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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 357 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ca. e Ar. Pl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via (...); per l'annullamento - del provvedimento disciplinare del 31 gennaio 2022 numero 333/SSA/I/232778, notificato all'interessato in data 8 febbraio 2022 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Marilena Di Paolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso notificato il 1° aprile 2022, l'odierno ricorrente, -OMISSIS-, agente scelto della Polizia di Stato, ha impugnato il decreto del Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza emesso il 31 gennaio 2022, notificato l'8 febbraio 2022, con il quale è stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi uno, ai sensi dell'art. 6, n. 1 e n. 4, in relazione all'art. 4, n. 3 del d.P.R. n. 737/1981. 2. Il provvedimento disciplinare risulta fondato sulla seguente motivazione: "dall'aprile del 2020 al febbraio del 2021 manteneva, al di fuori di esigenze di servizio, relazioni con compagnie non confacenti al proprio stato. Inoltre, in violazione dei doveri inerenti alle funzioni, rivelava notizie ed informazioni di uffici riguardanti le attività di Polizia giudiziaria e controllo del territorio, turbando la regolarità del servizio". 3. In particolare, il procedimento disciplinare era stato avviato dopo l'arresto di S.A., pregiudicato, avvenuto in Lecco in data 30 ottobre 2020, in concorso con il cittadino albanese F.C., per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, in quanto trovati in possesso di 450 gr di cocaina, oltre 2,3 kg. di hashish e circa 7 gr. di marijuana. 4. Dall'analisi del cellulare di S.A. e dai successivi riscontri sui tabulati telefonici acquisiti in sede di indagine, erano emersi numerosi ed assidui contatti dell'agente scelto -OMISSIS- con il pregiudicato sopraindicato e con i familiari di quest'ultimo, anche dopo il suo arresto. 5. In particolare, tale stretta frequentazione, quasi fraterna, era emersa dai numerosi contatti telefonici, dall'analisi delle chat wh. e da Fa., intrattenuti fino alla mattina del giorno in cui S.A. è stato tratto in arresto, di cui viene dato ampiamente conto nell'annotazione redatta in data 26 febbraio 2021 da personale della Squadra Mobile della Questura di Lecco. 6. Nelle chat intercorse, inoltre, erano state rilevate alcune richieste di informazioni relative al servizio di controllo del territorio svolto dalle volanti che S.A. aveva rivolto a -OMISSIS-, confidando sulla sua disponibilità ; in ben quattro occasioni, tutte documentate, S.A., mentre si trovava in alcuni locali della Provincia di Lecco, aveva inviato all'agente scelto -OMISSIS-, tramite wh., le foto di alcuni avventori, chiedendogli se appartenessero alle FF.OO.: una volta il -OMISSIS- aveva confermato che uno dei soggetti fotografati era effettivamente un appartenente all'Arma dei Carabinieri. In un'altra circostanza, sempre mediante lo stesso mezzo di comunicazione, aveva informato l'amico sulla propria posizione durate il servizio di volante e gli aveva inviato foto raffiguranti sia l'autovettura di servizio che colleghi e persone sottoposte a controlli documentali. 7. Era inoltre emerso un altro rapporto di conoscenza dell'agente scelto -OMISSIS- con altri soggetti trovati in possesso di sostanze stupefacenti e tratti in arresto in data 21 luglio 2020 dalla Polizia Ferroviaria di Milano e il 28 ottobre 2020 dalla Squadra Mobile di Lecco. 8. Pertanto, l'agente scelto -OMISSIS- era stato deferito alla locale A.G. per il reato di rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio. 9. In data 20 aprile 2021, il Pubblico Ministero titolare dell'indagine aveva formulato richiesta di archiviazione per speciale tenuità del fatto, rilevando che: "- non ricorrono le condizioni per dover richiedere l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato; - il reato per cui si procede rientra nella cornice edittale prevista dall'art. 131-bis, commi 1 e 4 c.p.; - non ricorrono le cause ostative di cui all'art. 131-bis, co. 2 e 3 c.p; - le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio portano a ritenere le condotte di reato di particolare tenuità, attese le motivazioni addotte alla base delle stesse, ascrivibili ad una superficiale valutazione delle conseguenze penali in relazione alla rivelazione di segreti d'ufficio; - l'instaurazione di un giudizio penale non appare coerente con le finalità per cui questo è stato disegnato dal Legislatore". 10. In data 9 giugno 2021 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco aveva accolto la richiesta del Pubblico Ministero, emettendo decreto di archiviazione del procedimento penale. 11. Il Questore di Lecco, acquisito il citato decreto in data 29 giugno 2021, a seguito di formale istanza finalizzata a conoscere lo stato del procedimento penale, avviava l'inchiesta disciplinare, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. n. 737/1981, nominando, con atto del 10 settembre 2021, notificato il 13 settembre 2021, il funzionario istruttore, il quale, a sua volta, in data 21 settembre 2021, formalizzava la contestazione degli addebiti, individuando ex art. 6, commi 1, 4 e 7 della citata normativa, in relazione alla condotta tenuta dall'agente, la sanzione della "sospensione dal servizio". 12. L'agente De Beo, in data 17 ottobre 2021, presentava memoria difensiva, con la quale negava di conoscere i pregiudizi penali a carico di S.A. e dei suoi familiari, nonché contestava di aver rivelato segreti d'ufficio. 13. Il procedimento disciplinare si è concluso con l'adozione del provvedimento disciplinare oggetto dell'odierno ricorso. 14. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Interno per resistere al ricorso depositando documenti e memorie e insistendo per il rigetto del ricorso. 15. All'udienza pubblica del 22 maggio 2024 la causa è passata in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è affidato a tre motivi di illegittimità . 2. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 6, dPR 737/81: il ricorrente sostiene che siano stati violati i termini per l'esercizio del potere disciplinare. A suo dire la contestazione degli addebiti sarebbe avvenuta oltre i 40 giorni dalla comunicazione del decreto di archiviazione, e ciò in violazione dell'art. 9, comma 6, d.P.R. 737/81 che prevede "Quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione". 2.1. Il motivo è infondato. 2.2. Si osserva che l'art. 9, comma 6, del d.P.R. 737/81 presuppone che sia stata pronunciata una sentenza, sia essa di condanna o di assoluzione, con la quale sia stato definito il processo penale, situazione che non ricorre nel caso di specie, dove invece non è stata esercitata l'azione penale - si evidenzia - non per infondatezza della notitia criminis, ma per la speciale tenuità del fatto. 2.3. Il citato articolo, inoltre, fa decorrere il dies a quo del termine di decadenza per la contestazione degli addebiti, che coincide con l'inizio del procedimento disciplinare, dalla pubblicazione o dalla notificazione della sentenza, adempimenti non prescritti per il decreto di archiviazione. 2.4. Non trattandosi dunque di casi simili, il citato art. 9, comma 6, non può trovare applicazione analogica come invece sostiene parte ricorrente, dal momento che l'art. 12 delle preleggi prevede che se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, salvo il divieto di analogia in malam partem, sancito dal successivo art. 14, per le leggi penali e leggi eccezionali. 2.5. Ebbene, nel caso di specie, in virtù del rinvio contenuto nell'art. 31 del d.P.R. n. 737/1981, ai procedimenti disciplinari dell'Amministrazione di pubblica sicurezza è applicabile analogicamente l'art. 103 d.P.R. n. 3/1957, secondo il quale "l'ufficio del personale che abbia comunque notizia di una infrazione disciplinare commessa da un impiegato svolge gli opportuni accertamenti preliminari e, ove ritenga che il fatto sia punibile con la sanzione della censura, rimette gli atti al competente capo ufficio; negli altri casi contesta subito gli addebiti all'impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni". 2.6. Per costante giurisprudenza la norma ora citata, secondo cui la contestazione degli addebiti deve avvenire "subito", non mira a vincolare l'Amministrazione all'osservanza di un termine prestabilito e puntuale, tale da comportare col suo decorso la decadenza dell'azione disciplinare, bensì indica una regola di ragionevole prontezza e tempestività, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti e alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell'iter procedimentale (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 6 febbraio 2023, n. 1212). 2.7. Non è infatti previsto, all'art. 12, d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 - che costituisce la normativa speciale rispetto a quella generale dettata dal d.P.R. n. 3 del 1957 -, alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti disciplinari a carico degli agenti della Polizia di Stato, con la conseguenza che l'Amministrazione procedente deve ottemperare solo ad una regola di ragionevole prontezza nell'effettuare detta contestazione; inoltre, l'uso del termine "subito" nel contesto dell'art. 103, d.P.R. n. 3 del 1957, ai fini della contestazione degli addebiti, per l'orientamento giurisprudenziale consolidato, presenta una mera valenza sollecitatoria, sicché residua all'Amministrazione un ampio spazio di azione ai fini dell'espletamento degli adempimenti finalizzati al reperimento e alla valutazione degli elementi relativi alle vicende oggetto di esame; infatti, nel procedimento disciplinare a carico dell'agente di Polizia di Stato - che ha inizio con la contestazione degli addebiti e termina con l'adozione del provvedimento sanzionatorio o con il proscioglimento dell'incolpato - vanno distinti i termini inderogabili, che sono quelli posti a garanzia dell'inquisito, e cioè quelli previsti per la presentazione delle giustificazioni, la presa di visione degli atti e, appunto, per il preavviso di trattazione davanti alla Commissione, da quelli ordinatori o sollecitatori, che sono tutti gli altri termini (Consiglio di Stato sez. III 20 giugno 2018 n. 3779, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. V, 23 febbraio 2024, n. 718). 2.8. Ciò chiarito, va ulteriormente precisato che il d.P.R. n. 737/1981 non indica puntualmente quale sia l'atto di avvio del procedimento disciplinare, ossia quello che materialmente impedisce la decadenza dal potere, sicché spetta all'interprete individuarlo. 2.9. Orbene, analizzando il corpus normativo va rilevato come per l'irrogazione del richiamo scritto, della pena pecuniaria e della deplorazione il procedimento si avvia con la contestazione scritta degli addebiti (v. artt. 17 e 18 d.P.R. 737 cit.); viceversa, nel caso delle sanzioni più gravi, il primo atto del procedimento è la nomina del funzionario istruttore (art. 19, comma 2 d.P.R. 737 cit.), il quale comunica l'avvio (rectius, contesta per iscritto gli addebiti) al dipendente entro 10 giorni. 2.10. Nel caso di specie, dunque, il termine di riferimento è da individuarsi nel 13 settembre 2021, data in cui il Questore di Lecco aveva disposto l'espletamento di una inchiesta disciplinare notificando la nomina del funzionario istruttore, e la contestazione degli addebiti è avvenuta il 21 settembre 2021. 2.11. Sulla ragionevolezza dei termini per la contestazione degli addebiti, considerata la natura afflittiva del procedimento disciplinare, si osserva inoltre che nella disciplina del procedimento sanzionatorio contenuta nella L. 689/81, l'art. 14 prescrive che la contestazione degli addebiti deve essere fatta "immediatamente" e se la contestazione non è avvenuta immediatamente, deve essere fatta entro il termine di 90 giorni. Da ciò si trae dunque un ulteriore argomento per sostenere la ragionevolezza del termine entro il quale è avvenuta la contestazione degli addebiti e cioè nel termine di 85 giorni. 2.12. Ebbene, il periodo intercorso tra il fatto, la segnalazione (29 giugno 2021) e l'avvio del procedimento disciplinare, considerando anche l'approssimarsi del periodo estivo (luglio - agosto) in cui l'attività lavorativa subisce un naturale rallentamento legato al godimento delle ferie da parte del personale, si è manifestato in linea con quei criteri di ragionevole prontezza e tempestività di cui sopra, rendendo manifestamente infondata la doglianza del ricorrente. 3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti posti a fondamento della sanzione, violazione della sfera della discrezionalità della P.A., violazione e falsa applicazione dell'art. 6 d.P.R. 737/81: in sintesi, il ricorrente sostiene che l'Amministrazione avrebbe erroneamente riportato la sua condotta alle fattispecie previste dall'art. 6 comma III, cioè ai casi in cui: - vengono poste in essere in modo abituale o reiterato le mancanze sanzionate con la pena pecuniaria; - si sia ricevuta una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo che non comporti la destituzione di diritto; - l'aver denigrato l'Amministrazione o i superiori; - l'aver tenuto un comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto; - l'aver tollerato abusi commessi da dipendenti; - aver compiuto atti contrari ai doveri derivanti dalla subordinazione; - l'assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume ovvero di pregiudicati; - l'uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope risultante da referto medico 8 legale; - l'allontanamento senza autorizzazione, dalla sede di servizio per un periodo superiore a cinque giorni; - l'omessa o ritardata presentazione in servizio per un periodo superiore a quarantotto ore e inferiore a cinque giorni o, comunque, nei casi in cui l'omissione o la ritardata presentazione in servizio di cui all'art. 4, n. 10, provochi gravi disservizi ovvero sia reiterata o abituale. Non solo la condotta tenuta dall'odierno ricorrente non rientrerebbe affatto nelle fattispecie sopra descritte ma, a suo dire, l'Amministrazione non avrebbe considerato che il decreto di archiviazione avrebbe ritenuto non gravi i fatti e il giudice penale non avrebbe svolto alcun tipo di accertamento dei fatti. Infine, il ricorrente esclude la consapevolezza e la conoscenza dei precedenti penali a carico del soggetto tratto in arresto. 4. Il motivo non è fondato. 4.1. Innanzitutto si osserva che il provvedimento impugnato si fonda sui fatti tipici di cui all'art. 6, n. 1 e n. 4, in relazione all'art. 4, n. 3 del d.P.R. n. 737/1981. 4.2. La fattispecie di cui al combinato disposto degli artt. 6, n. 1 e n. 4, e 4, n. 3, del d.P.R. n. 737/1981 contempla le "mancanze...di particolare gravità ovvero...reiterate o abituali" in relazione al "mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato" nonché in relazione ad un "comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto". 4.3. Per quanto riguarda l'infrazione di cui all'art. 4 n. 3 del d.P.R. n. 737/1981, vale a dire il "mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato" dai tabulati telefonici versati negli atti delle indagini preliminari, è emerso che l'agente scelto -OMISSIS- frequentava e aveva instaurato un rapporto di amicizia quasi fraterno con S.A. e con la sua famiglia, rapporto che andava ben al di là di quello di semplice avventore del ristorante di quest'ultimo. Risulta infatti che -OMISSIS- e S.A. si sono tenuti in contatto telefonico e tramite messaggi via chat con una costante frequenza fino alla mattina dell'arresto di S.A. e risulta inoltre che -OMISSIS-, il 23 luglio 2020, aveva scritto a S.A. "-OMISSIS-torna tra noi" informandolo come quest'ultimo, arrestato per droga, fosse stato scarcerato e sottoposto al regime degli arresti domiciliari. Dalla relazione istruttoria redatta dal funzionario istruttore emergono inoltre ulteriori elementi a supporto dello stretto legame instaurato dal -OMISSIS- con la famiglia di S.A.; in particolare, il funzionario istruttore aveva allegato una nota investigativa redatta dal Dirigente della DIGOS di Lecco, che aveva documentato, dopo l'arresto di S.A., un incontro conviviale e amichevole di -OMISSIS- con i parenti di S.A., presso il bar del palazzetto dello sport di Me.. Si legge inoltre che dagli stessi accertamenti investigativi, emergevano altresì contatti del -OMISSIS-, non motivati da finalità istituzionali, con un dipendente di un esercizio commerciale destinatario di una misura interdittiva antimafia e di un cittadino kossovaro, tale -OMISSIS-, entrambi arrestati per reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti. 4.4. Quanto al procedimento penale a carico del -OMISSIS-, assumono rilevanza le chat che riportano le richieste di informazioni che S.A. gli rivolgeva per identificare eventuali appartenenti alle forze dell'ordine presenti nei locali dallo stesso frequentati e per conoscere la localizzazione delle pattuglie sul territorio, informazioni evidentemente utili per poter svolgere la sua illecita attività di spaccio lontano dalle forze dell'ordine. 4.5. Contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente - la quale sostiene che in sede penale non sarebbe stato svolto alcun accertamento sui fatti - il decreto di archiviazione ex art. 131-bis c.p. per la speciale tenuità del fatto è stato emesso in quanto "le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio portano a ritenere le condotte di reato di particolare tenuità, attese le motivazioni addotte alla base delle stesse, ascrivibili ad una superficiale valutazione delle conseguenze penali in relazione alla rivelazione di segreti d'ufficio" e dunque esso è stato adottato sul presupposto di un giudizio di fondatezza della notitia criminis, considerato che l'art. 131-bis c.p. non esclude la responsabilità penale ma prevede una causa di non punibilità per i reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, applicabile nel caso di specie. 5. Non può quindi negarsi che il comportamento contestato al ricorrente in sede disciplinare sia in contrasto coi doveri del personale della Polizia di Stato e capace di arrecare grave nocumento alla credibilità e al prestigio di quest'ultima, in considerazione delle sue funzioni istituzionali, né è dato cogliere profili di irragionevolezza nella valutazione dell'Amministrazione in merito alla gravità della condotta dell'incolpato, il quale, ancora dopo l'arresto del pregiudicato aveva continuato a mantenere rapporti di convivialità con i parenti dell'arrestato. 6. Occorre rammentare che per il regolamento di servizio dell'Amministrazione della pubblica sicurezza il personale della Polizia di Stato ha il precipuo dovere di "non mantenere, al di fuori di esigenze di servizio, relazioni con persone che notoriamente non godono pubblica estimazione, non frequentare locali o compagnie non confacenti alla dignità della funzione" (art. 12, n. 4, d.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782) e di "non frequentare senza necessità di servizio o in maniera da suscitare pubblico scandalo persone dedite ad attività immorali o contro il buon costume ovvero pregiudicate" (art. 12, n. 5, d.P.R. n. 782/85) e, in generale, "deve mantenere una condotta irreprensibile, operando con senso di responsabilità, nella piena coscienza delle finalità e delle conseguenze delle proprie azioni in modo da riscuotere la stima, la fiducia ed il rispetto della collettività, la cui collaborazione deve ritenersi essenziale per un migliore esercizio dei compiti istituzionali, e deve astenersi da comportamenti o atteggiamenti che arrecano pregiudizio al decoro dell'Amministrazione" tenendo anche fuori servizio una "condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni" (art. 13 d.P.R. n. 782/85). 6.1. Alla luce degli elementi in atti, il Collegio ritiene che l'apprezzamento dell'Amministrazione dell'Interno in ordine alla sussistenza dei presupposti degli illeciti disciplinari ascritti al dipendente sia esente da palese travisamento dei fatti. 7. Con il terzo e ultimo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l'eccessività della sanzione inflitta: a dire del ricorrente, la sanzione sarebbe del tutto sproporzionata rispetto alla condotta contestata, tenuto anche conto del fatto che, a mente dell'art. 13, comma 1, del d.P.R.737/81, l'organo competente ad infliggere la sanzione deve tener conto di tutte le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell'età, della qualifica e della anzianità di servizio e sanzionare con maggior rigore le mancanze commesse in servizio o che abbiano prodotto più gravi conseguenze per il servizio, quelle commesse in presenza o in concorso con inferiori o indicanti scarso senso morale e quelle recidive o abituali. Nel caso di specie non vi sarebbe alcuna prova che la mancanza descritta nella nota di contestazione del 21 settembre 2021, anche alla luce del giudizio di tenuità proposto dal P.M. ed accolto dal G.I.P. di Lecco, sia stata reiterata o abituale, o che abbia gettato scandalo nell'Amministrazione. 8. Il motivo è infondato. 8.1. Occorre premettere che per costante giurisprudenza, in punto di individuazione e dosimetria della sanzione disciplinare, l'Amministrazione gode di ampia discrezionalità, sindacabile dal giudice amministrativo solo ab externo nei casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità o palese arbitrarietà (ex multis, Cons. St., sez. II, 31 gennaio 2023, n. 1103, cit.; Cons. St., sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484; T.A.R. Piemonte, sez. I, 13 febbraio 2022, n. 124). 8.2. Nel caso di specie, il funzionario istruttore ha tenuto conto di tutte le circostanze, esposte a pag. 5 della relazione istruttoria, ritenendo prevalente la gravità della condotta in quanto le frequentazioni del -OMISSIS- con soggetti dediti ad attività criminose quali spaccio di sostanze stupefacenti, non sono deontologicamente conformi al regolamento di servizio, cui un appartenente ai ruoli della Polizia di stato ha il dovere di uniformarsi e ciò è stato considerato come altamente lesive del vincolo fiduciario di appartenenza che lega la Polizia di Stato ai propri dipendenti. 8.3. A fronte di un simile riprovevole comportamento, di particolare gravità per il decoro e l'immagine della Polizia di Stato, la sanzione inflitta al ricorrente non appare sproporzionata né illogica. 8.4. Quanto al trasferimento d'ufficio, la giurisprudenza ha chiarito che il trasferimento per motivi di opportunità ed incompatibilità ambientale dell'appartenente alla Polizia di Stato, disposto ai sensi della norma appena citata, "non ha carattere sanzionatorio né disciplinare, non postulando comportamenti sanzionabili in sede penale o disciplinare, ed è condizionato solo alla valutazione del suo presupposto essenziale costituito dalla sussistenza oggettiva di una situazione di fatto lesiva del prestigio, decoro o funzionalità dell'amministrazione che sia, da un lato, riferibile alla presenza del dipendente in una determinata sede e, dall'altro lato, suscettibile di rimozione attraverso l'assegnazione del medesimo ad altra sede" (T.A.R. Milano, sez. III, 30/04/2018, n. 1156; T.A.R. Palermo, sez. I, 18/11/2022, n. 3273; T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 07/12/2021, n. 928; T.A.R. Cagliari, sez. II, 03/07/2019, n. 599). 9. Per quanto sopra esposto il ricorso va dunque respinto. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite nei confronti del Ministero dell'Interno che liquida in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) oltre accessori se previsti dalla legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Gabbricci - Presidente Alessandro Fede - Referendario Marilena Di Paolo - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 13 del 2024, proposto da Consorzio Stabile Re. S.C. a r.l.., La To. Co. S.r.l., in proprio e rispettivamente quale mandataria e mandante del RTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 7654584A89, rappresentate e difese dagli avvocati Al. Bo., Pa. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, ivi domiciliataria ex lege, via (...); nei confronti Impresa De. Im. S.r.l., in proprio e anche mandataria del RTI con Ri. Co. S.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pa. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ri. Co. S.p.a., in proprio e quale mandante del RTI con De. Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensiva - del Decreto Provveditoriale prot. n. 20430 del 28.11.2023, relativo all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forli` - 1° stralcio. CUP D69D07000090001 CIG 7654584A89", con cui "è stata confermata l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 06.09.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto indicato in oggetto al Raggruppamento Temporaneo tra Imprese "De. Im. s.r.l. di (omissis) (VA) CF 02692000124 - Ri. Co. s.p.a. di (omissis) (CE) CF 02217930615", risultato 1^ in graduatoria con il punteggio totale di 92,780/100 ed il ribasso del 23,290%, come da verbale di procedura aperta n. 5068 di rep. delle sedute in data 18.06.2019 e 09.07.2019 che, all'esito della disposta istruttoria, tenuto conto delle premesse sopra riferite e dell'esito della pronuncia del CDS, viene nella sostanza confermata", e con cui è stato disposto che "L'appalto è aggiudicato al suddetto RTI per l'importo complessivo netto di Euro 26.745.351,82"; - della nota prot. 20789 del 5.12.2023 con cui l'Ente appaltante ha comunicato al RTI Re. - La To. Co. l'adozione del suddetto provvedimento; - ove occorra, del provvedimento prot. 18407 del 27.10.2023 con cui la stazione appaltante ha comunicato ai sensi dell'art. 7 L. 241/1990 l'avvio del procedimento culminato con l'adozione del gravato Decreto Provveditoriale prot. n. 20430 del 28.11.2023; - ove occorra, del decreto prot. n. U.0017276 del 6.9.2019 con cui è stata disposta l'aggiudicazione nei confronti del RTI Impresa De. Im. S.r.l., nonché della nota prot. n. U0017432 del 9.9.2019 con cui siffatta aggiudicazione è stata comunicata alle odierne ricorrenti a mezzo PEC; - di tutti gli atti presupposti, connessi e successivi al soprarriferito Decreto Provveditoriale, ancorché non conosciuti. NONCHÉ per la dichiarazione di invalidità e comunque di inefficacia del contratto di appalto eventualmente stipulato con gli operatori economici illegittimi aggiudicatari (dichiarandosi, ad ogni effetto, ed ove occorra, anche la disponibilità del ricorrente a subentrare nell'esecuzione dell'appalto ai sensi di quanto previsto dall'art. 122 c.p.a.), E PER LA CONSEGUENTE CONDANNA dell'Ente intimato a risarcire il danno cagionato alla ricorrente in forma specifica ovvero, in subordine, per equivalente monetario nella misura che sarà determinata in corso di causa. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna, dell'impresa De. Im. S.r.l. e di Ri. Co. S.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2024 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.-Con il ricorso in esame il Consorzio stabile Re. s.c. a r.l. ha impugnato il Decreto del Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia e la Emilia Romagna del 28.11.2023 relativo all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì - 1° Stralcio" con il quale è stata confermata l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 6.9.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto al RTI formato da Ri. Co. s.p.a.(mandante) e De. Im. s.r.l. (mandataria) risultato primo in graduatoria. Come evidenziato in ricorso la prima aggiudicazione era a suo tempo stata impugnata dall'odierno istante, Consorzio Stabile Re. e da La To. Co., in proprio e quali imprese componenti il relativo R.T.I, nelle posizioni rispettive di mandante e mandataria deducendo la illegittimità della aggiudicazione in quanto disposta a favore di impresa in procedura concordataria ex art. 161 c. 6 Legge Fallimentare, non ammessa alla continuità aziendale, non avendo presentato, nemmeno al momento della aggiudicazione, il relativo piano e lamentando che il raggruppamento aggiudicatario avrebbe omesso di comunicare alla Stazione appaltante tale circostanza, rilevante ai fini della procedura. L'adito Tribunale Amministrativo con la sentenza n. 76/2020 accoglieva il motivo di ricorso relativo alla dedotta violazione dell'art. 80 c. 5 lett. b) del Decreto Legislativo n. 50/2016 in ragione del fatto che la mandante del raggruppamento aggiudicatario aveva presentato, solo in corso di gara, in data 4.2.2019, domanda di concordato con riserva ai sensi dell'art. 161, comma 6 L. Fall e sul presupposto che in tale evenienza sia preclusa la partecipazione a gare pubbliche. Ha altresì rilevato la violazione dell'art. 80 co.5 bis del Codice degli appalti, in ragione del ritardo con cui la mandataria avrebbe comunicato, solo in data 19.7.2019 a distanza di cinque mesi, il fatto che la mandante avesse presentato la domanda di concordato con riserva. L'adito Tribunale Amministrativo respingeva altresì il ricorso incidentale condizionato proposto dalla mandataria del raggruppamento aggiudicatario volto alla designazione di una nuova impresa mandante, ritenendola non consentita ai sensi dell'art. 48 co. 19 ter d.lgs. 50/2016 poiché volta ad eludere in pendenza di gara il riscontrato mancato possesso dei requisiti di partecipazione. Tale sentenza costituiva oggetto di appello al Consiglio di Stato con due distinti ricorsi poi riuniti proposti dalla Ri. Co. e dalla De. Im. s.r.l., ai quali il Ministero aderiva. La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, registrando un conflitto di orientamenti giurisprudenziali, riteneva di rimettere alla Adunanza Plenaria una serie di questioni concernenti il tema ed i profili della presentazione della domanda di concordato in bianco ai fini della valida partecipazione alla gara. L'Adunanza Plenaria si pronunciava in merito a ciò con la sentenza n. 9 del 2021 affermando in sintesi, per quel che qui rileva, che benchè l'autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica debba intervenire entro il momento dell'aggiudicazione, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un'autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante. Successivamente la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4728/2023, si pronunziava sugli appelli e li accoglieva, rigettando il ricorso di primo grado. I provvedimenti impugnati costituiscono, quindi attuazione della suindicata sentenza sul cui vincolo conformativo è sceso il giudicato. Il Consiglio di Stato, in particolare, ha affermato che la domanda di presentazione di un concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica esclusione, né inibisca la partecipazione alle procedure per l'affidamento di contratti pubblici. Nel caso di specie si era verificato un mancato rilascio della autorizzazione da parte del Tribunale competente prima della aggiudicazione della gara non essendo stata presentata un'istanza in tale senso dalla impresa concordataria; tale autorizzazione era comunque intervenuta prima della stipula del contratto. Il Consiglio di Stato ha stabilito che questa specifica circostanza comporta la necessità che la stazione appaltante provveda ad una apposita valutazione, alla luce della particolarità del caso concreto, sulla rilevanza e sulla idoneità ad assumere efficacia integrativa o sanante, di tale autorizzazione, sottratta al g.a., ai sensi dell'art. 34 co. 2 c.p.a. e rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante. In tale contesto motivazionale il Consiglio di Stato ha anche espressamente respinto la censura dell'odierna ricorrente secondo la quale non sarebbero stati rispettati, nel caso di specie, gli obblighi informativi a carico dell'impresa, precisando che, se l'informazione alla stazione appaltante deve essere tempestiva ed adeguata in applicazione dei principi di buona fede, leale cooperazione e correttezza, in caso di dichiarazione omessa, parziale o reticente spetterà alla stazione appaltante stessa valutarne l'incidenza sul rapporto fiduciario con l'operatore economico, ma senza nessun automatismo espulsivo. Il Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia ed Emilia Romagna provvedeva, quindi, ad ottemperare a quanto stabilito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4728/2023, comunicando agli interessati l'avvio del procedimento con nota 27.10.2023 n. 18407. L'Amministrazione, in seguito ad istruttoria, adottava il provvedimento di conferma della aggiudicazione qui gravato, ritenendo non inficiato il rapporto fiduciario con il raggruppamento capeggiato da De. Im. s.r.l. tenuto conto anche dell'avvenuta informazione degli sviluppi della procedura concorsuale. A sostegno del gravame le odierne ricorrenti hanno dedotto tre articolati motivi di gravame così riassumibili: I)VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 10 L. N. 241/90. ECCESSO DI POTERE, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CARENZA DI MOTIVAZIONE, PERPLESSITÀ : la stazione appaltante non avrebbe tenuto in considerazione nella motivazione dell'atto gravato l'articolata memoria presentata dalle ricorrenti. II. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 32, 33, 48, 80, 83 E 84, D.LGS. N. 50/16. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 161 E 186-BIS, L. N. 267/42. VIOLAZIONE DELL'ART. 94, COMMA 5, LETT.D), D.LGS. N. 36/2023. VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. CARENZA DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. IRRAGIONEVOLEZZA. ILLOGICITÀ .TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO. CONTRADDITTORIETÀ . SVIAMENTO: sarebbe mancato l'esame delle criticità riguardanti l'impresa controinteressata, dal momento che a) Ri. ha presentato domanda di concordato "in bianco" il 5.02.2019, nel corso della procedura di gara, senza curarsi di domandare al Giudice fallimentare la prescritta autorizzazione; b) al momento della aggiudicazione disposta il favore del RTI De. - Ri. (9.09.2019), la mandante Ri., che versava in situazione di concordato "in bianco" già dal precedente mese di febbraio, non era autorizzata alla prosecuzione della gara; c) l'autorizzazione al Giudice Fallimentare è stata richiesta da Ri. solo dopo l'aggiudicazione e persino dopo l'impugnazione della stessa aggiudicazione da parte del RTI Re. innanzi al TAR; d) nel caso di specie l'autorizzazione sarebbe stata chiesta ed intervenuta con notevole ritardo e dopo la scadenza del termine legale (60 gg) per la stipula del contratto. III. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 32, 33, 48, 80, 83 E 84,D.LGS. N. 50/16. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT.161 E 186-BIS, L. N. 267/42. VIOLAZIONE DELL'ART. 94, COMMA 5, LETT. D), D.LGS. N.36/2023.VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. CARENZA DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. IRRAGIONEVOLEZZA. ILLOGICITÀ .TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO. CONTRADDITTORIETÀ . SVIAMENTO: sarebbero venuti meno in capo a Ri. Co. s.p.a. i requisiti generali e speciali risultando prospettata la cessione del ramo di azienda, come risultante dal provvedimento assunto dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e non preso in considerazione dalla stazione appaltante al momento della conferma dell'aggiudicazione; sarebbe evidente che Ri. in conseguenza della cessione finirà per privarsi dell'azienda necessaria alla realizzazione dell'appalto. Si sono costituiti il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna eccependo l'infondatezza di tutti i motivi "ex adverso" dedotti costituendo il provvedimento impugnato esecuzione del giudicato reso "inter partes" e non essendo venuto meno il rapporto fiduciario con la stazione appaltante. Si è costituita De. Im. s.r.l. evidenziando tra l'altro come con la sentenza n. 4728 del 2023 il Consiglio di Stato nell'accogliere gli appelli ha respinto il ricorso di primo grado avverso l'originaria aggiudicazione che dunque non è mai stata annullata; l'attività dell'Amministrazione sarebbe orientata al conseguimento del "risultato" inteso come puntuale esecuzione dei lavori oggetto della gara in ossequio appunto all'omo principio compendiato dall'art. 1 del d.lgs. 36 del 2023 non applicabile "ratione temporis" ma comunque utilizzabile in via interpretativa, come recentemente ritenuto dal Consiglio di Stato. Si è costituita anche Ri. Co. s.p.a. eccependo l'inammissibilità del ricorso in quanto parte ricorrente avrebbe dovuto esperire azione di ottemperanza innanzi al Consiglio di Stato trattandosi di dare esecuzione ai criteri conformativi di cui alla sentenza n. 4728/2023 rappresentando altresì la pendenza nell'ambito della procedura concorsuale della cessione del ramo d'azienda e l'individuazione dell'operatore economico che effettuerà i lavori. Alla camera di consiglio del 24 gennaio 2024 parte ricorrente ha rinunciato alla tutela cautelare in vista della celere fissazione dell'udienza di merito. In prossimità della trattazione nel merito le parti hanno depositato ampie memorie e documentazione insistendo per le conclusioni già rassegnate per la fase cautelare. Segnatamente le ricorrenti hanno insistito per la fondatezza della pretesa azionata evidenziando il mancato apprezzamento da parte dell'Amministrazione della attuale situazione di Ri. Co. allo stato priva dei requisiti richiesti per la realizzazione dei lavori per cui è causa, essendo ancora pendente la cessione del ramo di azienda. La difesa della capogruppo De. Im. s.r.l. ha insistito per il rigetto del gravame eccependo altresì l'inammissibilità delle doglianze dirette a rimettere in discussione profili già coperti dal giudicato così come del terzo motivo per la mancata indicazione del requisito generale di cui Ri. Co. sarebbe priva; non sarebbe "ratione temporis" applicabile l'art 94 co.5 del Codice dei contratti pubblici approvato con d.lgs. n. 36/2023 secondo cui l'autorizzazione deve intervenire prima dell'aggiudicazione. Con memoria la difesa di parte ricorrente ha replicato alle suindicate eccezioni evidenziando come l'oggetto dell'impugnativa sia nuovo atto non meramente confermativo affetto da vizi del tutto autonomi rispetto a quelli prospettati con il ricorso avverso l'originaria aggiudicazione. Anche la difesa di De. Im. ha depositato memoria di replica tra l'altro evidenziando come le doglianze di cui al secondo motivo, per quanto appunto già argomentato nella memoria conclusiva o violano il principio del "ne bis in idem" (pretendendo che l'aggiudicazione sarebbe illegittima per contestazioni già sollevate nel giudizio concluso con la sentenza n. 4728/2023) o contrastano con l'art. 80 del d.lgs 50/2016 e con il principio di tassatività delle cause di esclusione nella parte in cui pretendono di imporre un effetto escludente per i tempi in cui svolge la procedura di approvazione del concordato in corso presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere o per le modalità supposte nel concordato medesimo, quali l'ipotizzata cessione di azienda, modalità e tempi che non rientrano in alcuna delle cause di esclusione previste dall'art. 80 del Codice dei contratti, di cui al D.lgs. 50/2016. Alla pubblica udienza del 8 maggio 2024, uditi i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.-E' materia del contendere la legittimità del provvedimento del 28 novembre 2023 con cui il Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia e la Emilia Romagna ha confermato relativamente all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì - 1° Stralcio" l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 6.9.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto al RTI tra Ri. Co. spa e De. Im. s.r.l. risultato primo in graduatoria. Lamentano le ricorrenti quali imprese del raggruppamento temporaneo capeggiato dal Consorzio Stabile Re. oltre l'insufficiente motivazione del provvedimento impugnato in relazione alle circostanze sopravvenute, il mancato esame da parte della stazione appaltante della situazione attuale della mandante Ri. Co. s.p.a. asseritamente priva dei requisiti generali e speciali per risultare nuovamente aggiudicataria dei lavori di che trattasi. 2.- Preliminarmente va esaminata l'eccezione di inammissibilità del gravame sollevata da Ri. Co.. Diversamente da quanto argomentato dalla controinteressata, con il ricorso in esame le ricorrenti hanno dedotto vizi almeno in parte del tutto nuovi ed autonomi nei confronti dell'aggiudicazione confermativa intervenuta il 28 novembre 2023, sostenendo la carenza in capo a Ri. dei requisiti ex art. 80 d.lgs. 50/2016 in relazione alla perdurante pendenza della procedura di approvazione del concordato con continuità aziendale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e dell'ipotizzata cessione del ramo di azienda. Tanto basta, ad avviso del Collegio, per superare l'eccezione e ritener per ciò ammissibile il ricorso vertente quanto meno parzialmente su profili di legittimità sopravvenuti al giudicato riguardanti provvedimento di conferma propria in quanto preceduto da una rinnovata valutazione istruttoria da parte dell'Amministrazione, secondo il consolidato criterio distintivo tra conferma propria ed impropria tracciato dalla giurisprudenza (ex plurimis T.A.R. Lombardia Milano sez. II, 29 settembre 2022, n. 2126). 3.- Sono invece inammissibili per violazione del principio del "ne bis in idem" come eccepito da De. Im. s.r.l. le doglianze di cui al secondo motivo di gravame con cui parte ricorrente di fatto pretende di riproporre censure in realtà già sollevate nel giudizio concluso con la sentenza n. 4728 del 2023. Il giudicato ha infatti come visto già ampiamente rilevato come benchè di norma l'autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica debba intervenire entro il momento dell'aggiudicazione, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un'autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante, senza possibilità per il g.a. di compiere tale valutazione per il divieto di cui all'art. 34 co. 2 c.p.a. inerente i poteri autoritativi non esercitati. Con la sentenza n. 4728/2023 il Consiglio di Stato ha anche escluso la violazione dell'obbligo di buona fede da parte dell'aggiudicataria la quale ha correttamente informato la stazione appaltante degli sviluppi della procedura concorsuale. Costituisce "ius receptum" in relazione al processo amministrativo che, ai sensi degli artt. 2929 c.c. e 324 c.p.c., la regola del "ne bis in idem" presuppone l'identità nei due giudizi delle parti in causa e degli elementi identificativi dell'azione proposta e quindi che in quei giudizi sia chiesto l'annullamento degli stessi provvedimenti, o di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità in quanto inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di impugnazione (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 10 maggio 2021 n. 3618; Id. sez. IV, 23 giugno 2015, n. 3158; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 3 gennaio 2022, n. 4) 4.- Venendo al merito il terzo motivo di gravame, per quanto argomentato, non merita condivisione. 4.1.- Ai sensi dell'art. 80 co. 5 lett b) del d.lgs. n. 50/ 2016 "pro tempore" applicabile "Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni"...omissis..... " l'operatore economico sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o sia in corso nei suoi confronti un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall'articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza adottato in attuazione della delega di cui all'articolo 1 della legge 19 ottobre 2017, n. 155 e dall'articolo 110". La suindicata norma va dunque coordinata con il richiamato art. 110 del Codice del 2016 ai sensi del quale l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale su autorizzazione del giudice delegato anche senza la necessità di avvalersi di requisiti di altro soggetto può partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori forniture e servizi. Va poi evidenziato che il concordato con continuità aziendale introdotto dall'art. 186 bis R.D. 16 marzo 1942 n. 267 diversamente da quello "ordinario" prevede la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore e la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento in una o più società (Anac Determinazione 23 aprile 2014, n. 3; Cassazione civile sez. I, 16 giugno 2023, n. 17273) Ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento di pubbliche commesse, l'impresa che si trovi in concordato preventivo con continuità aziendale, necessita di autorizzazione del giudice per tutto il periodo compreso tra la presentazione della domanda di accesso al concordato e fino all'omologazione del concordato medesimo, ma non successivamente all'intervenuta omologa: dopo di essa infatti, salvo che non intervengano la risoluzione o l'annullamento del concordato, viene meno l'esigenza dell'autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione, così come non occorre che la partecipazione sia accompagnata dal deposito della relazione di un professionista indipendente attestante la capacità dell'impresa di adempiere al contratto (T.A.R. Toscana sez. III, 20 marzo 2023, n. 286). Una volta ottenuta l'autorizzazione giudiziale - che come chiarito dall'Adunanza Plenaria può intervenire per quanto riguarda le procedure di affidamento soggette all'applicazione del d.lgs. 50/2016 anche successivamente all'aggiudicazione e prima della stipulazione del contratto ove la stazione appaltante dia conto in motivazione delle ragioni di pubblico interesse - la perdurante pendenza della procedura di concordato non è motivo di esclusione contemplato dall'art. 80 co. 5 lett. b) del citato decreto. 