuno in concreto - fossero consapevoli del fatto che le c.d. operazioni "baciate" non venivano in concreto scomputate dal patrimonio di vigilanza nonché del loro carattere finalizzato, oltre che a svuotare ciclicamente il fondo acquisto azioni proprie, anche a fornire una distorta immagine di solidità del mercato azionario; viene ribadita al riguardo la differenza, rivendicata dall'appellante, tra il flusso informativo a disposizione della Divisione Crediti, diretta dal MA., e quello ben più intenso a disposizione della Divisione Mercati (cfr. pagg. 154-172 atto di appello); - in ogni caso difetterebbe il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso specificamente ascrivibile del maggiore capitale finanziato complessivo, sicché risulterebbe impossibile valutare la reale offensività di ciascuna condotta e, segnatamente, della condotta del MA., ferma restando la non ascrivibilità al predetto di qualsivoglia condotta contestata come posta in essere nell'anno 2015 (cfr. pagg. 173-181 atto di appello). Il sopra illustrato complesso di argomentazioni difensive non ha pregio (tranne quanto già detto supra circa la non ascrivibilità al MA. delle condotte contestategli come poste in essere nell'anno 2015 nonché delle condotte oggetto dei capi I e L). Vero è che - come chiarito in prime cure, e ulteriormente nel presente grado di giudizio, dalla svolta istruttoria orale dibattimentale (già in primo grado vi aveva comunque provveduto analiticamente il teste Ci.Gi., il quale, titolare della carica di capo area Vicenza Città fino alla primavera 2012, successivamente e fino al 31 dicembre 2014 ricoprì la carica di Direttore regionale del Veneto Occidentale, che raggruppava "le tre aree di Vicenza, quindi tutta la città di Vicenza e la provincia, e l'area di Padova, che comprendeva le filiali nella città e nella provincia di Padova": cfr. pagg. 33 e ss. verbale stenotipico udienza 13.6.2019) - nel triennio 2012-2015 l'attività di erogazione dei finanziamenti si articolava su base territoriale per singole aree (coordinate, per gruppi formati ciascuno da più aree, dai direttori regionali, figure istituite nel 2012) le quali andavano a formare una rete che in tale periodo faceva capo non già alla Divisione Crediti, il cui responsabile era il MA., bensì alla Divisione Mercati, il cui responsabile era il coimputato Em.Gi.. E' pertanto corretto affermare su tali basi, così come fa il difensore appellante, che la Divisione Crediti diretta dal MA. non ebbe a ricoprire in quell'arco temporale (primavera 2012 - dicembre 2014) alcun ruolo nell'erogazione dei finanziamenti, attività demandate invece alle strutture della rete coordinate dalla Divisione Mercati. Nondimeno il MA., come da lui stesso riconosciuto in sede di esame dibattimentale, pur non concorrendo a nessun titolo nella materiale attività di erogazione di tali finanziamenti correlati (a parte l'impulso determinante da lui impresso nell'isolato caso Ci.-(...), v. subito infra), giungeva comunque regolarmente a conoscenza diretta della loro esistenza in quanto le pratiche di finanziamento venivano sottoposte alla sua Divisione Crediti per la verifica - di competenza di tale Divisione - circa l'adeguatezza delle relative proposte. Il MA. aveva indi l'incarico di presentare personalmente, relazionando al riguardo, le pratiche di finanziamento di maggiore ammontare (ripartite, a seconda del loro valore, tra il Comitato Centrale Fidi, il Comitato Esecutivo e il CdA) agli organi collegiali. Atteso quanto sopra, dunque, coerentemente il MA. nel corso del suo esame dibattimentale, benché non fosse all'epoca dei fatti (né sia mai stato) a capo della Divisione Mercati bensì della Divisione Crediti, ha chiaramente affermato di essere stato pienamente a conoscenza dell'esistenza del vasto fenomeno delle c.d. operazioni "baciate" stipulate nell'ambito di B., a una delle quali egli invero ebbe finanche - eccezionalmente - a prendere parte diretta in prima persona, proponendo insistentemente all'interlocutore Ci.Ez. di sottoscrivere azioni per 5 milioni di Euro in quanto buon conoscente del predetto imprenditore, vertice del gruppo (...) (si rinvia per i dettagli di tale specifica operazione di finanziamento correlato alle pagg. 687-688 della sentenza appellata, ove è altresì ampiamente riportato il contenuto delle s.i.t., rese al riguardo dal Ci. nel relativo verbale dd. 24.10.2016, acquisito al fascicolo del dibattimento ai sensi dell'art. 493 comma 3 c.p.p.). Sulla piena e diretta conoscenza in capo a sé, riconosciuta dal MA., del fenomeno - divenuto a suo stesso dire sempre più massiccio col passare degli anni - del ricorso in B. a operazioni correlate cfr. le pagg. 15-22 della prima parte del suo esame dibattimentale contenuta nel verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020.. Si noti, per inciso, la corrispondenza tra quanto illustrato dall'imputato MA. in sede di esame dibattimentale circa la tipologia e collocazione geografica dei soggetti finanziati (e, negli anni a venire, rifinanziati) nell'ambito delle operazioni correlate ("I primi impianti vengono fatti a agosto, fine agosto, settembre, ottobre 2011. Le successive pratiche, tutte in aumento su questi nominativi vengono fatte negli anni 2012 e poi principalmente a fine 2013-2014. Stiamo parlando sempre degli stessi nominativi, perché quello che girava nei Consiglio di Amministrazione di nuovi..., adesso dico magari una..., impianto, impianto creditizio, cioè voglio dire nuovo impianto creditizio, nuovo affidamento, sono stati fatti tutti all'inizio, nel 2011. Successivamente erano tutti aumenti rispetto a quanto era già in essere. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - O rinnovi, anche? IMPUTATO MA. - Come? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - O anche rinnovi e basta? IMPUTATO MA. - Aumenti, rinnovi o revisioni, perché ogni anno c'erano le revisioni") e quanto lamentato al riguardo, nel corso del Comitato di Direzione del 10.11.2014, dal D.G. di B., Sa.So. (proprio perché tale staticità, basata sui rinnovi e sulle revisioni di vecchi finanziamenti correlati già erogati anni prima sempre agli stessi soggetti, per lo più radicati sul territorio veneto, rendeva sempre più rischioso mantenerli in essere; ed invero appena un paio di settimane prima rispetto a quel Comitato di Direzione, precisamente in data 27 ottobre 2014, era stato pubblicato l'articolo de "Il." a firma Cl.Ga., in atti sub doc, 207 del P.M., basato in parte non minimale sulle rivelazioni dell'imprenditore scledense Pa.Tr.). Nell'occasione del Comitato di Direzione 10.11.2014 il So. aveva infatti caldeggiato, di fronte al ristretto consesso dì vertici dirigenziali della B. formato per la quasi totalità dai suoi vice direttori generali, incluso il MA., un rinnovo del "parco" dei soggetti da rendere destinatari di operazioni di finanziamento correlato, possibilmente uscendo dalla regione Veneto per meglio assicurare la discrezione assoluta sulle anzidette operazioni (cfr. pagg. 35-36 della relativa trascrizione in atti sub doc. 110 del P.M.): "Sa. - E dopo dobbiamo sempre ricorrere al solito Ja. (trattasi del già citato teste Ci.Gi., all'epoca Direttore regionale del Veneto Occidentale che - come spiegato in udienza dal teste stesso - raggruppava "le tre aree ai Vicenza, quindi tutta la città di Vicenza e la provincia, e l'area di Padova, che comprendeva fe filiali nella città e nella provincia di Padova"), sempre ricorrere alla solita Vicenza, no? E, invece, bisogna che 1sta roba qui venga fatta Milano-Roma, noi dobbiamo trovare Milano-Roma, perché poi se ne parla meno, Se qui facciamo sempre e solo in ultima, facciamo intervenire i soliti, figurati se questi non parlano! Cioè, non ... non ... bisogna pianificarla meglio questa attività qua, dobbiamo ... uhm ... dobbiamo essere più confidenti e avere addirittura ... Avevamo anche detto che riuscivamo a a ... a recuperare qualcosa in più per smaltire le le ... le richieste pendenti. Fino ... Quindi, fino ad oggi, quanto abbiamo?". Ciò posto, osserva questa Corte come non sia in realtà di per sé radicalmente implausibile l'assunto del MA. secondo cui egli si sarebbe convinto - sul ritenuto presupposto della non applicabilità dell'art. 2358 c.c. alle banche cooperative - della liceità delle anzidette operazioni di finanziamento correlato, e ciò anche grazie alle rassicurazioni ricevute in tal senso tanto dai suoi colleghi con maggiore anzianità di servizio, come Se. e GI., quanto da un autorevole parere legale richiesto e ottenuto, a suo dire, dalla banca (parere legale al quale il suo difensore ha fatto ripetutamente riferimento, tanto nell'atto di appello - cfr, sua pag. 38 - quanto - cfr, pagg. 65-66 verbale stenotipico 30.9.2022 - in sede di discussione finale). Quanto meno non è sicuramente implausibile ritenere che, nel dubbio pur persistente al riguardo, in B. si fosse scelto, per evidente convenienza, di abbracciare la tesi dell'inapplicabilità della citata norma alle società cooperative. Effettivamente a quell'epoca si trattava di questione dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, ed anzi va detto che ancora nel 2015 la stessa Corte di cassazione ebbe ad esprimersi - richiamando suoi precedenti arresti - proprio nel senso della non applicabilità dell'art. 2358 ex. alle banche cooperative: cfr. Cass. Civ. Sez. 1, n. 9404 del 09/04/2015, Curatela Fallimento La. Sas contro Cr.Si. SpA (società, quest'ultima, che aveva incorporato la Banca (...)), non massimata, la quale - in motivazione - così argomenta: "L'art. 2358 c.c. che nel testo invocato dalla ricorrente vietava alle società per azioni di accettare in garanzia azioni proprie, non era in realtà applicabile atte società cooperative, per le quali già all'epoca l'art. 2522 c.c. (poi riprodotto nell'attuale art, 2529 c.c.) prevedeva che l'atto costitutivo potesse autorizzare gli amministratori ad acquistare o a rimborsare quote o azioni della società, Né alle banche popolari era applicabile l'art. 34 dei D.Lgs. n. 385 del 1993, che analogo divieto prevedeva (prima della sua abrogazione a opera dell'art. 5 D.Lgs. n. 542 del 1999), per le banche di credito cooperativo, perché il divieto non era invece imposto dall'art. 30 dello stesso D.Lgs. n. 385 del 1993, specificamente destinato alla disciplina appunto delle banche popolari. Nella giurisprudenza di questa corte, dei resto, si è già riconosciuto che fa natura cooperativa delle banche popolari ne giustificava una disciplina peculiare, diversificata rispetto a quella delle società per azioni; e in particolare che "è valida la clausola dello statuto di una banca popolare, con cui si prevede che le azioni della società sono vincolate a garanzia di qualsiasi obbligazione contratta dal socio con la società stessa, con conseguente facoltà, per gli amministratori della banca, in ipotesi di inadempimento del debitore, di procedere al rimborso ed all'annullamento di dette azioni, secondo le modalità previste in caso di recesso del socio, utilizzandone l'importo per estinguere il debito" (Cass. sez. I, 29 ottobre 1996, n. 9445, in Giust. Civ. 1997, p. 681)". Nondimeno, al di là del fatto che lo stesso istituto di credito, in occasione dei miniaucap 2013 e 2014, ebbe a ritenere applicabile tale norma, in ogni caso le operazioni di finanziamento correlato in oggetto, quand'anche si fossero potute considerare effettivamente lecite (stante la conformazione societaria di B.) in ossequio all'orientamento poco sopra illustrato, non per questo si sarebbero potute ritenere esenti dall'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza, trattandosi di due piani totalmente distinti fra loro e non sovrapponibili. Di ciò in verità il MA. ha riconosciuto di essere sempre stato pienamente consapevole allorquando ha dichiarato quanto segue: - interrogatorio reso dinanzi ai Pubblici Ministeri il 28.4.2017 alla presenza del suo difensore fiduciario (il cui verbale, al pari di quello del successivo interrogatorio svoltosi il 2.5.2017 con le medesime modalità, è stato acquisito al fascicolo del dibattimento in quanto prodotto dall'Accusa all'udienza del 18.6.2020 ai sensi dell'art. 503 c.p.p. giacché utilizzato per le contestazioni all'imputato in sede di esame nelle due udienze precedenti): "Confermo che ero consapevole che anche i finanziamenti correlati all'acquisto/sottoscrizione di azioni B. impattavano sul TIER 1 e che, pertanto, la loro esistenza doveva essere oggetto di segnalazione alla Banca d'Italia" (cfr. pag. 5 verbale di interrogatorio cit.); - esame dibattimentale (cfr. pag. 30 del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Lei conosceva quello che era l'impatto, invece, di questo tipo di operazioni sul Tier 1? IMPUTATO MA. - No. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - No. Al tempo disse: "Confermo che ero consapevole che anche i finanziamenti correlati all'acquisto o sottoscrizione di azioni impattavano sul Tier 1" IMPUTATO MA. - Sì, dell'impatto sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Questo le ho chiesto, "e che pertanto la loro esistenza doveva essere oggetto di segnalazione alla Banca d'Italia IMPUTATO MA. - No, lei mi ha chiesto se sapevo il peso sul Tier 1. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Forse mi sono spiegato male io. IMPUTATO MA. - Lei mi ha chiesto se sapevo il peso... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Cioè l'impatto. IMPUTATO MA. - Cioè l'impatto, pensavo... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ho usato il termine dell'interrogatorio. PRESIDENTE - L'impatto nel senso di deducibilità del capitale finanziato dal Tier 1, non la quantificazione. IMPUTATO MA. - Sì, no, no, avevo capito l'impatto in percentuale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - No, ma anche adesso, con riferimento allo svuotamento del fondo, lei ha utilizzato il termine, mi pare, "impattare", quindi pensavo che quello fosse... E lei disse al tempo: "All'epoca ero convinto che questo avvenisse effettivamente nelle segnalazioni periodiche", per correttezza le leggo anche questa cosa. IMPUTATO MA. - Sì."; - controesame dibattimentale condotto dal difensore di Banca d'Italia, avv. Ce. (cfr, pag. 67 verbale stenotipia) d'udienza 16 giugno 2020): "PARTE civile, AVV. Ce. - Va bene, chiudiamo qui, Lei dice, e devo dire, insomma, onore al merito, perché dice che conosceva l'obbligo di dedurre, la necessità di dedurre dal patrimonio le azioni finanziate. IMPUTATO MA. - Sì, io confermo. PARTE CIVILE, Avv. Ce. - Che sembra che non lo sapesse nessuno in questa banca". Il punto nodale da affrontare, pertanto, rimane unicamente quello della consapevolezza o meno, in capo al MA., del fatto che in realtà lo scomputo di tale capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza di B. non aveva luogo. Egli in sede di esame dibattimentale ha recisamente negato tale consapevolezza, affermando di essere sempre stato convinto che lo scomputo venisse regolarmente posto in essere e di non avere peraltro mai affrontato l'argomento con i colleghi della Divisione Bilancio: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi conferma questo? IMPUTATO MA. - Sì, io confermo, ero convinto che venisse scomputato, l'ho detto allora e lo dico adesso. Io però di questo non ne ho mai parlato con il Bilancio, eh, a chiedere se lo facevano. In quanto c'era una riserva indisponibile, da mie letture sull'argomento, voglio dire, del 2358 e quant'altro, c'era una riserva indisponibile statutaria di bilancio di 3,7 miliardi di Euro, ampiamente disponibile per te operazioni che vedevamo noi in sede centrale. Io ho visto girare, mi son fatto i miei calcoli ultimamente, un circa 400 milioni di operazioni, media, non superavano mai questo importo di delibere negli Organi collegiali (cfr, pag. 30 verbale stenotipico d'udienza 11 giugno 2020); "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - e l'evidenza nell'ambito dei dati di bilancio di queste operazioni lei ha avuto modo di apprenderla quale era? IMPUTATO MA. - No, guardi, io col bilancio non... PRESIDENTE - Chiedo scusa, dottor Ripeschi, quando dice "queste operazioni" fa riferimento agli storni o alle operazioni di capitale... pubblico MINISTERO, DOTT. Pi. - Scusi, alle operazioni di finanziamento correlato. PRESIDENTE - Non avevo capito io la domanda. IMPUTATO MA. - Sì, ma non ho capito la domanda io, Presidente. PRESIDENTE - Presumo, interpreto il Pubblico Ministero: la evidenza dai dati di bilancio nel senso della deducibilità, deduzione dal patrimonio di vigilanza, è quello che intende dire? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Certo, sì, si PRESIDENTE - Questo. IMPUTATO MA. - No, ho detto anche prima, io non avevo evidenze. L'unica cosa che vedevo nel bilancio, nelle tabelle integrative, le riserve statutarie e le riserve straordin... sovrapprezzo che coprivano quei finanziamenti, secondo me; e poi c'era (a tabella degli annullamenti delle compensazioni delle azioni. PRESIDENTE - Ex articolo 20? Operazioni ex articolo 20? IMPUTATO MA. - Ex articolo 16 e 20, che corrispondevano esattamente a quelle che portavamo in Consiglio di Amministrazione per annullare azioni e utilizzi, o per posizioni NPL oppure anche per operazioni ordinarie, perché ne sono state annullate anche di operazioni ordinarie. Quella tabella c'era, faceva un riassunto degli annullamenti (cfr. pagg. 46-47 verbale stenotipia) d'udienza 11 giugno 2020); la recisa negazione della circostanza è stata poi ribadita dal MA. durante il controesame condotto sempre in primo grado dal difensore di Banca d'Italia, avv. Ce. (cfr. pagg. 67-69 verbale stenotipico d'udienza 16 giugno 2020); detta negazione è infine stata ancora reiterata, nel presente grado di giudizio, in sede di spontanee dichiarazioni rese all'udienza del 24.6.2022 (le quali, articolate dal MA. in pochi brevi punti, non hanno aggiunto alcuna novità sostanziale - neppure sugli altri aspetti del thema decidendum - rispetto al contenuto dell'esame reso dall'imputato in primo grado). Viceversa - come contestatogli dal P.M. in udienza (cfr, pag. 47 verbale stenotipico 11.6.2020 nonché, più diffusamente, pag. 77 verbale stenotipico 16.6.2020) - il MA. aveva reso, al riguardo, dichiarazioni di ben altro tenore nell'interrogatorio del 2.5.2017 dinanzi ai Pubblici Ministeri, effettuato alla presenza del proprio difensore fiduciario (cfr. pag. 2 del relativo verbale): "Confermo che nei bilanci di competenza non vi era evidenza alcuna relativa alle operazioni baciate. Di questo non ho parlato con altri colleghi, nonostante che per i Mini Aucap 2013 e 2014 nei relativi bilanci d'esercizio emergessero i finanziamenti concessi ai clienti per la sottoscrizione di azioni B.. Preciso che non rientrava nelle mie competenze di responsabile della Divisione Crediti la redazione del bilancio d'esercizio, alla cui predisposizione non contribuivo in alcun modo. Avevo modo di prendere cognizione dei bilanci durante le annuali assemblee dei soci B., cui partecipavo in qualità di socio, Inoltre, sempre in tale veste, prendevo visione della Relazione finanziaria semestrale pubblicata dalla Banca stessa". In sede di esame dibattimentale il MA., a fronte della puntuale contestazione dell'Accusa, ha sostenuto, in evidente e totale contrasto con quanto dichiarato tre anni prima nell'interrogatorio 2.5.2017, di avere sì esaminato i bilanci, rendendosi in tale occasione conto del mancato i scomputo, ma di averlo fatto soltanto ex post, dopo la sua uscita da B.. Si veda al riguardo il seguente passo dell'esame dibattimentale (pag, 77 verbale stenotipico 16.6.2020): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - In ordine al confronto con, diciamo così, il Bilancio, quindi la Divisione Bilancio, io non ho capito, lei aveva al tempo verificato se queste operazioni che lei riteneva caratterizzate da questa correlazione erano evidenziate, nel senso se se ne era tenuto conto in bilancio, sì o no? Al tempo, non dopo. IMPUTATO MA. - No, no, non ho verificato. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ma allora quando nel verbale del 2 maggio 17 dice; "Confermo che nei bilanci di competenza non vi era evidenza alcuna relativa alle operazioni baciate. Di questo non ho parlato con altri colleghi, nonostante che per i mini aucap 13 e 14 nei relativi bilanci di esercizio emergessero i finanziamenti concessi ai clienti per la sottoscrizione di azioni Bp.". Cioè, pare di capire che è una cosa che fece già al tempo questa di dare un'occhiata ai fatto che nel bilancio... Questo è il suo verbale. IMPUTATO MA. " Sì, sì, ma io lì parlo dei bilanci, che me li sono guardati tutti dopo. Durante il periodo runica cosa che io ho colto era quella famosa delibera dei 100 milioni che hanno spostato come riserva indisponibile. Sul resto, per me erano all'interno della riserva sovrapprezzo azioni, Poi ho verificato dopo, quando sono uscito dalla banca. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Guardi, vado avanti perché io complessivamente da quello che era scritto avevo capito un'altra cosa: "Preciso che non rientrava nelle mie competenze di responsabile della Divisione Crediti la redazione del bilancio di esercizio, alla cui predisposizione non contribuivo in alcun modo. Avevo modo di prendere cognizione dei bilanci durante le annuali Assemblee dei soci B., cui partecipavo in qualità di socio. Inoltre, sempre in tale veste prendevo visione della relazione finanziaria semestrale pubblicata dalla banca stessa" Cioè quello che le ho letto adesso, con quello che le ho letto prima, mi avevano fatto capire invece che questa cosa l'avesse verificata. Lei dice che non è così? IMPUTATO MA. - No, io non l'ho verificata. Ero convintissimo che in quella riserva ci fosse lo spazio, come le ho detto e dico da due giorni. Mi ha colpito il mini aucap, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Avevo capito bene che c'era una differenza tra quello che ha detto e quello che io avevo inteso di qua e le ho letto, com'è mio diritto, la parte. Tutto qua. Ho finito, grazie". Ebbene, ritiene questa Corte che le dichiarazioni contra se - che a questo punto assumono rilievo dirimente in ordine all'elemento soggettivo del reato - contenute al riguardo nell'interrogatorio reso dal MA. ai Pubblici Ministeri il 2.5.2017 (alla presenza altresì del suo difensore fiduciario) abbiano valore di vera e propria prova nei suoi confronti, non limitandosi esse a incidere sulla mera valutazione di credibilità del suo esame dibattimentale, poiché trattasi di dichiarazioni rese dal MA. nell'immediatezza dell'inizio delle indagini preliminari avviate nei suoi confronti (e dunque decisamente più attendibili stante la stretta contingenza temporale: l'avviso di garanzia per i fatti da lui commessi in tesi accusatoria fino all'anno 2014 era stato notificato al MA. in data 24.4.2017) nonché in presenza di tutti i presupposti di cui ai commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p.. Non vi è infatti ragione di discostarsi dal costante e consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui le precedenti dichiarazioni difformi rese dall'imputato nella fase predibattimentale, lette per le contestazioni nel corso del suo esame e conseguentemente acquisite al fascicolo per il dibattimento, possono essere utilizzate come prova contro lo stesso se sono state assunte con le modalità indicate all'art. 503, commi quinto e sesto, c.p.p.; se rivolte invece contro i coimputati possono essere utilizzate solo per stabilire la credibilità del dichiarante medesimo. In questo senso, fra le altre, vanno richiamate Cass. Pen. Sez. 3, n. 50435 del 12/05/2015, imp. S., nonché Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G.. Tale ultimo arresto - nel ritenere utilizzabili come prova le dichiarazioni confessorie rese dall'imputato in sede di interrogatorio innanzi al G.I.P. e impiegate per contestare la ritrattazione dello stesso compiuta nel corso dell'esame dibattimentale - ha precisato in motivazione, con convincente e condivisibile ragionamento richiamante anche vari precedenti conformi, che i primi tre commi dell'art. 503 c.p.p., dettano regole di carattere generale e disciplinano, soprattutto, l'esame delle parti private diverse dall'imputato, come è confermato dalla specifica regolamentazione - per l'imputato - contenuta nel predetto art. 503 c.p.p., commi 5 e 6; ed è proprio per questo motivo che il comma 4 richiama la regola contenuta nell'art. 500 c.p.p., comma 2, secondo la quale le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste (e quindi non si parla di imputato). Viceversa i commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p. dettano una regola completamente diversa per le dichiarazioni rese dall'imputato: "le dichiarazioni alle quali il difensore aveva diritto di assistere assunte dar Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria su delega del Pubblico Ministero sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal comma 3. La disposizione prevista dal comma 5 si applica anche per le dichiarazioni rese a norma dell'art. 294, art. 299, comma 3 ter; artt. 391 e 422". E' chiaro, quindi, che il legislatore "ha trattato in modo diverso le dichiarazioni delle parti private (simili ai testi, come, ad esempio, la P.C) regolamentate nell'art. 503 c.p.p. da quelle rese dall'imputato regolamentate sempre nello stesso art. 503. Per le prime si applicano tutte le regole del precedente art. 500 c.p.p. così come confermato anche dal richiamo del predetto articolo effettuato nell'art. 503, comma 4, per le seconde una regola del tutto diversa che si ricava chiaramente dall'art. 503 c.p.p., commi 5 e 6. In proposito è costante l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo il quale le dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento ai sensi dell'art. 503, commi 5 e 6, assumono piena efficacia probatoria e sono perciò utilizzabili ai fini della decisione ai sensi dell'art. 526 c.p.p. (si vedano Sez. 6, Sentenza n. 1167 dei 21/10/1998 Ud. - dep. 28/01/1999 - Rv. 213329; Sez. 1, Sentenza n. 42449 del 21/10/2009 Ud. - dep. 05/11/2009 - Rv. 245520), Conferma quanto sopra anche il fatto che la L. 1 marzo 2001, attua ti va dei principi del "giusto processo", mentre ha radicalmente mutato il regime di utilizzabilità delle dichiarazioni lette per le contestazioni al testimone, ripristinando l'originale regola di esclusione probatoria (salvo per i casi di cui al comma 4, eccezione, d'altronde, prevista nello stesso art. III Cost.), ha lasciato inalterata la disciplina prevista dall'art. 503 c.p.p. commi 5 e 6" (così, in motivazione, Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G., cit.). Ovviamente una lettura di detta disciplina compatibile con il principio del contraddittorio e ragioni di coerenza sistematica inducono a ritenere che gli effetti della contestazione siano distinti a seconda che essa riguardi il dichiarante (come in ispecie) ovvero altri coimputati: il "precedente difforme", nel primo caso, può essere utilizzato contro il dichiarante se le dichiarazioni contestate sono state assunte - come in ispecie sono state assunte - con le modalità indicate nei commi 5 e 6 dell'art. 503 c.p.p.; è solo nel secondo caso/ che, in applicazione dell'art. 500 c.p.p., comma 2 (richiamato dall'art. 503 c.p.p., comma 4), la dichiarazione dell'imputato esaminato può essere valutata unicamente per stabilire la credibilità dello stesso, salvo che ricorrano i presupposti dell'art. 500 c.p.p., comma 4. Ed invero, nel primo caso - precedente difforme utilizzato contro il dichiarante dopo le contestazioni di cui sopra -, che ricorre appunto in ispecie, siamo in presenza di dichiarazioni rese dall'indagato contra se, con l'assistenza del difensore e nel contraddittorio con il P.M.; dichiarazioni, poi, ritrattate in dibattimento e, quindi, sottoposte alle contestazioni del P.M. in base al precedente difforme. E' chiaro, dunque, che, in tal caso, non si viola alcuno dei principi di cui all'art. III Cost., Sul punto - come ricordato sempre dalla citata Cass. Pen. Sez. 2, n. 19618 del 12/02/2014, imp. D.G. - si è in tal senso pronunciata anche la Corte Costituzionale (C. Cost. 1 luglio 2009, n. 197). D'altra parte - fermo restando il carattere probatorio già di per sé dirimente circa l'elemento soggettivo, in ordine alla specifica posizione dell'imputato MA., delle dichiarazioni da questi rese il 2.5.2017 nel corso dell'interrogatorio reso dinanzi ai Pubblici Ministeri alla presenza del suo difensore fiduciario - questa Corte osserva che, più in generale, nessun senso avrebbero logicamente avuto, nel caso di effettivo convincimento dei vertici di B. (incluso il MA.) circa l'effettuato scomputo delle operazioni correlate dal patrimonio di vigilanza, tanto la "consegna del silenzio" vigente all'interno della banca (un esempio fra i molti è lo scambio di battute -"neanche il tuo cane io deve sapere" - tra Sa.So. e Um.Se. nel corso del comitato di direzione 10.11,2014: cfr. pagg. 30-31 del doc, 110 del P.M.), quanto la costante preoccupazione dello stesso imputato MA. di evitare di correre il benché minimo rischio di allertare gli organismi di vigilanza in ordine all'effettuazione di siffatte operazioni. A titolo esemplificativo, sotto l'ultimo dei due profili ora menzionati, si possono citare le seguenti emergenze processuali a carico del MA.: - deposizione del teste Co.Tu. (subalterno di Em.Gi. alla Divisione Mercati), pag. 70 del verbale stenotipico d'udienza 3.7.2019: "PUBBLICO MINISTERO DOTT. Sa. - Si ricorda, a dire di Mario, il perché di questi consigli? TESTIMONE TU. - Sempre, appunto, perché essendo un po' operazioni cosiddette, chiamiamole, "borderline", non ci fosse proprio la coincidenza dei tre eventi, cioè delibera, sottoscrizione e addebito, nella stessa data, Quindi che Consob e Banca d'Italia potevano in qualche modo dire qualcosa"; - intervento del MA. (corrispondente a "VM9", come egli stesso in sede di esame ha riconosciuto, cfr. pag. 58 verbale stenotipico 11 giugno 2020: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Pagina 42, invece, dice, 42 e a seguire, voce maschile 9, si, sa chi è? - IMPUTATO MA. - Sono io") nel f Comitato di Direzione del 10.11.2014, pagg. 42-44 della relativa trascrizione in atti sub doc. 110 del P.M., ove il MA. disserta con Pi.An. (VM10) in ordine a un'operazione correlata (cfr. sul punto anche pagg. 7-8 del verbale di interrogatorio MA. del 28.2.2017), prospettata dal PI. come possibile, da condursi con un soggetto avente sede in Roma (trattasi, come si vedrà infrat di quella che poi fu l'operazione "So.") e finalizzata a cercare di consentire l'uscita dai fondi esteri di 27 sui 42 milioni di Euro in azioni B. in essi ancora giacenti; ivi il MA. insiste in maniera particolare sulla necessità di non far coincidere l'entità del finanziamento con il valore delle azioni acquistate e di destinare una parte di esso all'acquisto di altri prodotti diversi dalle azioni in modo da non suscitare l'attenzione degli organismi di vigilanza: "VM 9 (Voce lontana) Bon bon non ... più che altro poi... No, cioè, nel senso che ... cioè, che non ci sia il collegamento tra 27 e 15, cioè V M 10 No, no, no, V M 9 (voce lontana) (inc.) piuttosto facciamo 3 milioni in più di finanziamento. V M 10 Ah, sì, sì, sì, V M 9 Capito? Ecco, e, quindi, gli facciamo comprare qualcos'altro E' questo un po'... V M 10 Sì, sì, sì, V M 9 Di non fare importi baciati, questo volevo dire, ecco, tutto qua. Sa. Va bene V M 10 Si può fare una roba ... V M 9 (voce lontana) Cioè, voglio dire, ne fai 25, dopo gli do un fido di 29, con gli altri 4 compra qualcos'altro (voci sovrapposte) (inc.) Sa. Oppure anche se lo portiamo ... V M 9 (voce lontana) E, dopo, gli altri 2, gliene piazziamo un altro, con un finanziamento di 4 (inc.) azioni, ma ... hai capito? Cioè, riesci a fare un misto (voci sovrapposte) (inc.)" - esame dibattimentale dello stesso MA. (cfr. pagg. 60-61 del verbale stenotipico d'udienza 11,6.2020), ove l'imputato, nel commentare proprio quello specifico passo della trascrizione del Comitato di Direzione del 10.11.2014, non si fa remore (come, del resto, già in precedenza nel corso del suo interrogatorio del 2.5.2017, ancor più esplicito sul punto: cfr. pag. 4 del relativo verbale) nel dichiarare che era per lui un'esigenza imprescindibile quella di evitare l'uso di ogni formula atta ad allertare, potenzialmente, gli organismi di vigilanza circa il carattere correlato della ivi ventilata operazione. Considerate, inoltre, le ulteriori discrasie - illustrate nelle pagg. 693 e ss. della gravata sentenza - tra i due interrogatori resi dal MA. il 28.4.2017 e il 2.5.2017 da un lato e il suo esame dibattimentale dall'altro lato, possono ritenersi provate a carico del MA., alla stregua delle considerazioni sopra svolte, quanto meno le seguenti altre rilevanti circostanze, dapprima ammesse nell'immediatezza dell'avvio delle indagini e indi ritrattate - o comunque significativamente ridimensionate - in dibattimento dall'imputato: - rilevanza dell'utilizzo della c,d. "causale generica sentinella": "In questa fase, ulteriore elemento che mi ha permesso di capire la natura correlata (all'acquisto di azioni B.) delle operazioni di finanziamento, è stata la formula che per prassi veniva inserita nella P.E.F., vale a dire espressioni del tipo "acquisto valori mobiliari o immobiliare" oppure "cogliere opportunità nel mercato mobiliare o immobiliare" (cfr. pag. 3 verbale di interrogatorio 28.4.2017), fermo restando che comunque una percentuale tutt'altro che irrilevante dei finanziamenti correlati (pari a poco meno del 40%), in base alla stessa relazione depositata dai consulenti del P.M., non era invece connotata dall'utilizzo di tale causale; - consapevolezza "in tempo reale" dell'esistenza del fenomeno degli storni (fenomeno che, viceversa, in sede di esame dibattimentale - cfr. pagg. 45-46 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 - il MA. ha sostenuto essergli divenuto noto solo nel 2015 quando ormai era divenuto direttore generale della siciliana Ba.Nu.): "Comunque, per i finanziamenti baciati, le condizioni economiche erano di mercato; in genere, lo spread era previsto nella misura del 1-1,5%, da aggiungersi al tasso EURIBOR trimestrale o semestrale del periodo (si trattava sempre di finanziamenti a tasso variabile). Ciò nonostante, la redditività di alcuni di questi rapporti era negativa in conseguenza degli "storni" di competenza e/o di valuta riconosciuti Nel corso delle sedute del CdA è capitato più volte che, in sede di esame della proposta di rinnovo di un finanziamento baciato, all'esito della mia esposizione della relativa proposta, qualche consigliere abbia chiesto spiegazione delle motivazioni di tale redditività negativa. A queste domande, rispondeva sempre il D.G. So. giustificando la redditività negativa con motivi tecnici e, comunque, rassicurava il Consiglio dicendo che avrebbe dato indicazione alla Divisione Mercati di rivedere le condizioni del finanziamento in esame" (cfr. pag. 2 verbale di interrogatorio 2.5.2017); - carattere effettivamente correlato - peraltro agevolmente evincibile già dalle pagg. 41-44 della trascrizione del file audio del Comitato di Direzione 10.11.2014, doc 110 del P.M. nonché, più ancora, dalla deposizione del teste Va.Ma. e dall'intercettazione n. progr. 478 dell'8.9.2015, sulla quale v. subito infra - della c,d. operazione "So." (cfr. pagg. 7-8 verbale di interrogatorio 28.4.2017), viceversa negato dal MA. in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 54 e ss. del verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020). In relazione all'operazione "So." la difesa, alle pagg. 25-26 della memoria depositata all'udienza del 30.9.2022 a conclusione della propria arringa (nonché nel corso di quest'ultima: cfr. pagg. 71-72 verbale stenotipico 30.9.2022), ha inteso sostenere, allegando a tale atto una P.E.F. redatta in tal senso il 27.11.2014 con delibera favorevole del CdA datata 2.12.2014, che si trattò non già di una operazione di finanziamento correlato (c.d. "baciata") bensì di un'operazione di tutt'altra natura, immobiliare, citando peraltro all'uopo solo un breve stralcio iniziale dell'esame del teste Va.Ma. (A.D. del Gruppo So.) estrapolato dal contesto ben più ampio della sua complessiva deposizione resa all'udienza del 12.12,2019. Dal prosieguo della deposizione Ma., viceversa, emerge chiaramente: - che lo stesso Ma. aveva effettivamente intavolato, con B., iniziali trattative unicamente finalizzate a che detto istituto di credito entrasse, con una trentina di milioni di Euro, a far parte di un sindacato di banche chiamato ad erogare a So. un normale e regolare mutuo immobiliare destinato a finanziare l'acquisto di "un immobile in America, in Throne Building, che è un immobile fatto proprio a trono, dove c'è il Civic Opera House di Chicago, ed era un immobile che costava sui 120 milioni di dollari, e stavamo cercando delle banche per un mutuo" (cfr, pag. 10 esame testimoniale cit., prima parte; le modalità di quello che sarebbe dovuto essere il mutuo immobiliare erogato da B., in realtà mai perfezionatosi a livello di stipula contrattuale fra le due parti, sono poi spiegate dal teste Ma. alle pagg, 11-12 ibidem); - che tuttavia, mentre la prospettata operazione di mutuo immobiliare non venne alla fine mai perfezionata inter partes, accadde che Pi.An. (Direttore della Divisione Finanze di B.) chiese al Ma., verso la metà del mese di dicembre 2014, di comprare a sconto 25 milioni di azioni B. per aiutare la banca a collocarle (cfr, seconda parte pag. 10 esame testimoniale Cit.: "TESTIMONE Ma. - E poi avvenne che, poco prima di Natale, mi pare il 14, guardi, adesso non ricordo, o del 15, il dottor Pi. mi disse: siccome dobbiamo collocare un po' delle nostre azioni, se vi diamo un finanziamento di 25 milioni, comprereste delle nostre azioni? E io dissi: vabbè, tanto era un'operazione... Veramente prima sembrava dovesse essere un'operazione pronti contro termine, cioè 25 milioni di affidamento che dovevano servire per comprare l'immobile ci venivano dati, però, intanto, dovevamo fare un'operazione pronti contro termine acquistando titoli di Stato come sottostanti; in realtà, poi mi disse: invece di titoli di Stato, perché non prendete le nostre azioni? Rimasi un po'devo dire, perplesso, però poi lo abbiamo fatto (...). Ci tengo a dire, però, che questo finanziamento non ci fu dato, e noi lo abbiamo gestito, cioè non è che ci hanno dato 25 milioni e noi abbiamo visto un dollaro, un euro o una sterlina: entrarono e uscirono per comprare le azioni"); - che, come detto, nessuna operazione di mutuo immobiliare fu alla fine stipulata in concreto tra B. e il Gruppo So. benché le iniziali trattative avessero avuto quell'oggetto (cfr. pag. 12 esame testimoniale cit.: "TESTIMONE Ma. - Con il dottor Pi. si era avviato un rapporto, cercando di aumentare le operazioni da fare. E c'era questa operazione immobiliare che io ho evidenziato, e la Banca (...) mi chiese, dice: vorremmo entrare anche noi a far parte di questo pool di banche per finanziare l'operazione di Chicago, e io dissi va bene nell'ambito di questo... PRESIDENTE - Ma poi sono entrati in questo sindacato di banche? TESTIMONE Ma. - Beh, no, è successo che ci hanno chiesto questa operazione con le azioni, si è ritardato l'acquisto dell'immobile, e poi siamo rimasti con le azioni della banca che si sono deprezzate. PRESIDENTE "Cioè, quindi, questa operazione di finanziamento finalizzata all'acquisto di azioni? TESTIMONE Ma. - Si è deviata su quest'altra. PRESIDENTE - E non ha più avuto nessun nesso con l'operazione immobiliare? TESTIMONE Ma. - No, assolutamente no"); - che in concreto il suddetto finanziamento da 25 milioni dì Euro (con ogni evidenza, atteso quanto sopra, correlato all'acquisto di azioni B.: cfr, ad ulteriore riprova anche pag. 13 della deposizione Ma., laddove il teste riferisce di una promessa verbale di riacquisto delle azioni fattagli da An.Pi. e dal D.G. Sa.So. durante un incontro congiunto) venne erogato alla So. Group International Holding non già dalla capogruppo B. bensì dalla sua controllata irlandese Fi. (cfr. pagg. 10-11 esame testimoniale cit.). Fra l'altro è lo stesso imputato MA., nel corso del suo esame (cfr. pag. 61 verbale stenotipico 11.6.2020), a confermare che "L'operazione che è arrivata il 2 di dicembre, che è andata in delibera (...) l'hanno perfezionata mantenendo i depositi ma non facendo l'acquisto dell'immobile". Nel senso del carattere correlato dell'operazione "So.", già ben evidente da quanto fin qui detto, nonché nel senso della consapevolezza di ciò in capo al MA., milita del resto un ulteriore pregnante elemento probatorio. Trattasi della conversazione telefonica captata n. progr. 478 dell'8.9.2015 tra Fr.Io. (nuovo Direttore Generale di B., subentrato al posto di Sa.So., che nell'occasione - così dice Io. nelle prime battute della conversazione intercettata - doveva incontrarsi fra un'ora proprio con un legale del Gruppo So.) e Pa.Ma., pagg. 160-164 della perizia di trascrizione: (omissis) Per inciso un'altra affermazione resa dal MA. in sede di esame dibattimentale (cfr. pag. 63 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020 nonché pag. 48 verbale stenotipico d'udienza 16.6.2020), secondo cui egli avrebbe appreso solo a marzo 2015 dagli organi di stampa del rilascio di lettere di impegno da parte di B., è smentita dal tenore dei seguenti passi del doc 110 del P.M., corrispondente alla trascrizione del file audio del Comitato di Direzione del 10.11.2014, al quale il MA. era presente: (omissis) Con ogni evidenza, invece, quand'anche il tenore del passo del Comitato di Direzione 10.11,2014 corrispondente alla pag. 40 della sua trascrizione (doc, 110 del P.M.) fosse - il che non è - di ambigua interpretazione, certo non può dirsi altrettanto del successivo passo di cui alla pag. 78, ove il parlante, che-anche in tal caso è Em.Gi., platealmente ed esplicitamente collega la necessità di emettere quella che egli chiama "side letter" al timore dell'acquirente di ritrovarsi titolare di azioni B. fortemente deprezzate rispetto al valore nominale da tempo fissato in Euro 62,50, come ormai andavano pubblicamente ventilando alcuni organi di stampa. Ciò posto, non è fondato neppure l'assunto difensivo - cfr, pagg. 174-178 atto di appello - secondo cui difetterebbe il dato quantitativo esattamente riferibile a ciascun imputato con riguardo alla frazione ad esso specificamente ascrivibile del maggiore capitale finanziato complessivo, sicché risulterebbe impossibile, a detta dell'appellante, valutare la reale offensività di ciascuna condotta e, segnatamente, della condotta del MA.. Al contrario, proprio muovendo da quanto dichiarato anche in sede di esame dibattimentale dallo stesso MA. - cfr. pagg, 35-36 del verbale stenotipico d'udienza 16.6.2020 - circa le sue competenze in tema di deliberazione individuale (fino all'ammontare di Euro 6 milioni) nonché in tema di presentazione delle pratiche di finanziamento ai vari organi collegiali (per le pratiche di valore superiore), risulta puntuale e ineccepibile la ricostruzione, operata dal tribunale di Vicenza alla pag. 700 dell'appellata sentenza, righi 24-38, del volume di finanziamenti correlati - obiettivamente ingente: si tratta di complessivi 800 milioni circa di euro - alla cui realizzazione il MA. ha direttamente prestato, rivestendo di volta in volta l'uno o l'altro dei suddetti ruoli, il suo personale apporto concorsuale. Ne consegue l'infondatezza, altresì, dello strettamente correlato ulteriore assunto difensivo (svolto alle pagg. 177-178 dell'atto di appello) secondo cui il giudicante si troverebbe per ciò stesso nell'impossibilità di "valutare se, sottratto al valore di mercato il capitale asseritamele finanziato per la parte direttamente riferibile a Ma./ il valore (delle azioni B.) sarebbe stato diverso od uguale, con riferimento ai ratios obbligatori" e dunque se la condotta dell'imputato - come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità in tema di aggiotaggio: l'appellante cita in particolare Cass. Pen. Sez. 5, n. 4324 del 08/11/2012 dep. 29/01/2013, Dall'Aglio e altro, nonché Cass. Pen. Sez. 5, n. 45829 del 16/07/2018, imp. F. - possa davvero definirsi "concretamente idonea ad influire sulla formazione della volontà negoziale dell'investitore e meglio persuaderlo della convenienza nell'impiego del denaro con l'investimento del titolo" (cfr. pag. 177 atto di appello, cit.). Le ingenti proporzioni, poco sopra illustrate, del fenomeno delle operazioni di finanziamento correlate alle quali il MA. ha, in una forma o nell'altra, prestato direttamente il suo apporto concorsuale - si tratta in buona sostanza dei due terzi circa del totale - consentono infatti di dare risposta senz'altro affermativa a tale quesito sollevato dalla difesa. D'altra parte è dimostrato in atti - cfr. in particolare, v. meglio infra, le pagg. 67-68, 76-77 e 78 del più volte citato doc. 110 del P.M. (trascrizione del file audio relativo al Comitato di Direzione 10.11.2014) in contrapposizione al doc, 646 del P.M., ossia alla rassicurante lettera ai soci datata 4.12.2014 a firma del Presidente ZO. (sulla quale parimenti v. infra) - come tutti i vertici dirigenziali dell'istituto di credito fossero consapevoli della pesante sopravvalutazione dell'azione B., che andava rivelandosi sempre più illiquida e sempre meno appetibile e che pure, per continuare a sostenere l'apparenza di forza e solidità ostentata dalla banca, andava offerta - e di fatto veniva offerta - dalla rete alla clientela con insistenza "martellante" (per usare un'icastica espressione impiegata dall'imputato GI. durante il Comitato di Direzione del 10.11.2014, cit., cfr. pag, 34 del doc. 110 del P.M.), mentre dall'altro lato andavano significativamente ingrossandosi le fila - peraltro destinate a una sempre più lunga attesa, della quale molti azionisti si dolevano con reclami formali - di coloro che richiedevano alla banca di poter vendere le azioni in loro possesso (a tutto il 10.11.2014 risultavano pendere a tal proposito 313 reclami formali di soci: cfr. pagg. 23-25 del doc, 110 del P.M.); costoro erano resi oggetto di rassicurazioni prive di qualsivoglia corrispondenza con la situazione reale del titolo B.. Ed invero nel ristretto consesso verticistico-dirigenziale del Comitato di Direzione 10.11.2014, alla presenza del direttore generale Sa.So. e di tutti gli altri vicedirettori generali incluso il MA., il direttore della Divisione Mercati Em.Gi. esprimeva - come già visto sopra nel trattarne la posizione - in termini quanto mai chiari la sua inquietudine: a) per i preoccupanti scenari che andavano profilandosi - quanto al drastico calo del valore effettivo del titolo azionario, il cui valore nominale era ancora, all'epoca, fissato a 62,50 euro - qualora non si fosse riusciti a trovare una soluzione al circolo vizioso instauratosi, in virtù del quale, nonostante un protratto massiccio ricorso al finanziamento correlato tale da impattare significativamente sul patrimonio di vigilanza, non solo continuavano ad esservi azioni B. per decine e decine di milioni di Euro da collocare con la massima urgenza (fatalmente, dunque, finendosi con il dover fare ricorso, ancora una volta, anche ai finanziamenti correlati), vuoi perché giacenti in eccesso nel fondo acquisto azioni proprie vuoi perché detenute da fondi esteri, ma altresì incombeva un numero oramai imponente di domande pendenti di vendita di ulteriori azioni B.; b) per il fatto che di tali preoccupanti scenari, nonostante la consegna del silenzio verso l'esterno pretesa in B. sull'argomento, avesse ormai iniziato a scrivere a più riprese - come già accennato saprà - la stampa nazionale (si vedano, entrambi acquisiti al fascicolo del dibattimento, il già citato articolo de "Il." del 24 ottobre 2014 a firma Cl.Ga. nonché un altro articolo del "Co.", di un paio di settimane successivo, a firma Stefano Righi, intitolato "Banche, se Veneto e Vicenza valgono Ubi" (prodotto quale "fonte aperta" dalla difesa del coimputato Pi. all'udienza del 4,2,2020), ove si puntava l'attenzione sul fatto che B. e Ve., società cooperative per azioni non quotate in Borsa in relazione alle quali il valore del titolo azionario era determinato in via unilaterale mediante perizia affidata a uno specialista nominato dalla stessa banca, paradossalmente fossero "gli unici casi di banche che "valgono" di più del loro patrimonio netto iscritto a bilancio"; tale articolo di stampa si concludeva affermando che "si può anche applicare il rapporto di (...) ai titoli della Vicenza e della Veneto. In questo caso i titoli della Vicenza raggiungerebbero un valore di 21,90 euro; quelli di Ve. un valore di 15,20 Euro. Secondo i fautori del credito non quotato - principio condivisibile per i piccoli istituti locali e le Banche di credito cooperativo, assai meno quando le dimensioni diventano, appunto, europee - è una questione di principio. Ma talvolta, come cantava En., quando si dice che è per principio, è per i soldi. Gli stessi che molti azionisti di alcune banche popolari non quotate - tra cui Vicenza e Veneto - faticano a realizzare dalla vendita delle loro azioni, perché illiquide. li problema si trascina da tempo le assemblee della scorsa primavera e le ripetute lettere ai giornali ne sono testimonianza. Molti si sono voltati dall'altra parte, ma oggi una soluzione, europea o italiana, attraverso la Consob o le organizzazioni a tutela dei risparmiatori, andrebbe trovata"). Al riguardo sono illuminanti i seguenti passi dell'intervento del GI. - alla presenza, lo si ripete, del MA. e degli altri vicedirettori generali oltre che del direttore generale So., nessuno dei quali ivi esprime il benché minimo abbozzo di reazione anche solo moderatamente stupita - in seno al Comitato di Direzione 10.11,2014 (la numerazione delle pagine si riferisce sempre alla trascrizione, prodotta dal P.M. quale suo doc. 110, del relativo file audio): (omissis) Stridente è il contrasto tra la preoccupante situazione effettiva del titolo B. - come sopra esposta e in tal guisa ben nota a tutti i dirigenti di vertice della banca, incluso il MA. - e il tenore della lettera ai soci, a firma del presidente ZO., di lì a poco inviata ai titolari di azioni B. recante la data del 4.12.2014, in atti sub doc, 646 del P.M., ove si legge fra l'altro quanto segue: "(...), Abbiamo sempre fatto il nostro dovere di banca al servizio del territorio nell'interesse dei nostri Soci e dei nostri Clienti, ma per continuare lungo questa direttrice non dobbiamo farci distrarre né da chiacchiere né da pettegolezzi. Abbiamo bisogno solo di due cose. La prima riguarda il nostro Paese ed è l'attuazione più veloce possibile di politiche di governo, nazionali e comunitarie (...). La seconda cosa, altrettanto importante, è la fiducia dei Soci in questa Banca che vuole aiutarli a proteggere i loro investimenti. Abbiamo tutelato in questi anni il valore dell'azione Banca (...), evitando la quotazione in borsa dei nostro titolo anche quando tanti lo consideravano conveniente. Ora, dopo che negli ultimi dieci anni i titoli delle banche quotate hanno perso in media il 60% del loro valore mentre quello della nostra azione è cresciuto del 33%, sappiamo che abbiamo avuto ragione e che, i nostri 110.000 Soci ce ne sono grati So che qualche Socio lamenta che i tempi di vendita delle nostre azioni si sono allungati. E' vero, come è vero che, con la crisi, tutti i mercati sono rallentati e la domanda è debole, in ogni settore, persino quello Immobiliare (,..). Gli scenari economici che abbiamo davanti non sono ancora incoraggianti ma siamo una banca forte e sana e non ci fermeremo nel nostro percorso di crescita (...)". Alla stregua delle considerazioni da ultimo esposte, dunque, sono destituite di fondamento anche le argomentazioni difensive svolte alle pagg. 177 -178 dell'atto di appello. Ciò posto, vanno disattese anche le censure sollevate dall'appellante in tema di ostacolo alla vigilanza. Giova anzitutto ricordare che il MA., in sede di esame dibattimentale (cfr. pag. 76 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020), ha sostenuto: - non soltanto di avere provveduto in data 4.7.2012 a ordinare di far caricare nel disco/directory allestito e gestito dall'internal audit per Banca d'Italia (come risulta per tabulas anche dal carteggio via e-mail datato 4.7.2012 di cui al doc. 508 del P.M) il mero elenco - dal quale (basta esaminare il relativo documento, in atti, nulla però può evincersi, di per sé, in ordine alla correlazione o meno delle relative posizioni - dei primi 30 soci di B. per numero di azioni possedute con indicazione per ognuno del controvalore delle azioni, così esaudendo la richiesta rivoltagli a voce il giorno prima dagli ispettori Ge.Sa. e Vi.Te. su impulso proveniente dal capo del team ispettivo Gi.Sc. (richiesta conseguente alla scoperta, da parte degli ispettori, delle peculiari "sfasature temporali" che connotavano la singola posizione Ca.-Lu., in relazione alla quale il MA., a suo dire, ebbe a rispondere candidamente che si trattava di un finanziamento correlato); - ma di avere altresì, la sera stessa del 4 luglio 2012, consegnato egli personalmente a mano al team ispettivo la versione cartacea del medesimo elenco dei primi 30 soci poi caricato nel disco di Banca d'Italia in formato digitale, specificando in più a voce, contestualmente e del tutto spontaneamente, expressis verbis, che, fra quelle 30 posizioni, 14 presentavano finanziamenti correlati per l'acquisto di azioni B.; al che gli sarebbe stato risposto, sempre a voce, di mettere a disposizione di Banca d'Italia tutti i relativi incartamenti integrali, cosa che a detta del MA. sarebbe stata fatta - tanto in cartaceo quanto in digitale mediante caricamento nel disco/directory di Banca d'Italia previa scannerizzazione - già in data 5 luglio 2012 (cfr. pag. 76 cit.: "Il 3 luglio incontro, come da mio appunto, il dottor Te. e il dottor Sa. per realizzo coattivo di azioni, poi ce l'ho io anche l'originale, che è stato fotocopiato in interrogatorio, il 3 luglio me lo chiedono e mi dicono anche: "Su richiesta del dottor Sc. ci mandi l'elenco dei primi trenta soci della banca, con controvatore delle azioni, intanto ce lo mandi e poi ci venga a dire quali sono i finanziamenti in essere e quindi i fascicoli di queste posizioni", "Va bene". Il 4 luglio alla sera, come dagli elenchi che avete in interrogatorio, noi consegniamo tutti i realizzi coattivi e annullamenti che sono stati fatti dall'Ufficio Soci a seguito della richiesta del dottor Te., ai sensi del 16 e 20 dello Statuto, è stato fatto la sera del 4 luglio; io poi quel giorno lì ero da clienti, quando Am. è stato chiamato dal Direttore. Nel frattempo, quando ho consegnato l'elenco dei trenta e fatto caricare all'Audit, il 4 luglio sera, nel disco Bankit, sono salito, gliel'ho dato a mano e gli ho detto; "Di queste, quattordici posizioni hanno affidamenti", "Per cosa?", "95% i finanziamenti per comperare azioni, tipo Ca."f "Ci porti tutti i fascicolilo il giorno dopo ho fatto scannerizzare tutti i fascicoli di tutte quelle operazioni ti alla segreteria e sono stati consegnati a mano e poi caricati nel portale. Ho informato il Direttore Generale, anche per iscritto, il 5 luglio sera, che mi avevano chiesto di questi finanziamenti, ma l'altra cosa che mi è rimasta molto impressa è il primo mail di Ge.Sa. sulle richieste che ha fatto, dove come oggetto mette "info acquisto azioni Po.Vi.". Questo lui ha scritto nella e-mail come oggetto, che poi ce lo siamo girati tra tutti i dirigenti, quindi lui aveva già guardato diverse pratiche e chiedeva domanda di acquisto, la data di ammissione a soci e quant'altro, Poi lui ha fatto tutto con il dottor Am.; io dalla consegna del 5 luglio sera, di tutto quello che è stato fatto, di azioni con finanziamenti per acquisto azioni non ho più parlato con loro, ho seguito tutti gii altri tipi di pratiche ordinarie o crediti anomali o quant'altro"). Ciò che MA. nel suo esame definisce "il primo mail di Ge.Sa. sulle richieste che ha fatto, dove come oggetto mette "info acquisto azioni Po.Vi." fa parte della corrispondenza dì cui al doc. 509 del P.M., che comprende: a) la e-mail per l'appunto inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. della Divisione Crediti di B. alle ore 15.47 del 4.7,2012, testualmente intitolata "RICH IONFO ACQUISTO AZIONI NPOPVI" ed avente il seguente tenore: "Gent.mo dr Am., faccio riferimento alla verifica sugli azionisti B. che, allo stesso tempo, sono affidati dalla banca. Le chiedo cortesemente di verificare se per i nominativi indicati in calce (El., Te.Sa., Br.Fu.) - analogamente a quanto effettuato per i signori Ca. e Lu. - le date di acquisto delle azioni Po. e il tipo di provvista utilizzata" (l'Am. inoltrava per conoscenza tale e-mail al MA. alle ore 16.18 del 4.7.2012; a ciò seguiva, cfr. doc. 510 del P.M., rinvio da parte del MA. a Gi.Em. e a Tu.Co. della Divisione Mercati, nonché per conoscenza al proprio subalterno Ci.Am., di una e-mail in data 4.7.2012 ad ore 16.41, avente il seguente tenore: "Dei 30 primi soci presentati agli ispettori, le richieste per ora di approfondimenti dopo che il sottoscritto ha illustrato con posizione fido/cliente le controparti sono le tre sotto indicate. Prepariamo la documentazione con l'ausilio del collega Ro.Fi., già contattato da Am., e dal quale chiediamo celerità"), b) una seconda e-mail inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. alle ore 18.12 del 5.7.2012 (e inoltrata dall'Am. un paio di ore dopo a Fi.Ro. dell'Ufficio Soci oltre che al MA. e al collega Ba.Al.), intitolata "neh info acquisto azioni-integrazione" ed avente il seguente tenore: "Ad integrazione della precedente richiesta di pari oggi La prego di inserire anche i seguenti nominativi; To.Ma., Bu.Sa."; c) una e-mail indi inviata da Ma.Pa. al d.g. So.Sa. e al direttore della Divisione Mercati Gi.Em. alle ore 20.48 del 5.7.2012 ove, nell'inoltrare ai predetti la nuova richiesta formulata all'Am. dal Sa., il MA. così si esprimeva: "Hanno aggiunto richiesta informazioni. Su To. e Bu. che non fanno parte della lista dei 30 azionisti consegnata. Hanno guardato il Gruppo So. S.p.A. che abbiamo consegnato 20 gg. fa essendo nella lista di clienti con un accordato superiore ai 25 mm di Euro e hanno visto le posizioni. Ciao". In sede di esame il MA. ha proseguito affermando che il team ispettivo ebbe a parlare di posizioni di finanziamento correlato non solo con lui ma anche con il suo subalterno Ci.Am., precisando che di tutto quanto sopra, e in particolare della materiale consegna dei relativi incartamenti integrali in copia agli ispettori in aggiunta alla lista dei primi 30 soci (quest'ultima risultante pacificamente caricata sul disco/directory della Banca d'Italia: cfr., sub doc. 566 del P.M., la e-mail inviata al team ispettivo il 5.7.2012 ad ore 9.04 dal responsabile dell'internal audit Ma.Bo., addetto alla gestione di tale supporto), sarebbe stato a piena conoscenza anche il collega Sa.Re., a sua volta diretto subalterno dell'Am.: "Con me ne hanno parlato con quattro o cinque; il resto, di cui io avevo già parlato, le hanno richieste anche ai dottor Am., le stesse cose. Quindi con me o con il dottor Am.. La struttura era assolutamente informata che avevo consegnato, dei Crediti, tutti i fascicoli, perché hanno fatto le fotocopie e tutto quanto e Sa.Re. è andato a comunicarlo, come ho sentito, anche agli altri dirigenti" (cfr. pag. 77 verbale stenotipico d'udienza 11.6.2020). Sostanzialmente analoghe, nel loro nucleo essenziale, erano state le dichiarazioni rese sul punto dal MA. nei suoi interrogatori resi il 28.4.2017 e il 2.5.2017 dinanzi ai Pubblici Ministeri con l'assistenza del suo difensore fiduciario, con la differenza, però, che ivi l'imputato aveva affermato di avere personalmente discusso a voce con i due ispettori Te. e Sa. solo due delle quattordici posizioni "baciate" in oggetto (a suo dire ammontanti, come valore complessivo, a Euro 234 milioni; cifra, questa, che in effetti a più riprese la difesa in sede di discussione - cfr, in particolare pag, 75 verbale stenotipico 30.9.2022 e pag. 30 della coeva memoria conclusiva - ha dato nel presente giudizio per dimostrata ed evidente già nell'ispezione del 2012 - il che non è, come si vedrà infra - quanto al controvalore delle operazioni correlate che sarebbero state documentate al team ispettivo dalla Divisione Crediti), segnatamente la Ca.-Lu. e la Da., lasciando ai suoi subalterni - Ci.Am., An.Re., Pa.Se., ma di questi ultimi due il MA. si dichiarava non più sicuro nell'interrogatorio del 2 maggio, ribadendo tale incertezza anche nel suo esame dibattimentale dd. 11.6.2020, cfr. pag. 78 del relativo verbale stenotipico - il compito di discutere con gli ispettori le rimanenti posizioni "baciate". Al riguardo, tra la pag. 4 dell'interrogatorio 28 aprile 2017 e le pagg. 5-6 di quello del 2 maggio 2017, possono - come detto - notarsi apprezzabili discrasie; a sua volta, come si è visto, la versione dei fatti resa dal MA. nell'esame dibattimentale è ancora diversa su tale specifico punto. In ogni caso tanto il Se. (cfr, il suo esame dibattimentale alle pagg. 62-72 del verbale stenotipico d'udienza 30,1,2020) quanto il Re. (cfr. il verbale delle s.i.t. dallo stesso rese in data 15.9,2016, acquisito al fascicolo del dibattimento su consenso delle parti all'udienza del 29.9,2020) hanno recisamente negato che ciò sia avvenuto; a sua volta il teste Sa.Re. ha reso in sede di esame (cfr. pagg. 39-40 del verbale stenotipico d'udienza 12.12.2019) dichiarazioni di tenore opposto alle affermazioni del MA. che lo riguardano. Dal canto suo il teste Ci.Am. (il cui esame dibattimentale si è articolato nel primo grado del presente giudizio in due udienze: cfr. pagg. 66-122 verbale stenotipico 11.2.2020 e pagg. 12-88 verbale stenotipico 13.2.2020) ha reso in detta sede un'ampia deposizione, sostanzialmente congruente con la tesi difensiva del MA., i cui contenuti sono stati minuziosamente passati in rassegna (e vagliati analiticamente sia quanto alla loro coerenza intrinseca, rivelatasi in più punti estremamente carente, sia quanto ai pretesi riscontri esterni, rivelatisi in realtà inesistenti) dal giudice di prime cure: cfr. pagg. 454-457, 459-462 e 465-469 sentenza gravata. Ebbene, per ciò che attiene all'ispezione condotta da Banca d'Italia nel 2012 (tema affrontato dalla gravata sentenza, quanto al MA., alla pag. 692 mediante un rinvio "alla trattazione specifica nel capitolo IX" (in realtà sì tratta del capitolo Vili, par. 2., corrispondente alle pagg. 446-475 della sentenza di primo grado) la difesa, in ultima analisi, si fonda sul contrapporre la deposizione del teste Ci.Am. (appartenente alla Divisione Crediti diretta dal MA.), da essa indicato come "unico tra quelli sentiti che non aveva alcun interesse a nascondere qualcosa o a riferire cose diverse dal reale" (cfr, pag. 101 atto di appello) - il quale ha inteso confermare l'assunto del MA. circa l'avvenuto "disvelamento" al team ispettivo di Banca d'Italia di una quindicina circa di operazioni correlate (con asserita pronta consegna agli ispettori della relativa documentazione integrale) - al complesso delle deposizioni - tra loro convergenti, invece, nel senso che siffatto "disvelamento" non abbia mai avuto luogo - rese dai vari appartenenti al predetto team ispettivo; queste ultime deposizioni sarebbero tutte viziate, secondo la difesa, da un'inattendibilità dovuta al "peccato originale che Banca d'Italia vuole emendare in questo processo: ha creduto e ha incentivato la crescita della Banca (...) e ora, a banca collassata, non può permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva o, peggio, connivente" (cfr. pag. 103 atto di appello), definendo di conseguenza l'argomentazione del primo giudice at riguardo come "prima che ingenua, illogica: si può veramente pensare che fianca d'Italia possa pubblicamente, per voce dei suoi ispettori, ammettere di aver quantomeno tollerato che in Banca (...) ci fossero finanziamenti destinati all'acquisto di azioni?" (cfr. pag. 119 atto di appello). Ad avviso di questa Corte il primo giudice ha viceversa fatto buon governo di tale complesso materiale istruttorio (né ha apportato novità apprezzabili l'acquisizione, nel presente grado di giudizio, dei verbali delle dichiarazioni rese dai testi Am. e Sa. - nel distinto procedimento n. 1031/20 R,G. - 5628/15 R.G.N.R. in corso a carico di So.Sa. - in occasione delle udienze, rispettivamente, 8.3.2022 e 18.3.2022; sul punto v. più ampiamente infra). Valgano al riguardo le seguenti considerazioni. 1. Il tribunale ha opportunamente evidenziato "cfr. pag. 699 sentenza gravata - il silenzio serbato sul preteso "disvelamento delle 14 posizioni correlate" dal MA. con l'interlocutore Di.Gr. in una conversazione telefonica captata, la n. progr. 2342 del 29.10.2015 (pag. 182 perizia trascrizione), ove l'imputato da un lato commenta, con una risatina, "La Banca d'Italia le sa leggere le istruttorie o no, a questo punto mi chiedo, hai capito?" ma dall'altro lato, in concreto, si limita a riferire al Gr. - che era stato il D.G. di B. prima dell'avvento di Sa.So. - di avere "consegnato l'elenco dei primi trenta soci finanziati dalla banca all'ispezione della Banca d'Italia", non facendo viceversa parola della qui pretesa e rivendicata rivelazione agli ispettori, da parte della Divisione Crediti, del carattere correlato della metà circa di quelle posizioni: "(...) Pa.: Ma, e fermo, e poi quelle pratiche lì, adesso l'ho trovato, perché ho trovato nei miei file... nei miei file: nel 2012, durante l'ispezione... - V.M.: Sì... - Pa.: ...ho consegnato l'elenco dei primi trenta soci finanziati dalla banca all'ispezione della Banca d'Italia, e ci sono tutti sti nomi qua che mi stanno... Che la Banca d'Italia non ha riportato niente nel verbale che ci ha consegnato nel 2013... - V.M.: Eh, - Pa. (Risatina): Cioè, voglio dire, quindi, signori, son valutazioni di merito creditizio, non mi dice niente neanche la Banca d'Italia, cos'è che volete? - V.M.: Eh già, - Pa.: La Banca d'Italia le sa leggere le istruttorie o no, a questo punto mi chiedo, hai capito? (Risatina) Ecco. - V.M.: Sì... No, no. - Pa.: Vedremo, vedremo, dai. ("?.), Pa.; L'ottimo sarebbe lunedì ... a. - V.M.: Lunedì, lunedì. - Pa.: Beh, domani io vedo l'avvocato, potrei venire anche lunedì, così mi dai dei consigli anche te, dai. - V.M.; Esatto. - Pa.: Lunedì, va bene, dai. - V.M.: Lunedì... - Pa.; Sì. - V.M.: Lunedì sì, pari pari. - Pa.: Va bene. Va bene. (...)". Si noti in effetti che: a) il MA. in tale conversazione parla con Gr. esclusivamente dell'unico documento che nel presente giudizio è effettivamente certo sia stato trasmesso nel 2012 agli ispettori di Banca d'Italia, ossia dell'anodina "lista dei primi trenta soci" (in realtà, cfr. il relativo documento in atti sub doc. 508 del P.M., non erano i primi trenta "soci finanziati", come egli afferma, bensì i primi trenta soci per numero di azioni detenute; fra essi vi erano anche nominativi di grossi azionisti, come Am., con certezza mai resisi destinatari di finanziamenti correlati: cfr. al riguardo pag. 17 verbale stenotipico esame GI. reso il 15.6.2022 in grado di appello), senza viceversa menzionare né consegne di altra documentazione né esternazioni verbali fatte agli ispettori circa quali e quante, di quelle trenta posizioni, godessero di finanziamenti correlati; b) per giunta - e ciò è significativo - MA. precisa a Gr. di essersene ricordato solo consultando i suoi fife (il che risulterebbe quanto meno peculiare - date la rilevanza e la portata potenzialmente dirompente della circostanza, come tale suscettibile di essere nitidamente ricordata anche senza siffatto ausilio - se alla consegna dell'anodina lista dei primi trenta soci si fosse realmente affiancato il preteso "disvelamento" agli ispettori circa il carattere correlato dei finanziamenti sottesi alla metà circa di dette posizioni); c) non regge neppure la giustificazione, offerta dal MA. nel corso del suo esame e ripresa dal suo difensore in sede di discussione (cfr, pag. 75 verbale stenotipico 30.9.2022), secondo cui egli non sì sarebbe dilungato al riguardo col Gr. in quanto la conversazione verteva sui consigli da chiedergli per organizzare la propria difesa nella causa intrapresa dinanzi al giudice del lavoro: tale ultimo argomento ha in realtà solo sfiorato la conversazione in quanto subito rinviato a un loro successivo incontro in Toscana, che i due fissavano proprio in occasione di detta telefonata. Il MA. nel suo esame (cfr. pag. 23 verbale stenotipico 16.6.2020) sostiene poi di avere riferito al Gr. del "disvelamento" in altri contesti ma trattasi di circostanza completamente sfornita di prova. 2. Il tribunale - cfr. pag. 466 e ss. sentenza gravata - ha opportunamente evidenziato come i colleghi della Divisione Crediti Sa.Re., An.Re., Pa. Se., Ma.De., menzionati (cfr. pagg. 108-109 del verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020) dal teste Am. quali persone che egli aveva reso a vario titolo partecipi del riferito "disvelamento" agli ispettori, abbiano viceversa tutti negato di essere stati relazionati in tali termini dall'Am. (mentre quest'ultimo, anche nella successiva, deposizione da lui resa l'8.3.2022 nell'ambito del separato giudizio pendente"' nei confronti di So.Sa., ha insistito sul suo assunto, finanche sostenendo che il MA. "chiese ai colleghi" della segreteria crediti, che era un'unità che dipendeva dal collega Sa.Re. dell'analisi, di stampare fe pratiche e i fidi di garanzie di tutti quanti questi primi 30 soci. So che i colleghi portarono il carrello su nell'ufficio degli ispettori.": cfr. pag. 49 del relativo verbale stenotipico). Sul punto il gravame non si confronta adeguatamente con la motivazione del collegio berico, limitandosi di fatto ad estrapolare, citandoli alle pagg. 105-107 dell'atto di appello, stralci assai parziali della deposizione del solo teste De. (la quale nella sua interezza occupa le pagg. 56-75 del verbale stenotipico d'udienza 19.12.2019) e obliterando gli ulteriori passi della medesima deposizione, illuminanti per chiarezza, citati - per esteso - alle pagg. 467-469 della gravata sentenza, oltre a trascurare totalmente quanto dichiarato al riguardo dai testi Re, Se. e Re.. Tra l'altro osserva questa Corte come lo stesso teste Am., nelle battute conclusive del suo esame dibattimentale nel primo grado del presente giudizio (cfr. pagg. 79-80 del verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020), modifichi - rispondendo alle domande del presidente del collegio - le sue precedenti affermazioni in ordine alle asserite rivelazioni da lui fatte al collega Sa.Re., ridimensionandole in misura sostanziale. 3. Il tribunale ha opportunamente evidenziato come, tra le plurime contraddizioni nelle quali è incorso il teste Am., vi sia quella riguardante l'assenza di ogni cenno al preteso "disvelamento delle 14 posizioni correlate" nell'intervista da lui data all'internal audit nell'agosto 2015 e il fatto che dapprima - cfr. pag. 114 verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020 - egli abbia cercato di motivarla con l'asserito carattere "veloce" del relativo colloquio intercorso con il responsabile dell'audit Ma.Bo., tale da non avergli consentito di riferirgli tutto quanto a sua conoscenza, salvo poi - cfr. pag. 85 verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020 - mutare radicalmente impostazione, contraddicendosi in toto, e sostenere che in realtà egli aveva puntualmente riferito al Bo. in ordine al "disvelamento" ma che questi nulla scrisse. Infine, nella deposizione da ultimo resa in data 8.3.2022 nell'ambito del separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. (cfr. in particolare le pagg. 56-59 del relativo verbale stenotipico), l'Am., forse consapevole dell'insanabile contraddizione nella quale era caduto due anni prima deponendo quale teste nel presente giudizio, ha tentato - così facendo, però, risultando viepiù palesemente contraddittorio - di sostenere al tempo stesso, con l'obiettivo di contemperarle, la tesi dell'estrema "velocità" del suo colloquio con Bo. (dovuta all'avere questi avuto ben 70 interviste da condurre in un ristretto lasso di tempo), con conseguente mancanza del "tempo materiale" per poter riferire tutto al responsabile dell'internai audit, e la tesi, con essa configgente, dell'omissione posta in essere da parte dello stesso Bo. il quale non avrebbe riportato per iscritto tutto quanto pur riferitogli a voce dall'intervistato (al che il P.M. esaminante si è ritrovato a tentare, per vero senza apprezzabile successo, di ricondurre ad unità tale intrinsecamente contraddittoria deposizione, v. pag. 57 ibidem: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Però, Am., io voglio sapere: lei in quel contesto non ha riferito di questi tre episodi perché non ha avuto il tempo o perché invece li ha riferiti ma Bo. non li ha scritti? Sono due cose differenti. Io vorrei capire qual è delle due"). 4. Nella nuova deposizione resa l'8.3.2022 nel separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. il teste Am. si dimostra, in effetti, non meno contraddittorio e non meno "debolmente attendibile" di quanto già egli non si fosse rivelato nell'esame reso nel primo grado del presente giudizio, entrando peraltro anche in parziale, ma significativa, contraddizione con affermazioni rese dallo stesso imputato MA.. A puro titolo esemplificativo si noti come l'Am. ivi fra l'altro sostenga (cfr. pag. 41 deposizione 8.3.2022): a) che "(...) Intanto Ma. viene contattato dagli ispettori per avere l'elenco dei primi 30 soci"? Ma. si fa dare l'elenco dei primi 30 soci. Questo il giorno dopo che avevamo visto Ca.-Lu., quindi il giorno del colloquio con So.. Fa stampare dalle colleghe della segreteria le pratiche di fido piuttosto che i fidi di garanzie di queste posizioni, che i colleghi portano su con il carrello sempre, e va a parlarne con gli ispettori", laddove in realtà si è visto come finanche il MA. sostenga di avere personalmente discusso funditus con gli ispettori solo una minimale frazione di tali posizioni delegando il resto allo stesso Am. e/o, in parte, a taluni subalterni del predetto (a maggior ragione dunque risulta inattendibile l'Am. allorquando - cfr. in particolare pag, 49 della sua deposizione 8.3.2022 cit., - giunge ora ad affermare - per la prima volta, come evidenziato dalla stessa difesa MA. nei suoi motivi nuovi d'appello - qualcosa che nemmeno il MA. sì è in realtà mai lontanamente spinto a sostenere nelle dichiarazioni da lui rese nel corso del presente giudizio, ossia che il prederò imputato avrebbe personalmente "visto i movimenti dei conto corrente con il dottor Sa., dal dottor Sa." relativamente alle posizioni El., Br.Fu. e Te.Sa., riferendo poi un tanto all'Am.); b): che "(...) sempre quel giorno dopo, che era il 5 luglio, mi arriva un'ulteriore e-mail da parte dei dottor Sa., il quale mi dice: "Come già fatto anche per le posizioni precedenti mi fornisca anche qua data acquisto e provvista, anche sulle posizioni Bu.Sa. e To.Ma.". Qui il teste Am., attribuendo al Sa. l'espressione "Come già fatto anche per le posizioni precedenti mi fornisca anche qua", pare voler alludere a una già avvenuta consegna, con conseguente consultazione completa da parte del team ispettivo o comunque da parte di Ge.Sa., quanto meno degli incartamenti riguardanti le posizioni El., Te.Sa. e Br.Fu. (oggetto, come si è visto suprat di una specifica e-mail inviata all'Am. dallo stesso Sa. alle ore 15.47 del 4.7.2012). Tuttavia il teste Am., in questa sua nuova deposizione, non riporta affatto in modo fedele il contenuto della da lui citata nuova e-mail inviatagli dal Sa. alle ore 18.12 del 5.7.2012 (doc. 509 del P.M.), che è invece il seguente, del tutto anodino ed anzi tale da indurre già di per sé a ritenere che la richiesta precedente fosse - quanto meno per il momento - ancora rimasta inevasa: "Buonasera. A integrazione della precedente richiesta di pari oggi La prego di inserire anche i seguenti nominativi: To.Ma., Bu.Sa.". Anzi osserva al riguardo la Corte come in atti vi sia l'evidenza documentale del contrario di quanto afferma sul punto il teste Am., posto che a tale data non si disponeva in realtà nemmeno delle copie degli ordini di acquisto delle azioni detenute da ognuno dei nominativi anzidetti, trattandosi di operazioni più risalenti nel tempo rispetto alla Ca.-Lu. e, quindi, da recuperare in archivio. Eloquenti sono in tal senso i docc. 511 e 512 del P.M., corrispondenti ad altrettante e-mail inviate all'Am. (e in copia al MA.) da Fi.Ro., responsabile della Gestione Soci: - doc. 511: e-mail inviata da Ro.Fi. in data 6 luglio 2012 alle ore 12.02: "Cl., Vi fornisco solo ora le copie degli ordini di acquisto richieste in quanto la documentazione relativa alle operazioni del 2010 è presso il nostro magazzino di Aite di Montecchio Maggiore e i tempi di recupero non sono immediati In allegato quindi copia degli ordini di acquisto di: - El. S.r.l. per 320.000 azioni (...); - Br.Fu. per 160.000 azioni (...); - Te.Sa. per 176.500 azioni (...)") "doc. 512: e-mail inviata da Ro.Fi. in data 9 luglio 2012 alle ore 17.03: "Cl., Vi fornisco le copie degli ordini di acquisto richieste che trattandosi di operazioni del 2010 sono presso il nostro magazzino di Alte di Montecchio Maggiore: Bu.Sa. per n. 81,000 azioni (...); To.Ma. per n. 81.000 azioni (...)". 5. Le considerazioni ora svolte rendono dunque viepiù inattendibile l'intera deposizione del teste Am. sul c,d. "disvelamento delle 14 posizioni correlate", incluso - lo si ribadisce - l'assunto (cfr. pagg. 41 e 49 verbale stenotipico 8.3.2022 cit.) secondo cui, in relazione alle posizioni El., Te.Sa. e Br.Fu., non soltanto sarebbero stati consegnati agli ispettori i relativi fascicoli integrali in formato cartaceo ma altresì lo stesso MA. gli avrebbe riferito di averne ampiamente discusso a voce con l'ispettore Sa., per giunta esaminandone i movimenti di c/c assieme a quest'ultimo (il quale, per parte sua, ha sempre recisamente negato in sede dibattimentale la veridicità di tutte queste circostanze). Non appare inutile ricordare nuovamente, al riguardo, come finanche lo stesso MA., con ciò di fatto sconfessando sul punto tali ultime "inedite" affermazioni dell'Am., sostenga si - da un lato-lato - di avere, con l'ispettore Sa., personalmente parlato della posizione Ca.-Lu., nonché dì avergli personalmente svelato in termini generici a voce, riservandosi di documentarglielo, che complessivamente 14 posizioni nella lista dei primi 30 soci (da luì consegnata, a suo dire, anche a mano in formato cartaceo) corrispondevano a finanziamenti correlati, ma abbia escluso - dall'altro lato - di avere mai avuto, al dì là di questo, altre interlocuzioni dirette e personali sullo specifico argomento con il Sa. (cfr. pag. 76 esame MA. 11.6.2020: "Poi lui (Sa.) ha fatto tutto con il dottor Am.; io dalla consegna dei 5 luglio sera, di tutto quello che è stato fatto, di azioni con finanziamenti per acquisto azioni non ho più parlato con loro, ho seguito tutti gli altri tipi di pratiche ordinarie o crediti anomali o quant'altro)". 6. Manca, in ogni caso, una qualunque attestazione dell'invocata consegna agli ispettori dei fascicoli cartacei concernenti le posizioni oggetto del preteso "disvelamento", laddove esistevano viceversa in B. precise istruzioni - già seguite durante le precedenti ispezioni e nuovamente impartite nel corso dell'ispezione del 2012 - circa la necessità, in caso di consegna di documenti in formato cartaceo, di predisporre un apposito elenco in formato Word ove andavano annotati "o documenti consegnati, la data di consegna e l'ispettore al quale gli stessi sono stati consegnati"; si veda al riguardo, sub doc. 500 del P.M., la dettagliata e-mail inviata in tal senso alle ore 10.11 del 31.5.2012 da Ma.Bo., responsabile dell'internal audit (che aveva in carico la gestione del disco-directory riservato a Banca d'Italia), a tutti i vertici dirigenziali di B. nonché ad alcuni fra i loro diretti subalterni fra cui lo stesso Ci.Am.. 7. per la verità, ferma restando l'assenza di riscontri circa l'assunto dell'imputato MA. e del teste Am. (inattendibili entrambi sul punto per tutto quanto sin qui detto e finanche, da ultimo, in parziale contraddizione reciproca) riguardo a una parallela consegna in formato cartaceo dei relativi incartamenti agli ispettori, lo stesso teste Am. nella seconda parte della sua deposizione resa nel primo grado del presente giudizio, durante il controesame condotto dal difensore della Banca d'Italia avv. Ce. (cfr., pagg. 57-59 verbale stenotipico d'udienza 13.2.2020), ha finito con il riconoscere che, di fatto, egli non sa se in concreto il caricamento in formato digitale, all'interno del disc of directory della Banca d'Italia previa loro scannerizzazione, dei fascicoli afferenti alle quattordici posizioni "baciate" de quibus (caricamento invocato dall'imputato MA. come avvenuto) abbia realmente avuto mai luogo105. Né certo può bastare l'assenza in atti di solleciti alla consegna degli incartamenti da parte di Banca d'Italia a far ritenere provata la consegna stessa, come invece pare adombrare la difesa a pag. 116 dell'atto di appello. 8. Il tribunale ha poi evidenziato che la testimonianza dell'ispettore Ge.Sa., diversamente da quella del funzionario Cl.Am., risulta complessivamente riscontrata - benché anch'essa parzialmente contraddittoria - da quelle, più lineari e prive di aporie, rese da tutti i suoi colleghi del team ispettivo. La difesa al riguardo obietta che i predetti sarebbero parimenti inattendibili perché comunque tutti appartenenti a Banca d'Italia e dunque portatori dì un ben preciso interesse a non vedere accertata una loro eventuale responsabilità per negligenza o, peggio, connivenza nell'esercizio dell'attività ispettiva. In contrario già basti osservare che tra i suddetti testi ve ne sono due i quali all'epoca dell'ispezione di Banca d'Italia del 2012 erano semplici tirocinanti, ossia recenti vincitori di concorso affidati ai colleghi più anziani in qualità di tutor/supervisori: trattasi di Fe.Fr. (del quale è stato acquisito al fascicolo del dibattimento, ex art. 493 comma 3 c.p.p., il verbale delle s.i.t. rese il 15-11,2018) e Br.Lu. (che nel suo esame dibattimentale - cfr. pagg. 41-54 del verbale stenotipico d'udienza 23.1.2020 - ha fra l'altro dettagliatamente illustrato come fosse strutturato il tirocinio suo e del collega Ferraro). Ebbene, nessuno dei due testi in questione ha riferito - benché siano state loro rivolte puntuali domande sull'argomento - di avere affiancato l'ispettore Sa. nell'assistere a una qualsivoglia conversazione tra il predetto e un esponente della banca in cui il tema fosse quello degli acquisti di azioni da parte di soggetti con provvista attinta da finanziamenti. Per converso il teste Am. - ribadendolo poi nel separato giudizio n. 1031/20 R.G. - 5628/15 R.G.N.R. ancora pendente nei confronti di So.Sa.: cfr. pag. 43 del relativo verbale stenotipico 8,3.2022 - proprio questo ha affermato nel suo esame dibattimentale. 9. Per parte sua il teste ispettore Ge.Sa., giudicato dal tribunale berico come parimenti "debolmente attendibile", in effetti può meritare tale valutazione - e peraltro, come già detto, a differenza del teste Am. il tenore delle affermazioni da lui rese in dibattimento risulta riscontrato da plurimi elementi, ben evidenziati dal giudice di prime cure - per il fatto di non aver saputo dare adeguato conto di talune apprezzabili discrasie riscontrate tra le sue dichiarazioni dibattimentali e quelle rese a s.i.t. durante le indagini preliminari nel 2016 e nel 2017. Vero è infatti che, tanto nell'esame da lui reso nel primo grado del presente giudizio il 21.1.2020 - cfr. ad es. sue pagg. 61 e 65 - quanto nella nuova deposizione da lui resa il 18.3.2022 nel separato giudizio pendente nei confronti di So.Sa. - cfr. ad es. sue pagg. 80-81 e 89 -, l'ispettore Sa. si è di volta in volta giustificato, a fronte delle contestazioni mossegli, replicando di non essere stato lucido al cospetto degli inquirenti e/o di essere giunto impreparato dinanzi ad essi per non avere egli riletto neppure la relazione ispettiva e/o di non avere correttamente inteso quanto richiestogli e/o di essersi spiegato male. Nondimeno va qui evidenziata la piena congruenza tra il tenore dell'esame dibattimentale reso dal teste Sa. il 21.1.2020 e quello dell'esame dibattimentale da lui reso il 18.3.2022 nel separato giudizio pendente a carico di So.Sa., che nulla ha di fatto aggiunto o modificato, sotto tale profilo, rispetto alla sua deposizione originaria: in entrambe le sedi dibattimentali il teste Sa., esponendo una versione dei fatti sempre intrinsecamente coerente benché, come detto, solo parzialmente tale se rapportata ad alcuni passi delle s.i.t. rese nel 2016-2017, ha affermato in estrema sintesi: a) che il circoscritto oggetto dell'ispezione 2012 non verteva in alcun modo sul patrimonio bensì esclusivamente sul rischio di credito dell'intero gruppo B., con l'incarico di vagliare le posizioni in sofferenza, quelle ad incaglio e infine quelle classificate dalla banca come in bonis ma eventualmente suscettibili di essere spostate - previa verifica ispettiva - in una delle altre due categorie; il tutto anche alla luce della peculiarità di B. rappresentata dallo squilibrio del rapporto fra impieghi, ossia finanziamenti erogati, e raccolta (squilibrio che avrebbe reso indispensabile attuare da un lato il deleveraging, ossia la riduzione del rapporto impieghi/raccolta, e dall'altro lato il repricing, ossia la riduzione degli impieghi accordati ai grossi clienti Corporate e Large Corporate e l'incremento degli impieghi accordati ai maggiormente redditizi clienti rientranti nelle categorie Small Corporate e Mid-Corporate), sottolineando egli in più occasioni come né il team ispettivo né tantomeno un singolo ispettore avessero comunque il potere di estendere unilateralmente il perimetro dell'ispezione siccome delineato nella lettera d'incarico a firma del Governatore di Banca d'Italia; b) che tali circoscritte finalità ispettive giustificavano di per sé sole non soltanto il tenore della richiesta, evasa da B., della lista dei primi 30 soci per numero di azioni detenute (trattandosi, e la spiegazione è in sé plausibile, di cercare di verificare l'eventuale esistenza di soci che di fatto godessero, proprio in quanto detentori di cospicui pacchetti azionari, di trattamenti di favore, con conseguente possibile emersione dì un allentamento degli standard creditizi nei confronti di soggetti viceversa non meritevoli) ma altresì il tenore delle sopra citate e-mail inviate dallo stesso Sa. nelle date del / 4 e 5 luglio 2012, Il teste ha più volte ripetuto che le richieste da lui ivi 1/ formulate, lungi dall'avere a che fare con verifiche patrimoniali in realtà escluse dal perimetro dell'ispezione, non modificabile unilateralmente a sua discrezione, erano finalizzate esclusivamente all'esigenza di disporre di un set informativo più ampio circa la meritevolezza del credito, interessando all'uopo verificare da quanto tempo i detentori di cospicui pacchetti azionari rivestissero la qualità di socio e di quale provvista essi avessero potuto concretamente disporre per riuscire ad acquisire un numero sì rilevante di azioni; ancora una volta, però, tutto questo, a detta del Sa., serviva esclusivamente per vagliarne la personale solidità in termini di merito creditizio nonché per escludere l'eventualità di trattamenti di favore a loro vantaggio, non già ad altri fini; tale spiegazione, come detto, è in sé plausibile; c) che comunque le poche e-mail di cui ai docc. 508-510 del P.M. facevano parte di un numero infinitamente maggiore di analoghe comunicazioni da lui complessivamente inviate a mezzo posta elettronica nel corso di un'ispezione sul rischio di credito che lo portò ad esaminare in tutto ben 400 posizioni circa, il che fra l'altro non lo pone, a suo dire, in alcun modo in grado di riferire in quali specifici casi egli si fosse concretamente avvalso della possibilità (che pure era stata genericamente messa a disposizione del team ispettivo, come riconosciuto dal teste, cfr. pag. 59 esame dibattimentale Sa. del 21.1.2020) di interrogare online gli estratti conto; d) che anzi egli non serba memoria del perché avesse chiesto approfondimenti, nelle citate e-mail del 4-5 luglio 2012, proprio con riguardo alle posizioni individuali ivi nominativamente indicate (il teste Sa. si è diffuso in maniera particolarmente ampia su tale tema alle pagg. 82-93 della deposizione da lui resa il 18.3,2022 nel separato giudizio a carico di Sa.So.; nello stesso senso cfr. peraltro già le pagg. 110-111 e 116 della deposizione 21.1.2020 resa nel presente giudizio); il tutto fermo restando che - a suo dire - talvolta venivano presi anche dei nominativi a caso e che comunque egli non crede di avere, di fatto, esaminato alcuna documentazione attinente a quelle particolari posizioni specifiche. Ed invero il teste Sa. - cfr. in particolare le pagg. 91-93 della deposizione 18.3.2022 cit. nel separato giudizio a carico di Sa.So., acquisita nel presente grado di appello - ha sostenuto non essere in realtà affatto insolito che una iniziale richiesta di approfondimento documentale formulata dal team ispettivo possa rimanere non evasa, in tutto o in parte, dalla banca ispezionata senza che ciò abbia riflessi apprezzabili sulla capacità dell'ispezione di giungere/esaustivamente a compimento, qualora si tratti di elementi utili ma non indispensabili all'uopo; e) che egli non ricorda di avere avuto né con il MA. né con il suo subalterno Am. conversazioni vertenti sull'esistenza di una prassi di finanziamenti correlati (e in ogni caso - sempre a detta del teste Sa.: cfr. ad es. pag. 100 della deposizione 18.3.2022 cit. - egli di certo non avrebbe mai intrattenuto da solo siffatte conversazioni poiché ciò esulava dal suo collaudato modus operandi in sede ispettiva; si ricordi al riguardo che nessuno dei componenti il team ispettivo, inclusi i due tirocinanti, ha affermato di avere assistito a conversazioni siffatte); f) che egli in effetti non ebbe alcuna contezza dell'esistenza di una siffatta prassi di finanziamenti correlati fino a quando non fu sentito per la seconda volta - il 17 marzo 2017 - dagli inquirenti, i quali (il teste Sa. lo ribadisce più e più volte in entrambe le deposizioni da lui rese, quella del 21.1.2020 nel presente giudizio e quella del 18.3.2022 nel separato giudizio a carico di So.Sa.) lo spiazzarono - in un'occasione, cfr. pag. 54 della deposizione 21.1.2020, egli usa l'icastica espressione "cascato dal pero" - sottoponendogli in visione documenti da lui indicati come sicuramente mai visti in precedenza; trattasi di documenti relativamente ai quali il P.M. in udienza nel presente giudizio, cfr. pag. 55 deposizione 21.1.2020 cit., ha precisato a sua volta trattarsi della "documentazione consultata dai Consulenti del Pubblico Ministero inerente alle posizioni Ca., Te., Sa., El., mi pare anche Bu. e To.". Oltre alle pagg. 54-55 della deposizione Sa. del 21.1.2020, appena citate, cfr. altresì nello stesso senso le pagg. 87-88 e 98 ibidem. Sempre nello stesso senso si vedano le pagg. 94-95 della deposizione Sa. del 18.3.2022 (in questo caso il P.M. in udienza - cfr pag. 94 ibidem - ha precisato a sua volta che "quello che fu esibito al Teste nel 2017 non è quello che viene richiesto in quella famosa ormai e-mail del 2012"). 10. Rimane, in ultima analisi, insuperato il dato documentale, preciso e puntuale nella sua nuda essenzialità, evidenziato dalla parte civile Banca d'Italia al paragrafo 4., pag. 16, delle sue note di replica depositate in primo grado, il cui tenore sul punto - una volta esaminata in concreto la lista de qua, in atti quale allegato al carteggio via e-mail sub doc. 508 del P.M. - non può che essere condiviso da questa Corte: "(...) la Usta dei 30 principali soci (...) resta l'unico documento agli atti del processo e dalla stessa, come è evidente, non è ricavabile alcuno degli elementi fattuali idonei ad evidenziare il fenomeno nel suo complesso, ma neppure la correlazione dei finanziamenti con l'acquisto delle azioni per quelle specifiche posizioni (...) di tutta la documentazione che Am. asserisce essere stata consegnata all'ispettore Sa. in proposito non vi è alcun riscontro, addirittura non se ne trova neppure traccia nell'elenco della directory che riporta/documenti forniti in ordine cronologico a tutti gli ispettori nel corso degli accertamenti del 2012 (...)". Non esiste infatti, con riguardo ai documenti oggetto del preteso "disvelamento", alcuna comunicazione di tenore analogo al doc. 566 del P.M., corrispondente alla e-mail inviata al team ispettivo di Banca d'Italia il 5-7.2012 ad ore 9,04 dal responsabile dell'internai audit Ma.Bo. (addetto alla gestione del disco-directory dedicato al suddetto team) con la quale si segnalava appunto che - nella directory dedicata sotto Direzione Crediti Ordinari" era stata inserita la lista dei primi 30 soci per numero di azioni detenute. La tesi difensiva non trova riscontri neppure nelle plurime intercettazioni telefoniche di conversazioni intrattenute nel corso del mese di marzo 2017 (come detto fu in tale mese, precisamente il giorno 17, che il teste fu, per la seconda volta in un anno, sentito a s.i.t. dai Pubblici Ministeri vicentini) dall'ispettore Ge.Sa. con vari interlocutori, riportate alle pagg. 701 - 737 della perizia di trascrizione. Trattasi in particolare delle seguenti conversazioni: - n. progr. 19 del 14.3.2017 ad ore 12.19.39 tra Ge.Sa. e "Ca." (presumibilmente trattasi di Ca.Ba., all'epoca capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria della Banca d'Italia) (pagg. 724-729 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; ivi quest'ultimo, che ha ricevuto la seconda convocazione in Procura, lo annuncia al suo interlocutore che poi gli chiede notizie di altra ispezione al momento in corso; - n. progr. 115 del 19.3.2017 ad ore 20.22.20 sub RIT 54/17 tra Ge.Sa. e Gi.Sc., capo team dell'ispezione di Banca d'Italia del 2012 (pagg. 701-707 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza dello Sc.; la medesima conversazione - della quale il Sa. invero conserva un ricordo quanto mai sbiadito per non dire nullo: cfr. pagg. 90-92 verbale stenotipico d'udienza 21.1.2020 - appare anche, sub RIT 55/17, con il n. progr. 276 del 19,3,2017 (pagg. 710-716 perizia trascrizione), come intercettata sull'utenza del Sa.; ivi quest'ultimo annuncia allo Sc. di essere stato convocato, due giorni prima, per la seconda volta in Procura a Vicenza, al che il suo interlocutore gli replica di esserlo stato per la terza volta e che continuerà a ripetere agli inquirenti sempre le stesse cose già dette loro nelle precedenti occasioni perché altro non vi è da dire. Sa. e Sc. si confermano a vicenda che la loro era stata unicamente un'ispezione sul credito, come tale inidonea a svelare aspetti critici sul ben diverso piano del patrimonio (".. Ge.: dei file, delle cose, Poi se... se,., cioè, francamente, quello che io ho continuato a... ho detto una volta, l'ho detto pure l'ultima volta che quella è un'ispezione sul credito, eh, insomma. - Gi.: Eh, certo. - Ge.: Perché il discorso è che.,. qua le azioni comprate con i prestiti della banca... - Gi.: Eh. - Ge. ...capitale finanziato. Però noi (inc.) sul credito, insomma, se il cliente andava bene tanti approfondimenti non è che... - Gi.: No, assolutamente no. - Ge. (Inc. voci sovrapposte). - Gi.: Assolutamente no. Ma poi credo che quel problema lì sia un problema che sia maturato prevalentemente dopo, cioè dopo le grandi, per effetto della grande ripatrimonializzazione, dopo la (inc.) e dopo... Cioè, non so neanche quanto fosse diffuso, perché non abbiamo fatto degli approfondimenti specifici su quel tema lì. Pronto? ... - Ge.: (Breve interruzione) dei clienti, anche quelli famosi, tipo... erano in due, insomma, poi gli altri francamente non è che mi posso ricordare nomi, cose. Poi in questo caso non tieni un file, non tieni una cosa scritta... - Gi.: Appunto. Appunto ...); - n. progr. 281 del 19.3.2017 ad ore 20.33.11 tra Ge.Sa. e "Ga." (pagg. 717-723 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; il "Ga.", come chiarito dal teste Sa. in sede di esame (cfr. pagg. 70 e ss. verbale stenotipico 21.1.2020), è Ga.Pa., collega ispettore di Banca d'Italia (nonché consulente della Procura di Vicenza ma il teste Sa. esclude - v. pag. 70 ibidem - di essere stato a conoscenza di tale ultima circostanza all'epoca della conversazione, benché avesse inteso che il Pa. stava in qualche modo occupandosi in quel momento proprio di B.: "... E ne ho parlato con il collega, il dottor Ga.Pa., io francamente non sapevo... sapevo che il collega si stava occupando della Vicenza, di queste operazioni, non sapevo a che titolo, poi l'ho scoperto dopo"). Anche in questo caso il Sa. sottolinea a più riprese con l'interlocutore (che concorda con tali sue affermazioni, tanto che Sa. si sente in qualche misura tranquillizzato: cfr. pag. 70 verbale stenotipico 21.1.2020) quale fosse l'oggetto, circoscritto alla mera valutazione del credito, dell'ispezione 2012, riferendogli altresì succintamente quanto accaduto in Procura il 17.3.2017, chiedendogli cosa fosse frattanto in concreto emerso (rimanendo con ogni evidenza stupito e all'apparenza frastornato nell'apprendere dal Pa. l'entità del fenomeno dei finanziamenti correlati come in quel momento - cinque anni dopo l'ispezione - risultava accertata a tutto il 2012) e chiedendogli altresì consiglio sulla necessità o meno di avvisare della nuova convocazione in Procura, e del tenore delle s.i.t. da lui rese, anche il proprio superiore gerarchico dott. La.: "(.,.) V.M.: Ah, io son stato... quando è stato? Venerdì mi hanno chiesto: c'erano un po' di operazioni che... di queste baciate, - Ga.; Sì. - V.M.: Però io francamente all'epoca non Cioè, a parte che facendo... facendola sul credito, questi aspetti di capitali, di patrimonio, non li avevamo visti. - Ga.: Eh certo. - V.M.: Cioè non li abbiamo proprio considerati. Ma io un po' non.. veramente non mi ricordavo neanche i nomi... neanche i nomi dei... - Ga. (Inc. voci sovrapposte). - V.M.: Omissis. - n. progr. 107 del 20.3.2017 ad ore 15.11.57 tra Ge.Sa. "Da." (pagg. 730-737 perizia trascrizione), intercettata sull'utenza del Sa.; il "Da.", come chiarito dal teste Sa. in sede di esame (cfr. pag. 73 verbale stenotipico 21.1.2020), è Da.Ca., collega ispettore di Banca d'Italia, fermo restando che anche di tale conversazione col Ca., come già di quella con lo Sc., il Sa. invero conserva un ricordo quanto mai sbiadito per non dire nullo (v. ibidem). In essa ancora una volta il teste Sa. rievoca l'oggetto ristretto (perché circoscritto alla verifica della qualità del credito) dell'ispezione Banca d'Italia 2012, indicandolo come preclusivo di ogni possibile scoperta sul fronte della prassi dei finanziamenti correlati e ricevendo riscontro in tal senso dal suo interlocutore: Omissis Il leit motiv di tali conversazioni è dunque sempre rappresentato dal Sa. che, turbato dal fatto di essere stato convocato in Procura a Vicenza già due volte nel giro di un anno, ripete ad ogni suo interlocutore (tutti colleghi della vigilanza di Banca d'Italia) esattamente quanto - come si è visto supra - i, riferirà poi, tre anni dopo, in sede di esame dibattimentale nel presente giudizio (ribadendolo, altri due anni dopo, anche nel separato giudizio pendente a carico di Sa.So.), ossia: che egli ricordava ben poco dell'ispezione del 2012 presso B. al di là di due singole posizioni peculiari (evidente il riferimento alla posizione Ca.-Lu.); che, in ogni caso quell'ispezione aveva ad oggetto unicamente la verifica della qualità dei crediti, sicché anche le posizioni concretamente esaminate lo erano state unicamente a quel fine; che gli inquirenti in data 17 marzo 2017 gli avevano mostrato documenti, a lui prima ignoti, i quali lo avevano colto dì sorpresa rivelandogli una realtà della quale non aveva avuto minimamente modo dì rendersi conto in sede ispettiva. In nessuna di tali conversazioni captate il Sa. confida all'interlocutore di turno di avere visionato, nel corso dell'ispezione 2012, documenti tali da consentire, all'epoca, la scoperta di una prassi di operazioni di finanziamento correlato, o anche soltanto di avere ricevuto a voce informazioni di sorta in tal senso da chi operava in seno a B.. La difesa ha opinato diversamente con riguardo all'inciso "Poi vedendo le carte effettivamente alcune operazioni baciate c'erano" (conversazione n. progr. 281 del 19,3.2017 tra il Sa. e Ga.Pa.) ma, contestualizzandolo e considerando la frase pronunciata dal Sa. nella sua interezza cioè nel 2012, francamente i nomi non me li ricordavo. Poi vedendo le carte effettivamente alcune operazioni baciate c'erano, ma noi in quella fase lì... veramente avevamo visto solo il credito e basta"), è evidente che le "carte" cui si riferisce nella conversazione n. progr. 281 il Sa. sono - come del resto da lui ribadito, v. ampiamente supra, più e più volte nel corso di entrambi ì suoi esami dibattimentali (quello reso il 21.1.2020 nel presente giudizio e quello reso il 18.3,2022 nel separato giudizio pendente a carico dì Sa.So.) - i documenti, a suo dire mai visti fino a quel momento, esibitigli appena due giorni prima dai Pubblici Ministeri vicentini in data 17.3.2017 in occasione delle seconde s.i.t.. Analogamente il "noi le abbiamo viste" proferito dal Sa. nel corso della conversazione n. progr. 