Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Marche

Ricerca semantica

Risultati di ricerca:

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 879 del 2022, proposto dalla Società Md s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ca. St. in Roma, via (...); contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato La. Am., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Senigallia, piazza (...); l'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale Ancona - in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, sezione prima, n. 573/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e dell'Agenzia delle Entrate; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2024 il Cons. Carmelina Addesso e uditi per le parti l'avvocato Gi. Be. e l'avvocato La. Am.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. MD S.p.a. (d'ora in avanti, solo la Società ) chiede la riforma della sentenza indicata in epigrafe che ha respinto il ricorso volto all'annullamento dell'ordinanza del Comune di (omissis) n. 239 del 23/4/2018 e della connessa stima redatta dall'Agenzia delle Entrate, relative alla determinazione e alla conseguente irrogazione, ai sensi dell'art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, della sanzione pecuniaria di euro 325.000,00 per le opere realizzate in difformità dai titoli abilitativi sull'immobile a destinazione produttiva sito in via (omissis). 1.1 Con ricorso di primo grado la Società chiedeva la riduzione della somma irrogata a titolo di sanzione in quanto, a suo avviso, erroneamente determinata dall'Agenzia delle Entrate con riguardo ad alcune voci di calcolo ("tipologia architettonica", "dotazione impiantistica", "stato di manutenzione" dell'immobile) e con riguardo ai costi delle opere di completamento da detrarre dall'importo dovuto. 1.2 Il TAR adito respingeva il ricorso rilevando che: i) quanto alla "tipologia architettonica", la ricorrente si limita a sostenere che l'immobile in oggetto non si differenzia dai normali capannoni per usi commerciali, mentre avrebbe dovuto evidenziare similitudini o differenze rispetto ai c.d. "comparables" indicati nella relazione di stima alla voce 4.1.3, relativa alla "costituzione del campione"; ii) le stesse considerazioni devono essere svolte per quanto concerne la "dotazione impiantistica" che, nella stima, viene considerata di nuova realizzazione poiché l'immobile al momento ne era privo, tanto è vero che i relativi costi (per l'impianto elettrico, l'impianto di riscaldamento e l'impianto idrotermosanitario) sono stati detratti dal valore unitario base; iii) per quanto concerne infine lo "stato di manutenzione", il valore unitario di mercato è stato "determinato facendo riferimento alla situazione ante abuso". Gli elementi peggiorativi posti in risalto dalla ricorrente (danni provocati dall'alluvione) non sussistevano alla predetta data di riferimento e ciò risulterebbe quindi sufficiente per escludere la loro rilevanza in base al criterio di stima utilizzato e non oggetto di contestazione; iv) contrariamente a quanto sostiene parte ricorrente, l'Agenzia delle Entrate ha fornito, seppure sinteticamente, le ragioni per le quali ha deciso di avvalersi del prezziario edito dalla DEI (cfr. paragrafo 4.2 della stima in cui si legge che tale prezziario costituisce "letteratura tecnica di settore"). La ricorrente avrebbe, quindi, dovuto allegare elementi per dimostrare la minore attendibilità di tale prezziario rispetto a quello regionale. 2. Con l'appello in trattazione la società chiede la riforma della sentenza per i seguenti motivi: I. Illegittimità del capo della sentenza relativo al primo motivo di ricorso per erroneità della motivazione; error in iudicando per insufficiente e carente valutazione dei presupposti di fatto e di diritto; II. Illegittimità del capo della sentenza relativo al secondo motivo di ricorso per erroneità della motivazione; error in iudicando per insufficiente e carente valutazione dei presupposti di fatto e di diritto; III. Illegittimità del capo della sentenza relativo al terzo motivo di ricorso per erroneità della motivazione. 2.1 Chiede, infine, che venga disposta una consulenza tecnica d'ufficio per il calcolo del valore venale delle opere abusive. 3. Si è costituito il Comune di (omissis) che, con successiva memoria, ha eccepito l'infondatezza del gravame, chiedendone la reiezione. 4. Si è costituita, altresì, l'Agenzia delle Entrate-Direzione provinciale di Ancona. 5. In vista dell'udienza di trattazione la Società appellante e il comune appellato hanno depositato memorie. 5.1 In data 25 maggio 2024 l'Agenzia delle Entrate ha depositato delle "note di udienza", con le quali ha articolato le proprie difese. 6. All'udienza del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 7. In via preliminare, deve essere accolta l'eccezione di inammissibilità delle "note di udienza" depositate in data 25 maggio 2024 dall'Agenzia delle Entrate, formulata dal difensore dell'appellante in sede di discussione orale. Le predette "note" costituiscono, in ragione del loro contenuto, una memoria conclusionale depositata oltre i termini previsti dall'art. 73 c.p.a. 7.1 Per tali ragioni, il Collegio ne dispone lo stralcio dagli atti di giudizio. 8. Premesso quanto sopra, l'appello è infondato. 9. Con il primo motivo di appello la ricorrente censura il capo della sentenza che ha respinto il primo motivo di ricorso, relativo all'erronea determinazione di alcune voci di calcolo della stima redatta dall'Agenzia delle Entrate. Evidenzia che con la "relazione per la costituzione in giudizio del 03.08.2018", a cui in sede di costituzione l'Avvocatura ha rimandato per articolare le proprie difese, l'Agenzia delle Entrate ha realizzato un'inammissibile integrazione postuma della motivazione. La premessa metodologica da cui è partito il TAR -secondo cui occorre non tanto chiedersi quale sia il corretto valore complessivo di un determinato immobile, quanto capire se il valore delle opere abusive appaia congruo oppure no- non sarebbe corretta perché, per un verso, al giudizio di inidoneità si deve pervenire attraverso un procedimento logico che consenta di verificarne e sindacarne il risultato e, per altro verso, per la determinazione del valore complessivo dell'immobile è un passaggio fondamentale la stima del valore venale delle opere abusive. Nell'esaminare, poi, le specifiche censure afferenti alle singole voci di calcolo, la sentenza sarebbe incorsa in errore sotto i seguenti profili: -quanto alla "tipologia architettonica", contrariamente a quanto affermato nella stessa, non è stata la ricorrente a ritenere che l'immobile oggetto di stima non si differenziasse dalle altre costruzioni ordinarie, ma la stessa Agenzia delle Entrate, che lo aveva descritto come un "capannone tipico". In nessuna parte della relazione, inoltre, sono indicate le caratteristiche tipologiche dei c.d. comparables: il punto 4.1.3, citato dal Tribunale, afferma unicamente che sono stati scelti immobili di caratteristiche similari, anche se ubicati in altra macroarea rispetto a quello da valutare, mentre la descrizione analitica di essi si limita alla mera elencazione dei vani, della superficie e del prezzo di vendita; -quanto alla "dotazione impiantistica", la sentenza, nell'affermare che la ricorrente avrebbe dovuto mettere a confronto la valutazione con quella dei ridetti comparables, è affetta dai medesimi vizi sopra evidenziati poiché in nessuna parte della stima sono indicate, illustrate e descritte le dotazioni impiantistiche degli immobili comparati (due opifici e un laboratorio artigianale); -quanto allo "stato di manutenzione", va evidenziato che, contrariamente a quanto sostenuto dal TAR, nella voce di calcolo avrebbero dovuto essere considerati i danni provocati dall'alluvione del 2014, in quanto il valore unitario di mercato dell'immobile viene calcolato facendo riferimento non solo alla situazione antecedente all'abuso (come ritenuto dal Tribunale di primo grado), ma anche e soprattutto a quella successiva. 10. Le censure sono infondate. 11. Al fine di comprendere l'esatto contenuto della controversia, occorre sinteticamente ricostruire la complessa metodologia utilizzata dall'Agenzia delle Entrate, per come peraltro chiarita nella ralazione di stima. Per determinare il valore unitario di mercato di un immobile si ricorre infatti a un processo di aggiustamento che permette di valutare e comparare le differenze, nella specie costituito dal Market Comparison Approach (MCA), rispondente agli standard valutativi internazionali. L'MCA costituisce dunque un metodo comparativo pluriparametrico, fondato sull'assunto che il prezzo di un immobile può essere considerato come la somma di una serie finita di prezzi componenti, ciascuno collegato a una specifica caratteristica apprezzata dal mercato. Nella specie l'immobile (in corso di costruzione al momento della stima) è stato considerato come finito e, quindi, commerciabile, decurtando, successivamente, il costo necessario per le opere di completamento. 11.1 Il metodo estimativo sopra indicato prevede che le caratteristiche qualitative ordinabili -nell'ambito delle quali sono comprese le voci di calcolo oggetto di censura- vengano valutate sulla base di una scala di merito rappresentativa degli apprezzamenti differenziali registrati sul mercato immobiliare locale. Detta scala associa un punteggio (quantità ) ai suddetti apprezzamenti, attraverso il quale si effettua il confronto tra l'immobile in stima (subject) e gli immobili di confronto (comparables). 11.2 Ai fini della suddetta comparazione, pertanto, si pongono, da un lato, il subject, del quale sono note le caratteristiche maggiormente influenti sul prezzo, e, dall'altro lato, un campione omogeneo e significativo costituito dai comparables, ovvero un campione omogeneo di immobili assunti a confronto (da cui deriva la relativa denominazione), dei quali devono essere note l'epoca di compravendita, la zona urbana di ubicazione e le stesse caratteristiche estrinseche e intrinseche apprezzate dal mercato ai fini della formazione del prezzo (localizzazione di dettaglio, tipologia architettonica, dotazione impiantistica, stato manutentivo ecc.) prese in considerazione per il subject. 12. Nel caso di specie, il campione di riferimento è stato elaborato prendendo in considerazione, come previsto dal metodo MCA che la ricorrente ha dichiarato di non contestare, gli immobili aventi destinazione artigianale/industriale (due opifici e un capannone industriale) di cui erano noti prezzo, epoca di compravendita e le stesse caratteristiche relative all'immobile da valutare (paragrafo 4.1.3 Costituzione del campione). 12.1 I dati tecnico-economici raccolti per il subject e per i comparables sono stati inseriti in apposite schede di riepi (allegati 5.1 e 5.2 della relazione), dove sono riportati, per ogni immobile, i dati catastali, le quotazioni dell'Osservatorio del mercato immobiliare (OMI), ovvero l'organismo dell'Agenzia delle Entrate che ha la competenza nell'elaborazione dei dati sul valore degli immobili e degli affitti, e le caratteristiche estrinseche ed intrinseche. In particolare, la tabella di omogeneizzazione di cui all'allegato 5.2 della stima, che riporta sia i valori OMI, sia il prezzo a metro quadrato dei comparables, indica prezzi oscillanti da euro 314,77 al metro quadrato a euro 781,85 al metro quadrato (si ricorda che il valore dell'immobile dell'appellante è stato stimato in euro 379 al metro quadrato). 12.2 La qualificazione dell'immobile, nel suo complesso, come capannone "tipico" non esclude ex se, come invece ritenuto dalla ricorrente, che lo stesso presenti caratteristiche intrinseche ed estrinseche differenti rispetto a quelle dei comparables in quanto la "tipicità " costituisce il logico presupposto della "comparabilità " al fine di apprezzarne similitudini e differenze. 12.3 Il presupposto fondamentale del procedimento comparativo, e quindi anche dell'MCA, è, infatti, che si disponga di un campione significativo di dati strettamente omogeneo, riferiti ad immobili immediatamente confrontabili con quello in stima per epoca, segmento di mercato, ubicazione, consistenza, ecc. (paragrafo 4.1.2 della relazione). 13. Come emerge dalla citata relazione di stima e come chiarito dalla relazione illustrativa depositata in giudizio (doc. 1 fascicolo primo grado Agenzia) - la quale, lungi dal costituire un'inammissibile integrazione postuma della motivazione, si limita a esplicitare alcuni passaggi logici contenuti nella relazione in risposta alle censure di parte ricorrente- l'immobile ha riportato le seguenti valutazioni di qualità : - la "tipologia architettonica" è stata considerata di "alto pregio" perché il bene oggetto di stima è costituito da un immobile di nuova edificazione che affianca all'attuale destinazione artigianale una vocazione commerciale, in ciò differenziandosi dagli immobili presi a comparazione. La vocazione d'uso commerciale dell'immobile comporta l'esecuzione di finiture (pavimentazioni, infissi, ecc.) di qualità superiore rispetto a quelle presenti nei comparables, per i quali la destinazione potenziale coincide con quella attuale, ossia di tipo produttivo/artigianale; - la "dotazione impiantistica" e lo "stato di manutenzione" sono stati considerati ottimi perché, sulla base dell'approccio metodologico che il ricorrente ha dichiarato di condividere, è stato dapprima valutato lo stato finito dell'immobile, comprensivo di tutti i lavori e degli impianti necessari a renderlo agibile e fruibile, e successivamente sono stati decurtati i costi per le opere di completamento. Le strutture e gli impianti (l'impianto elettrico, l'impianto di riscaldamento e l'impianto idrotermosanitario) sono stati valutati come completamente nuovi e, quindi, qualitativamente superiori a quelli del campione, costituito da immobili di gran lunga più vetusti. 14. Non è ravvisabile, pertanto, alcun errore di calcolo poiché le singole caratteristiche sono state valutate con riguardo all'immobile finito per "permettere la comparazione in un mercato dinamico di beni simili" (pag. 12 relazione di stima), con successiva detrazione del costo delle opere di completamento. 15. Le considerazioni sopra richiamate non risultano scalfite dalle doglianze di parte appellante in relazione alle quali è sufficiente rilevare che: -come osservato dal TAR, la determinazione del valore complessivo dell'immobile ante e quella post abuso rappresentano fasi di calcolo intermedio per giungere al risultato finale che è costituito dal valore venale delle opere abusive ex art. 34, comma 2, del d.p.r. 380/2001, indipendentemente dal metodo estimativo prescelto. Non emerge, pertanto, alcun errore metodologico della sentenza, fondata, invece, sulla corretta interpretazione della disposizione sopra citata; -il punto 4.1.3 della relazione di stima evidenzia le caratteristiche tipologiche dei cd. comparables, ivi compresa la consistenza e l'ubicazione, mentre le tabelle allegate dal 5.1 al 5.5 della "Valutazione" mettono a raffronto in maniera puntuale le caratteristiche di ciascun immobile, come previsto dal metodo prescelto, condiviso-giova ribadire- dall'appellante. Sulla base di siffatti elementi, la ricorrente avrebbe dovuto chiarire l'errore di calcolo in cui, a suo avviso, sarebbe incorsa l'Agenzia, laddove si è, invece, limitata a censurare le voci di stima sulla base di meri apprezzamenti di merito (es. riguardo alla necessaria decurtazione per l'assenza, nell'immobile, di installazioni "particolari" in relazione alla voce "dotazione impiantistica"); - non convince l'assunto difensivo (memoria di replica del 6 maggio 2024) secondo cui anche i comparables avrebbero "dotazioni impiantistiche di tutto rispetto" desumibili, in via induttiva e presuntiva, dalla presenza, nel primo immobile, di 14 uffici e due sale polifunzionali, nel secondo, di 5 uffici e di un locale commerciale e, nel terzo, di un appartamento per il custode poiché le dotazioni impiantistiche necessarie per uffici, sale polifunzionali e appartamenti non sono equiparabili a quelli di una struttura di vendita. Come osservato dall'Agenzia delle Entrate (pag. 5 all. 7 fascicolo primo grado Avvocatura), in ambito commerciale tutte le dotazioni impiantistiche devono servire tutti i locali aperti al pubblico, mentre negli immobili ad uso produttivo gli impianti di condizionamento e riscaldamento sono ordinariamente presenti solo nella parte destinata ad uso ufficio: anche sotto tale profilo non emerge alcuna irragionevolezza o errore tecnico della determinazione; -parimenti immune da censure è anche il capo della sentenza che ha escluso la rilevanza dei danni dell'alluvione del 2014, trattandosi di un evento verificatosi in data successiva alla realizzazione dell'abuso e per tale ragione, totalmente estraneo alla metodologia di calcolo. In altri termini, la fase valutativa finale va determinata con riguardo alla situazione dell'immobile post abuso e non post alluvione poiché a quella data le opere abusive erano già state realizzate. 15.1 Il completamento delle opere in data antecedente all'evento alluvionale del 2014 è confermata dalle seguenti circostanze, giustamente evidenziate dal giudice di primo grado e dalle amministrazioni appellate: a) verosimilmente gli abusi sono stati commessi contestualmente alla realizzazione della struttura portante autorizzata, quindi, in epoca antecedente all'alluvione poiché i titoli edilizi sono tutti risalenti agli atti 2012 e 2013 e l'attività produttiva è cessata nel 2015; b) in nessuno dei documenti ufficiali relativi alla storia dell'immobile (perizia del tecnico di parte, atto di compravendita del 30/05/2017, pratica di nuova costruzione DOCFA del 04/04/2017) vi sono notizie in merito alla necessità, né tantomeno all'entità, degli interventi di ripristino a seguito dell'alluvione. 15.2 L'appellante non ha fornito elementi atti a superare le evidenze istruttorie sopra richiamate, limitandosi a lamentare l'omessa considerazione, nella fase di valutazione finale dell'immobile, anche dei danni provocati dall'alluvione. 16. Il primo motivo di appello deve, quindi, essere respinto. 17. Con il secondo motivo di appello la ricorrente censura il capo della sentenza che ha respinto il secondo motivo di ricorso relativo all'errata stima dei costi di completamento, quantificata dall'Agenzia delle Entrate nella quota del 21,16% del costo base dell'edificio finito secondo il prezziario DEI. Il giudice sarebbe incorso in errore nel ritenere soddisfacente la motivazione della scelta del prezziario DEI in luogo di quello regionale sulla base della stringata considerazione che il primo è "letteratura tecnica di settore", laddove la ricorrente, anche con considerazioni tecniche sviluppate con la memoria di discussione, ha dimostrato l'insufficienza di una simile scelta, in quanto troppo limitante rispetto alle effettive lavorazioni da realizzare. Al riguardo evidenzia, a titolo di esempio, che tra i costi per le opere di completamento non sono state considerate la realizzazione di una vasca sotterranea per il recupero e il deflusso delle acque al fine di rispettare il principio dell'invarianza idraulica, i costi di impermeabilizzazione della copertura e i costi per ovviare ai danni dell'alluvione (pulizia, rimozione del limo, deumidificazione, sanificazione delle pareti, ecc.). Infine, un ultimo vizio della sentenza afferirebbe alla parte della motivazione ove si afferma che il valore delle opere abusive possa essere di complessivi euro 162.500,00 e dunque di euro 265 al metro quadrato - pur dovendosi nuovamente ricordare che l'Agenzia delle Entrate ha stimato un valore unitario del bene grezzo pari ad euro 379 al metro quadrato - anche in considerazione del fatto che l'immobile è stato infine adibito a supermercato, mentre i comparables, come sopra detto, erano immobili adibiti ad attività artigianale. La successiva nuova destinazione impressa dai lavori eseguiti dalla ricorrente (che ha mutato la destinazione da artigianale a commerciale per poter aprire un supermercato) non doveva dunque avere ingresso nel procedimento di stima, poiché quello che andava valutato era a tutti gli effetti un capannone artigianale, come da campione utilizzato, riferito appunto a capannoni artigianali. 18. Le censure sono infondate. 19. La scelta del prezziario DEI - che associa ad ogni lavorazione il costo corrispondente- in luogo di quello regionale che, invece, correla ogni voce di spesa all'unità di misura di riferimento della lavorazione, costituisce una scelta tecnico discrezionale non illogica né irragionevole. 19.1 Per un verso, l'appellante avrebbe dovuto quanto meno contestare la quota di incidenza della singola lavorazione, dimostrandone l'erroneità, e, per altro verso, l'inattendibilità del prezziario DEI non può desumersi dal computo metrico estimativo prodotto in primo grado (doc. 18 fascicolo primo grado appellante) in quanto relativo alle opere edilizie successive volte alla trasformazione dell'immobile in nuovo punto vendita (supermercato) e non a quelle necessarie per il completamento di un edificio al grezzo così come valutato dall'Agenzia delle Entrate. 19.2 Per le medesime ragioni, nessun rilievo può assegnarsi alla circostanza che alcune lavorazioni, quali la vasca per il recupero e il deflusso delle acque e la copertura di impermeabilizzazione, non siano considerate dal prezziario DEI e, conseguentemente, siano state escluse dai costi delle opere di completamento. Le opere menzionate, infatti, attengono alla realizzazione della struttura di vendita e non sono comprese tra le opere necessarie per il completamento e riuso dell'immobile (doc. 6, 20 fascicolo primo grado ricorrente, doc. 2 del Comune di (omissis)). Sul punto, risulta pertinente quanto osservato dal TAR riguardo all'impermeabilizzazione della copertura, la cui necessità ai fini del completamento del capannone risulta semplicemente allegata. 19.3 Quanto ai costi per ovviare ai danni dell'alluvione, si tratta di voci non suscettibili di essere valutate nella determinazione del valore dell'immobile post abuso per le ragioni già in precedenza esposte. 19.4 In definitiva, la censura in esame si risolve nella mera affermazione della maggiore attendibilità del prezziario regionale rispetto al prezziario DEI, sconfinando nel merito della scelta tecnica dell'amministrazione. 19.5 Si richiama, sul punto, anche quanto osservato con nota protocollo 2821/2021 dalla Commissione di monitoraggio del Consiglio superiore dei lavori pubblici la quale ha chiarito (FAQ n. 1), con riguardo alla congruità delle spese sostenute ai fini del c.d ecobonus, che non vi è alcun rapporto di gerarchia tra i vari prezzari e, in particolare, fra quello regionale e quello DEI. 20. Il valore unitario del bene di 379,00 euro al metro quadrato determinato dall'Agenzia delle Entrate è inferiore al valore stimato dal perito del Tribunale nell'ambito della procedura di vendita fallimentare che, con riguardo al fabbricato in questione ("nuova sede") del quale sono state prese in considerazione esclusivamente le superfici realizzate e conformi a quanto autorizzato, ha indicato un valore che va dai 700,00 euro al metro quadrato ai 930.00 euro al metro quadrato (pagg. 36-40 doc. 5 deposito appello del Comune di (omissis)), con un ulteriore un decremento del 20% del valore complessivo (euro 1.485.536,90 comprensivo della vecchia e della nuova sede) in ragione dei costi da sostenere per sanare le difformità riscontrate. 21. La censura deve, quindi, essere disattesa. 22. Dalla reiezione dei motivi sopra indicati discende la reiezione anche del terzo e ultimo motivo di appello con cui si chiede la riforma del capo della sentenza che ha respinto il terzo e ultimo motivo di ricorso relativo alla dedotta l'illegittimità derivata dell'ordinanza comunale n. 239/2018 di applicazione dell'importo della sanzione, così come determinata sulla base della relazione di stima. 23. In conclusione, l'appello deve essere respinto, con conseguente reiezione anche dell'istanza istruttoria formulata dall'appellante. 24. Sussistono giustificati motivi, in ragione della complessità tecnica e della novità delle questioni trattate, per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Antonella Manzione - Presidente FF Cecilia Altavista - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Stefano Filippini - Consigliere Valerio Valenti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 94 del 2017, proposto da -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Bu. Vi., Ma. Fr., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Bu. Vi. in Perugia, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; e con l'intervento di ad adiuvandum: -OMISSIS- S.r.l. unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Va. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento emesso dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, di diniego di accesso alle agevolazioni ex art. 14, comma 1, lett. c), del D.M. 592/2000, con riguardo ad un'attività di ricerca industriale Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. -OMISSIS- s.r.l. in data -OMISSIS- presentava domanda di accesso alle agevolazioni di cui all'art. 14, comma 1, lett. c) del D.M. n. 593/2000, riconosciute in relazione alla "attribuzione di specifiche commesse o contratti per la realizzazione delle attività di cui al comma 6 del medesimo art. 14" - ovvero un'attività di ricerca industriale commissionata al laboratorio -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l. (già -OMISSIS- s.p.a.). Con nota prot. -OMISSIS-del -OMISSIS- il Ministero dell'Università e della Ricerca (di seguito "MIUR"), comunicava l'ammissibilità del progetto di ricerca ad una agevolazione complessiva di euro 206.582,75 nella forma del credito d'imposta, richiedendo quindi "ai fini dell'effettivo riconoscimento della predetta agevolazione" una serie di integrazioni documentali. 2. -OMISSIS- s.r.l. inviava il contratto di ricerca stipulato con -OMISSIS- s.p.a. in data -OMISSIS- con oggetto denominato come "Studi, analisi, ricerche, progettazioni e sviluppo sperimentale, volti al potenziamento dei servizi di ricerca industriale e di ingegneria integrata a favore delle p.m.i., anche in termini di strumentazioni, attrezzature e software, per conseguire un notevole miglioramento dei suddetti servizi forniti all'utenza nell'ottica dell'integrazione di sistemi aziendali"; il MIUR con nota del -OMISSIS- preavvisava la società circa la "...non accoglibilità del contratto stipulato con il -OMISSIS-oratorio -OMISSIS- s.p.a." in ragione del parere acquisito dal Gruppo di Lavoro incaricato dell'istruttoria, secondo cui "Dall'esame del documento tecnico allegato al contratto risulterebbe che il progetto si propone l'integrazione di energia geotermica con l'energia prodotta da motori a combustione interna o esterna tipo Stirling, alimentati da biogas prodotto da rifiuti organici di un edificio per coprire i fabbisogni energetici dell'edificio stesso. Il progetto, a partire dal suo titolo risulta generico, velleitario, inadeguato come presupposti, attività, contenuti e obiettivi e mancante in modo assoluto non solo dei requisiti scientifici ma anche dei presupposti tecnici necessari". -OMISSIS- provvedeva ad inviare le proprie osservazioni con missiva del -OMISSIS-, alla quale allegava documentazione integrativa; inoltre modificava il titolo del progetto. 3. In seguito il MIUR comunicava la sospensione della valutazione istruttoria delle varie domande di agevolazione a vario titolo connesse con il laboratorio -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l.; infatti l'Amministrazione il -OMISSIS- aveva effettuato una segnalazione alla Procura della Repubblica in merito ad eventuali illeciti o irregolarità emersi in seguito ad una serie di operazioni ritenute "sospette" dal Gruppo di Lavoro che si era trovato ad esaminare l'istruttoria di numerose domande di finanziamento in cui l'istante o il -OMISSIS-oratorio di ricerca -OMISSIS- -OMISSIS- (ex -OMISSIS- srl) erano alternativamente soggetto proponente la domanda di finanziamento ovvero laboratorio contraente del contratto di ricerca. In buona sostanza i due soggetti presentavano plurime domande di ammissione a finanziamento e si candidavano talvolta come -OMISSIS-oratorio, talvolta come soggetto beneficiario, quindi in alcuni casi la prima affidava commesse alla seconda e in altri viceversa. Da accertamenti risultava poi che il medesimo -OMISSIS- dal 2010 era stato Presidente del CdA del laboratorio contraente e Amministratore Unico della ricorrente, ed inoltre aveva incarichi sia nell'azienda Commissionaria che nel -OMISSIS-oratorio affidatario, cosi come alcuni suoi familiari. 4. Il MIUR, con nota prot. -OMISSIS- del -OMISSIS-2016 preannunciava, nuovamente, il rigetto della domanda di agevolazione segnalando: - che dopo il primo preavviso di non accoglibilità la società istante, in sede di invio di documentazione integrativa, aveva cambiato il titolo e l'oggetto del progetto e dunque quello originario doveva ritenersi abbandonato perché le relative criticità non erano state sanate; - in merito al nuovo progetto, che "Dalla documentazione integrativa trasmessa è evidente che essa tratta del tentativo di trasferire conoscenze tecnico scientifiche dal -OMISSIS-oratorio Affidatario al Soggetto Beneficiario, senza alcun ulteriore sforzo di ricerca industriale in quanto dagli obiettivi realizzativi e dalle attività svolte si è in presenza di una palese ed evidentissima attività di progettazione e sviluppo industriale. Infatti, tutta la documentazione non evidenzia significativi elementi di innovatività scientifica e tecnologica riconducibili ad attività di Ricerca Industriale. Le attività descritte si configurano palesemente come una concretizzazione di metodi e tecniche presenti allo stato dell'arte ai fini della realizzazione del nuovo progetto e non possono che considerarsi di prevalente ricerca industriale. (..) I brevetti allegati sono, altresì, una evidenza ulteriore che il progetto tratta della concretizzazione di conoscenze già note e, non sono in alcun modo, nel caso di specie, evidenza del fatto che l'attività svolta nell'ambito del progetto sia di prevalente Ricerca industriale. Anche il nuovo progetto presentato, seppur dal punto di vista della creatività appare di un qualche interesse, non ha alcun elemento caratterizzante che lo configuri come progetto a contenuti di prevalente Ricerca Industriale ma piuttosto esso appare essere in tutta la sua descrizione un esempio di progettazione creativa e sviluppo industriale con al più elementi di sviluppo sperimentale. (..) In definitiva, alla luce di quanto sopra descritto, anche la documentazione presentata per il progetto dal nuovo titolo è tale da potersi considerare correlata ad una iniziativa di progettazione, sviluppo industriale e, al più, con presenza di attività di sviluppo sperimentale; essa è assolutamente carente di tutte le caratteristiche che ragionevolmente possono far ritenere la stessa di prevalente Ricerca Industriale.". 5. -OMISSIS- s.r.l. presentava le proprie osservazioni il -OMISSIS- 2016, alle quali allegava anche la rendicontazione relativa alle spese del progetto di ricerca per il quale è stata richiesta l'agevolazione di che trattasi, nonché documentazione relativa ai brevetti riconosciuti in riferimento alla stessa attività oggetto di finanziamento. 6. In data -OMISSIS- 2016 seguiva il provvedimento definitivo, con il quale il MIUR comunicava la non accoglibilità dell'istanza di agevolazioni, facendo altresì riferimento al verbale della Commissione del -OMISSIS- 2016 e affermando che dalla documentazione integrativa presentata emergeva palese "che l'attività di ricerca presentata, non solo non è assolutamente di prevalente ricerca industriale, ma alla luce dei fatti rilevati, dalla carenza documentale e dall'analisi del materiale prodotto, non vi è alcuna prova che essa sia stata svolta, anzi tutt'altro. In ogni caso l'eventuale attività di ricerca industriale svolta non è in alcun modo documentata. Del resto lo sviluppo di un brevetto già depositato non richiede, in gran parte dei casi, prevalenza di attività di ricerca industriale (che magari è stata già svolta precedentemente alla domanda di brevetto) ma solo sviluppo industriale (attività routinaria di aziende di progettazione e di laboratori di ricerca) e/o sviluppo pre- competitivo (...) in ogni caso non erano presenti nella documentazione di rito e non sono presenti nella documentazione successivamente prodotta, elementi che possano far ritenere che sia stata svolta attività di ricerca industriale per "sviluppare" tale brevetto". 7. -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento del -OMISSIS- 2016 articolando tre motivi di impugnazione. 7.1. Con un primo motivo si censura la violazione dell'art. 10 bis della l. 241/90 e il difetto di motivazione, oltre all'asserita violazione del principio di partecipazione e della leale collaborazione tra cittadino e P.A., affermando che l'esito finale di non finanziabilità sarebbe stato reso sulla base di un parere del Gruppo di esperti del -OMISSIS- 2016, quindi successivo al preavviso di rigetto, che la ricorrente aveva potuto conoscere solo in sede di provvedimento negativo finale, così impedendo il contraddittorio su tale ultimo parere; inoltre l'Amministrazione non avrebbe in alcun modo controdedotto in merito alle osservazioni presentate dalla ricorrente il -OMISSIS- 2016. 7.2. Con un secondo motivo si asserisce la violazione degli artt. 3 e 6 del d.lgs. 297 del 27 luglio 1999, degli artt. 3, 5 e 7 del decreto interministeriale n. 275 del 22 luglio 1998, e degli artt. 2 e 14 del d.m. 593 dell'08 agosto 2000; nonché infine la violazione del principio dell'affidamento. Dal quadro normativo sopra richiamato emergerebbe che il Ministero aveva escluso da finanziamento il progetto della ricorrente operando illegittimamente un inedito controllo sul contenuto del contratto allorchè il progetto era già stato ritenuto ammissibile: la verifica sul contenuto del contratto di ricerca sarebbe non già condizione per l'ammissibilità della domanda bensì soltanto per la liquidazione del beneficio, perché l'ammissibilità del progetto avrebbe dovuto essere deliberata solo sulla base della domanda, avendo la procedura di verifica carattere esclusivamente automatico. Inoltre la scelta di non finanziare il progetto sarebbe stata presa dal Ministero "appiattendosi" sui pareri espressi rispettivamente il -OMISSIS-2016 e il successivo -OMISSIS- dal Gruppo di Esperti, nonostante tale organo non abbia alcuna competenza circa la valutazione dei progetti di ricerca, né sarebbe prevista per legge l'emissione di un suo parere nell'ambito della procedura di che trattasi. 7.3. Infine con il terzo motivo la ricorrente censura il difetto di motivazione, la violazione del principio dell'affidamento, l'eccesso di potere per sviamento, il travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, l'ingiustizia manifesta. Innanzitutto poiché la domanda di finanziamento sarebbe stata presentata ai sensi dell'art. 2 del D.M. 593 del 2002 sarebbero senz'altro ammissibili le attività di ricerca industriale non esclusiva, come quella in oggetto. Inoltre già dal titolo del progetto emergerebbe pacificamente che il progetto presentato da -OMISSIS- avrebbe carattere di ricerca industriale; il rilascio dei brevetti depositati nel procedimento dimostrerebbe peraltro come l'attività di ricerca per la quale è stata richiesta l'agevolazione rientrerebbe pienamente tra quelle ammissibili perché attesterebbe che il risultato della ricerca è dotato di novità, originalità ed industrialità anche ai sensi del Codice della Proprietà Industriale. Infine il medesimo rilascio di detti brevetti dimostrerebbe che l'attività di ricerca sia stata effettivamente svolta, in contrasto con quanto ritenuto dal MIUR nel provvedimento definitivo. 8. La ricorrente con atto di cessione del -OMISSIS- 2017 ha ceduto a -OMISSIS- s.r.l.s. l'intero ramo di azienda inerente i Servizi di Progettazione di Ingegneria Integrata, con tutti i cespiti occorrenti per lo svolgimento dell'attività aziendale ceduta. Quindi la cessionaria ha notificato il -OMISSIS-2020 e depositato nel presente giudizio il successivo 28 agosto atto di intervento ad adiuvandum, precisando che secondo la prevalente giurisprudenza, in conformità alle previsioni di cui all'art. 2558 c.c., la cessione del complesso dei beni funzionalmente organizzati per l'esercizio di un'impresa determina l'automatico subentro del cessionario nella titolarità dei rapporti contrattuali - di carattere non personale - che attengono all'azienda ceduta. Pertanto la cessionaria sarebbe dotata di legittimazione ad intervenire nel presente giudizio in quanto titolare nei confronti del MIUR del diritto di credito al finanziamento oggetto del presente giudizio. 