4.2.- Come noto per giurisprudenza pacifica le cause di esclusione devono ritenersi di stretta interpretazione e l'eventuale incertezza interpretativa va risolta nel senso di assicurare la più ampia partecipazione dei concorrenti, in omaggio al principio eurounitario del "favor partecipationis"(ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 14 marzo 2016, n. 1015; id., sez. V, 17 marzo 2015, n. 1375.) Nel caso di specie le ricorrenti come visto individuano quale causa di esclusione l'art. 80 co. 5 lett. b) d.lgs. 50/2016 requisito di cui la mandante Ri. Co. del RTI aggiudicatario sarebbe privo. Ma diversamente da quanto prospettato dalla difesa di parte ricorrente non risulta provata l'apertura di un procedimento di liquidazione a carico della mandante Ri. Co. non essendo sufficiente in tal senso la nota depositata e firmata dalla stessa (doc. n. 2) tenuto sempre conto la mera pendenza di una istanza di fallimento o di liquidazione giudiziale non è causa di esclusione dalla gara (C.G.A.S. 24 aprile 2015, n. 363). Giova invece rilevare come ai sensi dell'art. 94 co. 5 lett. d) del d.lgs. n. 36/2023 - non applicabile "ratione temporis" alla procedura di che trattasi - costituisce causa di esclusione automatica la sottoposizione dell'operatore economico a procedura di liquidazione giudiziale e di concordato preventivo in difetto di autorizzazione preventiva "entro la data dell'aggiudicazione" e sempre che "non intervengano ulteriori circostanze escludenti relative alle procedure concorsuali". 4.3.- Non ignora il Collegio come in tale ambito le perplessità avanzate dalle ricorrenti in merito alla concreta possibilità per il raggruppamento aggiudicatario di procedere all'esecuzione dei lavori contrattuali possano avere consistenza, venendo però in rilievo una ragione valevole sul piano dell'opportunità, non sindacabile dall'adito Tribunale al di fuori delle tassative fattispecie di giurisdizione estesa al merito, e non su quello della legittimità in assenza di una corrispondente causa di esclusione tra quelle delineate dalla fonte normativa primaria ratione temporis applicabile alla fattispecie. Nel concordato con continuità aziendale di cui all'art. 186 bis L.F. d'altronde diversamente dal concordato "ordinario" l'obiettivo legislativo del recupero della stabilità aziendale può essere perseguito proprio con la cessione dell'azienda in esercizio (ex multis Cassazione civile sez. I, 5 aprile 2022, n. 10988). Infine non da ultimo trascura parte ricorrente che l'esecuzione del contratto potrebbe essere pur sempre assicurata, se del caso, anche con modifiche meramente interne al raggruppamento ovvero tramite l'apporto della mandataria De. Im. (ex multis Consiglio di Stato Ad. plen., 27 maggio 2021, n. 9). 5.- Il primo motivo di gravame, infine, non merita ugualmente adesione. Trascura parte ricorrente che per giurisprudenza del tutto pacifica la valutazione circa la ricorrenza delle cause facoltative di esclusione dalle gare pubbliche rientra nell'ambito della ampia discrezionalità della P.A. ed è sindacabile solo in caso di manifesta pretestuosità e ai soli fini di un eventuale riesame da parte della stessa P.A. (ex plurimis, Consiglio di Stato, A.P. n. 16/2020; Id. sez. V, 18 ottobre 2022, n. 8864; Id. sez. III, 10 febbraio 2021, n. 1248; id. n. 505/2021; Id, sez. IV, 8 ottobre 2020, n. 5967) e che al contempo l'atto di ammissione (a differenza dell'esclusione) è motivabile "per relationem" ove correlato alle deduzioni del concorrente stesso (ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 22 novembre 2023, n. 2762; Consiglio di Stato sez. IV, 10 novembre 2021, n. 7501). Nella fattispecie la stazione appaltante previo parere dell'Avvocatura dello Stato e richiamata la più volte citata sentenza n. 4728/2023 del Consiglio di Stato ha non irragionevolmente escluso la sussistenza di ragioni ostative alla conferma dell'aggiudicazione, nell'ambito di una valutazione discrezionale di sua spettanza. 6.- Alla luce delle suesposte argomentazioni il ricorso è in parte inammissibile ed in parte infondato. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite attesa l'obiettiva complessità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna Bologna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile ed in parte lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Carpentieri - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere Paolo Amovilli - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1856 del 2024, proposto dalla Id. soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 89103193D9, rappresentata e difesa dagli avv. ti Ro. e Fa. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ro. Pa. in Roma, via (...); contro l'Università degli Studi Roma "La Sapienza", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti della C.M. Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti An. An., An. Ru., Ma. Or. e Ma. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - delle decisioni del RUP della stazione appaltante all'esito della seduta riservata del 16 maggio 2023, riportate nel Verbale n. 8, nella parte in cui si è ritenuto che: i) il costo del lavoro indicato dalla CM Se. s.r.l. nella propria offerta economica le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi; ii) l'offerta economica stessa fosse congrua e ammissibile; - della determinazione dell'Ateneo del 2 agosto 2023 di aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se. s.r.l.; nonché per l'accertamento della circostanza per cui la CM Se. s.r.l. doveva essere esclusa dalla gara; nonché per la declaratoria dell'inefficacia del contratto d'appalto stipulato e del subentro nell'esecuzione del servizio. Visti il ricorso, la memoria e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio di Università degli Studi Roma "La Sapienza" e i relativi allegati, nonché l'atto di costituzione in giudizio e la memoria della C.M. Se. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 il dott. Massimiliano Scalise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Con l'atto introduttivo del presente giudizio, la Id. soc. coop. (di seguito anche "Id." o "ricorrente") ha impugnato gli atti sulla cui base la procedura aperta per l'affidamento dell'appalto quinquennale relativo ai servizi di pulizia delle sedi dell'Università di Roma "La Sapienza" è stata aggiudicata in favore della la C.M. Se. s.r.l. (di seguito anche "CM Se." o "controinteressata" o "aggiudicataria"). 2 - La gara europea d'appalto, per un importo a base d'asta nel quinquennio di circa euro 45 milioni, è stata aggiudicata secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base del miglior rapporto qualità /prezzo (punti 80 per l'offerta tecnica e 20 punti per l'offerta economica). A seguito delle operazioni valutative delle offerte presentate (trentacinque), è scaturita la graduatoria finale, in cui la CM Se. s.r.l. si è classificata al primo posto con punti 90,842 e la Id. si è posizionata al secondo posto, con punti 89,39. In particolare, l'aggiudicataria ha offerto un ribasso del 18,25%, avendo stimato i costi della manodopera in euro 34.990.650,04 contro gli euro 36.780.796,00 stimati dalla stazione appaltante (circa euro 1.8 milioni in meno), con un utile corrispondente a circa lo 0,47% dell'importo offerto (circa euro 175.000,00 nel quinquennio). 3 - Successivamente, hanno avuto luogo le operazioni di verifica della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, articolatesi attraverso diverse interlocuzioni e richieste di chiarimenti, e conclusesi con un giudizio positivo dell'Ateneo, che così ha concluso: "Dall'analisi complessiva della documentazione, e delle giustificazioni presentate e a seguito dell'audizione tenuta in data 09/05/2023, analizzate tutte le componenti dei costi, tenuto conto dell'offerta nella sua complessità, il RUP e la Commissione valutano congrua e sostenibile, e pertanto ammissibile, l'offerta". 4 - E' seguito il provvedimento dell'Università del 2 agosto 2023, recante la comunicazione dell'aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se., alla quale, poi, lo stesso Ateneo ha consegnato i lavori in via d'urgenza già il 1° settembre 2023, a fronte della stipula del contratto avvenuta il 2 febbraio 2024. 5 - Non appena avuta notizia dell'aggiudicazione in favore della prima classificata, la ricorrente si è attivata per conseguire l'accesso agli atti e ai verbali di gara, riuscendo a soddisfare integralmente la sua pretesa ostensiva solo a seguito di vari tentativi e della sentenza di questa Sezione n. 17209/2023. 6 - La ricorrente ha, poi, gravato gli esiti della gara, focalizzando le censure sulla pretesa inosservanza, da parte della CM Se., dei trattamenti retributivi minimi stabiliti dal CCNL del settore e sull'asserita incongruità della relativa offerta. 7 - Il ricorso è stato affidato a tre motivi: i) violazione di legge: violazione degli articoli 95, comma 10 e 97, comma 5, lettera d) del d.lgs n. 50/2016; illegittimità dell'avere la CM Se. calcolato i costi della manodopera considerando per il primo anno del servizio i livelli contrattuali minimi del periodo "07/2021-07/2022", ossia dell'anno antecedente a quello in cui il servizio avrebbe potuto iniziare a venir svolto, e per ognuno dei successivi quattro anni di servizio i livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente; eccesso di potere: difetto di istruttoria e manifesta illogicità dei giudizi del RUP, che ha ritenuto che il costo della manodopera considerato dalla CM Se. le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi e che la sua offerta economica fosse congrua; ii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, che ha ritenuto: 1) che i costi della manodopera considerati dalla CM Se. le consentissero di rispettare i minimi salariali retributivi; 2) che l'offerta economica da essa presentata fosse congrua per non essersi egli, altresì, reso conto che tale operatore economico, avendo basato il calcolo del costo della manodopera del triennio 2023/2026 utilizzando il dato percentuale INPS del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%, ha mancato di considerare gli oneri INPS obbligatoriamente da sostenersi, ammontanti in relazione alle ore di lavoro ordinario, al complessivo importo di euro 120.585,09, con inosservanza dei limiti inderogabili tabellari stabiliti dalla contrattazione collettiva; iii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, secondo cui l'offerta economica della CM Se. le consentiva di rispettare i minimi salariali retributivi ed era congrua per il fatto di non essersi accorto che, in relazione all'incidenza del dato percentuale INPS, essa ha calcolato il costo delle ore di lavoro supplementari: 1) per il triennio dal 2023 al 2026, considerando il dato percentuale del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%; 2) per tutti i cinque anni del servizio, senza ricomprendere nel calcolo medesimo la maggiorazione del 28% dovuta per tale tipo di prestazione. 8 - L'Università di Roma "La Sapienza" si è costituita in resistenza al ricorso e, con una succinta relazione, ha sostenuto l'attendibilità delle valutazioni compiute sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria. Lo stesso ha fatto la CM Servizi con un'articolata memoria, in cui ha dedotto alcuni aspetti di inammissibilità del ricorso e ne ha argomentato l'infondatezza. In particolare, ha sostenuto che: i) il margine derivante da alcune sovrastime compiute in sede d'offerta di circa euro 414.000 sarebbe idoneo ad assorbire i maggiori costi quantificati nei primi due mezzi; ii) il terzo mezzo sarebbe infondato. 9 - In vista dell'udienza, la ricorrente con puntuale memoria ha meglio articolato le proprie tesi, anche alla luce delle deduzioni della controinteressata. 10 - All'udienza pubblica del 22 maggio 2024, uditi gli avvocati come da verbale, la causa è stata assunta in decisione. 11 - In via preliminare, il Collegio deve esaminare i profili di inammissibilità del ricorso eccepiti dalla controinteressata. In particolare: i) sotto un primo versante, è stato affermato che il giudizio sulla congruità dell'offerta prima classificata sarebbe un giudizio globale e sintetico, espressione di discrezionalità tecnica, e non potrebbe risolversi in una "caccia all'errore", risultando altrimenti la relativa censura inammissibile; ii) sotto un secondo angolo di visuale, la ricorrente avrebbe omesso di contestare il merito dei verbali relativi al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta prima classificata antecedenti al verbale n. 8, nei quali sarebbero stati trattati aspetti cruciali per la valutazione della sua sostenibilità : essi sarebbero, quindi, divenuti incontestabili e risulterebbero idonei a sorreggere la legittimità valutazione finale compiuta nel verbale n. 8. Entrambi i citati profili non colgono nel segno. 11.1 - Non il primo tenuto conto che: i) la prima parte del primo e del secondo mezzo, con cui la ricorrente ha lamentato il mancato rispetto da parte dell'aggiudicataria, in sede d'offerta, dei minimi retributivi fissati dal CCNL del settore, in violazione degli artt. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, afferiscono ad una fase distinta e precedente rispetto a quella di valutazione della congruità dell'offerta: detta fase ha, infatti, esclusivo riguardo alla verifica dello scostamento oggettivo del costo della manodopera offerto rispetto ai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale, senza che siano ammesse e valutabili giustificazioni su tale aspetto; e l'eventuale scostamento è sufficiente a determinare l'esclusione dalla gara del concorrente; ii) in ogni caso, il resto del ricorso è volto a far valere aspetti di erroneità e di lacunosità nell'operato dell'Ateneo in sede di valutazione della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, di portata tale da integrare evidenti errori di fatto e palesi illogicità, pienamente sindacabili in sede giurisdizionale, quali componenti essenziali per il corretto esercizio del potere tecnico-discrezionale da parte della stazione appaltante (cfr. ex multis, Cons. St., V, n. 3854/2024). 11.2 - Le stesse conclusioni di infondatezza valgono per il secondo rilievo, ove si consideri che il fuoco dell'impugnazione si è correttamente concentrato sul verbale (il n. 8), in cui l'Ateneo ha concluso l'esame della sostenibilità dell'offerta della CM Servizi, compendiando gli esiti dell'istruttoria precedentemente condotta e documentata nei precedenti verbali (tutta l'attività pregressa è richiamata al penultimo capoverso di pag. 1 del verbale n. 8) e traendone le relative conclusioni ultimative. Nel verbale n. 8, infatti, la stazione appaltante, tirando le somme dell'attività fino a quel momento compiuta, si è espressa in modo definitivo sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria e ha concluso la sua analisi, ritenendo che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta, pur discostandosi lievemente dai livelli individuati dalle Tabelle ministeriali, risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge". Pertanto, l'impugnazione del solo verbale n. 8 non determina alcuna conseguenza in punto di inammissibilità delle censure ricorsuali, posto che esso ha richiamato tutta l'attività istruttoria (e interna) compiuta, tracciandone le conseguenze definitive in chiave valutativa. 12 - Venendo al merito, il ricorso va accolto, in quanto è fondato per quanto di ragione. 13 - Con la prima parte del primo e secondo motivo la ricorrente ha lamentato: - il contrasto con l'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016 dell'operato della CM Se., nella parte in cui ha considerato, in sede d'offerta: i) un costo della manodopera inferiore ai minimi salariali retributivi; ii) l'incidenza INPS sul costo del lavoro, tenendo conto di un'aliquota erronea e più bassa rispetto a quella di legge (il 28,44% in luogo del 29,44%); - la conseguente illegittimità dei giudizi del RUP, che non si è accorto di tale aspetto e, conseguentemente, ha mancato di escluderla. In tesi, la CM Se., per dimostrare che il costo della manodopera da essa quantificato in sede d'offerta in euro 34.990.650,04 la metteva in grado di rispettare i minimi salariali retributivi, ha spostato all'indietro di un intero anno il primo periodo/anno di svolgimento del servizio, al fine di potersi avvalere degli inferiori costi del lavoro applicabili nell'anno precedente; e tale modus procedendi è stato proiettato per l'intera durata del contratto: per ognuno dei successivi quattro anni di servizio successivi al primo, quindi, l'aggiudicataria si è attenuta ai livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente. Conseguentemente, la CM Se. avrebbe derogato in pejus i minimi salariali della contrattazione collettiva nazionale di settore, in contrasto con quanto previsto dall'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, con una sottostima nei costi di manodopera pari circa euro 430.000,00 (315.000,00 relativi alla retribuzione +120.000,00 per i minori oneri previdenziali), tali da erodere interamente l'utile dichiarato di circa euro 175.000,00. La censura così riassunta coglie nel segno per quanto di ragione. 13.1 - Va subito considerato in fatto che la CM Servizi in giudizio ha ammesso: - di non aver tenuto conto, in relazione al primo anno di esecuzione del contratto, degli aumenti retributivi scattati da luglio 2022 e di aver considerato, per i successivi quattro anni, i minimi salariali validi per l'anno precedente, senza tener conto degli aumenti stabiliti (e della relativa decorrenza) in sede di rinnovo del CCNL di settore (cfr. sul punto l'all. 22 depositato in giudizio dalla ricorrente il 22 febbraio 2024); - di aver stimato, in sede d'offerta, l'incidenza degli oneri contributivi sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio, applicando l'aliquota del 28,44% e non già in quella del 29,13%, in tesi individuata come corretta. La stessa aggiudicataria ha quantificato la sottostima dei connessi costi di manodopera in circa euro 240.000,00, che in tesi sarebbero assorbiti dalla sopravvalutazione, compiuta in sede di offerta, di altre voci di costo, che avrebbero generato un risparmio complessivo, sempre nel quinquennio, di circa euro 414.000,00. In chiave esimente, quanto alla sottovalutazione dei costi di manodopera l'aggiudicataria ha affermato di aver calcolato il costo del lavoro considerando quale momento di avvio del servizio il 2021, seguendo le indicazioni dell'Amministrazione sul punto. Sennonché tale rilievo, se vale a giustificare il mancato aggiornamento dei minimi salariali relativi al primo anno, non giustifica certamente il disallineamento relativo agli anni successivi; e ciò tenuto conto che sia al momento della pubblicazione del bando (luglio 2021) che al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte (17 gennaio 2022) era già stato concluso e vigeva l'accordo collettivo del settore (lo stesso recava la data dell'8 giugno 2021), con la conseguenza che le decorrenze dei vari aumenti per gli anni successivi al primo, obliterate dalla CM Servizi, erano da ritenersi, nella rispettiva scansione temporale, ampiamente note e conoscibili a tutte le imprese del settore. Per quest'ultima ragione, non risulta utilmente invocabile - contrariamente a quanto affermato dalla CM Servizi - neppure l'istituto della revisione dei prezzi, attesa l'impossibilità di annoverare l'accordo collettivo dell'8 giugno 2021 fra gli eventi successivi alla stipula del contratto, futuri e non addebitabili alla volontà dell'imprenditore tali da incidere sull'equilibri contrattuale; detto accordo era, infatti, vigente già alla data della pubblicazione del bando di gara e di esso dovevano e potevano tener conto tutte le imprese operanti nel settore. In ogni caso, il Collegio ritiene di dover estendere alla fattispecie in esame l'orientamento giurisprudenziale, affermato nella vigenza del d.lgs n. 50/2016, secondo cui l'aumento derivante dal periodico rinnovo dei contratti collettivi di lavoro applicabili al settore, non può essere considerato un evento imprevedibile ma una normale evenienza di cui l'imprenditore dovrebbe sempre tenere conto nel calcolo della convenienza economica dell'offerta presentata in gara (cfr. in tal senso Cons. St., V, n. 453/2024; id., n. 6652/2023). 13.2 - A tale stregua, è emerso un quadro in cui: - la CM Servizi non ha allineato la sua offerta (quanto meno per gli anni successivi al primo) a quelli che l'accordo collettivo di settore dell'8 giugno 2021 all'art. 73 ha definito in modo emblematico "trattamenti minimi contrattuali", non potendosi desumere dal tenore dell'accordo che i relativi importi fossero considerabili quali valori medi o meramente indicativi; in tal ottica, non giova all'aggiudicataria, al fine di dimostrare la correttezza del suo operato, la considerazione relativa ai costi di manodopera su base aggregata e la loro congruenza complessiva con le tabelle ministeriali, tenuto conto del rilievo per cui il rispetto dei minimi salariali risponde all'esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della giusta retribuzione e serve ad evitare manovre speculative sulla retribuzione dei dipendenti finalizzate a rendere l'offerta in gara più competitiva; a tale stregua, la verifica del rispetto dei minimi, per presidiare in modo effettivo le finalità cui è preordinata, va effettuata prendendo a riferimento gli importi previsti dal CCNL di settore per i profili professionali corrispondenti a quelli impiegati nella commessa e non già, come erroneamente ritenuto dall'aggiudicataria e dalla stazione appaltante, gli importi complessivi su base aggregata; - la CM Servizi ha sottostimato l'incidenza INPS sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio; - da tali condotte è derivata la mancata previsione di costi di manodopera che la stessa aggiudicataria ha quantificato in un importo notevole (circa euro 240.000,00). 13.3 - Ciò premesso in fatto, il Collegio è dell'avviso che nella fattispecie all'esame rientri nell'ambito applicativo: - dell'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'offerta economica l'operatore deve indicare i propri costi della manodopera..... Le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell'aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all'articolo 97, comma 5, lettera d)" - dell'art. 97, comma 6 (prima parte), d.lgs. n. 50/2016, secondo cui "6. Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge. Non sono, altresì, ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza di cui al piano di sicurezza e coordinamento previsto dall'articolo 100 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81...". La disposizione testé enunciata fa riferimento non già ad uno scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, d.lgs. n. 50/2016, dato questo indicativo e da valutare nella sede del giudizio di congruità dell'offerta, bensì ad uno scostamento - come nella specie - del costo del lavoro "dai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale" concretamente applicabile al singolo imprenditore (essendo proprio tale contrattazione la "fonte autorizzata dalla legge" a cui fa riferimento l'art. 97, comma 6 citato). Tale scostamento non tollera alcun tipo di giustificazione da parte del singolo operatore economico, radicando, quindi, non già un potere discrezionale della stazione appaltante di valutare (in contraddittorio con l'impresa) l'eventuale giustificazione dell'anomalia dell'offerta, bensì un potere vincolato di esclusione automatica dalla gara. Esclusione che prescinde, quindi, da una complessiva valutazione discrezionale (da parte della stazione appaltante) dell'impatto del summenzionato scostamento del costo del lavoro sulla congruità economica globale dell'offerta e sulla sua sostenibilità finanziaria. La ragion d'essere di tale esclusione automatica risiede, infatti, nella circostanza che il mancato rispetto del minimo retributivo stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale vigente non può mai essere giustificato (a prescindere, quindi, dal suo concreto impatto sulla sostenibilità economica dell'offerta), stante il ruolo centrale che detta contrattazione svolge nella definizione dei parametri costituzionali di "sufficienza" e "proporzionalità " della retribuzione del lavoratore subordinato (cfr. art. 36 Cost.) (cfr. in tal senso T.A.R. Lazio, Roma, II, n. 8473/2024 e id., I-bis, n. 15870/2023, secondo cui "... una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsti dai Contratti collettivi il parametro utilizzato al fine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore"; cfr. anche T.A.R. Veneto, I, n. 958/2017, secondo cui "una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsi dai contratti collettivi, in base ad un criterio costantemente seguito dalla giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale, il parametro comunemente utilizzato alfine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore, ai sensi dell'art. 36 della Costituzione"). Quanto precede risulta coerente con il principio generale sancito dall'art. 30, comma 3, del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X". Il rispetto dei trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile al singolo operatore economico costituisce, dunque, una condicio sine qua non di partecipazione alla gara. Tali coordinate ermeneutiche trovano un loro compiuto riconoscimento nel consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui la valutazione della possibilità di escludere l'offerente in applicazione dell'articolo 97, comma 5, lett. d) del d.lgs. n. 50 del 2016 "deve invero intendersi riferita all'incongruità complessiva del costo del lavoro, quale risultante all'esito delle giustificazioni prodotte nel corso del subprocedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta - rispetto al quale il riferimento ai costi risultanti dalle tabelle ministeriali di cui all'art. 23 comma 6 del codice costituisce utile parametro di riferimento, secondo quanto di seguito specificato - laddove, per contro, il mancato rispetto dei minimi salariali inderogabili previsti dalla leggi o da fonti autorizzate dalla legge (id est dalla contrattazione collettiva) comporta ex se l'esclusione dalla procedura di gara, non essendo in relazione al mancato rispetto di detti minimi salariali ammesse le giustificazioni, come claris verbis statuito dall'art. art. 95 comma 6 del Codice secondo cui "Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge..." (cfr. ex multis Cons. St., V, n. 1652/2023). Il che conferma, quindi, che l'eventuale violazione dei minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile - lungi dal consentire all'operatore economico di giustificare lo scostamento retributivo - impone piuttosto l'esclusione dalla gara di detto operatore. 13.4 - Calando tali coordinate ricostruttive nella fattispecie all'esame, a fronte dell'accertato disallineamento dell'offerta dell'aggiudicataria rispetto ai trattamenti minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile (quanto meno per gli anni successivi al primo) e delle sottostime dei costi di manodopera che ne sono conseguiti, la stazione appaltante ha totalmente pretermesso l'apprezzamento di tale preliminare e dirimente aspetto. Difatti, essa ha affermato, peraltro senza fornire alcuna adeguata motivazione, che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta...risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge" e ha proceduto all'esame di congruità dell'offerta ritenendo, anche in questo caso in modo eccessivamente generico, che il rilevato disallineamento rispetto ai livelli individuati dalle tabelle ministeriali fosse giustificato. Emerge, dunque, con evidenza che l'iter valutativo della stazione appaltante risulta viziato da un palese travisamento dei fatti e da evidenti profili di contraddittorietà rispetto al quadro istruttorio emerso. Infatti, a fronte del carattere evidente del surrichiamato disallineamento, la stazione appaltante avrebbe dovuto procedere senz'altro all'esclusione dell'aggiudicataria, essendo destinata a passare in secondo piano ogni ulteriore profilo inerente alla valutazione delle giustificazioni a suffragio della sostenibilità dell'offerta, così come ogni profilo inerente allo scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, del d.lgs n. 50/2016 (tabelle aventi, a differenza del CCNL, un valore soltanto orientativo). Di qui l'illegittimità degli atti impugnati per violazione degli artt. 95, comma 10 e 97, comma 6 del d.lgs n. 50/2016. 14 - Per mera completezza, si soggiunge che, quand'anche l'aggiudicataria avesse dimostrato di aver osservato i trattamenti minimi previsti dalla vigente contrattazione collettiva o comunque che il disallineamento accertato non avesse conseguenze in punto di sottovalutazione dei costi di manodopera, i restanti motivi di gravame sarebbero comunque stati accolti. E ciò in quanto, come puntualmente dedotto e comprovato dalla ricorrente e non adeguatamente smentito dalla controinteressata, l'offerta da quest'ultima presentata sarebbe stata da ritenere comunque incongrua e non sostenibile. 14.1 - La ricorrente, infatti - a fronte di un ribasso del 18,25% (con circa 187.655 ore di lavoro in meno rispetto a quanto stimato in sede di lex specialis) e dell'appostazione di un utile su cinque anni pari a circa euro 175.000,00 pari allo 0,47% dell'importo offerto di euro 34.990.650,04 - ha compiutamente illustrato i profili di sottostima: i) conseguenti al mancato rispetto dei trattamenti minimi inderogabili stabiliti nel CCNL di settore per un importo complessivo di circa euro 315.000,00 di costi non considerati; ii) derivanti dal calcolo dei contributi previdenziali sulla base di un'aliquota più bassa rispetto a quella vigente (28,44% rispetto a quella del 29,44%), per un importo complessivo di circa euro 120.000,00 di costi non considerati; iii) relativi all'erroneo calcolo dei contributi previdenziali sul lavoro complementare, per il quale è stata computata un'aliquota più bassa e il relativo calcolo non ha compreso la maggiorazione del 28%, per un importo complessivo di circa euro 390.000,00 di costi non considerati. In tesi, tali profili di sottostima erano tali da erodere il ridotto margine di utile (circa 175.000,00 nel quinquennio), rendendo l'offerta incongrua e insostenibile. Sul punto, giova puntualizzare che, con l'articolazione di tali censure, la ricorrente non ha inteso compiere una "caccia all'errore" ma ha piuttosto individuato puntuali circostanze di fatto idonee a determinare la palese erroneità e l'evidente travisamento nelle valutazioni compiute dalla stazione appaltante in merito alla congruità dell'offerta della CM Servizi. 14.2 - Orbene, in relazione alle predette censure, l'aggiudicataria ha: - allegato di aver compiuto, in sede d'offerta, delle sovrastime con riguardo ai costi per la manodopera (circa euro 101.000), ai costi per la sicurezza (circa 78.000) e all'assistenza sanitaria integrativa (euro 54.000), sovrastime che, unite all'utile di circa euro 175.000,00, formerebbero un margine di circa euro 414.000,00, sufficiente ad assorbire le paventate sottostime; - quanto alla censura sub i), l'aggiudicataria, realizzando l'allineamento, tempo per tempo, degli importi a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, ha ridotto la sottostima a circa 244.000,00; - quanto alla censura sub ii), la CM Servizi ha riconosciuto di aver calcolato i contributi previdenziali con un'aliquota non corretta (28,44% in luogo di 29,13% e non già di 29,44% come affermato nel ricorso) e conseguentemente ha ridotto la sottostima a circa euro 68.000,00. - quanto alla censura sub iii), ha affermato che, a mente dell'art. 33 del CCNL la maggiorazione andrebbe applicata ai soli istituti retributivi diretti e indiretti, senza impattare sul calcolo degli oneri contributivi. La medesima aggiudicataria ha, quindi, concluso nel senso della piena sostenibilità dell'offerta. 14.3 - Ciò premesso, è rilevante considerare che la ricorrente, con successiva memoria non fatta oggetto, neppure nel corso della discussione, di alcuna adeguata confutazione, ha puntualmente dedotto quanto segue. 14.3.1 - La paventata sovrastima relativa ai costi per la manodopera (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 per ciascuno dei cinque anni di contratto), quantificata ritoccando l'importo dei costi di manodopera offerti da euro 34.990.650,04 ad euro 34.889.719,84 (cfr. pag. 12 delle prime giustificazioni alla stazione appaltante del 20 ottobre 2022 e pag. 7 delle seconde giustificazioni del 23 febbraio 2023, entrambe fornite alla stazione appaltante - cfr. all. ti 18 e 19 depositati in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024), è stata successivamente superata da quanto affermato dalla stessa aggiudicataria nella successiva nota consegnata al RUP il 9 maggio 2023 in sede di audizione (cfr. cfr. all. 20 depositato in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024). In tale nota, la CM Servizi, per fronteggiare i rilievi del RUP sul minor assenteismo dichiarato, ha proceduto a modificare al rialzo il costo della manodopera annuo, quantificandolo in euro 6.994.965,98 (per una somma di euro 34.974,82 nel quinquennio). Ora, alla luce di ciò, è emerso che il margine di sovrastima si è inevitabilmente ridotto dalla somma inizialmente indicata (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 annui) a circa euro 3.000,00 annui e a circa euro 15.000,00 nel quinquennio. Conseguentemente, il margine attivo idoneo ad assorbire le sottostime puntualmente quantificate nel ricorso è destinato ad assottigliarsi da circa euro 414.000,00 (stimati dall'aggiudicataria) a circa euro 330.000 nel quinquennio. 14.3.2 - Quanto alla sottostima dei costi, il Collegio rileva che, anche a voler assumere la correttezza delle prospettazioni formulate dalla CM Servizi in giudizio sulle prime due censure: i) il riallineamento degli aumenti previsti anno per anno ai minimi retributivi inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva determina una sottostima dei costi di manodopera di circa euro 240.000,00; ii) il calcolo degli oneri contributivi secondo l'aliquota del 29,13% determina una sottostima di costi per un importo di circa euro 68.000,00. 14.3.3 - A tali importi, poi, vanno aggiunti, ad avviso del Collegio, sia quelli relativi derivanti dal calcolo dei contributi sul lavoro supplementare con l'aliquota del 29,13% (in luogo dell'aliquota del 28,44% utilizzata) sia soprattutto quelli derivanti dal calcolo degli oneri contributivi includendo nell'imponibile la maggiorazione del 28% prevista per il lavoro supplementare. La tesi dell'aggiudicataria, secondo cui quest'ultima componente sarebbe esente dagli oneri contributivi non può aver pregio ove si consideri che: i) la maggiorazione forfettaria e convenzionale del 28% costituisce la retribuzione per il lavoro supplementare, vale a dire per quello reso, nell'ambito di rapporti di lavoro a tempo parziale, oltre l'orario contrattuale, e avente un costo orario sensibilmente inferiore rispetto all'ora lavorativa ordinaria; ii) la normativa rilevante in materia (la l.n. 153/1969 per gli aspetti previdenziali e il d.P.R. n. 917/1986 per gli aspetti fiscali) depone nel senso che l'assoggettamento a prelievo contributivo del reddito di lavoro dipendente debba tendenzialmente avvenire sulla medesima base imponibile individuata ai fini fiscali ex art. 48 del TUIR (oggi art. 51); e tale norma così dispone "Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui si riferiscono": il quadro normativo è, dunque, chiaro nel ricomprendere anche la maggiorazione del 28% nell'imposizione contributiva, rientrando la stessa, in quanto forma di retribuzione convenzionale e forfettaria del lavoro supplementare, nel novero delle somme e dei valori corrisposti "in relazione al rapporto di lavoro" (cfr. in tal senso anche Cons. St., V, n. 453/2024, secondo cui in caso di utilizzo del lavoro supplementare, "gli oneri previdenziali sul corrispondente e complessivo costo non possono certamente essere negletti o non valorizzati nell'ambito dell'appalto.."). Né a conclusioni opposte può indurre il richiamo all'art. 33 del CCNL, invocato dall'aggiudicataria: tale previsione, infatti, in piena coerenza con l'ambito oggettivo di intervento rimesso alla contrattazione collettiva, laddove prevede che "Le ore di lavoro supplementare sono retribuite come ore ordinarie, incrementate ai sensi dell'art. 6, comma 2 del D.lgs. 81/2015 dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari su tutti gli istituti retributivi indiretti e differiti, compreso il TFR, determinata convenzionalmente e forfetariamente, tra le parti, nella misura del 28%, calcolato sulla retribuzione base e retribuito il mese successivo all'effettuazione della prestazione. La definizione di quanto sopra è coerente con quanto previsto all'articolo 6 del D.lgs. 81/2015", disciplina il differente aspetto dell'incidenza della maggiorazione sui vari istituti retributivi (al fine di determinarne il loro adeguamento), senza incidere sull'adempimento degli obblighi contributivi, disciplinati da una disciplina pubblicistica, inderogabile e autosufficiente. Sulla base di quanto precede, emerge un'ulteriore sottostima dei costi di importo pari ad almeno circa euro 248.000,00. 14.3.4 - In definitiva, sommando tutti i costi che - come emerso dall'esame delle risultanze in atti -l'impresa non ha considerato (circa euro 240.000,00 per costi di manodopera + euro 68.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi + circa euro 248.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi sul lavoro supplementare) e ponendoli a confronto del margine "attivo" derivante dalle sovrastime compiute (per circa euro 330.000,00) emergono con sufficiente evidenza l'insostenibilità dell'offerta e la sua non congruità . E ciò in quanto le voci di costo, per la loro entità, non solo sono certamente tali di erodere ogni margine di utile ma sono suscettibili di dar luogo all'esecuzione del servizio in perdita. Di tutto ciò evidentemente non ha tenuto conto la stazione appaltante che, in sede di verifica di congruità dell'offerta - pur avendo dato luogo ad un articolato contraddittorio con l'aggiudicataria e pur avendo preso atto delle diverse rettifiche compiute sui costi di manodopera e degli errori nel calcolo degli oneri contributivi - si è limitata a valutare il solo scostamento dai parametri medi di cui alle tabelle ministeriali, senza porsi la questione preliminare e assorbente della coerenza degli importi offerti con i trattamenti minimi inderogabili. E sul punto il Collegio deve ribadire nella specie il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui, col riferimento al "costo della manodopera, costituente un elemento essenziale dell'offerta economica - tanto è vero che deve essere oggetto di una specifica indicazione ai sensi dell'art. 95 comma 10 del d.lgs n. 50/2016 - la valutazione della stazione appaltante deve essere condotta con particolare rigore, esigendo quindi dall'impresa sottoposta a verifica spiegazioni assolutamente adeguate" (cfr. sul punto, ex multis Cons. St., V, n. 3968/2020 e in senso ana T.A.R. Lombardia, Milano, IV, n. 1194/ 2020; T.A.R. Molise, I, n. 175/2020). D'altro lato, l'Ateneo si è appiattito sulle deduzioni dell'aggiudicataria concludendo, senza corredare le conclusioni raggiunte degli elementi atti ad illustrare l'iter logico seguito a tal fine, che "l'offerta nella sua complessità ...fosse congrua e sostenibile...", dato questo smentito dalle surrichiamate risultanze documentali, non adeguatamente considerate in sede endoprocedimentale e, per contro, ben evidenziate in tutte le loro implicazioni dalla ricorrente. Del resto, a riprova della superficialità dell'istruttoria condotta dall'Ateneo, vanno anche considerate l'omessa considerazione della valenza e degli effetti sulla sostenibilità dell'offerta di due aspetti dedotti nel ricorso e non oggetto di alcuna contestazione da parte della CM Servizi, l'uno afferente al monte ore degli addetti da assumersi ex novo e l'altro relativo ai costi per la formazione. Quanto al primo aspetto, l'aggiudicataria ha indicato che avrebbe fatto prestare ai dieci addetti di secondo livello da assumersi ex novo n. 721,25 ore settimanali e, quindi, matematicamente a ciascuno più di 72 ore per settimana, laddove il monte ore massimo è fissato in 40 ore. Conseguentemente i costi della sicurezza sono stati calcolati solo sui 10 addetti, quando per prestare le ore di lavoro previste (nel rispetto del monte ore massimo) sarebbe stato necessario più del doppio delle risorse necessarie, con relativi maggiori costi della sicurezza. Quanto al secondo aspetto, l'aggiudicataria ha previsto in sede di offerta di far svolgere nel quinquennio n. 177.750 ore di formazione e di appostare per esse un costo di soli euro 99.591,86, come se ciascuna ora di formazione, nell'impossibilità di farle svolgere tutte "on the job", potesse effettivamente costare appena 56 centesimi di euro. Sulla base di tutto quanto fin qui illustrato, il Collegio osserva che l'attività della stazione appaltante risulta viziata da manifesto errore di fatto e da palese illogicità, avendo la stessa pretermesso l'adeguata valutazione di circostanze di fatto deponenti in modo preciso e univoco nel senso dell'insostenibilità dell'offerta della CM Servizi e quindi nel senso della sua esclusione dalla gara. Orbene, il Collegio non ignora che, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, il giudizio di verifica della congruità dell'offerta ha natura globale e sintetica e costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale riservato all'Amministrazione, come tale limitatamente sindacabile. Tuttavia è altrettanto innegabile che l'analisi della stazione appaltante debba avere riguardo a tutte le componenti dell'offerta e che il sindacato giurisdizionale si esplichi con pienezza nelle ipotesi di manifesta e macroscopica erroneità dell'operato del seggio di gara. Questo è il caso della fattispecie all'esame, in cui è stata censurata l'omessa considerazione della portata e degli effetti non già di poste aleatorie o valutative ma di talune voci di costo (alcune delle quali ammesse anche dalla ricorrente e comunque tutte emerse in sede endoprocedimentale) non considerate in sede di offerta che, se poste a confronto con il margine (tutt'altro che cospicuo) di utile stimato, erano tali da condurre all'insostenibilità di quest'ultima e da determinare l'esclusione dell'aggiudicataria (cfr. in tal senso, ex multis, Cons. St., V, n. 6786/2020; id., n. 2796/2020; id., n. 4820/2018; id., VI, n. 4350/2017). Ne consegue che gli atti impugnati risultano manifestamente erronei o illogici rispetto alle complessive risultanze emerse a seguito dei giustificativi presentati dall'interessata. 15 - In definitiva, sulla base di quanto in precedenza illustrato, il ricorso deve essere accolto e, per l'effetto: i) vanno annullati gli atti impugnati meglio identificati in epigrafe; ii) va accertata l'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione a favore della controinteressata, che avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara; iii) va accolta la domanda di annullamento dell'aggiudicazione impugnata. Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene, altresì, che ricorrano i presupposti di cui all'art. 122 del cod.proc.amm. per la dichiarazione di inefficacia del contratto d'appalto, essendo stata presentata dalla ricorrente la domanda di subentro nel contratto nella forma di domanda risarcitoria in forma specifica e non essendo stata fornita in giudizio alcuna allegazione di elementi a ciò ostativi. Invero, qualora la controinteressata fosse stata esclusa, la ricorrente avrebbe senz'altro conseguito l'aggiudicazione dell'appalto, in quanto classificata seconda nella gara, a seguito di scorrimento nell'ordine di graduatoria. Ne consegue che il contratto di appalto in corso di esecuzione deve essere dichiarato inefficace a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, con subentro della ricorrente nel contratto stesso, ai sensi dell'art. 124 del cod.proc.amm., previa verifica del possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente e dalla legge di gara. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto: - annulla il provvedimento di aggiudicazione impugnato e tutti gli atti identificati in epigrafe, sulla cui base la stazione appaltante è pervenuta alla sua adozione; - dichiara l'inefficacia del contratto di appalto stipulato e il subentro nello stesso della parte ricorrente, a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, previo svolgimento delle relative verifiche; - condanna l'Università degli Studi Roma "La Sapienza" e la C.M. Se. s.r.l. al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente, che liquida, a carico di ciascuna delle parti soccombenti, in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre ad oneri come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Sapone - Presidente Massimiliano Scalise - Referendario, Estensore Marco Savi - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 664 del 2019, proposto da -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati An. Si. Ed. Ba. e Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro Ente di Diritto Pubblico Parco Regionale della Valle del Lambro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pi. Fe. ed En. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. En. Ro. in Milano, Piazza (...); nei confronti del Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Corso di (...); sul ricorso numero di registro generale 1984 del 2019, proposto da -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati An. Si. Ed. Ba. e Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Corso di (...); nei confronti del Parco Regionale della Valle del Lambro, non costituito in giudizio; per l'annullamento - quanto al ricorso n. 664 del 2019: del provvedimento (prot. -OMISSIS-) recante parere ai sensi dell'art. 32 del decreto legge n. 269/2003, reso dal Parco Regionale della Valle del Lambro in data 26.02.2010 sulla istanza presentata dal dante causa delle ricorrenti per la sanatoria di opere eseguite sul fabbricato di proprietà, sito in -OMISSIS- (MB), meglio descritto in atti, nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale; - quanto al ricorso n. 1984 del 2019: del provvedimento ("Protocollo: -OMISSIS-") - avente ad oggetto "Domanda, ai sensi dell'art. 32 del D.L. 269/2003, di definizione degli illeciti edilizi N.-OMISSIS- per l'intervento in sanatoria di eliminazione locale caldaia, chiusura parziale porticato esistente per formazione taverna, realizzazione bagno di servizio in strada della -OMISSIS- n. -OMISSIS- fg. -OMISSIS- mapp. -OMISSIS-.. Diniego definitivo", emesso dal Comune di -OMISSIS- in data 25.07.2019 e notificato in pari data, sulla istanza presentata dal dante causa delle ricorrenti per la sanatoria di opere eseguite sul fabbricato di proprietà, sito in -OMISSIS- (MB), meglio descritto in atti, nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale, ivi incluso il preavviso di diniego; nonché per la condanna del Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore e dei suoi Responsabili, anche in solido tra loro, al risarcimento del danno ingiusto cagionato alle ricorrenti. Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS- e dell'Ente di Diritto Pubblico Parco Regionale della Valle del Lambro; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 maggio 2024 la dott.ssa Silvia Torraca e uditi i difensori della parte ricorrente e del Comune, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con il ricorso iscritto al N. R.G. 664/2019 -OMISSIS- e -OMISSIS-, quali proprietarie - in forza di successione mortis causa di -OMISSIS- - del fabbricato sito in -OMISSIS-, Strada delle -OMISSIS-, meglio descritto in atti, hanno impugnato il parere negativo reso in data 26.02.2010 dall'Ente Parco Regionale della Valle del Lambro ai sensi dell'art. 32 D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326) sulla istanza presentata in data 09.01.2004 dal loro dante causa ai fini del condono di opere abusive realizzate nel predetto immobile. Hanno esposto che il Comune era rimasto inerte in relazione alla suddetta istanza e che, solo a seguito di accesso agli atti dalle stesse richiesto dopo il decesso del de cuius, avevano appreso del parere negativo espresso dall'Ente Parco sin dal 2010 e mai comunicato al richiedente. Con il primo motivo di gravame le ricorrenti hanno censurato il suddetto parere in ragione: dell'asserita contraddittorietà rispetto all'autorizzazione edilizia e paesaggistica rilasciata in favore del dante causa per le opere realizzate nel medesimo immobile nel 1997 (di cui quelle successive costituivano mero ampliamento/completamento); della violazione e falsa applicazione dell'art. 32 D.L. 269/2003, non potendo le opere oggetto dell'istanza di sanatoria essere qualificate come "nuova costruzione"; del difetto di istruttoria e del travisamento dei fatti. Con il secondo motivo di ricorso sono state dedotte violazioni di natura procedimentale in relazione all'art. 32, co. 43 D.L. 269/2003 e agli artt. 2, 2-bis e 10-bis l. 241/1990. Si sono costituiti in giudizio il Parco Regionale della Valle del Lambro e il Comune di -OMISSIS-, entrambi deducendo l'inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, appuntandosi lo stesso avverso un atto endoprocedimentale, e l'infondatezza nel merito delle censure ex adverso articolate. 2. Con autonomo gravame (iscritto al N. R.G. 1984/2019) le ricorrenti hanno impugnato il successivo diniego emesso dal Comune di -OMISSIS- sull'istanza di condono edilizio sopra richiamata, chiedendone l'annullamento per i medesimi motivi già articolati avverso il parere negativo del Parco Regionale, oltre alla condanna del Comune, in persona del Sindaco e dei suoi Responsabili, anche in solido tra loro, al risarcimento dei danni cagionati. Si è costituito il solo Comune di -OMISSIS-, richiamando le difese già svolte nel giudizio contraddistinto al N. R.G. 664/2019 e deducendo l'infondatezza della domanda risarcitoria. 3. In vista dell'udienza di discussione le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 73 c.p.a. All'udienza pubblica del 29 maggio 2024 entrambi i ricorsi sono stati trattenuti in decisione. DIRITTO 1. In via preliminare il Collegio dispone d'ufficio la riunione dei ricorsi ex art. 70 c.p.a., in quanto soggettivamente ed oggettivamente connessi, poiché pendenti tra le stesse parti e vertenti, rispettivamente, su un atto endoprocedimentale e sul provvedimento conclusivo del medesimo procedimento, dei quali è stato chiesto l'annullamento per identici motivi. 2. Ciò premesso, deve in primo luogo essere dichiarata l'inammissibilità per carenza di interesse del ricorso iscritto al N. R.G. 664/2019, avendo lo stesso ad oggetto un atto di natura endoprocedimentale, come tale privo di efficacia lesiva. Come ben evidenziato da Cons. Stato, Sez. V, Sent., 10/02/2004, n. 480, infatti, "la determinazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico trova comunque origine nell'avvio di un procedimento edilizio partitamene disciplinato, anche nelle sue diverse scansioni temporali. L'atto assume una valenza esterna nella parte in cui esprime la valutazione compiuta dell'amministrazione in ordine agli interessi affidati alla sua cura. Ma la concreta lesività del provvedimento si manifesta solo nel momento in cui esso è trasposto o richiamato nell'atto finale che definisce la domanda di sanatoria edilizia (Cons. Stato, V Sez. 20 marzo 2000, n. 1511; Cons. Stato, VI Sez., 28 gennaio 1998, n. 114). In tal senso si pone anche una generale esigenza di tutela dell'affidamento del privato, considerando che l'atto dell'autorità titolare del potere di tutela del vincolo è denominato parere e che l'assetto di interessi complessivo riguardante la richiesta di sanatoria è sintetizzato e delineato compiutamente solo dal provvedimento dell'autorità comunale". Nel caso di specie, parte ricorrente ha impugnato il parere negativo reso dall'Ente Parco in un momento in cui il Comune non aveva ancora concluso il procedimento relativo all'istanza di sanatoria; una volta che tale procedimento è stato definito mediante l'emanazione del provvedimento di diniego dell'istanza - adottato dal Comune in data 25.07.2019 - le odierne ricorrenti hanno tempestivamente proposto autonomo ricorso avverso quest'ultimo, il quale costituisce l'unico provvedimento lesivo della loro situazione giuridica. 3. Passando all'esame del ricorso contraddistinto al N. R.G. 1984/2019, va osservato quanto segue. 3.1. Con il primo motivo si contesta la qualificazione di "nuova costruzione" assegnata alle opere oggetto della richiesta di sanatoria, con conseguente violazione dell'art. 3 D.P.R. 380/2001, e si deduce il difetto motivazionale del provvedimento impugnato, atteso che "non solo il porticato esterno dell'immobile di Via della -OMISSIS- era già stato parzialmente chiuso per ricavare dei vani tecnici (e detto intervento assentito, pur in costanza del vincolo paesaggistico), ma detta circostanza era altresì già nota alla P.A., la quale disponeva della documentazione comprovante lo stato di fatto autorizzato ed assentito". 3.2. La censura è infondata. 3.3. È pacifico che le opere abusivamente realizzate consistessero nella eliminazione del locale caldaia, nella (ulteriore) chiusura parziale del porticato (da un lato con muratura, dall'altro con basculante) ai fini della formazione di una taverna e nella realizzazione di un bagno di servizio interno. Ciò posto, non può condividersi la tesi di parte ricorrente secondo cui le suddette opere non integrerebbero una nuova costruzione, esaurendosi in un mero "ampliamento/completamento" di quelle assentite nel 1997: e ciò, in primo luogo, perché l'autorizzazione alla realizzazione di determinate opere non ne legittima automaticamente il relativo ampliamento (tanto più ove si consideri la consistenza dell'intervento de quo, che ha comportato la creazione di nuova volumetria - 38 mq - e superficie utile, ossia una trasformazione urbanisticamente rilevante dell'assetto edilizio preesistente, necessitante del previo rilascio del permesso di costruire) e, in secondo luogo -e per quanto qui maggiormente interessa- perché tale conclusione risulta inficiata nei presupposti, posto che all'epoca del rilascio della autorizzazione relativa alle prime opere (1997) non sussisteva il vincolo del Piano Territoriale di Coordinamento del Parco, approvato con deliberazione di Giunta Regionale n. 7/601 del 28 luglio 2000, rettificata con D.G.R. n. 7/6757 del 9 novembre 2001. Dirimente risulta, dunque, la circostanza che le opere di cui è controversia - essendo state ultimate in data 29 marzo 2003 - fossero assoggettate all'imposizione del predetto vincolo. Come è noto, infatti, l'art. 32, co. 27 D.L. 269/2003 cit. stabilisce che "...le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:... d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". 3.4. Ad avviso di parte ricorrente, "la sanabilità delle opere realizzate in zona vincolata è da escludere solo se si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta (divieti di edificazione o prescrizioni di inedificabilità ex art. 33 legge n. 47 del 1985) e non anche nella diversa ipotesi di vincolo di inedificabilità relativa, ovvero di vincolo di tutela suscettibile di essere rimosso mediante un giudizio ex post di compatibilità delle opere da sanare da parte della competente autorità (ad es. cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 696 del 4.5.1995). Sul punto, si ribadisce che l'area in questione è edificata, ad esempio con l'immobile delle ricorrenti, dunque non può discutersi di inedificabilità assoluta". 3.5. Tale tesi non merita condivisione. Secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (v., da ultimo, Sez. VI, 12/12/2023, n. 10697), "ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. d), del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni - e cioè che le opere siano realizzate prima dell'imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori senza aumento di superficie e volume (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo, indipendentemente dal fatto che il vincolo non sia di carattere assoluto, non può essere sanato (Cons. Stato, sez. VI, 15/11/2022, n. 9986)". Ne deriva che, a prescindere dalla natura relativa o assoluta del vincolo paesaggistico insistente sull'area, l'opera in concreto realizzata (come visto, tamponatura del porticato esistente e creazione di un bagno di servizio interno, con aumento di superficie di circa 38 mq) non era sanabile, non essendo riconducibile alle c.d. opere minori di cui ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 al D.L. 269/2003 (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). 3.6. Del pari privo di pregio è l'assunto di parte ricorrente secondo cui l'intervento di cui è causa non potrebbe qualificarsi in termini di "nuova costruzione" neppure ai sensi dell'art. 3, co. 1, lett. e.6) D.P.R. 380/2001 "atteso il modesto aumento volumetrico ricavato dalla parziale chiusura del porticato (38 mq) e quindi ben inferiore al limite del 20% condonabile". Nel caso di specie, l'intervento effettuato è consistito nella tamponatura di un originario portico, di fatto trasformandolo in un vano chiuso. Secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. da ultimo, sez. II, 1 settembre 2021, n. 6186) "l'installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati, determina, senz'altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria" (v. ex multis Cons. Stato, sez. II, 27 giugno 2019, n. 4437; sez. V, 5 maggio 2016, n. 1822). L'intervento, cioè, va riguardato dall'ottica del risultato finale, ovvero il rilevato aumento di superficie e di volumetria, sia che ciò consegua alla chiusura su tutti i lati, sia che ne implichi anche la copertura, pure con superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili. La avvenuta realizzazione di un vano aggiuntivo mediante tamponatura di un portico non può neppure qualificarsi come pertinenza in senso urbanistico, in quanto integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie". 4. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente ha censurato la violazione delle garanzie procedimentali previste dalla l. 241/1990, attesa la tardiva conclusione del procedimento (avvenuta a distanza di quindici anni dalla presentazione dell'istanza di condono) nonché l'omessa tempestiva comunicazione, da parte del Comune, del parere negativo reso ai sensi dell'art. 32 D.L. 269/2003 dal Parco Regionale della Valle del Lambro (conosciuto dalle ricorrenti solo nove anni più tardi e a seguito di istanza di accesso agli atti dalle stesse avanzata), con conseguente lesione del legittimo affidamento ingenerato nel privato. 4.1. Il motivo non è suscettibile di favorevole apprezzamento. Soccorrono sul punto le conclusioni formulate da Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9, secondo cui "la mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere "legittimo" in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata". Secondo la giurisprudenza consolidata, in particolare, i provvedimenti che sanzionano l'attività edilizia abusiva - ivi compresi i dinieghi di sanatoria - sono atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né ancora alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare, e non potendo l'interessato dolersi del fatto che l'amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi; "sicché è legittima e doverosa l'adozione del provvedimento di diniego del condono anche quando sia trascorso un lungo periodo di tempo dalla presentazione dell'istanza, senza necessità di una specifica motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse, ulteriori rispetto a quelle inerenti al ripristino della legittimità violata" (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 3 aprile 2023, n. 1103, richiamata da T.A.R. Sicilia, Catania, 30 ottobre 2023, n. 3222). Pertanto, la circostanza che il diniego del Comune sia stato emesso a distanza di ben quindici anni dalla presentazione dell'istanza di condono, non permette di radicare alcun affidamento tutelabile, né per quanto riguarda l'estensione delle categorie della sanatoria, né relativamente alla persistenza del potere di intimare la rimessione in pristino (in tal senso, T.A.R. Brescia, sez. II, 10 luglio 2023, n. 577). 5. Per tutte le ragioni sin qui esposte, il diniego di condono risulta quindi legittimamente adottato. 6. Dalla reiezione della domanda caducatoria discende, quale logico corollario, l'infondatezza della domanda risarcitoria proposta dalle ricorrenti. 7. In conclusione, il ricorso contraddistinto al N. R.G. 1984/2019 deve essere respinto. 8. Tenuto conto della risalenza della controversia nonché della peculiarità della vicenda sotto il profilo procedimentale, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i giudizi. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, previa riunione dei ricorsi indicati in epigrafe, dichiara l'inammissibilità del ricorso N. R.G. 664/2019 e respinge il ricorso N. R.G. 1984/2019. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le ricorrenti. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gabriele Nunziata - Presidente Silvia Cattaneo - Consigliere Silvia Torraca - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 353 del 2023, proposto da El. Za., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ar. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Emilia-Romagna, Provincia di Reggio Emilia, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - dell''atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 con oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell''art. 14 comma 6 LR 15/2013"; - della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Paola Pozzani, nessuno presente per le parti come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 recante in oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell'art. 14 comma 6 LR 15/2013", e dell'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 80 del 27.10.2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio il 28 dicembre 2023, ha speso le proprie difese con memoria del 18 gennaio 2024 ed ha depositato memoria ex art. 73 C.p.a. il 4 aprile 2024. La ricorrente ha precisato la propria posizione con memoria depositata in giudizio il 19 aprile 2024. Entrambe le parti hanno depositato copiosa documentazione. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La ricorrente, proprietaria, in (omissis) (RE), via (omissis), di un edificio residenziale in zona agricola, rappresenta che presentava al Comune di (omissis), in data 8.7.2023, prot. n. 8753, una s.c.i.a. in sanatoria avente ad oggetto la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina, del relativo locale tecnico, della pavimentazione perimetrale, di un piccolo fabbricato in legno ad uso spogliatoio e di una tettoia; ricevuti i documenti ed i chiarimenti richiesti, il Comune di (omissis), con atto 11.10.2023 prot. n. 13122 della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio, comunicava alla ricorrente l'inefficacia della s.c.i.a., "verificata l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP; verificata la non applicabilità dell'art. 4.1.3. comma 6 del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq. di SU". Faceva seguito l'ordinanza 27.10.2023 n. 80, con la quale l'Amministrazione comunale ha disposto la demolizione delle opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria ed anche di una recinzione, accertando, altresì, la sussistenza di una lottizzazione abusiva: "...Confermando quanto relazionato dalla comunicazione di inefficacia trasmessa dal Comune di (omissis) con Prot. n. 13122 del 11.10.2023 si precisa che dagli atti trasmessi risulta quanto segue: 1. Accertata difformità urbanistica ed edilizia sul mappale (omissis) (ex (omissis)) ad uso piscina e manufatti diversi (spogliatoio e wc, locale tecnico, tettoia); le dimensioni della difformità riguardano la piscina di mq. 132,92 di superficie, uno spogliatoio e wc di mq. 8,00, un locale tecnico di mq. 12,00 e una tettoia di mq. 35,02; 2. Accertata difformità urbanistica ed edilizia di muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis); 3. Accertata difformità urbanistica ed edilizia della pavimentazione realizzata sul mappale (omissis); 4. I succitati lavori di esecuzione dei manufatti e della recinzione risultano terminati da tempo, a maggio 2019, come da dichiarazione allegata alla scia 2023/041/S; 5. Accertata difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis) Pratica n. RE0065467 in atti dal 11.5.2023 Protocollo NSD n. ENTRATE.AGEV-STI.REGISTRO UFFICIALE.20433-58.11/05/2023 presentato il 11.5.2023 (n. 65467.1/2023)". Con il primo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" la ricorrente evidenzia, con riguardo alle opere di cui alla s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023, che l'art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, nel prevedere l'accertamento di conformità, mediante s.c.i.a. in sanatoria, degli interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, non detta alcuna disposizione volta a disciplinare il relativo procedimento e prospetta che in materia sussistano due orientamenti giurisprudenziali, l'uno rivolto a riconoscere l'applicabilità dell'istituto del silenzio assenso, l'altro a negarla. In particolare la difesa attorea si riferisce, quanto al primo, alle pronunce che affermano che "la s.c.i.a. in sanatoria, presentata ex art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001, si presta a rendere operanti le correlate prescrizioni di cui all'art. 19 e ss., legge n. 241 del 1990, in materia di silenzio assenso, dovendo essere ragionevolmente riconosciuto a tale segnalazione carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità dei fatti attestati e a produrre, con l'inutile decorso del tempo per l'emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una diversa volontà delle parti, ossia l'avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria... Di talché, non essendo intervenuto alcun motivato provvedimento inibitorio allo spirare del trentesimo giorno dalla segnalazione, il titolo in sanatoria deve essere considerato esistente...". (facendo riferimento a T.A.R. Campania, Salerno, 24.3.2022 n. 809; T.A.R. Campania, Napoli, 9.12.2019 n. 5789; T.A.R. Lazio, Roma, 9.1.2018 n. 156; T.A.R. Calabria 29.5.2019 n. 1085; Cons. Stato, Sez. V, 31.3.2014 n. 1534). Nel caso di specie, tale silenzio significativo si sarebbe formato in quanto il Comune di (omissis), a seguito della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria in data 8.7.2023, ha chiesto tempestivamente alla ricorrente, in data 7.8.2023, prima della scadenza del termine di 30 giorni, chiarimenti e determinata documentazione e, ottenute, in data 6.9.2023, le precisazioni richieste, l'Amministrazione comunale si è pronunciata con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dal ricevimento delle integrazioni e, pertanto, quando il titolo edilizio in sanatoria sarebbe ormai venuto ad esistenza. Parte attrice da atto che un diverso orientamento qualifica la fattispecie come silenzio rigetto (facendo riferimento a T.A.R. Lombardia, Milano, 21.3.2017 n. 676) o come silenzio inadempimento (in riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20.2.2023 n. 1708), ma ne contesta il fondamento poiché la prima declinazione ermeneutica replicherebbe la disciplina dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, precisando che nelle relative sentenze si farebbe riferimento anche al termine di 60 giorni previsto dall'art. 36, comma 3, quando, invece, il legislatore avrebbe tenuto ben distinte le fattispecie, prevedendo: - la disciplina dell'art. 36 per i casi di "interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio di attività nelle sole ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformità da essa"; - la disciplina di cui all'art. 37 per la diversa fattispecie riguardante "la realizzazione di interventi di cui all'art. 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla s.c.i.a.", senza operare alcun riferimento, neppure indirettamente, all'art. 36 né prevedere che il mancato, tempestivo, pronunciamento della Amministrazione sia da qualificarsi come silenzio rigetto. Quanto alla seconda declinazione interpretativa dell'orientamento in disamina, la difesa attorea sottolinea che sarebbe stato affermato (in riferimento a Cons. Stato, n. 1708/2023 cit.) che "il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento" in considerazione del fatto che "dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio": sul punto la ricorrente sottolinea che nella impossibilità, sulla base di detta impostazione, di far riferimento, per il pronunciamento dell'Amministrazione comunale, ad alcun termine determinato - non al termine dell'art. 19 della L. n. 241/1990, la cui inosservanza comporterebbe il silenzio assenso, non al termine di cui all'art. 36, la cui inosservanza è qualificata come silenzio rigetto, e neppure al termine previsto in via generale dall'art. 2, comma 2, della L. n. 241/1990, atteso che, sulla base della giurisprudenza citata, 30 giorni non sarebbero sufficienti per accertare la duplice conformità urbanistica di un'opera abusiva - verrebbe a determinarsi una situazione di assoluta incertezza, non essendo dato comprendere quando possa configurarsi l'inadempimento, così da consentire all'interessato di attivarsi giudizialmente per contrastare l'inerzia della Amministrazione. Né tale tesi sarebbe percorribile, ad avviso del patrocinio attoreo, sulla scorta del fatto che, in caso di esito favorevole, il quantum della somma da corrispondersi a titolo di oblazione debba essere determinato dal responsabile del procedimento medesimo, poiché non sussisterebbe alcuna preclusione a che la somma dovuta venga determinata in un momento successivo alla formazione, per decorso del termine di 30 giorni, del titolo edilizio in sanatoria: tale tesi sarebbe ancora meno spendibile con riferimento al caso di specie, avuto riguardo alla normativa regionale di riferimento. La ricorrente fa riferimento all'art. 17, comma 3, della L. Reg. 21.10.2004 n. 23 laddove prevede per le nuove costruzioni il pagamento di un importo a titolo di oblazione predeterminato dalla stessa norma, commisurato "al contributo di costruzione in misura doppia ovvero, in caso di esonero, in misura pari a quella prevista dalla normativa regionale e comunale, e comunque per un ammontare non inferiore a 2.000 euro": pertanto, assume la difesa attorea, l'intervento del responsabile del procedimento, nel caso considerato, non sarebbe a rigore necessario e il modulo relativo alla s.c.i.a. in sanatoria prevede che l'importo della oblazione sia indicato dal privato e preventivamente versato. L'esponente contesta l'impostazione della decisione del Consiglio di Stato n. 1708/2023 laddove si legge, altresì, che il silenzio inadempimento è soluzione che "appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio", poiché la disciplina di cui all'art. 19 della L. n. 241/1990 non esclude una valutazione espressa della Amministrazione, prevedendo anzi, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti prescritti, l'adozione di "motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa". Inoltre, aggiunge parte attrice, la s.c.i.a. in sanatoria ha per oggetto opere di minore impatto e rilevanza, per le quali l'accertamento della doppia conformità rispetto alla disciplina urbanistico - edilizia può essere adeguatamente effettuato nel termine di 30 giorni previsto dalla legge, tenuto conto anche del fatto che il termine in questione è suscettibile di essere interrotto per chiarimenti e integrazioni, per poi, una volta ottenuto quanto richiesto, riprendere nuovamente il suo corso. In conclusione, la difesa attorea prospetta che la comunicazione di cui all'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, in quanto pervenuta oltre il termine di 30 giorni dall'inoltro delle integrazioni richieste dall'Amministrazione comunale, sarebbe da ritenersi, sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale che ritiene preferibile, priva di efficacia, come previsto anche dall'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 (in riferimento al comma 8-ter) che il Comune di (omissis), a dimostrazione della ritenuta applicabilità della norma in questione anche nel caso di specie, avrebbe richiamato espressamente in detta comunicazione: il titolo edilizio in sanatoria sarebbe, pertanto, venuto ad esistenza e l'inefficacia dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 si riverberebbe sulla ordinanza 27.10.2023 n. 80, determinandone l'illegittimità per vizio derivato ed anche per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, difettando il presupposto per ordinare il ripristino dello stato dei luoghi, costituito dalla abusività delle opere considerate. Nella memoria finale la difesa attorea aggiunge che la tesi volta ad escludere la possibile formazione del silenzio assenso sulla s.c.i.a. in sanatoria confliggerebbe anche con quanto previsto dal D.Lgs. 25.11.2016 n. 222 ("Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124") sottolineando che l'art. 2 del D.Lgs. citato sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990": la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" indica la "S.c.i.a. in sanatoria" prospettando, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria è da considerarsi soggetta al regime del silenzio assenso, secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Con il secondo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Violazione dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione degli artt. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. del Comune di (omissis). Eccesso di potere per travisamento. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" parte ricorrente ritiene che nel caso di specie sussista il presupposto della doppia conformità posto che, a differenza di quanto ritenuto dal Comune di (omissis), le opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023 sarebbero conformi alla disciplina urbanistico - edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia alla data di presentazione di detta segnalazione: precisa, infatti, che si tratterebbe della medesima disciplina, atteso che le opere di cui trattasi sono state realizzate nel maggio del 2019 e il vigente R.U.E. del Comune di (omissis) è stato approvato con delibera di C.C. 21.12.2011 n. 72. La determinazione del Comune sarebbe erronea nel ritenere non sanabili le opere ridette, adducendo "l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP" ed anche la "non applicabilità dell'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" poiché la s.c.i.a. in sanatoria di cui si discute riguarda la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina e delle relative strutture accessorie costituite dal locale tecnico ove sono alloggiati gli impianti della piscina, da uno spogliatoio in legno, da una tettoia a bordo piscina per la sosta e il riparo delle persone e dalla pavimentazione perimetrale alla piscina: le opere descritte - prospetta l'esponente - sarebbero state realizzate in stretta contiguità spaziale rispetto all'attiguo edificio abitativo (la piscina è posta di fronte a detto edificio, alla distanza di una ventina di metri), per il quale, con autorizzazione edilizia 7.1.2000 n. 47/99/A, è stato assentito il mutamento di destinazione d'uso da fabbricato rurale a edificio residenziale. A sostegno della pertinenzialità la ricorrente adduce che la Regione Emilia-Romagna, con nota 24.6.2020 n. PG/2020/463171 del Servizio giuridico del territorio, disciplina dell'edilizia, sicurezza e legalità (in actis al documento n. 8), ha precisato che costituisce pertinenza dell'edificio residenziale la piscina posta a servizio dell'edificio medesimo, "con dimensioni non superiori al 20% del volume dell'edificio principale, che non ha una potenziale autonoma utilizzazione economica" e, come si evincerebbe dalla relazione tecnica del Geom. Al. Be. del 5.12.2003 (in actis al documento n. 9), la piscina di cui trattasi ha un volume di 152 mc. inferiore al 20% del volume del fabbricato principale, pari a 1462,27 mc. (1462,27mc x 20% = 292,45 mc.). Inoltre, aggiunge la ricorrente, la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonoma utilizzazione economica, considerato che la stessa, come risulterebbe dalla relazione succitata, ha le dimensioni di una piscina ad uso privato destinata a soddisfare le esigenze delle persone residenti nell'edificio abitativo, risultando, altresì, strettamente connessa all'edificio medesimo non solo per la sua ubicazione, ma anche per il fatto che la piscina è dotata di impianti derivanti dalla abitazione ridetta, sia per l'adduzione idrica, sia per l'energia elettrica: la pertinenzialità sarebbe implicitamente - ad avviso della difesa attorea - riconosciuta dallo stesso Comune di (omissis) che nulla avrebbe eccepito in ordine al fatto che, per la sua sanatoria, sia stata presentata una s.c.i.a. Inoltre, sottolinea la esponente, il riferimento operato dal Comune di (omissis), con l'atto impugnato, alla assenza di titolo per intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E., non sarebbe corretto trattandosi di pertinenza di un edificio residenziale, e avrebbe, perciò, titolo per intervenire il proprietario dell'edificio medesimo, ancorché privo della qualifica di imprenditore agricolo. A sostegno della tesi, la ricorrente evidenzia che l'art. 4.1.3. del R.U.E. del Comune di (omissis) prevede la possibilità di ottenere il mutamento di destinazione d'uso degli edifici rurali in edifici residenziali, così che, una volta assentito detto mutamento, deve ritenersi consentita, per il proprietario, la realizzazione di opere pertinenziali dell'edificio principale: questa prospettazione sarebbe confermata dalla giurisprudenza, essendosi ritenuta legittima la realizzazione, in ragione del riconosciuto carattere pertinenziale, di una piscina di dimensioni contenute a corredo di un edificio a destinazione residenziale sito in zona agricola (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. V, 16.4.2014 n. 1951; idem, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Puglia, Lecce, 1.6.2018 n. 931; idem, 14.1.2019 n. 40; T.A.R. Liguria 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Sicilia, Palermo, 13.2.2015 n. 441). Sarebbero, così, suscettibili di sanatoria anche il locale tecnico, lo spogliatoio in legno, la tettoia e la pavimentazione perimetrale, trattandosi di elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina (citando con riferimento al locale tecnico, Cons. Stato, n. 1951/2014), insuscettibili, per le loro dimensioni contenute, di alterare in modo significativo l'assetto del territorio. Quanto al fatto che il Comune di (omissis), con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, ha addotto altresì, che, nel caso di specie, non sarebbe applicabile l'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. "in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" la difesa attorea ne contesta l'assunto in quanto la disposizione medesima disciplinerebbe l'ampliamento delle unità edilizie abitative e delle superfici accessorie esistenti, senza escludere la possibilità di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: nel caso in esame, detto limite, come sarebbe evidenziato nella relazione sopra del Geom. Be., sarebbe stato rispettato anche considerando i locali accessori (spogliatoio e locale tecnico), mentre la tettoia non sarebbe computabile a fini volumetrici, essendo aperta su tutti i lati. Aggiunge l'esponente che il locale spogliatoio e il locale tecnico hanno, rispettivamente, una volumetria di 17,78 mc. e di 27 mc. che sommata al volume della piscina (152 mc.) porta ad una volumetria complessiva di 196,78 mc., inferiore al 20% del volume del fabbricato principale (292,45 mc.) concludendo che le opere oggetto di sanatoria sarebbero da considerarsi conformi alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento e, così, suscettibili di sanatoria. Con il terzo motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23, nonchè per eccesso di potere per travisamento sotto altro profilo" la ricorrente lamenta che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha disposto la demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", ma la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, per alcune difformità riguardanti l'edificio principale e anche la recinzione anzidetta: su tale s.c.i.a. l'Amministrazione comunale non si sarebbe ancora pronunciata, avendo chiesto integrazioni, da ultimo, con nota 26.9.2023 prot. n. 12395, alla quale ha fatto seguito, in data 26.10.2023, la trasmissione delle integrazioni richieste; anche in tale caso si sarebbe formato il silenzio assenso, dovendosi, così, escludere la possibilità di ordinare la demolizione dell'opera medesima. Inoltre, l'ordinanza 27.10.2023 n. 80 oggetto di gravame sarebbe da considerarsi illegittima anche nell'ipotesi in cui il procedimento di sanatoria dovesse considerarsi ancora pendente poiché per giurisprudenza consolidata - prospetta la difesa attorea - è "illegittima l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive emessa in pendenza della già avvenuta presentazione di una domanda in sanatoria; questo in quanto nelle more della definizione di tali domande i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi" (citando Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.2021 n. 7448). I Con il quarto motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione e falsa applicazione dell'art. 30 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380 e dell'art. 12 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Eccesso di potere sotto i profili della illogicità e del travisamento sotto ulteriore profilo" evidenzia l'esponente che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha contestato anche una "difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis)", la quale nel caso di specie non sussisterebbe. La difesa attorea sottolinea che la lottizzazione c.d. "cartolare", come espressamente sancito dall'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 12 della L. Reg. n. 23/2004, è ravvisabile allorquando la trasformazione del suolo sia predisposta "mediante il frazionamento e la vendita, ovvero mediante atti negoziali equivalenti, del terreno frazionato in lotti", i quali, per le loro oggettive caratteristiche - con riguardo soprattutto alla dimensione correlata alla natura dei terreni ed alla destinazione degli appezzamenti considerata sulla base degli strumenti urbanistici, al numero, all'ubicazione o all'eventuale previsione di opere di urbanizzazione - rivelino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio degli atti adottati dalle parti (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3215, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4429, Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937). Nel caso di specie, precisa il patrocinio della ricorrente, mancherebbe il presupposto fondamentale per la sussistenza di una lottizzazione "cartolare", atteso che al frazionamento dell'originario mappale n. (omissis) non ha fatto seguito alcuna vendita del terreno frazionato, vendita che non sarebbe configurabile, considerato che la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonomo sfruttamento economico: il frazionamento di cui trattasi è stato effettuato in data 16.5.2023, dandone comunicazione anche al Comune di (omissis) (con riferimento al documento n. 13 in actis), in funzione della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria riguardante la piscina, al fine di distinguere catastalmente la piscina medesima dalla restante area di proprietà, in cui era presente un magazzino, anch'esso realizzato in assenza di titolo edilizio, per il quale è stata presentata dalla ricorrente, in data 7.7.2023, prot. n. 8752, una c.i.l.a. ai fini della sua demolizione. Pertanto, conclude sul punto l'esponente, ancorché l'Amministrazione comunale, con l'atto impugnato, pare essersi riferita esclusivamente alla lottizzazione c.d. "cartolare", sarebbe da escludersi che possano configurarsi anche la lottizzazione "materiale" e la lottizzazione c.d. mista, caratterizzata, quest'ultima, dalla compresenza delle attività negoziali e delle attività materiali volte alla edificazione del terreno dovendosi, in base alla giurisprudenza, considerare che la fattispecie lottizzatoria nella veste "materiale" implica la realizzazione di "opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest'ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori; siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all'amministrazione" (citando Cons. stato, Sez. VI, 4.11.2019 n. 7530): deve, pertanto, trattarsi di una radicale trasformazione del suolo a fini edificatori che non può riscontrarsi, a prescindere dalla dimostrata legittimità dell'intervento, nella realizzazione di una piscina a servizio di un edificio residenziale in zona agricola, non comportando tale opera, tra l'altro, alcun aggravio del carico urbanistico (rinviando a Cons. Stato, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142). Il Comune resistente precisa in fatto che la ricorrente è proprietaria di un complesso immobiliare sito in via (omissis) a (omissis) (RE), che consta di un'abitazione principale (già fabbricato rurale, oggi edificio residenziale) e di un'ampia porzione di terreno agricolo, compendio su cui - nel corso degli anni - sono stati fatti diversi interventi di trasformazione edilizia in assenza di valido titolo. In particolare, in data 28.04.2023 la ricorrente depositava presso il Comune di (omissis) la comunicazione di avvenuto frazionamento dell'ex mappale (omissis) nei nuovi mappali (omissis) e (omissis), frazionamento che era stato presentato all'Agenzia delle Entrate - Ufficio Provinciale di Reggio Emilia - in data 18.04.2023; sul mappale (omissis), secondo la difesa dell'Ente, sono stati commessi svariati abusi edilizi, che - di fatto - lo caratterizzano in modo del tutto differente rispetto al mappale (omissis), sul quale pure sono stati commessi abusi edilizi che la ricorrente ha dichiarato di voler demolire con CILA presentata al Comune in data 08.07.2023, prot. n. 8752, ripristinando in tal modo l'originaria connotazione agricola del terreno (con riferimento ai documenti nn 3, 4, 5, 6, 7 e 8 in actis). Inoltre, prosegue l'Amministrazione, al fine di sanare le opere abusive non rimosse con la CILA di cui sopra, la ricorrente presentava al Comune due distinte pratiche di Segnalazione Certificata di Inizio Attività : la n. 2023/029/S, acquisita con prot. n. 5985 del 12.05.2023, relativa alla sanatoria di opere eseguite su edificio residenziale e sulla recinzione esterna dell'area cortiliva (immobile identificato catastalmente al foglio 20, mappale 205) e la n. 2023/041/S, acquisita con prot. n. 8753 del 08.07.2023, relativa alla sanatoria di una piscina - di oltre 112 mq. di superficie - e di manufatti annessi (su terreno agricolo, identificato catastalmente al foglio 20, mappale (omissis)). Quindi, sottolinea l'Amministrazione, emerge che le opere realizzate sul mappale (omissis) (piscina, tettoia, pavimentazione, locali tecnici, spogliatoio, recinzioni perimetrali alla piscina) sono dalla ricorrente medesima qualificate come "pertinenze" dell'edificio residenziale di cui al mappale 205, ma non sono state inserite nella stessa comunicazione di SCIA in sanatoria. Il Comune resistente aggiunge che dalla relazione fotografica e dagli elaborati grafici allegati alla SCIA prot. 8753, peraltro, si evince che gli interventi abusivamente realizzati sul mappale (omissis) hanno determinato la creazione di un autonomo lotto, con piscina e locali accessori, oltre ad una tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo (di oltre 35 mq. di superficie coperta), lotto del tutto indipendente rispetto all'abitazione principale, al punto che da questa è separata da due cancelli e da uno stradello carrabile (rinviando ai documenti nn. 20 e 21 in actis): ciò comporterebbe che gli abusi edilizi e i frazionamenti dei mappali catastali hanno determinato la creazione di tre distinti lotti all'interno della proprietà della ricorrente, tutti serviti da uno stradello privato interno: uno con abitazione a area cortiliva di pertinenza, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale 205), uno con piscina, zona relax, tettoia con zona pranzo-cucina e locali accessori, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale (omissis)) ed uno che - a seguito della demolizione dei fabbricati abusivi che vi insistono - riacquisterà la sua originaria natura di terreno agricolo (mappale (omissis)). Inoltre, le due SCIA menzionate hanno avuto una sorte tra loro differente: - la n. 2023/029/S, prot. n. 5985, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale 205, dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata accettata dal Comune con atto prot. n. 602/2024; - la n. 2023/041/S, prot. n. 8753, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale (omissis), dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata dichiarata inefficace dal Comune con atto prot. n. 13122 del 11.10.2023. Quest'ultima, oggetto di impugnazione, è stata dal Comune motivata con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti (rinviando all'estratto del PSC di cui al documento n. 25 ed all'estratto del RUE di cui al documento n. 26 in actis) per i seguenti motivi: - assenza di titolo ad intervenire in zona agricola, ai sensi dell'art. 4.1.1 e seguenti del RUE (in quanto intervento in zona agricola effettuato da non imprenditore agricolo - IAP); - per l'inapplicabilità dell'art. 4.1.3 comma 6 del RUE, in quanto l'intervento è stato eseguito su edificio non di recente costruzione e con ampliamento superiore ai 30 mq. di superficie (la sola tettoia sarebbe di 35,02 mq. con riferimento al documento n. 20 in actis). Con l'ordinanza impugnata il Comune ingiungeva di demolire le opere abusive, non sanabili perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (PSC e RUE) realizzate in assenza di valido titolo edilizio sul mappale (omissis), e di ripristinare lo stato dei luoghi, con precisa identificazione delle opere da demolire: piscina, spogliatoio-wc, locale tecnico, tettoia, muri perimetrali, pavimentazione esterna e recinzioni sul lato ovest, sud ed est. Sul primo motivo l'Amministrazione precisa che le tesi della ricorrente non sono condivise dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha invece affermato essere necessario un espresso pronunciamento del Comune sulla SCIA in sanatoria: "... il procedimento (relativo alla sanatoria di abusi edilizi tramite SCIA, n. d.r.) può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento. Innanzitutto, infatti, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento... Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio" (citando Cons. Stato, sez. II, 20.02.2023, n. 1708 e per una puntuale ricostruzione dell'istituto della SCIA in sanatoria riferendosi a T.A.R. Lazio Roma, sez. II-quater, 07.12.2023, n. 18386): di conseguenza, sottolinea la resistente, il procedimento avviato dalla ricorrente con la SCIA prot. n. 8753/2023 è stato correttamente concluso dal Comune con la comunicazione di inefficacia della SCIA stessa (prot. n. 13122, del 11.10.2023), atto motivato con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti. Sul secondo motivo, il Comune precisa che la nota della Regione citata dalla ricorrente si riferisce al quantum del contributo e non al concetto di pertinenzialità e che la declaratoria di inefficacia della SCIA impugnata è corretta in quanto non sussiste nel caso di specie la consistenza della misura inferiore ai 30 mq sostanziandosi l'intervento in un'opera che non sarebbe sanabile nemmeno da un imprenditore agricolo; la pertinenzialità sarebbe esclusa in quanto si tratta di un opera non contenuta ma di una piscina di 112 mq, e ai fini IMU (l'art. 1, comma 741, lett. b) della L. n. 160/2019 individua le pertinenze dell'abitazione principale nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7), e le piscine, che sono da ricomprendere ai sensi delle descrizioni contenute nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 5 del 14.03.1992 "Revisione generale della qualificazione della classificazione e del classamento del N.C.E.U." nella categoria C/4 (Fabbricati e locali per esercizi sportivi), sono escluse dal concetto di pertinenza. Inoltre, sottolinea l'Amministrazione, la giurisprudenza citata dalla ricorrente, al fine di affermare la pertinenzialità della piscina rispetto all'edificio principale, ha comunque quale presupposto per l'applicazione del regime di SCIA la circostanza che la piscina stessa sia costituita da un elemento prefabbricato e non determini modifiche al territorio, circostanze che non ricorrono nel caso de quo. Di conseguenza, controdeduce sul punto l'Amministrazione, risulterebbe irrilevante la tesi sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: non si tratterebbe di una questione di limite percentuale, ma è la natura stessa delle opere abusive che non ne consentirebbe la sanatoria tramite SCIA. Infine, conclude il Comune, l'argomento relativo all'implicito riconoscimento della piscina quale pertinenza dell'abitazione da parte del Comune stesso, che nulla avrebbe eccepito in ordine alla sanatoria dell'abuso tramite SCIA, non terrebbe conto del tenore della "comunicazione di inefficacia" della SCIA stessa, che - attraverso il richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE - implicitamente affermerebbe che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, avrebbero potuto essere realizzate solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Sul terzo motivo di ricorso il Comune di (omissis) precisa che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, Prot. n. 5985 e ciò sarebbe agevolmente rilevabile dalla tavola di raffronto tra la porzione di recinzione sanata con la SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985, segnata in viola, e la porzione di recinzione - non sanata - oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 80/2023, segnata in giallo (con riferimento al documento n. 28 in actis): sarebbero secondo la resistente, pertanto, irrilevanti le argomentazioni del ricorso relative alla "pendenza" del procedimento SCIA n. 2023/029/S poiché la eventuale pendenza del medesimo non rileverebbe, avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Sul quarto motivo di ricorso l'Amministrazione sottolinea che il frazionamento di più opere abusive censurate in via sostanziale integrerebbe una fattispecie di lottizzazione abusiva mista rinviando alla pronuncia del T.A.R. Sardegna, Sez. II, 20.03.2023, n. 194, che la descrive come categoria dogmatica "... caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dall'art. art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nell'attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso...": nel caso in esame, conclude sul punto l'Amministrazione, è stato accertato un disegno unitario, con un rilevante impatto negativo sul territorio rurale, con aggravio del relativo carico urbanistico e con pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita al Comune a garanzia del corretto uso del territorio deponendo per la correttezza della qualificazione della fattispecie come "lottizzazione abusiva". Illustrate brevemente le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che le questioni poste dalla ricorrente sugli effetti del decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in sanatoria non siano rilevanti nel caso de quo in quanto la fattispecie concreta non rientra in tale istituto di semplificazione in base ad un consolidato principio espresso dalla giurisprudenza in materia. Va premesso che l'art. 2 del D.Lgs. n. 222 del 2016, richiamato dal ricorrente, sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990", prevedendo la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" il richiamo alla "S.c.i.a. in sanatoria"; in ragione di ciò prospetta, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria sarebbe da considerarsi soggetta al regime del "silenzio assenso", secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Sul punto il Collegio rileva che il citato n. 41 della tabella A, Sez. II, si riferisce alla s.c.i.a. in sanatoria per interventi realizzati in assenza di s.c.i.a. o in difformità da essa, mentre nel caso concreto, si tratta, come sarà approfondito nel prosieguo della presente decisione, di attività esclusa dai procedimenti semplificati: la costruzione delle opere di cui è causa avrebbe necessitato il permesso di costruire e non la s.c.i.a e, perciò, nel caso di specie, è assente il presupposto stesso - previsto dalla norma - per l'applicazione della disposizione invocata con la conseguenza che alla declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. impugnata non è applicabile il regime amministrativo previsto dall'art. 19 della Legge n. 241 del 1990. Il Collegio, sul punto richiama la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 1055 del 10 aprile 2024 laddove precisa in via generale che dalla necessaria applicazione dell'istituto del permesso di costruire alla fattispecie concreta "deriva l'inapplicabilità dell'art. 19 della legge 241/1990: "L'errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della d.i.a. (oggi SCIA) poiché frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest'ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un'eventuale responsabilità amministrativa, non già la sanatoria della d.i.a. mancante di un requisito essenziale; di conseguenza, il provvedimento con cui l'Amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante d.i.a., occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all'attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento" (cfr.: T.a.r. Puglia Bari, sez. II, 20.02.2017 n. 147)". In particolare, sulla s.c.i.a. in sanatoria, la sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, n. 809 del 24 marzo 2022, ritiene che non è ricollegabile portata infirmante all'inosservanza del termine di 30 giorni ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990 quando le opere abusive esulano dal perimetro del regime abilitativo della SCIA, essendo subordinate al previo rilascio del permesso di costruire: la pronuncia precisa che a tale premessa consegue "l'assenza di effetti legittimanti ricollegabili alla SCIA in sanatoria prot. n. 67995 del 21 novembre 2019, la quale, dacché formata al di fuori del corrispondente modello legale tipico (stante l'assoggettamento dell'opera eseguita ad un più rigoroso regime abilitativo), era da considerarsi 'tamquam non esset', così da giustificare l'impugnata determinazione reiettiva senza l'operatività della preclusione temporale ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990". Quanto alla sussistenza nel caso concreto della necessità del permesso di costruire anziché dell'applicabilità degli istituti di semplificazione, vanno considerati sia gli aspetti definitori del concetto di pertinenzialità rilevante in materia sia l'orientamento ermeneutico sulla qualificazione della specifica opera abusiva, nonché la concreta consistenza dell'intervento edilizio di cui è causa. Sul concetto generale di pertinenzialità il Collegio rinvia a quanto precisato dal T.A.R. Lazio, Sez II Stralcio, n. 7463 del 16 aprile 2024, in adesione al pacifico orientamento giurisprudenziale che "assegna al concetto di "pertinenza", in campo urbanistico-edilizio, un significato più ristretto e meno ampio rispetto alla definizione civilistica di cui all'art. 817 c.c., essendo configurabili come tali "solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscono la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico, e dovendosi altresì tener conto, oltre che della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche della consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essendo il vincolo pertinenziale caratterizzato oltre che dal nesso funzionale, anche dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa" (cfr. ex multis T.A.R. Lazio, Sez. II S, 17 novembre 2023, n. 17168; T.A.R Lazio, II quater, 21 novembre 2022, n. 15371; id., 12 luglio 2022, n. 9594; 26 aprile 2021, n. 4824)". In particolare, sulle piscine l'esegesi cui intende aderire il Collegio ritiene che l'opera interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell'edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio che comporta e della non necessaria complementarità all'uso delle abitazioni poiché non riveste un'obiettiva funzione di migliore utilizzazione della res principalis, tale che in sua assenza risulterebbero impedite o sacrificate talune delle materiali possibilità di sfruttamento o godimento di quest'ultima (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, n. 993 del 24.10.2022; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 9.9.2020, n. 3730; T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, n. 800 del 30.09.2021). In coerenza con tale indirizzo interpretativo, si è di recente rilevato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 02/01/2024, n. 44) che la piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata e perciò configura una nuova costruzione, non potendo essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, atteso che, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di divertimento; in effetti, la realizzazione della piscina comporta una "durevole trasformazione del territorio" e, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede, sì che non può coincidere con la relativa nozione civilistica di pertinenza, nel presupposto che la nozione di pertinenza urbanistica è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, viceversa tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione. Nel caso di specie, una piscina di oltre 112 mq. di superficie, assistita da opere ulteriori (locali accessori e tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo di oltre 35 mq. di superficie coperta), non può essere definita come "di dimensioni contenute" incidendo, pertanto, significativamente sulla trasformazione del territorio e non riveste il carattere di intrinseca funzionalità rispetto alla res principalis sopra delineato; nel provvedimento impugnato di declaratoria di inefficacia della s.c.i.a., infatti, emerge, attraverso il riferimento all'istruttoria svolta in contraddittorio endoprocedimentale ed al richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE, sia che le opere costituiscono un ampliamento superiore ai 30 mq di SU in edificio di non recente costruzione sia che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, si sarebbero potute realizzare solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Di conseguenza, risulta inconferente la tesi attorea sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale, in quanto difetta nel caso concreto la natura stessa di opera pertinenziale. Infine, la nota della Regione Emilia-Romagna invocata a sostegno della pertinenzialità della piscina è chiaramente rivolta alla definizione della medesima esclusivamente ai fini del pagamento e alla qualificazione del contributo di costruzione e, pertanto, la relativa portata interpretativa è confinata in tale ambito: nella nota medesima, infatti, si chiarisce che la natura pertinenziale di una piscina di volume inferiore al 20% dell'abitazione principale rileva al fine di considerarla quale Superficie accessoria che non richiede il versamento della quota degli oneri di urbanizzazione (U1 e U2) ma è soggetta al solo versamento della quota relativa al costo di costruzione (QCC) da calcolarsi non sulla classificazione catastale, bensì, in relazione alla tipologia OMI, formulando un chiarimento di connotazione sostanzialmente tecnico-economica ai fini dell'imposizione della prestazione patrimoniale imposta, che risponde a presupposti diversi da quelli rilevanti nella presente sede. Quanto, poi, al locale tecnico, allo spogliatoio in legno, alla tettoia e alla pavimentazione perimetrale, che la stessa ricorrente qualifica come elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina, vale il consolidato orientamento per cui la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 11/03/2024, n. 2321). Pertanto, al regime edilizio della piscina, necessitante di un permesso di costruire, si associano evidentemente le altre opere alla stessa collegate. Sul terzo motivo di ricorso, relativo all'ordine di demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", proposto in base all'assunto attoreo secondo il quale la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, il Collegio ritiene che l'Amministrazione abbia ampiamente chiarito, con precisazioni sulle quali la difesa attorea non ha ulteriormente coltivato il motivo in disamina, che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985: pertanto, la eventuale "pendenza" di quest'ultima è irrilevante nel presente giudizio avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Il Collegio, infine, ritiene che l'esame dell'ultima doglianza possa dichiararsi assorbito in considerazione della dirimente questione esaminata, relativa all'inconfigurabilità della consistenza pertinenziale delle opere de quibus quale elemento fondante della declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente e di per sé idoneo a sorreggere il conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi. Il Collegio ritiene che, in considerazione della peculiarità della materia, le spese di lite possano essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 798 del 2023, proposto da Ri. Ve. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Brescia, viale (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Mi. Gi. Lo Pr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; e con l'intervento di ad opponendum: We. Ni., rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - del provvedimento del Responsabile dell'Area Urbanistica Edilizia Privata del Comune di (omissis) 18 ottobre 2023 n. 17606 prot. che ordinava la sospensione lavori ed il ripristino dello stato dei luoghi alla situazione antecedente alla data di presentazione della SCIA 2 marzo 2023; - della comunicazione comunale 28 agosto 2023 di avvio del procedimento; - degli atti tutti presupposti, connessi e consequenziali. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visto l'atto di intervento ad opponendum di Ni. We. Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 aprile 2024 il dott. Ariberto Sabino Limongelli, nessuna delle parti presente; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La società Ri. Ve. S.r.l. è proprietaria dell'edificio sito nel Comune di (omissis), via Tasso n. 12, composto da tre piani fuori terra, di cui il piano terra destinato ad attività di ristorazione (con annessa veranda e ingresso indipendente), mentre il primo e il secondo piano destinati ad abitazioni, aventi in comune l'ingresso principale. La facciata principale dell'edificio è rivolta verso il lago, mentre la facciata posteriore è rivolta verso la parete rocciosa retrostante, ad una distanza di circa 3 metri. 2. L'area in cui è ubicato l'edificio è classificata dal PGT di Manerba del Garda all'interno della zona "VUS - Verde Urbano di Salvaguardia" ed è gravata, come l'intero territorio del Comune di (omissis), da vincolo paesaggistico, apposto con decreti ministeriali del 7 gennaio 1959 e 24 marzo 1976. All'interno della zona "VUS - Verde Urbano di Salvaguardia", l'art. 33 delle NTA del Piano delle regole del PGT ammette la realizzazione di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, ristrutturazione edilizia, restauro e risanamento conservativo degli edifici esistenti; la stessa norma prescrive inoltre - per ciò che rileva ai fini del presente giudizio - che "Gli edifici uni/bifamiliari preesistenti alla data di adozione delle presenti norme possono usufruire, solo ai fini residenziali, di un incremento una tantum pari a 150,00 mc. In caso di bifamiliari l'incremento si applica alla singola unità abitativa". 3. Avvalendosi di quest'ultima previsione, la società Ri. Ve. S.r.l., con istanza dell'11 novembre 2022, chiedeva al Comune di (omissis) il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica semplificata per la realizzazione di "Modifiche esterne" e di un "lieve ampliamento" dell'edificio di sua proprietà ; in particolare, come si evince dalla relazione tecnica allegata all'istanza, l'intervento prevedeva lavori di ristrutturazione edilizia su tutti e tre i piani dell'edificio, con limitati ampliamenti da eseguirsi negli appartamenti del primo e secondo piano, nella parte posteriore dell'edificio, quella frontistante la parete rocciosa e non visibile dalla pubblica via. 4. Con provvedimento n. 572 del 28 febbraio 2023, il Comune di (omissis) rilasciava l'autorizzazione paesaggistica semplificata per la realizzazione dell'intervento richiesto, con alcune limitate prescrizioni (non rilevanti ai fini del presente giudizio) imposte dalla Soprintendenza nel proprio parere favorevole. 5. Quindi, in data 2 marzo 2023, l'interessata depositava in Comune un'apposita Scia avente ad oggetto la ristrutturazione e l'ampliamento dell'edificio di sua proprietà, allegando relazione tecnica descrittiva dei lavori in progetto. Con particolare riferimento ai piani primo e secondo, a destinazione abitativa, il progetto prevedeva la realizzazione, in ciascuno dei due piani, di un nuovo volume delle dimensioni di 2,06 x 2,71 mt, non percepito dalla pubblica via, destinato ad ospitare il nuovo bagno. Le tavole progettuali nn 5 e 6 allegate alla relazione tecnica confermavano ulteriormente il contenuto e i limiti dell'intervento che, nel contesto della prevista ristrutturazione, contemplava un incremento volumetrico pari a mc 56,54, quindi inferiore alla misura massima di 150 mc consentita in zona, una tantum, dall'art. 33 delle NTA del Piano delle regole. 6. Sulla base della Scia, non opposta dall'amministrazione comunale nel termine di legge, i lavori avevano inizio con l'avvio delle demolizioni interne previste in progetto. 7. Tuttavia, con successiva nota del 28 agosto 2023, il Comune di (omissis) comunicava a Rio Verde l'avvio del procedimento finalizzato all'eventuale adozione di provvedimenti inibitori ai sensi dell'art. 19 comma 3 L. 241/90, facendo espresso riferimento ad un esposto presentato in data 10 luglio 2023 (e integrato il 20 luglio successivo) e all'esito di un sopralluogo effettuato dall'amministrazione il 7 agosto 2023; in particolare, nella comunicazione di avvio del procedimento il Comune evidenziava che, in relazione all'ampliamento di mq 20,94 (pari a mc 56,54) eseguito sul lato nord dell'immobile, "non ricorrono i presupposti applicativi dell'art. 33 in tema di ampliamento di edifici uni/bifamiliari esistenti nella misura prevista una tantum di mc. 150". 8. L'interessata presentava osservazioni, illustrando le ragioni a sostegno della legittimità dell'intervento. 9. Nondimeno, con provvedimento del 18 ottobre 2023, l'amministrazione comunale, agendo ai sensi dell'art. 19 comma 3 L.241/90 e "in presenza delle condizioni di cui all'art. 21 nonies della medesima", rigettava le osservazioni dell'interessata e disponeva per l'effetto la sospensione dei lavori e il divieto di prosecuzione degli stessi, ordinando all'interessata di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi nello stato antecedente alla presentazione della Scia, entro il termine di 90 giorni dalla notifica dell'atto. 10. Con ricorso notificato il 26 ottobre 2023 e ritualmente depositato, la società Ri. Ve. S.r.l. impugnava il provvedimento da ultimo citato e ne chiedeva l'annullamento, previa sospensione, sulla base di due motivi, con i quali deduceva vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili. 11. Il Comune di (omissis) si costituiva in giudizio depositando documentazione e memoria difensiva, eccependo preliminarmente l'inammissibilità del ricorso per mancata notifica dello stesso alla parte controinteressata Ni. We., proprietaria confinante e autrice degli esposti da cui aveva tratto origine il procedimento amministrativo: circostanza, quest'ultima, conosciuta dalla società ricorrente, sia perché nella comunicazione di avvio del procedimento era stato richiamato l'esposto che aveva originato i successivi accertamenti dell'amministrazione, sia perché la copia dell'esposto era stata comunque acquisita dall'interessata in occasione dell'accesso agli atti della pratica edilizia eseguito nell'agosto 2023; in subordine, nel merito, l'amministrazione contestava la fondatezza del ricorso e ne chiedeva il rigetto. 12. In giudizio interveniva ad opponendum, con atto notificato e depositato il 17 novembre 2023, la signora Ni. We., chiedendo il rigetto del ricorso; preliminarmente, l'interveniente premetteva alcune considerazioni circa la sussistenza della propria legittimazione e del proprio interesse ad intervenire in giudizio (in quanto proprietaria confinante, autrice degli esposti da cui aveva tratto origine il procedimento amministrativo e soggetto pregiudicato dall'intervento di ristrutturazione edilizia posto in essere dalla ricorrente, anche sotto il profilo della violazione delle distanze e delle vedute); in punto di fatto, l'interveniente esponeva che i lavori erano in corso di esecuzione e che gli stessi si sarebbero fondati su una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi contenuta negli atti progettuali allegati alla Scia; lamentava l'interveniente che i lavori pregiudicherebbero la sua proprietà, sotto plurimi profili, tra l'altro invadendo anche il cortile di proprietà esclusiva; nel merito, contestava la fondatezza del ricorso con articolate deduzioni. 13. La parte ricorrente depositava note difensive in prossimità dell'udienza camerale di trattazione della domanda cautelare, replicando sia alle difese del Comune sia, in modo più puntuale, a quelle della parte interveniente, in particolare contestando la legittimazione e l'interesse della controinteressata ad intervenire in giudizio e negando altresì che vi fosse stata nel progetto una qualsivoglia alterazione dei dati di fatto. 14. Con ordinanza n. 465 del 25 novembre 2023, la Sezione accoglieva in parte la domanda cautelare e per l'effetto sospendeva l'esecuzione del provvedimento impugnato limitatamente all'ordine di ripristino dello stato dei luoghi, salva quindi l'efficacia dell'ordine di sospensione dei lavori fino alla definizione nel merito del presente giudizio, fissando a tal fine l'udienza pubblica del 17 aprile 2024 e compensando le spese della fase. 15. In prossimità dell'udienza di merito, le parti integravano la propria documentazione e depositavano memorie conclusive e di replica nei termini di rito. 16. All'udienza pubblica del 17 aprile 2024, la causa era trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Sull'eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata notifica alla parte controinteressata. Va esaminata preliminarmente l'eccezione di inammissibilità del ricorso, per mancata notifica alla parte controinteressata, formulata dall'amministrazione resistente e successivamente fatta propria anche dalla difesa dell'interveniente. L'eccezione, osserva il Collegio, non può essere condivisa. 1.1. In disparte ogni considerazione in ordine alla tematica se nell'impugnazione di un'ordinanza di demolizione siano o meno configurabili soggetti controinteressati nei confronti dei quali sia necessario instaurare un contraddittorio - tematica sulla quale constano indirizzi giurisprudenziali non univoci - è dirimente, nel caso di specie, la constatazione che nel presente giudizio l'intervento ad opponendum della proprietaria confinante è stato proposto spontaneamente allorchè era ancora pendente il termine di impugnazione. 1.2. Al riguardo, giova rammentare che, secondo condivisibili principi giurisprudenziali, se normalmente l'intervento spontaneo del controinteressato pretermesso non ha l'effetto di sanare il difetto di contraddittorio, tuttavia, ove l'intervento ad opponendum si sia verificato nel segmento temporale fra la conoscenza del provvedimento impugnato e i termini per la proposizione del ricorso, la spontaneità della costituzione rende superflua la notificazione, essendosi il contraddittorio, comunque, costituito ed essendo, quindi, stato raggiunto lo scopo della prescrizione tassativa (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 24/11/2014, n. 5812; T.A.R. Bari, sez. II, 05/05/2020, n. 628; T.A.R. Catania, sez. III, 02/10/2019, n. 2317; T.A.R. Palermo, sez. III, 05/11/2013, n. 2032). 1.3. Nel caso di specie, il provvedimento impugnato è stato adottato in data 18 ottobre 2023, sicchè il termine di impugnazione scadeva il 17 dicembre 2023; l'atto di intervento ad opponendum della parte controinteressata è stato notificato e depositato in giudizio il 17 novembre 2023, quindi in pendenza del termine di impugnazione; tale circostanza, alla stregua dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, ha reso superflua la notificazione del ricorso alla parte controinteressata, essendosi il contraddittorio già spontaneamente costituito ed essendo stato quindi raggiunto lo scopo perseguito dal legislatore con la previsione dell'obbligo della parte ricorrente di notificare l'atto introduttivo ai soggetti controinteressati. L'eccezione va quindi disattesa. 2. Nel merito. Nel merito, si osserva quanto segue. 2.1. Con il primo motivo, la parte ricorrente ha dedotto vizi di violazione di legge per errata e falsa applicazione degli articoli 19 e 21 nonies L. 241/90, nonché di eccesso di potere per totale carenza di motivazione: il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo in quanto avrebbe inibito gli effetti della Scia e ordinato il ripristino dello stato dei luoghi quando era ormai decorso il termine di 30 giorni prescritto dall'art. 19 comma 6 bis della L. 241/90; per poter adottare l'atto impugnato, l'amministrazione avrebbe dovuto previamente rimuovere in via di autotutela gli effetti del titolo abilitativo ormai consolidatosi; sotto tale profilo il provvedimento impugnato, sebbene dichiari in un breve inciso di venire adottato "in presenza delle condizioni di cui all'art. 21 nonies della medesima legge (l. 241/90)", in realtà non conterrebbe alcuna motivazione in ordine alle ragioni di interesse pubblico idonee a giustificare l'esercizio dei poteri di autotutela e a giustificare il sacrificio dell'affidamento ingenerato nel privato; oltre tutto, nel caso di specie, l'affidamento della ricorrente nella legittimità dell'intervento edilizio sarebbe stato rafforzato dal previo rilascio, da parte della stessa amministrazione comunale, dell'autorizzazione paesaggistica. 2.1.1. La difesa del Comune ha contestato la fondatezza di tale censura, rilevando che il provvedimento impugnato è stato adottato ai sensi dell'art. 19 comma 3 L. 241/90, il quale consente di adottare il divieto di prosecuzione dell'attività anche oltre il termine di 30 giorni dalla presentazione della Scia "in presenza delle condizioni previste dall'art. 21 nonies"; tali condizioni sarebbero state rispettate nel caso di specie, dal momento che il provvedimento di autotutela sarebbe stato adottato in un termine ragionevole, comunque non superiore a 12 mesi, in presenza di un interesse pubblico da ritenersi "in re ipsa", e ponderando tale interesse con quelli rappresentati in seno al procedimento amministrativo dalla parte ricorrente (nelle proprie osservazioni) e dalla proprietaria confinante (nei propri esposti); secondo la difesa comunale, il provvedimento impugnato sarebbe stato sufficientemente motivato attraverso il richiamo all'esito del sopralluogo del 7 agosto 2023 e alla disciplina di cui all'art. 33 NTA del Piano delle Regole, che rappresenterebbe anche il fondamento dell'interesse pubblico sottostante all'intervento repressivo dell'Amministrazione; a fronte del carattere abusivo dell'intervento, nessun legittimo affidamento sarebbe reclamabile dalla parte ricorrente; il previo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica avrebbe riguardato i soli profili di compatibilità paesaggistica dell'intervento. 2.1.2. Secondo la parte interveniente, le ragioni di interesse pubblico sottostanti al provvedimento comunale di autotutela sarebbero state motivate per relationem attraverso il richiamo degli esposti presentati dalla deducente, nei quali si faceva presente, tra l'altro, che la Scia era stata presentata sottacendo la circostanza che, a quella data, i lavori di demolizione erano stati già ultimati e quelli di ricostruzione già avviati, sicchè la Scia sarebbe stata inficiata da una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi; la situazione preesistente all'ampliamento sarebbe stata rappresentata falsamente nelle tavole progettuali facendo apparire una maggiore volumetria del fabbricato preesistente, in realtà ottenuta attraverso lo scavo della parete rocciosa frontistante; ci sarebbero anche altri profili falsamente rappresentati nella documentazione allegata alla Scia, anche se non afferenti all'ampliamento contestato dall'amministrazione, ma ai rapporti di vicinato con la deducente; a fronte di tali false rappresentazioni, il provvedimento di autotutela non necessitava di particolari motivazioni sotto il profilo dell'interesse pubblico. 2.1.3. Va osservato che nelle memorie conclusive entrambe le parti resistenti hanno molto insistito sul profilo dell'asserita falsa rappresentazione dello stato dei luoghi che avrebbe giustificato di per sè la reazione in autotutela dell'amministrazione, anche a prescindere dall'evidenziazione di uno specifico interesse pubblico e dal rispetto di un termine ragionevole. 2.1.4. Ciò posto, ritiene il Collegio che la censura di parte ricorrente sia fondata. Com'è noto, l'art. 19 della l. n. 241/1990 stabilisce, ai commi 4 e 6 bis, che, una volta decorso il termine per l'adozione delle misure inibitorie, ripristinatorie, conformative e sospensive di cui al comma 3, l'amministrazione competente "adotta comunque" tali misure "in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21 nonies"; e che "nei casi di SCIA in materia edilizia, il termine di 60 giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a 30 giorni". La giurisprudenza interpreta il suindicato disposto normativo in modo rigoroso, nel senso che il decorso del termine di 30 giorni per l'esercizio del potere interdittivo circa i lavori oggetto di Scia comporta la definitiva consumazione del potere interdittivo stesso e il consolidamento della situazione soggettiva del segnalante, residuando, in capo all'amministrazione, a fronte di un'attività intrapresa al di fuori del perimetro normativamente consentito, il solo potere di autotutela, da esercitarsi nel rispetto dei presupposti di legge. In particolare, è principio unanimemente condiviso quello per cui "Anche dopo la scadenza del termine per l'esercizio dei poteri inibitori degli effetti della Scia, l'amministrazione competente conserva un potere residuale di autotutela, da intendere, però, come potere sui generis, che si differenzia dalla consueta autotutela decisoria proprio perché non implica un'attività di secondo grado insistente su un precedente provvedimento amministrativo; si tratta di un potere che non si attua mediante un provvedimento di secondo grado in senso tecnico, dato che esso non ha per oggetto una precedente manifestazione di volontà dell'amministrazione, ma incide sugli effetti prodotti ex lege dalla presentazione della Scia ed eventualmente dal trascorrere di un determinato periodo di tempo, e che con l'autotutela classica condivide soltanto i presupposti e il procedimento; in particolare, scaduto il termine per l'esercizio dei poteri inibitori, l'amministrazione può vietare lo svolgimento dell'attività e ordinare l'eliminazione degli effetti già prodotti solo se ricorrono in concreto i presupposti per l'autotutela; e, dunque, entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico" (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato sez. V, 20/02/2024, n. 1667; T.A.R. Brescia, sez. I, 05/03/2020, n. 197). Peraltro, muovendo dal disposto di cui al comma 2-bis dell'art. 21 nonies L. 241/90, secondo cui "I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti (...) possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1", la giurisprudenza ha anche affermato che "Quando un titolo abilitativo è stato ottenuto dall'interessato in base a una falsa o erronea rappresentazione della realtà, è consentito all'Amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela, ritirando l'atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa"; ciò in quanto, "l'erronea prospettazione, da parte del privato, delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza che l'onere motivazionale gravante sull'Amministrazione può dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte" (Consiglio di Stato sez. IV, 30/06/2023, n. 6387; T.A.R. Milano, sez. II, 23/04/2021, n. 1037). 2.1.5. Nel caso di specie, è oggettivo che il provvedimento impugnato è intervenuto ad inibire gli effetti della Scia, sospendendo i lavori e disponendo il ripristino dello stato dei luoghi, allorchè era ampiamente decorso il termine di 30 giorni previsto dall'art. 19 comma 6-bis L. 241/90, tenuto conto che la Scia è stata presentata il 2 marzo 2023 mentre il provvedimento impugnato è stato adottato il 18 ottobre 2023, quindi più di sette mesi dopo. Di tale circostanza l'amministrazione era evidentemente consapevole, tanto da aver ritenuto necessario evidenziare, nella motivazione del provvedimento, che quest'ultimo era adottato, oltre che ai sensi dell'art. 19 commi 3 e 4 della L. 241/90, anche "in presenza delle condizioni di cui all'art. 21 nonies della medesima legge". Tuttavia, ritiene il Collegio che, come giustamente lamentato dalla parte ricorrente, la sussistenza di tali "condizioni" non sia stata affatto evidenziata nella motivazione dell'atto impugnato. 2.1.6. Intanto, in presenza di una Scia che preveda la demolizione, totale o parziale, dell'edificio preesistente ai fini della sua ristrutturazione, non può dirsi esercitato "entro un termine ragionevole", come previsto dall'art. 21 nonies comma 1 L. 241/90, un intervento in autotutela dell'amministrazione che intervenga ad inibire l'ulteriore corso dei lavori e ad imporre il ripristino dello stato dei luoghi a distanza di sette mesi dalla presentazione della Scia, allorchè i lavori di demolizione siano già stati ultimati dall'interessato, dopo aver atteso, prima di avviarli, il consolidarsi degli effetti della propria segnalazione, e quindi confidando legittimamente nella regolarità dell'intervento. È vero che la legge pone, attualmente, un limite temporale massimo di 12 mesi per l'esercizio del potere di autotutela dell'amministrazione; ciò non toglie, tuttavia, che l'intervento interdittivo dell'amministrazione, oltre che esercitato nel rispetto di tale termine massimo, debba comunque intervenire entro un termine ragionevole in relazione alla specificità del caso concreto; e se dunque l'intervento edilizio indicato nella Scia contemplava la demolizione, totale o parziale, del fabbricato preesistente ai fini della sua ricostruzione, un intervento interdittivo (o addirittura ripristinatorio, come nel caso di specie) dell'amministrazione che intervenga a distanza di diversi mesi dalla presentazione della Scia, allorchè la demolizione sia stata già ultimata dall'interessato confidando nell'avvenuto consolidamento degli effetti della propria segnalazione, appare di per sé poco ragionevole; salvo - va aggiunto - che la ragionevolezza dell'intervento in autotutela non debba essere individuata nella sussistenza di specifici e rilevanti interessi pubblici, ulteriori rispetto alla mera esigenza di ripristinare la legalità asseritamente violata: i quali, peraltro, devono essere adeguatamente evidenziati nella motivazione dell'atto di autotutela. 2.1.7. Nel caso di specie, della sussistenza di uno specifico interesse pubblico idoneo a giustificare l'intervento in autotutela dell'amministrazione non vi è la minima traccia nella motivazione del provvedimento impugnato; l'amministrazione, infatti, dopo aver richiamato l'esposto presentato dalla proprietaria confinante e l'esito del sopralluogo effettuato il 7 agosto 2023, si è limitata a rilevare che l'ampliamento previsto sul lato nord dell'edificio non sarebbe ammissibile perché non ricorrerebbero i presupposti di cui all'art. 33 delle NTA del Piano delle Regole in tema di ampliamento una tantum degli edifici uni/bifamiliari preesistenti; in sostanza, l'amministrazione si è limitata a giustificare l'intervento in autotutela in relazione alla mera necessità di ripristinare la legalità asseritamente violata, senza svolgere la benchè minima considerazione - come invece avrebbe dovuto, alla stregua dei principi sopra richiamati - circa la sussistenza di uno specifico interesse pubblico "ulteriore" rispetto alla mera esigenza di ripristino della legalità violata, idoneo a giustificare il sacrificio dell'affidamento riposto dal privato nella legittimità dell'intervento edilizio, indotto dal consolidarsi degli effetti della Scia. 2.1.8. Né può essere condiviso l'argomento della parte interveniente secondo cui l'interesse pubblico a sostegno dell'autotutela sarebbe stato motivato per relationem attraverso il richiamo del contenuto degli esposti presentati dalla proprietaria confinante; in contrario, va infatti osservato che nei predetti esposti (prodotti in atti) non si evidenziava la sussistenza di alcun interesse pubblico in vista del quale l'amministrazione avrebbe dovuto inibire l'intervento edilizio, ma soltanto la sussistenza di interessi privati della proprietaria confinante, attinenti ai rapporti di vicinato con la parte ricorrente (peraltro, in gran parte pretermessi dall'amministrazione, che si è concentrata sul solo profilo relativo all'ampliamento del fabbricato). 2.1.9. Inconsistente, infine, è anche l'argomento - eccepito dalla parte interveniente, e fatto proprio solo da ultimo dalla difesa comunale, nelle proprie memorie conclusive - secondo cui il potere di autotutela non avrebbe richiesto, nel caso di specie, l'evidenziazione di uno specifico interesse pubblico in quanto sarebbe stato esercitato a fronte di una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi contenuta negli elaborati progettuali allegati alla Scia. Al riguardo, è sufficiente osservare che di tale circostanza - peraltro dedotta in termini del tutto generici e non documentati - non vi è la minima traccia nella motivazione del provvedimento impugnato, e nemmeno, significativamente, nella stessa memoria di costituzione dell'amministrazione comunale, e dunque configura una integrazione postuma del provvedimento effettuata in sede di giudizio, da ritenersi inammissibile, secondo noti principi, atteso che la motivazione costituisce un contenuto necessario della decisione amministrativa ed un insostituibile presidio di legalità sostanziale (T.A.R. Brescia, sez. I, 03/01/2022, n. 1). 2.1.10. Alla luce di tali considerazioni, il primo motivo di ricorso è fondato e va accolto, avendo l'amministrazione omesso di evidenziare nella motivazione dell'atto impugnato le ragioni di interesse pubblico idonee a giustificare l'esercizio dei poteri di autotutela di cui all'art. 21 nonies L. 241/90, diverse ed ulteriori rispetto alla mera esigenza di ripristinare la legalità asseritamente violata, tanto più in considerazione del lungo tempo già trascorso dalla presentazione della Scia (più di sette mesi) e della natura dell'intervento edilizio oggetto della stessa, contemplante una serie di interventi di parziale demolizione dell'edificio preesistente, già ultimati alla data di adozione del provvedimento impugnato, e la realizzazione di un limitato ampliamento nella parte retrostante dell'edificio, non visibile dalla pubblica via. 2.2. È fondato, peraltro, anche il secondo motivo. 2.2.1. Con il secondo motivo, la parte ricorrente ha dedotto vizi di erronea e falsa applicazione dell'art. 33 delle NTA del Piano delle regole del PGT: secondo la parte ricorrente, nel caso di specie non sussisterebbe alcuna violazione della norma in questione, dal momento che quest'ultima non prevede affatto che possano beneficiare dell'incremento volumetrico una tantum di 150 mc soltanto gli edifici interamente residenziali, ma attribuisce il beneficio alle unità immobiliari residenziali situate all'interno di edifici preesistenti, purchè di numero non superiore a due; né sarebbe ragionevole una disciplina che limitasse la possibilità di incremento ai soli edifici totalmente residenziali, poiché la ratio della norma consiste nell'accordare un modesto incremento alle unità residenziali; nel caso di specie, l'ampliamento ha interessato soltanto le due unità residenziali situate al primo e al secondo piano, non quella commerciale situata al piano terra, e dunque l'intervento ricadrebbe pienamente nella disciplina di cui al citato art. 33 NTA. 2.2.2. Il Comune ha contestato la fondatezza della censura, osservando che per edificio bifamiliare si intende un edificio composto "esclusivamente" da due unità immobiliari urbane di proprietà esclusiva, funzionalmente indipendenti, che dispongano di uno o più accessi autonomi dall'esterno e destinato all'abitazione di due nuclei familiari, come si evincerebbe dalla definizione di edificio unifamiliare contenuta nel D.P.C.M. del 20.10.2016, (adozione del regolamento edilizio-tipo di cui all'art. 4, comma 1-sexies del D.P.R. 380/2001); nel caso di specie, l'edificio in questione non potrebbe essere qualificato come bifamiliare, non essendo composto esclusivamente da unità immobiliari residenziali, dato che il piano terra è destinato ad attività di ristorazione; la ragionevolezza di tale interpretazione si desumerebbe anche dalla circostanza che la L.R. 16.07.2009 n. 13 (c.d. "Piano Casa") prevede un'agevolazione simile per i soli edifici uni e bifamiliari in tutto residenziali. 