107 del 20.3.2017 con Da.Ca. va contestualizzato ("Ge.: Eh, noi le abbiamo viste... insomma, se avevano problemi di credito, se c'erano trattamenti preferenziali..."), nel senso che - come lo stesso teste Sa. ha spiegato in maniera plausibile e convincente in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 73-74 verbale stenotipico 21.1.2020), "... io in questa telefonata confermo che noi queste benedette posizioni le abbiamo viste esclusivamente per verificare se c'era un trattamento preferenziale a favore dei soci e a detrimento della banca, e se il merito creditizio di quelle posizioni era coerente con la classificazione in bonis. Questa è la spiegazione alla telefonata". Sul tema del preteso "disvelamento" operato dalla Divisione Crediti, attraverso l'imputato MA. e il suo subalterno Am., nel corso dell'ispezione Banca d'Italia del 2012 resta infine qui da valutare se e in che termini rivesta un effettivo rilievo l'elemento sopravvenuto rappresentato dalla ricostruzione, effettuata dall'imputato Em.Gi. in sede di rinnovazione del suo esame dibattimentale (cfr. in particolare i verbali stenotipici del 15 giugno e del 17 giugno 2022), dell'episodio occorso il 4 luglio 2012 nell'ufficio del D.G. Sa.So., allorquando lo stesso So. ebbe a far chiamare il dipendente Ci.Am., convocandolo ivi - alla presenza di altre persone fra cui Ma.So. e, per l'appunto, il GI. - e apostrofandolo alquanto bruscamente nel chiedergli che cosa avesse egli riferito al team ispettivo. Il difensore del MA. si è ampiamente diffuso, in sede di discussione finale, su tale sopravvenienza (cfr, al riguardo pagg. 27-32 della memoria conclusiva depositata il 30.9-2022 nonché pagg. 72-75 del coevo verbale stenotipico d'udienza). Secondo la difesa si tratterebbe di un elemento assolutamente determinante in favore della tesi del "disvelamento"; un elemento di per sé stesso idoneo, anzi, a corroborare e suffragare tutto quanto sul punto dichiarato dal MA. e dal teste Am.. Così non è. In tale circoscritto segmento del lungo esame da lui reso in grado di appello Em.Gi., come detto, ricostruisce il concitato confronto del 4.7.2012 tra So. e Am., avvenuto nell'ufficio del So.. Più precisamente: - a pag. 13 e indi a pag. 70 del verbale stenotipico del 15.6.2022 dell'esame reso in grado di appello da GI. si legge quanto segue: "C'è stato un episodio abbastanza critico in cui a So. (eravamo in stanza con So.) venne riferito che Ma. e i suoi uomini avevano rappresentato a Banca d'Italia queste - operazioni, e sicuramente al tavolo c'eravamo io e Ma., e forse Tu., con So. e So. si è molto innervosito (che è un eufemismo) con Ma. e i suoi perché non gli avevano detto, non gli avevano riferito che queste operazioni erano state in qualche modo rappresentate a Banca d'Italia. Questa comunicazione arrivò a So., che era un ex Ispettore Banca d'Italia, e che riferì a So. proprio questo fatto. (...) PARTE CIVILE, AVV. VE. - Un'altra domanda in relazione a quanto è stato riferito circa il dottor So. si sarebbe arrabbiato quando ha saputo che Ma. e altri avevano rappresentato a Banca d'Italia alcune operazioni; a che operazioni si riferiva? IMPUTATO GI. - A una trentina di operazioni baciate che Banca d'Italia aveva chiesto alla Divisione Crediti nelle persone di Ma. e Am. da parte, credo, di Sa.; operazioni baciate tipo Ca., se ricordo bene. "; - a pag. 7 e ss, del verbale stenotipia) del 17.6.2022 GI. ribadisce tale narrazione (correggendosi solo con riguardo alla previamente da lui riferita presenza di MA., in realtà quel giorno pacificamente assente) dichiarando quanto segue: "IMPUTATO GI. - Allora, diciamo che le cose sono andate in questo modo, Non so se mi sono confuso o meno, però ritengo che abbia detto le cose che sto dicendo, però le ripeto per essere estremamente chiaro e preciso. E cioè: ci fu un incontro, in una di queste riunioni di direzione e comitati, con So., e c'era anche So., arrivò una telefonata a So.; So. parlò con So., e So. si innervosì particolarmente perché ci disse che Am. aveva in qualche modo interloquito con Banca d'Italia su una trentina di posizioni baciate. A quel punto So. chiese a tutti di chiamare Ma., che non era in Banca, lo chiese a tutti i partecipanti a quella riunione, io chiese anche a me. Ma Ma. era irraggiungibile. A quel punto chiese alla Segreteria di chiamare Am.; Am. entrò della stanza di So. e fu maltrattato da So., maltrattato pesantemente perché non si doveva permettere di parlare con Banca d'Italia di queste operazioni. Ma. era irraggiungibile, quindi venne chiamato Am.. Questo è il fatto avvenuto nella stanza di So.. Non so se intendesse questo, Avvocato. DIFESA, AVV. Ro. - Sì, perché l'altra volta lei aveva fatto il nome di Ma., non di Am.. Questo è l'appunto che mi ero fatto io. IMPUTATO GI. - No, no, Ma. fu chiamato, ma non partecipò a quell'incontro. DIFESA, AVV. Ro. - Esatto, l'interlocutore fu Am.. IMPUTATO GI. - Fu Am., si DIFESA, AVV. Ro. - Lei ha capito chi era l'autore della telefonata che riceve So. e il contenuto della quale viene trasmigrato a So.? IMPUTATO GI. - Uno degli Ispettori di Banca d'Italia, però non so di chi trattasse, perché non disse il nome So.. DIFESA, AVV. Ro. - Però, che fosse uno del team ispettivo è pacifico? IMPUTATO GI. - E' pacifico, sì". Ebbene, in realtà il GI. si limita a riferire ivi i seguenti eventi occorsi in sua presenza e da lui direttamente percepiti: a) Ma.So. riceve una chiamata (con ogni evidenza proveniente da un componente del team ispettivo di Banca d'Italia, organismo da cui lo stesso So. proveniva continuando a intrattenere rapporti assai amichevoli con alcuni ispettori: ne fa invero menzione anche il teste Am. alla pag. 97 del verbale stenotipico d'udienza 11.2.2020, ivi ipotizzando, in effetti, che potesse essere stato proprio il So. ad avvisare il So. circa l'incontro avuto il giorno prima da Am. con l'ispettore Sa.); b) subito dopo aver ricevuto tale chiamata (il cui contenuto ovviamente è ignoto al GI.) Ma.So. interloquisce con Sa.So.. Si badi - e ciò è appena evidente leggendo il soprastante passo dell'esame 17.6.2022 di GI. - che quest'ultimo, in realtà, ignora non solo il tenore della telefonata ricevuta dal So. ma finanche il contenuto effettivo della susseguente conversazione So./So.. E' unicamente il So. che sceglie di descrivere agli astanti quanto appena riferitogli annunciando loro che "Am. ha in qualche modo interloquito con Banca d'Italia su una trentina di posizioni baciate", laddove quanto occorso nel suo ufficio il 4 luglio 2012 è in realtà del tutto compatibile anche con l'avere l'Am. interloquito con l'ispettore Sa. unicamente sulla singola posizione Ca. - Lu. (interlocuzione, questa, che - v. infra - è effettivamente documentata in atti). Al riguardo può darsi che il GI., stante la concitazione del momento, non sia stato poi in grado di ricordare l'episodio con assoluta esattezza (anche e soprattutto perché esso non lo coinvolgeva direttamente in prima persona né coinvolgeva direttamente la Divisione Mercati da lui capeggiata, bensì la Divisione Crediti; ed invero in prima battuta il GI. ha creduto pure di ricordare, cfr. verbale stenotipico 15.6.2022, che fosse presente il MA., salvo correggersi all'udienza successiva del 17.6,2022); può tuttavia darsi, invece, che il So. e/o il So., sempre nella concitazione, avessero realmente frainteso la comunicazione proveniente dal team ispettivo di Banca d'Italia; o infine può anche darsi che il predetto So. avesse esagerato apposta, di sua iniziativa, nel riassumere agli astanti quanto udito al telefono dal So. (che prontamente glielo aveva riportato), e ciò magari al fine di poter più efficacemente "maltrattare" in pubblico il frattanto convocato Am. sì da indurlo a ben comprendere, in via preventiva e una volta per tutte, cosa egli non avrebbe mai dovuto riferire al team ispettivo. Sta di fatto - e ciò è un dato del tutto pacifico - che nemmeno l'imputato MA. nè il teste Am. si sono mai lontanamente spinti a sostenere, in sede dibattimentale (l'Am. non lo ha fatto neppure nel separato procedimento pendente a carico di Sa.So.: cfr, pagg. 40-41 e 93-99 del relativo verbale stenotipico 8.3.2022), che tutti e 30 i nomi della lista scritta dei primi soci per numero di azioni detenute, fatta avere at team ispettivo, corrispondessero ad altrettante operazioni di finanziamento correlato. Tanto il MA. quanto l'Am. hanno infatti sempre sostenuto di avere detto al team ispettivo (circostanza, tuttavia, per tutto quanto detto sopra, non riscontrata) che la metà circa di tali posizioni corrispondeva a operazioni di finanziamento correlato. Basti, del resto, soffermarsi sul fatto che quella "lista dei 30 primi soci" annoverava per certo anche nominativi di grossi azionisti, come ad esempio Am., mai resisi destinatari di finanziamenti correlati; tale ultima circostanza è confermata proprio dall'imputato GI. (in questo caso con la piena cognizione di causa derivantegli dal suo ruolo di responsabile della Divisione Mercati) in altra parte del suo esame reso nel presente grado di giudizio: cfr. al riguardo pag. 17 verbale stenotipico 15.6.2022, esame di Em.Gi. reso in grado di appello: ma c'erano anche degli impieghi, ad esempio, ad Am. che non aveva mai fatto baciate; ma ovviamente andargli a dire: "ti alziamo i tassi", Am. ti vendeva le azioni, quindi era comunque un problema". Finanche il teste Am. afferma costantemente, tanto nel presente giudizio così come in quello pendente a carico di Sa.So., che, al momento del tormentato rendez vous con il D.G. So. (il quale gli si era rivolto con tono aggressivo alla presenza di GI., di So. e di alcune altre persone intimandogli di dire cosa avesse riferito agli ispettori) egli aveva parlato funditus con l'ispettore Sa. soltanto della posizione Ca.-Lu., per il resto limitandosi - a suo dire - a raccontargli a voce, genericamente, che quella posizione (concretamente connotata da un ordine di acquisto azioni anteriore di alcuni giorni alla delibera del CdA di erogazione del finanziamento di 21 milioni di Euro successivamente emessa, in ddta 20.12.2011, sulla base di una P.E.F. del 19-12.2011, nonché connotata dall'addebito sul conto Ca.-Lu., avvenuto in data 30.12.2011, del pressoché coincidente importo di Euro 20.038.400,00= per comprare azioni B.) non era un episodio isolato. Si vedano, sul punto, le pagg. 96-97 del verbale stenotipico 11.2.2020 (deposizione resa dal teste Am. in primo grado). In effetti, se vi è un singolo punto della contraddittoria deposizione del teste Am. in sé dotato di intrinseca coerenza (e, soprattutto, di riscontri documentali), esso attiene all'essersi egli interfacciato con l'ispettore Sa., nella data del 3 luglio 2012 (giorno precedente alla sua tumultuosa convocazione ad opera di Sa.So. originata dalla telefonata di un componente del team ispettivo ricevuta da Ma.So.), a proposito della posizione Catta neo-Lu., esaminata dal Sa. in quanto facente parte dell'originario elenco di 100 nominativi inizialmente fornito al team ispettivo e connotata, oltre che dalla coincidenza di importi, dalle peculiari sfasature temporali di cui poco sopra si è detto. Sempre l'Am. ha sostenuto, in entrambe le sue deposizioni, che il Sa. in data 3 luglio 2012 gli chiese, per integrare le proprie cognizioni su tale posizione, la copia dell'ordine di acquisto delle azioni e che egli, ottenutolo tramite il collega Fi.Ro. della Gestione Soci, lo fece avere - sempre in data 3 luglio 2012 - all'ispettore, il quale, esaminandolo, gli evidenziò l'anomalia dell'anteriorità dell'ordine di acquisto suddetto rispetto alla data della P.E.F. e della susseguente delibera del CdA. I riscontri documentali a tale circoscritto segmento della deposizione Am. si rinvengono, oltre che nel già citato doc, 509 del P.M., nei docc. 506 e 507 del P.M., corrispondenti il primo a una e-mail inviata dall'Am. all'ispettore Sa. in data 3 luglio 2012 e il secondo alla successiva trasmissione in pari data all'Am., da parte del suo collega Ro., dell'ordine di acquisto azioni posto in essere il 16.12.2011 dai coniugi Ca.Lo. e Lu.Ro.: - doc. 506: e-mail inviata da Ci.Am. martedì 3 luglio 2012 ad ore 13.12 a Ge.Sa., avente quale oggetto "NOMINATIVO (...) Ca.Lo. LU.RO.", del seguente tenore: - Gent.mo Dottore, sono passato per fornirle la risposta ma ipotizzo che fosse a pranzo. Quando sarà libero ripasserò. Andrò a pranzo tra le 14.00 e le 1430. Mi faccia sapere. Cordiali saluti"; - doc. 507: e-mail inviata da Fi.Ro. martedì 3 luglio 2012 ad ore 17.01 a Ci.Am., avente quale oggetto "Azioni Bp. - Ca./Lu.", del seguente tenore: "Cl., in allegato copia degli ordini di acquisto dei nominativi in oggetto (...)"; - doc. 509: e-mail inviata da Ge.Sa. a Ci.Am. mercoledì 4 luglio 2012 ad ore 15.47, testualmente intitolata "RICH IO. ACQUISTO AZIONI NPOPVI" ed avente il seguente tenore: "Gent.mo dr Am., faccio riferimento alfa verifica sugli azionisti B. che, allo stesso tempo, sono affidati dalla banca. Le chiedo cortesemente di verificare se per i nominativi indicati in calce (El.Sr., Te.Sa., Br.Fu.) - analogamente a quanto effettuato per i signori Ca. e Lu. - le date di acquisto delle azioni Po. e il tipo di provvista utilizzata". Lo stesso teste ispettore Ge.Sa., in entrambi i suoi esami dibattimentali, pur dichiarando di non ricordare bene il tenore delle sue interlocuzioni con l'Am., ha affermato di ritenere "probabile", proprio alla luce delle anzidette e-mail, che vi fosse stata una interlocuzione fra sé e l'Am. riguardo alla posizione Ca.-Lu., ma ciò sempre e solo in un'ottica finalizzata (nel perimetro circoscritto dell'accertamento ispettivo) alla verifica del rischio e del merito creditizio, destandogli sospetto in tal senso la peculiare sfasatura temporale riscontrata tra la data dell'ordine di acquisto azioni, la delibera di fido del CdA e l'effettivo acquisto delle azioni per pressoché pari ammontare: cfr. al riguardo rispettivamente pag. 67 del verbale stenotipico 21.1.2020 nonché pag. 100 del verbale stenotipia) 8.3.2022 nel separato procedimento a carico di Sa.So.. In ultima analisi non è affatto dimostrato che la telefonata fatta da un qualche componente del team ispettivo in data 4 luglio 2012 a Ma.So. (che per parte sua nulla ha detto al riguardo nel corso del suo esame) vertesse su qualcosa di diverso dalla certa e documentata interlocuzione Sa./Am. sulla singola posizione Ca.-Lu.; interlocuzione a sua volta originata, peraltro (e sul punto le affermazioni del teste Sa. sono in sé plausibili, come detto), dall'esigenza di verificare l'affidabilità e la solvibilità di soggetti che presentavano la "stranezza" estrema di un ordine di/ acquisto azioni effettuato prima ancora di disporre della provvista necessaria, il che, nell'ottica dell'ispezione del 2012 mirata alla valutazione del rischio di credito, poteva senz'altro rappresentare un forte indice di allarme circa "essere stato loro riservato un trattamento dì favore per nulla meritato". Totalmente destituito di fondamento - e in alcun modo conforme all'effettivo contenuto, sopra passato in rassegna, delle dichiarazioni rese da Em.Gi. sull'argomento - è dunque l'assunto della difesa secondo cui il GI. "ricorda come siano state mostrate una trentina di posizioni con 234 milioni di finanziato" (cfr. pag. 30 memoria conclusiva depositata dalla difesa MA. il 30.9.2022). Alla stregua del complesso di considerazioni fin qui svolte merita dunque piena condivisione la conclusione, cui è giunto il tribunale berico, circa la mancata prova del preteso "disvelamento" al team ispettivo - da parte dell'imputato MA. e/o del teste Ci.Am., suo subalterno - di una prassi concernente la stipula di una serie di operazioni di finanziamento correlato. D'altra parte osserva questa Corte che il preteso - ma nient'affatto provato, per tutto quanto detto - "disvelamento" spontaneo agli ispettori di Banca d'Italia, da parte del MA. e dell'Am. nel luglio 2012, di 14 posizioni di finanziamento correlato (in un momento in cui il team ispettivo aveva manifestato perplessità solo in ordine alla singola posizione Ca.-Lu. in quanto connotata dall'essere stato effettuato l'ordine di acquisto azioni prima ancora di entrare nella disponibilità della relativa provvista) costituirebbe oltretutto una circostanza per nulla coerente con quello che invece risulta essere stato, secondo quanto già visto supra l'atteggiamento ben preciso e reiterato del MA. nel corso degli anni, improntato (in maniera, viceversa, del tutto coerente con la sua dimostrata piena consapevolezza del mancato scomputo delle operazioni correlate dal patrimonio dì vigilanza) a una costante raccomandazione nel senso di evitare di allertare gli organismi di vigilanza circa l'effettuazione stessa delle operazioni "baciate". Vanno infine disattese le considerazioni svolte dalla difesa del MA. alle pagg. 149-154 dell'atto di appello sotto la rubrica "COMPREHENSIVE ASSESSMENT EASSET QUALFTY REVIEW", che è il solo paragrafo dell'atto impugnazione concernente le interlocuzioni con la vigilanza avute dall'imputato dopo l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 e prima del suo trasferimento (avvenuto in data 18.12.2014) alla siciliana Ba.Nu.. A tale tema sono dedicate per la specifica posizione MA. le pagg. 692-693 della gravata sentenza (mentre una sua più diffusa trattazione, non concernente il solo MA., è contenuta nel cap. IX della stessa sentenza, cfr, in particolare le sue pagg. 476-519); ivi si evidenzia efficacemente quale sia stato, rispettivamente nel 2013 e nel 2014, l'atteggiamento - del tutto silente quanto al fenomeno delle operazioni di finanziamento correlato - tenuto dal MA. durante le sue interlocuzioni con i testi Ma.Pa. e Vi.Ca. in base alle deposizioni dei predetti (esame Pa.: cfr, verbali stenotipia d'udienza 28.11.2019 e 29.11.2019, con particolare riguardo - per le interlocuzioni avute con il MA. - alle pagg. 8-9 del verbale 29.11.2019, nonché cfr, appunto in atti sub doc. 451 del P.M., a firma dello stesso Pa., acquisito al fascicolo del dibattimento; esame Ca.: cfr. verbale stenotipico d'udienza 16.1.2020, con particolare riguardo - per le interlocuzioni avute con il MA. - alla sua pag. 41). Ebbene, la difesa, nell'indicato paragrafo dell'articolato primo suo motivo di appello, non si confronta minimamente con le ora illustrate emergenze processuali se non per rivendicare: - il carattere non ispettivo, bensì di mero esercizio avente natura prevalentemente prudenziale e non contabile, dell'AQR; - l'impossibilità per il MA. di riferire, in tali sedi, circa fenomeni (gli storni, le lettere di impegno) di cui egli, come detto nel suo esame, v. saprà, avrebbe appreso solo nel 2015 una volta uscito da B.. Nessuno di tali argomenti ha pregio. Sotto il primo dei due profili si veda anzitutto la definizione che dell'AQR fornisce la Banca d'Italia nella sua "nota tecnica sulle modalità di conduzione dell'esercizio di valutazione approfondita (Comprehensive Assessment)" datata 26 ottobre 2014 (...), ove da un lato-lato - come evidenzia l'appellante - afferma trattarsi di un "esercizio di natura prevalentemente prudenziale, non contabile", ma dall'altro lato evidenzia, fra le altre cose, che "l'AQR può comportare esigenze di capitale, qualora gli accantonamenti addizionali (che derivano o da un insufficiente provisioning sulle posizioni già classificate come deteriorate o dal passaggio da posizioni in bonis verso non deteriorate) portino il coefficiente di patrimonio di migliore qualità (CET1 ratio; al di sotto della citata soglia dell'8 per cento". Del resto lo stesso teste Ca. ha chiarito a più riprese non trattarsi, tecnicamente, di un'ispezione (v. ad esempio, con particolare forza, a pag. 55 del verbale stenotipico cit.) precisando nondimeno (v. pag. 34 ibidem) che "... tutto il 2014, come probabilmente molti sanno, è stato... l'attività di vigilanza è stata impegnata, non solo in Italia ma anche negli altri Paesi europei, a svolgere questo Comprehensive Assessment, che avrebbe dovuto essere, sostanzialmente, un esercizio che chiariva con estrema precisione quali fossero esattamente I problemi del sistema bancario europeo, che creasse, come dire, un livello comune tra tutti i Paesi europei che fino allora avevano delle norme, prassi, legislazioni assolutamente disparate, e che si concludesse con una comunicazione in qualche modo al mercato delle eventuali esigenze di capitale che sarebbero emerse da questo esercizio. Nell'ambito di questo Comprehensive Assessment, che ha impegnato praticamente tutte le strutture della Banca d'Italia, è stato previsto anche un accesso, che in Italia è stato fatto essenzialmente da ispettori e da membri delle società di revisione, presso le banche per compiere una parte di questo Comprehensive Assessment, che è la cosiddetta "Asset Quality Review", ossia una revisione degli attivi delle banche che in realtà si è indirizzato, si è focalizzato prevalentemente nell'esame dei crediti Trattasi dunque, in ogni caso, inequivocabilmente, dello svolgimento di un'attività rientrante a pieno titolo nella nozione di "vigilanza", come ancor più efficacemente esplicitato dallo stesso teste Ca. più avanti nel corso del suo esame nell'illustrare le possibili ed eventuali concrete conseguenze pregiudizievoli, per l'istituto di credito, degli esiti di detto esercizio (v. pag., 60 ibidem): "TESTIMONE CA. - No, il modello... Attenzione. No, io ho detto, vorrei essere preciso, io ho detto: attenzione che la costruzione dell'Asset Quality Review, molto mirata al segmento creditizio, inevitabilmente e più, come dire, blanda, queste parole del Governatore, non mie, sotto il profilo della finanza, sicuramente finisce per essere più pericoloso per un intermediario tradizionale, per un mondo bancario tradizionale come quello italiano che per quello estero. A noi, tutto sommato, se l'Asset Quality Review fosse stata improntata a una severa analisi dell'attività finanziaria delle banche, le banche italiane ne sarebbero uscite alla grande perché non hanno di fatto... perché fanno un lavoro un po' più normale le banche italiane". Sotto il secondo dei due profili basti infine ricordare come supra si sia ampiamente argomentato circa la non rispondenza al vero dell'assunto del MA. secondo cui sarebbe giunto a conoscenza dell'esistenza degli storni e delle lettere di impegno solo nel 2015 una volta uscito da B.. Il trattamento sanzionatorio Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte l'imputato Pa.Ma. va dichiarato assolto: - dai reati di falso in prospetto di cui ai capi I e L per non aver commesso il fatto; - dai reati di ostacolo alla vigilanza di cui ai capi H1 e M1, limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014, per non aver commesso il fatto, fermo restando che, quanto al capo M1 (e analogamente è a dirsi per il capo B1), si ritiene integrata - v. parte generale della presente sentenza, par. 9 - la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Va altresì dichiarato non doversi procedere nei confronti del predetto MA. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo Al, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione; si impone invece nei suoi confronti la declaratoria di penale responsabilità per quanto residua della contestazione di aggiotaggio, atteso l'apporto causale comunque fornito dall'imputato - in relazione ad essa - anteriormente alla cessazione del rapporto dì lavoro con B. avvenuta in data 18.12.2014. Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art. 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre mesi quattro giorni quindici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni due mesi sei di reclusione (stante l'assoluzione del MA. da tale capo limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014), aumentata di complessivi mesi dieci e giorni 15 per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, di mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori, reati di ostacolo dì cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1 e G1; di mesi uno per il reato di ostacolo sub capo M1 stante la sua assoluzione da tale capo limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18.12.2014; di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub A1). Questo con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione (mesi uno per il solo capo M1 a cagione della parziale assoluzione del MA. da esso), in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve infatti evidenziarsi, come già detto saprà, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, dì applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minore, di mesi uno e giorni quindici (mesi uno per il solo capo M1 a cagione della parziale assoluzione del MA. da esso), ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. Va conseguentemente revocata nei confronti dell'imputato MA., stante la determinazione della pena base per il capo H1 in anni due mesi sei di reclusione, la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, posto che - notoriamente - ai fini dell'applicazione della suddetta pena accessoria, in caso di più reati unificati sotto il vincolo della continuazione, occorre fare riferimento alla misura della pena base stabilita in concreto per il reato più grave, come risultante a seguito dell'eventuale diminuzione per la scelta del rito, qui non ricorrente, e non già alla pena complessiva risultante dagli aumenti operati a titolo di continuazione (cfr., ex multis, Cass. Pen. Sez. 5, n. 28584 del 14/03/2017, Di Corrado e altri; Cass. Pen. Sez. 7, n. 48787 del 29/10/2014, Di Tana e altri). 14.1.3. L'appello nell'Interesse di Pi.An. Il gravame proposto dalla difesa di Pi.An. è parzialmente fondato; ciò con riguardo alle considerazioni già svolte nella soprastante parte generale - par. 8 - quanto al numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa. Nelle restanti sue parti il gravame del PI. è infondato, fermo restando che, quanto ai capi I e L di rubrica - corrispondenti ad altrettante fattispecie di falso in prospetto contestate come commesse nelle date del 10 giugno 2013 e del 9 maggio 2014 - risulta maturato il termine di prescrizione, con conseguente pronuncia di non doversi procedere - in relazione a tali due capi - per sopravvenuta loro estinzione. Preliminarmente va dato atto che sono già state approfonditamente vagliate e decise da questa Corte, vuoi nella propria ordinanza 18.5.2022 vuoi nella suestesa parte generale della presente sentenza, alle quali dunque senz'altro si rinvia in toto, le seguenti questioni trattate dalla difesa PI. nel suo atto di appello e nei motivi nuovi depositati il 5.4.2022: - eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti conseguenti per nullità della notifica dell'avviso ex art, 415 bis c.p.p, in relazione ai reati relativi ai fatti concernenti l'anno 2015 di cui ai capi M1 e N1 (eccezione sollevata dalla difesa PI. in grado di appello - associandosi a quella analoga già svolta in precedenza dalla difesa MA. - all'udienza del 16 maggio 2022); si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di incompetenza territoriale (cfr. paragrafo 11 dell'atto di appello, pagg. 146 e ss., nonché motivi nuovi d'appello): si veda la parte generale della presente sentenza, pan 7; - eccezione di non acquisibilità e, comunque, di inutilizzabilità del file audio relativo al Comitato di Direzione del 10.11.2014 (cfr. paragrafo 3.9 dell'atto di appello, pagg. 90 e ss.): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - richiesta subordinata di espletamento di una perizia sull'anzidetto file audio (cfr. paragrafo 3.9 dell'atto di appello, pag. 93): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di formale inutilizzabilità processuale delle deposizioni rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro. per violazione degli artt. 210 e 192 comma 3 c.p.p. in quanto soggetti indagabili per reato connesso o che addirittura, nel caso del teste Ma., sarebbero già indagati, secondo la difesa, per reato connesso (cfr. paragrafo 2 dell'atto di appello, pagg. 8 e ss., nonché motivi nuovi d'appello): si veda l'ordinanza 18 maggio 2022; - eccezione di violazione del principio nemo teneturse detegere (cfr. paragrafo 10 dell'atto di appello, pag. 146, nonché motivi nuovi d'appello) e del principio del ne bis in idem sostanziale (cfr. motivi nuovi d'appello): si veda la parte generale della presente sentenza, par. 11. Al netto di tali questioni si può dunque passare alla trattazione delle seguenti residue parti dell'atto di appello nonché dei motivi nuovi di appello (questi ultimi invero, per tutto quanto fin qui detto, rimangono di fatto circoscritti, ormai, alla valutazione dell'attendibilità, nonché della coerenza intrinseca ed estrinseca, delle deposizioni - pienamente utilizzabili, giusta ordinanza 18.5.2022 di questa Corte - rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro.): - primo motivo (par. 1, pagg. 4-7 dell'atto dì appello): nullità della gravata sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p., per omessa considerazione delle argomentazioni difensive, con particolare riguardo a quelle esposte nelle note d'udienza del 19.1.2021; - secondo motivo (par. 2, pagg. 8-15 dell'atto di appello): carenza assoluta di motivazione in ordine alla valutazione - operata dal tribunale - di attendibilità e coerenza, intrinseca ed estrinseca, delle deposizioni rese dai testimoni Al.Ma., Pi.Ra., Ma.So., Ro.Ri. e Fi.Ro.; - terzo motivo (par. 3 articolato nei sotto-paragrafi 3.1-3,10, pagg. 15-97 dell'atto di appello): malgoverno delle prove da parte del primo giudice con/ riguardo a tutte le ipotesi di reato per le quali l'imputato ha riportato condanna; - quarto motivo (par. 4, pagg. 98-103 dell'atto di appello): nullità della sentenza di primo grado ai sensi dell'art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At., non essendo tali condotte ricomprese, in tesi difensiva, in alcuno dei capi d'imputazione; - quinto motivo (par. 5, 6, 7, 8, pagg. 103-139 dell'atto di appello): contestazione anche nel merito, in subordine, della fondatezza dell'accusa con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At.; - sesto motivo (par, 9, pagg. 139-142 dell'atto di appello): insussistenza di un concorso del PI. nell'asserita "prassi" dell'effettuazione in seno a B., ad opera di Divisioni non rientranti nella competenza dell'imputato, di operazioni di finanziamento correlato (c.d. "operazioni baciate"); insussistenza di un suo concorso ex art. 110 c.p.p., conseguentemente, nei reati di aggiotaggio, di manipolazione tanto informativa quanto operativa, di ostacolo alla vigilanza e di falso in prospetto; in subordine mancata prova dell'elemento soggettivo dei reati stessi; - settimo motivo (par, 10, pagg. 142-146 dell'atto di appello): trattamento sanzionatorio. Tali motivi, come detto, non sono fondati (tranne quanto già detto supra circa il numero effettivo di reati di aggiotaggio ravvisabili nelle condotte contestate dall'Accusa - con ogni relativa conseguenza - e salva restando la declaratoria, in ordine ai capi I e L riguardanti altrettante fattispecie di falso in prospetto, di non doversi procedere per intervenuta prescrizione). Per esigenze di migliore organizzazione espositiva si procederà anzitutto alla trattazione delle eccezioni di nullità costituenti l'oggetto dei motivi rispettivamente primo e quarto, passando indi a una trattazione congiunta, articolata secondo i singoli filoni di concreta operatività contestati all'imputato dall'Accusa, dei motivi secondo, terzo, quinto e sesto fino a concludere con il trattamento sanzionatorio (settimo motivo). 14.1.3.1. L'eccezione di nullità della gravata sentenza per violazione degli artt. 121, 178 comma 1 lett. c) e 546 c.p.p.. L'eccezione è infondata. Anche a voler prescindere, infatti, da ogni considerazione in ordine alla sussistenza o meno, nel percorso argomentativo seguito dal primo giudice, di una implicita valutazione delle considerazioni che la difesa aveva consegnato alla memoria depositata il 19.1.2021 (e, più in generale, degli elementi probatori che la medesima difesa aveva introdotto ritenendoli meritevoli di valutazione con riferimento alla posizione processuale dell'imputato PI.) è decisivo osservare come, al di là di isolate e risalenti pronunce di segno contrario (oltre a Cass. Pen. Sez. 1, n. 31245 del 7.7,2009, Pa., constano le sentenze Cass. Pen. Sez. 6, n. 13085 del 3.10.2013 dep. 20.03.2014, Am. e altri; Cass. Pen. Sez. 1, n. 37531 del 07.10.2010, Pi.; Cass, Pen. Sez. 1, n. 45104 del 14.10.2005, Ru.; Cass. Pen. Sez. 1, n. 23789 del 06.05.2005, Ma.), costituisca opinione oramai consolidata nella più recente giurisprudenza di legittimità quella secondo cui la mancata valutazione di memorie difensive (e, più in generale, di elementi probatori valorizzati dalla difesa) non costituisca affatto causa di nullità della sentenza impugnata bensì possa unicamente integrare un vulnus alla congruità e alla correttezza logico-giuridica della relativa motivazione, pregiudicandone la tenuta (cfr. - fra le moltissime - Cass. Pen. Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Ol.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 24437 del 17.1.2019, Ar.; Cass. Pen. Sez. 3, n. 23097 dell'8.5.2019, Ca.; Cass. Pen. Sez. 4, n. 18385 del 9.1.2018, Ma. e altro; Cass. Pen. Sez. 2 n. 14975 del 16.3.2018, Tr. e altri; Cass. Pen. Sez. 3, n. 5075 del 13.12.2017 dep. 2.2.2018, Bu. e altri; Cass. Pen. Sez. 5, n. 51117 del 21,9,2017, Ma.; Cass. Pen. Sez. 5, n. 4031 del 23.11.2015 dep. 29.01.2016, Gr.), e, in tal guisa, fondare ragioni di critica destinate "ove debitamente riproposte nell'atto di appello, com'è avvenuto in questo caso - ad essere adeguatamente considerate dal giudice dell'impugnazione. Ad avviso dì questa Corte trattasi di orientamento del tutto persuasivo (oltre che, ormai, largamente maggioritario e più aggiornato) in quanto coerente per un verso con il principio della tassatività delle nullità e per altro verso con la funzione, propria delle memorie difensive (sulle quali, peraltro, diversamente da quanto previsto per le "richieste", non è previsto l'obbligo per il giudice di provvedere, ex art. 121, co. 2, c.p.p.), di ampliamento non già dell'ambito della decisione bensì della relativa argomentazione. A ciò consegue il rigetto della sollevata eccezione di nullità. 14.1.3.2. L'eccezione di nullità della gravata sentenza ex art. 522 c.p.p. in relazione all'art. 521 c.p.p. con riguardo agli investimenti nei fondi esteri Op. e At.. L'eccezione di nullità in esame si basa sul fatto che tali specifiche manifestazioni dell'operatività del PI. (sulle quali ci si diffonderà ampiamente infra passando, nel par. 14,1.3.5., all'esame del merito), avendo natura di investimento in fondi esteri unknown exposure e non già natura di erogazione di finanziamenti a soggetti terzi, in nessun modo potrebbero rientrare nell'ambito dei capi d'imputazione formulati a suo carico (il cui testo unicamente all'attività di finanziamento si riferisce), e ciò anche volendo ritenere - seguendo la tesi accusatoria - che attraverso tale investimento in fondi esteri si sia, di fatto, dato vita a una forma di detenzione indiretta di azioni B. (non seguita dallo scomputo integrale del controvalore di esse, viceversa in tal caso dovuto, dal patrimonio di vigilanza). Ritiene questa Corte che l'eccezione di nullità vada disattesa. In primo luogo va osservato che gli apparenti "investimenti" finanziari operati nel 2012 da B. e nel 2013 dalla sua controllata irlandese Fi. nei fondi esteri Op. 1 e 2 e At. non possono definirsi come effettivi investimenti finanziari dal momento che i suddetti fondi, anche al di là del loro essere unknown exposure, sono soprattutto risultati essere non già ordinari fondi collettivi OICVM (caratterizzati da una pluralità dì investitori in essi) bensì entità con riguardo alle quali la stessa B. (ovvero, nel caso di Op., la sua controllata irlandese Fi.) era l'unico "investitore", rectius l'unico soggetto ad iniettare denaro nei loro comparti, i quali peraltro - si badi - alla banca stessa erano, a loro volta, dedicati. Si veda al riguardo - rinviandosi, per una assai più dettagliata disamina, all'esame del merito che verrà condotto infra nel par. 14.1.3.5, - il doc. 418 del P.M. (relazione dell'Internai Audit sulla vicenda dei fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), pag. 4: - Atta data, B. e Fi. rappresentano di fatto gli unici sottoscritto(ri) dei 3 Fondi (100% di Op. I e II e circa il 99% di At.). Si precisa altresì che i contratti di sottoscrizione dei Fondi Op. prevedeva (no) la costituzione, in seno a ciascun Sub-fondo, di un "Investment Committee" i cui membri potevano essere eletti dagli investitori in funzione della loro quota. Detti Comitati non sono mai stati costituiti". Da tale circostanza discende che le relative operazioni - seppur basate, nel loro essere comunque connotate da analoghe finalità e analoghi risultati, su un meccanismo più sofisticato rispetto a quello dell'"ordinaria" pratica dei finanziamenti correlati - sono assai più assimilabili, in concreto, ai suddetti finanziamenti correlati di quanto non lo siano a un investimento finanziario in fondi OICVM. Di fatto, a ben guardare, l'operatività è realmente analoga nell'uno e nell'altro caso: - il comparto del fondo "non OICVM", dedicato alla banca, nel ricevere da questa - suo unico soggetto sottoscrittore - l'iniezione di denaro (corrispondente, per quanto detto sopra, a quello che solo formalmente appare come un ordinario investimento in un fondo), con cui provvede ad acquistare azioni della stessa banca, si ritrova a fungere da depositario dì tali azioni per conto della banca suddetta, la quale ottiene nel contempo l'obiettivo di risultarne, formalmente, non più titolare benché tali azioni siano state acquistate con denaro proprio; - il singolo soggetto finanziato, nel ricevere dalla banca l'iniezione di denaro (corrispondente a quella che solo formalmente appare come un'ordinaria erogazione di finanziamento, dal momento che quest'ultimo non può essere liberamente impiegato per i più disparati scopi ma è vincolato ad essere impiegato nell'acquisto di azioni della banca erogatrice), con cui provvede ad acquistare azioni della stessa banca, si ritrova a fungere da depositario di tali azioni per conto della banca suddetta, la quale ottiene nel contempo l'obiettivo di risultarne, formalmente, non più titolare benché tali azioni siano state acquistate con denaro proprio. Tale accentuata assimilabilità dell'uno all'altro meccanismo fa sì che in ispecie ci si mantenga ampiamente entro il rispetto dei requisiti posti dalla più rigorosa giurisprudenza di legittimità espressasi in subiecta materia, secondo cui la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e l'accertamento contenuto in sentenza si verifica ogni qual volta "il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità, tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa". In tal senso cfr. da ultimo, in motivazione, Cass. Pen. Sez. 1, n. 15560 del 09/03/2022, Ta., nonché, sempre in motivazione, l'ivi richiamata Cass. Pen. Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015 dep. 03/02/2016, Ad. e altri, secondo cui ricorre la nullità quando "Va descrizione dell'accadimento, visto in tutte le sue componenti, per il quale il soggetto viene condannato, venga a trovarsi in rapporto d'incompatibilità, eterogeneità (Cass. Sez. 1, n. 28877 del 4/6/2013, Rv. 256785), o, può soggiungersi, eccentricità, rispetto alla primigenia accusa. In quanto, pur avendo avuto l'imputato ovvio accesso a tutta la massa del materiale processuale utilizzabile, la sua difesa risulta essersi concentrata sul fatto siccome descritto nel capo d'imputazione, costituente specifica e precipua rappresentazione della vicenda di vita addebitata". In senso sostanzialmente conforme cfr., anche Cass. Pen. Sez. 1, n. 28877 del 04/06/2013, Co., secondo cui sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di incompatibilità ed eterogeneità tali da dare luogo un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa. L'eccepita nullità pertanto non ricorre nel caso in esame, e ciò anche non volendo aderire ad altro e più permissivo orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, non può ritenersi diverso il fatto che pure presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, laddove la differente condotta realizzativa sia comunque emersa dalle risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato, di modo che anche rispetto ad essa egli abbia comunque avuto modo di esercitare le proprie prerogative difensive (in tal senso cfr. da ultimo Cass. Pen. Sez. 6, n. 38061 del 17/04/2019, Rango, occupatasi di una fattispecie in cui la responsabilità per il reato di partecipazione a sodalizio criminale di stampo mafioso è stata riconosciuta in ragione del contributo arrecato dall'imputato al fatto estorsivo altrui, emerso solo a seguito dell'istruttoria, e non invece per la condotta di ausilio alla latitanza di uno degli esponenti di vertice del clan, originariamente ascrittagli; analogamente cfr., Cass. Pen. Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, Di. e altro; Cass. Pen. Sez. 1, n. 35574 del 18/06/2013, Cr.; Cass. Pen. Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lu. e altri). Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte deve dunque ritenersi infondata, sotto ogni profilo, l'anzidetta eccezione difensiva di nullità. 1.4.1.3.3. La conoscenza in capo a Pi.An. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. e la sua partecipazione diretta a tale tipologia di condotte. Molteplici sono gli elementi probatori dai quali si evincono tanto la piena conoscenza in capo al PI. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. quanto la sua stessa partecipazione diretta a tale tipologia di condotte, finalizzata a consentire di escludere dal computo del patrimonio di vigilanza il controvalore delle azioni B. - via via sempre più illiquide - acquistate con la relativa provvista dai soggetti all'uopo finanziati. Ad avviso di questa Corte un'evidenza particolare - e inequivoca - in tal senso è rivestita come minimo dai seguenti elementi fra loro convergenti: a) gli appunti scritti redatti dal teste Ma.So., incaricato della verbalizzazione, circa gli argomenti trattati nel Comitato dì Direzione dell'8.11.2011 (doc. 389 del P.M.) e il contestuale scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp intercorso tra An.Pi. e il d.g. Sa.So. (doc. 810 del P.M.); b) il file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) del Comitato di Direzione del 10.11.2014; c) la vicenda "So."; d) la vicenda Ta.; e) l'appunto redatto per iscritto nel novembre 2014 da Em.Gi., responsabile della Divisione Mercati, prodotto dal P.M. quale suo doc. 663 nonché la deposizione, ad esso relativa, resa dalla teste di P.G. Me.Ro. all'udienza del 4.2.2020; f) l'esplicita chiamata in correità operata al riguardo (cfr. pag. 24 del verbale stenotipico d'udienza 15.6.2022) dal medesimo coimputato Em.Gi., della cui credibilità e coerenza come propalante già si è detto supra nella parte generale - par. 13 - della presente sentenza; g) lo scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp (doc. 811 del P.M.) intercorso tra An.Pi. ed Em.Gi. in data 3 maggio 2015, ossia alla vigilia dell'incontro tenutosi il giorno seguente, 4 maggio 2015, tra il GI. e il presidente di B. Zo.Gi. (per inciso appena due giorni dopo, ossia il 6 maggio 2015, come si evince dall'appunto manoscritto redatto al riguardo dallo ZO., in atti sub doc. 855 del P.M., toccò al PI. incontrarsi con il predetto ZO., in Roma, a seguito - cfr. pag. 105 esame PI. del 3.3.2020 - di sua diretta convocazione ad opera del Presidente di B.; tali incontri dì ognuno dei due vice direttori generali con lo ZO. furono prodromici al loro allontanamento da B., concretizzatosi per ciascuno di essi nella redazione, in sede sindacale ex art, 412 ter c.p.c., di separati verbali di conciliazione datati 8.6.2015, in atti rispettivamente sub docc. 668 e 669 del P.M., attestanti l'accordo ivi raggiunto per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro - autorizzata dal CdA il 4.6.2015 - con decorrenza 3.6.2015); h) il contenuto della conversazione telefonica n. progr. 360 dell'I.9.2015 intrattenuta da An.Pi. con An.Mo. di Ub. (cfr, pagg. 120 e ss. della perizia di trascrizione intercettazioni). Scendendo nei dettagli: a) Gli appunti scritti redatti dal teste Ma.So., incaricato della verbalizzazione, circa all argomenti trattati nel Comitato di Direzione dell'8.11.2011 (doc, 389 del P.M.) e il contestuale scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp tra An.Pi. e il d.a. Sa.So. (doc. 810 del P.M.). Il doc. 389 del P.M., è un appunto manoscritto redatto dal teste Ma.So. (ex ispettore di Banca d'Italia entrato nel 2008 in B. con mansioni di responsabile della Direzione Segreteria e Affari Generali, indi Direzione Segreteria Generale, privo dunque, in B., di effettive competenze a livello operativo e decisionale) ai finì della successiva verbalizzazione - compito quest'ultimo al quale il So. era istituzionalmente preposto - e concernente la seduta del Comitato di Direzione 8.11.2011, al quale era presente anche Pi.An.; in tale documento manoscritto si legge fra l'altro (cfr. suoi fogli 1 e 2): Omissis Dallo stesso tenore letterale del suddetto doc. 389 del P.M. si evince già con sufficiente chiarezza che in quel passaggio del Comitato di Direzione 8.11-2011, essendo stata rappresentata agli astanti l'esigenza dì reperire capitale aggiuntivo - in ragione di 110 milioni di euro - per raggiungere l'obiettivo (8% di Tier 1) indicato dal responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione Ma.Pe. ed essendosi tuttavia ormai giunti in prossimità della fine dell'anno, fra i presentì tanto Um.Se. (all'epoca vice direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu., di cui sarebbe divenuto direttore generale nel 2012; il Se. ha, in veste di teste, dichiarato alquanto implausibilmente - cfr. pagg. 24-25 verbale stenotipico 31.10.2019 - di non ricordare nulla di tale Comitato di Direzione 8.11.2011 pur dopo aver avuto in visione il doc. 389) quanto Fr.To. (già direttore generale della controllata toscana Ca.Ri., indi fusa per incorporazione in B.; all'epoca egli era il direttore regionale dell'area Toscana di B.) ebbero in sostanza a dire che l'unica maniera possibile di centrare in così poco tempo (di fatto appena una trentina di giorni lavorativi o poco più, al netto del periodo natalizio) un sì ambizioso obiettivo sarebbe stata quella di porre in essere operazioni c.d. "baciate", ossia di finanziamento correlato all'acquisto di azioni. Tale dato letterale, già evidente di per sé, è ulteriormente suffragato dai seguenti elementi: - la deposizione esplicativa (cfr. pagg, 46 e ss. del verbale stenotipico 26.10.2019) resa dall'estensore stesso dell'appunto manoscritto sub doc. 389, ossia il teste Ma.So., che, diversamente da quanto sostiene la difesa, non si ha qui ragione di ritenere inattendibile (tanto meno inutilizzabile: v. sul punto l'ordinanza collegiale 18,5,2022); il fatto - rivendicato dalla difesa - che il So. provenisse da un'esperienza professionale trascorsa per quasi trent'anni in Banca d'Italia, di cui la metà con funzioni ispettive, e avesse dunque senz'altro la piena contezza della vastità ed entità del fenomeno dei finanziamenti correlati in B., non muta la sostanza dei fatti, ossia l'assenza di competenze operative e decisionali di sorta in capo al predetto So.. in effetti assunto dalla banca vicentina con compiti di tutt'altra natura (responsabile della Direzione della Segreteria Generale, cui si era affiancata, più avanti nel tempo, la titolarità dell'Ufficio Reclami) i quali involgevano - tra l'altro - la verbalizzazione delle sedute collegiali; - la deposizione, assai particolareggiata e lineare sul punto, resa in dibattimento dal teste assistito (poiché indagato nel procedimento 7362/2018 RGNR per il reato, interprobatoriamente collegato, di false informazioni al Pubblico Ministero) Fr.To. (cfr. pagg. 17-18 verbale stenotipico 9.11.2019). In verità (e ciò ulteriormente rafforza, ex post, l'interpretazione del già ben poco equivocabile testo del doc, 389 del P.M.) l'ambizioso obiettivo in questione fu poi effettivamente centrato grazie - per l'appunto - a un vero e proprio "cambio di passo" bruscamente impresso all'attività dì collocamento delle azioni. In concreto l'entità del capitale finanziato nel bimestre novembre-dicembre 2011 risultò infatti finanche superiore ai 110 milioni di Euro emersi come "fabbisogno" della banca nel corso del Comitato di Direzione 8.11.2011; cfr. al riguardo i dati obiettivi esposti alla pag. 643 della gravata sentenza: "... La CT della pubblica accusa attesta infatti che al 31 dicembre 2010 le operazioni di capitale finanziato ammontano ad Euro 50 mln; esse registrano un cospicuo incremento nei 2011 raggiungendo l'importo di Euro 243 min. Significativo del cambio di passo impresso alla rete dopo la riunione del novembre 2011 è il raffronto tra l'importo del capitale finanziato al 30 ottobre 2011 pari ad Euro 109.912.486 ed il dato dei mesi di novembre e dicembre 2011f in cui si registrano operazioni finanziate pari ad Euro 134.712.500 (cfr, CT P.M.)". Ebbene, una volta assodato - in base alle considerazioni fin qui svolte - che nel Comitato di Direzione 8.11.2011 si parlò realmente dell'effettuazione di operazioni "baciate" quale unico mezzo per poter conseguire, secondo quanto poi in effetti avvenne, lo sfidante obiettivo ivi indicato come da raggiungere necessariamente entro fine anno, si osserva: a) che An.Pi. era ivi presente; b) che non risultano agli atti sue manifestazioni di stupore, né tantomeno di indignazione o comunque di dissenso rispetto alla linea così tracciata; c) che anzi, al contrario, proprio mentre ciò accadeva il PI. ebbe a scherzare ironicamente con il So. inviandogli un messaggio (in atti sub doc. 810 del P.M.) del seguente tenore: "Quelle di To. sono baciate... tra uomini, che vanno coccolati" al che il So. replicava, dopo nemmeno un minuto, "Come discorso". In ogni caso, come si vedrà subito infra, risultano dimostrati nel presente giudizio non solo il fatto che il PI. ben conoscesse - come minimo sin da allora - il fenomeno delle c.d. operazioni "baciate" ma finanche il diretto coinvolgimento del predetto, negli anni a ciò immediatamente seguenti, in singole operazioni di finanziamento correlato condotte in prima persona, b) il file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Già si è ampiamente illustrato supra il contenuto del file audio (la cui trascrizione è in atti sub doc. 110 del P.M.) contenente la registrazione del Comitato di Direzione del 10.11.2014. Con riguardo alla posizione PI. non può che ribadirsi dunque ancora una volta, nel rinviare, per il resto, soprattutto alla parte generale (paragrafo 12 della presente sentenza) nonché ai paragrafi relativi alle posizioni degli imputati GI. e MA., tutto quanto già da questa Corte ivi affermato e ampiamente argomentato - con l'ausilio di plurime citazioni di passi della relativa trascrizione, l'interpretazione dei quali, come già si è detto e y diversamente da quanto hanno sostenuto la difesa e lo stesso imputato PI. in sede di esame e dì dichiarazioni spontanee, non lascia davvero adito a dubbi di sorta - circa il fatto che: - dinanzi al consesso dei vice direttori generali, incluso il PI. che, al pari dei colleghi, non ebbe a manifestare stupore alcuno né frappose contrarietà di sorta, vennero affrontati e discussi dal d.g. Sa.So. nella maniera più aperta possibile (ma al tempo stesso con la consegna del silenzio più assoluto verso l'esterno, motivata dal So. anche con la recente pubblicazione di alcuni allarmanti quanto apparentemente ben informati articoli di stampa: cfr, pagg. 30-31 trascrizione cit.) i temi: a) dell'illiquidità dell'azione B. (con il GI. il quale, accorato, ricordava a sua volta - cfr. pag. 78 trascrizione cit. - che "... ormai tutto sanno, dopo l'articolo di oggi sui "Co." (inc.) milioni di persone che l'hanno letto, che (l'azione B.) vale 20,00 Euro"); b) del ricorso che fino a quel momento si era fatto, proprio al fine di ovviare a tale illiquidità e per un complessivo ammontare indicato dal d.g. Sa.So. in "un miliardo e 2" (cfr. pag. 34 trascrizione cit.), ai finanziamenti correlati "apposta per fare" (ibidem), per lo più tuttavia erogati a imprenditori vicentini sicché si rendeva necessario diversificare, sempre secondo il So., tale platea rivolgendosi anche ad altre realtà territoriali; c) dei possibili strumenti ulteriori da mettere in campo, affiancandoli comunque ai finanziamenti correlati, per perseguire detta finalità (dovendosi tenere conto, ad un tempo: dei nuovi stringenti limiti quantitativi apposti ex lege all'entità del fondo riacquisto azioni proprie; del crescente e ormai imponente numero di reclami e di domande pendenti di vendita di titoli presentate dagli azionisti B.; dell'urgente necessità di trovare quanto prima una diversa collocazione al notevole quantitativo di azioni B. risultate ancora indirettamente detenute dai fondi esteri Op. e At.); - anzi fu proprio il PI., in quella sede, a ostentare semmai un atteggiamento cinico e beffardo di fronte alla prospettazione, da parte del collega GI., dei possibili rovinosi effetti delle scelte operate da B. al fine di mascherare la pesante illiquidità del suo titolo (cfr. pagg. 76-77 trascrizione cit.: "VM 8 (GI.): Faccio ... Per esempio, facciamo che siano 500 milioni, a titolo esemplificativo, no, e il valore dell'azione perde il 30%, sono 150 milioni che noi dovremmo ridare a questi qua in dieci anni, metti, no? Quindi, son 30 milioni ... son 15 milioni l'anno, (...). - VM 10 (PI.): Sì, tocchiamoci i coglioni, comunque! (ride)"); - in quella sede il PI., nella trascrizione indicato come "VM10", e il So. (cfr. pagg. 38-41 trascrizione cit.) ebbero - con l'intervento anche del MA., sempre particolarmente sensibile, a suo stesso dire, all'esigenza di evitare dì attirare in qualsiasi modo l'attenzione degli organismi di vigilanza (cfr. pagg. 42-44 trascrizione cit.) - a delineare, sia pure in via embrionale, anche il progetto di quella che poi si sarebbe concretizzata come l'operazione "So.", riproponendosi di ricontattare più seriamente "quella persona che abbiamo visto a Roma", da identificarsi (come ha confermato lo stesso PI. pur negando poi, contro ogni evidenza probatoria come già detto nel trattare la posizione MA., trattarsi di finanziamento correlato: cfr. pag. 43 del suo esame 3.3.2020) nel teste Va.Ma. del gruppo "So.", e ciò al fine specifico (cfr. pag. 41 trascrizione cit.: - VM 10 Sì, lì mi libero di ... serviva per liberarsi dei fondi") di trovare quanto prima una nuova collocazione a una rilevante parte di quelle decine di milioni di Euro in azioni B. ancora giacenti, al 10,11,2014, nei comparti (sotto-fondi) dei fondi esteri Op. e At., sui quali v. infra; - nell'ambito dell'anzidetta ricerca collettiva di possibili strumenti ulteriori da mettere in campo, affiancandoli comunque ai finanziamenti correlati, per ovviare all'illiquidità dell'azione B. il PI., lungi dal manifestare in quel Comitato di Direzione 10.11.2014, come da lui invece sostenuto a mezzo del suo difensore oltre che in sede di spontanee dichiarazioni, ostilità e contrapposizione tout court verso la pratica del finanziamento correlato e/o verso gli obiettivi indicati dal d.g. So. come da perseguirsi ad ogni costo, viceversa ebbe a porsi in un'ottica di cooperazione dialettica col direttore generale, evidenziando pacatamente - dall'alto delle sue riconosciute e indiscusse elevate competenze - gli svantaggi e/o l'impraticabilità sul piano squisitamente tecnico di talune soluzioni ulteriori ipotizzate dal So. e suggerendone delle altre; - in quella sede il PI. diede espressamente atto, nel confermarlo al GI. (indicato nella trascrizione cit. come "VM8") che glielo ricordava (cfr. pag. 40 trascrizione cit.), di avere effettivamente già partecipato con lui in passato alla redazione di talune side letter, strumento del quale il GI.. gli indicava come indispensabile l'adozione (cfr. pag. 40 trascrizione cit.: "Sai, qui, An., bisogna Scusa, apro una parentesi, no? Qui il tema è che la gente ti dice, uno: "Cosa mi rende? Perché lo devo fare?", due: "Se il valore va giù, come mi cautelo?" E, terza cosa, se trovi un accordo, bisogna metterlo su carta, comunque devi fare una side letter, che dovremo firmare io e te ... eh ... come stiamo facendo su altre cose e ... - VM 10 (PI.): Eh, sì, lo abbiamo già fatto, ma... - VM 8: E fare in modo che ... Allora, magari, ci mettiamo un attimo a tavolino e cerchiamo di capire quale potrebbe essere la formula, perché, con questa formula per cui tu li cauteli sull'andamento del valore e li cauteli sul rendimento, ne trovi che ... che ti comprano"; si noti per inciso la piena congruenza con il contenuto dell'appunto manoscritto sub doc. 663 del P.M. - "Trovare formula con An. per baciate" - vergato dallo stesso GI. nella propria agenda, su cui v. meglio infra, proprio nello spazio corrispondente alla data di quel Comitato di Direzione); tale indispensabilità del rilascio di side letter, secondo il GI., derivava dal fatto che nessuno ormai - circolando insistentemente finanche sulla stampa nazionale generalista, da qualche tempo, voci allarmanti circa l'effettivo valore dell'azione B. e circa la sua illiquidità - avrebbe altrimenti più accettato di acquistarne, sia pure utilizzando capitale finanziato, senza ricevere una piena assicurazione al riguardo (cfr. sempre Em.Gi., pag. 78 trascrizione cit.: "... Con questa side letter in cui gli spieghiamo che è cautelato, sennò non te lo comprano questo, perché fuori ... ormai tutto sanno, dopo l'articolo di oggi sul "Co." (inc.) milioni di persone che l'hanno Ietto, che (l'azione B.) vale 20,00 Euro"). Sul fatto che con il termine side letter proprio ciò - anche da parte del PI., che, pure, nel presente giudizio lo nega - si intendesse (ossia il rilascio di vere e proprie lettere di impegno al riacquisto delle azioni B. e/o alla corresponsione di interessi attivi quale corrispettivo per la loro detenzione), e null'altro, sì è già ampiamente argomentato supra nei trattare la posizione MA.. La difesa del PI. obietta che il tribunale vicentino non avrebbe attribuito il giusto rilievo alla congiunzione avversativa "ma ..." pronunciata dal suo assistito nell'occasione, indice a suo avviso di mancata condivisione della tesi del GI.; al riguardo basti osservare che, quand'anche così fosse, questo non varrebbe certo a obliterare il dato, espressamente riconosciuto dallo stesso PI. nel contesto di quel Comitato di Direzione, del pregresso ricorso, anche da parte sua ("Eh, si, lo abbiamo già fatto..."), a tale strumento. Sul tema delle lettere di impegno, inoltre, v. infra per una disamina delle produzioni documentali effettuate al riguardo nel corso dell'udienza 19.9.2022 dal Procuratore Generale. c) la vicenda "So.". Con riguardo alla vicenda "So." (episodio ove fu lo stesso An.Pi. in prima persona, come dettagliatamente spiegato dal teste Va.Ma., a condurre un'operazione avente ad oggetto un finanziamento-finanziamento - in, concreto erogato dalla controllata irlandese Fi. - correlato all'acquisto di azioni B. per 25 milioni di Euro, operazione a sua volta finalizzata a consentire l'indispensabile uscita urgente - per pari ammontare - delle suddette azioni dai fondi esteri ove esse erano state, di fatto, rese oggetto di deposito indiretto in virtù di altra precedente operazione sempre posta in essere dal PI., sulla quale v. infra), basti qui richiamare integralmente il complesso delle articolate considerazioni svolte supra a tal proposito nell'esaminare la posizione dell'imputato MA.. Ad esse va aggiunta l'ulteriore, significativa considerazione per cui al prezzo di vendita unitario dell'azione B. praticato all'acquirente in tale operazione fu applicato uno sconto non indifferente (euro 50,00= in luogo del valore ufficiale unitario di Euro 62,50=: cfr. deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10.2019, pag, 20), proprio così come era stato ventilato tanto da An.Pi. quanto dal d.g. Sa.So. nell'iniziare a delineare in via embrionale, durante il Comitato di Direzione B. del 10.11.2014, quella che poi si concretizzò come l'operazione "So.": cfr. sul punto pag. 39 della relativa trascrizione, in atti sub doc. 110 del P.M., e pag. 43 dello stesso doc. 110. d) la vicenda Ta.. Altra diretta partecipazione materiale alla "prassi" dei finanziamenti correlati in esame, che viene ascritta - fondatamente - dall'Accusa ad An.Pi., è l'operazione conclusa con l'imprenditore lombardo - operante al confine tra Como e Milano - Ed.Ta., la cui deposizione (cfr. verbale stenotipico 10.12.2019 pagg. 60-73) non è affatto scalfita, nel suo delineare una chiara operazione di finanziamento correlato, dal tenore del controesame svolto dalla difesa dell'imputato. Nel caso in questione il finanziamento - così precisa da subito il teste - era inizialmente stato erogato nella misura di 1 milione di Euro alla società della famiglia Ta. denominata Es. S.r.l. (d'ora in avanti Es.) in data 24.7.2013 da B. su richiesta della stessa Es., che voleva utilizzarlo quale finanziamento ordinario per poter fare dei normali investimenti (non in azioni B.). In seguito, tuttavia, proprio il PI. (assieme a Vi.Pi., ex direttore della filiale Cr.It. - come tale noto a Ed.Ta. - frattanto divenuto consulente commerciale per B.) ebbe, in una conversazione a tre che il teste Ta. non riesce a collocare esattamente nel tempo ma comunque successiva non di molto all'erogazione del finanziamento, a chiedere che invece Es. destinasse quel milione di Euro all'acquisto di azioni B.. Il teste Ed.Ta. è chiaro e lineare nell'affermare, in sede di esame diretto, che i due, tanto Pi. quanto PI., insistettero congiunta mente con lui affinché quel finanziamento in origine non correlato all'acquisto di azioni B. divenisse, di lì a poco tempo (l'arco temporale è comunque modesto benché non quantificato - lo si ripete - con assoluta puntualità dal teste; inizialmente il Ta. afferma di non ricordare bene; indi lo colloca nel settembre 2013; indi ancora lo descrive come successivo di un paio di mesi all'erogazione del finanziamento; infine in sede di controesame afferma nuovamente di non ricordare bene), correlato a tale acquisto. Va precisato che il PI. concorse a chiedere al Ta., assieme al Pi., solo il primo fra i più acquisti di azioni B. che lo stesso Ta. complessivamente ebbe a porre in essere: i successivi, infatti, glieli chiese, a suo stesso dire, il solo Pi.. Nondimeno il primo di tali acquisti, come sopra descritto, già rappresenta a tutti gli effetti una vera e propria operazione di finanziamento correlato, in virtù della quale si può affermare che anche in tale occasione (così come accadrà con la cronologicamente successiva operazione "So.") si ebbe il comprovato coinvolgimento materiale, diretto e in prima persona di An.Pi. nel fenomeno dei finanziamenti correlati per così dire "ordinario", ossia non legato alle competenze specialistiche esercitate dal predetto PI. in seno alla Divisione Finanza da lui diretta. Secondo la difesa non sarebbe dato rinvenire alcun apporto causale del PI. in questa operazione perché il suo ruolo sarebbe stato unicamente quello di rassicurare verbalmente il Ta. sul fatto che - all'occorrenza - il fondo riacquisto azioni proprie di B., in quanto ben capiente, non avrebbe avuto difficoltà a riacquistargli celermente le azioni della banca in suo possesso (cfr. pag. 70 deposizione Ta.: "DIFESA, AVV.TO. -...non per l'acquisto delle azioni. E' corretto dire che il dottor Pi. ha soltanto rassicurata sull'operatività del fondo acquisto azioni proprie della banca? TESTIMONE TA. - E' corretto"). In realtà tale circostanza (che peraltro, a ben guardare, si pone già di per sé come l'equipollente verbale di una vera e propria lettera di impegno al celere riacquisto da parte della banca, e ciò a fronte dei dubbi esternati nell'occasione dal Ta. circa la convenienza per sé dell'operazione di acquisto azioni) è bensì stata riferita in sede di controesame dal teste Ta. ma non è certo in grado di obliterare il fatto che, nel corso del suo esame diretto, questi espressamente abbia indicato entrambi i suoi interlocutori Pi. e PI., e non già il solo Pi., come intenti a convincerlo a destinare l'affidamento, già ottenuto a luglio dalla società Es., all'acquisto di azioni B.. Anzi, qualora si contestualizzi l'affermazione resa in controesame dal teste Ta. in seno all'intera verbalizzazione del suddetto controesame appare evidente che egli, lungi dal voler smentire quanto detto in sede di esame diretto circa il carattere congiunto dell'invito rivoltogli a comprare azioni B., intendeva unicamente puntualizzare, in risposta a una precisa domanda della difesa, che il PI. - circostanza invero pacifica - non aveva viceversa preso parte all'originaria erogazione del finanziamento in favore della società Es.. e) l'appunto scritto redatto nel novembre 2014 da Em.Gi., responsabile della Divisione Mercati, prodotto dal P.M. quale suo doc. 663 nonché la deposizione, ad esso relativa, resa dalla teste di P.G. Me.Ro. all'udienza del 4.2.2020 (cfr. pag. 111 del relativo verbale stenotipico). Si tratta di un elemento documentale che ancora una volta dimostra non soltanto la piena conoscenza in capo al PI. del fenomeno delle operazioni c.d. "baciate" (o anche "parzialmente baciate", ossia comunque correlate pur in difetto di una totale coincidenza tra l'ammontare del finanziamento erogato e il controvalore delle azioni B. acquistate) ma altresì il fattivo apporto concorsuale da questi prestato al fine di garantire l'operatività e l'efficacia di tale meccanismo, impiegando il quale, in misura progressivamente sempre più massiccia, B. cercava di ovviare all'accentuata illiquidità del proprio sopravvalutato titolo azionario: "TESTIMONE Ro. (...) Inoltre, sempre con riferimento alla conoscenza in capo a Pi. del fenomeno relativo alla concessione dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni proprie tra la documentazione cartacea sequestrata presso l'abitazione di Gi. vi era un appunto manoscritto, in cui veniva riportata la frase "Trovare formula con An. per baciate" Non ho fatto personalmente questo esame, però so che tale appunto è stato collocato temporalmente nel mese di novembre 2014. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - 663, Presidente, questo l'abbiamo già prodotto. TESTIMONE Ro. - Nel mese di novembre 2014, in ragione di alcune date che erano riportate nella pagina precedente e nella pagina successiva. Nella precedente era scritto CdD 10/11 e sotto Cd A 18/11. Nella pagina invece successiva a questa frase c'era scritto 11/11/2014. In tal senso, in data 10 novembre 2014f si era tenuto il Comitato di Direzione, e in quell'anno, in quella data, quindi 18 novembre 2014, si era tenuta una riunione del Consiglio di Amministrazione della B., I Tale appunto scritto, fra l'altro, si salda perfettamente - come detto - con le parole rivolte dal GI. "VM8") al PI. ("VM10") proprio nel contesto del Comitato di Direzione tenutosi il 10.11.2014 (cfr. pag. 40 della relativa trascrizione sub doc. 110 del P.M.: "VM 8: E fare in modo che... Allora, magari, ci mettiamo un attimo a tavolino e cerchiamo di capire quale potrebbe essere la formula, perché, con questa formula per cui tu li cauteli sull'andamento del valore e li cauteli sul rendimento, ne trovi che ... che ti comprano"). f) l'esplicita chiamata in correità operata al riguardo dal medesimo coimputato Em.Gi., della cui attendibilità e coerenza quale propalante già si è ampiamente detto supra (nella parte generale della presente sentenza, par. 13), quanto al materiale apporto direttamente fornito anche da An.Pi. in prima persona al fenomeno dei finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B.. Si veda infatti il seguente passo di pag. 24 del verbale stenotipico d'udienza 15.6.2022: "Quindi questo (ossia le operazioni di equity swap - scambio di titoli B. con titoli Ve. - effettuate nel periodo ricompreso tra il 20.3.2014 ed il 3.10.2014 per consentirne la dismissione dai fondi esteri, sulle quali v. più ampiamente infra) è stato l'unico momento in cui c'è stato da parte della Divisione Mercati, ma più che altro dall'Ufficio Soci, un'interlocuzione con Pi., e quindi sulla Divisione Finanza, sulla prassi delle baciate, al di là di alcune operazioni che Pi. direttamente ha fatto con alcune controparti, soprattutto sulla piazza (...) Milano". D'altra parte già in primo grado l'imputato GI. aveva riferito circa la piena conoscenza da parte del PI. - senza che questi avesse mai ad obiettare alcunché a tale prassi, anzi - del fenomeno del finanziamento correlato, cfr. pag. 70 verbale stenotipico 25.6.2020: PUBBLICO MINISTERO - Quindi quello che lei ha riferito fino adesso, sulle operazioni correlate, le caratteristiche, le necessità, lo svuota fondo e quant'altro, non era un argomento riservato, addirittura segreto rispetto a settori, strutture, persone della banca? Cioè, se ne parlava liberamente? IMPUTATO GI. - Assolutamente liberamente e un modo esplicito. PUBBLICO MINISTERO - E questo vale anche per i coimputati? IMPUTATO GI. - Per tutti, PUBBLICO MINISTERO - Ma., Pi. e Pe.? IMPUTATO GI. - Sì, Ma., Pi. e Pe.. PUBBLICO MINISTERO - Senta, perché Pi., era presente anche lei, se non ricordo male, ha detto che in realtà a lui, sostanzialmente, è stata tenuta segreta questa prassi, questo fenomeno dei finanziamenti correlati? IMPUTATO GI. - Era palese e conosciuto, ripeto, da tutti. q) lo scambio di messaggi sms ovvero WhatsApp (doc. 811 del P,M.) intercorso tra An.Pi. ed Em.Gi. in data 3 maggio 2015, ossia alla vigilia dell'incontro tenutosi tra quest'ultimo e il presidente di B. Zo.Gi. che aveva in animo di attuare formalmente un nuovo corso di netta "discontinuità" in seno alla banca, allontanandone - come poco dopo in effetti fece: le risoluzioni consensuali dei due rapporti di lavoro sono entrambe datate 8.6,2015 con decorrenza 3.6,2015, come detto supra - proprio GI. (additato come pesantemente responsabile in prima persona, in particolare, del rilascio di plurime lettere di impegno) e PI. (additato come pesantemente responsabile in prima persona, in particolare, della vicenda degli investimenti in fondi esteri - sulla quale v. ampiamente infra - risultati essere non collettivi e dotati di una giacenza di azioni B. nei propri comparti, oltre che unknown exposure); con ogni evidenza i due non stanno parlando dell'attività finanziaria e in particolare della vicenda dei fondi esteri, vicenda alla quale il GI. è d'altra parte ritenuto estraneo dalla stessa Accusa (tale egli è anche a detta del PI.: cfr. pag. 55 dell'esame 3,3.2020 di questi), bensì dell'attività "ordinaria" di finanziamento correlato che coinvolgeva, a vari livelli peraltro fra loro ben differenziati quanto alla conoscenza dell'entità e dei dettagli (fino a giungere al vertice ristretto formato dal d.g. So. nonché dai vice direttori generali e capi di Divisione, qualifica quest'ultima rivestita da GI. così come da PI.), sostanzialmente la pressoché totalità del personale della banca: "Pi.: "Mi raccomando domani con il presidente. Parla a nome di futi e due". Gi.: "Certo" Gi.: "Vedrai risolviamo". Pi.: "Penso anche io. Deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori". h) il contenuto della conversazione telefonica n. progr. 360 dell'1.9.2015 intrattenuta da An.Pi. con An.Mo. di Ub. (pagg. 120 e ss. della perizia di trascrizione intercettazioni). Le espressioni usate dal PI. con il suo interlocutore, anche in questo caso, all'evidenza non riguardano - o comunque di certo non riguardano soltanto - l'attività finanziaria e/o la specifica vicenda dei fondi esteri sui quali v. infra, risultando estremamente plastiche ed efficaci nel descrivere il grado del costante coinvolgimento in toto dello stesso PI. in quello che, anno dopo anno, si era oramai andato consolidando come un autentico circolo vizioso generato dalla costante esigenza di trovare modalità sempre più spinte per ovviare in qualche modo all'illiquidità ingravescente del titolo azionario di B., banca ivi definita efficacemente dall'imputato "una baracca che sta in piedi con io sputo" (in stridente contrasto con il tenore - costantemente entusiastico e ottimistico - delle comunicazioni offerte dalla banca stessa all'esterno, in particolare ai soci: cfr, ad es. il già citato doc. 646 del P.M. lettera ai soci del 4.12.2014). Si noti come qui l'imputato rimproveri amaramente ex post se stesso, usando espressioni anche icastiche, per avere proseguito ad oltranza concorrendo nelle condotte illecite pur essendo egli - anche in virtù della sua indubbia preparazione professionale: ad es. il teste An. a più riprese nella sua deposizione del 4.10.2020 afferma che PI. era considerato "l'enfant gàté della banca" per i brillanti risultati conseguiti - da lungo tempo ben consapevole delle loro possibili rovinose conseguenze ("l'avevo, fra virgolette, letta, capito?, che andava... poteva andare in una certa maniera"), sostenendo di essere stato a ciò indotto, da un lato, dal proprio sentimento filoaziendalista e, dall'altro lato, dalla piega ormai consolidata, per certi versi senza ritorno ("e però sei dentro"; "fai parte di un meccanismo"), che avevano preso gli eventi: Pi. (...) perché veramente ho il vomito, perché la vicenda mia è una vicenda che ti assicuro se uno la vive ti... ti chiami coglione, hai capito?, dici: sono proprio un coglione, perché alla fine... Anche perché l'avevo, fra virgolette, ietta, capito?, che andava... potevo andare in una certa maniera. E però sei dentro... An. Eh, immagino. Pi. ...Sei dentro... sei dentro a una situazione, cosa fai? Si, spingi corri fai, vai via sempre a cento all'ora, sacrifichi tutto, eccetera, e poi quando c'è il minimo problema, capito?, eh, purtroppo... Hai visto, anche Pa., è andato via anche lui. An. SI ho sentito. Ho sentito. Pi. E niente... An. No, no, guarda, la situazio... la... la.., la cosa tua... immagino come sia andata e son le classiche robe che... che dopo ti tagliano la corda quando gli hai salvato il culo per anni, no? Pi. Eh, per forza. Certo, certo. Ma infatti io, guarda, non posso... mi chiamo coglione perché... perché dovevo... dovevo, fra virgolette, fermare prima certe cose". An. Mmh. Pi. ...chiamarmi fuori prima... Però poi, sai, eh, purtroppo, ti ripeto, fai parte di un meccanismo, di una situazione, eccetera, per cui... An. Sì. Sì, però... Pi. ...io che sono uno... filoaziendalista... (...) Pi. ...tutto quello che si è fatto per dopo avere la conclusione così... così com'è successo, quello che continua... quello che continua a accadere, perché poi lì non è ancora finita fa questione, è... è deprimente. Deprimente perché... An. Ah. Pi. ...perché (inc. voci sovrapposte) da che pulpito (risatina) che vengono certi discorsi certi ragionamenti, certi scarichi di responsabilità. Er pazzesco. Però... però lo sapevi prima e quindi dovevi essere per forza prima, mi chiamo coglione per quel motivo lì, tutto là. Eh... e va beh, oh, fa parte anche questo delle.. - delle... delle vicende umane. An. Dell'esperienza. Pi. Eh sì. Eh si. Perché poi, ti ripeto, tu mi hai riconosciuto, vedi, quanto abbiamo sempre spinto, quanto abbiamo sempre, capito?, cercato di innovare, di co... di fare per tener su in piedi la baracca. An. Certo. Pi. Perché è una baracca sta in piedi con lo sputo, capito?, per tutta una serie di cose, no?, eh... e dopo poi prendersi a pesci in faccio, perché letteralmente a pesci in faccia, insomma... Però, va beh, è andata così, dai. Omissis A corollario di tutto quanto fin qui illustrato, che già di per sé concorre a formare un solido quadro probatorio circa la compartecipazione del PI. alla complessiva prassi dell'ordinario ricorso al finanziamento correlato, può altresì ricordarsi l'episodio riferito dalla teste avv. An.Pa., responsabile dell'ufficio legale B. (cfr. pag. 20 verbale stenotipico 13.9.2019): "TESTIMONE PA. - Ecco, e io dissi (al d.g. Sa.So. il quale le aveva chiesto, presenti anche Ma.Pe. e An.Pi., di redigere un parere che dichiarasse legittime le operazioni dì finanziamento correlato appena scoperte, in numero peraltro ancora assai circoscritto, dalla società di revisione Kp.): "Questo non te lo posso dare, anzi, dissi, da legale quello che posso suggerirti è di fare immediatamente un audit per verificare se"... Siccome non è che era una posizione, ma erano un gruppo di posizioni, dico: "per verificare se questo fenomeno è un fenomeno più ampio di quello da una semplice estrazione" E il Direttore mi assalì, mi disse che... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Non fisicamente? TESTIMONE PA. - Verbalmente, verbalmente mi disse che si sarebbe trovato un altro avvocato, e che fui dormiva cinque ore per notte, e che noi dovevamo assumerci le nostre responsabilità, e... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Usò questa espressione: dobbiamo assumere.,.? TESTIMONE PA. - Sì, dobbiamo assumerci (e nostre responsabilità. Anzi, no, questo lo disse Pi., mi sembra, le responsabilità, sì; lo disse il dottor Pi., che saltò su e mi disse: "Ma sei matta! Un audit? Se facciamo un audit, andiamo tutti a casa7' Io rimasi allibita, veramente, non sono una persona, voglio dire, che si commuove facilmente, sono abbastanza tosta, ma devo dire che ero sconvolta dopo questo colloquio col Direttore/'. Vero è, al riguardo, che il coimputato PE., nel confermare per tutto il resto con estrema puntualità nel suo esame del 18.6,2020 l'episodio (incluso il violento scatto d'ira del d.g. Sa.So. quale reazione alla frase della Pa. - ivi descritta dal PE. come "molto, molto colpita" - circa l'opportunità di coinvolgere l'Internai Audit), ha viceversa affermato di non rammentare che il PI. avesse nell'occasione proferito la frase "Se facciamo un audit, andiamo tutti a casa"" (cfr. pagg. 58-59 dell'esame dibattimentale reso dal PE. in data 18.6.2020: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Pi.? IMPUTATO PE. - Quella... devo essere sincero... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - No, la ripeta per il verbale. IMPUTATO PE. - Per il verbale, era: "Se coinvolgiamo l'Audit",.. mi pare, l'ho vista sui... "Andiamo tutti a casa", una roba del genere. Questa io non fa ricordo. Quello che ricordo è che sicuramente il concetto della Pa. era: non è un tema solo legale, bisogna fare un'indagine e va coinvolto l'Audit. Questo sicuro, cioè che la Pa. abbia tirato fuori il tema dell'Audit, sicuro. La frase di Pi., sinceramente, non mi ricordo che rabbia detta"). Nondimeno può osservarsi che il PE., nella sua qualità di coimputato, ha tutto l'interesse a negare la circostanza, risultando altrimenti difficilmente spiegabile, da parte sua, la mancata reazione a una frase così dirompente. In conclusione non possono davvero revocarsi in dubbio - diversamente da quanto sostiene a più riprese la difesa: cfr. ad es. pag. 16 dell'atto di appello - la piena conoscenza in capo a Pi.An. di ogni segmento della complessiva prassi del ricorso al finanziamento correlato ordinariamente attuata in B. - quanto meno fin dall'inizio della fase in cui le fu impressa una forte accelerazione, ossia fin dagli ultimi mesi del 2011, ma in realtà da epoca ancora anteriore, v. infra - e la sua partecipazione (in più di una occasione anche diretta, in prima persona, come si è visto) a tale tipologia di condotte... Né, stante l'esaustività degli elementi probatori fin qui passati in rassegna, vi è in realtà bisogno di chiamare in causa, per valorizzarle, talune ulteriori risultanze processuali - pure indicate come rilevanti dal primo giudice - nei confronti delle quali si sono appuntate le censure, per la verità almeno in parte centrate, della difesa, ossia: a) il passo della deposizione di Ma.So. (pag, 57 verbale stenotipico 29.10,2019) ove il teste afferma che gli pare di ricordare di avere sentito u/7 dottor So. e il dottor Pi. che parlavano di strutturare delle operazioni volte anche ad acquisire capitale Ne stava parlando o il dottor So. o il dottor Pi.. Questo non me lo ricordo, citando al riguardo, dopo un'iniziale difficoltà a rammentarne i nomi, il gruppo imprenditoriale Fe. e il Fo.Ag.. In verità, come ha correttamente puntualizzato la difesa, il teste Lu.Fe. - cfr. suo esame dell'11.7.2019, in particolare pag. 16 - non ha in alcun modo citato il PI. quale partecipe ai finanziamenti correlati riguardanti il suo gruppo imprenditoriale, menzionando unicamente So., Gi. e un capoarea dell'Emilia-Romagna, mentre il teste ispettore Gi.Ma. ha espressamente escluso, in relazione al Fo.Ag., che si fosse in presenza di capitale finanziato, cfr. pag. 68 della sua deposizione 26.10.2019: "Queste operazioni di acquisto non le abbiamo considerate finanziate perché abbiamo ritenuto, insomma, che i soldi non provenivano da un finanziamento ma da una vendita cioè i fondi avevano venduto delle quote e con queste quote avevano avuto la disponibilità per comprare 10 milioni di azioni. Quindi giugno 2012, alcuni Consorzi comprano 10 milioni di azioni non ritenute finanziate da noi"); b) la vicenda Fa.. In realtà, come ha riconosciuto in sede di requisitoria nel presente grado di giudizio lo stesso rappresentante dell'Accusa (cfr. pag. 7 della memoria depositata dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022 nonché pag. 48 del relativo verbale stenotipico), l'imprenditore tessile An.Fa. - era soggetto economicamente molto abbiente, non aveva bisogno di denaro dalla Banca, ma era fui che desiderava investire in modo redditizio, sicuro e a breve termine", sicché non si è qui in presenza di un finanziamenti, correlato all'acquisto di azioni B., le quali furono sicuramente acquistate dall'imprenditore An.Fa. - che aveva esposto proprio al PI. tale sua disponibilità all'acquisto: cfr. pagg. 55-56 deposizione Fa., verbale stenotipico 10.7.2019 - con denaro proprio, investito in parte in azioni della banca e in parte in PCT (pronti contro termine). Risponde inoltre al vero l'assunto difensivo secondo cui la vicenda Fa., per il suo carattere risalente nel tempo, si colloca al di fuori del perimetro del capo di imputazione, che si riferisce al periodo 2012-2015. Nondimeno, restando nell'ambito della vicenda Fa., si pone come ugualmente assai rilevante ex se (perché offre la cifra di quanto il coinvolgimento del PI. nell'illecita operatività "ordinaria" di B. fosse in realtà molto datato e consolidato) il dato documentale emergente dalle produzioni effettuate dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022 aventi ad oggetto le stampe cartacee di alcune e-mail, e relativi allegati, estrapolate dall'hard disk n. 5 già facente parte, come supporto fisico, del fascicolo del dibattimento. Tale dato documentale è indice inequivoco di un diretto coinvolgimento del PI. in prima persona - e ciò, per l'appunto, almeno a far tempo dal 2010, ossia oltre un anno prima dell'accentuata accelerazione, di cui si è detto supra, impressa al volume complessivo delle operazioni correlate a seguito delle decisioni prese nel Comitato di Direzione 8.11.2011 - nella redazione e/o supervisione del testo di talune lettere nelle quali la banca si impegnava ad assicurare all'imprenditore Fa., in relazione ai suoi investimenti presso B. (non da essa finanziati), il beneficio di una assai vantaggiosa remunerazione. Tra le anzidette lettere redatte con l'apporto, quanto meno in termini di supervisione, del PI. vi sono per l'appunto - come è ben documentato rispettivamente dalla e-mail sub ali. 2 e dalla e-mail sub ali. 8 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale - le seguenti: - bozza non sottoscritta dì una lettera datata 15 dicembre 2010 a firma Sa.So. (già prodotta nella sua versione definitiva, sottoscritta cioè dal So., in primo grado dal P.M. quale doc. 90 ed esibita al teste Fa. nel corso del suo esame dibattimentale); - bozza non sottoscritta di una lettera (che il teste Fa. ha spiegato riguardare una distinta e precedente operazione) datata 8 ottobre 2010 a firma Sa.So. (non potuta esibire nella sua versione definitiva, sottoscritta cioè dal So., al Fa. in sede di esame dibattimentale ma alla quale lo stesso teste ha in ogni caso fatto espresso riferimento alla pag. 55 della sua deposizione 10.7.2019 e che è comunque citata nel contesto testuale del doc. 90 del P.M.). La remunerazione riconosciuta all'investitore Fa. corrispondeva in concreto a un tasso attivo quantificato per la più risalente operazione (8 ottobre 2010) in misura pari al 3% netto su base annua (cfr, e-mail 8.10.2010 sub ali, 8 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale, cit.) e indi, a partire dall'operazione ad essa successiva (15 dicembre 2010), quantificato in misura pari al 3,1% netto su base annua e al 3,5428% lordo su base annua (cfr. e-mail 14.12.2010 sub ali. 2 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale, cit.). Il teste Fa. ha spiegato - cfr, pag. 55 della sua deposizione, cit. - che mai egli, pur disponendo di abbondante liquidità propria da investire, si sarebbe indotto ad acquistare, con essa, azioni B. se non gli fosse stata assicurata una siffatta appetibile remunerazione (in aggiunta a una parimenti da lui pretesa garanzia di pronta liquidabilità dei titoli a semplice richiesta, come poi in effetti avvenne nel maggio 2013: cfr. l'all. 6 della produzione 19.9.2022 del Procuratore Generale): Omissis Si tratta, a ben guardare, di un contegno pur sempre rientrante, benché in assenza dì un finanziamento correlato, nella medesima ottica (quella cioè per cui B. si è mostrata, nel tempo, sempre più disposta a spendere senza esitazioni denaro della banca - vuoi in forma di finanziamento vuoi in altre forme come quella della non dovuta remunerazione con elevato tasso attivo - pur di assicurare la protratta giacenza presso terzi del massimo quantitativo possibile di azioni proprie). In relazione alla vicenda Fa. l'imputato PI. ha invero sostenuto, in sede di esame dibattimentale (cfr. pagg. 40-41 del verbale stenotipico 3.3.2020), che il tasso attivo di interesse riconosciuto all'imprenditore nelle suddette operazioni ebbe a riguardare unicamente la parte di investimento in pronti contro termine e non anche quella in azioni B.. Così non è, viceversa, secondo la ricostruzione del teste Fa. (teste al quale nemmeno la difesa del PI. ha mai inteso muovere censure di inattendibilità e che - in effetti - non vi è ragione alcuna di ritenere poco credibile), il quale in sede di esame ha specificato con estrema chiarezza che il rendimento in questione riguardava anche la parte dell'investimento costituita dall'acquisto di azioni B. (cfr. pagg. 62-63 verbale stenotipico 10.7.2019): "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Un particolare, chiedo scusa, signor Presidente. Senta, Ingegnere, lei si ricorda se in questo accordo complessivo per questo investimento con Banca (...) le fu garantito un rendimento anche per quanto riguarda la quota di investimento In azioni Banca (...)? TESTIMONE Fa. - Sh era tutto compreso, era tutto compreso. PUBBLICO MINISTERO. DOTT. Sa. - Anche quella quota? TESTIMONE Fa. - Era tutto compreso. D'altro canto tali affermazioni del Fa. (circa il tasso attivo d'interesse da lui pattuito con B. quale remunerazione del suo investimento complessivo, dunque anche per la parte di esso costituita dalle azioni della banca sono puntualmente riscontrate nei seguenti termini dalle summenzionate produzioni documentali poste in essere il 19.9.2022 dalla Procura Generale: - il testo della prima missiva dell'8 ottobre 2010 (non potuto esibire in primo grado, come detto, né al teste Fa. né all'imputato: cfr. pag. 55 esame Fa. cit.) riferisce senz'altro, nel suo secondo paragrafo, il rendimento annuo all'operazione di investimento intesa nel suo complesso: "Alla scadenza dei primi sei mesi provvederemo a reitare (sic) l'operazione per il periodo da lei gradito come orizzonte temporale dell'investimento ad un tasso fissato e certo che sarà tale da conguagliare il rendimento target obiettivo dell'insieme di operazioni, onde assicurarLe un rendimento annuo netto del complessivo investimento e sino al " mantenimento del suo ammontare massimo del 3% netto su base annua"; - il testo della seguente missiva del 15 dicembre 2010 ribadisce, nel suo terzo paragrafo, ancor più chiaramente il concetto: "Si aggiunga che, anche per il precedente investimento di Eur 70 min, di cui Eur 20 mln circa in azioni di Banca (...) e Eur 50 mln in pct, il rendimento che Le verrà riconosciuto fino alla scadenza (...) sarà pari al 3,1% netto su base annua (3f5428% lordo su base annua) per l'intera durata dell'investimento rispetto a quanto precedentemente concordato (3% netto su base annua corrispondente a 3,4285% lordo su base annua) - si veda lettera di accordo dell'8 ottobre u.s. a firma dei Direttore Generale dott. So.. Più in generale può dirsi che tutte le produzioni documentali effettuate all'udienza 19.9.2022 dal Procuratore Generale ulteriormente confermino, sul tema specifico delle lettere di impegno, quanto - come detto supra - già emerge in ogni caso con chiarezza dal tenore del Comitato di Direzione 10.11.2014, ossia una lunga, risalente e consolidata dimestichezza del PI. con la redazione e/o quanto meno con la supervisione, finalizzata al successivo inoltro a chi di fatto doveva poi sottoscriverle, del testo di lettere che si possono sicuramente definire come lettere di impegno della banca (si noti, per inciso, che anche il teste Fa. nella sua deposizione 10.7.2019, cfr. ad es. pag. 58 del relativo verbale stenotipia), le definisce "side letter", così come esse vengono chiamate dai vertici manageriali di B. nel corso di quel Comitato di Direzione): a volte l'impegno assunto era al solo riacquisto delle azioni B. detenute dai loro destinatari, altre volte l'impegno assunto era finanche alla corresponsione di remunerazioni sotto forma di tassi di interesse attivi - tanto generosi quanto non dovuti - a fronte di tale detenzione. Si vedano ancora a titolo esemplificativo, sempre nell'ambito di tali produzioni documentali dd. 19.9.2022 del Procuratore Generale, due facsimili entrambi risalenti all'anno 2011: l'ali. 1 (missiva 1.9.2011 di Em.Gi. indirizzata ad An.Pi., recante come oggetto la dicitura - estremamente riservata" e come testo la richiesta "Ci dai un occhio"), con un allegato file Word denominato "standard K.docx" a sua volta rappresentato da un facsimile di missiva recante l'intestazione "Egregio Dottore XXX, Vicenza, XXX settembre 2011", ove si assicura al destinatario, in quanto acquirente dì azioni B. per un controvalore di 13 milioni di Euro, un rendimento pari al 4% lordo su base annua oltre ad assicurargli l'accoglimento, da parte della banca, di un'eventuale richiesta di riacquisto; l'ali. 5 (missiva 4.11.2011 di Gi.Ta. - soggetto operante in B. dal 2010 al 2013 con le mansioni di responsabile della Direzione Private e Affluent in seno alla Divisione Mercati - indirizzata ad An.Pi. nonché a Co.Tu. della Divisione Mercati, quest'ultimo avente all'epoca le mansioni di Direttore commerciale e responsabile del coordinamento commerciale della rete - recante come oggetto la dicitura Bozza contratto Riservata" e come testo - La aspettavate ... Eccola, naturalmente da riadattare"), con un allegato file Word denominato "(...)" a sua volta rappresentato da un facsimile di missiva recante l'intestazione Vicenza, 26/10/2011 (...) ...", ove si assicura al destinatario, in quanto acquirente di "ulteriori" 8 milioni di Euro di azioni B., un rendimento pari al 3,5% netto su base annua oltre ad assicurargli l'accoglimento, da parte della banca, di un'eventuale richiesta di riacquisto. Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, insomma, non possono revocarsi in dubbio, e ciò quanto meno sin dall'anno 2011, ma in realtà (v. le produzioni documentali effettuate dal Procuratore Generale all'udienza del 19.9.2022) da epoca ancor più risalente, tanto la piena conoscenza in capo al PI. della consolidata prassi del ricorso al finanziamento correlato attuata in B., considerata in ogni suo segmento e articolazione (incluso il rilascio di lettere di impegno), quanto la sua stessa partecipazione diretta a tale tipologia di condotte pur nella consapevolezza (cfr. la citata conversazione captata n. progr. 360 dell'I.9.2015) delle sue inevitabili conseguenze. A ciò già di per sé consegue, fra l'altro, l'infondatezza radicale dell'assunto difensivo secondo cui l'operato del PI. avrebbe causalmente inciso, a tutto voler concedere, in proporzione numericamente quanto mai modesta sull'entità e sul volume complessivi delle operazioni poste in essere nell'ambito di B. e illecitamente non scomputate dal patrimonio di vigilanza. A tale ultimo proposito, d'altra parte, non può non osservarsi che, anche non volendo considerare all'uopo, in ipotesi, il concorso (viceversa dimostrato, come sì è visto) del PI. in ogni segmento dell'attività "ordinaria" di finanziamento correlato (non certo solo per i complessivi 25 + 1 milioni di Euro in azioni B. complessivamente acquistati dal gruppo "So." e dall'imprenditore Ta.), limitandosi quindi a valutare le sole operazioni ascrittegli come direttamente rientranti nelle competenze della Divisione Finanza da lui diretta, risulterebbe ugualmente elevata la suddetta proporzione numerica, con conseguente indiscutibile "materialità" della sua condotta, tenuto conto: - del fatto che - come più analiticamente si illustrerà infra al par. 14,1,4.5. - il controvalore originario delle azioni indirettamente detenute tramite i fondi esteri Op. e At., rimasto tale quanto meno per tutto Tanno 2013 prima di ridursi, al giugno-luglio 2014, a 52,4 milioni di Euro, era pari a 60 milioni di Euro (cfr. pagg. 8-21 della deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10,2019; la cifra esatta è pari a Euro 59.972.000,00=); al riguardo tanto la difesa del PI. quanto il predetto imputato in sede di spontanee dichiarazioni rese il 15,7,2022 hanno insistito nel perorare l'assunto della modesta incidenza del suddetto importo sul patrimonio di vigilanza. Ebbene, così non è già in relazione a tale singola posta. Gli acquisti di azioni B. operati tramite i fondi esteri Op. e At. risultarono infatti decisamente determinanti, in prossimità della fine dell'anno 2012, nel consentire di svuotare il fondo riacquisto azioni proprie di B., equivalendo già solo essi, per importo, a un quarto del valore complessivo dell'anzidetto fondo, nell'entità considerevole (240 milioni di euro) che esso aveva all'epoca (la quale venne successivamente di molto ridotta ex lege); - del fatto che in quello stesso scorcio finale dell'anno 2012 il PI., nell'esercizio delle sue specifiche competenze quale direttore della Divisione Finanza, ebbe a curare anche la ben distinta operazione dei finanziamenti alle tre società lussemburghesi Ma. ed altre, immediatamente da esse girati alle tre società italiane Pe., Gi. e Lu.. Operazione, questa, che - come più analiticamente si illustrerà subito infra al par. 14.1.3.4. - da sola consentì, e ciò quando ormai si era giunti ancor più a ridosso del temuto traguardo di fine anno entro il quale andava svuotato il fondo riacquisto azioni proprie, di farne uscire - oltre ai 60 milioni di cui sopra - anche ulteriori 30 milioni di Euro in azioni B. (quindi in realtà l'impatto dell'operato del solo direttore della Divisione Finanza sullo svuotamento del fondo riacquisto azioni proprie a fine 2012 ammontò, trattandosi di 90 milioni di Euro complessivi, addirittura al 37,5% della sua capienza massima dell'epoca); inoltre a quei 30 milioni si aggiunsero nel 2013 altri 3 milioni di Euro in azioni B., questa volta in occasione - cfr. pag. 57 deposizione ispettore Em.Ga. del 26.9.2019 nonché pagg. 22-23 e pag. 25 deposizione ispettore Gi.Ma. del 26.10.2019 - dell'aumento di capitale di quell'anno. 14.1.3.4. I finanziamenti effettuati in favore delle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (girati immediatamente da queste alle società italiane Pe., Lu. e Gi.) negli anni 2012 e 2013, Una peculiare modalità di finanziamento correlato all'acquisto di azioni B., posta in essere - come emerge dall'istruttoria dibattimentale - con il diretto e determinante apporto causale di An.Pi., riguarda i finanziamenti effettuati dalla controllata irlandese Fi. in favore delle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (con i relativi importi girati pressoché immediatamente, a mezzo bonifico, da queste ultime - rispettivamente - alle neocostituite società italiane Pe., Lu. e Gi., le quali a loro volta con tali provviste acquistavano, di lì a poco, corrispondenti importi di azioni B.) tanto nell'anno 2012 quanto nell'anno 2013. Fondamentale al riguardo è anzitutto, nel suo delineare con chiarezza i termini e i passaggi dell'articolata operazione, la deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma. all'udienza del 26.10,2019; cfr. in particolare le pagg. 23-25 del relativo verbale stenotipico nonché l'ivi citato doc. 380 del P.M., costituito da un dettagliato prospetto riepilogativo delle anzidette operazioni redatto dallo stesso teste Ma., grazie al quale si può immediatamente notare la strettissima contiguità temporale esistente tra: a) la data della delibera del finanziamento in favore di ciascuna delle tre società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. (10 milioni di Euro a testa), rispettivamente 11.12.2012, 14.12.2012 e 7.12.2012; b) la data del bonifico effettuato (per pari importo, solo lievemente maggiorato) da ciascuna delle suddette tre società lussemburghesi in favore di ciascuna delle tre società italiane Pe., Lu. e Gi., rispettivamente 27.12.2012, 27.12.2012 e 14.12.2012; c) la data dell'acquisto di azioni B. per pressoché pari importo da parte di ciascuna delle suddette tre società italiane, che per tutte e tre è il 27.12,2012 (analoghe strettissime tempistiche connotano le similari operazioni poste in essere, per un minore ammontate pari a tre milioni " complessivi di Euro, uno a testa, tra il mese di luglio e il giorno 2 settembre 2013 in occasione dell'aucap B. di quell'anno). Questa la puntuale ricostruzione del teste Ma.: "(...) PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Senta, per aiutarla e per aiutare anche la comprensione di tutti io le esibirei il documento 380 della produzione del Pubblico Ministero (...), Che cos'è, innanzitutto? TESTIMONE MA. - Questo qua? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Sì (il documento che le ho fatto vedere. TESTIMONE MA. - Questo è un mio riepilogo schematico, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - E' il suo riepilogo, è un appunto fatto da lei quindi? TESTIMONE MA. - Sì, sì, sì, esce dal mio computer. E' un riepilogo, insomma, di quello che è successo sulle tre sorelle Pe., Lu. e Gi. nel 12, nel 13, nel 14 no perché non le trovammo finanziate. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Partiamo da sopra, dal 12, sbaglio? TESTIMONE MA. - Okay, Come vedete ci sono tre date, quelle sono le date di proposta finanziamento e data di delibera di... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - A sinistra? TESTIMONE MA. - A sinistra. Di tre fidi di 10 milioni ciascuno concesso da Po.Vi. Fi., Irlanda, a tre soggetti chiamati Br., Ju. e Ma.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi a sinistra è, diciamo così, il trasferimento di denaro? TESTIMONE MA. - No, no, no, la prima colonna sono le date di delibera del fido. La banca decide in quelle date di dare 10 milioni, 10 milioni e 10 milioni a Br., Lu. e Gi.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quale banca, dottore? TESTIMONE MA. - Irlanda. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Bp.? TESTIMONE MA. - Bp., sì, sì. Però anche qui la PEF viene vista dai Comitato Crediti della Capogruppo. Io cfho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bu. a quattro anni, delibera del Comitato Crediti delta Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo". (...). Okay. Tra il 14 dicembre terza colonna, data bonifico, tra il 14 dicembre e il 27 dicembre 12 queste tre società, Br., Ju. e Ma., mandano in effetti questi bonifici a Gi., Lu. e Pe.: mandano 11.600.000, 11.02S.000, 12.900.000 a Lu., Pe. e Gi.. (...) Ma. si accoppiava con Pe., come vedete dalla quarta e quinta colonna, Ju. si accoppiava con Lu., Br. si accoppiava con Gi.. (...). Cosa entra sui conti di Gi., Lu. e Pe.? Entrano questi bonifici in data 14 dicembre uno, 27 dicembre il secondo, 27 dicembre l'altro, e il 27 dicembre 12 tutti e tre mi comprano, in contropartita al fondo mi comprano una trentina di milioni di azioni. Questo vuoi dire praticamente che quei bonifici che sono entrati in realtà erano frutto del finanziamento che Bp. aveva fatto praticamente alle tre sorelle lussemburghesi, le quali a loro volta avevano trasferito alle tre sorelle italiane un importo leggermente maggiorato e con le quali poi hanno comprato azioni. Sui conti delle italiane non c'erano altre operazioni, cioè nel senso che, comunque sia, era facile stabilire la correlazione 1 a 1 tra il bonifico in entrata e l'acquisto di azioni, perché i conti delle tre italiane erano conti pressoché vuoti. Fatemi controllare, scusate. C'erano alcune partite di 10.000 Euro, 1.200 Euro qua, 10.000 Euro e 500 Euro qua, insomma non c'erano grosse partite che potevano portarmi a ritenere che c'erano tantissimi movimenti dare/avere tali per cui, insomma, non riuscivo a identificare quel bonifico all'acquisto delle azioni. Ma dietro quel bonifico c'è il fido dell'Irlanda, quindi Irlanda dà i soldi alle tre sorelle lussemburghesi, trasferiscono i soldi alle tre sorelle italiane, le quali mi comprano azioni del 2012. Queste azioni del 2012 sono le azioni in contropartita al fondo e quindi contribuiscono nel 2012 all'uso il termine "svuotare" il fondo, anche se questo termine poi arrivò alle mie orecchie alla fine dell'ispezione, contribuiscono a ridurre il fondo di 30 milioni, insieme ai 60 dei fondi At. e Op., insieme ai 10 della Ze. S.r.l.. Un'identica, uguale operazione sulle tre sorelle viene compiuta net 2013 in sede di aumento di capitale; ovviamente gli importi sono diversi, sono più bassi, ma l'operazione viene replicata uguale e identica nella forma e nella sostanza, cosa che cambia è gli importi, e gli importi li potete vedere in quella tabella chiamata "Acquisti primario 13", in cui erogano 3 milioni e mi comprano 3 milioni. Quindi l'Irlanda eroga 3 milioni, Ma., Br. e Ju., che si sono presi i milioni, me li trasferiscono immediatamente a Lu., Pe. e Gi., i quali a loro volta mi comprano, anzi, mi sottoscrivono in quel caso l'aumento di capitale dei 2013. Queste sono le operazioni riguardanti le tre sorelle lussemburghesi e italiane. La struttura di tali operazioni, connotate dalla sopra descritta triangolazione (senza, cioè, che in questo caso si fosse erogato un finanziamento direttamente utilizzato dal soggetto finanziato per acquistare azioni B.), era all'evidenza funzionale a dissimularne assai efficacemente la natura di finanziamento correlato, tanto che il teste Ma. ha ricordato, nei dettagli come la sua attenzione solo per un puro caso si appuntò sulle operazioni suddette, le quali hanno dunque concretamente "rischiato" di superare indenni l'ispezione Bc. del 2015 (cfr. pag. 22 deposizione Ma.). Gli indici della finalizzazione esclusiva di tali triangolazioni a null'altro se non alla realizzazione di una forma particolare - e più sfuggente ai controlli - di finanziamento correlato sono plurimi ed evidenti: - si trattava di società neo-costituite, tanto le tre lussemburghesi quanto le tre italiane, tutte facenti capo al gruppo Fi., i cui titolari, Ma. e De., già nel 2011 avevano peraltro concluso con B., sia pure a quel tempo non nella persona del PI., operazioni di finanziamento correlato c.d. "baciate parziali" (su tale ultimo punto cfr. pag. 45 deposizione teste Gi.Gi., verbale stenotipico 16.7.2019; "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi c'è questa società che è già cliente della banca. Che tipo di operazione impostate e con quali soggetti giuridicamente? TESTIMONE GI. - Vengono impostate due operazioni: una con la Società David e una con la Società Ma.Gi.. Un'operazione... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi Ma. presumo facesse riferimento a Ma. uno dei titolari? TESTIMONE GI. - Sì, sì. E David ad An. De., che era l'altro titolare, PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Okay, prego. TESTIMONE GI. - Impostammo un paio di operazioni, se non ricordo male, di valore più ampio rispetto a quella dell'operazione, sempre nell'accezione che dicevo prima, l'operazione... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quindi parzialmente baciata, sarebbe? TESTIMONE GI. - Esatto. L'operazione era di 600-700 mila Euro, se non ricordo male, e la linea di credito poteva essere di 1 milione, ecco, una roba di questo tipo"); - non era ben chiaro quale fosse il loro oggetto, in ogni caso estraneo all'attività produttiva di beni, né - soprattutto - emergeva quali garanzie esse offrissero, sicché può ben dirsi che la valutazione del merito creditizio nei loro confronti fu effettuata in maniera eufemisticamente definibile come assai sbrigativa. E il Comitato Crediti che sì occupò di esaminare le relative PEF fu - si badi - esclusivamente quello della controllante capogruppo B.: cfr. pagg. 30-31 della deposizione del teste Pi.Ra., verbale stenotipico 21.11,2019 ("PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ecco, ora, siccome l'ho interrotta, ma volevo chiarire questo aspetto, tornando a quello di cui lei ci stava parlando, e le faccio una domanda di carattere più generale: quando c'era da valutare in un'operazione di questo tipo, analoga, insomma, il merito creditizio, autonomamente procedeva Bp. o si appoggiava? TESTIMONE PA. - Sempre appoggiata a... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Cioè, perché? Perché era necessario? TESTIMONE PA. - Perché, per procedura, la parte creditizia era di spettanza della Po.Vi.") nonché pag. 40 ibidem ("PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ma voi avevate, come dire, la struttura, le persone per fare una valutazione di merito creditizio? TESTIMONE Ra. - Avevamo un Comitato d'investimenti, ma che sulla parte creditizia non... semplicemente recepiva qual era la valutazione che aveva espresso la... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - La Capogruppo? TESTIMONE Ra. - Capogruppo. Quindi sulla parte di erogazione del credito si esprimeva soltanto sulla congruità del tasso d'interesse praticato, perché se poi io mi dovevo andare a finanziare a dei tassi superiori a quello che era il tasso che aveva incassato con l'erogazione del prestito, allora a quel punto il Comitato si sarebbe potuto opporre. Ma non sulla parte creditizia, valutazione delle garanzie, solidità del debitore e quant'altro"). Il teste Ra. è in ciò - si noti - pienamente riscontrato dalla deposizione del teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 26.10.2019, a pag. 24 ("TESTIMONE MA. - Bp., sì, sì. Però anche qui la PEF viene vista dal Comitato Crediti della Capogruppo. Io c'ho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bullet a quattro anni, delibera del Comitato Crediti della Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre -; "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo".") e indi nuovamente a pag. 88; - il teste Ra., direttore generale della controllata Fi., ha in ogni caso efficacemente descritto la penuria estrema di dati disponibili per un serio controllo del merito creditizio da parte del Comitato Crediti della capogruppo B. a Ciò preposto: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Parliamo, quindi, sempre delle Ju., Ma. e Br.. TESTIMONE Ra. - Si PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Lei sa che documentazione aveva a disposizione il Comitato Crediti o, non so, se era il Comitato Crediti competente, ma insomma, per valutare il merito creditizio? Che documentazione ha utilizzato? TESTIMONE Ra. - Credo avesse un business pian di futura redditività dell'azienda, fatta di titoli e di finanziamento, un business pian molto semplice. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - E cioè, contenente cosa? TESTIMONE Ra. - li portafoglio titoli che ho citato prima, da una parte, e al passivo il finanziamento che aveva erogato, più capitale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Ai tempo usò un'altra espressione, però fe chiedo che cosa voleva dire. Sempre il verbale del 20 febbraio 2017 disse, con riferimento ai business pian usò un altro aggettivo; "scarso, stringato". TESTIMONE Ra. "Sì, cioè è un foglio con, da una parte, l'attivo e, dall'altra, il passivo del finanziamento. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Non c'era nient'altro da valutare? TESTIMONE Ra. - Io non ho visto nient'altro"; - le sopra citate PEF, analizzate dal Comitato Crediti della capogruppo B., erano oltretutto caratterizzate da una causale quanto mai generica (cfr. pag. 24 deposizione teste ispettore Gi.Ma., verbale stenotipico 22.10.2019: "TESTIMONE MA. - Bp., sì, si Però anche qui la PEF viene vista dal Comitato Crediti della Capogruppo. Io c'ho la PEF italiana, c'ho. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Ah, ho capito. TESTIMONE MA. - Bu. a quattro anni, delibera del Comitato Crediti della Capogruppo, finalità delle PEF - fattore comune un po' per tutte e tre "finanziamento da destinazione esclusivamente all'acquisto di valori mobiliari di gradimento di Bp., anche per il tramite di società controllate, da depositare presso nostro Gruppo" Se volete le apro tutte e tre fe PEF, però... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sono uguali? TESTIMONE MA. - Pressoché uguali, sono pressoché uguali")) causale in ogni caso disattesa: il finanziamento infatti, come si è visto, venne da ognuna delle tre società lussemburghesi destinato, mediante immediato bonifico bancario, alla creazione della provvista - prima inesistente - grazie alla quale le loro consorelle italiane poterono, a strettissimo giro, procedere all'acquisto di azioni B.; - l'apertura dei conti correnti delle società italiane Pe., Lu. e Gi. presso B. fu richiesta al teste Gi.Gi. (all'epoca in B. con mansioni di direttore regionale Lombardia-Liguria-Piemonte basato in Milano, ove la controllata irlandese Fi. si appoggiava - così ha spiegato lo i stesso teste Gi. alla pag. 70 della sua deposizione - in quanto priva di strutture operative proprie) da Ma.Sb., amministratore del gruppo Fi., in epoca subito successiva alla delibera dei finanziamenti in favore delle tre società lussemburghesi e i menzionati conti correnti vennero alimentati proprio con la provvista derivante dai suddetti finanziamenti, frattanto bonificati alle tre società italiane che di lì a pochissimo acquistarono le azioni B. costituenti il loro unico asset (sul punto cfr, pag. 72 deposizione teste Gi., verbale stenotipico 16,7,2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Cosa le disse Sb.? Lei ha avuto mica colloqui con Sb. su questa operazione? TESTIMONE GI. - No, mi disse: "Guarda, sono d'accordo, adesso ci sono da aprire questi tre conti correnti", decidemmo di aprirli poi presso fa sede di via Turati; arrivarono, appunto, questi quattrini e poi si sottoscrissero dai vari amministratori delle tre società le azioni"). Il ruolo di impulso rivestito dall'imputato An.Pi. nelle anzidette operazioni emerge a sua volta con nettezza dall'istruttoria dibattimentale. Il teste Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese Fi., così si è espresso sulle anzidette operazioni nel corso della sua deposizione (cfr. verbale stenotipico 21.11.2019): - pag. 28: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Dottor Ra., senta, vorrei proprio approfondire questa vicenda Ju., Ma. e Br. in tutti i suoi aspetti, per cui se può fare mente locale e ci racconti quello che si ricorda, poi eventualmente le faccio delle domande di precisazione. TESTIMONE Ra. - Quindi immagino debba raccontare come sono nate le operazioni. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Dall'inizio, sì, io partirei da come sono nate, TESTIMONE Ra. - La Divisione Finanza mi ha comunicato che c'era da fare questi finanziamenti. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - La Divisione Finanza è un soggetto inanimato? TESTIMONE Ra. - No, si chiama An.Pi., perché il dialogo ce l'avevo con lui. Mi ha comunicato che dovevo fare questi ..., che la società doveva erogare questi..."; - pag. 32: "TESTIMONE Ra. - Per la parte banca con la persona che ho detto prima, parlavo con An.Pi., mentre invece presso queste società... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Sì, no, per Ma., Ju. e Br.? TESTIMONE Ra. - Con Ma.Sb. di Finanziaria Internazionale. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - E perché si è rivolto a Sb.? TESTIMONE Ra. - Perché è la persona che mi è stata indicata da... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Da chi? TESTIMONE Ra. - ...An.Pi. come referente per la parte delle tre società"; - pagg. 36-37: Omissis - pag. 38: Omissis Il teste Ra., nell'escludere che la controllata irlandese Fi. - della quale egli era il direttore generale - disponesse all'epoca dì margini di autodeterminazione, ha altresì affermato - cfr, pagg. 26-27 ibidem - che ""L'unica possibilità di disattendere le indicazioni di Pi. erano di fatto le dimissioni (..,). Bisogna distinguere, secondo me, un periodo che va dal 2003 fino al 2012 e un perìodo successivo al 2012. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Perché bisogna distinguere? TESTIMONE Ra. - Perché nel 2012 l'invasività della Divisione Finanza nella gestione di una parte, non di una totalità ma di una parte, dell'attivo della Fi. era diventata motto presente, molto incisiva, molto pressante. PRESIDENTE - Dal 2003 al? TESTIMONE Ra. - Dal 2012 fino al 2015. E quindi, come dire, bisogna distinguere due fasi: una fase che va dal 2003 fino al 2012, nella quale c'è stata condivisione, c'è stato un allineamento nella gestione strategica dei portafogli, ma c'era un'autonomia pressoché completa nella gestione della società; e poi una nuova fase, che è quella che è iniziata con il 2012, ha visto un crescendo di ... diciamo così, di partecipazione nella gestione, dal 2012 fino al 2015, quando poi l'attività si è sostanzialmente interrotta. ". La difesa ha insistito nel richiedere la declaratoria di inutilizzabilità della deposizione del teste Ra. per asserita violazione degli artt. 210 e 192 comma 3 c.p.p. Trattasi di istanza motivatamente respinta da questa Corte con l'ordinanza 18.5.2022, rispetto alla quale nessuna sopravvenienza è stata acquisita, sicché valgono tuttora le considerazioni ivi svolte (anche con riguardo all'utilizzabilità della deposizione Ra. sulla distinta vicenda dei fondi esteri che verrà analizzata infra), considerazioni che per praticità qui si riportano in nota. Ciò posto, ritiene questa Corte che non siano fondate neppure le subordinate censure difensive di inattendibilità del teste Ra.. Per quanto attiene alla vicenda qui in esame - come pure perciò che concerne la distinta vicenda dei fondi esteri sulla quale v. infra - r riscontri alle dichiarazioni di Pi.Ra. sono plurimi. Già si è detto di come risulti effettivamente dimostrato, nel presente giudizio, che Fi.; a) non era neppure dotata dì una struttura operativa propria, tanto da dover utilizzare all'uopo quella milanese della controllante capogruppo B.; b) non era neppure in grado dì procedere da sé, con un minimo di autonomia, a un'attività delicata e fondamentale come fa verifica del merito creditizio nei confronti dei soggetti aspiranti a ricevere da essa finanziamenti, provvedendovi invece il Comitato Crediti della capogruppo controllante B. (si noti che ciò non fu un unicum circoscritto alla vicenda delle c.d. "tre sorelle" lussemburghesi e delle loro tre controllate italiane; si trattava viceversa della regola generale per Fi.: cfr., pag., 19 della deposizione 26.10.2019 del teste ispettore Gi.Ma., il quale descrive l'analogo iter - anche in quel caso connotato dalla verifica del merito creditizio condotta dal Comitato Crediti della capogruppo controllante B. - seguito nella ben distinta vicenda del finanziamento correlato erogato proprio dalla società irlandese Fi. al gruppo "So.", del quale si è detto supra; a tale ultimo proposito, anzi, si osserva che proprio la vicenda "So." plasticamente conferma gli assunti del teste Ra. in ordine alle pesanti ingerenze esercitate, a far tempo dal 2012, dalla Divisione Finanza della capogruppo controllante B. nei confronti della controllata irlandese Fi., di fatto in più occasioni utilizzata dalla prima come un mero utile strumento tramite il quale poter più agevolmente porre in essere operazioni "scomode"; ed invero lo stesso teste Va.Ma., legale rappresentante del gruppo "So.", nemmeno si aspettava, avendo egli condotto la trattativa esclusivamente con An.Pi. e con il d.g, Sa.So. di B., che alla fine il finanziamento correlato, pari a 25 milioni di Euro, gli venisse erogato da Fi., società a lui fino a quel momento ignota: cfr. pag. 59 deposizione Ma., verbale stenotipico 12.12.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Si ricorda se, durante le trattative, se si possono definire così, le venne anticipato che, in realtà, il finanziamento arrivava da questa società? Lei la conosceva questa società irlandese? TESTIMONE Ma. - No, assolutamente no"). Dal canto suo il teste ispettore Em.Ga. ha evidenziato, riguardo a Fi., quanto segue, il che è a sua volta del tutto congruente con la rivendicazione, da parte del teste Pi.Ra., della ben scarsa autonomia della controllata irlandese rispetto alla capogruppo e in particolare rispetto alla Divisione Finanza di quest'ultima: "TESTIMONE Ga. - C'era anche nel mandato di ispezione l'obiettivo dì dare un occhio particolare all'operatività di Br.. Bp. è una società che faceva parte del Gruppo Po.Vi., una controllata di diritto irlandese, che era stata costituita, sostanzialmente, con obiettivi, quando un po'tutte le banche italiane, anche in virtù del particolare regime fiscale di favore che ha l'Irlanda, costituivano società all'estero in Irlanda; che non è mai decollata in maniera significativa, faceva un po' di operatività acquistando titoli originari da cartolarizzazioni, quindi con sottostanti crediti, cose di questo genere, Ma operatività sostanzialmente poco significativa in termini dimensionali. Quindi noi, nel fare le verifiche su Bp., abbiamo verificato che nell'attivo creditizio, premesso che i crediti non erano l'attività core, non dovevano essere l'attività core di Bp., quindi un'attività di elezione; in Bp. abbiamo notato queste posizioni creditizie relative a queste società Br., Ma. e Ju. E abbiamo approfondito queste posizioni". In aggiunta a tutto ciò, e venendo più specificamente alla vicenda delle tre società lussemburghesi, il teste Gi.Gi. (delle cui qualifiche già si è detto supra) a sua volta riscontra il teste Ra. circa il ruolo, per così dire strumentale, rivestito da Fi. - benché autrice materiale dei finanziamenti - nella vicenda suddetta, connotata da un impulso proveniente in realtà da An.Pi. tanto per le operazioni del 2012 quanto per quelle del 2013. - anno 2012 (cfr. pag. 70 del verbale stenotipico 16.7.2019): - TESTIMONE GI. - Fine 2012, quindi io sono a Milano da sette-otto mesi. E il dottor Pi. mi dice: "Guarda che ti chiamerà - che "vi chiamerà" o "ti chiamerà", non ricordo bene - Ra. per l'inquadramento di queste operazioni su queste società". PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi lui citò anche le famose Br., Ma. e Ju.? TESTIMONE GI. - Non ricordo se citò, mi dice "Sarai" o "Sarete" non mi ricordo, "chiamati da Ra. per l'inquadramento di queste operazioni". PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Per inquadrare le operazioni, le citò qualche persona fisica che già lei conosceva o qualche società? TESTIMONE GI. - No, in quel momento, no, Ra. contatta - credo fosse de visu anche, cioè proprio viene a Milano perché ogni tanto poi c'era - il nostro capo dei Crediti della regione, il dottor Ma., e gli disse "Guarda che sono d'accordo con Pi. che inquadreremo... che ti manderò, ti inoltrerò queste pratiche perché? Perché fa Fi. non aveva struttura, e quindi si serviva, sostanzialmente, come service dell'area, o della direzione regionale o dell'area nella quale queste operazioni venivano inquadrate. Quindi Ra. scrive una e-mail e dice: "Caro dottor Ma., ti prego di inquadrare questa linea di credito su questa società, con questa durata, con questo tasso. Le finalità sono queste. I soci di questa società sono questi. Abbiamo fatto i controlli World Check" eccetera, e bla bla bla, eccetera eccetera. E quindi noi, come poi ..."; - anno 2013 (cfr. pag. 73 del verbale stenotipico 16.7.2019): "TESTIMONE GI. - No, poi, a un certo... lì siamo alla fine del 12, quindi lì poi succede che poi c'è l'aumento del capitale delle 13, no? Io ricordo che poi andai dal dottor Pi. e dissi: "Scusami" le società, le tre società devono fare l'aumento di capitale?", "Devono fare l'aumento di capitale" e allora. Sempre al teste Gi., nel corso dell'udienza del 16.7.2019, è stata mostrata la produzione documentale del P.M. costituita dal rapporto dell'Internal Audit relativo all'intervista fattagli il 23 luglio 2015, un passo del quale (primo paragrafo di pag. 2) ha il seguente tenore: "Altra eccezione è costituita dalle operazioni appostate sulla Fi. su input di Pi. a seguito dei rapporti instaurati con Ma. e De.. In base alle informazioni fornitegli dal Sig. Sb., dette operazioni furono costruite e concordate con " So., Pi., Ma. ed ovviamente Ra. appoggiandole sulle tre società lussemburghesi Ju., Ma. e Br.". Ebbene, il teste Gi., su specifica domanda del difensore del PI., ha confermato integralmente tale sua dichiarazione - inclusa dunque la parte relativa all'input proveniente dal predetto PI. - rettificandola unicamente quanto a un dettaglio irrilevante (l'aggiunta del nominativo del Ma. a quello del De.), cfr. pag. 79 verbale stenotipico 16.7.2019: Omissis Un altro significativo riscontro al teste Ra. circa il pieno e diretto protagonismo di An.Pi. nell'operazione in esame (tanto da avere quest'ultimo elaborato una sua versione dei fatti - in buona parte analoga a quella, come vedremo insoddisfacente, da lui offerta nel presente giudizio - per tacitare chi, all'interno di B., gliene chiedeva conto) viene dal teste Gi.Fe., ex militare della GdF passato in B. nel 2006, all'epoca responsabile della Co. (cfr. pagg. 45 e ss. verbale stenotipico 31.1.2020). Il Fe., imbattutosi casualmente in tale operazione nel 2013 nell'ambito di un controllo antiriciclaggio, ha dichiarato quanto segue (cfr. pagg. 45-46 ibidem): "Insomma, è una cosa che volevo capire bene, ma per l'antiriciclaggio volevo capirla bene, cioè all'epoca io non avevo la sensibilità che c'è stata dopo sul tema finanziamenti correlati all'acquisto di azioni. Andai da So., e So. mi rinviò su Pi., mi disse: parlane con Pi.. Quindi andai da Pi., e Pi. mi disse: no, guarda che con Finanziaria Internazionale abbiamo dei discorsi in piedi. E in effetti, la banca, in quei periodo, stava acquistando molte azioni di Sa., tanto che arrivò all'8% di Sa., cioè un po' di azioni furono acquistate direttamente nei/'ambito detta movimentazione del portafoglio proprietario, quindi dalla Divisione Finanza della banca, altre azioni furono acquistate ai blocchi da parte della banca passando per il processo del Comitato Partecipazioni. Per cui, effettivamente, cioè, Pi. me la vendette un po'così, dice: no, guarda, loro stanno comprando, hanno della liquidità a disposizione in questo momento che noi gii abbiamo fornito per fare altre cose, gli abbiamo chiesto di comprare azioni, cioè, anzi, no gli abbiamo chiesto di comprare azioni, ci scambiamo ... Loro comprano azioni detta banca, noi stiamo comprando azioni di Sa., io avevo fatto un po' di ragionamenti anche su ipotesi di market abuse, però eravamo arrivati alta conclusione che non ci fossero problematiche di quel genere, anche perché c'era assoluta trasparenza sul fatto che Po.Vi. stava scalando il capitale di Sa., cioè era diventato il principale azionista di Sa., oltre a Ma.. E quindi la vicenda si chiuse così. Cioè, poi, successivamente, è stato chiaro che... è stato chiaro dopo che ne abbiamo parlato con Bc. e Consob che in realtà l'obiettivo era un altro, PRESIDENTE - Mi scusi, Dottore, ma lei questo accertamento, questo colloquio quando lo ha avuto con So./Pi.? TESTIMONE Fe. - 2013. PRESIDENTE - 2013, quando? TESTIMONE Fe. - Eh, poco dopo l'ispezione fatta in Irlanda, in Fi.. Mi pare, però forse mi sbaglio, estate 2013. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Se posso, perché effettivamente sul punto non aveva detto, nel verbale del 7 ottobre 2015 lei disse: "Nel corso di un incontro con So., da me richiesto per questa vicenda, avvenuto, se ben ricordo, nel giugno del 2013, lo stesso Direttore Cenerate mi invitò a sentire Pi. - Ecco, poi le interlocuzioni si sono svolte di lì a poco rispetto a? TESTIMONE Fe. - Sì, sì, no, era stato tutto motto immediato. La giustificazione dell'operazione che ebbe a fornire nel 2013 il PI. al teste Fe. della Compliance, ossia il suo essere una sorta di operazione di "mutuo soccorso" volta ad aiutare il gruppo Fi. a mantenere il controllo di Sa., società dì gestione dell'aeroporto Ma.Po. di Venezia, rastrellandone azioni, è stata indi riproposta dall'imputato, peraltro con non insignificanti modifiche, nel suo esame dibattimentale del 3.3.2020 (cfr. sue pagg. 88-95). In sede di esame, per la verità, lo stesso PI. ha finito con l'ammettere dì aver concepito lui, personalmente, tale operazione su proposta di Ma.Sb. di Fi. (è anzi a suo dire lo Sb. che, testualmente, gli riporta l'operazione da fare": cfr. pag. 90 esame dibattimentale del 3.3.2020 cit.) e di averla affidata a Fi. soltanto perché veicoli erano lussemburghesi, per cui l'unica società che poteva fare un finanziamento a un veicolo lussemburghese era la Fi. perché era un finanziamento estero su estero, così come faceva la Fi. di mestiere" (cfr. pag. 92 ibidem). Tale operazione, secondo il PI., sarebbe rientrata "in un novero di rapporti a più alto livello tra la Banca (...) e il Gruppo Fi. Il Gruppo Fi.... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - "A più alto livello" che significa? IMPUTATO PI. - Scusi? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - più alto livello" che significa? IMPUTATO PI. - A livello, probabilmente, di CdA o di Direzione Generale, con i responsabili... con gli amministratori delegati e anche i proprietari di quello che all'epoca era il Gruppo Finanziaria Internazionale, cioè Ma. e De., all'epoca, poi rimase solo Ma.. Dico questo perché di fatto la banca aiutò il Gruppo Finanziaria Internazionale a mantenere il controllo del rapporto Sa ve di Venezia, non a caso... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Perché vendevano gli Enti locali, no? IMPUTATO PI. - Scusi? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - La partecipazione degli Enti locali che veniva venduta? IMPUTATO PI. - Comprammo una parte la partecipazione degli Enti locati, che dismisero l'investimento, ma io, poi, come Divisione Finanza, feci parecchie operazioni sul mercato per accrescere la percentuale. Tanto che la Po.Vi. era il secondo azionista di Sa., a un certo punto, con t'8,2% della cosa. Questo era il quadro generale all'interno del quale si staglia questo tipo di operazione. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Okay. Ma, come dire, chiamiamola "scalata" si può dire di B. a." - O l'acquisto semplicemente di B. delta partecipazione di Sa., è un'iniziativa di chi? E' una decisione? IMPUTATO PI. - è un'iniziativa che proviene dal CdA della banca. PUBBLICO MINISTERO, DOTT.. Sa. - Dal CdA della banca? IMPUTATO PI. - Assolutamente sì" (cfr. pagg. 88-89 ibidem). Tuttavia la ricostruzione operata dal PI. nel suo esame dibattimentale - differendo sul punto da quanto egli aveva riferito nel 2013 al teste Fe. - risulta contraddittoria laddove da un lato l'imputato ribadisce il preteso scopo di mutuo soccorso e di aiuto reciproco tra B. e Fi. (cfr. pag. 90 ibidem: "Esattamente la stessa logica che dicevo prima sugli investimenti con gli accordi con investitori istituzionali; tu mi aiuti da un lato e io ti aiuto dall'altro. Lo trovavo anche logico dal punto di vista..."), il che avrebbe logicamente importato che la contropartita del rastrellamento di azioni Sa. da parte di B. fosse l'acquisto di azioni B. da parte di Fi. ovvero delle sue controllate (come appunto il PI. ebbe a riferire nel 2013 al teste Fe., v. supra), mentre dall'altro lato il PI. afferma in sede di esame che l'accordo con Fi. prevedeva viceversa l'acquisto, da parte di quest'ultima, non già di azioni B. (la cui detenzione da parte delle tre società italiane Pe., Gi. e Lu. l'imputato sostiene di avere scoperto solo nel 2013 in quanto riferitagli proprio dal teste Fe. della Co.: cfr. pag. 93 ibidem) bensì di titoli tutt'affatto diversi, emessi da soggetti terzi (cfr - pag. 92 ibidem: "Genericamente, private equity o comunque equity dei nord est, e rinnovabili. Infatti, compravano Co.")) ciò fa però scolorire del tutto il vantato scopo di reciproco sostegno che avrebbe animato l'operazione, non riuscendosi allora a scorgere quale mai potesse essere, così stando le cose, il vantaggio, per così dire, "sinallagmatico" conferito da Fi. a B. in cambio di tutto il prodigarsi di quest'ultima per rastrellare azioni Sa., Ed invero, nonostante i ripetuti tentativi del Pubblico Ministero di riuscire a individuare - in sede di esame dibattimentale del PI. - l'altro capo del preteso rapporto biunivoco dì mutuo soccorso e reciproco sostegno intercorso con Fi. in relazione all'acquisto di azioni Sa., va detto che tale ricerca è rimasta, di fatto, priva di esito (cfr. pagg. 94-95 ibidem). A questo punto l'unica logica spiegazione dell'operazione in esame è e resta, dunque, quella - del tutto lineare - fornita dal teste Ra. (della cui attendibilità, in quanto adeguatamente riscontrato su plurimi aspetti della sua deposizione, già si è detto), secondo la quale l'operazione, concepita e sottopostagli per la materiale esecuzione dal PI., non aveva altro scopo se non quello di aiutare B. a liberarsi di un rilevante quantitativo di proprie azioni: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. "Il 20 febbraio 2017 lei disse questo: "Nel momento in cui ho appreso che le società italiane - chiamiamole S.r.l. - avevano acquistato" Lei non si ricorda i nomi di queste società? TESTIMONE Ra. - Gi., Pe. e Lu.? PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sì, quindi si ricorda, Gi., Pe. e Lu., mi pare, ecco, non mi ricordo neanche io! ..." avevano acquistato queste azioni Bp., a fronte delie mie perplessità, Pi. mi ha replicato che era necessario aiutare la banca a comprare le azioni proprie". Questo è accaduto? TESTIMONE Ra. - St. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Sì, no, quando: nel primo momento o nel momento in cui è stato evidente che il finanziamento era stato destinato ad acquistare azioni delta banca? TESTIMONE Ra. - Nel momento in cui è apparso evidente che tutta l'operazione era poi finalizzata ad acquistare azioni della Po.Vi.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Della banca, quindi Pi. le dette questa spiegazione? TESTIMONE Ra. - SI" (cfr. pagg. 37-38 verbale stenotipico 21.11.2019). Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità di An.Pi. con riguardo ai finanziamenti erogati nel 2012 e nel 2013, tramite Fi., alle società lussemburghesi Ma., Ju. e Br.. 14.1.3.5. Le operazioni di investimento nei fondi esteri At. e Op. (Mu. e Mu.). Dall'istruttoria dibattimentale è altresì emerso il diretto e determinante apporto causale di An.Pi. negli investimenti operati, tanto nel 2012 da parte della capogruppo B. quanto nel 2013 da parte della sua controllata irlandese Fi., nei fondi esteri unknown exposure denominati At. (con sotto-fondo/comparto denominato Eu., oggetto di investimento a fine novembre 2012 da parte di B.) e Op. (fondo-ombrello Op., due "raggi" del quale erano il Fo., articolato nei sotto-fondi/comparti Beta, Gamma e Delta, oggetto di investimento a fine novembre 2012 da parte di B., e il Fo.Mu., oggetto di investimento l'anno seguente, 2013, da parte della controllata irlandese Fi.); investimenti tradottisi: - da un lato, e anzitutto, nella protratta giacenza, presso determinati comparti (o sotto-fondi) di tali fondi, di azioni B. per un valore originariamente pari a complessivi Euro 60 milioni, di cui 30 milioni su At. e 30 milioni su Op.; azioni costituenti dunque oggetto di un vero e proprio deposito indiretto e occulto in spregio all'allora vigente circolare 263/2006 di Banca d'Italia che, pur non essendo ancora entrato in vigore l'ancor più stringente regime del c.d. CRR (Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, vigente dall'I.1.2014), già prevedeva comunque l'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza delle azioni proprie detenute a qualsiasi titolo, diretto o indiretto; - dall'altro lato, e in aggiunta a ciò, nella sostanziale effettuazione - tramite altri comparti dei suddetti fondi esteri - di "operazioni creditizie non passate attraverso gli organi competenti. Queste operazioni creditizie, invece di passare attraverso gli organi competenti, erano state fatte in forma di emissione, di sottoscrizione di obbligazioni. Sono stati dati soldi al Gruppo Ma., al Gruppo De Ge., al Gruppo Fu., due gruppi, tra l'altro, De Ge. e Ma. che la banca... che già non pagavano, superando limiti importanti di ammontare" (cfr. pag. 66 deposizione teste ispettore Em.Ga., verbale stenotipico 26.9.2019). Fondamentale al riguardo è ancora una volta, in primo luogo, la deposizione resa dal teste ispettore Gi.Ma. all'udienza del 26.10.2019; cfr, in particolare le pagg. 8-21 del relativo verbale stenotipico, da cui si evince che: - il team ispettivo Bc. entrò in B. "sapendo che c'erano dei fondi che detenevano al 30 giugno 2014, sulla base delle segnalazioni effettuate a Banca d'Italia, a Bc., 55 (rectius 52,4) milioni di Euro di azioni proprie Che poi erano scesi fino a zero al 31 dicembre (...)" (cfr. pagg. 8-9 deposizione teste Ma.); - lo stesso team ispettivo Bc., nella persona proprio dell'ispettore Ma., rapportandosi con l'Ufficio Soci di B. (il cui responsabile era il teste Fi.Ro.), riuscì a ricostruire "le modalità di acquisto di questi 55 (rectius 52,4) milioni che in realtà non furono 55 ma erano 60" (cfr. pagg. 9 deposizione teste Ma.); - gli ispettori, in particolare, ebbero a verificare a tal proposito che in data 27-28 novembre 2012 la banca decide di investire 100 milioni su un fondo chiamato Op., 100 milioni su un fondo chiamato At.. Le modalità con le quali avviene questo investimento nei fondi sono di questo tipo: la banca, o il sottoscrittore, si impegna irrevocabilmente a versare 100 milioni, poi sono i fondi che decidono di chiamare a sé, ricevere i 100 milioni. Op. li riceve subito, i primi giorni di dicembre 2012 riceve questi 100 milioni, si fa dare 100 milioni; At. si fa dare 70 milioni a dicembre e i 30 a gennaio 13. Quindi quello che è importante è che a dicembre 2012 i fondi avevano in pancia, dalle ricostruzioni, 100 milioni cash uno, Op., 70 milioni cash l'altro, At.. 28 novembre... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Novembre 2012? TESTIMONE MA. - Novembre 2012. Dopodiché I fondi acquistano azioni con tre operazioni diverse, si cominciano a muovere praticamente sulle azioni proprie, e questo avviene tutto tra il 27 dicembre 12 e 31 dicembre 12. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi a fine anno? TESTIMONE MA. - Assolutamente sì (...). I fondi acquistano 60 milioni in questo modo. Cominciamo con un'operazione semplice, l'operazione semplice la fa l'Op.: mi compra 29,972.000 Euro dì azioni, se permette arrotondo a 30 altrimenti numeri (...), Op., arrotondo a 30 milioni, ordine 27-28 dicembre, valuta 31 dicembre. Cosa significa? Che il 31 dicembre c'è lo scambio: Op. si prende le azioni dal fondo e fornisce 30 milioni alla controparte. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Direttamente? C'era un intermediario qua? TESTIMONE MA. - Qui in mezzo c'è un broker chiamato Ma.Sp. (...). Op. compra 30 milioni, valuta 31 dicembre. At.. At. fa una stessa identica operazione: ordine il 27-28 dicembre 12, valuta 31.12.12, però At. mi compra 5,5 milioni. In mezzo c'è De.. Mancano all'appello 24,5 milioni. Questi 24,5 milioni hanno una struttura un pochino più complessa, cerco di essere il più possibile semplice (...). At./Eu., se ricordo bene. Quindi 30 Op., 5,5 At., mancano all'appello 24,5. Questi 24,5 milioni nascono in realtà un po' prima delfine dicembre, perché l'Ufficio Soci mi portò delle e-mail, chiesi all'Ufficio Soci: mi fate capire come nasce l'ordine, come nasce l'acquisto, perché questi fondi hanno acquistato? L'Ufficio Soci, nella persona del dottor Ro., mi portò delle e-mail. Queste e-mail partono il 14 dicembre 12 e riguardano uno scambio di e-mail tra il dottor Pi. e due soggetti italiani (...) avevano lo stesso cognome, Ri.Al. e Ri.Em., se ricordo bene, che lavoravano in una banca londinese ma giapponese, banca No. (...). Dopodiché questa operazione, 14 dicembre, le e-mail che seguono riguardano, diciamo, la parte operativa, cioè l'Ufficio Soci della Po.Vi. e il back office di questa banca. Arriviamo quindi all'ordine. L'ordine di No. è di 24,5 milioni, un ordine che corrisponde a 392.000 pezzi di azioni che, controvalorizzate appunto sono 24,5 milioni. Ordine del 27 e 28 dicembre, valuta 31.12. Uguale identico agli altri fondi Op. e At.. Prezzo 62,50, ovviamente, perché la banca non è che poteva vendere a un prezzo più alto o più basso. E l'operazione fini là, quindi No. al 31 dicembre si prende 24 milioni di azioni. Successivamente, quando abbiamo ricevuto praticamente dai fondi At. ed Op. la contabile con la quale loro erano venuti in possesso, diciamo, delle azioni, notai che in realtà la banca depositaria di At. scrive ad At. dicendo: guarda che tu hai acquistato 24,5 milioni di azioni, e su in alto c'è una data che è 28 dicembre 2012, trade date, trade date significa data dell'ordine, insomma, però valuta 2 gennaio. Cosa significa? Significa, ai miei occhi, che No. compra 24,5 milioni il 27 dicembre, valuta 31, ma sotto probabilmente c'era un altro contratto già fatto con At., stessa data ma passiamo il Capodanno, 2 gennaio 2013, 2 gennaio perché l'I gennaio/ insomma, è festa per tutti In questo modo / fondi hanno comprato 60 milioni, Siamo ai 2 gennaio 2013: 30 milioni Op., 5,5 At., di prima, 24,5, fa somma fa 60 milioni. Siamo al primo gennaio 2013 e il 2013 scorre in maniera, diciamo, normale - Ritengo che i fondi avessero in pancia ancora 60 milioni (...). No. compra dalla banca a 62,50 e poi vende, stessa data ma con valuta 2 gennaio, ad At., ovviamente sono banche che non fanno nulla per nulla, le vende non a 62,50 ma a 62,56. Diciamo che due privati possono scambiarsi le azioni di Po.Vi. a qualsiasi prezzo, insomma non sono obbligati". Se non vai sul mercato della banca compri a un prezzo che vuoi, insomma, com'è successo poi su un'altra operazione che, semmai vi può essere utile raccontarvi, 62,56. Se noi moltiplichiamo 62,56 per il numero delle azioni vediamo che No. da questa operazioncina ha guadagnato lo 0,1% di 24,5 milioni, cioè 24.500 euro" Quindi No. ci guadagna da questa bridge, chiamiamola bridge, ponte, operazione ponte, 24.500 Euro per di fatto tenere le azioni un giorno, due giorni, da131.12 ai 2 gennaio, Il 2 gennaio già ce le aveva At./Eu., dai documenti che io ho e dalle evidenze contabili. Il 2013 scorre in questo modo, cioè i fondi hanno 60 milioni in pancia, ritengo che avessero 60 milioni in pancia perché? Perché nel 2013... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Però non si sapeva? TESTIMONE MA. - Non si sapeva" (cfr. pagg. 9-12 deposizione teste Ma.). E' altresì emerso, sempre in sede ispettiva, che i fondi esteri in questione, al di là del fatto di essere fondi appartenenti alla categoria unknown exposure (= a esposizione ignota o non comunicata), ossia non tenuti a comunicare all'investitore come e dove impiegheranno i suoi denari (un connotato, questo, che - come osserva la difesa - non era estraneo neppure a taluni fondi di tutt'altro gestore in precedenza utilizzati da B. con profitto per la propria liquidità), avevano quale loro ben più significativa - e questa sì del tutto anomala - caratteristica quella di non essere fondi collettivi, ossia connotati da una pluralità di investitori, bensì di vedere quale proprio unico investitore (e/o, al più, quale proprio investitore al 90%) la stessa B.. Tale peculiarità - invero determinante nel condurre a ravvisare la penale responsabilità dell'imputato PI., come sì vedrà infra - è stata illustrata con particolare chiarezza dal teste ispettore Em.Ga. alle pagg. 60-62 della sua deposizione resa il 26.9.2019: "TESTIMONE Ga. - A esposizione ignota o non comunicata, insomma, poi fa traduzione... Cioè fondi in cui il gestore ha fa possibilità di non comunicare i sottostanti. Qual è la singolarità? Quindi uno strumento consueto, anche se un po' particolare, però è normale, può capitare. Qua! è la singolarità? La singolarità è che Po.Vi. era, sostanzialmente, l'unico sottoscrittore di questi fondi. Quindi questi fondi, il fondo, per sua natura, anche il fondo più riservato, per sua natura, ha una pluralità di sottoscrittori; cioè c'è una serie di soggetti che sottoscrivono quote di un fondo e conferiscono delle somme perché vengano gestite e investite - Qui, invece, la vera natura giuridica, la sostanza è che non si trattava di fondi: si trattava di gestioni patrimoniali, cioè se il fondo è completamente alimentato da risorse mie non è un fondo, è una gestione patrimoniale di mie risorse. (.... Il Comitato Finanza, in realtà, non ha mai saputo nulla di quello che c'era nei fondi perché / veri asset in cui i fondi erano investiti erano sottofondi che, a loro volta, occultavano i veri strumenti finanziari target strumenti finanziari finali in cui i fondi erano investiti. E in più, il Consiglio di Amministrazione non ha mai verificato che l'obiettivo iniziale per cui questi fondi erano stati... si era deciso di acquistare questi fondi quello che è stato formalizzato, cioè quello di intrattenere relazioni con chi potesse portare liquidità alla banca, si verificava, cioè si era verificato. Cioè, inizialmente, questi fondi erano stati sottoscritti perché il dottor So., Pi., non so chi ha presentato fa richiesta in Consiglio di Amministrazione, aveva detto: "No, vabbé, ci serve avere questo plafond, che è stato progressivamente aumentato, plafond importante perché il rischio è elevato, "Ci serve avere questo plafond perché così intratterremo relazioni con clienti che poi ci potranno portare della raccolta, noi abbiamo bisogno di raccolta", quindi un po' replicando quel meccanismo che la banca aveva utilizzato con Az. nel 2011 -2012, alla fine del 2011: quando la banca aveva avuto dei problemi di liquidità, aveva investito in fondi Az., e Az. Aveva portato, credo, 400 milioni di raccolta. Però i problemi di liquidità, alla fine del 2012f erano venuti meno e, comunque, in ogni caso, il Consiglio di Amministrazione non ha mai verificato che effettivamente i fondi Op. o At. avessero portato quella liquidità, e poi effettivamente non è stata portata". Già le sole acquisizioni dei dati oggettivi, qui riportati, esposti dagli ispettori Gi.Ma. ed Em.Ga. rendono evidente l'infondatezza di una serie di assunti difensivi volti a perorare la bontà e la piena legittimità delle suddette operazioni di investimento nei fondi esteri; assunti ribaditi con forza dalla difesa in sede di discussione finale, secondo cui: a) un soggetto di solida reputazione come la banca internazionale No. ebbe a divenire, in tal modo, investitore e socio di B. (in realtà, come si è visto, No. si tenne le azioni B. appena per due giorni, vendendole immediatamente dopo al fondo At. e finanche lucrando su tale sua rapida intermediazione l'importo di 24.500,00= euro); b) l'operazione era una mera replica di quella fatta in precedenza con i fondi Az., che avevano effettivamente dato ottimi risultati in termini di liquidità, e ciò in quanto Op. e At. avrebbero distribuito i 60 milioni di azioni B. presso la propria clientela, essendo investitori istituzionali (in realtà, come si è visto, i fondi lussemburghesi Op. e At. e per essi i loro sotto-fondi - ovvero comparti-, non essendo fondi collettivi, erano strutturati ben diversamente dai fondi Az. fino a quel momento utilizzati, giacché, di fatto, non avevano la benché minima clientela presso la quale poter distribuire quelle azioni, semplicemente in quanto non esistevano, di fatto, altri loro investitori se non la stessa B.). Quanto poi all'appena ricordato ruolo di mero intermediario e depositario temporaneo (per due soli giorni) svolto da Banca No. nella vicenda dell'acquisto di azioni B. per 24,5 milioni di Euro da parte del fondo At., il protagonismo del PI. è reso evidente, al pari della vera natura dell'operazione (con la quale B. perseguiva l'obiettivo di dare una collocazione occulta a un non certo irrilevante quantitativo di azioni proprie), dal tenore della e-mail inviatagli in data 14.12.2012 ad ore 8.59 da Ri.Al. di No., in atti sub doc. 378 del P.M.: "Ciao An.. Spero tutto ok" Ti volevo segnalare che abbiamo un concreto interesse da investitori per acquisto azioni B.. Stiamo smarcando alcuni passaggi formali interni che dovrebbero essere completati fra oggi e lunedì. A quel punto potremo formalmente farvi un'offerta di acquisto. Avrei bisogno di sapere da te: - Conferma del prezzo che abbiamo già discusso di persona; - Conferma che e ok che acquirente risulterà poi essere SPV di No.; - Conferma su vostra indicazione di size. Mi avevi detto che forse preferivate fare importi rotondi. Aspetto tue notizie, Metto in copia Al.Ri. mio collega di Eq. che seguirà questa operazione (essendo io in vacanza prossima settimana)". Come ha condivisibilmente affermato (v. subito infra) il teste ispettore Gi.Ma. mentre il suddetto doc. 378 gli veniva esibito dal P.M., sarebbe ben bizzarro, in una normale transazione connotata dalla segnalata presenza di reali investitori effettivamente interessati all'acquisto di azioni altrui, che l'entità del pacchetto azionario oggetto della potenziale compravendita non fosse determinata dalle indicazioni dell'acquirente - che è l'aspirante azionista - bensì da quelle del venditore; in più nello stesso doc. 378 del P.M. compare anche una successiva e-mail inviata il 20.12.2012 ad ore 11.08 da Al.Ri. di No. al PI., oltre che all'omonimo suo collega Ri.Al., avente il seguente tenore: "Gentile dott. Pi.. Spero che questa mia email la trovi bene. le chiederei la cortesia di sentirci ai telefono, magari nella mattinata di oggi, per dare seguito alle conversazioni da lei avute con il mio collega Ra.. Mi potrebbe dire su che numero la posso rintracciare e a che ora la posso disturbare?". Se sì fosse realmente in presenza dì una normale e trasparente transazione di compravendita di azioni, condotta alla luce del sole, davvero non sarebbe dato comprendere la ragione di tanta segretezza. Su tutto ciò cfr., per l'appunto, pag. 11 deposizione Ma., verbale stenotipico 26.10.2019: "TESTIMONE MA. - Se andate a pagina... dovete fare tre giri di pagina, ci sono delle frecce" quelle sono le mie frecce. Ri. Ra. scrive a Pi., ma questa è una curiosità, è rimasta tate, insomma, però ovviamente mi avevano un po' incuriosito le modalità di formazione di questa operazione, perché? Perché Ri. Ra., potenziale compratore, dice: "guarda che noi abbiamo un concreto interesse da alcuni investitori per acquistare le vostre azioni"; e poi, al terzo capoverso: "mi conferma su tua indicazione la size? Mi avevi detto che preferivi fare importi rotondi". Ora, mi aveva incuriosito questa cosa perché il compratore non chiede al venditore "che volume vuoi fare?". Insomma, il compratore va dal venditore e gii dice "scusa, voglio comprare 24,S, ce l'hai?" Comunque, al di là di questo, questa fu una curiosità. Oltre al fatto, insomma, nella parte aita di questa pagina ci sono altre frecce con le quali Ri., insomma, dice "sentiamo al telefono"; per altri motivi". D'altra parte, che l'operazione Op.-At. avesse connotati diversi - e volutamente assai più "misteriosi", pure all'interno della stessa Direzione Finanza di B. - rispetto alla pregressa esperienza di investimento con i fondi Az. è dimostrato anche dalla deposizione resa in data 9,1,2020 (pagg. 47-49 del relativo verbale stenotipico) da Pa. Al., subalterno del PI. nell'ambito della Divisione Finanza, con il quale l'imputato, pur trattandosi di uno dei suoi più stretti collaboratori e per di più responsabile della branca Global Markets (veste nella quale l'Al. aveva svolto un ruolo rilevante nelle operazioni di investimento pregresse con i fondi Az.), si dimostrò evasivo e sfuggente, non coinvolgendolo se non per sommi capi: "TESTIMONE AL. (...) a partire dalla fine dei 2011, ci fu un inserimento di una componente di fondi. Nell'ambito di questa componente di fondi, la mia... il mio ruolo è stato soprattutto di portare o di proporre, e poi è stato validato dal Comitato Finanza e dal Consiglio di Amministrazione, investimenti nei fondi Az.. I fondi Az. di riferimento erano collegati a un investimento della banca a fronte di un deposito di liquidità da parte dei fondi medesimi - Ovviamente, questa cosa avveniva a nostro favore, nel senso che raccordo era di acquistare un x dì questi fondi e di avere, dall'altra parte, 3 volte x di liquidità a favore della banca; e in questo ambito io facevo... PUBBLICO MINISTERO - Quindi l'obiettivo strategico era la liquidità? TESTIMONE AL. - Assolutamente, PUBBLICO MINISTERO - Parliamo di azimut? TESTIMONE AL. - Az., assolutamente - E nell'ambito del tema dei fondi Az., la vicenda iniziò nel 2011, e anche quando andai via, nel 2015, mi ricordo che con il nuovo Responsabile della Divisione Finanza feci proprio un incontro con Az., perché Az. era e rimaneva uno dei principali depositanti a livello istituzionale di liquidità nei nostri confronti, Dopodiché, c'è la vicenda dei fondi a cui lei fa riferimento. La decisione di investire in questi fondi non fu una decisione dove io ebbi un ruolo nel dire: andiamo a investire in questi fondi. Non ricordo di aver partecipato a discussioni circa la selezione dei fondi, Non vidi, se non poi, come lei accennava, Dottore, nella parte finale, il tema relativo ai contratti. Furono, come qualsiasi investimento, rappresentati in Comitato Finanza, mi sembra di ricordare, però è un ricordo di memoria, quindi non ho una e-mail o feci una e-mail a questo riguardo, che quando furono presentati questi fondi io domandai a An.Pi. che cosa fossero questi fondi, e,.. PUBBLICO MINISTERO - Ma, quindi, di che periodo parliamo, quando ci fu questa interlocuzione? TESTIMONE AL. - Guardi, secondo me, poteva essere il 2012, nel senso che in Comitato Finanza il mio ricordo è che comunque erano... come si dice? Rappresentati la presenza, l'esistenza di questi fondi come ammontare. Se ricordo bene, la cosa che feci era di domandare al dottor Pi.: ma, An., questi fondi che cosa sono? PUBBLICO MINISTERO - Ma lei... No, finisca, perché poi mi è venuta in mente una cosa da chiedere. Finisca pure, TESTIMONE AL. - Gli domandai: ma che cosa sono? E fui mi disse; questi qui sono fondi dove il Direttore Generale ha espresso la decisione di... decisione di investire. (...). PUBBLICO MINISTERO - Lei a Pi. chiese la spiegazione di che questo tipo di investimento non era partito da una proposta della sua struttura? TESTIMONE AL. - Diciamo che forse sono un po' più naif, nel senso che gli chiesi: ma scusa, ma cos'è questa... questa cosa? Ritorno a quello che vi dicevo, E lui mi disse: è un investimento deciso dal Direttore Generale/'. Il dato nodale, quindi, è rappresentato dal fatto che i fondi e i sotto-fondi in esame non fossero collettivi, non potendo dunque essi nemmeno definirsi a rigore come OICVM, acronimo per "Organismi di Investimento Collettivo in Valori Mobiliari". Già questo offre la misura dell'entità e gravità, in concreto, del tradimento del mandato conferito anno dopo anno dal CdA (per parte sua dimostratosi tutt'altro che vigile e attento nel vegliare sul rispetto del mandato stesso, il che rende del tutto prive di qualsivoglia valore le deposizioni testimoniali rese all'udienza del 30.5.2022 in grado di appello dal sindaco Giacomo Ca. e dal consigliere di amministrazione Gi.Pa., invocate dalla difesa come a sé favorevoli) in occasione dei progressivi cospicui aumenti del plafond, secondo quanto si evince dalle rispettive delibere, qui di seguito elencate e tutte rinvenibili in atti all'interno del composito doc. 102 del P.M.: - verbale CdA del 21.2.2012, in particolare sub aff. 122-123 (viene deliberato il brusco innalzamento del plafond degli investimenti, portato a Euro 500 milioni per gli "investimenti finanziari in quote di OICVM" rispetto agli appena 150 milioni precedenti; il nuovo plafond e le linee guida degli investimenti della banca vengono presentati al CdA dal solo An.Pi.); i primi cospicui investimenti nei fondi At. e Op. avranno luogo proprio alla fine del mese dì novembre dello stesso anno 2012, per giunta in modo tale da rischiare seriamente di superare di alcune decine di milioni di Euro il plafond stesso, benché elevato a 500 milioni di euro: cfr. i docc. 347 e 348 del PM, carteggio Ca./Pi. del 29/11/2012, dai quali si evince che Ma.Ca., subalterno del PI. in seno alla Divisione Finanza, gli segnalava tale concreto pericolo; il PI. gli replicava a stretto giro dì non preoccuparsi in quanto per fine anno avrebbero sistemato la cosa rientrando nel plafond deliberato, e ciò grazie alla dismissione di 60 milioni dai fondi Az. C Prima di allora dismetteremo altri 60 mln di fondi Az. non superando mai il limite. Saluti, An."); - verbale CdA del 5.2.2013, in particolare sub all. 382-383 (ulteriore innalzamento del plafond degli investimenti da 500 a 700 milioni di Euro per gli "investimenti finanziari in quote di OICVM"); anche in tale occasione il nuovo plafond e le linee guida degli investimenti della banca vengono presentati al CdA dal solo An.Pi., non ancora affiancato in tale compito da Da.Es., responsabile del Risk Management; - verbale CdA del 23.7.2013, in particolare sub all. 107 (ulteriore innalzamento del plafond degli investimenti da 700 a 800 milioni di Euro per gli investimenti finanziari in quote di OICVM ... di cui 300 milioni di Euro al massimo allocabili sul plafond di Fi. che avrà la possibilità di investire in asset class che esprimano un profilo rischio/rendimento in linea con le esigenze strategiche del gruppo")) solo questa volta il PI. (che pure prenderà la parola immediatamente dopo per illustrare il programma di offerta di prestiti obbligazionari; v. aff. 108 stesso documento) è sostituito - nella presentazione al CdA del nuovo plafond e delle linee guida degli investimenti finanziari in quote dì OICVM - dal collega Da.Es., responsabile del Risk Management, Nondimeno, come puntualizza il teste Pi.Ra., direttore generale di Fi. (della cui attendibilità già si è detto supra con riguardo alla vicenda delle c.d. "tre sorelle lussemburghesi"), nemmeno in questo caso può certo dirsi che il PI. si fosse defilato dalla scena degli investimenti in fondi esteri, tanto che - cfr. pag. 45 dell'esame Ra. 21.11.2019 - fu proprio il PI. ad avvisarlo che, di quei 300 milioni di Euro, i due terzi andavano necessariamente destinati a uno specifico fondo già individuato, l'Op.. Si noti, d'altra parte, che tra la delibera del 5.2.2013 (di ampliamento del plafond a 700 milioni di euro) e la successiva del 23.7.2013 (di ulteriore suo ampliamento a 800 milioni, di cui un massimo di 300 milioni allocati su Fi., controllata irlandese) erano frattanto intervenute due altre importanti delibere intermedie del CdA datate 193.2013 e 28.5.2013, come si evince anche dal doc. 418 del PM (relazione dell'Internai Audit sui fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), le quali danno contezza di come - a partire dal marzo 2013 - An.Pi. fosse divenuto titolare di una delega piena ad operare nel settore, disgiunta da quella analoga che era stata conferita al d.g. Sa.So.. Delega, si noti, espressamente richiamata, e non già revocata, anche nella delibera CdA del 23 luglio 2013. L'ampiezza dei poteri conferiti dal CdA ad An.Pi. con la delega disgiunta di cui alla delibera 19.3.2013 è ben illustrata nei termini seguenti dal menzionato doc. 418 del PM (relazione dell'Internai Audit sui fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015): "(...) In data 19 marzo 2013 con specifica delibera il Consiglio di Amministrazione ha provveduto a conferire delega ai Direttore Generale e al Responsabile della Divisione Finanza disgiuntamente tra loro per il compimento di ogni atto necessario e o ritenuto opportuno per la formalizzazione degli investimenti finanziari in quote di OICVM sino al massimo di 700 mln ... dando sin d'ora per rato e validato il loro operato. Tale ulteriore delibera si era resa necessaria in quanto la scrivente Funzione (audit) nell'ambito delle periodiche verifiche ispettive circa l'operatività posta in essere dalla Divisione Finanza aveva rilevato la mancata assegnazione di deleghe con riferimento al plafond in parola richiedendo alle strutture della Divisione Finanza di procedere alla formalizzazione delle stesse. La delibera prevedeva inoltre che gli investimenti citati fossero oggetto di analisi e di periodica valutazione da parte del Comitato Finanza ed ALMS su indicazione della Divisione Finanza della Divisione Bilancio e Pianificazione e della Direzione Risk Management e di rendicontazione periodica al Consiglio di Amministrazione. Successivamente in occasione della seduta del 28 maggio 2013 il Consiglio di Amministrazione ha inoltre approvato la revisione dei criteri di inclusione nel plafond citato consentendo anche la sottoscrizione di OICVM che investano in strumenti di capitale purché questi non rappresentino una quota superiore ai 40% del totale del plafond stesso (...)". Come si può notare le delibere del CdA in materia risultano totalmente travalicate e contraddette dai contenuti delle operazioni in concreto concluse con i fondi Op. e At.: essi non sono definibili come OICVM, ossia come fondi collettivi; non sono destinati alla distribuzione di azioni tra i loro pretesi investitori, che non esistono; i loro investimenti in strumenti di capitale hanno ad oggetto azioni proprie di B.. Come si legge nel suddetto doc. 418 del PM ben altra era "la mission del plafond su cui tali investimenti insistono ovvero la strumentalità degli stessi a partnership finalizzate ad acquisire liquidità per il Gruppo". Obiettivo che era viceversa stato perseguito, anche con buoni risultati, con i diversi fondi nei quali si era investito sino a fine novembre 2012. Che il carattere non collettivo dei fondi At. e Op. rappresentasse una scelta incompatibile con un'effettiva volontà di investire (e compatibile, invece, unicamente con la volontà di dare vita a un deposito indiretto occulto di titoli), emerge altresì dal fatto che tale circostanza, una volta appresa, destò l'incredulità del responsabile della Divisione Bilancio e Pianificazione, Ma.Pe., resosi autore di un appunto manoscritto privo di data che è stato acquisito agli atti quale doc, 805 del P.M., da quest'ultimo prodotto all'udienza del 4,2,2020 (la teste di P.G. Me.Ro. ha spiegato durante tale udienza che l'appunto - privo di data ma sicuramente successivo, dato il suo complessivo contenuto, all'entrata in vigore del CRR, ossia all'1.1.2014 - si trovava annotato su un'agenda sequestrata nell'ufficio di Pe.), In tale appunto, assieme ad altre annotazioni, si legge; "Indiretti? Che senso ha investire in un fondo 100% o 90% che investe in azioni banca?". Ed invero lo stesso imputato PI., dopo avere sostenuto per buona parte del suo esame dibattimentale 3.3.2020 che si era trattato di un regolare mirato investimento, finalizzato alla - distribuzione" delle azioni B. tra i vari clienti investitori nei fondi At. e Op. ("imputato Pi. - 2012, quindi stiamo parlando di settembre-ottobre 2012, E invece, con loro trovammo la definizione, per cui la proposta qual era? Che la banca avrebbe investito 100 milioni nel fondo meglio, in determinati comparti dei fondi At. e Op., e Op. e At. avrebbero distribuito 30 milioni di azioni Po.Vi. presso la propria clientela. Questo era l'accordo che fu preso con foro e da cui partì poi l'investimento nei due comparti": cfr., pag. 47 verbale stenotipico 3.3,2020), con lo scopo dichiarato di ampliare e diversificare la platea degli azionisti (per "aumentare la base di investitori istituzionali in relazione agli altri soci della banca. Questo perché? Perché la Banca (...), fino a quel momento lì, aveva una base sociale, in maniera assolutamente preponderante, direi il 95-96%, fatto da individui o da imprenditori, pochissimi nel settore istituzionale, forse la banca in assoluto che aveva meno investitori istituzionali a livello di azionariato in banca. Quindi c'era necessità di andare a spingere, rispetto a questo numero, su investitori istituzionali (...) Quindi sempre di più si doveva cercare di andare a trovare almeno uno zoccolo duro di investitori istituzionali. E questo tipo di attività, di "scouting", diciamo, di ricerca di investitori istituzionali, a me è stato chiesto da parte del Direttore Generale So.": cfr. pagg. 44-45 verbale stenotipico 3,3.2020), ha dovuto riconoscere infine, in risposta a una precisa domanda della presidente del collegio dì primo grado riferita proprio al tenore dell'appunto manoscritto dì Ma.Pe. sub doc. 805 del P.M., la verità, ossia che - al momento della sottoscrizione dei fondi Op. e At. - egli ben sapeva che B. ne era il solo investitore e che dunque non vi sarebbe stata alcuna "distribuzione" delle azioni B. tra plurimi investitori, perché questi ultimi erano in realtà inesistenti (cfr. pag. 132 verbale stenotipico 3.3,2020): "PRESIDENTE - C'è un appunto del dottor Pe., che è stato prodotto dal Pubblico Ministero, che contiene una domanda che anch'io mi sono fatta, mi sono posta; che senso ha investire in fondi, se i fondi comprano azioni della banca? è una domanda che anch'io mi sono posta, è in grado di darci una risposta? IMPUTATO PI. - Col senno di poi, ovvio, certo che non aveva senso, tanto che dopo diciamo bisogna in qualche maniera redimerli, perché non ha senso, anzi, patrimonialmente non c'è logica, Ma questo non era l'obiettivo. Non dovevano i fondi comprare azioni della banca, o meglio, non dovevano mettere delle azioni della banca su comparti in cui la banca stessa aveva investito. Non era questa la logica". Né potrebbe seriamente obiettare l'imputato - come pure egli ha implausibilmente tentato di fare nel corso del suo esame dibattimentale - di avere "sperato" che, prima o poi, la situazione iniziale a lui ben nota (connotata dal carattere non collettivo dei fondi esteri in esame, che vedevano la stessa B. quale foro sostanzialmente unico investitore ed erano oltretutto "chiusi", dunque tali da fornire alla stessa B. soltanto insufficienti e scarne informazioni di primo livello) mutasse consentendo finalmente la comparsa all'orizzonte dell'auspicata vasta platea dì investitori diversificati ai quali "distribuire" le azioni per il momento giacenti nei comparti dedicati ("sotto-fondi") dei fondi medesimi. Investitori, si badi, che ancora non si erano minimamente palesati a tutto il giugno 2014 (ciò dimostrando a fortiori che il solo intendimento del PI. e del So. era in realtà ab origine sempre stato quello di collocare stabilmente a tempo indeterminato le azioni B. nei comparti dei fondi a ciò dedicati al fine di attuare una forma occulta di loro detenzione indiretta), allorquando - v. su ciò più ampiamente infra - l'entrata in vigore del c.d. CRR costrinse infine la Divisione Finanza di B. a chiedere una disclosure tanto ad At. Capital quanto a Op. circa la giacenza di azioni B. presso i comparti dei rispettivi fondi, mentre fu necessario ulteriormente attendere l'ispezione Bc. del 2015 (e le pressioni in tale sede esercitate dal team ispettivo sul d.g. So. e sullo stesso PI.: cfr. deposizione del teste ispettore Em.Ga., pag. 64 verbale stenotipico 26.9.2019) per poter avere contezza di quali fossero i sottostanti ai fondi medesimi. Ebbene, a seguito di ciò risultò che ancora nel mese di maggio 2015 B. e Fi. seguitavano ad essere gli unici sottoscrittori, rispettivamente, del Fondo Op. 1 e Mu. mentre B. seguitava ad essere sottoscrittore al 99% di At., come si evince dal doc. 418 del P,M, (relazione dell'Internai Audit sulla vicenda dei fondi esteri stilata in vista del CdA del 12.5.2015), pag. 4: "Alla data, B. e Fi. rappresentano di fatto gli unici sottoscritto(ri) dei 3 Fondi (100% di Op. I e II e circa il 99% di At.). Si precisa altresì che i contratti di sottoscrizione dei Fondi Op. prevedevamo) fa costituzione, in seno a ciascun Sub-fondo, di un "Investment Committee" i cui membri potevano essere eletti dagli investitori in funzione della loro quota. Detti Comitati non sono mai stati costituiti Risulta del tutto inverosimile - e invero anche svilente della sua riconosciuta elevata professionalità - la figura, tratteggiata per sé dal PI. alle pagg. 50-53 del suo esame dibattimentale 3,3,2020, di colui che, dopo avere adottato la consapevole e volontaria decisione di condurre B. a investire un rilevante importo nella sottoscrizione di fondi non collettivi aventi la medesima B. quale loro sostanzialmente unico investitore, si sarebbe poi di fatto limitato, assieme al direttore generale So., ad affidarsi al destino (accettando, quindi, anche l'eventualità, nient'affatto remota e in concreto verificatasi, che l'investitore rimanesse la sola B. per sempre), senza che peraltro i vertici della banca fossero posti - per sua stessa ammissione - nelle condizioni di verificare l'evolversi di tale situazione (e dunque, a tacer d'altro, senza che B. potesse disporre dei dati indispensabili a verificare se, quando e in quale misura dover scomputare dal patrimonio di vigilanza azioni proprie giacenti nei comparti dei suddetti fondi): - cfr. pagg. 50-51 esame PI.: Omissis - cfr. pag. 53 esame PI.: Omissis A ciò si aggiunga che il PI. riconosce anche (cfr. pag., 55 suo esame 3.3.2020) che tutta la vicenda degli investimenti nei fondi At. e Op. prese le mosse dall'esigenza, annunciatagli come impellente dal direttore generale Sa.So., di far uscire dal fondo riacquisto azioni proprie della banca il controvalore di 60 milioni di Euro in azioni B.: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quando lei è stato sentito dal Pubblico Ministero, nel corso dell'interrogatorio, verbale 26 settembre 2017, quindi dopo che ha ricevuto ravviso di conclusione delle indagini preliminari, lei dice: "Con riferimento all'operazione At. e Op., ricordo che tra settembre e ottobre 2012 il dottor So. (...) mi aveva rappresentato la necessità di collocare 60 milioni di Euro di azioni della banca per alleggerire il fondo riacquisto azioni proprie". IMPUTATO PI. - Confermo. Assolutamente sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quindi So. le dice che bisogna...? IMPUTATO PI. - Certo. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - ...come dire, dismettere dal fondo 60 milioni ..? IMPUTATO PI. - Sì, anche perché io non ho contezza di quant'è la capienza del fondo, quindi qualcuno deve dirmelo.". Tutte le affermazioni del PI. da ultimo passate in rassegna si pongono in netta contraddizione col suo assunto di partenza secondo cui la finalità delle operazioni stipulate con i fondi esteri in esame sarebbe stata esclusivamente quella di reperire nuovi "investitori istituzionali a livello di azionariato in banca" e risultano ben più congruenti col tenore, assai diverso sul punto (e collimante invece con la deposizione del teste Fi.Ro. dell'Ufficio Soci: cfr. pag. 54 dell'esame 8.10.2019 di questi), del suo interrogatorio 26.9.2017, il cui verbale è stato prodotto dal P.M. ex art. 503 c.p.p. all'udienza del 23.6.2020, laddove l'imputato sosteneva di avere sempre avuto ben chiaro fin dall'inizio - allorché cioè il d.g. So. chiese a lui e al GI. di attivarsi per collocare, rispettivamente, 60 e 40 milioni di azioni B. - che l'operazione andava ricondotta a una "necessità della banca" (precisamente la necessità di svuotare il fondo riacquisto azioni proprie) e "non un'opportunità di investimento. In questa occasione, come ho già detto, ebbi il sentore di una certa difficoltà della banca sul riacquisto delle proprie azioni dai soci L'operazione di collocamento delle azioni fu poi eseguita presso la B. da Ro." (cfr. pag, 5 interrogatorio cit.). A ben guardare l'imputato, con le sue dichiarazioni rese in sede di esame dibattimentale da ultimo passate in rassegna, ha finito viceversa con il riconoscere la veridicità di quanto affermato tanto dal teste avv. An. Su., responsabile - nell'ambito di Op. - della funzione Legal e Compliance nonché membro del CdA della società di gestione Op., quanto dal teste Al.Ma., quest'ultimo fondatore della suddetta Op. (sulla piena utilizzabilità della deposizione Ma. sì rinvia integralmente all'ordinanza 18.5.2022 di questa Corte, salva restando, e ciò vale anche per il teste avv. An. Su., ogni doverosa valutazione in tema di complessiva attendibilità date le conclamate ragioni di ostilità nutrite da Op. verso B., ben riassunte nella missiva 13.3.2017 dello studio legale Fr.St. di cui al doc. 429 del P.M.), circa il carattere "dedicato" dei fondi in questione e circa il carattere di pressoché unico loro investitore (tranne quote minimali altrui) rivestito da B., il che costituiva altresì la ragione della conclamata inesistenza, nel caso in esame, di un comitato investitori (il teste Ma. ha altresì fatto riferimento a più riprese all'esigenza, a suo dire manifestatagli dall'imputato, di creare un -polmone" nel quale poter accomodare una parte delle azioni B. che erano non quotate, illiquide e difficili da collocare: cfr. pagg. 19-22 del relativo verbale stenotipico): - cfr. pagg. 19-20 deposizione Su., verbale stenotipico 19.11.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Quando l'investitore, mi corregga, Mu., era uno solo, cioè la banca? TESTIMONE Su. - Esatto, quindi quello che le stavo tentando di farvi capire, nel senso che è prassi comune, quando si hanno dei comparti con multi investitori, avere questi comitati investimenti, perché chiaramente sono finalizzati al fatto di poter dare una parola a tanti investitori, che sono appunto molteplici e non si conoscono neanche l'uno con l'altro. Diversamente questi qua sono comparti che in gergo vengono definiti e classificati come tailor-made, ossia fatti a misura d'uomo, un po' come una sartoria, cioè disegnati sulla falsariga di ciò che effettivamente il cliente vuole. Quindi, essendo disegnati a loro immagine e somiglianza, anche la politica d'investimento del comparto stesso non è più promossa dal gestore ma è disegnata a loro immagine e somiglianza. Quindi, nel caso specifico della Po.Vi., questo comitato non è stato ritenuto di dover essere costituito, poiché, appunto, avevamo... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Per la peculiarità di... TESTIMONE Su. - Esatto, la peculiarità ... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Della esistenza di un solo investitore? TESTIMONE Su. - Assolutamente, dell'investitore") - cfr pag. 16 deposizione Ma., verbale stenotipico 26.11.2020: - TESTIMONE Ma. - No.. allora, i fondi erano indubbiamente fondi dedicati, su questo non ci sono dubbi. Stiamo parlando di due fondi: il Mu. e il Mu.. (...). Non ricordo ci fossero degli investitori rilevanti, forse in uno dei due fondi - vado a memoria ma dovrei approfondire - a un certo punto era entrato con una piccola quota un altro investitore, che onestamente non ricordo chi fosse, ma era una quota marginale o addirittura irrilevante, Quindi sicuramente fa Banca era... aveva, diciamo cosi... era il principale investitore nei fondi, ed erano fondi dedicati alla Banca/'. I testi Ma. e Su., diversamente da quanto sostiene la difesa, risultano riscontrati anche con riguardo alla circostanza, da entrambi riferita, degli incontri frequenti di An.Pi. con Gi.St., il senior manager di Op. deputato da quest'ultima a trattare il rapporto con B. fino alle sue improvvise dimissioni nel 2014, allorquando lasciò Op. per fondare la concorrente struttura denominata Ka. (struttura presso la quale il PI. si fece parte attiva, nel novembre 2014, per cercare di trasferire in blocco ivi, con una redemption in kind, le azioni B. ancora giacenti nel fondo Op. - che però aveva ormai necessariamente dovuto fare disclosure attorno alla metà dell'anno 2014 - senza peraltro conseguire il suo intento: cfr. al riguardo il doc. 431 del P.M.). Vero è che i due testi Ma. e Su. (quest'ultimo de relato dallo St.: cfr. pagg. 22-23 esame Su., verbale stenotipico 19.11.2019) collocano tali incontri PI. - St. in Milano nelle giornate di martedì, laddove risulta dagli atti che l'imputato, per lo più, il martedì si recasse a Vicenza per assistere al CdA di B.. Nondimeno il dato dei frequenti incontri personalmente intrattenuti dal PI. anche dopo la stipula dei contratti con i responsabili dei fondi esteri è dimostrato (a ben poco rilevando, in ultima analisi, il giorno esatto della settimana in cui essi si tennero) dal contenuto della seguente conversazione telefonica intrattenuta dal predetto PI. con il già sopra menzionato suo ex stretto collaboratore Pa. Al. (anch'egli nel frattempo uscito da B.), il quale - si ricordi il tenore della sua deposizione, saprà passato in rassegna, circa l'essere stato inopinatamente pretermesso dal suo superiore nell'allestire l'operazione Op.-At. - appare qui freddo, distaccato e poco convinto, rispondendo quasi sempre a monosillabi, verso un PI. alquanto agitato e alla ricerca di persone da indicare, nella sua lite civile con la banca, come sommari informatori: Conversazione captata n. progr. 415 del 2.9.2015 ad ore 19,09,19, utenza chiamante intestata a Pi.An., qui "V.M." (pagg. 133-143 perizia di trascrizione): Omissis Né, infine, può in alcun modo accedersi alla tesi difensiva secondo cui il PI., con riguardo alla vicenda dei fondi esteri, sarebbe stato una sorta di mero procacciatore di nominativi di potenziali controparti ma per il resto si sarebbe limitato ad assistere passivamente a operazioni ideate e condotte in piena autonomia dal direttore generale Sa.So. per B. e da Pi.Ra. per la controllata irlandese Fi.. Al di là del fatto che i contratti stipulati alla fine del 2012 con i fondi Op. e At. recano in ogni pagina non soltanto la sottoscrizione del So. ma altresì la sigla del Pi., significativi sono in contrario già diversi dati documentali, i quali riscontrano appieno, sul punto, le deposizioni non solo dei già citati testi Ma. e Su. ma altresì quelle - assai articolate e dettagliate in tal senso - dei testi Pi.Ra., direttore generale della controllata irlandese Fi. (cfr, in particolare le pagg. 45-49 del suo esame 21.11.2019) e Fi.Ro., dell'Ufficio Soci (soggetto, come tale, dotato di poca o nulla autonomia decisionale sullo specifico tema al di là delle attività prettamente materiali da lui poste in essere); cfr. in particolare la pag. 52 dell'esame di Ro. datato 8.10-2019, ove il teste, nel ricordare di avere preso parte il 5.12.2011 a una riunione fatta in videoconferenza con il PI. (ove presenziarono anche Ma.So., che di Op. conosceva da lunghi anni tale Gi.Ma., nonché quest'ultimo, il quale sua volta portò con sé nell'occasione il fondatore e vertice di Op., Al.Ma.), riunione concordemente descritta da tutti i vari altri testi ora citati come conclusasi all'epoca in un nulla di fatto, ha precisato che verso novembre-dicembre del 2012 fu proprio il PI. a ricontattarlo autonomamente per chiedere di poter essere messo in contatto con le persone di Op. da lui conosciute l'anno prima (il che priva dunque di rilievo le due pur assodate circostanze, evidenziate e rivendicate dalla difesa, dell'esito inconcludente della riunione del 5.12.2011 e del fatto che Ma.So., a suo stesso dire, mai ebbe a inoltrare a chicchessia la e-mail inviatagli dall'amico Gi.Ma. il 9.2,2012, in atti sub doc. 350 del P.M., contenente una proposta contrattuale di Op.); sempre il teste Ro., a pag. 62 del suo esame 8.10.2019, ha confermato quanto da lui riferito a suo tempo a s.i.t.: "Nel darmi le tre referenze Pi. mi disse che era già tutto concordato con i rispettivi referenti, anche per gli importi (30 milioni per Ma.); I dati documentali in questione sono i seguenti: - messaggi sms ovvero WhatsApp intercettati sull'utenza telefonica cellulare di An.Pi. dall'11 ottobre 2012 al 23 novembre 2012, in atti sub doc. 311 del P.M., attestanti il fatto che, con l'intermediazione dell'avv. Patrizio Messina dello studio legale Or. (come riferito infatti, puntualmente, anche dal teste Al.Ma.: cfr pag. 15 della sua deposizione 26.11.2020), fu il PI. ad attivarsi per riannodare le fila del rapporto con i rappresentanti di Op. dopo il mancato seguito della riunione 5.12.2011 di quasi un anno prima, oltre a intavolare autonomi rapporti con Ra.Mi., direttore di At. (il quale, significativamente, si rivolgerà via e-mail non già al So. bensì solo al PI. e al suo subalterno Ma.Ca., in data 7.12,2012 e indi in data 21.1.2013, allorquando chiederà di procedere con l'investimento, rispettivamente, dei primi 70 milioni di Euro e dei successivi 30 milioni di Euro "as previously agreed", cioè come da precedenti accordi: cfr, doc. 337 del P.M.), di tutto ciò essendo poi sempre il PI. a informare il So. con messaggi del seguente tenore (tutti appartenenti al doc, 311 cit.): Omissis; - doc. 731 del P.M., costituito da un lungo resoconto dattiloscritto del consigliere d'amministrazione Gi. "Pi." Zi., intitolato "Appunti su situazione B. 2015", ove fra l'altro lo Zi., a pag. 4, riassume i contenuti di un suo incontro a tre del 9.5.2015 con Em.Gi. e An.Pi., entrambi ormai in procinto di uscire da B., i quali gli avevano offerto le rispettive versioni dei comportamenti loro ascritti; è significativo qui il fatto che il PI. confidi allo Zi.: a) di avere - sempre operato per aiutare la rete a svuotare il fondo azioni proprie"; b) che i contratti stipulati da B. con i fondi Op. e At. erano sì stati firmati da Sa.So. ma soltanto perché a quell'epoca il medesimo PI. non era ancora titolare dei necessari poteri (peraltro conferitigli di lì a pochi mesi, come si è visto, dal CdA con apposita delibera 19.3.2013 di ampia delega, disgiunta da quella conferita al So.); lo Zi. infatti annota; "Ordini firmati da SS perché non nei poteri di AP"; - doc. 331 del P.M., rappresentato da una e-mail di risposta inviata il 25.7.2013 da An.Pi. a Pi.Ra., direttore generale di Fi. (il quale aveva appena scritto nei seguenti termini al PI. sottoponendogli per il controllo una bozza di delibera relativa all'operazione di investimento, da parte della controllata irlandese, nel fondo Op. 2: "Caro An., ho buttato giù la delibera per il fondo optimum ... Dagli anche tu per cortesia una lettura per vedere se ti risulta tutto in ordine, Ps Domani mattina vedo To.Fo. (membro del CdA di Fi.) e gliene parlo tu sei riuscito a trovare il presidente? Grazie. Piero"); ivi il PI. replicava via e-mail al Ra. nei seguenti termini, con ciò plasticamente dimostrando chi realmente prendesse le decisioni - non certo il Ra. - anche per gli investimenti operati da Fi.: "Sono a pranzo con lui (ossia con il presidente di Fi., Ad.La.) e So.. Abbiamo concordato di fare investimenti fino a Eur ISO min". La totale assenza di autonomia decisionale di Ra., già supra passata in rassegna quanto alla vicenda delle c.d. "tre sorelle lussemburghesi", è qui palese e il doc. 331 offre fra l'altro un'ulteriore conferma del giudizio di piena credibilità da svolgersi nei confronti del suddetto teste (cfr. puntualmente, al riguardo, pag. 47 della deposizione Ra., verbale stenotipico 21.11.2019: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Invece, con riferimento a questa cosa, che, sì, forse ormai l'ho letta, ci fu un'interlocuzione anche col Presidente del CdA di Bp.? Chi è che spiegò al Presidente del CdA il fine dell'operazione, la strutturazione e quant'altro? TESTIMONE Ra. - Quello che dissi ad An.: "Parliamo di una cifra importante, dev'essere deliberata dal Consiglio di Amministrazione, bisogna in primis informare il Presidente di un'operazione del genere e spiegargliela. E lui mi rispose: "Sono a pranzo con lui e So., gliela spiego io - PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Ri. - Quindi lei sapeva che, comunque, La. era informato? TESTIMONE Ra. - Sì, per me La. è stato informato in quell'occasione dell'operazione"). Si noti come il protagonismo di An.Pi. sia stato totale anche con riguardo alla dismissione, attraverso vari canali, delle azioni B. detenute dai fondi Op. e At.. Dell'operazione "So." - a ciò finalizzata - sì è già detto ampiamente. Del pari si è già accennato al non riuscito tentativo di redemption in kind tramite il progetto di trasferire in blocco gli asset di B. giacenti nel fondo Op. (che ormai a metà del 2014 si era trovato, a causa dell'entrata in vigore del c.d. CRR, a dover operare necessariamente una disclosure circa le azioni B. presso di sé giacenti: cfr, doc, 379 del P.M.) a una nuova struttura da poco costituita e con esso concorrente, denominata Ka. e facente capo, peraltro, a quello stesso Gi.St. che era stato a lungo il diretto referente del PI. prima di lasciare proprio nel 2014 Op. e dunque aveva il polso dell'intera delicata vicenda (il tutto con l'intermediazione dello studio legale Or. per le trattative all'uopo intraprese con Op. - cfr. deposizione avv. An. Su. 19.11,2019, pag. 36 - in seguito all'invio dì una missiva in tal senso firmata dal PI. oltre che dai formali sottoscrittori dei fondi, So. e Ra.: cfr. docc. 427 e 431 del P.M.). Un altro veicolo progettato ad hoc, utilizzato per liberare i fondi esteri dalle azioni B. ancora da essi detenute, fu rappresentato dall'operazione che gli ispettori di Bc. denominarono equity swap, avente ad oggetto il trasferimento ai fondi esteri di azioni Ve., detenute da vari clienti di B., in cambio di azioni della stessa B., Operazione le cui caratteristiche sono state puntualmente riassunte dal teste ispettore Em.Ga. alla pag. 59 del suo esame, verbale stenotipico 26.9.2019: "E l'altra operazione è quella che abbiamo chiamato di "equity swap", fatta attraverso Ma.Sp., in cui, sostanzialmente, i clienti hanno trasferito a Op. azioni clienti; ci sono tanti clienti che erano al tempo stesso soci di Ve. e soci di Po.Vi., avevano quindi azioni di entrambe; e hanno trasferito a Op., hanno fatto un compenso, hanno trasferito a Op., almeno a Op., forse anche a At., non lo so, non mi ricordo, però è indicato. Hanno trasferito azioni di Ve. in contropartita di azioni di Vicenza, quindi hanno preso in carico azioni di Vicenza dando per eguale ammontare azioni di Ve.. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Ma.Sp. è il broker che si era interposto fra le due banche? TESTIMONE Ga. - Sì, che si era già interposto all'epoca, al 2012, in uno degli acquisti. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Dei fondi. TESTIMONE Ga. - Dei fondi, sì. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Si interpone anche nella cessione da parte dei fondi lussemburghesi". Ancor più dettagliata nel delineare gli snodi dell'operazione equity swap è la deposizione resa il 26.10.2019 dal teste ispettore Gi.Ma., cfr. pagg. 16-18 verbale stenotipico 26.10.2019. Sono agli atti sub doc. 296 del P.M. alcune fra le lettere - ricalcate tutte sul medesimo facsimile, indirizzate a B. e per conoscenza al broker londinese Ma.Sp. (ancora una volta resosi intermediario come già aveva fatto a fine dicembre 2012 all'epoca dell'acquisto di circa 30 milioni di Euro in azioni B. da parte del fondo estero Op.) - con cui vari clienti B. titolari di azioni Ve. chiesero (tra il 20.3,2014 e il 3.10.2014: cfr. la ricostruzione elaborata, con allegata tabella esplicativa, dall'Internal Audit nella nota sub doc. 344 del P.M., pagg. 4-5) di acquistare da Ma.Sp. azioni B. (valore nominale Euro 62,50=) e di vendere contestualmente le loro azioni Ve. (valore nominale Euro 39,50=) alla stessa Ma.Sp.. In tesi difensiva il PI. non ebbe alcun ruolo in tale operazione di equity swap in quanto la stessa sarebbe stata gestita interamente con l'intermediario londinese Ma.Sp. dai dipendente di B. Cl.Br., operante in seno alla rete della Divisione Mercati a sua volta diretta da Em.Gi. (per inciso è effettivamente inesatto, come lamentato dalla difesa, quanto sostenuto al riguardo dall'Accusa, ossia che il Br. sarebbe stato già in quiescenza all'epoca in cui vennero poste in essere tutte le operazioni di equity swap; o meglio il dipendente risultava a quel tempo ancora in servizio presso il Punto Private B. dì Co. tranne che per i soli giorni 1-2-3 ottobre 2014: cfr. al riguardo la citata nota dell'Internai Audit sub doc. 344 del P.M., pag. 4: - Per le operazioni in questione effettuate nei periodo ricompreso tra il 20/03/2014 ed il 03/10/2014 si è provveduto ad acquisire la documentazione di supporto dall'U.O. Finanza di Servizi Bancari riscontrando un azione di coordinamento complessivo di tutte le operazioni in parola del sig. Cl.Br., al tempo operante presso il Pu.Pr. (in quiescenza dal mese di ottobre 2014)"). Particolare rilievo viene attribuito dalla difesa alla deposizione del teste Ti.Ch., che all'epoca curò l'operazione per il broker londinese intermediario Ma.Sp., evidenziando come questi abbia dichiarato di essersi interfacciato in prima persona - a distanza - solo col summenzionato Cl.Br. e di non avere mai frequentato gli uffici milanesi della Divisione Finanza di B. (cfr. pagg. 50-52 e 54 verbale stenotipico 17.9.2020) oltre a non avere mai visto, se non in tribunale durante il dibattimento, la persona fisica di An.Pi., da luì in effetti mai conosciuto; il teste Ch. ha anzi escluso di essersi interfacciata professionalmente in qualsiasi modo, anche solo a distanza, con la figura del PI. (cfr. pag. 55 ibidem). In realtà il teste Ch. non può definirsi attendibile, dal momento che: - egli non ebbe a interagire in prima persona soltanto - come sostiene la difesa - con il dipendente Cl.Br. in relazione agli scambi di azioni B.-Ve. bensì anche, quanto meno, con Fi.Ro. dell'Ufficio Soci (il teste Ch. ammetterà infine di essersi interfacciato anche con il Ro., e di averlo fatto anzi più volte, tanto via e-mail quanto telefonicamente, solo a seguito di specifica contestazione del P.M.: cfr. pag. 59 deposizione Ch., verbale stenotipico 17.9.2020); - lo stesso imputato PI. (cfr. pagg. 82-83 del suo esame 3.3.2020) ha in realtà affermato di essere stato proprio lui a mettere in contatto la rete B. con Ti.Ch. di Ma.Sp., avendo avuto egli cura di "dare il numero, i contatti, insomma, di Ma.Sp." all'Ufficio Soci, non ricorda se in persona di Ro. o di Ro., affinché si mettessero essi a loro volta in contatto con il broker londinese per procedere ad allestire l'operazione di equity swap ("... io quello che feci, feci una cosa semplice: misi in contatto, credo, Ro. o Ro., adesso non mi ricordo" con il broker. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Con? IMPUTATO PI. - Con il broker... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Ma.Sp.. IMPUTATO PI. - con il rappresentante di Ma.Sp."). Tale operazione era stata suggerita al PI., a detta di questi, dal collega Em.Gi., cfr. sempre pagg. 82-83 ibidem. Tuttavia il coimputato e propalante Em.Gi., della cui attendibilità e coerenza già si è detto a più riprese, ha precisato come andarono in realtà le cose tra lui e il PI. al riguardo, ossia nel senso esattamente inverso (cfr, pagg. 23-24 del verbale di esame GI. 15.6.2022 in grado di appello): "La Divisione Finanza si è occupata di fondi, e quindi è un tema su cui io non sono mai entrato, se non quando a un certo punto c'erano dei fondi esteri che avevano delle azioni in portafoglio; questi fondi dovevano scaricare le azioni, quindi si dovevano liberare delle azioni della Banca, e quindi Pi. mi disse se potevamo collocarle sul mercato, quindi ai nostri soci. Eravamo in un frangente in cui le azioni della Po.Vi. erano molto più attrattive e appetibili rispetto a quelle di Ve., per cui questi fondi esteri proposero ai soci della Banca di acquistare azioni Ve. in cambio di azioni della Po.Vi.. Quindi i fondi si sono scaricati delle azioni della Po.Vi. acquisendo azioni Ve. e i soci della Banca hanno acquisito azioni Po.Vi. al posto delle azioni Ve. - Quindi questo è stato l'unico momento in cui c'è stato da parte della Divisione Mercati, ma più che altro dall'Ufficio Soci, un'interlocuzione con Pi., e quindi sulla Divisione Finanza, sulla prassi delle baciate, al di là di alcune operazioni che Pi. direttamente ha fatto con alcune controparti, soprattutto sulla piazza (...) Milano". Con tali elementi probatori ben si salda dunque, senza manifestare in alcun modo le pretese contraddizioni lamentate dalla difesa, anche la deposizione (cfr. pagg. 42-44 verbale stenotipico 6.6.2019) resa dal teste Ro.Ri., della cui utilizzabilità già si è detto nell'ordinanza 18,5,2022 alla quale sul punto si rinvia, e che certo non può essere ritenuto inattendibile - circa la peculiare e ben distinta vicenda dell'equity swap - per il solo fatto di avere egli altresì materialmente effettuato, in qualità di gestore Private operante in B. presso la filiale vicentina di Co., un numero massiccio di operazioni di finanziamento correlato rientranti nella prassi per così dire "ordinaria" della banca. Alla stregua delle considerazioni fin qui esposte non può revocarsi in dubbio il ruolo determinante e di primo piano svolto da An.Pi. nell'intera vicenda dei fondi esteri, dalla sua ideazione sino al momento della dismissione - attuata in varie forme e modalità ma sempre con il suo apporto - delle azioni detenute dai suddetti fondi. 14.1.3.6. I reati di ostacolo alla vigilanza. La difesa ha altresì censurato - cfr. in particolare pagg. 141-142 e 145-146 dell'atto di appello - la declaratoria di penale responsabilità dell'imputato PI. quanto alle condotte di ostacolo alla vigilanza contestategli (in relazione alle quali, come già si è detto nella parte generale della presente sentenza, par. 9, non vi è ragione di non estendere anche ai capi B1 e M1 il ragionamento seguito dal primo giudice per i rimanenti capi nel ritenere integrato il solo comma 2 dell'art. 2638 c.c.). Ciò sulla base delle seguenti argomentazioni: - tutte le operazioni specificamente ascritte alla persona dell'imputato (dalla vicenda delle società lussemburghesi Ma./Ju./Br. a quella dei fondi esteri Op./At. fino alle singole operazioni dì finanziamento correlato concluse con l'imprenditore Ta. e con il gruppo "So.") risultano essere state poste in essere in epoca successiva al 12 ottobre 2012, data di emissione del rapporto ispettivo a chiusura dell'ispezione di Banca d'Italia (peraltro non avente ad oggetto verifiche patrimoniali ma incentrata esclusivamente sul rischio di credito); - quanto all'ispezione Bc. iniziata il 26.2.2015, B. aveva già comunicato alla stessa Bc. le informazioni ricevute dal gestore dei fondi At. e Op. in ordine al preciso ammontare di azioni della banca giacenti presso i comparti (sotto-fondi) degli stessi, e ciò almeno a far data dal luglio 2014, in piena ottemperanza, dunque, agli obblighi informativi imposti dal CRR (Capital Requirements Regulation) di cui al Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (vigente dall'1.1.2014); - in ogni caso le plurime contestazioni di ostacolo alla vigilanza ex art. 2638 c.c. avrebbero, a ben vedere, quale unico oggetto sempre la stessa informazione taciuta, vale a dire l'esistenza di finanziamenti correlati all'acquisto di azioni B. con il conseguente obbligo di scomputare dal patrimonio di vigilanza il relativo controvalore, sicché, nonostante l'apparente molteplicità dei fatti storici, non ricorrerebbe una pluralità di reati bensì un unico reato, stante la natura di reato eventualmente permanente che connoterebbe la fattispecie criminosa p. e p. dall'art. 2638 comma 2 c.c.; - a sua volta, però, la strumentalità - ravvisata dalla stessa sentenza di primo grado - che connoterebbe la fattispecie di ostacolo alla vigilanza rispetto a quella dì aggiotaggio farebbe sì che la condotta decettiva di cui alle imputazioni si esaurisca tutta nell'evento del delitto di aggiotaggio, con la conseguente esclusione del concorso fra i reati di aggiotaggio e quelli di ostacolo alla vigilanza, dovendosi in ultima analisi trattare questi ultimi alla stregua di un post factum non punibile. Nessuna delle anzidette argomentazioni difensive ha pregio. Osserva al riguardo questa Corte quanto segue. Per ciò che concerne l'ispezione di Banca d'Italia del 2012 basti porre mente al sopra ampiamente dimostrato pieno coinvolgimento del PI. anche nell'attività per così dire "ordinaria" di finanziamento correlato praticata da B. come minimo dal 2011 (ma, in realtà, già da epoca precedente). Quanto poi alle vicende successive all'ispezione Banca d'Italia del 2012, se è vero che il CRR (Regolamento UE n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013) entrò in vigore l'1.1.2014, nondimeno va ricordato che in precedenza, comunque, vigeva la circolare 263/2006 di Banca d'Italia, la quale (come chiaramente ed esaustivamente illustrato anche dal teste ispettore Gi.Ma.: cfr. pag. 13 verbale stenotipico 26.10.2019) già prevedeva l'obbligo di scomputo dal patrimonio di vigilanza, in quanto sue componenti negative, delle azioni proprie detenute a qualsiasi titolo, diretto o indiretto; eppure nessuna comunicazione venne mai data, per circa un anno e mezzo, agli organismi di vigilanza riguardo alle azioni B. giacenti - per un controvalore di originari 60 milioni di Euro, ridottisi a 52,4 milioni alla data del 30.6.2014 - presso i comparti (sotto-fondi) dei fondi esteri At. e Op.. Come puntualizzato sempre dal teste ispettore Gi.Ma. (cfr. pag. 14 del verbale stenotipico 26.10.2019), la prima richiesta in assoluto rivolta in tal senso da B. ai gestori dei fondi Op. e At. risale alle e-mail inviate loro soltanto in data 27 giugno 2014 da Ma.Ca. (subalterno del Pi. in seno alla Divisione Finanza), rinvenibili in atti, con le relative risposte dei due fondi, sub doc. 379 del P.M.. Esaminando tali documenti si nota che, come riferito sempre dal teste Ma. (cfr. pag. 14 ibidem), entrambi i fondi esteri non si dimostrarono affatto reticenti e riscontrarono pressoché subito tale richiesta - dal canto suo alquanto tardiva - della Divisione Finanza di B. entrambi nel mese di luglio 2014, sicché non appare ascrivibile a contegni omissivi dei fondi stessi la protratta mancata comunicazione pregressa di tale dato, tenuto viceversa ben occultato da B. (e in particolare dalla sua Divisione Finanza) fino ad allora. Peraltro va evidenziato come neppure alla disclosure prontamente operata dai fondi Op. e At. nel luglio 2014 fece seguito in realtà, da parte di B., l'immediato scomputo dal patrimonio dì vigilanza delle azioni proprie così indirettamente detenute (cfr. al riguardo l'e-mail 16.2.2017 inviata al teste di P.G. Mi.To. dal consulente del P.M. Ga.Pa., prodotta all'udienza del 4.2.2020 dalla difesa dell'imputato Ma.Pe., ove il Pa. evidenzia come emergesse, a causa del non ancora avvenuto scomputo, "un'informativa non corretta alla Bc. del CET 1 del Gruppo B. al 15/08/2014" sia pure dandosi atto che, finalmente, nella successiva "segnalazione del 6/10/2014 il dato delle azioni indirettamente detenute aveva concorso al calcolo"). Si noti altresì che l'invio in data 27 giugno 2014 delle suddette e-mail di richiesta ai fondi Op. e At. da parte di Ma.Ca. della Divisione Finanza non fu comunque spontaneo bensì fu sollecitato da un invito pressante a farlo, proveniente dalla Divisione Bilancio e Pianificazione della stessa banca nella persona di Lu.Tr. (subalterno di Ma.Pe.); la missiva redatta dal Tr., datata 19 giugno 2014 e inviata al predetto Ma.Ca. nonché, in copia, al PI., all'altro suo subalterno Pa. Al. e a Ma.Pe., è in atti sub doc. 411 del P.M. e contiene il seguente aut-aut che di fatto non consentiva alternative: (...) Ti rappresento che in caso di mancata risposta da parte dell'Organismo interposto o di risposta parziale e/o incompleta, la Banca dovrà applicare agli investimenti della specie (ossia agli investimenti "indiretti e sintetici detenuti dal nostro Gruppo in soggetti dei settore finanziario") un trattamento prudenziale particolarmente penalizzante (deduzione diretta dal CETI). E' pertanto indispensabile sensibilizzare le controparti affinché rispondano alla richiesta in maniera il più completa possibile ed entro le tempistiche indicate". Si noti altresì che analogo riscontro non era stato dato dalla Divisione Finanza di B., diretta da An.Pi., ad altra e più risalente richiesta inviata via e-mail sempre da Lu.Tr. della Divisione Bilancio e Pianificazione ancora in data 1 febbraio 2013 a Ma.Ca. (in atti sub doc. 410 del P.M.), ove si invitava quest'ultimo, in relazione ai da poco sottoscritti fondi Op. e At., a verificare: a) che gli "investimenti in fondi sottostanti (...) NON investano in strumenti di capitale (...), in modo da poter escludere i predetti investimenti dalla verifica dei limiti previsti dal Regolamento in materia di partecipazioni detenibili dal Gruppo B."; b) di avere "evidenza analitica dei sottostanti i singoli fondi suddetti (...); tale informazione è necessaria ai fini della segnalazione dei Grandi Rischi di gruppo (...)". A tale ultimo proposito va evidenziato, inoltre, come all'avvio dell'ispezione Bc. del 2015 risultasse di essere stata già messa in chiaro - nei sensi e con le tempistiche ora visti - la detenzione di 52,4 (risultati essere originariamente 60) milioni di Euro in azioni B. presso i fondi Op. e At., ma ancora non fossero stati rivelati ì sottostanti dei medesimi fondi, e ciò a dispetto della citata richiesta in tal senso formulata dalla Divisione Bilancio e Pianificazione, in persona di Lu.Tr., già in data 1 febbraio 2013 (lo stesso Tr., in una sua successiva e-mail datata 19 marzo 2013 inviata fra gli altri pure al PI., in atti anch'essa sub doc. 411 del P.M., nuovamente rappresentava - sempre senza ricevere riscontro dalla Divisione Finanza - "che, seppure non presente nella segnalazione dei Grandi Rischi trasmessa, tuttavia nell'elenco delle prime 20 esposizioni a livello di Gruppo al 31.12.2012 (oggetto di segnalazione all'Organo di Vigilanza nell'ambito della Base Informativa "(...)"), figura una "unknown exposure" per un valore (di bilancio e ponderato) di Euro315 milioni stante che in relazione a taluni investimenti in fondi (...) non risultano disponibili i dettagli informativi necessari per attribuire i singoli investimenti sottostanti al fondo (...). Le disposizioni di vigilanza prudenziale affermano peraltro che "in linea generale, la banca deve essere in grado di identificare e controllare nel tempo le attività sottostanti lo schema di investimento" e che la banca può adottare i metodi di cui alle lettere b) (unknown exposure) e c) (structured-based approach) solo se è in grado di dimostrare che la scelta è dovuta esclusivamente alla mancanza di una effettiva conoscenza delle esposizioni sottostanti lo schema". Ebbene, l'informazione, pur dì così vitale importanza, circa i sottostanti dei fondi esteri Op. e At. venne infine fornita dopo l'inizio dell'ispezione Bc. del 2015 e solo a seguito della forte pressione esercitata dal team ispettivo, che dovette all'uopo agitare, nelle sue interlocuzioni con il d.g. So. e con An.Pi., lo spettro dello scomputo, in alternativa, dell'intero investimento dal patrimonio di vigilanza, come ha ben chiarito il teste ispettore Em.Ga., cfr. pag. 64 del verbale stenotipico 26.9.2019. (omissis) Con ogni evidenza, stante l'immediatezza della disclosure seguita solo nel 2015 alle fosche prospettive illustrate dal team degli ispettori Bc. al So. e al PI., la previa resistenza da costoro lungamente frapposta alla rivelazione dei sottostanti non può imputarsi alla pretesa reticenza dei fondi (proprio come la tardività nella disclosure delle azioni in essi giacenti non poteva parimenti imputarsi alle pretese loro reticenze, in realtà inesistenti: v. supra). Va altresì disattesa l'affermazione difensiva secondo cui, nonostante l'apparente molteplicità dei fatti storici, non ricorrerebbe in ispecie una pluralità di reati di opposizione alla vigilanza bensì un unico reato, stante la natura di reato eventualmente permanente che connoterebbe - viene citata al riguardo in particolare Cass. Pen. Sez. 5, n. 6884 del 12/11/2015 dep. 22/02/2016, Gi. e altri - la fattispecie criminosa p. e p. dall'art. 2638 comma 2 c.c.. Al riguardo questa Corte non può che confermare il complesso delle argomentazioni già esausti va mente svolte al riguardo nella parte generale - par. 9 - della presente sentenza, dovendosi qui ribadire come proprio la pronuncia citata dalla difesa (ma trattasi di orientamento ormai consolidato: in tal senso cfr. anche Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.) nel contempo precisi che la fattispecie di cui al comma 2, diversamente da quella di cui al comma 1, non è un reato di condotta bensì di evento e, più in particolare, è - una fattispecie causalmente orientata ai risultato lesivo rappresentato dall'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza", essendo peraltro sufficiente, per la configurabilità del reato in esame, w/a verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute". L'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza, dunque, si realizza o con "l'impedimento in toto di detto esercizio" ovvero anche soltanto "con il frapporre al suo dispiegarsi difficoltà di considerevole spessore o con il determinarne un significativo rallentamento: difficoltà o rallentamento che devono dar corpo ad un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza" (così si è chiaramente espressa, in motivazione, la citata Cass. Pen. Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019, P.G. c. Mu.). L'evidente e ben marcata differenza di fisionomia (già illustrata da questa Corte nella parte generale della presente sentenza, par. 9) che intercorre tra gli eventi di ciascuna delle singole fattispecie di ostacolo alla vigilanza oggetto dei vari capi di imputazione fa sì - come già questa Corte ha argomentato supra - che tale eccezione difensiva sia destituita di fondamento. Per la stessa ragione, ossia per il fatto che trattasi di un reato di evento (sicché il momento consumativo del delitto di ostacolo va individuato nel verificarsi dell'evento (di ostacolo)), va disatteso l'ulteriore assunto difensivo secondo cui dovrebbe finanche escludersi in ispecie il concorso fra i reati di aggiotaggio e quelli ó& ostacolo alla vigilanza in quanto questi ultimi andrebbero - sempre ad avviso della difesa - semmai assimilati alla figura del post factum non punibile rispetto all'unitaria condotta decettiva. Tutto ciò premesso non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità del PI. quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza ascrittigli. Già si è visto poco sopra in quali termini - puntualmente riepilogati anche dal giudice di prime cure: cfr, pag. 726 sentenza gravata - il teste ispettore Em.Ga. (cfr. pag. 64 della sua deposizione 26.9.2019) abbia descritto il comportamento di ostacolo tenuto nei suoi confronti, anche con una certa qual pervicacia, da An.Pi. oltre che dal d.g. Sa.So. in relazione alla disclosure dei sottostanti dei fondi esteri Op. e At.. Sempre nella gravata sentenza - cfr. sue pagg, 725-726, alle quali qui senz'altro si rinvia - si illustrano più che ampiamente le ulteriori condotte di ostacolo alla vigilanza, rilevanti ai sensi dell'art. 2638 comma 2 c.c., tenute, fra gli altri, dal PI. in occasione: - dell'incontro del 27,3.2013 con l'Autorità di Vigilanza (cfr. al riguardo la deposizione resa dal teste Ma.Pa., pagg. 37-40 del verbale stenotipico 28.11-2019, con particolare riguardo alle pagg. 38-39, da esaminarsi congiuntamente all'Appunto per il Capo del Servizio" redatto dallo stesso Pa. in data 3.4.2013, in atti sub doc. 442 del P.M.: "PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Viene consegnato a voi di Banca d'Italia dagli esponenti di Banca Popolare che erano presenti a questo incontro. Senta, in questo incontro fu fatto riferimento da Pe., Pi. o So. della possibilità, dell'intendimento, della prospettiva, dell'eventualità che anche, come dire, l'aucap, quello che poi sarà realizzato nella misura di 253 milioni', anche per questa operazione potessero essere concessi i finanziamenti.., TESTIMONE Pa. - No. PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - No? TESTIMONE Pa. - No, assolutamente. L'unica... PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. - Quindi di questo non fu fatta menzione? TESTIMONE Pa. - L'unico riferimento a operazioni di finanziamento era fegato alla campagna soci e quindi un'operazione finanziata ai sensi del 2358 del Codice Civile, secondo quelle modalità, che richiedono tra l'altro l'autorizzazione dei soci, è l'Assemblea che deve autorizzare questa operazione valutando gli interessi aziendali"); - della successiva riunione tenutasi 20.10.2014 con l'Autorità di Vigilanza in Francoforte (cfr. al riguardo la deposizione resa dal teste Ma.Pa., pagg. 60-62 del verbale stenotipico 28.11.2019): anche in tal caso la delegazione di B. presente a Francoforte, comprensiva del PI., non ebbe a fare cenno alcuno ai molteplici nodi altamente problematici che pure, di lì a poco, nel Comitato di Direzione del 10.11.2014 sarebbero stati ampiamente dibattuti - con la consegna del silenzio più totale verso l'esterno impartita dal d.g. So. - fra i membri del ristretto consesso formato dai vice direttori generali, incluso il PI., oltre che dal So. stesso e da altre personalità di primo livello nell'ambito di B.. A tutto ciò sj aggiunga ancora quanto emerge dai docc. 813-814-815 del P.M., prodotti all'udienza del 4.2.2020. Trattasi delle progressive stesure in itinere della bozza della lettera di risposta da inviare alla Banca d'Italia che aveva chiesto, con nota del 25.10.2014 (a sua volta in atti, prodotta dal P.M. sub doc 648 e doc. 687), chiarimenti sulle azioni proprie di B. alla luce del CRR frattanto entrato in vigore. Alla stesura della risposta a Banca d'Italia (che poi le fu inviata - con modifiche minimali rispetto alla bozza finale sub doc. 815 del P.M. - in data 4.11.2014 e che è in atti sub doc. 404 del P.M.) collaborarono diversi soggetti all'interno di B., ciascuno in relazione all'ambito di sua competenza. Si noti che il segmento della risposta inviata il 4,11.2014 a Banca d'Italia ad essere stato redatto per ultimo risulta essere proprio quello di competenza della Divisione Finanza diretta da An.Pi., il cui incipit - nella bozza finale sub doc. 815 del P.M. - è "Per quanto attiene alle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie..." mentre nella risposta ufficiale del 4.11.2014 diviene "Per quanto attiene alle transazioni alla base della c.d. detenzione indiretta di azioni proprie...". Ancora in data 30 ottobre 2014, infatti (cfr. il doc. 813 del P.M.), Ma.Pe. - la cui Divisione Bilancio e Pianificazione aveva con ogni evidenza il compito di assemblare i vari segmenti nel documento di risposta finale - scriveva al direttore generale So. allegandogli una "bozza lettera risposta a Bankit ancora da completare per il punto che sta scrivendo An.", che dimostra che la redazione del segmento qui in esame fu effettivamente opera di An.Pi. in persona. Ebbene, una volta finalmente redatto dal PI., e ormai si era giunti già al 31 ottobre 2014, tale segmento della bozza finale affidato alla Divisione Finanza, esso si rivela corrispondere (cfr. docc. 815 cit. e 404 cit.) a un esercizio dì assoluta tautologia, non dicendo in realtà nulla a giustificazione delle azioni B. risultate "a seguito della sopra menzionata disclosure del giugno-luglio 2014 indotta dall'entrata in vigore del CRR - giacenti nei comparti dei fondi esteri Op. e At. per l'ammontare di 52,4 milioni di Euro (52,4 milioni che Banca d'Italia, nella sua nota del 25,10,2014 cit., senza usare troppi giri di parole, definiva appunto come oggetto dì detenzione indiretta"); né tantomeno ivi si dice alcunché riguardo al trattarsi di fondi non collettivi che vedevano B. quale sostanzialmente unico investitore (si veda, come detto, la stesura della bozza finale della lettera di risposta sub doc. 815 del P.M.; viceversa nelle stesure sub docc. 813 e 814 il relativo segmento, lo si ribadisce, era ancora in bianco, in attesa di redazione da parte del PI., mentre le parti affidate ai suoi colleghi delle altre Divisioni erano già pronte). Il tenore della richiesta di chiarimenti formulata da Banca d'Italia il 25.10.2014, quanto allo specifico paragrafo concernente la detenzione indiretta di azioni della banca, era il seguente: "(si richiedono) le informazioni necessarie alla comprensione delle transazioni alla base della detenzione indiretta di azioni proprie, precisando le controparti (società veicolo/OICR) presso le quali i titoli sono depositati". Nel segmento della risposta a Banca d'Italia rientrante nella sua competenza il PI. si limita invece, di fatto, a indicare appena poco più dei nomi delle controparti At. e Op. e delle date di stipula dei relativi contratti, guardandosi bene dal fornire la benché minima informazione utile alla comprensione della relativa transazione, nonché del carattere non collettivo dei fondi e altresì di quali fossero i loro sottostanti. Infine, quale corollario del già più che solido ed esaustivo complesso di elementi di prova orale e documentale fin qui illustrati, si osserva che proprio il carattere estremamente sofisticato (triangolazioni societarie; fondi non collettivi "chiusi" a investitore unico e dotati di comparti articolati a loro volta in sotto-fondi) degli artifici utilizzati dal PI. nelle operazioni da lui concepite e attuate esercitando le sue specifiche competenze professionali di responsabile della Divisione Finanza implica ex se in capo al predetto una particolarmente accentuata volontà di dissimulazione e occultamento che è perfettamente coerente con le finalità illecite perseguite attraverso il reato di ostacolo alla vigilanza, essendo in tal caso quasi proibitiva la decrittazione dell'operazione finale (basti qui ricordare, a tal proposito, la già sopra vista totale casualità della scoperta, da parte dei team ispettivo Bc. nel 2015, della triangolazione che vide protagoniste le tre società lussemburghesi Ma., Ju. e Br. e le tre società italiane Pe., Gi. e Lu.). A tal riguardo deve infatti considerarsi che, mentre le normali operazioni correlate generavano comunque flussi informativi (sia pure di dati complessivi) che potevano teoricamente essere intercettati dalle attività di controllo interno ed esterno (si pensi ad esempio alle 17 posizioni dì finanziamento correlato autonomamente intercettate dalla società di revisione Kp.) e che erano indirizzati alla Divisione Bilancio nonché assoggettati a verifica del Dirigente Preposto, viceversa le operazioni riguardanti le c.d. "tre sorelle" lussemburghesi e quelle relative ai fondi esteri presentavano un carattere di insidiosità e un connotato fraudolento talmente accentuati da implicare già logicamente ex se, in capo al loro autore, la volontà di dissimulazione dei dato sottostante. Non è invero privo di significato a tal riguardo nemmeno il fatto, riferito dal teste Ad.Ca. (cfr. pag. 23 del verbale stenotipico 6.2.2020), che il PI. - una volta emersa, nella sorpresa generale (si ricordi anche il tenore incredulo, già visto saprà, dell'appunto manoscritto redatto dal direttore della Divisione Bilancio e Pianificazione Ma.Pe. sub doc. 805 del P.M.), la vicenda dei fondi esteri e di quanto giaceva nei loro comparti - altro non abbia replicato, alle richieste dei colleghi, se non che le operazioni suddette erano - formalmente" corrette, con ciò dimostrando che il valore fondamentale di esse, nella sua ottica, risiedeva proprio nella loro impenetrabilità dall'esterno: - TESTIMONE Ca. - Io ricordo una riunione lunghissima surreale dove si alternavano momenti di... come si dice? Di preoccupazione estrema a momenti di leggerezza. Non ci è stato detto, in quel momento, quanto fosse ampio il fenomeno delle lettere. Sapevamo che c'era questo fenomeno e sapevamo che l'Avvocato Ge. in qualche maniera, stava facendo delle sue valutazioni delle sue analisi. Così come sui fondi esteri d'investimento la parola d'ordine generale era: "Formalmente le operazioni sono corrette" PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Pi. - Chi lo disse questo? TESTIMONE Ca. - An.Pi., in riunione, disse: "Formalmente le operazioni sono corrette". Simmetricamente, infine, anche le modalità per lo più parimenti sofisticate - sopra meglio illustrate - attraverso le quali fu condotta dal PI. la fase conclusiva della dismissione delle decine di milioni di Euro di azioni B. ancora detenute presso i fondi esteri dopo la disclosure di metà anno 2014 sono indicative della piena volontà del predetto di partecipare alla finalità di occultamento. Anzi si noti come, negli intendimenti del PI., gli effetti della disclosure si sarebbero dovuti in buona sostanza neutralizzare grazie alla poi non riuscita redemption in kind, ossia al progettato trasferimento in blocco delle azioni da Op. alla neo-costituita Ka. di quello stesso Gi.St. che, nella sua precedente incarnazione professionale, si era costantemente occupato, interfacciandosi con il PI., proprio dei fondi Op. ed era probabilmente l'unico, assieme allo stesso PI., a detenere ogni conoscenza in ordine a quella vicenda. Alla stregua delle considerazioni sin qui esposte non può revocarsi in dubbio la penale responsabilità di An.Pi. in relazione alle ipotesi di ostacolo alla vigilanza ascrittegli. 