9. Si è costituito il giudizio il Ministero dell'Istruzione e della ricerca, che ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, trattandosi di domanda di contributo economico soggetto a procedura di valutazione automatica, nella cui valutazione la P.A. era priva di discrezionalità, dovendo limitarsi ad accertare la ricorrenza dei presupposti di legge. Quindi l'Amministrazione ha contestato la legittimazione all'intervento di -OMISSIS- srl, in quanto la cessione di azienda è avvenuta in epoca successiva all'emanazione del provvedimento impugnato, che aveva escluso il sorgere del credito: discende da ciò che il credito non può essere stato trasferito nel patrimonio della cessionaria perché inesistente nel patrimonio della cedente. Al contrario se la società fosse effettivamente titolare del diritto di credito sarebbe cointeressata, quindi avrebbe dovuto impugnare il provvedimento del -OMISSIS- 2016 autonomamente. Nel merito la difesa erariale confutava partitamente i singoli motivi di impugnazione. 10. Nel frattempo era emerso che il Sig. -OMISSIS-, legale rappresentante di -OMISSIS- srl e di -OMISSIS-srls, in concorso con altri soggetti tra cui il figlio -OMISSIS-, era stato rinviato a giudizio avanti al Tribunale di Perugia (R.G.N.R. -OMISSIS-/13) per il reato di cui all'640 bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) integrato mediante presentazione di domande di finanziamenti per attività di ricerca in concreto mai svolta nonchè emissione di fatture per operazioni inesistenti. Da documentazione versata in atti risultava che nel maggio 2018 il predetto procedimento si trovava nella fase dell'udienza preliminare. 11. Con sentenza n. -OMISSIS- 2018 il Tribunale di Perugia ha dichiarato il fallimento della ricorrente, evento poi dichiarato nel presente giudizio con memoria del 21 settembre 2020; questo Tar con sentenza n. -OMISSIS- 2020 ha dichiarato l'interruzione del processo con decorrenza dalla data in cui la parte ha fatto la dichiarazione nella memoria, ovvero il 21 settembre 2020. 12. -OMISSIS-, interveniente ad adiuvandum, ha riassunto il processo con atto notificato in data 27 dicembre 2020 e depositato il 5 gennaio del 2021; senonchè il Tar Umbria con sentenza n. -OMISSIS- 2022 ha dichiarato l'estinzione del processo per mancata riassunzione nel termine perentorio di 90 giorni decorrenti dalla data di conoscenza legale dell'evento interruttivo, ovvero dalla memoria del 21 settembre 2020. 13. A seguito di appello, il Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS- 2023 ha riformato la sentenza di primo grado in punto di decorrenza dell'interruzione del processo, considerando che "a seguito dell'intervenuto mutamento del quadro normativo verificatosi a far tempo dal 1° settembre 2021, per l'entrata in vigore dell'art. 143, comma 3, del d.lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi dell'impresa e dell'insolvenza, in attuazione della l. n. 155/2017), il quale ha previsto che a seguito dell'apertura della liquidazione giudiziale (già dichiarazione di fallimento), il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l'interruzione è dichiarata dal giudice." Sulla base di tale principio la conoscenza legale dell'evento interruttivo doveva ritenersi fissata non già dalla data di deposito della memoria della ricorrente, bensì dalla pubblicazione della sentenza con cui il Tar Umbria aveva dichiarato l'interruzione, ovvero il -OMISSIS-: rispetto a tale data la riassunzione doveva ritenersi sicuramente tempestiva. Il Consiglio di Stato ha ritenuto altresì che, vertendosi in uno dei casi tassativi di rimessione in primo grado, "All'esito del rinvio, pertanto, il primo giudice andrà a esaminare per la prima volta tutte le altre questioni di rito e di merito, compresa quella della possibilità, per l'interveniente ad adiuvandum, di riassumere il giudizio interrotto", ed ha rimesso il processo al Tar Umbria. 14. In vista della discussione del ricorso le parti hanno depositato memorie. All'udienza pubblica del 9 aprile 2024, uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Deve essere disattesa l'eccezione di difetto di giurisdizione spiegata dalla difesa erariale sul presupposto che, essendo il contributo disciplinato direttamente dalla legge, all'Amministrazione è demandato esclusivamente il compito di accertare la sussistenza dei presupposti specificamente indicati dalla normativa, senza spendita di alcun potere discrezionale. Sul punto è noto l'orientamento giurisprudenziale in tema di contributi pubblici secondo cui la controversia deve essere devoluta al Giudice Ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, ed alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l'effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l'an, il quid, il quomodo dell'erogazione, ovvero qualora la vertenza attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento dei beneficiari alle condizioni statuite in sede di lex specialis, in quanto in tal caso il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione; al contrario è configurabile una situazione soggettiva d'interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la questione riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse (cfr. fra le tante, T.A.R. Marche, sez. I, 27 febbraio 2024, n. 187, T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 04 dicembre 2023, n. 6660, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 05 giugno 2023, n. 1383). Nel caso de quo è oggetto di contenzioso il provvedimento con cui si dichiarava la "non accoglibilità del contratto" ovvero in buona sostanza la non meritevolezza del progetto, principalmente perché l'attività oggetto del contratto di ricerca non era stata ritenuta di ricerca industriale, bensì di mero sviluppo industriale, oltre alle perplessità circa l'effettivo svolgimento dell'attività . Trattavasi evidentemente di valutazione di merito, non a caso svolta dalla Commissione di esperti istituita con Decreto del MIUR n. -OMISSIS- 2005, collegio che quindi valutava il contenuto del progetto in maniera approfondita facendo uso anche di discrezionalità tecnica. Deve quindi confermarsi la giurisdizione del presente Giudice, trovandosi la società ricorrente in posizione di interesse legittimo rispetto all'erogazione di un contributo la cui attribuzione dipende da provvedimenti discrezionali. 2. Come chiarito dal Consiglio di Stato, che riteneva la riassunzione del processo tempestiva, va preliminarmente esaminata la questione della legittimazione dell'interveniente a riassumere il processo interrotto, giacchè se si ritenesse che l'interveniente fosse carente di tale potere, il processo dovrebbe dichiararsi estinto, con la conseguente perdita di interesse alla delibazione delle ulteriori questioni. 2.1. Secondo un orientamento "Nel processo amministrativo, chi sia intervenuto "ad adiuvandum" non può ampliare la materia del contendere e non può sottoporre al collegio istanze processuali autonome e diverse da quelle del ricorrente in ordine allo svolgimento del giudizio. Pertanto sono inammissibili le istanze processuali dell'interventore relative allo spostamento della udienza, formulate sotto forma di istanza di differimento dell'udienza al 28.9.2023 e di anticipazione al 14.9.2023, e le istanze inerenti la composizione del Collegio giudicante, sottoposte in data anteriore alle istanze analoghe di parte ricorrente, come già osservato con i decreti presidenziali 13.9.2023 nn. 3752 e 3753." (Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2023, n. 8487). Dunque l'interventore ad adiuvandum non potendo estendere l'oggetto del processo non potrebbe neppure riassumere il processo interrotto in assenza di iniziativa delle altre parti costituite. 2.2. Senonchè lo scrutinio della sussistenza della legittimazione dell'interveniente alla riassunzione del processo presuppone la qualificazione dell'effettiva tipologia dell'intervento spiegato da -OMISSIS-, che sebbene espressamente qualificato ad adiuvandum dalla parte non ne presenta i requisiti di sostanza. Nel processo amministrativo è espressamente contemplato l'intervento volontario oppure jussu iudicis del controinteressato pretermesso (art. 28 primo comma cod. proc. amm.) ovvero l'intervento di chi vanta un interesse dipendente dalla posizione giuridica di un'altra parte e ne sostiene o avversa le ragioni (intervento ad adiuvandum o ad opponendum). In particolare "l'intervento ad adiuvandum può essere svolto da colui il quale vanti una posizione di fatto, dipendente o collegata alla situazione fatta valere con il ricorso principale (cd. intervento adesivo-dipendente), escludendosi invece tale possibilità nei riguardi del cointeressato (cd. intervento autonomo/principale), cioè di colui il quale vanti un interesse personale e diretto all'impugnazione del provvedimento oggetto di censura" (Cons. Stato, sez. III, 04 aprile 2023, n. 3442). In altri termini le condizioni che legittimano la proposizione dell'intervento adesivo sono rappresentate: dalla alterità dell'interesse vantato rispetto a quello che legittimerebbe alla proposizione del ricorso in via principale, visto che l'intervento è volto a tutelare un interesse diverso, ma collegato, rispetto a quello fatto valere dal ricorrente principale - cosicchè la posizione dell'interessato è meramente accessoria e subordinata rispetto a quella della parte principale - e dalla configurabilità di un vantaggio derivante, anche in via mediata e indiretta, dall'accoglimento del ricorso principale. E', pertanto, inammissibile l'intervento ad adiuvandum promosso da chi sia ex se legittimato a proporre direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l'interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all'impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che deve essere azionato mediante proposizione di ricorso principale nei prescritti termini decadenziali. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 settembre 2022, n. 8114, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 10 marzo 2023, n. 4169, T.A.R. Umbria, 05 luglio 2023, n. 435). 2.3. -OMISSIS-srl, pur potendo identificare il proprio interesse in senso tecnico come dipendente e/o collegato a quello del ricorrente principale - dato che, quale cessionario di azienda della ricorrente deriva il proprio interesse dal contratto di cessione con quest'ultima - e dunque potendo definirsi in astratto quale interveniente ad adiuvandum, non vanta un interesse indiretto all'accoglimento del ricorso, nè ha una posizione diversa ma collegata al ricorrente principale, ma ha precisamente il medesimo interesse di quest'ultimo. La società interveniente, quale successore a titolo particolare nel diritto (rectius, nell'interesse) controverso, all'esito della cessione è l'unico titolare di tale interesse perché -OMISSIS- si è disfatta in suo favore del relativo ramo di azienda. L'interveniente può qualificarsi quale cointeressata all'impugnazione principale, sebbene in via solamente successiva, poiché quale potenziale destinataria del finanziamento in seguito alla cessione di azienda si trova ora nell'identica posizione della ricorrente, ma non era onerata dell'impugnativa del provvedimento nei termini - come opinato dalla difesa erariale - perché essendo stata operata la cessione solo successivamente, allora non era portatrice di alcun interesse neppure di mero fatto all'impugnazione. Dunque deve dichiararsi la legittimazione di -OMISSIS-ad intervenire nel presente processo quale successore a titolo particolare di -OMISSIS- srl, ed in virtù di tale interesse qualificato all'annullamento del provvedimento impugnato era senz'altro legittimata a riassumere il processo interrotto perché abilitata alle medesima facoltà spettanti alle altre parti processuali. 3. Ciò chiarito deve procedersi all'esame del merito del ricorso, che si appalesa integralmente infondato. 4. Non può essere condiviso il primo gruppo di censure, incentrato sulla presunta obliterazione delle garanzie procedimentali correlate al preavviso di rigetto, unitamente all'asserita omessa valutazione delle osservazioni della parte privata con riguardo al contenuto del provvedimento finale. 4.1. Innanzitutto, non corrisponde al vero che il provvedimento finale sarebbe stato adottato sulla base del verbale del gruppo di lavoro del -OMISSIS- 2016 - dunque in una riunione successiva all'invio del preavviso di rigetto - recante motivazioni nuove e non condivise con la ricorrente, che sulle stesse avrebbe dovuto potersi difendere prima dell'adozione del provvedimento di diniego definitivo. Il preavviso di diniego del -OMISSIS-2016 era basato principalmente su tre ragioni: a) le perplessità sul ruolo di amministratore/socio svolto dallo stesso soggetto (-OMISSIS-) sia nella società beneficiaria del contributo sia nel laboratorio affidatario, i quali enti in altre domande di finanziamento si scambiavano i ruoli; b) la riconducibilità delle attività svolte a mera progettazione e sviluppo industriale, senza alcun significativo elemento di innovatività scientifica e tecnologica che afferisse alla richiesta attività di ricerca industriale; c) l'irrilevanza sotto il precedente profilo dei brevetti ottenuti dalla ricorrente nel medesimo campo oggetto di ricerca, brevetti che anzi confermavano l'assenza di attività originale ulteriore rispetto ai brevetti stessi. Tali argomenti erano i medesimi su cui si basava anche il provvedimento finale di rigetto e su cui aveva abbondantemente interloquito la ricorrente nelle osservazioni dell'ottobre 2016, senza apportare alcun elemento che inducesse il Ministero a determinarsi differentemente. 4.2. Peraltro il contenuto del verbale del gruppo degli esperti non introduceva alcun sostanziale elemento di novità rispetto a quanto già oggetto di discussione tra le parti, dato che oltre a specificare ulteriormente il concetto di ricerca industriale e il contenuto della circolare 2474 del 2005 sullo svolgimento dell'istruttoria dei progetti - di cui si dirà infra - il Gruppo di lavoro svolgeva alcune osservazioni sul contenuto della relazione illustrativa inviata da -OMISSIS- nel 2011 (in risposta al primo preavviso di rigetto) sostenendo che detto scritto era una sorta di "collage" di testi scientifici e tesi di laurea reperibili in argomento sul web, e che non apportava alcun elemento di novità idoneo a dimostrare l'esistenza di effettiva ricerca industriale. In conclusione l'interlocuzione tra il Ministero e la parte privata era stata varia ed approfondita, e comunque le osservazioni critiche del Gruppo di lavoro attenevano a difetti strutturali del progetto, certamente non superabili con l'eventuale presentazione di deduzioni difensive già comunque presentate in precedenza sui medesimi argomenti. 5. Non è meritevole di positiva valutazione neppure il secondo motivo di ricorso laddove pretende di trarre dalla normativa applicabile argomenti a favore dell'esercizio da parte del Gruppo di lavoro di un controllo non previsto dalla lex specialis che aveva portato all'esclusione del progetto della ricorrente in seguito ad una valutazione sul contenuto del contratto di ricerca, mentre secondo la ricorrente l'ammissibilità del progetto avrebbe dovuto essere riconosciuta solo sulla base delle mere dichiarazioni della ricorrente, o comunque della comprova dell'avvenuta stipulazione del contratto senza poterne valutare i contenuti. 5.1. Il D.M 275 del 1998 agli artt. 4 e 5 opera una scansione ben precisa degli adempimenti procedurali prodromici all'ammissibilità a finanziamento del contratto di ricerca: - scaduti i termini per la presentazione delle domande, il Ministero controlla il contenuto delle dichiarazioni entro i 60 giorni successivi e la formazione di un elenco dei soggetti ammissibili sulla base delle eventuali priorità ; - i soggetti collocati nell'elenco entro i 30 giorni successivi inviano al Ministero copia dei contratti di ricerca ovvero in alternativa una dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante della beneficiaria del finanziamento, attestante l'avvenuta stipula del contratto con i laboratori di ricerca o altri soggetti, di cui vanno indicati gli estremi identificativi, oltre all'attività di ricerca oggetto del contratto; - solo sulla base delle sopra indicate comunicazioni o documentazioni il MIUR forma l'elenco dei soggetti beneficiari, che pubblica nella Gazzetta Ufficiale, dandone comunicazione anche per via telematica ai soggetti medesimi. E' vero che il procedimento di cui sopra non contempla espressamente alcuna forma di controllo approfondito da svolgersi in via preventiva sul contenuto del contratto, ma ai sensi dell'art. 7 sono previste forme di controllo e di monitoraggio a campione che successivamente potranno portare alla revoca del beneficio. 5.2. Non può tuttavia condividersi l'interpretazione di tali disposizioni secondo cui il contenuto del contratto di ricerca condizionerebbe non l'ammissibilità della domanda bensì solo la liquidazione del beneficio: è evidente il palese contrasto con il buon andamento della PA e l'economia degli atti giuridici di una lex specialis che per ipotesi consentisse, in assenza di idonee verifiche, di attribuire un beneficio economico ad un progetto non meritevole - salvo il recupero delle provvidenze in un secondo momento all'esito di un controllo più approfondito - con l'evidente rischio di non recuperare in seguito soldi pubblici messi a disposizione in carenza di adeguata istruttoria. 5.3. Proprio per porre rimedio all'inadeguatezza di un'istruttoria di progetti spesso scientificamente complessi operata mediante procedura standardizzata, nel 2005 con Decreto del MIUR n. 3247/Ric del 6 dicembre 2005, è stato istituito formalmente un Gruppo di Lavoro incaricato di esaminare la documentazione trasmessa dai soggetti proponenti nell'ambito delle domande di agevolazione "ai fini del più efficace svolgimento delle complessive attività di selezione, controllo e monitoraggio, previste ai sensi dell'art. 14 del decreto ministeriale n. 593 dell'8 agosto 2000, comma 2, è istituito uno specifico Gruppo di esperti con il compito di assicurare il necessario supporto alle attività di competenza del Ministero". Quanto invece alla necessità "di rendere più efficace l'attività di individuazione delle richieste ammissibili alla concessione delle agevolazioni descritte" con la circolare n. 2474 del 17 ottobre 2005, pubblicata sulla G.U. n. 251 del 27 ottobre 2005, è stata modificata la fase di valutazione preventiva dell'ammissibilità delle domande che ha previsto - per l'agevolazione di interesse nella presente sede - l'obbligo di invio nella fase antecedente alla formazione dell'elenco delle domande finanziabili del contratto di ricerca che dovrà obbligatoriamente contenere: l'indicazione dettagliata e motivata della criticità tecnico- scientifica dell'iniziativa, la descrizione dettagliata degli obiettivi, attività e programma delle attività, il diagramma temporale dell'iniziativa, il quadro economico dettagliato dei costi, le modalità di pagamento, oltre a numerose altre informazioni sull'altro contraente. 5.4. Quindi nel 2007 la domanda di finanziamento presentata dalla ricorrente era sottoposta all'approfondita istruttoria preventiva svolta dal Gruppo di esperti all'uopo nominato, e sulla base di tali parametri il progetto presentato da -OMISSIS- veniva ritenuto incompleto, non conforme agli obiettivi e quindi non accoglibile. Né poteva ritenersi sorto alcun legittimo affidamento della ricorrente all'erogazione del beneficio, dato che l'ammissibilità solo provvisoria del progetto era stata deliberata in assenza di controlli documentali, al cui invio era seguito subito, già nel gennaio 2011, il preavviso di diniego dell'accoglibilità della misura. 6. Anche il terzo motivo deve essere respinto. 6.1. La domanda di ammissione a beneficio è stata presentata ai sensi del D.M. 593 del 2002 che all'art. 2 comma 2 prevede: "L'intervento di sostegno può estendersi anche a non preponderanti attività di sviluppo precompetitivo consistenti nella concretizzazione dei risultati delle attività di ricerca industriale in un piano, un progetto o un disegno relativo a prodotti, processi produttivi o servizi nuovi, modificati, migliorati, siano essi destinati alla vendita o all'utilizzazione, compresa la creazione di un primo prototipo non idoneo a fini commerciali" tuttavia tale previsione va letta in combinato disposto con il comma 3, che prevede che le predette "attività di sviluppo precompetitivo sono ammissibili purché necessarie alla validazione dei risultati delle attività di ricerca industriale". Quindi non solo le attività di ricerca industriale devono sussistere, ma devono essere altresì preponderanti, perché le eventuali attività di sviluppo precompetitivo devono avere valenza strettamente ancillare rispetto alla ricerca industriale. Già da tale considerazione discenderebbe il rigetto di tale motivo di censura, dato che non è controverso che la ricerca industriale non fosse preponderante nel progetto in esame, ma il Gruppo di esperti ha ritenuto completamente assente tale attività dal contratto di ricerca, che involgerebbe al più attività di sviluppo industriale. 6.2. Peraltro rispetto a tale valutazione caratterizzata da discrezionalità tecnica, il sindacato di questo Tribunale deve arrestarsi al riscontro di eventuali elementi sintomatici di illogicità, irragionevolezza, travisamento, che appaiono palesemente assenti nel caso de quo e del resto non sono stati neppure enunciati in maniera specifica dalla ricorrente. Né il titolo del progetto di ricerca né l'avvenuta presentazione di una domanda di brevetto in materia analoga bastavano a dimostrare che trattavasi di attività di ricerca industriale, come ritenuto in maniera ragionevole dal Gruppo di esperti che sul punto ha motivato diffusamente. E' pienamente condivisibile il ragionamento per cui, se una domanda di brevetto riguarda una determinata attività di ricerca, allorchè tale brevetto sia rilasciato la ricerca è evidentemente conclusa e quella stessa attività non può costituire l'oggetto di un ulteriore contratto di ricerca da finanziarsi con il beneficio in contestazione, ma al più, come ritenuto dall'Amministrazione può implicare attività ulteriore di mero sviluppo industriale. Peraltro è la stessa ricorrente ad ammettere l'identità dell'attività oggetto di brevetto e di quella oggetto del contratto di ricerca, allorchè sostiene che la prova dell'effettuazione dell'attività di ricerca industriale assegnata a -OMISSIS- -OMISSIS- è l'avvenuto rilascio del brevetto. Dunque la domanda di agevolazione è diretta a finanziare non una nuova attività di ricerca, ma attività già svolta e oggetto di privativa, ed è stata correttamente ritenuta non ammissibile dall'Amministrazione. 6.3. Le osservazioni della Commissione di esperti in merito alla mancata documentazione dell'effettuazione dell'attività di ricerca non sono neppure confutate in maniera convincente né nel ricorso né nelle osservazioni del 2016: d'altro canto il documento denominato "relazione dettagliata delle attività svolte" datata -OMISSIS- 2012, che avrebbe dovuto, a ricerca conclusa, dare conto dei costi delle attività e dei risultati raggiunti non conteneva nulla di tutto ciò, ma si limitava a riportare stralci di documenti scientifici collazionati, ed in punto di costi riferiva dell'avvenuta emissione di una serie di fatture da parte del laboratorio contraente senza una specifica analisi degli importi. 7. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la ricorrente e l'interveniente ad adiuvandum in solido al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero, che si liquidano complessivamente in euro 2.000 (duemila/00), oltre agli oneri ed accessori di legge. Nulla per la controinteressata non costituita. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e le altre parti di causa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Davide De Grazia - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 111 del 2024, proposto da Lu. An., rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Ascoli Piceno Fermo e Macerata, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Ancona, corso Mazzini, 55; Comune di (Omissis); per l'annullamento previe misure cautelari - del provvedimento della Provincia di Ascoli Piceno 6/12/2023 r.g. n. 1395 - Determina del Responsabile Settore IV 6/12/2023 n. 86, recante diniego di accertamento della compatibilità paesaggistica per lavori abusivi di realizzazione rimessa attrezzi interrata e di contenimento per lo stoccaggio di derrate agricole; - della comunicazione inoltrata dalla Provincia di Ascoli Piceno protocollo n. (…) del 21/11/2023 recante motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza; - del parere negativo espresso dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Ascoli Piceno Fermo e Macerata prot. (…) del 15/11/2023. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Ascoli Piceno Fermo e Macerata; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2024 il dott. Gianluca Morri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La ricorrente chiedeva, al Comune di (Omissis), l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, ai sensi degli artt. 167 e 181 del D.Lgs. n. 42/2004 per una rimessa attrezzi (da considerarsi interrata perché ricoperta di terreno) e muri di contenimento per lo stoccaggio di derrate agricole, trattandosi di opere realizzate in area vincolata ai sensi dell’art. 136, lett. c) e d), del citato D.Lgs. n. 42/2004 e per effetto del DPGRM 2/9/1980 n. 23965. Il Comune trasmetteva poi la richiesta alla Provincia di Ascoli Piceno (competente al rilascio dell’autorizzazione) che, a sua volta, chiedeva il prescritto parere della Soprintendenza. Questa esprimeva parere negativo confermato dalla Commissione Regionale per il patrimonio culturale presso Segreteria Regionale del MIC per le Marche. Dopo la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda, la Provincia di Ascoli Piceno adottava il provvedimento di diniego oggetto dell’odierno gravame insieme al presupposto parere negativo espresso dalla Soprintendenza considerato vincolante dall’amministrazione provinciale. Il diniego si fonda sulla ritenuta riconducibilità delle opere in questione a quelle non sanabili ex art. 167, comma 4, lett. a) del D.Lgs. n. 42/2004 (lavori realizzati in assenza dell'autorizzazione paesaggistica che abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati). Si è costituita in giudizio la sola amministrazione statale. 2. Con il primo motivo, rivolto contro il parere negativo espresso dalla Soprintendenza, viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della Legge n. 241/1990, nonché eccesso di potere sotto svariati profili. In particolare viene dedotto che la Soprintendenza si limita a sostenere che l’intervento comporta aumento di volume ma senza darne le ragioni, rendendo così un parere con motivazione generica che non spiega perché un edificio completamente ricoperto di terreno comporti alterazione del paesaggio. In realtà trattasi di volume completamente interrato che non incide assolutamente sulla percezione del paesaggio. La censura non può trovare condivisione. Al riguardo va osservato che il parere espresso dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata, del 15/11/2023 prot. (…), descrive chiaramente il manufatto in questione, ovvero “accessorio agricolo interrato per rimessa attrezzi, di circa 78 mq., realizzato in struttura mista in c.a. blocchi laterizio, avente altezza max di mt. 2,50 circa; tale manufatto è stato completamente rinterrato nel suo perimetro con angolo di naturale declivio di circa 35°, ivi compreso la coltre di terriccio sulla copertura piana. L’accesso avviene in trincea con apertura di circa mt. 3,00 con apposizione di vaschette in calcestruzzo colore grigio denominate <muro fiorito>”. Per tali ragioni è stato ritenuto che le opere “hanno comportato un aumento del volume legittimamente assentito”. A giudizio del Collegio non si può quindi sostenere, come deduce parte ricorrente, che detto parere risulti del tutto immotivato. Peraltro va osservato che dal predetto parere traspare chiaramente l’intento elusivo, del divieto di accertamento postumo della compatibilità paesaggistica ex art. 167, comma 4, lett. a), del D.Lgs. n. 42/2024, perseguito attraverso il rinterro artificiale, cioè ricoprendo interamente di terreno una costruzione fuori terra realizzata sopra il piano originario di campagna. Anche se questa sorta di “escamotage” può aver dato luogo ad un volume oggi interrato (ovvero, più precisamente, ricoperto con terreno di riporto), la percezione del paesaggio è stata comunque alterata poiché dove prima c’era un’area piana ora c’è una collinetta, così come si nota chiaramente dalla documentazione fotografica versata in atti (cfr. Allegato 010 - deposito Comune 23/4/2024). Non si può inoltre sostenere che trattasi di volume completamente interrato (cioè ricoperto di terreno), poiché nelle citate fotografie è ben visibile l’accesso con un lato completamente fuori terra e due muri di contenimento del terreno laterale per mascherare la restante parte dell’edificio. 3. Con il secondo motivo viene dedotto eccesso di potere e travisamento dell’art. 167, comma 4, lett. a), del D.Lgs. n. 42/2024. In particolare viene dedotto che, nella procedura in esame, il parere della Soprintendenza non era necessario perché si tratta di un piccolo edificio in zona agricola ricoperto con i materiali del luogo e, in ogni caso, non era un parere che la Provincia di Ascoli Piceno poteva considerare vincolante, mantenendo inalterata la propria discrezionalità. Questa censura va dichiarata inammissibile, come preannunciato alle parti, ex art. 73, comma 3, del c.p.a., con l’ordinanza di questo Tribunale Sez. I, 21/3/2024 n. 53, perché vengono mosse contestazioni all’operato della Provincia di Ascoli Piceno che non è stata tuttavia evocata giudizio. 4. Con il terzo e ultimo motivo viene dedotto eccesso di potere e travisamento delle norme applicate in relazione al buon andamento della pubblica amministrazione. In particolare viene dedotto che non poteva essere applicata la Circolare n. 38 del 4/9/2023 del Segretario generale del Ministero della Cultura volta a riformulare la Circolare n. 33 del 26/6/2009 perché l’istanza di sanatoria era stata presentata in data antecedente cioè il 17/7/2020. Andava quindi applicata la precedente Circolare più permissiva in materia di volumi tecnici. Anche quest’ultima censura va disattesa dovendosi applicare il principio “tempus regit actum” alla data del provvedimento qualora non sussistano specifiche disposizioni transitorie che fanno salve le discipline alla data della domanda. 5. Le spese di giudizio possono tuttavia essere compensate per ragioni equitative. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe con riferimento al secondo motivo di gravame e lo respinge per quanto riguarda i restanti motivi. Spese compensate. La presente sentenza sarà eseguita dall'Autorità amministrativa ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele, Presidente Gianluca Morri, Consigliere, Estensore Tommaso Capitanio, Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1258 del 2022, proposto da Pi. Cu. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Ma. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Università degli Studi di Bari, Università degli Studi di Bologna, Università degli Studi di Brescia, Università degli Studi di Cagliari, Università degli Studi di Catania, Università degli Studi di Catanzaro "Magna Graecia", Università degli Studi di Chieti - "G. D'Annunzio", Università degli Studi di del Molise, Università degli Studi di Ferrara, Università degli Studi di Firenze, Università degli Studi di Foggia, Università degli Studi di Genova, Università degli Studi di L'Aquila, Università degli Studi di Messina, Università degli Studi di Milano, Università degli Studi di Milano Bicocca, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Università degli Studi di Napoli "Federico II", Università degli Studi di Napoli Luigi Vanvitelli, Università degli Studi di Palermo, Università degli Studi di Pavia, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi di Pisa, Università degli Studi di Politecnica delle Marche, Università degli Studi di Roma "La Sapienza" Policlinico, Università degli Studi di Roma "La Sapienza" Polo Pontino, Università degli Studi di Roma "La Sapienza" S. Andrea, Università degli Studi di Roma - "Tor Vergata", Università degli Studi di Salerno, Università degli Studi di Sassari, Università degli Studi di Siena, Università degli Studi di Torino, Università degli Studi di Trieste, Università degli Studi di Udine, Università degli Studi di Varese "Insubria", Università degli Studi di Vercelli "Avogadro", Università degli Studi di Verona, in persona del rispettivo Rettore pro tempore, non costituito in giudizio; Ministero dell'Istruzione, in persona del Ministro pro tempore, e Ministero dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...); Università degli Studi di Padova, in persona del Rettore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ro. To., Sa. Vi. e Ma. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ro. Ni. ed altri, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione Terza, n. 7084/2021, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione e del Ministero dell'Università e della Ricerca e della Università degli Studi di Padova; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2023 il Cons. Daniela Di Carlo; Udito l'avvocato Sabrina Visentin per l'Università degli Studi di Padova; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso n. 15365/2028, proposto dinanzi al Tar del Lazio, sede di Roma, un elevato numero di soggetti (precisamente, si è trattato di novantasei ricorrenti) hanno impugnato la graduatoria nazionale di merito nella parte in cui li ha esclusi dall'accesso al corso di laurea a numero programmato in medicina e chirurgia e in odontoiatria e protesi dentaria per l'anno accademico 2018/2019, non essendosi i medesimi collocati in posizione utile ai fini dell'ammissione. Inoltre, i ricorrenti hanno impugnato i seguenti ulteriori atti relativi alla medesima procedura: - i decreti-bandi, emanati dal Rettore dell'Università indicata in epigrafe, con il quale è stato istituito il numero programmato, per l'anno accademico 2018/2019, nonché, ove occorra, tutti i provvedimenti in essi richiamati e/o menzionati ovvero delle pregresse relative delibere, non conosciute, adottate dagli organi accademici competenti (Consiglio di Facoltà, Senato Accademico, Consiglio di amministrazione dell'Ateneo de quo, C.U.N.); - le disposizioni interministeriali del 2018, recanti "Procedure per l'accesso degli studenti stranieri richiedenti visto ai corsi di formazione superiore del 2018-2019", nonché, ove occorra, i relativi allegati e i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - il Decreto Ministeriale del 26 aprile 2018 n. 337, recante Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico ad accesso programmato nazionale a.a. 2018/2019, nonché, ove occorra, i relativi allegati e i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - il decreto Ministeriale del 14 maggio 2018 n. 385, recante Modalità e contenuti della prova di ammissione al corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia in lingua inglese a.a. 2018-2019, nonché, ove occorra, i relativi allegati e i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - gli atti e provvedimenti, non conosciuti, con i quali gli atenei indicati in epigrafe hanno accertato la potenziale offerta formativa di ciascuno di essi, in ragione delle effettive capacità ricettive e didattiche, così come svolta e comunicata al ministero per i corsi in Odontoiatria e Protesi Dentaria e Medicina e Chirurgia a.a. 2018/2019, nonché, ove occorra, i relativi allegati e di tutti i provvedimenti in esso richiamati e/o menzionati; - il Decreto Ministeriale n. 523 del 28 giugno 2018, avente ad oggetto Programmazione dei posti disponibili per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Odontoiatria e Protesi Dentaria a.a.2018/2019, nonché, ove occorra, i relativi allegati e i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - il Decreto Interministeriale n. 524 del 28 giugno 2018, recante Definizione dei posti disponibili per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e Chirurgia a.a. 2018/2019, nonché, ove occorra, i relativi allegati e i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - il Decreto del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca con il quale è stata costituita la Commissione incaricata della validazione dei quesiti per le prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato nazionale per l'anno accademico 2018/2019, nonché, ove occorra, i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - il provvedimento della predetta Commissione con il quale sono stati definiti ed approvati i quesiti per le prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato nazionale per l'anno accademico 2018/2019, nonché, ove occorra, i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - ove esistano, i verbali e gli atti relativi all'espletamento della prova selettiva presso l'ateneo indicato in epigrafe, nonché, ove occorra, i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, anche se non conosciuto. 