2.2.3. La parte interveniente ha svolto considerazioni analoghe a quelle dell'amministrazione. 2.3. Il Collegio ritiene che la censura di parte ricorrente sia fondata, alla stregua delle considerazioni che seguono. 2.3.1. L'art. 33 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano delle Regole del vigente PGT di Manerba del Garda disciplina, come detto, la zona denominata "V.U.S. Verde Urbano di Salvaguardia"; la norma individua preliminarmente gli obiettivi perseguiti dallo strumento urbanistico all'interno di tale zona, e quindi, a seguire, ne definisce la disciplina edilizia e gli indici di edificabilità . 2.3.2. Sotto il primo profilo, la norma precisa che il Verde urbano di salvaguardia individua "le realtà territoriali inserite nel tessuto urbano consolidato inedificate ovvero con caratteristiche di bassissima densità edilizia", ambiti che il piano intende preservare "come spazi a filtro fra distretti edilizi consolidati", come "vuoti urbani necessari a preservare barriere naturali alla conurbazione", ovvero come "singolarità insediative ubicate in luoghi di preminenza/emergenza ambientale e/o paesistica". In tale ambito, precisa la norma, sono presenti anche "abitazioni di livello spesso elevato", come "episodi residenziali isolati (ovvero aggregati) dove edifici a carattere famigliare si inseriscono in pertinenze mantenute a verde dalla considerevole estensione". All'interno di tale zona, lo strumento urbanistico si pone l'obiettivo prioritario di garantire "un controllo significativo delle attività edilizie" e "dell'uso dei suoli", imponendo, nel contempo, "la manutenzione delle aree a verde (ed, eventualmente, dei manufatti preesistenti)" e "la conservazione dei soggetti arborei preesistenti". 2.3.3. La disciplina edilizia del V.U.S. è conformata in coerenza con tali obiettivi di fondo della pianificazione. L'art. 33.1. prevede infatti che "Per gli edifici esistenti sono ammessi gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, ristrutturazione edilizia, restauro e risanamento conservativo e sostituzione edilizia": in sostanza, gli interventi ammessi sono, di regola, solo quelli di carattere conservativo, in linea con l'obiettivo di fondo della disciplina urbanistica del V.U.S. di garantire un controllo significativo delle attività edilizie in un contesto territoriale consolidato caratterizzato da bassa densità edilizia e destinato a fungere da filtro ambientale fra zone edificate. 2.3.4. Peraltro, una limitata deroga a tale principio generale viene prevista dalla norma in relazione agli "edifici uni/bifamiliari preesistenti alla data di adozione delle presenti norme", per i quali si prevede la possibilità di "usufruire, solo a fini residenziali, di un incremento una tantum pari a 150,00 mc", con la precisazione che "In caso di bifamiliari l'incremento si applica alla singola unità abitativa". 2.3.5. La ratio di tale previsione derogatoria è, secondo il Collegio, quella di consentire, all'interno di un contesto territoriale caratterizzato dalla preponderanza di aree mantenute a verde e dalla presenza di "episodi residenziali isolati", un limitato incremento della funzionalità residenziale dei pochi edifici esistenti, fermo il divieto di realizzare nuove costruzioni e di sopraelevare quelle preesistenti. In tale contesto, il riferimento al carattere unifamiliare o bifamiliare dell'edificio esistente ha la funzione di contenere la misura massima dell'incremento volumetrico a due sole unità immobiliari residenziali, appartenenti ad un unico proprietario o a due proprietari diversi, in ragione di 150 mc per ciascuna di esse. Una volta fissata la misura massima dell'incremento volumetrico residenziale e stabilito il divieto di sopraelevazione degli edifici preesistenti, diventa irrilevante la circostanza che l'intero edificio sia composto, anche, da unità immobiliari non residenziali, posto che l'ampliamento in deroga rimane ammissibile soltanto per le unità residenziali dell'edificio, purchè non superiori a due e purchè appartenenti ad un unico proprietario o a due proprietari diversi. 2.3.6. L'argomento sostenuto dalla difesa comunale secondo cui per edificio bifamiliare si intenderebbe quello composto "esclusivamente" da due unità immobiliari urbane di proprietà esclusiva, non sembra trovare conforto, né nella lettera dei contenuti definitori di cui al D.P.C.M. 20 ottobre 2016, né tanto meno nella ratio della previsione derogatoria qui in esame; mentre il riferimento ai requisiti di cui all'art. 3 della L.R. lombarda n. 13/2009 ("Azioni straordinarie per lo sviluppo e la qualificazione del patrimonio edilizio ed urbanistico della Lombardia"), non appare pertinente atteso il carattere eccezionale e "straordinario" della normativa in questione, non suscettibile di interpretazioni estensive né di applicazioni analogiche. 2.3.7. Nel caso di specie, come giustamente rilevato dalla parte ricorrente, l'ampliamento ha interessato soltanto le due unità residenziali situate al primo e al secondo piano, non quella commerciale situata al piano terra; e quindi, tenuto conto che entrambe le unità immobiliari appartengono allo stesso proprietario e sono funzionalmente autonome, e che l'ampliamento è stato contenuto, per ciascuna di esse, in una misura pari a circa un terzo di quella massima consentita dalla norma di piano, ne consegue che l'intervento soddisfa i requisiti di ammissibilità di cui al citato art. 33 delle NTA. 3. In definitiva, alla luce delle considerazioni di cui sopra, il ricorso deve essere accolto, con il conseguente annullamento del provvedimento impugnato. 4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla il provvedimento impugnato. Condanna il Comune di (omissis) e la signora Ni. We. a rifondere alla parte ricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila), oltre accessori di legge, a carico di ciascuno di essi, nonché a rimborsare alla medesima il contributo unificato, con vincolo di solidarietà passiva. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 17 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Mauro Pedron - Presidente Ariberto Sabino Limongelli - Consigliere, Estensore Luigi Rossetti - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2175 del 2023 proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Lu. Ri. Ri. e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Difesa - Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato e con domicilio legale in Milano, Via (...); Legione Carabinieri Lombardia - Comando Provinciale di -OMISSIS- in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio; per l'annullamento previa sospensione cautelare dell'efficacia, del provvedimento del 6/7/2023 di rigetto del ricorso gerarchico avverso la sanzione disciplinare del "rimprovero". Visti il ricorso e i relativi allegati; Vista la costituzione dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato con successivo deposito di documentazione; Vista la memoria di parte ricorrente; Vista la memoria dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato; Vista l'ordinanza di questo Tribunale n. 1161 del 14/12/2023 di fissazione dell'Udienza pubblica; Visti tutti gli atti della causa; Data per letta all'udienza pubblica del 29 maggio 2024 la relazione del dott. Gabriele Nunziata, ed ivi udito l'Avv. dello Stato come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1.Espone in fatto parte ricorrente di essere effettivo alla Centrale Operativa del NOR della Compagnia di -OMISSIS- e che gli veniva comunicato l'avvio del procedimento disciplinare di corpo a norma dell'art. 1370 del Codice dell'Ordinamento Militare, avendo omesso di comunicare la notifica relativa a verbale di identificazione elezione di domicilio e nomina del difensore di persona sottoposta ad indagini, ciò a seguito di convocazione in data 23 marzo 2023 presso il Commissariato di P.S. di -OMISSIS- ove veniva informato di denuncia querela nei suoi confronti. La vicenda era stata originata da denuncia formalizzata dal sig. -OMISSIS-, compagno dell'ex moglie del ricorrente, a seguito di lite avvenuta il 12 marzo 2023 dopo che lo stesso sig. -OMISSIS- aveva nei suoi confronti presentato querela. Si rappresenta che il ricorrente ha sempre tenuto un comportamento corretto e collaborativo e che la scala gerarchica era a conoscenza della discussione tra il militare e l'attuale compagno della ex moglie; l'impugnato provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare, in assenza di adeguata istruttoria, ha peraltro ignorato le puntuali argomentazioni spiegate in sede di ricorso gerarchico. Avverso il suddetto provvedimento sono stati dedotti i seguenti motivi ai fini dell'accoglimento del ricorso: VIOLAZIONE DELL'ART.748, COMMA 5 DEL D. LGS. N.66/2010 E DELL'ART.3 DELLA LEGGE N.241/1990. ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DEI PRESUPPOSTI. TRAVISAMENTO DEI FATTI. DEL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO. DIFETTO DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. TARDIVITA'. VIOLAZIONE DEL DPR N.90/2010. TRAVISAMENTO DEI FATTI. INGIUSTIZIA E ILLEGITTIMITA' MANIFESTA. 1.1L'Avvocatura Distrettuale dello Stato si è costituita per dedurre, tra l'altro, circa la necessità di tutelare il prestigio dell'Amministrazione di appartenenza e la discrezionalità della valutazione disciplinare. 1.2 Con ordinanza del 14/12/2023, n. 1161 il Tribunale fissava la trattazione del merito con la seguente motivazione: "Ritenuto che, in ragione delle deduzioni di cui alla memoria dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato e della natura del provvedimento impugnato come inerente sanzione disciplinare del rimprovero, le esigenze di parte ricorrente siano tutelabili con la sollecita definizione del giudizio nel merito ai sensi dell'art. 55, comma 10 c.p.a., con compensazione tra le parti delle spese della presente fase processuale, P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta Fissa l'udienza pubblica del 29 maggio 2024. Spese della fase cautelare compensate." 2. All'udienza pubblica del 29 maggio 2024 il Collegio si è riservata la decisione. 3. Il Collegio ritiene che il ricorso, come proposto avverso il provvedimento quale ha disposto il rigetto del ricorso gerarchico con oggetto la sanzione disciplinare, sia infondato per le ragioni che seguono. 3.1. In via preliminare va sottolineato che in ambito disciplinare l'Amministrazione ha ampia discrezionalità in merito all'individuazione della sanzione da applicare con la conseguenza che la sua decisione è sindacabile in sede giurisdizionale solo ab externo nei casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità, palese arbitrarietà ed evidente travisamento del fatto cui la stessa è correlata (ex multis, TAR Puglia, Lecce, I, 11.9.2023, n. 1054; TAR Toscana, I, 14.7.2022, n. 908; TAR Lazio, Roma, I, 26.8.2021, n. 9391; 4.3.2021, n. 2639; Cons. Stato, IV, 29.3.2021, n. 2629; 10.12.2020, n. 7880; 16.3.2020, n. 1887). Per giurisprudenza costante, infatti, l'Amministrazione dispone di un ampio potere discrezionale nell'apprezzare in via autonoma la rilevanza disciplinare dei fatti, tanto che "l'accertamento della proporzionalità della sanzione all'illecito disciplinare contestato e la graduazione della sanzione stessa, risolvendosi in giudizi di merito da parte dell'Amministrazione, sfuggono al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non si riveli una loro manifesta illogicità o la contraddittorietà " (tra le tante, TAR Campania, Napoli, VII, 21.9.2020, n. 3930; Cons. Stato, VI, 16..4.2015, n. 1968). 4. Nel caso di specie è stato accertato senza possibilità di smentita che il procedimento disciplinare veniva avviato correttamente, nel rispetto dei termini fissati dalla normativa di settore, in disparte che in tema di impiego pubblico non è richiesta una analitica confutazione delle giustificazioni addotte dall'incolpato nell'ambito di un procedimento disciplinare, essendo a tale scopo sufficiente che dal provvedimento che dispone la sanzione disciplinare risulti, anche solo per implicito, che di esse è stato tenuto conto ai fini dell'accertamento dei fatti e della graduazione della rilevanza disciplinare del comportamento (così TAR Abruzzo, L'Aquila, 4.11.2022, n. 394). Nemmeno può mettersi in dubbio che i fatti oggetto della controquerela subita avevano attinenza al profilo del ricorrente nello svolgimento degli obblighi di servizio in modo pronto, imparziale ed efficiente, a nulla rilevando che l'errore dell'omessa comunicazione della notifica relativa a verbale di identificazione sarebbe stato commesso in buona fede ed in ragione di una situazione personale e familiare difficoltosa. La notifica di un atto giudiziario assume una rilevanza specifica in considerazione sia delle violazioni contestate al graduato, sia dell'assunzione da parte del medesimo della posizione di indagato, ciò dopo che, a seguito della denuncia formalizzata dal ricorrente, egli era stato invitato ad informare con la massima sollecitudine i superiori circa gli sviluppi della vicenda; sul punto il Collegio ritiene infondate le deduzioni difensive dell'istante circa una notizia di reato scaturente da una controdenuncia querela e sulla possibilità che la posizione di indagato non potesse minare la tranquillità e l'imparzialità del ricorrente nello svolgimento del suo delicato compito. 4.1 Sotto ulteriore profilo quanto meno ragioni di opportunità avrebbero dovuto indurre un appartenente all'Arma dei Carabinieri, Corpo preposto allo svolgimento di attività di controllo, al tempestivo adempimento dell'obbligo di informazione; la condotta del ricorrente integra gli estremi della violazione degli artt.717 e 717 del DPR n. 90/2010 atteso che "Il senso di responsabilità consiste nella convinzione della necessità di adempiere integralmente ai doveri che derivano dalla condizione di militare per la realizzazione dei fini istituzionali delle Forze armate", nonché del successivo art. 748 quale disciplina i doveri di informazione del militare in caso di impedimento per causa inefficienza fisica. A fronte, pertanto, del richiamato quadro disciplinare del ricorrente e considerati ulteriormente l'età, il grado e l'anzianità di servizio del medesimo, nell'operato dell'Amministrazione non è rilevabile alcun elemento suscettibile di palesare, ancorché in via sintomatica, un distorto esercizio del potere disciplinare: l'art. 1358 D. Lgs. n. 66/2010 prevede le sanzioni disciplinari di corpo del richiamo verbale, del rimprovero scritto, della consegna consistente nella privazione della libera uscita da 1 a massimo 7 giorni e della consegna di rigore comportante il vincolo di rimanere in un apposito spazio della caserma o nel proprio alloggio da 1 a massimo 15 giorni. Nella specie è stata irrogata al ricorrente la sanzione disciplinare del rimprovero scritto, che consiste in "una dichiarazione di biasimo con cui sono punite le lievi trasgressioni alle norme di disciplina e del servizio o la recidiva nelle mancanze per le quali può essere inflitto il richiamo" e che, diversamente dalla sanzione del richiamo verbale, viene trascritta nello stato matricolare. La Sezione ritiene, ai fini della complessiva reiezione dei motivi di ricorso, che la determinazione dell'Amministrazione muova da valutazioni sufficientemente circostanziate ed articolate in relazione alle evidenze istruttorie, in ragione della possibilità che risulti compromesso il buon andamento e l'imparzialità del servizio oltre che il prestigio del Corpo. 4.2 Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2019, n. 3110). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. 5. Per tutto quanto sin qui argomentato, il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto. La particolarità della vicenda contenziosa giustifica la compensazione delle spese di giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo respinge per le ragioni indicate in motivazione. Compensa tra le parti le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte ricorrente, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Milano nella Camera di Consiglio del giorno 29 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gabriele Nunziata - Presidente, Estensore Silvia Cattaneo - Consigliere Silvia Torraca - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2237 del 2023, proposto da Ve. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Si. Fa. e Al. Co., con domicilio digitale come da PEC indicata in atti contro Regione Lombardia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ra. An. Ma. Sc., con domicilio digitale come da PEC indicata in atti nei confronti Ente Nazionale per la Protezione e l'Assistenza dei Sordi Ets-Aps, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Zo., Gi. Ve., Al. Tu. e Gi. Bo., con domicilio digitale come da PEC indicata in atti; Fondazione Lega del Fi. D'O. Et. En. Fi., Ats Milano Città Metropolitana, Ats della Brianza, non costituiti in giudizio; A.L. - Associazione Lo. Fa. Au. Ap., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Tr. e Fe. Ra., con domicilio digitale come da PEC indicata in atti per l'annullamento della deliberazione della Giunta Regionale della Lombardia n. XII/593 del 10 luglio 2023, pubblicata nel B.U.R. della Regione Lombardia nella Serie Ordinaria, n. 29, del 19 luglio 2023, avente ad oggetto "Approvazione del progetto "Comunicare senza barriere: azioni e strumenti per una piena inclusione delle persone sorde e ipoacusiche - edizione 2023/24" e del relativo schema di associazione temporanea di scopo - d.m. 14 FEBBRAIO 2023: "Criteri e modalità di utilizzo di quota parte delle risorse finanziarie relative all'annualità 2021 e per la programmazione delle risorse finanziarie relative all'annualità 2022 del fondo per l'inclusione delle persone sorde o con ipoacusia""; del relativo Allegato A costituito da tale progetto; di qualunque altro atto presupposto, connesso e consequenziale a quelli impugnati. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lombardia, dell'Ente Nazionale per la Protezione e L'Assistenza dei Sordi Ets-Aps e di A.L. - Associazione Lo. Fa. Au. Ap.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il dott. Roberto Lombardi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso depositato in data 16 novembre 2023, Ve. S.r.l. ha esposto preliminarmente di essere una società operante anche nell'ambito dell'accessibilità linguistica e sensoriale in favore delle persone sorde e ipoacusiche, e di avere in corso di esecuzione, per tale motivo, alcuni appalti di fornitura del servizio di video-interpretariato online in Lingua italiana dei Segni con diversi importanti enti pubblici nazionali, tra i quali vi sarebbe "l'intero sistema socio-sanitario pubblico e convenzionato della stessa Regione Lombardia". 1.1. La ricorrente ha quindi evidenziato che l'art. 1, comma 456, della Legge n. 145/2018 ha istituito il Fondo per l'inclusione delle persone sorde e con ipoacusia, e che l'art. 2, comma 2, del decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche in favore delle persone con disabilità, del 14.02.2023, ha riprogrammato l'impiego delle risorse di cui all'art. 2, comma 1, lett. b) e c) del precedente decreto del 12.05.2022, destinandole "...alle regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, per finanziare interventi e progetti aggiuntivi rispetto alla programmazione regionale, attuati da soggetti pubblici e privati", volti, tra l'altro, "alla diffusione di servizi di interpretariato per l'accesso ai servizi pubblici, compresi quelli di emergenza...". Lo stesso decreto del 2023, all'art. 2, comma 4, ha stabilito che "...Le regioni e le province autonome individuano i progetti da finanziare, anche in forma consortile, tra loro e con gli enti del terzo settore maggiormente rappresentativi delle categorie beneficiarie...". A fronte di tale impianto normativo - ed utilizzando la propria quota di risorse destinate agli scopi del fondo per l'inclusione delle persone sorde e con ipoacusia -, la Regione Lombardia ha approvato il progetto di cui in epigrafe, dopo avere effettuato una ricognizione a livello regionale delle associazioni maggiormente rappresentative in tema di disabilità uditiva, ma escludendo da tale ricognizione la società ricorrente, così come ogni altro ente privato non appartenente al terzo settore, ed evitando altresì di esperire qualunque procedura aperta per l'assegnazione dei predetti finanziamenti. 1.2. Contro tale provvedimento ritenuto lesivo è dunque insorta Ve. S.r.l., che ne ha dedotto in giudizio l'illegittimità sotto i seguenti profili: - sarebbe stata la stessa deliberazione della Giunta Regionale impugnata a evidenziare, in modo contraddittorio, che l'art. 2 del Decreto del 14.02.2023 avrebbe stabilito che le risorse fossero destinate al finanziamento di interventi e progetti aggiuntivi, finalizzati all'inclusione delle persone sorde e con ipoacusia attraverso la tecnologia, "attuati da soggetti pubblici e privati", così indirettamente confermando che il riferimento agli enti del terzo settore maggiormente rappresentativi delle categorie beneficiarie di cui all'art. 2, comma 4 di tale norma, sarebbe stato effettuato al solo fine di individuare chi concretamente avrebbe potuto coadiuvare le Regioni nella scelta dei progetti da finanziare; - conseguentemente, sarebbe da considerarsi illegittima non solo la mancata promozione di una procedura aperta per permettere a tutti i soggetti pubblici e privati di presentare progetti in linea con quanto previsto dal Decreto del 14.02.2023, ma anche l'asserita arbitraria selezione degli enti del terzo settore da coinvolgere nel progetto formulato dalla stessa amministrazione; - tale decisione sarebbe stata inoltre immotivata, specie in considerazione dell'applicazione di un criterio geografico limitato all'interno del solo ambito lombardo; - la motivazione avrebbe dovuto essere ancor di più evidente, in relazione alla decisione di ridurre fortemente la platea di soggetti che possono accedere ai finanziamenti destinati al servizio di video-interpretariato in LIS; - la preclusione totale per i soggetti privati non appartenenti agli enti del terzo settore di presentare e attuare progetti sarebbe in contrasto con gli artt. 97 della Cost. e con l'art. 1 della L. n. 241 del 1990, oltre che discriminatoria e ingiustificata, in relazione allo scopo della previsione normativa statale, che era quello di finanziare progetti volti a migliorare la condizione delle persone sorde o con ipoacusia attraverso l'uso della tecnologia; - l'introduzione di requisiti stringenti di "selezione" preventiva rispecchierebbe la volontà di circoscrivere al solo ENS la possibilità di partecipare al progetto, in quanto, anche nel caso in cui venisse infine consentito a soggetti pubblici e privati di presentare ulteriori progetti ai sensi del Decreto del 14.02.2023, la permanenza di tali requisiti "vanificherebbe comunque gli effetti di tale estensione, rendendo pressoché impossibile la partecipazione di soggetti diversi da ENS"; - dal momento che il "servizio Lombardia LIS" offerto da Ve. dal 2020 avrebbe avuto valutazioni positive tanto dagli utenti quanto dalla stessa Regione, l'amministrazione avrebbe dovuto consultare anche la ricorrente ai fini quanto meno della presentazione di un progetto alternativo, per non precludere la possibilità che le somme stanziate con fondi pubblici fossero destinate a progetti "che rappresentino effettivamente il meglio - in termini qualitativi ed economici - cui l'Ente pubblico può ambire". 1.3. Si sono costituiti in giudizio Regione Lombardia, l'Associazione Lo. Fa. Au. Ap. e l'Ente nazionale per la protezione e l'assistenza dei Sordi, che hanno tutti chiesto il rigetto del ricorso, e la Sezione ha respinto la proposta domanda cautelare, sotto il profilo del periculum. La causa è stata dunque discussa e trattata in decisione all'udienza pubblica del 16 maggio 2024. 2. Preliminarmente, il Collegio deve esaminare le seguenti eccezioni sollevate da resistente e controinteressate: - inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione del Decreto del 14.2.2023, in quanto sarebbe stato tale atto, e non la contestata DGR 593/2023, a individuare, ai fini per cui è causa, la forma consortile, in cui far convergere la presenza di enti del terzo settore maggiormente rappresentativi delle categorie beneficiarie (quali soggetti privati) e la partecipazione delle autonomie locali, delle aziende sanitarie locali e di eventuali altre istituzioni pubbliche (quali soggetti pubblici) per l'individuazione e l'attuazione del progetto; - inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, in quanto Ve. non avrebbe (e non avrebbe avuto) chance di aggiudicazione di una procedura aperta rispetto a servizi che sarebbero "travalicanti le proprie competenze"; - tardività della notifica e del deposito del ricorso in relazione ai termini processuali previsi dall'art. 120 c.p.a., nella misura in cui dovesse essere accertato che la DGR impugnata avrebbe sostanzialmente aggiudicato "una fornitura di servizi in violazione dei principi di libera concorrenza e della par condicio competitorum". 3. Con riferimento alla prima delle su esposte eccezioni, il ragionamento svolto dalle parti processuali diverse dalla ricorrente è sostanzialmente il seguente: - la formulazione letterale dell'art. 2, comma 4, del decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2023 identificherebbe negli enti del terzo settore l'unica categoria di soggetti privati con i quali devono essere realizzati i progetti da finanziare, escludendovi di conseguenza tutti gli altri, e ciò anche in forma consortile, nonché con l'eventuale partecipazione delle autonomie locali, delle aziende sanitarie locali e di eventuali altre istituzioni pubbliche; - non avendo la ricorrente impugnato il suddetto decreto, non trarrebbe alcun vantaggio dall'esclusivo annullamento della DGR 593, senza che sia caducato anche il provvedimento ad essa presupposto, in quanto la delibera regionale è stata contestata, nell'impostazione contraria alla società ricorrente, non già per vizi propri, bensì con riferimento alla dedotta illegittimità della scelta fondamentale, attuata in sede centrale, di procedere, ai fini dell'utilizzazione delle risorse del Fondo, alla coprogrammazione con gli enti del terzo settore; - il DPCM 14.2.2023 e la DGR 593 sarebbero dunque legati da un rapporto di connessione per presupposizione, in cui l'efficacia autonoma del primo lo renderebbe anche immediatamente lesivo e dunque da impugnare senza attendere la mera esecuzione contenuta nel secondo, con riferimento agli aspetti lesivi della posizione della ricorrente. Secondo Ve., al contrario, la Regione ha male interpretato (e dunque applicato) il disposto del citato decreto, dal momento che sarebbe decisivo il tenore letterale dell'art. 2, comma 2 di tale decreto, secondo cui "Le risorse di cui al comma 1 sono destinate alle regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, per finanziare interventi e progetti aggiuntivi rispetto alla programmazione regionale, attuati da soggetti pubblici e privati (...)". Secondo questa impostazione, sarebbero da tenere distinti il momento dell'individuazione del progetto - da effettuare con l'ausilio "esclusivo" di enti del terzo settore e di soggetti pubblici - e il momento dell'attuazione del medesimo progetto, che non avrebbe potuto essere escludere qualsiasi altro "soggetto privato". D'altra parte, l'accesso al mercato, per la fornitura di servizi di supporto ai progetti da attuare, sarebbe stato "inevitabile". In questa prospettiva, pertanto, l'unico atto lesivo degli interessi della ricorrente sarebbe proprio la delibera regionale impugnata, in quanto la stessa costituirebbe non applicazione dovuta ma applicazione erronea del decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri a monte. 4. Il Collegio ritiene fondata l'eccezione di inammissibilità per carenza di interesse al ricorso, per i motivi che si vanno esporre, e assorbita ogni altra questione di rito. 4.1. Tutto l'impianto della delibera regionale ha un indubbio carattere di mera esecuzione del decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri del 14 febbraio 2023, quanto alla scelta di quali soggetti coinvolgere nella realizzazione del progetto verso il quale far confluire i contributi statali. Invero, la Regione, forte dello stanziamento di denaro pubblico ad essa riservato (1.151.405 euro, di cui 40.000,00 euro per favorire la prosecuzione e il rafforzamento delle iniziative progettuali finanziate a valere sulle annualità 2019 e 2020 del Fondo per l'inclusione delle persone sorde e con ipoacusia), si è limitata a richiamare il passaggio normativo del DPCM secondo cui "le Regioni individuano i progetti da finanziare, anche in forma consortile, tra loro e con gli Enti del terzo settore maggiormente rappresentativi delle categorie beneficiarie, favorendo la partecipazione delle autonomie locali, delle aziende sanitarie locali e di eventuali altre istituzioni pubbliche", e ha dato atto che su questa base la Direzione Generale Famiglia, Solidarietà Sociale, Disabilità e Pari Opportunità della Regione Lombardia stessa aveva preliminarmente effettuato una ricognizione a livello regionale delle associazioni maggiormente rappresentative in tema di disabilità uditive, e successivamente sviluppato una proposta progettuale denominata "Comunicare senza barriere: azioni e strumenti per una piena inclusione delle persone sorde e ipoacusiche - Edizione 2023/24", in collaborazione con gli enti del terzo settore scelti dalla Direzione a seguito della sua ricognizione, oltre che con ATS Città Metropolitana di Milano e ATS della Brianza. Tale progetto, qualora ammesso dal soggetto erogatore dei fondi "speciali", avrebbe dato luogo alla costituzione di un'Associazione Temporanea di Scopo tra i suoi partner. Considerato altresì che nelle premesse della delibera regionale in questione vi è anche il richiamo esplicito al "D.Lgs. 3 luglio 2017 n. 117 "Codice del Terzo settore", come modificato ed integrato dal D.Lgs. 3 agosto 2018 n. 105, con il quale è stata avviata la riforma del Terzo settore", è chiaro che l'amministrazione procedente si è ritenuta vincolata a scegliere, per lo sviluppo e l'attuazione del progetto de quo, tra gli enti privati, soltanto gli enti del terzo settore. 4.2. Occorre allora verificare se la Regione abbia interpretato in modo errato il "disegno" immaginato dall'esecutivo per la fruizione e attribuzione dei fondi in questione. Si tratta, come visto, di fondi stanziati, in attuazione di una specifica risoluzione del Parlamento europeo, e attualmente nella disponibilità del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, al fine "di promuovere la piena ed effettiva inclusione sociale delle persone sorde e con ipoacusia, anche attraverso la realizzazione di progetti sperimentali per la diffusione di servizi di interpretariato in lingua dei segni italiana (LIS) e videointerpretariato a distanza nonché per favorire l'uso di tecnologie innovative finalizzate all'abbattimento delle barriere alla comunicazione". E' dunque la stessa Presidenza del Consiglio, che ha in gestione tali fondi, a stabilire come disporre del denaro per raggiungere gli obiettivi sottesi allo stanziamento. Nella valutazione effettuata a monte, primaria diventa, ovviamente, la decisione su quali siano i soggetti da coinvolgere necessariamente per realizzare i singoli progetti e quali enti pubblici debbano svolgere il ruolo di registi dell'operazione, una volta ottenuti i fondi. Il DPCM di febbraio 2023 stabilisce al riguardo le seguenti linee direttrici: - le risorse il cui impiego è stato riprogrammato quanto all'annualità 2021 e programmato ex novo quanto all'annualità 2022 (pari a 10 milioni di euro) sono destinate alla realizzazione di progetti sperimentali per la diffusione dei servizi di interpretariato in Lingua dei segni italiana (LIS) e in Lingua dei segni italiana tattile (LIST) e di sottotitolazione, nonché per favorire "l'uso di tecnologie innovative finalizzate all'abbattimento delle barriere alla comunicazione"; - tali risorse sono destinate alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano, per finanziare interventi e progetti aggiuntivi rispetto alla programmazione regionale, "attuati da soggetti pubblici e privati" (art. 2, comma 2); - le Regioni e le Province autonome individuano i progetti da finanziare, anche in forma consortile, tra loro e con gli enti del terzo settore maggiormente rappresentativi delle categorie beneficiarie e favorendo la partecipazione delle autonomie locali, delle aziende sanitarie locali e di eventuali altre istituzioni pubbliche (art. 2, comma 4); - la quota di risorsa assegnata alla singola Regione o Provincia autonoma è erogata a seguito di richiesta accompagnata dall'atto di programmazione o approvazione del o dei progetti sperimentali di cui sopra, e dalla descrizione dei risultati attesi; - la revoca del contributo assegnato consegue all'accertamento di un utilizzo del contributo medesimo non conforme alla finalità di promuovere progetti sperimentali per la diffusione dei servizi di interpretariato in LIS e in LIST e di sottotitolazione. 4.3. Il decreto, pur non essendo perfettamente intellegibile in alcuni suoi passaggi letterali, dispone chiaramente una restrizione soggettiva dell'accesso agli stanziamenti di denaro pubblico, in relazione alla finalità solidaristica dell'impiego del Fondo per l'inclusione delle persone sorde e con ipoacusia, e in continuità con quanto esplicitamente già disposto nel recente passato, per le stesse finalità, dal decreto della Presidenza del Consiglio del 12 maggio 2022. La norma decisiva, in tal senso, è quella di cui all'art. 2, comma 4 del Decreto del 2023, secondo cui l'amministrazione procedente (Regione o Provincia autonoma) "individua" i progetti da finanziare (sottoponendo poi tali progetti all'approvazione della Presidenza del Consiglio), e coinvolge in tali progetti, "anche in forma consortile", oltre alla stessa amministrazione procedente ("tra loro") anche "gli enti del terzo settore maggiormente rappresentativi delle categorie beneficiarie". Il tutto, "favorendo la partecipazione delle autonomie locali, delle aziende sanitarie locali e di eventuali altre istituzioni pubbliche". Tale formulazione della norma, per quanto involuta e parzialmente ellittica nel suo collegamento letterale tra "forma consortile", "individuazione del progetto" e "partecipazione delle (...) altre istituzioni pubbliche", deve essere necessariamente raccordata con il comma 2 del medesimo art. 2, secondo cui gli "interventi e progetti aggiuntivi rispetto alla programmazione regionale" sono "attuati da soggetti pubblici e privati". Logica vuole che, nel caso di specie - anche in considerazione della stretta vigilanza, ai fini di un'eventuale revoca del contributo, che l'autorità centrale opera sulla gestione dei soldi -, l'individuazione del progetto, il suo finanziamento e la sua attuazione debbano andare di pari passo; parimenti, è chiaro che il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri opti preferibilmente (e, comunque, con esclusione delle iniziative esclusivamente private) per una gestione "concordata" dei progetti tra enti pubblici e enti privati, "anche in forma consortile", di modo che gli enti privati di cui parla il comma secondo dell'art. 2 non possono che essere gli enti del terzo settore di cui parla il quarto comma del medesimo articolo, i quali soltanto - in qualità di rappresentanza qualificata dell'interesse da proteggere - possono contribuire in modo significativo ad orientare e direzionare nel modo più opportuno la spesa pubblica verso il fine solidaristico da soddisfare. Del resto, non vi è motivo per ritenere che il DPCM del 2023, con l'art. 2, comma 4, abbia voluto innovare sul punto controverso rispetto a quanto già previsto dal DPCM del 2022, il cui art. 3, con formulazione lessicale più felice, aveva specificato che l'intervento degli enti del terzo settore non concerne affatto, come vorrebbe la ricorrente, esclusivamente la scelta del progetto da finanziare, ma piuttosto l'esecuzione di esso in collaborazione con l'ente pubblico ("progetti" "riservati"). Si tratta, a ben vedere, di una scelta normativa già assunta all'origine della istituzione del Fondo, e che lo Stato ha continuato a ribadire, sia pure con formulazioni le più varie (si veda, ad esempio, anche l'art. 2, comma 2, del DPCM 6 marzo 2020, a sua volta assai esplicito nel senso sopra indicato). Né può mancare di osservarsi che l'art. 2, comma 2, del DPCM del 2023 impugnato sarebbe del tutto pleonastico, ove avesse voluto prevedere l'attuazione dei progetti da parte di soggetti pubblici o privati, come sostiene la ricorrente, perché un tertium genus tra le due figure non è dato. Al contrario, tale articolo assume una valenza precettiva se interpretato nel senso che i progetti sono attuati da enti pubblici (anche) con soggetti privati, preludendo alla collaborazione "consortile" successivamente specificata dal comma 4. Peraltro, il DPCM in questione non si pone affatto il problema dell'eventuale accesso al mercato per acquisire risorse eventualmente necessarie per la realizzazione concreta del progetto (ad esempio, come sottolineato dalla ricorrente, sistemi tecnologicamente avanzati e servizi di interpretariato), in quanto tale questione rimane sullo sfondo dell'utilizzazione specifica dei fondi, e non va a interferire con l'aspetto fondamentale della gestione del progetto. Allo stesso modo, come visto, Regione Lombardia si è limitata a recepire la restrizione dei soggetti privati partecipanti allo sviluppo del progetto, riservando alla fase successiva all'approvazione del progetto "concordato" la costituzione di un'Associazione temporanea di scopo che coinvolgesse, come da norma presupposta, oltre agli enti del terzo settore maggiormente rappresentativi della categoria beneficiaria, anche ATS Città Metropolitana di Milano e ATS della Brianza, in veste di aziende sanitarie ricomprese tra le "altre istituzioni pubbliche". 4.4. Sotto altro, concorrente profilo, la circostanza che l'amministrazione centrale si rivolga contestualmente, per l'attuazione dei progetti, a soggetti pubblici e privati, non solo "illumina" il riferimento successivo alla "forma consortile", ma sembra in un qualche modo alludere alla fattispecie generale della coprogettazione di cui all'art. 55 del d.lgs. n. 117 del 2017. Tale scelta si porrebbe d'altra parte in chiara continuità, come anticipato, con quanto già previsto dall'art. 3 del DPCM del 12 maggio 2022, che così disponeva, con riferimento ai criteri e alle modalità per l'utilizzazione delle risorse del Fondo per l'anno 2021: "Le risorse (...) sono destinate al finanziamento di progetti individuati mediante avvisi pubblici, anche non competitivi, riservati a pubbliche amministrazioni centrali, ad enti pubblici, alle Regioni e alla Province autonome di Trento e Bolzano, anche in forma associativa, tra loro e con gli enti del terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, maggiormente rappresentativi delle categorie beneficiarie (...)". Era stata dunque formulata un'espressa riserva che aveva da un lato lasciato fuori dall'attuazione dei progetti gli enti privati svolgenti attività a fini di lucro e dall'altro richiamato il codice del terzo settore (d.lgs. n. 117 del 2017). Secondo tale codice, per quanto qui di interesse, le amministrazioni pubbliche, nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del terzo settore con le seguenti modalità : - co-programmazione (attività finalizzata all'individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili); - co-progettazione (attività finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento tesi a soddisfare bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione generali); - forme di accreditamento nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento, previa definizione, da parte della pubblica amministrazione procedente, degli obiettivi generali e specifici dell'intervento, della durata e delle caratteristiche essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle modalità per l'individuazione degli enti partner. Si tratta di un modello di condivisione della "funzione" pubblica che rappresenta una delle più significative attuazioni del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale, in cui la limitazione solo ad alcuni soggetti, aventi determinate caratteristiche, degli enti che possono collaborare con la pubblica amministrazione, è direttamente connessa e giustificata dal tipo di attività da svolgere, a spiccata valenza sociale, e dalla rappresentatività della "società solidale" che appartiene naturalmente a tali enti. La "convergenza di obiettivi" e l'aggregazione di risorse pubbliche e private "per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico" (così Corte cost., 26 giugno 2020, n. 131), costituiscono la ragione preponderante della riserva del modello di condivisione sopra richiamato in favore degli enti del terzo settore, che più di ogni altro ente privato, per gli scopi perseguiti e per le modalità impiegate nel perseguimento degli stessi (consistenti in finalità solidaristiche attuate in forma di azione volontaria e di erogazione gratuita di beni e servizi), offrono la rigorosa garanzia di una posizione di indipendenza rispetto al mercato e alle finalità di profitto che lo caratterizzano. 4.5. D'altra parte, in questa prospettiva - e tenendo presente che il nuovo codice dei contratti pubblici consacra definitivamente la coesistenza di due schemi organizzativi alternativi, l'uno fondato sulla concorrenza e l'altro sulla solidarietà (regolato dal codice del terzo settore) - le amministrazioni possono mettere a disposizione dell'organismo no profit risorse economiche, materiali ed umane per lo svolgimento del servizio di interesse generale, purché motivino la scelta di ricorrere al primo o al secondo modello. Nel caso oggetto della presente controversia, peraltro, la motivazione in parola era riservata all'amministrazione centrale che elargiva il contributo, e non alle amministrazioni periferiche destinatarie di quel contributo. Di conseguenza, l'Associazione temporanea di scopo prevista dalla Regione per l'attuazione del progetto, oltre ad essere del tutto in linea con la modalità in parte suggerita (forma consortile) e in parte imposta (attuazione ad opera di soggetti pubblici e di soggetti privati, da intendersi, come detto, limitati agli enti del terzo settore), era una stretta conseguenza della scelta a monte della Presidenza del Consiglio; la previsione a valle della forma "consortile" ha garantito, contestualmente, un "governo" del progetto stesso che non avrebbe dovuto attribuire alle odierne controinteressate un ruolo di committenza e di regia direttamente o indirettamente remunerato con soldi pubblici. 