14.1.3.7. I reati di falso in prospetto. Come detto supra i due reati di falso in prospetto contestati sub capi I e L vanno dichiarati entrambi estinti per intervenuta prescrizione. Non vi sono i presupposti per una pronuncia assolutoria dal momento che la Divisione Finanza, diretta da An.Pi., risulta essere stata in concreto coinvolta a fondo nel gruppo di lavoro - trasversale a quasi tutte le' Divisioni della banca - in concreto deputato al compito dì predisporre i prospetti informativi riguardanti gli aucap e mini aucap 2013 e 2014. Che tale compito rientrasse a pieno titolo nelle formali attribuzioni della Divisione Finanza, diretta da An.Pi., emerge anzitutto dal funzionigramma di B. (in atti sub doc. 261 del P.M,): ivi si legge che tra le varie funzioni della Divisione Finanza, e in particolare della sua unità denominata Documentation, vi erano quelle di - assicurare l'espletamento delle attività di natura amministrativa legate alla predisposizione dei Prospetti Informativi e all'emissione dei prestiti obbligazionari del Gruppo, coordinandosi con le Unità competenti" nonché di "supportare le funzioni responsabili del processo di gestione delle informative da fornire alla Clientela prima della negoziazione di strumenti finanziari secondo quanto previsto dall'art. 31 del Regolamento Intermediari (n. 16190 del 29/10/2007) nella fase di aggiornamento delle stesse". Chetale compito sia poi stato in concreto effettivamente svolto dalla Divisione Finanza in occasione degli aumenti di capitale 2013 e 2014 emerge in maniera inequivocabile dalla deposizione specificamente resa sul punto all'udienza del 17.1.2020 dal teste Ma.Ca., dal 2007 al 2018 dipendente di B. con mansioni di responsabile dell'unità in staff al responsabile della Divisione Finanza e, dunque, subalterno del PI. nel periodo qui in esame. Cfr. in particolare le pagg. 67-76 del relativo verbale stenotipico, ove il teste illustra il duplice ruolo concretamente rivestito in ambedue le occasioni, 2013 e 2014, dalla suddetta Divisione Finanza: da un lato fornire i dati da essa elaborati in quanto afferenti al profilo prettamente finanziario dell'operazione ("... e poi' anche la Finanza stessa su quelle che potevano essere poi le caratteristiche finanziarie dell'operazione che veniva posta in essere ..."); dall'altro lato curare la reductio ad unitatem di tutti i diversi contributi provenienti dalle varie Divisioni ("... Sì, diciamo la sintesi, nel senso che la collazione di tutti questi contributi eccetera, veniva fatta, appunto, come dicevo, dalla nostra struttura, dalla mia struttura"). A corollario degli elementi già solidi ed esaustivi qui riportati va altresì ribadito, nell'esaminare la posizione dell'imputato An.Pi., quanto già si è osservato più ampiamente supra (paragrafo 14.1.3.6) nel trattare i reati di ostacolo alla vigilanza, ossia che proprio il carattere estremamente sofisticato (triangolazioni societarie; fondi non collettivi "chiusi" a investitore unico e dotati di comparti articolati a loro volta in sotto-fondi) degli artifici utilizzati dal PI. nelle operazioni finanziarie da lui concepite e attuate implica ex se - unitamente al suo protagonismo nella dismissione delle azioni indirettamente detenute tramite i fondi esteri - una volontà di dissimulazione e "occultamento" tanto accentuata da risultare perfettamente coerente con le finalità illecite perseguite attraverso i reati comunicativi non solo di ostacolo alla vigilanza ma anche di falso in prospetto. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte va dunque dichiarata l'estinzione, per intervenuta prescrizione, dei reati di falso in prospetto di cui ai capi I) e L) di rubrica per ciò che concerne la posizione dell'imputato An.Pi.. 14.1.3.8. Il trattamento sanzionatorio. Sulla scorta delle considerazioni sin qui esposte va dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato An.Pi. - limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014 - in ordine ai delitti di aggiotaggio (come sopra si è detto ridotti nel numero, ossia da sedici a quattro) ascrittigli al capo A1, e ciò per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Analogamente va dichiarato non doversi procedere per i reati di falso in prospetto cui ai capi I e L, sempre per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione. Infine, come pure già sì è precisato supra (v. parte generale della presente sentenza, par. 9), va ritenuta, anche quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza sub capi B1 e M1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c.. Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art, 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni tre di reclusione, aumentata di complessivi mesi undici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, dì mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori reati di ostacolo di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, G1, M1 e di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub A1). Questo con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve, infatti, evidenziarsi, come già detto supra, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale, è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, di applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minore, di mesi uno e giorni quindici, ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. 14.1.4 L'appello nell'interesse di Zo.Gi. L'appello è parzialmente fondato nei termini di seguito esposti. 14.1.4.1 La competenza (primo motivo di appello/paragrafo 2 dell'atto di Impugnazione). Il primo motivo dì impugnazione (tale dovendosi ritenere quello, numerato sub 2, trattato alle pagine 13-39 dell'atto dì appello, inerente alla asserita incompetenza dell'autorità giudiziaria vicentina) è destituito di fondamento. Sul punto, si rinvia a quanto già evidenziato nel precedente paragrafo 7. 14.1.4.2 La consapevole partecipazione alle operazioni di capitale finanziato (secondo motivo dì appello). Considerazioni introduttive. Parimenti infondato è il secondo, articolato motivo di appello (numerato sub 3 e trattato alle pagine 40-300 dell'impugnazione). Trattasi, va precisato, di una serie di censure che contestano la sentenza impugnata sotto una pluralità di profili, ma che sono tutte accomunate (fatta eccezione per quelle, rubricate al paragrafo 3.4, specificamente inerenti al tema "generale" del capitale finanziato, in relazione alle quali non può che rinviarsi alle riflessioni già svolte, sul punto, al precedente paragrafo 12, comune a tutte le posizioni processuali) dalla finalità di evidenziare le carenze motivazionali asseritamente riscontrabili, nella trama argomentativa della decisione gravata, con specifico riferimento alla posizione di tale imputato. Ad avviso dell'appellante, infatti, il primo giudice avrebbe erroneamente affermato il coinvolgimento di ZO. nei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto sulla base dì elementi probatori inadeguati, equivoci e finanche smentiti da specifiche evidenze di segno contrario, evidenze che, diversamente, deporrebbero per l'estraneità di costui rispetto ai fatti addebitatigli. In particolare, oggetto di doglianza sono i passaggi della sentenza nei quali sono state affermate: - l'inerzia del predetto imputato rispetto ad eventuali indici di allarme sintomatici dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato (paragrafo 3.2 dell'atto di appello); - l'attività concretamente gestoria svolta dal giudicabile nella conduzione della banca (paragrafo 3.3 dell'atto di appello); - la conoscenza, da parte dello stesso ZO., del fenomeno del "capitale finanziato" (paragrafo 3.5 dell'atto di appello); - la specifica consapevolezza, in capo al medesimo imputato, delle "operazioni baciate" (paragrafo 3.6 dell'atto di appello). Ebbene, con riferimento a ciascuno di detti "passaggi" dello sviluppo logico del discorso giustificativo della decisione l'appellante ha evidenziato le asserite incongruenze ed aporie motivazionali, richiamando, altresì, gli elementi probatori che sosterrebbero la diversa lettura della vicenda proposta nel gravame e che sarebbero stati dal giudice di prime cure obliterati o, comunque, equivocati nella loro effettiva significazione. Questo, sul rilievo della possibilità - che il medesimo appellante ha denunziato essersi concretizzata nel caso di specie (come evidenziato nella premessa al relativo motivo di appello, sub 3-1) - che una sentenza possa essere viziata da una motivazione, al contempo, carente e contraddittoria rispetto alle emergenze processuali. La memoria conclusiva "note scritte di discussione" 28.9.2022, accompagnata dalle ulteriori "note scritte", in pari data, in materia di "rinnovazione istruttoria dibattimentale in appello"), poi, ha riepilogato gli argomenti oggetto di dettagliata analisi nell'atto di impugnazione, confrontandosi, altresì, con le ulteriori acquisizioni probatorie che hanno avuto luogo nel corso del giudizio di appello. Ebbene, si è in presenza di censure infondate. Al riguardo, una premessa è d'obbligo. Il tribunale ha ricostruito il ruolo concretamente svolto dall'imputato ZO. nella vicenda sub iudice all'esito di una corretta e persuasiva lettura - tanto specifica quanto "d'insieme" - dell'intero, vasto materiale probatorio disponibile, di natura documentale, testimoniale e logica, ovviamente selezionato sulla base della relativa attitudine dimostrativa rispetto al thema probandum. Pertanto, come già evidenziato nella premessa dì metodo, è alla trama argomentativa della sentenza gravata che deve farsi preliminare rinvio, trattandosi della base motivazionale alla quale la presente pronunzia è destinata a saldarsi, in ragione non solo della coerenza dei rispettivi approdi decisionali ma anche dell'omogenea natura dei criteri di valutazione all'uopo impiegati. Ciò posto, ritiene questa Corte che gli esiti dell'originaria istruttoria dibattimentale abbiano offerto ampia dimostrazione del fatto che Zo.Gi., nel concreto esercizio delle prerogative di presidente dell'istituto di credito vicentino, non solo abbia avuto piena contezza del fenomeno delle operazioni correlate, nel suo multiforme, concreto dispiegarsi (comprensivo tanto delle operazioni "baciate", ovvero "parzialmente baciate", quanto degli "impegni al riacquisto", quanto, infine, degli antieconomici rendimenti garantiti agli acquirenti dei titoli, anche attraverso i ccdd. "storni", peraltro utilizzati anche per "sterilizzare" i costi dei finanziamenti, peraltro in modo tanto sistematico da costituire, essi stessi, una eclatante anomalia117) ma, proprio sulla base di detta conoscenza, abbia anche fornito un decisivo contributo alla perpetrazione dei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto che radicano le imputazioni di riferimento, condividendo con il d.g. So. il ricorso ad una strategia operativa - quella, per l'appunto, del sistematico ricorso al finanziamento dell'acquisto dei titoli B. - che recava necessariamente seco inevitabili implicazioni delittuose. A tale ultimo riguardo, com'è stato osservato dal primo giudice - e la considerazione è di tanto stringente logica da non richiedere ulteriori precisazioni - solo nell'ottica della successiva omessa deduzione degli importi finanziati dal patrimonio e, quindi, del pedissequo occultamento di tale operatività alla vigilanza, avrebbe avuto senso porre in essere, da parte della dirigenza di B., un meccanismo operativo tanto scellerato. Peraltro - va precisato sin da subito - ai dati probatori valorizzati dal primo giudice si è aggiunto, all'esito della rinnovazione istruttoria espletata in sede di appello, l'ulteriore, significativo elemento costituito dalla puntuale chiamata in correità del coimputato GI., nient'affatto inficiata, nella sua capacità dimostrativa, dalle deposizioni introdotte, a prova contraria, dalla difesa del giudicabile. In definitiva, a compromettere la posizione del presidente ZO., conducendo ad un giudizio di complessiva concludenza probatoria del tutto coerente con l'ipotesi d'accusa, concorrono, come si dirà di seguito (nel solco, per ragioni di ordine espositivo, dell'articolazione delle deduzioni difensive), una sequela di convergenti elementi, tanto di natura logica (a loro volta ancorati, come si avrà modo di precisare, a solide evidenze fattuali) quanto rappresentativa. 14.1.4.2.1. Il ruolo concretamente svolto da Zo.Gi. nella presidenza di B. e le implicazioni conseguenti (secondo motivo di appello: paragrafi 1 e da 3.1 a 3.3). Come s'è detto, il primo giudice ha puntualmente delineato il ruolo concretamente svolto dal giudicabile, nel lunghissimo periodo della sua presidenza di B., in termini di costante protagonismo, radicalmente esorbitante dai confini della mera rappresentanza istituzionale dell'ente. A tali conclusioni - va precisato sin da subito - il tribunale è pervenuto sulla base di una pluralità di elementi probatori convergenti nel dimostrare come Zo.Gi., rimasto saldamente al vertice della banca dal 1996 al 2015, fosse tutt'altro che un presidente "decorativo" e neppure rispettoso dei limiti propri della funzione di garanzia affidatagli. In effetti, già il rapporto ispettivo redatto da Banca d'Italia all'esito dell'ispezione del 2007-2008, dopo avere sottolineato come i meccanismi del governo societario fossero orientati ad assicurare il mantenimento di una salda conduzione delle assemblee da parte dei vertici, attraverso politiche volte a controllare ed orientare il trasferimento delle azioni, aveva stigmatizzato la funzione predominante esercitata dallo ZO., censurando, da un lato, l'assenza di autonomia del CdA rispetto al suo presidente e, dall'altro, la forte influenza esercitata da quest'ultimo anche sul management, fidelizzato attraverso frequenti riunioni informali e trattamenti remunerativi particolarmente favorevoli ed anche svincolati dai risultati concretamente raggiunti. Il Presidente era definito "leader indiscusso della banca dal 1996", e se ne rimarcava il "ruolo dominante" in seno ad un CdA in cui - precisava la relazione ispettiva - raramente "si riscontrano contributi dialettici da parte dei consiglieri...individuati e scelti in ambienti professionali vicini ai vertici della banca. Inoltre, in tale relazione si segnalava che - L'appiattimento (del CdA) sulle posizioni del Presidente" aveva "conosciuto una significativa accentuazione nella seconda metà del 2007 allorquando il Consiglio ha conferito al dr Zo. un'ampia delega a elaborare le strategie della banca univocamente orientate a promuoverne il ruolo aggregante...". All'esito di tale ispezione - ha opportunamente ricordato il primo giudice - l'autorità di vigilanza aveva persino inviato una lettera post-ispettiva attraverso la quale, proprio per contrastare il debordante protagonismo del presidente, era stato sollecitato il rispristino di una "equilibrata dialettica interna". E tali criticità, anche con specifico riferimento al ruolo predominante del presidente rispetto al CdA - e, più in generale, rispetto alla dirigenza "operativa" - erano state riscontrate pure all'esito della successiva ispezione di follow up del 2009 (cfr relazione ispettiva, doc. 2 del P.M.). L'ispezione sul credito del 2012, poi, aveva confermato come lo ZO. fosse non solo pienamente consapevole delle strategie aziendali, ma anche l'effettivo ispiratore delle stesse, secondo una visione, al predetto presidente prevalentemente riconducibile, di un successo commisurato al numero degli sportelli, alle relazioni con gli Enti pubblici e con le organizzazioni imprenditoriali" (cfr. doc. n. 3 della produzione P.M.). E' bensì vero che - come osservato dalla difesa dell'imputato (da ultimo, in sede di conclusioni) - nella relazione ispettiva di riferimento non si dà più conto di ingerenze operative dello stesso giudicabile; tuttavia, in disparte l'ambito assai circoscritto (in quanto limitato al credito) dell'attività ispettiva in questione, nulla autorizza ragionevolmente a ritenere che si fosse improvvisamente realizzata una significativa cesura rispetto ad un radicato modo di interpretare la presidenza da parte del giudicabile. Né, a fronte delle problematicità segnalate dalla Vigilanza, può assumere rilievo, in senso contrario, la circostanza (da ultimo valorizzata dalla difesa nelle note conclusive 28.9,2022) costituita dal fatto che tali "deviazioni" non si fossero poi tradotte nell'adozione, nei confronti dell'imputato, di alcun "provvedimento sanzionatorio o interdittivo ... rispetto all'assetto di governance dell'impresa bancaria" (cfr note scritte di discussione, pag. 20), stante l'inequivoco tenore delle citate osservazioni critiche. Del resto, sul punto, è decisiva la testimonianza, già adeguatamente valorizzata dal primo giudice, resa dal teste ispettore Ga., responsabile della squadra ispettiva Bc., trattandosi di deposizione che compendia efficacemente, nella sua icasticità, quanto accertato al riguardo: "... il presidio del Presidente sui fatti aziendali e sulla gestione aziendale era molto forte. Era un fatto notorio - e l'ispezione me ne ha dato consapevolezza - che nulla in azienda si muovesse senza che Zo. fosse stato informato", in proposito, è appena il caso di precisare che non siamo affatto di fronte ad una semplice opinione (per quanto resa da soggetto tecnicamente assai attrezzato a comprendere le dinamiche operative di quelle assai complesse strutture che sono gli istituti di credito), bensì al giudizio rassegnato da un esperto ispettore che aveva appena ispezionato proprio B.. E tanto basterebbe, tenuto conto dell'autorevolezza della fonte (l'ente di vigilanza Banca d'Italia, per l'appunto, per il tramite degli esperti ispettori inviati a verificare la gestione di B. ed a lungo presenti, a stretto contatto con i funzionari della banca ispezionata, presso la sede dell'istituto, tanto da averne potuto cogliere appieno le dinamiche operative). Ma v'è assai dì più. In effetti, ulteriori, significative evidenze probatorie acquisite al giudizio hanno confermato come al timone dell'istituto di credito, con riferimento a tutti gli aspetti della vita della banca - a partire dalle questioni strategiche, passando agli snodi essenziali della operatività dell'ente e fino a tematiche di ben minore cabotaggio, talune (è il caso della organizzazione delle cene sociali) solo apparentemente "spicciole", ove si consideri che viene in esame l'operatività di una banca popolare di una ricca città di provincia, ovverosia di un istituto di credito per definizione strettamente legato al territorio di riferimento ed al locale tessuto produttivo, donde l'importanza della accorta "gestione" dei rapporti con gli imprenditori dell'area - vi fosse proprio il presidente ZO.. Il giudice di prime cure, sul punto, ha fornito un articolato resoconto delle emergenze istruttorie. In sintesi - e rinviando, per il resto, alla sentenza impugnata - va evidenziato che è emerso che era l'imputato; - a selezionare all'ingressi nel CdA e nel Collegio sindacale. Al riguardo, vanno richiamate, oltre all'efficace descrizione delle dinamiche di cooptazione fornita dal coimputato Zi., le deposizioni rese, nell'istruttoria di primo grado, dai testi Ma., Co., Ro., Ti., Do. e, in sede di rinnovazione istruttoria nel giudizio di appello, dal teste An.. Il teste Lo. ha riferito della propria emarginazione conseguente al rifiuto rispetto al "metodo Zo." di selezione dei consiglieri. Parimenti significativa di tale pervasivo controllo sulla composizione del CdA, poi, è anche la vicenda della originaria opposizione da parte del coimputato Zi. rispetto all'inserimento in CdA del consigliere Mo.: a seguito della propria iniziale astensione - peraltro poi commutata, per effetto di "opportune" pressioni, in voto favorevole - lo Zi., come da lui stesso precisato, era stato anch'egli sostanzialmente emarginato. - a dirigerne le sedute con assoluta fermezza ed in termini che, di fatto, non ammettevano repliche, tanto che dalla lettura dei relativi verbali si coglie il difetto di ogni reale dialettica interna, essendosi in presenza di delibere adottate sistematicamente all'unanimità. Sul punto, il primo giudice ha opportunamente richiamato - in quanto sintomatiche di tale supina adesione dell'organo collegiale rispetto ai desiderata del presidente - le vicende relative alla fissazione del valore dell'azione in sede di CdA 1.4.2014 ed alla fallimentare operazione immobiliare inerente all'acquisto della sede di Cortina d'Ampezzo. A tale riguardo, considerate le obiezioni difensive articolate sul punto, una breve precisazione è d'obbligo: è del tutto evidente che l'attenzione del presidente per il patrimonio immobiliare dell'istituto (e, più in generale, per i vantaggi di immagine che sarebbero derivati alla banca dalla collocazione delle filiali in località ed in immobili di assoluto pregio) è più che giustificata e, quindi, non può certo costituire elemento neppure latamente indiziario. Sennonché, tale episodio è stato opportunamente evocato dal primo giudice in quanto indicativo dell'assoluta subordinazione dell'organo collegiale rispetto alle indicazioni del presidente finanche nel caso - quale, pacificamente, quello in esame di proposte già in partenza economicamente insostenibili. Nella fattispecie, invero, la perdita, conseguente alla operazione in esame, di oltre venti milioni di Euro, corrispondenti al finanziamento all'uopo erogato da B. alla società Pe. s.r.l. della famiglia Ca., era stata sostanzialmente preannunciata dalle valutazioni effettuate dal coimputato MA. il quale, in effetti, aveva opportunamente segnalato l'incapacità di detta società di rimborsare il finanziamento (La vicenda - va precisato - è dettagliatamente descritta alle pagine 588 e ss. della sentenza impugnata, nella quale, peraltro, è evocata anche la significativa intercettazione intercorsa, in data 21.9.2015, tra il sindaco Pi. ed il consigliere To., anch'essa ivi riportata, nei passaggi di interesse). IL Coerente con tale decisa modalità di conduzione dell'organo collegiale, secondo la ricostruzione del tribunale, poi, è anche la descrizione della presidenza ZO. fattane dal teste Gr., all'udienza 30.1.2020, là dove costui, pur escludendo, nel periodo della sua gestione, ingerenze operative dell'imputato, come ripetutamente evidenziato dalla difesa, ha confermato le precedenti dichiarazioni in occasione delle quali aveva riferito, secondo quanto già riportato dal primo giudice, che "... quello del presidente del CdA era un ruolo che stava stretto alla persona di Zo.... in realtà Zo. svolgeva un ruolo di impulso rispetto al CdA della banca e di indirizzo della direzione generale della banca medesima... ed ha rievocato la politica di forte espansione tenacemente perseguita dall'imputato. Quindi, nel corso della sua rinnovata escussione del 5.7.2022, il medesimo Gr. ha descritto le difficoltà che ('"esuberanza" dello ZO. gli aveva provocato più volte con Banca d'Italia, costringendolo a rimediare alle improvvide iniziative del presidente (cfr. pag. 43: Omissis). La più evidente riprova di una condizione di sostanziale soggezione del CdA al suo vertice, del resto, la si ricava dall'unanime consenso espresso a fronte della proposta dell'imputato di cooptare in consiglio il d.g. So. come consigliere delegato e, questo, nonostante si fosse nel febbraio del 2015, ovverosia in un torno di tempo nel quale erano oramai manifeste le condizioni, nelle quali versava l'istituto di credito, di estrema criticità (il tribunale, al riguardo, ha puntualmente evidenziato che: il bilancio 2014 registrava una perdita di circa 800 milioni; l'istituto aveva superato il Comprehensive Assessment solo grazie alla conversione del prestito obbligazionario deliberata d'urgenza nella seduta 26,10,2014; la vigilanza stava approfondendo le questioni del riacquisto di azioni effettuato, per circa 200 milioni di Euro, in costanza di aumento di capitale e della detenzione indiretta di azioni proprie da parte dei fondi lussemburghesi). Come sopra accennato, il giudice di prime cure ha, inoltre, opportunamente rievocato (cfr. pagine 590-591 della sentenza impugnata) il ruolo predominante svolto dall'imputato, nella seduta del CdA 1.4.2014, con riferimento alla determinazione del prezzo dell'azione, determinazione adottata in deroga alle stesse regole procedurali interne della banca. Altrettanto dicasi per la gestione del licenziamento del medesimo So., di cui si tratterà meglio più oltre, licenziamento deciso direttamente dallo ZO. e solo successivamente ratificato con voto unanime (peraltro in violazione sia delle regole statutarie che attribuivano al CdA la relativa competenza, sia della normativa di vigilanza in materia di remunerazione dei dirigenti, come puntualmente osservato dal tribunale); e, questo, nonostante la richiesta del consigliere Zi. di valutare il licenziamento piuttosto che la risoluzione consensuale (richiesta che, riportata nelle trascrizioni audio della seduta del CdA, è tuttavia significativamente assente nel relativo verbale). E' bensì vero, sul punto, che, come la difesa dell'imputato non ha ripetutamente mancato di osservare, un forte segnale di "discontinuità" nella guida della banca era sostanzialmente preteso dall'organo di vigilanza e che (come parimenti sostenuto dalla medesima difesa, da ultimo in sede di discussione) i "tempi di reazione" erano necessariamente assai stretti, dovendosi mirare, anche attraverso una celere rimozione del vertice esecutivo, a scongiurare (o, più verosimilmente, a contenere) il danno reputazionale che sarebbe potuto derivare all'istituto dai riflessi pubblici di una discussione sul punto. Ma è agevole replicare che nulla impediva allo ZO. di coinvolgere rapidamente il CdA in una riservata valutazione della questione (anche ricorrendo a quei mezzi tecnici, quali il collegamento a distanza, che, in precedenza, l'imputato non aveva mancato di utilizzare in frangenti di certo meno preoccupanti) invece di limitarsi a consultare taluni collaboratori e solo alcuni tra i consiglieri di amministrazione di più stretta fiducia per poi chiamare il CdA ad una oramai inevitabile conferma di quanto già da lui deciso; - ad individuare le figure dei manager da assumere (sul punto, il primo giudice ha correttamente evidenziato come Gr., So., Fa. e Ro., ma anche i coimputati Gi. e Pi., fossero stati "selezionati" dall'imputato; ha precisato, inoltre, che Ra.Fo. era stato invitato direttamente da ZO. a svolgere l'incarico di presidente di un comitato che avrebbe dovuto curare lo sviluppo dell'attività dell'istituto di credito nel nordovest e che il medesimo Ra.Fo. era stato nominato presidente di Mo., società immobiliare del gruppo B.); - a controllarne/influenzarne l'operatività, a differenza del precedente presidente, Br.. Significativa, sul punto è la deposizione resa dal teste Pa., vice responsabile della divisione marketing (TESTIMONE PAOLI - No, direi un Presidente esecutivo in maniera importante. Cioè non è un Presidente di rappresentanza per le riunioni in ABI, ma era un Presidente assolutamente operativo, era in banca tutti i giorni, se non era in sede a Vicenza era in sede a Roma ... - cfr. udienza 14.7.2020, pag. 52), anche perché, avendo fatto tale teste ingresso in B. nel 2014, trattasi di deposizione che si riferisce proprio al periodo della "direzione So.". Ma rilevanti sono anche le deposizioni rese, oltre che dal predetto Pa. (il quale ha anche significativamente descritto Zo. come un presidente operativo, che si occupava finanche delle campagne pubblicitarie, circostanza, quest'ultima, anche documentalmente provata dall'appunto contenuto nell'agenda di Ma.So.), dai testimoni Se., Sa., Me. ed Am., così come significativi sono i riscontri documentali evocati dal primo giudice (trattasi dei documenti richiamati alle pagg. 596-598 della sentenza impugnata). Aggiungasi che lo ZO., quando il gestore private Ri. si era dimesso a seguito del trasferimento dalla filiale B. di Vicenza-Co. ad un'altra sede cittadina, dopo un breve incontro con tale funzionario nell'abitazione del presidente ove il primo era stato convocato e nel corso del quale aveva spiegato all'imputato le ragioni della sua scelta, ne aveva immediatamente disposto la riassunzione e la ricollocazione nella medesima sede; - a "preparare" le sedute del CdA attraverso una puntuale, previa interlocuzione con il d.g. So.. Del fatto che Sa.So. fosse stato prescelto dallo ZO. si è già detto. Con riferimento alle modalità di stretta collaborazione tra i due, poi, di assoluto rilievo sono le deposizioni (in particolare, quelle dei testi Ro. e Ro.) richiamate dal tribunale122, dalle quali complessivamente si ricava come tra il presidente ed il d.g., non vi fosse solamente una forte consonanza di intenti ma anche un indissolubile legame operativo, peraltro ammesso dallo stesso So. nel corso delle comunicazioni captate, dal tenore davvero inequivoco, che saranno più oltre riportate. La conversazione n. progr. 235 intercettata il 26.8.2015, intercorsa tra il coimputato Zi. e Pa.Ba., del resto, ne costituisce l'ennesimo, significativo riscontro, là dove il primo ha descritto il rapporto tra presidente e direttore generale come quello di soggetti che "viaggiavano a braccetto". E, anche in tal caso, mette conto osservare che si è in presenza di una affermazione davvero significativa, trattandosi non già di una valutazione (in quanto tale caratterizzata da insuperabili profili di opinabilità) resa da un soggetto estraneo alle dinamiche operative dell'istituto, bensì di un icastico giudizio (del tutto sincero, in quanto captato dagli investigatori all'ascolto) proveniente da un consigliere di amministrazione il quale, peraltro, come si è appreso nel corso del processo, era tanto sensibile alla sorte di B. ed impegnato nella vita dell'istituto da ambire ad assumerne la presidenza, succedendo a ZO., A corredo di tali elementi, poi si collocano le dichiarazioni di quei soggetti - anche costoro intranei all'istituto di credito o, comunque, pienamente inseriti nel contesto produttivo vicentino del quale la banca era il polmone finanziario e, quindi, ben consapevoli di quanto andavano dicendo - che hanno descritto l'imputato come "padre padrone" (è il caso di quanto riferito dal funzionario B. Ro., ovvero dall'imprenditore Ro., nonché dell'espressione proferita dal d.g. So. nel corso di una intercettazione telefonica), ovvero come "monarca assoluto" della banca (è il caso del sindaco Pi., intercettata nel corso di una conversazione con il consigliere To.. Sul punto, con riferimento alla inattendibile "smentita" dibattimentale di tale definizione, sì rimanda a quanto più oltre evidenziato): se è vero, infatti, che tali definizioni, a stretto rigore, come sistematicamente rimarcato dalla difesa del giudicabile, non si emancipano dal rango di valutazioni, è altrettanto indubitabile che, provenendo da soggetti qualificati (i quali, evidentemente, ancoravano le predette affermazioni a vicende da costoro vissute nella quotidianità dell'ambiente di lavoro), si è in presenza di giudizi che scaturivano da solide evidenze fattuali, significativi di una modalità di interpretazione del ruolo presidenziale tutt'altro che formale. Si è in presenza, quindi, di apprezzamenti di significazione tutt'altro che incerta e, anzi, di indubbia efficacia probatoria. Peraltro - osserva questa Corte - non sembra affatto errato spingersi a sostenere che è proprio la larga condivisione di un siffatto giudizio tra soggetti, a diverso titolo, tutti ben informati dei concreti assetti gestionali dell'istituto di credito e, specificamente, delle dinamiche della conduzione della banca, ad integrare, essa stessa, una importante evidenza fattuale. A tali elementi, poi, si aggiungono le significative, coerenti dichiarazioni rese dal coimputato GI., il quale, offrendo una ulteriore "lettura dall'interno" delle dinamiche in atto nel "board ristretto" dell'istituto - lettura particolarmente utile in quanto, per un verso, proveniente proprio da un soggetto apicale nell'organigramma della banca; e, per altro verso, non influenzata da quel palpabile imbarazzo se non anche, come s'è detto, da quella ritrosia al limite della reticenza riscontrabile in numerose deposizioni di alti funzionari che hanno agito a stretto contatto con il più elevato management aziendale (e, ancor più, di numerosi consiglieri e membri del collegio sindacale di amministrazione dell'istituto, evidentemente condizionati anche dal ruolo di responsabilità rivestito da costoro nella banca, peraltro all'origine delle sanzioni amministrative loro irrogate dalla vigilanza) - ha individuato proprio nello ZO. l'effettivo vertice operativo di B. e, nel CdA un organo collegiale sostanzialmente supino. In effetti, nel memoriale prodotto a sostegno della richiesta di rinnovazione dell'esame, il predetto GI., con specifico riferimento alla posizione di Zo.Gi., ne ha definito con nettezza il profilo operativo, icasticamente affermando che il presidente era "il vero amministratore delegato della banca" - in quanto tutte le decisioni di un qualche rilievo necessitavano della sua approvazione o erano, comunque, da questi condivise. Ciò egli ha fatto: - dopo avere ricostruito l'operatività della banca nelle operazioni correlate come una prassi diffusa e consolidata a partire dagli anni 2011-2012 (ovverosia - come da questi precisato - dal momento nel quale le azioni B. avevano cessato di essere attrattive per i clienti, sia in termini di dividendi che di incremento di valore, sicché si era manifestata una situazione di crisi strutturale del mercato secondario del titolo); - e dopo avere precisato, altresì, che la scelta di astenersi, illegittimamente, dall'operare le decurtazioni dal patrimonio di vigilanza degli importi finanziati per l'acquisto delle azioni medesime era funzionale a migliorare i requisiti di capitale, ad esaudire le richieste di vendita dei soci ed a sostenere il prezzo delle azioni, soggiungendo, inoltre, che le indicazioni impartite dal d.g. So. al management erano nel senso di mantenere riservata all'esterno tale operatività della banca (donde l'impiego, nelle pratiche di fido, della dicitura anodina operazioni mobiliari/immobiliari, divenuta, all'interno della banca, vero e proprio sinonimo di "operazioni correlate"). Più nel dettaglio, il GI. ha ricordato come il d.g. So. fosse solito trascorrere l'intero pomeriggio del giorno precedente alle sedute del CdA, ovvero l'intera mattina di tale giorno, con il presidente, per discutere e concordare le delibere che sarebbero state presentate all'organo collegiale, precisando dì essere direttamente a conoscenza di tale prassi perché era stato ripetutamente convocato allorquando le delibere provenivano dalla "Divisione Mercati". In quelle occasioni, ZO. era solito approvare, modificare o cancellare il testo della bozza del provvedimento ed il d.g. So. costantemente interveniva a sostegno. Ebbene, si è chiaramente in presenza di dichiarazioni che, ben lungi dal delineare, come vorrebbe la difesa dell'imputato, ì contorni di una ordinaria operatività del presidente (ovverosia una operatività necessariamente caratterizzata da quei periodici contatti con il d.g. finalizzati a consentirgli di acquisire le informazioni necessarie ad assolvere il ruolo non operativi assegnatogli dalla normativa di riferimento), attestano l'esistenza (quantomeno) di una irregolare diarchia nella conduzione della banca, peraltro plasticamente confermata anche dalla retribuzione riconosciuta allo ZO. (il quale percepiva un compenso annuo di circa 1 milione 110 mila Euro annui, a fronte di quello medio dei singoli consiglieri che si aggirava intorno ai 140 mila Euro annui, ovverosia una retribuzione quasi equivalente a quella del d.g., So., i compensi annui del quale oscillavano tra 1 milione e 300 mila Euro ed 1 milione 500,000 euro126), E, a sostegno di tali dichiarazioni, il propalante ha richiamato plurimi documenti dai quali, in effetti, ad onta delle generiche contestazioni difensive127, è possibile ricavare l'attiva partecipazione del coimputato nella quotidiana operatività della banca, al di fuori, quindi, del perimetro delle attribuzioni proprie di un ruolo di rappresentanza e di garanzia. Trattasi, segnatamente: - della lettera da inviare ai soci a giustificazione dei ritardi nell'evasione delle richieste di vendita delle azioni prodotta (cfr. documento allegato al memoriale, sub 4.1.1); v della missiva inviata dal d.g. della società immobiliare del gruppo al vicedirettore Ca. inerente ad una richiesta di ZO. in merito agli immobili facenti capo al Gruppo Banca (...) (missiva prodotta sub 4.1.2); - della comunicazione in materia di avviamenti con la quale il coimputato PE. riferiva al d.g. So. che l'argomento avrebbe dovuto essere trattato con ZO. (comunicazione di cui al documento allegato sub 4,1.3); - di mail ed allegati documenti attestanti il coinvolgimento del presidente nelle decisioni in materia di "codice etico" e di "riorganizzazione della sede centrale" (di cui alle produzioni sub 4.1.4, e 4.1.5). Ebbene, si è in presenza, com'è evidente solo ad una veloce lettura di tali produzioni, di documenti che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa dell'imputato (cfr. pagg. 6-9, 11-12 della memoria inerente agli esiti della rinnovazione istruttoria; cfr., inoltre, le considerazioni svolte nella memoria conclusiva), sono di significato tutt'altro che trascurabile ed incerto. Quindi, rievocando le fasi finali della propria permanenza presso l'istituto di credito, il GI. ha riferito che lo ZO., coerentemente con i suggerimenti offertigli dall'avv. Ge. (e, al riguardo, il dichiarante ha richiamato il documento in allegato al memoriale sub 4,6,1., ovverosia la nota riservata datata 11.5,2015, inviata dall'avv. Ge. al presidente Zo., nella quale si suggeriva anche l'esecuzione di un "forensic sulle mail aziendali", ovverosia di "un'attività di sana e prudente ricerca dello stato di conoscenza tra i funzionari e dirigenti dei fatti cui alludono gli ispettori presenti in Banca" - così a pagina 4 della predetta nota), aveva tentato di affrontare il problema che allora stava emergendo dei finanziamenti "baciati", operando una netta discontinuità gestionale, ma, così, sostanzialmente, scaricando le relative responsabilità solo su altri. In questo contesto di predisposizione di una sorta di exit strategy - ha soggiunto il dichiarante - lui stesso aveva appreso della richiesta, proveniente dal medesimo ZO., di cancellazione delle mail presidenziali, richiesta della quale gli aveva riferito un impiegato del SEC di Padova, Ba.St., e che, poi, non era stato possibile attuare. E, a sostegno di tali affermazioni, il GI. ha prodotto un documento di significativo rilievo, ovverosia la stampa della chat inerente alle comunicazioni scambiate, sul tema, proprio con il predetto Ba., comunicazioni che, in effetti, confortano dette propalazioni etero-accusatorie (cfr. documento allegato al memoriale, sub 4.6.2.: "Ciao Stefano. Una curiosità. Tu avevi detto a Ca. che Zo. ti aveva chiesto di cancellare le sue mail? Grazie mille, Abbi pazienza" - "Non mi ricordo bene l'episodio. Devo pensarci un attimo per richiamare la cosa alla memoria" .... ..."Mi sembra che la Li. avesse chiesto se era possibile. Ma le era stato risposto che non si poteva fare perché comunque rimanevano le tracce della cancellazione e sarebbero servite direttive. Secondo me avevano chiesto ai ragazzi che gestivano le mail"). Peraltro, significativa dell'esistenza di una attività di occultamento di elementi a che potessero evidenziare un coinvolgimento del Presidente è anche la conversazione intercorsa tra Bo. e MA. nel corso della quale il primo si faceva latore della richiesta, proveniente da ambienti del CdA, di modificane quanto dallo stesso MA. riferito in sede di intervista "audit" in ordine al fatto che il d.g. So. fosse solito attestare la conoscenza della prassi del capitale finanziato in capo allo Zo. (nel citato colloquio allusivamente indicato come "chi di dovere"). Trattasi, complessivamente, di un protagonismo che davvero mal si concilia con la tesi di un presidente confinato in un ruolo di rappresentanza e che, al contrario, appare coerente con la vera e propria attività gestoria evocata dallo stesso propalante e rispecchiata dagli ulteriori elementi citati. Infine, il GI. ha descritto i rapporti intercorrenti tra il presidente ed il d.g. So. in termini di strettissima collaborazione, in stringente aderenza, peraltro, ad ulteriori evidenze probatorie (si pensi, per tutte, alla già evocata affermazione del coimputato ZI., secondo la quale i due "viaggiavano a braccetto"), soggiungendo che il presidente ed il d.g. erano anche legati da una sorta di reciproca riconoscenza: da un lato, infatti, il primo aveva trovato in So. una sponda per vanificare la proposta del precedente d.g., Co., allorquando costui intendeva promuovere la fusione con il Ba.Po.; dall'altro, il secondo aveva beneficiato della comprensione dello ZO. con riferimento alla manipolazione dei bilanci della Sec, se non anche ad una presunta vicenda "di mazzette" relativa ai rapporti con i fornitori della Ca.. Peraltro, con specifico riferimento alla questione dei bilanci SEC, la deposizione del teste Gr. ha puntualmente confermato le propalazioni del GI., là dove l'ex direttore generale, nel corso della sua rinnovata escussione dibattimentale, ha rievocato tanto la falsificazione dei bilanci di tale società ascrivibile al So. quanto la decisione dello ZO. di graziarlo perché "non aveva rubato" e, quindi, a giudizio del presidente, il "peccato commesso" non era dei più gravi. Trattasi, a ben vedere, dì elemento di estrema significazione, in quanto appare ben difficilmente spiegabile, se non proprio nella prospettiva indicata dal GI., il comportamento di un presidente che, reso edotto di tale grave mancanza, evidentemente sintomatica di un assai pericolosa "disinvoltura" nella redazione dei bilanci di una "controllata", non si fosse preoccupato che un siffatto approccio potesse essere replicato anche con riferimento alle scritture di B.. Il rinnovato esame dibattimentale del medesimo GI., poi, ha consentito di saggiare ulteriormente l'affidabilità della fonte (posto che l'escussione di quest'ultimo nel contraddittorio delle parti non ha fatto emergere criticità ed incoerenze della narrazione e, men che meno, falsità di sorta), oltre che di arricchire il contributo di conoscenza originariamente dal propalante affidato al citato memoriale. Il GI., infatti, non solo ha confermato il forte protagonismo operativo dello ZO. nella conduzione della banca, rendendo le seguenti, puntuali affermazioni: particolare, che io sono l'ultimo arrivato in Banca perché sono arrivato a fine 2007, fare questo, che io debba dire che il Presidente era il vero Amministratore Delegato della Banca. Quindi questa è una cosa particolare, no? Nel senso che tutti sapevano che il Presidente interveniva su qualunque decisione importante in Banca, qualunque: non c'era una delibera di Consiglio di Amministrazione che non passasse sotto il suo vaglio. Il Presidente era presente, era presente nei gangli organizzativi. So. non muoveva un dito senza che il Presidente sapesse. I consigli di amministrazione venivano condotti e guidati da Zo., Quindi, voglio dire, io dico quello che ho visto: io ho visto organigrammi della Banca che non potevano essere deliberati, se il Presidente non li avesse convalidati e non li avesse visti. Ovviamente questa è una mia posizione che ho cercato anche di oggettivare con dei documenti perché, se no, sarebbe la mia posizione contro la posizione di altri quattro cinque Imputati Purtroppo sono dovuto andare a fare le analisi, andare a tirare fuori i documenti per comprovare quello che sto dicendo..."; ma, come si dirà più oltre, ha ribadito ed approfondito quanto anticipato nel memoriale, in particolare con specifico riferimento alla piena conoscenza in capo al presidente del sistematico ricorso al capitale finanziato. Deve allora necessariamente convenirsi che i dati valorizzati dal tribunale ed in precedenza succintamente richiamati - elementi ai quali si è aggiunto il significativo contributo conoscitivo fornito dal coimputato GI., siccome testé rievocato - costituiscano la più sicura conferma, ove mai ve ne fosse bisogno, del puntuale giudizio già reso dall'ente di vigilanza Banca d'Italia con riferimento alla governance dell'istituto di credito e, segnatamente, alla ingombrante presenza di un presidente che, al contempo, individuava gli obiettivi strategici della banca e ne seguiva la realizzazione, preoccupandosi, altresì, di ogni questione operativa. Pertanto, si è in presenza - va precisato per completezza - di una situazione tutt'affatto differente rispetto a quella, propria di una presidenza meramente "formale", evocata dall'appellante attraverso la produzione, in allegato all'atto di appello, della richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica dì Treviso in data 2.4.2020 con riferimento alle analoghe contestazioni mosse al Presidente del CdA di Ve., Tr.Fl.. In effetti, ai convergenti dati probatori valorizzati dal primo giudice, l'appellante ha contrapposto (al paragrafo 3.3, let.re b-j, pagg. 76-137 dell'atto di impugnazione) elementi (poi in larga parte ripresi ed ulteriormente valorizzati nelle citate "note scritte di discussione" in data 28.9.2022 - cfr. pagg. 18 e ss.) asseritamente di segno contrario - in quanto ritenuti tali da escludere che l'imputato potesse essere definito come il "monarca" dell'istituto e, anzi, considerati idonei a dimostrare che costui non esorbitasse affatto dalle attribuzioni della presidenza e non svolgesse, pertanto, alcun ruolo operativo (come sostenuto al conclusivo punto 3.3 lett. k) - ma, in realtà, tutt'altro che adeguati a legittimare una differente lettura del ruolo concretamente svolto dallo ZO.. Trattasi, segnatamente: - della conversazione n. 526, intercorsa tra il coimputato MA. ed il collega Cu. (par. 3.3, lett. b); - di specifici "passaggi" delle deposizioni dei testi Gr., Do., Li., Lo., So., Me., Bi., An., Tu., Fa., Se. e Ro. (par. 3.3., lett. c); - della mancata partecipazione dell'imputato ai Comitati Esecutivi ed ai Comitati di Direzione (par. 3.3, lett. d); s dell'estraneità dell'imputato rispetto alla erogazione del credito (par. 3.3, lett. e); - del ruolo corretto tenuto dal presidente in relazione alla svalutazione del valore dell'azione da 62,50 a 48 Euro deliberato nell'aprile del 2015 (par. 3.3, lett. f); - dell'estraneità del giudicabile all'iniziativa di creazione della "task force gestione soci" costituita nella primavera del 2015 (par. 3.3, lett. g); - della tempestiva attività svolta dal medesimo ZO. per corrispondere alle richieste degli ispettori Bc. che intendevano approfondire le questioni delle "lettere di garanzia" e dei "fondi lussemburghesi" (par. 3.3 lett. h); - del reale comportamento tenuto dal predetto con riferimento alle dimissioni del d.g. So. e dei coimputati GI. e PI. (par. 3.3, lett. i) e della condotta assunta dal presidente dal momento della nomina del nuovo Direttore Generale e Consigliere Delegato, Fr.Io., sino alle sue dimissioni (par, 3.3, lett. j). In effetti, detti elementi non legittimano affatto le conclusioni che pretende trarne l'appellante. Sul punto, una precisazione è d'obbligo: quelli evocati dalla difesa a sostegno delle considerazioni svolte ai predetti punti 3.3 lettre b, c, e, f, g, h, i dell'impugnazione sono, in larga parte, contributi testimoniali che scontano - come già premesso ed a differenza di quanto direttamente verificato, con riferimento all'effettivo ruolo svolto dal presidente ZONIIM, dagli ispettori di Banca d'Italia (peraltro anche in periodi significativamente antecedenti rispetto all'arco temporale in cui si collocano i fatti oggetto di addebito) - un più o meno marcato deficit di affidabilità, in quanto provengono da soggetti a diverso titolo coinvolti nella vicenda in esame (in qualità di componenti del CdA, come nel caso di An., Do., Co., Ro., ovvero di membri del Collegio Sindacale; ovvero di dipendenti dell'istituto di credito impegnati in settori "sensibili" rispetto al tema del capitale finanziato, come nel caso, in particolare, di Ri., di Fa. e di Tu., o comunque, strettamente legati al vertice dell'istituto, come So., il quale, peraltro, nel complesso, come si vedrà più oltre, ha reso dichiarazioni assai significative nell'evidenziare la diffusa conoscenza, ai vertici operativi della banca, del fenomeno delle operazioni correlate; ovvero ancora di professionisti intervenuti in momenti decisivi della vicenda in esame, ed è il caso del professor Bi. e dell'avv. Ge.). Si è in presenza, pertanto, di deposizioni (massimamente quelle dei consiglieri di amministrazione e dei membri del collegio sindacale, ma anche quelle di coloro che hanno offerto la propria stretta collaborazione ai vertici operativi della banca maggiormente coinvolti nella concreta gestione dei finanziamenti correlati) alle quali - va ribadito - è doveroso approcciarsi con estrema prudenza. Ciò posto - e passando al merito delle considerazioni difensive - gli elementi valorizzati nell'appello, ancorché ampiamente enfatizzati nella relativa esposizione, assumono, in ottica difensiva, davvero scarso rilievo rispetto al tema in oggetto: - così è per la conversazione n. 526 (par, 3.3, lett. b), intercorsa tra il coimputato MA. ed il capo-area Fr.Cu., posto che non è certo pensabile che l'imputato - il quale, com'è pacificamente emerso, di questioni significative interloquiva pressoché esclusivamente con il d.g. So. - si intrattenesse con un "semplice" capo-area su questioni inerenti alla conduzione dell'istituto di credito; - così per i passaggi, evocati nell'appello (par. 3.3, lett. c), delle deposizioni dei testi Gr., Do., Li., Lo. e So., Bi., Me., An., Tu., Fa., Se. e Ro.. In particolare, le dichiarazioni del Gr., richiamate nella parte in cui il predetto ha rivendicato la propria autonomia rispetto al presidente Zo., sono state nondimeno trascurate là dove il medesimo dichiarante ha significativamente delineato il ruolo dell'imputato in termini di forte protagonismo. Peraltro, il medesimo teste Gr., in occasione della rinnovata escussione in sede di giudizio di appello, con riferimento alle modalità di esercizio della presidenza da parte dello, ZO., dopo avere richiamato il perimetro assai circoscritto delle attribuzioni presidenziali delineato dalla disciplina di Banca d'Italia, ha precisato che lui stesso era solito discutere con l'imputato delle questioni di una certa importanza, soggiungendo che, con riferimento alla tematica della quotazione in borsa, era stato proprio lo ZO. a esprimersi in senso contrario. Aggiungasi che detto teste ha velatamente (ma in modo chiaramente percepibile da parte di un ascoltatore avvertito delle dinamiche proprie del contesto di riferimento) operato una distinzione, a ben vedere nient'affatto casuale, tra quello che avveniva, nei rapporti con il presidente, durante la sua gestione, insofferente di ogni indebita intromissione e quello che, diversamente, sarebbe potuto avvenire durante la gestione So., il quale, peraltro, come riferito dallo stesso Gr. innanzi al tribunale, aveva uno stretto rapporto con lo ZO. che ne apprezzava il decisionismo, fermo restando che il rapporto tra i due, siccome puntualmente descritto dal teste Pa., era caratterizzato dal timore reverenziale nutrito dal d.g. (non diversamente, del resto, da tutto il personale della banca) nei confronti di un presidente assai autorevole, se non addirittura autoritario. D'altra parte, tale avvicendamento era avvenuto in concomitanza con la crisi finanziaria e del mercato secondario, per cui è ragionevole ritenere che la mancata ingerenza dell'imputato nell'operatività dell'istituto durante la gestione Gr. potrebbe non essersi affatto riprodotta nel periodo successivo, quando il direttore generale era persona, per un verso, meno rigorosa del predetto Gr. e, per altro verso, maggiormente condizionata nella sua gestione dell'istituto dall'inasprirsi della crisi che rischiava di vanificare le ambizioni di ZO. (non più contenute dalla concretezza e dal realismo di Gr.). E, sul punto, significative sono le già richiamate dichiarazioni rese dal teste Pa., relative proprio al periodo successivo all'avvicendamento Gr.-So. - In ogni caso, a ben vedere, quella resa dal teste Gr. è una deposizione davvero inconciliabile con la tesi di un imputato "confinato" in un ruolo di semplice rappresentanza. Di trascurabile significato, poi, sono anche i passaggi richiamati delle deposizioni dei testi: Do., essendosi questi limitato a dichiarare che l'imputato gli aveva riferito che si occupava solamente di "strategia" (circostanza, peraltro, anch'essa incoerente con un quell'incarico poco più che meramente formale che, nella prospettiva in precedenza delineata, potrebbe giustificare l'ignoranza della pervasiva prassi delittuosa in essere, da anni, presso B.); Li. e Lo., trattandosi, in tali casi, dì dichiarazioni che, per i ruoli dei dichiaranti (la prima, segretaria personale dell'imputato; la seconda, dapprima responsabile della direzione comunicazione e, successivamente, membro del CdA di fondazioni "partecipate" da B.) consentono di conoscere, per un verso, (e abitudini lavorative del giudicabile e, per altro verso, gli interessi da questi coltivati rispetto ad attività culturali e benefiche, ma nulla predicano di specifico in relazione al tema oggetto di prova; nonché So., quello evocato dall'appellante essendo un breve passaggio, sostanzialmente irrilevante, della ben più articolata deposizione resa da tale testimone (eccezion fatta per quanto riferito in ordine alle pratiche di fido, delle quali, tuttavia, il So. non si occupava direttamente, donde lo scarso rilievo, sul punto, di detta dichiarazione). Altrettanto dicasi per deposizione del teste Bi., in quanto la circostanza che tale professionista interloquisse solamente con il d.g. e non avesse subito pressioni di sorta dall'imputato nell'ambito delle valutazioni demandategli in punto di determinazione del valore del titolo B., non contrasta affatto con le evidenze probatorie valorizzate dal primo giudice, al pari del fatto che, secondo quanto riferito dal medesimo Bi., lo ZO. si esprimesse, con riferimento al tema "valore dell'azione", in termini "atecnici". Peraltro, non è affatto irrilevante evidenziare, ai fini della comprensione del ruolo dello ZO. e del CdA nella determinazione del prezzo (sovrastimato) dell'azione, come il Bi., nell'interloquire con il PE. (e, quindi, non solo con il So.), avesse avuto modo di precisare che l'attribuzione del valore del titolo nei termini poi definiti di 62,5 Euro fosse stata conseguenza di una scelta della banca assai opinabile. In effetti il tenore della mail inviata dal professore al Responsabile della Divisione Bilancio PE. il 29.4.2013 non lascia adito a dubbi: "Gentile dott. Pe., mi sembra esagerata l'enfasi data alle mie considerazioni sul prezzo di 62,5 rispetto a quanto riportato nella mia valutazione. Sarei più prudente. Così come è messa sembra che il perito vi dica che 62,5 è runico prezzo da scegliere, mentre l'aver evidenziato una forchetta di valori dell'adozione del criterio reddituale va semmai nel senso contrario....In breve consiglierei una maggiore prudenza di lettura della perizia e segnalerei tra i rischi quello di non riuscire a realizzare il piano"). Aggiungasi che lo stesso Bi. ha riferito come il tema dell'incremento di valore del titolo fosse un obiettivo perseguito dallo ZO. e dal So. ("Zo. e So. avevano espresso un aspetto di ispirazione verso un incremento del titolo B. anche se non ho ricevuto pressioni sollecitazioni o inviti a raggiungere un determinato risultato finale"...), i nomi dei quali, d'altronde, come opportunamente evidenziato dal P.G. nella memoria conclusiva, nella narrazione del teste ricorrono sempre abbinati, quasi come - una endiadi", ad ulteriore riprova dello stretto collegamento operativo tra i due. Analoghe conclusioni, poi, si impongono con riferimento alle dichiarazioni rese dai testi Me., An., Tu. e Fa., ove si consideri la genericità delle circostanze da costoro riferite e, nondimeno, specificamente valorizzate dall'appellante (cfr. al riguardo, quanto precisato alle pagg. 84-87). In ogni caso, si è in presenza di dichiarazioni che, a ben vedere, risultano tutt'altro che incompatibili con quanto aliunde emerso a carico dello ZO., Che, infatti, il Me. - amministratore di Pa.Fi. - avesse poi trattato della lettera dì garanzia con il So. è circostanza del tutto coerente con il ruolo del direttore generale, pacificamente risultato il vero e proprio regista delle operazioni dì capitale finanziato. Peraltro, non può trascurarsi di considerare che il medesimo Me. ha riferito di essersi incontrato con il d.g. dopo l'allontanamento di quest'ultimo da B., soggiungendo che il So., nell'occasione, gli aveva riferito come il presidente fosse ben consapevole della prassi invalsa presso la banca ma intendesse scaricare ogni responsabilità proprio sullo stesso d.g., quale "capro espiatorio"134. Quanto, poi, ai passaggi delle dichiarazioni del teste Tu. evocati dal difensore, il tema ivi affrontato (interessamento da parte dello ZO. in relazione alle questioni della pinacoteca del comune di Prato e della chiusura del banco-pegni della medesima località) è davvero obiettivamente trascurabile. Non è in discussione, infatti, che il giudicabile si occupasse di tali questioni "di contorno" (questioni che, al contrario, è pacifico che suscitassero il vivo interessamento dell'imputato, assai sensibile a tutto ciò che potesse accrescere il prestigio della banca), bensì che costui esorbitasse, nel l'interpreta re il proprio ruolo presidenziale, da tali ambiti. Infine, la circostanza, riferita dal teste Fa., che al presidente pervenissero i comunicati già predisposti è assolutamente "in linea" con la presenza, presso B., di una struttura amministrativa obiettivamente articolata, ma non implica affatto che lo ZO. si limitasse ad apporre una "inconsapevole" firma in calce a detti documenti. Del resto, il teste An., anch'egli nuovamente escusso nel dibattimento d'appello, non solo ha precisato che era stato l'imputato ad inserirlo, dapprima, nel CdA di Ba.Nu. (dove aveva poi assunto il ruolo di vicepresidente) e, quindi, in quello di B. (il che ulteriormente conferma il protagonismo del giudicabile nella selezione dei soggetti destinati a ricoprire ruoli di responsabilità nell'istituto), ma, nell'evidenziare come lo ZO. avesse espresso forte contrarietà alla proposta di So. di bloccare la valutazione del titolo B. e nel precisare, inoltre, che il rapporto tra l'imputato ed il d.g. era di "esclusività", in quanto il presidente faceva sostanzialmente da "cerniera" tra la dirigenza ed il CdA135, ha implicitamente avvalorato la ricostruzione di una modalità di esercizio delle attribuzioni presidenziali da parte del giudicabile tutt'altro che di mera rappresentanza, contribuendo a chiarire come, all'interno della più alta dirigenza dell'istituto, fosse sostanzialmente riscontrabile una duplicità di livelli: quello, di massimo vertice, relativo alla coppia "ZO.-So."; e quello, più propriamente riconducibile alla ordinaria dinamica di un board ristretto, inerente ai rapporti tra il d.g. e gli altri dirigenti apicali. Infine, in relazione alle deposizioni dei testi Se. e Ro., deve osservarsi, con riferimento al primo (Se.), che il passaggio valorizzato dall'appellante evidenzia unicamente che l'imputato non era esperto di "operatività tecnica" e, segnatamente, di "merito creditizio", non già che costui non fosse - come peraltro espressamente affermato dal medesimo teste, nei passaggi di poco precedenti della stessa deposizione - "presente e interventista". Anzi, è opportuno precisare che tale teste ha precisato che l'imputato "era presente in ogni ganglio operativo, scendeva sulle strutture". Del resto, la mail inviata da Gi. ad alcuni colleghi della Direzione Generale il 13.9.2010 nella quale il primo, in relazione alla riunione che avrebbe avuto luogo la sera stessa, esplicitamente affermava ".. Il Presidente sarò (sarà) duro con i capi area...", ne è un'evidente conferma. Peraltro, non è affatto inutile sottolineare come, a far giustizia della tesi di un presidente incapace di comprendere, al di là delle specifiche questioni più propriamente tecniche, significato e portata delle tematiche che vengono in rilievo nel presente giudizio, siano le stesse parole dell'imputato, più oltre evocate, dalle quali si apprende come costui fosse ben consapevole dell'importanza e delle relative implicazioni, anche sul patrimonio di vigilanza, del - Fondo acquisto azioni proprie" (ovverosia, come s'è detto, di uno dei più importanti temi inscindibilmente collegati alla generale questione del capitale finanziato). Ne consegue che descrivere lo ZO. - il quale, per moltissimi anni, ha guidato l'istituto di credito vicentino, orientandone con decisione la politica espansionistica che aveva portato la banca a divenire uno dei gruppi bancari più importanti d'Italia - come un "semplice" imprenditore del settore vinicolo "prestato" al circuito bancario e privo di alcuna competenza in materia (e, quindi, fare leva su tale radicale difetto di conoscenze ed esperienza, per tentare di accreditare la tesi di un presidente facile vittima di un direttore generale infedele) appare davvero un fuor d'opera. Del resto, non pare affatto inutile richiamare, a riprova di una effettiva competenza del giudicabile che andava ben oltre ai "fondamentali" in materia, quanto riferito dal teste Fa., là dove questi, peraltro nell'ambito di contributi dichiarativi, come s'è detto (e come ancora si dirà più oltre), costantemente ispirati ad un approccio "riduzionistico", non solo in ordine alla effettiva conoscenza del fenomeno in esame all'interno della struttura di B. ma anche (e conseguentemente) delle altrui responsabilità in ordine a tale prassi, nel rievocare un incontro che aveva avuto con il presidente nel corso del CdA del 10-11.2014 ha precisato che tale incontro era stato richiesto dalla segreteria di ZO. in quanto quest'ultimo aveva la necessità di approfondire, attraverso i dati di riferimento, l'evoluzione dei "Price Book Value" di banche popolari quotate e non quotate ed ha significativamente soggiunto, a richiesta del difensore della parte civile, che il presidente mostrava di conoscere il concetto in esame, consistente nel parametro di sopravvalutazione o sotto valutazione di un'azione". Con riferimento al secondo testimone (Ro.), poi, si è trattato di una fonte dichiarativa che, pur avendo successivamente ridimensionato (senza, peraltro, fornirne convincente ragione) il senso delle espressioni precedentemente rese ("non si muove foglia senza il suo consenso" - "padre padrone della banca") ed escludendo quelle interferenze dell'imputato nelle procedure di vendita delle azioni che, pure, in precedenza, aveva linearmente descritto (donde, ad avviso della Corte, l'inattendibilità di tale revirement, peraltro contraddetto dall'esplicito tenore delle mail - trattasi dei significativi documenti nn.ri (...) e (...) della produzione del P.M. - esibite a detto teste nel corso della relativa escussione141) ha nondimeno ribadito che lo ZO. interpretava il proprio ruolo in modo tutt'altro che passivo. In relazione, da ultimo, alle dichiarazioni rese dal teste Br. (e diffusamente richiamate nella memoria conclusiva inerente alla rinnovazione istruttoria), è sufficiente ribadire quanto già detto in ordine alla complessiva inattendibilità di tale fonte, trattandosi di soggetto legato da una stretta collaborazione decennale con l'imputato ed evidentemente influenzato dall'interesse a ridimensionare il proprio ruolo in relazione alla vicenda del "default" di B. per sottrarsi alle responsabilità, non solo di ordine "morale" ma anche amministrativo, sullo stesso gravanti connesse alla posizione di membro del CdA e queste ultime all'origine delle sanzioni irrogategli da Consob; - così per la mancata partecipazione del giudicabile ai comitati esecutivi e di direzione (pan 3.3, lett. d). Ed invero, a parte il fatto che lo ZO. ha sicuramente presenziato (circostanza pacifica e non contestata - cfr. atto di appello, pagg. 96-97) alla riunione 11-11.2014, convocata dopo la pubblicazione del citato articolo di stampa sul quotidiano "(...)" ed anche a voler ammettere che lo ZO. non fosse intervenuto al comitato di direzione 20.4.2015 (con la conseguenza che quello del teste Am. in ordine alla presenza del presidente sarebbe un ricordo errato, come minuziosamente argomentato dalla difesa alle pagg. 97-98 dell'atto impugnazione), deve osservarsi come, per quanto detto in ordine ai rapporti dell'imputato con il vertice del management aziendale (e, segnatamente, con il d.g. So.), non fosse certo in occasione delle riunioni predette che il presidente acquisiva contezza delle problematiche della banca (bensì, come meglio si dirà più oltre, in occasione dei continui contatti riservati che intratteneva con il d.g.). E' agevole osservare, del resto, che la diretta partecipazione del presidente a tali incontri avrebbe pesantemente "oscurato" la posizione del direttore generale, compromettendone l'autorevolezza. Donde il rilievo davvero trascurabile delle deduzioni difensive sul punto; - così, ancora, per l'assenza di interventi diretti nell'erogazione del credito (par. 3.3, lett. e). Trattasi, invero, di circostanza, al contempo, pacifica e irrilevante. Questo, ove si abbia la debita attenzione, per un verso, al ristretto livello nel quale venivano adottate le relative decisioni strategiche; per altro verso, alla riservatezza che contraddistingueva tale operatività illecita; e, per altro verso ancora, con specifico riferimento alla posizione dello ZO., alle considerazioni svolte in ordine alla separata interlocuzione che egli costantemente intratteneva pressoché esclusivamente con il d.g. So. (donde anche l'irrilevanza della intercettazione della comunicazione intercettata n. 259, richiamata alle pagg. 101-105 dell'appello e non considerata dal primo giudice, nel corso della quale il coimputato MA. negava di avere mai personalmente interloquito, sul punto, con il presidente)-Peraltro, va rimarcato, in senso contrario, che l'ascolto dell'audio dell'intervento dell'imputato nel corso del CdA del 5.11.2013 consente univocamente di apprezzare il profilo di un presidente pienamente cosciente anche delle problematiche inerenti alla gestione del credito e delle implicazioni di tale tema con quello del mercato secondario, come si evince agevolmente dal seguente passo della relativa trascrizione: "....quando c'è una pratica che cominciano i milioni di Euro bisogna fermarsi e leggerla bene perché non possiamo e devono essere ancora più severi nella selezione del credito perché le banche che vanno meno peggio sono quelle che sono state più severe nella selezione del credito. Noi abbiamo aiutato ma finché aiuti quello da 20 mila Euro va bene ma quando uno viene coi 20 milioni o i 30 milioni e li perdi dove vai? Ti attacchi a un capannone dopo. Allora se uno ha bisogno di quattrini e vende e non c'è più nessuno che ti compra l'azione perché non aumenta il valore e perché gli dai una redditività molto bassa cosa fai tu? Dimmi cosa fa il Consiglio? Cosa fai?..." (cfr. pag. 5 della trascrizione); - così, inoltre, per il ruolo rivestito dall'imputato al momento della svalutazione del valore del titolo (par. 3.3, lett. f), nell'aprile del 2015 (allorquando il predetto era stato rispettoso delle indicazioni fornite, in particolare, dall'esperto prof. Bi.), essendosi in presenza di una determinazione inevitabile, in quanto adottata in un contesto di crisi oramai conclamata. Aggiungasi che il primo giudice ha dato puntualmente conto, con riferimento alla precedente determinazione del prezzo dell'azione, dell'intervento del giudicabile - cui aveva fatto seguito, al solito, la supina adesione da parte del CdA - teso a privilegiare, tra i criteri per la determinazione di detto prezzo, il criterio reddituale, peraltro in deroga alle stesse regole procedurali nell'occasione adottate dalla banca, regole che sconsigliavano in modo esplicito l'enfatizzazione di un criterio rispetto ad un altro; inoltre, ha opportunamente evidenziato come il comunicato stampa diramato per annunciare tale determinazione non avesse minimamente fatto cenno alla suddetta deroga procedurale, peraltro all'origine dell'attribuzione di un valore del titolo (62,5 euro) nettamente superiore a quello (49,3) cui avrebbe condotto l'adozione di altro criterio (quello del Market Approach); - così, poi, per la mancata diretta partecipazione alla iniziativa di attivazione della "task force" del 2015 (par. 3.3, lett. g), essendosi in presenza di una decisione strettamente operativa (peraltro pressoché immediatamente naufragata). In ogni caso, è decisivo osservare come, in una fase di tanto eclatante criticità, il palese protagonismo del presidente (aduso ad assumere condotte tutt'altro che improvvisate) sarebbe risultato certamente inopportuno, se non anche pericolosamente controproducente per la posizione di quest'ultimo. Del resto, il varo della "task force" si colloca nel medesimo contesto temporale di ulteriori iniziative alle quali prese parte anche l'imputato (intende farsi riferimento alle interlocuzioni con l'avv. Ge., incontrato dallo ZO. il 6.5.2015 presso la sede B. di Roma) e che portarono alla decisione di adottare un segnale di forte discontinuità nel management; - così per il contegno tenuto dall'imputato in relazione alla scoperta delle lettere di garanzia ed alla criticità dei fondi lussemburghesi (par.3.3 lett. h), trattandosi, anche in tal caso, di condotte assunte, nel pieno dell'ispezione Bc., in una situazione di crisi oramai conclamata, sicché qualsivoglia comportamento finalizzato ad ostacolare l'emersione di tali questioni sarebbe stato davvero "suicida". Ed è proprio in questi termini che può leggersi anche la decisione di denunziare i fatti all'a.g. (peraltro solo nel mese di agosto del 2015), donde l'irrilevanza, sul punto, anche di tale elemento; - così, ancora, per le "dimissioni" del d.g. So. e degli imputati GI. e PI. (par. 3.3, lett. i), posto chetali iniziative, al contrario, depongono nel senso di una decisa iniziativa del presidente il quale, con specifico riferimento all'allontanamento del direttore generale, agì con assoluta determinazione, addirittura sostanzialmente ponendo il CdA, come s'è detto, dì fronte al fatto compiuto; - così, infine, per il comportamento tenuto dall'imputato, negli ultimi mesi, durante la "gestione Io." (par. 3.3, lett. j). Se è vero, infatti, che il giudicabile, in questo periodo, non risulta avere frapposto ostacoli agli accertamenti in corso, è del tutto evidente che, in quel contesto, nessuna differente condotta avrebbe avuto alcun senso, sicché del tutto ragionevolmente il tribunale, ad onta di quanto censurato, sul punto, dalla difesa, ha omesso di considerare specificamente tale circostanza. In altri e decisivi termini, sostenere, come vorrebbe l'appellante, che l'imputato svolgesse, nella presidenza di (...), se non un ruolo di mera rappresentanza, una funzione strettamente "istituzionale" e che, conseguentemente, non fosse coinvolto nella concreta operatività dell'istituto, è conclusione radicalmente contraddetta da una ragionata analisi del panorama probatorio disponibile che, come s'è visto, predica di una costante e "debordante" presenza dell'imputato nella vita della banca. D'altronde, l'intervento effettuato dallo ZO. in occasione della citata seduta del CdA del 5.11.2013 - trattasi sostanzialmente di un lungo monologo, la cui registrazione audio è stata anche ascoltata in udienza nel corso dell'esame del coimputato GI. - restituisce la più vivida immagine di un presidente assolutamente consapevole tanto della generale situazione di difficoltà in cui versava l'intero settore delle banche popolari (settore rispetto al quale l'imputato, nell'occasione citata, si poneva come un vero e proprio punto di riferimento, nel riportare ai consiglieri le interlocuzioni occorse con i vertici di altre banche popolari e con lo stesso presidente delle Associazioni delle Ba.Po.), quanto, più specificamente - ed è ciò che maggiormente rileva in questa sede - dello stato di profonda sofferenza nel quale si dibatteva B. a causa della crisi del mercato secondario, tanto da spingersi a sostenere l'ineluttabilità di una radicale riforma del settore, nella evidente speranza che ciò potesse assicurare a B. una via d'uscita dalla oramai cronica situazione di illiquidità del titolo e da impegnarsi personalmente in tal senso. Certamente, si trattava di temi "strategici" e non immediatamente gestionali; tuttavia, le ricadute operative erano immediate e di assoluto rilievo. Peraltro, nel corso di tale intervento, è dato cogliere la piena contezza, in capo al giudicabile: - non solo della gravità della situazione del mercato del titolo B. e della conseguente sopravvalutazione del valore dell'azione, dato che una delle (rare) interruzioni del discorso dell'imputato (interruzione posta in essere, come precisato all'udienza del 17.6.2022 dalla difesa ZO. nel produrne la trascrizione effettuata a sua cura e come confermato dall'imputato GI. durante l'ascolto in aula del relativo file audio, da Gi.Fa., già per anni al vertice della segreteria particolare del Direttorio della Banca d'Italia, indi andato in pensione e divenuto, nel corso di quello stesso anno 2013, consulente di B., nonché presente con regolarità, secondo quanto affermato da GI., ai consigli di amministrazione della Banca, anche se, a suo dire, egli si limitava a stare "a disposizione nella stanza antistante il Consiglio"; il Fa. è stato infatti escusso come teste in primo grado all'udienza del 14.7.2020) consiste proprio in un puntuale intervento dell'interlocutore Fa. in tal senso: "...le popolari italiane ancora non sono interessanti oggi probabilmente (e non "forse'", come erroneamente riportato nella citata trascrizione) il valore detrazione è sopravvalutato..." (cfr. trascrizione citata, pag. 7). Ed invero il predetto Fa., al di là del già chiaro tenore del suo intervento di fronte a ZO. nel CdA del 5.11,2013 (intervento che, peraltro, egli, in sede di deposizione testimoniale, resa il 14.7.2020, ha sostenuto, in contrasto con la documentazione audio in atti, citatagli in aula, di non ricordare affatto: cfr. pagg. 44-45 verbale stenotipico cit.), è stato - sul punto - finanche più esplicito nel corso della deposizione testimoniale suddetta, allorquando ha dichiarato quanto segue, pur cercando a un certo punto di attenuare in parte l'iniziale peso della sua affermazione (cfr. pag. 21 del relativo verbale stenotipico): "TESTIMONE Fa. - Guardi, parlando con I miei col leghi (della Banca d'Italia) mi è stato segnalato, mi dissero: guarda, lì il problema vero è l'azione che è sopravvalutata, il valore dell'azione che era sopravvalutata. - PRESIDENTE - Con quali colleghi ha parlato, mi scusi? - TESTIMONE Fa. - Ho parlato con colleghi della vigilanza. - PRESIDENTE - Sì. Qualcuno, qualche nome? - TESTIMONE Fa. - No. - PRESIDENTE - Non ricorda nessun nome? - TESTIMONE Fa. - No. Insomma, erano colleghi con i quali si aveva consuetudine di scambiare... - PRESIDENTE - Sì, giusto per identificarli. - TESTIMONE Fa. - No, no. L'azione era sopravvalutata, come però lo era per tutte le banche popolari, era un problema diciamo comune a tutta la categoria delle banche popolari, ma la sopravvalutazione allora non era completamente fuori linea, c'era una j sopravvalutazione ma... così"; - ma anche delle implicazioni patrimoniali di tale crisi con riferimento al fondo acquisto azioni proprie ("....il problema delle popolari così come sono concepite è che quando cominciano a venderti le azioni e tu non le compri perché non hai più il fondo di acquisto azioni proprie che va a deprimere il patrimonio, ehhh tu sei finito, sei finito..." - cfr. trascrizione prodotta dalla difesa ZO.; foglio 6). Come si è visto, infatti, la strategia del ricorso al "capitale finanziato" ha rappresentato, nelle intenzioni dei vertici aziendali, la risposta alle difficoltà del mercato secondario del titolo e, quindi, lo strumento per assicurare la "sopravvivenza" dell'istituto di credito. Ed i piani aziendali, pacificamente irrealizzabili (e non certo solo "sfidanti", secondo l'eufemistica espressione adottata da taluni testimoni - cfr. dep. Fa., udienza 15.6.2022, pag. 12; cfr. dep. Ca., udienza 6.2.2020, pag. 68, cfr. inoltre, infra), erano predisposti in tal modo - esattamente come esplicitato dal chiamante in correità GI. - proprio in quanto funzionali a sostenere il valore dell'azione, palesemente sopravvalutata, in una sorta di dissennata rincorsa verso il baratro. Né, del resto, quella del 5.11.2013 è stata fa sola seduta del CdA durante la quale gli interventi del presidente ZO. hanno palesato la piena e consapevole partecipazione dello stesso alla gestione della banca, ben al di là, quindi, dì quel ruolo formale che, nell'appello, vorrebbero ritagliargli i difensori. In particolare, in occasione della seduta del 28.10.2014, ZO. e So. risultano essere intervenuti proprio sul tema della difficoltà di collocare le azioni e, in quel contesto, il d.g. ha effettuato un palese - ancorché non esplicito - riferimento a mutui al quale erano "appiccicate" le azioni, ovverosia a finanziamenti correlati da effettuare in sede di aumento di capitale; "... (Zo.): davamo una certa velocità, adesso questo è come dover passare per un buco stretto, è dura. (So.) Ecco un'altra considerazione, Purtroppo è che la crisi continua, la crisi c'è. E quindi se prima, fino a due anni fa, i 6250 Euro, pari a 100 azioni, era abbastanza normale e facile che uno li appiccicava al mutuo, al mutuo di 100.000, 110.000, 80.000, oggi per un reddito di 1500; 2000 Euro al mese, che già il rapporto rata reddito fa fatica a pagare la rata, aggiungere 6250, vi assicuro che è complicato, no? Dicono; ma non possiamo comprarne meno? Noi non ci interessa diventare soci basta essere, avere un po' di azioni. Quindi....(Zo.) se hanno azioni e non sono soci non possono avere (So.) le agevolazioni....piuttosto se necessario andiamo in assemblea e portiamo la proprietà minima a 50 azioni...). Ma significative della consapevolezza delle dinamiche operative della società sono anche le registrazioni sia della seduta del CdA 19.3.2013, in occasione della quale l'imputato aveva spiegato agli interlocutori come la decisione di pagare il dividendo in azioni fosse stata adottata per svuotare il fondo acquisto azioni proprie: "(Zo.)....solo che gli ultimi due anni li abbiamo dati in azioni, in azioni che avevamo in portafoglio, nel fondo acquisti azioni proprie per svuotare più o meno questo fondo, in modo da ricominciare dal 1 gennaio o subito dopo le...subito dopo l'assemblea, per essere più corretti, perché c'è il periodo dove non commercializziamo, non vendiamo e non acquistiamo le azioni..."); sia della seduta del CdA 4.3.2014, nel corso della quale il presidente, con riferimento all'aumento di capitale che era in procinto di essere lanciato, si era esposto al punto da precisare che, in attesa dell'approvazione da parte delle autorità dì vigilanza, sarebbe stato necessario spingere sulla rete commerciale al contempo assicurandosi che venisse mantenuta la segretezza di tale operatività: "... (Zo.) noi chiederemo alla Consob Banca d'Italia di approvare la....quando ....un po' prima....intanto si fa formazione sulla rete, che non devono parlare, devono spiegare bene come dicevano....perché bisogna fargli capire....che è un po' complessa, ma insomma, quando poi... quando è entrata nella testa poi non è così complicato, non è così difficile dai..."): sia, infine, della seduta del CdA 11.6.2013. posto che il giudicabile, con riferimento ancora una volta alle operazioni di aumento di capitale, si era dimostrato pienamente consapevole e partecipe finanche dei passaggi più strettamente operativi dell'operazione, peraltro gestiti, ancora una volta, nel segno dell'illegalità, in quanto in contrasto con le prescrizioni ricevute all'atto della relativa autorizzazione: (Za.) ....scusa presidente....ma viene mandata una lettera ai soci? (So.) sì (Za.)...ecco perché non tutti leggono i giornali (Zo.)...prima di mandare la lettera dovevamo avere un'autorizzazione., la lettera è pronta? (So.) è tutto già predisposto...adesso la vediamo.... sì sì questa è l'ultima autorizzazione sì... (Zo.) bisogna partire veloci con le lettere, perché sennò i soci si lamentano se vogliamo prorogare di un mese è possibile? No non non, ma riteniamo di non aver problemi (Zo.) Adesso i soci vengono tutti contattati dai nostri dipendenti, oltre che con la lettera. (So.) oltre che la lettera, c'è un'azione, una campagna molto dettagliata...)". Infine, l'audio della seduta del 18.6.2013 costituisce chiara conferma non solo della ingerenza dell'imputato nelle concrete dinamiche operative dell'istituto ma - come si avrà modo di ribadire più oltre - della stessa conoscenza del capitale finanziato, là dove riscontra le dichiarazioni del GI. in ordine alla richiesta di sottoscrizione di operazioni finanziate avanzata dall'imprenditore siciliano Co., Solo in tale prospettiva, infatti, è possibile attribuire un senso all'invito alla cautela ed alla riservatezza formulato dall'imputato al GI. in vista della interlocuzione con tale potenziale investitore: "... (Zo.) ... le prime sensazioni e ... mi raccomando attenzione per quel signore e noi non facciamo mai doppio conto. O è un correntista di Vicenza o è un correntista di banca nuova. I doppi conti non vanno bene. (Gi.) Già gli ho anticipato di aver parlato con i colleghi di banca nuova...(ZO.) meglio esser prudenti perché chiacchiera chiacchiera. (GI.) gli darò tutte le informazioni che ho recuperato oggi e poi... (ZO.)...però non si sa mai insomma... .mi ha fatto un discorso, mi ha detto: casomai possiamo fare 5 milioni, poi 2/3 milioni li mettiamo noi in azioni...(GI.) ma l'ha fatto (ZO.) anche a lei? Attenzione ... (GI.) io gli ho detto che se si tratta di fare un finanziamento per quei 3 milioni va bene, ma poi per il resto non ci interessa perché non abbiamo azioni da dargli. (ZO.) e cosa ha detto? Non ha più parlato....)". Quindi, riassumendo: Zo.Gi., è stato tutt'altro che un presidente "istituzionale" e men che meno un presidente "di facciata" o "decorativo", occupato solamente, come assai riduttiva mente vorrebbe la difesa (sulla base di un lettura parziale e - soprattutto - oltremodo parcellizzata del materiale probatorio complessivamente disponibile), da un lato, a curare l'immagine dell'istituto di credito, attraverso una maniacale attenzione prestata a questioni di dettaglio (gli arredi degli immobili dell'istituto; i menù delle "cene sociali" ecc.) e, dall'altro, a delineare "strategie operative", senza poi curarsi degli snodi essenziali della gestione della banca. Piuttosto, durante il lungo periodo nel quale ha ricoperto la presidenza dell'istituto di credito vicentino, è stato l'anima della banca, anzi, "è stato la banca" (realmente efficace, invero, è la descrizione dell'imputato offerta dall'imprenditore RO., riportata a pag. 623-624 della sentenza impugnata: Mera il capo, il padrone il padrone della banca, era il presidente della banca, il riferimento di tutti..."): l'ha rappresentata nelle interlocuzioni con gli ambienti politici ed istituzionali; ne ha assicurato lo stretto legame con il tessuto imprenditoriale, non solo locale; ma, soprattutto, per quel che specificamente rileva in questa sede, ne ha ispirato la politica aziendale - per scelta diretta dell'imputato orientata ad una insostenibile espansione territoriale, implicante una moltiplicazione delle strutture e degli sportelli sul territorio e tale da assorbire consistenti quote di capitale ("la banca sono le sue strutture", infatti, era il principio ispiratore del presidente, tanto da averlo indotto a cassare ogni proposta di recuperare liquidità dalla vendita di asset immobiliari, come ricordato dal GI.144; si ricordi, ancora, l'operazione relativa alla sede di Cortina d'Ampezzo) - seguendone anche direttamente l'attuazione, nonostante la consapevolezza della situazione di crisi in cui versava l'istituto, non solo con specifico riferimento al mercato secondario del titolo. Tali conclusioni, come s'è visto, si impongono alla stregua di solide evidenze fattuali, corroborate da coerenti valutazioni provenienti da soggetti assai ben informati del tema in esame (Valutazioni, quindi, non certo derubricabili a meri, opinabili apprezzamenti). Chiaramente sintomatico di un siffatto approccio alla presidenza da parte del giudicabile è anche un passaggio dell'intervento effettuato dall'imputato nel CdA del 5.11,2013, nel quale emerge addirittura la diretta partecipazione ad un incontro con i capi area: "Io personalmente sono convinto che se vogliamo che il mondo cooperativo vada avanti a livello di banche popolari dobbiamo dare, perché quando abbiamo fatto la riunione dei capi area ho fatto una domanda ho detto "voi dovete rispondermi perché le persone devono investire sulle banche popolari?.....Perché vanno su il valore delle azioni.. Fino a 4/5 anni fa è andata bene, adesso francamente non è più così..."