2. A sostegno del ricorso, formulavano otto motivi di gravame, così di seguito riportati: I. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.) Violazione e falsa applicazione della Legge n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) - Violazione e Falsa applicazione Direttive n. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE - Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione art. 1 L. 910/1969 - Violazione e falsa applicazione L. 9 maggio 1989 n. 168 (autonomia universitaria) - Mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti - Eccesso di potere - illogicità - sviamento (per carente od insufficiente motivazione) - Violazione del giusto procedimento per carenza di adeguata attività istruttoria - T.A.R. del Lazio, Sezione III bis, sentenza n. 2788/09 - Segnalazione, pubblicata in data 21 aprile 2009, da parte della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Osservazioni in merito alle modalità di individuazione del numero chiuso per l'accesso ai corsi di laurea in odontoiatria); II. Violazione artt. 3, 33, 34 e 97 Cost. - Violazione dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell'Amministrazione. - Violazione del principio dell'anonimato. Eccesso di potere per carenza di contestualità, trasparenza e par condicio; III. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 33 e 34 Cost. - artt. 3 L. n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) - Violazione e falsa applicazione della Direttiva 93/16/CEE - Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 del Decreto ministeriale 21 luglio 1997, n. 245 (in Gazz. Uff., 29 luglio, n. 175). - Mancanza degli atti presupposti. Eccesso di potere - illogicità - sviamento (per carente od insufficiente motivazione) - Violazione del giusto procedimento; IV. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.) Violazione e falsa applicazione della Legge n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) - Violazione e Falsa applicazione Direttive n. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE - Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione art. 1 L. 910/1969 - Violazione e falsa applicazione L. 9 maggio 1989 n. 168 (autonomia universitaria) - Mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti - Eccesso di potere - illogicità - Violazione del giusto procedimento; V. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.) Violazione e falsa 17 applicazione della Legge n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) - Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione art. 1 L. 910/1969 - Violazione e Falsa applicazione Direttive n. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE - Mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti - Eccesso di potere - illogicità - Violazione del giusto procedimento; VI. Violazione artt. 3, 33, 34 e 97 Cost. - Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione della Direttiva 93/16/CEE - Eccesso di potere - illogicità - Violazione del giusto procedimento. - Violazione dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione. - Eccesso di potere per carenza di par condicio e trasparenza; VII. Violazione artt. 3, 24, 33, 34 e 97 Cost. - Violazione e falsa applicazione Legge 23 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione Legge. n. 264 del 2 agosto 1999 - Violazione e falsa applicazione Decreto Ministeriale 28 giugno 2012 n. 196 - Violazione dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione. - Eccesso di potere per carenza di trasparenza e par condicio; VIII. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.) Violazione e falsa applicazione della Legge n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) - Violazione e Falsa applicazione Direttive n. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE - Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione art. 1 L. 910/1969 - Violazione e falsa applicazione L. 9 maggio 1989 n. 168 (autonomia universitaria) - Mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti - Eccesso di potere - illogicità - sviamento (per carente od insufficiente motivazione)". 3. Concludevano, dunque, con la richiesta di annullamento degli atti gravati e conseguente ammissione al corso di laurea indicato come prima opzione e, in via graduata, a quelli corrispondenti alle opzioni successive, domandando in ogni caso il risarcimento per equivalente dei danni subiti. 4. Il Tar del Lazio, Roma, con la sentenza di cui all'epigrafe, ritenendo fondata l'eccezione sollevata nelle memorie difensive delle Amministrazioni resistenti, come già peraltro rilevato nella propria ordinanza cautelare n. 3447/2019, ha dichiarato inammissibile il ricorso (tuttavia compensando fra le parti le spese di lite), in considerazione della mancanza dei requisiti per la sua proposizione in forma collettiva, da rinvenire: I) nell'assenza di una conflittualità di interessi, anche soltanto potenziale, per effetto della quale l'accoglimento della domanda di alcuni ricorrenti sarebbe incompatibile con l'accoglimento di quelle degli altri; II) nell'identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo necessario che le domande siano identiche nell'oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che siano censurati per gli stessi motivi. In particolare, nel caso all'esame, il Tar ha ritenuto che "Emerge, infatti, dagli atti di causa che il gravame proposto riunisce un numero molto elevato di soggetti (quasi un centinaio di candidati) con punteggi assai disparati (che vanno da un massimo di 42,9 a un minimo di 20) e conseguenti posizioni in graduatoria del tutto diversificate, includendo altresì soggetti che risultano decaduti dalla graduatoria per mancata conferma (entro il prescritto termine) dell'interesse a permanervi (cfr. sul punto la relazione del MUR depositata in data 26 maggio 2020), venendo quindi i soggetti ricorrenti a trovarsi in posizione di potenziale conflittualità .". 5. Nel gravame gli appellanti, dopo aver preliminarmente sostenuto, al punto A, l'ammissibilità del ricorso collettivo, al punto B hanno riproposto pedissequamente le censure già dedotte in primo grado (e non esaminate dal T.A.R), concludendo: I) in via principale, per l'ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, o in Odontoiatria e Protesi Dentaria, presso l'Università indicata da ciascuno di essi come prima scelta, o in alternativa presso gli altri Atenei via via indicati, o, infine, in quelli dove ogni singolo appellante sarebbe potuto entrare, in base al punteggio conseguito; II) in subordine, per la declaratoria dell'illegittimità e dell'erroneità dell'indicazione del numero di posti disponibili, con il conseguente adeguamento degli stessi alle effettive capacità ricettive degli Atenei e il relativo ulteriore scorrimento della graduatoria; III) in ulteriore subordine, per la declaratoria di illegittimità della mancata copertura di tutti i posti disponibili originariamente indicati dagli Atenei e dal Ministero, con il conseguente scorrimento della graduatoria; IV) da ultimo, in via ancora subordinata, per l'annullamento della graduatoria e dell'intera procedura selettiva; V) in ogni caso, per la condanna delle Amministrazioni resistenti al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi, con liquidazione del danno conseguente alla mancata e/o ritardata iscrizione e al correlativo mancato o ritardato ingresso nel mondo del lavoro. 6. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'Università e della Ricerca e il Ministero dell'istruzione, depositando successivamente una relazione del Segretariato Generale dello stesso Ministero e documentazione sui fatti di causa. 7. Con ordinanza n. 1701/2022, il Collegio ha dato atto della dichiarazione di parte appellante che, con istanza depositata in data 6 aprile 2022, ha chiesto la cancellazione della causa dal ruolo delle sospensive per non avere mai formulato la relativa domanda incidentale nel ricorso in appello. 8. Con successiva ordinanza interlocutoria n. 8276/2022, il Collegio ha ritenuto necessario procedere ad un approfondimento istruttorio per chiarire la specifica posizione in cui si trovano tutti gli originari ricorrenti, e cioè : a) se essi sono o meno iscritti ad un corso di studi, se e quali esami abbiano sostenuto e con quale profitto rispetto ai crediti formativi, anche rispetto all'orientamento seguito dalla Sezione sui limiti dell'applicazione del principio del consolidamento (così Consiglio di Stato, Sezione VII, n° 2856/2022, 2857/2022, 2858/2022, 2859/2022, 3357 del 27 aprile 2022; da ultimo, n. 7159/2022); b) se sussiste l'interesse alla decisione del gravame. 9. Parte appellante ha ottemperato all'incombente istruttorio in data 25 novembre 2022. 10. Con istanza del 30 marzo 2023, si è invece dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso limitatamente alla posizione di Ma. Fa.. 11. All'udienza pubblica del 3 maggio 2023 il Collegio ha trattenuto la causa in decisione. 12. In via preliminare va esaminata l'eccezione sollevata dall'Università degli Studi di Padova circa il difetto della propria legittimazione passiva, attesa la necessità di instaura correttamente il contraddittorio processuale fra tutte le parti del giudizio. L'eccezione è fondata e va dunque accolta, in quanto nessuno dei ricorrenti ha svolto la prova preselettiva di ammissione presso l'Ateneo di Padova, né alcuna delle censure risulta direttamente collegabile all'operato di questa Amministrazione. Di conseguenza, l'Università degli Studi di Padova va estromessa dal giudizio. 13. Ancora in via preliminare, va dato atto della dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del gravame da parte della signora Ma. Fa.: per questa, pertanto, il giudizio di appello va dichiarato improcedibile. 14. Passando agli altri appellanti, osserva il Collegio che non vi sono ragioni per discostarsi dalle decisioni assunte di recente dalla Sezione in contenziosi analoghi, le cui motivazioni vanno pertanto condivise e richiamate quali precedenti specifici e conformi ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d), c.p.a. (Consiglio di Stato, Sezione VII, sentenze nn. 3979, 3980, 3981 del 19 aprile 2023; n. 4007 del 20 aprile 2023). Più in particolare, nelle menzionate sentenze si fa riferimento al fatto che le censure contenute nel gravame, le quali riproducono in modo pedissequo quelle formulate nel ricorso di primo grado, presentano molteplici profili di inammissibilità e di infondatezza, da cui si ricava che il predetto ricorso di primo grado è simmetricamente inammissibile e infondato. Detti profili sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli che pone l'odierno contenzioso. E segnatamente. 14.1. Con il primo motivo di gravame gli appellanti deducono le doglianze di: violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.); violazione e falsa applicazione della l. n. 264 del 2 agosto 1999; violazione e falsa applicazione delle direttive n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE, n. 82/76/CEE e n. 93/16/CEE; violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della l. n. 910/1969; violazione e falsa applicazione della l. n. 168 del 9 maggio 1999 sull'autonomia universitaria; eccesso di potere per illogicità, sviamento, carente o insufficiente motivazione; violazione del giusto procedimento per carenza di un'adeguata attività istruttoria; inosservanza della segnalazione pubblicata il 21 aprile 2009 dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (osservazioni sulle modalità di individuazione del numero chiuso per l'accesso ai corsi di laurea in Odontoiatria); eccesso di potere per difetto di adeguata istruttoria e di congrua motivazione in ordine alla determinazione del numero dei posti messi a concorso; eccesso di potere per irragionevolezza, difetto di motivazione e contraddittorietà tra provvedimenti. La censura è volta a lamentare la non corretta rilevazione delle capacità ricettive degli Atenei ed è inammissibile, in quanto "i ricorrenti si trovano in posizioni tra loro differenziate in ordine alla c.d. prova di resistenza, con riguardo, cioè, all'incremento di posti che consentirebbe a ciascuno di essi di collocarsi in posizione utile e di essere, perciò, ammesso al corso di laurea. Per questo verso, dunque, ha ragione il T.A.R. nel sottolineare la mancanza di omogeneità delle posizioni dei ricorrenti, tale da determinare l'inammissibilità (almeno in parte qua) del ricorso in forma collettiva (Consiglio di Stato, Sezione VII, sentenze nn. 3979, 3980, 3981 del 19 aprile 2023; n. 4007 del 20 aprile 2023, che a loro volta citano, ex plurimis, Id., Sezione VII, 29 novembre 2022, n. 10523; Sez. II, 23 febbraio 2021, n. 1569; Sez. VI, 18 febbraio 2015, n. 831; Sez. V, 24 agosto 2010 n. 5928; id., 11 dicembre 2008, n. 6162). Si rileva che, nel caso all'esame, il giudice di primo grado ha correttamente motivato anche in ordine alla circostanza di fatto secondo cui "il gravame proposto riunisce un numero molto elevato di soggetti (quasi un centinaio di candidati) con punteggi assai disparati (che vanno da un massimo di 42,9 a un minimo di 20) e conseguenti posizioni in graduatoria del tutto diversificate, includendo altresì soggetti che risultano decaduti dalla graduatoria per mancata conferma (entro il prescritto termine) dell'interesse a permanervi (cfr. sul punto la relazione del MUR depositata in data 26 maggio 2020), venendo quindi i soggetti ricorrenti a trovarsi in posizione di potenziale conflittualità .". 14.2. Con il secondo motivo gli appellanti formulano le doglianze di: violazione degli artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.; violazione dei principi di legalità, buon andamento e imparzialità dell'Amministrazione; violazione del principio dell'anonimato; eccesso di potere per carenza di contestualità, trasparenza e par condicio. In buona sostanza, nella censura in esame si lamenta che anche nei test preselettivi dell'anno accademico 2019/2020 si sarebbero verificate situazioni comportanti la violazione della segretezza dei quesiti e la diffusione di informazioni a studenti di altre sedi, tenuto conto che i quesiti sono uguali a livello nazionale e che il sistema previsto dall'art. 9 del d.m. del 17 aprile 2003 non sarebbe in grado di assicurare il rispetto dei principi di contestualità, trasparenza e par condicio, espressivi dei canoni costituzionali di legalità, buon andamento e imparzialità dell'Amministrazione. Nel dichiarare l'inammissibilità anche di questa censura, il Collegio si riporta alla distinzione operata dalla Sezione, nelle summenzionate sentenze, fra il profilo che mira ad ottenere la ripetizione tout court della prova (cd. interesse strumentale alla riedizione per ottenere una nuova chance di superare la preselezione), correttamente azionato dai ricorrenti nelle forme del ricorso collettivo, e il profilo concernente la genericità delle censure articolate, tale da incorrere nella declaratoria di inammissibilità, in quanto con esse si deducono "illazioni del tutto generiche, che non oltrepassano i limiti del "si dice" e sono prive di allegazioni concrete, nonché di idonei supporti probatori." (Più nel dettaglio: "La genericità della censura si coglie, ad es., nell'affermazione che "in molti Atenei" i plichi con gli elaborati dei candidati sarebbero stati consegnati aperti e sarebbe stato permesso di fare calcoli e prendere appunti sul foglio delle domande da consegnare, così consentendo l'inserimento di segni di riconoscimento, senza però che tale affermazione sia supportata dall'allegazione concreta di dove tali fatti si sarebbero verificati e che tantomeno sia fornito alcun indizio o elemento probatorio a sostegno dell'affermazione stessa. 4.4.1. Altrettanto generiche e prive di idoneo supporto probatorio sono poi le affermazioni in ordine a un mancato controllo capillare dei telefoni cellulari e alla mancanza nelle aule di esame di strumenti in grado di rilevarne la presenza, non essendo nemmeno specificato in quali Atenei tali omissioni si sarebbero verificate. Del pari generiche sono le allegazioni di ulteriori anomalie elencate nell'atto di appello (che anche per questo verso riproduce pedissequamente il ricorso di primo grado). Quanto al fatto che nella notte anteriore alla prova si sarebbero verificati picchi di ricerca sul motore di ricerca "Google" in relazione a taluni quesiti poi estratti nei test, si tratta di asserzione per la quale non è in alcun modo invocabile il fatto notorio, come adombrano i ricorrenti.)". 14.3. Con i successivi tre motivi di gravame (terzo, quarto e quinto) gli appellanti deducono le doglianze di: I) violazione e falsa applicazione di legge (artt. 33 e 34 Cost., art. 3 della l. n. 264/1999); violazione e falsa applicazione della direttiva n. 93/16/CEE; violazione e falsa applicazione dell'art. 2 del d.m. 21 luglio 1997, n. 245; mancanza degli atti presupposti; eccesso di potere per illogicità, sviamento e carente o insufficiente motivazione; violazione del giusto procedimento; II) violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.); violazione e falsa applicazione della l. n. 264/1999; violazione e falsa applicazione delle direttive n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE, n. 82/76/CEE e n. 93/16/CEE; violazione e falsa applicazione della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della l. n. 910/1969; violazione e falsa applicazione della l. n. 168/1999; mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti; eccesso di potere per illogicità ; violazione del giusto procedimento; III) violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.); violazione e falsa applicazione della l. n. 264/1999; violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della l. n. 910/1969; violazione e falsa applicazione delle direttive n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE, n. 82/76/CEE e n. 93/16/CEE; mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti; eccesso di potere per illogicità ; violazione del giusto procedimento; eccesso di potere per disparità di trattamento. Nella sostanza, si contestano: i) l'illegittimità di una graduatoria unica nazionale; ii) la violazione della riserva di legge sulla programmazione degli accessi ai corsi universitari, fissata con atti amministrativi; iii) la sottrazione allo studente della possibilità di scegliere corso di laurea e Ateneo. Ad avviso del Collegio, anche i detti motivi non superano la soglia dell'ammissibilità, per un triplice ordine di motivi: in primo luogo, come si è già detto, per mancanza di omogeneità fra le posizioni dei ricorrenti; in secondo luogo, per carenza di interesse alla proposizione delle censure, attesa la diversa articolazione della c.d. prova di resistenza, che, comunque sia, nessuno dei ricorrenti ha fornito, e che dà piuttosto conto, in generale, della divergenza delle posizioni tra i medesimi; infine, non va sottovalutato che fra i ricorrenti vi sono pure soggetti che risultano decaduti dalla graduatoria per mancata conferma entro il prescritto termine dell'interesse a permanervi. Inoltre, vanno condivise le considerazioni già espresse dalla Sezione nei richiamati precedenti, secondo cui "non si comprende, inoltre, quale beneficio i ricorrenti otterrebbero da un eventuale accoglimento di uno o più dei motivi in esame, visto quanto detto sopra circa la loro posizione assai deteriore rispetto agli ultimi tra gli ammessi e tenuto conto che non vi è alcuna prova che una differente modellazione della graduatoria (non più su base nazionale), una diversa individuazione degli atti a cui conferire la programmazione degli accessi, o diverse modalità (neppure ben precisate) di scelta dell'Ateneo cui iscriversi, avrebbero consentito ai ricorrenti stessi di collocarsi in posizione utile per essere ammessi al corso di laurea prescelto.". 14.4. Il sesto motivo deduce le censure di: violazione degli artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.; violazione e falsa applicazione della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione della direttiva n. 93/16/CEE; eccesso di potere per illogicità ; violazione del giusto procedimento e dei principi di legalità, buon andamento e imparzialità dell'Amministrazione; eccesso di potere per carenza di par condicio e trasparenza. Gli appellanti si dolgono dell'inserimento nei test di accesso di domande di logica, in difetto di una norma che lo prevedesse, nonché dell'aumento delle domande di cultura generale, le quali non avrebbero nulla a che fare con il corso di studi da intraprendere. Aggiungono che non vi sarebbe un criterio oggettivo e/o assoluto per stabilire se una risposta possa considerarsi arbitraria, o più o meno probabile e che anzi alcune delle domande oggetto della selezione sarebbero risultate con una risposta errata, o comunque dubbia. Da ultimo, lamentano che molti dei quesiti coinciderebbero con quelli presenti in "Ar.", "Al." ed "Ed.", da cui il CINECA li avrebbe estratti, sicché gli studenti che hanno acquisito e memorizzato le relative domande sarebbero risultati avvantaggiati in modo ingiusto, non potendosi ammettere che la coincidenza tra i quesiti ministeriali e alcuni testi commerciali porti alla possibile previa conoscibilità dei quesiti stessi. Il motivo è in parte inammissibile e per il resto infondato. In dettaglio, nei richiamati arresti si è motivato circa il fatto che "il motivo è inammissibile nella parte in cui censura lo spazio dato ai quesiti di logica e cultura generale, perché la doglianza è, anzitutto, troppo generica e comunque sconfina in valutazioni di merito, tenuto conto che la scelta delle domande da somministrare nelle procedure concorsuali è tipica espressione di discrezionalità dell'Amministrazione, sindacabile nei limiti della ragionevolezza e della congruità (C.d.S., Sez. IV, 29 novembre 2018, n. 6775; Sez. VI, 22 settembre 2015, n. 4432; id., 9 novembre 2010, n. 7984). Manca poi la c.d. prova di resistenza della possibilità di superare il test preselettivo qualora non vi fossero state le domande di logica o cultura generale (C.d.S., Sez. VII, 7 novembre 2022, n. 9768; Sez. III, 28 maggio 2020, n. 3376): prova che, invero, avrebbe potuto e dovuto essere fornita, dimostrando ad esempio che gli errori o le risposte "in bianco" attengono a questo tipo di quesiti. Più in generale, non vi è prova che le posizioni dei ricorrenti siano omogenee rispetto alla doglianza relativa alle domande di logica e cultura generale, sicché anche per questo verso difettano i requisiti per la proposizione del ricorso collettivo.". Di converso, sempre nei richiamati precedenti, il motivo si è ritenuto infondato nella parte in cui ci si è lamentati dell'esistenza di volumi contenenti i quesiti, in quanto "trattasi di censura non assistita da idoneo supporto probatorio: sul punto si sottolinea che nel precedente richiamato dagli appellanti (C.d.S., Sez. VI, ord. 4193 del 29 settembre 2017) il giudice ha concesso la cautela richiesta, essendovi "in atti documentazione da cui risulta in varia misura coincidenza tra i quesiti ministeriali ed alcuni testi commerciali". Né la censura in discorso può essere utilizzata per celare le eventuali lacune nella preparazione alla prova preselettiva, imputabili semmai all'auto-responsabilità dei candidati secondo il noto brocardo "imputet sibi".". 14.5. Ancora, con il settimo motivo gli appellanti formulano le doglianze di: violazione degli artt. 3, 24, 33, 34 e 97 Cost.; violazione e falsa applicazione della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione della l. n. 264/1999; violazione e falsa applicazione del d.m. 28 giugno 2012, n. 196; violazione dei principi di legalità, buon andamento e imparzialità dell'Amministrazione; eccesso di potere per carenza di trasparenza e di par condicio. Il motivo è finalizzato a rivendicare l'esigenza di conoscere quali siano stati il procedimento e le modalità di individuazione delle domande e delle risposte corrette, e, tra queste, delle risposte che avrebbero dovuto essere selezionate dal candidato per ottenere il punteggio massimo. A tale scopo si invoca la presa di visione di ogni e qualsiasi verbale della Commissione di esperti sull'attività da essa dispiegata, per consentire un controllo sui criteri applicati e sulle modalità seguite nella formulazione dei quesiti. Anche questo motivo è destituito di fondamento. Sempre nei richiamati precedenti, la Sezione ha escluso, per un verso, che si verta nell'ambito di un'istanza incidentale di accesso ex art. 116, comma 2, c.p.a. e che, anche laddove lo fosse, la medesima sarebbe inammissibile perché proposta per la prima volta in grado di appello; per un altro verso, invece, ha rilevato il carattere meramente esplorativo, e dunque inammissibile della censura, "non essendo neppure possibile comprendere quali siano i vizi dedotti attraverso essa, da cui sarebbe affetto l'operato della P.A.: il motivo, insomma, nella misura in cui intende far emergere non meglio precisate illegittimità che vizierebbero l'operato della Commissione chiamata a formulare i quesiti della prova preselettiva, si rivela meramente esplorativo e, perciò, inammissibile (C.d.S., Sez. II, 4 maggio 2022, n. 3483; Sez. V, 20 luglio 2016, n. 3280; Sez. III, 12 marzo 2015, n. 1286).". 14.6. Da ultimo, con l'ottavo motivo di gravame, gli appellanti deducono le doglianze di: violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.); violazione e falsa applicazione della l. n. 264/1999; violazione e falsa applicazione delle direttive nn. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE; violazione e falsa applicazione della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della l. n. 910/1969; violazione e falsa applicazione della l. n. 168/1999; mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti; eccesso di potere per illogicità, sviamento, carente o insufficiente motivazione. I ricorrenti lamentano l'illegittimità della disposizione che ha previsto la decadenza dalla graduatoria in caso di mancata conferma in via telematica di interesse alla stessa, poiché, avendo essi impugnato la mancata ammissione al corso e tutti gli atti concorsuali, sarebbe incontestabile il perdurare della loro volontà e del loro interesse all'ammissione al corso di laurea. La Sezione, con motivazione alla quale anche in questo caso ci si riporta integralmente, ha ritenuto la doglianza infondata per plurime considerazioni: i) in primo luogo, perché il meccanismo della conferma dell'interesse all'immatricolazione e la conseguente decadenza dalla graduatoria per il caso di mancata conferma risultano espressamente previsti dal bando (v. par. 10, lett. d), dell'allegato 2 al d.m. n. 277 del 2019) e dunque trattasi incombenti e oneri di cui i candidati hanno avuto o avrebbero dovuto avere, secondo diligenza, esatta conoscenza; ii) in secondo luogo, perché detto meccanismo è stato ritenuto dalla giurisprudenza adempimento non sproporzionato, né eccessivamente oneroso, né irragionevole, contemperando anzi le esigenze organizzative dell'Amministrazione al rapido aggiornamento della graduatoria con l'interesse dei singoli a permanervi stabilmente (C.d.S., Sez. VI, 8 febbraio 2022, n. 881; id., 31 gennaio 2022, n. 648; id., ord. 1° agosto 2018, n. 3672; id., ord. 4 agosto 2017, n. 3307). La giurisprudenza cautelare ha inoltre precisato che "non può ritenersi equipollente dell'adempimento richiesto la presentazione di ricorso giurisdizionale" (C.d.S., Sez. VI, ord. n. 3672/2018, cit.). 15. In definitiva, ad esclusione della ricorrente Ma. Fa., nei confronti della quale il ricorso va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, per tutti gli altri appellanti, pronunciando sull'appello, il ricorso di primo grado va dichiarato in parte inammissibile e per il resto va respinto. Di conseguenza, va respinta pure la conseguenziale domanda risarcitoria proposta, non essendosi riscontrato alcun elemento di illegittimità dell'operato delle Amministrazioni coinvolte. 16. Per tali appellanti le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore dei Ministeri costituiti (in solido fra di loro) e dell'Università degli Studi di Padova, irritualmente convenuta in giudizio, mentre non si fa luogo alla condanna alle spese nei confronti delle altre Università e dei controinteressati, in quanto non costituitisi in giudizio. Le spese di lite possono invece essere compensate nei riguardi della ricorrente Ma. Fa., attese le ragioni sottese alla declaratoria di improcedibilità del gravame. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto: a) estromette l'Università degli Studi di Padova dal giudizio per mancanza di legittimazione passiva; b) dichiara la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso da parte della signora Ma. Fa.; c) dichiara il ricorso di primo grado in parte inammissibile e per il resto lo respinge; d) compensa le spese del giudizio nei confronti della signora Ma. Fa.; e) condanna tutti gli altri ricorrenti alla refusione delle spese di lite per la complessiva somma di euro 3.000,00, di cui euro 1.500,00 in favore dell'Università degli Studi di Padova ed euro 1.500,00 in favore, in solido fra di loro, del Ministero dell'Istruzione e del Ministero dell'Università e della Ricerca. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere, Estensore Raffaello Sestini - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9742 del 2022, proposto dal Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati La. Am., Fi. Lu., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fi. Lu. in Roma, via (...); contro il sig. Gi. Gu., rappresentato e difeso dall'avvocato Is. Ma. St., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); il Ministero dell'economia e delle finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...); la società Ca. Co. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; nei confronti della Provincia di Ancona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Cl. Do., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Ancona, Strada di (...); della Agenzia del demanio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...); della Regione Marche, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio. per la riforma quanto riguarda il ricorso introduttivo: della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche (sezione prima) n. 00528/2022, del 20 settembre 2022, resa tra le parti; quanto al ricorso incidentale presentato da Ca. Co. s.r.l. per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale delle Marche 20 settembre 2022, n. 528. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del sig. Gi. Gu., della Provincia di Ancona, dell'Agenzia del demanio e del Ministero dell'economia e delle finanze; Visto l'atto di costituzione in giudizio di ed il ricorso incidentale proposto dal ricorrente incidentale Ca. Co. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il consigliere Giuseppe Rotondo; viste le conclusioni delle parti come da verbale; FATTO e DIRITTO 1. Il presente giudizio ha ad oggetto: a) la domanda di annullamento dei seguenti atti: - deliberazione del consiglio comunale di Senigallia 9 settembre 2003, n. 72, recante adozione della variante di tutela e valorizzazione della fascia litoranea (impugnata in primo grado con ricorso nrg 55/2004); - deliberazione del consiglio comunale di Senigallia 15 febbraio 2005, n. 24 recante "approvazione ai sensi dell'art. 26 e segg. della l.r. n. 34/1992" della "Variante di tutela e valorizzazione della fascia litoranea" (impugnata in primo grado con ricorso n. 534/2005); - deliberazione della giunta regionale delle Marche 8 febbraio 2005, n. 43 recante "parere favorevole con rilievi" alla suddetta variante al p.r.g. del Comune di (omissis) (impugnata in primo grado con ricorso n. 534/2005); - deliberazione consiliare 25 settembre 2002, n. 74, di approvazione del S.I.0. - Studio di inquadramento Operativo della zona costiera (impugnata in primo grado con ricorso n. 534/2005); - prescrizioni contenute nella pubblicazione EC., "Il campeggio ecologico e la riqualificazione ambientale della costa", riguardante, per una parte, il Comune di (omissis), ed in particolare, nell'ambito dell'attuazione della Variante sopraindicata, minuziosissime prescrizioni per l'esecuzione della stessa" (impugnata in primo grado con primo atto di motivi aggiunti al ricorso n. 534/2005); - deliberazione del consiglio comunale di Senigallia 8 novembre 2021, n. 95, recante approvazione della variante parziale al p.r.g. "Città Resiliente", con cui: i) sono stati revocati i precedenti atti di delocalizzazione ovvero di "spostamento" dell'attività nella zona CT4); sarebbe stata preclusa qualsiasi ulteriore volumetria nella zona BT11, disponendo che "Nelle BT11 del (omissis) sono ammessi esclusivamente interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo nonché di ristrutturazione edilizia, così come definiti dall'art. 3 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 - e s.m.i. e di consolidamento statico che non alterino il volume totale degli edifici" (atto impugnato in primo grado con secondo ricorso per motivi aggiunti al ricorso n. 534/2005); - decreto del Presidente della Provincia di Ancona, n. 71 del 13 luglio 2021 recante il parere favorevole con prescrizioni alla variante parziale (atto anch'esso impugnato con i secondi motivi aggiunti al ricorso n. 534/2005); b) la domanda di risarcimento danno per il pregiudizio economico subito in ragione della variante urbanistica, in relazione sia alla mutata destinazione d'uso dalla stessa impressa all'area che alla disposta delocalizzazione (spostamento) dell'attività turistico-ricettiva, che avrebbero leso l'affidamento riposto nel mantenimento dell'attività nella originaria area e nella capacità edificatoria già assentita dai titoli edilizi. 2. Questi gli aspetti principali della vicenda: a) il sig. Gi. Gu. (che agisce in giudizio in proprio e quale legale rappresentante della coc. Ca. Co. a r.I.) acquistò, insieme alla moglie, nel marzo del 2000, le quote della società "Ca. Co. a r.l." investendo nella sua ristrutturazione; ottenne la concessione per il rinnovo dei servizi (bar, ristorante, mini market, bungalow e servizi igienici) e poi l'autorizzazione nel 2001 per attività di pubblico esercizio (bar ristorante-pizzeria) e commercio in sede fissa; b) riferisce che nel mese di ottobre 2001 la società venne inserita, con decreto del Ministero delle attività produttive, nella contribuzione di cui alla legge n. 488/1992 ottenendo un contributo di lire 309.000.000 e l'erogazione di un terzo di esso per la realizzazione anche di un numero di bungalow, asseritamente realizzabili anche con il nuovo piano particolareggiato delle strutture turistico ricettive approvato nel gennaio 2002, pur riducendo la percentuale al 35%; c) nel giugno 2002 intervenne il SIO (studio di inquadramento operativo), approvato con delibera consiliare 25 settembre 2002, n. 74, che localizzò sull'area un nuovo polo alberghiero, per turismo itinerante degli ostelli, gite scolastiche, soggiorni vacanza per anziani, vasta ara di verde pubblico attrezzato; d) nel mese di ottobre 2002 anche la Regione concesse un contributo per ampliamento e ristrutturazione, con erogazione di una prima rata; e) nel mese di gennaio 2003 presentò domanda di concessione edilizia per i bungalow per la quale il Comune, nel marzo 2003, chiese documenti per il rilascio della concessione; f) nel mese di settembre 2003 venne adottata la variante di valorizzazione delle zone costiere - previo parere favorevole della Provincia - con la quale l'area dove si trova il campeggio fu destinata a Parco litoraneo naturalistico pubblico, con spostamento dell'attività, insieme a quelle degli altri 12 campeggi della zona, in zona CT4, oltre la Statale Adriatica, sotto l'A14 (art. 3 co. 4, delle n. t.a. della variante). 3. Il sig. Gu., nel dolersi della illegittima delocalizzazione del camping, fonte altresì di pregiudizi economici e patrimoniali, impugnava gli indicati provvedimenti (v. par. 1) innanzi al T.a.r. per le Marche, affidandosi a due separati ricorsi. 3.1. Con ricorso allibrato al nrg 55/2004, deduceva 13 motivi di gravame (estesi da pagina 16 a pagina 64 del ricorso), compendiato nella violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza assoluta. 3.2. Con ricorso allibrato al nrg 534/2005, deduceva, con ricorso principale, 20 motivi di gravame (estesi da pagina 7 a pagina 28 del ricorso); con primi motivi aggiunti, tre motivi di gravame (estesi da pagina 3 a pagina 5 del ricorso); con secondi motivi aggiunti, 3 motivi (estesi da pagina 4 a pagina 7 del ricorso), compendiati nella violazione di legge ed eccesso di potere. 