4.6. D'altra parte, qualora tale associazione temporanea non potesse o non avesse potuto erogare le prestazioni previste, se non avvalendosi di imprese private fornitrici di beni e servizi a titolo oneroso, nulla avrebbe potuto o dovuto escludere una scelta di tali imprese private secondo le regole del codice dei contratti pubblici, o comunque mediante procedure trasparenti, una volta che l'osservanza di tali procedure sia normativamente dovuta. In altri termini, delle due l'una: o, nel caso concreto, non vi è motivo per applicare la normativa pro-concorrenziale ai fini dell'esecuzione del progetto, con il che la scelta di riservare il finanziamento agli enti del terzo settore non interseca in alcun modo tale disciplina; o, invece, detta normativa deve trovare applicazione, con il che siffatta scelta vi si rende compatibile nella fase di realizzazione del progetto. In ogni caso, si tratta di modalità esecutive rispetto alle quali la ricorrente non ha alcun titolo per dolersi, posto che eventuali distorsioni applicative, rilevabili in sedi diverse dalla presente, non sono imputabili alla scelta dello Stato di riservare il finanziamento agli enti privati del terzo settore, ma semmai alla concreta selezione dei progetti, selezione rispetto alla quale difetta l'interesse della ricorrente a dedurre censure, posto che essa non ha neppure in astratto i requisiti, in quanto società privata estranea al terzo settore, per godere del finanziamento. Le suddette modalità organizzative della fase esecutiva, operando dunque a valle dell'individuazione del progetto, non sono di per sé idonee a inficiare la scelta operata a monte dalla Regione con la DGR n. XII/593 del 10 luglio 2023 (unico atto odiernamente impugnato), posto che, come più volte detto, l'impostazione di fondo sui criteri e sulle modalità di utilizzazione del Fondo è stata determinata con atto dello Stato, di natura non regolamentare, che non è stato oggetto di contestazione in questa sede e che anzi costituisce secondo la deducente uno dei parametri dell'illegittimità dell'atto regionale. Né la società ricorrente può adesso dolersi - peraltro soltanto nella memoria finale, con esposizione di nuovi motivi che devono dunque ritenersi processualmente inammissibili - del fatto che ad ENS sarebbe stata lasciata nella fase esecutiva "la massima libertà nella scelta di forniture e fornitori", in quanto, ancora una volta, si tratta di considerazioni che non sarebbero comunque idonee, per le ragioni appena esposte, ad inficiare la legittimità del provvedimento impugnato. 5. Il ricorso è dunque inammissibile per carenza di interesse da parte della società ricorrente, in quanto la stessa avrebbe potuto compiutamente contestare la scelta che le preclude, in quanto ente privato non del terzo settore (ciò che caratterizza il suo interesse al ricorso), la partecipazione all'attuazione del progetto adottato dalla Regione, soltanto facendo cadere anche il DPCM di assegnazione delle risorse; tuttavia, non avendo impugnato tale decreto, l'eventuale accoglimento dell'odierna domanda di annullamento della delibera regionale "esecutiva" non le recherebbe alcuna utilità concreta, perché i fondi stanziati resterebbero sempre e comunque a disposizione soltanto di enti pubblici ed enti privati aventi natura giuridica diversa da quella posseduta dalla ricorrente stessa (che è una società di capitali). Le spese di lite devono in ogni caso essere integralmente compensate tra tutte le parti costituite in giudizio, in ragione della sostanziale novità della questione esaminata. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, ne dichiara l'inammissibilità . Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Bignami - Presidente Fabrizio Fornataro - Consigliere Roberto Lombardi - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 855 del 2024, proposto da Ap. s.p.a. (incorporante di Li. Ge. s.r.l.) e So. Consorzio di Co. So. s.c.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 9651063522, rappresentate e difese dagli avvocati Gi. Pe., Cl. Vi. ed El. So., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ec. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Fi. e Sa. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Do. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Se. Co. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), Comune di (omissis), Centrale unica di committenza - C.U.C. tra i Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis), So. Pr. cooperativa sociale onlus, Ve. l'A. - società cooperativa sociale onlus, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, Sezione prima n. 918 del 18 dicembre 2023 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ec. s.r.l., del Comune di (omissis) e di Se. Co. s.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2024 il consigliere Ofelia Fratamico; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue FATTO e DIRITTO 1. L'oggetto del presente giudizio è costituito: - dalla determinazione n. 492 del 6 giugno 2023, successivamente pubblicata in data 7 giugno 2023, con cui, al termine della procedura indetta dalla centrale unica di committenza CUC costituita fra i Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis), il Comune di (omissis) ha aggiudicato in via definitiva il servizio di igiene urbana, con durata quinquennale, in favore del costituendo RTI tra Li. Ge. s.r.l. (capogruppo e mandataria) e So. società consortile cooperativa a r.l. (mandante, che ha indicato quali consorziate esecutrici So. Pr. coop. sociale ONLUS e Ve. l'A. cooperativa sociale); - dalla proposta di aggiudicazione formulata dalla Commissione giudicatrice in seno al verbale del 10 maggio 2023 - registrato al prot. n. 18123 dell''11 maggio 2023; - dal paragrafo 7.4 del disciplinare di gara; - da tutti i verbali di gara e da tutti gli atti presupposti, conseguenziali, o comunque connessi della procedura. 2. La Ec. s.r.l., terza classificata nella graduatoria finale della gara, ha impugnato tali atti dinanzi al T.a.r. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, chiedendo l'esclusione del RTI aggiudicatario, la declaratoria di inefficacia del contratto di appalto eventualmente medio tempore stipulato, nonché la condanna dell'Amministrazione a disporre la riedizione del segmento di gara relativo alla valutazione delle offerte tecniche secondo i differenti criteri di giudizio previsti dal paragrafo 18.2 della lex specialis per il caso di soli due partecipanti alla gara (non più confronto a coppie, ma confronto cd. "scolastico"). 3. Affermando di avere un concreto interesse alla "riedizione della gara" nei termini suddetti, la ricorrente ha articolato i seguenti motivi di ricorso: a) violazione artt. 45 e 47 del d.lgs. 50/2016, violazione artt. 7- 7.1- 7.3 - 7.4 - 7.5 del disciplinare, carenza dei requisiti speciali e mezzi di prova; b) violazione del paragrafo 7.2, mancata dimostrazione dei requisiti di capacità economica e finanziaria, violazione e falsa applicazione dell'art. 86, co. 4, del d.lgs 50/2016; c) violazione del paragrafo 7.3 lett. a) del disciplinare di gara, mancata dimostrazione e comprova dei requisiti di capacità tecnica e professionale in ordine all'esecuzione dei servizi analoghi dell'ultimo triennio, grave incompletezza del DGUE dell'aggiudicataria; d) violazione art. 95 d.lgs. n. 50/2016, violazione punto 18. 2 del disciplinare, eccesso di potere per cattivo esercizio della discrezionalità tecnica; e) apertura in seduta riservata della documentazione amministrativa, violazione degli artt. 29 e 30 del d.lgs 50/2016, violazione dei principi di trasparenza e pubblicità, violazione e falsa applicazione del paragrafo 19 del disciplinare di gara. 4. Con la sentenza n. 918 del 18 dicembre 2023 il T.a.r. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, ha accolto il ricorso, rigettando, in particolare, l'eccezione di inammissibilità del gravame formulata dalla aggiudicataria per mancanza della prova di resistenza e ritenendo fondata la prima censura proposta da Ec. s.r.l. in rapporto al mancato possesso dell'iscrizione ANGA (Albo nazionale gestori ambientali) in capo alla mandante del RTI controinteressato, Consorzio So.. 5. Ap. s.p.a., società incorporante di Li. Ge. s.r.l., mandataria del RTI aggiudicatario, e il Consorzio So. (mandante) hanno chiesto al Consiglio di Stato di riformare, previa sospensione dell'esecutività, la pronuncia del T.a.r., affidando il proprio appello a tre motivi così rubricati: I - error in iudicando: violazione degli artt. 39 c.p.a. e 100 c.p.c. e dei principi in materia di interesse ad agire e prova di resistenza, errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, contraddittorietà, inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse; II - error in iudicando: violazione degli artt. 45, 47, 48 e 83 d.lgs. n. 50/2016, errata interpretazione e applicazione del disciplinare di gara, violazione dell'art. 212 d.lgs. n. 152/2016, infondatezza del primo motivo di ricorso avversario in primo grado; III - riproposizione delle eccezioni formulate in primo grado ai sensi dell'art. 101 c.p.a. 6. Si sono costituiti in giudizio il Comune di (omissis), che ha aderito integralmente agli argomenti e ai motivi di appello, la Se. Co. s.p.a., seconda classificata nella gara, e la originaria ricorrente Ec. s.r.l. che hanno, invece, eccepito l'inammissibilità e, in ogni caso, l'infondatezza nel merito dell'appello. 7. Con ordinanza n. 586 del 19 febbraio 2024 l'istanza cautelare è stata accolta. 8. Con memorie del 2 aprile 2024 e repliche del 5 e 6 aprile 2024 le parti hanno ulteriormente articolato le loro difese, insistendo nelle rispettive conclusioni. 9. All'udienza pubblica del 18 aprile 2024 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione. 10. Con il loro appello Ap. s.r.l. ed il Consorzio So. hanno riproposto, in primo luogo, l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, sostenendo che l'originaria ricorrente Ec. s.r.l., terza in graduatoria, avrebbe dovuto preliminarmente fornire in giudizio la c.d. prova di resistenza, dimostrando specificamente la possibilità di trarre un qualche vantaggio dall'annullamento dell'aggiudicazione. Secondo gli appellanti, infatti, anche nell'ipotesi di loro esclusione dalla gara, l'Amministrazione non avrebbe dovuto o potuto effettuare una nuova valutazione delle offerte, come erroneamente ritenuto dal T.a.r. per giustificare l'ammissibilità del ricorso, ma un mero ricalcolo matematico dei punteggi già ottenuti dai concorrenti, che avrebbero dovuto essere semplicemente "depurati" degli effetti del confronto. Tale operazione di mera conversione non avrebbe rappresentato, dunque, una rinnovazione della procedura, ma un semplice riconteggio automatico, rendendo indispensabile per l'ammissibilità del gravame la prova di resistenza, tanto più necessaria visto il notevole divario tra il punteggio ottenuto dalla seconda classificata Se. Co. s.p.a. sotto numerosi profili dell'offerta tecnica e quello della Ec. s.r.l. 11. Con il secondo motivo di appello Ap. s.r.l. e il Consorzio So. hanno denunciato un'altra profonda criticità che avrebbe caratterizzato, a loro dire, l'iter motivazionale seguito dal T.a.r. nell'accogliere il ricorso di primo grado, costituita dalla applicazione solo parziale del disciplinare di gara, con completa pretermissione dell'art. 7.5 e attribuzione di esclusivo rilievo all'art. 7.4 nella valutazione del possesso del requisito di iscrizione all'ANGA da parte del RTI aggiudicatario. 12. Nell'affermare la carenza in capo alla mandante So. del requisito in parola il giudice di prime cure non avrebbe considerato adeguatamente la specifica natura di tale soggetto che, essendo un consorzio di cooperative, avrebbe potuto, appunto, a norma dell'art. 7.5 del disciplinare, ben soddisfare le richieste della lex specialis attraverso le imprese consorziate indicate come esecutrici, So. Pr. e Ve. l'A., entrambe in possesso del requisito stesso, senza che su tale facoltà potesse influire la scelta del Consorzio di partecipare alla gara non da solo, ma in RTI. Le medesime argomentazioni sarebbero, poi, dovute valere anche per le certificazioni di qualità regolarmente possedute, nella loro versione aggiornata, dalle imprese consorziate indicate come esecutrici. 13. Con l'ultimo motivo gli appellanti hanno, infine, riproposto in appello le eccezioni di inammissibilità per difetto di interesse di alcune censure formulate dall'originaria ricorrente in rapporto alla pretesa illegittimità dell'esame da parte della Commissione della documentazione dei concorrenti, che sarebbe avvenuto in seduta riservata anziché pubblica, ma secondo Ap. s.r.l. e il Consorzio non avrebbe comunque impedito ad Ec. s.r.l. di visionare con completezza tutti gli atti di gara e la loro domanda e di far valere efficacemente in giudizio i propri interessi attraverso la proposizione del ricorso. 14. Tali doglianze sono state fatte proprie, come detto, dal Comune di (omissis), che ha sottolineato come l'originaria ricorrente non avesse specificamente impugnato l'art. 7.5 del disciplinare, che costituiva la norma speciale applicabile alla fattispecie. 15. Ec. s.r.l. ha, da parte sua, chiesto la conferma della sentenza del T.a.r., ribadendo in appello le doglianze di mancata dimostrazione dell'iscrizione per tutte le categorie richieste anche da parte della Cooperativa Ve. l'A. e di difetto di validità delle certificazioni di qualità del Consorzio So., non specificamente esaminate in primo grado, mentre Se. Co. s.p.a. ha eccepito l'inammissibilità dell'appello, nella parte volta a contestare la carenza di interesse di Ec. s.r.l. e la correttezza dell'interpretazione data dal T.a.r. alla lex specialis, in considerazione del carattere "personalissimo" e "non trasferibile" del requisito dell'iscrizione all'ANGA e della obbligatorietà, a norma dell'art. 7.1 del disciplinare, per ciascun "concorrente" alla gara, qual era il Consorzio So., dell'iscrizione stessa. 16. Se l'eccezione di inammissibilità dell'originario ricorso di Ec., riproposta da Ap. e dal Consorzio con il primo motivo di appello, deve essere rigettata alla luce della oggettiva complessità della "conversione" dei valori assegnati alle offerte dei concorrenti con il confronto a coppie nei punteggi "autonomi" del c.d. confronto scolastico, dimostrata anche dalla grande diversità dei risultati ottenuti nelle varie simulazioni effettuate dalle parti, il secondo motivo articolato dagli appellanti risulta, invece, fondato e meritevole di accoglimento nei termini di seguito illustrati. 17. A differenza di quanto ritenuto dal T.a.r., le disposizioni dettate dal disciplinare di gara all'art. 7.1 circa i requisiti di idoneità - tra i quali l'"iscrizione all'Albo nazionale gestori ambientali alle seguenti categorie e classi: categoria 1 classe D o superiori, categoria 4 classe F o superiori, categoria 5 classe F o superiori" e all'art. 7.4. per la partecipazione alla procedura di un RTI, per cui il requisito stesso "deve essere posseduto da ciascuna delle imprese raggruppate", devono essere, infatti, essere lette in combinato disposto con la disciplina dell'art. 7.5, specificamente dedicata ai consorzi di cooperative, nei quali "il requisito di cui al punto 7.1 lett. b) deve essere posseduto dalla/e impresa/e consorziata/e indicata/e come esecutrice/i", essendo l'ipotesi in questione contraddistinta proprio dalla coesistenza di entrambe le fattispecie che, combinate insieme, danno, appunto, origine al caso particolare del consorzio di cooperative componente di un RTI. 18. La suddetta interpretazione sistematica della lex specialis di gara non può che condurre a ritenere integrato il requisito dell'iscrizione ANGA da parte del Consorzio So. attraverso le cooperative indicate come esecutrici (in possesso dell'iscrizione, l'una, So. Pr. coop onlus, per tutte le categorie e classi richieste, e l'altra, Ve. l'A. soc. coop., per la parte di servizio che era destinata a svolgere in concreto (consistente nella gestione del centro per la raccolta dei rifiuti, attività ad essa attribuita anche nel precedente affidamento). 19. Pur avendo partecipato Li. Ge. e il Consorzio So. in RTI orizzontale alla gara, la mandante So. non risulta, infatti, aver dichiarato di concorrere "in proprio" per lo svolgimento del servizio, non potendo tra l'altro i consorzi di cooperative, a causa dello scopo mutualistico che li contraddistingue, indicare se stessi come esecutori. 20. La diversa opzione ermeneutica proposta da Ec. s.r.l. e accolta dal T.a.r., oltre che confliggere con il significato letterale delle parole del disciplinare, nella loro successione, contrasta, poi, come dedotto dagli appellanti, anche con la ratio stessa della previsione della facoltà per le imprese di partecipare alle gare in raggruppamento temporaneo, nonché con il diritto comunitario in materia. 21. L'utilizzo in una procedura di gara del RTI, che non costituisce, in verità, un nuovo ente dotato di personalità giuridica distinto dalle imprese che lo compongono, ma rappresenta un semplice modulo organizzativo basato sul mandato tra operatori, non può, dunque, incidere sulla natura del soggetto partecipante, cosicché anche al suo interno un consorzio di cooperative non perde le sue caratteristiche specifiche, né le sue peculiari modalità di funzionamento, potendo dimostrare il possesso dei requisiti, ove consentito appunto dalla lex specialis, come in questo caso, attraverso le consorziate indicate come esecutrici. 22. Ciò è confermato anche dal diritto unionale (cfr. direttiva 2014/24/UE), secondo cui i raggruppamenti di operatori economici partecipano di regola alle procedure di aggiudicazione senza dover assumere una forma giuridica specifica e possono subire l'imposizione di particolari condizioni solo ove proporzionate, non discriminatorie e giustificate da ragioni obiettive. Da qui la necessità di un'interpretazione che sia in linea con i principi comunitari e non penalizzi la scelta di partecipare ad una gara in RTI. Non pertinenti appaiono, poi, sia il riferimento al cd. cumulo alla rinfusa, riguardante tipologie di requisiti diverse da quelle in questione, sia il rinvio ad una recente sentenza di questo Consiglio di Stato, concernente profili anch'essi del tutto distinti ed estranei alla controversia in esame. 23. Non meritevoli di accoglimento sono, inoltre, le censure riproposte da Ec. di mancata integrazione del requisito di iscrizione ANGA neppure da parte delle cooperative esecutrici e, in particolare, da parte della cooperativa Ve. l'A. e di insufficienza delle certificazioni di qualità . 24. Da un lato, come detto, la suddivisione delle prestazioni è stata definita tra Li. Ge. e So. nell'ambito dell'impegno a costituire il RTI con assunzione da parte del Consorzio, in particolare, della gestione del CDR, dall'altro, l'art. 7.5 non imponeva che ciascuna consorziata possedesse l'iscrizione in tutte le categorie e classifiche richieste, ma solo che queste dovessero essere soddisfatte integralmente dalle esecutrici nel loro complesso, come verificatosi nell'ipotesi de qua. Dagli atti di causa risulta, poi, che tutte le componenti del RTI e le consorziate fossero in possesso di una certificazione regolare e in corso di validità che, in caso di dubbio da parte dell'Amministrazione, avrebbe ben potuto essere oggetto di approfondimento o verifica presso gli enti competenti. 25. In conclusione, l'appello deve, perciò, essere accolto, con conseguente rigetto, in riforma della sentenza appellata, del ricorso proposto in primo grado da Ec. s.r.l. 26. Per la particolarità e la complessità delle questioni trattate sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, rigetta il ricorso proposto in primo grado da Ec. s.r.l. Compensa tra le parti le spese del doppio grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere Ofelia Fratamico - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1938 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Za. e Ma. Da. Ma. Fe., con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Milano, via (...); contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliato ex lege in Milano, via (...); per l'annullamento del decreto avente prot. n. -OMISSIS- datato 19.06.2023 e verbale prot. n. 10 del 21.04.2023; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2024 la dott.ssa Silvia Cattaneo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il sig. -OMISSIS- - sovrintendente della Polizia di Stato - ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe con cui è stato destituito dall'Amministrazione della Pubblica Sicurezza per questi fatti: tra il maggio e l'agosto 2010, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, abusando della qualità di pubblico ufficiale in servizio presso l'aeroporto di -OMISSIS-, ha indotto cittadini stranieri, in arrivo o in transito presso lo scalo aereo, a corrispondergli somme di denaro in cambio della concessione del diritto all'ingresso o al transito nel territorio nazionale; in particolare in data 17 agosto 2010 ha indotto una cittadina paraguayana a corrispondergli la somma di euro 500, come accertato con sentenza della Corte d'Appello di Milano n. -OMISSIS- del 29.4.2022, di condanna per il delitto di cui all'art. 317 c.p. (concussione). 2. Queste le censure dedotte: I. violazione art. 24, comma 2, Costituzione italiana - diritto di difesa. Violazione del principio di tempestività dell'azione disciplinare e violazione art. 103 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Violazione dell'art. 11 D.P.R. n. 737/81 in erronea applicazione in violazione della precisazione del C.D.S. in A.P. n. 1/2009. Violazione legge n. 241/90 per omessa motivazione di tardività della contestazione di addebito; II. violazione principio di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione. Violazione art. 13 D.P.R. n. 737/81 - Eccesso di potere - Mancanza di proporzionalità, gradualità con contraddittorietà ed illogicità tra la determinazione assunta e le risultanze istruttorie documentali in relazione allo stato di servizio e precedenti disciplinari oltre a difetto istruttorio procedimentale, difetto istruttorio e di motivazione. Violazione legge n. 241/90 art. 2 e 3; III. violazione art. 19, comma 4, D.P.R. n. 737/1981; IV. eccesso di potere per violazione di legge n. 241/90 in difetto istruttorio e motivazionale, contraddittorietà ed illogicità ; V. violazione art. 20, comma 2, d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737. Violazione diritto di difesa. 3. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'interno, chiedendo il rigetto nel merito del ricorso. 4. All'udienza del 23 aprile 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 5. Con il primo motivo viene contestata la violazione dell'art. 103, d.P.R. n. 3/1957 e dell'art. 11 d.P.R. n. 737/81. Il procedimento disciplinare sarebbe stato avviato, con la notifica della contestazione dell'addebito, il 18.2.23, tardivamente: i fatti posti a fondamento del procedimento disciplinare sarebbero stati già noti all'amministrazione sin dalla data in cui si sono verificati, il 17.8.2010, come risulterebbe dal verbale di arresto e dal decreto di sospensione. Sarebbe stato quindi leso il diritto di difesa del ricorrente stante l'ampio lasso di tempo intercorso dagli eventi. 6. Il motivo è infondato. Per giurisprudenza costante in materia di contestazione degli addebiti disciplinari a carico di agenti della Polizia di Stato non è previsto dall'art. 12, del d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 - che costituisce la normativa speciale rispetto a quella generale dettata dal T.U. n. 3 del 1957 - alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti, con la conseguenza che l'amministrazione procedente deve ottemperare solo ad una regola di ragionevole prontezza nella contestazione degli addebiti. Anche l'uso del termine "subito" nel contesto dell'art. 103, T.U. impiegati civili dello Stato, ai fini della contestazione degli addebiti, presenta mera valenza sollecitatoria, con la conseguenza che residua all'amministrazione un ampio spazio di azione ai fini dell'espletamento degli adempimenti finalizzati al reperimento e alla valutazione degli elementi relativi alle vicende oggetto di esame (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2863; Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 11 febbraio 2019, n. 365; Tar Campania, Napoli, sez. VI, 25 marzo 2015, n. 1743; Tar Lazio, Roma, sez. I, 3 novembre 2014, n. 10988; Tar Puglia, Bari, sez. I, 15 novembre 2012, n. 1945; Tar Molise, 7 settembre 2017, n. 284). Le disposizioni di cui agli articoli 9 e 11, d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (recante la disciplina delle sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti) prevedono, poi, l'obbligo dell'amministrazione di non dare inizio al procedimento disciplinare o di sospendere il procedimento già avviato dal momento in cui viene esercitata l'azione penale (con gli atti tipizzati dal vigente codice di procedura penale); in particolare, l'art. 11 prevede che "quando l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza viene sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato". Nel caso in esame l'azione disciplinare è stata legittimamente esercitata con la contestazione degli addebiti, in data 18.2.2023. Non può invero ritenersi che dovesse darsi avvio all'azione disciplinare in un momento antecedente l'esercizio dell'azione penale (con la richiesta di rinvio a giudizio del 6.7.2011), allorché è scattato l'obbligo di sospensione previsto all'art. 11, d.P.R. n. 737/1981: la complessità della vicenda, la gravità dei fatti contestati e la necessità di una completo e definitivo accertamento degli stessi hanno giustificato pienamente l'attesa della definitiva conclusione del procedimento penale, anche nell'interesse del ricorrente. Di ciò si trae conferma dall'andamento dal giudizio penale e dalla lettura delle motivazioni delle sentenze (con sentenza n. -OMISSIS- del 5 febbraio 2015 del Tribunale di -OMISSIS- il ricorrente è stato condannato per i reati di cui all'art. 319 quater c.p. e all'art. 72, l. n. 121/1981 alla pena di 3 anni e 4 mesi di reclusione, alle sanzioni accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di 5 anni e dell'estinzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 32 quinquies c.p.; la condanna è stata confermata con sentenza della Corte d'appello di Milano n. -OMISSIS-; la sentenza è stata annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione per mancato esame della persona offesa, cui l'imputato aveva condizionato la richiesta di rito abbreviato; con la sentenza n. -OMISSIS-del 15 gennaio 2019 la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di -OMISSIS-; anche quest'ultima sentenza è stata annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione, sempre per il mancato esame della persona offesa; con sentenza n. -OMISSIS- la Corte d'appello di Milano ha riqualificato il fatto nella fattispecie di cui all'art. 317 c.p., ha dichiarato di non doversi procedere in relazione al delitto di cui all'art. 72, l. n. 121/1981, in quanto estinto per intervenuta prescrizione, ha, quindi, rideterminato la pena in anni 2 e mesi 8 di reclusione, ha ridotto la sanzione accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la stessa durata della pena escluso la sanzione accessoria ex art. 32 quinquies c.p.; infine, il ricorso in Cassazione proposto avverso la sentenza è stato rigettato con sentenza del 24.1.2023). 7. Con il secondo motivo vengono dedotti i vizi di violazione del principio di proporzionalità, difetto di istruttoria e di motivazione: l'amministrazione non avrebbe considerato le caratteristiche e le qualità del ricorrente, che il fatto contestato sarebbe l'unico errore grave commesso nel corso della carriera, che gli otto anni di servizio svolti successivamente al rientro in servizio, avvenuto il 17.08.2015, sono stati valutati con giudizi di distinto nella documentazione caratteristica, che il ricorrente, nell'anno 2015, è stato ritenuto in possesso dei requisiti psico-fisici ed attitudinali prescritti dall'art. 2 del Decreto del Ministero dell'Interno 30 giugno 2003, n. 198 e il lasso di tempo di oltre 13 anni intercorso dai fatti. 8. Con il quarto motivo viene dedotto il vizio dell'eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà : quanto affermato nel provvedimento impugnato circa il venir meno del vincolo fiduciario contrasterebbe con il regolare servizio svolto dal ricorrente negli ultimi otto anni, dal rientro in servizio, il 17.08.2015, fino alla destituzione. 9. Le censure - che possono essere esaminate congiuntamente in quanto strettamente connesse - sono infondate. Per pacifica giurisprudenza le valutazioni dell'amministrazione in materia di sanzioni disciplinari sono connotate da ampia discrezionalità, anche quelle in ordine alla valutazione dei fatti ascritti al dipendente, al convincimento sulla gravità delle infrazioni e alla conseguente sanzione da infliggere - ciò in considerazione degli interessi pubblici che devono essere attraverso tale procedimento tutelati - con la conseguenza che il provvedimento disciplinare sfugge ad un pieno sindacato di legittimità del giudice, il quale non può sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall'amministrazione, salvo che queste ultime siano inficiate da travisamento dei fatti, evidente sproporzionalità o qualora il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente ovvero sia viziato da palese irrazionalità (Cons. Stato, sez. II, 4 luglio 2023, n. 6524; id. 27 giugno 2022, n. 5261; id. 30 marzo 2022, n. 2337; id., sez. IV, 10 febbraio 2020, n. 1013). La sanzione della destituzione irrogata nel caso di specie non può ritenersi illogica in ragione della particolare gravità del reato commesso e del palese contrasto della condotta tenuta con il dovere di agire con disciplina e onore nell'adempimento delle proprie funzioni previsto all'art. 54 Cost., delle risultanze degli accertamenti penali che hanno evidenziato la non occasionalità della condotta e dell'accertamento della responsabilità anche per il delitto di cui all'art. 72, l. n. 121/1981 (abbandono del posto di servizio), pur dichiarato prescritto. Gli elementi addotti dal ricorrente non inducono a una diversa conclusione: i fatti non sono così risalenti nel tempo da escludere una loro rilevanza disciplinare e, comunque, il lasso di tempo intercorso è conseguenza della durata e della complessità del procedimento penale; quanto alla riammissione in servizio, essa è stata disposta unicamente in conseguenza del decorso del periodo massimo di sospensione dal servizio previsto all'art. 9, l. n. 19/1990. 10. Il terzo motivo ha ad oggetto la violazione dell'art. 19, comma 4, d.P.R. n. 737/1981, disposizione che prevede che, in ipotesi di avvio del procedimento disciplinare per l'applicazione della sanzione della sospensione dal servizio o della destituzione, il funzionario istruttore debba appartenere ad un servizio diverso da quello dell'incolpato: il ricorrente, al momento dell'istruttoria disciplinare, svolgeva servizio presso l'ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico ed il dirigente di tale articolazione sarebbe il soggetto nominato funzionario istruttore, il-OMISSIS-. 11. La censura è infondata. Con ordinanza n. 1016/2023, resa in sede di esame dell'istanza cautelare proposta dal ricorrente, il Tribunale ha ritenuto necessario, ai fini della decisione del merito, acquisire agli atti del giudizio una documentata relazione affinché l'amministrazione resistente chiarisse quale fosse il servizio cui era assegnato il -OMISSIS-alla data del 10.2.2023, in cui è stato nominato funzionario istruttore, e quale fosse il servizio cui era assegnato il ricorrente, specificando se vi sia stata totale coincidenza e, se del caso, per quanto tempo. In adempimento alla richiesta istruttoria il Ministero dell'interno ha depositato in giudizio: - la nota prot. n. -OMISSIS-del 26 settembre 2022, che ha disposto l'invio in missione del -OMISSIS-presso la Questura di -OMISSIS- nell'ambito della procedura volta al conferimento delle funzioni di Dirigente della Divisione Anticrimine, con decorrenza 3 ottobre 2022; - la comunicazione del 3 novembre 2022, con cui è stato disposto il trasferimento d'ufficio del -OMISSIS-, con decorrenza 4 novembre 2022, confermativo dell'incarico già assegnatogli di Dirigente della Divisione Anticrimine; - la nota del 9 febbraio 2024 in cui viene specificato che il sig. -OMISSIS-, il giorno 10 febbraio 2023, era inquadrato nell'Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico - Ufficio "Trattazione atti di P.G. e Ricezione denunce" ed era collocato in congedo ordinario fino al 10 marzo 2023. Questi documenti sono sufficienti ad escludere l'identità dei servizi di appartenenza del -OMISSIS-e del sig.-OMISSIS-e che sia stato violato l'art. 19, comma 4, d.P.R. n. 737/1981. Quanto sostenuto dal ricorrente circa l'attribuzione al -OMISSIS-della sovrintendenza dell'Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico si pone in contrasto con le risultanze dell'istruttoria e non è stato supportato da alcun idoneo elemento di prova: tale non è il documento n. 24, trattandosi di un comunicato sindacale - oltretutto privo di data e di sottoscrizione - che riporta lo stralcio di una nota priva di qualsiasi elemento che consenta di affermarne la provenienza dall'amministrazione resistente. La censura non merita pertanto accoglimento. 12. Il quinto motivo ha ad oggetto la violazione dei termini a difesa e delle garanzie procedimentali previste all'art. 20, comma 2, d.P.R. n. 737/1981. Il consiglio provinciale di disciplina ha fissato una prima convocazione, per la data del 13.4.2023, con atto notificato all'interessato il 5.4.2023, in violazione dell'art. 20, comma 2, d.P.R. n. 737/81; a fronte della giusta causa che ha impedito al ricorrente di essere presente, il consiglio di disciplina non avrebbe notificato la nuova convocazione (prevista per il giorno 21.04.2023) al dipendente, il quale ne avrebbe avuta notizia solo verbale ed il giorno precedente e non avrebbe avuto il tempo di redigere una memoria scritta. 13. Anche questa censura è priva di fondamento. L'art. 20, ai commi 1 e 2, d.P.R. n. 737/1981 prevede che "il consiglio centrale o provinciale di disciplina è convocato dall'organo indicato nell'art. 16 entro dieci giorni dalla ricezione del carteggio. Nella prima riunione il presidente ed i membri del consiglio esaminano gli atti e ciascuno di essi redige dichiarazione per far constatare tale adempimento; indi il presidente nomina relatore uno dei membri e fissa il giorno e l'ora della riunione per la trattazione orale e per la deliberazione del consiglio che dovrà aver luogo entro quindici giorni dalla data della prima riunione del consiglio stesso. Il segretario, appena terminata la prima riunione, notifica per iscritto all'inquisito che dovrà presentarsi al consiglio di disciplina nel giorno e nell'ora fissati, avvertendolo che ha facoltà di prendere visione degli atti dell'inchiesta o di chiederne copia entro dieci giorni e di farsi assistere da un difensore appartenente all'Amministrazione della pubblica sicurezza, comunicandone il nominativo entro tre giorni; lo avverte inoltre che, se non si presenterà, né darà notizia di essere legittimamente impedito, si procederà in sua assenza". Nel caso di specie la norma non è stata violata in quanto: - non assume rilievo la comunicazione della riunione del 13.4.2023, con un anticipo inferiore a 10 giorni, poiché la riunione non si è svolta per legittimo impedimento del ricorrente; - con nota del 7.4.2023 il ricorrente ha presentato istanza di accesso ed ha nominato un difensore (doc. 31 del Ministero); - il differimento della riunione alla data del 21.4.2023 è stato comunicato al difensore del ricorrente (doc. 34 del Ministero); - la riunione si è tenuta in una data (il 21 aprile 2023) in cui l'interessato aveva avuto accesso al fascicolo inerente il procedimento disciplinare e si è svolta con la partecipazione del difensore del ricorrente, senza che questi abbia chiesto un termine a difesa. Non vi è stata dunque alcuna lesione del diritto di difesa e dell'art. 20, d.P.R. n. 737/1981. 14. Per le ragioni esposte il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto. 15. Per la peculiarità della controversia le spese di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Gabriele Nunziata - Presidente Silvia Cattaneo - Consigliere, Estensore Silvia Torraca - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7197 del 2017, proposto da Je. Du. e Do. Du., rappresentati e difesi dagli avvocati Ar. Po., Ug. Fr. e La. El. Pr., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ar. Po. in Roma, viale (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 283/2017. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Giordano Lamberti e udito per le parti l'avvocato Ar. Po., anche per delega dell'avvocato Ug. Fr.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Gli appellanti sono proprietari di un appartamento presente all'interno del complesso residenziale e turistico denominato "Sa. Gi.", posto nel territorio comunale di (omissis). Il suddetto complesso è composto da diversi appartamenti terra-tetto, la metà dei quali con destinazione residenziale e l'altra metà turistico-ricettiva. L'appartamento di proprietà dei ricorrenti ricade nell'area turistico-ricettiva del complesso. 2 - Con comunicazione di avvio del procedimento n. 6022 del 20.11.2014, il Comune di (omissis) ha contestato di aver illegittimamente modificato la destinazione d'uso dell'unità abitativa di cui sono proprietari gli appellanti "da turistico alberghiera in residenziale, in violazione della disciplina urbanistica di zona e della convenzione urbanistica che ha regolato l'edificazione del comparto". In data 31.3.2015 il Comune ha concluso il procedimento, ritenendo sussistenti i presupposti per la violazione dell'art. 30 DPR 380/2001 e con provvedimento prot. n. 1560/2015 ha ordinato "di non utilizzare le unità immobiliari ad uso residenziale esclusivo, facendo obbligo agli stessi di garantirne l'uso turistico-alberghiero con affidamento a soggetto gestore e pertanto di garantire il rispetto della convenzione urbanistica 25 maggio 1993 e dello strumento regolatore vigente", avvertendo che "decorsi 90 giorni dalla notifica", "qualora non maturino le condizioni per la revoca del presente provvedimento, si procederà alla acquisizione al patrimonio disponibile del Comune". 3 - Gli appellanti hanno impugnato tale provvedimento avanti il Tar per la Lombardia, sezione di Brescia, che con la sentenza indicata in epigrafe ha respinto il ricorso. 4 - Gli originari ricorrenti hanno proposto appello avverso tale pronuncia per i motivi di seguito esaminati. 4.1 - Con il primo motivo gli appellanti censurano la sentenza nella parte in cui ha rigettato il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso. Per l'appellante, il Tar avrebbe erroneamente negato che la Convenzione del 1993, posta a fondamento del provvedimento impugnato e l'ivi previsto vincolo alberghiero a RTA, siano ad oggi inefficaci e decaduti. Per gli appellanti il Tar, nel richiamare la disciplina del Piano di Governo del Territorio, oltre a contraddirsi in punto di motivazione, avrebbe integrato la motivazione dell'ordinanza di confisca, la quale si fonderebbe esclusivamente sul contenuto della Convenzione e non sulle norme del PGT. Gli appellanti sostengono che la Convenzione sarebbe decaduta, in quanto questa prevedeva un termine di validità di 5 anni decorrente dalla stipula dell'atto (cfr. art. 13 Convenzione) avvenuta nel 1993. Tale termine sarebbe spirato nel 25.05.1998. Da tale data sarebbe iniziato a decorrere il termine di 10 anni entro il quale l'Amministrazione avrebbe potuto esigere l'adempimento degli obblighi e delle prescrizioni contenute nella Convenzione. Tale termine sarebbe spirato il 25.05.2008. Inoltre, la Convenzione del 1993 non potrebbe più ritenersi valida anche perché con essa è stato costituito un vincolo di destinazione turistico-alberghiera ai sensi della L. 217/1983. La richiamata normativa è stata abrogata dalla successiva L. 135/2001 e non potrebbe essere presa a presupposto per procedimenti e atti adottati dopo la sua abrogazione. Gli appellanti invocano anche l'art. 23 ter del d.P.R. n. 380/2001, introdotto dal d.l. n. 133/2014, in forza del quale nessuna norma urbanistica potrebbe confermare la sub-destinazione a RTA, ma solo una macro destinazione turistico ricettiva. 5 - La censura è infondata. Nel 1993 veniva definitivamente approvato il piano attuativo relativo al comparto sito in (omissis) ed azzonato come D4, meglio individuato come P.L. n. 25, in località (omissis). Nella zona in esame era ammessa, previa approvazione di piano esecutivo, la realizzazione di strutture per complessivi 20.000 mc. a volumetria definita, dei quali il 65% con destinazione alberghiera, il 30% con destinazione residenziale ed il 5% con destinazione commerciale. In esecuzione dei provvedimenti approvativi del piano attuativo veniva stipulata Convenzione urbanistica 25 maggio 1993 n. 44363 (rep. notaio Pa.) tra il Comune di (omissis) ed i lottizzanti Soc. An. To. Li. Im. & Tu. s.r.l., Soc. Tu. del Ga. s.r.l., Gi. On. e Al. Pa.. L'art. 12/a della convenzione urbanistica contemplava un vincolo di destinazione sugli edifici con destinazione alberghiera ed in particolare statuiva che "i lottizzanti si impegnano a mantenere a destinazione turistico- alberghiera gli immobili edificandi nel comparto ed evidenziati con la simbologia "X" (contornata in rosso) nella planimetria 1-A allegata alla presente convenzione sub "F", debitamente controfirmata dalle parti" e statuiva altresì che "Una diversa utilizzazione degli immobili citati non può essere realizzata se non nei casi previsti dalla legge e sempre che lo consenta il P.R.G. Ciò in quanto la destinazione alberghiera deve intendersi strettamente correlata a quanto prescrive il Piano Regolatore Generale". In esecuzione della Convenzione urbanistica veniva rilasciata concessione edilizia, avente ad oggetto l'edificazione di "albergo residenziale", e veniva rilasciata la licenza di pubblico esercizio con classificazione "categoria 4 stelle" alla Immobiliare Sa. Gi. s.r.l., relativa ad "albergo residenziale di 97 unità abitative". Negli anni sono stati perfezionati svariati atti traslativi della proprietà con intestazione a vari soggetti di unità immobiliari all'interno delle strutture, aventi destinazione di residenza turistica alberghiera. Tutti gli atti traslativi hanno sempre contemplato il richiamo alla convenzione urbanistica di cui all'atto 25.05.93 n. 44363 rep. notaio Pa., rendendo pertanto edotti i singoli acquirenti della esistenza del vincolo di destinazione turistico-alberghiera. Anzi, gli atti traslativi richiamavano il "Regolamento del Villaggio Turistico", qualificando la struttura come "Albergo residenziale", con ogni onere connesso alla specifica destinazione della struttura. I predetti atti traslativi hanno dunque sistematicamente individuato le unità immobiliari oggetto di compravendita quali unità "facenti parte del complesso denominato Vi. Tu. Al. Re. Sa. Gi.", con contestuale indicazione anche dell'obbligo di rispettare l'annesso Regolamento del Vi. Tu. Al. Re. Sa. Gi., che ribadiva la natura dell'immobile quale residenza turistico-alberghiera. L'art. 27 del Regolamento precisava che "il condominio S. Gi. nasce come albergo residenziale e come tale è strutturato per la locazione degli appartamenti. I proprietari che volessero utilizzare tale servizio dovranno concordarne di volta in volta il costo con la società di gestione". 5.1 - Riassumendo, è stato pacificamente dimostrato che: a) l'edificazione del complesso Sa. Gi. venne autorizzato nel 1993 solo ed in quanto veniva edificata una struttura destinata come RTA (residenza turistica alberghiera) con un indice edificatorio assai superiore rispetto a quello previsto per l'edificazione ad uso residenziale; b) la convenzione urbanistica del 1993, collegata al piano di lottizzazione, richiamava la disciplina propria delle RTA, imponeva tale destinazione e faceva obbligo ai lottizzanti (e ai loro aventi causa) di destinare le strutture a quello scopo; c) la concessione edilizia rilasciata nel 1994 confermava tale destinazione funzionale; d) tutti gli atti di acquisto (originari o successivi delle unità immobiliari) confermavano la destinazione turistico ricettiva delle unità immobiliari e richiamavano il contenuto della convenzione urbanistica e della concessione edilizia. Ne deriva che la modifica della destinazione da alberghiera in residenziale deve ritenersi illegittima. 5.2 - Avuto riguardo alle censure svolte dall'appellante va infatti precisato che la destinazione turistica ricettiva è categoria funzionale del tutto diversa ed autonoma rispetto alla destinazione residenziale. La giurisprudenza ha precisato che "la possibilità di vincolare in tal modo la destinazione d'uso di un immobile emerge anche dall'art 23 ter n. 1-bis del D.P.R. 380/01, che prevede la destinazione la turistico-ricettiva distinguendola da quella residenziale, così disciplinandola quale destinazione urbanistica avente funzionalità differente da quella residenziale" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 agosto 2022, n. 6824). 