(cfr. trascrizione citata, pag. 1). Tutto ciò il giudicabile ha fatto assicurandosi il più saldo controllo dell'istituto, mediante la scelta di manager di fiducia (la sorte dei quali ha autonomamente decretato, anche al di fuori del ristretto ambito delle sue competenze) ed attraverso il netto rifiuto opposto alla proposta di quotazione in borsa avanzata ripetutamente dal d.g. Gr. (soluzione che - va detto per inciso - avrebbe scongiurato l'esito fallimentare poi verificatosi) e menando vanto, nella interlocuzione con i soci, di tale scelta. Quando, poi, la situazione era oramai divenuta insostenibile e solo una radicale riforma del settore avrebbe potuto salvare B., lo ZO. si è bensì impegnato attivamente in tal senso (circostanza che costituisce l'ennesima conferma della centralità del ruolo ricoperto dal giudicabile, non solo nell'ambito delle dinamiche interne alla banca vicentina, ma nell'intero "circuito" delle banche popolari); ciò ha fatto, tuttavia, animato dall'intenzione di assicurarsi che tale riforma venisse pilotata - secondo gli auspici dell'imputato anche attraverso l'inserimento, nella commissione che se ne sarebbe dovuta occupare, di nomi a lui graditi (nomi, peraltro, che lo stesso ZO. aveva già autonomamente individuato) - verso un esito nel quale l'ingresso di nuovi soci avrebbe dovuto convivere con il vecchio sistema di governance, in modo che fosse comunque assicurato il perpetuarsi del controllo della banca (sul punto, è d'uopo il richiamo a quanto prospettato dall'imputato ai consiglieri nel corso della seduta del CdA poco sopra evocata, alla trascrizione della quale, in questa sede, s'impone un formale rinvio). In conclusione, la ricostruzione delle modalità dì esercizio della presidenza da parte dell'imputato quali espressione di una costante ingerenza nell'operatività dell'istituto è stata dal primo giudice ancorata a solide evidenze probatorie, peraltro successivamente implementate, nel dibattimento d'appello, dalle dichiarazioni dei propalante GI., sicché, su) punto, non pare davvero possibile nutrire perplessità di sorta. Se così è - e, per quanto sin qui detto, non pare davvero possibile opinare diversamente - possono apprezzarsi in termini di evidenza tanto l'inconsistenza fattuale quanto l'insostenibilità logica della tesi difensiva secondo la quale l'imputato, confinato in un ruolo meramente decorativo e dì mera rappresentanza - o, al più, impegnato a vagheggiare strategie aziendali (sul punto, l'appello richiama, in particolare, la deposizione del teste Do. in ordine agli interessi meramente "strategici" dell'imputato146), ma senza avere alcuna concreta possibilità di incidere sulla realizzazione di tali progetti - non avrebbe avuto alcun sentore del fenomeno del capitale finanziato, fenomeno la responsabilità del quale sarebbe tutta esclusivamente addebitabile al vertice immediatamente esecutivo di B., ovverosia al d.g. So. oltre che, com'è ovvio, ai suoi più stretti collaboratori (stante l'evidente impossibilità, per costui, di attuare "in solitudine" scelte dalle ricadute operative e gestionali tanto complesse). In effetti, nella prospettiva sostanzialmente sottesa all'atto d'appello (ed esplicitamente rappresentata in questi termini in sede di conclusioni), il presidente, dedicandosi a seguire iniziative culturali e benefiche o, comunque, ad un ruolo dì generica rappresentanza e di mero indirizzo, sarebbe rimasto vittima inconsapevole di una sorta di "congiura del silenzio" per effetto della coordinata azione di dirigenti infedeli i quali, peraltro - non può non rilevarsi - non avrebbero agito per trarne un immediato vantaggio, se non quello di assicurarsi il mantenimento delle rispettive posizioni - tutt'altro che precarie, in verità - nel board ristretto della banca, bensì per scongiurare la crisi dell'istituto di credito o, quantomeno, per differirne gli effetti. Questo, con l'inevitabile corollario (non esplicitato dall'appellante ma imposto dalle evidenze processuali) che tale "congiura" ai danni del presidente sarebbe stata posta in essere pressoché dall'intera dirigenza operativa della banca. Ora, non v'è chi non veda che si tratta di una ipotesi intrinsecamente irragionevole e davvero inconciliabile con la vastità, la risalenza e le complesse implicazioni del fenomeno in esame, necessariamente tali da coinvolgere l'operatività (come s'è già visto analizzando le posizioni dei coimputati MA., GI. e PI.) pressoché dì tutte le articolazioni operative dell'istituto (ovverosia "il mercato", "la finanza", il "credito" e, come si dirà più oltre, anche "il bilancio"). Al riguardo, infatti, sono davvero illuminanti le puntuali considerazioni dell'ispettore Ga.: "....Sì, So. sostanzialmente riferisce, come dire, di una piena consapevolezza da parte della struttura direttiva di Po.Vi. del fenomeno Ma del resto, insomma, come dire, io non faccio fatica a credergli perché, ripeto ancora, le dimensioni del fenomeno, la persistenza nel tempo, la persistenza nel tempo soprattutto, il fenomeno è durato anni, l'estensione del fenomeno, sono cose che è obiettivamente impossibile, impossibile che siano gestite all'insaputa di un coordinamento da parte dell'alta direzione, e non solo di un solo soggetto ma, insomma, di una serie di soggetti: devono coordinare una struttura, una rete commerciale che deve fare queste operazioni, è necessario, come dire, una piena comunione di intenti da parte del vertice aziendale ...". Peraltro - va precisato - la situazione di estrema difficoltà nella quale versava l'istituto non era nota solo ai vertici operativi della banca, ma anche ai funzionari che occupavano ruoli che li ponevano quotidianamente a contatti con le "conseguenze pratiche" della crescente, inarrestabile inappetibilità del titolo: davvero significative, sul punto, sono le dichiarazioni rese dal teste Ro., addetto all'ufficio soci, il quale ha efficacemente descritto il contesto di sostanziale paralisi nell'ordinario avvicendamento dei soci, riferendo di "valanghe" di richiesta di vendita segnalate come urgenti a partire dagli anni 2011-2012 e precisando che ciò aveva anche fatto "saltare" il criterio cronologico in precedenza seguito per l'evasione delle relative pratiche. Evidentemente consapevole della debolezza logica di siffatta prospettazione alternativa, la difesa ha puntellato tale ricostruzione della vicenda sostenendo che il presidente sarebbe stato tenuto all'oscuro della prassi delle operazioni correlate per effetto di quella sorta dì "muro invalicabile" che il d.g. So. avrebbe appositamente eretto per "confinare" il presidente, impedendogli di interloquire con i restanti membri del management e, in tal guisa, scongiurando il rischio che lo stesso ZO. potesse acquisire contezza di tale prassi dagli altri top manager di B. (ai quali il So. riferiva, per rassicurarli, che il presidente, contrariamente al vero, condivideva la prassi delle "baciate"). In buona sostanza, il So. avrebbe ingannato, al contempo, "a monte", il presidente, nascondendogli il sistematico ricorso alla concessione di finanziamenti per l'acquisto dei titoli B.; e, "a valle" i suoi più stretti collaboratori, millantando con costoro di fruire, al riguardo, del pieno appoggio di ZO.. Di talché il presidente sarebbe rimasto estraneo rispetto a quel "comitato ristretto" responsabile, secondo la stessa difesa dell'imputato, "dell'operatività occulta all'interno di B.". E, a corroborare tale impostazione, concorrerebbero, secondo la difesa, le deposizioni dei testimoni Ca., To. e Tu., là dove costoro hanno riferito che il So. era assai accorto nel riservare a sé stesso le interlocuzioni col Presidente (il teste Ca. avendo precisato, peraltro, che il d.g. veniva immediatamente informato di eventuali contatti tra i dirigenti e lo ZO. ed era solito chiedere immediate spiegazioni al riguardo). Inoltre, la medesima difesa, anche da ultimo151, ha richiamato la deposizione resa dalla teste Pi. innanzi a questa Corte là dove costei ha avuto modo di rievocare una conversazione intrattenuta col GI. nel corso della quale questi le aveva riferito che il So., richiesto di precisare se effettivamente il presidente fosse a conoscenza delle "baciate", aveva bensì rassicurato l'interlocutore sostenendo che, seduta stante, avrebbe telefonato allo ZO. per acquisirne il rinnovato consenso, ma aveva poi effettuato la chiamata al presidente ponendosi al riparo dall'ascolto del vicedirettore, così ponendo io/ essere una condotta dalla quale, ad avviso della teste, non poteva certo trarsi la conferma dell'effettivo coinvolgimento dello stesso ZO. nella prassi in esame. Ed un analogo episodio, parimenti richiamato dal difensore, è stato quello descritto nel corso di una conversazione telefonica intercorsa tra Bo. e Fe., in occasione della quale si era fatto esplicito riferimento ad una telefonata che il So. aveva intrattenuto con lo ZO. senza che i presenti potessero ascoltarlo (nell'occasione il d.g. si sarebbe recato in bagno). Ancora, lo stesso Gi. - ha soggiunto la difesa - nel corso dell'esame reso il 17.6.2022, nel sostenere che se avesse riferito qualcosa al Presidente ovvero al CdA avrebbe messo a serio repentaglio il proprio posto di lavoro, avrebbe corroborato tale impostazione. Infine, la medesima difesa, richiamando le deposizioni rese dai testimoni An. e Tu. ed il resoconto del coimputato ZI., ha evidenziato, a riprova dell'estraneità dell'imputato al "comitato ristretto" responsabile delle operazioni "baciate", la scansione degli eventi verificatisi tra la fine di aprile e l'inizio di maggio del 2015: quando l'imputato, informato da Ca. e An. di quanto andava emergendo, ne aveva chiesto conto al So. ed al GI., costoro, invece di richiamare il presidente ad una comune assunzione di responsabilità, come sarebbe stato lecito attendersi se fossero stati tutti d'accordo, si erano accusati reciprocamente dell'ideazione delle operazioni. Ebbene, nonostante tali osservazioni (come si vedrà, tutt'altro che decisive), l'insostenibilità dell'impostazione difensiva permane invariata. Non solo, infatti, il protagonismo del giudicabile nella operatività aziendale, siccome in precedenza delineato, fa giustizia, in punto di fatto, di tale ipotesi, ma trattasi di ricostruzione che, non appena sottoposta a quel più approfondito vaglio sollecitato dagli argomenti valorizzati dalla difesa, manifesta tutta la sua inconsistenza sul piano della logica più elementare. Come s'è detto, la tesi della conventio ad excludendum del presidente ZO. ordita dal d.g. So. confligge, anzitutto, con la semplice osservazione che il fenomeno del capitale finanziato era ben noto all'interno delle strutture operative della banca e, in particolare, era di pubblico dominio nell'ambito della rete commerciale dell'istituto (costituita - sarà bene ribadirlo - non già da pochi impiegati confinati in un ufficio isolato, ma da alti dirigenti, numerosi funzionari e migliaia di addetti sparsi sul territorio) chiamata ad attuare con prontezza le direttive di collocamento delle azioni, anche attraverso appositi - finanziamenti, impartite alla catena commerciale del d.g. So. per il tramite del vicedirettore GI. (come da questi convincentemente illustrato. Assolutamente significative, sul punto, sono le dichiarazioni rese dai testi Pi., Ba., Ni. e Ba.. S'è visto, del resto, che le disposizioni in ordine al mantenimento del segreto di tale prassi erano destinate ad operare all'esterno - e, segnatamente, nei confronti della vigilanza - attraverso il divieto di lasciarne traccia scritta, non certo nei confronti di una rete commerciale tanto ramificata. Lo stesso teste Mo., del resto, nel corso della sua rinnovata escussione dibattimentale - pure connotata, come si dirà più oltre, da un marcato ed interessato approccio "riduzionistico" nella descrizione della conoscenza del fenomeno (là dove ha riferito come delle "baciate" non si parlasse apertamente) - non ha potuto negare come non fossero mancati i riferimenti, ancorché allusivi, a tale fenomeno (ad esempio nel corso dei contatti informali tra i capi area, ecc.). Analogamente, il teste Fa., anch'egli in sede di rinnovata escussione e parimenti nell'ambito di una deposizione orientata al sistematico ridimensionamento della diffusa conoscenza dei fatti e delle singole responsabilità, ha riferito come, prima del periodo di forte tensione in cui va collocata la seduta del comitato del 14,4,2014, il fenomeno delle "baciate" fosse noto e tollerato, in quanto "prassi comune alle banche popolari". Aggiungasi che, come evidenziato dal tribunale, il fenomeno in esame, nelle sue linee generali, era comunque noto: - sia all'interno del CdA (diversamente da quanto sostenuto dai plurimi consiglieri escussi) - come, peraltro, significativamente affermato dallo stesso So. nel corso di una rilevante conversazione intercettata - se non altro a quei componenti dell'organo collegiale che ne avevano consapevolmente fruito e, ragionevolmente, anche a coloro che avevano più stretti rapporti con il contesto di imprenditori locali che avevano acquisito, nel tempo, "pacchetti" di azioni di valore rilevantissimo; - sia all'interno del Collegio Sindacale, almeno nella persona del suo presidente e nelle sue linee generali (significativo, al riguardo, nonostante la percepibile cautela lessicale ragionevolmente dettata dalla consapevolezza della registrazione, è il seguente passaggio della seduta del comitato per il controllo 22.11.2013: "... (Es.) No...caro presidente del collegio sindacale, lei sa molto bene che il fondo a fine anno ...Cosa succede? Non mi fate parlare ... (Za.) ... diventa a zero ... (Es.) ... bravo (Za.) ... zero ... Allora li (inc.) ... (Es.) ecco, bravo ...grazie ho finito ...)". Peraltro, le sentenze della Cassazione civile che hanno confermato le sanzioni irrogate da CONSOB nei confronti di numerosi membri del CdA (oltre che dei sindaci), per un verso, hanno evidenziato la sussistenza di una sequela di indici di allarme che ben avrebbero dovuto rendere percepibile la connessione tra le richieste di finanziamento e gli acquisti di azioni; e, per altro verso, hanno messo in evidenza come la CONSOB, già nel 2014, avesse sollecitato un adeguato controllo sui legami intercorrenti tra i componenti del CdA ed i sindaci, da un lato, ed i soggetti beneficiari dei finanziamenti, dall'altro, richiesta, questa, che non poteva non costituire un palese segnale di allarme di possibili anomalie (cfr. Cass. civile 4519/22 su ricorso Br.). Né, d'altro canto, è minimamente emerso che il d.g. avesse diffidato alcuno, tra i dirigenti/funzionari di B., dal riferire alcunché al presidente ZO.. Anzi, vi sono elementi di segno nettamente contrario, ove si consideri che il teste Ba. ha riferito come, interpellato dallo ZO. prima che quest'ultimo si incontrasse con Be., non avesse esitato a riferire al presidente delle operazioni correlate effettuate da tale investitore. Pertanto, confidare che il presidente potesse restare all'oscuro di una prassi la cui conoscenza era tanto diffusa pare, a dir poco, inverosimile. Se, poi, sì tiene debitamente conto del coinvolgimento nella sottoscrizione di operazioni di capitale finanziato di larga parte dell'imprenditoria vicentina, ovvero di quel contesto produttivo del quale l'imputato era campione, e si consideri, inoltre, che fra i sottoscrittori v'erano amici di vecchia data del giudicabile (e finanche il di lui cognato), non v'è chi non veda come l'ipotesi difensiva di uno ZO. pressoché unico soggetto ignaro di un fenomeno, per il resto, pressoché notorio, finisca davvero per dissolversi nell'assoluta irrealtà. In questa prospettiva, quindi, le osservazioni dell'appellante basate sulle dichiarazioni valorizzate dalla difesa ed in precedenza evocate (trattasi, segnatamente, delle deposizioni Ca., To., Tu., Pi.), pure convergenti nel delineare l'estrema attenzione con la quale il So. aveva riservato alla propria persona le interlocuzioni con il presidente, lungi dal dimostrare l'esistenza di un piano orchestrato dal d.g. per "isolare" il presidente stesso, onde poterlo più agevolmente ingannare con riferimento alla questione di vitale importanza del capitale finanziato, trovano ben più agevole spiegazione in una condotta conseguente ad una impostazione degli assetti dirigenziali fortemente gerarchizzata, condotta, peraltro, con ogni probabilità, esasperata dal timore del d.g., di essere "scavalcato" dai vicedirettori. Ed è proprio in quest'ottica che può trovare agevole spiegazione anche la vicenda delle telefonate (probabilmente, peraltro, trattasi dello stesso episodio) alla quale hanno fatto riferimento la teste Pi. in sede di deposizione e gli interlocutori della citata conversazione intercettata n. 114, nel senso che una interlocuzione effettuata, con il presidente, alla presenza di terzi e ponendo lo ZO. a conoscenza del fatto che i più stretti collaboratori del d.g. non avevano fiducia nel loro "capo", avrebbe finito irrimediabilmente per compromettere l'autorevolezza dello stesso d.g. agli occhi del medesimo presidente. Quanto, poi, alle dichiarazioni rese dal GI., sì è in presenza di un contributo narrativo impropriamente evocato, posto che, a rileggere il relativo passaggio dell'esame, si coglie chiaramente che il propalante intendeva riferirsi alla impossibilità, pena l'immediato allontanamento dalla banca, di investire il CdA della questione del capitale finanziato, in quanto si sarebbe trattato di una iniziativa, peraltro del tutto irrituale, assunta in plateale violazione della "direttiva" secondo la quale il tema in esame non sarebbe dovuto mai emergere formalmente (cfr. verbale udienza 17.6.20220, pag. 32: IMPUTATO GI. - Eravamo molto preoccupati della regolarità di questo tipo di operazione, e quindi volevamo essere sicuri che fossimo coperti da Zo., dal Consiglio di Amministrazione e dal Collegio Sindacale. DIFESA, AVV. Ma.Gi. - E non ha mai sentito l'esigenza lei, o qualcun altro che aveva queste preoccupazioni, di parlarne apertamente in CdA? Dato che lei continua a dire che il CdA era a conoscenza. IMPUTATO GI. - No, ma ero fuori dalla Banca il giorno dopo. DIFESA, AVV. Ma.Gi. - Come? IMPUTATO GI. - Ero fuori dalla Banca il giorno dopo. Questa è un'operatività che doveva rimanere occulta non dichiarata, non scritta, di cui non si doveva parlare, per cui tutti si nascondevano dietro a formalismo di una comunicazione ufficiale. Per cui, nella sostanza: tutti sapevano, ma formalmente non dovevano esserci comunicazioni ufficiali. Se io ne avessi parlato col Presidente, coi Consiglieri in Consiglio di Amministrazione, il giorno dopo sarei stato messo fuori dalla Banca ..."). Non è certo in questo passaggio delle parole del chiamante in correità, quindi, che può trovare sostegno la tesi di un presidente confinato in un ruolo puramente formale ed all'oscuro dell'andamento della gestione dell'istituto di credito vicentino. Infine, con riferimento alle osservazioni critiche fondate sull'asserita incoerenza della condotta del So. e del GI. (là dove costoro non avrebbero invitato il presidente ad una assunzione di responsabilità) è sufficiente evidenziare, per un verso, che non è certo dalla voce dì testimoni (è il caso del teste An.) che non conoscevano le reali dinamiche della gestione del capitale finanziato in atto, a vari livelli, presso l'istituto, che possono ricavarsi elementi decisivi per comprendere la natura dei rapporti, sul punto, tra il presidente, il d.g. So. ed il vicedirettore GI. (essendosi già detto, peraltro, che i primi due erano soliti incontrarsi riservatamente per discutere delle questioni inerenti all'istituto di credito), mentre assai più convincenti, in proposito, sono le informazioni che si ricavano dalle già evocate intercettazioni delle conversazioni intrattenute dal medesimo d.g.; e, per altro verso, che è dalla puntuale descrizione degli accadimenti restituita dall'esame del GI. - il quale ha efficacemente rievocato la surreale situazione creatasi allorquando, il 4.5.2015, si era incontrato con lo ZO., in termini che è opportuno, di seguito, riportare integralmente - che si trae la prova dell'effettivo assetto dei rapporti, al vertice dell'istituto, in relazione al delicato tema della gestione dell'operatività illecita: Omissis In un contesto basato sulla continua dissimulazione, sull'occultamento dell'operatività illecita, su interlocuzioni, al vertice, "separate" (si è già detto - peraltro anche sulla base delle dichiarazioni del teste An. - che il d.g. So. faceva da "cerniera" tra il presidente ed il resto del management) e, finanche, sulla plateale menzogna, voler arguire l'estraneità dello ZO. rispetto al fenomeno in esame dalla apparente incoerenza della condotta di protagonisti che tentavano, disperatamente, di ridimensionare le proprie responsabilità, anche a scapito dei colleghi; pretendere che il GI. - il quale, messo alle strette, si era visto obbligato a richiedere un colloquio con lo ZO. nella speranza di salvare il proprio posto in B. - aggredisse frontalmente il presidente dell'istituto inchiodandolo alle sue responsabilità (e decretando, in tal guisa, il proprio definitivo allontanamento dalla banca), pena l'incoerenza di quanto dal medesimo GI. poi dichiarato in sede processuale, pare, a questa Corte, davvero insostenibile. A fortiori, tali considerazioni si impongono con riferimento all'incontro del quale ha riferito il teste An. nel passaggio della sua deposizione evocato dalla difesa (cfr. pagg. 54-55 delle "note scritte di discussione"), incontro nel corso del quale, peraltro, secondo detto teste, il chiamante in correità aveva sostenuto, alla presenza anche dello stesso ZO., come il So., nel tempo, avesse ripetutamente affermato che il presidente era a conoscenza del fenomeno in esame (e tutto ciò, stando al racconto dello stesso An. - il quale, in effetti nulla ha riferito sul punto - senza che il predetto ZO. obiettasse alcunché, circostanza, questa, che pare anch'essa tutt'altro che irrilevante). In definitiva, ipotizzare, come vorrebbe l'appellante, che l'imputato sia rimasto vittima di una sorta di tradimento da parte del So. e dei più stretti collaboratori di quest'ultimo (tradimento, peraltro, pressoché con certezza destinato a venire alla luce, stante la inevitabile, diffusa conoscenza del capitale finanziato all'interno della rete dell'istituto e considerata la protrazione nel tempo, per anni, di tale illecita operatività) costituisce una interpretazione della vicenda radicalmente smentita, sul piano della razionalità e nei termini di minima ragionevolezza, dalla sensata lettura delle complessive emergenze istruttorie, non già da una mera, meccanicistica applicazione di astratti criteri logici. In effetti, ove si considerino: - la natura risalente, pervasiva e sistematica del fenomeno del ricorso all'erogazione di finanziamenti destinati all'acquisto di azioni proprie B. (o ad altri rimedi, come le "lettere di impegno al riacquisto"), fenomeno divenuto, nella prospettiva dell'alta dirigenza dell'istituto di credito, man mano che le difficoltà del mercato secondario delle azioni della banca da sporadiche divenivano "strutturali", l'unico rimedio concretamente praticabile, se non per superare tale stato di grave criticità, assicurando la liquidità del titolo e scongiurando il default della banca, quantomeno per differirne la manifestazione e, così, procrastinarne gli effetti deflagranti (in un contesto, peraltro, nel quale non si intendeva invertire la rotta rispetto alla politica di espansione territoriale dell'istituto, anche perché ciò avrebbe rivelato la sopravvenuta condizione di difficoltà della banca); - le inevitabili implicazioni in tema di omesse decurtazioni e di comunicazioni decettive all'organo di vigilanza di tale metodico ricorso al finanziamento dell'acquisto di azioni proprie (s'è visto, infatti, che le condizioni patrimoniali dell'istituto rendevano indispensabile, per "reperire capitale" onde assicurare il rispetto dei parametri di riferimento, omettere le dovute decurtazioni dal patrimonio di vigilanza degli importi erogati a titolo di finanziamenti destinati all'acquisto di azioni B.); - il ruolo dall'imputato rivestito in concreto - e, quindi, anche ben ai di là della carica formale di mera garanzia in ordine al corretto funzionamento del CdA siccome delineato dalla disciplina di riferimento dettata dalle circolari di Banca d'Italia - nella gestione della banca, caratterizzato da ripetuti sconfinamenti nell'operatività dell'istituto di credito; - lo strettissimo legame operativo sussistente tra l'imputato ed il d.g. So.. con il quale il primo si incontrava costantemente per essere aggiornato sulle tematiche di rilievo e per preparare le sedute del CdA (davvero emblematico di tale legame, del resto, è quanto dallo stesso So. riferito, in tempi non sospetti, al socio Lo.Tr., allorché questi lo aveva interpellato circa la conoscenza da parte dello ZO. della natura "baciata" delle operazioni sottoscritte dal medesimo Lo.: PUBBLICO MINISTERO, DOTT. Sa. -..TE in un'altra occasione lei disse allora: "Rammento bene che lo stesso So. mi disse: Io non posso neanche andate a fare la pipì senza che Zo. lo sappia' a confermare - dice lei - il controllo che Zo. aveva all'Interna della banca". TESTIMONE LO.TR. - E' vero anche questo. E se non sbaglio, anche la seconda me l'ha detta durante anche una telefonata. Se non sbaglio." 163. Del resto, le conversazioni effettuate dal So. ed intercettate dagli investigatori che saranno specificamene richiamate nel paragrafo seguente, ove sottoposte ad una ragionevole lettura, sono assolutamente coerenti con tali conclusioni (ad onta della contraria interpretazione offertane dalla difesa nella memoria conclusiva, là dove, peraltro, ne sono state richiamate solo talune - cfr. memoria conclusiva, pagg. 35 e ss.); - e, più in generale, il vero e proprio timore reverenziale che la figura dell'imputato ispirava nell'intera dirigenza dell'istituto di credito, l'ipotesi - pure, tenacemente, sostenuta dalla difesa - dell'estraneità del più alto esponente di B. rispetto ad un fenomeno di tale portata già si prospetta, alla stregua di una prima valutazione d'insieme, radicalmente infondata e scopertamente difensiva. Per contro - e specularmente - le effettive modalità di gestione della presidenza da parte del giudicabile finiscono necessariamente per rappresentare, nella peculiare concretezza del caso di specie, sotto il profilo razionale, un dato probatorio a carico di indubbia significazione, A ben vedere - e concludendo sul punto - attribuire rilievo alla posizione concretamente rivestita dallo ZO. nella compagine societaria onde comprendere il ruolo svolto da costui nell'operatività delittuosa sub iudice, ben lungi dall'essere, come vorrebbe l'appellante, il frutto avvelenato di un grave errore di metodo (quello conseguente ad una cieca, aprioristica e, in quanto tale, inaccettabile applicazione di presunte massime di esperienza, secondo le quali il presidente di una banca "non potrebbe non conoscere" le prassi operative in atto presso la "propria" struttura aziendale o, comunque, alla semplicistica applicazione di comode scorciatoie deduttive), discende, nei dovuti termini di minima ragionevolezza, dalla congiunta valutazione di solide evidenze probatorie. Il fortissimo protagonismo dell'imputato nell'esercizio delle funzioni presidenziali, infatti, è un dato pacificamente emerso nel corso dell'istruttoria e, quindi, per nulla ancorato, come ancora vorrebbe la difesa, ad elementi incerti, equivoci o. addirittura, a "voci correnti nel pubblico". Il tribunale, quindi, non è affatto incorso in un corto circuito logico-giuridico; non ha fondato l'efficacia di prova (beninteso indiretta) di tale elemento su una inammissibile (in quanto intrinsecamente fallace) catena di indizi. In un quadro probatorio pure caratterizzato da palpabili resistenze di molti testimoni a fare emergere chiaramente i reali contorni della posizione presidenziale (davvero emblematica di siffatta resistenza è la inverosimile spiegazione offerta a questa Corte dalla teste Pi. - "stavo scherzando" delle affermazioni dalla stessa effettuate nel colloquio intercettato ove, al riparo da orecchie indiscrete, aveva icasticamente definito il presidente ZO. come "monarca assoluto") sono nondimeno emerse chiare ed inequivoche evidenze del fatto che l'imputato era tutt'altro che un presidente decorativo, bensì fortemente incidente nell'operatività dell'istituto di credito. Pertanto, non può certo fondatamente negarsi il rilievo di tale elemento indiziario. Sennonché, come si dirà di seguito, l'istruttoria dibattimentale ha offerto ulteriori e più consistenti riscontri della fondatezza dell'impostazione d'accusa. 14.1.4.2.2. La conoscenza da parte dello ZO. delle operazioni di capitale finanziato e le relative censure difensive (Secondo motivo di appello: paragrafi 3.2, 3.5 e 3.6). In effetti, l'istruttoria dibattimentale ha consentito di verificare la conoscenza, in capo all'imputato, del fenomeno del capitale finanziato non unicamente, in via indiretta, in forza di pur stringenti considerazioni di natura logica inerenti alle modalità di concreto esercizio del ruolo presidenziale, ma anche per effetto di ben più tangibili elementi (elementi che, peraltro, finiscono a loro volta per avvalorare ulteriormente le conclusioni "razionali" testé esposte). Non solo, infatti, l'imputato, come si avrà modo di ribadire, era pienamente cosciente dello stato di crisi del mercato secondario del titolo di B., ovverosia - va sottolineato ancora una volta - di quella che è risultata la più significativa causa del ricorso al finanziamento degli acquisti del titolo azionario della banca (tanto che la consapevolezza delle ragioni di una così grave difficoltà finisce quasi per implicare, sul piano logico, anche la conoscenza dell'unico rimedio escogitato, ed a lungo attuato, per fronteggiarla); ma vi sono ulteriori, specifiche prove - dirette ed indirette i che il giudicabile fosse pienamente avvertito proprio della prassi delle "operazioni baciate". Al riguardo, occorre necessariamente ribadire, onde consentire un corretto apprezzamento di tali emergenze processuali, coerente con il contesto nel quale si collocano i fatti oggetto di prova, che l'operatività dell'istituto di credito relativamente alle operazioni correlate era caratterizzata, verso l'esterno, da estrema riservatezza, a riprova della assoluta consapevolezza, in capo ai vertici aziendali, della complessiva illiceità della prassi instaurata e, soprattutto, delle sue ricadute di natura penale. Di qui non solo la decisione di omettere ogni riferimento scritto alla correlazione tra finanziamenti ed azioni (con conseguente ricorso, nelle PEF, alla generica formula di cui s'è detto), ma anche l'adozione di un linguaggio cauto e sorvegliato in occasione delle sedute degli organi collegiali. Se, infatti, all'interno delle strutture operative della banca (e, in particolare, nell'ambito della rete commerciale dell'istituto di credito, chiamata a collocare le azioni "ad ogni costo", in attuazione delle direttive impartite, per il tramite del GI., dal d.g. So.), vi era una conoscenza del fenomeno delle "baciate", al contempo, diffusa ed imprecisa (ai funzionari facendo difetto quella "visione d'insieme" indispensabile per comprendere la vastità del fenomeno ed intuirne tutte le implicazioni), i vertici operativi erano assai attenti ad evitare che, extra moenia, potessero filtrare informazioni sul punto. Le dichiarazioni rese in proposito dall'imputato GI. sono assai chiare e combaciano con quanto già evidenziato, al riguardo, dal primo giudice. In questa sede, va solo aggiunto che lo stesso imputato PE., nel corso del proprio rinnovato esame, ha avuto modo di precisare come la consapevolezza, in capo al vertice operativo dell'istituto, della illiceità della prassi delle "baciate" e, comunque, della necessaria deduzione del capitale finanziato dal patrimonio di vigilanza fosse fuori discussione. Questo spiega, ad avviso della Corte, l'adozione di procedure informatiche che, di fatto, impedivano radicalmente che operazioni di finanziamento per l'acquisto dì azioni proprie potessero essere "registrate" come tali dal sistema informatico in uso presso B. (non esistendo un "codice prodotto" che ne consentisse la individuazione, diversamente da quanto previsto per il "mini aucap" in relazione al quale tale codice era stato appositamente introdotto). In un contesto connotato da tanto palpabile cautela, quindi, non deve affatto sorprendere la quasi totale assenza dì documentazione scritta, ovvero di (registrazioni dì interventi in sede di organi collegiali, caratterizzati da riferimenti trasparenti alle "operazioni baciate". Quasi totale assenza, si è detto, giacché in effetti si rinviene qualche significativa eccezione in atti, non a caso rigorosamente circoscritta ai consessi più ristretti e riservati all'alta dirigenza di B.. Si veda, sul punto, il già sopra ricordato passaggio della registrazione audio del Comitato di Direzione 10.11,2014 (pagg. 67-68 della relativa trascrizione sub doc, 110 del P.M.) ove VM8 - Gi.Em., vertice della Divisione Mercati - così replica al d.g. So., alla presenza altresì, fra gli altri, di Pi.An. (vertice della Divisione Finanza), di Ma.Pa. (vertice della Divisione Crediti) e di FA. An. (stretto collaboratore dell'assente Pe.Ma. in seno alla da lui capeggiata Direzione Pianificazione e Bilancio, ove il FA. gestiva la Pianificazione Strategica): "VM8: Posso, Sa., una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi comunque, le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle, perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore dell'azione non sarà più quello, ci fottiamo nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100, il valore... eh ... delle azioni era 100 e va a 70, tu, quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque noi dobbiamo fare in modo che "sti impieghi vadano scaricati". Sì noti, significativamente, che, all'inizio di detto Comitato di Direzione, il d.g. So. si era premurato, ad ogni buon conto, di ammonire gli ivi presenti vertici dirigenziali ben selezionati (con particolare riguardo al suo diretto interlocutore Um.Se., direttore generale della controllata siciliana Ba.Nu., che prendeva parte al Comitato in collegamento a distanza dall'isola) circa la necessità assoluta di non lasciar trapelare alcunché all'esterno di quel ristretto consesso: - Sa.: Sì. Io non ho fatto premesse di sorta, ma è chiaro che quello che ci diciamo qui, ovviamente, eh, neanche il tuo cane lo deve sapere, eh. - Um.: Va bene." (cfr. pagg. 30-31 trascrizione cit.). Trattasi - come questa Corte ha già avuto modo di evidenziare nell'ordinanza 18 maggio 2022 - di sollecitazione specificamente finalizzata a garantire che il contenuto dei colloqui che, di lì a poco, avrebbero avuto luogo, sarebbe rimasto patrimonio esclusivo dei partecipanti all'incontro (e, più in generale, per effetto della relativa documentazione, della dirigenza dell'istituto di credito), tant'è vero che più avanti nella registrazione (cfr. sempre pag., 31 trascrizione cit.) il d.g. So. esplicitava ancor meglio il concetto: "Sa.: Eh. Già stanno facendo la caccia a chi fa uscire informazioni, perché dicono che sia uno di noi che dà le informazioni ai giornalisti e che dà le informazioni al... Eh, quindi... eh ... cerchiamo di non ... di non ... eh ... dare alibi, dare alibi ai consiglieri che dicono che è uno della direzione che dà ... che dà informazioni, perché solo uno della direzione può sapere di questo, di quest'altro e di quell'altro, eh. Mi raccomando! - Um.: D'accordo. - Sa.: Bene". Ebbene, effettuata tale precisazione "di contesto", osserva questa Corte come, con riferimento al tema della conoscenza, in capo allo ZO., della prassi delle "operazioni correlate", fatto salvo il doveroso richiamo alle puntuali osservazioni già svolte, in proposito, dal primo giudice, meriti di essere in primo luogo richiamato il contenuto della deposizione resa dall'ispettore Ga., In effetti, detto teste, nel rievocare i plurimi colloqui intercorsi con il presidente, sebbene abbia affermato come questi si fosse poi ripetutamente dichiarato all'oscuro del fenomeno del capitale correlato, ha precisato come, in occasione del primo contatto, avvenuto in data 7 maggio 2015, l'imputato avesse sostanzialmente ammesso di essere al corrente di (sia pure sporadici) casi di finanziamento di acquisti di azioni (cfr. dep. Ga., udienza udienza 26.9.2019, pag. 65 del verbale stenotipico: ".. Perché qui c'è un tema, cioè quando ho avuto modo di discutere con il Presidente Zo., e ho rappresentato gli elementi che stavano emergendo, la mia impressione fortissima - poi impressione confermata anche dalle verbalizzazioni del Consiglio di Amministrazione, però impressione forte che ho avuto sia nell'occasione del 7 maggio sia negli incontri che ho avuto successivamente - è che il Presidente fosse molto colpito dal fenomeno dei fondi; cioè, mentre di fronte al fenomeno dei finanziamenti ha cercato sostanzialmente di minimizzare, dicendo: io pensavo che qualche ipotesi del genere ci potesse essere, però, insomma, non di questo,., probabilmente c'era, però non era un fatto che mi preoccupava, ritenevo non fosse un fenomeno rilevante, non ho mai avuto elementi per ritenere che fosse rilevante. Glissava, diciamo..."). Trattasi, com'è evidente, di deposizione di assoluto rilievo tanto per la fonte da cui promana (trattandosi di soggetto di indiscutibile attendibilità, in considerazione del ruolo ricoperto e, quindi, dell'estraneità rispetto alle dinamiche interne all'istituto vicentino), quanto per l'eclatante portata del suo contenuto, sostanzialmente equiparabile ad una sorta di confessione stragiudiziale. Del resto, del tutto coerenti con le dichiarazioni del teste Ga. sono i ricordi del di lui collega Ma., il quale, presente al citato colloquio, ha rievocato l'incontro in questione riferendo che l'imputato, alla rappresentazione del dirompente problema dei finanziamenti correlati, aveva replicato, senza scomporsi eccessivamente, che anche altre banche operavano in tal senso Presidente non colse un po' il livello di serietà di questo fenomeno e mi ricordo che disse, una cosa che mi ricordo che disse: ma tanto lo fanno anche altre... so che lo fanno anche altre banche. E la cosa finì lì, la discussione finì lì su questi finanziamenti, diciamo, correlati ..."). Non può sorprendere, quindi, che l'imputato, il quale, in sede di interrogatorio, aveva ammesso che Ga. gli aveva segnalato, nel corso del colloquio, l'emersione di un importo di operazioni finanziate "importante", in sede processuale abbia poi negato la circostanza, esplicitamente limitando l'oggetto dell'interlocuzione con l'ispettore al tema dei fondi esteri e delle lettere di impegno. Del tutto convergenti con le suddette dichiarazioni, poi, sono le prove costituite dagli esiti di intercettazione delle comunicazioni telefoniche intrattenute dal d.g. So., conversazioni dal tenore davvero inequivoco e dalla sicura capacità probatoria, solo a considerare che il direttore generale, allorché era sottoposto a captazione, era solito impiegare anche una utenza intestata a terzi, donde l'impossibilità di ipotizzare, con un minimo di fondamento, che costui, sospettando di essere intercettato, callidamente intendesse coinvolgere il presidente per "alleggerire" la propria posizione. Assolutamente significativo, innanzitutto, è il colloquio intrattenuto il 31.8.2015, di cui al progressivo n. 459 (cfr. pagg. 24 e ss, dell'elaborato di trascrizione) che, di seguito, si riporta nei passaggi più significativi: (omissis). Sul punto, va doverosamente precisato che la Pi., nel corso dell'escussione innanzi a questa Corte, chiamata a fornire delucidazioni con riferimento a tale colloquio, ha giustificato l'espressione con la quale aveva escluso che il presidente potesse essere all'oscuro del fenomeno del capitale finanziato ("No, ma scusa un attimo ... no, ma scusa un attimo: come faceva a non sapere, uno che ha governato come un monarca assoluto ...") sostenendo che si era trattato di una semplice "battuta" e soggiungendo che, al contrario, a suo giudizio, ZO. era una "vittima". Sennonché, la spiegazione delle proprie parole offerta dalla teste è tutt'altro che convincente, ove sì presti la dovuta attenzione al complessivo tenore del colloquio. Si trattava, infatti, di una allarmante vicenda, ancora tutta in divenire e che, peraltro, aveva immediate implicazioni anche per la posizione dei singoli consiglieri. Davvero significativo è il passaggio del colloquio in cui la medesima Pi. affermava: No, sai qual'è il guaio? E'che o si sa... se si salva fui ci salviamo tutti... sennò sprofondiamo tutti, Non vorrei però che si salvasse lui e sprofondassimo tutti.."), essendosi in presenza di affermazione che, a ben vedere, fornisce una corretta chiave di lettura delle dichiarazioni rese dalla teste e, più in generale - ed è bene ribadirlo ancora una volta - dell'atteggiamento tenuto da molti membri del CdA e del Collegio Sindacale nel corso delle rispettive escussioni (ivi comprese quelle rese in sede di rinnovazione istruttoria), sistematicamente improntato alla negazione della conoscenza, in capo ai predetti, non solo del fenomeno del capitale finanziato ma anche di elementi che potessero costituire segnali di allarme in tal senso. Inoltre, merita di essere evocata, in quanto anch'essa contenente chiari riferimenti allo stretto rapporto intercorrente tra il d.g. So. ed il presidente ZO. nella conduzione dell'istituto di credito, anche con riferimento al fenomeno del capitale finanziato, la conversazione n. 153 del 25.8.2015 (riportata a pag. 227 e ss. della perizia di trascrizione) tra Zi.Gi. il suo commercialista, Lu.Bo., nel corso della quale i due commentavano sarcasticamente l'atteggiamento "negazionista" assunto da Zo. in relazione alle irregolarità accertate in sede ispettiva ed alludevano esplicitamente al potere di "ricatto" del So. nei confronti del presidente: (omissis) Ebbene, a tali elementi di prova, assai significativi e chiaramente convergenti con le pregnanti dichiarazioni rese dal teste Ga. ed in precedenza richiamate, sono venute a saldarsi le coerenti propalazioni del coimputato GI.. In effetti, in sede di esame, costui ha ribadito quanto "anticipato" nel memoriale circa la piena consapevolezza del fenomeno in esame da parte del presidente, ripercorrendo diffusamente tali "anticipazioni" e convincentemente replicando alle obiezioni mossegli, al riguardo, in sede di controesame. Per un inquadramento generale del contributo dichiarativo offerto dal predetto con riferimento alla posizione ZO. è opportuno richiamare l'incipit dell'esame del propalante: "....PRESIDENTE - Va bene; con questo avrei chiuso le domande della Corte sulla posizione Zi.. Adesso volevo passare a esaminare la posizione Zo., cioè, a parte quello che lei ha già detto in primo grado, se e in base a quali elementi lei sostiene che il dottor Zo. sapesse o partecipasse a determinate scelte, quantomeno, che hanno avuto ricadute su questa vicenda penale sostanzialmente, IMPUTATO GI. - Presidente, interlocuzione diretta, quindi premetto: So. diceva a me e ai capi area e direttori regionali, a Ma., ai Vice Direttori Generali, che Zo. era a conoscenza di questo tipo di operatività e chi avrebbe dovuto sapere sapeva. Quindi questa è la premessa. Interlocuzione diretta con Zo. sulle operazioni baciate l'ho avuta, è stata sporadica: l'ho avuta sulla questione Co., che era un imprenditore siciliano, che si è presentato a Vicenza per ottenere un affidamento, dicendo "Io con questo affidamento, non so se 4 o 5 milioni, compro 2 milioni di azioni", 2 milioni di Euro di ammontare di azioni il Presidente, prima di entrare, mi disse che fa persona era poco affidabile perché parlava, quindi io dissi a questo Co.: "Non ce ne abbiamo più di azioni"; poi il Presidente in Consiglio di Amministrazione, prima che iniziasse il Consiglio di Amministrazione, questa cosa è stata registrata; mi chiese lumi e io gli dissi appunto cosa avevo riferito a Co., e che quindi lui era d'accordo nel non procedere con questa operazione. Quindi questo è l'episodio chiaro con Zo.. Quando io, nel periodo finale della mia esperienza in Banca, quindi stiamo parlando del maggio 2015, che successe il 4 maggio del 2015, il 30 aprile del 2015 eravamo a Vicenza io e Pi., fummo chiamati la sera da So. che ci disse: "Il Presidente vi vuole far fuori". E noi chiedemmo il perché: "Perché ci vuole far fuori il Presidente?", "Eh, sì, perché in pratica da Bc. due cose sono venute fuori": le lettere d'impegno, le baciate, e poi c'era anche il discorso per quanto riguarda Pi. dei fondi. Quindi il Presidente mi ha chiesto: "Ma lei ne so qualcosa?" e noi gli abbiamo detto: "Ma tu cosa bai risposto?", "Eh, no, che avrei approfondito, che non ero sicuro". Quindi ci ritrovammo io e Pi. di fronte a una situazione molto particolare, nel senso che Zo., che avrebbe dovuto sapere, parlava con So., che sapeva di questo tipo di operatività, e si negavano - secondo quello che ci dicevo So. - a vicenda la conoscenza dell'operatività. Quindi io chiamai Zo. di fronte a Pi.. lo non chiamavo Zo., semmai mi chiamava luì col cellulare per gli auguri oppure per farmi incontrare dei clienti. Chiamai Zo. e chiesi un appuntamento. Ottenni questo appuntamento per il 4 maggio e, prima dì incontrare Zo., passai da Gr., perché ero andato a Roma per il Primo Maggio dai miei, e passai da Firenze la domenica, e poi lunedì incontrai Zo.. E ricordo chiaramente, perché anche fisicamente Zo. mi lo mostrò dicendo, io, scusi, mi portai le carte che dimostravano che era un'operazione diffusa, quindi mi portai gli storni; mi portai Da., mi portai le lettere Fa., quindi andai lì dicendo: "Ma cosa state dicendo voi due?" e Zo. mi disse: "Guardi, dottor Gi., io non sapevo delle operazioni baciate (intendendo probabilmente quelle 100 e 100) ma sapevo delle operazioni parziali" E mi fece proprio il cenno così, cioè di arrotondamento per fare acquistare azioni, quindi: ti concedo, non so, 10.000 Euro, tu hai bisogno 10.000 Euro, te ne do 1Z.000,13.000,14.000 e con quei 3-4.000 Euro compri azioni Davanti a Br. perché ovviamente ci voleva il testimone. Io sono andato lì, come dire, cercando di capire perché stava succedendo questa cosa e perché dovessi essere fatto fuori dalla Banco. Zo. si presentò con testimone Br., e mi affermò in modo chiaro e inappuntabile che lui era a conoscenza delle operazioni, come dire, parziali, non quelle 100 e 100. Ma poi, andando in corso nelle udienze di primo grado, sempre sentendo questi audio in CdA, ma So. ne parlava di queste operazioni parziali al CdA. Abbiamo fatto sentire due audio in cui proprio So. diceva, sempre usando io stesso termine: "azioni appiccate ai mutui", quindi ai finanziamenti. Quindi anche nel corso del primo grado io ho avuto la conferma che So. aliene parlasse a Zo. di questo tipo di operatività. Poi, se li regista dell'operatività fosse So. e un'operatività avallata da Zo. o il contrario, questo non glielo so dire perché comunque erano discorsi che facevano tra loro. Sicuramente Zo. ne era a conoscenza. PRESIDENTE - Vuole aggiungere altro su questo? IMPUTATO GI. - Su Zo.? PRESIDENTE - Sulla posizione Zo., sì, in questo momento. IMPUTATO GI. - L'ultima cosa. Anche in tema dì lettere, sentendo questi audio, 0 un certo punto il Presidente, perché anche queste lettere d'impegno che sicuramente non hanno avuto una diffusione così ampia come le correlate e le baciate, quindi ho ascoltato un CdA in cui c'era un cliente della Po.Al. che voleva in qualche modo vendere te proprie azioni; la Po.Al., e quindi la Banca, gli prometteva e gli garantiva verbalmente l'impegno a venderle, e Zo. dice a tutto il CdA: "Fattelo mettere per iscritto". Quindi ha consigliato a questo cliente esattamente la stessa prassi che utilizzavamo noi per quanto riguarda le lettere d'impegno, E questo in qualche modo mi ha fatto intuire che anche sulle lettere Zo. fosse a conoscenza di questa prassi. PRESIDENTE - Poi lei ha parlato sempre nel suo memoriale della conoscenza, secondo lei, di Zo. anche di tutte le problematiche del mercato secondario, giusto? IMPUTATO GI. - Sì, si PRESIDENTE - E anche della rilevanza di questo fenomeno, di questo problema. IMPUTATO GI. - Zo. diceva proprio che era un problema drammatico per la Banca e che, se non fossimo riusciti, se la Banca non fosse riuscita a gestirlo, la Banca avrebbe chiuso - Questo in CdA, quindi anche questo è stato ascoltato in primo grado...". Significative, poi, sono anche le risposte che il propalante ha fornito alle domande rivoltegli dal suo legale: (...) DIFESA, AVV. Mi. - Il Presidente Zo. interveniva rispetto ai soci e rispetto a questa problematica, che mi pare di capire sempre più esasperata, del ritardo nell'evasione delle domande di cessione? IMPUTATO GI. - Il Presidente Zo. è intervenuto puntualmente chiedendo varie cose: primo, "convincete i soci a non vendere". Mi ricordo che se la prese anche con i consiglieri di amministrazione che andavano da lui a dire: "Ci stanno questi soci che vogliono vendere, dobbiamo evadere la richiesta". E in un incontro in Palazzo Thiene, prima in Consiglio di Amministrazione fece una premessa, poi a Palazzo Thiene riprese questi consiglieri proprio per dire: "Voi dovreste difendere la Banca, convincete i soci a non vendere, non venite qua a chiedermi di evadere le loro richieste di vendita". Questo lo chiedeva in primis ai consiglieri, soprattutto di Vicenza Nord, e lo chiedeva poi alle aree, perché lui incontrava le aree e le direzioni regionali, e gli chiedeva: "Guardate che la Banca è buono, siamo su un buon territorio, il valore dell'azione è congruo, dovete convincerli a non richiedere una cessione. Se poi, diceva, questi clienti hanno bisogno di liquidità, finanziateli". Quindi, come dire: un fenomeno di baciate ex post, per cui una persona voleva vendere 100:000 Euro di azioni perché aveva un problema, ad esempio, di salute, e allora il Presidente chiedeva di finanziarlo, quindi diceva: "invece di fargli vendere le azioni, finanziate questi 100.000 Euro. DIFESA, AVV. Mi. - Lei c'era, e quindi ha vissuto, lei si ritrova con quanto dichiarato dall'imputato Zo. circa una sua presenza non operativo, a tratti sporadica, in Banca, di rappresentanza? Si ritrova con questo ruolo di Zo.? IMPUTATO GI. - E' particolare, che io sono l'ultimo arrivato in Banca perché sono arrivato a fine 2007, fare questo, che io debba dire che il Presidente era il vero Amministratore Delegato della Banca. Quindi questa è una cosa particolare, no? Nel senso che tutti sapevano che il Presidente interveniva su qualunque decisione importante in Banca, qualunque: non c'era una delibera di Consiglio di Amministrazione che non passasse sotto il suo vaglio, Il Presidente era presente. era presente nei gangli organizzativi So. non muoveva un dito senza che il Presidente sapesse - I consigli di amministrazione venivano condotti e guidati da Zo.. Quindi, voglio dire, io dico guelfo che ho visto: io ho visto organigrammi della Banca che non potevano essere deliberati se il Presidente non li avesse convalidati e non li avesse visti. Ovviamente questa è una mia posizione che ho cercato anche di oggettivare con dei documenti perché, se no, sarebbe la mia posizione contro la posizione di altri quattro cinque Imputati Purtroppo sono dovuto andare a fare le analisi, andare a tirare fuori i documenti per comprovare quello che sto dicendo ...". Tanto premesso, e passando ad analizzare più nel dettaglio le propalazioni complessivamente rese del GI. (nel memoriale a sua firma e nel corso dell'esame), va precisato come questi abbia dichiarato che il presidente non solo era perfettamente a conoscenza della prassi dello "svuotafondo" ma che la sosteneva apertamente, trattandosi di rimedio funzionale a "fare mercato, ovvero a consentire al socio la possibilità di vendere le azioni in quanto, in difetto, nessuno avrebbe più avuto fiducia nella Banca, bloccando la crescita degli impieghi e le operazioni straordinarie di acquisizione di Banche/Sportelli" (cfr. memoriale citato, pag. 31) ed ha precisato che, a decorrere dal 2012, tale prassi era divenuta indispensabile, poiché il titolo B. aveva cessato di aumentare di valore, era stata interrotta la erogazione del dividendo e, infine, le vendite finalizzate a monetizzare il controvalore delle azioni della banca erano divenute frequenti (posto che, in una fase di crisi economico-finanziaria generale, l'azione dell'istituto era uno dei pochi strumenti finanziari ad avere conservato valore). E, a conferma della consapevolezza del coimputato ZO. in merito alla correlazione tra azioni della banca e finanziamenti, sotto varie forme, il GI. ha prodotto (in allegato al memoriale, con numerazione da 4.2.1 a 4.2.8) ulteriori documenti costituiti, segnatamente: - da comunicazioni dalle quali si ricavava la conoscenza da parte dello ZO. della vicenda Da. e della risposta - concordata tra il collegio sindacale e la funzione di Compliance - fornita a costui (allegato 4.2.1); - da comunicazioni attestati la conoscenza in capo allo stesso ZO. della richiesta di vendita di azioni da parte di un socio-socio - tale La.Re. - poi prontamente "tacitato" a seguito della missiva da costui inviata all'attenzione del presidente (ali. 4,2,2); v dalla comunicazione epistolare indirizzata al presidente da un altro socio - tale Bo.Sa. - nella quale questi lamentava la mancata evasione della richiesta di vendita delle azioni, esplicitamente denunziando l'illiquidità del titolo ("...adesso mi trovo con 30.000 Euro di vostri titoli che, nonostante le rassicurazioni a parole, sono di fatto un capitale non liquido.." - allegato 4.2.3); - da comunicazioni mail attestanti il coinvolgimento della presidenza (la mail di riferimento risulta inoltrata alla segretaria di ZO., Li. Camilla) nelle operazioni di vendita di azioni ad un gruppo imprenditoriale (Fr.) che, nonostante fosse in grave difficoltà, la banca continuava a finanziare (allegato 4.2.4); - dalla "denunzia" del presidente dell'Ad., La., pubblicata sul social network Twitter, in data 30.10.2014 (evidentemente derivante dalle dichiarazioni dei soci pubblicate sui quotidiani in ordine ai finanziamenti in cambio dell'acquisto di azioni, posto che l'articolo a firma Ga. pubblicato da "Il.", come s'è detto, risaliva al precedente 27,10,2014): "Po.Vi., Immarcescibile Zo., si guadagnerà una denunzia per il reato di estorsione?", denunzia inoltrata dalla segreteria al Presidente e, successivamente, su disposizione dello stesso ZO., trasmessa dalla segreteria all'avv. Am. (allegato 4.2.5); - da ulteriori sollecitazioni alla vendita di azioni provenienti da soci (Pr. - allegato 4.2.6; Ce. - Mo. - allegato 4.2.7), in un caso con comunicazione di vera e propria azione legale e con la precisazione che la banca aveva concesso finanziamenti a fronte della mancata vendita delle azioni (doc. 4.2.7.); - dalla traccia del discorso rivolto al personale in occasione delle festività natalizie 2014 nel quale era palese il riferimento alla difficoltà nella evasione delle richieste di vendita delle azioni provenienti dai soci e si precisava: "se poi qualche socio avesse necessità urgenti la Banca gli è sicuramente vicina" ... allegato 4.2.8). Del resto, a fugare qualsivoglia perplessità sul punto e a confermare quanto sostenuto dal chiamante in correità in ordine alla piena conoscenza della prassi dello "svuotafondo" in capo al presidente è decisivo il richiamo alle dichiarazioni rese dallo stesso imputato in occasione dell'interrogatorio investigativo 22.3.2017 (prodotto dal P.M. all'udienza dell'11.6.2020 e acquisito ex art. 513 c.p.p.), là dove ZO. pur dichiarando di non essere in grado di "descrivere esattamente l'andamento del FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE nel corso dei vari anni" (cfr, verbale interrogatorio 22,3.2017, pag. 4) ha chiaramente ammesso di essere a conoscenza delle relative problematiche, per essere stato informato proprio da So. ("...é capitato che So. mi abbia dato informato dell'andamento del FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE in occasione dei colloqui che, nel corso del tempo, ho avuto periodicamente con il medesimo... Preciso che non mi occupavo dell'andamento e della gestione dei FONDO ACQUISTO AZIONI PROPRIE"), soggiungendo di essere perfettamente consapevole dei risvolti dell'andamento del fondo con riferimento proprio al tema del patrimonio di vigilanza ("... tuttavia, ero interessato all'entità dell'utilizzo del FONDO in quanto, come detto, comportava effetti negativi sul patrimonio e sul bilancio della banca..."). Inoltre, il GI., come s'è visto, ha esplicitamente affermato la piena consapevolezza, da parte del presidente, del fenomeno del capitale finanzialo. In effetti - ha precisato il propalante - ZO. era cosciente non solo, come detto, dell'andamento ciclico del mercato secondario e dei ritardi/problemi relativi all'evasione delle richieste di vendita delle azioni (e, sul punto, il dichiarante ha richiamato e prodotto lettere di reclamo dei soci, con la precisazione che in una di tali missive - segnatamente, quella del socio Gr.Ma. - oltre ad evidenziarsi le forti contraddizioni tra il successo dell'aumento di capitale e le difficoltà del mercato secondario, si poneva l'accento anche sulla sopravvalutazione del prezzo dell'azione, richiamandosi, sul punto, il severo giudizio consegnato alla stampa dal noto economista Zi.), ma anche - e specificamente - dell'erogazione di "finanziamenti correlati" avendo egli raccolto, in proposito, dichiarazioni ammissive dal coimputato nelle seguenti occasioni, nelle quali aveva direttamente affrontato con ZO. tale argomento. Trattasi, segnatamente: - dell'interlocuzione relativa alla richiesta dell'imprenditore siciliano Co. (interlocuzione specificamente affrontata nella sentenza di primo grado e ricostruita dal GI. in termini coerenti con la lettura dell'episodio offerta dal primo giudice e della quale si tratterà anche più oltre); - dell'incontro avvenuto il 4.5.2015, alla presenza del vicepresidente Br. - il quale, dal canto suo, nel corso della propria escussione all'udienza del 24,6.2022, come si accennava, ha negato di conservare memoria di tale importante incontro, a di poco sorprendentemente, ove si consideri il grave frangente in cui esso aveva avuto luogo. Ebbene, in occasione di tale interlocuzione - ha precisato il GI. - il presidente aveva ammesso di essere a conoscenza del fenomeno del finanziamento dell'acquisto di azioni, sia pure limitando detta conoscenza alle sole "baciate parziali"; - del colloquio intrattenuto durante un intervallo dell'udienza 5.6.2019 del processo di primo grado, allorquando lo ZO., mentre si trovavano nell'automobile condotta dal coimputato ZI., aveva ribadito di essere stato a conoscenza delle sole "baciate parziali". Infine, anche con riferimento alla prassi consistita nel rilascio delle lettere di impegno, il GI. ha affermato di avere acquisto contezza della piena consapevolezza, in capo al coimputato, della prassi di ricorrere a tale t "strumento" per convincere i potenziali acquirenti delle azioni dell'istituto a rilevare titoli della banca, là dove ha evocato l'audio della seduta di CdA del 5.11.2013 nel corso della quale lo ZO. aveva riferito di aver consigliato ad un suo amico, nonché socio della Po.Al., di farsi rilasciare una lettera di tale natura. A ben vedere, il mero ascolto di tale audio (e, così, la lettura della relativa trascrizione) non offre conforto, in termini di certezza, rispetto alle dichiarazioni del GI., in quanto il passaggio evocato, anche per la sua brevità, è suscettibile di non univoca lettura, poiché non implica necessariamente un implicito riferimento alla prassi, invalsa presso B., del ricorso alle vere e proprie lettere di impegno (cfr. pag. 8 della relativa trascrizione: "....Quando comincia il passaparola della crisi hai finito, hai finito". La banca popolare dell'Alto Adige - conosciamo un azionista, giusto? Un socio non compra le azioni. Adesso fanno la fusione perché pensano che con due debolezze non fanno e allora gli ha detto ma per marzo gliele compriamo e allora è venuto da me questo qua e mi ha detto per marzo me le comprano e allora dice cosa vuoi aspetto qualche mese. E allora ho detto fattelo mettere per iscritto. Ha detto: ci provo. Se vuoi scommetto che non le mettono niente. Questa è la Ba.Po.. Perché il problema vale per tutti ma ricordatevi che vale anche per noi....."). In teoria (nel solco di quanto suggerito dalla difesa), infatti, si potrebbero spiegare le parole proferite, nel frangente, dall'imputato come un semplice, generico suggerimento a farsi assicurare per iscritto che il problema si sarebbe risolto nei tempi (brevi) che i responsabili della banca altoatesina avevano prospettato al cliente. Peraltro, va precisato che quella proposta dal chiamante in correità è una lettura del senso delle affermazioni dello ZO. non certo azzardata, sicuramente non smentita dal dato documentale e che, anzi, ove doverosamente interpretata alla luce del contesto complessivo del discorso in cui si inserisce (i passaggi della registrazione immediatamente precedenti riguardano, come si è visto, il pericolo che il "passaparola" tra i soci possa generare la crisi e, quindi, in sostanza, dare l'avvio ad una vendita in massa delle azioni della banca), appare davvero quella più convincente, tenuto peraltro conto del fatto che la descrizione del meccanismo effettuata dall'imputato (ovverosia richiedere un impegno "scritto") ben si attaglia al sistema delle "Mettere di impegno" invalso proprio presso B.. Ove poi si consideri che trattasi di interpretazione che trova significativo riscontro nelle già citate conversazioni intercettate nn.ri 1587 e 1570 intrattenute dal d.g. (nelle quali, come s'è visto, è parimenti evocata la conoscenza in capo all'imputato delle lettere di impegno) deve necessariamente convenirsi nel senso della assoluta ragionevolezza della lettura della vicenda proposta dal chiamante in correità. Sul punto, va precisato, per sgomberare il campo da ogni possibile equivoco, che è certamente vero che lo stesso GI., come evidenziato dalla difesa dello ZO. (cfr. pag. 26 delle note relative alla "rinnovazione istruttoria"), con riferimento alle "lettere di impegno", ha dichiarato, in sede di rinnovazione istruttoria, che non aveva avuto "percezione che il Presidente fosse a conoscenza di queste lettere". Nondimeno, come può agevolmente arguirsi dalla lettura del relativo passaggio dell'esame dello stesso GI., trattasi di affermazione che, ben lungi dal contraddire quanto dal medesimo propalante riferito in relazione al citato file audio 5.11.2013, delinea unicamente quale fosse la consapevolezza di costui con riferimento a tale questione ed al coinvolgimento, sul punto, del presidente, al momento dell'esercizio della vicepresidenza di B. (e, indirettamente, vale a confermare l'attendibilità della fonte). Ebbene, con riferimento al complessivo contributo dichiarativo offerto dal coimputato GI., si è in presenza di dichiarazioni che, ben lungi dal poter essere sbrigativamente derubricate al rango di "vacue suggestioni" (così nelle "note scritte di discussione", pag. 68), convergono nel ribadire la conoscenza, da parte dell'imputato, del fenomeno del "capitale correlato". Trattasi di dichiarazioni precise, oltre che corroborate dal pertinente richiamo ad elementi documentali, taluni dei quali - ad onta delle considerazioni difensive, che, in senso contrario, ne hanno sostenuto la inconsistenza probatoria (cfr. note scritte relative alla rinnovazione dibattimentale, pagg. 19 e ss.) - sono, come s'è visto, di obiettiva significazione. D'altra parte - e trattasi di profilo che, ad avviso di questa Corte, è bene che sia costantemente tenuto presente per non smarrire la "dimensione sistemica" del fenomeno dei finanziamenti correlati e, quindi, non compromettere l'esatta comprensione della complessa vicenda in esame - la crisi del mercato secondario del titolo B. aveva inevitabili, immediate ricadute anche sulla determinazione del valore dell'azione (il cui deprezzamento avrebbe ineluttabilmente aggravato tale crisi) e, ove non contrastata con ogni mezzo, avrebbe compromesso non solo l'immagine della banca, ma anche la sua capacità di porsi, secondo la visione strategica perseguita tenacemente da ZO. (in passato addirittura in controtendenza rispetto alla più realistica prospettiva della dirigenza di B. - cfr. deposizione Gr.), come "struttura aggregante", in grado di ampliare ulteriormente la propria dimensione territoriale (in termini di diffusione degli "sportelli" nel territorio nazionale) e di accreditarsi come gruppo bancario di primaria importanza. In altri termini, il ricorso al capitale finanziato, la crisi del mercato secondario, la sopravvalutazione del prezzo del titolo (sostenuta anche attraverso piani industriali del tutto irrealistico altro non sono, nella concretezza della vicenda sub iudice, che diverse "sfaccettature" di un medesimo fenomeno, con l'ulteriore conseguenza che parlare della prassi dello "svuotafondo" e del ricorso alle lettere di impegno significa null'altro che riferirsi ad alcuni aspetti specifici del più generale problema dei finanziamenti correlati. Ed è proprio tenendo a mente tale "dimensione sistemica" che debbono vagliarsi le propalazioni del GI., onde poterne adeguatamente cogliere la reale, complessiva capacità dimostrativa. A tali rilevanti dati probatori, poi, si aggiungono gli ulteriori elementi, già puntualmente valorizzati dal primo giudice, in quanto indici sintomatici di una conoscenza effettiva del capitale finanziato e della sua diffusione da parte dello ZO. e, segnatamente: - i rapporti dell'imputato con svariati soci titolari dì partecipazioni di rilievo con B. e la conoscenza delle operazioni finanziate da costoro effettuate (è il caso di Be.De., Do.Ir., dei fratelli Ra., di Fr.Zu. e Fe.Ri., di Gi.Ro.), ovvero dell'esistenza di lettere di impegno al riacquisto, come nel caso di Re.Ca. (cfr. sentenza impugnata, pagg. 614-624); - il coinvolgimento dello ZO. nella vicenda della richiesta di conclusione di operazione "baciata" avanzata dall'imprenditore catanese Ri.Co. (cfr. sentenza impugnata, pagg. 624-626), ovverosia della vicenda evocata anche dal propalante GI.; - gli stretti rapporti intercorrenti tra lo ZO. e il gestore private della filiale dì Co., Ro.Ri., ovverosia il più attivo promotore di operazioni "baciate" (cfr. sentenza gravata, pagg. 626-628); - il contenuto dì alcuni messaggi SMS intercorsi tra i vertici operativi della banca ed inerenti proprio ad alcune operazioni correlate 172; - la consapevole, fattiva partecipazione dell'imputato alla pianificazione dell'aumento di capitale 2014 (caratterizzata, come s'è detto, dalla sistematica violazione della disciplina per il collocamento dei titoli), partecipazione, peraltro, che aveva visto lo ZO. significativamente intervenire nel CdA del 4.3.2014 a sostegno delle irregolari modalità di raccolta delle adesioni, posto che il predetto, nell'occasione, aveva sostenuto la necessità di tenere nascosta l'attività di preventivo contatto dei potenziali investitori, onde rispettare formalmente il principio dell'effettività della iniziativa del cliente (la già citata registrazione audio della seduta, invero, documenta la pronunzia della frase "Noi chiederemo alla Consob e alla Banca d'Italia di approvare, quando. Un po' prima, intanto si fa formazione sulla rete, che non devono parlare, devono spiegare bene come..."). Nel corso della medesima seduta, peraltro, il d.g. So. aveva illustrato la possibilità del ricorso al time-deposit per consentire la sottoscrizione dell'aumento di capitale; - la gestione dell'allontanamento di So., "ricompensato" con un lauto emolumento, gestione ragionevolmente interpretata dal primo giudice - sulla scorta, peraltro, di coerenti esiti di intercettazione (il riferimento è alla già citata conversazione Pi.-To.), dai quali si ricava come una tale interpretazione fosse diffusa tra soggetti collocati in posizioni di notevole responsabilità all'interno dello stesso istituto di credito e, quindi, "informati sui fatti" - quale espressione dell'intendimento dell'imputato di "comprare il silenzio" del direttore generale (cfr. sentenza gravata, pagg. 606 e ss). Peraltro, non può non sottolinearsi come le modalità di gestione dell'allontanamento del So., come visto lautamente "premiato" per la sua fallimentare gestione, si differenzino significativamente anche da quelle poi adottate dall'istituto di credito per il ben più sommario allontanamento dei vicedirettori GI. e PI. e, questo, senza che possa essere soltanto la differenza di "rango" tra costoro a giustificare tale diversità di "registro"; - l'inerzia del giudicabile tanto a fronte delle dimissioni di An.Vi. quanto a seguito della denunzia effettuata, dal socio Da., in occasione dell'assemblea del 26.4.2014 (cfr. sentenza impugnata, pagg, 628-632). A ciò deve aggiungersi la ricezione, da parte dell'imputato, di missive anonime (trattasi dei documenti 650, 651 e 652 della produzione del P,M., dettagliatamente richiamati a pag. 631 della sentenza impugnata) nelle quali il fenomeno era oggetto di denunzia, anche assai esplicita (è il caso, in particolare, della lettera dell'11.3.2014 - doc, 651, su cui v. più ampiamente infra - nella quale il ricorso sistematico al finanziamento per l'acquisto di azioni, anche in occasione dell'aumento di capitale, era stigmatizzato in modo plateale ed accompagnato da riferimenti a condotte quasi "estorsive"; ma anche il documento 652 è di inequivoco tenore sul punto). In definitiva, si è in presenza di una sequela di elementi, di natura logica e rappresentativa, che, oltre ad essere tutti coerenti (tanto nella loro specifica significazione, quanto ove debitamente sottoposti a congiunta valutazione) con la effettiva consapevolezza, da parte del giudicabile, del ricorso alla "strategia" del capitale finanziato, sono poi convergenti con le più puntuali e specifiche evidenze costituite, con riferimento a tale thema probandum, dalle evocate dichiarazioni del teste Ga., dagli esiti dell'attività di intercettazione telefonica di cui s'è detto, oltre che delle già citate propalazioni del coimputato GI. (le quali ultime - va precisato - costituiscono, in proposito, una significativa prova diretta, avendo trovato plurimi riscontri esterni individualizzanti proprio in tali ulteriori dati probatori). Ebbene, a fronte di tale sequela di convergenti e concludenti elementi, le obiezioni difensive, volte a sostenere che l'imputato non avrebbe neppure avuto contezza, ancor prima che del "capitale finanziato", finanche della esistenza dei relativi "indici di allarme", appaiono, quindi, radicalmente insostenibili, in quanto fondate, nell'ambito di una lettura volutamente "parcellizzata" del compendio probatorio, sulla valorizzazione di singole emergenze istruttorie che, per un verso, sono del tutto inidonee a smentire le considerazioni sin qui svolte, in ordine alla posizione dell'imputato, sulla base di una razionale lettura d'insieme del panorama delle evidenze disponibili; c. per altro verso - ed in ogni caso - sono anche dì intrinseca, assai limitata capacità dimostrativa. Ciò, a ben vedere, esimerebbe dal considerarle specificamente. Sennonché, ragioni di completezza ne rendono opportuna una analisi dettagliata. In particolare, la difesa, sub 3.2, ha sostenuto l'inconsapevolezza di siffatti indici sintomatici sul rilievo, nell'ordine: - dell'inerzia degli organi di controllo - e, in particolare dell'Audit - tale da avere impedito all'imputato, al pari dei membri del CdA, di cogliere segnali di allarme del fenomeno del capitale finanziato. A sostegno di tale impostazione, l'appellante ha richiamato le deposizioni dei testi Do., Za., Ga., Ma., Bo., Es., Fe., Pi., Gr., Cu. (cfr. atto di appello paragrafo 3.2, lett. a). Ora, non v'è chi non veda come si sia in presenza di considerazioni del tutto inidonee ad inficiare la evidente capacità dimostrativa degli elementi valorizzati dal primo giudice (ai quali - non va trascurato - si saldano le circostanziate accuse del coimputato GI.), trattandosi di obiezioni scarsamente significative, anche per la loro assai limitata consistenza intrinseca. Con riferimento all'inerzia degli organi di controllo, infatti, è decisivo osservare che è proprio la accertata ingerenza dello ZO. nella gestione operativa della banca, per il tramite del d.g. So. ed in forza di una pacificamente accertata sinergia gestionale tra i due, a rendere sostanzialmente irrilevanti, "a monte", le considerazioni difensive predette. Era dalle sistematiche interlocuzioni che l'imputato intratteneva con il d.g. So. (alle quali ha fatto cenno lo stesso imputato nel corso del già citato interrogatorio 22.3.2017), infatti, che il primo acquisiva le informazioni che gli consentivano di "prendere il polso" della banca (ovverosia di monitorare quale fosse la reale situazione dell'istituto di credito, specie sotto i profili finanziario e patrimoniale) e, quindi, di partecipare attivamente (attraverso la condivisione con il d.g. So. delle relative iniziative) alla politica d'impresa, come si è in precedenza evidenziato. Donde lo scarso interesse - se non ai fini della più ampia comprensione delle dinamiche operative degli organi di B. - di indagare quale fosse il livello di conoscenza del fenomeno in esame da parte degli altri membri del Cda, ovverosia di comprendere se costoro (o almeno alcuni di essi) fossero consapevoli di quanto andava accadendo nella erogazione del credito correlato all'acquisto di azioni dell'istituto e delle relative implicazioni sul patrimonio di vigilanza, oppure si trovassero unicamente in una condizione nella quale la presenza di taluni segnali d'allarme avrebbe loro imposto di procedere a doverosi approfondimenti sul punto (come, peraltro, precisato nelle pronunzie della Suprema Corte di conferma delle sanzioni amministrative irrogate nei confronti di molteplici consiglieri oltre che dei sindaci). Ha davvero poco senso, infatti, ricostruire l'effettivo ruolo rivestito dal presidente nella vicenda delittuosa in esame assimilandone la posizione a quella di qualsivoglia altro membro del CdA, se non allo scopo di accreditare l'inverosimile lettura della vicenda secondo la quale, come s'è detto in apertura, l'imputato sarebbe stato una vittima inconsapevole delle malefatte di un management infedele. In ogni caso, come s'è detto, quelle esposte al paragrafo 3.2 dell'appello sono argomentazioni di ben scarsa, intrinseca significazione probatoria con riferimento alla posizione processuale dello ZO.. Certamente ciò vale con riferimento alla pur indubbia inerzia degli organi di controllo, solo a considerare che tale inerzia è risultata in larga parte dovuta non solo all'inadeguatezza dei meccanismi di controllo interni, specie sotto lo specifico profilo della assenza di autonomia dell'organismo di vigilanza (si veda, sul punto, quanto più oltre precisato con riferimento all'appello proposto da B. in l. c.a.), ma anche alla diretta responsabilità dei vertici aziendali. Quando, infatti, il responsabile dell'Audit, Bo., da tempo avveduto di quanto andava accadendo, aveva manifestato qualche velleità di intervento, erano bastate le "istruzioni" bruscamente impartitegli da So. per farlo desistere da qualsivoglia iniziativa in proposito. In definitiva, quindi, tale inerzia va fatta risalire alla volontà del vertice operativo di B. (ovverosia al So., il quale, nondimeno, come s'è detto, operava in stretta sinergia con il presidente), sicché, sul punto, si è in presenza di circostanza, bensì provata, ma del tutto irrilevante in relazione alla posizione dello ZO.. Il fatto, poi, che il teste Ga. abbia riferito di avere ricevuto dal segretario generale del CdA So. la confidenza che quest'ultimo era pienamente a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato, lungi dal deporre, come vorrebbe l'appellante, in senso favorevole all'imputato, conferma il convincimento che il tema in esame, come già detto, fosse largamente conosciuto (sia pure con differenti livelli di comprensione della relativa entità e delle conseguenti implicazioni) tra i soggetti che, a vario titolo, rivestivano ruoli di responsabilità nell'organigramma dell'istituto di credito, anche se non direttamente coinvolti nella politica di collocamento dei titoli B. (oltre che da tutti i funzionari addetti alla "commercializzazione" dei titoli) e, così, a ben vedere, concorre anch'esso a compromettere, sul piano logico, la posizione dello ZO., a meno che non si voglia ritenere - nel solco della implausibile ricostruzione che è implicita nell'impugnazione - che quest'ultimo sia rimasto vittima di una "congiura" da parte di pressoché tutti i suoi più stretti collaboratori, compresi quelli che neppure indirettamente erano implicati in tale fenomeno, come nel caso di So. (il quale, va precisato, svolgeva una funzione - quella di segretario generale del CdA - che lo qualificava come il più stretto collaboratore della presidenza con specifico riferimento alla attività di direzione del CdA stesso). Di centrale rilievo, infatti, sono le dichiarazioni dello stesso So. dalle quali emerge non solo la risalente, comune consapevolezza del fenomeno in esame in capo all'alta dirigenza di Bp., ma anche il coinvolgimento dei vertici aziendali nella "gestione" della prassi del ricorso alle "baciate". E' anche alla stregua di tali dichiarazioni che, a giudizio di questa Corte, si ricava l'assoluta inverosimiglianza della estraneità del solo ZO. rispetto alla conoscenza di un siffatto fenomeno; - di una lettura della "vicenda Da." secondo la quale la denunzia effettuata da tale socio (il quale, durante l'assemblea - va precisato - aveva esplicitamente chiesto "al Collegio Sindacale ed alla Vigilanza della Banca d'Italia di verificare se nel recente passato la Po.Vi. ha fatto affidamenti o dato garanzie dirette o indirette a soci o non soci affinché questi potessero sottoscrivere in toto o in parte azioni o obbligazioni convertibili della Banca (...)" - cfr. doc. 153 della produzione del P.M.) non avrebbe costituito un serio "campanello di pericolo" perché trascurata tanto dal collegio sindacale (a causa del doloso occultamento dei dati da parte del responsabile Audit, Bo.), quanto da parte degli ispettori di Banca d'Italia (cfr, atto di appello, paragrafo 3.2, lett. b). Osserva, in senso contrario, questa Corte, che se è vero che quanto denunziato da tale socio non ebbe riscontro nell'attività di controllo del Collegio Sindacale (come esattamente sostiene l'appellante, richiamando le deposizioni Za., Fe., Tr., Am. e comunque evocando, a sostegno della tesi secondo la quale tali denunzie non avevano suscitato allarme nei presenti all'assemblea, le deposizioni dei testi Co., Ro. e Do. - cfr. atto di appello, pagg. 60-63), è decisivo osservare - in disparte ogni considerazione in ordine alle ragioni che possono avere indotto gli organi di controllo interno ad adottare una risposta a dir poco inadeguata (essendo davvero difficile dissipare il sospetto di una linea di condotta consapevolmente omissiva, stante la diffusa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato siccome in precedenza descritta) - come contrasti con la logica più elementare ritenere che un presidente tanto presente nella vita dell'istituto e così avvertito delle gravi difficoltà nelle quali si dibatteva il mercato secondario delle azioni B., qual era Zo.Gi., non prestasse la benché minima attenzione alle gravi ed esplicite accuse mosse dal socio Da. se non, per l'appunto, in quanto aventi ad oggetto circostanze tutt'altro che sconosciute e volutamente "silenziate". Questo, a fortiori, ove si consideri debitamente che tale vicenda si inseriva nel medesimo contesto temporale delle analoghe denunzie costituite dagli scritti anonimi pervenuti all'imputato (cfr., a tale ultimo riguardo, infra). Ed è proprio l'esplicito tenore della denunzia del Da. ad impedire di prestare fede alle dichiarazioni - pure ampiamente valorizzate dalla difesa dell'imputato - rese, in sede di rinnovazione dibattimentale, dai testi Ca., Pa., Pa. e Mo., là dove costoro - peraltro interessati, per i ruoli rispettivamente rivestiti in B., ad offrire una siffatta lettura della vicenda - hanno ridimensionato, sotto il profilo della "capacità di allarme", le accuse formulate da tale socio; - della mancata conoscenza, in capo allo ZO., tanto della vicenda relativa alle dimissioni del dipendente Vi., tenuta all'oscuro del Presidente e del CdA per volontà, ancora una volta, del d.g. So. con la complicità di Bo. (cfr. atto di appello, paragrafo 3.2, lett. c), quanto delle lettere anonime inviate a B. negli anni 2013-2014 (cfr. atto di appello, paragrafo 3.2, lett. d). Ebbene, le argomentazioni difensive in ordine alle dimissioni del dipendente Vi. (private banker dimessosi per le pressioni ricevute dalla dirigenza B. affinché promuovesse "operazioni baciate"), secondo le quali lo ZO. mai sarebbe stato portato a conoscenza in modo esaustivo di tale vicenda e delle relative implicazioni, in quanto al predetto ed al CdA sarebbero stati sottaciuti i relativi esiti di indagine a causa dell'intervento dì So. nei confronti del "solito" Bo., sono tutt'altro che persuasive. La difesa, sul punto, ha richiamato le deposizioni Li., Va., Fi., Fe., Ca., Po., Fe., Do., Za. e dello stesso Bo. per sostenere che tale vicenda, "lungi dal costituire un indice di allarme" confermerebbe che lo ZO. non era mai stato notiziato del fenomeno del capitale finanziato (così, nell'appello a pag. 69). Ebbene, anche in tal caso, pare davvero inverosimile che l'imputato non abbia dato peso al contenuto tanto circostanziato della denunzia delle ragioni delle dimissioni del consulente (denunzia trasmessa, via PEC, tanto al presidente, quanto al CdA, quanto, ancora, all'ufficio - Compliance"), specie ove si tenga a mente, da un lato, l'esplicito tenore, davvero allarmante, della segnalazione in questione, puntualmente evocata dal P.G. in sede di requisitoria175 (in effetti, l'avv. Es. aveva riferito che il suo assistito "aveva interrotto il rapporto di lavoro...in considerazione delle irregolarità che gli veniva richiesto di compiere dai funzionari a lui sovraordinati", precisando, al riguardo, che il predetto Vi. "era continuamente richiesto di reperire clienti disposti a sottoscrivere le cd " "operazioni baciate" nelle quali la Banca erogava un finanziamento al cliente a condizioni spesso particolarmente vantaggiose affinché questi acquistasse azioni della banca stessa", soggiungendo, sul punto, che si trattava di un sistema che aveva movimentato "svariati milioni di euro" e del quale il medesimo Vi. aveva verificato "la piena conoscenza da parte di molti funzionari operativi ed anche della funzione del personale al momento di dare le dimissioni e concludendo, infine, come fosse intenzione del proprio cliente rinnovare "ai vertici dell'istituto le segnalazioni all'epoca inascoltate" e mettere "sin d'ora a disposizione", per il tramite dello stesso legale, "tutte le informazioni in suo possesso nell'auspicio che la banca voglia procedere agli opportuni interventi a tutela degli azionisti e della clientela .." - cfr, doc. 420 produzione P.M.); dall'altro lato, la piena padronanza, da parte del predetto, della situazione di grave difficoltà del mercato secondario delle azioni B. (che - va ribadito ancora una volta - costituiva la principale ragione del ricorso al "capitale finanziato"); e, dall'altro lato ancora, la circostanza che il Presidente ZO., letta la predetta denunzia il 7,7,2014, non ne aveva disposto l'inoltro al responsabile dell'Audit Bo. (al quale era poi pervenuta comunque, tramite il responsabile della "Compliance", Fe.), bensì ai soli vertici dell'ufficio legale, avv. Pa., e della Divisione Risorse, Ad.Ca. (soggetti che si andavano ad aggiungere agli ulteriori destinatari già individuati dalla segreteria, So., So., Fe., Gi., Va. e Ro.), così sostanzialmente derubricando la vicenda ad una questione legale relativa al personale (questione, pure, certamente sussistente, ma del tutto trascurabile rispetto alla assoluta gravità di quanto denunziato dal legale del Vi.) o, comunque, ad un reclamo (del resto, la risposta all'avv. Es. era poi stata resa dall'Ufficio Reclami, come precisato dal teste Fe.), né aveva poi chiesto informazioni sugli sviluppi della questione. Il medesimo giudizio di sostanziale irrilevanza, poi, si impone con riferimento alle considerazioni difensive in ordine alle lettere anonime (cfr. atto dì appello pagg. 69-73) che contenevano espliciti riferimenti non solo alle pressioni esercitate per indurre alla sottoscrizione di capitale, ma anche ai finanziamenti all'uopo erogati dalla banca. Questo, senza che possa ritenersi minimamente credibile, quanto alla già citata missiva (doc. 651 produzioni / del P.M.), recante la data dell'11 marzo 2014 e ricevuta il 13 marzo 2014 - / ovverosia alla lettera che conteneva il più esplicito riferimento alle "baciate" ("Presidente, perché continuare in questa folle corsa a dimostrare le forze di una banca che non ci sono o se sembrano esserci derivano da numeri manipolati ad arte. Perché deliberare un aumento di capitale in 15 minuti, senza un consorzio, come aver deciso in quale ristorante andare a mangiare. Perché non capire che i soldi drenati nell'ultimo aumento sono stati tanti e sarà Impossibile ritrovarli anche stressando rete e clienti. Come fai a non sapere che l'ultimo aumento di capitale è avvenuto a forza di finanziamenti di centinaia di migliaia di Euro ad aziende che non potevano dire di no, giustificati dai motivi più svariati. Ma se venisse Banca d'Italia e notasse (verifica più che facile da fare) che l'80% dei prestiti erogati ad aziende è stato, nonostante la richiesta fosse partita con altri intenti utilizzato per sottoscrivere azioni della Banca, cosa potresti direi Non ti sentire intoccabile.....Come fai a pensare di fare un aumento di capitale non rinnovando le obbligazioni in scadenza, stravolgendo il profilo di rischio del cliente, forse siamo la banca che opera più variazioni MIFID in assoluto, che logica che deontologia c'è alla base di tutto questo......invia segnali di lucidità e correttezza altrimenti è giusto che l'opinione pubblica (i giornali) e l'organo deputato (Banca Italia) sappiano cosa è accaduto e cosa sta accadendo") e che era pervenuta in epoca che avrebbe consentito l'adozione di "contromisure", se non tempestive, "meno tardive" - l'ipotesi che di tale corrispondenza il presidente non avesse avuto conoscenza per effetto dì una sorta di "censura preventiva" operata dal d.g. So.. Ciò, in particolare, ove sì consideri: in primo luogo, che, come precisato dal teste di P.G. Ta.Vi., la suddetta missiva era poi stata inoltrata dallo stesso So. ad altri soggetti (segnatamente, al vicedirettore Ca. e al dipendente Va.); e, in secondo luogo - e trattasi, a ben vedere, di circostanza di decisivo rilievo - che la missiva in questione era pervenuta non già a mezzo mail (come sostenuto dalla difesa ZO.) bensì a mezzo posta cartacea e, una volta ricevuta nonché regolarmente protocollata in data 13 marzo 2014 dalla Segreteria della Presidenza B., era stata scannerizzata, (come si desume dall'indicazione "Allegati: scan pdf) per poi essere in tale veste trasmessa, quale allegato, ad una mail inviata dalla Segreteria della. Presidenza B. in data 14 marzo 2014 al d.g. So.. Il tutto è provato per tabulas dal citato doc. 651 del P.M.. Segnatamente, risulta ben chiara l'apposizione, sulla missiva anonima cartacea poi scannerizzata, del regolare timbro di protocollo della Segreteria della Presidenza con data 13 marzo 2014; eloquente è poi, sul fatto che la missiva anonima fosse pervenuta in formato cartaceo a mezzo del servizio postale ordinario, l'oggetto (sul quale v. subito infra) della mail inviata dalla stessa Segreteria, il giorno seguente alla sua ricezione, al d.g. So.. Sicché trova radicale smentita l'ipotesi (più esplicitamente illustrata in sede di discussione, rispetto a quanto adombrato a pag. 71 dei motivi di appello, in difetto, peraltro, di qualsivoglia riscontro che possa emanciparla dal rango di mera illazione) che detto scritto non sarebbe mai stato stampato a beneficio del presidente e, al contrario, sarebbe stato immediatamente inoltrato al d.g. So., in esecuzione di una sorta di censura attuata, in danno dell'imputato, dal d.g., avvalendosi della collaborazione di una segretaria (la dott.ssa Li.) infedele. In effetti, non può certo fondatamente valorizzarsi, a sostegno di siffatta ricostruzione, la mera circostanza che su detta missiva, mai sequestrata (e "recuperata" soltanto in sede di esame dell'account di posta elettronica del So.), non risultassero apposte annotazioni manoscritte dell'imputato. Del resto, anche ove non intendesse prestarsi fede alle dichiarazioni della teste Li., la quale ha riferito che ogni lettera indirizzata al presidente era verificata e collocata, ordinatamente, secondo le priorità desumibili dal contenuto, sulla scrivania dello ZO., senza eccezione alcuna177, la circostanza che la segreteria avesse provveduto a protocollare la missiva in esame, come si ricava dal timbro apposto sul documento, costituisce la più evidente smentita, sul piano logico, della tesi della sottrazione di corrispondenza in danno del giudicabile per effetto di una callida determinazione del direttore generale. Aggiungasi, del resto, che è lo stesso contenuto della mail di trasmissione al d.g. (tanto con riferimento al testo: "Egregio Direttore, come da Sua richiesta..", quanto alla puntuale descrizione dell'oggetto; "Lettera anonima ricevuta il 13 marzo 2014 - timbro postale di Firenze datato 11 marzo 2014 - riservata") a confliggere con la tesi secondo la quale si sarebbe trattato di una trasmissione clandestina, effettuata a tutto discapito del presidente di B.; - della assenza, nell'articolo apparso sul quotidiano economico "Il." del 27 ottobre 2014, a firma Ga., di effettivi riferimenti al fenomeno del capitale finanziato (tale non potendosi ritenere quanto riferito al giornalista dall'imprenditore di Sc.Pa.Tr., il quale aveva dichiarato che, a fronte del proprio rifiuto di acquistare azioni, si era visto ridurre i finanziamenti) e, comunque, dell'assenza di riscontri a quanto denunziato da parte della direzione generale e delle funzioni di controllo, sicché tale articolo non avrebbe potuto, in concreto, rappresentare un "serio e specifico segnale d'allarme" (paragrafo 3.2, lett. e). In proposito, è decisivo osservare, in senso contrario, che tale intervento, effettuato sulla più autorevole testata giornalistica specializzata, aveva prodotto nell'intero settore bancario e, a fortiori, all'interno di B., una vastissima eco. Inoltre, non è affatto vero che detto articolo, pur non facendo esplicito riferimento alle operazioni "baciate", non contenesse un chiaro riferimento al fenomeno del capitale finanziato. Sul punto, infatti, al di là della precisa deposizione resa dal teste ispettore Ga., è dirimente la lettura di tale scritto, dalla quale è possibile direttamente apprezzare come il giornalista, oltre ad affrontare i temi, evidentemente connessi, dell'"anomalia del fondo acquisto azioni proprie" (così, espressamente, nell'"occhiello" dell'articolo), della illiquidità del titolo azionario (definito dall'ex consigliere Consob, Sa.Br., il cui parere era ivi richiamato, un "prodotto palesemente fuori mercato", per effetto di una valutazione del titolo u fuori dal mondo"179) e del valore dell'azione, avesse riportato le dichiarazioni rese da un imprenditore del settore degli imballaggi e delle spedizioni (tale Pa.Tr., di Sc.) il quale aveva sostanzialmente riferito di avere ricevuto la proposta di finanziamento per l'acquisto di azioni ("..A noi sono venuti ripetutamente a offrire azioni dell'istituto in cambio di finanziamenti - Io mi sono rifiutato e dopo pochi mesi mi sono stati ridotti i finanziamenti.."), soggiungendo, peraltro, essergli noto che si trattava di un caso tutt'altro che isolato ("La mia esperienza porta a pensare che non abbiano fatto così solo con le aziende. Questa primavera un mio dipendente aveva bisogno di un mutuo per l'ampliamento di casa, e quando lo ha chiesto si è sentito dire che se avesse comprato azioni della banca gli avrebbero dato un tasso di favore. Altrimenti sarebbe stato molto più alto..."). E' fuori discussione, pertanto, che si trattasse di un articolo che costituiva un serissimo indice di allarme per qualsivoglia vertice aziendale, a fortiori se pienamente consapevole, come lo ZO., della difficoltà del mercato secondario del titolo. Le deposizioni assunte, poi, hanno confermato l'impatto deflagrante che tale pubblicazione aveva avuto, anche all'interno del CdA (là dove, peraltro, in modo assai poco ragionevole, si era discusso, come riferito dal teste Br., di avviare un'azione legale nei confronti del giornalista ancor prima di interrogarsi sulla fondatezza, anche parziale, della notizia). Sicché escludere che tale articolo costituisse (specie per un presidente di certo cosciente della effettiva illiquidità dell'azione B.) un serio segnale d'allerta per l'assenza di un esplicito riferimento alle "operazioni baciate" costituisce ipotesi davvero surreale. Peraltro, è appena il caso di considerare che, nel medesimo periodo (11 novembre 2014), era stato pubblicato, su una testata di autorevolezza e diffusione assolute ("Co."), come ampiamente ricordato supra nel trattare la posizione dell'imputato Ma., anche un altro articolo - prodotto quale fonte aperta dalla difesa dell'imputato Pi. all'udienza del 4.2,2020 - dal contenuto assai allarmante con riferimento a B. (ed a Ve.) nel quale sostanzialmente si denunziava, con dovizia di particolari, l'eccessiva, inverosimile patrimonializzazione delle banche venete per effetto di una attribuzione alle azioni di valori sovrastimati (quanto a B. si ipotizzava un reale valore di 21,90 euro), tanto che - precisava il giornalista, Stefano Righi - le azioni di tali banche erano sostanzialmente "illiquide". Considerazioni del medesimo tenore si impongono - conseguentemente - anche con riferimento alle censure che l'appellante ha mosso alla sentenza impugnata con specifico riferimento alla affermata conoscenza del ricorso al capitale finanziato e, più specificamente, alle "operazioni baciate" (rispettivamente ai punti 3.5 e 3.6 dell'atto di impugnazione), in quanto, anche in tal caso, gli elementi valorizzati dalla difesa non confortano minimamente la lettura dei fatti secondo la quale l'imputato avrebbe ignorato l'esistenza delle "operazioni baciate". Segnatamente, l'appellante ha evidenziato (al paragrafo 3.5): - che, nell'ambito del "campione" di clienti i quali avevano effettuato operazioni "baciate" escusso in dibattimento, pressoché tutti i testimoni avevano escluso un ruolo attivo dell'imputato nel consigliare/proporre tale tipo di operazioni (l'appellante ha richiamato espressamente le deposizioni Fe., Ca.Em., Ca.Pi., Br., Bo., Fa., Fe., Bu., De., Da., Va., Ro., Br., Ta., Fa., Ma., Ri., De., Co., Ti.Da., Ti.An., Ma., Tr., Se., To., Ba., Se., Ca. - paragrafo 3.5, lett. a):). Ebbene, la circostanza che non fosse stato lo ZO. a proporre/consigliare tali operazioni ai testimoni evocati dalla difesa, non riveste alcun significato, solo a considerare che le proposte in tal senso erano solitamente avanzate, alla migliore clientela, non già dal presidente, bensì dalla più alta dirigenza commerciale dell'istituto (si pensi a quanto avvenuto con riferimento alla operazione sottoscritta dal coimputato ZI. ed a questi proposta dal GI., il quale ultimo, del resto, ha anche dettagliatamente descritto il contesto - spesso un appuntamento al domicilio dei migliori clienti - nel quale venivano formulati gli inviti all'acquisto delle azioni B.). Peraltro, va rammentato che il teste Ro. ha dichiarato che l'imputato, in occasione di incontri conviviali, lo aveva ripetutamente rassicurato che non avrebbe avuto problemi in relazione alla operazione (una "baciata" per l'importo di 5 milioni di euro) che aveva effettuato. Sebbene detto teste non abbia affermato con certezza di avere citato, nelle interlocuzioni con l'imputato, tate finanziamento ("certamente si ma non è venuto il presidente Zo. a chiedermi di fare questo finanziamento....Si parla delle azioni ma non proprio del finanziamento. Io non mi ricordo, può essere che abbiamo parlato anche di questa operazione..."), ha comunque riferito che si trattava di un presupposto implicito ("Erano tutte sottintese. Tutti i finanziamenti erano/ operazioni che si facevano, e che non avevamo bisogno...io non lo facevo, ripeto, a scopo di lucro, lo facevo per avere un buon rapporto con la banca ..."); - che le c.d. "cene di Lo." altro non erano che sporadici appuntamenti conviviali nel corso dei quali mai il presidente aveva fatto cenno, in alcun modo, al fenomeno in esame (e, al riguardo, nell'appello si richiamano le deposizioni Mo., Lo.Tr., Ra.Gi. e Ra.Si., sottolineando, per contro, l'inattendibilità di quanto riferito da Lo.Tr. e da Lo.Da. - paragrafo 3.5, lett. b). A ben vedere, che non si affrontasse esplicitamente il tema del capitale finanziato in occasione di tali cene è circostanza assai poco significativa, tenuto conto proprio del contesto conviviale in questione (che induceva a non parlare di "banca", ovverosia "di lavoro", come precisato dal teste Mo.181). Nondimeno, tanto Ra.Gi. quanto Ra. Silvano hanno riferito che, al margine di tali eventi, erano soliti chiedere garanzie al presidente, il quale non mancava di tranquillizzarli, circostanza che, tenuto conto della serietà dell'imputato e dell'importanza" di tali interlocutori (i quali detenevano un pacchetto di azioni per circa 90 milioni di euro), induce ragionevolmente ad escludere che il giudicabile ignorasse la tipologia di operazione da costoro effettuata. Peraltro, il teste Ra. ha pertinentemente osservato, per confortare la tesi secondo la quale le rassicurazioni che lui stesso ed il fratello sollecitavano dallo ZO. non riguardassero affatto, in generale, la tenuta dell'azione, bensì "le loro operazioni correlate", come non avrebbe avuto alcun senso, all'epoca, dubitare sulla tenuta del titolo di B. (""Zo., in queste occasioni, ci tranquillizzava dicendoci che, finché c'era lui in banca, non avremmo dovuto preoccuparci di niente. Questo tipo di rassicurazioni ce l'ha data in più di una occasione anche prima delle assemblee degli azionisti. Evidenzio che, come ho già precisato, noi non avevamo finanziamenti o ragioni di esposizioni con fa banca ai di fuori delle operazioni che ho descritto. Pertanto le rassicurazioni di ZO. erano chiaramente rivolte a queste operazioni proposte da So. e GI., peraltro quanto ZO. ci dava queste rassicurazioni facevamo esplicito riferimento alle "operazioni concluse"(....) Rammento che mi rivolgevo a ZO. con espressioni del tipo "Presidente, possiamo stare tranquilli sulle operazioni che abbiamo fatto?" Di sicuro non parlavamo di informazioni sulla tenuta dell'azione. Del 1 resto, net 2012 (ovverosia quando avevano iniziato ad interrogare l'imputato, la loro prima operazione finanziata essendo collocabile nel 2011) nessuno sollevava dei dubbi sulla tenuta in sé dell'azione,."182). Pertanto, da tali deposizioni non si ricava affatto l'inattendibilità di quanto dichiarato dal teste Lo.Tr. in ordine alle rassicurazioni dallo stesso ricevute da So. e da Gi. circa il fatto che il presidente fosse consapevole delle "operazioni baciate"; - che dal contenuto delle deposizioni degli "amici del presidente" Ca., Ri., Ir., Ra.Fo. e Be.De. e del familiare dello ZO., Zu., non si sarebbero potuti affatto ricavare elementi a carico dell'imputato (paragrafo 3.5, lett. c). Per contro, ad avviso di questa Corte, il tribunale ha convincentemente valorizzato tali deposizioni. Quanto al Ca., avendo questi goduto di tassi vantaggiosi per il rinnovo dei "time deposit" ed essendo destinatario di due lettere di impegno (a fronte di un prestito obbligazionario) che gli garantivano un rendimento determinato previa esplicita autorizzazione di ZO., trattasi di deposizione che, in ogni caso, evidenzia l'ingerenza dell'imputato nella operatività della banca con riferimento ai "grandi investitori". La deposizione del Ri., amico di vecchia data dell'imputato, poi, è tutt'altro che generica là dove riferisce che lo ZO., appreso che costui aveva sottoscritto un acquisto finanziato di azioni B. per 150.000 Euro, si era dimostrato compiaciuto. Altrettanto dicasi per quanto riferito dallo Zu., posto che lo strettissimo legame familiare intercorrente con l'imputato rende davvero irrealistico ritenere che quest'ultimo non conoscesse la fonte della provvista impiegata dal cognato per l'operazione, ancorché questi abbia poi sostenuto di non averlo ragguagliato dì tale acquisto di azioni. In ogni caso, qualora, come sotteso all'impostazione difensiva (ed esplicitato in sede di discussione, là dove, come s'è detto, si è ricostruita la vicenda sub iudice prospettando una i sorta di "isolamento" dello ZO. posto in essere dal d.g. So. il quale, interessato a gestire detto fenomeno all'insaputa del presidente, avrebbe eretto un muro invalicabile tra costui e l'alta dirigenza della banca), il d.g. So. avesse realmente inteso mantenere all'oscuro il presidente circa il ricorso alle operazioni baciate, sarebbe stato davvero assurdo che contratti di tal genere fossero stipulati con un soggetto tanto legato allo ZO. quale, per l'appunto, il di lui cognato. La deposizione delle teste Ir., poi, per quanto stringata, non può affatto ritenersi irrilevante, avendo comunque la donna riferito di avere intavolato proprio con lo ZO., il quale l'avrebbe poi dirottata sul d.g., la trattativa che sarebbe sfociata in una "baciata" da 3,5 milioni. Inoltre, quanto al Be.De., se è vero che questi ha sostenuto di non avere mai parlato con il presidente delle proprie "baciate", vanno richiamate le contrarie dichiarazioni rese dai testi Gi. e Ba., siccome già valorizzate dal primo giudice in ordine alla conoscenza, in capo al giudicabile, delle operazioni finanziate riferibili a tale socio. In particolare, va precisato che, come affermato dal teste Gi., il Be., da un lato, era in strettissimi rapporti con l'imputato (con il quale era solito incontrarsi finanche durante le vacanze); e, dall'altro, era un'"diffusore" della banca, un "portatore di contatti" (o, come riferito dal Gi. alla stregua dell'efficace espressione con la quale lo stesso Be. era solito definirsi, "un soldato della banca") nel senso che si impegnava per la promozione dell'istituto su nuovi territori (segnatamente, la Lombardia), sicché si è in presenza di specifici elementi di fatto che rendono davvero impensabile che lo ZO. non fosse a conoscenza degli investimenti in titoli B., finanziati dall'istituto, effettuati da tale soggetto. Peraltro, non ci si può esimere dal sottolineare che il Be.De. - il quale, secondo il Gi., nell'aprile del 2015, dopo la svalutazione del titolo, aveva telefonato manifestando veementemente tutto il proprio disappunto185 - richiesto di riferire quale fosse stato il tenore del colloquio che, portatosi fino a Vicenza, aveva intrattenuto, proprio nel predetto mese di aprile, con il presidente Zo., ha assai poco persuasivamente riferito di non serbare memoria dell'episodio (...Non rammento gli argomenti di detto colloquio con Zo. ..."). Infine, che il tribunale abbia omesso di considerare le deposizioni Ha. e Ra.Fo. discende dalla sostanziale irrilevanza di tali dichiarazioni (attesa la genericità di quanto riferito dall'Ha. e considerato che dall'estraneità del presidente rispetto all'operazione effettuata dal Ra.Fo. non è certo arguibile il difetto di conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte dello ZO.). Del resto, non può certo trascurarsi di considerare che opportunamente il primo giudice ha valorizzato la deposizione di Se.Pi., assai significativa circa la conoscenza delle "badate" da parte del presidente, senza che possa svalutarsi detto contributo dichiarativo sul presupposto, sotteso all'impostazione difensiva, di una indimostrata ostilità successivamente maturata da tale teste verso il giudicabile (ostilità, peraltro, che sarebbe dovuta essere di intensità tanto accesa da giustificare dichiarazioni false così gravi, specie tenuto conto dello stretto legame di amicizia tra il teste ed il figlio dell'imputato), ovvero sulla base delle incongruenze parimenti segnalate dalla difesa, a ben vedere trascurabili e, comunque, agevolmente spiegabili (e spiegate dallo stesso testimone, quanto alla questione della telefonata tra So. e ZO., come frutto di un refuso188; e, quanto all'incontro a castello d'Albola, in ragione di un progressivo affioramento dei ricordi, peraltro obiettivamente ragionevole in relazione a vicende tanto complesse. Del resto, il teste ha riferito che aveva soggiornato più volte presso tale residenza, sicché, anche sotto tale profilo, il mancato iniziale ricordo non può destare particolare sorpresa); - che, tra i familiari del presidente i quali (a differenza, peraltro, dell'imputato, della sua stretta famiglia e delle aziende del gruppo) avevano compiuto operazioni "baciate", era soltanto annoverabile il già evocato Fr.Zu., il quale, come visto, aveva riferito di non aver mai parlato di operazioni correlate con il presidente della banca (paragrafo 3.5, lett. d). Trattasi, com'è evidente, di circostanza di nessun rilievo sul punto, non essendo in discussione la effettività dell'apporto di capitali "reali" fornito dallo ZO. e dai suoi familiari alla banca; - che la "vicenda Ma." (inerente all'acquisto di azioni B. con finanziamento della banca) vedeva del tutto estraneo lo ZO. (paragrafo 3.5, lett. e). E' agevole osservare, in proposito, che l'estraneità dell'imputato ad una specifica operazione non rileva affatto, sotto il profilo probatorio, con riferimento alla questione in esame, inerente alla conoscenza di un ben più vasto e radicato fenomeno; - che dall'esame dei dirigenti e dei funzionari B. i quali, a diverso titolo, avevano contribuito alla diffusione del fenomeno del capitale finanziato non emergevano affatto elementi di responsabilità a carico del presidente, non avendo costoro mai parlato con ZO. delle "operazioni baciate" o, comunque, ascoltato il presidente affrontare tale argomento (l'appello, sul punto, ha richiamato le deposizioni Ri., Gi., Tu., To., Se., Pa., Ro., Cu., Ba., Te., Ve., Ca., Da., Pi., Bosso, Ip., Gi.n, Ma., Si., Ni., Pr., Ro., Be., St., Sa., Me., Ta., Pa., Gi., Ba. - paragrafo 3.5, lett. f). Ebbene, fermo restando che, come già anticipato, le dichiarazioni dei funzionari di B. scontano un più o meno marcato deficit di affidabilità; tenuto conto del differente grado di coinvolgimento di taluni di costoro in "segmenti", anche importanti, della operatività illecita di B. (pur se non accompagnato dalla consapevolezza della vastità di tale prassi e delle relative implicazioni), si è in presenza, in ogni caso, di deposizioni che, con specifico riferimento alla posizione dello ZO., risultano davvero di trascurabile rilievo, posto, per un verso, che il presidente non si occupava certo delle singole operazioni finanziate; e, per altro verso, che costui, come ripetutamente evidenziato, non intratteneva rapporti diretti (se non in casi assolutamente sporadici), con i funzionari della banca, limitandosi ad interloquire unicamente con i massimi vertici operativi (e, segnatamente - lo si è già detto - con il d.g.). In ogni caso, sebbene il teste Pa. non abbia riferito di avere assistito al diretto coinvolgimento dell'imputato in discussioni inerenti alle operazioni "baciate", la deposizione di costui merita dì essere evidenziata, provenendo da un alto funzionario di B. che, non essendo in alcun modo coinvolto direttamente nella operatività in esame (trattandosi di vicedirettore della divisione marketing), risulta obiettivamente attendibile: "..TESTIMONE PA. - Allora, sicuramente questo tipo di operatività e questo tipo di operazioni con gli imprenditori era impossibile che né il Presidente, né So.", non ne fossero a conoscenza. Era evidente perché? Perché parlavano con gli imprenditori quotidianamente, sotto tanti aspetti, che potevano riguardare una sponsorizzazione o un evento o c/n... Cioè, c'era un forte legame col territorio, quindi gli imprenditori parlavano continuamente con Zo., li vedevo comunque entrare in banca e andare a parlare comunque con i vertici della banca. Quindi è impensabile che non ci fosse consapevolezza di quello che stava accadendo e di questo tipo di operazioni, proprio per il ruolo che avevano sia il Presidente, sia So., nella gestione della banca..." (cfr. dep. Pa., udienza 10.9.2020, pag. 52); s che né gli organi dì controllo interno (Audit, Comptiance, Risk Manager) e neppure i membri del collegio sindacale e del CdA avevano reso deposizioni a carico dello ZO. circa la conoscenza del capitale finanziato (paragrafo 3.5, lett. g). In proposito, si è in presenza di considerazione bensì fondata sulla corretta lettura delle deposizioni di riferimento, ma, anch'essa, in concreto, di scarsi significazione. In disparte, anche in tal caso, l'attendibilità di contributi dichiarativi provenienti da soggetti coinvolti indirettamente (per i doveri di controllo su di loro incombenti) nei fatti sub iudice - soggetti i quali, ammettendo la conoscenza del fenomeno delittuoso in capo a ZO., avrebbero inevitabilmente finito per coinvolgere le loro stesse persone in un ambito di responsabilità di tipo quantomeno "morale" - è dirimente la considerazione, già ripetutamente espressa in precedenza, in ordine al fatto che era al di fuori del perimetro del CdA - e, segnatamente, in occasione delle continue interlocuzioni con il d.g. So. - che l'imputato affrontava le questioni più delicate; - che, infine, il solo GI., tra tutti i coimputati, aveva reso dichiarazioni che attribuivano allo ZO. la consapevolezza di tale fenomeno, non ricavandosi dalle dichiarazioni degli imputati PI., MA. e PE. alcunché di pregiudizievole per il presidente (paragrafo 3,5, lett. j); Ebbene, anche in tal caso, quello segnalato dall'appellante è un elemento di ben scarso peso, tenuto conto della veste processuale dei predetti soggetti e del convergente obiettivo difensivo di costoro di "scaricare" ogni responsabilità sul d.g., invocando, in loro favore, analogamente all'imputato ZO., profili di più o meno marcata inconsapevolezza del fenomeno in questione; - che da quanto sostenuto dal coimputato MA. e dal dirigente Ca. nel corso delle conversazioni di cui alle intercettazioni, rispettivamente, n. 259 e 526, si ricaverebbe la mancata conoscenza, in capo al presidente, del capitale finanziato (ancora paragrafo 3,5, lett. j). Al riguardo, valgano le seguenti considerazioni. Della telefonata n. 526, intercorsa tra Ca. e Cu., s'è già detto, sicché si rimanda alle considerazioni svolte sul punto. Quanto, poi, alla conversazione n. 259, svoltasi tra il coimputato MA. e il responsabile Audit Bo. - conversazione, peraltro, che, come s'è detto, costituisce significativa espressione del tentativo di quest'ultimo di farsi da tramite con il primo per indurlo a modificare quanto riferito in sede di audit poiché pregiudizievole per il presidente - deve osservarsi come il mancato esplicito riferimento al nome dello ZO. quale soggetto informato del fenomeno in esame (secondo quanto riferito al medesimo MA. dal So.) appaia di rilievo davvero trascurabile. Anzi, a leggere con la dovuta attenzione la trascrizione del colloquio (del quale, di seguito, si riportano i passaggi più significativi, rimandandosi, per il resto, alla perizia di trascrizione) è possibile cogliere come il medesimo MA. avesse interpretato proprio in tal senso (l'unico ragionevole, del resto) l'indicazione del So. di avere informato - chi di dovere", dando, per l'appunto, per "scontato" che il d.g., con tale espressione, intendesse effettivamente riferirsi al presidente: (......) Omissis (......) E, del resto, lo stesso MA., in occasione dell'esame reso nel corso del giudizio di primo grado, si è univocamente espresso in tal senso (cfr. esame Ma., udienza 16.6.2020, pagg. 18-19). - che dall'appunto manoscritto riguardante Em.Gi. sequestrato presso l'ufficio del presidente si ricaverebbe, ancora una volta, come costui fosse all'oscuro del fenomeno delle baciate. Al riguardo, deve osservarsi, in senso contrario, che desumere dall'intitolazione ("Dichiarazioni Gi.") e dal contenuto degli appunti redatti dall'imputato in occasione dell'incontro con il coimputato del 4.5.2015 - in atti quale doc, 857 del P.M. - l'ignoranza da parte del presidente dell'argomento affrontato in occasione di detto incontro è conclusione tanto ardita da non richiedere specifica confutazione: l'imputato, infatti, aveva tutto l'interesse a manifestare la propria estraneità all'accaduto (di cui, peraltro, in occasione di detto colloquio, secondo quanto riferito dal GI., non aveva potuto negare una sia pur parziale conoscenza, quella, per l'appunto, delle "baciate parziali"). Quindi (al successivo paragrafo 3,6), l'appellante ha sostenuto come l'ignoranza da parte dello ZO. della prassi delle "operazioni baciate" potesse ricavarsi da una serie di elementi emersi nel corso dell'istruttoria e, in particolare, ha evidenziato: - che lo ZO. non si ingeriva affatto nella vendita delle azioni (paragrafo 3.6, lett. b), non deponendo in senso contrario l'interessamento rispetto alla operazione di vendita delle azioni detenute dal coimputato ZI., trattandosi di una operazione effettuata da un membro del CdA e che, parimenti l'imputato non si interessava, se non nell'ambito di una normale interlocuzione propria di un "presidente scrupoloso", dell'andamento della divisione estero (paragrafo 3.6, lett. c). Trattasi, anche in tal caso, di considerazioni sostanzialmente irrilevanti. Il mancato coinvolgimento del presidente nel collocamento delle azioni e l'assenza di ingerenza nella gestione degli investimenti esteri, infatti, discendono unicamente, in termini di evidenza, dal ruolo non operativo dell'imputato (fermo restando, peraltro, quanto emergente dalla mail, più oltre richiamata, inerente all'incremento della partecipazione azionaria "delle Za."); - che il commento effettuato nel CdA 11.11.2014 relativo all'articolo de "Il." che aveva messo in dubbio il valore dell'azione - commento caratterizzato dal biasimo per lo scritto, in ragione delle modeste oscillazioni del titolo B. rispetto a quelle di altri titoli bancari - deponeva nel senso della buona fede dell'imputato (paragrafo 3,6, lett. d). Ebbene, degli effetti della pubblicazione del menzionato articolo si è già detto. L'effettiva buona fede dell'imputato, a ben vedere, avrebbe implicato una ferma richiesta di approfondita indagine, non già una reazione scandalizzata (peraltro del tutto contraddittoria con la già evidenziata piena consapevolezza delle condizioni critiche del mercato secondario); - che le dichiarazioni rese dal funzionario Gi. - là dove costui aveva riferito che il presidente aveva dato l'indicazione di sostenere con finanziamenti i soci intenzionati a vendere il titolo - non si sarebbero dovute interpretare come inerenti ad una operazione di finanziamento correlato (in questo caso ex post), bensì come un ausilio economico prestato, in attesa della realizzazione della vendita, a coloro che, per bisogno dì liquidità, intendevano liberarsi dell'azione (paragrafo 3.6, lett. e). In proposito, vale osservare, in senso contrario, che l'interpretazione data dal primo giudice delle dichiarazioni rese dal Gi. è la più coerente con le complessive emergenze istruttorie in ordine alla più volte evocata cognizione, da parte dello ZO., della sostanziale illiquidità del titolo B.; - che i documenti richiamati, in sentenza, per avvalorare il ruolo operativo svolto dall'imputato non predicavano affatto in senso coerente con l'ipotesi d'accusa. E, al riguardo, l'appellante ha richiamato, in particolare, gli appunti So., la mail del 25.9.2010, nonché i documenti nn.ri 322 e 320 della, produzione del p.m, (paragrafo 3.6, lett. f). Ora, la lettura "neutra" offerta dalla difesa dei documenti citati alle pagg. S63 e ss. dell'atto di appello è, per l'appunto, "neutra" (peraltro, il documento 320 del P.M. - ovverosia la mail nella quale Ro. scriveva a Ro. che il presidente sosteneva "che occorre incrementare il possesso azionario delle Za." - ovverosia di soggetti che erano "soci storici" - obiettivamente orienta nel senso dell'ingerenza dell'imputato in temi operativi di rilievo); - che quanto affermato nel corso della seduta del comitato di direzione 10.11.2014, con specifico riferimento all'incontro previsto tra il Presidente e la "fondazione Lucca", non era inerente alla ricerca di un interlocutore che, acquisendo azioni B., potesse contribuire alla pratica di "svuotafondo"(ancora paragrafo 3.6, lett. f). Diversamente, deve osservarsi che è la lettura delle interlocuzioni immediatamente precedenti, inerenti proprio al predetto tema dello "svuotafondo", a rendere decisamente più ragionevole che tale fondazione potesse essere coinvolta in tale operatività in occasione del prossimo incontro che il presidente, di lì a poco, avrebbe avuto con i vertici di tale ente (senza che alla congiunzione "però" possa attribuirsi significato dirimente in senso contrario. E, in ogni caso, trattasi di circostanza di ben trascurabile rilievo); - che i rapporti con il d.g. So. non potevano affatto essere letti in termini di "insana complicità" tra i due e che i messaggi SMS valorizzati in sentenza (nn.ri 653, 654, 655) non erano passibili di univoca interpretazione, a quella proposta dal tribunale affiancandosi quella, opposta, secondo la quale si sarebbe trattato di comunicazioni volte a sollecitare il d.g. a "spianare la strada" ai finanziamenti", non già a sollecitare il medesimo d.g. a riferire allo ZO. che detti finanziamenti erano specificamente destinati all'acquisto di azioni B. (paragrafo 3.6, lett. g). A ben vedere, la ricostruzione difensiva dei rapporti con So. - ricostruzione secondo la quale tali rapporti sarebbero stati espressione di reciproca stima e non già di "insana complicità" - è coerente con una lettura praticabile solo sul piano astratto, ovverosia avulso dal complessivo panorama probatorio acquisito al giudizio. Trattasi, infatti, di lettura che, non appena "calata" nel reale contesto operativo siccome delineato dalle emergenze istruttorie, trova piena smentita nelle evidenze fattuali disponibili (ivi compreso il trasparente tenore delle comunicazioni intercettate effettuate dal d.g. So.), oltre che nelle considerazioni logiche in precedenza evocate. - che le intercettazioni valorizzate a carico dello ZO. non erano significative (paragrafo 3.6, lett. h), perché generiche (è il caso della conversazione del 26.8.2015 tra Zi. e Ba. nella quale si diceva che So. e Zo. "viaggiavano a braccetto"), ovvero perché inattendibili (in quanto inerenti a conversazioni tenute da soggetto - il d.g. So. - interessato a sminuire il proprio ruolo, coinvolgendo il presidente), ovvero ancora perché inerenti a tematiche differenti dal capitale finanziato (è il caso della conversazione n. . 