3.3. In entrambi i ricorsi chiedeva, altresì, l'accertamento del diritto al risarcimento del danno per violazione dell'affidamento illegittimo risposto nella originaria localizzazione del camping (oggetto di delocalizzazione), nonché nel piano particolareggiato delle strutture turistico-ricettive approvato nel 1995 e modificato nel 2002, il quale avrebbe consentito ai campeggi esistenti di realizzare strutture ricettive "pesanti" (bungalows) per una superfice pari al 35% di quella delle piazzole di sosta esistenti: ove non approvata la variante, si sarebbe potuta ampliare la struttura preesistente mercé i titoli asseritamente già rilasciati. 3.4. Si costituivano nei rispettivi giudizi, per resistere, il Comune di (omissis) e la provincia di Ancona (quest'ultima solo nel ricorso n. 534/2005). 4. Il T.a.r. per le Marche, con sentenza n. 528 del 20 settembre 2022: - riuniva i ricorsi, ai sensi dell'art. 70 c.p.a.; - dichiarava inammissibili i motivi aggiunti depositati in data 13 marzo 2007, nell'ambito del ricorso n. 534/2005 R.G., avendo parte ricorrente impugnato un documento (la pubblicazione "EC.") "che non ha nemmeno natura di atto amministrativo"; - dichiarava improcedibili "le domande impugnatorie proposte avverso i provvedimenti di adozione e di approvazione definitiva della variante urbanistica del 2005" a seguito della sopravvenuta "variante approvata con deliberazione n. 95/2021" con la quale il Comune aveva "revocato le previsioni contenute nella variante 2005 a suo tempo contestate da parte ricorrente, ed in particolare la prevista delocalizzazione dei campeggi ricadenti nel Lungomare Italia e quindi anche del campeggio (omissis)"; - respingeva nel merito i secondi motivi aggiunti, depositati in data 24 marzo 2022 nell'ambito del ricorso n. 534/2005: l'unico vizio riconosciuto dal T.a.r. - preso a presupposto della condanna del Comune al risarcimento del danno - era quello della lesione, da parte della variante approvata nel 2005, dell'affidamento vantato dal Camping a realizzare i bungalow in base a non meglio precisati atti di assenso. In particolare, il Tar osservava che: i) "la variante del 2021 non è una variante c.d. puntuale, per cui viene meno l'argomento principale che potrebbe indurre il Tribunale a condividere il sospetto di parte ricorrente" (id est, sviamento di potere); ii) il Comune, sia pure dopo molti anni, ha condiviso l'assunto di parte ricorrente circa la irrealizzabilità della delocalizzazione dei campeggi, per cui in parte qua non può certo intravvedersi un eccesso di potere, ma semmai una doverosa presa d'atto di una situazione oggettiva; iii) la variante del 2021 non viola l'art. 12, commi 3 e 5, della l.r. Marche n. 9/2006, considerato che l'inciso (al comma 5) che " inizia con le parole "...solo in caso di avvenuto rilascio..." impedisce di accogliere la prospettazione del ricorrente, visto che nella specie non risulta che il Comune, prima dell'entrata in vigore della L.R. n. 9/2006, abbia autorizzato il camping (omissis) a realizzare bungalows in misura superiore al 25% della capacità ricettiva della struttura" ; iv) "La norma del comma 3, invece, non potrebbe essere interpretata nel senso che la possibilità di realizzazione di allestimenti stabili prevalga ex se sulle misure di tutela paesaggistica e ambientale che eventualmente interessino l'area in cui è ubicato un campeggio, perché ciò darebbe luogo alla sostanziale elusione del P.P.A.R. e delle prescrizioni urbanistiche più restrittive contenute nel p.r.g."; - accoglieva - previa reiezione delle eccezioni processuali - la domanda risarcitoria proposta con il ricorso n. 534/2005 R.G. (limitatamente all'interesse negativo e nei confronti del solo Comune di (omissis)), stante il ritenuto pregiudizio derivante dalla "indebita compressione dell'attività economica svolta da Ca. Co.", determinato dalla destinazione urbanistica (meno favorevole rispetto al p.p.r.s.r.) impressa dalla variante 2005 con vulnus del "legittimo affidamento circa la realizzabilità di taluni interventi rispetto ai quali erano stati già rilasciati i titoli autorizzativi (o erano state presentate le relative domande) ed erano stati ottenuti finanziamenti pubblici che il ricorrente ha dovuto restituire"; - in relazione al quantum, il T.a.r. riteneva di avvalersi dello strumento di cui all'art. 34, comma 4, c.p.a., ordinando al Comune di (omissis) di "formulare al ricorrente, entro 120 giorni dalla notifica o dalla comunicazione della presente sentenza, una proposta risarcitoria" che tenesse conto: i) delle spese sostenute dalla società Ca. Co. S.r.l. per la predisposizione del progetto relativo alla costruzione dei bungalows e delle spese connesse; ii) degli oneri finanziari che Ca. Co. S.r.l. ha dovuto sopportare in relazione all'obbligo di restituzione dei contributi pubblici percepiti in relazione al programma di ampliamento del campeggio (omissis); - compensava, infine, le spese dei giudizi. 5. Ha appellato il Comune di (omissis), che contesta il capo di sentenza recante l'accertamento del diritto al risarcimento del danno in favore del sig. Gu. per errore nei presupposti di fatto e di diritto. difetto dei presupposti per la condanna risarcitoria, motivazione illogica e contraddittoria. 5.1. Il Comune non ha impugnato, invece, i capi della sentenza che hanno respinto le plurime eccezioni di inammissibilità della domanda risarcitoria. 5.2. Si sono costituiti in giudizio, per resistere, l'Agenzia del demanio, il sig. Gi. Gu., in proprio e quale legale rappresentante in carica della soc. Ca. Co. a r.I., e la Provincia di Ancona. 6.2. Il sig. Gu., nelle dispiegate qualità, ha proposto appello incidentale avverso la sentenza del T.a.r., limitatamente ai capi di rigetto dei secondi motivi aggiunti e di parziale rigetto della domanda risarcitoria proposte nella domanda risarcitoria. 6.3. Il Comune di (omissis) e il sig. Gu. hanno depositato memorie conclusive, rispettivamente, in date 5 e 8 maggio 2023; il Comune di (omissis) anche memoria di replica in data 17 maggio 2023. 7. All'udienza dell'8 giugno 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione. 8. La vicenda controversa, nei termini perimetrati dalle parti nel presente giudizio d'appello, involge due ordini di questioni: a) l'esame della domanda di risarcimento del danno azionata dal sig. Gu. in relazione all'affidamento dallo stesso riposto nel mantenimento della originaria localizzazione del camping e del suo sfruttamento edificatorio asseritamente frustrato dalla variante urbanistica approvata con delibera c.c. 8 novembre 2021, n. 95 (oggetto dell'appello sia principale, proposto dal Comune di (omissis), che incidentale proposto dal sig. Gu.); b) l'esame di legittimità della variante urbanistica approvata dal Comune di (omissis) con delibera consiliare 8 novembre 2021, n. 95 (impugnata in primo grado con secondi motivi aggiunti al ricorso n. 534/2005 e oggetto del solo appello incidentale proposto dal sig. Gu.). 9. Il Collegio ritiene di iniziare la trattazione, per questioni di ordine logico-consequenziali, dall'appello incidentale col quale si avversano i capi di rigetto dei secondi motivi aggiunti proposti avverso la delibera c.c. di variante n. 95/2021. 10. L'appello incidentale è infondato. 11. Con la deliberazione del consiglio comunale 8 novembre 2021, n. 95, il Comune ha disposto la revoca delle disposizioni oggetto della variante zone costiere e il ripristino per le zone in questione della originaria destinazione a campeggi. In particolare, l'ente locale ha revocato le previsioni contenute nella variante 2005 di delocalizzazione dei campeggi ricadenti nel "Lungomare Italia" e quindi anche del campeggio (omissis), ampliando addirittura la possibilità degli interventi edilizi (estesi anche alla ristrutturazione). Il Comune si è così determinato poiché "a distanza di 20 anni non si è riusciti a dare concretezza alla previsione di trasferimento e le strutture ricettive a campeggio necessitano di norme che consentano interventi per riqualificare l'offerta esistente, che nella precarietà urbanistica attuale non sono possibili". Con specifico riferimento al punto "3.8. Valorizzazione urbana e demaniale del lungomare sud ed aree a parcheggio", il Comune ha abolito la destinazione F 8.3 e ha reintrodotto la destinazione BT11 relativa ai campeggi, riportando la destinazione alla situazione precedente rispetto al S.I.O. e alle deliberazioni del 2003, 2004 e 2005, relative appunto alla variante. Segnatamente, con la modifica dell'azzonamento urbanistico delle aree a campeggio sul (omissis) (da zona F8 per parchi litoranei - art. 20/h delle NTA di PRG a zona BT11 destinate a zone turistiche all'aria aperta - art. 16/j delle stesse NTA), si è ripristinata l'originaria allocazione rendendo legittima la permanenza dei campeggi esistenti, così accogliendosi le istanze degli operatori turistici che hanno potuto conservare le strutture esistenti di cui lamentavano l'illegittimo spostamento. Detto ripristino è avvenuto, inoltre, in termini di azzonamento di piano, ovvero mediante il riconoscimento di una destinazione urbanistica specifica che ha consentito il mantenimento dei campeggi esistenti sulle suddette aree. Modifiche, queste, che hanno dato risposta positiva alle esigenze degli operatori turistici e, per quanto qui rileva, della società (omissis). 12. In ogni caso e comunque, se anche fosse stata revocata in dubbio la legittimità delle previsioni di utilizzazione delle aree, rileverebbe in via dirimente la circostanza che la sopravvenuta disciplina edilizia delle aree in questione ha riconosciuto (in via innovativa rispetto alla normativa antecedente: variante generale al prg 1990-1997, variante di tutela e di valorizzazione della fascia litoranea 2003-2005) la possibilità, oltre che di interventi di "manutenzione ordinaria, straordinaria e adeguamenti igienico-sanitari", anche di "interventi di restauro e risanamento conservativo nonché ristrutturazione edilizia" ampliando così le categorie d'intervento. 13. In definitiva, la nuova variante, approvata con delibera c.c. n. 95/2021, ha riconosciuto agli operatori la destinazione urbanistica (BT11) compatibile con la permanenza dei campeggi sulle aree (così abbandonando il censurato spostamento), nonché ampliato la categoria degli interventi edilizi ammessi. 14. Poiché la nuova disciplina di piano regolatore ha revocato la precedente variante e ripristinato la destinazione a campeggio, correttamente il Ta.r. ha dichiarato la improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, dei ricorsi proposti avverso i provvedimenti di adozione e di approvazione definitiva della variante urbanistica del 2005, tanto a seguito della variante approvata con deliberazione n. 95/2021. 15. Le considerazioni appena svolte si sono rese necessarie per inquadrare la vicenda dal punto di vista della sua evoluzione fattuale e processuale, rilevante ai fini del successivo esame della domanda risarcitoria. 16. Spostando, ora, l'analisi sulla delibera consiliare n. 95/2021, il Collegio osserva che la stessa concerne la variante parziale (e non puntuale) al prg "Città Resiliente". 17. Con essa sono stati revocati i precedenti atti di delocalizzazione ovvero di "spostamento" dell'attività nella zona CT4) ed è stata ampliata la categoria degli interventi edilizi rispetto alla variante del 2005, confermandosi, rispetto a questa, la preclusione a qualsiasi incremento di volumetria nella zona BT11 ("Nelle BT11 del (omissis) sono ammessi esclusivamente interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo nonché di ristrutturazione edilizia, così come definiti dall'art. 3 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 - e s.m.i. e di consolidamento statico che non alterino il volume totale degli edifici"). 18. L'appellante incidentale ha contestato la variante in questione per i seguenti vizi-motivi: I)violazione dell'art. 2 della l.r. Marche 5 agosto 1992, n. 34 in combinato disposto con l'art. 12, comma 3, della l.r. Marche 11 luglio 2006 n. 9; violazione principi di pianificazione; inesistente motivazione: a) nel disporsi il divieto di qualsiasi nuova volumetria nella zona BT11, si viola il principio della doverosa equilibrata integrazione della tutela e valorizzazione delle risorse culturali, paesistiche e ambientali con le trasformazioni connesse agli indirizzi e programmi di sviluppo economico definiti dall'Ente regionale; b) la previsione di variante per cui "Nelle BT11 del (omissis) sono ammessi esclusivamente interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo nonché di ristrutturazione edilizia, così come definiti dall'art. 3 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 - e s.m.i. e di consolidamento statico che non alterino il volume totale degli edifici" viola la l.r. n. 9/2006 secondo cui "Nei campeggi è consentita la presenza di allestimenti stabili minimi installati a cura del gestore quali mezzi sussidiari di pernottamento, nel limite di una capacità ricettiva non superiore al venticinque per cento di quella complessiva dell'esercizio"; II) illegittimità derivata dall'illegittimità della variante al prg di tutela e valorizzazione della fascia litoranea del Comune di (omissis): l'odierna variante cancella la capacità edificatoria della zona in cui opera il campeggio ricorrente, senza operare alcuna differente ulteriore scelta urbanistica se non quella di cancellare pure le possibilità (recte l'imposizione) di trasferimento in area CT4 (sotto l'autostrada A14); III) violazione dell'art. 12, comma 5, lr. Marche 11 luglio 2006 n. 9; sviamento; risarcimento del danno: a) il divieto di nuove volumetrie, senza alcuna motivazione, oggi essendo stata pure abbandonata la finalità di trasferire i campeggi sotto l'autostrada, è evidentemente finalizzata a paralizzare l'azione giurisdizionale dei ricorrenti ed a privarli anche del risarcimento dei danni conseguenti all'adozione e perdurante mantenimento di una regolamentazione illegittima e lesiva dei diritti imprenditoriali degli stessi; b) laddove i ricorrenti avessero potuto edificare i bungalow impediti dall'adozione dei provvedimenti gravati, essi avrebbero potuto mantenerli, mentre oggi, ai sensi dell'art. 12, comma 5, l.r. n. 9/2006, non potranno comunque realizzarne più del 25%, imponendosi il risarcimento del danno per equivalente non solo per il lucro cessante per la ritardata edificabilità dei bungalow (e i danni emergenti per la perdita dei finanziamenti, ecc...), ma pure per la definitiva impossibilità di edificazione della quota tra il 25% tutt'oggi da consentirsi e quanto all'epoca conseguibile (ed illegittimamente precluso dalle resistenti). 19. I motivi, che possono scontare l'esame congiunto, sono infondati. 20. La società (omissis) lamenta, sostanzialmente, l'illegittimità della variante del 2021, in quanto opererebbe una indebita compressione della capacità edificatoria delle strutture ricettive in violazione dell'art. 12, comma 3, della l.r. n. 9/2006. 20.1. La suindicata disposizione prevede quanto segue: "Nei campeggi è consentita la presenza di allestimenti stabili minimi installati a cura del gestore quali mezzi sussidiari di pernottamento, nel limite di una capacità ricettiva non superiore al venticinque per cento di quella complessiva dell'esercizio". 20.2. La variante avrebbe illegittimamente pretermesso la possibilità di tale incremento volumetrico. 21. Il Collegio osserva che la variante urbanistica di cui alla delibera n. 95/2021 è coerente con il piano paesaggistico ambientale regionale, rispetto al quale rappresenta un livello di attuazione secondario della pianificazione territoriale, dal quale essa non può discostarsi né divergere, costituendo il p.p.a.r. la "carta fondamentale delle forme di tutela, valorizzazione ed uso del territorio marchigiano" (art. 2, comma 2, l.r. 5 agosto 1992, n. 34, recante "Norme in materia urbanistica, paesaggistica e di assetto del territorio") a cui il "sistema della pianificazione territoriale sovracomunale" si deve adeguare e coordinare" (art. 2, comma 3, l.r. citata). 22. Orbene, il piano regolatore generale del 1997, all'art. 35 - Litorali marini, qualificava la zona come "litoranea non urbanizzata" prescrivendo che "nell'ambito dei 300 mt. dalla linea di battigia, da intendersi assoggettata a tutela integrale, il p.r.g. prevede il divieto di nuovi insediamenti di espansione residenziale, ricettivi e produttivi e ammette solo interventi di riqualificazione urbanistica mediante la realizzazione di attrezzature scoperte da destinare a servizi pubblici, attività ricreative, impianti sportivi, nonché parchi e parcheggi alberati". La disciplina era coerente con i vincoli paesaggistici gravanti sulle aree in questione, imposti dal p.p.a.r. La disciplina urbanistica originaria, tuttavia, prendendo atto della presenza dei campeggi su dette aree vincolate paesaggisticamente, prevedeva (art. 3, comma 4, delle n. t.a. di p.r.g.) che: "i campeggi esistenti alla data di adozione della variante generale (delib. 60/90) possono essere assoggettati ad interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché adeguamenti igienico-sanitari, anche se rientranti in zone non specificatamente destinate a tale uso". La delibera di variante del 2005 (impugnata con i ricorsi di primo grado n. 55/2004 e n. 534/2005) previde il trasferimento dei camping dalle suddette aree ribadendosi che "su tutto il territorio comunale i campeggi esistenti alla data di adozione della variante generale (delib. 60/90) possono essere assoggettati ad interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché adeguamenti igienico-sanitari, anche se rientranti in zone non specificatamente destinate a tale uso". Le aree del lungomare, occupate dai campeggi, furono classificate come zona F8 - "parchi litoranei", così attribuendosi alle stesse una destinazione compatibile con l'uso pubblico naturalistico previsto dal piano paesistico ambientale regionale (PPAR) e dalla precedente variante al p.r.g. 1990-1997. Nella circostanza venne confermata, per i campeggi esistenti sul lungomare, la possibilità di eseguire solo interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché gli adeguamenti igienico-sanitari, allo stesso modo di come previsto dalla precedente variante generale al p.r.g. 1990-1997. Con la variante del 2021 è stata attribuita, infine, alle suindicate aree la classificazione BT11 che legittima la permanenza in esse dei campeggi, ampliandosi la categoria degli interventi edilizi ammissibili fino alla ristrutturazione edilizia e al consolidamento statico senza alterazione del volume totale degli edifici, ma confermando la preclusione agli interventi in contrasto con il piano paesaggistico ambientale regionale (p.p.a.r.: id est, incrementi di volumetrie e cubature). 23. La divisata variante ripete, dunque, i limiti edificatori inderogabili propri del p.p.a.r. ed è con questo coerente. 24. Il p.p.a.r. è stato, infatti, approvato dal consiglio regionale il 3 novembre 1989, con delibera n. 197, sulla base delle leggi 29 giugno 1939, n. 1497 e 8 agosto 1985, n. 431 (v. oggi art. 142 del d.lgs n. 42 del 2004). 24. Per quanto qui rileva, l'art. 32 delle n. t.a. del p.p.a.r. disciplina i "Litorali marini" stabilendo che "In tali ambiti si applica la tutela integrale" e inoltre che "Per la restante zona litoranea, nelle aree comprese in una fascia profonda 300 mt. dalla linea di battigia, sono vietati... nuovi insediamenti di espansione residenziale, ricettiva e produttiva, mentre sono ammessi interventi di riqualificazione urbanistica: servizi pubblici, attività ricreativa, parchi, parcheggi, impianti sportivi e simili". 25. Il successivo art. 62 delle n. t.a. del p.p.a.r. dispone, altresì, che: "Fino all'adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti alle previsioni del presente Piano, deve essere garantita la puntuale osservanza delle prescrizioni di base di cui al precedente articolo 3, lettera c). Pertanto, nell'istruttoria per il rilascio delle concessioni edilizie, deve essere preliminarmente accertato se l'opera ricade: a - in un ambito di tutela di una categoria costitutiva del paesaggio; b - in un sottosistema territoriale denominato A, B, O e V. La concessione può essere rilasciata solo se l'opera non contrasta con disposizioni del presente Piano aventi efficacia immediatamente vincolante ai sensi del comma 3 dell'articolo 10 della L.R. 8 giugno 1987, n. 26 e del precedente articolo 3, lettera c), che risultino applicabili per effetto del verificarsi delle condizioni ubicazionali sopraindicate. Correlativamente, poiché le disposizioni del presente Piano indicate al comma precedente prevalgono su disposizioni da esse difformi degli strumenti urbanistici, le domande di concessione edilizia per opere conformi allo strumento urbanistico ma non coerenti con le anzidette disposizioni del presente Piano, non sono suscettibili di dar luogo, secondo le norme di legge vigenti, alla formazione del silenzio-assenso". 26. L'art. 3, lett. c, richiamato dall'art. 62, a sua volta disciplina la "Efficacia del Piano" stabilendo (appunto alla lettera c) che: "Le disposizioni del presente Piano si distinguono in: "Prescrizioni di base sia transitorie sia permanenti, immediatamente vincolanti per qualsiasi soggetto pubblico o privato, e prevalenti nei confronti di tutti gli strumenti di pianificazione e programmazione vigenti (articolo 10, comma 2 e comma 3 della L.R. 8 giugno 1987, n. 26). Restano comunque salve le disposizioni più restrittive, ove previste dagli strumenti urbanistici vigenti e da leggi statali e regionali. Le prescrizioni di base permanenti, indicate per alcune delle categorie di paesaggio, debbono essere assunte come soglia minima ed inderogabile anche in sede di adeguamento degli strumenti urbanistici generali". 27. Le disposizioni normative sopra richiamate sono coerenti con i principi enucleati dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa, la quale ha avuto modo di ribadire costantemente che le norme dei piani paesaggistici rivestono carattere tassativo e inderogabile, in considerazione dei primari valori ambientali di rango costituzionale (art. 9 Cost.) dalle stesse tutelati. Non è consentita, pertanto, un'applicazione estensiva delle ipotesi normative di deroga al regime vincolistico, le quali sono da intendersi, quindi, di stretta e inderogabile interpretazione. 28. Chiarita la portata precettiva, tassativa e inderogabile delle norme del p.p.a.r. delle Marche, se ne possono trarre i seguenti corollari: a) il regime di tutela prevista dal suddetto piano è di stretta interpretazione; b) i piani paesistici o piani territoriali paesistici (strumenti di pianificazione equipollenti sul piano giuridico) prevalgono su tutti gli strumenti di pianificazione di tipo urbanistico (piano urbanistico comunale, piano regolatore generale, piano particolareggiato delle strutture ricettivo-turistiche, ecc.) e possono imporre limiti di carattere generale nonché puntuali prescrizioni immediatamente precettive per la tutela di valori ambientali e paesaggistici del territorio interessato (cfr Cons. Stato, Sez. IV, sentenza 18 maggio 2021, n. 3864; v. combinato disposto dell'art. 143, comma 9, con l'art. 145, comma 3°, del decreto legislativo n. 42/2004); c) la strumentazione urbanistica di secondo e terzo livello (id est, per quanto qui rileva, il piano particolareggiato delle strutture turistico-ricettive) non può, pertanto, derogare alle prescrizioni del p.p.a.r., ovvero potrebbe soltanto ampliare il regime di tutela (v. Cons. Stato, sez. IV, sent. 3 gennaio 2018, n. 32); d) altrettanto, per le stesse ragioni, la legislazione regionale che può solo fungere da strumento di ampliamento del livello della tutela del bene protetto e non all'inverso, poiché ciò comporterebbe una restrizione dell'ambito della tutela stessa, attraverso l'incremento della tipologia delle aree cui il regime vincolistico non si applica. 29. Consegue a tanto che l'art. 12, comma 3, della l.r. n. 6 del 2009 non può essere interpretato nel senso concessivo e derogatorio propinato dall'appellante incidentale. 30. Se il legislatore regionale, con la suindicata norma, avesse voluto, infatti, introdurre una deroga al regime vincolistico delle aree del litorale marino, ricadenti nella fascia di rispetto - nel senso, cioè, di consentire l'incremento volumetrico fino al 25% - avrebbe dovuto indicarlo espressamente, non potendosi, si ripete, in via interpretativa, restringere l'ambito di tutela accordato dal piano ai valori ambientali e paesaggistici del territorio interessato, in contrasto con le prescrizioni puntuali e tassative contenute nelle n. t.a. 31. Sotto un profilo più generale, la tesi dell'odierna appellante incidentale non può trovare accoglimento alla stregua dei principi elaborati dalla consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (ex plurimis, sez. IV, nn. 21 del 2023; 2460 del 2022; 603 del 2022; 3 luglio 2018, n. 4071; 6 ottobre 2017, n. 4660; 18 agosto 2017, n. 4037; Ad. plen. n. 24 del 1999) sui limiti della tutela delle aspettative edificatorie dei privati rispetto all'esercizio di poteri pianificatori ambientali e paesaggistici, secondo cui: i) le scelte di pianificazione sono espressione di un'amplissima valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità ; ii) anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione (c.d. polverizzazione della motivazione), oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione allo strumento urbanistico generale, a meno che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni; iii) con riferimento all'esercizio dei poteri pianificatori urbanistici, la tutela dell'affidamento è riservata ai seguenti casi eccezionali: a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona; b) pregresse convenzioni edificatorie già stipulate; c) giudicati (di annullamento di dinieghi edilizi o di silenzio rifiuto su domande di rilascio di titoli edilizi), recanti il riconoscimento del diritto di edificare; d) modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo; iv) una posizione di vantaggio (derivante da una convenzione urbanistica o da un giudicato) può essere riconosciuta (e quindi essere oggetto della tutela da parte del giudice amministrativo) quando abbia ad oggetto interessi oppositivi. 32. Acclarata la legittimità della delibera n. 95/2021, deve essere respinto l'appello incidentale. 33. Passando, ora, allo scrutinio della domanda risarcitoria (capo di sentenza impugnato separatamente da entrambi gli appellanti), il Collegio ritiene che la stessa (proposta in primo grado dalla società (omissis)) sia infondata e che, pertanto, in riforma del capo di sentenza impugnato, vada accolto l'appello principale proposto dal Comune di (omissis). 34. Come seguono le considerazioni del Collegio. 35. La acclarata legittimità degli atti impugnati esclude, in radice, la sussistenza del danno ingiusto. 36. La circostanza che il Comune non abbia mai rilasciato alcun titolo edilizio in esito alla domanda presentata dal sig. Gu., sulla quale costui fonda la pretesa dell'affidamento, esclude, altresì, la sussistenza di un danno da spettanza del bene della vita frustrata da sopravvenienze urbanistiche. 36.1. E invero, in atti non v'è traccia di titoli edilizi rilasciati dal Comune; sul punto il Tar ha dato per scontata una circostanza non verificata né comprovata ma solo dichiarata dal ricorrente. 36.2. Né la semplice domanda di rilascio del permesso di costruire (presentata il 13 gennaio 2003), pure valorizzata dal Ta.r., potrebbe fondare una aspettativa qualificata all'ottenimento del titolo edilizio. Tanto più che,l'iter con la stessa avviato aveva subito un arresto procedimentale a seguito della nota di riscontro inoltrata dal comune al sig. Gu. in data 17 marzo 2003, prot. 03/001784, part. Ed. 03/000/20, con la quale l'ufficio competente richiedeva la predisposizione e la produzione di precisi "documenti tecnici, organizzativi e sanitari" di carattere sostanziale per l'esito definitivamente favorevole della pratica: documenti che non risulta siano mai stati presentati dall'interessato. 37. Il riscontrato esercizio legittimo della potestà pianificatoria, unitamente alle generiche affermazioni circa un presunto, non comprovato, sviamento di potere escludono, inoltre, ogni ipotesi di colpa in capo all'amministrazione, il cui comportamento è stato diligente nella gestione della pratica edilizia (vedi tempistica di risposta) nonché orientato a soddisfare le aspettative dei gestori dei camping eliminando dalla pianificazione la delocalizzazione delle strutture che sono state mantenute presso il litorale con possibilità anche di migliorie edificatorie fino alla ristrutturazione edilizia. 38. La condotta dell'amministrazione, pertanto, non può essere qualificata come antigiuridica non ravvisandosi nella fattispecie la violazione di regole generali di condotta (id est, canoni di imparzialità, buon andamento, diligenza, leale collaborazione). 39. La colpa, infatti, deve essere inescusabile, ovvero non altrimenti giustificabile alla stregua della situazione di fatto con la quale, in concreto, gli agenti dell'amministrazione si sono dovuti confrontare. Insomma, non devono riscontrarsi esimenti che, invece, nel caso di specie, appaiono ragionevolmente identificabili nella (non scorretta) gestione del procedimento edilizio oltre che nelle motivazioni (insindacabili nel merito) sottese alla variante del 2021. 40. Il mancato incremento volumetrico lamentato dalla parte appellata in termini di pregiudizio economico, rappresenta lo sbocco, non già di una condotta illegittima del Comune bensì di una carenza di titoli edilizi, il cui mancato rilascio non è imputabile al Comune ratione temporis, bensì alla mancata integrazione documentale sollecita sin dal mese di aprile 2003 e in assenza della quale nessuna aspettativa qualificata poteva vantare la società alla edificazione, né all'utilizzo effettivo e legittimo del contributo. 41. Né la situazione in cui si è trovato il procedimento avrebbe potuto impedire o sospendere sine die l'esercizio dei poteri pianificatori (id est, approvazione della variante) funzionali al perseguimento dell'interesse pubblico. 42. La pretesa edificatoria fondata sul piano particolareggiato delle strutture turistico-ricettive non è, pertanto, assurta a livello di aspettativa qualificata, tanto più per la presenza degli stringenti vincoli imposti dalla superiore pianificazione ambientale e paesaggistica (p.p.a.r.) che ne imponevano la verifica di compatibilità . 43. L'inesistenza di titoli edilizi, idonei a consolidare un pregresso rapporto tra le parti e giustificare un ragionevole affidamento, unitamente all'approssimativo stato del procedimento amministrativo preordinato all'esame della domanda di rilascio dei medesimi (il Comune aveva richiesto integrazioni documentali rilevanti e sostanziali mai riscontrate dalla società ) escludono che il bene della vita potesse essere conseguito secondo il principio del "più probabile che non", come pure ogni possibilità di chance nel conseguimento dello stesso. 44. Ancor più, tenuto conto che la successiva adozione della variante di tutela e valorizzazione della fascia litoranea (impugnata in primo grado con ricorso nrg 55/2004) è intervenuta appena il 9 settembre 2003 allorquando il procedimento amministrativo volto all'esame della domanda di rilascio del permesso a costruire era in piena fase istruttoria, in attesa delle integrazioni richieste il 17 aprile 2003 mai adempiute. 45. Sulla insussistenza di alcuna delle eccezionali situazioni che configurano un affidamento del privato capace di orientare la futura attività pianificatoria del comune, il Collegio rinvia, più in generale, a quanto esposto al par. 31, punti iii), iv). 46. La condotta dell'amministrazione neppure può essere qualificata come antigiuridica, non ravvisandosi nella fattispecie, per quanto sopra chiarito, la violazione delle sopra indicate regole generali di condotta. 47. La colpa, infatti, deve essere inescusabile, ovvero non altrimenti giustificabile alla stregua della situazione di fatto con la quale, in concreto, i "funzionari" dell'amministrazione si sono dovuti confrontare. Insomma, non devono riscontrarsi esimenti che invece, nel caso di specie, appaiono ragionevolmente identificabili nella (non scorretta) gestione del procedimento edilizio oltre che nelle motivazioni (insindacabili nel merito) sottese alla variante del 2021. 48. La possibilità di successo (realizzazione di ulteriori bungalow con incrementi volumetrici del complesso turistico), alla stregua di quanto sopra argomentato, non ha raggiunto, pertanto, un livello minimo di probabilità e serietà, tale da inverare, sotto ulteriore profilo, il presupposto del danno ingiusto. 49. In conclusione, la domanda risarcitoria azionata in primo grado dal sig. Gu., e riproposta con l'appello incidentale, deve essere respinta. 50. In conclusione, per quanto sin qui argomentato: a) va accolto l'appello principale proposto dal Comune di (omissis) e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, va respinta la domanda risarcitoria proposta dal sig. Gi. Gu.; b) va respinto l'appello incidentale proposto dal sig. Gi. Gu.. 51. Le spese relative al doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti, in considerazione della complessità della controversia. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto: a) accoglie l'appello principale e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge la domanda risarcitoria proposta dal sig. Gi. Gu.; b) respinge l'appello incidentale. Compensa le spese del doppio grado di giudizio fra le parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Luca Lamberti - Consigliere Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Mo. Ce. Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8082 del 2021, proposto da Ge. Ce. e Mo. Ce., rappresentati e difesi dall'avvocato Ma. Di., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Lo. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Centrale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Regione Marche, Provincia di Ancona, non costituite in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche n. 495 del 2021. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e dell'Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Centrale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2023, il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti gli avvocati Ma. Di. e Va. Im., in sostituzione dell'avv. Lo. Mo.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La vicenda contenziosa attiene ad un insediamento abusivo risalente agli anni sessanta, composto da diverse strutture realizzate nel Comune di (omissis), località (omissis), tra il tracciato ferroviario Ancona - Bologna e la linea di costa, in corrispondenza della sinistra idrografica del fiume Es., in prossimità della foce. Il dante causa dei ricorrenti, proprietario di alcune delle dette costruzioni abusive, nel 1986, ha presentato diverse domande di condono edilizio ai sensi dell'art. 32 della legge n. 47 del 1985. Il Tar per la Marche, con la sentenza n. 1557 del 2008, ha accolto il ricorso proposto dagli interessati avverso il silenzio dell'Amministrazione comunale ed ha ordinato al Comune di (omissis) di concludere il procedimento entro il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza. L'Amministrazione comunale, con i provvedimenti del 10 agosto 2007, ha negato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria. Il Tar per le Marche, con la sentenza n. 495 del 19 giugno 2021, ha respinto il ricorso proposto avverso tali atti dai signori Graziano Cenci e Mo. Ce.. Di talché, i soccombenti hanno interposto il presente appello, articolando i seguenti motivi: La sentenza di prime cure non potrebbe essere condivisa laddove afferma che "prive di fondamento si rivelano innanzitutto le censure con cui i ricorrenti lamentano che il procedimento amministrativo avviato con le istanze di condono edilizio sarebbe stato erroneamente svolto e istruito come se si trattasse di una richiesta di sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/1985". L'Amministrazione, invece, avrebbe travisato la normativa applicabile alla fattispecie, atteso che i dinieghi del Comune, condividendo le indicazioni e le conclusioni del documento istruttorio, pongono a fondamento degli stessi anche la violazione della c.d. doppia conformità, dalla quale la disciplina del condono prescinde completamente. L'Autorità di Bacino Regionale avrebbe fatto riferimento alla realizzazione ex novo di alcuni manufatti, ossia alla realizzazione di nuove costruzioni che precedentemente non esistevano, mentre le stesse erano presenti nel luogo già da molto tempo. L'Amministrazione, a seguito della ricezione della documentazione presentata dai ricorrenti, ha avviato l'istruttoria mediante la redazione del relativo documento, mentre, in un momento successivo, sarebbe emerso che detto documento era stato redatto non in data 9 giugno2 007, ma in data 9 agosto 2007. L'area è stata classificata di pericolosità elevata per quanto concerne il rischio di esondazione solo nel 2004, mediante l'approvazione del Piano di Assetto Idrogeologico, nonostante le richieste di condono siano state presentate nel 1986 ed, essendo decorsi quasi vent'anni, avrebbero dovute essere già valutate dall'Amministrazione. In ogni caso, nonostante la ritenuta pericolosità dell'area, il PAI non avrebbe inibito l'edificazione nella zona in cui insistono i fabbricati oggetto della richiesta di condono. L'Amministrazione avrebbe dovuto effettuare in concreto una verifica di compatibilità tra l'opera che è stata realizzata e lo specifico valore che costituisce l'oggetto di tutela. In presenza di un vincolo relativo e sopravvenuto, l'unica condizione necessaria al fine di ottenere il condono sarebbe rappresentata da una valutazione di compatibilità da esprimere da parte dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo; ciò sarebbe correttamente avvenuto nella fattispecie, atteso che il Comune di (omissis) si è rivolto all'Autorità di Bacino che, per due volte, sentito il proprio Comitato Tecnico, si è espressa favorevolmente, per cui il Comune avrebbe dovuto accogliere le domande di condono. L'imposizione del vincolo di inedificabilità è sopravvenuto all'esecuzione delle opere e ciò determinerebbe l'illegittimità dei dinieghi. Il Piano di Recupero sarebbe stato approvato soltanto in un momento successivo, in data 11 aprile 2008 e, da quel momento in poi, sarebbe rimasto del tutto inattuato. Il Comune di (omissis) ha contestato la fondatezza delle censure dedotte, concludendo per il rigetto dell'appello. L'Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Centrale, con memoria di stile, si è costituita in giudizio per resistere all'appello. Gli appellanti hanno prodotto altre memorie, evidenziando in particolare come il parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo sarebbe stato espresso in senso favorevole. All'udienza pubblica del 4 aprile 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione. 2. L'appello è infondato e va di conseguenza respinto. 