6 - Il giudizio di illeceità della modifica di destinazione d'uso non risulta incrinato dalle doglianze degli appellanti. In primo luogo, deve precisarsi come sia del tutto inconferente l'argomento facente leva sull'abrogazione della legge n. 217/1983 in tema di vincolo alberghiero, essendo pacifico che la licenza edilizia era stata rilasciata per un determinato uso dell'immobile. Per altro, la destinazione dell'area a tale uso (turistico) risulta conforme agli strumenti urbanistici vigenti. È il loro utilizzo residenziale, piuttosto che turistico, a porsi in contrasto con il titolo autorizzatorio, in forza del quale è stato realizzato l'immobile, nonché con l'attuale disciplina dell'area. 6.1 - Non appare condivisibile neppure il rilievo facente leva sulla supposta scadenza della convenzione di lottizzazione in forza della quale sono stati realizzati gli immobili. Invero, nel caso in esame, non viene in rilievo alcun obbligo soggetto ad un termine di adempimento, bensì la destinazione impressa all'area, la quale resta attuale e vigente sino alla sua modifica da parte di un nuovo strumento urbanistico che la regoli diversamente. In giurisprudenza si afferma che "il piano particolareggiato (a voler ritenere ascrivibile a tale genus anche il Piano di lottizzazione) diventa sì inefficace decorso il termine di dieci anni, ma rimane fermo a tempo indeterminato l'obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso (art. 17 l. n. 1150 del 1942). La disposizione esprime il principio secondo cui la maglia pianificatoria delineata dal Piano...rimane comunque efficace sino all'adozione di un diverso strumento urbanistico attuativo, quand'anche il piano che la prevede non possa più trovare attuazione per decorso del tempo. In altra prospettiva, la scadenza decennale di un piano riguarda le sole previsioni vincolistiche, ferma restando l'efficacia delle previsioni propriamente pianificatorie" (Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 aprile 2021, n. 3257). In conformità ai principi innanzi ricordati, nello specifico, la convenzione urbanistica prevedeva che "Una diversa utilizzazione degli immobili citati non può essere realizzata se non nei casi previsti dalla legge e sempre che lo consenta il P.R.G. Ciò in quanto la destinazione alberghiera deve intendersi strettamente correlata a quanto prescrive il Piano Regolatore Generale" (art. 12/a). 6.2 - Alla luce della disamina delle vicende che hanno interessato l'immobile, appare del tutto condivisibile anche la considerazione del Tar per cui la presenza del vincolo di destinazione era conosciuta, o poteva essere conosciuta utilizzando l'ordinaria diligenza, anche dagli aventi causa dei costruttori, che risultano aver sempre rispettato l'obbligo di richiamare gli effetti della convenzione in ogni atto di vendita. 6.3 - Non rileva, poi, che il mutamento della destinazione d'uso sia stato realizzato con o senza l'esecuzione di opere. Sul punto, come più volte statuito in giurisprudenza, va ricordato che "il mutamento della destinazione d'uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, ove realizzato senza permesso di costruire, è sanzionabile con la misura ripristinatoria. (Consiglio di Stato sez. VI, 04/03/2021, n. 1857). La circostanza che la modifica non abbia comportato la realizzazione di opere edilizie è dunque irrilevante, in quanto l'art. 23 ter D.P.R. 380/01 definisce come mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale (Consiglio di Stato sez. VI, 04/03/2021, n. 1857). Ai sensi dell'art. 32 del D.P.R. n. 380 del 2001, inoltre, il mutamento di destinazione d'uso tra categorie funzionali ontologicamente diverse, anche senza opere edilizie, costituisce una variazione essenziale rispetto al titolo edilizio" (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2022, n. 6823). 7 - Con il secondo motivo gli appellanti censurano la pronuncia nel punto in cui ha rigettato il primo motivo di ricorso con cui avevano lamentato la violazione dell'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001. Per gli appellanti la sentenza sarebbe viziata, poiché il Tar non avrebbe preso in considerazione che il provvedimento impugnato è stato notificato solo agli appellanti e non a tutti i condomini del complesso immobiliare. L'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 sanzionerebbe la trasformazione del territorio e non il singolo abuso edilizio, pertanto, la lottizzazione abusiva non potrebbe essere fatta valere solo per alcuni e non per tutti i condomini del complesso edilizio. I soggetti non sanzionati sarebbero quelli che avrebbero, dopo l'avvio del procedimento, "confermato la volontà di destinare le proprie unità immobiliari a destinazione turistico-alberghiera conferendone la gestione a soggetto qualificato". Sul punto, gli appellanti sostengono che se l'Amministrazione comunale ritiene che la legittima destinazione urbanistica del complesso Sa. Gi. sia quella di RTA, a gestione unitaria, non apparrebbe legittima la contestazione mossa nei confronti di alcuni soltanto dei proprietari delle unità comprese nel piano la lottizzazione abusiva. Sotto altro profilo, gli appellanti evidenziano che il Giudice di prime cure non avrebbe tenuto conto della disciplina legislativa (regionale e statale) in punto di variazioni essenziali rilevanti ai fini della lottizzazione abusiva, per cui nel caso di specie il Comune avrebbe dovuto applicare la sanzione pecuniaria. Per gli appellanti, posto che, nel caso di specie, non sarebbe stata realizzata alcuna opera e l'abuso consisterebbe nel mutamento di destinazione d'uso, la sanzione non poteva consistere nella confisca degli immobili ma, al più, avrebbe dovuto essere irrogata una sanzione di natura pecuniaria. 7.1 - Con il terzo motivo gli appellanti lamentano l'erroneità della pronuncia gravata per omessa pronuncia sul secondo motivo di impugnazione del ricorso di primo grado con cui avevano lamentato la carenza di motivazione del provvedimento impugnato. Al riguardo, parte appellane deduce che il provvedimento impugnato sarebbe stato genericamente motivato sul solo rilievo che la destinazione del complesso immobiliare Sa. Gi. sarebbe stata abusivamente mutata da turistico-alberghiera a residenziale, senza svolgere alcun ulteriore approfondimento istruttorio. Per l'effetto, il Comune avrebbe sanzionato con la confisca anche soggetti che, vista l'impossibilità di utilizzare gli immobili come RTA, li avevano chiusi per anni. 8 - Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, devono trovare accoglimento nei termini di seguito esposti. L'art. 30 del D.P.R. n. 380/2001 prevede che: "si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio". La norma disciplina due diverse ipotesi di lottizzazione abusiva. Ricorre la lottizzazione abusiva cd. "materiale" con la realizzazione di opere che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, sia in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, approvati o adottati, ovvero di quelle stabilite direttamente in leggi statali o regionali, sia in assenza della prescritta autorizzazione. Si ha invece lottizzazione abusiva "formale" o "cartolare" quando, pur non essendo ancora avvenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, se ne sono già realizzati i presupposti con il frazionamento e la vendita - o altri atti equiparati - del terreno in lotti che, per le specifiche caratteristiche, quali la dimensione dei lotti stessi, la natura del terreno, la destinazione urbanistica, l'ubicazione e la previsione di opere urbanistiche, o per altri elementi, evidenzino in modo non equivoco la destinazione ad uso edificatorio. L'interesse protetto dalla norma è quello di garantire un ordinato sviluppo urbanistico del tessuto urbano, in coerenza con le scelte pianificatorie dell'amministrazione. Avuto riguardo al caso di specie, si osserva che la giurisprudenza ha ritenuto che configura il reato di lottizzazione abusiva anche la modifica di destinazione d'uso di immobili oggetto di un piano di lottizzazione attraverso il frazionamento di un complesso immobiliare, di modo che le singole unità perdano la originaria destinazione d'uso alberghiera per assumere quella residenziale, atteso che tale modificazione si pone in contrasto con lo strumento urbanistico costituito dal piano di lottizzazione (cfr. Corte Cass. n. 38799 del 16/9/2015). 8.1 - Tenuto conto della specificità del presente giudizio deve anche precisarsi che ciò che qualifica la lottizzazione abusiva è la trasformazione complessiva di un determinato lotto in violazione della destinazione a suo tempo impressa dall'amministrazione; invero, l'art. 30 cit. sanziona la trasformazione globale di un'area e non il singolo intervento edilizio, differenziandosi dagli artt. 31 e ss. che riguardano, invece, l'abuso relativo alla singola opera abusiva; ne deriva che la lottizzazione abusiva dovrebbe ragionevolmente essere contestata a tutti i proprietari dell'area interessata dall'illegittima trasformazione e non solo ad alcuni di essi, proprio perché ciò che viene in rilievo è l'illegittima destinazione impressa all'intera area - o, nel caso di specie, all'intera struttura originariamente destinata ad albergo residenziale - in spregio agli strumenti urbanistici. Alla luce di tale precisazione emerge una prima criticità del provvedimento impugnato nel momento in cui vi si prospetta, per la medesima struttura di cui si contesta la modifica dell'originaria destinazione d'uso, una violazione diretta solo a taluni proprietari e non ad altri, pur titolari di unità abitative facenti parte dell'originaria struttura turistica. Al riguardo, non appare convincente il rilievo del Comune volto a differenziare la posizione di coloro che avrebbero "confermato la volontà di destinare le proprie unità immobiliari a destinazione turistico-alberghiera conferendone la gestione a soggetto qualificato". Invero, tale discrimine, che tra l'altro non oblitera l'originaria violazione posta in essere da coloro che hanno fruito delle unità immobiliare a scopo abitativo in violazione della disciplina dell'area, non appare idoneo a giustificare l'evidenziata anomalia. La contestazione, diretta solo ad alcuni proprietari, si rivela invece contraddittoria, riflettendosi, per l'effetto, sulla tenuta dei presupposti del provvedimento, che avrebbe dovuto interessare - nel momento in cui si accerta la violazione di cui all'art. 30 cit., da ritenersi riferita alla struttura globalmente intesa, e non un singolo abuso relativo a ciascuna unità abitativa - tutti i soggetti proprietari delle unità immobiliari del complesso turistico nelle medesime condizioni degli appellanti. 8.2 - Oltre all'aspetto che precede, anche la considerazione globale dei fatti che caratterizzano la fattispecie in esame e di seguito illustrati portano ad incrinare in modo decisivo la prospettazione comunale facente leva sull'art. 30 cit, ferma l'eventuale integrazione di singole violazioni alla stregua degli art. 31 e ss. del TU Edilizia. In particolare, deve essere posto in evidenza che la stessa amministrazione negli anni 2000, 2005 e 2010 ha rilasciato ai soggetti gestori dell'albergo licenze alberghiere incompatibili con la gestione unitaria a RTA di tutto il complesso, segnatamente per otto camere doppie, sedici suites e diciotto appartamenti, a fronte di una pretesa destinazione alberghiera che avrebbe dovuto coinvolgere la totalità delle novantasette unità (vedasi al riguardo anche la relazione comunale da ultimo depositata in giudizio, che conferma tale circostanza e dove si dà atto del fatto che le licenze sono state "rimodulate" dalla medesima Amministrazione Comunale, con il rilascio di titoli per 8 camere doppie, 16 suite e 18 appartamenti). In definitiva, risulta confermato che, da anni, il complesso Sa. Gi. non è stato gestito come RTA unitaria. Non solo, risulta che il Comune di (omissis) ha percepito per anni ICI e IMU sul presupposto della natura di "appartamenti residenziali" delle unità abitative; ha applicato la tassa per lo smaltimento dei rifiuti come "residenze"; ha addirittura concesso la residenza a taluni proprietari negli appartamenti. Tali circostanze stridono in modo insuperabile con la successiva contestazione per cui l'utilizzo residenziale di talune unità immobiliare - ma, inspiegabilmente, non di tutte, come innanzi già sottolineato - integrerebbe un'ipotesi di lottizzazione abusiva. Non solo, in base alle circostanze innanzi riferite è possibile finanche ipotizzare che il mancato funzionamento della struttura turistica nella sua consistenza originaria sia stato, negli anni, indirettamente incoraggiato dalla stessa amministrazione. In tale prospettiva deve anche osservarsi che, a monte delle predette circostanze, non appare in sintonia con la destinazione recettiva del complesso, unitariamente considerato, l'avvenuto frazionamento in singole unità intestate a distinti proprietari, anche in tal caso avallato dal Comune, tenuto conto della giurisprudenza per cui "l'unitarietà della struttura e dell'attività gestionale delle residenze turistico-alberghiere appare del tutto incompatibile con qualsiasi ipotesi di frazionamento della proprietà del complesso immobiliare in cui esse operano (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29 maggio 2008, n. 2584)" (Cons. St. 998 del 7.2.2020). 8.3 - Le circostanze che precedono fanno emergere, sotto i diversi profili innanzi delineati, l'ambiguità dell'atteggiamento comunale in riferimento alla struttura per cui è causa, minando i presupposti della contestazione portata dal provvedimento impugnato. Come anticipato, questa appare invece contraddittoria e, in ogni caso, sorretta da una motivazione deficitaria, siccome non spiega, in concreto, le ragioni della contestazione mossa ai sensi dell'art. 30 cit., non potendosi a tal fine ritenere sufficiente il mero richiamo a precedenti giurisprudenziali, stanti le peculiarità del caso di specie innanzi evidenziate. 9 - L'accoglimento dell'appello sotto il profilo che precede rende superfluo l'esame delle ulteriori censure dedotte con l'appello. Per quanto si è sopra rilevato scrutinando il primo motivo, resta non di meno confermato il carattere abusivo, e quindi illecito, delle avvenute modifiche alla destinazione d'uso prevista, da ciò conseguendone la necessità che, all'indomani della presente decisione, il Comune ponga in essere un'attività amministrativa che valga a rimuovere l'illecito ovvero i suoi presupposti, in ogni caso ripristinando la legalità . Ad una valutazione complessiva della vicenda le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere integralmente compensate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta accoglie l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, annullando l'atto impugnato. Spese di lite compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Hadrian Simonetti - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Marco Poppi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3416 del 2022 proposto dal Sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. El. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso il suo studio in Milano alla Via (...); contro Ministero dell'Interno in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato e domiciliato ex lege in Milano, via (...); Questura di -OMISSIS- in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio; per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia, del decreto prot.-OMISSIS- del 23/9/2022 di rigetto dell'istanza di permesso di soggiorno per lavoro subordinato. Visti il ricorso e i relativi allegati; Vista la costituzione dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato; Visto il decreto di questo Tribunale n. 255 del 2022 di ammissione al patrocinio a spese dello Stato; Vista l'ordinanza di questo Tribunale n. 73 del 2023 di accoglimento della domanda di sospensione ai fini del riesame; Vista l'ordinanza di questo Tribunale n. 492 del 2023 di accoglimento della domanda di sospensione e di fissazione dell'Udienza pubblica; Vista la documentazione depositata dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, tra cui il decreto del 9/10/2023 di conferma del rigetto dell'istanza di parte ricorrente; Vista la documentazione depositata da parte ricorrente; Vista la memoria di parte ricorrente; Visti i motivi aggiunti avverso il decreto del 9/10/2023 di conferma del rigetto dell'istanza di parte ricorrente; Vista l'ordinanza di questo Tribunale n. 156 del 2024 di accoglimento della domanda di sospensione proposta con motivi aggiunti e di fissazione dell'Udienza pubblica; Vista la documentazione depositata dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, tra cui il decreto della Questura dell'11/3/2024 di revoca in autotutela del proprio decreto confermativo impugnato con motivi aggiunti da parte ricorrente; Visto l'art. 34, co.5 cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa; Data per letta all'Udienza pubblica del 29 maggio 2024 la relazione del dott. Gabriele Nunziata, ed udito l'Avvocato dello Stato come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1.Con il ricorso in epigrafe si espone di aver lasciato il Pakistan entrando in Italia il 3/2/2017, ove proponeva domanda di protezione internazionale impugnando innanzi al Tribunale di Milano il provvedimento di rigetto; dopo aver ricevuto proposta di essere regolarizzato ai sensi del D.L. n. 34/2020 ed aver sottoscritto il contratto di soggiorno, inoltrava istanza per il permesso di soggiorno ed in sede di convocazione rinunziava, come gli era stato chiesto, all'istanza di protezione internazionale. Il ricorrente confidava dunque nella consegna del permesso di soggiorno, ma a seguito di convocazione riceveva il provvedimento impugnato come adottato sui presupposti di asserita falsità dell'attività lavorativa come collaboratore familiare e di mancanza delle necessarie fonti reddituali. Avverso l'impugnato provvedimento è insorta parte ricorrente deducendo i seguenti motivi: ECCESSO DI POTERE. TRAVISAMENTO ED ERRONEA VALUTAZIONE DELLA SITUAZIONE DI FATTO. INADEGUATA ISTRUTTORIA. VIOLAZIONE DI LEGGE DEGLI ARTT.7 E 10-BIS DELLA LEGGE N.241/1990, DELL'ART.13, COMMA 4 DEL DPR N.394/1999 E DELL'ART.5, COMMA 5 DEL D. LGS. N.286/1998. ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITA' E CONTRADDITTORIETA' DELLA MOTIVAZIONE. 1.1 Si è costituita l'Avvocatura Distrettuale dello Stato per resistere al ricorso. 1.2 Con ordinanza del 19 gennaio 2023, n. 73, questo Tribunale accoglieva la domanda di sospensione ai fini del riesame con la seguente motivazione: "Considerato che, alla luce della documentazione presente nel fascicolo di causa, si ritiene necessario che l'Amministrazione dia luogo a un motivato riesame dell'atto impugnato, con particolare riferimento alla dichiarazione del datore di lavoro; Ritenuto pertanto: - di disporre che l'Amministrazione provveda, con la massima possibile sollecitudine, al suddetto riesame, che in ogni caso dovrà essere espletato entro sessanta giorni dalla comunicazione del presente provvedimento, tenendo conto degli atti contenuti nel fascicolo di causa; - di stabilire che la parte più diligente dovrà versare in atti prova dell'esito della nuova fase procedimentale, nel rispetto delle regole tecniche del processo amministrativo telematico e nel termine di due giorni liberi stabilito dall'art. 55, comma 5, c.p.a.; - di fissare, per la prosecuzione della fase cautelare, l'udienza camerale del 31 maggio 2023; - di sospendere, nel contempo, l'efficacia del provvedimento impugnato; - che le spese della presente fase saranno liquidate con il provvedimento conclusivo della stessa. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta accoglie ai fini del riesame l'istanza cautelare proposta incidentalmente dal ricorrente e sospende medio tempore l'efficacia del provvedimento impugnato. Fissa per la definizione della fase cautelare, anche quanto alle spese, l'udienza in camera di consiglio del giorno 31 maggio 2023." 1.3 Con ordinanza del 1° giugno 2023, n. 492, questo Tribunale accoglieva la domanda di sospensione e fissava l'Udienza pubblica con la seguente motivazione: "Atteso che: - con l'ordinanza n. 73 del 18 gennaio 2023 la Sezione accoglieva la domanda cautelare incidentalmente proposta dalla parte ricorrente, disponendo che l'Amministrazione provvedesse al riesame del provvedimento impugnato, e rinviando all'odierna camera di consiglio per la prosecuzione della fase cautelare; - la PA rimaneva inerte, e il termine assegnato per il remand decorreva inutilmente; Considerato che: -il ricorso, ad un primo sommario esame, appare assistito da fumus boni iuris, per le ragioni esposte nell'ordinanza sopra citata; - sussiste, altresì, il requisito del periculum in mora, stante l'incidenza del provvedimento sulla possibilità del ricorrente di permanere regolarmente sul territorio nazionale; - sono pertanto presenti i requisiti fissati dall'art. 55 c.p.a. per la concessione della tutela cautelare; Ritenuto, per quanto precede: - che l'istanza cautelare incidentalmente proposta dalla parte ricorrente debba essere accolta; - di sospendere conseguentemente l'esecuzione del provvedimento impugnato; - di fissare, per la trattazione della causa nel merito, l'udienza pubblica del 23 novembre 2023; - che debbano compensarsi tra le parti le spese di lite della fase cautelare del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta accoglie l'istanza ex art. 55 c.p.a. incidentalmente proposta dalla parte ricorrente e, per l'effetto, sospende l'esecuzione del provvedimento impugnato. Fissa per la trattazione di merito del ricorso l'udienza pubblica del 23 novembre 2023." 1.4 Dopo che la trattazione del merito all'Udienza pubblica del 23 novembre 2023 veniva rinviata al 29 maggio 2024 per la necessità di parte ricorrente di proporre motivi aggiunti avverso il decreto confermativo del rigetto, depositati motivi aggiunti, con ordinanza del 14 febbraio 2024, n. 156, questo Tribunale accoglieva la nuova domanda di sospensione e fissava l'Udienza pubblica con la seguente motivazione: "Vista l'ordinanza di questo Tribunale n. 73 del 2023 di sospensione del provvedimento impugnato ai fini del riesame da parte dell'Amministrazione; Vista l'ordinanza di questo Tribunale n. 492 del 2023 di accoglimento della domanda di misure cautelari e di fissazione dell'Udienza pubblica del 23 novembre 2023, poi rinviata al 29 maggio 2024; Ritenuto che il provvedimento della Questura di -OMISSIS- del 9/10/2023 recante conferma del rigetto dell'istanza di permesso di soggiorno, quale oggetto di impugnazione con motivi aggiunti, debba essere sospeso, in previsione della trattazione del merito del ricorso all'Udienza già fissata per il 29 maggio 2024, in considerazione dell'avvenuta sottoscrizione di contratto di soggiorno presso la competente Prefettura di -OMISSIS- da parte di soggetto che aveva visto così sanato il precedente rapporto di lavoro irregolare; Ritenuto, pertanto, che l'istanza cautelare proposta con motivi aggiunti meriti accoglimento con conferma dell'Udienza di merito, mentre le spese della presente fase processuale possono essere compensate, P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta Accoglie l'istanza cautelare proposta da parte ricorrente tramite motivi aggiunti e, per l'effetto, sospende l'efficacia del provvedimento impugnato. Conferma per la trattazione del merito l'Udienza pubblica del 29 maggio 2024. Spese della fase cautelare compensate." 2. Alla Udienza pubblica del 29 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 3. La Sezione prende atto del deposito da parte dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato in data 15 marzo 2024 di decreto questorile dell'11 marzo 2024 di revoca in autotutela del proprio decreto confermativo impugnato con motivi aggiunti da parte ricorrente; conseguentemente va dichiarata la cessazione della materia del contendere. 4. La pronuncia in rito giustifica la compensazione tra le parti delle spese di giudizio. Per le ragioni in premessa quali evidenziano la non manifesta infondatezza del ricorso al momento della sua proposizione, si conferma l'ammissione di parte ricorrente al gratuito patrocinio a spese dello Stato. Si demanda la liquidazione delle competenze spettanti al difensore all'adozione di un separato provvedimento, da emettersi a seguito della presentazione di apposita istanza da parte dell'interessato. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, dichiara la cessazione della materia del contendere. Spese compensate. Si rinvia la liquidazione delle competenze spettanti al difensore all'adozione di un separato provvedimento. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente. Così deciso in Milano nella Camera di consiglio del giorno 29 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gabriele Nunziata - Presidente, Estensore Silvia Cattaneo - Consigliere Silvia Torraca - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1112 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da Pa. Pi. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Mi. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso il suo studio in Venezia, (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Di. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Ac. in Venezia - Mestre, via (...); per l'annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del provvedimento prot. n. 11325 (prot. UNIPASS 2017015788000089E012) emesso nella pratica edilizia n. 111/2017 in data 7.9.2017 dal Responsabile del Settore Tecnico del Comune di (omissis) con il quale veniva comunicato ai ricorrenti "il non accoglimento della domanda" di sanatoria edilizia presentata in data 18.5.2017; - nonché di ogni altro atto presupposto, connesso, consequenziale e comunque coevo. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da PI. PA. il 22\10\2020: delle Ordinanze Dirigenziali nn. 22, 23, 24 e 25 del 23.6.2020, successivamente notificate, con le quali il Comune di (omissis) ha applicato la sanzione amministrativa pecuniaria per mancata ottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 68 del 31.10.2016, ai sensi dell'art. 31, comma 4-bis, del D.P.R. n. 380/2001; dei Decreti n. 12, 13, 14 e 15 del 17.8.2020, di acquisizione delle opere abusive e relative aree di sedime, successivamente notificati, mediante i quali il Responsabile del Servizio Tecnico, ai sensi dell'art. 31 del D.P.D. n. 380/2001, ha formalizzato l'acquisizione delle unità immobiliare di proprietà dei ricorrenti; nonché di ogni altro atto presupposto, connesso, consequenziale e comunque coevo, ivi espressamente compresi i verbali di verifica inottemperanza all'ordinanza di demolizione, atti endoprocedimentali, medio tempore notificati. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 14 maggio 2024 la dott.ssa Francesca Dello Sbarba e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso notificato in data 20.9.2017 e depositato in data 13.10.2017, parte ricorrente ha chiesto l'annullamento del provvedimento prot. n. 11325 adottato in data 7.9.2017 dal Comune di (omissis) di diniego della domanda di sanatoria edilizia presentata in data 18.5.2017. 2. I ricorrenti espongono: - di essere proprietari di alcuni terreni siti in Comune di (omissis), via (omissis) e così catastalmente censiti: Comune di (omissis), Foglio (omissis), mapp.li numero, rispettivamente, (omissis) (di 1.919 mq.), (omissis) (di 76 mq.) e (omissis) (di 2.925 mq.), (omissis) (di 2.580 mq.), (omissis) (di 3.560 mq.) e (omissis) (di 1.580 mq.) e (omissis) (di 2.076 mq.) e (omissis) (di 424 mq.); - di svolgere attività professionale di addetti al funzionamento e alla manutenzione di giostre per bambini; - di avere insediato alcuni moduli abitativi precari nei terreni di loro proprietà e che l'Amministrazione comunale di Vedelago ha notificato ordinanza di demolizione n. 11 del 2.3.2017 (non impugnata). Nella pendenza del termine di 90 giorni di cui all'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, gli odierni esponenti hanno depositato domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001. Il procedimento di sanatoria edilizia si è concluso, previo inoltro della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento (nota del 18.8.2017), con il gravato provvedimento di diniego. 3. In data 8.6.2018 si è costituito il Comune di (omissis), con memoria di stile, chiedendo il rigetto del ricorso e successivamente depositando documenti. 4. Con atto per motivi aggiunti notificato in data 25.9.2020 e depositato in data 22.10.2020, i ricorrenti hanno impugnato le ordinanze dirigenziali nn. 22, 23, 24 e 25 del 23.6.2020, successivamente notificate, con le quali il Comune ha applicato la sanzione pecuniaria per mancata ottemperanza all'ordinanza di demolizione; nonché i Decreti n. 12, 13, 14 e 15 del 17.8.2020, successivamente notificati, che hanno disposto l'acquisizione delle opere abusive e delle relative aree di sedime. 5. Con memoria depositata in data 12.4.2024, parte resistente ha eccepito l'infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti formulati dai ricorrenti, i quali hanno depositato memoria in replica in data 23.4.2024. 6. Negli atti difensivi le parti hanno altresì insistito sulla richiesta di rinvio dell'udienza di discussione, formulata con istanza del 28.3.2024 per la addotta pendenza di "trattative per la definizione del contenzioso". 7. All'udienza del 14 maggio 2024, la causa è stata trattenuta in decisione. 8. Preliminarmente, il Collegio non ritiene dimostrata la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 73, comma 1 bis, c.p.a., secondo cui "il rinvio per la trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali", e ritiene quindi non doversi disporre il richiesto differimento dell'udienza di discussione, essendo peraltro il ricorso pendente fino dal 2017 e avendo comunque le parti proceduto al deposito degli scritti difensivi ex art. 73 c.p.a. e alla discussione in udienza. 9. Il ricorso è stato affidato a quattro motivi di diritto. 10. Il primo e il quarto motivo di diritto possono essere congiuntamente scrutinati attesa la loro oggettiva connessione. 10.1 Con il primo motivo di diritto i ricorrenti lamentano "Violazione di legge - Violazione dell'art. 3 della legge n. 241/90 - Eccesso di potere per motivazione carente o comunque insufficiente" in quanto i motivi ostativi all'accoglimento della domanda di sanatoria edilizia non sarebbero stati sufficientemente argomentati e il Comune di (omissis) non avrebbe fornito adeguato riscontro alle osservazioni depositate dagli istanti. L'Amministrazione avrebbe omesso di indicare la reale consistenza delle opere da sanare e la loro qualificazione, così che non sarebbe possibile comprendere se gli interventi per cui è causa siano stati ritenuti o meno "nuova costruzione". 10.2 Con il quarto motivo di diritto, i ricorrenti lamentano "Eccesso di potere per travisamento dei fatti, istruttoria insufficiente e contraddittorietà con precedenti provvedimenti - Violazione di legge - Violazione degli artt. 3 e 36 del d.p.r. n. 380/2001, della l.r.v. n. 24/85 e degli artt. 44 e 50 della l.r.v. n. 11/2004" in quanto il difetto di motivazione del provvedimento impugnato non potrebbe ritenersi superato neppure dagli accertamenti descritti nell'ordinanza n. 11 del 2.3.2017, posto che la stessa non è stata richiamata. In ogni caso, le opere oggetto di sanatoria sarebbero piccoli e precari moduli abitativi, non ancorati in modo permanente e irreversibile al suolo e, quindi, amovibili. 10.3 L'Amministrazione replica che nel provvedimento prot. 19988 dell'8.9.2017 sono state chiaramente evidenziate le ragioni ostative alla concessione della sanatoria richiesta, ossia la non conformità delle opere alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione e al momento della presentazione dell'istanza di accertamento di conformità per contrasto, in particolare, sia rispetto all'articolo 42 delle N.T.A. del PRG previgente, sia rispetto all'articolo 39 delle N.T.O. del P.R.G. vigente al momento della presentazione della domanda di sanatoria, secondo cui nelle zone agricole quali quella di specie sono ammessi esclusivamente interventi edilizi da parte di imprenditori agricoli titolari di aziende agricole, che siano funzionali all'attività agricola e siano previsti sulla base di un piano aziendale. Con riferimento all'impossibilità, lamentata dai ricorrenti, di evincere dalla lettera del provvedimento impugnato l'ascrizione o meno degli interventi al regime edilizio delle nuove costruzioni, l'Amministrazione sottolinea come nella relazione tecnica allegata alla domanda ex art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001 (e richiamata nel diniego), sia stato lo stesso tecnico degli istanti a qualificare la "richiesta permesso in sanatoria" come concernente "interventi di nuova costruzione". Dalla stessa relazione tecnica illustrativa, così come dalla allegata documentazione fotografica, emergerebbero altresì chiaramente: - le dimensioni tutt'altro che ridotte della maggior parte dei fabbricati (le strutture prefabbricate esistenti superano tutte gli 8 metri di lunghezza ed i 2,80 metri di altezza), - lo stabile ancoramento al suolo dei manufatti, - la rilevante estensione della superficie coperta complessivamente occupata (circa 457 mq) e la rilevante volumetria complessiva (circa 1330 mc), - le destinazioni ad uso abitativo e accessorie all'uso abitativo delle opere che, quindi, non sarebbero dirette a soddisfare esigenze contingenti e temporanee, ma stabili e perduranti nel tempo (come dimostrerebbe anche l'installazione, documentata fotograficamente, di impianti di condizionamento). 10.4 Il primo e il quarto motivo di ricorso sono infondati. Preliminarmente, osserva il Collegio che la qualificazione degli interventi è stata effettuata in sede di domanda ex art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001, dalla stessa parte istante, il cui tecnico, nella relazione illustrativa delle opere, ha indicato in oggetto "Richiesta di permesso in sanatoria per intervento di nuova costruzione" e ha descritto la tipologia di intervento quale "nuova costruzione". L'Amministrazione comunale, nel richiamare la domanda così come rubricata dagli istanti e nominandola "sanatoria per opere eseguite in assenza di permesso di costruire" ha necessariamente proceduto anche alla connessa qualificazione degli interventi. Peraltro, la non assentibilità della richiesta è derivata direttamente dalla destinazione agricola dell'area (non contestata dalla parte ricorrente) e dalla impossibilità di effettuare sulla stessa interventi edilizi ad opera di soggetti (come i ricorrenti) non in possesso della qualifica di imprenditore agricolo e non afferenti alla conduzione agricola del fondo. Il richiamo alla connessa normativa di riferimento è chiaro sia nella comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda, sia nel diniego definitivo. A fronte di ciò, nelle proprie osservazioni, parte istante si è limitata ad asserire quanto segue: "si contesta che l'immobile oggetto di sanatoria non sia conforme alla normativa vigente al momento della sua realizzazione e a quella vigente al momento della presentazione della domanda di accertamento di cui all'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001". Le ragioni della contestazione non sono state tuttavia esplicitate così che non è dato capire in che modo l'Amministrazione avrebbe dovuto rispondere se non ribadendo, nell'atto di diniego, la già chiara esplicitazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda. Oltre a ciò, parte istante non ha ottemperato alla richiesta formulata dal Comune di integrare la domanda di sanatoria con la dichiarazione del progettista abilitato di asseverazione della conformità delle opere eseguite alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico sanitarie e alle norme relative all'efficienza energetica, come previsto dall'art. 20 del D.P.R. n. 380/2001. Nelle proprie osservazioni, i ricorrenti affermano a tale riguardo di non ritenere la necessità "dell'atto di asseverazione circa la c.d. doppia conformità ", con ciò, tuttavia, non riscontrando la richiesta, che altro aveva ad oggetto. All'esito dell'istruttoria procedimentale e dell'analisi delle osservazioni presentate dagli istanti, il diniego definitivo della domanda di sanatoria ha dato conto: - dell'eseguita "approfondita istruttoria urbanistico/edilizia sia relativa all'epoca di realizzazione (1997 e 2009) che al momento della presentazione della domanda (2017)", - che dall'istruttoria svolta è risultato che "le opere eseguite non sono conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, né al momento dell'epoca di realizzazione (1997 e 2009) né al momento della presentazione della domanda (2017)", - che, in particolare, "gli interventi non sono conformi all'art. 42 (Zone agricolo di tipo E3B) delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG, vigente al momento della realizzazione e all'art. 39 (Zone Agricole) delle Norme Tecniche Operative del PI, vigente al momento della domanda", - in risposta alle osservazioni pervenute e al fine di esplicitare maggiormente il concetto di non conformità, che "ai sensi dell'art. 39 delle NTA di PRG, vigente all'epoca di realizzazione dell'abuso, per le zone in oggetto era consentita l'edificazione soltanto agli aventi diritto ai sensi della LR 5 marzo 1985 n. 24, requisito non dimostrato nella pratica di cui si tratta; ai sensi inoltre dell'art. 39 delle NTO di PI, vigente attualmente, per le zone in oggetto "sono ammessi esclusivamente interventi edilizi in funzione dell'attività agricola, siano essi destinati alla residenza che a strutture agricolo-produttive così come definite con provvedimento della Giunta Regionale ai sensi dell'art. 50 comma 1, lettera d) n. 3, della L.r. 11/2004, sulla base di un piano aziendale ed esclusivamente all'imprenditore agricolo titolare di un'azienda agricola in possesso dei requisiti minimi e con le deroghe di cui al comma 2 e segg. Del citato art. 44", -che "tale documentazione e requisiti non sono stati prodotti". Alla luce di tutto quanto sopra, il provvedimento impugnato risulta adottato all'esito di una adeguata istruttoria, congruamente motivato e non inficiato dai vizi prospettati dalla parte ricorrente. Con riferimento alla dimensione dei fabbricati, risulta dimostrata per tabulas la loro non assimilabilità agli interventi di modesta entità . In ordine alla precarietà delle opere, addotta dai ricorrenti a supporto della propria tesi, il Collegio richiama la consolidata giurisprudenza secondo la quale "la precarietà dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (in tal senso: Consiglio di Stato, VI, 3 giugno 2014, n. 2842)" (Cons. Stato, Sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4116 e 1 aprile 2016, n. 1291; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 28 luglio 2017, n. 1705 e 14 febbraio 2019, n. 204). Nel caso di specie, appare evidente che le opere oggetto di istanza di sanatoria non sono caratterizzate da un uso oggettivamente temporaneo, per fini contingenti e limitati nel tempo, ma comportano un'utilizzazione e quindi un'alterazione rilevante e permanente del territorio. 11. Con il secondo motivo di diritto, parte ricorrente lamenta "Eccesso di potere per omessa motivazione sotto diverso profilo travisamento dei fatti, istruttoria insufficiente" in quanto nel provvedimento di rigetto non si farebbe riferimento alle recinzioni realizzate dai ricorrenti e anch'esse oggetto della domanda di sanatoria edilizia. 11.1 L'Amministrazione replica sottolineando che le recinzioni non risultano essere state inserite tra le opere oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 11/2017 e non ne sarebbe stata, quindi, accertata l'abusività . 11.2 Alla luce di quanto eccepito dal Comune resistente, il motivo risulta inammissibile per carenza di interesse. 12. Con il terzo motivo di diritto, parte ricorrente lamenta "Violazione di legge ed eccesso di potere per contraddittorietà e comunque violazione del regolamento edilizio comunale" in quanto il provvedimento impugnato non sarebbe stato preceduto dal prescritto parere della Commissione Edilizia Comunale. 12.1 L'Amministrazione replica che il Regolamento Edilizio comunale approvato nel maggio 2014, al quale i ricorrenti si richiamano, è stato sostituito nel gennaio 2017 - e dunque alcuni mesi prima del momento in cui i ricorrenti, in data 18.5.2017, hanno presentato l'istanza di sanatoria - da un nuovo Regolamento Edilizio Comunale, il quale non prevede più l'istituzione di una Commissione Edilizia Comunale. Al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria, quindi, la Commissione Edilizia del Comune di (omissis) era già stata abolita. 12.2 Il motivo è infondato alla luce della dirimente circostanza, addotta dall'Amministrazione comunale e non confutata dai ricorrenti, per la quale la diposizione del Regolamento edilizio comunale che essi adducono a parametro normativo del lamentato omesso coinvolgimento della Commissione edilizia non era più in vigore al momento della presentazione della domanda di sanatoria per cui è causa. 13. Con l'atto per motivi aggiunti, parte ricorrente ha impugnato gli atti in epigrafe impugnati formulando i seguenti motivi di diritto, che possono essere congiuntamente scrutinati attesa la loro stretta connessione: - "I. Violazione di legge - Violazione degli artt. 31 e 36 del d.p.r. n. 380/2001 - Eccesso di potere per carenza di potere": la presentazione dell'istanza di accertamento di conformità in sanatoria successivamente all'emanazione dell'ordinanza di demolizione avrebbe comportato l'obbligo dell'ente, a seguito del rigetto dell'istanza, di adottare un nuovo provvedimento sanzionatorio e di assegnare un nuovo termine per adempiere. - "II. Violazione di legge - Violazione degli artt. 31 e 36 del d.p.r. n. 380/2001 - Eccesso di potere per carenza dei presupposti sotto diverso profilo": avendo i ricorrenti impugnato il provvedimento di diniego dell'istanza di sanatoria edilizia, si sarebbe in ogni caso prorogato l'effetto sospensivo dell'ordinanza demolitoria n. 11/2017 fino all'esito del giudizio. - "III. Illegittimità derivata": i provvedimenti impugnati, in quanto atti conseguenti al diniego di sanatoria, sarebbero inficiati dagli stessi vizi. 13.1 L'Amministrazione replica che il provvedimento di rigetto dell'istanza di accertamento di conformità non costituisce atto presupposto dei successivi atti gravati con il ricorso per motivi aggiunti, trovando semmai tali atti il loro fondamento nell'ordinanza di demolizione n. 11/2017, mai impugnata dai ricorrenti. La presentazione di una istanza di accertamento di conformità in sanatoria comporta soltanto un arresto temporaneo dell'efficacia della misura repressiva che rivive nel caso di rigetto della domanda ex art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001. Neppure può sostenersi che l'efficacia del provvedimento di demolizione resti sospesa per tutto il tempo in cui perdura il giudizio proposto nei confronti del provvedimento di rigetto dell'istanza di accertamento di conformità . 14. Il Collegio ritiene che la difesa dell'Amministrazione colga nel segno e che il ricorso per motivi aggiunti risulti infondato. 14.1 Si richiama, a tale proposito, il consolidato orientamento giurisprudenziale in forza del quale "la presentazione di una istanza di sanatoria ex art. 36 d.p.r. 380/2011 non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso ma determina una mera sospensione dell'efficacia dell'ordine di demolizione con la conseguenza che, in caso di rigetto dell'istanza di sanatoria, l'ordine di demolizione riacquista la sua efficacia (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 6 giugno 2018, n. 3417; Cons. Stato, Sez. VI, 28 settembre 2020, n. 5669; Cons. Stato, Sez. VI, 27 settembre 2022, n. 8320). Infatti, per i principi di legalità e di tipicità del provvedimento amministrativo e dei suoi effetti, soltanto nei casi previsti dalla legge una successiva iniziativa procedimentale del destinatario dell'atto può essere idonea a determinare ipso iure la cessazione della sua efficacia. Diversamente da quanto previsto in materia di condono, nel caso di istanza di accertamento di conformità non vi è alcuna regola che determini la cessazione dell'efficacia dell'ordine di demolizione i cui effetti sono, quindi, meramente sospesi fino alla definizione del procedimento ex art. 36 d.p.r. n. 380/2001" (Cons. Stato, Sez. VI, 25 ottobre 2022, n. 9070). Dunque "la presentazione di una istanza di accertamento di conformità, ex art. 36 d.p.r. n. 380 del 2001, non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso; non vi è pertanto alcuna automatica necessità per l'Amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione. Essa determina soltanto un arresto dell'efficacia dell'ordine di demolizione, che opera in termini di mera sospensione dello stesso. In caso di rigetto dell'istanza, che peraltro sopravviene in caso di inerzia del Comune dopo soli 60 giorni, l'ordine di demolizione riacquista la sua piena efficacia (cfr. ancora, Cons. Stato, sez. VI, 28 settembre 2020, n. 5669)" (Cons. Stato, Sez. II, 6 maggio 2021, n. 3545). "La giustificazione di questo orientamento sta nell'evitare che l'ente locale, in caso di rigetto dell'istanza di sanatoria, sia tenuto ad adottare un nuovo provvedimento di demolizione delle opere abusive, altrimenti finendosi per riconoscere in capo al privato, destinatario del provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un sostanziale suo annullamento, quel medesimo provvedimento (Cons. Stato, Sez. VI, sentenza n. 446/2015)" (Cons. Stato, Sez. VI, 5 novembre 2018, n. 6233). 