300 intercorsa tra il d.g. e la segretaria di ZO., relativa all'aumento di capitale). Ora, delle comunicazioni intercettate intrattenute da So. e delle relative affidabilità e concludenza si è già detto, sicché non resta che rinviare alle considerazioni esposte al riguardo. Analoghe considerazioni debbono svolgersi con riferimento alla citata conversazione intercorsa tra il coimputato ZI. e Ba., di significato tutt'altro che vago ed opinabile, considerata la conoscenza che lo ZI., in ragione del ruolo ricoperto, aveva delle modalità operative del presidente; - che la risoluzione del rapporto con il d.g. So. non era stata una iniziativa personale ma era stata preceduta da incontri con PI., GI. e con l'ispettore Ga. e dall'ascolto del parere dei legali Do., An., Am., alla presenza dei consiglieri Br. e Ma.. In ogni caso, come anche diffusamente ribadito nelle "note scritte sulla rinnovazione istruttoria" (cfr, pagg. 33-34), si era trattato di decisione assunta con la necessaria rapidità, nel solco delle indicazioni di Bc., come precisato dal teste An. (cfr, dep. An., udienza 5.7.2022, pag. 31), nell'interesse esclusivo dell'istituto di credito, e nel rispetto delle indicazioni fornite dagli ispettori. Quanto alla clausola di riservatezza era un dettaglio neutro, funzionale ad assicurare il necessario riserbo (paragrafo 3.6, lett. i). Ebbene, anche sul punto non può che rinviarsi a quanto già in precedenza evidenziato in ordine al significativo e pressoché esclusivo protagonismo dell'imputato nella gestione dell'uscita di scena del direttore generale, gratificato con un trattamento economico inspiegabile ed illegittimo, con fa doverosa precisazione che l'acquisizione del parere di alcuni esponenti di vertice del CdA versati in materie giuridiche nulla toglie alla riferibilità allo ZO. delle modalità di definizione dell'accordo. Se, infatti, la decisione di operare una soluzione di continuità può ragionevolmente ricollegarsi anche ai desiderata di Bc., sono le concrete modalità di attuazione dell'allontanamento (e, in particolare, la ricchissima "buonuscita") a legittimare - unitamente, beninteso, al complessivo quadro probatorio disponibile - la interpretazione di tale evento datane dal primo giudice (ovverosia, l'intenzione dell'imputato di "comprare il silenzio" del direttore generale). E, sul punto, non può non richiamarsi la conversazione intercettata n. progr 271 del 6.9.2015, in precedenza evocata, nella quale si faceva riferimento ad un "patto di non aggressione" stipulato tra ZO. e So.; - che i rapporti intrattenuti con taluni clienti, in realtà, non dimostravano il coinvolgimento del presidente nella vicende gestorie e neppure la conoscenza del capitale finanziato: così era per Pi., a leggerne bene la deposizione ed a valutarne attentamente l'attendibilità; così per Be.De., il quale aveva negato di avere parlato con ZO. delle operazioni correlate, smentendo così quanto riferito, de relato, dal teste Gi.; così per la Ir. e per i fratelli Ra.; così, infine, per Gi.Ro. (paragrafo 3.6, lett. j). Ebbene, anche sul punto si impone il rinvio alle considerazioni in precedenza spese; - che l'imprenditore catanese Co. aveva negato di avere parlato di finanziamenti per l'acquisto di azioni B. con ZO. e che, ogni caso, il presidente, nell'occasione dell'incontro con il predetto Co., si era limitato a dirottare l'interlocutore sul vicedirettore GI. (ancora paragrafo 3.6, lett. j). Al riguardo, osserva questa Corte che l'interlocuzione con l'imprenditore catanese Co. è stata puntualmente ricostruita e convincentemente interpretata dal primo giudice. Il chiamante in correità, del resto, in sede di rinnovazione istruttoria nel giudizio di appello (nel memoriale e, quindi, nell'esame), ha fornito una versione dell'episodio in questione del tutto coerente con la lettura offertane nella sentenza impugnata. Pertanto, le stringatissime, contrarie dichiarazioni del Co. acquisite nel corso del giudizio di primo grado non valgono ad incrinare tale interpretazione dell'episodio (interpretazione, peraltro - va doverosamente sottolineato - avvalorata dal tenore del fife audio all'uopo valorizzato dal primo giudice, posto che l'invito alla prudenza effettuato dallo ZO. nel corso del colloquio ha senso unicamente ove l'acquisto delle azioni B. richiesto dal Co. avesse dovuto avere luogo proprio attraverso un finanziamento da parte dell'istituto di credito); - che i rapporti intrattenuti, per mere ragioni professionali, con il gestore private Ri., tra i maggiori artefici di operazioni baciate, non implicavano affatto che lo ZO. fosse a conoscenza delle operazioni compiute da costui (paragrafo 3.6, lett. k). Ora è bensì vero che gli stretti rapporti intrattenuti con il gestore private Ri. non implicavano necessariamente che l'imputato conoscesse la tipologia di operatività attuata da tale gestore (uno dei massimi promotori di "operazioni baciate"); trattasi, nondimeno, di legami che rendono certamente ragionevole una siffatta conclusione, peraltro coerente con quanto riferito da Ti.Da. (là dove questi, cliente del Ri., ha dichiarato, ancorché in relazione ad un fatto avvenuto nei primi mesi del 2015, che il predetto gestore gli aveva garantito di avere parlato allo ZO. delle operazioni "baciate" effettuate dal medesimo Ti., ottenendo dal presidente la rassicurazione che tali operazioni sarebbero state "chiuse", secondo la volontà del cliente). In definitiva, riassumendo: la difesa ha sistematicamente valorizzato elementi tutt'altro che legittimanti, in relazione alla posizione dell'imputato ZO., una lettura della vicenda processuale differente da quella accolta nella sentenza impugnata. Non solo, infatti, nessun dato probatorio addotto a sostegno della tesi difensiva è idoneo a dimostrare la asserita inconsapevolezza, da parte dell'imputato, del "capitale finanziato", ma neppure ad inficiare, indebolendola, la capacità dimostrativa degli elementi raccolti a carico del giudicabile, consentendo una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella posta a fondamento dell'ipotesi d'accusa che sia dotata di minima verosimiglianza. In effetti, non v'è alcuna tra le numerose circostanze evocate nell'impugnazione che si ponga in termini di reale incompatibilità (e, a ben vedere, neppure di significativo contrasto) con l'impostazione d'accusa, neppure quella, pure obiettivamente suggestiva, costituita dalla decisione di investire consistenti risorse personali nelle azioni dell'istituto e dalla quale dovrebbe trarsi, a lume di ragione, la mancata consapevolezza del fenomeno del capitale correlato da parte dell'imputato. A tale ultimo riguardo, invero, è agevole osservare, in senso contrario, che lo ZO. era responsabile da anni, al più alto livello, della guida dell'istituto di credito, avendo ispirato tutta la politica industriale e commerciale di B., all'immagine della quale, peraltro, aveva indissolubilmente legato il proprio prestigio di imprenditore e di vero e proprio "rappresentante" del territorio, l'istituto di credito avendo finito per assumere, nell'immaginario locale, a torto o a ragione, i connotati di una sorta di "istituzione" del luogo. Il giudicabile, pertanto, non era minimamente nelle condizioni di liquidare (e neppure di ridurre) le partecipazioni azionarie detenute nella banca, pena la plateale sconfessione di tutta la propria gestione e la conseguente denunzia della condizione di crisi insanabile nella quale tale sconsiderata conduzione aveva precipitato l'istituto di credito. Peraltro, non è inutile osservare, sotto tale profilo, che le evidenze istruttorie hanno restituito il quadro di un imputato che, a lungo e fin quasi alle soglie del deflagrare dello scandalo, ha ritenuto di poter traghettare l'istituto al di fuori della situazione di crisi - evidentemente sottovalutata nella sua gravità - che attanagliava B. e, questo, finanche confidando nella propria capacità di orientare, nel senso auspicato, quella radicale riforma del settore del "credito popolare" che, oramai, si prospettava come ineludibile, tenuto conto della situazione di comune difficoltà che attanagliava l'intero comparto. Per contro, la tesi dell'ignoranza, da parte dell'imputato, non solo delle eclatanti dimensioni del fenomeno del capitale finanziato, ma finanche dell'esistenza stessa di detto fenomeno, tesi che si tenta di accreditare nell'atto di impugnazione (nell'evidente consapevolezza, del resto, che una siffatta conoscenza avrebbe comunque integrato i presupposti per l'adozione di doverose contromisure da parte del soggetto cui istituzionalmente competeva la rappresentanza dell'ente e la conduzione del CdA) contrasta radicalmente tanto con le emergenze probatorie valorizzate dal primo giudice ed in precedenza richiamate, quanto con le evidenze sopravvenute nel corso del giudizio di appello (segnatamente, la chiamata in correità effettuata dal coimputato GI.) e con la relativa, razionale interpretazione. L'unica lettura dei dati disponibili logicamente sostenibile, infatti, orienta univocamente, nei dovuti termini di certezza processuale, nel senso non solo della consapevolezza, in capo all'imputato, della prassi del ricorso al finanziamento dell'acquisto di azioni proprie da parte dell'istituto di credito e delle conseguenti, inevitabili implicazioni delittuose in termini di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, ma anche in quello della cosciente partecipazione dello ZO. a detta operatività delittuosa, in termini di concorso dell'imputato con il d.g., nella decisione di ricorrere a tale prassi nella speranza di superare, in tal modo, la crisi in cui versava B., o comunque, di differirne nel tempo la manifestazione, in tal guisa non compromettendo la propria immagine di presidente simbolo della banca (cfr. in ordine ai requisiti del contributo del compartecipe alla consumazione del delitto di aggiotaggio, consistente anche in un contributo agevolatore tradottosi nel rafforzamento del proposito del correo, Cass. Sez. V, n. 9369 del 20.11.2013, Tonini; ma altrettanto può dirsi, coerentemente con i principi generali in materia di concorso di persone nel reato, con riferimento alle ulteriori ipotesi delittuose contestate). Questo, in considerazione della effettiva co-gestione, da parte dello ZO., dell'istituto di credito, quantomeno con riferimento alle iniziative ed alle decisioni più impegnative, siccome inequivocabilmente delineata dalle acquisizioni istruttorie. 14.1.4.2.3 La partecipazione dello ZO. all'operatività delittuosa: brevi considerazioni conclusive. In altri e decisivi termini - e concludendo sul punto - l'affermazione di penale responsabilità di Zo.Gi. in ordine alla partecipazione del predetto giudicabile alla commissione dei delitti di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto siccome oggetto di addebito non trova affatto semplicistico fondamento nell'astratto richiamo al ruolo di vertice da questi occupato nell'organizzazione gerarchica d'impresa (ovverosia in un elemento che, di per sé, avrebbe potuto unicamente giustificare l'inferenza abduttiva posta a fondamento di una ragionevole ipotesi d'accusa) ed ancora meno, come da ultimo sostenuto dalla difesa (cfr. '"note scritte di discussione", pagg. 47-48), in una acritica adesione, da parte del primo giudice, ad una impostazione d'accusa espressione di una "cripto-contestazione di associazione per delinquere", fondata su elementi evanescenti quali "un alone di generico autoritarismo oppure la "tendenziale nocività per Banca" delle prospettive espansionistiche della strategia d'impresa dell'imputato, bensì riposa saldamente, all'esito della doverosa sperimentazione nell'agone dibattimentale, sull'esito positivo della scrupolosa verifica di siffatta ipotesi. Sono infatti emerse, alla stregua di un variegato panorama probatorio, costituito da elementi logici, dichiarativi e documentali, non solo quella diretta ingerenza dell'imputato nell'attività di gestione dell'istituto di credito che fonda la prova logica delineata sub 14.1.4.2.1, ma anche (in forza di ulteriori, più specifici dati probatori), la effettiva conoscenza e la piena condivisione, da parte del giudicabile, del ricorso ai variegati meccanismi di finanziamento dell'acquisto dei titoli B. attuati dall'alta dirigenza dell'istituto come contromisura per garantire la liquidità del titolo e, più in generale, per assicurare il reperimento del capitale indispensabile onde corrispondere ai requisiti patrimoniali imposti dalla evoluzione della relativa disciplina normativa, al contempo senza rinunziare alla politica di espansione aziendale tenacemente perseguita, contro ogni evidenza, per esplicita volontà dell'imputato medesimo. 14.1.4.3 Il dolo dei reati contestati (terzo motivo di appello). Anche il terzo motivo di impugnazione (numerato sub 4 e trattato alle pagine da 300 a 336 dell'atto di appello e, quindi, compendiato nelle considerazioni conclusive esposte, sul punto, alle pagg. 84 e ss, delle "note scritte di discussione") e specificamente inerente alla contestazione dell'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito non può trovare accoglimento. In effetti, sul punto l'impugnazione non fa che riproporre, in sintesi, leggendole "attraverso le lenti" del dolo, le ragioni esposte a sostegno del precedente motivo di appello in ordine al difetto di consapevolezza, in capo all'imputato, del fenomeno del capitale finanziato e, comunque, dell'entità di tale fenomeno, tale da implicare una alterazione dei coefficienti patrimoniali della banca. Questo, anche sul rilievo della eterogenea natura delle operazioni accomunate nella definizione dì "operazioni correlate" e della difficoltà di esatta definizione del perimetro delle "baciate", perimetro dai consulenti del p.m. individuato in assenza di solidi ancoraggi normativi all'uopo adeguatamente valorizzagli. Ebbene, premesso che, a tale ultimo riguardo, non possono che richiamarsi le considerazioni già spese, sul punto, al precedente paragrafo 12; e considerato, altresì, che questa Corte ritiene di avere testé offerto adeguata contezza della piena consapevolezza, in capo al giudicabile, dell'esistenza e della vastità delle dimensioni del fenomeno in esame, sono sufficienti, in proposito, considerazioni davvero stringate. In particolare, le argomentazioni spese dal primo giudice in ordine alla conoscenza vaga ed aspecifica di detto fenomeno da parte dei coimputati ZI. e PE. (considerazioni, peraltro, che, come si avrà modo di precisare, non si attagliano affatto alla posizione del predetto PE.) non possono certo essere estese alla posizione del presidente, ove si abbia attenzione al ruolo da quest'ultimo in concreto ricoperto (profilo, questo, che sarebbe davvero ultroneo ripercorrere nuovamente) di soggetto che concorreva, nell'ambito di uno stretto sodalizio operativo con il d.g. So., nella "gestione informata" dell'istituto. In definitiva, l'"avallo" delle decisioni del So. al quale ha fatto ripetutamente riferimento l'appellante, censurando la genericità di siffatta espressione contenuta nell'imputazione, va necessariamente letto, alla stregua delle complessive evidenze disponibili, nei termini di una vera e propria "copertura", ovverosia di una consapevole approvazione delle scelte operative delittuose che orientavano la gestione del d.g.. E tale, a ben vedere, è stata l'interpretazione offertane dal primo giudice, sicché, nella sentenza impugnata, sul punto, non è dato ravvisare alcuna incertezza. Di qui l'inconsistenza, in punto di fatto, delle obiezioni difensive (astrattamente del tutto condivisibili) in ordine alla necessità che, nell'oggetto del dolo, rientri la conoscenza dei "dati falsi" (e, quindi, dell'esistenza e dell'entità delle operazioni correlate). Certamente, l'imputato non era aggiornato "in tempo reale" dell'esatto ammontare e delle variazioni di tali dati; né, del resto, sarebbe stato possibile che ciò avvenisse (considerazione che vale, peraltro, per lo stesso d.g. So.), trattandosi, com'è evidente, di elementi suscettibili di variazioni continue che non potevano certo essere monitorate ininterrottamente dai vertici aziendali. Tuttavia, la conoscenza, da parte del presidente dell'istituto di credito, dell'entità eclatante del fenomeno in esame (tale da comportare l'alterazione dei valori patrimoniali del bilancio, dei titoli B., delle informazioni contenute nei prospetti relativi agli aumenti di capitale e di quelle fornite alle autorità di vigilanza) è conclusione che non può essere seriamente revocata in dubbio e che necessariamente discende dal pieno, consapevole coinvolgimento di ZO. nella decisione di ricorrere massicciamente al finanziamento dell'acquisto delle azioni B. al fine di evitare la deflaorazione della crisi dell'istituto. Si è infatti trattato - e va ancora una volta ribadito - di una decisione adottata ai massimi livelli della "catena di comando" dell'istituto di credito come unica contromisura praticabile per scongiurare (o, almeno, differire) il default della banca, nella speranza - della quale v'è pieno riscontro proprio nelle parole del presidente ZO. (il riferimento è alla ripetutamente evocata trascrizione della seduta del CdA 511.2013) - che, prendendo tempo, si concretizzasse quella radicale riforma del settore che avrebbe potuto offrire una via d'uscita dalla crisi. E ciò fa giustizia, ancora una volta sul piano della concretezza delle evidenze disponibili, delle considerazioni difensive (acute e, in linea teorica, anch'esse del tutto condivisibili) in ordine alla necessità della effettiva conoscenza del fenomeno in esame e delle sue dimensioni (o, quantomeno, di "precipui e specifici" segnali d'allarme in tal senso) affinché la responsabilità dolosa non degradi in un rimprovero sostanzialmente colposo. Nessuna incertezza è possibile fondatamente nutrire circa la consapevolezza, in capo all'imputato, del massiccio ricorso allo strumento dei finanziamenti correlati. Nessuno stato di dubbio, al riguardo, può anche solo ragionevolmente ipotizzarsi. E, questo, occorre rimarcarlo, in ragione di quel pieno coinvolgimento del presidente nella decisione di ricorrere al capitale finanziato per assicurare la liquidità del titolo B., sostenere il valore dell'azione e recuperare surrettiziamente capitale ai fini del rispetto dei requisiti di vigilanza, coinvolgimento, del quale s'è in precedenza dato conto (senza indulgere affatto - si ritiene - nell'"applicazione pigra" dei "meccanismi presuntivi" denunciati dalla difesa), che inevitabilmente implicava la consapevole, volontaria adesione: - tanto alla diffusione di notizie false ed al compimento di operazioni simulate idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo del titolo B. e, in tal guisa, ad incidere in modo significativo sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca; - quanto (e conseguentemente) alle condotte decettive poste in essere, nei confronti degli organi di vigilanza, allo scopo di occultare l'esistenza del capitale finanziato, onde potere proseguire indisturbati in tale dissennata prassi operativa. Donde il ricorrere, nell'agire del giudicabile, degli estremi tutti del dolo (peraltro generico, quanto alle fattispecie ex art. 2637, 2638 co.2 c.p. - cfr. con riferimento all'aggiotaggio, Cass. Sez. V, n. 28932 del 4.5.20122 Ta. e altri, Cass. Sez. III, n. 880 del 17.3.1966, Gualco; specifico, quanto all'ipotesi ex art. 2638 co. 1 c.c. - Cass. Sez. V, n. 21067 dell'11.3.2004, Do., ipotesi, questa, peraltro, non rilevante nel presente giudizio, potendosi ravvisare unicamente la fattispecie di cui al secondo comma dell'art. 2638 c.c., come precisato al precedente paragrafo 9) richiesto dalle fattispecie incriminatrici di riferimento. 14.1.4.4 Il trattamento sanzionatorio (quarto motivo di appello) Quanto al quarto motivo di gravame (numerato sub 5 e trattato alle pagine da 336 a 344 dell'impugnazione), inerente al trattamento sanzionatorio, la doglianza è parzialmente fondata, nei termini di seguito esposti. Il tribunale, nel l'orientare l'esercizio della discrezionalità in punto di dosimetria della sanzione, ha valorizzato, quanto allo ZO., il ruolo egemonico da questi esercitato sul management e sugli organi sociali della banca, in ciò individuando le ragioni di una pena base più alta rispetto a quella riservata ai correi. Trattasi di aspetto che non può essere trascurato. Nondimeno, al doveroso apprezzamento della posizione di predominio concretamente rivestita dall'imputato all'interno dell'ente bancario (ben oltre - come s'è visto - rispetto al ruolo, pure apicale, a questi riconosciuto dall'organigramma aziendale) non può non accompagnarsi, nell'ambito di una valutazione debitamente ispirata all'esigenza di calibrare la risposta punitiva al complessivo profilo del giudicabile, la considerazione delle seguenti circostanze. Si è in presenza, anzitutto, di soggetto anziano, immune da pregiudizi di sorta, il quale ha guidato a lungo - e, per molto tempo, con successo - un istituto di credito divenuto, da piccola banca di provincia, uno tra i più importanti enti creditizi del panorama nazionale. Parallelamente, il giudicabile ha esercitato brillantemente, per decenni, senza incorrere in violazioni di sorta, l'attività di impresa in settore tutt'affatto differente. E' certamente vero, poi, che lo ZO., a fronte delle difficoltà ingravescenti nelle quali, dopo la notoria crisi del settore bancario, versava anche B., non ha in alcun modo inteso prendere atto - e in ciò, a ben vedere, va individuata la sua "colpa d'origine" - della necessità dì un serio ridimensionamento delle ambizioni che ne avevano orientato T'espansionistica" politica d'impresa; ed è altrettanto vero che, in luogo di gestire prudentemente tale situazione di difficoltà, ponendo in essere una sorta di "ripiegamento strategico" in attesa di tempi migliori, ha preferito optare, in concorso con il So. e trascinando al seguito l'alta dirigenza della banca, per lo sconsiderato, sistematico ricorso ai finanziamenti correlati (peraltro incrementando una prassi non ignota allo stesso istituto di credito e, più in generale, al circuito delle "popolari"), con tutte le conseguenti implicazioni di penale rilevanza che si sono viste. Tuttavia, l'imputato ha agito in tal guisa essendo sempre convinto - ancorché, da un certo momento in avanti, in modo, obiettivamente, del tutto irrazionale - che il default della banca potesse essere comunque scongiurato e senza mai essere animato (al pari dei coimputati, del resto) da finalità di locupletazione personale. Peraltro, mai il giudicabile ha fatto ricorso a finanziamenti correlati e, anzi - s'è detto anche questo - ha personalmente iniettato liquidità molto consistenti nella banca (sebbene vi sia stato sostanzialmente costretto anche dall'esigenza dì non adottare condotte di "disimpegno", ovvero di tiepida adesione, che sarebbero sinistramente suonate, all'esterno, come inequivoco sintomo di un imminente crollo). Il comportamento processuale, infine, è stato esemplare, avendo costui presenziato a tutte le udienze, nonostante l'età oltremodo avanzata. In definitiva, se la posizione dell'imputato è stata differente rispetto a quella dei correi sotto il profilo della responsabilità delle scelte di fondo (ma non, ovviamente, sotto quello dell'operatività concreta, necessariamente riservata al management), ciò appare comunque "compensato" dalle peculiari caratteristiche soggettive del giudicabile testé evocate (oltre che dal concreto protagonismo dei coimputati nell'attuazione della prassi delle "baciate"). Di qui la irrogazione del medesimo trattamento sanzionatorio riservato ai correi (fatta eccezione per GI. e fatte salve le diversità riferibili, quanto, al MA., alle disposte parziali assoluzioni derivanti dalle peculiarità del caso). Ciò detto, non v'è spazio per il riconoscimento delle attenuanti generiche in regime di prevalenza, ostandovi l'entità eclatante dei danni cagionati e non emergendo elementi (ulteriori rispetto a quelli già valorizzati ex art, 133 c.p.) all'uopo proficuamente spendibili. Conseguentemente stima questa Corte equo determinare la sanzione complessiva nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione, così determinata: pena base in relazione al reato di cui al capo H1, più grave, anni tre di reclusione, aumentata di complessivi mesi undici per i reati satellite (con aumenti, segnatamente, di mesi uno e giorni 15 per ciascuno degli ulteriori reati di ostacolo di cui ai capi B1, C1, D1, E1, F1, GÃ?, M1 e di giorni 15 per il residuo reato di aggiotaggio sub Al). Questo, con la precisazione che l'aumento per la continuazione, nella misura di mesi uno e giorni quindici di reclusione, in relazione ai reati di ostacolo di cui a ciascun capo di imputazione, consegue alla individuazione di un solo reato, anziché di due episodi delittuosi, per ogni annualità di riferimento, donde la riduzione alla metà dell'aumento, pari a mesi tre di reclusione, già individuato dal primo giudice. Deve, infatti, evidenziarsi, come già detto supra, che in maniera del tutto illogica e incoerente il primo giudice, senza spiegarne le ragioni, ha applicato la medesima pena sia con riferimento agli anni per i quali ha individuato una duplicità di reati, sia per gli anni nei quali ha invece ravvisato la sussistenza di un unico reato (aumento di mesi tre di reclusione), provvedendo, però, poi, a diversificare in concreto la pena negli anni in cui ha ravvisato una duplicità di violazioni, anni nei quali ha invece quantificato in un mese e quindici giorni di reclusione la pena per ciascun reato, con la conseguenza che, in modo assolutamente irrazionale è stata applicata alternativamente una pena diversa (a volte mesi tre di reclusione e a volte giorni quarantacinque di reclusione) per violazioni che palesemente rivestono sempre il medesimo disvalore. Donde la necessità, per il giudice di appello, al fine di riportare a coerenza la determinazione della pena, di applicare un trattamento sanzionatorio omogeneo per tutte le violazioni commesse nei diversi anni, con conseguente quantificazione della pena, in assenza di impugnazioni della Procura riguardo al trattamento sanzionatorio, in quella, di misura minora, di mesi uno e giorni quindici, ovvero in quella che in alcuni casi è stata individuata come pena equa da parte del primo giudice. L'aumento per la continuazione in relazione all'episodio residuo di aggiotaggio, infine, resta invariato. 14.1.4.5 Ancora sul trattamento sanzionatorio (quarto motivo di appello). L'asserita violazione dei principi del nemo tenetur se detegere e del divieto di bis in idem sostanziale. Le ulteriori doglianze inerenti al trattamento sanzionatorio, formulate con specifico riferimento alla asserita violazione dei principi del nemo tenetur se detegere e del divieto di bis in idem sostanziale (ed articolate nella "prosecuzione" del quarto motivo di appello, sub 6, alle pagine 346-362 dell'impugnazione), sono infondate. E, sul punto, non può che rinviarsi a quanto già esposto nel relativo paragrafo. 14.1.4.6 La confisca (quinto motivo di appello) Il quinto motivo di appello (trattato al paragrafo 7 dell'atto di impugnazione, alle pagine 363-376 dell'atto di impugnazione) è fondato. Come s'è visto, l'appellante contesta la legittimità della confisca per equivalente - disposta dal tribunale per un ammontare pari all'entità dei finanziamenti erogati per le operazioni "baciate" (considerando tali finanziamenti come i "beni utilizzati per commettere il reato", alla stregua della lettera dell'art. 2641 c.c. e delle considerazioni svolte, sul punto, dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza 112/19) - per una duplicità di, ragioni (peraltro ribadite e compendiate, da ultimo, nella memoria 28.9.2022) e, segnatamente: - in primo luogo, sul rilievo della mancata previa verifica della concreta praticabilità della confisca diretta. Nella prospettiva dell'appellante, infatti, resistenza di una procedura concorsuale non avrebbe affatto precluso la confisca diretta dei beni della società (Cass. Sez. V, 21.1.2020, n. 5400; Cass. Sez. n. 6391 del 4-18.2.2021), tenuto conto, peraltro, da un lato, che, con riferimento al supposto "conflitto" ravvisabile tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura e quello discendente dal sequestro, la giurisprudenza di legittimità aveva avuto modo di affermare la prevalenza del vincolo del sequestro (Cass. Sez. III, 18.1.2020, n. 15776); e, dall'altro, che neppure era dato ravvisare, nell'ipotesi in questione, l'ostacolo della riferibilità dei beni da sottoporre a confisca a soggetto estraneo al reato, avendo l'istituto di credito pacificamente tratto profitto dalla commissione dei reati; - in secondo luogo (ed in ogni caso) in considerazione del fatto che sottoporre a confisca i finanziamenti concessi dalla B. per l'acquisto delle azioni proprie in quanto "beni utilizzati" per commettere i reati di cui agli artt. 2637, 2638 c.c., avrebbe comportato la violazione dei principi costituzionali: la natura sostanzialmente punitiva della confisca (già espressamente evidenziata dal giudice delle leggi, con riferimento all'illecito amministrativo ex art. 187 bis TUF, nella sentenza 112/19) imporrebbe, infatti, l'adozione di una interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni di riferimento (2641 c. 1, 2 c.c.), con conseguente revoca della confisca disposta nei confronti di Zo.Gi., esito, questo, del resto, da ultimo avvalorato, come si precisa nei motivi nuovi, dalla recente modifica legislativa dell'art. 187 TUF per effetto della Legge Europea 238/21 (là dove è stato escluso che possa disporsi la confisca del prodotto del reato di abuso finanziario nonché dei beni utilizzati per commetterlo), essendosi in presenza di innovazione legislativa inequivocabilmente attestante come, anche in materia penale, la confisca non possa eccedere il profitto dell'illecito. Ulteriore profilo di illegittimità costituzionale, poi, sarebbe ravvisabile nella "rigidità" del criterio di quantificazione dell'oggetto della confisca, trattandosi di criterio non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto eventualmente da questi conseguito, con violazione, quindi, dei parametri di cui agli artt. 3, 27 Cost.. Ebbene, se il primo argomento agitato nell'impugnazione è infondato (dovendosi aderire, in presenza di tema controverso nella stessa giurisprudenza di legittimità, all'orientamento incline a ritenere non aggredibili le somme riferibili a B. in quanto non più nella disponibilità della/ società, bensì vincolate dalla procedura concorsuale, con conseguente impossibilità di ablazione in via diretta nei confronti della persona giuridica, da equipararsi ad un soggetto terzo per effetto dello spossessamelo causato dal fallimento (cfr Cass. Sez. II, n. 19682 del 13.4.2022, dep. 19,5.2022 Os. più altri; cfr. altresì, Cass. Sez. 3 -, n. 14766 del 26/02/2020, PM. c/ Sa.Lu., Cass. Sez. 3 n. 47299 del 16/11/2021, Fallimento Be. srl, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 45574 del 29/05/2018, Cass. Sez. 3, n. 51462 del 04/10/2019, PM in proc. Sa., non mass.), colgono nel segno le ulteriori riflessioni là dove è stata evidenziata la marcata frizione, nel caso di specie, della disposizione ex art. 2641 c.c., con i principi costituzionali. Al riguardo, infatti, deve premettersi che, in forza delle univoche indicazioni fornite tanto dai Giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. 112/19) che da quello della nomofilachia (cfr. Cass. Sez. V, n. 42778 del 26,5,2017, dep. 19.9.2017, Consoli e altro), costituisce oramai ius receptum il principio secondo il quale, nei reati finanziari, i beni utilizzati per commettere i reati siano costituiti dalle somme di denaro investite nelle operazioni all'origine della commissione delle attività criminose. Sicché le perplessità che pure non sarebbe irragionevole nutrire sul punto (segnatamente, in ragione della obiettiva difficoltà di applicare a tale categoria di reati, connotati da evidenti profili di "immaterialità", una nozione - quella, per l'appunto, di beni strumentali rispetto alla commissione dei reati - che pare presupporre il ben più diretto rapporto di "strumentalità" proprio dei consueti instrumenta sceleris) debbono, necessariamente, essere accantonate. Del tutto fuori discussione, poi, alla luce di approdi oramai condivisi e consolidati della riflessione giuridica in materia, tanto costituzionale (Corte Cost. ordinanza 97/09) che di legittimità (Cass. Sez. Un, 25.6.2009, 38691; Cass. Sez. Un. 31.1.2013, n. 18374, cass. Sez. III, n. 11086 del 4.2.2022, Pu., cass, Sez. III, n. 39950, 8.5.2021, Ca., Cass. Sez. III, n. / 33429 del 4.3.2021, Ub.) è la natura sanzionatoria della confisca per/ equivalente. Ebbene, se tali premesse sono fondate - e, per quanto detto, non pare possibile opinare diversamente - l'obiezione difensiva va condivisa. In effetti, qualora i "beni utilizzati" per commettere il reato siano costituiti da somme di denaro (peraltro, nella specie, di entità elevatissima) costituenti provviste non già nella originaria disponibilità degli imputati, bensì, come nel caso sub iudice, di soggetto terzo B., disporre la confisca per equivalente nei confronti degli imputati significherebbe adottare un provvedimento sanzionatorio manifestamente sproporzionato, oltre che del tutto disancorato, per l'automaticità del relativo criterio di commisurazione, dal disvalore dell'illecito (nonché dei singoli contributi concorsuali), con conseguente violazione dei principi costituzionali in materia di rieducazione del condannato, essendo ragionevolmente applicabili al caso di specie le riflessioni svolte dalla Corte Costituzionale nella evocata sentenza 112/19 e, più in generale, le considerazioni espresse, in materia di requisiti della pena (segnatamente, con riferimento ai parametri ex artt. 3 e 27, co. 1, 3 Cost.), nelle precedenti pronunce del Giudice delle leggi. In definitiva, a venire in rilievo, nella peculiarità della vicenda sub iudice, ad avviso di questa Corte territoriale, è l'eclatante sproporzione tra l'afflittività insita nel provvedimento ablatorio disposto dal tribunale e la condotta posta in essere dagli imputati, condotta che, per quanto grave, è già adeguatamente punita dall'apparato sanzionatorio detentivo di riferimento, tale da prevedere una ampia forbice edittale del tutto idonea ad assicurare che la risposta punitiva sia doverosamente calibrata rispetto all'entità dell'offesa arrecata dal reato al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice e al contributo offerto da ciascun correo alla perpetrazione dei delitti. In definitiva, aggiungere alla pena detentiva prevista dalle fattispecie di reato una tanto smisurata sanzione significherebbe "sfregiare" il "volto costituzionale" di quest'ultima, che, per essere effettivamente orientata alla rieducazione secondo le coordinate imposte ex art, 27 Cost., deve necessariamente caratterizzarsi per intrinseci requisiti di proporzione e ragionevolezza. A fortiori ove si consideri che, nel caso di specie, gli imputati non hanno tratto alcun profitto economicamente valutabile dalla commissione dei reati, avendo operato, utilizzando risorse dell'istituto, nell'interesse esclusivo di B. (profilo, questo, che sarà più approfonditamente affrontato nel trattare dell'appello proposto nell'interesse dell'ente), ancorché - come pure è evidente - sì sia trattato di una "lettura" dell'interesse della banca t radicalmente contraria al rispetto di quelle regole di sana e prudente gestione che avrebbero dovuto orientarli nella conduzione dell'istituto di credito. In siffatta prospettiva, quindi, non ogni risorsa economica andrebbe esclusa dal novero "dei beni utilizzati per commettere il reato" suscettibili di confisca per equivalente, bensì le sole somme che, per la loro entità eclatante e, soprattutto, per la loro non riferibilità all'imputato, bensì ad un soggetto terzo, non potrebbero essere apprese, per un ammontare pari al loro valore, senza che ciò implichi l'irrogazione di una sanzione "incostituzionale" per le ragioni anzidette, tenuto conto dell'apparato sanzionatorio detentivo già direttamente previsto per le fattispecie di riferimento. E, nella peculiare vicenda sub iudice, l'ammontare esorbitante (963,000.000 di euro) dell'importo al quale è stata parametrata la confisca per equivalente - e, quindi, la sproporzione di una sanzione che implicasse, oltre alla irrogazione della sanzione detentiva, anche il suddetto provvedimento ablatorio - è tale da non richiedere ulteriori precisazioni, tanto più ove - nel solco di quanto evidenziato, sia pure con opposta finalità191, dalla parte civile Banca d'Italia - si ipotizzasse di ricorrere all'indice di ragguaglio ex art. 135 c.p.. Operando in tal guisa, infatti, l'importo in questione risulterebbe equivalere ad una durata della reclusione pressoché incalcolabile, immensamente superiore rispetto a quella (30 anni di reclusione, pari a "soli" 2.700.000 Euro circa) prevista dall'ordinamento quale limite massimo della pena detentiva (ad esclusione dell'ergastolo, beninteso), con la conseguenza che la lesione del bene giuridico - pure, com'è evidente, di indubbio rilievo - della tutela della solidità e della affidabilità del mercato e dei sistemi bancari, finirebbe per trovare una risposta sanzionatoria incommensurabilmente superiore a quello della stessa vita (sempre fatta eccezione per le ipotesi di delitti puniti con la pena dell'ergastolo), esito, questo, tanto irragionevole da non richiedere, sul punto, ulteriori commenti. Senza contare, infine, la mancanza dì razionalità e di efficacia (anche sul piano della prevenzione) di una sanzione di fatto inesigibile. Considerazioni più articolate, invece, si impongono con riferimento ai rimedi approntati dall'ordinamento per ricondurre nell'alveo della proporzione la sanzione irrogata. Al riguardo, l'appellante ha suggerito la proposizione di questione di legittimità costituzionale ovvero, in via gradata, ha sollecitato una interpretazione costituzionalmente orientata che dovrebbe condurre alla revoca della confisca. Ed è proprio quest'ultima la strada che si ritiene qui praticabile, attraverso una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata che, come si dirà, conduce alla diretta disapplicazione della disposizione ex art. 2641 c.c.. In proposito, infatti, va precisato che disporre, nel caso di specie, la confisca per equivalente non solo confliggerebbe con i principi costituzionali in precedenza evocati, ma si porrebbe anche in diretto contrasto con quelli convenzionali e, segnatamente, con la disposizione di cui all'art. 49, par. 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, disposizione che - veicolata, com'è noto, nell'ordinamento interno attraverso l'art. 117 Cost. - prescrive, per l'appunto, che le pene debbano essere proporzionate rispetto al reato. Se ciò corrisponde al vero, la soluzione più appropriata non potrà essere, ad avviso di questa Corte, quella della proposizione di incidente di costituzionalità (peraltro, fino a tempi recentissimi, costantemente ritenuto inammissibile dalla Corte Costituzionale là dove l'art. 49 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea fosse stato evocato per denunziare l'illegittimità di norma non rientrante tra le materie del "diritto europeo" - cfr., da ultimo, sentenza Corte Costituzionale 30/2021), bensì, nel solco della recentissima sentenza della Grande Sezione della Corte GUE 8.3.2022 nel procedimento C-205/20 (e col conforto dei conformi opinamenti di autorevole dottrina che ha avuto modo di sottolineare la portata radicalmente innovativa di tale pronunzia), la diretta disapplicazione della disposizione ex art. 2641 c.c.. Nella citata sentenza, infatti, mutando il precedente orientamento in materia (espresso da Corte GUE, VA sezione, sentenza C-384/17 nel caso "Li.") la Corte di Lussemburgo ha precisato come, qualora le disposizioni nazionali contrastino con il principio di proporzionalità della sanzione, avente valore "imperativo", spetti al giudice nazionale garantire la piena efficacia di tale principio, con l'effetto che, ove non vi sia spazio per procedere a un'interpretazione della normativa nazionale conforme a tale requisito, dovrà "disapplicare, di propria iniziativa, le disposizioni nazionali che appaiono incompatibili con quest'ultimo", in modo da giungere/alla irrogazione di sanzioni proporzionate che permangano, al contempo, effettive e dissuasive. Né può ritenersi che ostino a tale disapplicazione i principi di certezza del diritto e di legalità delle pene, ove si consideri, per un verso, che il primo non è affatto compromesso dell'esigenza di adeguare la sanzione secondo le insopprimibili esigenze di proporzione; e, per altro verso, che il secondo costituisce limite invocabile unicamente pro reo (sicché sarebbero evocate davvero a sproposito, nel caso in esame, le pronunce inerenti alla nota vicenda "Ta.", nella quale si discuteva della possibilità di applicare sanzioni penali a carico dell'imputato nonostante fosse maturato il termine di prescrizione del reato secondo le regole del diritto nazionale). Trattasi, peraltro, di interpretazione che, ad avviso di questa Corte, riceve ulteriore conferma anche dalla più recente evoluzione normativa sovra nazionale. Intende farsi riferimento al Regolamento (come tale self executing) 1805/18 UE - peraltro successivo, quanto alla sua entrata in vigore, tanto alla sentenza della Corte Costituzionale 112/19 quanto alle Sentenze Consoli della Suprema Corte, in quanto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea il 28 novembre 2018 ma applicabile dal 19 dicembre 2020 - che, intervenendo in materia di "cooperazione internazionale", ha stabilito un principio di portata generale proprio in tema di confisca, là dove ha previsto quanto segue - nel considerando n. 21, nell'art. 1 par. 3 e nella norma di chiusura contenuta all'art. 41 - in ordine a tutti i provvedimenti giurisdizionali di confisca e di congelamento (id est sequestro) emessi da Stati membri: - considerando n. 21: "Nell'emettere un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca, l'autorità di emissione dovrebbe assicurare il rispetto dei " principi di necessità e di proporzionalità. A norma del presente regolamento, un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca dovrebbe essere emesso e trasmesso all'autorità di esecuzione di un altro Stato membro solo se avrebbe potuto essere emesso e utilizzato unicamente in un caso interno, L'autorità di emissione dovrebbe essere responsabile di valutare sempre fa necessità e la proporzionalità di tali provvedimenti, dal momento che il riconoscimento e l'esecuzione di provvedimenti di congelamento e di provvedimenti di confisca non dovrebbero essere rifiutati per motivi diversi da quelli previsti dai presente regolamento"; - art. 1 par. 3: "Nell'emettere un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca, le autorità di emissione assicurano il rispetto dei principi di necessità e di proporzionalità"; - art. 41: "Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri conformemente ai trattati". Si è dunque di fronte all'enunciazione - in forma generale e diretta - dì un principio di proporzionalità che tutti i provvedimenti aventi questa natura debbono rispettare necessariamente. In effetti, tale regolamento 1805/18 UE (oltre a costituire una base normativa in grado di superare la tradizionale obiezione della Corte Costituzionale siccome in precedenza evocata), offre un formidabile riscontro di diritto positivo in ordine alla praticabilità della soluzione, indicata dalla Grande Sezione della Corte GUE nella citata pronunzia, della disapplicazione diretta della norma interna, foriera, ove applicata dai giudici nazionali nel caso oggetto di giudizio, della irrogazione di sanzione sproporzionata. Ora, non sfugge di certo a questa Corte che una siffatta disapplicazione (come segnalato da una autorevole dottrina, peraltro concorde nell'interpretazione della facoltà di diretta disapplicazione di sanzioni penali sproporzionate riconosciuta ai giudici nazionali per effetto della sentenza della Grande sezione della Corte GUE in precedenza evocata) potrebbe essere foriera, nell'immediato, di quelle incertezze e disparità di trattamento inevitabilmente conseguenti a decisioni adottate dalle singole autorità giudiziarie, prive, in quanto tali, di efficacia erga omnes; e che, diversamente, la proposizione di eccezione di incostituzionalità potrebbe consentire alla Corte Costituzionale, che dovesse convenire con il giudice remittente, di intervenire, anche "chirurgicamente", sulla disposizione "incriminata". Nondimeno, si tratterebbe di una soluzione in contrasto quanto enunciato dalla citata pronunzia della Corte GUE, che, nel rispetto del primato del diritto sovranazionale, impone alle autorità giudiziarie nazionali di assicurare che venga data celere attuazione al principio di proporzione del trattamento sanzionatorio. Un ultimo cenno, infine, va dedicato alle ragioni all'origine della decisione di questa Corte di procedere alla integrale disapplicazione della confisca e non già ad una riduzione del relativo ammontare. Ebbene, trattasi dì decisione che si impone proprio in considerazione: - da un lato, della già evidenziata piena idoneità del trattamento sanzionatorio "principale" (quello, per intendersi, costituito dalla sanzione detentiva prevista per i reati in contestazione) ad esaurire adeguatamente la risposta punitiva dello Stato nel rispetto della suddetta esigenza di proporzione rispetto alle singole responsabilità; - e, dall'altro lato, dell'assenza di profitto alcuno suscettibile di valutazione economica al quale ancorare l'individuazione di una corrispondente quantificazione dell'importo da sottoporre a confisca che sia stato tratto, oltre che dalla banca (al di là - come precisato dal tribunale - dell'utilità derivante a B. dal reato di cui al capo N1 e già "coperta" dalla confisca disposta, per il corrispondente valore, nei confronti dell'ente, come si dirà più oltre), dagli stessi imputati. Di qui, in accoglimento del relativo motivo di appello, la revoca della confisca disposta, per l'ammontare di 963 milioni di Euro, nei confronti dello ZO. (e dei coimputati). 14.1.4.7 La rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale (sesto motivo di appello) Sulla richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale si rinvia a quanto evidenziato nella relativa ordinanza di questa Corte in data 18.5.2022. 14.1.5 L'appello nell'interesse di Zi.Gi. L'appello è infondato. La difesa di Zi.Gi., come s'è detto, sostiene che tale imputato non avrebbe fornito contributo alcuno alla commissione dei reati in esame. Questo, sul presupposto che le operazioni di acquisto di azioni B. effettuate dal predetto imputato tanto sul mercato secondario, nel 2012, quanto, l'anno successivo, su quello primario, in sede di Aucap 2013, non rientrerebbero nel novero delle operazioni correlate. Più nel dettaglio, richiamate le considerazioni critiche svolte, sul punto, dai consulenti degli imputati prof. Pe. e prof. Gu. in relazione alla necessità, perché possa ravvisarsi la "correlazione", per un verso, della sussistenza del "nesso teleologico" tra finanziamento ed acquisto dei titoli e, per altro verso, dell'assenza di merito creditizio in capo all'investitore, l'appellante ha in primo luogo contestato, per le ragioni già evidenziate, fa natura correlata dell'operazione di acquisto di azioni B. per il controvalore di 10 milioni di Euro effettuata da Ze. s.r.l. nel 2012. Trattasi di obiezione inconsistente. In effetti, tenuto conto del perimetro delle operazioni correlate siccome tracciato nel relativo paragrafo (là dove si è evidenziato il carattere essenzialmente oggettivo dei parametri interpretativi di riferimento) e rinviando, comunque, con specifico riferimento ai concreti connotati delle operazioni di acquisto/sottoscrizione di azioni B. effettuate dallo Zi. con fondi all'uopo messigli a disposizione dall'istituto di credito, a quanto più oltre meglio precisato in proposito nel trattare l'appello proposto dal p.m. (cfr. infra), sono sufficienti, sul punto, le considerazioni che seguono. Innanzitutto, va precisato come la circostanza che il finanziamento di 12,5 milioni di Euro erogato, nel 2012, da B. a Ze. s.r.l. fosse inequivocabilmente finalizzato anche a consentire l'acquisto delle quote di Ar. (per un valore di 2,5 milioni di euro) - il tutto, nelle intenzioni dell'imputato, nell'ambito della programmazione di ulteriori investimenti, peraltro, all'epoca, non ancora definiti (come, del resto, indicato nella relativa "pef") - costituisca elemento palesemente inidoneo ad escludere la natura "correlata" dell'operazione in esame. Questo ove si consideri, per l'appunto, che larghissima parte del credito (10 milioni su 12,5) è stato effettivamente concesso ed utilizzato proprio per l'acquisto di azioni B.. Ciò inequivocabilmente si ricava, innanzitutto, come osservato dal tribunale, dal complessivo tenore delle deposizioni rese dai testi Ma., Ba., Cr. e Ba., le dichiarazioni dei quali, del resto, hanno trovato puntuale riscontro negli elementi di natura documentale, acquisiti al giudizio ed anch'essi puntualmente evocati dal primo giudice. Non v'è dubbio, infatti, che la ricostruzione dell'operazione in questione siccome complessivamente delineata dalle citate deposizioni trovi inequivoco conforto, in primo luogo, nel più favorevole trattamento relativo agli interessi previsti con riferimento alla maggior "quota" di credito destinato all'acquisto dei titoli della banca (rispetto a quelli pattuiti relativamente alla parte di fido concesso per l'acquisto delle quote di Ar.) e, in secondo luogo, nella previsione del relativo "storno". Trattasi, in effetti, di circostanze univocamente dimostrate: - dalla richiesta di storno (peraltro per l'importo, assai consistente, di oltre 112 mila euro); - dal documento "storia azioni "extra" ad aprile 2015" predisposto da Zi.Gi. e contenente un chiaro riferimento alla "doppia contabilizzazione degli interessi"; - dal prospetto riassuntivo estratto dal computer presente presso la sede della predetta Ze. s.r.l.; - oltre che dall'esplicito riferimento alla previsione del relativo rimborso contenuto nelle comunicazioni inviate dalla società dell'imputato, ovverosia da una sequela di convergenti elementi documentali l'esatta interpretazione dei quali è stata puntualmente offerta nella sentenza impugnata che, pertanto, sul punto, va integralmente richiamata. A ben vedere, infatti, le contrarie considerazioni svolte nell'atto di appello (segnatamente, alle pagine 21-23) appaiono davvero pretestuose, ove si consideri: - quanto al tenore degli SMS nn.ri 661 e 665, che, diversamente dalla lettura offertane dall'appellante, si è in presenza di comunicazioni il contenuto delle quali (sms 661, inviato da Gi. a So.; "faccio anche Zi., Ma. d'accordo, Vedi problemi? li fratello ha già in atto operazione"; sms 665, inviato da Ma. a So.; "ti ricordo Zi. di parlarne al presidente per il fido da farsi sulla sua finanziaria"), ove letto alla luce della complessiva prassi operativa disvelata dall'istruttoria dibattimentale - ivi comprese le dichiarazioni, più oltre meglio richiamate, rese dal coimputato GI. (anche con riferimento al ruolo svolto dal MA. nella presentazione delle pratiche di finanziamento inerente alle più consistenti operazioni baciate) - è esattamente coerente con la natura correlata dell'operazione in questione; - quanto alla tabella di cui al citato documento n. 737, per un verso, che il rinvenimento di detto documento nel computer di Ze. s.r.l. priva di ogni rilievo la mancata identificazione del soggetto che ebbe materialmente a redigerlo; e, per altro verso, che il suo contenuto - e, soprattutto, la peculiare natura dell'operazione in questione (trattandosi, secondo l'immaginifico gergo talvolta adottato al riguardo, di c.d., "baciata parziale") - rende davvero trascurabile l'osservazione difensiva - peraltro dall'appellante ancorata alle dichiarazioni del coimputato MA. (cfr, atto di appello, pag. 23) - in ordine alla prassi relativa al riconoscimento di un unico tasso di interesse per ciascuna linea di credito; - quanto alla mail di cui al documento n. 121 della produzione del p.m., che le relative osservazioni difensive (relative, segnatamente, alla possibilità di attribuire significato alla lamentela ivi esposta circa l'imposta di bollo unicamente con riferimento ad una richiesta di mitigazione dei tassi e non già di rimborso degli stessi) hanno assai scarsa rilevanza, posto, da un lato, che dette osservazioni si scontrano con il tenore letterale della comunicazione in questione (che, per l'appunto, contiene un espresso riferimento al "rimborso a suo tempo concordato") e, dall'altro lato, che l'effettivo assetto di interessi concordato aveva ad oggetto l'impegno, per l'appunto, alla integrale restituzione degli interessi (si vedano, sul punto, oltre alle dichiarazioni del GI., più oltre richiamate, le considerazioni svolte, nel trattare l'appello del P.M., con riferimento alla natura delle operazioni concluse dallo ZI. con B.); - quanto, infine, al memoriale redatto dall'imputato di cui al documento n. 731 della produzione del p.m., che le spiegazioni fornite, al riguardo, dallo stesso ZI. in sede di esame (là dove questi ha sostenuto di essere incorso in un errore nella rievocazione dei fatti con riferimento alla loro collocazione temporale), oltre ad essere assai confuse, confliggono, anche in tal caso, con il chiaro contenuto di detto appunto (contenuto, peraltro, del tutto coerente con il tenore della conversazione n. 153 nella quale lo ZI. confermava all'interlocutore Bocca di essere stato finanziato da B. per l'acquisto dì azioni). Del resto, come testé accennato, lo stesso coimputato GI., tanto nel memoriale prodotto nel corso del giudizio di appello quanto nel corso dell'esame svoltosi all'udienza 17.6.2022, ha espressamente confermato il "collegamento" sussistente tra la gran parte del finanziamento in questione (10 milioni di euro) e l'acquisto dei titoli di B. per avere egli stesso sollecitato allo ZI. la conclusione di tale operazione, operazione della genesi e dello sviluppo della quale detta fonte ha offerto una dettagliata ricostruzione. E, con riferimento alle obiezioni difensive in tema di interessi, il propalante, rispondendo ad una specifica richiesta di chiarimenti rivoltagli dalla Corte, ha precisato, in termini davvero inequivoci, che l'accordo intercorso tra l'istituto di credito e lo ZI. implicava lo storno integrale degli interessi, avendo quest'ultimo aderito alla proposta di acquisto delle azioni all'espressa condizione di non rimetterci alcunché (pur avendo egli espressamente riferito che non intendeva lucrare da detta operazione). Conclusivamente, la circostanza che, nelle intenzioni dell'imputato, le azioni B. che lo stesso ZI. si era determinato ad accettare, aderendo all'invito in tal senso rivoltogli dal coimputato GI., fossero destinate alla successiva liquidazione - e, questo, al fine di ricavarne la liquidità necessaria a concretizzare quelle ulteriori operazioni di investimento (Do., Sa., Ne.) rispetto alle quali, all'epoca, si era ancora in fase di trattativa - non muta affatto la natura "correlata" del finanziamento. Analoghe considerazioni, poi, si impongono in relazione alla partecipazione all'aumento di capitale 2013 posto che, anche in tal caso, l'imputato ha beneficiato dì un apposito finanziamento (sotto il profilo dell'ampliamento della linea di credito originariamente accordatagli). Di qui l'irrilevanza anche delle ulteriori considerazioni svolte nell'impugnazione (segnatamente, a pag. 20) in ordine all'assenza, con riferimento a tali operazioni, di taluni degli indici usualmente ricorrenti nel fenomeno del capitale finanziato. In definitiva, quindi, non v'è alcun dubbio che l'imputato ha posto in essere operazioni correlate. Né può negarsi che lo ZI., nella sua veste di membro del consiglio di amministrazione dell'istituto di credito, abbia autorizzato finanziamenti destinati (nell'accezione già precisata) ad operazioni correlate. Infine, neppure può contestarsi che si sia obiettivamente trattato, nel complesso, di comportamenti che, di fatto, sono andati ad inserirsi in quella più vasta e strutturata operatività, posta in essere dai vertici operativi dell'istituto di credito, tesa alla manipolazione del mercato, la ricaduta della quale si è poi tradotta anche nell'occultamento alle autorità di vigilanza di quanto, da tempo, andava accadendo nella dissennata gestione dell'istituto di credito. Ne discende che le condotte che radicano, sotto il mero profilo della materialità degli accadimenti, gli addebiti elevati a carico dello ZI. risultano indubbiamente sussistenti. In effetti, l'invocata, radicale estraneità dell'agire dello ZI. - nelle sue coincidenti vesti di consigliere di amministrazione dell'istituto di credito berico e di investitore coinvolto in "operazioni baciate" - alla manipolazione del mercato ed al conseguente sviamento delle attività di vigilanza non trova, sotto il profilo fattuale, riscontro in atti, risultando piuttosto provato l'esatto contrario, pur nei ristretti limiti delineati nelle imputazioni di riferimento. A ben vedere, una volta chiarita la natura correlata delle consistenti operazioni di acquisto/sottoscrizione di titoli B. effettuate dall'imputato (analogamente al fratello), neppure può fondatamente dubitarsi che una i tanto consistente partecipazione al "capitale finanziato" da parte di membro del Cda, peraltro per importi - e trattasi di profilo tutt'altro che irrilevante - di molto superiori a quelli relativi alle analoghe operazioni poste in essere da altri consiglieri non esecutivi (le pur consistenti operazioni riferibili ai consiglieri Do. e Mo., infatti, sono significativamente inferiori), possa essere stata interpretata, dalle varie componenti della struttura amministrativa della banca, come una forma di "avallo" della prassi esistente in tal senso. Questo, proprio in ragione del ruolo rivestito dallo ZI. all'interno della compagine societaria e dell'ammontare considerevole delle operazioni correlate da questi poste in essere. Aggiungasi che l'imputato (al pari degli altri consiglieri, peraltro) ha ripetutamente "ratificato" le proposte di finanziamento destinate all'esecuzione di operazioni baciate (interamente, ovvero parzialmente), donde, anche sotto tale profilo, la possibilità di ravvisare, di fatto, un contributo causalmente efficiente rispetto alla attuazione del disegno manipolativo concepito dai vertici aziendali. Così come, nell'approvare, sempre nella sua veste di membro del CdA, talune comunicazioni destinate alle autorità di vigilanza dal contenuto decettivo egli ha parimenti contribuito, sempre sul piano squisitamente fattuale, a vanificarne l'attività di controllo. Donde il difetto dei presupposti per la modifica della formula assolutoria adottata, per difetto dell'elemento soggettivo dei reati contestati, dal primo giudice (sul rilievo di quelle specifiche considerazioni che saranno più oltre oggetto di approfondimento in sede di valutazione dell'appello proposto dal p.m."). 15 Gli appelli del P.M. 15.1 L'appello inerente alla posizione di Zi.Gi. L'appello è infondato. Al riguardo, è d'uopo la premessa che segue. Si è già avuto modo di precisare che il tribunale ha affermato la natura/ correlata delle operazioni effettuate da Zi.Gi. per il tramite di Ze. S.r.l. e, segnatamente, dell'acquisto di azioni B., effettuato, nel 2012, impiegando in larga parte un fido di 12,5 milioni di Euro appositamente concesso dalla banca, nonché della sottoscrizione di titoli B. in occasione dell'aumento di capitale 2013 per effetto di una apposita estensione del fido, pari a 1,5 milioni di Euro. Trattasi di una ricostruzione che il primo giudice ha saldamente ancorato, come detto, ad una pluralità di convergenti elementi probatori, di natura testimoniale (in particolare, le deposizioni dei testi Ba., Cr. e Ba.), tecnica (la consulenza dei cc.tt. del P.M.), documentale (la richiesta di storno; l'annotazione redatta da Zi.Gi.; il prospetto riassuntivo estratto dal computer della segretaria di Ze. s.r.l. il contenuto dell'e-mail inviata dalla segretaria di Ze. s.r.l., Ca.Ro. alla filiale B. di cui al documento n. 121; il pro-memoria redatto dallo stesso imputato), nonché al tenore della conversazione telefonica n. 153 (sostanzialmente "confessoria") intercorsa tra tale imputato e l'interlocutore Lu.Bo. e, infine, alle stesse dichiarazioni rese dall'imputato in sede di esame dibattimentale. A tali evidenze probatorie ed in assoluta coerenza con le stesse, poi, deve aggiungersi l'elemento sopravvenuto costituito dalle recenti propalazioni auto ed eteroaccusatorie rese dal coimputato GI. in occasione dell'esame reso all'udienza 17.6.2022, là dove costui, nel rendere completa confessione (così ampliando, precisando e, su taluni punti essenziali, rettificando quanto già riferito in sede di esame svolto innanzi al tribunale di Vicenza) ha puntualmente rievocato anche l'operazione relativa all'erogazione del finanziamento da 12,5 milioni effettuato in favore dello ZI. (operazione al dichiarante ben nota per averla egli direttamente proposta all'interlocutore), ribadendone, con puntuali riferimenti concreti, la natura correlata. Ebbene, questa Corte ha già evidenziato come, in presenza di tali, convergenti emergenze istruttorie, le osservazioni critiche mosse dalla difesa di Zi.Gi. non consentano affatto di contestare, con il benché j minimo fondamento, la natura correlata delle operazioni di acquisto/sottoscrizione di azioni B. concluse dal predetto giudicabile. Va decisamente escluso, infatti, che il ricorrere di un interesse personale dell'imputato - tanto se di natura economica (per vero, nel caso in questione, insussistente), quanto se di altra tipologia (ivi compreso, quindi, l'obiettivo "politico" di acquisire una importante partecipazione in vista di una eventuale - scalata" alla presidenza dell'istituto) - che fosse concorrente con quello di favorire la banca (fornendole, con l'acquisto di un consistente pacchetto azionario, un apprezzabile ausilio nella circolazione/collocazione delle azioni) valga a relegare al di fuori del perimetro del "capitale finanziato" le operazioni di acquisto delle azioni che fossero state realizzate impiegando risorse erogate dallo stesso emittente dei titoli. Sul punto, pertanto, non può che rimandarsi a quanto già argomentato su tale specifico argomento, onde evitare ripetizioni che sarebbero davvero superflue. Ciò posto, il giudice di prime cure ha escluso la responsabilità penale dello ZI. ravvisando il difetto di consapevolezza, in capo a costui, della diffusività del ricorso al meccanismo del capitale finanziato. Questo, non solo in considerazione dell'accertata estraneità del predetto rispetto alla concertazione, intercorsa ai massimi livelli dell'istituto di credito, delle condotte di manipolazione del mercato e di sviamento delle autorità di vigilanza, ma per la dirimente ragione rappresentata dall'assenza di elementi che inducessero a ritenere, nei dovuti termini di univocità, che il predetto imputato versasse, sotto il profilo della consapevolezza di tale operatività delittuosa, in una situazione significativamente differente rispetto a quella, assolutamente vaga e generica, in cui si trovavano altri membri del CdA, taluni dei quali, pure, avevano posto in essere analoghe operazioni correlate. In effetti, nella prospettiva del tribunale, solo una situazione di effettivo e precipuo allarme in ordine ad attività delittuose "in itinere" avrebbe consentito di ravvisare gli estremi della penale responsabilità, peraltro sulla base di un inquadramento di tale responsabilità - ovverosia ex art. 40 c.p. - esorbitante rispetto al perimetro dell'imputazione, in effetti espressione di un addebito che - pur scontando taluni profili di ambiguità inevitabilmente derivanti della portata semantica di taluni vocaboli all'uopo adottati (intende farsi riferimento, segnatamente, all'impiego del verbo "avallava", ovverosia di un termine che implica anche, in certo qua) modo, profili di tolleranza dell'altrui agire) - è stato dalla pubblica accusa elevato con riferimento ad un concorso mediante condotta commissiva. Tale decisione è stata oggetto di impugnazione da parte del P.M. sul rilievo, in primo luogo, dell'asserita erronea individuazione dei criteri che avevano fondato l'imputazione di responsabilità penale: - da un lato, infatti, secondo l'impostazione d'accusa, l'imputato, membro del CdA, concludendo egli stesso "operazioni baciate" avrebbe "avallato" la prassi illecita del capitale finanziato, così contribuendo a rassicurare i dipendenti dell'istituto dì credito circa l'esistenza di "una copertura da parte dell'organo amministrativo"; - e, dall'altro lato, proprio in quanto componente del consiglio, deliberando la concessione dei finanziamenti che avevano reso possibili tali operazioni ed approvando i documenti e le comunicazioni inviate agli organi di vigilanza, lo stesso giudicabile avrebbe concorso nella perpetrazione dei delitti di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza. E' stato sulla base di tale impostazione d'accusa, quindi, che il p.m., appellante ha ripercorso le acquisizioni istruttorie lamentandone la mancata valutazione "sintetica" da parte del giudice di prime cure; sostenendone, per contro, l'idoneità a fondare l'affermazione di colpevolezza dell'imputato; ed invocando - infine e conseguentemente - la riforma della sentenza impugnata. In effetti, come questa corte ha già avuto modo di precisare nell'ordinanza adottata in esito alle richieste istruttorie, l'appello proposto avverso l'assoluzione di Zi.Gi. ha espressamente sollecitato il giudice del gravame ad operare quella lettura complessiva dell'intero compendio probatorio disponibile asseritamente omessa dal primo giudice, il quale, nella prospettiva dello stesso appellante, ne aveva unicamente offerto una (peraltro pertinente, ad avviso della stessa pubblica accusa) valutazione analitica. Tanto premesso, ritiene questa Corte che difettino i presupposti per l'invocata riforma della sentenza impugnata. Per vero, ove si abbia la dovuta attenzione: - per un verso, alla natura assolutamente specialistica delle tematiche coinvolte dalla regiudicanda (e, sul punto, non può non rimandarsi a quanto già ripetutamente evidenziato, oltre che nei precedenti paragrafi, nella trama argomentativa della sentenza impugnata, segnatamente in ordine al perimetro ed alle caratteristiche delle operazioni correlate ed alle conseguenti implicazioni in punto di disciplina prudenziale); - per altro verso, al ruolo concretamente rivestito dall'imputato all'interno della compagine dell'istituto di credito (trattandosi di consigliere di amministrazione privo di deleghe operative); - e, per altro verso ancora, al concreto, peculiare atteggiarsi delle dinamiche gestionali della banca in questione, caratterizzate, da un lato, dalla rigorosa delimitazione ai livelli apicali della presidenza e del management più elevato della compiuta conoscenza del fenomeno del capitale finanziato e delle conseguenti determinazioni operative; e, dall'altro (come peraltro già stigmatizzato dalla Banca d'Italia all'esito di precedenti verifiche), da quell'atteggiamento di sconcertante passività e totale accondiscendenza del consiglio di amministrazione (fatte salve talune, sporadiche eccezioni) che si traduceva, all'esito di un simulacro di discussione, in approvazioni unanimi delle proposte presidenziali, deve necessariamente convenirsi con le conclusioni cui è pervenuto il tribunale. Trattasi, a ben vedere, di conclusioni che, ben lungi dal costituire l'esito di un apprezzamento meramente "parcellizzato" delle prove disponibili (ovverosia, come sostenuto dall'appellante, di una valutazione atomistica illogicamente sottratta ad una successiva visione d'insieme), rappresentano l'unico approdo coerente con il rigoroso standard probatorio idoneo a legittimare, nei dovuti termini di tranquillante certezza, l'affermazione di penale responsabilità. In effetti, le circostanze valorizzate nell'impugnazione e, segnatamente: - la natura correlata tanto dell'operazione effettuata nel novembre del 2012 tramite Ze. S.r.l., peraltro caratterizzata dalla significativa entità, pari a 10 milioni di Euro, del relativo ammontare (dei 12, 5 milioni erogati, infatti, solo 2,5 milioni erano stati impiegati per rilevare le quote della società Ar., la restante parte venendo destinata all'acquisto di azioni dell'istituto), quanto dell'ulteriore dell'operazione relativa alla partecipazione all'aumento di capitale 2013 per il tramite di un apposito incremento della linea di credito già in essere; - i vantaggi riconosciuti all'imputato in relazione alle citate operazioni correlate, segnatamente con riferimento agli interessi praticati dall'istituto di credito (stante la differenziazione tra quelli relativi, da un lato, alla parte di finanziamento impiegato per l'acquisto delle azioni B., in ordine ai quali era anche previsto il rimborso e, dall'altro, alla quota di fido concesso per rilevare la partecipazione in Ar.); - la circostanza che analoghe operazioni fossero state poste in essere dal fratello dell'imputato, Gi.Zi., e che anche quest'ultimo avesse fruito di un trattamento di favore (a tale ultimo riguardo, il riferimento è all'"annullamento" dell'operazione ed agli "storni" di interesse formalmente applicati); - il fatto che il giudicabile, con ogni probabilità, fosse consapevole dell'esistenza di ulteriori soci finanziati dall'istituto di credito i quali, peraltro, traevano vantaggi da tali operazioni (tanto da essersi preoccupato di precisare, in occasione dell'adesione alla proposta di "baciata" da 10 milioni di Euro, come non fosse sua intenzione "guadagnare" alcunché, evidentemente alludendo, con tale precisazione, alla volontà di differenziarsi dagli altri investitori che, al contrario, da tale tipologia di operazioni traevano profitto); - il trattamento di favore che egli aveva rivendicato come una sorta di contropartita della pregressa disponibilità manifestata nel concludere operazioni correlate allorquando, successivamente, nel dicembre del 2014, aveva richiesto ed ottenuto da B. un finanziamento senza garanzia (intende farsi riferimento al prestito inerente all'operazione poi effettuata con Ub. descritta dal teste Vi., allorché questi ha ricordato come l'imputato gli avesse riferito che il finanziamento gli era stato concesso da B. perché aveva un "credito nei loro confronti sicché l'operazione "gli era dovuta"); - la censurabile sottovalutazione della vicenda relativa alla mail inviata da Mi.Ga., valgono bensì a dimostrare come Zi.Gi. avesse contezza della sussistenza della prassi, più o meno diffusa, circa la concessione, da parte dell'istituto di credito vicentino, di finanziamenti destinati, in tutto o in parte, all'acquisto di azioni proprie della banca (ed il tenore delle conversazioni nn.ri 222 e 543 richiamate dal p.m., in effetti, orienta certamente in tal senso, ma non prova nulla di più), ma non consentono affatto di concludere che lo ZI. fosse consapevole dell'entità del fenomeno del capitale finanziato neppure in termini di ordine di grandezza approssimativo e, soprattutto, delle conseguenti implicazioni sul bilancio (e, segnatamente, sul regime prudenziale dell'istituto di credito). E men che meno legittimano la conclusione che il medesimo imputato - sempre che fosse a specificamente informato della sussistenza degli obblighi di decurtazione dei finanziamenti destinati all'acquisto di azioni proprie dal patrimonio di vigilanza/fondi propri - fosse poi cosciente dell'effettivo mancato rispetto della normativa prudenziale in questione. In effetti, va ancora una volta precisato che la conoscenza dell'esistenza di una prassi, più o meno diffusa, in ordine al "capitale finanziato" (conoscenza che, nelle sue linee generali, come si è più volte evidenziato, era evidentemente ben nota all'interno dell'istituto di credito, specie nella catena della "rete commerciale", se non altro per l'esigenza che le decisioni di vertice sul collocamento delle azioni si traducessero in concrete, ramificate operazioni di collocamento dei titoli presso la clientela) costituisce condizione necessaria ma non sufficiente per desumere la consapevolezza dell'esistenza di una strutturata attività di manipolazione dei titoli B., posto che tale consapevolezza avrebbe richiesto anche la disponibilità di informazioni adeguate in ordine all'entità del fenomeno in esame, alla conseguente incidenza sul valore dell'azione ed alle sue ricadute concrete sotto il profilo del patrimonio di vigilanza/fondi propri). E, questo, a tacere del fatto che, sul piano logico, sarebbe difficilmente comprensibile la decisione, specie se adottata da un attento investitore professionale quale Zi.Gi., di acquisire (ancorché tramite finanziamento senza interessi, pur sempre implicante l'obbligo di restituzione del capitale erogato) una partecipazione azionaria tanto consistente (a fortiori nell'ottica di una scalata alla presidenza) ove costui fosse stato realmente consapevole sia della effettiva e non transeunte situazione di illiquidità del titolo sia, più in generale, della precarietà delle condizioni patrimoniali della banca. Al profilo di tale imputato, infatti, non possono certo attagliarsi le considerazioni che, al contrario, ben si addicono alla posizione del coimputato ZO. (nell'impugnazione del quale - come s'è detto - sono stati rivendicati gli ingenti conferimenti di capitale effettuati, peraltro integralmente con risorse del giudicabile, nell'acquisto di azioni dell'istituto, ritenendoli sintomatici di atteggiamento ispirato da buona fede). Se, infatti, il presidente di B. non era affatto nelle condizioni di liquidare (e neppure di ridurre) le partecipazioni azionarie detenute nella banca per le decisive ragioni personali di cui s'è detto, la posizione di Zi.Gi., sul punto, era di tutt'altra natura, non avendo egli affatto legate, a differenza dello ZO., la propria persona e le proprie prospettive imprenditoriali in modo indissolubile alla banca (nella quale rivestiva un ruolo bensì importante, ma non certo rappresentativo). Trattasi, a ben vedere, di differenza tanto evidente da non richiedere ulteriori considerazioni. E' bensì vero che le emergenze istruttorie - ivi compreso quanto riferito dal coimputato GI. nel corso dell'esame reso in sede di giudizio di appello - hanno consentito di verificare come l'esistenza di tensioni sul mercato secondario dei titoli di B. fosse questione che, come da ultimo precisato dal propalante, ripetutamente era stata trattata in CdA ed evidentemente rappresentata all'imputato (o, comunque, dallo stesso ZI. certamente intuita al momento della proposta avanzatagli di concludere l'operazione "baciata" del 2012, posto che, in difetto, non avrebbe avuto alcun senso detta sollecitazione all'acquisto dei titoli e tenuto conto che, come pure s'è avuto modo di apprendere dall'istruttoria dibattimentale, sino agli anni 2008-2010 le azioni B. erano molto richieste dal mercato, tanto che il ricorso alle "baciate" era puramente occasionale e dettato da ben differenti finalità). In effetti, l'ascolto, effettuato all'udienza in data 17.6,2022, della registrazione dell'intervento effettuato dall'imputato ZO. nel corso della seduta del CdA 5.11.2013 non lascia adito a dubbi, stanti i palesi ed insistenti riferimenti in proposito, ivi compreso quello, effettuato dal consulente di B., Gi.Fa. ed in precedenza evocato, in ordine ad una probabile sopravvalutazione del prezzo dell'azione (cfr. pag. 7 della relativa trascrizione, effettuata a cura della difesa ZO. e da essa prodotta alla stessa udienza del 17.6.2022). Nondimeno, proprio per la sorprendente, ma verificata superficialità delle modalità di funzionamento di tale organo collegiale - modalità che, in effetti, sono state ripetutamente evidenziate, da ultimo dal coimputato GI. nel corso della sua più recente escussione (e che, peraltro, hanno fondato, nei confronti di numerosi componenti del medesimo consesso oltre che del collegio sindacale, l'irrogazione di sanzioni amministrative la legittimità delle quali è stata recentemente confermata dalla suprema Corte) - va escluso che i consiglieri di amministrazione fossero stati messi a parte, per ragioni legate all'ufficio ricoperto, delle effettive condizioni nella quale versava l'istituto di credito in relazione al tema del capitale finanziato e delle conseguenti implicazioni operative. Questo, anche tenuto conto, con specifico riferimento al tema costituito dal valore dell'azione B., dell'esistenza di una perizia di stima che, anche per la sua provenienza da uno dei massimi esperti in materia, appariva assolutamente tranquillante. Con particolare riguardo alla posizione del predetto ZI., poi, una siffatta, puntuale conoscenza neppure risulta aliunde acquisita. In particolare, trattasi di consapevolezza che non può automaticamente desumersi dal fatto che costui, all'atto della conclusione delle "operazioni baciate" del 2012 e del 2013, avesse agito "per fare un favore alla banca". Difettano, invero, univoche evidenze del fatto che il giudicabile avesse contezza non già di una situazione, più o meno temporanea, di difficoltà di funzionamento, rispettivamente, del mercato secondario e di quello primario, bensì dello stato di effettiva illiquidità del titolo azionario e della (conseguente) incapacità della banca di incrementare le proprie risorse in sede di aumento di capitale, ovverosia dì quella situazione complessiva di crisi strutturale che era intenzione dell'alta dirigenza dell'istituto sterilizzare ed occultare proprio attraverso il sistematico, perverso ricorso al capitale finanziato. In altri e decisivi termini, non v'è prova del fatto che lo ZI. disponesse di elementi di conoscenza, sul punto, significativamente maggiori rispetto a quelli in possesso dei "colleghi" consiglieri. Al riguardo, infatti, non assume particolare significato il radicato collocamento dell'imputato nel tessuto imprenditoriale vicentino (in quanto già presidente della articolazione territoriale di Confindustria), essendosi in presenza anche in tal caso, di uno status (quello di soggetto intraneo al locale ambiente economico-finanziario) non sostanzialmente difforme rispetto a quello dei restanti componenti del Consiglio, parimenti ben introdotti nel circuito d'impresa e, taluni, finanche dotati di competenze specialistiche di assoluto rilievo. Né può attribuirsi eccessivo rilievo - men che meno al fine di farne discendere una sostanziale differenza di posizioni tra lo ZI. e gli ulteriori esponenti del Consiglio di amministrazione di B., parimenti finanziati dall'istituto di credito - alla circostanza che l'imputato fosse un imprenditore aduso ad operare investimenti sui mercati finanziari con conseguente conoscenza dei "fondamentali" in materia. Questo, solo a considerare che, all'interno del medesimo CdA, v'erano soggetti, come testé evidenziato, le competenze tecniche dei quali erano decisamente superiori rispetto a quelle dello stesso giudicabile e che, nondimeno, sono stati convincentemente ritenuti dalla medesima autorità giudiziaria vicentina (si veda il provvedimento di archiviazione adottato su richiesta della stessa Procura berica, pur consapevole degli addebiti e delle sanzioni applicate dall'autorità amministrativa nei confronti di altri componenti del Consiglio di Amministrazione) privi di una chiara visione del fenomeno in esame, con conseguente archiviazione delle relative posizioni (cfr. ordinanza di archiviazione GIP tribunale di Vicenza 30.3.2022, prodotto dalla difesa dell'imputato PE. in allegato alla memoria 12.5.2022 in materia di rinnovazione istruttoria). In altri termini, il panorama probatorio che viene restituito dall'istruttoria dibattimentale (anche alla luce dell'implementazione avvenuta in sede di appello) dimostra: - per un verso, l'effettiva esecuzione, da parte dell'imputato, di operazioni correlate (come, del resto, da questi "ammesso" nel pro-memoria rinvenuto, in sede dì perquisizione, nei supporti informatici dell'imputato e relativo alla ricostruzione dell'incontro che il predetto aveva avuto il giorno 8 maggio con il presidente ZO., presenti il vicepresidente Br. e l'avv. Am.); - e, per altro verso, la consapevolezza, in capo al medesimo giudicabile, che la banca versasse, in quello specifico frangente (e, più in generale, nel periodo, in cui si collocano i fatti sub iudice), in una condizione di difficoltà (peraltro comune all'intero settore del credito) e, pertanto, avesse necessità dì un sostegno nell'assicurare una adeguata circolazione delle azioni, ma non consente affatto di concludere che il medesimo ZI. ritenesse che tale necessità fosse strutturale e non transeunte (e, più specificamente, che non derivasse, almeno significativamente, da un aumento di richieste dì vendita da parte degli azionisti legate ad un contesto dì difficoltà economica generale conseguente alla crisi internazionale in atto e non già ad una situazione di strutturale illiquidità del titolo che aveva cessato di essere appetibile per ragioni "intrinseche") e, soprattutto, che all'esecuzione di siffatte operazioni correlate non conseguisse la dovuta attuazione delle "contromisure" prudenziali ed il conseguente rispetto della disciplina inerente ai rapporti con gli enti di vigilanza. Le conversazioni intercettate che hanno visto coinvolto l'imputato212, del resto, specie se doverosamente analizzate nella loro complessiva significazione, restituiscono l'immagine di un soggetto non solo sinceramente preoccupato per le sorti dell'istituto di credito, ma anche, ed è quel che più rileva (visto che nessuno dei coimputati ha operato scientemente per pregiudicare la sorte della banca, essendo stati, piuttosto, tutti animati dalla intenzione di traghettare l'istituto di credito fuori dalle secche della crisi, anche a costo di perpetrare i reati sub iudice), effettivamente incredulo delle dimensioni e delle implicazioni del fenomeno del capitale finanziato. Aggiungasi che lo stesso coimputato GI., pur molto severo, anche nei giudizi da ultimo resi, nei confronti, tra gli altri, dei componenti del CdA di B., ha bensì evidenziato come costoro, ai quali non era ignota l'esistenza delle operazioni correlate, fossero nelle condizioni, ove realmente interessati, di approfondire il tema in esame e, così, di giungere a comprendere gli esatti termini della crisi nella quale versava l'istituto di credito; tuttavia, non ha affatto riferito di una effettiva consapevolezza, in capo a costoro, della esatta j dimensione del fenomeno, né dell'omessa decurtazione dal patrimonio di vigilanza degli importi dei finanziamenti. In definitiva, gli elementi disponibili, anche ove doverosamente sottoposti alla valutazione d'insieme sollecitata dalla pubblica accusa (valutazione, peraltro - va doverosamente precisato - che non è stata affatto omessa dal primo giudice), sono tutt'altro che sintomatici di quella conoscenza approfondita non solo della sistematicità e della complessiva entità delle operazioni correlate effettuate presso B. ma anche - e soprattutto - delle conseguenti implicazioni sui coefficienti patrimoniali prudenziali che costituiscono l'indispensabile presupposto della reale comprensione, da parte dell'odierno giudicabile, del fatto che, presso B., fosse in atto una prassi operativa di sistematica manipolazione del mercato e di conseguente occultamento alla vigilanza di quanto, sul punto, andava accadendo. Di qui l'impossibilità dì ravvisare nelle operazioni di capitale finanziato poste in essere dallo ZI. la inequivoca dimostrazione dì una volontaria adesione e di una consapevole, fattiva partecipazione alle attività delittuose che radicano le imputazioni di riferimento, con conseguente impossibilità dì riconoscere, alla base dell'agire dell'imputato, la sussistenza dell'indispensabile "dolo di partecipazione". Non ignora questa Corte come non sia affatto necessario, per affermare la penale responsabilità del compartecipe, che questi abbia previamente concertato con i concorrenti l'attività delittuosa, né che egli abbia avuto contezza dell'esatta identità dei correi e neppure delle specifiche modalità esecutive della condotta delittuosa nel suo complesso; nondimeno, è pur sempre necessario che costui abbia avuto la consapevolezza di agire, in comune, per una finalità unitaria e conoscendo, quantomeno a grandi linee, il ruolo svolto dagli altri partecipi (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 40274 del 5.10.2021, Catalano, Cass. Sez. II, n. 18745 del 15.1.2013, Am., Cass. Sez. VI, n. 46309 del 9.10.2012, P.G. in proc. An., Sez. V, n. 25894 del 15.5.2009, Ca. e altri, Cass. Sez. VI, n. 37337 del 10.7.2003, D'A. Cass. Sez. VI, 25705 del 21.3.2003, Sa. e altri) o, comunque, che egli abbia, anche solo unilateralmente (cfr. sul punto, Cass. Sez. III n. 44097 del 3.5.2018, I.), deciso di convergere sull'evento finale perseguito dai concorrenti (peraltro tale da includere, quanto al reato ex art. 2638, co. 2 c.c., la realizzazione dell'attività di ostacolo, specificamente oggetto di dolo). Ebbene, trattasi di requisiti che, nella specie, non sono affatto ravvisabili con riferimento alla posizione dello ZI.. E' solo per completezza, quindi, che si precisa (analogamente a quanto effettuato dal giudice di prime cure nell'ampia digressione contenuta alle pagg. 771-773 della sentenza impugnata) che a non diverse conclusioni dovrebbe pervenirsi qualora l'addebito elevato a carico dell'imputato dovesse essere ricondotto al paradigma ex art, 40 cpv. c.p. (riferimento, questo, in ogni caso, estraneo rispetto al perimetro dell'imputazione - come, peraltro, ulteriormente si ricava dalle puntualizzazioni effettuate, con riferimento al criterio di imputazione della responsabilità penale sotteso all'impostazione d'accusa, dallo stesso P.M. appellante - donde la natura di mera precisazione delle presenti considerazioni). L'evidenziata assenza di elementi univocamente sintomatici della consapevolezza, in capo allo ZI., di una attività, in itinere, di manipolazione del titolo e del mercato e di una conseguente azione di sviamento della vigilanza, infatti, escluderebbe in ogni caso la sussistenza del presupposto per ravvisare, a carico del giudicabile, una responsabilità omissiva di rilievo penale. Pertanto - e concludendo sul punto - difettano, ad avviso di questa Corte, margini di sorta per l'invocata riforma della pronunzia assolutoria impugnata (cfr. sulla necessità, in tal caso, di motivazione rafforzata, da ultimo, Cass. Sez. IV n. 2474 del 15.10.2021 dep. 21.10.20121, Ma., Cass. Sez. IV, n. 24439 del 16.6.2021, dep. 22.6.2021, Fr.), pronunzia che, anzi, appare pienamente persuasiva, in quanto coerente con una attenta valutazione (tanto analitica quanto sintetica) del complessivo compendio probatorio disponibile. 15.2 L'appello inerente alla posizione di Pe.Ma. Come s'è detto, il P.M. ha proposto appello avverso la sentenza che ha mandato assolto Pe.Ma. per difetto dell'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito, censurandone il percorso argomentativo sul rilievo: - per un verso, della mancata debita considerazione, da parte del primo giudice, dì talune evidenze probatorie dalle quali sarebbe stato possibile desumere la consapevolezza, in capo al giudicabile, del radicato ricorso al finanziamento degli acquisti delle azioni B. (segnatamente, nell'ordine: la partecipazione alla seduta del comitato di direzione 8.11.2011; il coinvolgimento dell'imputato nelle ulteriori sedute degli organi collegiali manageriali della banca nei quali si affrontava, sotto diversi profili, il fenomeno del capitale finanziato; gli esiti delle attività di intercettazione telefonica ed il contenuto delle comunicazioni SMS; le dichiarazioni rese dal responsabile Audit Bo. in occasione della riunione indetta dal d.g. So., nel febbraio 2015, in vista dell'avvio dell'ispezione Bc.; il tenore della discussione svoltasi in occasione del comitato di direzione 10.11.2014); - e, per altro verso, della sopravvalutazione di elementi probatori asseritamente a discarico ("episodio KP."; le deposizioni dei colleghi Fa., Tr., Mo. e Li.; la condotta tenuta dall'imputato in relazione alla disclosure inerente ai fondi At. ed Op.; e, infine, la valutazione espressa dal medesimo PE., in sede di CdA 1.4.2014, in ordine alla stima del valore dell'azione proposta dal prof. Bi.). Conseguentemente, l'impugnazione ha proposto una rilettura critica di tali snodi dell'istruttoria dibattimentale idonea, ad avviso dell'appellante, a legittimare il ribaltamento della decisione assolutoria adottata dal primo giudice, donde le coerenti conclusioni rassegnate dalla pubblica accusa con richiesta di condanna del PE. in relazione a tutti i reati ascrittigli. Sul punto, non può che rimandarsi a quanto esposto saprà, là dove sono state ripercorse le argomentazioni svolte a sostegno del gravame, con la doverosa precisazione che agli elementi valorizzati dal p.m. nell'atto di appello si sono poi aggiunte le dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie del coimputato GI.. L'appello è fondato. Al riguardo, va sin d'ora precisato che, ai fini della corretta lettura del ruolo svolto dal PE. nei fatti per cui è processo, assume dirimente rilievo il tema della consapevolezza, in capo a costui, della risalente prassi del ricorso al capitale finanziato da parte del management di B., prassi che - s'è detto anche questo - inizialmente invalsa per raggiungere l'obiettivo di svuotamento del fondo azioni proprie ai fini di dimostrare elevati standard di efficienza gestionale era poi divenuta essenziale per corrispondere all'esigenza, via via sempre più pressante, di assicurare la liquidità del titolo, il tutto senza rinnegare le politiche di espansione tenacemente perseguite dal presidente ZO.. Solo qualora fosse provata tale conoscenza avrebbe senso - com'è evidente - interrogarsi sulla cosciente e volontaria adesione a siffatta operatività, E' essenzialmente sul versante della conoscenza dell'esistenza e dell'entità del capitale correlato, infatti, che è stata decisa, in primo grado, la sorte processuale del giudicabile ed è su questo medesimo versante che, del tutto coerentemente, si sono concentrati, nel giudizio di appello, gli sforzi argomentativi delle parti (cfr. quanto alla difesa PE., i ragionamenti svolti, in particolare, alle pagg. 28-87 delle considerazioni "in fatto" contenute nella memoria difensiva 4.2.2020; cfr., altresì, quanto evidenziato nella articolata memoria conclusiva 30.9.2022; si vedano, infine, le deduzioni "di replica" contenute nella memoria 7.10.2022). Di seguito, pertanto, si affronteranno, nell'ordine, le questioni della conoscenza, da parte del predetto imputato, di tale fenomeno e della fattiva cooperazione fornita dal medesimo all'attuazione della suddetta prassi. 