2.1. I dinieghi di permesso di costruire in sanatoria, al di là dell'indicazione della difformità sia alla normativa vigente al momento della presentazione della domanda sia a quella vigente al momento dell'adozione dell'atto, ha evidentemente concluso il procedimento ex art. 32 della legge n. 47 del 1985, al quale è fatto espresso riferimento negli atti, avviato su istanza di parte. L'art. 32 della legge n. 47 del 1985, rubricato "opere costruite su aree sottoposte a vincolo", stabilisce che: "Fatte salve le fattispecie previste dall'articolo 33, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso". Il Collegio ritiene non possa esservi dubbio sul fatto che l'Amministrazione comunale di Falconara Marittima abbia istruito e concluso un procedimento ai sensi del detto art. 32 della legge n. 47 del 1985, in quanto il diniego di rilascio del permesso di costruire in sanatoria è stato così motivato (si fa riferimento al provvedimento del 10 agosto 2007 prot. 3300, relativo alla pratica di condono n. 2716/86, ma anche gli altri recano sostanzialmente la stessa motivazione): - il manufatto abusivo è totalmente difforme sia alla normativa urbanistica vigente alla data della presentazione della domanda (PRG '74) sia a quella vigente oggi (PRG '99); - il manufatto ricade nel Piano di Recupero di iniziativa pubblica "località (omissis)" adottato con delibera di CC 21 dicembre 2005 n. 130 in corso di approvazione, alle cui prescrizioni risulta totalmente difforme; - all'epoca della sua realizzazione (data dichiarata 1966) non sussistevano sull'area interessata vincoli di alcun genere, mentre a far data dalla adozione del P.A.I. (DACR n. 300 del 29 febbraio 2000) la zona ricade tra quelle dichiarate ad altro rischio idrogeologico; - di conseguenza, ai sensi dell'art. 32 della legge 47/1985 (come modificato ed integrato dall'art. 32 comma 43 della legge n. 326/2003) il rilascio del provvedimento conclusivo è subordinato al parere dell'Ente preposto alla tutela del vincolo, nella fattispecie l'Autorità di Bacino Regionale; - l'Autorità regionale di Bacino ha espresso il parere di sua competenza comunicandolo con nota del 13 luglio 2007, pervenuta il 17 luglio 2007, e tale parere definisce le opere oggetto di sanatoria compatibili con la tutela del P.A.I. solo se realizzate in conformità e aderenza alle previsioni e prescrizioni del Piano di Recupero "località (omissis)", per il quale la stessa Autorità si è espressa favorevolmente; - accertato, come sopra specificato, che il manufatto oggetto della richiesta di sanatoria è totalmente difforme alle previsioni e prescrizioni del Piano di Recupero "località (omissis)". Di talché, a prescindere dal rilievo della "doppia difformità ", la valutazione è stata esattamente compiuta sulla base del disposto di cui all'art. 32 della legge n. 47 del 1985. 2.2. La circostanza, poi, che il vincolo sia sopravvenuto non solo all'esecuzione delle opere ma anche alla domanda di sanatoria mediante condono, non costituisce vizio di legittimità degli atti impugnati. La giurisprudenza, infatti, ha chiarito che, in caso di sopravvenienza del vincolo successivo alla domanda di condono, non si può ignorare lo stesso ai fini dell'istruttoria, per cui occorre ottenere il relativo parere favorevole. In argomento deve anzitutto essere richiamata la decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 20/1999, la quale si è pronunciata sulla questione se, ai fini del condono edilizio, sia necessario acquisire il parere dell'autorità tutoria anche per le opere abusive che insistono su aree sottoposte a vincolo dopo la loro realizzazione. L'Adunanza Plenaria, in particolare, ha affermato i seguenti principi: - l'uso dei participi passati "eseguite" e "sottoposte", nell'espressione "opere eseguite su aree sottoposte a vincolo", utilizzata dal legislatore nel primo comma dell'articolo 32 della L. 47/85, non rappresenta sicuro riferimento alla sola ipotesi di opera abusivamente costruita su area già gravata da vincolo nel momento della sua realizzazione; - la circostanza che, quando ha inteso considerare anche il vincolo sopravvenuto al compimento dell'opera, il legislatore lo ha fatto esplicitamente, come nell'art. 32, comma 4, non depone per una lettura in senso opposto della previsione che di tale specificazione é priva; al contrario, il silenzio mantenuto in proposito ben può essere significativo proprio dell'intento di non attribuire alcuna rilevanza al momento in cui il vincolo risulti imposto; - la specialità della normativa sul condono edilizio, attesa la sua natura derogatoria ed eccezionale, ne impone una lettura di stretta interpretazione; - la cura del pubblico interesse, in che si concreta la pubblica funzione, ha come sua qualità essenziale la legalità : è la legge che attribuisce la funzione e ne definisce le modalità di esercizio, anche attraverso la definizione dei limiti entro i quali possono ricevere attenzione gli altri interessi, pubblici e privati, con i quali l'esercizio della funzione interferisce, e tale compito non può essere svolto da alcun'altra norma se non da quella vigente al tempo in cui la funzione si esplica ("tempus regit actum"); - la disposizione di portata generale di cui all'art. 32, primo comma, relativa ai vincoli che appongono limiti all'edificazione, deve interpretarsi nel senso che l'obbligo di pronuncia da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall'epoca d'introduzione del vincolo; - è altresì evidente che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l'attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente; - quanto alla preoccupazione che siffatta soluzione esporrebbe il singolo caso, in violazione del principio di certezza del diritto e di non disparità di trattamento, alla variabile alea dei tempi di decisione sull'istanza, si osserva, per un verso, che addurre inconvenienti non è un buon argomento ermeneutico e, per altro verso, che, ad ogni modo, l'ordinamento appresta idonei strumenti di sollecitazione e, se del caso, di sostituzione dell'Amministrazione inerte. Le argomentazioni sviluppate dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sono state recentemente ribadite dalla giurisprudenza di questa Sezione (cfr. sentenze n. 4683 e 4684 dell'8 giugno 2022). Le ragioni a base della detta esegesi dell'art. 32 della legge n. 47 del 1985, quindi, emergono con evidenza anche nell'ipotesi in cui il vincolo, come nel caso di specie, sia sopravvenuto non solo all'edificazione delle opere oggetto di richiesta di sanatoria mediante condono, ma anche alla presentazione della domanda di condono. In sostanza, sulla base del principio "tempus regit actum", non esiste una sorta di "diritto acquisito" ad essere escluso da qualsiasi vincolo sulla domanda di condono edilizio per il solo fatto che il vincolo non sussisteva al momento della presentazione della domanda. I vincoli di inedificabilità sopravvenuti alla realizzazione dell'intervento edilizio, peraltro, non operano quali fattori di preclusione assoluta al condono, ma costituiscono vincoli relativi e impongono un apprezzamento concreto di compatibilità . L'Amministrazione comunale, pertanto, come condivisibilmente esposto nella sentenza di primo grado, nel valutare le domande di condono, ha correttamente trattato il vincolo di tutela idrogeologica introdotto dal PAI come un vincolo relativo, sottoponendo le istanze all'apprezzamento dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, ai sensi dell'art. 32 della legge n. 47 del 1985. 2.3. L'esito positivo della richiesta di sanatoria, non avrebbe potuto prescindere dal parere favorevole dell'Autorità preposta al vincolo, per cui il punto centrale della controversia consiste nello scrutinio della doglianza con cui gli appellanti hanno sostenuto che il parere reso dall'Autorità di Bacino Regionale è stato favorevole. La prospettazione non può essere condivisa, in quanto il parere dell'Autorità in data 13 luglio 2007, al quale fa riferimento il Comune di (omissis) nella motivazione dei provvedimenti impugnati è un parere favorevole "condizionato". In particolare, l'Autorità ha espresso "parere favorevole, conforme alle valutazioni espresse dal Comitato Tecnico", circa la compatibilità degli specifici interventi abusivi con riferimento ai caratteri della pericolosità del sito, all'entità degli abusi ed alla loro tipologia ed ubicazione. Il Comitato tecnico, dopo avere valutato l'istruttoria della Segreteria tecnico - operativa, ha condiviso le valutazioni e le conclusioni ivi proposte, determinando, in sintesi, la compatibilità delle opere oggetto di sanatoria con le necessità di tutela operate dal PAI, "se realizzate in conformità ed aderenza a previsioni e prescrizioni del piano di recupero in località (omissis)" (esaminato preliminarmente nel corso della medesima seduta). Il parere favorevole, quindi, è condizionato alla realizzazione delle opere in conformità ed aderenza a quanto previsto dal Piano di Recupero e l'Amministrazione comunale, nell'atto impugnato, fornisce l'esaustiva motivazione di avere accertato che il manufatto oggetto della richiesta di sanatoria è totalmente difforme rispetto alle previsioni e prescrizioni del Piano di Recupero "località (omissis)". Insomma, l'evento a cui il parere favorevole è stato condizionato non si è realizzato e di questo il Comune ha dato esaustivamente conto nella motivazione degli atti, né gli appellanti hanno fornito una compiuta dimostrazione del contrario. 2.4. Inoltre, la statuizione del Tar secondo cui è pacifico che la perimetrazione del vigente PAI individua l'area dove ricadono gli interventi in questione come a rischio elevato o molto elevato (R4) non è stata efficacemente contestata, per cui, pur trattandosi di vincolo di inedificabilità relativa, l'azione amministrativa si presenta correttamente svolta attraverso il richiamo del parere reso dall'Autorità preposta alla tutela del vincolo. 2.5. Infine, in presenza di un provvedimento puntuale, ben istruito ed esaustivamente nessun rilievo può assumere la circostanza che il documento istruttorio rechi la data del 9 agosto 2007, anziché quella del 9 giugno 2007, né che il Piano di Recupero, come prospettato dalla parte, sia stato solo successivamente approvato e mai attuato. 3. In ragione di tutto quanto esposto, l'appello deve essere respinto in quanto infondato. 4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in Euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, sono poste, in solido e in parti uguali, a carico degli appellanti ed a favore del Comune di (omissis); le spese sono invece compensate nei confronti dell'Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Centrale. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, respinge l'appello in epigrafe (R.G. n. 8082 del 2021). Condanna, in solido ed in parti uguali, gli appellanti al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in Euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, in favore del Comune di (omissis); compensa le spese del giudizio nei confronti dell'Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Centrale. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2023, con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere Giordano Lamberti - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4955 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da La. - La. dell'A. Ad. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro As. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Cl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Al. It. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fi. Ma., Da. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fi. Ma. in Roma, corso (...); per la riforma a) del dispositivo di sentenza n. 362/2022 reso dal T.A.R. Marche in data 9.6.2022; b) della sentenza n. 400/2022 resa dal T.A.R. Marche in data 1.7.2022, contenente la motivazione integrativa del dispositivo n. 362/2022 e notificata il 5.7.2022. Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati; visti gli atti di costituzione in giudizio di As. S.p.A. e di Al. It. S.r.l.; visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2023 il Cons. Gianluca Rovelli e uditi per le parti gli avvocati Gr., Ma. e Cl.; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. ASET, società in house incaricata del servizio idricof e dei rifiuti nel territorio di (omissis) ha indetto una gara per l'affidamento del servizio lavanolo di indumenti alta visibilità DPI e indumenti tecnici con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. 2. Riferisce La. dell'A. Ad. di essere stata affidataria del precedente servizio e che, non appena è stato pubblicato il bando con le specifiche del nuovo appalto, ha iniziato a ricercare gli indumenti e predisporre i campioni necessari alla formulazione dell'offerta ma ha constatato che il termine per la formulazione delle offerte stabilito al 28.10.2021 era insufficiente. 3. Riferisce ancora che il bando e il disciplinare di gara predisposto dalla stazione appaltante sarebbero stati caratterizzati da carenze, contraddizioni ed errori che rendevano incerto il contenuto del contratto e le caratteristiche dei prodotti da fornire, ciò che ostacolava ulteriormente la presentazione delle offerte. 4. Con istanza trasmessa via pec in data 5 ottobre 2021 la ricorrente ha avanzato una richiesta di estensione del termine di proposizione delle offerte, richiesta che non veniva riscontrata. 5. In data 11 ottobre 2021, però, comparivano sul sito web di ASET dei "chiarimenti" nei quali la stazione appaltante inseriva le richieste di La. e le rigettava. 6. La richiesta di estendere il termine di presentazione delle offerte veniva respinta con l'asserto che: "NO, si ritiene che i termini concessi per la predisposizione della documentazione tecnica sia congrua e comunque nei termini di legge". 7. Riferisce ancora l'appellante che gli errori e le incongruenze dei requisiti dell'appalto venivano invece in gran parte ammessi, ma ASET li correggeva con una integrazione del capitolato e delle schede tecniche compiuta in sede di "chiarimenti". 8. Nelle settimane successive ASET emetteva inoltre nuovi "chiarimenti" con cui, a ridosso della scadenza del 28.10 rettificava ancora una volta i requisiti tecnici dei capi richiesti. Nella risposta "R24" veniva in particolare affermato che i colori di alcuni capi erano "tassativi" e non esemplificativi come indicato nei chiarimenti precedenti ("R18"). 9. L'appellante decideva di formulare comunque l'offerta. Evidenzia che l'offerta si è poi rivelata inadeguata solo con riguardo ai profili denunciati nella propria lettera del 5.10.2021 (la carenza dei rapporti di prova da allegare ai campioni di vestiario trasmessi con l'offerta). 10. Con ricorso notificato l'11.11.2021 La. dell'A. Ad. ha impugnato i "chiarimenti" con cui erano state respinte le richieste di estensione del termine e di ripubblicazione degli atti. 11. Poiché il TAR non ha sospeso la gara, ASET ha aperto le buste delle due uniche partecipanti (La. ed Al. It.) e ha ultimato la procedura. 12. La. dell'A. Ad. ha impugnato l'aggiudicazione con motivi aggiunti notificati il 28.4.2022 e contenenti la richiesta di sospensiva. L'interesse manifestato continuava a essere la chance di partecipare alla gara previa sua rinnovazione. 13. La causa è stata discussa all'udienza del 26.5.2022 e il 9 giugno è stato emesso il dispositivo di rigetto avverso il quale è stato proposto rituale e tempestivo atto di appello con richiesta di sospensione cautelare. 14. Hanno resistito al gravame Al. It. s.r.l. e As. S.p.A. chiedendone il rigetto. 14.1. Alla camera di consiglio del 14 luglio 2022 la domanda cautelare sul dispositivo di sentenza veniva accolta con ordinanza n. 3371 recante la seguente motivazione: "Ritenuto che, prima facie, risultano sufficientemente contestualizzate e non manifestamente infondate le ragioni dedotte dall'appellante a sostegno dell'istanza cautelare; Rilevato altresì, come dichiarato dalle parti all'odierna udienza, che neppure risulta essere stato sottoscritto il contratto tra la stazione appaltante e l'aggiudicataria, essendo tuttora in corso l'esecuzione in proroga del servizio da parte dell'aggiudicataria uscente; Ritenuto pertanto di dover accogliere l'istanza cautelare, affinché la stazione appaltante conceda, nell'esercizio del soccorso istruttorio, un termine all'odierna appellante per la produzione della campionatura e dei rapporti di prova originariamente richiesti dalla legge di gara, così da poter successivamente operare, ove ne sussistano le condizioni, una rivalutazione dell'offerta; Ritenuto inoltre di non dover fissare, allo stato, l'udienza di discussione del merito della causa, in attesa degli eventuali sviluppi a seguito della proposizione dei motivi di appello sulle motivazioni della sentenza di primo grado; ". 14.2. Con successiva ordinanza n. 4082 resa alla camera di consiglio del 25 agosto 2022 veniva respinta la richiesta di revoca della misura cautelare concessa, con la seguente motivazione: "Ritenuto che l'istanza di revoca/modifica dell'ordinanza cautelare n. 3771 del 2022 non sia meritevole di accoglimento per difetto di interesse e dei presupposti, non rinvenendosi in essa alcuna disamina del fumus boni iuris, in assenza della formulazione dei motivi di appello, come evincibile claris verbis dal tenore della medesima ordinanza, essendosi in essa previsto "di non dover fissare, allo stato, l'udienza di discussione del merito della causa, in attesa degli eventuali sviluppi a seguito della proposizione dei motivi di appello sulle motivazioni della sentenza di primo grado"; - Ritenuto pertanto che la previsione contenuta nella medesima ordinanza, di cui si richiede la revoca, relativa alla concessione di un termine all'appellante per la produzione della campionatura e dei rapporti di prova originariamente richiesti dalla legge di gara, non sia volta alla concessione del bene della vita cui la medesima appellante mira, ovvero la rinnovazione della gara, ma sia una mera misura acceleratoria disposta nell'interesse di tutte le parti, essendo la rinnovazione della gara subordinata al positivo vaglio, una volta proposti i motivi di appello, del fumus boni iuris degli stessi, come chiaramente evincibile dalla precisazione "così da poter successivamente operare, ove ne sussistano le condizioni, una rivalutazione dell'offerta"; - Ritenuto pertanto di dovere precisare che nella presenta fase, nelle more della proposizione dei motivi di appello, la cui scadenza è peraltro ormai prossima, l'attività della stazione appaltante debba intendersi limitata alla sola concessione di un termine per la produzione della campionatura e alla relativa acquisizione, prescindendo da ogni attività di rivalutazione delle offerte; ". 15. In data 7 settembre 2022 La. dell'A. Ad. ha depositato motivi di appello ex art. 119 comma 6 c.p.a., così rubricati: "I. CONTRO IL RIGETTO DEI MOTIVI I-II DEL RICORSO AL TAR: Eccesso di potere giurisdizionale e violazione dell'art. 134 c.p.a.. Violazione dell'art. 81° Considerando della direttiva 2014/24/UE e difetto assoluto di motivazione ed istruttoria; II. IN SUBORDINE, SEMPRE AVVERSO IL RIGETTO DEI MOTIVI I-II DEL RICORSO DI PRIMO GRADO. Illogicità, vizio di motivazione ed errata valutazione degli atti e delle prove. Erroneo rigetto dell'istanza di prova testimoniale; III. SUL CAPO DELLA SENTENZA CHE HA RESPINTO I MOTIVI III-IV DEL RICORSO DI PRIMO GRADO: acquiescenza e richiesta di "valorizzare" i fatti dedotti a fini dello scrutinio dei motivi I-II del ricorso di primo grado; IV. SUL CAPO CHE HA RESPINTO IL MOTIVO AGGIUNTO N. I: fondatezza in via consequenziale all'accoglimento dei motivi che precedono; V. SUL CAPO DELLA SENTENZA CHE HA RESPINTO I MOTIVI AGGIUNTI NN. II-III-IV-V E, IN PARTICOLARE I MOTIVI INERENTI LA MANCATA CONCESSIONE DEL SOCCORSO ISTRUTTORIO: Violazione dell'art. 83 co. 9 Cod. Contratti e degli artt. 5 e 10 del disciplinare, dell'art. 12 del Capitolato. Eccesso di potere per falso supposto di diritto e violazione dei principi in tema di "campionatura" negli appalti pubblici". 16. Alla udienza pubblica del 16 marzo 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione. DIRITTO 17. Le argomentazioni dell'appellante necessitano di una sintesi al fine di inquadrare con ordine le questioni sottoposte al Collegio e le critiche mosse alla sentenza impugnata. 18. Con il primo motivo l'appellante argomenta come segue. 18.1. Con i primi due motivi di ricorso di primo grado La. ha contestato il diniego opposto da ASET alla propria istanza di proroga del termine per la presentazione delle offerte. La richiesta era motivata con la grave difficoltà di procurarsi in tempo i campioni dei capi e le certificazioni/rapporti di prova sulle loro caratteristiche prestazionali, a causa della eccezionale congiuntura economica sfavorevole determinatasi al termine della crisi pandemica: una crisi della logistica che aveva causato sensibili rallentamenti nell'approvvigionamento delle materie prime e nei servizi connessi alle stesse (esecuzione delle prove e rilascio delle certificazioni di qualità ). Si denunciava che il diniego di ASET fosse consistito nella apodittica affermazione che il termine di bando era congruo senza alcuna motivazione o istruttoria a conforto. 18.2. La ricorrente evidenziava che il potere di proroga è previsto in via generale dall'81° Considerando della Direttiva n. 2014/24 proprio ai fini di assicurare l'adeguatezza in concreto dei tempi di partecipazione. 18.3. Prosegue l'appellante affermando che il TAR avrebbe deciso i due motivi alle pagine 7-10 della sentenza con una motivazione "a due tempi". Nelle prime due pagine (7-8) il TAR sembrerebbe affermare che il potere di proroga dei termini per le offerte sia "tassativamente" circoscritto ai casi previsti dall'art. 79 del Codice, tra cui non vi è quello legato al sopraggiungere di circostanze esterne da valutarsi in concreto a cura della stazione appaltante. La sentenza sembrava quindi orientata a sconfessare l'esistenza del potere generale di derivazione europea, invocato con i motivi di ricorso. A pag. 9 il TAR, sempre secondo l'appellante, si sarebbe corretto e avrebbe riconosciuto che anche al di fuori delle "ipotesi tipiche di cui all'art. 79" la proroga è comunque concedibile ogni qual volta emergano "obiettive difficoltà " nel presentare una offerta competitiva nei termini concessi. 18.4. Svolta questa premessa, il TAR è entrato nel merito della questione e ha stabilito che nel caso di specie la proroga non doveva essere concessa perché non ve ne erano i presupposti. Le difficoltà lamentate da La. erano soggettive, non sufficientemente dimostrate e dovute alla propria inerzia nel prepararsi "per tempo" alla gara. 18.5. Il vizio della sentenza starebbe nell'essersi inammissibilmente sostituita alla stazione appaltante nell'esercitare il potere, tipicamente discrezionale, di concedere o meno il differimento del termine per le offerte e nel valutare i relativi presupposti. Le censure di La. contestavano che la stazione appaltante aveva "detto di no" senza alcuna motivazione e senza avere svolto alcun accertamento istruttorio sulla fondatezza della richiesta. Il perimetro del vizio era dunque di stretta legittimità e contestava lo scorretto formarsi della volontà di ASET per mancanza dei suoi presupposti essenziali (una motivazione ed una attività istruttoria pertinenti all'istanza). 18.6. Il TAR non avrebbe potuto esercitare il potere spettante alla stazione appaltante, statuendo direttamente sull'an della richiesta di proroga. Non poteva decidere in proprio se il termine meritasse o meno di essere differito. La sentenza sarebbe quindi incorsa in un eccesso di potere giurisdizionale perché andando oltre le richieste del ricorrente, e il perimetro della propria giurisdizione, si sarebbe surrogata alla potestà dell'amministrazione e avrebbe esercitato direttamente la funzione di cui La. lamentava lo scorretto esercizio. 19. Con il secondo motivo l'appellante argomenta come segue. 19.1. Anche ipotizzando che il TAR potesse valutare in proprio i presupposti della proroga (fornendo la motivazione e l'istruttoria omessi dalla stazione appaltante), l'esito di tale valutazione sarebbe comunque contestabile nel merito. 19.2. La sentenza ha negato che sussistesse una obbiettiva difficoltà nel rispettare il termine con un ragionamento che si può sintetizzare nel modo seguente (pagg. 9-10 motivazione): a) la crisi post-pandemica esiste ma non vi sarebbe prova della sua incidenza sulla capacità di rispettare il termine di 48 giorni fissato dalla stazione appaltante. Ciò in quanto i documenti 9-11-12 depositati da La. - e relativi ai rallentamenti nella fornitura dei campioni e dei rapporti di prova/certificazioni - riferiscono di tempi medi di 25 giorni contro i 48 concessi dal bando; b) le difficoltà lamentate da La. sono imputabili al ritardo con cui la stessa si è attivata per procurarsi i campioni e le certificazioni/r.d.p. a corredo; c) quanto alla documentazione mediatica sulla crisi della logistica e dell'approvvigionamento delle materie prime essa sarebbe irrilevante perché relativa ad una crisi generale e mondiale e non alla situazione specifica del settore di riferimento. 19.3. I tre motivi ostativi elaborati dal TAR sarebbero frutto di una lettura della vicenda errata. 19.3.1. In relazione al motivo sub a), il TAR non avrebbe compreso il funzionamento dell'approvvigionamento dei capi tecnici e DPI per una fornitura alla pubblica amministrazione: - il procacciamento dei capi e campioni e la loro certificazione e sottoposizione a prove di qualità sono adempimenti distinti e in necessaria successione temporale; - la ricerca dei capi e degli RDP disponibili in tempo utile per la gara avviene in via informale e non certo con lo scambio di documenti scritti. 19.3.2. Sotto il primo aspetto, è noto che le grandi multinazionali del settore lavanolo (come ALSCO) producono all'interno i propri capi o dispongono di stock di magazzino così vasti da poter far fronte anticipatamente a qualsiasi richiesta o specifica tecnica prescritta dai bandi. Hanno già pronti i capi e i documenti a comprova delle loro qualità fisiche e prestazionali. Le imprese di lavanolo di piccole o medio-piccole dimensioni debbono invece procurarsi volta per volta i capi da fornire e poi farli certificare/sottoporre a prove di laboratorio da parte di organismi accreditati. Possono iniziare a farlo solo dopo la pubblicazione del bando, perché solo in quel momento sono posti in grado di conoscere quali siano i capi richiesti dalla stazione appaltante, con quali specifiche tecniche e requisiti ambientali, con quali certificazioni e prove a corredo. 19.3.3. La predisposizione della fornitura può iniziare quindi con la pubblicazione del bando e non prima e si articola nel duplice, sequenziale passaggio: a) reperimento di una ditta fornitrice dei capi, che sia disponibile a fornirli all'appaltatore nel numero e nella durata ultrannuale previsti dalla lex specialis e a prestare subito almeno un campione; b) sottoposizione del capo/campione alle verifiche necessarie ad accertare le sue specifiche tecniche, dando vita a quei "rapporti di prova" o certificazioni da consegnare alla stazione appaltante. L'ottenimento di certificazioni/RDP può essere curato dalla ditta che procura i capi o dalla impresa che partecipa alla gara, ma avviene necessariamente dopo che il campione è stato reperito; e richiede il coinvolgimento di laboratori o enti di certificazione appositamente autorizzati. Le due tempistiche quindi si sommano ed è questo che il TAR non avrebbe compreso. 19.3.4. L'appellante espone che in primo grado aveva comunque chiesto di poter dimostrare per testi che i documenti depositati non riguardavano casi isolati ma rispecchiavano le condizioni dell'intero mercato di riferimento nell'anno 2021 e che si era mossa per tempo, fin dalla pubblicazione del bando, per cercare capi e certificazioni. 19.3.5. Il TAR ha respinto l'istanza come "irrilevante" con una decisione che, per usare le parole dell'appellante "lascia sconcertati" poiché la prova sarebbe stata perfettamente pertinente all'oggetto del processo ed integrava le prove documentali al fine di dimostrare la oggettiva, grave difficoltà di rispettare il termine del bando. 19.3.6. La lunghissima esposizione dell'appellante prosegue affermando che la sentenza sarebbe errata perché : a) non poteva giudicare "insufficienti" i tre documenti depositati da La., perché la società aveva chiesto di provare per testi le molte altre analoghe comunicazioni ricevute per vie brevi fin dalla metà di settembre; b) non poteva dichiarare irrilevante o inammissibile una prova testimoniale pienamente pertinente all'oggetto del processo e vertente su materia non sottratta alla dimostrazione per testimoni (non vi è alcun divieto normativo in tal senso) che era in grado di colmare quanto mancava ai tre documenti scritti; c) per le stesse ragioni il TAR non poteva eccepire che La. si fosse mossa in ritardo (come afferma il motivo ostativo sub b)) perché il ricorso conteneva la richiesta di provare per testimoni proprio la circostanza contraria, e cioè che la società si era attivata fin da metà settembre per cercare capi e certificatori. 19.3.7. La concreta dinamica della procedura, sempre secondo la prospettazione dell'appellante, meriterebbe di essere valorizzata a fini probatori. Alla gara hanno preso parte solo due partecipanti, di cui una è la più grande multinazionale del settore, e l'altra (La.) ha presentato una offerta competitiva e completa dei campioni, che è stata però penalizzata dalla mancanza delle certificazioni e dei R.D.P. Nessun altro operatore italiano o straniero ha ritenuto di partecipare, sebbene si trattasse di una gara sopra soglia soggetta a pubblicazione "europea". 19.3.8. L'appellante conclude riproponendo l'esperimento della prova per testi negata dal TAR. 19.3.9. Veniamo al motivo sub c) (l'appellante espone un motivo sub b) ma nulla poi dice in ordine al medesimo e inizia la propria esposizione con il motivo sub c) per poi passare a quello sub a). E' evidente, è bene precisarlo per fare ordine, data anche la ponderosità delle argomentazioni spese da La., che il motivo sub c) comprende (in qualche modo) anche la critica al motivo sub b). 19.3.10. Secondo La. affermare la irrilevanza della rassegna mediatica sulla crisi della logistica significa non avere compreso come debba essere provata la "obbiettiva difficoltà " di procurarsi i prodotti o servizi richiesti entro il termine di una gara pubblica. In un contesto economico da tempo globalizzato, il prerequisito di una qualsiasi difficoltà di approvvigionamento che possa dirsi "obbiettiva" risiede nel fatto che essa investa il sistema nel suo complesso. Che non sia meramente "locale". 20. Con il terzo motivo l'appellante argomenta come segue. 20.1. Alle pagine 11-14 della sentenza si afferma che le ambiguità sui requisiti dei capi e sulle caratteristiche del servizio non erano tali da trasformare i "chiarimenti" in vere e proprie "correzioni" della lex specialis. Non vi era - pertanto - l'obbligo di riaprire da zero i termini per le domande. 20.2. La. afferma di non avere interesse a contestare questa statuizione perché essa è comunque riuscita a formulare una offerta di "servizio" competitiva ed è altresì riuscita a procurarsi i campioni di vestiario dimostrativi dei capi offerti. Il punteggio "zero" è imputabile alla mancanza delle certificazioni e dei rapporti di prova a corredo dei campioni. Il capo non viene pertanto impugnato. 20.3. Chiede però che siano valutati alcuni dei fatti a sostegno delle censure - e cioè le ambiguità e le imprecisioni su alcuni capi - come elementi istruttori a sostegno della fondatezza dei motivi nn. I-II di primo grado. 20.4. Afferma che se pure le imprecisioni sulle specifiche tecniche dei materiali non sono state tali da trasformare i chiarimenti in "modifiche" della lex specialis, esse avrebbero rallentato il procacciamento dei campioni e, a valle, dei rapporti di prova attestanti le loro caratteristiche e conformità al bando. La. ha difatti atteso di avere i chiarimenti dalla stazione appaltante, avvenuti in data 11.10.2021, prima di avviare la fase di ricerca. 20.5. La. si riferisce in particolare alle seguenti fattispecie: a) nella "scheda tecnica" n. 8 il capo "camice bianco" era indicato di materiale "65% poliestere, 35% poliestere". L'errore era evidente e La. sostiene di avere immaginato che uno dei due valori dovesse essere riferito al materiale "cotone", ma per sapere quale ha dovuto formulare una richiesta di chiarimenti e procedere al reperimento del capo e degli RDP solo dopo i "chiarimenti" dell'11.10.2021 che riconoscevano l'esistenza di un "refuso"; b) nella "scheda tecnica" n. 24 del capo "T-shirt grigio chiaro" non era indicato il tessuto di composizione e La. ha chiesto che le fosse comunicato. In data 11.10.2021 ASET ha riconosciuto che "trattasi di un dato incompleto. La composizione del capo è 100% cotone"; c) nella "scheda tecnica n. 12" dedicata al "pantalone invernale blu" mancava l'indicazione del materiale del tessuto di contrasto e La. era incerta se dovesse applicarsi analogicamente il tessuto di un'altra scheda precedente o qualsiasi tessuto fosse ammissibile; anche in questo ASET ha giudicato necessario un chiarimento che è stato fornito l'11.10.2021; d) nella "scheda tecnica n. 24" del "berretto invernale" mancava l'indicazione del colore; anch'essa è stata colmata con i "chiarimenti" dell'11.10.2021; e) la "scheda tecnica n. 16" sulla "Tuta invernale" evidenziava una discrasia tra il disegno del capo e le specifiche richieste dallo standard ISO 20471/2017. Il chiarimento fornito da ASET ha ammesso che "in effetti i disegni dell'allegato 1C sono inseriti a titolo esemplificativo" e doveva farsi riferimento agli standard internazionali. 20.5.1. Si tratta di fattori di incertezza che, se pure non hanno inficiato il bando, hanno però reso necessari dei chiarimenti e hanno differito i tempi di ricerca dei rapporti di prova. Anche essi devono essere valutati, insieme ai ritardi dovuti alla crisi post pandemica, come elementi a favore della proroga del termine. 21. Con il quarto motivo l'appellante argomenta come segue. 21.1. Il primo motivo aggiunto contestava l'illegittimità in via derivata dagli atti della procedura (valutazione della offerta, aggiudicazione, ecc.) per la illegittimità dell'atto presupposto costituito dal diniego di proroga del termine di proposizione delle domande. Il suo rigetto è stato, pertanto, consequenziale alla dichiarazione di non spettanza della proroga in oggetto. Simmetricamente l'accoglimento dei motivi inerenti la proroga renderà fondato il primo motivo aggiunto; tutti gli atti della procedura risulteranno viziati per la illegittimità di un atto prodromico che avrebbe inciso sulla dinamica della gara. 22. Con il quinto motivo l'appellante argomenta come segue. 