14.2 Con riferimento alla doglianza per cui avendo i ricorrenti impugnato il provvedimento di diniego dell'istanza di sanatoria edilizia si sarebbe in ogni caso prorogato l'effetto sospensivo dell'ordinanza demolitoria n. 11/2017 fino all'esito del giudizio, il Collegio si richiama alla sentenza n. 30/2024, pubblicata da questo TAR nel giudizio n. 238/2018 R.G. (che ha visto coinvolte le stesse parti e che ha avuto ad oggetto la richiesta di annullamento dei provvedimenti comunali di diniego delle istanze di autorizzazione allo scarico di acque reflue domestiche), nella quale è stato affermato, in modo pienamente condivisibile, che la "pendenza dell'impugnativa avverso il diniego di sanatoria edilizia ordinaria (accertamento di conformità ex art. 36 T.U. Edilizia) non equivale a pendenza del relativo procedimento amministrativo, che si è concluso, appunto, con il diniego impugnato". 15. Conclusivamente, il Collegio ritiene l'infondatezza sia del ricorso introduttivo che del ricorso per motivi aggiunti che devono, pertanto, essere rigettati. 16. La peculiarità della vicenda giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Orazio Ciliberti - Presidente Marco Rinaldi - Consigliere Francesca Dello Sbarba - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1126 del 2023, proposto da Vi. Br. e Gr. Ro., rappresentati e difesi dagli avvocati Or. Cu. e Mo. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'Avvocato Or. Cu. in Firenze, (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in (...), largo (...); per l'annullamento del Decreto motivato di occupazione di urgenza del Comune di (omissis), Area Tecnica, a firma del Responsabile pro-tempore, Dr. Fa. Al., numero 1 del 25 gennaio 2023, notificato in data 3 febbraio 2023 (AG 78772644938-2 e AG 78772644931-4, emesso ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 22-bis del DPR numero 327 del 2001; nonché di tutti gli atti presupposti, connessi, conseguenti, ancorché incogniti, comprese le Delibere di approvazione del progetto della Giunta del Comune di (omissis) n. 123 del 17 novembre 2022 e n. 124 del 29 novembre 2022 e il silenzio sulla richiesta di annullamento in autotutela, con conseguente inefficacia del Verbale di immissione in possesso del 9 febbraio 2023. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il dott. Giovanni Ricchiuto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO I Sig. Vi. Br. e Gr. Ro. hanno impugnato con ricorso straordinario al Presidente della repubblica il decreto di occupazione di urgenza n. 1 del 25 gennaio 2023, emesso del Comune di (omissis), ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 22 bis del DPR n. 327/2001, nonché le precedenti delibere di approvazione del progetto della Giunta del Comune di (omissis) n. 123 del 17 novembre 2022 e n. 124 del 29 novembre 2022 e il silenzio sulla richiesta di annullamento in autotutela, con conseguente inefficacia del verbale di immissione in possesso del 9 febbraio 2023. Nel ricorso si è avuto modo di evidenziare che il terreno di cui sono proprietari gli attuali ricorrenti è ubicato nel Comune di (omissis), di cui al Foglio (omissis) del N.C.T., particella n. (omissis), ed è stato oggetto di una prima approvazione del progetto definitivo di cui alla delibera della Giunta Comunale n. 76 del 30 giugno 2022 e della deliberazione di avvio del procedimento, n. 100 del 27 settembre 2022, relativa alla realizzazione di un'area dedicata a sport equestri dove ricavare una pista per corse di cavalli e maneggio. Il relativo progetto è stato poi sostituito da un ulteriore progetto prima definitivo e poi esecutivo, contenuto rispettivamente nella delibera n. 123 e 124 del 17 novembre e del 29 novembre 2022, entrambe dirette a consentire la realizzazione di un'area dedicata a sport equestri dove ricavare una pista per corse di cavalli e maneggio, da utilizzare anche per la corsa del Palio delle Contrade. Detti provvedimenti prevedevano l'esproprio di una superficie 1310 mq e, quindi, di una parte del terreno così come previsto dal piano particellare, con la proposta di un'indennità provvisoria di 1310 euro, senza tuttavia specificare i parametri di riferimento. Il successivo decreto del 25 gennaio 2023, n. 1 ha così disposto l'occupazione anticipata di tutta la particella (omissis) per complessivi 2486 mq (senza che questo fosse previsto dalla dichiarazione di pubblica utilità di cui alla Delibera n. 123 del 17 novembre 2022) e un'indennità in via provvisoria per l'intera particella calcolata peraltro sempre per l'importo di Euro 1310,00. In particolare nell'impugnare i provvedimenti sopra citati si sostiene l'esistenza dei seguenti vizi: 1. la violazione degli artt. 1 e 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, degli articoli 20, 21 e 22-bis DPR 327 del 2001, degli artt. 41 e 42 Cost. e l'emergere di diversi profili di eccesso di potere, in quanto il decreto non comprende l'indicazione delle ragioni di urgenza essendo presente solo un generico rinvio alla necessità di rispettare i tempi del previsto finanziamento; 2. la violazione degli artt. 1, 3, 7 e 8 della L. 7 agosto 1990, n. 241, degli artt. 16 e 17 DPR 327 del 2001 e la violazione degli artt. 41 e 42 Cost., oltre vari profili di eccesso di potere, in quanto la delibera n. 123 del 17 novembre 2022 sarebbe stata approvata senza alcuna comunicazione di avvio del procedimento; una volta che è stato riapprovato il progetto definitivo con la delibera 123 del 17 novembre 2022, l'Amministrazione avrebbe dovuto comunicare il relativo avvio del procedimento ai ricorrenti; 3. la violazione degli artt. 1 e 3 L. 7 agosto 1990, n. 241 e l'eccesso di potere, in quanto il decreto n. 1 del 25 gennaio 2023, risulta divergere da quanto previsto dalla precedente delibera 123 del 17 novembre 2023 che non avrebbe legittimato un'occupazione sine titulo sull'intera particella; 4. l'eccesso di potere per irragionevolezza, contraddittorietà, la violazione del principio di proporzionalità e necessarietà e del principio del legittimo affidamento. Il Comune di (omissis) si è opposto al ricorso straordinario promosso dai ricorrenti che è stato poi trasposto presso questo Tribunale. Lo stesso Comune, nel costituirsi, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso in quanto trasposto tardivamente e in violazione dei termini previsti dal combinato disposto di cui agli art. 11 e 119 del cpa. L'inammissibilità del ricorso sussisterebbe anche in considerazione di un altro profilo, in quanto sussisterebbe l'inammissibilità del ricorso per non essere stata impugnata tempestivamente la deliberazione di Giunta Comunale n. 123 del 17 novembre 2022, con la quale è stata dichiarata la pubblica utilità dell'opera. Nel merito si sono contestate le argomentazioni dedotte chiedendo il rigetto del ricorso. In particolare il Comune ha evidenziato che sussisterebbero le ragioni di urgenza alla base dell'adozione del provvedimento di occupazione in quanto nel mese di giugno 2023 sarebbero iniziate le attività prodromiche al Palio delle Contrade, la cui gara ufficiale è fissata per il 18 agosto 2023 e, ancora, in ragione della necessità di non perdere il finanziamento, per una quota pari ad euro 360.000,00 con contributo di Regione Toscana, nella parte in cui si richiede che i lavori devono essere terminati entro il 30/11/2023. Nel corso del giudizio tutte le parti hanno presentato memorie, anche in replica alle eccezioni dedotte. In particolare la ricorrente ha eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 48 c.p.a. nella parte in cui prevede il termine di sessanta giorni per la trasposizione, perché laddove fosse interpretato come termine dimezzato sia per la notifica del ricorso che del relativo deposito si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Detta interpretazione avrebbe l'effetto di costituire un'implicita abrogazione dell'art. 10 del DPR 1199 del 1971 che legittima i controinteressati e le Amministrazioni a proporre opposizione per la trasposizione in sede giurisdizionale. In questi termini, e all'udienza del 16 maggio 2024, il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è irricevibile per tardività della trasposizione del ricorso straordinario in questa sede giurisdizionale, in violazione dei termini previsti dal combinato disposto degli art. 11 e 119 del cpa. 1.1 E' dirimente constatare che il presente giudizio rientra tra le controversie soggette alla dimidazione dei termini processuali di cui all'art. 119 c.p.a., nella parte in cui detta disposizione prevede che "le disposizioni di cui al presente articolo si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative a... f) i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità e i provvedimenti di espropriazione delle invenzioni adottati ai sensi del codice della proprietà industriale". In tali procedimenti (in questo senso è il comma 2) "tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati salvo, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché quelli di cui all'articolo 62, comma 1, e quelli espressamente disciplinati nel presente articolo". 1.2 Ai fini di dimostrare la tardività della riassunzione è necessario premettere che il ricorso straordinario è stato notificato il 5 giugno 2023. L'Amministrazione si è opposta al ricorso straordinario con atto del 29 giugno 2023, notificato il 24 luglio 2023, mentre i ricorrenti hanno notificato e depositato il ricorso in riassunzione solo il 23 ottobre 2023, e, quindi, sessanta giorni dopo l'atto di opposizione, al netto della sospensione feriale. Tuttavia, stante la dimidiazione del termine per operare la trasposizione, la successiva notifica del presente ricorso sarebbe dovuta avvenire entro il 23 settembre 2024. 1.3 L'applicabilità del termine dimidiato di trenta giorni per effettuare la trasposizione in sede giurisdizionale di un ricorso al Presidente della Repubblica è stata sancita da un costante orientamento giurisprudenziale, nella parte in cui ha evidenziato che "ragioni di ordine logico, oltre che di sistematicità, impongono di ritenere applicabile la dimidiazione del termine anche nel caso della trasposizione... Alla stessa soluzione si addiviene anche in forza della lettura della norma alla luce della sua ratio, che è quella di garantire il diritto alla difesa, assicurando il mantenimento dell'ordinario termine decadenziale per esercitare l'accesso alla giustizia, nonostante il dimezzamento di tutti gli altri termini endogiudiziali, tra cui quello per la trasposizione. Essa, infatti, non integra una nuova esplicazione del diritto alla difesa, se non mediante la mera riassunzione, che non richiede alcun particolare adempimento giustificante l'equiparazione alla proposizione del ricorso e, dunque, il più lungo termine di sessanta giorni" (T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, sent. n. 371 del 18 maggio 2020; T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, sez. I, sent. n. 204 del 6 marzo 2023). 1.4 In altre pronunce è stato statuito che "...il termine per la trasposizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato costituisce termine processuale, soggetto come tale a dimezzamento degli ordinari sessanta giorni, previsti dall'art. 10 d.p.r. 1199, a trenta (Cons. Stato, Sez. VI, 20 agosto 2019, n. 5771; T.A.R. Lazio, sez. I, sent. n. 7674 del 10 giugno 2022). Ancora più chiaramente si è sancito che per le materie soggette all'art. 119 c.p.a., il deposito dell'atto di costituzione, di cui all'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, avanti al Tribunale deve eseguirsi nel termine dimidiato di 30 giorni (Cons. St., sez. VI, 20 agosto 2019, n. 5771). 1.5 L'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971 si limita a sancire l'obbligo di riproporre il ricorso davanti alla sede giudiziaria così come individuata, senza che lo stesso ricorso possa essere integrato o modificato nei motivi e nelle conclusioni, obbligando inoltre la stessa parte che intende riassumere il giudizio a notificare, alle altre parti e a pena di inammissibilità, il successivo avviso di voler insistere nel ricorso. 1.7 Ne consegue che l'atto di trasposizione in nessun modo può essere equiparato alla proposizione del ricorso già introdotto, così come nemmeno l'avviso di voler insistere nel ricorso può essere assimilato alla notificazione del ricorso introduttivo in primo grado (Cons. Stato, sez. VII, sent. n. 1443 del 9 febbraio 2023). 1.8 Si consideri, ancora, che secondo precedenti pronunce, quale che sia la sequenza degli adempimenti formali compiuti per la trasposizione del ricorso straordinario, deve essere osservato per entrambi gli adempimenti (deposito e notifica) il termine perentorio di trenta giorni, laddove risulti operante (come nel caso di specie) l'istituto della dimidiazione di cui all'art. 119, comma 2), termine quest'ultimo che decorre dal perfezionamento, per l'originario ricorrente, della notificazione dell'atto di opposizione (Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 6124 del 26 ottobre 2018 Tar Lazio, Roma, Sez. Terza, 31 maggio 2023, n. 9253). 1.9 L'esistenza delle pronunce sopracitate, oltre il carattere inequivoco dell'art. 119 cpa, consente di ritenere insussistenti i presupposti dell'istituto dell'errore scusabile di cui all'art. 37 cpa, sussistendo la violazione dei termini per operare la trasposizione del ricorso presentato in sede amministrativa. 2. Le argomentazioni sopra citate e dirette a confermare il fondamento dell'eccezione di tardività del ricorso, sono sufficienti anche per ritenere insussistenti anche i profili di illegittimità costituzionale dell'art. 48 cpa. Il ricorrente sostiene che l'art. 48 c.p.a. sarebbe incostituzionale, laddove detta disposizione fosse interpretata applicando anche alla trasposizione e nelle materie di cui all'art. 119 il termine dimezzato, sia per la notifica che per il deposito del ricorso che si intende riassumere. Detta disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, legittimando un'implicita abrogazione dell'art. 10 del DPR 1199 del 1971 nella parte in cui consente ai controinteressati e alle Amministrazioni di proporre opposizione e di consentire la trasposizione in sede giurisdizionale entro il termine di sessanta giorni. A parere del ricorrente, poiché l'abbreviazione dei termini disposta dall'art. 119 c.p.a. non riguarda il termine per la proposizione del ricorso (salvo le disposizioni specifiche dettate dall'art. 120, comma 2 e 5 per le materie di cui all'art. 119, lett. a)), è da ritenere che non si applichi nemmeno all'atto di trasposizione, in quanto esso includerebbe una domanda del soggetto interessato che sarebbe assimilabile al ricorso introduttivo. 2.1 Dette argomentazioni non sono condivisibili, non sussistendo i presupposti di sospetta incostituzionalità . 2.2 Le pronunce sopra citate hanno evidenziato come sussista una sostanziale differenza (per le caratteristiche proprie degli stessi atti) tra l'atto di proposizione del ricorso e la riassunzione a seguito dell'opposizione per la trasposizione in sede giudiziale. 2.3 La trasposizione di un ricorso in origine presentato innanzi al Presidente della Repubblica non integra una nuova esplicazione del diritto alla difesa, ma solo il compimento di alcuni adempimenti processuali, circostanza quest'ultima che è di ostacolo a consentire un'equiparazione con l'atto di proposizione del ricorso e, dunque, anche il termine proprio di quest'ultimo e pari a sessanta giorni. 2.4 Come si è avuto modo di anticipare è, infatti, con l'opposizione che si apre la fase del giudizio in sede giurisdizionale, circostanza quest'ultima che trova conferma proprio nel tenore dell'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, laddove il Legislatore ha avuto modo di precisare che, con l'atto di trasposizione, ci si limita a riproporre il ricorso in origine presentato in sede amministrativa, senza che quest'ultimo possa essere integrato o modificato nei motivi e nelle conclusioni. 2.5 Si consideri, inoltre, che il ricorso straordinario è "alternativo" rispetto al ricorso giurisdizionale, secondo quanto previsto dall'art. 8 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 e che, ancora, il ricorso straordinario diviene improcedibile qualora quest'ultimo sia stato erroneamente trasposto in sede giurisdizionale (in questo senso è l'art. 10 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199). 2.6 A conferma di dette considerazioni è possibile far riferimento anche alle conclusioni alle quali è pervenuta di recente l'Adunanza Plenaria n. 11/2024 che, pronunciandosi in merito alla natura del ricorso straordinario, lo ha qualificato come un rimedio "giustiziale alternativo a quello giurisdizionale, di cui condivide solo alcuni tratti strutturali e funzionali". 2.7 Ai fini di operare detta qualificazione l'Adunanza Plenaria ha considerato dirimente l'applicazione del principio di alternatività di cui all'art. 8 sopra citato, in quanto la scelta di optare per la trasposizione impedisce il proseguimento dell'esame della controversia innanzi al Presidente della Repubblica e, ciò, con l'effetto che "la decisione resa su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, sebbene il giudizio fosse stato ritualmente trasposto in sede giurisdizionale, è nulla ai sensi dell'art. 21-septies del c.p.a., in quanto emanata in difetto assoluto di attribuzione". 2.8 Affermare di fatto l'esistenza di un'unica controversia che, iniziata presso una sede "giustiziale" prosegue (dopo l'opposizione) presso un organo giurisdizionale, ha l'effetto di confermare che l'atto di riassunzione non è suscettibile di essere equiparato all'originaria proposizione del ricorso già introdotto. Ne consegue che la trasposizione si sostanzia nel compimento di una serie di atti (deposito del ricorso e avviso) che hanno la sola finalità di consentire la prosecuzione di un giudizio di fatto già instaurato. 2.9 Ulteriore conseguenza è quella che deve ritenersi ammissibile (senza che risultino esistenti i dedotti profili di sospetta incostituzionalità ) anche la previsione di termini differenti e, quindi, sia per quanto riguarda l'iniziale proponimento di un ricorso sia, ancora, con riferimento all'atto di riassunzione in una sede giurisdizionale e, ciò, nelle materie di cui all'art. 119 c.pa. che risultano disciplinate da un rito che prevede la compressione e la riduzione di tutti i termini processuali. 3. Si consideri, da ultimo, che gli art. 48 e 119 cpa, nella parte in cui prevedono la dimidiazione dei termini in particolari materie come quella in esame e in quanto disposizioni contenute nel codice del processo del 2010, sono disposizioni successive che possono ben incidere su una disciplina speciale e ad esso antecedente, come è appunto il d.P.R. n. 1199 del 1971. 3.1 In conclusione il ricorso va dichiarato irricevibile ai sensi dell'art. 35 comma 1 lett. a), mentre la novità della fattispecie esaminata consente la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile nei termini così precisati in parte motiva. Compensa le spese tra le parti costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Riccardo Giani - Presidente Giovanni Ricchiuto - Consigliere, Estensore Nicola Fenicia - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 323 del 2022, proposto da Ag. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Fe. e En. Ro., con domicilio digitale come da PEC risultante dal Registro di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato En. Da., con domicilio digitale come da PEC risultante dal Registro di Giustizia; nei confronti Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Piemonte - Dipartimento Piemonte Sud Est, Azienda Sanitaria Locale - Asl Alessandria, Regione Piemonte, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio; per l'annullamento: - della deliberazione del Consiglio Comunale n. 32 del 22 dicembre 2021 di approvazione del "Regolamento Comunale disciplinante le modalità di utilizzo e gestione del cantiere di distribuzione e spandimento di gessi e carbonati da defecazione nei campi del territorio Comunale" (doc. 1); - del medesimo "Regolamento Comunale disciplinante le modalità di utilizzo e gestione del cantiere di distribuzione e spandimento di gessi e carbonati da defecazione nei campi del territorio Comunale" (doc. 2); - di ogni altro atto presupposto, preordinato e/o comunque connesso, con particolare riferimento, ove occorrer possa, alla relazione di servizio di ARPA Piemonte del 10 febbraio 2021 e alla nota dell'ASL Alessandria - Servizio Igiene e Sanità Pubblica (docc. 3 e 4). Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2024 la dott.ssa Stefania Caporali e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La società Ag. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, ha chiesto l'annullamento della delibera del Consiglio comunale del Comune di (omissis) n. 32 del 22 dicembre 2021 di approvazione del "Regolamento Comunale disciplinante le modalità di utilizzo e gestione del cantiere di distribuzione e spandimento di gessi e carbonati da defecazione nei campi del territorio Comunale", nonché l'annullamento del regolamento stesso per i seguenti motivi in diritto: "I) Violazione del D.lgs. 152/2006, del D.lgs. 29 aprile 2010, n. 75 e del 27 gennaio 1992, n. 99. Eccesso di potere per perplessità e genericità del provvedimento, per irragionevolezza, per ingiustizia manifesta, per contraddittorietà, per difetto di istruttoria, per grave carenza e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, e per difetto di motivazione". "II) Violazione degli articoli 196 e 198 del D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, in relazione a quanto previsto dall'articolo 127 del medesimo decreto. Violazione dell'articolo 6 del D.lgs. 22 gennaio 1992 n. 99. Violazione degli articoli 92 e 112 del D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152. Violazione dell'articolo 218 del RD 27 luglio 1934 n. 1265. Violazione del DM 19 aprile 1999 (Codice delle buone pratiche agricole). Violazione del DM 25 febbraio 2016. Carenza assoluta di potere per difetto di attribuzione di potestà ed incompetenza. Eccesso di potere per sviamento". "III) Violazione degli articoli 184-ter e 195 del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione dell'articolo 117 della Costituzione. Violazione degli articoli 5 e 10 e degli articoli 1 e 3 e dell'Allegato e dell'Allegato 3 del D.lgs. 29 aprile 2010, n. 75. Violazione del regolamento (CE) n. 2003/2003 e del regolamento (UE) n. 1009/2009. Violazione del DM 19 aprile 1999 (Codice delle buone pratiche agricole). Violazione del DM 25 febbraio 2016. Violazione del D.M. 28 giugno 2016. Violazione del D.P.G.R. 29 ottobre 2007 n. 10/R. Violazione dell'articolo 50 del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Difetto di attribuzione di potestà ed incompetenza. Eccesso di potere per illogicità manifesta, per contraddittorietà, per difetto di presupposti e per difetto di motivazione". "IV) Violazione dell'articolo 218 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265. Violazione dell'articolo 50 comma 5 e 7-ter del D.lgs. 267/2000. Violazione del D.P.G.R. 29 ottobre 2007 n. 10/R. Eccesso di potere per illogicità manifesta, per contraddittorietà, per grave difetto di istruttoria, per irragionevolezza, per difetto dei presupposti e per difetto di motivazione. Eccesso di potere per sviamento". "V) Violazione della L.R. 43/2000. Violazione della Deliberazione della Giunta Regionale 26 febbraio 2021, n. 9-2916 "Disposizioni straordinarie in materia di tutela della qualità dell'aria ad integrazione e potenziamento delle misure di limitazione delle emissioni, strutturali e temporanee, di cui alla D.G.R. n. 14-1996 del 25 settembre 2020, e dei vigenti protocolli operativi". Violazione delle Deliberazione della Giunta Regionale 9 gennaio 2017, n. 13-4554 L.R. 43/2000 - "Linee guida per la caratterizzazione e il contenimento delle emissioni in atmosfera provenienti dalle attività ad impatto odorigeno". Incompetenza. Eccesso di potere per illogicità manifesta, per contraddittorietà, per grave difetto di istruttoria, per irragionevolezza, per difetto dei presupposti e per difetto di motivazione". "VI) Violazione degli articoli 6, 12 e 16 del D.lgs. 22 gennaio 1992, n. 99. Violazione del DM 19 aprile 1999 (Codice delle buone pratiche agricole). Violazione del DM 25 febbraio 2016. Violazione del regolamento (CE) n. 2003/2003 del 13 ottobre 2003 e Regolamento (UE) 2019/1009. Violazione del D.lgs. 29 aprile 2010, n. 75. Violazione del D.P.G.R. 29 ottobre 2007 n. 10/R. Eccesso di potere per illogicità manifesta, per contraddittorietà, per grave difetto di istruttoria, per irragionevolezza, per difetto dei presupposti e per difetto di motivazione. Eccesso di potere per sviamento. Violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità della P.A. Genericità ". "VII) Violazione del secondo e sesto considerando, nonché dell'articolo 1 della Direttiva 12 giugno 1986, n. 86/278/CEE. Violazione dell'articolo 127, 181 e 198 del D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152. Violazione dell'articolo 1 del D.lgs. 27 gennaio 1992 n. 99. Violazione del D.lgs. 29 aprile 2010, n. 75. Violazione del regolamento (CE) n. 2003/2003 e Regolamento (UE) 2019/1009. Violazione della Direttiva 2008/28/CE e delle Direttive 98/2008/CE e 851/2018/UE. Eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti, per illogicità manifesta, per contraddittorietà e per difetto di motivazione. Violazione del principio di concorrenza e di libertà dell'iniziativa economica privata di cui agli articoli 41 e 44 Costituzione. Violazione dei principi in materia di proprietà privata di cui agli artt. 832 ss. e in materia di possesso di cui agli artt. 1140 ss. del Codice Civile. Violazione del principio di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione. Eccesso di potere per disparità di trattamento". "VIII) Violazione dell'articolo 7 bis del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Difetto di attribuzione ed incompetenza. Eccesso di potere per travisamento, per errata valutazione dei presupposti, per irragionevolezza, per illogicità e per difetto di motivazione". Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) eccependo, in via preliminare, l'inammissibilità del ricorso per carenza di interesse della società Ag. s.r.l. per i seguenti profili: perché le disposizioni del Regolamento oggetto di gravame non sono suscettibili di autonoma impugnazione difettando il requisito dell'immediata lesività delle stesse e perché non sono stati gravati alcuni degli atti procedimentali presupposti a quelli per cui è causa, tra cui, in primo luogo, la delibera della Giunta Regionale n. 13-1669 del 17/7/2020 nella parte in cui, nell'allegato 1, vengono citati i gessi di defecazione e nella parte in cui contiene l'atto di indirizzo relativo alla gestione dei fanghi prodotti dalle acque reflue urbane e, in secondo luogo, la scheda tecnica regionale redatta in virtù del Regolamento 10/R/2007. Nel merito, l'amministrazione resistente ha chiesto il rigetto del ricorso. Sono state depositate da tutte le parti costituite le memorie difensive ai sensi dell'art. 73 d.lgs. n. 104/2010. All'udienza del 7.02.2024 i difensori delle parti hanno discusso oralmente la causa. La difesa dell'amministrazione ha, in particolare, eccepito il difetto di legittimazione attiva della ricorrente evidenziando che non è stata prodotta in giudizio l'iscrizione della società Ag. s.r.l. nel registro dei fabbricanti di fertilizzanti previsto dall'art. 8 del d.lgs. n. 75/2010. All'esito della discussione, il Collegio ha riservato la causa in decisione. DIRITTO 1.Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse della società ricorrente, atteso che il regolamento impugnato deve essere ascritto alla categoria dei regolamenti c.d. "volizione-azione", ossia quegli atti contenenti, almeno in parte, "previsioni destinate a un'immediata applicazione e quindi capaci di produrre un immediato effetto lesivo nella sfera giuridica dei destinatari" (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II quater, 8 luglio 2021, n. 8135; TAR Trento, sentenza n. 97/2022 del 17/05/2022). Nella fattispecie è stato infatti impugnato un regolamento recante prescrizioni puntuali, che disciplinano le modalità di utilizzo e di gestione del cantiere di distribuzione e di spandimento di gessi e carbonati da defecazione nei campi del territorio del Comune di (omissis). In particolare, il regolamento in questione disciplina l'attività di spargimento degli "ammendanti organici di qualsiasi natura" e dei "gessi e carbonati da defecazione", prevedendo, tra l'altro, "l'obbligo generalizzato della tenuta del registro delle distribuzioni", "talune fasce di rispetto da osservare ai fini dello spandimento, vietandolo entro 100 m dalle zone abitate, edifici residenziali e produttivi e 'da edifici/aree utilizzate per lo svagò ed entro i 50 m da edifici residenziali/rurali isolati", "il'divieto di transito del materiale nei centri abitati se trattasi di trasporto pesante (autotreni) o, in caso di impossibilità di utilizzo di percorsi alternativi, rispettando fasce di transito di prima mattina e tardo pomeriggiò e il'divieto di distribuzione e spandimento nelle giornate di sabato e domenica e nei giorni festivà ", "l'obbligo di comunicare agli Uffici Comunali all'ASL AL-SISP sede di Casale Monferrato e all'ARPA Distretto di Casale Monferrato, con preavviso di almeno 10 giorni, le date, gli orari delle distribuzioni e spandimenti allegando la mappatura dei terreni trattati, la loro superficie catastale e la natura dell'ammendante utilizzato", "la sospensione degli spandimenti in presenza di brezza in direzione dell'abitato" (cfr. art. 4 del regolamento, doc. 2 depositato da parte ricorrente e richiamato a pp. 7, 8 e 9 del ricorso). Siffatte prescrizioni limitano l'attività di spandimento di fanghi e gessi di defecazione (fertilizzazione) che la ricorrente deve contrattualmente svolgere nei terreni di proprietà dell'Azienda Agricola Pi. Lu. Gu., siti nel Comune di (omissis). Tale condizione è quindi idonea e sufficiente a radicare l'interesse al ricorso della società Ag. s.r.l.. 2. Parimenti infondata è l'eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione degli atti procedimentali presupposti al regolamento impugnato e, in particolare, degli atti di indirizzo relativi alla gestione dei fanghi prodotti dalle acque reflue urbane (delibera della giunta regionale piemontese n. 13-1669 del 17.07-2020, allegato 1, nella parte in cui vengono citati i gessi di defecazione e nella parte in cui stabilisce l'indirizzo per la gestione dei fanghi prodotti dalle acque reflue urbane, nonché la scheda tecnica redatta dalla direzione regionale agricoltura - direzione ambiente, energia e territorio in ottemperanza al regolamento 10/R/2007). Dalla documentazione in atti emerge espressamente che il regolamento impugnato è stato adottato in attuazione di svariate fonti normative e atti amministrativi, tutti menzionati nell'articolo 2 del regolamento stesso, tra cui sono compresi anche gli atti presupposti richiamati dal Comune resistente. Ciò posto, il Collegio ritiene che il regolamento de quo non sia atto meramente applicativo di tali fonti proprio in quanto contiene prescrizioni di dettaglio e a contenuto innovativo volte a individuare i destinatari (art. 3), i criteri di utilizzo, gestione e spandimento dei gessi e carbonati da defecazione (art. 4), oltre a stabilire le sanzioni repressive delle violazioni delle prescrizioni del regolamento stesso. L'impugnazione del regolamento è dunque sufficiente a sorreggere l'interesse della società al ricorso. 3. Deve infine essere respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione attiva della società ricorrente formulata dal Comune all'udienza di discussione perché Ag. s.r.l. non avrebbe provato di essere titolare dell'autorizzazione alla commercializzazione dei fanghi e dei gessi in questione, non avendo la società provato di essere iscritta nel registro dei fabbricanti dei fertilizzanti. In particolare, l'amministrazione resistente eccepisce che nel documento 5 depositato dalla ricorrente manca qualsivoglia riferimento al codice CER 190805, ossia a quello relativo alle acque reflue. L'unico codice presente nei documenti di causa è il codice CER R10 (titolazione) che si riferisce sì alla categoria dei gessi, ma non è sufficiente perché, sostiene il Comune, una cosa è l'autorizzazione all'impianto (risultante dal citato documento 5, codice R10) e altra cosa è l'autorizzazione alla commercializzazione dei gessi di defecazione, per la quale l'art. 8 del D.lgs. n. 75/2010 prevede l'iscrizione nel registro dei fabbricanti dei fertilizzanti. L'eccezione non merita accoglimento. Costituisce circostanza pacifica quella dedotta dalla società Ag. s.r.l. di essere "autorizzata, in conformità alla normativa ambientale, al recupero dei fanghi biologici di cui al D.lgs. 99/92, provenienti da impianti di depurazione, per il loro utilizzo quali ammendanti e alla produzione di gessi di defecazione, che sono correttivi prodotti dal trattamento dei rifiuti da utilizzarsi in conformità alle previsioni del D.lgs. 75/2010, per modificare e migliorare le proprietà chimiche anomale del suolo (doc. 5)" (cfr. p. 2 del ricorso). Quindi, i fanghi biologici reflui, una volta trattati (anche qualora trasformati in gessi di defecazione), possono essere destinati alle operazioni di spandimento sui campi a beneficio dell'agricoltura (operazione R10) e con riferimento a tale attività di spandimento - che la società esercita per conto di terzi in virtù di rapporti contrattuali - risulta tra gli atti di causa il titolo autorizzatorio (cfr. autorizzazione n. 9/2021 - R, depositata al doc. 5 da parte ricorrente). Dalla lettura del documento 5 depositato da parte ricorrente si evince, infatti, che la ditta Ag. s.r.l. sia stata autorizzata, oltre che al recupero agronomico di rifiuti speciali non pericolosi (codice R10), anche alla produzione di gessi di defecazione da fanghi confacenti al D.lgs. n. 75/2010 (allegato 3, punto 2.1., paragrafo 23), che la stessa provvede a spandere sui terreni. Inoltre, nelle premesse della relazione di servizio redatta da ARPA si chiarisce espressamente che "i gessi utilizzati provengono da ditta in possesso di regolare autorizzazione e sono da considerare a tutti gli effetti fertilizzanti e precisamente correttivi" (cfr. doc. 3 depositato da parte ricorrente). 4. Passando ora alla trattazione del merito del ricorso, il Collegio, stante il suo carattere assorbente (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., sentenza n. 5/2015), esamina preliminarmente la censura incentrata sull'incompetenza del comune a disciplinare la materia dello spandimento dei fanghi in agricoltura, sollevata da parte ricorrente sotto differenti profili nelle censure dalla prima alla quinta. La doglianza è fondata per le ragioni che seguono. Con la prima censura la società lamenta la mancanza di intellegibilità del regolamento impugnato che non consente di individuarne l'esatto campo di applicazione e, in particolare, lamenta che non è chiaro se lo stesso riguardi solo i gessi e i carbonati di cui all'allegato 3 D.lgs. 75/2010, i gessi e i carbonati di cui all'allegato 3 D.lgs. 75/2010 nonché gli ammendanti indicati nell'allegato 2 del citato decreto, oppure i fanghi biologici ex D.lgs. 99/1992 e che tale difficoltà sarebbe diretta conseguenza dell'incompetenza delle amministrazioni comunali nella materia di riferimento. Con la seconda censura Ag. s.r.l. lamenta la carenza di competenza dell'amministrazione resistente a regolare sia l'attività di spandimento di fanghi biologici ex D.lgs. 99/1992 - i quali, ai sensi dell'art. 127 D.lgs. 152/2006 sono assoggettati alla disciplina dei rifiuti -, sia l'attività di utilizzo dei gessi di defecazione e carbonati di defecazione di cui ai punti 21 (gesso di defecazione), 22 (carbonato di calcio di defecazione) e 23 (gesso di defecazione da fanghi) dell'allegato 3 del D.lgs. 75/2010 e, più in generale, di tutti i fertilizzanti previsti dal D.lgs. 75/2010. Entrambe le censure sono fondate. Preliminarmente deve essere ricordato che la disciplina dello spandimento dei fanghi è stata ricondotta dalla prevalente giurisprudenza alla disciplina dei rifiuti, che - secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale (cfr. Corte Costituzionale 24 luglio 2009, n. 249) - è a sua volta da collocare nell'ambito della materia dell'"ambiente e dell'ecosistema", di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s) Cost. (così, tra gli altri, TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 15.01.2024, n. 88; Consiglio di Stato, sez. IV, 16 giugno 2015, n. 2986). Si è quindi ritenuto che, siccome nessuna norma statale conferisce ai comuni potestà regolamentare in materia ambientale e, più in particolare, in materia di spandimento fanghi per uso agricolo, gli stessi comuni non possano emanare atti di normazione secondaria che abbiano ad oggetto tale materia. Ancora più in dettaglio, si è escluso poi che i comuni possano regolare l'attività di spandimento dei fanghi attraverso l'esercizio del potere di pianificazione urbanistica, per sua natura finalizzato alla disciplina degli interventi di trasformazione fisica del territorio (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 15 ottobre 2010, n. 7528; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 4 aprile 2012, n. 1006; id. 25 maggio 2009, n. 3848). Ciò posto, deve infine essere ricordato che l'art. 6 del D. Lgs. n. 99 del 1992 attribuisce alle Regioni la competenza a individuare i "limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli, ai tipi di colture praticate, alla composizione dei fanghi, alle modalità di trattamento", nonché la fissazione delle "distanze di rispetto per l'applicazione dei fanghi dai centri abitati, dagli insediamenti sparsi, dai pozzi di captazione delle acque potabili, dei corsi d'acqua superficiali, tenendo conto delle caratteristiche dei terreni (permeabilità, pendenza), delle condizioni meteo climatiche della zona, delle caratteristiche fisiche dei fanghi". La doglianza concernente il difetto di competenza del comune a regolare l'attività di spandimento dei fanghi biologici e quella di utilizzo dei gessi di defecazione, dei carbonati di defecazione e, più in generale, dei fertilizzanti previsti dal D.lgs. 75/2010 è dunque fondata, stante la carenza di competenza del Comune nelle materie in questione, con conseguente assorbimento anche della prima censura nella parte relativa alla perplessità e difficile intellegibilità delle disposizioni del regolamento impugnato. 5. Per motivi analoghi a quelli già illustrati, deve essere accolta anche la terza doglianza, con la quale la società contesta la competenza del comune a regolare l'attività di produzione e di utilizzazione di fertilizzanti, ivi compresi i fertilizzanti organici (tra cui devono essere ricompresi anche i gessi e i carbonati di defecazione ex D.lgs. 75/2010) che rientrano nella competenza statale ai sensi dell'art. 195, lett. o) del D.lgs. 152/2006, testualmente riferito solo al compost, ma applicabile anche ai gessi e ai carbonati di defecazioni in base ai punti 21, 22 e 23 dell'allegato 3 D.lgs. 75/2010. 6. Peraltro, con la medesima censura, al punto terzo, la società ricorrente evidenzia che i gessi di defecazione, essendo la risultante di un'operazione di trattamento e di recupero dei fanghi biologici (rifiuti), costituiscono materia prima secondaria e, pertanto, gli stessi sono autorizzati ai sensi dell'allegato 3 del D.lgs. 75/2010 (non essendo più rifiuti), con conseguente applicazione della normativa sui fertilizzanti di cui al D.lgs. 75/2010 in luogo di quella sui rifiuti ex D.lgs. 152/2006. 7. Infine e sempre con la terza censura, al punto quarto, la società ricorrente ha poi contestato la competenza del comune a regolamentare i fertilizzanti organici, in quanto tale materia spetta alla regione in base al disposto degli articoli 92 e 112 D.lgs. 152/2006. Sul punto, preliminarmente il Collegio rileva che la regolamentazione dell'attività di gestione dei rifiuti spetta soltanto alla regione in base al chiaro disposto dell'art. 196 D. lgs. n. 152/2006. Inoltre, poiché, come detto, la materia dello spandimento dei fanghi è ascritta, secondo l'orientamento giurisprudenziale cui il Collegio ritiene di aderire, alla disciplina dei rifiuti, a sua volta rientrante nell'ambito della materia "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema", di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., ogni potestà regolamentare comunale in materia è esclusa (così TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 15.01.2024, n. 88; TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 10.08.2023, n. 2033; cfr. anche Consiglio di Stato, sez. V, 15 ottobre 2010, n. 7528). 8. Deve essere accolta anche la quarta censura, con cui la società ricorrente ha lamentato l'incompetenza del comune con riferimento alle attribuzioni dell'ente in materia igienico-sanitaria perché in tale materia i regolamenti comunali possono avere a oggetto la gestione dei rifiuti solo per quanto riguarda "la razione raccolta delle immondizie stradali e domestiche e per il loro smaltimento" ai sensi dell'art. 218 del RD 1265/1934 e il caso di specie non rientra in tale ambito. Inoltre, secondo la società istante difettano i presupposti ("situazione di incuria e/o degrado") per ricondurre il regolamento impugnato nella competenza dell'ente ai sensi dell'art. 50, commi 5 e 7 ter, D.lgs. 267/2000. Il mezzo è fondato. Da un lato, infatti, le sostanze in parola non possono essere ricondotte al novero delle "immondizie stradali e domestiche"; dall'altro lato il citato articolo 50 del testo unico enti locali attribuisce, come noto, la competenza al comune in materie che sono del tutto differenti da quella in esame e pertanto la regolamentazione in questione non può essere certamente ricondotta a tale tipologia di potere, che, peraltro, richiede la sussistenza di specifici presupposti che difettano nel caso di specie (cfr. TAR Lombardia, Milano, IV, 15.1.2024, n. 90). 9. Merita di essere accolta anche la quinta censura, con cui la deducente lamenta l'incompetenza del comune a regolare la distribuzione dei fertilizzanti organici e dei fanghi biologici per garantire la tutela della qualità dell'aria dalle attività ad impatto odorigeno, trattandosi di competenze spettanti, come visto nella trattazione delle precedenti doglianze, allo Stato e alla Regione, quanto alla tutela dell'ambiente e alla gestione dei rifiuti. 10. La sesta censura, concernente l'illegittimità del provvedimento adottato per violazione della normativa di riferimento in materia di spandimento dei fertilizzanti organici e dei fanghi biologici ex D.lgs. 99/1992 nonché per illogicità, irragionevolezza e genericità delle prescrizioni regolamentari, può essere assorbita, stante l'accoglimento della censura incentrata sul vizio di incompetenza del comune. 11. Parimenti assorbita è anche la settima censura, secondo cui le prescrizioni impugnate violano la normativa europea, gli articoli 41 e 44 della Costituzione e le norme in tema di proprietà privata dettate dal codice civile. 12. L'acclarata sussistenza del vizio di incompetenza determina l'accoglimento anche dell'ottava censura di ricorso concernente la violazione dell'art. 7 bis D. Lgs. 267/2000, in ordine alla carenza di potere dell'ente locale ad aumentare il minimo della sanzione amministrativa prevista dal D. Lgs. 267/2000 e a prevederne il raddoppio in caso di recidiva. In definitiva, il ricorso deve essere accolto e, per l'effetto, i provvedimenti impugnati devono essere annullati. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati. Condanna il comune resistente al pagamento in favore della società ricorrente delle spese di lite, che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge e al rimborso del contributo unificato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Bellucci - Presidente Marco Costa - Referendario Stefania Caporali - Referendario, Estensore
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