15.2.1 La conoscenza del fenomeno del capitale finanziato da parte di Pe.Ma.. In proposito, sì impongono le seguenti osservazioni preliminari, di ordine, rispettivamente, fattuale e logico. Sotto il primo profilo (quello della premessa fattuale) è stato più volte evidenziato come l'esistenza della concessione di finanziamenti per l'acquisto delle azioni dell'istituto di credito costituisse oggetto di diffusa, se non addirittura capillare, conoscenza all'interno delle varie articolazioni di B. e in particolare, a tutti i livelli della rete commerciale dell'istituto, trattandosi di struttura chiamata ad attuare le direttive - sempre più stringenti a partire dall'anno 2011 - di collocamento "a tutti i costi" delle azioni impartite dalla più alta dirigenza della Banca (il teste Tu. ha significativamente precisato, sul punto, che persino i "cassieri" ne erano consapevoli214; il teste Premi, dal canto suo, ha altrettanto efficacemente specificato che "il 99% del personale" della banca ne era a conoscenza, soggiungendo come, del resto, fosse un sistema impossibile da tenere celato, sia per la sua amplissima diffusione, sia perché implicava il contributo delle più diverse professionalità), sebbene - lo si è precisato in precedenza - si trattasse di conoscenza che solo ai "piani" più alti dell'istituto, ove si disponeva di una visione di insieme del fenomeno in esame, era corredata da precise coordinate circa l'esatta entità (peraltro oggetto di continua evoluzione) del capitale finanziato. Sul punto, pertanto, ogni ulteriore digressione sarebbe superflua. Sotto il secondo profilo (quello della valutazione razionale), poi, è d'uopo la seguente considerazione: se è vero - come pure si è ripetutamente evidenziato - che il ricorso sistematico alla concessione di finanziamenti destinati all'acquisto delle azioni dell'istituto è stato lo strumento impostosi per fronteggiare la situazione di ingravescente illiquidità del titolo, non più scongiurata dall'impiego delle risorse del "fondo acquisto azioni proprie" (fondo che, del resto, era necessario "svuotare" periodicamente per assicurare il rispetto dei ratios patrimoniali imposti dalla sempre più stringente disciplina in materia e, al contempo, sostenere il valore dell'azione), è giocoforza concludere, alla stregua della logica più elementare, che le operazioni di capitale finanziato e, in particolare, le "campagne svuotafondi", costituissero oggetto, dapprima, di una adeguata pianificazione e, quindi, di una conseguente attuazione, costantemente monitorata, non essendo ragionevolmente ipotizzabile che siffatte operazioni fossero poste in essere "alla cieca", ovverosia ignorandone presupposti ed effetti. Trattasi, d'altronde, dì conclusione che trova piena conferma nel più volte evocato intervento tenuto dal d.g. So. in occasione della seduta del Comitato dì Direzione 8 novembre 2011 siccome restituitoci dalla sintetica (ma assai precisa) ricostruzione consentita dalle annotazioni del So., là dove, pur nella doverosa sintesi imposta dalle caratteristiche di detto scritto (un semplice appunto pro memoria, in ogni caso redatto da soggetto particolarmente affidabile in quanto istituzionalmente incaricato della verbalizzazione delle sedute), non fa difetto un esplicito riferimento proprio alla esigenza di costante verifica dell'andamento di tali operazioni ("...dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. Abbiamo degli impegni nei confronti di B. e CdA........al corporate bisogna farle bene e poi vanno mantenute..."). Sennonché il tribunale, dopo avere correttamente riconosciuto (cfr. pag. 735 della sentenza impugnata) che il monitoraggio dei dati contabili rilevanti ai fini del rispetto dei ratios patrimoniali della banca in relazione non solo agli attivi ponderati (RWA) ma anche all'andamento del fondo acquisti azioni proprie costituiva una incombenza assegnata alla direzione "Pianificazione Strategica" (affidata alla guida del Fa.), ovverosia ad una articolazione aziendale facente capo alla Divisione Bilancio diretta dal PE., ha nondimeno affermato (cfr., pag. 751 della sentenza impugnata), pur in presenza dell'esplicito tenore dell'appunto del So. testé richiamato, come il - monitoraggio del capitale finanziato" non fosse "univocamente riconducibile" all'intervento di detta direzione e, segnatamente, del suo responsabile Fa. (intervento dal quale, in effetti, sarebbe stato indirettamente desumibile il coinvolgimento del PE.). Ebbene, occorre necessariamente prendere atto che, nel pervenire a tale approdo, il primo giudice non si è minimamente confrontato con le necessarie implicazioni (davvero difficilmente sostenibili, a ben vedere, sul piano della razionalità) di una siffatta conclusione. In effetti, posto che: - per un verso, è impensabile che il d.g. So. ed il vicedirettore Gi. provvedessero personalmente a valutare le operazioni di finanziamento con specifico riferimento agli effetti di dette operazioni sul patrimonio di vigilanza, limitandosi costoro, in effetti, a verificare (in particolare attraverso l'analisi del report c.d. "colorato", predisposto dall'ufficio soci216) quale fosse l'andamento degli acquisti e delle vendite e ad impartire le conseguenti disposizioni; - per altro verso, non v'è traccia alcuna dell'esistenza di una struttura separata ed occulta alla quale fosse stata affidata la tenuta della contabilità relativa alle implicazioni sui ratios patrimoniali delle operazioni inerenti ai finanziamenti correlati (posto che il monitoraggio del quale, come peraltro precisato dal teste Ba., si occupavano l'ufficio soci e, all'interno della Direzione Commerciale, il funzionario Tu., era evidentemente riferibile all'andamento delle operazioni di collocamento delle azioni, non già alle relative ricadute sui requisiti di vigilanza); - e, per altro verso ancora, l'unica articolazione dell'istituto di credito in grado (per le competenze tecniche dei suoi componenti) di svolgere un siffatto controllo (peraltro di natura assolutamente identica rispetto a quella dell'analogo compito affidatogli in via "istituzionale") era proprio la "Direzione Pianificazione Strategica"218 (si veda, sul punto, la deposizione del To., riportata, più oltre, in nota e, segnatamente, il passaggio nel quale il predetto, con riferimento alle valutazioni funzionali alla vigilanza, ha affermato: "....erano mobili perché il Tier 1 è di fatto un rapporto fra il capitale, fra il patrimonio e le attività a rischio; le attività a rischio poi devono essere ponderate a seconda della forma tecnica e, perciò, è un calcolo complicato e sofisticato che solo Pe. era in grado di poter poi dare il risultato finale, perché aveva gli uomini che gliele fornivano..."; si veda, inoltre, proprio con riferimento alla discussione svoltasi in occasione del comitato di direzione 8 novembre 2011, quanto riferito dal coimputato GI. già nel corso del dibattimento di primo grado circa il fatto che la "Divisione Mercati" facesse necessario affidamento, anche in materia di ratios patrimoniali, sui dati elaborati dalla "pianificazione"219; si veda, infine, quanto riferito, al riguardo, in sede di rinnovazione istruttoria, dal teste Tr., in ordine al monitoraggio delle azioni proprie sotto il profilo della verifica del rispetto dei ratios patrimoniali), è inevitabile concludere che un siffatto monitoraggio dovesse essere assicurato proprio da tale Direzione, non essendo in alcun modo logicamente sostenibile alcuna altra ipotesi alternativa. Trattasi, a ben vedere, di una significativa - per quanto indiretta - prova (logica) del coinvolgimento della "Divisione Bilancio" (per il tramite della sua articolazione interna costituita dalla citata "Direzione") nelle operazioni di monitoraggio del capitale finanziato, sia pure non a livello operativo, bensì di pianificazione e controllo (segnatamente, sotto il profilo dei risvolti in tema di ratios patrimoniali). L'assoluta importanza di siffatte operazioni occulte per la sopravvivenza stessa dell'istituto di credito; le gravissime implicazioni (anche di ordine penale) del necessario nascondimento di tale prassi alle autorità di vigilanza (le interlocuzioni con le quali rientravano nella competenza proprio dell'imputato PE.); e, infine, le caratteristiche dì marcata gerarchia proprie dell'organizzazione aziendale in esame, orientano, poi, sempre sul piano logico, nel senso della implausibilità della tesi secondo la quale il predetto PE. - massimo responsabile, lo si ripete, della "Divisione Bilancio" - sarebbe stato tenuto all'oscuro di una siffatta attività (sistematicamente svolta da una struttura aziendale affidata, in ultima analisi, proprio alla sua responsabilità) per effetto di una sorta di (irragionevole) conventio ad excludendum. della quale, peraltro (e trattasi di circostanza decisiva), non v'è riscontro di sorta. Dell'amplissimo compendio probatorio disponibile, infatti, nessun elemento, tanto di natura documentate quanto testimoniale (ivi comprese, pertanto, le dichiarazioni dei più stretti collaboratori dell'imputato, pure ispirate, si avrà modo di evidenziarlo, dal percepibile - e in certa misura umanamente comprensibile - intento di non nuocere al giudicabile ma, soprattutto, dall'interesse di allontanare dalle rispettive persone, peraltro rimaste esenti da ogni contestazione, qualsivoglia sospetto di una consapevole collaborazione alla prassi in esame) ha fatto emergere l'esistenza di direttive orientate ad escludere il PE. (ovvero altri dirigenti apicali della banca) dalla conoscenza del fenomeno del capitale finanziato. Piuttosto, come si dirà più oltre, può dirsi ampiamente provato l'esatto contrario. Che, poi, i "flussi informativi" ufficiali che giungevano al PE. non dessero conto di siffatta operatività, come ripetutamente osservato dalla difesa del predetto (cfr., in particolare, memoria difensiva, pag. 22), è circostanza del tutto irrilevante, ove si consideri che - come pure pacificamente emerso - vigeva una severa direttiva interna volta ad evitare che potessero essere lasciate tracce documentali di tale fenomeno. Ne consegue che le argomentazioni spese dalla difesa221 per sostenere che la pluriennale gestione del capitale finanziato potesse tranquillamente prescindere dal contributo della Divisione Bilancio (articolazione, assolutamente essenziale, sbrigativamente equiparata agli organi di vigilanza e di controllo interni, tenuti all'oscuro del fenomeno in questione) non hanno davvero alcuna consistenza (fermo restando, in ogni caso, che è pure emerso - con specifico riferimento al ruolo dell'Audit e del suo responsabile, Bo. - come le strutture deputate al controllo interno, acquisita la consapevolezza del fenomeno, fossero rimaste inerti, soprassedendo da ogni intervento doveroso). Tanto premesso, è all'interno di una siffatta cornice di ordine fattuale e logico che, ad avviso della Corte, può più utilmente collocarsi la disamina degli (ulteriori) elementi probatori - diretti ed indiretti, documentali, dichiarativi e logici - specificamente emersi a carico dell'imputato in ordine alla effettiva conoscenza non solo dell'esistenza del capitale finanziato "occulto" (posto che la conoscenza di finanziamenti "dichiarati" all'uopo concessi in occasione degli aumenti di capitale - ed oggetto di conseguente decurtazione dal capitale di vigilanza - non è certo in discussione) ma anche della sua significativa entità, non prima, tuttavia, di avere doverosamente precisato come il PE., nella sua qualità di responsabile della Divisione Bilancio e di dirigente preposto, fosse ben avvertito (come, del resto, da luì stesso ammesso nel corso dell'esame reso in sede di rinnovazione istruttoria): - da un lato, della necessità che ad eventuali operazioni di erogazione di finanziamenti per l'acquisto di azioni conseguisse la corrispondente decurtazione dal patrimonio di vigilanza (un tanto essendo stato esplicitamente previsto per le operazioni di tale natura effettuate in sede di aumento di capitale); - e, dall'altro, che le ordinarie procedure di "registrazione" adottate dall'istituto di credito non prevedessero la possibilità di regolare "tracciamento" contabile di operazioni di capitate finanziato, in assenza di quel codice prodotto - peraltro espressamente introdotto in sede di miniaucap anche con la collaborazione dell'imputato - che, al contrario, ne avrebbe consentito la evidenziazione informatica. E, sul punto, l'imputato, per giustificare tale carenza (altrimenti a lui addebitabile in ragione della specifica funzione ricoperta), si è limitato a sostenere (del tutto tautologicamente, all'evidenza) che l'assenza di siffatte procedure discendeva dal fatto che operazioni di finanziamento per l'acquisto di azioni proprie non erano contemplate dalla "normativa interna della banca" e che "non c'era una procedura", a fronte, peraltro, di una situazione di incertezza circa l'applicabilità o meno alle banche popolari delle disposizioni di cui all'art. 2358 c.c. (applicabilità che - va precisato - all'interno dell'istituto era esplicitamente esclusa proprio per avvalorare la tesi, nei confronti degli appartenenti alla rete di vendita, della concedibilità dei finanziamenti correlati). Ebbene, nell'analisi del compendio probatorio non può che prendersi le mosse dal già citato documento redatto dal So. ai fini della successiva verbalizzazione ed inerente alla seduta del Comitato di Direzione 8.11.2011, documento che è utile riportare per esteso nella parte di interesse: Omissis Ora, come si evince agevolmente dal tenore dell'appunto (e come del resto precisato dal suo estensore So., oltre che dal To.: di ciò si è già dato dato conto sapra), si tratta di un passaggio della riunione inequivocabilmente dedicato all'esigenza di reperimento di capitale aggiuntivo per raggiungere l'obiettivo indicato dal PE. (8% di Tier 1) e nel quale è esplicito il riferimento alla necessità di ricorrere all'esecuzione di "operazioni baciate". Occorreva, infatti, come anche esplicitato dal predetto To., collocare oltre 100 milioni di azioni (per l'esattezza 110, secondo quanto più precisamente riferito dal PE.) nel volgere solo di poco più di un mese. Dopo gli espliciti, coerenti interventi dei responsabili di Ca. e Ba.Nu., To. ("Da noi sono baciate, non sono facili da proporre") e Se. ("anche da noi sono baciate") - interventi che, nella loro "trasparenza" (ed anche alla luce della successiva assenza di reazioni da parte del d.g.), sono già decisivi nel provare l'assenza di alcuna strategia aziendale volta ad escludere il PE. dalla conoscenza del fenomeno del capitale finanziato - seguiva la pronta "sintesi" del d.g. So. ("Dobbiamo veramente monitorare giornalmente. Dobbiamo continuare a spingere sul retail e si deve pianificare. Al corporate bisogna farle bene e poi vanno mantenute. Il soggetto deve essere credibile... ") che non lascia davvero dubbi circa le conclusioni concordemente raggiunte nell'occasione: effettuare operazioni "baciate", ovviamente avendo cura di scegliere interlocutori affidabili "credibili") sotto il profilo del merito creditizio, in attuazione di una strategia che richiedeva tanto una adeguata pianificazione quanto un costante monitoraggio del suo andamento, strategia che, nella prospettiva del massimo dirigente B., avrebbe dovuto necessariamente coinvolgere (dato il poco tempo a disposizione ed il significativo volume del valore in gioco), sia il settore "Retail sia quello - Corporate". E, in effetti, come puntualmente evidenziato dal primo giudice a pag. 303 della sentenza impugnata, lo stesso To., finita la riunione, aveva convocato i capi area impartendo disposizioni in tal senso, tanto che, a seguire, erano state concluse alcune operazioni baciate significative (si tratta delle operazioni con Co. Spa, Be.Ma., Ta.Ra. e Ro.). D'altronde, che quella testé esposta sia, ad onta delle contrarie considerazioni difensive (si veda, sul punto, la memoria difensiva, pagg. 29-41), l'unica "lettura" dell'appunto di So. ragionevolmente proponibile lo si ricava dalla debita considerazione (del tutto obliterata dal tribunale vicentino, peraltro) delle comunicazioni mail (significativo è il documento n. 166 della produzione del P.M., documento erroneamente definito come il report "colorato" nell'atto di appello, secondo quanto censurato dalla difesa, ma senza che ciò abbia alcuna rilevanza pratica, posto che correttamente l'appellante ne ha poi richiamato il contenuto 227) intercorse tra la più alta dirigenza dell'istituto di credito (ivi compreso il PE.) nei mesi precedenti rispetto all'incontro dell'8 novembre e tali da evidenziare la situazione di estrema difficoltà nella quale, già allora, versava il mercato secondario delle azioni, nella specie caratterizzato da domande di cessione dei titoli il cui valore complessivo, nel primo semestre dell'anno (pari a 158 milioni), aveva di gran lunga superato (di ben 110 milioni, ammontare significativamente corrispondente a quello che sarebbe poi stato evocato, occasione di detta riunione, dal PE.) quello delle richieste di acquisto (pari a 48 milioni). Anche l'appunto redatto dal funzionario Co.Tu. di cui al documento n. 884 della produzione del P.M. (richiamato a pag. 303 della sentenza impugnata ed erroneamente ivi indicato con il n. 881), da un lato, attesta in termini di evidenza la situazione di crisi economico-finanziaria che, sin dal 2011, affliggeva la banca e, dall'altro, riconduce il ricorso alla operatività in azioni proprie direttamente al sensibile incremento delle richieste di vendita dei titoli, manifestatosi in quel periodo, ed alla conseguente saturazione del "fondo acquisto azioni proprie". L'andamento di detto fondo, del resto, era monitorato dalla Divisione del PE. in vista delle periodiche segnalazioni alla vigilanza, come, del resto, riconosciuto dalla stessa difesa dell'imputato. Inoltre, non va dimenticato che il medesimo Tu. ha riferito che aveva ripetutamente affrontato con il PE. il tema delle crescenti difficoltà del mercato secondario (ancorché detto teste abbia poi collocato temporalmente - peraltro non senza approssimazione - tali comunicazioni nel periodo 2013-2014), difficoltà che, come s'è ripetutamente evidenziato, solo il sempre più spasmodico ricorso ai finanziamenti correlati consentiva dì fronteggiare. Se questo è lo scenario di riferimento, emerge davvero in termini di evidenza il coinvolgimento del PE. nell'approntamento della strategia da attuare (sotto il profilo, segnatamente, della individuazione dell'entità del "buco" da coprire) per raggiungere gli indispensabili obiettivi di capitale al contempo assicurandone, per il tramite dei suoi collaboratori facenti capo alla Direzione Pianificazione ("....Dobbiamo veramente monitorare giornalmente (Fa. abbiamo degli impegni nei confronti di B.I. e CdA.."), il relativo monitoraggio, funzionale a garantire il certo raggiungimento di quegli standard imprescindibili per rispettare gli impegni con l'autorità di vigilanza. Quella fornita dal PE. nel corso dei Comitato 8.11.2011, del resto, costituisce una indicazione - e non è certo irrilevante sottolinearlo, come, del resto, si è già fatto saprà - poi puntualmente soddisfatta da un vero e proprio "cambio di passo" impresso all'attività di collocamento delle azioni, ove si abbia attenzione all'entità del capitale finanziato nel bimestre novembre-dicembre 2011, finanche superiore alle stesse indicazioni dell'imputato231. Ed allora, la tesi sostenuta dal medesimo PE. - tesi secondo la quale, sostanzialmente, costui non avrebbe inteso appieno il senso del riferimento alle operazioni "baciate" effettuato nell'occasione, posto che allora ignorava finanche il significato di detta espressione232 - appare, a dir poco, inverosimile: a prescindere dal dato (a ben vedere difficilmente superabile) costituito dall'esplicito riferimento, negli appunti del So., proprio a tale tipologia di operazioni (ed anche a volere trascurare la circostanza costituita dall'assenza, nel medesimo pro memoria, di annotazioni circa quelle richieste di chiarimenti delle quali sarebbe stato ragionevole attendersi che nello scritto fosse stata lasciata traccia, qualora l'imputato, non comprendendo quanto gli interlocutori andavano precisando, avesse preteso le necessarie delucidazioni), supporre che il giudicabile ritenesse che il collocamento delle azioni deciso in occasione di quell'incontro dovesse avvenire "regolarmente" (ovverosia senza ricorrere al finanziamento) costituisce ipotesi tanto implausibile da non meritare ulteriori commenti. Questo, solo a considerare: - per un verso, la gravità dello squilibrio che affliggeva il mercato secondario del titolo B.; - per altro verso, il brevissimo tempo a disposizione per effettuare un collocamento tanto massiccio (110 milioni) di azioni dell'istituto; - e, per altro verso ancora, la circostanza costituita dal fatto che - come s'è visto - le operazioni di finanziamento, all'epoca, costituivano tutt'altro che una novità, essendo state ripetutamente attuate negli anni precedenti (ancorché prevalentemente per il differente obiettivo dell'abbellimento del bilancio"), peraltro per importi già significativi. In sintesi: ipotizzare che il PE. ritenesse che un collocamento di azioni di siffatta entità potesse essere "assorbito" dalle normali dinamiche del mercato secondario - come da questi sostanzialmente ribadito anche nel corso dell'esame reso in sede di rinnovazione istruttoria (là dove il giudicabile ha nuovamente affermato che il d.g. So., nell'occasione, non aveva chiesto di ricorrere a finanziamenti correlati ed ha precisato che, alla fine, il fondo non era stato del tutto svuotato in quanto si era deciso di pagare il dividendo con azioni) - sconfina, obiettivamente, nell'irrealtà. Se così è - e la univoca significazione delle circostanze esposte non rende plausibile una diversa ricostruzione dell'episodio - non sì comprende davvero come il primo giudice abbia potuto ritenere "non inverosimile" (cfr. pag. 751) la versione proposta dal PE., trattandosi, per contro, di spiegazione che, ad avviso di questa Corte, risulta del tutto inattendibile e scopertamente difensiva. Del resto, esaminato nel corso del giudizio di primo grado, il teste So. ha significativamente dichiarato (peraltro nell'ambito di una deposizione assai "faticosa" - come può agevolmente apprezzarsi dalla lettura dei relativi passaggi della deposizione stessa - anche per la palpabile preoccupazione del testimone di rimarcare la propria mancanza dì consapevolezza dell'entità del fenomeno in esame) che aveva avuto modo ripetutamente di confrontarsi con il PE. circa i problemi del capitale e dei requisiti di vigilanza, problemi che, per tutto quanto si è detto, necessariamente implicavano, per la crescente importanza di tale prassi, anche la questione delle "operazioni baciate". D'altro canto, non può certo trascurarsi di considerare che l'imputato era tutt'altro che una presenza occasionale in sede di Comitato di Direzione (le cui riunioni, svoltesi con regolarità sino al 2011 e, quindi, sostituite da più informali convegni denominati "riunioni di direzione", ripresero ad essere convocate dal 2014), ovverosia in occasione di quei momenti di riflessione collettiva e di raccordo tra i vertici operativi dell'istituto nei quali venivano affrontati, tra gli altri, i temi (inscindibilmente connessi) del capitale, dell'andamento del fondo acquisto azioni proprie e dei ratios patrimoniali. Le deposizioni sul punto sono plurime e convergenti (si veda quanto dichiarato dai testi So., Am., Tu., Fa., Ca., nei puntuali richiami effettuati dal P.M. alle pagine 15-17 dell'atto di appello). Ebbene, nel corso di tali riunioni è risultato ricorrente il riferimento anche alle operazioni correlate, come riferito dai testi, Am., Ba., e, ancora, So. (il quale, peraltro, ha specificamente riferito di rammentare la discussione inerente alle operazioni correlate "Ag." e "Fe.", sebbene vada poi doverosamente precisato come, alla stregua di quanto in precedenza sottolineato, l'acquisto di titoli da parte di "Ag." non sia inquadrabile nel novero delle "operazioni correlate"). E' bensì vero che, come, peraltro, rimarcato dal primo giudice, non sono emerse prove dirette della presenza dell'imputato a specifiche riunioni (ulteriori rispetto a quella dell'8.11.2011) nelle quali venne esplicitamente affrontato il tema del capitale finanziato. Nondimeno: - lo stabile inserimento del giudicabile nei consessi di più alta direzione di B.; - la progressiva decisività, per la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito, del ricorso al capitale finanziato (con tutte le inevitabili implicazioni in punto di valutazioni previsionali e successivi monitoraggi, nonché in ordine alle conseguenti comunicazioni decettive alla vigilanza); - l'insostenibilità, sul piano logico, dell'ipotesi secondo la quale la trattazione dì argomenti inerenti alle asfissianti difficoltà di reperimento del capitale - posto che la banca era divenuta, secondo l'efficace espressione proferita dal coimputato PI. in occasione della già menzionata conversazione intercettata n. 360 di data 1.9.2015, - una baracca (che) sta in piedi con lo sputo" - non comportasse necessariamente la previa conoscenza e la costante considerazione, quantomeno a livello implicito, delle questioni relative al "capitale finanziato" da parte di colui che rivestiva il ruolo di massimo responsabile della contabilità e delle comunicazioni alla vigilanza e che, come s'è visto, interveniva alle riunioni proprio per indicare quali fossero i livelli di capitale indispensabili (si veda, sul punto, a titolo esemplificativo, quanto precisato dal To. e riportato, precedentemente, in nota) o, comunque, vi partecipava indirettamente per il tramite di suoi collaboratori; - e, infine, come pure pertinentemente osservato dall'appellante, l'impossibilità di esigere dai testimoni escussi, a distanza di anni, il nitido ricordo di quali fossero i dirigenti presenti in occasione di specifici incontri, nonché della data e dell'ordine del giorno di detti convegni periodici, tenutisi in un ampio arco temporale, sono tutti elementi, di ordine fattuale e logico, che, ove doverosamente sottoposti a congiunta valutazione, lungi dal privare di rilevanza probatoria il dato della ricorrente partecipazione del PE. alle sedute del "comitato di direzione" (ove non assistita dalla dimostrazione della specifica trattazione del tema del capitale finanziato nella singola riunione alla quale v'è prova che il giudicabile fosse presente), conferiscono a tale regolare presenza effettivo rilievo in ottica accusatoria. Sicché le contrarie considerazioni svolte dalla difesa sul punto, essenzialmente fondate sulla svalutazione tanto dei ricordi del So. (il quale avrebbe rammentato, peraltro a seguito di insistenti domande, solo due operazioni correlate trattate alla sua presenza), quanto del significato del citato documento n. 166, quanto, ancora, delle dichiarazioni rese dai citati testimoni (Ba., Tu., Am., Ca., Fa.) è frutto di una lettura atomistica e davvero fuorviante delle evidenze probatorie disponibili. Del resto, una esplicita riprova della conoscenza, in capo al PE., dell'esistenza di un eclatante ricorso al capitale finanziato è possibile trarla dalla conversazione (anch'essa incomprensibilmente trascurata dal primo giudice) n. 359 di data 1.9.2015, effettivamente tale da orientare nel senso del coinvolgimento anche di tale imputato nel "board ristretto" dell'istituto di credito implicato nell'operatività delittuosa. Nel corso di siffatto colloquio, invero, il coimputato GI., dialogando con il sindaco Pi.La. e facendo inequivoco riferimento alle operazioni di capitale finanziato, ancorché non esplicitamente evocate, affermava: "No, perché, La., da quando...cioè, lui in pratica...il casino è successo perché ha detto al presidente che non sapeva niente di queste cose, che i responsabili eravamo io e Pi... Invece è il contrario, era lui che orchestrava questo tipo di operatività. Come faccio a sen.." - Pi.: "Cioè, lui chi?" " GI.: "So.......Eh nel senso che veramente, Poi, voglio dire, La., presenti tutti, nel senso che lui in Comitato di Direzione (inc.) Ca." Ma..Pe.. ecc., dava ordini, cioè diceva...." Bisogna fare queste cose" Guarda, quando io mi sono opposto, perché non ce la facevo più, a settembre del 2015....del 2014, l'anno scorso..". Trattasi, all'evidenza, di dialogo di significativo rilievo probatorio, essendosi in presenza di precise affermazioni poste in essere da un soggetto il quale, nell'occasione, non solo ammetteva espressamente il proprio coinvolgimento nell'operatività delittuosa (poi, come detto, oggetto di piena, definitiva e convincente assunzione di responsabilità nel corso del giudizio di appello) ma effettuava un esplicito riferimento alla posizione (tra gli altri) del PE., peraltro in modo del tutto incidentale (l'intenzione perseguita dal dichiarante essendo palesemente quella di rendere partecipe l'interlocutrice della riconducibilità al d.g. So. della decisione del massiccio ricorso a) capitale finanziato) e senza manifestare alcuna animosità nei confronti del collega. In effetti, il contenuto del colloquio in esame è idoneo a rivelare come, nella prospettiva del GI., tanto lo stesso propalante, quanto gli altri più stretti collaboratori del So. (ivi compreso, pertanto, il predetto PE.) fossero stati destinatari di forti pressioni, se non di veri e propri diktat, da parte del massimo dirigente di B. (di diktat, in effetti, ha parlato espressamente il teste assistito To.), ordini ai quali tutti costoro non erano stati in grado di sottrarsi. Di qui l'attendibilità di quanto affermato dal GI. nel corso della telefonata. Peraltro, nel corso di tale colloquio è emerso il chiaro riferimento alla pratica degli "storni", esplicitamente evocata dal GI. come sintomatica della conoscenza, in capo al PE., dell'operatività delittuosa in esame. Di seguito i passaggi del colloquio all'uopo significativi (con la precisazione che VM si identifica nel GI.): Omissis Si è in presenza, a ben vedere, di elemento a carico di tutt'altro che scarsa significazione, specie ove sì consideri che l'entità eclatante degli "storni" runa marea" secondo l'efficace espressione del Risk Manager Es., di cui s'è detto) - ovverosia, giova ripeterlo, dello strumento utilizzato per azzerare i costi dei finanziamenti a carico dei clienti che avevano concluso operazioni "baciate", ovvero per ricompensarli con laute remunerazioni - era indiscutibilmente tale da denunziare l'esistenza di una anomalia tanto marcata da non potere certo essere trascurata. Per vero, posto che la pratica in questione era "istituzionalmente" finalizzata a porre rimedio ad errori nella gestione dei rapporti di dare-avere con la clientela, un tanto consistente ed inspiegabile incremento di siffatto, necessariamente residuale, rimedio non poteva che essere attribuito - specie da parte di esperti dirigenti, quale indiscutibilmente era il PE. - ad una anomala operatività dei finanziamenti (a meno di non voler ipotizzare, contro ogni logica, l'improvviso "impazzimento" degli impiegati di B. addetti a tale settore). E' bensì vero, al riguardo, che la difesa dell'imputato, evocando la deposizione del teste Tr., ha contestato la correttezza di quanto sostenuto dal GI. nel corso del citato colloquio, con particolare riferimento alla competenza della Ragioneria in tema di "storni", in quanto tale ufficio si sarebbe limitato a ricevere i dati di riferimento e ad inserirli in una "procedura informatica" (cfr. memoria difensiva, pagg. 109-112), traendone quindi la conclusione della falsità di quanto affermato dal predetto GI. nel corso del citato colloquio telefonico (cfr. memoria conclusiva, pagg. 112-116). Tuttavia, l'obiezione si basa su un equivoco: evidentemente, il GI. non intendeva affatto alludere ad una responsabilità diretta della Ragioneria nell'implementazione del ricorso a siffatto rimedio, bensì alla passiva ricezione dei dati degli "storni" ed all'altrettanto passiva gestione contabile di evidenze palesemente inattendibili, ovverosia ad una condotta evidentemente ritenuta sintomatica di adesione alla irregolare prassi sottostante. Del resto, se diverso fosse stato l'intendimento del predetto nell'alludere al "controllo della Ragioneria", è ragionevole ritenere che l'interlocutrice (esperta commercialista e, soprattutto, componente del Collegio Sindacale e, quindi, ben a conoscenza della ripartizione delle competenze delle varie articolazioni dell'istituto) avrebbe manifestato, sul punto, il proprio dissenso. Al contrario, la Pi. risulta avere assentito alla ricostruzione del GI. (Sì, sì, sì"). D'altronde, deve anche osservarsi - a conforto della attendibilità di quanto sostenuto dal medesimo GI. nel corso della citata conversazione ed a riscontro del fatto che quella testé esposta sia l'unica interpretazione ragionevole e corretta delle suddette evidenze probatorie - che la diffusa consapevolezza, all'interno di B., dell'anomalia operativa inerente alla gestione dei finanziamenti rappresentata dagli "storni" è stata confermata in sede giurisdizionale. Il riferimento è al provvedimento 2.11.2015 del Tribunale di Vicenza - Giudice del lavoro dott. Campo (in atti tanto sub docc. 139 e 668 del P.M. quanto sotto forma dì produzione documentale effettuata dalla difesa dell'imputato GI. all'udienza del 9.1.2020) là dove l'autorità giudiziaria berica, nel rigettare la domanda cautelare avanzata da B. nei confronti del GI. (il relativo ricorso per sequestro conservativo ante causam - con subordinata istanza ex art. 700 c.p.c. - e la memoria di costituzione del resistente GI. sono in atti quali docc. 137 e 138 del P.M.) in relazione al pregiudizio patrimoniale asseritamente arrecato dal predetto vicedirettore all'istituto di credito a seguito dell'improprio ricorso alla procedura di "storno", ha precisato, alla luce della documentazione tutta disponibile (ivi compreso il "Manuale Gestione Storni della Clientela" richiamato dal teste Tr. e prodotto in copia nel primo grado del presente giudizio, all'udienza del 9.1.2020, dalla difesa dell'imputato GI.), per un verso, che "le informazioni sui fa utilizzazione impropria dello storno fossero già a conoscenza della società"; e, per altro verso - ed è quello che, in questa sede, maggiormente rileva " che tale prassi si era protratta nel tempo ed aveva ottenuto "l'avallo...dagli organi di controllo interno" e, segnatamente, proprio della Ragioneria Generale, chiamata ad una verifica di "congruenza sui suoi conti economici appostati per la singola richiesta" come da punto n. 3.3. del manuale operativo" (cfr, provvedimento citato, pagg. 7-8). Vale richiamare, concludendo sul punto, il seguente, assai esplicito passaggio del citato provvedimento giurisdizionale, là dove, a pagina 8, il giudice civile ha sostenuto che "...di fronte ad una operazione non corretta...la Ragioneria generale aveva il potere, e il dovere di bloccarla e questo a maggior ragione nei casi, come quelli segnalati dalla società ricorrente, in cui era palese l'utilizzazione di questo strumento per "opportunità commerciali" e comunque in assenza dei presupposti del manuale operativo", così chiarendo quale fosse, in materia, la competenza della "Ragioneria", assai più puntualmente della fuorviante descrizione fattane dal teste Tr. (le cui affermazioni in ordine al fatto che l'aumento della frequenza degli stomi - aumento del quale, pure, si era evidentemente accorto - non lo aveva affatto allarmato, appaiono davvero inattendibili242) e coerentemente con quanto sostenuto dal GI. nel colloquio telefonico in precedenza evocato. Né può valorizzarsi, in senso contrario, quanto sostenuto dal consulente della difesa PE., dott. Pa., là dove costui, con specifico riferimento alla materia degli storni ed alle relative competenze affidate alla Divisione Bilancio e Pianificazione (ed al relativo responsabile), ha evidenziato che - non rientrava nell'alveo delle responsabilità affidate agli stessi alcuna attribuitone in ordine alla verifica delle competenze autorizzale in materia di concessione di sconti/abbuoni alla clientela" (cfr. elaborato di consulenza, pag. 60): a venire in rilievo, infatti, non è certo il profilo di eventuali autorizzazioni preventive all'esecuzione di dette operazioni, bensì quello, tutt'affatto differente, inerente all'omissione di qualsivoglia successivo intervento pur in presenza di un incremento eclatante del ricorso alla pratica in esame (ammesso dallo stesso Pa., che, sul punto, a pag., 61 dell'elaborato di relazione, ha parlato di "crescita significativa"), evidentemente sintomatico di una anomalia certamente meritevole, quantomeno, di doveroso approfondimento (e, questo, a prescindere dall'incidenza di tale pratica sul decremento della voce dì conto economico "Interessi attivi e proventi assimilati" - cfr. relazione Pa., pag. 60). Aggiungasi che nello stesso senso - ovverosia a sostegno della tesi del coinvolgimento del vertice ristretto del management B. nelle operazioni di capitale finanziato - depone, a ben vedere, anche la conversazione n. 259 in data 28.8.2015, inerente ad un colloquio intercorso tra il responsabile dell'Audit Bo. ed il coimputato MA. (colloquio trascritto, nella parte di interesse, a pag. 22 dell'atto di appello, cui si rinvia; l'intera conversazione può leggersi in ogni caso alle pagg. 144-159 della perizia di trascrizione), ancorché non contenente, a differenza di quella in precedenza evocata, l'esplicito riferimento alla persona del PE. (in detto colloquio risultando citato il solo Ca., nella specie indicato con il prenome di "Ad.") ed all'esatto contesto (circostanza, anche questa, espressamente stigmatizzata dalla difesa - cfr. memoria conclusiva, pag. 117) nel quale tali comunicazioni avrebbero avuto luogo. In analoga direzione, poi, orienta anche il ben più esplicito tenore della comunicazione SMS/WhatApp intercorsa tra i coimputati PI. e GI. in data 3.5,2015: trattasi del messaggio, del quale già si è detto supra, di cui al doc, n. 811 della produzione del P.M. (elemento, anch'esso, trascurato dal primo giudice nella valutazione della posizione del PE.), nel quale il primo si raccomandava con il collega, in vista dell'appuntamento che il medesimo GI. era riuscito a concordare con ZO. per il giorno successivo (trattasi dell'incontro del quale si è ampiamente trattato con riferimento alla posizione di quest'ultimo imputato), affinché ribadisse al presidente il coinvolgimento di tutto il gruppo dirigente di B. nell'operatività delittuosa Cmi raccomando domani con il presidente. Paria a nome di tutti e due... deve essere chiaro che tutto era condiviso e che nessuno può dire di non sapere e chiamarsi fuori .."). Ebbene, anche in tal caso, ad onta del mancato espresso riferimento alla posizione del PE. (al pari del resto, degli altri manager dell'istituto), si è in presenza di elemento che, a dispetto di diverse considerazioni difensive in ordine ad una asserita equivocità del dato243, in realtà tutt'altro che vago nella sua significazione, conforta l'impostazione d'accusa in ordine al consapevole coinvolgimento del board ristretto della banca (del quale faceva necessariamente parte il massimo responsabile della Divisione Bilancio, nonché dirigente preposto e responsabile delle comunicazioni alla vigilanza, Ma.Pe.) nella prassi del capitale finanziato. Aggiungasi che non trascurabile rilievo probatorio deve attribuirsi alle dichiarazioni testimoniali (anch'esse del tutto obliterate dal primo giudice in sede dì valutazione della posizione del PE.) rese dal teste Bo. con riferimento alla riunione, indetta dal d.g. So. nel febbraio del 2015 in previsione dell'avvio dell'ispezione Bc.: nell'occasione - ha ricordato il dichiarante - lui stesso aveva evidenziato ai colleghi i rischi connessi a tale verifica, facendo espresso riferimento alla criticità rappresentata proprio dal capitale finanziato e richiamando, sul punto, la relazione che aveva sottoscritto il precedente 4.9.2014, riassuntiva di quanto pochi mesi prima accertato dall'Audit con specifico riferimento alla allarmante dimensione del fenomeno in esame (in effetti, nella relazione predetta - peraltro esplicitamente predisposta a seguito delle dimissioni del "gestore private". Vi. - si riferiva di finanziamenti correlati per l'importo di oltre 422 milioni di euro) ed ai conseguenti, gravi rischi per l'istituto. Ebbene - ha precisato il teste - se, nell'occasione, il d.g. So. aveva sbrigativamente minimizzato il rilievo della questione (avendo questi, sul punto, replicato: "la gestiamo"), nessuno degli altri partecipanti alla riunione aveva manifestato la benché minima reazione rispetto ad una notizia che, al contrario, ove fosse stata realmente ignorata dai presenti, avrebbe dovuto suscitare il più vivo allarme di costoro.244 E' bensì vero, al riguardo, che il P.M. ha sottolineato come il PE. fosse "certamente" presente a tale riunione, mentre, sul punto, il teste Bo., dopo una iniziale affermazione in tal senso effettuata in termini di sicurezza, in sede di controesame ha manifestato profili di perplessità, sebbene debba pure doverosamente sottolinearsi come, alla fine, sottoposto a riesame, il testimone abbia sostanzialmente ribadito quanto riferito in apertura circa la effettiva presenza del giudicabile alla suddetta riunione. Nondimeno, anche a voler ipotizzare che il PE. Non avesse preso parte ad un tanto importante convegno (ipotesi - ancorché fortemente sostenuta dalla difesa - francamente implausibile, proprio in ragione del rilievo assolutamente decisivo di detto incontro, visto che si trattava di impostare la "linea difensiva" da assumere nel corso dell'ispezione che - già preannunciata - di lì a poco avrebbe avuto luogo ed avrebbe portato a smascherare la prassi del capitale finanziato, rivelandone, a cascata, tutte le gravissime implicazioni), è assolutamente irrealistico ipotizzare che il PE. non fosse poi stato prontamente informato di quanto emerso nel corso di detto incontro. Inoltre, assoluto rilievo va riconosciuto alla trascrizione (cfr, documento 110 della produzione del P.M.) della seduta del comitato di direzione 10.11.2014, in precedenza più volte evocata e, in particolare, a quel passaggio nel quale viene effettuato un esplicito riferimento alla persona del PE. - nell'occasione di certo assente - come interlocutore con il quale, ad avviso del coimputato GI., sarebbe stato necessario approfondire la questione trattata ("...però bisogna confrontarsi con Ma...."). Trattasi, in questo caso, dì elemento sul quale il primo giudice ha sbrigativamente argomentato, sostenendone l'equivocità (cfr. sentenza impugnata, pag. 753: "... si tratta di un elemento che non si presta ad univoca lettura ..."), ma che, ad avviso di questa corte, ove doverosamente valutato alla luce di una interpretazione razionale e, soprattutto, non frammentaria della registrazione in esame, si rivela tutt'altro che di incerta significazione. Il dato di partenza (che, peraltro, non è sfuggito al primo giudice nell'analisi della posizione del coimputato PI.) è costituito dal fatto che, nell'occasione, i top manager della banca presenti alla riunione ebbero ad analizzare compiutamente - peraltro, va sottolineato, con un tono dal quale si evince un clima di condivisione e di ricerca di soluzioni concordate nient'affatto irrilevante ai fini della compiuta comprensione della dimensione "collegiale" delle responsabilità nella gestione del tema in esame - gli aspetti problematici del capitale finanziato (esaminato in pressoché tutte le sue caratteristiche: dalla natura di "portage" di gran parte delle operazioni, all'obbligo di riacquisto da parte della banca, assicurato anche mediante il rilascio di lettere di garanzia, ivi denominate side-letter; dalla remunerazione da riconoscersi alle controparti, alla sopravvalutazione del valore dell'azione, ecc.), capitale che, come espressamente riconosciuto dal d.g. So., aveva all'epoca raggiunto la dimensione monstre di oltre un miliardo di Euro (si vedano, sul punto: l'oramai noto passaggio della registrazione nel quale So. afferma ... "abbiamo fatto un miliardo e 2 apposta per fare..." - cfr. doc. 100 P.M., pag. 34; la consulenza dei CCTT del P.M. e, più specificamente, quanto riferito sul punto dai predetti consulenti all'udienza 12.11,2019, pag. 30 del verbale stenotipico; e, infine, la già citata conversazione 459 del 31.8.2015). A tale riunione, peraltro, si era giunti all'esito di un approfondito vaglio, del quale era stato reso partecipe anche il PE. (direttamente coinvolto nel relativo flusso di comunicazioni, oltre che indicato dallo stesso Fa. come il soggetto con il quale il medesimo teste aveva interloquito sul punto) circa l'impatto negativo per il "margine di interesse" della banca derivante proprio dalle operazioni correlate, vaglio che aveva impegnato le strutture della banca a partire dalla metà del mese di agosto precedente e che si era concluso con l'individuazione di un elenco dì operazioni che avrebbero dovuto essere oggetto di "repricing/chiusura al fine di ottimizzare il margine di interesse" (così, espressamente, nella comunicazione mail di cui al doc. n. 516 della produzione del P.M., inviata dal Fa. al GI. e trasmessa, per conoscenza, anche al PE.). Il riferimento, in proposito, è alle mail di cui ai documenti n. 294, 524, 513, 516, 521, 519, esplicitamente analizzati, nel loro specifico contenuto, alle pagg. 27-28 dell'appello del P.M., al quale, sul punto, per brevità, non può che farsi rinvio, con la precisazione che una di tali mail - ovverosia quella in data 24,8.2014 di cui al documento n. 294 della produzione del P,M., contenente anche l'esplicito riferimento alle azioni acquistate per il tramite della Divisione Finanza: "... Ci sono azioni anche sul lato Finanza .." - risulta inviata proprio dal PE. al GI. e, per conoscenza estesa, anche ad Am., Ba., Mo., Fa. Ro., Tu. e Va. (sicché trova documentale smentita la tesi difensiva della estraneità dell'imputato a tale attività di analisi propedeutica alla riunione in esame). Ebbene, era proprio sulla base di tale approfondita analisi preliminare che il d.g. So., nel corso della riunione del 10.11.2014 (facendo in quella sede esplicito riferimento proprio a tale valutazione preliminare) affrontava il tema del margine di interesse nei seguenti termini: Sa. "...Noi dobbiamo selezionare molto di più nostri impieghi, e poi vedremo, io ho fatto fare un lavoro da Risk e.. e.. e.. dalla pianificazione, dove abbiamo visto che, / nostri impieghi, ci sono degli impieghi che, per effetto della Q. R., ci assorbono tanto di quel capitale e ci mandano in perdita in misura rilevante e significativa, no? E, quindi, questi qui è chiaro che vanno smontati. Non possiamo, smontarli perché ci sono azioni dietro. ma non possiamo neanche tenerci tutto questo popò di problema. Quindi, dobbiamo risolverai problema del... delle azioni appiccicate a questi e poi andiamo a vedere, nominativo per nominativo, no? Li abbiamo bene individuati, questi veramente ci fanno male, male, male, male, sia come margine di interesse, ma anche, soprattutto, come...eh.., stress test da Q. R., che, indubbiamente, ogni anno, ogni anno, dovremmo... dovremmo subire. Allora, l'idea qui qual era? Era quella, innanzitutto, di individuare queste posizioni e andarle... e andarle a smontare, capire se... Seguitemi col ragionamento, noi prendiamo questi... queste azioni che sono finanziate, andiamo a smontare il finanziamento. Smontando il finanziamento, abbiamo un recupero importante sul margine di interesse, perché, ovviamente, sono finanziate eh... a un tasso molto basso, abbiamo un recupero sulla commissione, perché poi le commissioni sono quelle che dobbiamo ristornare nel caso in cui il margine d'interesse non sia sufficiente a remunerare il pacchetto di azioni che questi ci prendono, e abbiamo un beneficio, ovviamente, sulla Q. Come possiamo collocare queste azioni? Supponiamo di collocare queste azioni, invece, non più sul mondo, sul versante degli impieghi, ma sul versante della raccolta. Se noi utilizziamo il versante della raccolta, banalmente, con le forme tecniche più semplici, poi vedremo le forme tecniche più strutturate, esempio, un time deposit, quindi noi diciamo al nostro cliente; "Guarda, non ti faccio più il finanziamento, ti faccio un time deposit" a che tasso? E' un tasso importante, quindi andiamo a rimontare per un attimo l'aggravio sul margine di interesse. L'ho smontato sui... sul finanziamento, però sono disposto a portarmelo a casa come onere per quanto riguarda un maggior costo di raccolta, però ho un beneficio sul capitale, perché questo non mi assorbe più cet one che, invece, il finanziamento cet one me lo assorbe, e ho un beneficio sulla Q. R., perché non impatta, ovviamente, sulla Q. R. lo stress test. Quindi, se noi riusciamo a toglierci e a ridurre questi finanziamenti importanti con azioni sottostanti, andiamo a liberare il cet one, andiamo a liberare... eh... ora vedremo in che misura... eh... il rischio che deriva dalla Q. R, stress test. se lo andiamo a dirottare sul... sulla raccolta. Parlo del time deposit, che è quello più semplice, però l'obiettivo, anche qui, è quello di frazionarlo in continuazione, Quindi, noi dobbiamo frazionare in continuazione il nostro capitale, perché, se noi facciamo time deposit alla stregua di come facciamo oggi i finanziamenti ponti, i 30, i 20, insomma, ci son clienti che hanno più di 50 milioni e, e capisco, noi dobbiamo frazionarlo. Se noi lo frazioniamo nel mondo private, lo frazioniamo nel wealth management o, meglio ancora, se noi riusciamo a trovare un prodotto, uno strumento, dove... Perché l'altro tema è quello che fa rete dice: "Va bene, allora facciamo questo, però non facciamo più raccolta indiretta", dove, invece, noi dobbiamo fare raccolta indiretta perché bisogna fare il commissionale. Allora, l'idea sarebbe quella di trovare un prodotto che faccia raccolta indiretta, nel prodotto che fa raccolta indiretta ci mettiamo dentro anche le nostre azioni e gli affluent, il private e soprattutto il wealth management va a vendere e va a collocare quote di questi fondi, quote di queste SICAV, no, che hanno in pancia azioni, azioni nostre che abbiano comunque un rendimento che sia... che sia collocabile piuttosto che altri investitori istituzionali. Quindi, il ragionamento che... che ponevo è questo. Intanto, se condividiamo quello di switchare, di spostare le azioni dagli impieghi ai., al... alla raccolta, che sia diretta o indiretta, e con che modalità, andando a vedere, poi, ovviamente, l'aggravio di qua in termini di, probabilmente, margin press, però andiamo sicuramente a liberare, a liberare il cet one, quindi andiamo a liberare tutti questi impieghi che ci assorbono pesantemente e, soprattutto, ci assorbono in termini di A. Q. R.. Non so se mi son spiegato...". In buona sostanza, il d.g. insisteva sulla necessità di "smontare" le operazioni di finanziamento correlato (ovverosia - per restare al lessico del So. - quei finanziamenti che avevano "le azioni appiccicate"), distribuendo i titoli tra la clientela in abbinamento ad operazioni di raccolta e, quindi, "spostando" le azioni in questione dal versante degli "impieghi" a quello della "raccolta Seguiva l'intervento del GI. (Vm 8): V. M. 8 - Po. ..Posso Sa. una cosa? Cioè, allora, cerchiamo di allargare un attimo il discorso no? Allora, noi, comunque le posizioni baciate grosse dobbiamo eliminarle perché, quando arriverà, speriamo il più lontano possibile, nel momento in cui il valore detrazione non sarà più quello, ci fottiamo, nel senso che, se a uno che tu gli hai dato 100 il valore.. eh ...delle azioni era 100 e va a 70, tu quel 30 che questo ha perso, come glielo dai? Comunque, noi dobbiamo fare in modo che Asti impieghi vadano scaricati. Allora, io credo che un po' possa essere comunque un'attività di... di collocamento retail, quello che vogliamo,' l'alternativa è... però bisogna confrontarci con Ma., è: annullo le azioni e l'impiego. Dove vado a trovare... Ovviamente, avrò molto meno capitale. Dove vado a trovare.. - eh ...uhm quella copertura per il minor capitale che ho togliendo parti di attivo, cioè, vendendo parti di attivo? Adesso parliamo qui di partecipazioni, no? Cioè, io... qual è il problema mio? Che io ho 100 di impiego che vanno via, 100 di capitale che vanno via, ovviamente il minor capitale assorbito è molto meno rispetto a...al capitale che... che perdo, perché perderò ipotizziamo 100 milioni, perdo 100 milioni di capitale da una parte e ne acquisto 8 milioni di e... 8, 10 milioni di minor assorbimento dall'altro, no? Quindi runica cosa è... per rimanere con i ratio stabili, è di ... eh tagliare pezzi di attivo che assorbono capitale..". In estrema sintesi, il vicedirettore GI., per raggiungere lo stesso obiettivo ("smontare te baciate grosse") individuato dal d.g., proponeva di operare sul fronte del collocamento "retail", evidenziando come, per fronteggiare la conseguente riduzione dei fondi propri ("avrò molto meno capitale"), si sarebbe dovuto operare "togliendo parti di attivo", ovverosia riducendo proporzionalmente le attività di rischio ponderate per rimanere - con i ratio stabili", nonostante il decremento del capitale. Ed era proprio con riferimento a tale prospettiva - prospettiva che, in ultima analisi, avrebbe necessariamente comportato un significativo ridimensionamento del ruolo e delle ambizioni della banca, ripotata ad una dimensione locale, con conseguenti, inevitabili ricadute sul sistema di go°emance dell'istituto, i cui vertici sarebbero stati ragionevolmente travolti (donde, l'immediato accantonamento di tale ipotesi da parte del d.g. So. il quale, in effetti, la ignorava platealmente, come si comprende dalla lettura della registrazione della seduta) - che il medesimo vicedirettore evidenziava la necessità di interloquire con il PE. C dobbiamo confrontarci con Ma...."). Dal tenore dell'intervento del GI., in effetti, è dato cogliere la serietà della situazione e la piena consapevolezza, in capo a costui, del gravissimo rischio che la situazione del capitale finanziato, per la sua eclatante dimensione, rappresentava per l'istituto. Di qui la proposta, davvero da ultima spiaggia, del vicedirettore (il quale aveva evidentemente di mira l'obiettivo di ridimensionare il valore complessivo del fenomeno in esame, anche a costo di archiviare i "sogni di gloria" che avevano animato la continua crescita dimensionale della banca vicentina), proposta, peraltro, della cui impraticabilità per ragioni "tecnico-contabili" aveva poi preso atto lo stesso y GI. (sul punto, vedi infra). Se ciò corrisponde a verità - e non pare davvero possibile opinaoe diversamente (discostandosi, cioè, da una ricostruzione che trova fondamento in un documento di tanto lineare lettura, oltre che nelle pregresse comunicazioni mail, espressione di un lavoro di analisi propedeutico all'incontro che, come affermato dal So., aveva coinvolto anche la "pianificazione" affidata al Fa., ovverosia una struttura facente capo alla Divisione Bilancio diretta dal PE.) - risulta oltremodo incomprensibile l'esito cui è pervenuto il primo giudice (in linea con quanto sostenuto, sul punto, dalla difesa dell'imputato nei passaggi della memoria citata dedicati all'argomento e, segnatamente, nei paragrafi 4.6-4.7 di detto scritto difensivo) là dove ha concluso (nel solco, come detto, della linea difensiva dell'imputato251) che l'intervento del PE. siccome auspicato dal coimputato GI., essendo limitato alla individuazione degli "attivi" da "tagliare", non avrebbe implicato la necessaria consapevolezza del capitale finanziato. Ragionare in tal guisa, infatti, significherebbe ammettere che il giudicabile potesse essere coinvolto nella soluzione di un problema gravissimo (è d'uopo rammentare ancora una volta l'entità eclatante del capitale finanziato, risultata pari, nel complesso, ad oltre un miliardo di euro) - soluzione dalla quale, in ultima analisi, dipendeva la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito - ignorandone presupposti, implicazioni e conseguenze. E, al contempo, dovrebbe condurre ad ipotizzare che il GI. e, per suo tramite, il d.g. So., si sarebbero esposti al rischio, più che concreto e gravido di imprevedibili conseguenze, di dovere fornire spiegazioni ad un interlocutore perfettamente in grado di comprendere le implicazioni (anche di natura penale) di una prassi tanto radicata da avere originato una quota immensa di capitale finanziato (l'esistenza del quale - ponendosi in questa prospettiva - sarebbe stata costantemente occultata allo stesso PE., ad onta delle serie responsabilità gravanti sul predetto con specifico riferimento alle interlocuzioni che da tempo questi intratteneva con la vigilanza), affrontandone la scontata e difficilmente controllabile reazione. Trattasi - com'è evidente - di una ipotesi ricostruttiva a dir poco bizzarra. E, questo, a tacere del fatto che, alla riunione in esame, aveva preso parte lo stretto collaboratore del PE., An.Fa. (il medesimo funzionario che aveva curato lo studio che aveva preceduto l'incontro, come affermato dallo stesso So.), il quale, sia pure momentaneamente, assentatosi nel corso dell'incontro in questione, al rientro era stato ragguagliato dallo stesso d.g. So. di quanto discusso in sua assenza ("Sa.: Va bene. Ascolta, An., abbiamo parlato del...del tema di spostare, di togliere quello che hai fatto con... con il Risk, di togliere le azioni dagli impieghi. An. voce lontana Si? Sa. E girarlo sulla raccolta. An. voce lontana Si? Sa. Poi ti... eh... eh abbiamo detto che conviene, a sto punto, per evitare concentrazioni o altro, di metterlo sul prestito titoli. Quindi, rimetteremo in piedi il prestito titoli ... eh... con azioni attaccate. Il prestito titoli, poi, ci serve per far liquidità e per ridurre comunque la raccolta onerosa. E... E proviamo.... E proviamo a ragionare su questa ipotesi qua, dopo foro.." - cfr. doc. 110, pagg. 79). A tale congerie di elementi probatori - taluni dei quali, come s'è detto, del tutto trascurati dal primo giudice, quantomeno con specifico riferimento alla posizione del PE. - si sono poi aggiunte, nel corso del dibattimento di appello, le dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie del coimputato GI., obiettivamente assai significative (ancorché inspiegabilmente trascurate dalla pubblica accusa, in sede di requisitoria) nella loro obiettiva idoneità ad implementare il compendio probatorio valutato dal tribunale, peraltro già di univoca significazione. Questi, dapprima nel memoriale 30.5.2022 e, successivamente, nel corso della rinnovata escussione dibattimentale nel contraddittorio delle parti, dopo avere evidenziato lo stretto rapporto sussistente tra il PE. e il d.g. So.252 ed avere precisato, altresì, che il medesimo coimputato, da un lato, aveva accesso diretto "ai sistemi informativi" di B., ovverosia alle "tecnologie/strumenti che permettono di tracciare/controllare/consuntivare tutte le operazioni di una banca" e, dall'altro, costituiva l'"interfaccia primaria con Banca d'Italia e Bc." e condivideva le risposte da dare agli Enti regolatori con il collaboratore Fa., ha evidenziato come il responsabile del bilancio, direttamente o per il tramite dei colleghi con i quali più strettamente collaborava, fosse solito partecipare alle riunioni ed ai comitati di direzione, ivi compresi gli incontri nei quali si era affrontato il tema del capitale finanziato, fenomeno del quale, pertanto, il PE. era pienamente consapevole, al pari, del resto, di tutti gli altri componenti dell'alta dirigenza dell'istituto di credito. Al riguardo, non è inutile riportare, preliminarmente, alcuni passaggi dell'esame del predetto GI., là dove costui - peraltro in modo assai efficace - per un verso, ha delineato il contesto operativo nel quale si collocano i fatti sub iudice; per altro verso, ha richiamato le plurime, ma strettamente connesse ragioni all'origine della scelta di ricorrere massicciamente alla concessione di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie; e, per altro verso ancora, ha rimarcato la condivisione della prassi in esame tra i massimi dirigenti della banca, spiegandone le necessarie motivazioni tecniche: "......IMPUTATO GI. - Cerco di essere sintetico. Presidente. Io sono arrivato in Banca a fine 2007 come Responsabile Divisione Mercati e Vice Direttore Generale. I primi comitati crediti del 2008 abbiamo trovato, io e c'era il collega Pa. Ma., delle operazioni baciate, quindi erano già preesistenti in Banca delle operazioni in cui si finanziava il cliente per acquistare azioni della Banca. Personalmente ho avuto anche incontri con Gr. e anche con So., con della clientela del vicentino, che aveva/70 già in atto operazioni baciate, o gli venivano proposte in questi incontri delle operazioni baciate. Quindi partiamo già dal 2007, quando sono arrivato. Erano - dalla mia consapevolezza di quello che stava succedendo in Banca all'epoca, anche perché io ero nuovo - delle operazioni sporadiche. Dopodiché, questo fenomeno e questa prassi si è pian piano ampliata e diffusa, anche perché non poteva essere tenuta ristretta a poche persone, data l'esigenza di cui parlavo prima, no? Quindi di fare molto capitale per acquisire" per incrementare gli impieghi e quant'altro. Quindi, dal 2011-2012, questa prassi si è incrementata, quindi si è necessariamente diffusa su tutta la Banca perché gli obiettivi di capitale aumentavano sempre di più. Quali erano? In parte l'ho detto e lo ripeto, quali erano gli obiettivi finali delle operazioni baciate? Sicuramente il raggiungimento di ratios patrimoniali richiesti dalla Vigilanza; il sostegno al prezzo dell'azione, nel senso che ovviamente, se fosse stato trasparente e chiaro che le richieste di vendita fossero maggiori delle richieste di acquisto da parte dei soci" quel prezzo delle azioni non si poteva tenere. E quindi bisognava andare in Assemblea a dire: "signori, il prezzo non è più 62 e mezzo, è 30". E sarebbe finita l'epoca della Presidenza Zo. perché comunque la Banca doveva in qualche modo chiudere un certo percorso e riaprirne un altro. Quindi sicuramente c'era un tema di prezzo delle azioni, e un terzo macro obiettivo era quello comunque di soddisfare le richieste dei soci per non generare malcontento. Questo terzo macro obiettivo ovviamente in parte si sovrappone con l'esigenza comunque di non diminuire il prezzo detrazione (...........) PRESIDENTE - Se capisco bene, è implicito, mi sembra: il prezzo dell'azione era sopravvalutato? IMPUTATO GI. - Il prezzo dell'azione era molto sopravvalutato, Presidente, Però, anche qui, quello che ci diceva Zo., e lo diceva anche ai soci, che all'inizio degli anni Duemila, quindi stiamo parlando 2002-2004-2005, i moltiplicatori di Borsa delle banche quotate viaggiavano intorno al 2x, cioè: la quotazione in Borsa delle banche arrivava fino a 2 volte il patrimonio, quindi poteva essere 1,5-1,6-1,8, anche 2. E all'epoca - ci diceva Zo. - alla Banca fu proposto di quotarsi e lui decise di non quotarsi - Adesso le altre banche erano - quindi adesso stiamo parlando degli anni dal 2010-2015 - a 0,4-0,6-0,8 il patrimonio, mentre noi eravamo a 1,2-1,3-1,4 - Quindi la giustificazione di tenere così alto il prezzo dell'azione è che, una volta superata la crisi, i moltiplicatori di Borsa potessero tornare ai livelli del 2002-2004, e quindi la nostra Banca, come prima era sottovalutata e adesso sopravvalutata, si sarebbe ritrovata nella media. Però, insomma, ai tempi in cui io ero Vice Direttore Generale, razione della Banca era notevolmente sopravvalutata; tant'è che uscivano articoli di giornale che noi avevamo la capitalizzazione di Borsa come Ba.In., PRESIDENTE - Si è detto anche che venivano indicati degli obiettivi particolarmente "sfidanti", più o meno è stata usata questa espressione: qual era la necessità di indicare questi obiettivi costantemente crescenti, per cui voi avevate anche difficoltà ad assecondare? Così ho capito dalla lettura del verbale di primo grado. IMPUTATO GI. - Presidente, io non ho mai avuto rapporti con chi poi ha periziato le azioni. Però uno dei tasselli che ho appreso fossero fondamentali per sostenere il prezzo delle azioni, e comunque avere dei piani industriali particolarmente ambiziosi, in modo da dimostrare una redditività futura della Banca in linea con quel prezzo. Io so solo che come Vice Direttori Generali ci ritrovavamo degli obiettivi realizzabili, e ogni piano aveva degli obiettivi realizzabili. Quindi questo da quando sono arrivato. E, nonostante questi piani industriali, quindi questi piani strategici, fossero puntualmente smentiti. Quindi si poneva l'asticella a 100, noi, non so, raggiungevamo 70, e il piano successivo andava a 120 come obiettivo, no? Per dire. E quindi ci ritrovavamo nell'impossibilità di poter raggiungere quegli obiettivi, nonostante le indicazioni del piano fossero quelle. PRESIDENTE - Ma gli obiettivi venivano elevati per necessità della Banca oppure per? IMPUTATO GI. - Per tenere alto il prezzo dell'azione. PRESIDENTE - Solo per tenere alto il prezzo? IMPUTATO GI. - Dopodiché, la Banca aveva dei gap, ma erano gap strutturali, nel senso che eravamo una banca d'impiego quando mancava liquidità sul sistema. Siccome la situazione è esattamente l'opposta rispetto a quella che è ora, quindi il costo della raccolta che non veniva in qualche modo fornita dalla clientela si doveva prendere sul mercato dell'ingrosso e costava tantissimo, Quindi questo era un problema strutturale: banca d'impiego che concedeva molti crediti al territorio. Poi avevamo questo problema delle azioni, cioè caricare i portafogli di risparmi dei clienti sulle azioni vuol dire non avere commissioni, e quindi c'era un problema di redditività, c'era un discorso delle baciate, quindi dei tassi sugli impieghi bassi. Quindi anche questo fattore della compagine sociale determinava un problema di redditività. Però, essendo a conoscenza di questi problemi strutturali, la Banca avrebbe dovuto dal mio punto di vista anche tarare gli obiettivi dei piani industriali in linea con questi problemi strutturali. PRESIDENTE - La crisi del mercato secondario e anche lo svuotafondo era un problema conosciuto, diffusamente conosciuto? IMPUTATO GI. - Il problema dello svuotafondo nei primi anni, quindi dal 2007 al 2010, non era un problema critico, era comunque una volontà di So. di chiudere a zero il fondo riacquisto azioni proprie per in qualche modo mostrare che fosse un bravo Direttore Generale. Dico per inciso che c'erano dei grossi dubbi su So. nel territorio all'epoca, quindi che fosse un bravo Direttore Generale e potesse soddisfare in qualche modo anche le comunicazioni positive di Zo. al territorio. Quindi nei primi anni non era un'urgenza, non era una criticità, però si doveva chiudere a zero il fondo riacquisto, anche attraverso operazioni baciate. Per vari motivi, quindi la crisi del mercato, la necessità dei soci di vendere le azioni per liquidare, la volontà comunque di acquistare banche, la volontà di acquistare sportelli: ricordo che con l'ispezione 2012 la Banca d'Italia tolse il vincolo da parte della Banca di non acquistare sportelli, mentre fino al 2012 questo vincolo era ancora vivo. Quindi c'erano velleità di crescita, di espansione, di arrivare a 200.000 soci e 1.000 sportelli, e quindi questa volontà qui in qualche modo non veniva bilanciata da una richiesta di acquisto di azioni da parte dei soci. E ovviamente, siccome il fondo riacquisto azioni proprie impatta sui requisiti patrimoniali, c'è la necessità di svuotarlo per fine anno. PRESIDENTE - Io non penso di dover ripercorrere le sue dichiarazioni in primo grado, e poi lascerò anche spazio alle Parti. Questo è un po' il problema, il fenomeno generale - Adesso volevo passare a un secondo punto, che era quello di dichiarazioni che lei fa nel memoriale e che possono riguardare più specificamente la posizione di terzi. (....) IMPUTATO GI. - Presidente, premetto che non c'è volontà da parte mia, come dire, non voglio fare il male di nessuno, okay? Quindi io voglio solo chiarire quello che succedeva in Banca all'epoca. E sono rimasto molto sorpreso anche dalle dichiarazioni di Zo. e dalle dichiarazioni di Pe. che non sapessero di questo tipo di operatività in Banca. Come dire: era impossibile per me e per la rete commerciale portare avanti questo tipo di operatività senza che tutta la Banca, almeno i vertici della Banca ne fossero a conoscenza, E' impossibile, però se uno riuscisse a immedesimarsi all'interno del contesto della Po.Vi. in quei sette anni, dal 2007 al 2015, avrebbe la piena percezione di come questa possibilità non fosse realizzabile; e cioè, che la rete commerciale, quindi le filiali potessero operare in modo autonomo, riuscendo a nascondere questa operatività al bilancio, riuscendo a. nascondere questa operatività nei confronti di Zo. e del Consiglio di Amministrazione, e portando avanti questa politica di operazioni baciate, senza che emergesse neanche una voce, una sollecitazione, uno stimolo. Quindi, siccome questa ipotesi è stata non solo dichiarata da Zo. e Pe. in primo grado, è stata reiterata negli appelli; mi sono sentito in dovere di dover controbattere a queste affermazioni. Ma io voglio dire, ma al di là di me, lo devo fare per la mia famiglia, per i miei, per le persone che lavoravano con me e per la trasparenza che in qualche modo mi è vicina. Quindi io, ripeto, non voglio essere io ad accusare nessuno, ma le mie responsabilità e le responsabilità della Divisione Mercati si fermano, e me le assumo queste responsabilità, si fermano rispetto a responsabilità di altri che sapevano, condividevano e portavano avanti anche loro un certo tipo di attività, che poi in qualche modo chiudesse il cerchio delle operazioni baciate. Parlo di operazione correlate e baciate, non parlo ovviamente di fondi perché non ne sono a conoscenza. Ovviamente io sono un Imputato condannato, e quindi per poter ribattere a queste affermazioni ho dovuto studiare. Ecco perché questa famosa storia degli hard disk; nel senso che poi sono dovuto andare ad approfondire queste e-mail; e-mail che tra l'altro potevano essere solamente analizzate da me, cioè da qualcuno che in Banca lavorava, perché dall'esterno sarebbe stato molto complicato estrarre da quelle e-mail delle indicazioni di responsabilità o meno. Quindi ho avviato questo percorso di studio e di analisi, non facile perché stiamo parlando di più di 1 milione di e-mail in quegli hard disk. E ci sono tre cose che volevo dire per quanto riguarda il Bilancio e Pe.. La prima cosa, che è incrementale rispetto a quelle che ho detto in primo grado, che comunque andavano già in questa direzione, Presidente: in riunioni di direzione e comitati di direzione non si parlava di baciate. Falso. Nei comitati di direzione e nelle riunioni di direzione si parlava di baciate. Ovviamente non sempre, in maniera progressiva dal 2012 fino ai 2014, ma si parlava di baciate - Io ricordo esattamente che in alcune occasioni, in chiusura, quindi una volta chiusi questi comitati e queste riunioni, Pe. venne da me e mi disse: "Ma quant'è 'sta roba? Di quanto stiamo parlando?". E io gli dissi: "Per quanto ne so, quindi operazioni fatte da me, stiamo parlando di 200-300 milioni'' Da me, quindi Gi. che incontrava i clienti. Quindi, ipotizzando che la Banca fosse molto più complicata e molto più estesa, questi 200-300 milioni si potevano moltiplicare per 2, 3, 4. Quindi le operazioni conosciute da me erano 200-300 milioni, e lo/ dissi chiaramente a Pe.. E questo, però, ovviamente è la pareva mia contro la parola di Pe., Quindi ho dovuto cercare dei documenti e degli atti che confermassero queste mie dichiarazioni. Parliamo allora del mercato secondario. Il mercato secondario, ci sono delle analisi, di cui ha parlato anche Fa. l'altro giorno, fatte nel maggio 2014, proseguite ad agosto del 2014, So. mi scrisse a Ferragosto, e portate avanti dopo l'AQR, quindi dopo l'Asset Quality Review, e con un risultato che venne condiviso da So. nel Comitato di Direzione del novembre 2014. Questa successione di analisi - che adesso ovviamente non sto ad aprire documenti magari lo vedremo dopo - dimostra in modo inoppugnabile una gran quantità di soci che avevano degli ammontari importanti di capitale, quindi di azioni, degli ammontari importanti di finanziamenti equivalenti. So. parla di 1 miliardo in un Comitato di Direzione. Probabilmente non è 1 miliardo ma siamo intorno ai 700-800 milioni perché quegli impieghi di cui parla lui appiccicati alle azioni non erano solo operazioni baciate, ma c'erano anche degli impieghi, ad esempio, ad Am. che non aveva mai fatto baciate; ma ovviamente andargli a dire: "ti alziamo i tassi", Am. ti vendeva le azioni, quindi era comunque un problema, Secondo aspetto, Terzo aspetto. Io ho ricordato durante queste analisi che alla fine dell'aumento di capitale 2013 mi incontrai con Ma. per i corridoi della Banca. Era stato addebitato l'aumento di capitale, quindi come funzionava? C'era stato l'aumento di capitale fino ai primi, gli ordini della rete venivano presi fino ai primi di agosto, quindi l'ordine di acquisto, e poi c'era un momento di regolamento, che era un'unica giornata, in cui venivano addebitati i conti, e la liquidità e i risparmi dei correntisti si tramutavano in azioni, Quindi, se uno avesse 10.000 Euro sul conto corrente di risparmi, di depositi, l'addebito di, ad esempio, 5.000 Euro di azioni avrebbe comportato che questo cliente post-addebito avrebbe avuto 5.000 Euro di depositi, di liquidità, sul conto corrente e 5.000 Euro di azioni. Quindi questo cosa comportava? Comportava un decremento della raccolta. Quindi io incontrai Ma., e Ma. mi disset "Ma, Em., ma hai visto come sono saliti gli impieghi con l'addebito?", cioè quante baciate sono state fatte con l'aumento di capitale? Perché ovviamente normalmente dovrebbe accadere che con l'addebito va giù la raccolta. I depositi dei clienti; se invece c'è un incremento degli impieghi, quindi dei crediti, quindi dei finanziamenti, vuol dire che quelle sono operazioni baciate, E mi ricordo questo fatto di Ma. che me lo disse per avvertirmi, per dirmi: "ma ci stiamo rendendo conto?". Allora cosa ho fatto? Sono andato a prendere le e-mail del Controllo di Gestione, quelle che l'Avvocato Mi. ha fatto vedere a Mo. lunedì, in cui sia nei 2013 sia nel 2014 c'è questo fenomeno. Ma stiamo parlando non di poche cose, stiamo parlando, sommando il 2013 e il 2014, di 350 milioni di crescita degli impieghi che, rapportata agli aumenti di capitale, dà una percentuale dell'intorno del 28%, che è più o meno la stessa percentuale che Consob nell'ispezione dice, afferma che fosse stata fatta attraverso baciate. Quindi Consob dice: siamo intorno al 25% di baciate sull'aumento di capitale, qui ci ritroviamo con il 28%, quindi siamo più o meno lì. Quindi questo oggettiva il fatto che tutta la Banca, perché questa e-mail è indirizzata a So. in copia conoscenza, i Vice Direttori Generali, Pe., gli uomini di Pe., la Divisione Mercati, il Risk Management, che tutta la Banca era a conoscenza che il collocamento delle azioni del capitale avvenisse attraverso baciate. PRESIDENTE - E So. si confrontava con qualcuno e con chi per le comunicazioni da indirizzare agli Organi di Vigilanza? IMPUTATO GI. - Io ricordo che tutte le comunicazioni di Vigilanza e comunque di Banca d'Italia in qualche modo poi dovessero arrivare a So. in Segreteria Generale, ex Ispettore Banca d'Italia, che poi le inoltrava alle strutture della Banca deputate. Per quanto riguarda le segnalazioni di vigilanza e l'interlocuzione con Banca d'Italia, la struttura e la divisione principe era quella di Pe.. PRESIDENTE - Lei poi scrive - l'abbiamo sentito già l'altra volta - che c'era una partecipazione di collaboratori di Pe. alle riunioni della Divisione Mercati; questo riguarda Mo. o riguarda anche altre figure? IMPUTATO GI. - Mo. partecipava a tutte le riunioni della Divisione Mercati che si tenevano mensilmente per condividere con fa rete, quindi i capi area e i direttori regionali, i risultati e dettare le linee guida per il mese successivo, quindi le priorità commerciali, non so: insistiamo sui mutui, vanno fatti più conti correnti eccetera eccetera. Mo. partecipava a tutte queste riunioni, perché preparava lui il materiale e le calendarizzava lui, Mo.. E' accaduto che due/tre volte l'anno a queste riunioni della Divisione Mercati potesse partecipare anche Pe., potessero partecipare Pe. Fa. solitamente anche con So., anche in funzione degli obiettivi di budget, quindi per dettare quelli che fossero gli obiettivi di budget condivisi in Consiglio di Amministrazione. PRESIDENTE - Lei ha sentito l'altra volta? Mo. dice: Io sono rimasto stupito nello scoprire l'entità del fenomeno Se ha da dire qualcosa, non necessariamente, IMPUTATO, GI. - No, io quello che dico in queste riunioni della Divisione Mercati si parlava in modo molto chiaro di capitale e di modalità per raggiungerlo e quindi di operazioni baciate - Quindi mi stupisco che Mo. possa aver detto che non se ne parlava all'interno di queste riunioni della Divisione Mercati. Lui parla di "allusioni", non so sinceramente cosa voglia dire: o se ne parlava o non se ne parlava. Io ero lì e se ne parlava. Dopodiché, con quale frequenza? Sempre maggiore con l'andare degli anni e del tempo. In alcuni casi, a chiusura delle riunioni della Divisione Mercati, io mandavo un messaggio a So. per partecipare, perché lui comunque voleva essere sicuro che suoi messaggi fossero i messaggi che poi venivano declinati sulla rete; chiamavo So., So. veniva solitamente con Ca. a chiudere la riunione, e anche lui parlava di capitale e di finanziamenti per raggiungere gli obiettivi di capitale. Tanto premesso, passando ad analizzare più nel dettaglio il contributo dichiarativo fornito dal chiamante in correità con specifico riferimento alla posizione del coimputato PE., osserva questa Corte come esigenze di chiarezza suggeriscano di attenersi all'ordine espositivo adottato nel memoriale, posto che detto documento ha poi costituito la traccia seguita nel corso dell'esame dell'imputato. Ebbene, in detto documento il GI. ha anzitutto evidenziato gli stretti rapporti intercorrenti tra il PE. ed il d.g. So. e, a tal fine, ha richiamato alcune evidenze documentali. Trattasi, segnatamente: - dei documenti allegati alla memoria sub 2.2.1, 2.2.2, e 2.2.3 ed inerenti al coinvolgimento della struttura del PE. nella comunicazione degli obiettivi della rete di vendita, obiettivi che - come s'è ripetutamente precisato - erano perseguiti anche attraverso il sistematico ricorso al capitale finanziato; - del documento 2.2.4, costituto da una mail nella quale, rispondendo al vicedirettore Ca. che manifestava la propria contrarietà rispetto al sistema incentivante, il PE. rispondeva in modo netto "ne discuteremo con il direttore", così manifestando, ad avviso del GI., la propria "vicinanza" al d.g.). Quindi, il propalante ha esplicitamente affermato la piena conoscenza, in capo al coimputato, sia della "prassi svuotafondo" e delle ragioni ad essa sottese, sia delle difficoltà, da mantenere nascoste all'esterno, nelle quali si dibatteva il mercato secondario dei titoli B., anche in tal caso richiamando, a sostegno delle proprie affermazioni, specifici supporti documentali e, segnatamente: - quanto al primo profilo, i documenti 2,3.1 e 2,3.2 (costituiti, rispettivamente, dalla richiesta, avanzata dal d.g. So. su elaborazione di Pe., di raggiungere l'obiettivo di Tier 1 pari all'8% a fine 2011 e del documento, predisposto dal Mo., nel quale si monitorava l'attuazione della direttiva del d.g. secondo cui ad ogni delibera di credito avrebbe dovuto essere associata l'acquisizione di un socio, direttiva, peraltro, che implicava necessariamente il blocco delle predette delibere fino all'acquisizione di un nuovo socio); - e, quanto al secondo profilo, il documento 2.3,3 (costituito da una mail inviata, in vista di una riunione con Bc. a Francoforte, dal So. al PE. e contenente - corredato dalla significativa indicazione "non illustrabile" - anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci), nonché dei documenti 2.3.3 bis, 2.3.3, ter (relativi alla predisposizione della risposta ai reclami dei soci, risposta nella quale si adduceva la responsabilità dei ritardi ad un mero mutamento della regolamentazione di riferimento avvenuta nel 2014, quando, al contrario - ha precisato il GI. - era notorio che tali difficoltà derivavano dalla risalente crisi del mercato secondario del titolo B.). Quanto, poi, alle Riunioni di Direzione, il propalante ha affermato come il coimputato PE. fosse solito prendervi parte, personalmente ovvero per il tramite dei suoi stretti collaboratori, Fa. e Mo.. E, a sostegno, ha prodotto i documenti in allegato alla memoria sub 2,4.1, 2.4.2, 2.4.3., 2.4.3 bis, 2.4.4., 2.4.5. relativi anche all'incontro, tenutosi a Roma, nel quale il So. aveva minacciato l'eliminazione delle direzioni regionali se non avessero raggiunto gli obiettivi assegnati, tra i quali i requisiti di capitale, anche attraverso le operazioni finanziate. Passando, quindi, ad analizzare l'intervento del PE. nel corso del più volte citato Comitato di direzione dell'8.11.2011, il GI. ha precisato - del tutto coerentemente, peraltro, con la lettura che di tale momento di "riflessione collettiva" è stata in precedenza proposta - che il coimputato era intervenuto con la funzione di fare da - guida della discussione per far in modo che si raggiungessero gli obiettivi di capitale, anche con finanziamenti correlati" (così si legge a pag. 16 della memoria): era stato in tale veste, infatti, che il responsabile del bilancio aveva assegnato un "obiettivo complessivo, tra Vicenza, Prato e Palermo di 110 mln di euro". Nell'occasione - ha precisato il dichiarante - nessuno aveva contestato che per collocare le azioni sarebbe stato necessario ricorrere anche alle "baciate" (come espressamente evidenziato da To. e da Se., tra i più in difficoltà nel collocamento, visto che nelle zone di loro competenza - la Toscana e la Sicilia - "B. non era conosciuta e non c'era alcun senso di appartenenza da parte del territorio") e, pertanto, il d.g. So. aveva rapidamente tratto le conclusioni, assegnando il monitoraggio di tale collocamento, da effettuare anche attraverso i finanziamenti, "a Fa. (cioè a Pe.)". Di seguito (si vedano le pagg. 16-17 del memoriale), il GI. ha rievocato la partecipazione del Fa. al Comitato di Direzione 10.11.2014 ed ha spiegato il significato del riferimento effettuato dallo stesso dichiarante alla necessità di confrontarsi con Ma.": il tema era quello della necessità di "smontare" le baciate e la proposta dello stesso GI. di fronteggiare la riduzione del capitale abbinato alle baciate attraverso la riduzione degli attivi della Banca, essendo i requisiti patrimoniali una frazione tra numeratore-capitale e denominatore-attivi" avrebbe necessariamente richiesto l'interlocuzione col PE., trattandosi del soggetto che "sapeva come poter tarare gli obiettivi relativi ai requisiti di capitale tra aumenti di capitale, svuotafondo, riduzione degli attivi rischiosi e riduzione dei finanziamenti baciati". Quindi, ha precisato di serbare il ricordo di un momento dì specifico confronto che aveva avuto, sul punto, con il PE.: a margine di una riunione di direzione tenutasi nel secondo semestre 2014, infatti, avevano esplicitamente affrontato tale argomento e, nell'occasione, avevano concordemente convenuto - che l'ammontare di riduzione degli attivi non sarebbe stato sufficiente a colmare il venir meno del capitale dei principali soci della banca". Quindi, nel corso dell'esame innanzi a questa Corte, ha rievocato nuovamente tale episodio. Ebbene, trattasi - com'è evidente - di una ricostruzione assolutamente sovrapponibile a quella già delineata dalle acquisizioni documentali e testimoniali nella disponibilità del primo giudice, ma che, nondimeno, è tutt'altro che irrilevante, provenendo da un diretto protagonista dell'episodio (e, segnatamente, proprio da colui che, nel corso della riunione, aveva evocato il PE.). Inoltre, il GI., da un lato, ha precisato che l'intervento degli esponenti della Divisione Pianificazione e Bilancio nelle riunioni della Divisione Mercati era costante, soggiungendo che costoro ne riportavano gli esiti al loro responsabile, PE. (cfr, pagina 18 del memoriale); e, dall'altro, ha convenuto che i piani industriali B., lungi dall'essere meramente ottimistici, ovverosia "sfidanti e non sempre di facile composizione" (come pure eufemisticamente ammesso dallo stesso CdA in risposta a Banca d'Italia con riferimento al Piano 2012-2014), fossero "irrealizzabili", "utopistici" e, ciononostante, fossero stati costantemente approvati. Questo, per la impellente necessità di "alimentare e sostenere il prezzo dell'azione" e, al contempo, "stressare le strutture commerciali", tenendole continuamente sotto pressione (cfr. pag. 19 del memoriale). E, anche sul punto - è appena il caso di rilevarlo - le affermazioni del propalante collimano con le risultanze istruttorie. Quindi, alle pagine 19-21 del memoriale, il chiamante in correità ha rievocato il coinvolgimento delle strutture dipendenti dal PE. nello studio di fattibilità del progetto del d.g. So. di eliminazione degli "impieghi poco redditizi" (trattasi della valutazione propedeutica alla Riunione del Comitato di Direzione 10.11.2014 di cui s'è detto); studio che, tuttavia, aveva evidenziato l'impraticabilità di tale eliminazione per tutti quegli impieghi costituiti dai finanziamenti concessi a soggetti - intoccabili perché azionisti della Banca" (tra cui il propalante ha specificamente ricordato "El., Ze., It., Za., Ro."): ebbene - ha precisato il GI. - tra le posizioni intoccabili espressamente valutate e riportate nel documento Excel all'uopo predisposto vi erano parti di operazioni correlate caratterizzate dalla corrispondenza tra importo del finanziamento erogato e valore delle azioni B. possedute dal soggetto finanziato (ad esempio "Ma.An., Ol.An., Na.Fa."), sicché il tema del capitale correlato emergeva, da tale studio, in termini dì evidenza. E, a sostegno di ciò, il GI. ha richiamato i documenti allegati al memoriale sub 2.7.1, 2.7.2 e 2.7.2 bis. Ciononostante - ha proseguito il dichiarante - il d.g. So., consapevole che questo fosse uno degli aspetti più problematici, con la collaborazione della "Pianificazione" e del "Risk" aveva continuato a lavorare per far emergere gli impieghi poco redditizi, questa volta anche valutando l'impatto dell'assorbimento di capitale. All'esito di tale approfondimento, era risultato un ammontare pari a circa un miliardo di Euro (come da tabella allegata al memoriale sub 2.7.3.) e, nell'occasione, era emerso, abbinando a tali impieghi il possesso azionario, nominativo per nominativo, che molti di questi impieghi erano correlati all'acquisto di azioni (come da documento allegato sub 2-7.4). Quindi, il GI. ha precisato che la Direzione Pianificazione e Bilancio aveva accesso ai dati relativi alle azioni ed ai finanziamenti (come, peraltro, confermato dal lavoro di studio, testé evocato, effettuato su richiesta del d.g. So.) ed ha richiamato due mail - prodotte in allegato al memoriale, sub 2.8.1 e 2.8.2. - relative all'analisi, "effettuata da Pianificazione/Bilancio", dell'andamento giornaliero della raccolta e degli impieghi alla data di regolamento dell'aumento di capitale 2014. Trattasi - ha precisato il GI. - di documenti attestanti la consapevolezza piena del fenomeno dei finanziamenti correlati con riferimento agli aumenti di capitale 2014 (in particolare, l'allegato 2.8.2. dimostrerebbe che l'Aucap 2014 era stato finanziato dalla banca stessa per l'ammontare di 168 milioni di euro). Quindi, come anticipato, nel corso dell'esame il GI. ha sostanzialmente ribadito quanto anticipato nel memoriale, soffermandosi più diffusamente sulle circostanze di maggior rilievo, specie nel rispondere alle sollecitazioni delle difese dei coimputati (e, per quello che specificamente rileva in questa sede, della difesa del PE.) ed ulteriormente puntualizzando quanto oggetto di "anticipazione scritta" (come nel caso dei periodici incontri per il jogging con i colleghi Fa. ed Es. in occasione dei quali erano ricorrenti i riferimenti alla prassi delle "baciate" in atto presso l'istituto - cfr. esame GI., udienza 15.6.2022, pag. 45). Ebbene, le risposte fornite sono state sempre coerenti con le citate "anticipazioni", non sono emerse contraddizioni e tantomeno il propalante è stato smentito nella interpretazione dei documenti dallo stesso prodotti al di là di talune, inevitabili contestazioni circa le conclusioni desumibili da alcuni di detti documenti. A tale ultimo riguardo, infatti, non può che ribadirsi come l'assenza di esplicita, dati documentali in ordine al capitale finanziato rispondesse ad una precisa direttiva aziendale, sicché non può certo destare sorpresa la circostanza che i documenti valorizzati dal propalante non siano di immediata comprensione (e ciò anche per la natura oltremodo "tecnica" del loro contenuto), ovvero si prestino ad interpretazioni parzialmente differenti. A ben vedere, quello che rileva è che nell'ambito di un pieno ed incondizionato disvelamento delle proprie responsabilità, espressione di un effettivo ripensamento critico maturato da persona soggettivamente attendibile (sul punto si richiamano le considerazioni già spese nel paragrafo 13 della presente sentenza), il GI. abbia delineato - in modo coerente, va ribadito, con le plurime evidenze probatorie logiche, documentali e testimoniali complessivamente disponibili - quale sia stato il ruolo rivestito, tra gli altri, dal coimputato PE., fornendo, in proposito, senza alcuna animosità (e, anzi, in maniera oltremodo pacata e tale da rendere evidente quanto fosse stata sofferta la determinazione alla "collaborazione" progressivamente maturata), il contributo, assai utile per la compiuta comprensione delle dinamiche operative collegiali del board ristretto dell'istituto di credito, proprio di un soggetto coinvolto, ai massimi livelli, nell'operatività delittuosa. In effetti, le pur articolate contestazioni mosse dalla difesa del PE. per contestare attendibilità e concludenza delle propalazioni d'accusa non colgono affatto nel segno. In particolare: - quanto alla obiezione inerente alla portata innovativa (rispetto alle dichiarazioni rese nel dibattimento di primo grado) da riconoscersi esclusivamente in ordine alla ammissione di personale responsabilità del medesimo GI. (cfr. memoria conclusiva difesa PE., paragrafo 4.1, pagg. 42 e ss.), è sufficiente la lettura di quanto riferito dallo stesso chiamante in correità innanzi a questa Corte per convincersi del contrario; - quanto alla contestazione circa la diffusa conoscenza del fenomeno del capitale finanziato (paragrafo 4.2.1 della memoria citata), non può che farsi riferimento alle considerazioni già spese al riguardo (anche in relazione alla posizione dei coimputati, segnatamente lo ZO.), tali da fugare qualsivoglia perplessità circa la suddetta ampia consapevolezza (nel settore dei "mercati" - lo si è visto - finanche capillare); - quanto, poi, alla confutazione in ordine al fatto che, in occasione dei Comitati di Direzione, si parlasse di "baciate" (paragrafo 4.32.2. della memoria), vale, ancora una volta, il rinvio alle osservazioni già esposte sul punto; - quanto, ancora, alle dichiarazioni relative ai colloqui "informali" intrattenuti con il Fa. e l'Es. in ordine alle "baciate", le diverse versioni rese da costoro, là dove hanno sostenuto di avere acquisito contezza del fenomeno solo verso la metà del 2015 (paragrafo 4,2.3. della memoria), non appaiono minimamente credibili in quanto evidentemente orientate dalla finalità di stornare qualsivoglia sospetto dalle rispettive persone, nel solco di un contegno che - lo si è già detto - ha trovato ampia diffusione; - quanto alla asserita falsità dell'affermazione che i piani industriali sarebbero stati manipolati per tenere alto il prezzo dell'azione (paragrafo 4.2.4 della memoria), non può che rinviarsi alle riflessioni in precedenza svolte al riguardo (segnatamente in relazione alla posizione del coimputato ZO., sulla base, in particolare, oltre che di considerazioni di natura logica, delle puntuali dichiarazioni, in proposito, del teste Ca.); - quanto, infine, alla contestazione circa i colloqui intercorsi tra il propalante ed il PE. in ordine al volume delle operazioni finanziate (paragrafi 4.2.5 e 4.2.6 della memoria), il rinvio è alle considerazioni che saranno esposte più avanti. Inoltre, la contestazione della significazione dei documenti prodotti dal GI. a sostegno delle proprie dichiarazioni (cfr. capitolo 4.3 della memoria, pagg. 62-84), se può essere condivisa con riferimento a taluni di essi, effettivamente dotati di una generica attitudine probatoria di mero "contesto" (è il caso dei documenti costituenti gli allegati 2.2.1, 2.2.2, 2.2.3, 2.2.4), non può affatto trovare avallo in relazione ad altra parte della produzione del predetto coimputato. Ciò è particolarmente vero con riguardo ai documenti 2.3.1, 2.3.2, e 2.3.3 che, effettivamente, orientano (in linea anche con le considerazioni di carattere logico effettuate in proposito) per il coinvolgimento della struttura facente capo al PE. nel monitoraggio di momenti essenziali della dinamica del capitale finanziato, con la doverosa precisazione, inoltre, che il documento 2.3.3 - ovverosia la mail inviata dal So. al giudicabile in vista della partecipazione di costui alla riunione Bc. a Francoforte, corredata dalla significativa indicazione "non illustrabile" e contenente anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci - costituisce, come si è già detto, elemento obiettivamente connotato da elevata specifica attitudine dimostrativa (al di là di quello che può poi essere stato l'effettivo contenuto della riunione in questione). Altrettanto è a dirsi, poi, con riferimento alle produzioni 2.3-3. bis e ter in quanto - ad onta, anche in tal caso, delle obiezioni difensive - trattasi di documenti dai quali si trae la rinnovata conferma della conoscenza, in capo all'imputato, della condizione di grave crisi del mercato secondario del titolo B., ovverosia - è bene ripeterlo nuovamente - di un aspetto inscindibilmente connesso al tema del capitale finanziato (del quale - lo si è già visto - l'ingravescente illiquidità del titolo azionario costituiva una delle principali cause). I documenti 2.4.1, 2.4.2., 2.4.3, poi, sono inerenti alla partecipazione dell'imputato e dei suoi collaboratori alle riunioni di direzione (ivi compreso l'incontro di Roma di cui s'è detto e nel quale, anche secondo i testi evocati dalla difesa, il So. si era espresso in modo assai incisivo sul tema del capitale, ancorché detti testimoni non abbiano menzionato espliciti riferimenti, da parte del d.g., alle operazioni correlate), sicché trattasi di dati che comunque corroborano, sia pure in tali termini più generali, la narrazione del propalante. Il documento 2.4.4, e soprattutto, quello 2.4,5 (trattasi di comunicazione in vista del comitato di direzione 10.11.2014), confermano come larga parte dei finanziamenti riguardasse proprio gli azionisti, donde il non trascurabile significato del dato. Ancora, i documenti 2.7.1, 2.7.2, 2.7.2 bis, 2.7.3, 2.7.4. riscontrano l'esistenza di un accurato lavoro, da parte delle strutture della banca (ivi compresa la "pianificazione") sul "margine di interesse", inerente anche ad operazioni rispetto alle quali la coincidenza tra ammontare dei finanziamenti e valore delle azioni possedute era tale da costituire, se non la prova, quantomeno un importante indice di allarme circa la natura finanziata degli acquisiti dei titoli; del resto, la dicitura "operazioni "particolari" contenuta nel documento 2.7.1., tenuto conto del lessico volutamente ambiguo ed allusivo imposto per trattare del "capitale finanziato" all'interno di B., deve evidentemente ritenersi riferita proprio a situazioni del genere (nonostante la contraria affermazione, evocata dal difensore, dell'inattendibile teste Fa.). Il significato di tali dati, quindi, è evidente, nonostante la difesa ne abbia proposto una lettura riduttiva e, soprattutto, "sganciata" dal complessivo contesto di riferimento. Altrettanto significative, infine, sono le produzioni 2.8.1 e 2.8.2 dalle quali, in effetti, si ricava, con riferimento al "contributo" offerto da Ba.Nu., l'incidenza significativa dei finanziamenti sull'esito positivo dell'aucap 2014, sicché - anche in tal caso nonostante le specifiche obiezioni difensive (relative alla minor somma di capitale finanziato poi riscontrato con riferimento alla predetta Ba.Nu. rispetto ai dati evinciteli da tali comunicazioni) - le produzioni effettuate a sostegno delle dichiarazioni del GI. corroborano l'attendibilità della fonte. Infine - è stato già anticipato, ma giova ripeterlo - le propalazioni del GI. hanno trovato piena conferma nelle prove a carico del PE. già acquisite nel corso del giudizio di primo grado, sicché l'esigenza dei riscontri alla chiamata di correo appare, sotto questo profilo, più che soddisfatta. Ciò posto, prima di passare alle conclusioni, si impone una analisi specifica, ancorché sintetica, di quelle evidenze che il primo giudice ha valutato come favorevoli all'imputato e che, diversamente, si rivelano, in quest'ottica, prive di rilievo (se non, addirittura, di segno contrario). E' il caso, anzitutto, delle deposizioni dei testi Fa., Tr., Mo. e Li., ampiamente richiamate dalla difesa dell'imputato (si vedano, segnatamente, le considerazioni svolte ai paragrafi 3.2 -3.5, pagg. 18-41 della memoria conclusiva). Ebbene, premesso quanto già ripetutamente esposto in ordine alla difficoltà incontrata (dapprima in sede di indagine e, successivamente, nel corso del giudizio) nell'ottenere dai contributi dichiarativi resi dai partecipi delle strutture di B. coinvolti, con ruoli non marginali, nelle operazioni di "capitale finanziato", informazioni realmente utili per il necessario regolamento di confini in punto di responsabilità individuali, deve osservarsi, quanto alle dichiarazioni del Fa. - là dove costui, come precisato in sentenza, ha riferito che tanto lui stesso quanto il PE. avevano acquisito la conoscenza dell'entità del capitale finanziato solo nel corso dell'ispezione della Bc. del 2015 ed ha precisato che, in precedenza, tale conoscenza era assolutamente generica, poiché derivata dalle sporadiche allusioni a tale fenomeno effettuate in sede di Comitato di Direzione - si è in presenza di affermazioni, alla luce di quanto sin qui detto, del tutto inaffidabili. Il primo giudice, sul punto, ha obliterato ogni valutazione di attendibilità, attendibilità che, per contro, va radicalmente esclusa, essendosi in presenza del collaboratore dell'imputato che, come s'è detto, curava la valutazione degli effetti dell'andamento del fondo sul patrimonio di vigilanza e che, quindi, svolgeva un'attività di assoluto rilievo ai fini del monitoraggio delle implicazioni del capitale finanziato sui requisiti prudenziali. Peraltro, lo stesso Fa., nel corso della rinnovata escussione dibattimentale innanzi a questa Corte, non ha potuto negare che in occasione del comitato "del 14.11.2014" (rectius del 10.11.2014) - ovverosia in una situazione di forte tensione - era stato specificamente affrontato il tema del capitale correlato, sostenendo che tale fenomeno, in precedenza, era tollerato (e, quindi, non certo ignorato) in quanto vera e propria prassi delle popolari. Quanto alla testimonianza resa dal Tr., poi, deve osservarsi che, con riferimento al PE., i passaggi più significativi di detto contributo dichiarativo riguardano, in primo luogo, il fatto che, ad avviso di tale teste, l'imputato mai gli avrebbe rappresentato (espressamente o implicitamente) di essere a conoscenza del fenomeno e, in secondo luogo, la circostanza che il medesimo giudicabile si sarebbe dimostrato sorpreso allorquando gli ispettori ebbero ad illustrare le evidenze emerse In relazione ai fondi At. ed Op., Ebbene, irrilevante la questione dei fondi (rispetto ai quali non è in discussione l'estraneità dell'imputato), trattasi, per il resto, anche a volersi prestar fede ad un testimone, complessivamente, anch'egli poco affidabile (in quanto parimenti partecipe della complessiva vicenda in esame, in qualità di collaboratore dell'odierno imputato, essendo egli responsabile della Ragioneria Generale), di contributo privo di sostanziale portata, com'è evidente alla luce del concreto contenuto di tali dichiarazioni. In relazione alla deposizione del Mo., poi, il tribunale ha evidenziato come costui avesse riferito che, prima della ispezione Bc., vi era consapevolezza bensì dell'esistenza, non già delle dimensioni del fenomeno in esame, soggiungendo, con specifico riferimento alla posizione del PE., che detto imputato era a conoscenza dello slogan di So. secondo il quale era necessario che ogni cliente affidato possedesse azioni B. per un controvalore pari ad almeno il 10%, Ebbene, rispetto a tale deposizione non possono non avanzarsi rilievi critici, in punto di attendibilità, del tutto analoghi a quelli relativi alla deposizione del collega Fa.. Questo, solo a considerare il fatto che il predetto Mo., per le sue funzioni di stretta collaborazione con la Divisione Mercati, alle riunioni mensili della quale partecipava stabilmente, era il soggetto, tra quelli appartenenti alla Divisione diretta dal PE., maggiormente coinvolto dai flussi informativi "informali" relativi alle pressanti iniziative di collocamento dei titoli che coinvolgevano tutta la rete commerciale. Si è in presenza, quindi, di dichiarazione alla quale non può certo attribuirsi particolare significato in chiave difensiva. Peraltro, giova evidenziare come, in sede di rinnovazione istruttoria, tale teste, nel ribadire, comunque, che, sia pure in modo allusivo ed in contesti informali, delle "baciate" si parlava all'interno della banca, abbia anche confermato - e trattasi di elemento tutt'altro che trascurabile, ove si consideri debitamente la più volte evocata "dimensione sistemica" del fenomeno in questione - le significative tensioni riscontrabili sul mercato secondario del titolo a partire dall'anno 2012. Infine, quanto al teste Li., costui ha sostenuto che il PE., all'inizio dell'ispezione, gli aveva riferito, peraltro esprimendosi in termini di mera probabilità, di essere a conoscenza di un ammontare del capitale finanziato non superiore a quello del fondo acquisto azioni proprie e, dunque, nei limiti dei 200 milioni. Ebbene, a parte il fatto che si tratterebbe di un importo comunque assai consistente (corrispondendo quasi alla consistenza massima del fondo azioni proprie nella fase precedente rispetto alla successiva riduzione prevista normativamente), tale da incidere significativamente sui requisiti di vigilanza, è decisivo osservare che l'interlocuzione tra i due si colloca in una fase di crisi oramai manifesta, quando tutti ragionevolmente miravano ad escludere (o, quantomeno, a ridimensionare) l'apporto da ciascuno fornito alla attuazione della prassi del capitale finanziato (si pensi alla già evocata distruzione, da parte di Am., dei documenti che potevano comprometterlo). Non v'è chi non veda, pertanto, come si sia in presenza di una deposizione priva di reale consistenza favorevole. In effetti, l'imputato (al pari dei suoi più stretti collaboratori, donde - va ribadito ancora una volta - la scarsa attendibilità delle dichiarazioni di costoro) aveva tutto l'interesse, in ottica autodifensiva, ad apparire all'oscuro quantomeno delle dimensioni del fenomeno in esame, onde avvalorare la tesi della propria estraneità ai fatti, o, comunque, di un coinvolgimento del tutto marginale. Venendo, quindi, alla disclosure relativa ai fondi At. ed Op., verificatasi nel giugno del 2014, coglie nel segno la censura articolata, sul punto, nell'atto di impugnazione del p.m.: non solo si è trattato di condotta doverosa (in quanto conseguente ad uno specifico obbligo); ma - e trattasi di considerazione, sul punto, davvero dirimente - è decisivo osservare come un differente contegno avrebbe comportato effetti ancora più pregiudizievoli per la banca, la quale si sarebbe vista costretta a detrarre dal patrimonio di vigilanza l'intero ammontare dell'investimento effettuato nei fondi lussemburghesi, pari a circa 350 milioni dì Euro, a fronte di una detenzione di azioni ammontante ad un valore di circa 50 milioni di euro259. L'irrilevanza di tale elemento, quindi, è tanto evidente da non richiedere ulteriori commenti. Considerazioni più articolate si impongono, invece, con riferimento alla "vicenda Kp.", alla quale il primo giudice, in relazione all'imputato, ha dedicato le osservazioni contenute alle pagg. 746-748 della sentenza impugnata. In estrema sintesi, il tribunale ha interpretato la condotta tenuta dal PE. in quel delicato frangente come insuscettibile di univoca interpretazione, al contempo riconoscendo come più probabile una lettura del complessivo contegno del giudicabile come sintomatico di mancata conoscenza dell'entità effettiva del capitale finanziato. Si ricorda che il PE., secondo la teste Pa., le aveva bensì chiesto un "parere legale", ma senza affatto suggerirle di attestare la legittimità delle operazioni di finanziamento per l'acquisto delle azioni cadute sotto la lente della società di revisione; quindi, in occasione della successiva riunione, allorquando il Pi., alla proposta della medesima Pa. di avviare "un audit", aveva reagito proferendo la frase "Ma sei matta! Un Audit? Se facciamo un audit andiamo tutti a casa", ed anche il So. aveva dato in escandescenze, era rimasto calmo, dando così mostra di non essere allineato agli altri vertici aziendali. Trattasi, ad avviso di questa Corte, di una lettura delle emergenze processuali disponibili davvero poco persuasiva e, anzi, a ben vedere, frutto di un marcato travisamento della prova. Ed invero, tralasciando quanto sin qui detto in ordine alle prove positive (dirette ed indirette, logiche, testimoniali e documentali) inerenti alla conoscenza effettiva dell'esistenza e della entità eclatante del capitale finanziato in capo al PE. e limitando l'analisi alla vicenda in esame (ed agli accadimenti ad essa immediatamente precedenti), non può non rilevarsi quanto segue. La società Kp. era impegnata nella revisione del bilancio 2014 e, in tale contesto operativo, si era determinata ad effettuare laboriosi approfondimenti, peraltro mai svolti in occasione delle analoghe attività espletate negli anni precedenti, approfondimenti che, a seguito dì appositi "incroci informatici" dei dati disponibili negli archivi dell'istituto, avevano portato all'emersione di alcune (17) "posizioni correlate", attinenti non solo all'aumento di capitale ma anche alle operazioni di acquisto azioni effettuate nel corso del medesimo anno. Con ogni probabilità (sebbene talune incertezze, sul punto, non siano state del tutto dissolte dall'istruttoria dibattimentale) ad orientare in tal senso l'attività di revisione erano stati significativi "campanelli d'allarme" che non potevano essere ignorati. In ogni caso, le evidenze emerse nell'occasione - ciò va precisato per il rilievo che tale circostanza è destinata ad assumere ai fini del dovuto apprezzamento della serietà di quanto andava emergendo - erano il frutto di verifiche eseguite su un mero campione e, quindi, erano del tutto prive di valore statistico (sicché era assai probabile che - come poi puntualmente avvenuto - una più analitica disamina avrebbe potuto portare alla luce una situazione assai più compromessa). Ebbene, all'emersione di tali evidenze aveva fatto seguito, su input della società di revisione, interessata ad acquisire il "punto di vista" della banca su tali evidenze di "correlazione", il coinvolgimento del PE. (immediatamente informato da Vi.An., di Kp., del problema che andava emergendo) e, per il tramite dello stesso imputato, del d.g. So., dell'ufficio legale di B. (nella persona della Pa.) e, infine, dello stesso Collegio Sindacale. A questo punto, gli eventi si erano succeduti freneticamente: la Pa., a fronte delle plurime richieste di parere (secondo la teste, anche il d.g. So. si era attivato in tal senso) e dopo essersi consultata con l'avv. Te. (alla presenza dello stesso PE.), aveva rifiutato di attestare la regolarità di quanto stava venendo alla luce, sostenendo trattarsi di prassi in contrasto con l'art. 2358 c.c., per poi ribadire tale decisione anche nella "famosa" riunione con il d.g. So. e gli imputati PI. e PE.. Si tratta proprio dell'incontro in occasione del quale, come efficacemente rievocato dalla teste, il So., si era "arrabbiato tantissimo", l'aveva aggredita verbalmente e l'aveva finanche minacciata di licenziamento (affermando espressamente che "si sarebbe trovato un altro avvocato") ed il PI., dal canto suo, alla proposta della stessa Pa. di svolgere un approfondimento Audit, aveva replicato "Ma sei impazzita? Sei matta? Se facciamo un Audit andiamo tutti a casa"263. Ciononostante, era stata alla fine trovata una sorta di soluzione di compromesso che, elaborata, con l'ausilio dell'avv. Te., dalla Pa., dal PE. e dal GI. (anche se poi riversata in un documento sottoscritto solo da quest'ultimo), aveva soddisfatto le esigenze di Kp., sicché la società di revisione si era determinata a certificare il bilancio. Sennonché, deve osservarsi che, nella risposta fornita da B., la banca si era limitata a fornire l'assicurazione che l'istituto, nell'erogazione dei finanziamenti, aveva sempre rigorosamente verificato il merito creditizio dei soggetti affidati (profilo, questo, com'è evidente, del tutto marginale rispetto al nucleo essenziale del problema della correlazione), per il resto sostanzialmente limitandosi a comunicare che avrebbe avviato "ogni opportuno approfondimento volto a verificare nei tempi tecnici necessari se vi siano casi in cui all'apparente contestualità dell'operazione corrispondano comportamenti irregolari", approfondimento il cui esito sarebbe stato "sottoposto agli organi competenti" ed informando la stessa società che avrebbe avuto "accesso alla relativa documentazione". In tal senso ricostruita la successione degli eventi, emerge platealmente l'insostenibilità della interpretazione della condotta del PE.. Ad ammettere che il giudicabile fosse stato all'oscuro della reale dimensione del fenomeno, infatti, sarebbe stato lecito attendersi che il predetto, di fronte alla eclatante reazione del PI. per effetto di una richiesta (quella di un approfondimento "audit") del tutto ragionevole, si sarebbe per primo dovuto allarmare, ben più della collega Pa., Questo, solo a considerare le gravissime prospettive che iniziavano a delinearsi non solo per l'istituto di credito ma per la stessa persona dell'imputato, tenuto conto del ruolo dal predetto rivestito di responsabile del bilancio e delle comunicazioni alla vigilanza. La condotta scomposta del So. e del PI., invero, rivelava chiaramente, ove mai ve ne fosse stato bisogno, agli occhi di un esperto dirigente quale PE., tutt'altro che incapace di cogliere la gravità dei fatti, che le posizioni irregolari incappate nella verifica della società di revisione ragionevolmente erano solo una minima frazione di un ben più vasto e radicato fenomeno, con la conseguenza della assoluta inattendibilità dei bilanci e delle comunicazioni predisposte dallo stesso PE., in questa prospettiva evidentemente vittima di un gravissimo, coordinato e risalente inganno ad opera degli altri più alti dirigenti e delle strutture della banca coinvolte in tale operatività. In un siffatto scenario, quindi, la reazione controllata dell'imputato nel corso dell'incontro non trova davvero alcuna plausibile giustificazione, al pari, del resto, del successivo tentativo del giudicabile di tranquillizzare la Pa. (la quale ipotizzava persino di dimettersi) durante il viaggio di ritorno, minimizzando la serietà di quanto andava emergendo. Ma v'è di più. Come s'è visto, quando ebbe a verificarsi la "vicenda Kp." (siamo nella prima metà di marzo 2015) aveva da poco avuto luogo la riunione indetta dal So. in vista dell'ispezione Bc., riunione in occasione della quale il "responsabile Audit" Bo., richiamando la propria relazione datata 4.9.2014, aveva manifestato serie preoccupazioni per l'entità del fenomeno del capitale finanziato quale sino ad allora accertato. E, come s'è detto, il PE. aveva preso parte a tale riunione (o, comunque, è assolutamente ragionevole ritenere che di quanto emerso in quella sede fosse stato prontamente informato). Sicché, anche sotto tale profilo, la condotta pacata e rassicurante tenuta dall'imputato al cospetto della Pa. risulta ancor più difficilmente leggibile come espressione di estraneità rispetto al resto dell'alta dirigenza della banca (e, in particolare, rispetto al So. ed al PI.). Assai più probabile - ad avviso di questa Corte - è che l'imputato abbia assunto detto contegno per contribuire, in tal guisa, a non recidere definitivamente i contatti con la Pa., mirando, d'intesa con il So. (o, comunque, interpretando in tal senso gli intendimenti di quest'ultimo), ad indirizzare l'operato della collega verso approdi il meno pregiudizievoli possibile per l'istituto di credito (ovviamente nell'ottica degli imputati). E, in effetti, alla fine, le cose erano andate proprio nel senso auspicato, posto che era stata trovata una "soluzione di compromesso", ove si consideri che la missiva inviata a Kp. (predisposta, oltre che dalla Pa., dall'avv. Te. e dal coimputato GI., anche dallo stesso PE., ancorché significativamente sottoscritta, come s'è detto, dal solo GI., la posizione del quale, evidentemente, già era considerata quella meno difendibile) si limitava a rappresentare l'impegno dell'istituto di credito a svolgere gli approfondimenti necessari per chiarire le posizioni segnalate. Ne consegue che la interpretazione della vicenda Kp. adottata dal primo giudice (sostanzialmente adesiva rispetto alla lettura fattane dalla difesa del PE. ed esplicitata al paragrafo 4.4, della memoria difensiva, pagg. 65-75), è nettamente contraddetta dalla razionale lettura delle esposte emergenze dibattimentali. Infine, in ordine all'intervento effettuato dal PE. nel corso della seduta del CdA 1.4.2014, vale osservare come, se è vero che l'imputato, nell'occasione, ebbe a svolgere osservazioni critiche, ciò non contrasta affatto con il coinvolgimento del medesimo nell'attività delittuosa. Infatti, è di certo verosimile che il predetto, evidentemente consapevole del baratro nel quale l'istituto di credito stava precipitando, ritenesse opportuno "frenare" la deriva circa la sopravvalutazione del prezzo dell'azione e mirasse, quantomeno, ad un "congelamento" della situazione. E, a ben vedere, ponendosi in questa prospettiva, la circostanza in esame finisce per assume un significato opposto a quello assegnatole dal primo giudice. Del resto, anche il GI. - come s'è detto - si sarebbe fatto proponente, in occasione del Comitato di Direzione di appena pochi mesi dopo, di una soluzione drastica (e risultata, alla stregua delle stesse dichiarazioni di costui, impercorribile) per smontare le "baciate", anche a costo di un radicale ridimensionamento dell'istituto. Nondimeno, nessuna dissociazione del predetto PE. (al pari, del resto, del coimputato GI.), ha avuto successivamente luogo. Per contro, come evidenziato dal P.M. nell'atto di appello, è emerso che PE. ha più volte ammesso, secondo quanto precisato dal teste Ca., come l'elaborazione di piani industriali irrealistici costituisse il contributo offerto dallo stesso imputato - significativamente definito dal teste, proprio con riferimento alla elaborazione dei piani in questione, il "braccio armato" del d.g. So. - per sostenere surrettiziamente il prezzo dell'azione. Sicché, anche sul punto, ha obiettivamente errato il primo giudice nel riconoscere portata favorevole all'imputato a tale circostanza. Deve, allora, necessariamente concludersi nel senso che tutti gli elementi significativi disponibili (tanto di natura logica, quanto documentale, quanto, ancora, dichiarativa) convergono - ove interpretati nella loro univoca, razionale significazione e debitamente sottoposti a complessiva lettura - nel collocare il PE. all'interno di quella struttura di vertice del management aziendale che non solo era a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato e della sua eclatante portata, ma che aveva fattivamente cooperato, secondo le capacità e nell'ambito delle "competenze" proprie di ciascun alto dirigente, affinché tale prassi potesse trovare, al contempo, concreta attuazione nell'operatività interna di B. ed adeguata copertura "esterna" (segnatamente, nei confronti della vigilanza). Può certamente essere vero che il PE. non avesse costantemente la precisa cognizione delle esatte (e costantemente variabili) dimensioni del fenomeno, posto, per un verso, che il relativo monitoraggio veniva curato, come detto, dal Fa. e, per altro verso, che il Mo. (il quale - come s'è detto - partecipava alle riunioni periodiche della Divisione Mercati, ove - lo si è visto - la questione era spesso trattata) godeva di un significativo grado di autonomia e considerato, in ogni caso, che il contributo fornito (tramite il predetto Fa.) dalla Divisione Bilancio era quello di un vaglio, necessariamente periodico, finalizzato al tema specifico delle ricadute sul patrimonio di vigilanza (mentre, come ha ricordato il teste Ba., il monitoraggio sulle singole operazioni era effettuato dalla Divisione Mercati e dall'ufficio soci, secondo le rispettive competenze). Lo stesso imputato, del resto, in sede di rinnovazione istruttoria, ha precisato come non avesse interesse ad avere informazioni specifiche sulla movimentazione mensile del fondo azioni proprie, trattandosi di dato che assumeva concreto rilievo ("entrava nei radar") verso il mese di settembre, quando diveniva significativo ai fini delle valutazioni di competenza della Divisione267. In questa prospettiva, peraltro, trovano agevole spiegazione le interlocuzioni del giudicabile con il GI. (secondo quanto da quest'ultimo riferito, ma decisamente negato dall'imputato268), allorquando, all'esito di vari Comitati di Direzione, il primo aveva interpellato il secondo sull'ammontare delle correlate, ottenendo dal coimputato l'aggiornamento dell'entità delle operazioni riconducibili allo stesso interlocutore ("...Nei comitati di direzione e nelle riunioni di direzione si parlava di baciate. Ovviamente non sempre, in maniera progressiva dal 2012 fino al 2014, ma si parlava di baciate - Io ricordo esattamente che in alcune occasioni, in chiusura, quindi una volta chiusi questi comitati e queste riunioni, Pe. venne da me e mi disse: "Ma quant'è 'sta roba? Di quanto stiamo parlando?". E io gli dissi: "Per quanto ne so, quindi operazioni fatte da me, stiamo parlando di 200-300 milioni" Da me, quindi Gi. che incontrava i clienti. Quindi, ipotizzando che la Banca fosse molto più complicata e molto più estesa, questi 200-300 milioni si potevano moltiplicare per 2, 3, 4. Quindi le operazioni conosciute da me erano 200-300 milioni, e lo dissi chiaramente a Pe.. E questo, però, ovviamente è la parola mia contro la parola di Pe. ..."). E' bensì vero che l'imputato ha negato tali ripetute interlocuzioni, riferendo unicamente di una richiesta, da lui rivolta al GI., circa l'entità del capitale finanziato, richiesta che, peraltro, il giudicabile ha collocato nel marzo del 2015, dopo la vicenda Kp.269 (ovverosia in un'epoca nella quale l'evento in questione è destinato ad assumere, in chiave accusatoria, assai minore significato). Trattasi, tuttavia, di contestazione che si scontra con la precisione della chiamata di correo, peraltro complessivamente assistita dalle evidenze probatorie di cui s'è detto. Aggiungasi che vi era anche un comprensibile interesse dello stesso giudicabile a non "compromettersi" eccessivamente, per scongiurare eventuali future contestazioni, potendo egli fare affidamento, in relazione al monitoraggio delle ricadute del capitale finanziato sui requisiti del patrimonio di vigilanza, sulla collaborazione del Fa.. Trattasi, peraltro, di uria lettura del comportamento del PE. siccome improntata a cautela del tutto coerente con il quadro complessivo disvelato dall'istruttoria (caratterizzato, nel corso dell'operatività illecita, dall'adozione di prassi di occultamento del fenomeno in esame; quindi, successivamente al disvelamento di detta operatività, dal tentativo, da parte dei soggetti a diverso titolo in essa coinvolti, di "sfilarsi" da ogni coinvolgimento). Sennonché, come s'è visto, la conoscenza di tale fenomeno in capo all'imputato non era affatto vaga, bensì sufficientemente precisa circa l'entità comunque rilevante dei valori in gioco e, quando ve n'è stato bisogno, costui ha fornito significativi contributi tali da rivelare il suo dominio informativo della prassi delle "correlate". Le contrarie dichiarazioni rese dal PE., là dove il giudicabile, anche da ultimo, ha negato di avere avuto contezza del capitale finanziato prima del marzo 2015, individuando nell'esito della verifica espletata da Kp. il momento a partire dal quale aveva appreso di tale prassi (cfr. esame PE., ud. 8.7.2022, pag. 82), infatti, risultano chiaramente smentite dalle evidenze probatorie esposte e palesemente ispirate da intenti difensivi. Così come del tutto inverosimili si palesano le affermazioni secondo le quali il predetto non avrebbe avuto sentore delle gravissime difficoltà nelle quali versava il mercato secondario delle azioni B. sin dal 2011, avendo egli persino tentato di accreditare la tesi secondo la quale, finanche negli anni successivi al 2011, si sarebbe stati in presenza di una normale "ciclicità" della dinamica dell'andamento del fondo acquisto azioni proprie, essenzialmente spiegabile in termini di convenienza finanziaria (convenienza, a suo giudizio, rappresentata dal vantaggio di acquistare azioni B. a fine anno, prima del c.d. blocking period, per poi rivenderle nel volgere di pochi mesi, dopo avere riscosso i dividendi e fruito dei vantaggi conseguenti all'aumento di valore dell'azione siccome annualmente deliberato dal CdA). Sul punto, infatti, affermazioni del PE., sebbene, ove analizzate sul piano della astratta razionalità economica, siano fondate (e, probabilmente, siano anche aderenti alle dinamiche dell'andamento degli acquisti dei titoli B. nel periodo ante crisi), qualora, invece, doverosamente rapportate alla concretezza del caso sub iudice finiscono per rasentare la temerarietà. Questo, solo a considerare: - da un lato, che l'ultimo anno nel quale erano stati pagati i dividendi (peraltro in azioni) era stato proprio il 2011; che il valore dell'azione dall'anno 2010 non era più cresciuto; e, infine, che il bilancio della Banca si era chiuso con perdite, nel 2013, di 28 milioni e, nel 2014, di ben 758 milioni; - e, dall'altro lato, che il documento n. 166 in precedenza evocato, ancorché riferibile al primo semestre dell'anno 2011, attestava uno squilibrio tra richieste di vendita e di acquisto del titolo tanto eclatante da non poter non destare seria preoccupazione in un dirigente esperto quale l'imputato. Trattasi, peraltro, di spiegazione che davvero mal si concilia con quanto riferito dallo stesso PE. in differenti passaggi del proprio esame, tanto là dove costui ha sostenuto che le difficoltà di svuotamento del fondo, pure non gravi, richiedevano comunque un impegno importante della rete, tale da generare un'"area grigia" (anche se poi ha individuato le criticità come inerenti essenzialmente a probabili violazioni della disciplina MIFID) e, nel rievocare la predisposizione della lettera di risposta a Banca d'Italia del 4.11.2014, ha ricordato che si trattava di difficoltà note; quanto nella parte in cui, nel corso del giudizio di primo grado, ha ammesso come, in occasione di plurime riunioni di Comitato, fossero state ricorrenti le richieste di spiegazioni rivolte al GI. in ordine alle ragioni per le quali lo svuotamento del fondo azioni proprie procedesse a rilento. Del resto, era pacificamente prevedibile che le operazioni di aumento di capitale deliberate negli anni 2013 e 2014 provocassero (come peraltro precisato dallo stesso PE.) un contraccolpo negativo sull'andamento del mercato secondario del titolo B., avendo l'effetto indiretto di ridurre ulteriormente la platea dei potenziali acquirenti delle azioni della banca (trattandosi di investitori già ragionevolmente interessati dal collocamento dell'azione sul mercato primario), circostanza che, unitamente alla drastica riduzione (da 240 milioni a 60 milioni) dell'entità del fondo intervenuta nel 2014, contribuiva a creare le condizioni di una "tempesta perfetta". Anzi, non può non rilevarsi come l'inconsistenza di tali dichiarazioni, qualora letta congiuntamente alla sostanziale assenza di spiegazioni in ordine ad elementi probatori di indubbio rilievo (intende farsi riferimento, in particolare, al documento 2.3.3, allegato alla memoria del GI., contenente - corredato dalla significativa indicazione "non illustrabile" - anche il riferimento all'andamento degli ordini di cessione delle azioni da parte dei soci), finisca, a sua volta, per costituire un ulteriore, sia pure indiretto, significativo elemento di prova a carico. Di qui la conclusione circa la prova della conoscenza, in capo al giudicabile, dell'esistenza e dell'entità significativa del "capitale finanziato" (con conseguente irrilevanza delle considerazioni difensive in ordine "ai controsegnali" che avrebbero rassicurato l'imputato circa l'assenza di irregolarità di sorta negli acquisti dei titoli di B.). 