22.1. Nella seduta del 17.12.2021 le schede tecniche dell'offerta di La. erano risultate complete e così anche i campioni. Le carenze rilevate da ASET riguardavano unicamente le certificazioni e i rapporti di prova relativi alle specifiche qualificative e prestazionali dei singoli campioni offerti. Riguardavano cioè documenti che ai sensi dell'art. 5 del disciplinare sono elementi di corredo della campionatura e servono a dimostrare la congruità e la qualità fisica prestazionale dei prodotti offerti. Tale carenza era stata rilevata nella seduta di apertura delle buste e La. aveva immediatamente chiesto di essere ammessa al soccorso istruttorio. La stazione appaltante non aveva dato riscontro alla domanda ma neppure aveva escluso La. dalla gara. L'offerta era stata ammessa a valutazione e due mesi dopo (il 4.2.2022) la Commissione aveva deciso che la rilevata carenza di certificazioni e RDP giustificava l'attribuzione del punteggio zero alla sola componente dell'offerta relativa ai prodotti. In sostanza l'offerta c'era ma la sua componente "fornitura" non era valutabile per mancanza di uno degli elementi dimostrativi prescritti dalla lex specialis. Le altre due componenti dell'offerta, attinenti ai profili economici e del servizio, venivano invece valutate e ottenevano un punteggio complessivamente migliore di Al. It.. La soccombenza di La. veniva quindi determinata dal punteggio "zero" della componente relativa alla fornitura dei capi. L'offerta di La. pertanto non veniva esclusa. Veniva valutata ma perdeva nel merito per il deficit di una sua componente. 22.2. In questo contesto i motivi aggiunti di La.: a) da un lato contestavano che la carenza dei rapporti di prova e delle certificazioni giustificasse, ai sensi dell'art. 5 e 10 del disciplinare, l'attribuzione del punteggio "zero" (motivi II-III); b) dall'altro lato osservavano che tale carenza era comunque sanabile con il soccorso istruttorio perché la campionatura e le certificazioni/RDP a corredo dei campioni non sono elementi costitutivi ma solo dimostrativi dell'offerta. 22.3. Il TAR ha respinto entrambe le coppie di motivi alla luce della seguente testuale affermazione: "I rapporti di prova e la certificazione UE sono espressamente individuati dalla legge di gara (art. 5 e 10 del disciplinare) come parte essenziale della documentazione tecnica da fornire nel termine di presentazione delle offerte previsto dal bando e non quali documenti a comprova del requisito". 22.4. Il dictum che ha negato l'ammissibilità del soccorso istruttorio, sul presupposto che le certificazioni e gli RDP sarebbero elementi costitutivi dell'offerta sarebbe errato, respinto dalla giurisprudenza e contrastante con le stesse previsioni del bando. 22.5. L'appellante cita a sostegno delle proprie ragioni diverse sentenze (in particolare della III^ Sezione del Consiglio di Stato). 22.6. Si sofferma poi sull'art. 5 del disciplinare. 22.6.1. La fornitura dei campioni e degli elementi a corredo sarebbe configurata dalla lex specialis come un elemento finalizzato a dimostrare le caratteristiche dei prodotti indicati nelle "Schede tecniche" dell'offerta, non come un elemento costitutivo dell'offerta richiesto a pena della sua ammissibilità . 22.6.2. Così del resto lo ha interpretato la stessa stazione appaltante. ASET ha riscontrato la carenza di RDP e certificazioni in sede di apertura delle buste ma non ha escluso l'offerta dalla fase valutativa che è poi iniziata a febbraio 2022. La carenza si è risolta unicamente in un minor punteggio dell'offerta dell'appellante, attribuito dalla Commissione. In definitiva, la lex specialis stabiliva che la mancanza del campione o della certificazione penalizza l'offerta sul piano del punteggio (dato che alcuni componenti non sono valutabili) ma non ne intacca la integrità e completezza. Già questi due articoli indurrebbero a ritenere applicabile alle carenze della campionatura il soccorso istruttorio. 22.7. L'appellante prosegue ancora affermando che la lex specialis non vieta il soccorso istruttorio sulla campionatura; anzi, lo ammetterebbe espressamente. 22.7.1. Rileverebbero due elementi. Da un lato, l'art. 5 del disciplinare prevede, per il caso della mancanza o incompletezza della campionatura, "l'esclusione dal confronto". La norma non usa l'espressione "immediata esclusione", che viene correntemente utilizzata per le carenze non sanabili con il soccorso istruttorio. 22.7.2. La norma parla inoltre di esclusione (non dalla gara ma) "dal confronto" e cioè dalla possibilità di valutazione del prodotto di cui mancano campioni o RDP. La carenza rileva quindi in sede valutativa e questo orienta per l'applicabilità del soccorso istruttorio prima che si tenga la seduta di valutazione dell'offerta. L'art. 5, insomma, non sarebbe incompatibile con l'operare dell'art. 83, comma 9, del codice dei contratti pubblici. 22.7.3. Ogni incertezza sarebbe poi fugata dal secondo elemento testuale presente nella lex specialis, e cioè l'art. 12 del capitolato tecnico. Esso è rubricato "Termini e modalità di presentazione dei campioni" e stabilisce che "Entro il temine di presentazione dell'offerta i concorrenti dovranno consegnare a titolo gratuito (...) un campione di ciascun capo previsto dalle schede tecniche e presentati tutti i documenti a comprova del rispetto dei CAM minimi e i RDP a dimostrazione del rispetto delle specifiche dei tessuti. La stazione appaltante si riserva la facoltà di richiedere un'integrazione della campionatura qualora la Commissione giudicatrice ne ravvisasse la necessità ". 22.7.4. Se la campionatura può essere integrata nel corso dell'attività della Commissione valutatrice - e addirittura d'ufficio, senza neppure bisogno di una istanza della ditta - ciò significa, conclude l'appellante, che tale elemento è mero strumento per una ottimale valutazione dell'offerta, non un "elemento essenziale" della stessa, presidiato dal "principio di immodificabilità delle offerte" o tutela della par condicio. 23. Le censure dell'appellante, così sintetizzate, possono a questo punto essere esaminate. 24. Una precisazione preliminare. L'articolato atto di appello verte, in realtà, su un'unica e piuttosto semplice questione da risolvere. La congruità del termine per la presentazione delle offerte. 24.1. Il TAR è partito da una premessa: "la stazione appaltante ha concesso 48 giorni dalla pubblicazione sulla G.U.U.E. (10 settembre 2021) per la presentazione della documentazione tecnica a corredo delle offerte (ovvero 55 giorni dalla pubblicazione della determina a contrarre avvenuta in data 3 settembre 2021), che costituisce un termine di gran lunga più ampio di quello di 35 giorni previsti dall'art. 60, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016, quest'ultimo riducibile a 30 giorni in caso di presentazione di offerte in via elettronica (art. 60 citato, comma 2 bis)". 24.2. Da questa premessa, che è una circostanza di fatto incontestabile, la sentenza costruisce un ragionamento che non merita alcuna delle critiche che sono state rivolte dall'appellante. 24.3. L'art. 79 del codice dei contratti pubblici trova il suo riferimento nella direttiva 24/2014 che è "attenta" a che le normative nazionali garantiscano la congruità dei termini assegnati agli operatori economici per la presentazione sia delle domande di partecipazione che delle offerte. Si tratta di rendere concreta la massima partecipazione possibile agli operatori economici allargando così la platea dei partecipanti alle procedure a vantaggio della concorrenza. Le stazioni appaltanti hanno, in generale, il potere discrezionale di fissare i termini per la ricezione delle domande e delle offerte. 24.4. Ma l'appellante sembra dimenticare che si tratta di termini decadenziali, posti a presidio, da un lato, della par condicio tra i partecipanti, dall'altro della certezza della procedura e della funzionalità della stazione appaltante che deve sì, stabilire termini adeguati, ma non certo ritagliare i termini sulla organizzazione o difetto di organizzazione di un concorrente. 24.5. Il riferimento alla complessità dell'appalto impone una graduazione e cioè un giudizio prognostico della stazione appaltante su quello che è il tempo normalmente necessario per formulare un'offerta. Un giudizio che spetta alla stazione appaltante e che può essere sindacato dal Giudice solo in caso di palese illogicità che qui non è in alcun modo ravvisabile. Peraltro, il fatto che l'appellante fosse anche il gestore uscente non è affatto irrilevante come si legge nell'atto di appello. Farsi trovare impreparati, che è quello che è concretamente accaduto, di fronte a un bando che fissa termini ben superiori ai minimi di legge, essendo per di più gestore uscente del precedente appalto, è fatto esclusivamente imputabile all'operatore economico che deve conoscere, almeno quanto la stazione appaltante, le circostanze di cui si duole (crisi post pandemica, crisi della logistica e dell'approvvigionamento delle materie prime). 24.6. Non va dimenticato il Considerando 81 della direttiva 24/2014, correttamente richiamato dal primo Giudice, (e anche dall'appellante, in particolare a pagina 10 della memoria depositata il 28 febbraio 2023, senza però trarne corrette conclusioni) che così recita: "Si dovrebbe precisare che la necessità di assicurare che gli operatori economici abbiano tempo sufficiente per elaborare offerte adeguate può comportare l'eventuale proroga dei termini stabiliti inizialmente. Ciò avverrebbe ad esempio, in particolare, qualora siano apportate modifiche significative ai documenti di gara. Si dovrebbe inoltre specificare che, in tale caso, per modifiche significative si dovrebbero intendere in particolare quelle apportate alle specifiche tecniche per cui gli operatori economici avrebbero bisogno di un periodo di tempo supplementare per capire e adeguarsi in modo opportuno. Si dovrebbe tuttavia precisare che tali modifiche non dovrebbero essere così sostanziali da consentire l'ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o da attirare ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione. Ciò potrebbe avvenire, in particolare, nel caso in cui le modifiche rendono sostanzialmente diversa la natura dell'appalto o dell'accordo quadro rispetto a quella inizialmente figurante nei documenti di gara". 24.7. La stazione appaltante ha concesso un termine più ampio rispetto a quello minimo di legge. Ineccepibile è l'affermazione del primo giudice laddove si legge "Conseguentemente, non versandosi in alcuna delle ipotesi tipiche di cui all'art. 79, comma 3, lettere a) e b), del d.lgs. n. 50/2016 (anche per quanto più avanti si andrà a chiarire), la proroga del termine avrebbe potuto essere eccezionalmente giustificata solo da comprovate obiettive difficoltà riguardanti la generalità degli operatori economici". 24.8. Questa la situazione, in fatto e in diritto. Ciò che viene descritto nell'atto di appello con ampi svolgimenti, come un problema di carattere generale, altro non è se non un problema tutto imputabile all'operatore economico. Peraltro, affermare che Alsco ha potuto presentare l'offerta nei tempi previsti in quanto leader del mercato di riferimento significa confessare, questo significa, che Alsco è organizzata e che La. deve organizzarsi per partecipare alle procedure, non già pretendere che le procedure siano ritagliate sulla propria organizzazione. 24.9. La disciplina dei termini della gara deve essere particolarmente stringente e, per derogarvi, occorre che si verifichino casi del tutto eccezionali perché un operatore economico ha obblighi di prudenza e accortezza particolarmente pressanti e stringenti. 25. Dopo questo inquadramento l'esame dei singoli motivi di appello è agevole. 26. Il primo motivo è manifestamente infondato. 26.1. La sentenza impugnata non è incorsa in alcun vizio di eccesso di potere giurisdizionale e tale critica è del tutto fuori bersaglio. 26.2. Le decisioni del giudice amministrativo concernenti la legittimità dei provvedimenti della P.A., come noto, possono essere affette da eccesso di potere giurisdizionale (anche) sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito, vizio che è configurabile quando l'indagine svolta dal giudice ecceda i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, dimostrandosi strumentale a una diretta e concreta valutazione dell'opportunità e convenienza dell'atto, ovvero se la decisione finale, evidenzi l'intento dell'organo giudicante di sostituire la propria volontà a quella dell'Amministrazione mediante una pronuncia che sia espressiva di un sindacato di merito e avente il contenuto sostanziale e l'esecutorietà propria del provvedimento sostituito (tra le tante, Cass. civ. Sezioni Unite, 4 maggio 2023, n. 11687). 26.3. Qui siamo di fronte a un ragionamento stringente del primo giudice che, nell'esaminare i (manifestamente infondati) motivi di ricorso ha: a) effettuato una ricognizione del quadro normativo di riferimento; b) descritto accuratamente la situazione di fatto; c) affermato, ineccepibilmente, che la necessaria presenza di un termine finale impone all'amministrazione di stabilire a priori e in modo oggettivo il lasso temporale entro il quale le offerte devono pervenire a garanzia della trasparenza e al fine di evitare possibili favoritismi; d) "fotografato" la situazione prendendo semplicemente atto che la stazione appaltante ha concesso un termine particolarmente ampio rispetto a quello minimo di legge. 26.4. L'indagine svolta dal TAR, lungi dal divenire strumentale ad una diretta e concreta valutazione dell'opportunità e convenienza dell'atto, si è risolta nell'esame dei motivi di ricorso. Nulla di più . La proroga dei termini può essere concessa nei casi eccezionali in cui vi sia oggettiva impossibilità di presentare le offerte e dunque di partecipare alla gara. Non esiste quello che l'appellante, nel suo incedere argomentativo, descrive, nella sostanza, come un dovere di esaminare istanze di proroga, peraltro manifestamente infondate. A voler supporre condivisibili le argomentazioni dell'appellante, per ogni procedura che reca termini perfettamente conformi al dato normativo e, anzi, ben più ampi, occorrerebbe diffusamente motivare su istanze di proroga avanzate a causa di problemi organizzativi del singolo partecipante. 27. Non meno infondati sono il secondo e il terzo motivo di appello che possono essere trattati congiuntamente. 27.1. La lunghissima esposizione dell'appellante è un caso paradigmatico di interpretazione dei fatti. Come noto, i fatti non hanno significato e, se mai l'hanno, certo non l'hanno nello stesso senso in cui hanno significato i testi di legge. Interpretare un fatto significa essenzialmente congetturare una spiegazione causale di un evento. Ebbene, le spiegazioni fornite dall'appellante circa l'asserita inidoneità dei termini, sono del tutto personali e frutto di un apprezzamento dei fatti e di valutazioni delle regole tecniche poste a presidio della corretta conduzione della gara, riservate alla stazione appaltante. 27.2. La richiesta della prova per testimoni, riproposta in appello deve essere rigettata. 27.3. La prova testimoniale, per quanto consentita dall'art. 63, comma 3, c.p.a., è comunque da considerare estrema risorsa probatoria per il giudizio amministrativo, data la sua specifica natura (Cons. Stato, Sez. VI, 20 gennaio 2022, n. 358). In questo caso, ben ha fatto il primo Giudice nel ritenerla irrilevante dopo aver: a) ricordato che non si versava in alcuna delle ipotesi tipiche di cui all'art. 79, comma 3, lettere a) e b), del d.lgs. n. 50/2016; b) precisato che i documenti prodotti dalla ricorrente non potevano considerarsi sufficienti a dimostrare che la crisi della filiera logistica e manifatturiera a causa dell'emergenza pandemica, nel caso specifico, avessero creato un impedimento tale da rendere non congruo il termine di presentazione delle offerte originariamente stabilito dalla stazione appaltante; c) ulteriormente precisato che non vi fosse prova delle asserite difficoltà di reperimento delle materie prime necessarie alla campionatura dopo la pubblicazione del bando (prova che non è stata fornita neppure in appello al di là di generiche asserzioni tutte frutto di una personale ricostruzione dei fatti proposta dall'appellante); d) escluso che i chiarimenti forniti da Aset abbiano comportato una modifica alla legge di gara, avendo gli stessi semplicemente confermato ovvero precisato quanto già espressamente prescritto dalla stessa. 27.4. Sul punto va precisato che l'art. 79, comma 3, lettera b) del d.lgs. n. 50/2016 prevede le "modifiche significative ai documenti di gara" quale presupposto della proroga "dei termini per la ricezione delle offerte". Modifiche di cui nella fattispecie non vi è traccia. 28. Veniamo al quarto motivo di appello, anch'esso infondato posto che, per parlare di illegittimità derivata, occorre che vi sia un vizio e il conseguente annullamento di un atto presupposto, vizio che qui, per tutto quanto già esposto, difetta del tutto. 29. Anche il quinto motivo di appello è manifestamente infondato posto che, per il tramite del soccorso istruttorio, l'appellante vorrebbe vedersi riconosciuta la pretesa di formare atti e produrre documenti in data successiva a quella di scadenza del termine di presentazione delle offerte in palese violazione della par condicio tra i partecipanti. Nessuna rivalutazione dell'offerta è dovuta e la sentenza del primo Giudice merita integrale conferma anche sotto questo profilo. La lunga dissertazione contenuta nella memoria depositata il 4 marzo 2023 in ordine alla necessità o meno di proporre domanda cautelare con i motivi di appello risulta inutile tenuto conto della manifesta infondatezza dei motivi così come ampiamente esposto. 30. L'appello va in definitiva respinto con integrale conferma della sentenza gravata compresa la parte della pronuncia con la quale si è deciso di prescindere dallo scrutinio delle eccezioni preliminari di inammissibilità e irricevibilità del ricorso e dei motivi aggiunti in primo grado in ragione della loro infondatezza nel merito, eccezioni riproposte in appello. 31. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima, n. 400/2022. Condanna l'appellante al pagamento delle spese del presente grado del giudizio, che liquida in Euro 3.000/00 (tremila) oltre accessori e spese di legge in favore di Aset S.p.A e Euro 3.000/00 (tremila) oltre accessori e spese di legge in favore di Al. It. S.r.l. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Giovanni Grasso - Consigliere Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Gianluca Rovelli - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4955 del 2017, proposto dalla Im. Eu. Eu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Do. Sc., con domicilio eletto presso lo studio Ri. nello sp. Associazione in Roma, via (...); contro il Comune di (omissis) (a seguito di fusione con i Comuni di (omissis)), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Lu., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato An. Cl. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche, sezione prima, n. 9 del 3 gennaio 2017. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 9 marzo 2023 il consigliere Emanuela Loria; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'oggetto del presente contenzioso è la domanda di condanna del Comune di (omissis) alla restituzione alla ricorrente dell'importo di euro 18.661,27 oltre interessi e rivalutazione monetaria versati al Comune a titolo di oneri di urbanizzazione relativi alla concessione edilizia n. 196 dell'8 giugno 1989. 2. In punto di fatto è incontestato tra le parti che: a) in data 31 agosto 1988 la società "Vi. Tu. Eu. s.r.l. di Se. Ca. Co.", a cui la ricorrente dichiara di essere succeduta, ha stipulato una convenzione di lottizzazione con il Comune di (omissis) a cui è succeduto il Comune di (omissis); b) la società ha chiesto ed ottenuto il rilascio di due concessioni edilizie nell'anno 1989 e nell'anno 1995; c) in data 8 giugno 2009 il Signor Lu. Tr. ha versato l'importo di lire 36.133.129, pari a euro 18.661,27, riservandosi di indicare il nominativo al quale avrebbe dovuto essere intestata la concessione edilizia n. 196/89, richiesta dalla Im. Eu. s.r.l.; d) gli edifici per i quali sono state rilasciate le concessioni edilizie non sono stati realizzati; e) nel 1996 e nel 1998 la società e gli eredi del Signor Tr. hanno richiesto al Comune di restituire la somma versata a titolo di oneri urbanizzazione, oltre ad interessi legali; f) il Comune ha dato riscontro alle predette richieste sostenendo che in difetto di accordo fra la Signora Te. (vedova Tr.) e la società, la somma sarebbe stata versata in conformità alle statuizioni dell'autorità giudiziaria; g) gli eredi del Signor Tr. hanno proposto ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo dinanzi alla Pretura di Padova; h) il decreto ingiuntivo è stato oggetto di opposizione da parte del Comune, che ha eccepito il difetto di giurisdizione e la inammissibilità per difetto di legittimazione attiva della ricorrente Signora Te. per decreto ingiuntivo (vedova del signor Tr.) anziché della società proprietaria dei terreni; i) il Tribunale di Padova, con sentenza n. 1770/2006, ha dichiarato il difetto di giurisdizione e annullato il decreto ingiuntivo. 3. Con ricorso al T.a.r. per le Marche il giudizio è stato riassunto dalla Im. Eu. s.r.l. per ottenere il pagamento della somma indicata. 4. Il T.a.r. per le Marche ha respinto il ricorso e ha compensato le spese del giudizio. 5. Con l'appello in esame l'appellante ritiene erronea la sentenza per i seguenti motivi: i) Configurabilità di una delegazione di pagamento e non dell'adempimento del terzo - erronea interpretazione dell'art. 1180 c.c. Travisamento ed erronea interpretazione dei fatti. La sentenza sarebbe erronea nella parte in cui ha previsto che la società ricorrente non ha "diritto alla restituzione della somma relativa alla prima rata degli oneri di urbanizzazione secondaria e del costo di costruzione di cui alla concessione n. 196/98 in quanto effettuata a favore della ricorrente, ma non in nome e per conto della stessa". ii) Legittimazione attiva dell'appellante e posizione assunta dal Comune appellato. A prescindere dal fatto che il pagamento effettuato dal sig. Tr. possa qualificarsi come adempimento del terzo, delegazione di pagamento o altro, l'unico dato dirimente, ai fini della individuazione del soggetto legittimato ad ottenere il rimborso, non poteva che essere legato alla proprietà dell'area lottizzata e soprattutto alla titolarità della concessione edilizia. iii) Error in iudicando: violazione dell'art. 1180 c.c. Il T.a.r. sarebbe incorso nella violazione dell'art. 1180 c.c., poiché il terzo adempiente non acquisirebbe il diritto di ripetere le somme versate e verso il debitore non si configurerebbe surrogazione per volontà del creditore (art. 1201 c.c.) né per volontà del debitore (art. 1202 c.c.) né legale (art. 1203 n. 3 c.c.). L'unico soggetto titolato ad agire direttamente nei confronti del creditore (che secondo questa prospettazione sarebbe il Comune di (omissis)), rimarrebbe il debitore, e non già il terzo adempiente, il quale non acquisirebbe alcun diritto di azione. 6. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) che ha chiesto che l'appello: a) sia dichiarato inammissibile: a.1) per essere stato articolato un nuovo motivo in violazione del divieto di nova in appello ex art. 104 c.p.a., non introdotto nel giudizio di primo grado in relazione al rapporto tra la società e il Signor Tr.; a.2) per il difetto di legittimazione della società a richiedere il pagamento di somme che essa non avrebbe mai versato né avrebbe dimostrato di aver versato come pure indimostrata sarebbe, a tutto voler concedere, la sussistenza di eventuali cessioni d'azienda in suo favore; b) sia dichiarato tardivo e, comunque, quanto meno proposto "in violazione dell'art. 24 Cost., essendo passati per l'introduzione del relativo giudizio quasi tre anni dall'emanazione della sentenza che ha dichiarato il difetto di giurisdizione, non potendo l'ordinamento giustificare - pur in assenza, all'epoca, di una specifica regolamentazione normativa - la sussistenza di un termine ad libitum per la riassunzione medesima", oltre ad essere improponibile per essere stato riassunto da parte di un soggetto terzo che non è stato parte in causa nel giudizio a quo; c) sia respinto in quanto il credito sarebbe comunque prescritto essendo trascorsi dieci anni dallo spirare del termine di un anno per l'inizio dei lavori (che non sono mai iniziati). Essendo stata la concessione rilasciata nell'anno 1989, l'anno a disposizione per l'inizio dei lavori sarebbe venuto a cessare nel corso del 1990, sicché il diritto al pagamento si è prescritto, tutt'al più, nell'anno 2000. Peraltro, nell'anno 2000 la società non era titolare del codice fiscale del soggetto che ha formulato la richiesta, conseguito a seguito di variazione solo nel settembre dell'anno 2007. 6.1. Il Comune ha depositato memorie e memoria di replica rispettivamente il 6 e il 15 febbraio 2023. 7. Alla pubblica udienza del 9 marzo 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 8. Il Collegio, per ragioni di economia decisionale e motivazionale, ritiene di prescindere dallo scrutinio delle plurime eccezioni sollevate dalla difesa dall'Amministrazione in relazione alla irricevibilità e inammissibilità dell'appello, stante la complessiva infondatezza nel merito dell'appello. 8.1. Con il gravame in esame l'interessata propone la domanda di restituzione degli oneri di urbanizzazione versati da una persona fisica rispetto alla quale tuttavia non dimostra quale sia il rapporto giuridico intercorrente. Peraltro, né il ricorso di primo grado né l'appello risultano essere stati notificati al soggetto in questione che, invece, ove avesse effettivamente avuto una connessione con l'interessata per aver versato per suo conto o in suo nome o con mezzi propri della ricorrente l'importo per cui è causa, avrebbe dovuto essere chiamato in giudizio. Anche ammettendo l'ammissibilità del nuovo motivo in appello di cui al punto a.1 "Qualificazione della fattispecie come adempimento del terzo" non è stata dimostrata alcuna forma di delegazione o di surroga della persona fisica che versò i contributi rispetto alla parte appellante. 8.2. In relazione alla titolarità delle concessioni edilizie, si osserva poi che l'appellante non è il soggetto che stipulò l'originaria convenzione di lottizzazione, ossia la ditta "Vi. Tu. Eu. s.r.l. di Se. Ca. Co.", che è cessata il 28 maggio 1990 e rispetto alla quale non è dimostrata alcuna successione dell'appellante medesima. 8.3. L'appellante non coincide con il soggetto giuridico che ha presentato domanda di concessione edilizia; quest'ultima infatti è stata avanzata da un soggetto omonimo il cui codice fiscale è stato assunto dall'appellante soltanto nel settembre del 2007 con variazione dell'originario codice fiscale. Inoltre al momento della domanda di concessione edilizia da parte della società omonima, l'appellante non risultava ancora iscritta nel registro delle imprese, essendo la data di iscrizione risalente al 20 settembre 1990 mentre la concessione edilizia è stata richiesta in data 21 gennaio 1989. 8.4. Dai fatti sopra descritti emerge come sia rimasta del tutto indimostrata la legittimazione da parte dell'appellante a richiedere la restituzione della rata degli oneri di urbanizzazione relativi alla concessione edilizia n. 86 del 1989, per cui l'appello va conclusivamente respinto. 9. Le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello r.g.n. 4955/2017, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante alla rifusione delle spese di giudizio che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00) in favore del Comune di (omissis), oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Gerardo Mastrandrea - Presidente Vincenzo Lopilato - Consigliere Luca Lamberti - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5709 del 2017, proposto da Be. Ul. quale Titolare della Ditta "Ba. Pr. di Be. Ul.", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fa. Ch., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ma. Ch. Mo. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Or., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Li. Ra. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima n. 00018/2017, resa tra le parti, concernente 1) - ordinanza di "ingiunzione per la demolizione di opere abusive eseguite in difformità del permesso di costruire disposta nei confronti del signor Be. Ul." numero 42 del 25/03/2014; 2) - ordinanza di "divieto di prosecuzione dell'attività e rimozione degli effetti prodotti dalla scia presentata per attività di somministrazione di alimenti e bevande" numero 51 del 2/04/2014 Per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato dal Comune di (omissis) il 30\10\2017: Appello incidentale avverso la sentenza del T.A.R. per le Marche n. 18/2017 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2023 il Cons. Ulrike Lobis e uditi per le parti gli avvocati come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in esame, parte ricorrente ha appellato la sentenza n. 18/2017 del Tar per le Marche concernente il rigetto del gravame proposto dalla stessa parte per ottenere l'annullamento (i) dell'ordinanza di "ingiunzione per la demolizione di opere abusive eseguite in difformità del permesso di costruire disposta nei confronti del signor Be. Ul.", numero 42 del 25 marzo 2014, con cui il Responsabile Area 4 del Comune di (omissis) ha ordinato al ricorrente la demolizione delle seguenti opere: (a) ampliamento porticati (logge) delle dimensioni di ml. 2,45 X ml. 2,80 e ml. 9.09 X ml. 3,50 e ml. 3,50 X ml. 3,50; (b) aumento dell'altezza del manufatto e precisamente di ml. 1,11 al colmo da ml. 5,21 a ml. 6,32, mentre all'imposta l'altezza è stata aumentata da ml 2,80 a m. 3,35 e da ml. 3,96 a ml. 4,65, realizzando inoltre un solaio intermedio a quota ml. 3,10; (c) tamponamento della superficie aperta lato sud con pannelli in legno. Mentre in assenza del titolo autorizzativo risulta realizzato un manufatto in legno delle dimensioni di ml. 2,00 X 2,00 con una altezza di ml. 2,20"; (ii) dell'ordinanza di "divieto di prosecuzione dell'attività e rimozione degli effetti prodotti dalla scia presentata per attività di somministrazione di alimenti e bevande", numero 51 del 2 aprile 2014 con cui e stato ordinato il divieto di prosecuzione dell'attività e rimozione degli effetti prodotti dalla SCIA presentata in data 06.02.2014 prot. n. 2758 dal signor Be. Ul., in qualità di titolare della ditta individuale Be. Ul. "Ba. Pr." con sede legale in Via (omissis), per lo svolgimento dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande nell'area attrezzata a verde pubblico compresa tra Via (omissis) e Via (omissis) di questo Comune a seguito convenzione del 19.03.2010, modificata il 03 aprile 2012, per tutte le motivazioni indicate in premessa; (iii) del diniego del rilascio di agibilità parziale limitatamente alla Zona Commerciale escludendo dalla stessa la loggia realizzata nel fianco est del fabbricato, Prot. n. 04686 del giorno 1 marzo 2014 recante la seguente motivazione: "In relazione alla richiesta di agibilità prot. n. 2563 del 04/02/2014, si precisa che la stessa risulta carente della firma del richiedente e priva della documentazione di rito, inoltre poiché la S.V. ha inoltrato richiesta in qualità dei titoli abilitativi rilasciati, fra cui il permesso di costruire in sanatoria richiesto in data 12.06.2012, il quale risulta denegato, si comunica che l'istanza non è accogliibile e pertanto verrà archiviata"; (iv) dell'accertamento eseguito dal Comando Polizia Municipale rilasciato il 7 aprile 2014. 1.1. Il. Sig. Be. è titolare di una concessione per la gestione di una porzione di area attrezzata a verde pubblico nel Comune di (omissis). La relativa convenzione è stata firmata dalle parti in data 19.3.2010. 1.2. La concessione prevede la costruzione di una struttura amovibile (tipo chiosco) chiudibile, da destinare all'attività di somministrazione di alimenti e bevande ai sensi della L.R. n° 30/2005 con contestuale rilascio dell'autorizzazione. 1.3. Il ricorrente, con riferimento a tale immobile, il 12 giugno 2012 ha presentato presso lo sportello unico per l'Edilizia del Comune, ai sensi dell'articolo 10 e 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, una richiesta di permesso a costruire in sanatoria per la "realizzazione di una loggia aperta su tre lati ed una maggiore altezza di un chiosco per la somministrazione di alimenti e bevande sito in Zona Industriale (omissis) a (omissis) (FM)". 1.4. Dopo il preavviso di diniego emesso il 30 agosto 2012, l'Amministrazione comunale ha respinto l'istanza con il provvedimento prot. 10440 del 26/27 aprile 2013. 1.5. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento con autonomo ricorso R.g. n. 516/2013 definito con la sentenza del T.a.r. per le Marche n. 17/2017 oggetto anch'essa di gravame. 1.6. Successivamente in data 14 novembre 2013 ha presentato una "richiesta di permesso a costruire in sanatoria con adeguamento" che, a suo dire, avrebbe comportato l'esecuzione di opere capaci di far rientrare l'immobile nelle dimensioni della superficie esterna occupata così come statuito dal T.a.r. e dalle prescrizioni del bando e su di essa il Comune non si sarebbe pronunciato. 1.7. Inoltre, in data 4 febbraio 2014 il ricorrente ha chiesto il rilascio del certificato di agibilità parziale limitatamente alla zona commerciale, escludendo quindi la loggia realizzata nel fianco est del fabbricato. 1.8. In data 6 febbraio 2014, ha poi presentato una segnalazione certificata d'inizio attività (SCIA) per l'avvio dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande nell'area commerciale, il cui esercizio non avrebbe interferito con la loggia asseritamente abusiva. 1.9. L'amministrazione comunale ha denegato l'agibilità con provvedimento datato 1 marzo 2014 prot. 04684 oggetto di impugnazione. Successivamente sono stati adottati dal Comune di (omissis) i seguenti provvedimenti, anch'essi oggetto di gravame di primo grado: - ordinanza nr. 42 del 25 marzo 2014, recante ingiunzione per la demolizione di opere abusive eseguite in difformità del permesso di costruire. Oltre all'ampliamento realizzato con la loggia e al solaio abitabile intermedio (già oggetto del diniego di sanatoria) sono stati ritenuti abusivi anche il tamponamento della superficie aperta al lato sud dell'edificio con pannelli in legno e la costruzione, in assenza di un titolo autorizzativo, di manufatti in legno delle dimensioni di 2 mt x 2 x 2.20. - ordinanza nr. 51 del 2 aprile 2014, notificata nella stessa data, recante divieto di prosecuzione dell'attività e rimozione degli effetti prodotti dalla SCIA presentata per attività di somministrazione di alimenti e bevande. 