15.2.2. Il concorso del Pe. nell'operatività delittuosa Le considerazioni testé svolte, quindi, orientano univocamente nel senso del coinvolgimento del PE. nella attività delittuosa. Sul punto, tuttavia, sono indispensabili le seguenti precisazioni. Il capo di imputazione addebita all'imputato di avere contribuito "attivamente" alla perpetrazione dei reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto. Dal canto suo, la difesa del giudicabile non ha mancato di osservare, in senso contrario, come ì rimproveri astrattamente addebitabili al PE. si sarebbero potuti in teoria risolvere unicamente "in presunti contributi di tipo omissivo non tanto per non avere impedito che altri realizzassero condotte illecite" - non essendo ravvisabile, ad avviso della stessa difesa, a carico del dirigente preposto e, tantomeno, del responsabile della "Divisione Bilancio e Pianificazione", alcuna "posizione di garanzia277 - piuttosto "per non avere dato atto" nei documenti espressione della sua funzione (bilanci, dati contabili destinati alle Autorità di vigilanza, ecc.) dell'esistenza di capitale finanziato..". Trattasi, a ben vedere, di questione che, ove doverosamente esaminata attraverso il prisma della concreta, peculiare dinamica dell'attività delittuosa siccome disvelata dai complessivi esiti dell'istruttoria, appare priva di reale consistenza. Al riguardo, una premessa è d'obbligo. Il ruolo rivestito dall'imputato all'interno della compagine di B. - e, segnatamente, l'incarico affidatogli di dirigente preposto - implicava necessariamente l'attribuzione, in capo al predetto, di una posizione di garanzia, ancorché il tribunale abbia affermato il contrario. In effetti, appare davvero arduo sostenere che non gravassero sull'imputato, una volta provatane - come si ritiene di avere fatto - la piena conoscenza del sistematico ricorso al capitale finanziato per valori complessivamente eclatanti, precisi doveri di intervento. A meno che non si voglia relegare - contro lo spirito e, come si vedrà, la stessa lettera della legge - il ruolo del dirigente preposto in ambiti meramente formali, infatti, è giocoforza concludere come, in una situazione quale quella in atto, da anni, presso l'istituto di credito vicentino, sul dirigente preposto incombessero specifici obblighi di intervento (eventualmente previo approfondimento della questione in esame) e, in ultima analisi, di franca dissociazione da una prassi tanto marcatamente irregolare. A fronte, per un verso, della conoscenza di un così diffuso ricorso al capitale finanziato (tale da alterare il valore dell'azione e, comunque, da indurre in errore ì terzi circa la solidità della banca berica) e delle ragioni all'origine di tale prassi, vitali per la stessa sopravvivenza dell'istituto di credito; e, per altro verso, della consapevolezza circa la doverosità dell'obbligo di decurtazione dal patrimonio di vigilanza degli importi dei finanziamenti destinati all'acquisto di azioni dell'istituto, ipotizzare che l'imputato potesse rimanere inerte, limitandosi ad elaborare i flussi informativi "ufficiali", della radicale inattendibilità dei quali era ben cosciente, senza incorrere in alcuna responsabilità, anche di natura penale, costituisce prospettazione del tutto irragionevole, prima ancora che giuridicamente infondata. In ogni caso, sotto tale secondo aspetto, va rimarcato che le funzioni ricoperte dal PE., tanto con riferimento alla direzione della "Divisione Bilancio" quanto al ruolo di "dirigente preposto", implicavano obblighi ben precisi. In particolare, l'art. 154 bis, co. 5, TUF, prevedeva l'idoneità dei documenti e delle procedure adottate dall'istituto a fornire una rappresentazione veritiera e corretta circa la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società. E' bensì vero che tale veridicità doveva intendersi limitata, a seguito della modifica normativa introdotta dal D.L.vo 303/06 che ha eliminato il riferimento alla "corrispondenza al vero", alla attestazione della corrispondenza dei dati comunicati con quelli risultanti dalla contabilizzazione interna; tuttavia, non pare francamente sostenibile che la conoscenza, aliunde acquisita, di una tanto marcata inattendibilità dei dati provenienti dai "flussi informativi" ufficiali potesse consentire l'apposizione di un "timbro" di conformità, senza imporre al dirigente preposto di attivarsi quantomeno per un approfondimento in proposito. In ogni caso, è dirimente osservare che sul dirigente preposto incombevano, ex art. 154 bis, co. 3, 5 lett. a), TUF, specifici doveri di controllo (anche in ordine alla adeguatezza delle procedure adottate dall'istituto di credito per la formazione dei documenti contabili e, quindi, anche alla idoneità di dette procedure ad "intercettare" adeguatamente fenomeni, aventi implicazioni contabili, altrimenti non rilevabili), ancorché all'imputato, nello specifico, fosse consentito assolverli avvalendosi della collaborazione di altre strutture della banca (segnatamente, l'Audit, in ragione di accordi organizzativi interni, come del resto precisato dallo stesso PE.279 ed evidenziato nella "consulenza Pa."). Ne consegue che, in presenza di una eclatante dimostrazione dell'inadeguatezza delle procedure interne ad intercettare un fenomeno tanto marcato, non può esservi alcun dubbio che sull'imputato gravasse un obbligo di intervento. Donde l'insostenibilità di un atteggiamento di "indifferenza" rispetto al contenuto delle comunicazioni rivolte all'esterno. Sotto tale profilo, pertanto, vi sarebbero i presupposti tutti per ravvisare gli estremi dell'elemento materiale del concorso omissivo, ex art. 40 cpv. c.p.. In siffatta prospettiva, invero, sarebbe l'inerzia a fronte della piena conoscenza dell'esistenza del fenomeno del capitale finanziato e delle sue gravissime implicazioni sul patrimonio di vigilanza della banca a legittimare l'addebito della responsabilità omissiva, senza alcuna necessità di dilatare la posizione di garanzia riconducibile al ruolo di dirigente preposto sino al punto di ricomprendervi (del tutto erroneamente, alla stregua della modifica normativa intervenuta con riferimento alla disposizione testé evocata del testo unico) la responsabilità per la veridicità sostanziale dei dati contabili. Sennonché, come si diceva, la questione assume, nella concretezza del caso in esame, ben scarso rilievo. Ed infatti: - per un verso, i complessivi esiti dell'istruttoria dibattimentale, come anche implementata nel corso del giudizio di appello (alla stregua, in particolare, delle dichiarazioni del coimputato GI.), hanno restituito i lineamenti di un effettivo concerto tra tutti i manager apicali dell'istituto di credito in ordine al sistematico ricorso al capitale finanziato quale strumento per assicurare la liquidità del titolo della banca, preservarne (l'apparente) valore e, al contempo, proseguire nella politica di espansione territoriale tenacemente perseguita dalla presidenza ZO., politica che, ove accantonata, avrebbe necessariamente significato, come efficacemente chiarito dal medesimo GI., la rinunzia, da parte dello stesso ZO., alla guida dell'istituto di credito - Si è trattato, a tutti gli effetti, di un accordo intervenuto nei fatti, senza, pertanto, che si fosse resa necessaria una specifica decisione assunta in occasione di una apposita riunione (e, tantomeno, la sua formalizzazione in un documento ufficiale). In definitiva, si è sostanzialmente verificata, a partire dagli anni 2011-2012, la progressiva implementazione di una più risalente operatività, adottata quando ancora non vi erano problemi di liquidità delle azioni ma si era soliti ricorrere a questo "sistema" per svuotare il fondo a fine anno c. in tal guisa, dare prova, da parte del più alto management di efficienza gestionale. Come s'è avuto modo di apprendere dagli esiti dell'istruttoria dibattimentale, infatti, le crescenti difficoltà nel ricollocare le azioni dell'istituto, oggetto di sempre maggiori richieste di vendita a partire dal 2011; la connessa esigenza di sostenere il valore del titolo; e, infine, la conseguente necessità di reperire capitale per rispettare i ratios patrimoniali, hanno spinto i vertici della banca a ricorrere sistematicamente al finanziamento dell'acquisto dei titoli, dando così vita ad una spirale perversa e, di fatto, insuscettibile di interruzione, originando una prassi divenuta addirittura essenziale per la stessa sopravvivenza della banca (specie allorquando, per effetto delle normativa europea, l'ammontare del fondo azioni proprie era stato drasticamente ridimensionato); - e, per altro verso, all'artificioso, massiccio sostegno della domanda di titoli divenuti illiquidi attraverso l'erogazione di appositi finanziamenti ed al successivo, sistematico occultamento di tale pratica ha contribuito anche la struttura diretta dall'imputato, tanto con l'esecuzione dell'indispensabile monitoraggio del "capitale finanziato" e con la conseguente, essenziale simulazione delle previsioni di ricaduta sul piano dei ratios patrimoniali, quanto con la successiva, consequenziale dissimulazione di tale fenomeno in occasione delle periodiche comunicazioni alla vigilanza. Tutto ciò ha avuto luogo con il consapevole, fattivo coinvolgimento anche del PE.. In un siffatto contesto, lo specifico apporto fornito dal predetto all'operatività delittuosa in esame è stato segnatamente rappresentato da condotte caratterizzate da profili non solo meramente "omissivi" (con riferimento, ad esempio, al mancato adeguamento delle procedure di contabilizzazione delle operazioni di capitale finanziato ed alla omissione della predisposizione di adeguati controlli sul punto nonché della successiva verifica della relativa efficacia, carenze, comunque, specificamente imputabili alla sua responsabilità di dirigente preposto), ma anche - e soprattutto - marcatamente attivi, avendo egli predisposto le false comunicazioni ripetutamente inviate alla vigilanza e fornito i dati contabili poi confluiti nelle comunicazioni al pubblico che radicano gli addebiti di aggiotaggio informativo e di falso in prospetto e, comunque - giova ripeterlo - avendo il predetto coordinato l'azione di una divisione chiamata (specie con l'agire del collaboratore Fa. ma, come si è visto, anche mediante il personale intervento dello stesso giudicabile) a cooperare al fenomeno in esame in sede di "monitoraggio" del capitale finanziario. Nella concretezza della vicenda sub iudice, quindi, le diverse condotte fattive ed omissive) nelle quali si è tradotto il contributo fornito dal giudicabile al fenomeno del capitale finanziato, già difficilmente "separabili" sul piano della mera astrattezza, finiscono per "saldarsi" in un contegno necessariamente unitario, smentendo, quindi, quell'alternativa secca tra azioni ed omissioni prospettata dalla difesa. Di qui la sussistenza dei presupposti tutti per ravvisare, nell'agire del predetto PE., gli estremi del concorso (attivo) nell'operatività delittuosa, senza, pertanto, alcuna reale necessità di valorizzare la posizione di garanzia pure sussistente, per quanto detto in proposito, in capo al giudicabile, posto che, con riferimento all'elemento soggettivo dei reati oggetto di addebito, sono sufficienti le seguenti considerazioni, davvero stringate. Si è già detto, infatti, che l'affermazione della penale responsabilità del compartecipe non richiede affatto il previo, comune concerto dell'attività delittuosa, essendo sufficiente che l'imputato sia stato consapevole di agire in comunione di intenti con i correi, conoscendone, quantomeno a grandi linee, i singoli ruoli (cfr. ex plurimis, le già citate Cass. Sez. V, n. 40274 del 5.10.2021, Catalano, Cass. Sez. II, n. 18745 del 15.1.2013, Ambrosiano, Cass. Sez. VI, n. 46309 del 9.10.2012, P.G. in proc. An., Sez. V, n. 25894 del 15.5.2009, Catanzaro e altri, Cass. Sez. VI, n. 37337 del 10.7.2003, D'A. Cass. Sez. VI, 25705 del 21.3.2003, Sa. e altri), essendo, peraltro, comunque bastevole, a tali fini, anche una unilaterale, successiva decisione di convergere sull'evento finale perseguito dai concorrenti (cfr. sul punto, Cass. Sez. III n. 44097 del 3.5.2018,1.). Ebbene, non v'è dubbio che l'atteggiamento psicologico a fondamento dell'agire del PE. soddisfi ampiamente tali condizioni. L'imputato, infatti, non solo ha scientemente trascurato ogni considerazione del sistematico ricorso al capitale finanziato, della cui entità eclatante, pure, era ben consapevole, ma, per il tramite dei propri collaboratori - ed anche, come s'è visto, con il proprio diretto intervento - ha fornito un decisivo contributo all'attuazione del fenomeno del capitale finanziato (sotto il profilo del relativo monitoraggio e, quindi, della indispensabile individuazione dell'ammontare dei finanziamenti necessari al raggiungimento degli obiettivi di capitale ai fini del rispetto dei parametri prudenziali). Tutto ciò egli ha fatto nella piena consapevolezza che la concessione di un tanto consistente credito per l'acquisto dei titoli B. non seguita dalla doverosa decurtazione dei relativi importi dal patrimonio di vigilanza avrebbe, per un verso, significativamente alterato il valore del titolo (occultandone il marcato deprezzamento); e, per altro verso, dissimulato all'esterno la reale situazione di grave crisi nella quale versava l'istituto di credito. Inoltre, nella sua veste di responsabile della Divisione Bilancio - e, segnatamente, nel curare le comunicazioni dirette alle autorità di Vigilanza - ha fornito un apporto decisivo nell'occultamento della prassi in esame, avendo specificamente di mira proprio la realizzazione dell'evento dì ostacolo (che costituisce, specificamente, l'oggetto del dolo del reato ex art. 2638, co. 2, c.c.), in tal guisa assicurando che tale prassi potesse essere continuativamente replicata. Ogni ulteriore digressione sul punto, pertanto, sarebbe davvero superflua. Da ultimo, una considerazione in diritto. E' noto come il ribaltamento in appello della decisione assolutoria in primo grado (c.d. "overturning sfavorevole") implichi la rinnovazione delle prove dichiarative decisive. Il principio, oggetto di consolidata interpretazione della giurisprudenza di legittimità (a partire dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 27620 del 28.4.2016, Da.) è stato successivamente tradotto in coerente disposizione di legge (art. 603, co.3 bis c.p.p.). Ebbene, nel caso di specie, è stata disposta, giusta ordinanza di questa Corte in data 18.5.2022, la riassunzione delle deposizioni che, nella prospettiva del primo giudice, avevano rivestito importanza ai fini della relativa pronunzia. Dette deposizioni, peraltro, non hanno assunto affatto decisivo rilievo ai fini della diversa decisione cui è pervenuta questa Corte. Piuttosto, la opposta "lettura" del ruolo concretamente rivestito dal PE. nei fatti per cui è processo è scaturita dalla congiunta valutazione di elementi di natura logica, prove documentali (rispetto alle quali non è certo previsto alcun obbligo di rinnovazione dell'attività di acquisizione - cfr. Cass. Sez. III, n. 36905 del 13.10.2020, Ve.), esiti di intercettazione di comunicazioni (talvolta, peraltro, obliterati dal giudice di prime cure: è il caso della conversazione GI./Pi. n. progr. 359 dell'1.9.2015, ma anche del messaggio SMS GI./PI. in atti sub doc. 811 della produzione P.M.), nonché di deposizioni il cui tenore era del tutto incontestato, ovvero che, con riferimento alla posizione processuale in esame, erano state pretermesse dal tribunale (intende farsi riferimento al passaggio della deposizione resa dal teste Bo. in ordine all'incontro tenutosi in vista dell'ormai prossima ispezione Bc.). Va precisato, infatti, con riferimento alle prove testimoniali, che si è in presenza, nel complesso, di elementi che, di perse inidonei a formare oggetto di opposte valutazioni in punto di responsabilità dell'imputato, hanno tuttavia assunto ben più pregnante significato proprio alla stregua dì tale complessiva valutazione. A ciò si sono aggiunte - come si è visto - le significative dichiarazioni rese, nel corso del giudizio di appello, dal coimputato GI., il cui contributo dichiarativo è stato oggetto di ampia "sperimentazione" nell'agone dibattimentale innanzi a questa Corte. Nessun pregiudizio alle ragioni difensive, pertanto, è dato, nella specie, ravvisare, con riferimento al ribaltamento della decisione di prime cure. 15.2.3 Il trattamento sanzionatorio Venendo, infine, al trattamento sanzionatorio, nel valutare tutti gli indici di riferimento rilevanti a tali fini, occorre necessariamente prendere le mosse dal ruolo essenziale ricoperto dal giudicabile nel verificarsi del fenomeno delle operazioni "baciate": se è vero che l'attuazione concreta di tale prassi ha più direttamente investito altre figure professionali (i vertici aziendali ed i responsabili delle Divisioni Mercati e Crediti), in ragione delle rispettive competenze, è altrettanto indubbio che i coimputati hanno potuto fare affidamento proprio sul decisivo apporto omissivo ed attivo fornito loro dal responsabile della Divisione Bilancio nei termini di cui s'è detto. I fatti, poi, sono di evidente gravità, per la prolungata durata delle condotte delittuose e, soprattutto, per gli esiti che hanno poi cagionato. Trattasi di elementi che dovrebbero orientare la dosimetria sanzionatoria nel senso del rigore. Nondimeno, neppure possono trascurarsi, in senso contrario, non solo il positivo profilo soggettivo del giudicabile, immune da precedenti di sorta, ma anche - e soprattutto - la circostanza che il PE. è stato, di fatto, trascinato (al pari dei correi GI., MA. e PI.) in una sconsiderata operatività illecita dalla volontà dei massimi responsabili aziendali e, con ogni probabilità, da un malinteso spirito di corpo, che lo ha indotto a piegare il proprio ruolo a quelli che gli parevano essere gli impellenti interessi "immediati" della Banca. Se, infatti, le specifiche qualità professionali del giudicabile lo rendevano tra i dirigenti più attrezzati per cogliere la assurdità di una prassi pressoché inevitabilmente destinata, per la sua crescente entità, ad esitare nel default dell'istituto, non emerge che a tale acuta consapevolezza si sia accompagnata una altrettanto marcata volontà di attuazione dell'operatività delittuosa in esame, sicché l'intensità del dolo non ne risulta altrettanto amplificata. Quanto al comportamento processuale tenuto dal giudicabile, poi, si è trattato di contegno improntato a correttezza e misura. Ricorrono, pertanto, le condizioni per riconoscere al PE. le attenuanti generiche, ancorché in regime di mera equivalenza, tenuto conto della obiettiva gravità dei fatti. Ciò posto, la valutazione dei criteri tutti ex art. 133 c.p. e, segnatamente, degli elementi testé richiamati, induce questa Corte a stimare adeguato ai fatti delittuosi ed al contributo prestato dall'imputato alla complessiva vicenda delittuosa in esame un trattamento sanzionatorio (tenuto ovviamente conto delle maturate prescrizioni) che, tanto con riferimento alla pena base (da quantificarsi nella misura di anni tre di reclusione in relazione all'addebito sub H1), quanto all'entità degli aumenti da irrogarsi a titolo di continuazione (mesi uno e giorni quindici per le ulteriori condotte di ostacolo; giorni quindici di reclusione per la residua condotta di aggiotaggio) non si discosta da quello da riservarsi ai coimputati PI. e MA. (fatte salve le diversità riferibili, quanto al MA., alle disposte parziali assoluzioni derivanti dalle peculiarità del caso), con conseguente pena finale da irrogarsi nella misura di anni tre e mesi undici di reclusione. 16 L'appello nell'interesse dì B. in l.c.a. L'appello è parzialmente fondato, nei termini di cui alla motivazione che segue. 16.1 Anzitutto, destituito di fondamento è il primo motivo di appello, volto a contestare che i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza siano stati effettivamente commessi "nell'interesse" ed a "vantaggio" di B.. Al riguardo, si impongono, anzitutto, le seguenti considerazioni preliminari. Com'è noto, il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, nel l'introdurre una forma di responsabilità dell'ente bensì connessa a quella, penale, propria dell'autore di tale delitto, ma anche del tutto autonoma, ha previsto, ex art. 5 D. L.vo cit., che la connessione in parola operi su due piani distinti: - da un lato, occorre che la persona fisica che ha commesso il reato abbia agito nell'"interesse" o a "vantaggio" dell'ente; - dall'altro, è necessario che l'autore del fatto rivesta un ruolo apicale all'interno dell'ente medesimo (trattasi dell'ipotesi ex art, 5 lett. co. 1 lett. a), d.L.vo cit.) - ovvero che costui sia sottoposto all'altrui direzione (è il caso previsto ex art. 5, co. 1, lett. b), D. L.vo cit.). Ebbene, come è stato efficacemente precisato dalla giurisprudenza di legittimità "... la lettera a) tipizza il ad. principio di identificazione, per il quale l'ente si identifica nel soggetto in posizione apicale e così, dunque, é come se avesse direttamente commesso il reato. E tuttavia previsto un contemperamento: l'ente non risponde se prova la sussistenza di tutti e quattro i criteri appositamente previsti dal successivo art. 6, co. 1, ossia l'esistenza e la corretta attuazione di modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la commissione di reati della specie di quello verificatosi. Nel caso dei soggetti di cui alla ietterà b), invece, ci troviamo di fronte ad una vera e propria fattispecie colposa, prevista dall'art. 7 del decreto, a norma del quale l'ente risponde se non ha rispettato i propri obblighi di direzione o di vigilanza, I quali fanno capo al modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal decreto e considerato dai commi 2, 3 e 4 dell'art. 7..." (così, efficacemente, Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018, dep. 9.8.2018, Co.Me. s.a.c.). Quanto, poi, alla natura della responsabilità dell'ente, è consolidato il principio per cui trattasi di un tertium genus di responsabilità che, "...coniugando i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un sistema di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza (Sez. Un., n. 38343 del 24 aprile 2014, P.G., R.C., Es. e altri Rv. 261112). Parimenti, si è chiarita anche la natura autonoma della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ponga in essere il reato-presupposto. Ai sensi dell'art. 8 del decreto, rubricato per l'appunto "autonomia della responsabilità dell'ente", la responsabilità dell'ente deve essere, infatti, affermata anche nel caso in cui l'autore del suddetto reato non sia stato identificato, non sia imputabile ovvero il reato sia estinto per causa diversa dall'amnistia (Sez. 5, n. 20060 del 4 aprile 2013 P.M. in proc. Ci., Rv. 255414; Sez. 6, n. 28299 del 10 novembre 2015, Bo., Rv. 267048). Ciò significa che la responsabilità amministrativo penale da organizzazione prevista dal D.Lgs. n. 231/2001 investe direttamente l'ente, trovando nella commissione di un reato da parte della persona fisica il solo presupposto, ma non già l'intera sua concretizzazione. La colpa di organizzazione, quindi, fonda una colpevolezza autonoma dell'ente, distinta anche se connessa rispetto a quella della persona fisica....." (cfr. così, ancora, la già citata Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018 dep. 9.8-2018, Co.Me. s.c.a.). Inoltre, con riferimento alla nozione di "interesse" e di "vantaggio", costituisce ius receptum il principio secondo il quale i predetti criteri, lungi dall'essere sovrapponibili, sono alternativi tra loro ed esprimono, rispettivamente, l'esito di una differente valutazione (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a., Cass. Sez. II n. 3615 del 20.12.2005, D'A.). L'"Interesse", infatti, è espressione di una "valutazione teleologica del reato", da effettuarsi ex ante (ovverosia al momento di commissione del reato) secondo un "metro di giudizio marcatamente soggettivo", ma sempre ponendosi nella prospettiva del soggetto collettivo e non esclusivamente dell'autore del reato (come, del resto, si ricava dal fatto che la responsabilità dell'ente sussiste, ex art. 8 co. 1, lett. a D. L.vo cit., anche quando l'autore del reato non è identificabile o non è imputabile, nonché dal progressivo inserimento nel catalogo dei reati presupposti anche di ipotesi di responsabilità dell'ente per reati di natura colposa - cfr. sul punto, la già citata Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.; cfr. Cass. Sez. V, n. 40380 del 26.4,2012, Se.); il "vantaggio", invece, ha "una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito - (cfr. " Cass. Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014, R.C., Es. e altri). L'"interesse", quindi, indica la finalizzazione del reato al perseguimento di una utilità (senza peraltro che sia necessario che l'utilità venga raggiunta); il "vantaggio", per contro, rappresenta il risultato obiettivamente positivo, non necessariamente di natura patrimoniale, scaturito dall'attività delittuosa. In altri e decisivi termini e concludendo sul punto, "... il richiamo all'interesse dell'ente valorizza una prospettiva soggettiva della condotta delittuosa posta in essere dalla persona fisica da apprezzare ex ante, mentre il riferimento al vantaggio evidenzia un dato oggettivo che richiede sempre una verifica ex post." (così si esprime Cass. Sez. IV, n. 38363 del 23.5.2018, dep. 9.8.2018, Co.Me. s.p.a., si veda, inoltre, Cass. Sez. V, n. 10256 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.) In tal senso sinteticamente individuate le coordinate interpretative che debbono orientare il vaglio della regiudicanda e passando, quindi, a fare concreta applicazione di tali criteri nella vicenda sub iudice, osserva, anzitutto, questa Corte, come i requisiti costituiti, rispettivamente, dall'"interesse" dell'ente alla commissione dei reati presupposto e dal "vantaggio" tratto dal medesimo ente da tali reati siano stati dal tribunale di Vicenza correttamente ravvisati, nel solco dell'imputazione: - quanto al delitto ex art. 2637 c.c., nel mantenimento del valore dell'azione e nell'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto di credito; - e, quanto al reato ex art. 2638 c.c., nello svolgimento dell'attività bancaria in assenza di interventi della Banca d'Italia (e, nel periodo 2014/2015, di Bc.) i coerenti con la situazione reale dell'istituto, nonché nell'ottenimento dell'autorizzazione dell'autorità di vigilanza alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale di classe 1 e, infine, nel rafforzamento patrimoniale derivante dall'operazione di aumento di capitale del 2014. Ebbene, l'appellante, come s'è detto, si duole della ricostruzione operata dal primo giudice in ordine al presupposto per l'affermazione di responsabilità di B. costituto dall'essere stati perpetrati i reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza nell'interesse dell'istituto di credito vicentino. Più nel dettaglio, nel gravame si sostiene che il fenomeno sottostante alle, condotte delittuose sarebbe stato, ab origine, radicalmente pregiudizievole per la banca, sicché difetterebbe il presupposto dell'interesse/vantaggio derivante, per l'ente, dalla commissione dei reati in questione. In effetti, in disparte il riferimento generale alla nozione di interesse/vantaggio pure contenuto nell'appello, tutte le considerazioni svolte, nell'impugnazione, da pag. 10 a pag. 43 del relativo atto (sostanzialmente, l'intero primo motivo), altro non sono che una (peraltro condivisibile) ricostruzione di un fenomeno-fenomeno - quello del capitale finanziato e delle concrete caratteristiche che, nel caso di specie, tale fenomeno ha progressivamente assunto - contrastante con una sana gestione dell'attività creditizia e foriero di serio pregiudizio economico per l'istituto di credito. In questa prospettiva, pertanto, anche il successivo occultamento di tale fenomeno sarebbe stato parimenti dannoso per la B. perché, grazie a tale occultamento, l'istituto avrebbe potuto effettuare operazioni fruendo di autorizzazioni che la Banca d'Italia, ove adeguatamente informata, non avrebbe rilasciato. L'interesse dell'ente, pertanto, andrebbe verificato alla stregua di tali dati oggettivi e, conseguentemente, non sarebbe ravvisabile (alfa stregua, peraltro, della valutazione - ritenuta dall'appellante del tutto condivisibile - operata in fattispecie analoga dall'autorità giudiziaria senese, in sede di archiviazione, nel procedimento relativo alla gestione dell'istituto di credito Mp., per i reati 2622, 2638 ex. e 185 D. L.vo 185/98, come da provvedimento allegato all'appello). In altri termini, osservando il fenomeno in esame da siffatta visuale, tutto ciò che si pone in contrasto con una sana gestione aziendale non potrebbe essere compiuto nell'interesse dell'ente. Ne deriva - ad avviso dell'appellante - che il tribunale berico, nel sostenere che l'occultamento della situazione reale avrebbe giovato a B., sarebbe sostanzialmente incorso in un paralogismo. Sennonché è agevole osservare, in senso contrario, come l'argomentazione difensiva, pur prima facie suggestiva, sconti un radicale errore di prospettiva, oltre a trascurare, in punto di fatto, la circostanza (tutt'altro che marginale e, anzi, a ben vedere, di per sé già dirimente) che le "baciate" non esaurivano certo le operazioni di capitale finanziato (posto che una buona parte dei titoli di B. sono stati in ogni caso collocati, tanto sul mercato primario che su quello secondario, senza la necessità del ricorso ai finanziamenti e che ciò è potuto avvenire solo grazie alla prosecuzione dell'attività di impresa consentita proprio dalla prassi del capitale finanziato). Per vero, a fondare la responsabilità dell'ente, non sono affatto, genericamente, le operazioni di capitale finanziato poste in essere "a monte" del fenomeno delittuoso sub iudice, bensì le condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza (e, tra le prime, segnatamente, quelle di aggiotaggio informativo) che, realizzate "a valle" dei finanziamenti "correlati," radicano gli addebiti di riferimento. Nel caso in esame, infatti, i reati presupposto, lungi dall'essere stati finalizzati a porre in essere, in assenza delle condizioni di sostenibilità finanziaria, operazioni bancarie pregiudizievoli per i "fondamentali" dell'ente, sono stati ideati e perpetrati allo scopo di occultare tale scorretta operatività (che, in sé stessa, prescindeva totalmente dall'attività delittuosa in esame), consentendo all'istituto di mantenere standard elevati nell'esercizio dell'attività bancaria (si veda, per un analogo caso di affermato interesse di un istituto di credito all'occultamento delle "lacune sul piano della tenuta finanziaria e patrimoniale" della società, la già citata Cass. Sez. V, n. 10265 del 28.11.2013, Ba.It. S.p.a.); In altri termini, come ben precisato dal primo giudice - senza, peraltro, che le relative considerazioni siano state oggetto di reale, argomentata censura nell'impugnazione (che, in effetti, sul punto, si limita alla sostanziale riproposizione delle argomentazioni già motivatamente disattese dal tribunale) - una volta che la dirigenza dell'istituto vicentino aveva spregiudicatamente iniziato ad incrementare il precedente, ben più sporadico ricorso al meccanismo di finanziamento per l'acquisto delle azioni proprie (finendo per ricorrervi non soltanto, come fatto in passato, per contingenti necessità, bensì come usuale modalità di gestione del mercato degli strumenti finanziari anche a costo di porre necessariamente in essere attività collegate - quali lo storno degli interessi, il rilascio di lettere di impegno e, addirittura, il riconoscimento di interessi in favore dei soggetti finanziati - complessivamente tali da depauperare le risorse dell'istituto medesimo), l'occultamento di tale prassi attraverso la perpetrazione delle condotte delittuose oggetto di addebito è stato indubbiamente funzionale a consentire la perdurante operatività dell'istituto di credito. In definitiva, i reati di aggiotaggio ed ostacolo alla vigilanza hanno assicurato all'istituto di credito: - per un verso (quanto al reato di aggiotaggio), l'apparente liquidità del titolo, il mantenimento del valore dell'azione e l'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale dell'istituto di credito, evitando che fossero destinate a riserve consistenti risorse; - e, per altro verso (quanto al reato di ostacolo alla vigilanza), la prosecuzione dello svolgimento dell'attività bancaria in assenza di interventi della Banca d'Italia coerenti con la (precaria) situazione reale dell'istituto (interventi, peraltro, che avrebbero anche potuto comportare il divieto della distribuzione di utili, oltre all'attivazione di procedure sanzionatone in relazione all'esubero delle azioni detenute), nonché l'ottenimento delle autorizzazioni delle autorità di vigilanza necessarie sia alla classificazione delle azioni di nuova emissione come strumenti di capitale di classe 1 sia agli aumenti di capitale 2014. Ebbene, ponendosi in siffatta prospettiva - l'unica aderente alla concreta dinamica dei fatti - l'interesse della società alla perpetrazione dei reati in esame emerge davvero in termini di evidenza. In effetti, una volta effettuate "operazioni baciate" e omesse le relative decurtazioni dal patrimonio di vigilanza (operazioni, isolatamente considerate, lo si ripete, non costituenti reato, se non quando, per la loro sistematicità, hanno determinato l'apparenza della liquidità del titolo ed hanno inciso sull'affidamento riposto dal pubblico nella stabilità patrimoniale della banca, integrando gli estremi dell'aggiotaggio manipolativo) è davvero arduo negare che le successive condotte delittuose di aggiotaggio informativo e di ostacolo alla vigilanza abbiano consentito alla società di proseguire nell'attività dì impresa. Peraltro, una volta avviata la "spirale" perversa del ricorso al capitale finanziato anche le successive condotte di aggiotaggio manipolativo sono state indubbiamente funzionali ad assicurare la prosecuzione dell'attività creditizia. E' stato proprio attraverso le condotte di false prospettazioni al mercato ed alla vigilanza, infatti, che B. ha scongiurato gli effetti pregiudizievoli che sarebbero derivati dal disvelamento della dissennata politica di impresa di continuo ricorso al capitale finanziato e, in tal guisa, ha potuto proseguire nell'attività bancaria, assicurandosi - sia pure solo temporaneamente - tanto l'afflusso di nuovo capitale quanto il mantenimento di quello esistente, come efficacemente sintetizzato dal primo giudice. E, questo, a tacere del fatto che le attività decettive erano funzionali a nascondere carenze patrimoniali non unicamente derivanti da "operazioni baciate". Né tali conclusioni contrastano: - sia con l'accezione oggettiva che, come s'è detto, deve riconoscersi alla nozione di "interesse" rilevante ex art, 5 D.L.vo 231/01 (nel senso che non deve confondersi l'interesse dell'ente con quello proprio dell'autore dei reati); - sia con il momento (ex ante rispetto all'attività delittuosa) nel quale la relativa valutazione deve essere effettuata, secondo i parametri di riferimento sopra richiamati. A ben vedere, infatti, ove si effettui il relativo vaglio doverosamente tenendo a mente la concretezza della vicenda in esame - ovverosia calibrando il giudizio alla luce della situazione esistente al momento della commissione dei fatti di reato e non già astraendo dal contesto specifico di riferimento (e, sul punto, non può che richiamarsi la puntuale ricostruzione dei fatti siccome operata dal primo giudice) - è giocoforza concludere che l'attività delittuosa è stata posta in essere proprio in quanto logicamente ritenuta l'unico rimedio per consentire alla banca vicentina di proseguire nell'attività d'impresa, scongiurando la crisi o, comunque, differendone sensibilmente la manifestazione. E, quindi, per assicurare, proprio in quella logica di perseguimento del "profitto a tutti i costi" siccome efficacemente evocata dallo stesso appellante (cfr atto di appello, pag. 6), la prosecuzione dell'attività d'impresa, anche mediante comportamenti devianti. Il tribunale, pertanto, non ha affatto confuso l'interesse dell'ente con quello, personale, degli autori del reato, ma ha correttamente esaminato (ex ante) detto tema di indagine attraverso il prisma della effettiva situazione critica nella quale versava la B. allorché ha avuto concretamente attuazione il programma criminoso. Ovverosia, ha effettuato una analisi che, prendendo debitamente le mosse dalla considerazione critica del concreto contesto di riferimento, ha correttamente valutato il presupposto di responsabilità costituito dall'interesse dell'ente non già in modo astratto, bensì alla luce della specifica situazione di riferimento, il tutto secondo un criterio di riferimento debitamente oggettivo, in quanto misurato nella specifica prospettiva della società (necessariamente indagata alla luce dell'obiettivo - condiviso e scientemente perseguito dai vertici aziendali responsabili delle condotte delittuose - di assicurare la perdurante operatività dell'istituto di credito, superando le oravi criticità in atto e senza affatto confondere tale interesse con oli ulteriori scopi, di natura meramente personale, propri degli autori del reato. In quest'ottica, quindi, il fatto che all'origine delle serie difficoltà operative che la dirigenza dell'istituto di credito ha inteso "aggirare" attraverso la commissione dei reati in esame vi fossero scelte gestionali dissennate e radicalmente contrarie all'interesse ad una corretta e sana attività creditizia costituisce circostanza tanto pacifica quanto estranea allo specifico e differente (ancorché collegato) tema in esame. Altrettanto dicasi per le pur articolate argomentazioni difensive in ordine alla natura pregiudizievole per l'istituto di credito della prassi di ricorrere al capitale finanziato siccome concretamente adottata dalla dirigenza della banca. Ed analoghe conclusioni, poi, si impongono in relazione a quanto pur dettagliatamente sostenuto nell'atto di appello (segnatamente, alle pagg. 10-24, 25-30) in ordine al pregiudizio derivante alla banca vicentina: - dall'apparente rafforzamento patrimoniale conseguente agli aumenti di capitale 2013-2014; - dai finanziamenti "corredati" dalla pratica degli storni; - dall'applicazione di tassi di interesse "in perdita"; - dall'impegno al riacquisto, con conseguente trasformazione dell'azione in una sorta di obbligazione; - e, infine, dalla eccentricità rispetto al preteso interesse di B. dell'operatività sui fondi lussemburghesi. In definitiva, tutte le considerazioni critiche che esauriscono il primo motivo di gravame si risolvono nella riproposizione di un approccio al profilo della responsabilità dell'ente che sconta l'errore metodologico di sovrapporre la natura delle operazioni di capitale finanziato (certamente pregiudizievoli per una sana gestione dell'attività creditizia) all'obiettivo - individuato e pervicacemente perseguito dalla più alta dirigenza dell'istituto di credito (una volta che dette operazioni avevano iniziato a rappresentare una modalità ordinaria di "gestione" delle problematiche inerenti al mantenimento del valore delle azioni ed alla relativa collocazione e circolazione) - di proseguire nella gestione dell'attività bancaria occultando al mercato ed agli organismi di vigilanza dette difficoltà. In altri e decisivi termini, l'impostazione difensiva risulta sostanzialmente fondata su un equivoco: - da un lato, infatti, palesemente confonde le operazioni di capitale finanziato con i successivi reati di occultamento; - dall'altro - e conseguentemente - valuta l'interesse della B. in senso astratto, normativo, sotto il profilo del "dover essere" (ovverosia delle corrette modalità di esercizio dell'attività di impresa bancaria), del tutto prescindendo da quella situazione concreta che, al contrario, deve costituire il fuoco dell'attività di accertamento della responsabilità dell'ente. Del resto - e trattasi, sul punto, di considerazione davvero conclusiva - la tesi sostenuta nell'appello finisce, come suole dirsi, per "provare troppo". Opinando in tal guisa, infatti, si dovrebbe necessariamente concludere nel senso della impossibilità di ravvisare - sempre e comunque - la responsabilità dell'ente in relazione ai delitti di aggiotaggio, manipolativo ed informativo, nonché di ostacolo alla vigilanza, allorché posti in essere per occultare una pregressa/contestuale gestione irregolare dell'attività bancaria. Ma, allora, non si comprenderebbe l'inserimento di tali reati nel catalogo dei "reati-presupposto", posto che, in effetti, non residuerebbero margini significativi per una responsabilità dell'ente per siffatti delitti. Sicché, anche ove sottoposte ad un vaglio di "razionalità", le considerazioni difensive (anche là dove richiamano le valutazioni dell'autorità giudiziaria senese nel provvedimento di archiviazione reso nel procedimento 2973/13 a carico dell'istituto di credito Mp. - cfr. atto di appello, pag. 36 e decreto di archiviazione ad esso allegato) non possono affatto ritenersi persuasive. Che, poi, l'attività delittuosa sia stata anche funzionale ad assicurare il mantenimento dì posizioni apicali ai vertici aziendali è affermazione certamente convincente; trattasi, tuttavia, di circostanza che, non escludendo affatto il concorrente interesse della società, non elide certo la sussistenza dell'illecito dell'ente (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 1, n. 43689 del 26/06/2015, dep. 29/10/2015, Fe., là dove è stato precisato che: "la responsabilità da reato dell'ente deve essere esclusa qualora i soggetti indicati dall'art. 5 comma primo lett. a) e b) D.Lgs. n. 231 abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi, in quanto ciò determina il venir meno dello schema di immedesimazione organica e l'illecito commesso, pur tornando a vantaggio dell'ente, non può più ritenersi come fatto suo proprio ma un vantaggio fortuito, non attribuibile alla volontà della persona giuridica"; cfr altresì, Cass. Sez. VI, n. 15443 del 19.1.2021 dep. 23.4.2021, Ec.Se.: "Ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, è sufficiente la prova dell'avvenuto conseguimento di un vantaggio ex art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2001 da parte dell'ente, anche quando non sia possibile determinare l'effettivo interesse da esso vantato "ex ante" rispetto alla consumazione dell'illecito, purché il reato non sia stato commesso nell'esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi") cfr. infine, Cass. Sez. 6, n. 54640 del 25.9.2018, dep. 6.12.2018, Pa.: "Sussiste la responsabilità da reato dell'ente anche qualora l'autore del reato presupposto abbia agito per un interesse prevalentemente proprio. (In motivazione, la Corte ha ritenuto sussistente un marginale interesse della società rispetto alla condotta corruttiva dell'imputato, da questi realizzata principalmente per tutelare la sua immagine all'interno della società, ma comunque suscettibile di consentire all'ente di evitare l'irrogazione di penali e sanzioni, pur se di minima consistenza". Donde l'infondatezza del primo motivo di appello. E' solo per completezza, quindi, che va precisato come, nel caso di specie, l'attività delittuosa abbia anche arrecato un concreto vantaggio a B.. Il tribunale, sul punto, ha speso solo poche parole, evidenziando come, nel caso di specie, per un verso, venissero in rilievo condotte in relazione alle quali, all'epoca dei fatti, la formulazione dell'art. 25 ter D.L.vo 231/01 allora vigente non contemplasse il criterio del vantaggio, ancorché la giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Sez. V, n. 10625 del 28.11.2013) avesse precisato che si trattava di un mero problema di tecnica di redazione del testo di legge dal quale non era affatto lecito inferire l'esistenza di una deroga prevista, in ambito societario, agli ordinari criteri di imputazione ex art. 5; e, per altro verso, la questione non assumesse rilievo dirimente "poiché resta assorbente il ricorrere, in tutti i reati presupposto che vengono in considerazione, di un interesse dell'ente, sicché la concretizzazione di un vantaggio, ove conseguito, si pone come ulteriore conferma del ricorrere di un interesse ex ante (così a pag. 779 della sentenza impugnata). Ebbene, osserva questa Corte, al riguardo, come, doverosamente prescindendo dal fallimentare esito "definitivo", esiziale per la stessa sopravvivenza dell'ente, conseguente al sistematico ricorso al capitale finanziato e tenendo a mente, per contro, il fatto che l'attività delittuosa ha consentito all'istituto di credito, per anni, di proseguire nell'attività di impresa e, in tal guisa, di recuperare ingenti risorse attraverso il collocamento di azioni (tanto sul mercato primario quanto su quello secondario) anche prescindendo dalla concessione di finanziamenti (e, al riguardo, è sufficiente richiamare i dati sugli aumenti di capitale per comprendere l'entità davvero significativa delle azioni "interamente liberate" collocate sul mercato), debba giocoforza concludersi nel senso che l'istituto di credito vicentino ha tratto, a lungo, effettivo ed assai concreto giovamento dall'attività delittuosa di manipolazione delle azioni e del mercato e di conseguente occultamento alle autorità di vigilanza di siffatta operatività illecita. Ponendosi in questa prospettiva (ovverosia effettuando bensì una valutazione ex post rispetto alla commissione dei reati ma sottraendosi, al contempo, all'abbaglio che deriverebbe dall'analizzare il fenomeno in esame privilegiando, quale punto di osservazione, quello coincidente con la fase finale della parabola della vita di B.) deve necessariamente concludersi nel senso del ricorrere, nel caso di specie, anche del requisito del "vantaggio", vantaggio che, d'altronde, - come già acutamente osservato dal primo giudice, costituisce un ulteriore riscontro dell'interesse perseguito dall'ente attraverso l'operatività delittuosa in esame. 16.2 Destituito di fondamento è anche il secondo motivo di impugnazione. Al riguardo, va anzitutto premesso che il primo giudice ha ripetutamente osservato: - per un verso, come, nel modello adottato da B., nulla dì realmente specifico fosse previsto con riferimento alla prevenzione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, fin dalla fase di protrazione dei rischi; - per altro verso, come il modello non fosse attuato e presidiato da un organismo di vigilanza realmente idoneo allo scopo (sotto lo specifico profilo della dotazione di adeguati poteri e, soprattutto, degli indispensabili requisiti, dì indipendenza); - e, per altro verso ancora, come la commissione dei reati non sia stata conseguenza dell'elusione del modello in questione, "avendo gli imputati e, in particolare i vertici della banca....potuto operare senza sottostare ad alcun tipo di vaglio o riscontro....grazie all'assenza e comunque all'ineffettività dei già lacunosi controlli previsti e ad una situazione dei presidi interni a B. connotata da diffusi elementi di opacità, dalla assoluta inadeguatezza dei controlli e dalla compiacenza degli stessi soggetti che avrebbero dovuto fungere da controllori" (cfr. pag. 802 della sentenza impugnata). Per contro, nella prospettiva dell'appellante (che dedica ad argomentare le relative censure le pagine da 43 a 60 dell'atto di impugnazione) si sostiene che il modello organizzativo sarebbe stato effettivamente adeguato a prevenire i reati in esame, anche in ragione della sussistenza di un organismo di vigilanza caratterizzato da autonomia e dotato di effettivi poteri di controllo, tanto che la commissione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza sarebbe stata unicamente l'effetto dell'elusione fraudolenta di tale modello. E, per sostenere siffatte conclusioni, l'appellante, dopo alcune considerazioni preliminari in punto di criteri di valutazione della "colpa di organizzazione" - colpa che, si precisa nel gravame, dovrebbe necessariamente trovare un insuperabile limite nella "inesigibilità" della condotta alternativa lecita - ha descritto struttura e contenuti del modello organizzativo vigente in B. (sia nella versione "base" del 2012, sia in quella successivamente aggiornata). Nondimeno, ad avviso della Corte, gli elementi disponibili depongono in senso radicalmente contrario. Per vero, ove si consideri, - che il modello organizzativo altro non rappresenta che uno strumento di gestione del rischio da commissione di (determinati) reati, ovverosia un dispositivo finalizzato a scongiurare la perpetrazione di attività delittuose poste in essere, come s'è detto, nell'interesse o a vantaggio dell'ente medesimo e, quindi, ad evitare le conseguenze sfavorevoli costituite, per l'ente in questione, dalle relative dalle sanzioni; - e che, pertanto, un modello organizzativo adeguato - la sussistenza del quale vale, unitamente alle altre condizioni, ad escludere la "colpa di organizzazione" (e, quindi, la responsabilità dell'ente, ex art. 6, co. 1 lett. a), D.l.vo 231/01) - deve essere caratterizzato dall'adozione e dalla conseguente attuazione di contro-misure di "prevenzione" idonee ed efficaci, contromisure che, per essere ritenute tali, non solo devono rispondere ai parametri astrattamente delineati ex artt. 6, 7 D.L.vo citato, ma devono poi essere adeguate alla concreta situazione di riferimento, deve necessariamente concludersi come, caso sub iudice, detto modello risulti caratterizzato da prescrizioni per lo più generiche e, quindi, manifesti gravi lacune tanto sotto il versante dell'idoneità quanto sotto quello dell'efficacia. In proposito, con specifico riferimento al modello relativo all'anno 2012 il richiamo è, segnatamente, ai paragrafi: 2.5, relativo alla "Mappatura delle aree a rischio"; 2.6, relativo alla "Analisi del sistema di controllo interno e definizione dei protocolli"; nonché, in relazione alla parte 4, inerente ai "Protocolli" (ovverosia alle sezioni del modello organizzativo contenenti le previsioni più specifiche), ai paragrafi: 4.2.1, inerente alla "Gestione delle operazioni societarie" (pagg. 61-66); 4.2.2, inerente alla "Gestione dei rapporti con le autorità di vigilanza" (pagg. 66 e ss.); 4.2.6 - inerente alla "Gestione della Co.Ge. e predisposizione del bilancio" (pagg. 80 e ss,); 4.2.7, inerente alla "Gestione delle attività sui mercati finanziari" (pag. 84 e ss.); 4.2.12 inerente alla "Gestione dei finanziamenti agevolati verso la clientela" (pag. 108 e ss.). Ebbene, dopo il richiamo alla disciplina di settore e la individuazione delle aree dì rischio, il modello in esame contiene indicazioni di portata assolutamente generale per prevenire la commissione dei delitti in questione, in larga parte risolvendosi nella previsione della adozione di una organizzazione interna basata sui criteri di ripartizione di competenze e segregazione funzionale in ordine a specifiche attività, nonché di cura di adempimenti formali, ovvero nell'impartire divieti attinenti a profili marginali rispetto all'esigenza di prevenire i reati in esame. Più nel dettaglio, dall'analisi delle previsioni contenute in detto modello emerge, con specifico riferimento al rischio di commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, l'assenza di previsioni puntuali riferibili, oltre che alle modalità di predisposizione dei bilanci (segnatamente, in relazione al computo dei requisiti patrimoniali anche ai fini del patrimonio di vigilanza) e di erogazione del credito, a profili essenziali dell'operatività della banca, sempre in relazione al pericolo di commissione dei suddetti delitti. Trattasi, segnatamente: a) dei meccanismi di controllo delle operazioni di collocamento delle azioni dell'istituto, azioni il cui valore - va ribadito - era affidato alla autodeterminazione da parte della banca. Davvero pertinente, sul punto, è il richiamo effettuato dal primo giudice alla deposizione resa dal teste Ro., là dove costui ha riferito che, quando aveva tentato di introdurre un meccanismo di informatizzazione della procedura per la gestione degli acquisti/vendite delle azioni, era stato minacciato dì licenziamento; b) degli impieghi ai quali erano destinati i finanziamenti concessi dall'istituto medesimo rispetto alla collocazione delle azioni (a mero titolo di esempio: non era contemplata la diretta verifica delle operazioni di finanziamento; né erano disciplinate interlocuzioni con la clientela finanziata, neppure in relazione agli aumenti di capitale); c) del flusso di informazioni interne (sempre a titolo meramente esemplificativo: manca la previsione di report periodici provenienti dai settori più a rischio in relazione alle fattispecie in esame; né constano presidi organizzativi tali da assicurare che all'OdV potessero giungere segnalazioni con modalità tali da assicurare garanzie reali di riservatezza, l'unico "canale" di comunicazione previsto essendo costituito da un indirizzo e-mail ed essendo rimasta confinata nell'ambito della mera dichiarazione di intenti, in assenza di qualsivoglia forma di concretizzazione, la previsione di cui al paragrafo 2.7.3 (cfr. pag. 25 del modello in questione), secondo la quale la Banca "garantisce i segnalanti da qualsiasi forma di ritorsione discriminazione o penalizzazione e assicura in ogni caso la massima riservatezza circa la loro identità fatti salvi gli obblighi di legge e la tutela dei diritti della banca o delle persone accusate erroneamente o in mala fede ..". Peraltro, l'istruttoria dibattimentale ha consentito effettivamente di verificare come i dipendenti non avessero effettuato segnalazioni, con riferimento alla vendita delle azioni proprie da parte dell'istituto, proprio per il timore di ripercussioni); d) e, soprattutto, del flusso di informazioni esterne. In particolare, va segnalata l'assenza di puntuali prescrizioni in ordine alla verifica della fondatezza delle comunicazioni rivolte al mercato ed agli organi di vigilanza, del tutto insufficienti dovendosi evidentemente ritenere le generiche previsioni previste nel "Regolamento per la comunicazione delle notizie rilevanti "price sensitive" della Banca (...)" che attribuiva le comunicazioni alla funzione "Comunicazione Esterna", incaricata della "cura della gestione della comunicazione esterna commerciale e di prodotto sulla base delle direttive della funzione commerciale, in coerenza con le strategia definite dalla Direzione generale" (così, specificamente, nell'atto di appello, pag. 56). In effetti, il rischio di abusi nel ricorso al meccanismo del capitale finanziato - rischio particolarmente concreto, come s'è visto, trattandosi di banca popolare non quotata - avrebbe imposto una specifica attenzione a tali profili e, tra essi, in particolare, a quello inerente al controllo ed alla verifica delle informazioni veicolate dalla società verso l'esterno. Ove si consideri, infatti, che il delitto di aggiotaggio è stato efficacemente definito un "delitto di comunicazione" (cfr. Cass. Sez. V, 18.2.2013, dep. 30.1.2014, Impregilo S.p.a., pag. 7), è proprio su tale versante che il modello - e, quindi, il controllo - avrebbe dovuto mostrare la propria adeguatezza. Con specifico riferimento al delitto di aggiotaggio informativo, invero, la predisposizione di un effettivo presidio avrebbe reso indispensabile l'attribuzione all'OdV di poteri di verifica preventiva circa la fondatezza delle notizie destinate ad essere diffuse al mercato. Diversamente, nel modello adottato da B. nessuna efficace verifica risulta prevista sul fronte delle comunicazioni "esterne" (ivi compresi i comunicati stampa) ad opera di un organismo di vigilanza interno che fosse effettivamente munito (come si dirà meglio più oltre) di reali requisiti di autonomia. In particolare, in materia di rapporti con le autorità di vigilanza (e, più in generale, con l'esterno), a parte il generico riferimento ai doveri di collaborazione e di trasparenza nei confronti degli esponenti di dette autorità (si veda, per il modello relativo all'anno 2012, quanto ivi previsto a pag. 68), le uniche disposizioni puntuali che è dato rinvenire nel modello attengono al divieto di effettuare/ricevere regali ed omaggi (cfr. documento citato, pag. 68). Per contro, non solo non risulta contemplata possibilità alcuna di espressione di una sorta di "dissenting opinion" sul "prodotto finito" tale da "mettere in allarme i destinatari" (per ricorrere all'efficace lessico adottato dal giudice della nomofilachia nella sentenza da ultimo citata, peraltro successivamente contraddetta, nell'ambito del medesimo procedimento, da Cass. Sez. VI, n. 23401, 11,11,2021, Impregilo, limitatamente alla impossibilità che tale opinione dissenziente possa sconfinare nelle attribuzioni operative spettanti alla assemblea ed agli altri organi societari284), siano essi le autorità di vigilanza, ovvero il pubblico; ma - ed è quel che più rileva in questa sede - neppure consta che tali comunicazioni venissero previamente comunicate all'ODV per una preliminare valutazione o, comunque, per l'opportuna conoscenza. Né - è stato pure convenientemente evidenziato dal tribunale - erano previsti controlli a sorpresa nei confronti delle attività aziendali sensibili. E tali conclusioni non mutano se, dal modello adottato per l'anno 2012 (in vigore sino all'agosto 2014), si estende l'analisi alle versioni successive, essendosi comunque in presenza di documenti rispetto ai quali, come puntualmente osservato dal primo giudice, si ripropongono, sostanzialmente invariate, le medesime carenze. Peraltro, con specifico riferimento a tali carenze, va ribadito quanto anticipato in premessa in ordine al difetto, nell'atto di impugnazione, di considerazioni realmente critiche rispetto alle puntuali osservazioni del primo giudice, posto che le censure contenute nell'appello si risolvono nel richiamo al contenuto del programma; programma che, tuttavia, anche in proposito, risulta connotato da previsioni del tutto generiche. E tanto basterebbe. Ma v'è di più. Il modello in esame, infatti, introduceva un organismo di vigilanza286 privo di autonomia effettiva rispetto alla direzione societaria, donde un ulteriore, decisivo profilo di inadeguatezza di tale strumento organizzativo. Nello specifico, la direzione dell'ODV era affidata (cfr. modello 2012 citato, pag. 23), al "Responsabile pro tempore della Direzione Internal Audit" (nel caso di specie, il dipendente Bo.), affiancato da due soggetti esterni che non abbiano alcun rapporto di lavoro dipendente con il Gruppo Banca (...)" (nel caso di specie, due avvocati). Era previsto, inoltre, che il Presidente di tale organismo non rivestisse "cariche sociali nelle società del Gruppo medesimo" (cfr. ancora, documento citato, pag. 23). Sul punto, il tribunale ha specificamente osservato che tanto il presidente che i due ulteriori componenti dell'organismo erano soggetti privi della necessaria indipendenza: - il primo, in quanto dipendente gerarchicamente dai d.g. So. e funzionalmente dal Cda, ovverosia proprio dai "poteri" che avrebbe dovuto controllare; - i secondi, in quanto soggetti che avevano ricevuto retribuzioni da società riconducibili a B., con conseguente sussistenza di elementi oggettivamente tali da minarne l'autonomia di giudizio. Significativa di tale legame tra OdV e vertici aziendali, del resto, è la circostanza (convenientemente richiamata dal primo giudice alle pagg. 796-797 della sentenza) costituita dal fatto che la relazione sulle attività svolte dall'ODV era effettuata, in sede di CdA, proprio dal direttore generale. Ebbene, anche su tali convincenti argomentazioni l'atto di appello ha omesso ogni specifica, reale considerazione critica, essendosi limitato a ribadire, all'uopo richiamandosi alle previsioni contenute nel modello, tanto l'autonomia dell'organismo di vigilanza quanto la disponibilità, in capo a tale soggetto, di adeguati poteri. Per contro, trattasi di profilo di essenziale rilievo, solo a considerare l'assoluta centralità rivestita da un OdV dotato di effettivi, penetranti poteri e, soprattutto, assistito da un effettivo statuto di autonomia (necessariamente intesa come assenza di subordinazione del controllante al controllato e, comunque, di ragioni di condizionamento) perché possa affermarsi l'idoneità del modello organizzativo. Peraltro, l'inadeguatezza del modello in esame, anche a tale specifico riguardo, emerge in termini ancora più marcati solo a considerare che, come s'è detto, le pregresse segnalazioni di Banca d'Italia avevano stigmatizzato la scarsa autonomia delle articolazioni societarie rispetto ad un presidente a dir poco "ingombrante". Ulteriore conferma dell'inadeguatezza con riferimento all'effettiva indipendenza ed ai poteri dell'OdV, del resto, la si ricava, sul piano logico, per un verso, dalla durata della condotta illecita (come visto protrattasi per alcuni anni) e dal numero elevato dei soggetti coinvolti; e, per altro verso, dalla condotta tenuta dal Bo.: sebbene a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato sin dal 2012, costui aveva sostanzialmente ignorato tale circostanza, non facendola mai oggetto di verifica, ovvero di approfondimento, ovvero ancora anche di semplice discussione all'interno dell'OdV. E' stato lo stesso Bo., del resto, a descrivere l'attività svolta dell'OdV in termini sostanzialmente minimali, soggiungendo di non avere riferito in tal senso, neppure nel corso dell'ispezione del 2015, in quanto intimidito e condizionato dal d.g. So.. In effetti - come parimenti già osservato dal primo giudice - i verbali delle riunioni dell'OdV (l'ultimo dei quali, peraltro, si ferma al 21.5.2014 - cfr. documento 897 del p.m.) non sono che la plastica espressione di un organismo che interpretava il proprio ruolo in modo meramente formale, posto che non offrono la benché minima contezza di alcuna programmazione di attività di verifica, né evidenziano che fossero state rilevate criticità, neppure in relazione ai casi più eclatanti. Aggiungasi che nessuna concreta garanzia di riservatezza delle comunicazioni da inviare all'OdV era assicurata, al di là di generiche affermazioni in tal senso. D'altronde, come già detto, a tale organismo non risulta giunta alcuna segnalazione in ordine a questioni problematiche e rilevanti ai fini in esame e, questo, nonostante le numerose lamentele dei dipendenti per le continue pressioni sulla rete per la negoziazione di azioni, pressioni delle quali persino i sindacati si erano occupati (cfr. lettera inviata alla Direzione Generale - doc, p.m. 91) Quando, poi, dal 2013, la funzione di vigilanza era stata attribuita al Collegio Sindacale (con assunzione formale della carica in data 12.5,2014) la situazione, sotto tale profilo, non era affatto migliorata. In effetti, detto organismo - come puntualmente osservato dal tribunale (alle pertinenti considerazioni del quale, sul punto, non può che farsi rinvio) - difettava anch'esso di reale indipendenza, in quanto costituito secondo logiche di cooptazione e composto da sindaci alcuni dei quali (Za., Za., Ca.) avevano importanti interessenze con il presidente. D'altronde, il sindaco Za. - il quale, di lì a poco, avrebbe assunto le funzioni di presidente dell'OdV - aveva bensì partecipato all'assemblea dei soci del 26.4.2014, assemblea in occasione della quale il socio Da. aveva denunziato il fenomeno delle operazioni correlate; nondimeno, una volta assunta la direzione dell'OdV, non aveva ritenuto di avviare, in proposito, alcuna attività di serio approfondimento (come emerso, peraltro, anche all'esito della rinnovata escussione del teste Za.), analogamente, del resto, alla condotta che avrebbe tenuto successivamente alla seduta del Cda del 4.11.2014 nel quale si era discusso dell'articolo de "Il." a firma Ga.. In definitiva, l'istruttoria dibattimentale ha restituito l'immagine di una "osmosi" di fatto pressoché completa tra l'OdV ed i vertici aziendali, tanto da rendere del tutto impalpabili i margini di autonomia ed effettività dell'attività di controllo svolta da tale organismo. Dì qui la conclusione circa l'inadeguatezza, anche sul punto, del modello adottato da B., sia sotto il profilo astratto, sia - ed a fortiori - ove doverosamente "calato" nella concretezza della struttura societaria in esame. Del resto - e conclusivamente - vale osservare che la riprova di detta inadeguatezza la si ricava anche dalla semplice constatazione che - ad onta delle contrarie considerazioni spese, in proposito, nell'atto di appello, anche in tal caso, tuttavia, senza l'indicazione di concreti elementi a sostegno293 - la commissione dei reati non ha affatto richiesto alcuna condotta elusiva e fraudolenta del modello in esame. Molto più semplicemente, detto modello non ha rappresentato ostacolo di sorta per la consumazione delle condotte di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza (in particolare, per quanto concerne le comunicazioni al mercato ed alla vigilanza), tanto che gli autori delle condotte delittuose non si sono minimamente dovuti preoccupare di "aggirarlo" e, questo, proprio perché il modello in questione costituiva un presidio non solo del tutto formale ma anche radicalmente "fuori fuoco" rispetto alle condotte sub iudice. Conclusivamente, non corrisponde a realtà sostenere che il tribunale sia giunto alla conclusione dell'inadeguatezza del modello adottato da B. sul mero rilievo dell'avvenuta consumazione dei reati. L'affermazione di responsabilità non si è affatto basata su un tale "corto circuito" logico-giuridico, Piuttosto, è derivata dal doveroso apprezzamento della concreta inadeguatezza del modello in esame, all'esito di una valutazione correttamente effettuata sulla base di un giudizio rigorosamente normativo in ordine alla introduzione, presso l'istituto di credito vicentino, nel periodo in esame, di un sistema di controllo e di verifica che, con specifico riferimento ai delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, se non meramente apparente era, comunque, gravemente deficitario. Che, poi, il modello adottato dall'istituto di credito vicentino abbia seguito lo schema predisposto dall'ABI - profilo, questo, sul quale, pure, l'atto di appello si sofferma diffusamente294 - è circostanza, al contempo, incontestata ed irrilevante. A tale riguardo, infatti, è ancora una volta la giurisprudenza di legittimità a fornire le coordinate da seguire per rispondere alle censure difensive. E' stato infatti precisato, con argomenti del tutto persuasivi, come nessun rinvio per relationem a schemi predisposti dalle associazioni di categoria (e ancor meno, quindi, a presunte "best practices", nella specie, peraltro, neppure evocate) possa ritenersi operato dalla previsione ex art. 6, co. 3 D.L.vo cit., là dove pure è previsto che i modelli di organizzazione possano (e non debbano) essere adottati sulla scorta di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative del settore, spettando al giudice - il quale, beninteso, non potrà fare leva su personali convincimenti, ovvero su soggettive opinioni - la verifica dell'adeguatezza del modello, una volta doverosamente "calato nella realtà aziendale nella quale è destinato a trovare attuazione" (cfr. la già citata Cass. Sez. V, n. 4677 18.12.2013, dep. 30.1.2014, Impregilo, pag. 6). 16.3 Diversamente, il terzo motivo di appello, inerente al trattamento sanzionatorio, è fondato nei termini di cui alla seguente motivazione. In effetti, insussistenti le condizioni per riconoscere l'attenuante ex art. 12, co. 2, lett. b), D, L. vo 231/01 per le persuasive ragioni indicate dal primo giudice (trattasi dell'assenza di modifiche risolutive apportate al modello 231 nella versione del 2016295 e, soprattutto, della mancata dimostrazione della concreta operatività di tale modello, senza che possa incidere in senso contrario la circostanza, che, dopo pochi mesi, proprio per le conseguenze finali dei reati perpetrati, l'ente è stato sottoposto a l. c.a. con conseguente impossibilità di ulteriore sperimentazione, "sul campo", di tale versione), osserva questa Corte che una determinazione dell'ammontare della sanzione debitamente ispirata a criteri di equità e moderazione non possa prescindere dalla adeguata considerazione delle critiche condizioni economiche e patrimoniali dell'ente in questione (nel rispetto, del resto, del criterio normativo espressamente dettato dall'art. 11, co. 2, D.L.vo citato). Ebbene, nello specifico, come teste ribadito, si è in presenza di istituto di credito posto in liquidazione coatta amministrativa. Donde la sussistenza dei presupposti per la mitigazione della sanzione, mitigazione da conseguirsi, ad avviso di questa Corte, in ragione, per un verso, della riduzione delle quote conseguente alla attenuante ex art. 12 co. 2, lett. a), D. L.vo 231/01 che, già riconosciuta dal tribunale, dovrà tuttavia trovare applicazione nella sua massima estensione, essendosi l'ente seriamente prodigato per ridurre le conseguenze dannose cagionate dall'illecito; per altro verso, dì una diversa, più favorevole determinazione degli aumenti derivanti dalla pluralità di illeciti ex art. 21 D.L.vo 231/01; e, per altro verso ancora, di una riduzione dell'importo della singola quota. In definitiva, ritiene questa Corte congrua una sanzione così determinata: la pena base di 600 quote, già congruamente fissata dal primo giudice per l'ipotesi di aggiotaggio, deve essere ridotta, ex art. 12, co. 2, lett. a), D. Lvo 231/01, a 300 quote, per poi essere complessivamente aumentata di 24 quote per gli ulteriori reati di aggiotaggio, con aumenti di otto quote per ciascuno di tali residui reati (sul punto dovendosi precisare che la prescrizione di talune condotte di aggiotaggio, intervenuta successivamente alla contestazione, è irrilevante ai fini della responsabilità dell'ente, come insegna la giurisprudenza di legittimità, già correttamente richiamata dal primo giudice), nonché di complessive 270 quote per i reati di ostacolo, con aumenti di 30 quote per ciascuna delle relative condotte, il tutto per un numero di quote finali pari a 594. Per le ragioni già esposte, poi, si ritiene congruo ridurre l'importo della singola quota nella misura di 350 Euro. Di qui la rideterminazione della complessiva sanzione nella misura finale di Euro 207.900,00. 16.4 Il quarto motivo di impugnazione, inerente alla confisca, non può essere accolto. Al riguardo, deve osservarsi che il tribunale di Vicenza, dopo avere persuasivamente circoscritto il perimetro della nozione di profitto (correttamente includendovi unicamente l'incremento patrimoniale derivante dal reato, ovverosia l'accrescimento della sfera patrimoniale dell'ente ritenuto di derivazione causale diretta dal reato presupposto) ha disposto la confisca, limitatamente all'illecito di cui al capo N2 (l'unico per il quale ha ritenuto obiettivamente possibile procedere all'indispensabile quantificazione), individuando il profitto nell'ammontare delle sottoscrizioni di capitale versate, a seguito dell'aucap, dai soci che avevano effettuato acquisti a seguito delle sollecitazioni ricevute, in tal senso, da parte dell'istituto di credito e che non avrebbero potuto sottoscrivere detto aumento di capitale ove fosse stato applicato il test di adeguatezza bloccante (detratti, ovviamente, gli importi finanziati dalla stessa banca). Ciò alla stregua delle deposizioni dei testi Gr. e Me. e degli esiti dei calcoli effettuati da costoro, oltre che di quanto evidenziato nella relazione ispettiva CONSOB. Sennonché, la difesa ha obiettato che quello individuato dal tribunale sarebbe, più propriamente, il profitto del reato di falso in prospetto, non ricompreso nel novero dei delitti presupposto, in quanto, con riferimento al delitto di ostacolo alla vigilanza, solo indirettamente sarebbe possibile individuare un nesso di derivazione causale tra le relative condotte delittuose ed il suddetto incremento patrimoniale. Trattasi di obiezione che, pur suggestiva, è destinata a rivelarsi, non appena sottoposta ad una analisi minimamente aderente al concreto dipanarsi della vicenda sub iudice, radicalmente infondata. Se, infatti, costituisce ius receptum il principio secondo il quale il profitto confiscabile ex art, 231/01 deve derivare causalmente, in modo diretto ed immediato, dal reato presupposto (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. 23013 del 22.4.2016, Gigli e altro, Sez. III, n. 33816 del 18.9.2020, 2., Cass. Sez. VI, n. 33226 del 14.7.2015, Azienda Agraria Gr. di Gu.Le.), non può fondatamente revocarsi in dubbio come, nel caso di specie, sia stato il reato di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB a consentire all'ente di lucrare i vantaggi derivanti dall'acquisto di azioni effettuato, in sede di sottoscrizione dell'aumento di capitale, da parte di soggetti che, ove fosse stato applicato il test di adeguatezza bloccante, non avrebbero potuto acquistare i titoli dell'istituto. In altri termini, è stata proprio la condotta di ostacolo che ha consentito a B. di condurre in porto l'aumento di capitale 2014, sottraendosi ai controlli di adeguatezza e, in tal guisa, acquisendo capitali che, altrimenti, non sarebbe stato possibile "rastrellare", peraltro per il significativo importo complessivo che è stato correttamente stimato nella misura di Euro 106.012.687,50, corrispondente alla quota di acquisiti di azioni non finanziati effettuati dagli investitori che non avrebbero superato il test di adeguatezza bloccante. Sul punto, il pertinente richiamo del primo giudice è al documento 252 del p.m. ed alla deposizione del teste Me.. In effetti, la scansione degli accadimenti - puntualmente riportata alle pagg. 524 e ss, della sentenza impugnata - è assai chiara: in data 8.5.2014 CONSOB autorizzava il prospetto e, tra il 12 maggio e l'8 agosto successivi, si procedeva all'adesione. Sennonché, durante lo svolgimento delle relative operazioni, avevano luogo interlocuzioni tra B. e CONSOB: in particolare, con nota 16 maggio, CONSOB chiedeva informazioni tanto in relazione all'aucap (con specifico riferimento alle modalità operative adottate per l'adesione ed ai relativi controlli di adeguatezza ed appropriatezza) che al miniaucap (ed alla relativa prestazione di consulenza in relazione agli ordini dei clienti), sollecitando l'invio di un prospetto mensile, per tutto il periodo di offerta al pubblico, che avrebbe dovuto contenere, tra l'altro, l'indicazione del numero delle operazioni risultate adeguate o appropriate o non appropriate rispetto al profilo del cliente, con l'indicazione del relativo controvalore, A tale richiesta, faceva poi seguito la comunicazione 23.5.2014 nella quale B. precisava, tra l'altro, come, onde non interferire con il diritto di opzione, fosse stata esclusa l'applicabilità della valutazione dì adeguatezza di cui all'art. 40 del regolamento intermediari, soggiungendo, nondimeno, che era stato fatto divieto di prestare qualsivoglia attività consulenziale in favore dei titolari del diritto di opzione ed in relazione all'adesione all'aumento di capitale. Tuttavia, contrariamente a tali assicurazioni, il collocamento delle azioni, come è stato dettagliatamente evidenziato dal primo giudice (cfr. pagg. 530 e ss. della sentenza impugnata), aveva poi avuto massicciamente luogo per effetto di una accurata attività dì pianificazione commerciale tradottasi in una forma di surrettizia e martellante consulenza che non solo non era stata accompagnata dai presidi organizzativi previsti dalla disciplina mifid ma, soprattutto, mai era stata comunicata nel corso delle interlocuzioni con l'autorità di vigilanza che, pure, avevano scandito tutte le operazioni di aumento di capitale. Emerge, allora, davvero in termini di evidenza, come il profitto complessivo sopraindicato non sia stato conseguenza immediata del reato di falso in prospetto (reato perpetrato, come da imputazione di riferimento, il 9.5,2014, ovverosia al momento della approvazione del prospetto relativo all'aumento di capitale), bensì del successivo delitto di ostacolo alla vigilanza in danno di CONSOB (delitto, in effetti, posto in essere nel periodo, decorrente dal 23 maggio, protrattosi per tutta la durata dell'operazione di aumento di capitale e delle concomitanti interlocuzioni con la predetta autorità di vigilanza): ove CONSOB fosse stata notiziata delle reali, illegali modalità di attuazione dell'aumento di capitale, infatti, sarebbe necessariamente e prontamente intervenuta, impedendo che ciò avesse luogo. Donde la sussistenza dei presupposti tutti del provvedimento di confisca adottato dal primo giudice, ex art. 19 D. L.vo 231/01, per l'importo di Euro 74.212.687,50 (per effetto della corretta detrazione dalla predetta somma di 106.012.687,50 dell'entità degli importi complessivamente restituiti, pari ad Euro 31,8 milioni), provvedimento che, pertanto, va confermato. 16.5 Il rigetto della richiesta di assoluzione dell'ente comporta l'infondatezza del quinto motivo, inerente alla condanna alle spese processuali di primo grado. 17. Gli appelli delle parti civili 17.1 Gli appelli proposti dalle parti civili Pa.La. e PA.Gi. (rappresentate dall'avv. Da.), Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi. (rappresentate dall'avv. Fa.), Va.Gi. An., RO.El. e Va.De. (rappresentate dall'avv. Cu.) con riferimento alla pronunzia assolutoria nei confronti dell'imputato Pe.Ma. meritano accoglimento. Sul punto, si rimanda alle considerazioni già svolte sub 15.2 in punto di fondatezza dell'appello proposto dal P.M. Dall'accoglimento dell'appello discende la condanna del PE., in solido con i coimputati ZO., GI., PI. e MA., al risarcimento dei danni cagionati a dette parti civili, danni da liquidarsi in separato giudizio civile nei termini di cui alla sentenza impugnata, nonché al pagamento, in favore delle predette parti civili, della somma già loro liquidata in prime cure a titolo di provvisionale (5% del valore nominale delle obbligazioni/azioni acquistate, per un valore in ogni caso non superiore ad Euro 20.000 per ciascuna parte). 17.2 L'appello della parte civile Bi.Ce. è infondato. Al riguardo, va preliminarmente osservato che, come precisato nell'atto di impugnazione (cfr. pagg.1-3), Bi.Ce., dopo avere instaurato il giudizio innanzi al tribunale civile instando per la declaratoria di nullità del negozio costituito dal finanziamento erogatogli per l'acquisto delle azioni B., ha trasferito l'azione civile nel processo penale. Quindi, in sede penale, il tribunale di Vicenza ha correttamente concluso per l'improcedibilità delle azioni civili proposte, a fini risarcitori, nei confronti di B. in liquidazione, ex artt. 83 T.U.B., 201 l.f.. Tuttavia, ad avviso della parte civile appellante, il primo giudice avrebbe erroneamente incluso tra le azioni risarcitone dichiarate improcedibili anche quella, tutt'affatto diversa, proposta dal medesimo BI.. Ebbene, se è certamente vero che la domanda avanzata dal predetto BI. non aveva natura risarcitoria (in quanto finalizzata alla declaratoria di nullità del contratto di finanziamento per illiceità della causa), è altrettanto vero che, conseguentemente, si è trattato di una domanda radicalmente estranea all'ambito di esercizio dell'azione civile nel processo penale, come peraltro espressamente osservato dal primo giudice con j riferimento a tutte le domande "di accertamento della nullità e/o inefficacia dei contratti di finanziamento sottoscritti per l'acquisto di azioni" (cfr. pag. 822 della sentenza impugnata). Com'è noto, infatti, le uniche azioni che possono legittimare la costituzione di parte civile sono, ex art. 74 c.p.p., quelle aventi ad oggetto pretese restitutorie/risarcitorie fondate sulla commissione di un reato. Dal difetto (originario) dei presupposti per l'ammissione della costituzione della parte civile - difetto rilevabile senza preclusioni temporali, ove si consideri che il controllo sui presupposti di legittimità formale e sostanziale richiesti per l'esercizio dell'azione civile in sede penale è consentito pur dopo l'ordinanza di ammissione della costituzione, avente per sua natura efficacia provvisoria (cfr. Cass. Sez. VI, n. 32478 del 5.7.2016, Tr.) - discende, l'infondatezza della censura articolata nel gravame. La decisione del tribunale berico, quindi, va integralmente confermata con conseguente condanna di Bi.Ce. al pagamento delle spese processuali. 17.3 L'appello proposto dalle parti civili Cr.La. e Co.An. Cr.La. e Co.An. hanno censurato la sentenza gravata sul rilievo dell'avvenuto accoglimento della domande risarcitone limitatamente al pregiudizio subito per effetto del reato stigmatizzato, in imputazione, sub Al), il tutto a fronte di una costituzione di parte civile effettuata in relazione a tutte le imputazioni, ivi comprese, quindi, quelle rubricate ai capi I) ed L), avendo i predetti appellanti sottoscritto tanto l'aumento di capitale per l'anno 2013 (di cui al predetto capo I), quanto quello del successivo anno 2014 (di cui al predetto capo L). Sennonché, lungi dall'essersi in presenza di una sentenza che abbia - sia pure implicitamente - accolto la domanda risarcitoria con esclusivo riferimento alla lesione cagionata a dette parti dalla sola condotta delittuosa di aggiotaggio di cui al capo Al), osserva questa Corte che il provvedimento impugnato è affetto, sul punto, da una mera omissione materiale. Dalla congiunta valutazione dell'atto di costituzione dei predetti Cr. e Co. e del contenuto della pronunzia del tribunale di Vicenza (caratterizzata dalla esposizione, necessariamente cumulativa, delle ragioni della decisione in punto di statuizioni civili, con conseguente rinvio, per le singole posizioni, all'elenco allegato al dispositivo) emerge, infatti, in termini davvero inequivoci, come in detta sentenza sia stata unicamente omessa l'indicazione, nella tabella riportata a pag. 1068 relativa alle parti civili rappresentate dall'avv. Sp. e costituite in relazione ai capi A1, I ed L, dei nominativi dei predetti Cr. e Co., inseriti unicamente nella distinta tabella riguardante le parti civili costituitesi per il solo reato sub A1. Nessun rigetto parziale (ancorché implicito ed immotivato) della domanda avanzata da dette parti civili con riferimento ai citati capi I) ed L), quindi, è dato, nella specie, ravvisare; bensì, una mera materiale aporia, alla quale può e deve porsi rimedio, da parte del giudice dell'impugnazione, ricorrendo alla relativa procedura di correzione, ex art. 130 c.p.p. (e la censura mossa alla sentenza del tribunale di Vicenza dalle citate parti civili, pertanto, deve essere interpretata tal senso). Donde la correzione, come da separato provvedimento. 18 La liquidazione dei compensi spettanti ai difensori delle parti civili. Nel liquidare i compensi ai difensori delle parti civili la Corte ha ovviamente tenuto conto tanto delle caratteristiche tutte del giudizio, quanto dell'aumento da riconoscersi ai professionisti in ragione della pluralità di parti assistite. Segnatamente, con eccezione della liquidazione disposta per alcune parti che hanno adottato iniziative più significative nella fase introduttiva (le plurime parti difese dagli avvocati Cu., Da. e fa.) o nel corso del processo (Banca d'Italia, Consob), è stata riconosciuta una liquidazione "base" di Euro 1800,00 (di cui Euro 450,00 per esame e studio; Euro 675,00 per la fase istruttoria; Euro 675,00 per la fase decisionale), importo, questo, calcolato tenendo debitamente conto della circostanza costituita, pur a fronte della complessità del processo, dal fatto che l'impegno richiesto dal procedimento di appello è stato, per le parti civili, in concreto, contenuto, con riferimento alle fasi istruttoria e decisionale (la prima, invero, non ha visto significativi interventi di dette difese che, a volte, non hanno neppure partecipato alle udienze; la seconda, poi, si è per lo più essenzialmente esaurita nel deposito delle conclusioni). Di qui l'adozione dei valori medi unicamente in relazione alla fase di "studio" e la riduzione per le restanti voci. Rispetto a tale liquidazione "base", poi, l'aumento per la pluralità di parti è " stato concretamente modulato al fine di scongiurare le marcate distorsioni dell'effetto moltiplicativo previsto dalla legge che si sarebbero inevitabilmente prodotte pur a fronte di attività del tutto omogenee e dell'assenza di "specifiche e distinte questioni di diritto". Donde la decisione di contenere, nel solco della determinazione, sul punto, del primo giudice, l'entità dell'aumento, per ogni parte ulteriore, sino a dieci parti, nella misura del 10% di detta "quota base", nonché nella misura di un ulteriore 5% per ciascuna parte aggiuntiva, sino al limite di 30 parti, con conseguenti singole liquidazioni, come da dispositivo. Oltre tale numero di parti (30 parti assistite, che costituisce anche il limite massimo preso in esame dalla legge), l'assoluta serialità dell'attività svolta per la difesa in sede processuale di parti titolari di posizioni assolutamente omogenee, o addirittura coincidenti, ha indotto la Corte ad escludere l'adozione di ulteriori aumenti, che pure sono stati calcolati forfettariamente dal giudice di primo grado, ma la cui concreta applicazione rientra pur sempre nella discrezionalità riconosciuta al giudice di merito dalla giurisprudenza di legittimità. P.Q.M. Visto l'art. 605, 592 c.p.p. In parziale riforma della sentenza emessa in data 19/3/2021 dal Tribunale di Vicenza, appellata: - dalla Procura della Repubblica di Vicenza; - dagli imputati Gi.Em., Ma.Pa., Zo.Gi., Pi.An., Zi.Gi.; - dalla Banca (...) in L. C.A., dichiarata responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato alla stessa ascritti ai sensi del D.Lvo 231/2001); - dalle parti civili Bi.Ce.; Cr.La. e Co.An.; Ad.An., Ad.Lu., Ad.Ma., Zo.Li., Ca.Mi.; Pa.La. e Pa.Gi.; Va.Gi., Ro.El. e Va.De., statuisce nei seguenti termini: 1) quanto a Zo.Gi., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 3 e mesi 11 di reclusione; 2) quanto a Pi.An., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a luì ascritti al capo A1), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 3 e mesi 11 di reclusione; 3) quanto a Ma.Pa., assolve l'imputato dai reati di cui ai capi I) ed L), nonché dai reati ascrittigli ai capi H1) e M1), limitatamente alle condotte ascrittegli come successive al 18/12/2014, per non aver commesso il fatto; ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riduce e ridetermina la pena inflitta all'imputato ad anni 3 mesi 4 e giorni 15 di reclusione; 4) quanto a Gi.Em., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo Al), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c. e riconosciute le attenuanti generiche in regime di prevalenza, riduce la pena inflitta all'imputato ad anni 2 mesi 7 e giorni 15 di reclusione; 5) quanto a Pe.Ma., in accoglimento dell'appello proposto dalla Procura della Repubblica e dalle parti civili rappresentate dagli avvocati Cu., Da. e FA., ravvisato, quanto all'ipotesi di aggiotaggio, un unico reato per ciascuna annualità di riferimento, dichiara non doversi procedere nei confronti del predetto imputato in ordine ai reati a lui ascritti al capo A1), limitatamente ai reati perfezionatisi fino al 2014, nonché ai reati di cui ai capi I) e L), per essere gli stessi estinti per prescrizione; dichiara l'imputato responsabile dei residui reati ascrittigli e ritenuta, inoltre, quanto ai reati di cui ai capi B1) e M1), la sola ipotesi di cui all'art. 2638 comma 2 c.c., riconosciute le attenuanti generiche in regime di equivalenza e unificati, infine, i predetti reati sotto il vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di anni 3 e mesi 11 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio. Rigetta l'appello della Procura della Repubblica nei confronti di Zi.Gi. nonché l'appello proposto avverso la sentenza di primo grado dal medesimo imputato che condanna al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio. Revoca le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici nei confronti degli imputati MA. e GI.. Revoca la confisca per equivalente disposta ai sensi dell'art. 2641 comma II c.c. nei confronti degli imputati per l'intero suo importo pari ad Euro 963.000.000. In parziale accoglimento dell'appello dall'ente Banca (...) in Lea riduce ad Euro 207.900 la sanzione pecuniaria nei confronti del predetto ente quale responsabile degli illeciti amministrativi dipendenti da reato allo stesso ascritti ai sensi del D,lvo n. 231/2001, ritenuta l'unitarietà delle ipotesi di aggiotaggio. Revoca la provvisionale disposta in favore dì Banca d'Italia e Consob. Rigetta l'appello proposto da Bi.Ce. e condanna l'appellante al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 130 c.p.p., dispone la correzione dell'errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza di primo grado nella parte in cui condanna gli imputati al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese di assistenza e difesa in favore della parte civile Bi.Ce.. Revoca nei confronti di Zo.Gi. e Gi.Em. la condanna al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese di assistenza e difesa di parte civile disposta in favore delle parti civili Ab. S.r.l., Bu.Sa. e To.Ma., rappresentate dall'avv. Mo.Gi.. Condanna gli imputati in solido tra loro al pagamento delle spese di assistenza e difesa delle parti civili liquidate come da documento allegato al dispositivo nonché come di seguito specificato: - in favore di Banca d'Italia, la somma di Euro 5670 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore di Consob, la somma di Euro 3150 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. Cu., la somma di Euro 3510, a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. Da., la somma di Euro 2970 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge; - in favore delle parti civili rappresentate dall'avv. FA., la somma di Euro 3780,00 a titolo di onorari, oltre al rimborso spese generali (15%) iva e epa come per legge. Dispone il pagamento in favore dello Stato delle spese di costituzione e patrocinio delle parti civili Ci., che liquida nella misura di Euro 1800 oltre al rimborso spese generali (15%), Iva e epa come per legge. Conferma nel resto. Letto l'art. 544 comma III c.p.p. indica il termine di gg. 90 per il deposito della motivazione. Così deciso in Venezia il 10 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

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