1.10. Con il ricorso al Tar l'odierna parte appellante aveva dedotto l'illegittimità degli atti e provvedimenti impugnati, con il quale si lamentava: i) con riferimento all'ordinanza 42 del 25 marzo 2014, - di avere presentato una nuova richiesta di permesso di costruire per adeguarsi alle prescrizioni della p.a; l'amministrazione, a conoscenza dei lavori relativi alla loggia, non avrebbe mai adottato l'ordinanza di sospensione lavori o l'avvio del procedimento. Inoltre sarebbe decorso il termine previsto per il consolidamento del titolo edilizio; insisteva altresì sulla legittimità della loggia, la computabilità del solaio come volume tecnico e affermava la legittimità del tamponamento con pannelli in legno del lato sud dell'edificio e della costruzione di un ulteriore manufatto in legno. ii) con riguardo al divieto di prosecuzione dell'attività di somministrazione e al diniego di agibilità parziale, affermava che sulla relativa SCIA si sarebbe formato il silenzio assenso, che non mancherebbe il richiesto titolo abilitativo edilizio e che le motivazioni del diniego non sarebbero comunque condivisibili. All'esito del giudizio di prime cure il Tar con la sentenza qui impugnata, ha accolto il ricorso in parte e per l'effetto annullato, nei limiti indicati in motivazione, l'ordinanza n. 51 del Comune di (omissis) del 2 aprile 2014 e il diniego di agibilità prot. 04684 del 1 marzo 2014 prot. 04684; ha respinto per il resto il ricorso, ritenendo in particolare - per quanto riguarda l'ordinanza n. 42/2014, che la questione della loggia era già stata oggetto di valutazione nell'ambito del ricorso n. 516/2013 - non rilevante l'eventuale conoscenza da parte del Comune dell'opera asseritamente abusiva prima della conclusione dei lavori; non sussiste alcun onere dell'amministrazione di fare precedere l'ordinanza di demolizione dall'ordine di sospensione dei lavori e neanche, trattandosi di atto vincolato, dall'avviso di inizio del procedimento - che con riferimento al conseguimento del titolo edilizio non vi sono elementi testuali per sostenere che la sottoscrizione della convenzione equivalesse a rilascio del titolo - non condivisibili le censure che affermano la legittimità delle altre opere di cui è ordinata la rimessione in pristino; per quanto riguarda la loggia e il solaio abitabile, il Tribunale si è già pronunciato riguardo il ricorso 516/2013 - che riguardo il tamponamento del lato sud con pannelli, la tamponatura di una tettoia (indipendentemente dai materiali utilizzati) costituisce intervento produttivo di volumi che necessita di titolo edilizio - che il manufatto di 2 mt x 2, realizzato in assenza di titolo autorizzativo, è di dimensioni rilevanti e risulta adibito a magazzino, e non rientra nella limitativa previsione dei "4 giochi per bambini a norma CE" prevista dalla Convenzione del 19.3.2010" - che sull'istanza di accertamento di conformità presentata il 14.11.2013, al momento dell'adozione dell'ordinanza di demolizione si era formato il silenzio rigetto ai sensi dell'articolo 36 DPR 380/2001. Parte ricorrente non ha impugnato tempestivamente il diniego implicito ma lamenta che l'ordinanza di demolizione sia stata adottata in pendenza della richiesta di accertamento di conformità, censura che, non è quindi fondata" - che "in relazione al diniego di agibilità, sussistessero apprezzabili profili di fumus quantomeno in relazione alla dedotta mancata richiesta di integrazioni istruttorie prima della conclusione negativa del procedimento, peraltro avviato dall'interessato per l'ottenimento di un'agibilità parziale, ovvero limitata alle sole superfici ritenute conformi al permesso di costruire e non oggetto di provvedimenti repressive - che la mancata sottoscrizione e le carenze documentali della richiesta di agibilità presentata il 4 febbraio 2014 non esimessero il Comune da valutare la domanda con eventuale richiesta di regolarizzazione e integrazione documentale così come il riferimento, contenuto nella motivazione, alla mancanza dei titoli abilitativi non tiene conto della natura parziale della richiesta, limitata alle parti non abusive. - che riguardo all'ordinanza 51/2014, sulla segnalazione certificata di inizio attività (somministrazione di alimenti e bevande) non si è formato alcun silenzio assenso, dato che con nota 3574 il 17 febbraio 2014 è stata richiesta dal Comune la regolarizzazione della pratica sotto il profilo urbanistico (la Scia è stata presentata in data 6.2.2014) - che l'ordinanza n. 51/2014 e il diniego di agibilità n. 4684/2014 devono essere annullati, limitatamente alla parte in cui non valutano, in contraddittorio con il ricorrente, la possibilità di concedere l'agibilità e di somministrare alimenti e bevande limitatamente alla parte conforme al titolo edilizio 2. Avverso la sentenza di primo grado parte appellante ha formulato 4 motivi di appello: (1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 13 lett. c) del regolamento edilizio e della convenzione - illegittimità del diniego e dell'ingiunzione di demolizione - violazione e falsa applicazione dell'art. 3 lett. e.6 del d.p.r. n. 380 del 2001 i in tema di pertinenze - eccesso di potere per violazione di legge ed eccesso di potere; (2) Con riferimento al solaio: Illegittimità dell'ordinanza di demolizione - eccesso di potere (3) Con riferimento ai pannelli ed al manufatto in legno: Illegittimità dell'ordinanza di demolizione - eccesso di potere (4) Accoglimento della domanda risarcitoria. 2.1. Il Comune di (omissis) si è costituito chiedendo il rigetto dell'appello. Ha proposto appello incidentale al fine di censurare la sentenza laddove sosteneva che il Comune di (omissis) avrebbe dovuto valutare, in contraddittorio con il ricorrente, la possibilità di concedere un'agibilità parziale ovvero limitata alle sole superfici ritenute conformi al permesso di costruire e non oggetto di provvedimenti repressivi. 2.2. Le parti, in vista dell'udienza di discussione, hanno depositato memorie difensive e di replica. 2.3. All'udienza del 16.2.2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 3. L'appello principale è infondato. Con il primo motivo di appello (rubricato: Violazione e falsa applicazione dell'art. 13 lett. c) del regolamento edilizio e della convenzione - illegittimità del diniego e dell'ingiunzione di demolizione - violazione e falsa applicazione dell'art. 3 lett. e.6 del d.p.r. n. 380 del 2001 i in tema di pertinenze - eccesso di potere per violazione di legge ed eccesso di potere) l'appellante censura la pronuncia laddove ha statuito che "Non sono altresì condivisibili le censure che affermano la legittimità delle altre opere di cui è ordinata la rimessione in pristino. Per quanto riguarda la loggia e il solaio abitabile, il Tribunale si è già pronunciato riguardo il ricorso 516/2013", riproponendo tutte le censure fatte valere nel procedimento sub RG 516/2013, sostenendo che l'opera in esame costituirebbe una semplice "loggia". In particolare, l'appellante sostiene che la questione del loggiato posto sul lato est andrebbe affrontata sulla base delle definizioni contenute nella "nuova stesura" dell'articolo 13 lett. c) del Regolamento Edilizio Comunale di (omissis) il quale, ai fini della distinzione fra porticato e logge aperte definisce come "porticato "una porzione del piano terreno di un fabbricato aperta almeno su un lato, lungo il quale appositi pilastri sorreggono i volumi abitabili dei piani superiori", mentre definisce come loggia un "organismo architettonico addossato ad un edificio o arretrato rispetto alla facciata, aperto su uno o due lati, con apertura a tetto o a terrazza o a balcone o sormontato da altra loggia". Sulla base della qualificazione dell'opera in discussione desunta dal citato articolo 13 lett. c) ed in relazione alla sua specifica funzionalizzazione, il Comune avrebbe potuto e dovuto rilasciare il permesso in sanatoria, trattandosi - ai fini del calcolo della superficie utile lorda e della superficie minima assentibile - di intervento indifferente sia rispetto al Regolamento Edilizio che alla convenzione. Se il ricorrente avesse realizzato un portico ovvero una veranda, avrebbe dovuto rispettare i parametri previsti dalla convenzione, ossia la realizzabilità di una superficie al chiuso di 70 mq ed un'eventuale porticato o veranda di 30 mq; ma siccome ha realizzato una "loggia aperta" che secondo la definizione data dallo stesso Regolamento Edilizio del Comune di (omissis) e dalla giurisprudenza, è una copertura aperta su tre lati e siccome non era vietata dalla convenzione e dal bando, la loggia sarebbe stata assentibile ed indifferente ai fini del calcolo sia delle superfici che delle volumetrie. Deduce, inoltre, la violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 comma 1, lett. e.6 del D.P.R. n. 380/2001 in tema di pertinenze, sostenendo che l'opera rappresenti tutti i connotati della pertinenza, in quanto l'opera eseguita non sarebbe destinata ad una finalità residenziale, non ha un autonomo valore commerciale e non è suscettibile di autonoma utilizzazione rispetto al bene principale, avendo solamente la funzione di ombreggiare e riparare lo spazio sottostante. 3.1. Il Collegio ritiene infondato il primo motivo di appello in quanto le argomentazioni dedotte con riferimento ai parametri edilizi ed urbanistici ed al concetto di loggia indicate dall'appellante non sono in grado a smentire le puntuali e logiche ragioni indicate dal Giudice di prime cure a fondamento del rigetto del ricorso. 3.2. Infatti, la convenzione per la concessione in gestione dell'area attrezzata a verde pubblico del 19.3.2010, stipulata tra l'appellante ed il Comune, prevede esplicitamente nell'art. 3 la possibilità di costruire una struttura amovibile (tipo chiosco) chiudibile da destinare all'attività di somministrazione di alimenti e bevande ai sensi della L.R. n. 30 del 2005, della superficie massima al chiuso di 70 mq e di un porticato o di una tettoia per un massimo di 30 mq, per cui le costruzioni effettuate dall'appellante, sia con riferimento al chiosco ove è stato realizzato un sottotetto abitabile con altezza interna superiore a 1,50 m, sia con riferimento alla loggia realizzata su una superficie esterna di 75 mq, hanno superato le dimensioni massime consentite dalla convenzione, rispettivamente hanno violato la prescrizione contenuta nella convenzione sulla destinazione del chiosco all'attività di somministrazione di alimenti e bevande. 3.3. Siccome nel caso concreto, sulla base di un bando pubblico è stata stipulata una convenzione tra l'amministrazione pubblica e la parte appellante concernente l'uso di un area attrezzata a verde pubblico, sono vincolanti e prevalenti le prescrizioni e pattuizioni ivi contenute sia per quanto riguarda la natura della superficie coperta all'esterno del chiosco, identificata nella convenzione con porticato o veranda, sia per quanto riguarda l'estensione massima della superficie esterna da occupare. Pertanto, in merito alle possibilità di utilizzo e di costruzione su tale area sono del tutto irrilevanti le deduzioni della parte appellante sia con riferimento alla asserita superiorità, nella gerarchia delle norme, del Regolamento edilizio rispetto al bando e alla convenzione, sia con riferimento alle differenze tra porticato e loggia, in quanto le prescrizioni contenute nella convenzione circa la natura della superficie coperta all'esterno del chiosco, identificata nella convenzione con "porticato o veranda" e le prescrizioni contenute nella convenzione circa la superficie massima, sono prevalenti e vincolanti e non possono essere violate. 3.4. Quindi, nel caso concreto, avendo l'appellante costruito una loggia aperta su una superficie esterna di 75 mq e non, come previsto nella convenzione, una veranda o un porticato con una superficie massima di 30 mq assentita dall'art. 3 della convenzione, raddoppiandone l'estensione rispetto a quella convenzionata, il Collegio, contrariamente all'assunto dell'appellante, ritiene che nel caso concreto non si tratta di intervento indifferente rispetto alle prescrizioni contenute nella convenzione e nel relativo bando e che quindi non si tratta di intervento compatibile con la convenzione, per cui il Comune ha correttamente denegato la sanatoria richiesta dalla parte appellante, in quanto la sanatoria sarebbe stata in evidente contrasto con quanto stabilito nella convenzione e nel bando. 3.5. Del pari non sono convincenti in fatto ed in diritto le affermazioni dell'appellante con riferimento alla sostenuta violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 comma 1, lett. e.6 del D.P.R. n. 380/2001 in relazione alla loggia ritenuta non sanabile da parte del comune. Nel caso concreto, come correttamente rilevato dal Giudice di prime cure con valutazione e motivazione logica, solamente ove la conformazione e le ridotte dimensioni rendano evidente e riconoscibile la finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione, gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi (non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito), possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire. 3.6. Tenuto conto della dimensione della superficie occupata, sono del tutto destituite le censure mosse dalla parte appellante con riferimento all'asserita natura pertinenziale della loggia, in quanto, per pacifica giurisprudenza "Il collegamento tra pertinenza e bene principale non può essere, peraltro, apprezzato sul piano soggettivo, avuto riguardo al tipo di destinazione che il proprietario ha inteso imprimere nel caso concreto, dovendo sussistere un "oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa in cui esso inerisce" (Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 giugno 2020, n. 3634). 3.7. Le argomentazioni a tal uopo contenute nella sentenza n. 17/2017, alla quale il Giudice di primo grado fa riferimento, sono anche integralmente conformi a quanto stabilito da questa Sezione con la propria sentenza n. 694/2017 con riferimento al concetto di pertinenza urbanistica: "La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (cfr. Cons. St., Sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 19; Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952; Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615)" 3.8. Sono quindi destituiti di fondamento gli argomenti dell'appellante posti a sostegno del primo motivo di appello. 4. Con il secondo motivo di appello, formulato con riferimento al solaio, l'appellante censura l'illegittimità del provvedimento impugnato per eccesso di potere. L'appellante, riportandosi a giurisprudenza sul soppalco (che sarebbe figura in sostanza coincidente con quella in esame) e sul vano tecnico, sostiene l'erroneità della sentenza laddove parla di una potenziale sfruttabilità del vano ai fini residenziali. A tal uopo l'appellante argomenta che il solaio non sarebbe utilizzabile da parte degli avventori del locale che non possono accedervi in quanto sarebbe costituito da un controsoffitto chiuso, accessibile tramite una botola, nel quale sarebbero stati collocati la caldaia e gli impianti delle macchine necessarie per far funzionare i frigoriferi e gli altri elettrodomestici destinati all'esercizio dell'attività di ristorazione. Secondo l'appellante, ci si troverebbe in presenza di intervento che rientra nel concetto di attività edilizia libera, trattandosi di un volume tecnico, chiuso e non computabile ai fini della volumetria consentita. 4.1. L'argomentazione non convince. Dalla documentazione fotografica depositata dalla stessa parte appellante si ritiene non poter escludere la destinazione ad uso abitabile del sottotetto come costruito dalla parte appellante, dotato di finestre sui lati est ed ovest e consistente in una altezza interna tra 1,5 m e 3,10 m (cfr. allegato 5 della parte ricorrente in primo grado, tavole e sezioni del progetto in sanatoria; fotografie di cui all'allegato 6). Considerate le caratteristiche costruttive del sottotetto si ritiene del tutto inconferente la giurisprudenza sui soppalchi e sui vani tecnici riportata dalla parte appellante a sostegno della propria tesi sulla erroneità della sentenza appellata in tale punto. 4.2. A prescindere dalla circostanza che l'appellante non ha indicato alcun plausibile motivo per il quale non sarebbe stato possibile allocare altrove la caldaia e gli impianti delle macchine necessarie per far funzionare i frigoriferi e gli altri elettrodomestici destinati all'esercizio dell'attività di ristorazione, non convince comunque la tesi avversaria circa la natura di vano tecnico del sottotetto, in quanto, come statuito dal questa Sezione con decisione del 17 febbraio 2022, n. 1184 " si definisce tecnico il volume non impiegabile né adattabile ad uso abitativo e comunque privo di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché strettamente necessario per contenere, senza possibili alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima e non collocabili, per qualsiasi ragione, all'interno dell'edificio (Consiglio di Stato, Sez. VI n. 7584 del 2021; Sez. VI, n. 3318 del 2021; Sez. II n. 5940 del 2021). Tali possono essere, in via esemplificativa, quelli connessi alla condotta idrica, termica, all'ascensore e simili (Consiglio di Stato, Sez. II n. 7357 del 2021, Sez. V, n. 3059 del 2016, Sez. VI n. 175 del 2015). Solo alle predette condizioni tali volumi non vanno computati nel calcolo della volumetria massima consentita, in quanto per definizione essi non generano autonomo carico urbanistico (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4358 del 2020)". 4.3. Infatti, ai fini di fare rientrare il sottotetto de quo nella nozione di vano tecnico, le caratteristiche costruttive, la presenza di finestre sui lati est ed ovest e le dimensioni sia di superficie che volumetriche del sottotetto, ma anche la circostanza che gli impianti ivi collocati occupano solo una minima parte della superficie complessiva del sottotetto, non si attagliano alle definizioni sopra riportate sui vani tecnici. Inoltre, come correttamente osservato dal Giudice di prime cure, la non accessibilità diretta del sottotetto è di rilievo, in quanto si tratta di accorgimento facilmente rimuovibile. Sono pertanto, destituite di fondamento le doglianze ed affermazioni dedotte dalla parte appellante a sostegno di questo motivo di appello. 4.4. Infine, va confermata la statuizione del Giudice di primo grado anche con riferimento alla non contraddittorietà del provvedimento impugnato con la delibera di consiglio comunale 230/2010, laddove statuisce che l'esclusione dei volumi tecnici e dei servizi obbligatori dalla superficie massima realizzabile, prevista dalla delibera del consiglio comunale n. 230/2010 riguarda il caso in cui le opere abbiano effettivamente le caratteristiche del "volume tecnico", circostanza che, come evidenziato ai precedenti punti, non si riscontra nel caso in esame. 4.5. Conclusivamente va rigettato anche il secondo motivo di appello in quanto evidentemente infondato. 5. Con il terzo motivo d'appello (rubricato: Con riferimento ai pannelli ed al manufatto in legno: Illegittimità dell'ordinanza di demolizione - eccesso di potere), parte appellante censura la pronuncia nella parte in cui tratta il tamponamento del lato sud con pannelli e il manufatto di 2 mt x 2 realizzato in assenza di titolo autorizzativo. In merito al tamponamento della superficie aperta lato sud con pannelli in legno realizzata in assenza del titolo autorizzativo l'appellante eccepisce che le opera non costituirebbe un tamponamento né un manufatto, ma una semplice apertura scorrevole "a fisarmonica", completamente apribile, fatta di pannelli in alluminio per riparare i tavoli. Sostiene che questa opera fosse prevista nel bando e che sarebbe stata installata in sostituzione dei teli presenti in precedenza che si erano lacerati. Di conseguenza non risulterebbe pertinente il riferimento alla sentenza del T.a.r. Marche, Sez. I, 13 gennaio 2012, n. 39 citata nella sentenza, secondo la quale "La tamponatura, con pannelli in vetro, di una precedente tettoia con conseguente realizzazione di una veranda e correlato aumento di volumetria deve essere qualificata, ai sensi dell'art. 3, d.P.R.6 giugno 2001 n. 380, come ristrutturazione edilizia in quanto comporta, in conseguenza dell'aumento di volumetria correlata, la realizzazione di un organismo diverso dal precedente per struttura e destinazione; un intervento del genere, pertanto, deve essere assentito con permesso di costruire", poiché questa si riferisce ad un caso diverso rispetto a quello in esame. Sostiene che nella fattispecie in esame non vi sarebbe stata alcuna tamponatura né aumento di volumetria. Deduceva inoltre che il "manufatto in legno delle dimensioni di ml. 2,00 X 2,00 con una altezza di ml. 2,20" non sarebbe altro che uno dei quattro giochi per bambini che l'appellante era obbligato ad installare temporaneamente sul posto senza essere stabilmente infisso al suolo, perché prescritti dal bando il cui vano, in assenza dei piccoli fruitori, viene utilizzato per ricoverarvi gli altri attrezzi ludici. Non corrisponderebbe al vero l'affermazione che questo sarebbe di rilevanti dimensioni (in quanto è di 4 metri quadrati) e, ad ogni modo, si tratterebbe di una struttura leggera, semplicemente appoggiata al terreno, amovibile senza fondamenta e tale da non costituire un'apprezzabile trasformazione del territorio circostante, essendo oggettivamente finalizzata a soddisfare esigenze transeunti, collegate all'attività esercitata sul posto. 5.1. Le doglianze non hanno pregio. Il Collegio premette che la nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione edilizia, si configura in presenza di opere che attuino una trasformazione urbanistico - edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a prescindere dal fatto che essa avvenga mediante realizzazione di opere murarie; infatti è irrilevante che le dette opere siano realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, laddove comportino la trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 gennaio 2003, n. 419) e ciò anche se ciò avvenga con superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 28 giugno 2019 n. 4449). 5.2. Per quanto concerne la chiusura di un balcone mediante l'installazione di una struttura a vetri, formata da pannelli frangivento in vetro, rotabili su se stessi e scorrevoli su binari, questa Sezione con decisione del 24.01.2022, n 469 ha statuito che con riferimento ad "interventi costruttivi volti a chiudere un'area aperta e delimitata, pertinenziale all'appartamento di proprietà, consistente in un balcone ovvero in una loggia ovvero ancora portici o porticati attraverso la installazione di pannelli in vetro, si è affermato che l'installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un'area (un porticato, ma analogamente, ad avviso del Collegio, la questione può essere posta per balconi o logge) che si presenti aperta su tre lati, determina, senz'altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria e ciò perché l'intervento va riguardato dall'ottica del risultato finale, ovvero il rilevato aumento di superficie e di volumetria, sia che ciò consegua alla chiusura su tutti i lati, sia che ne implichi anche la copertura, pure con superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili (cfr., in tal senso, con specifico riferimento ai porticati ma, per quanto si è sopra detto, analogamente riferibile alla chiusura di logge o di balconi, Cons. Stato, Sez. II, 27 giugno 2019 n. 4437 e Sez. V, 5 maggio 2016 n. 1822)". 5.3. Ad avviso del Collegio, il concetto della soprariportata decisione n. 469/2022 è senza dubbio sovrapponibile al caso qui in esame, che per le sue caratteristiche costruttive, anche se consistenti nella completa amovibilità della partizione tramite impacchettamento, si pone, nel concreto, in una dimensione, edilizia e giuridica, analoga rispetto alle consuete vicende legate alla chiusura con pannelli in vetro di portici, porticati, logge, balconi, balconate; ciò in quanto la chiusura con vetrate dell'area corrispondente alla loggia, sebbene dette vetrate siano richiudibili "a pacchetto"(cfr. fotografie, allegato 11 della parte ricorrente; fotografie doc. 3 del Comune, depositato il 31.5.2014) costituisce un'area abitabile rispettivamente utilizzabile ai fini ristorativi, per la conformazione tecnica dell'opera e per il risultato che emerge a seguito della installazione. Tale avvenuta realizzazione di un vano aggiuntivo mediante tamponatura di un'area non può neppure qualificarsi come pertinenza in senso urbanistico, in quanto integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. VI, 26 marzo 2018 n. 1893). 5.4. Anche per quanto riguarda la realizzazione del manufatto in legno delle dimensioni di 2 mt x 2 realizzato in assenza di titolo autorizzativo ed usato come magazzino, valgono le sopra esposte considerazioni in diritto sulla nozione di costruzione ai fini del rilascio della concessione edilizia. Infatti, contrariamente all'assunto dell'appellante, dalla documentazione fotografica e dalla convenzione emerge che il manufatto in legno delle dimensioni di mt 2x2 e dell'altezza di 2,2 mt, oggetto dell'ordinanza n. 42/2014, non fa parte dei giochi per bambini che il ricorrente era obbligato ad installare, in quanto non rientrante nelle strutture elencate al punto 3.3. della convenzione (doc. 9 depositato dalla parte ricorrente in primo grado) che prescriveva l'installazione di n. 4 giochi per bambini a norma CEE, di n. 6 panchine finalizzate alla fruizione dell'area verde circostante; n 5 punti luce per l'illuminazione; n 4 porta rifiuti. Lo stesso appellante dichiara che il manufatto viene usato come magazzino per il ricovero di attrezzi ludici, escludendo quindi la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze eccezionali. L'art. 3, punto e5), d.P.R. 380/2001 include tra le opere di "nuova costruzione" "l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore". Ne consegue la correttezza dell'ordinanza impugnata n. 42/2014 che ha ordinato la demolizione del manufatto eseguito in assenza di permesso di costruire. 5.5. Conclusivamente, per quanto esposto e ritenendo assorbiti tutti gli ulteriori argomenti di doglianza non espressamente esaminati, sulla base delle statuizioni contenute nei precedenti punti, l'appello principale deve essere respinto; dal rigetto di ogni domanda di annullamento discende conseguenzialmente il rigetto della domanda risarcitoria, concernente gli investimenti effettati nella costruzione del manufatto, indicati in circa 150.000,00 euro. 6. Il Collegio passa all'esame dell'appello incidentale proposto dal Comune di (omissis) al fine di censurare la sentenza laddove sosteneva che il Comune di (omissis) avrebbe dovuto valutare, in contraddittorio con il ricorrente, la possibilità di concedere un'agibilità parziale ovvero limitata alle sole superfici ritenute conformi al permesso di costruire e non oggetto di provvedimenti repressivi. Il Comune sostiene che tale dictum del Giudice di primo grado sarebbe errato per violazione ed errata applicazione della normativa in materia di agibilità degli edifici (art. 24 d.P.R. 380/01), nonché per mancata valutazione di elementi fattuali e di presupposti acquisiti al procedimento amministrativo, per violazione dell'art. 6 l. n. 241/90 e dei principi in tema di atto amministrativo e di elementi essenziali dello stesso. Secondo il Comune, il Collegio di primo grado avrebbe totalmente disatteso le risultanze fattuali della presente controversia e osserva come già in primo grado si sarebbe evidenziato come il Comune di (omissis) non avesse alcun obbligo di notiziare il ricorrente del fatto che la sua richiesta di agibilità prot. 2563/14 risultasse priva della firma e della documentazione di rito Nella fattispecie in esame il T.a.r. in particolare non ha considerato che con nota n. 3574/14 il Comune di (omissis) ha invitato il ricorrente a regolarizzare la documentazione e a conformare alla normativa vigente la sua attività . Per quanto concerne il divieto di prosecuzione dell'attività di cui all'ordinanza n. 51/14, il Comune ritiene debba essere evidenziato che lo stesso sarebbe stato fondato su validi presupposti in quanto detta procedura richiede la conformazione dell'attività alla normativa vigente e quindi, in particolare, a quella edilizia. A tale fine sarebbero stati decisivi i due documenti, ossia la nota n. 3574/14 e il verbale sopralluogo Vigili Urbani n. 5233/14. Secondo il Comune, il Giudice di prime cure non avrebbe preso in considerazione questi documenti rilevanti, ed in particolare la nota n. 3574 del 17/2/14 con la quale si comunica al sig. Be. Ul. ai sensi dell'art. 7 legge 241/90 la richiesta di conformazione della SCIA alla normativa urbanistica. Ne conseguirebbe quindi che il ricorrente è stato notiziato del fatto che la sua pratica anche sotto il profilo urbanistico non era conforme e che quindi avrebbe dovuto regolarizzarla nel termine indicato. Ciò non è accaduto e quindi le doglianze del ricorrente circa il formarsi del silenzio-assenso e circa una mancanza di collaborazione fra cittadino e istituzioni sono prive di pregio. La nota prot. 3574/14 avrebbe il duplice effetto di interrompere ai sensi dell'art. 19 comma 3 L. 241/90 il termine per il formarsi del silenzio-assenso e in secondo luogo costituirebbe la comunicazione circa la sussistenza di carenze della procedura urbanistica con invito a conformare l'attività . Nonostante il ricorrente avesse avuto la possibilità di regolarizzare la documentazione e conformare alla normativa vigente la sua attività, ciò non sarebbe accaduto; risulterebbe dal sopralluogo dei Vigili Urbani n. 5233/14 che sussistevano le difformità rispetto al permesso di costruire rilasciato al ricorrente e indicate nell'ordinanza di demolizione n. 42/14. Per questi motivi sarebbero prive di pregio le argomentazioni che il Giudice di prime cure pone a fondamento della sua decisione: a) anche in carenza di sottoscrizione della richiesta di agibilità vi era l'obbligo del Comune di richiedere la regolarizzazione e integrazione documentale; b) la non conformità ai titoli abilitativi non sarebbe stata formulata in contraddittorio con il ricorrente e comunque non avrebbe tenuto contro della natura parziale della richiesta di agibilità, limitata In secondo luogo il diniego di agibilità sarebbe stato motivato anche sulla circostanza dell'assenza dei titoli abilitativi e quindi dell'abusività della struttura. Per il Comune, quanto affermato dal Giudice di prime cure in merito al fatto che il Comune avrebbe dovuto valutare, in contraddittorio con il ricorrente, la possibilità del rilascio di un'agibilità parziale limitata alle parti non abusive, si pone in contrasto con il principio codificato in giurisprudenza secondo il quale "La conformità dei manufatti alle norme urbanistico - edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli artt. 24 comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001 e 35 comma 20, l. n. 47 del 1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico - edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata". Inoltre, il dictum del Giudice di primo grado si porrebbe anche in contrasto con l'art. 24 comma 4 bis lett. a) del d.P.R. n. 380/01 sotto un duplice presupposto. L'art. 24 ammette la possibilità del rilascio di un'agibilità parziale anche su singole porzioni della costruzione purché funzionalmente autonome. Nella fattispecie detto presupposto sarebbe stato assente poiché gli abusi riscontrati, e cioè il sottotetto abitabile e la loggia, costituiscono un unicum rispetto alla costruzione di cui si chiede l'agibilità . Gli abusi incidono su parti della struttura inscindibilmente connesse con le parti conformi e da ciò ne conseguirebbe l'impossibilità del rilascio di un'agibilità parziale. 6.1. L'appello incidentale è fondato. Per quanto concerne la richiesta di abitabilità parziale presentata dalla parte appellante principale in data 4.2.2014, si rileva che il Comune, con lettera del 1.3.2014, prot 4686 ha comunicato al richiedente che la domanda era stata presentata sprovvista della firma del richiedente e priva della documentazione di rito, per cui il Collegio ritiene, contrariamente al Giudice di prime cure, che tale comunicazione costituiva la comunicazione della necessità di regolarizzare la firma mancante e di integrare la documentazione ai fini del rilascio della abitabilità . L'appellante principale, che aveva ricevuto tale comunicazione in data 4.3.2014 (doc. 2 del Comune depositato il 31.5.2014) non ha provato di aver dato seguito a tale comunicazione, per cui non si può fare alcun rimprovero al Comune. 6.2. Ad ogni modo - tenuto presente che il sig. Be. Ul. nell'esecuzione dei lavori per la costruzione del chiosco ha eseguito opera abusive (loggia, sottotetto del chiosco) per le quali nel 2012 era stato negato il rilascio della sanatoria - per quanto concerne l'ordinanza n. 51 /2014 di divieto di prosecuzione dell'attività, il Collegio non condivide la statuizione del TAR che il Comune di (omissis) avrebbe dovuto valutare, in contraddittorio con il ricorrente in primo grado, la possibilità di concedere un'agibilità parziale ovvero limitata alle sole superfici ritenute conformi al permesso di costruire e non oggetto di provvedimenti repressive, in quanto mancavano i presupposti ai fini di una tale valutazione. 6.3. Infatti, dal testo dell'ordinanza impugnata emergono chiaramente le motivazioni sulle quali il Comune ha basato l'ordinanza di divieto, ed in particolare - la comunicazione del Comune prot. 3574 del 17.2.2014, emanata nel corso dell'istruttoria della segnalazione certificata di inizio attività, presentata dal sig. Be. Ul. in data 6.2.2014, con la quale il Comune ha comunicato al sig. Be. Ul. ai sensi dell'art. 7 legge 241/90 la richiesta di conformazione della SCIA alla normativa urbanistica, specificando che "la SV può provvedere a conformare alla normativa ovvero regolarizzare la pratica sotto il profilo urbanistico come indicato nel precedente punto dandone dimostrazione allo scrivente Ufficio entro e non oltre il termine di 60 (sessanta) giorni dal ricevimento della presente" - la comunicazione del Comune di (omissis) del 1.3.2014 con la quale è stato comunicato al sig. Be. Ul. che la domanda di rilascio del certificato di agibilità del 4.2.2014 era stata presentata sprovvista della firma del richiedente e priva della documentazione di rito - l'ordinanza n. 42 del 25 marzo 2014 che ha disposto nei confronti del sig. Be. Ul. la demolizione di opere abusive eseguite in difformità del permesso di costruire. 6.4. Pertanto, essendo il sig. Be. Ul., con nota prot. 3574 del 17.2.2014 stato messo al corrente del fatto che la sua pratica sotto il profilo urbanistico non era conforme e che quindi, ai fini dell'esercizio dell'attività, avrebbe dovuto regolarizzare la conformità urbanistica come indicato nella lettera del 17.2.2014 e essendo il sig. Be. Ul. stato reso edotto con nota del 1.3.2014 di aver presentato la domanda di agibilità senza firma e senza documentazione di rito e infine considerato che il 25.3.2014 è stata emessa l'ordinanza di demolizione n. 42/2014 delle opere abusive non regolarizzate dal sig. Be. Ul., il provvedimento n. 51/2014, con il quale è stata vietata la prosecuzione dell'attività e con il quale sono stati rimossi gli effetti prodotti dalla SCIA presentata per l'attività di somministrazione di alimenti e bevande, risulta corretta e legittima. 6.5. Per quanto concerne il divieto di prosecuzione dell'attività di cui all'ordinanza n. 51/14 va evidenziato che lo stesso è fondato su validi presupposti in quanto detta procedura richiede la conformazione dell'attività alla normativa vigente e quindi, in particolare, a quella edilizia e di conseguenza il possesso del certificato di agibilità dei locali. Ai sensi dell'art. 24 comma 1, t.u. 6 giugno 2001 n. 380 il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, ma tale accertamento fa proprio anche l'integrale conformità delle opere realizzate al progetto approvato dal punto di vista dimensionale, prestazionale e delle prescrizioni urbanistiche ed edilizie come attestato dalla licenza di abitabilità . Al tempo stesso l'accertamento della piena conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie ed alle prescrizioni del permesso di costruire, nonché alle disposizioni di convenzione urbanistica, costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità (tra tante, Consiglio di Stato sez. IV, n. 5523, del 21 novembre 2013; Sez. IV, 24 ottobre 2012, n. 5450). Orbene, tenuto conto di quanto appena esposto in merito al certificato di agibilità, contrariamente all'assunto del Giudice di primo grado, il Collegio ritiene che nel caso concreto, tenuto conto degli abusi edilizi, concernenti sia l'interno del chiosco (sottotetto reso abitabile) che l'esterno (loggia), non sussistevano i presupposti per il rilascio di un certificato di agibilità parziale, mancando il presupposto della funzionalità autonoma delle parti della costruzione. 6.6. Nel caso concreto detto presupposto non sussisteva in quanto gli abusi riscontrati, e cioè il sottotetto abitabile e la loggia, costituiscono un unicum rispetto alla costruzione di cui è stata chiesta l'agibilità . Gli abusi incidono su parti della struttura inscindibilmente connesse con le parti conformi e da ciò ne consegue l'impossibilità del rilascio di un'agibilità parziale. 6.7. In conclusione nella fattispecie, stante gli abusi esistenti e il diniego del rilascio di permesso di costruire a sanatoria, il Comune non aveva la possibilità di rilasciare un'agibilità parziale, per cui è erronea la sentenza impugnata laddove ha accolto sul punto il ricorso del sig. Be. Ul. affermando la necessità del Comune di (omissis) di rideterminarsi su tale aspetto. 6.8. Di conseguenza va accolto l'appello incidentale ed in parziale riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso in primo grado sul punto. 7. Le spese seguono la soccombenza, in virtù del principio di cui all'art. 91 c.p.c., per come richiamato espressamente dall'art. 26, comma 1, c.p.a., di talché l'appellante sig. Be. Ul. quale titolare della ditta "Ba. Pr. di Be. Ul." va condannato alla rifusione delle spese di lite in favore dell'appellato Comune di (omissis), liquidate in Euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre accessori come per legge. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, - Respinge l'appello principale del sig. Be. Ul. quale titolare della ditta "Ba. Pr. di Be. Ul.. -Accoglie l'appello incidentale del Comune di (omissis) l'appello e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado sul punto. Condanna l'appellante sig. Be. Ul. quale titolare della ditta "Ba. Pr. di Be. Ul." alla rifusione delle spese di lite in favore dell'appellato Comune di (omissis), liquidate in Euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Alessandro Maggio - Consigliere Lorenzo Cordà - Consigliere Ulrike Lobis - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1123 del 2020, proposto dalla signora Si. Pa., rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Di., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del suddetto difensore in Roma, via (...); contro - il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fl. Ri. in Roma, via (...); - il Ministero per i beni e le attività culturali e la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle Marche, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato presso la cui sede domiciliano per legge in Roma, via (...); e con l'intervento di ad adiuvandum della società Dh., in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Di., con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del suddetto difensore in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche, Sez. I, 1 luglio 2019 n. 444 resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Viste le costituzioni in giudizio del Comune di (omissis), del Ministero per i beni e le attività culturali e della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle Marche e i documenti prodotti; Visto l'intervento ad adiuvandum spiegato dalla società Dh. ; Esaminate le ulteriori memorie, anche di replica e i documenti prodotti; Relatore nell'udienza del 27 aprile 2023 il Cons. Stefano Toschei. Si registra il deposito di note d'udienza con richiesta di passaggio in decisione della causa senza la previa discussione prodotte dai difensori delle parti in giudizio; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Il presente giudizio in grado di appello ha ad oggetto la richiesta di riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche, Sez. I, 1 luglio 2019 n. 444 con la quale il TAR ha dichiarato in parte irricevibile, in parte inammissibile e in parte ha respinto il ricorso introduttivo (n. R.g. 630/2009) e il ricorso recante motivi aggiunti, proposti dalla signora Si. Pa. al fine di ottenere l'annullamento dei seguenti atti e/o provvedimenti: (con il ricorso introduttivo) a) l'ordinanza n. 32 del 6 aprile 2009 di rimessione in pristino di opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica in un fabbricato ex colonico nelle condizioni precedenti al permesso di costruire n. 12 dell'1 giugno 2004 rilasciato dal Comune di (omissis); b) la nota n. 10047 del 18 luglio 2008 con cui il Servizio di Polizia municipale del Comune di (omissis) ha comunicato l'accertamento dell'abuso edilizio di cui sopra; c) il provvedimento di rigetto in ordine all'istanza di accertamento di conformità urbanistica presentata in data 6 maggio 2008 (prot. n. 6305) dalla signora Si. Pa. relativamente alle opere eseguite in difformità dal permesso di costruire n. 12/2004, comunicato il 15 aprile 2009 contestualmente all'ordinanza di rimessione in pristino; (con il ricorso recante motivi aggiunti) d) il parere vincolante contrario, protocollo n. 13761 dell'1 dicembre 2009, espresso ai sensi dell'art. 167, comma 5, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle Marche di Ancona, con riferimento alla richiesta di accertamento della compatibilità paesaggistica dei lavori di ristrutturazione ed ampliamento di un fabbricato di civile abitazione sito nel Comune di (omissis); e) la comunicazione, prot. n. 16534 del 2 dicembre 2009, recante preavviso di diniego, ai sensi dell'art. 10-bis, l. 7 agosto 1990, n. 241, dell'istanza di accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica per la ristrutturazione e l'ampliamento di un fabbricato sito nel Comune di (omissis); f) la nota prot. n. 479 del 13 gennaio 2010, (comunicata in data 18.01.2010), con cui la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle Marche di Ancona ha dichiarato la nullità del proprio precedente parere favorevole, prot. n. 13761 del 5 gennaio 2010, in merito all'accertamento della compatibilità paesaggistica dei lavori eseguiti nell'unità immobiliare di proprietà della signora Si. Pa. sita nel Comune di (omissis); g) il provvedimento, emesso in data 8 gennaio 2010 dal Comune di (omissis), di diniego alla compatibilità paesaggistica prevista dall'art. 167, comma 4, del d.lgs. 42/2004, come da richiesta presentata in data 9 giugno 2009 con prot. n. 7914 dalla signora Si. Pa.. 2. - La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti oggi controvertenti nei due gradi di giudizio nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue: - la signora Si. Pa., all'epoca dei fatti, era proprietaria di un immobile sito nel Comune di (omissis) (Ancona), costituito da due piani fuori terra e realizzato con struttura portante in muratura e solai in legno, costruito in due epoche diverse, con caratteristiche delle opere strutturali non omogenee, tanto da presentare due altezze diverse; - con richiesta presentata in data 21 aprile 2004 allo Sportello unico per l'edilizia del Comune di (omissis) (domanda prot. n. 5820/04), la proprietaria chiedeva il rilascio di un permesso di costruire per la ristrutturazione dell'immobile, che veniva effettivamente rilasciato (provvedimento n. 12 del 2004); - riferisce la odierna appellante che i lavori di ristrutturazione dell'immobile venivano iniziati in data 30 settembre 2004 e poi sospesi in data 2 maggio 2005, per iniziativa del direttore dei lavori e a causa di un contenzioso sorto in corso d'opera tra il predetto professionista, la committente e la ditta appaltatrice in merito alle modalità di esecuzione degli stessi sicché veniva presentata allo Sportello unico per l'edilizia del Comune di (omissis), nel 2008 (precisamente in data 6 maggio 2008, prot. n. 6305), una richiesta di rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, atteso che il fabbricato in questione presentava difformità sul piano dimensionale e distributivo interno rispetto a quanto autorizzato nel 2004 (in particolare le difformità per le quali era richiesto il rilascio del titolo postumo erano le seguenti: a) la realizzazione di due unità immobiliari per ciascun piano, rispetto all'unica assentita per il piano terra e per il primo piano; b) con riferimento al piano interrato uno sviluppo maggiore, rispetto a quanto autorizzato, sul lato della corte interna del fabbricato; c) le dimensioni planimetriche superiori al progetto autorizzato tenuto conto della conformazione della scala esterna; d) la mancata realizzazione di collegamento interno tra il fabbricato, oggetto di intervento ed il fabbricato attiguo, di proprietà della stessa signora Pa.; e) la demolizione di un piccolo fabbricato, lato strada e la realizzazione - in luogo di esso - di un volume diverso non previsto dal progetto approvato; f) la diversa distribuzione interna degli spazi); - pendente il procedimento di accertamento di conformità, in data 18 luglio 2008, il Servizio di Polizia municipale del Comune di (omissis) comunicava alla proprietaria (con nota prot. 10047) l'accertamento della realizzazione di opere difformi rispetto agli interventi assentiti con il permesso di costruire n. 12 dell'1 giugno 2004 e in assenza dell'autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 146 d.lgs. 42/2004; - da ciò seguiva, in data 6 aprile 2009, l'adozione dell'ordinanza n. 32/2009 con la quale il Comune di (omissis) disponeva la rimessione in pristino del fabbricato ex colonico "nelle condizioni precedenti il permesso di costruire n. 12 del 1.6.2004 rilasciato dal Comune stesso, in quanto opere realizzate in assenza dell'autorizzazione prevista dall'art. 146 d.lgs. 22.1.2004 n. 42", comunicando nel contempo il rigetto della domanda di sanatoria; - la signora Si. Pa. proponeva quindi ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per le Marche sostenendo la illegittimità dei suddetti provvedimenti emanati dal Comune di (omissis) in quanto affetti da numerose illegittimità tra le quali, in particolare, la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 27 e 29 del P.P.A.R. delle Marche che non pongono limiti di edificazione nonché di ampliamento per le zone F (quale è quella nella quale ricade l'immobile in questione), oltre alla circostanza che doveva escludersi la necessità di previo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica per mancanza del relativo vincolo e all'ulteriore elemento costituito dalla oggettiva impossibilità di riportare allo status quo ante l'immobile, visto che già prima della realizzazione degli interventi assentiti con il permesso di costruire n. 12/2004 esso si trovava in stato di evidente degrado strutturale e manutentivo, necessitando di un ineludibile intervento di recupero edilizio; - nel corso del processo, in seguito alla sospensione cautelare degli effetti dell'ordinanza di demolizione impugnata, la signora Pa. presentava in data 9 giugno 2009 una nuova domanda (prot. n. 7914/09), successivamente integrata con altra domanda del 31 luglio 2009 (prot. n. 10308), per l'accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere realizzate in assenza dell'autorizzazione paesaggistica, posto che esse non avevano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero un aumento di quelli legittimamente autorizzati, come risultava dalla relazione tecnica allegata, ma gli uffici comunali comunicavano il preavviso di diniego sulla scorta del contrario parere vincolante espresso dalla Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici delle Marche (parere n. 13761 dell'1 dicembre 2009); - in seguito alla presentazione delle osservazioni da parte della proprietaria, la Soprintendenza, in data 11 gennaio 2010, comunicava il proprio parere favorevole all'accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere realizzate, con nota prot. n. 13761 del 5 gennaio 2010, "considerato che il funzionario responsabile del Comune di (omissis) ha dichiarato la sussistenza delle condizioni per l'accertamento della compatibilità paesaggistica di cui alle lettere a), b), c) del comma 4 dell'art. 167 d.lgs. 42/2004; verificato che le opere di cui sopra non arrecano particolari modificazioni dello stato dei luoghi incompatibili con la natura del bene tutelato"; - riferisce la odierna appellante che il Comune di (omissis), in seguito alla ricezione del parere da ultimo espresso dalla Soprintendenza, era da quest'ultima sollecitato a verificare che i lavori eseguiti rispondessero effettivamente a quanto dichiarato negli elaborati trasmessi e che le tipologie edilizie realizzate rientrassero tra quelle previste ed assentite dagli strumenti di pianificazione paesaggistica nonché successivamente ad applicare le sanzioni previste dalla legge per il caso in questione; - il Comune di (omissis), con provvedimento dell'8 gennaio 2010, adottava un diniego di compatibilità paesaggistica relativa ai lavori di ristrutturazione e ampliamento dell'immobile in questione con la seguente motivazione: "la Soprintendenza per i beni Ambientali ed Architettonici delle Marche ha espresso, ai sensi dell'art. 167 comma 5 del d.lgs. 22.1.2004 n. 42 il proprio parere vincolante contrario (parere n. 13761 del 1.12.2009) all'accoglimento della richiesta in quanto l'aumento del volume realizzato esclude la possibilità di rilascio della compatibilità paesaggistica come specificato dal comma 4 lett. a) del medesimo art. 167". Successivamente la Soprintendenza comunicava alla proprietaria, in data 18 gennaio 2010, la nota 13 gennaio 2010, prot. n. 479, nella quale era dichiarato "nullo" il parere favorevole espresso il 5 gennaio 2010 e protocollato al n. 13761, in quanto lo scrivente Ufficio si sarebbe già espresso con la precedente nota dell'1 dicembre 2009 anch'essa protocollata al n. 13761; - la signora Pa. proponeva quindi ricorso recante motivi aggiunti contestando la legittimità dei provvedimenti di cui sopra; -il TAR per le Marche, con sentenza n. 444/2019, ha dapprima dichiarato il ricorso introduttivo in parte irricevibile (con riferimento all'impugnato diniego di accoglimento dell'istanza di accertamento di conformità urbanistica respinta con il provvedimento di rimessione in pristino n. 32/2009), in parte inammissibile (nella parte in cui era stata impugnata la nota n. 10047 del 18 luglio 2008, recante l'accertamento dell'abuso edilizio sull'immobile, trattandosi di atto di natura endoprocedimentale meramente accertativo) e, in parte, infondato (con riferimento alle numerose censure dedotte nei confronti dell'ordinanza di rimessione in pristino n. 32/2009, atteso che l'immobile in questione si trova in area sottoposta a vincolo paesaggistico perché posizionato nella fascia limitrofa al fiume Ru., riconosciuto bene di interesse pubblico dalla Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali e ricompreso tra "i fiumi e corsi d'acqua" nel Piano paesistico ambientale nonché nell'elenco delle acque pubbliche e, al contempo, inserito in zona E6 e anche in zona F3, "aree di rispetto stradale", come tale soggetto al vincolo ex art. 142, comma 1, lett. c) d.lgs. 42/2004). Il primo giudice poi, con riguardo al ricorso recante motivi aggiunti, ha respinto tutte le censure dedotte. 3. - Propone quindi appello, nei confronti della suddetta sentenza di primo grado n. 444/2019, la signora Si. Pa., che ne sostiene la erroneità per otto complessi motivi di appello (che sostanzialmente ricalcano le censure già dedotte in primo grado e non condivise dal TAR per la Campania), che possono sintetizzarsi come segue: I) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 36, 37, 38 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 - Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 146, comma 1 e 4, 167, comma 1 e 4, 159 d.lgs. 42/2004. Il primo giudice ha ritenuto che fosse irricevibile la domanda di annullamento del provvedimento di rigetto dell'istanza di conformità urbanistica presentata dalla signora Pa. in data 6 maggio 2008 in quanto, non avendo ella impugnato tempestivamente il silenzio diniego formatosi dopo sessanta giorni dalla predetta data di presentazione dell'istanza, non poteva ritenersi tempestivamente proposto il ricorso notificato in data 15 giugno 2009 nei confronti del provvedimento di rimessione in pristino dello stato dell'immobile n. 32/2009. Tale ricostruzione della vicenda giuridica, per come proposta dal primo giudice, ad avviso dell'odierna appellante, non può essere condivisa atteso che "Alla luce del contenuto del provvedimento impugnato (...), seppure il Comune di (omissis) abbia qualificato il provvedimento quale "ordinanza di rimessa in pristino di opere realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica", con esso il predetto ente locale (ha) in via prioritaria disposto il rigetto dell'istanza di sanatoria" (così, testualmente, a pag. 15 dell'atto di appello), con la conseguenza che il ricorso nei confronti dell'ordinanza n. 32/2009, nella parte in cui è stato chiesto l'annullamento del diniego di accertamento di conformità, risulta essere tempestivo perché solo con detto atto il comune si è espresso sull'istanza proposta ai sensi dell'art. 36 d.P.R. 380/2001, non determinando lo spirare del termine di sessanta giorni dalla presentazione della suddetta istanza alcuna consumazione del potere dell'ente locale di determinarsi sulla richiesta di sanatoria che l'amministrazione può sempre successivamente esercitare; II) Violazione e/o falsa applicazione e/o erronea applicazione del combinato disposto degli artt. 146, comma 1 e 4, 167, comma 1 e 4 e 159 d.lgs. 42/2004. Tenuto conto che dunque, per quanto si è appena riferito, il ricorso nei confronti del diniego di rilascio dell'accertamento di conformità doveva essere dichiarato tempestivo, possono essere riproposti i motivi di censura dedotti nei suoi confronti in primo grado. Per un primo ordine di ragioni il diniego di sanatoria si presenta illegittimo perché le disposizioni richiamate dall'amministrazione per escludere la possibilità di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica in sanatoria, ratione temporis, non potevano trovare applicazione nel caso di specie. Ciò in quanto per l'immobile in questione e per l'epoca in cui si sono sviluppati i fatti di causa, si è protratta nel tempo la c.d. fase transitoria per la mancata approvazione dei piani paesaggistici, con la conseguenza che le nuove disposizioni recate dal d.lgs. 42/2004 non potevano a quell'epoca trovare applicazione; III) Violazione e/o falsa applicazione e/o erronea applicazione degli artt. 3, 6, 10, 15, 22, 31, 33, 34, 36, 37 e 38 d.P.R. 380/2001. Secondo un ulteriore versante il diniego di sanatoria degli interventi realizzati in parziale difformità del permesso di costruire n. 12 dell'1 giugno 2004 reca, illegittimamente, solo impedimenti di ordine paesaggistico e non già di ordine urbanistico, non rilevando alcun puntuale contrasto delle opere difformemente realizzate con riguardo alle norme di Piano applicabili. D'altronde nel diniego di asserisce, impropriamente, che sull'area in questione gravasse un vincolo paesaggistico di cui all'art. 142, lett. c), d.lgs. 42/2004 che avrebbe dovuto imporre il rilascio del nulla-osta paesaggistico preliminarmente al rilascio del permesso di costruire n. 12/2004. A ciò si aggiunga che "gli interventi realizzati sarebbero, comunque, passibili di "condono ambientale", con conseguente applicazione della sanzione pecuniaria e non già di quella demolitoria, trattandosi d'interventi motivati da indubbie esigenze di risanamento statico conservativo, strutturale ed igienico sanitario dell'immobile che non hanno modificato lo stato dei luoghi, pregiudicando i valori paesaggistici oggetto di protezione e che non hanno determinato superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati" (così, testualmente, a pag. 19 dell'atto di appello). Sotto un ulteriore versante il TAR per le Marche ha errato a ritenere inammissibile la domanda di annullamento della nota prot. 10047 del 18 luglio 2008, visto che la stessa, al contrario di quanto sostenuto dal giudice di primo grado, recava un contenuto dispositivo determinando una specifica lesione della sfera soggettiva della proprietaria dell'immobile; IV) Violazione e/o falsa applicazione e/o erronea applicazione di norme di legge, in particolare: degli artt. 142, comma 1, lett. c) e 146 d.lgs. 42/2004, delle previsioni recate dal PRG per la zona interessata dall'intervento de quo e degli artt. 27 e 29 P.P.A.R. - Eccesso di potere per falso e/o erroneo presupposto di fatto e di diritto - Difetto di istruttoria e di motivazione - Travisamento di fatto - Eccesso di potere per illogicità ingiustizia e contraddittorietà manifeste e per conflitto tra atti della stessa amministrazione. Sostiene la signora Pa. che erroneamente il primo giudice ha ritenuto che l'immobile in questione ricada contemporaneamente in zona E6 (corsi d'acqua verziere - Ru.) e F3 (aree di rispetto stradale) e come tale sarebbe soggetto al vincolo ex art. 142, comma 1, lett. c), d.lgs. 42/2004. Tuttavia, come si è già sopra accennato, le disposizioni del d.lgs. 42/2004 non potevano trovare applicazione alla presente vicenda, ratione temporis, perché ad essa va applicata la normativa vigente al momento della presentazione della domanda di permesso di costruire (in data 21 aprile 2004) che è stata poi accolta con il rilascio del titolo n. 12/2004. Conseguentemente l'immobile in questione "non era soggetto ad alcun vincolo paesaggistico in quanto ricadeva e ricade tutt'ora, secondo le N.T.A. al vigente P.R.G., in zona omogenea F3 (e non già E5) che prevede: "per le abitazioni situate all'interno delle fasce di rispetto sono ammessi ampliamenti per esigenze igienico-sanitarie fino a mq 30 di SUL, purchè l'ampliamento avvenga in avanzamento rispetto al fronte stradale". L'immobile in questione, alla data del rilascio del permesso di costruire, non era soggetto a vincolo paesaggistico, avuto riguardo anche a quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 27 e 29 del P.P.A.R. delle Marche di cui al D.C.R. 3.11.1989 n. 197 che non poneva divieti di nuova edificazione nonché di ampliamento per le Zone F di cui al D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, già prevalentemente urbanizzate e parzialmente dotate di attrezzature" (così, testualmente, alle pagg. 20 e 21 dell'atto di appello); V) Eccesso di potere per illogicità, ingiustizia e contraddittorietà manifeste, per conflitto tra atti della stessa amministrazione, violazione del principio di proporzionalità e carenza di pubblico interesse. Viene quindi riproposto l'ultimo motivo di censura dedotto con il ricorso introduttivo in primo grado. Il giudice di primo grado non si è avvisto della rilevante circostanza secondo la quale risulta essere oggettivamente impossibile riportare allo status quo ante l'immobile in questione che, prima della realizzazione degli interventi assentiti con il permesso di costruire n. 12 dell'1 giugno 2004, si trovava in stato di evidente degrado strutturale e manutentivo necessitando di un ineludibile intervento di recupero edilizio. Ne consegue che l'ordine di rimessa in pristino contenuto nel provvedimento n. 32/2009 è illegittimo; VI) Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 167, comma 4 e 5, d.lgs. 42/2004, dell'art. 3, comma 1, l. 241/1990 - Violazione e/o falsa applicazione dell'accordo siglato in data 19 dicembre 2007 tra Regione Marche e Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici delle Marche del Ministero per i beni e le attività culturali - Eccesso di potere per contraddittorietà tra più atti, travisamento ed erronea valutazione dei fatti e dei documenti - Difetto di istruttoria - Mancanza di ragionevolezza e coerenza tecnica - Violazione del principio di proporzionalità - Contraddittorietà manifesta - Assoluta carenza di motivazione - Ingiustizia manifesta. L'appellante ricorda che nel corso del procedimento di accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere realizzate nell'immobile di proprietà e ritenute abusive, avviato in seguito alla domanda presentata in data 9 giugno 2009 (prot. n. 7914/09), la Soprintendenza rilasciava un primo parere negativo in data 1 dicembre 2009 prot. n. 13761 (così motivando: "l'istanza presentata riguarda una tipologia di abuso non prevista nel citato articolo. Infatti, l'aumento di volume realizzato per circa 85 mc esclude la possibilità di rilascio della compatibilità paesaggistica come specificato nel comma 4 della lettera a del citato articolo 167"). Successivamente però, la stessa Soprintendenza, a seguito delle osservazioni presentate dalla proprietaria dopo avere ricevuto il preavviso di diniego ai sensi dell'art. 10-bis l. 241/1990, esprimeva in data 5 gennaio 2010, con lo stesso numero di protocollo ufficiale (prot. n. 13761), un nuovo parere di avviso diverso rispetto al precedente e quindi favorevole all'accertamento della compatibilità paesaggistica dei lavori eseguiti nell'unità immobiliare in questione. In particolare nella motivazione del secondo parere la Soprintendenza dava atto di aver considerato le dichiarazioni rese dal Responsabile del Comune di (omissis), secondo il quale sussisterebbero, nel caso di specie, le condizioni per l'accertamento della compatibilità paesaggistica di cui alle lettere a), b) e c) del comma 4 dell'art. 167 d.lgs. 42/2004 e di avere "verificato che le opere di cui sopra non arrecano particolari modificazioni dei luoghi incompatibili con la natura del bene tutelato". Ribadisce la signora Pa., nella sede di appello, quanto aveva già contestato in primo grado con il ricorso recante motivi aggiunti. In particolare l'appellante conferma la illegittimità del primo parere della Soprintendenza in quanto adottato oltre il termine di novanta giorni previsto dall'art. 167, comma 5, d.lgs. 42/2004 nonché, nel merito, in quanto "lo stesso atto contrasta con la ratio legis contenuta nel comma quarto del citato art. 167 che intende consentire l'accertamento della compatibilità paesaggistica per interventi edilizi minori, ritenuti non in grado di alterare complessivamente lo stato dei luoghi: ovvero per abusi che si sostanzierebbero in una violazione formale/procedurale piuttosto che, in una effettiva, sostanziale grave violazione del bene paesaggistico tutelato". D'altronde "nell'Accordo siglato il 19.12.2007 (Reg. Int. N. 12670), ai sensi della L. 241/90 in attuazione dell'art. 3 del DPCM 12.12.2005, tra la Regione Marche e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, vengono qualificati come "interventi minori", non in grado di alterare complessivamente lo stato dei luoghi, anche gli interventi di ristrutturazione edilizia in grado di arrecare modificazioni di minima entità allo stato dei luoghi e all'aspetto esteriore degli edifici" (così, testualmente, alle pagg. 23 e 24 dell'atto di appello). Il parere sfavorevole della Soprintendenza, infine, si manifesta in tutta la sua illegittimità per non essere stato preceduto da una adeguata istruttoria tecnica e per non recare una sufficiente motivazione, non distinguendo tra volume rilevante ai fini edilizi e volume rilevante ai fini paesaggistici, oltre ad essere "manifestamente contraddittoria, incongruente e illogicamente contrastante con altro successivo parere favorevole, espresso dalla stessa Soprintendenza in data 5.1.2010 con uguale numero di protocollo n. 13761" (così ancora, testualmente, a pag. 26 dell'atto di appello); VII) Violazione e/o falsa applicazione e/o erronea applicazione di norme di legge (in particolare: dell'art. 167, comma quarto e quinto, d.lgs. 42/2004, degli artt. 3, 21-quinquies, 21-septies e 21-nonies l. 241/1990) per assoluta carenza di motivazione e/o motivazione contraddittoria e per mancata individuazione delle ragioni di pubblico interesse sottese all'esercizio del potere di autotutela - Eccesso di potere per assoluta carenza di motivazione e/o motivazione contraddittoria - Difetto di istruttoria - Contraddittorietà tra piò atti - Travisamento ed erronea valutazione dei fatti - Mancanza di ragionevolezza e coerenza tecnica - Violazione del principio di proporzionalità e sviamento dalla causa tipica. Si presenta illegittimo anche l'atto protocollo n. 479 del 13 gennaio 2010 con cui la Soprintendenza ha dichiarato ex officio, la nullità del parere favorevole espresso con nota del 5 gennaio 2010 prot. n. 13761 in quanto preceduto da altro parere dell'1 dicembre 2009 allegato in copia. L'assenza degli elementi tipici indicati nell'art. 21-septies l. 241/1990 si manifesta esistente nel caso in esame, sicché la dichiarazione di nullità del parere favorevole della Soprintendenza non è sorretta da alcun legittimo presupposto, dovendo quindi prevalere l'opposto parere, favorevole all'accertamento di conformità paesaggistica delle opere, pure adottato dalla medesima Autorità . L'atto della Soprintendenza del 13 gennaio 2010 prot. n. 479 si presenta adottato anche in contrasto con le previsioni della legge sul procedimento amministrativo che disciplinano l'esercizio del potere di autotutela, vale a dire quelle contenute negli artt. 21-quinquies e 21-nonies, essendo assolutamente carente di motivazione, oltre a non esprimere le ragioni di pubblico interesse sottese all'esercizio del potere di autotutela, finendo per costituire un atto di convalida del parere negativo dell'1 dicembre 2009, allegato per relationem, senza possederne le caratteristiche anche per l'assenza di qualsivoglia istruttoria preventiva; VIII) Violazione e/o falsa applicazione e/o erronea applicazione di norme di legge (in particolare: degli artt. 142, comma 1, lett. c), 146, comma 4 e 167, comma 4 5, d.lgs. n. 42/2004), anche per difetto di istruttoria e per illogicità derivata, dell'art. 3 l. 241/1990 per assoluta carenza di motivazione e/o motivazione contraddittoria - Eccesso di potere per assoluta carenza di motivazione e/o motivazione insufficiente, contraddittoria e perplessa - Difetto di istruttoria - Contraddittorietà tra più atti - Travisamento ed erronea valutazione dei fatti, mancanza di ragionevolezza e di coerenza tecnica - Violazione del principio di proporzionalità, violazione del principio generale dell'affidamento, del principio di ragionevolezza e di buona amministrazione ex art. 97 della Costituzione. L'odierna parte appellante sostiene che il giudice di primo grado, nell'esaminare il merito del ricorso recante motivi aggiunti, erroneamente ha ritenuto che fosse stata legittimamente applicata dal comune procedente in quanto vigente ratione temporis, per disporre il diniego di accertamento di conformità paesaggistica, la disposizione recata dall'art. 167, comma 5, d.lgs. 42/2004 dalla quale deriverebbe (sostanzialmente) la regola della non sanabilità ex post degli "abusi, sia sostanziali che formali aventi rilevanza paesaggistica, ridimensionando il rigore del precetto soltanto a poche eccezioni tassative, tutte relative ad interventi privi di impatto sull'asseto del bene vincolato" (così, testualmente, a pag. 31 dell'atto di appello). In primo luogo l'appellante ricorda che il parere vincolante che deve essere reso dalla Soprintendenza ha natura provvedimentale sicché, nel caso di specie, essendosi già espressa con parere favorevole la medesima Autorità non poteva superare tale avviso definitivo con un nuovo atto recante contenuto ed effetti opposti rispetto al primo, scegliendo il secondo, immotivatamente e irragionevolmente nell'adottare il diniego di accertamento di conformità paesaggistica. Sotto altro versante l'intervento in questione non insiste affatto ad una distanza inferiore ai 150 metri dal corso d'acqua denominato "Fo. Ru.", trattandosi di un fabbricato ex-colonico ricadente, secondo le N.T.A. al vigente P.R.G. nella Zona omogenea F3 "Aree di rispetto e di rispetto stradale" (Art. 18.3) che prevede testualmente: "Per le abitazioni situate all'interno delle fasce di rispetto sono ammessi ampliamenti per esigenze igienico-sanitarie fino a mq 30,00 di SUL, purchè l'ampliamento non avvenga in avanzamento rispetto al fronte stradale". A ciò si aggiunga, dopo averlo ribadito più sopra, che la normativa contenuta nel d.lgs. 42/2004 non può applicarsi al caso di specie e che comunque l'amministrazione ben avrebbe potuto appurare, se solo avesse effettuato un'istruttoria incompleta, come le opere edilizie non assumano una significativa incidenza paesaggistica, con la conseguenza che il Comune di (omissis) avrebbe, al più, potuto infliggere una sanzione pecuniaria piuttosto che disporre la riduzione in pristino. 4. - Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) contestando analiticamente tutti motivi di appello, in ragione della piena correttezza della sentenza di primo grado e della legittimità degli atti e dei provvedimenti impugnati dalla odierna appellante nel corso del primo grado di giudizio. In ragione di quanto sopra il comune appellato chiedeva la reiezione del mezzo di gravame proposto dalla signora Pa.. Si sono costituiti in giudizio anche il Ministero per i beni e le attività culturali e la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle Marche i quali hanno confermato la correttezza della ricostruzione fatta propria dal giudice di primo grado in ordine all'avvicendarsi dei due pareri contrastanti comunicati dalla Soprintendenza con riferimento all'accertamento di conformità paesaggistica proposto dalla signora Pa.. Ricorda in proposito l'avvocatura erariale che, dalla lettura del carteggio intervenuto tra il Comune di (omissis) e la Soprintendenza, è agevole appurare come il secondo parere favorevole all'accoglimento della suindicata domanda di sanatoria sia stato spedito per mero errore materiale non intendendo l'amministrazione mutare orientamento rispetto al primo parere sfavorevole, non essendo possibile, nel merito, consentire l'accertamento di conformità delle ridette opere per la loro conformazione in relazione alla collocazione territoriale delle stesse. E' altresì intervenuta in giudizio la società Dh. a sostegno della posizione dell'appellante, legittimata ad intervenire nel presente giudizio avendo acquistato, in data 9 aprile 2021, gli immobili per i quali è qui controversia dalla signora Pa.. Facendo propri gli assunti dedotti dall'appellante la società intervenuta concludeva per l'accoglimento dell'atto di appello. Le parti hanno depositato memorie anche di replica, note d'udienza e documenti, confermando le conclusioni precedentemente rassegnate negli atti processuali depositati nel fascicolo digitale del processo. 5. - Il primo motivo di appello non può trovare accoglimento. Con l'ordinanza 6 aprile 2009 n. 32 il Capo del IV Settore del Comune di (omissis) ha disposto il ripristino dello stato quo ante - e quindi alle condizioni precedenti rispetto al permesso di costruire n. 12 rilasciato dal medesimo comune in data 1 giugno 2004 - dell'immobile di proprietà (all'epoca) della signora Si. Pa., in ragione dei seguenti elementi (così come testualmente descritti nell'ordinanza impugnata e prodotta nel giudizio di primo grado): "- che il Servizio di Polizia Municipale, con nota n. 10047 del 18/07/2008, ha comunicato l'accertamento della realizzazione di opere eseguite in assenza del permesso di costruire e dell'autorizzazione paesaggistica prevista dall'art. 146 del D.Lgs 22/01/2001, n. 42, a carico della Sig.ra Pa. Si. (...); - che tra le opere suddette sono comprese quelle realizzate in difformità del permesso di costruire n. 12 del 01/06/2004 rilasciato per la ristrutturazione ed ampliamento del fabbricato ex colonico (...) e precisamente un lieve aumento della sagoma ed un aumento della volumetria del piano interrato; - che in data 06/05/2008 - prot. n. 6305 la Sig.ra Pa. Si. ha presentato istanza al fine di ottenere il permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. 06/06/2001, n. 380, relativamente alle opere eseguite in difformità dal permesso di costruire 12/2004; - che su tale istanza questo, Comune non ha adottato alcun provvedimento e che, ai sensi dell'art. 36 comma 3 del D.P.R. 380/01, la stessa si intende rifiutata; - che per l'intervento oggetto del permesso di costruire sopraccitato era necessaria il previo rilascio dell'autorizzazione prevista dall'art. 146 del D.Lgs 22/01/2004, n. 42, in quanto l'immobile ricade in area soggetta alla tutela di cui dall'art. 142 comma 1 lett. c) del medesimo D.Lgs 42/04; - che per le opere oggetto del permesso di costruire in argomento non risulta rilasciata la suddetta autorizzazione paesaggistica; - che il comma 1 dell'art. 167 del D.Lgs 42/04 prevede che per opere realizzate in assenza dell'autorizzazione paesaggistica, il trasgressore è tenuto alla rimessa in pristino a proprie spese (...)". Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado la signora Pa. ha, in primo luogo, dedotto censure volte ad ottenere l'annullamento dell'ordinanza n. 32/2009 nella parte in cui il Comune di (omissis) ha respinto la richiesta di accertamento di conformità presentata in data 6 maggio 2008 (prot. n. 6305). Il TAR per le Marche ha dichiarato irricevibile tale profilo della domanda di annullamento proposta in quanto tardiva rispetto alla formazione del silenzio diniego sulla richiesta di accertamento di conformità . In sede di appello la signora Pa. ritiene errata tale decisione del giudice di primo grado, sostenendo la tempestività della proposizione della domanda di annullamento dell'ordinanza n. 32/2009 nella parte in cui ha respinto la domanda di accertamento di conformità presentata il 6 maggio 2008 perché detta ordinanza del 2009 deve considerarsi alla stregua del provvedimento conclusivo (con esito sfavorevole) del procedimento avviato il 6 maggio 2008, così superando la formazione del silenzio diniego. In punto di fatto va detto che dalla lettura dell'ordinanza n. 32/2009 del Comune di (omissis) non si scorge alcuna espressa motivazione in merito alle ragioni che, ad avviso del comune, deporrebbero per il diniego di accertamento di conformità . Anzi e piuttosto, con grande chiarezza, nella ridetta ordinanza viene richiamata la formazione del silenzio diniego quale "unico" tipo di risposta (resa) da parte del comune in ordine alla domanda proposta il 6 maggio 2008. Orbene, sotto il profilo giuridico e, in particolare, con esclusivo riferimento all'indagine circa la tempestiva proposizione della domanda di annullamento del diniego opposto alla richiesta di accertamento di conformità, in disparte ogni considerazione (qui non rilevante ai fini dell'appello sulla dichiarazione di irricevibilità in parte qua del ricorso di primo grado contenuta nella sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche, Sez. I, 1 luglio 2019 n. 444) sulla poco commendevole e decisamente deplorevole (nonché espressamente violativa dei principi di cui all'art. 1, comma 2-bis, l. 241/1990, regolatori dei rapporti tra amministrazione e cittadino anche prima del 2020, epoca di novellazione dell'art. 1 della l. 241/1990, perché direttamente discendenti dall'art. 97 Cost.) scelta di "fruire" del silenzio diniego piuttosto che adottare, come sarebbe doveroso, un provvedimento espresso (anche) di rigetto dell'istanza di accertamento di conformità, che alcuni enti scelgono di preferire al corretto esercizio del potere attraverso la naturale conclusione del procedimento con una manifestazione espressa della valutazione in merito alla accoglibilità o meno della domanda di sanatoria edilizia (rilevante semmai ai fini della responsabilità dell'ufficio, nei casi in cui detta responsabilità venga in emersione), va qui confermato che il silenzio diniego previsto dall'art. 36, comma 3, d.P.R. 380/2001 ("Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata") ha portata ed efficacia giuridica di provvedimento di reiezione dell'istanza. Infatti, secondo il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato (cfr., tra le più recenti, Sez. VI, 15 marzo 2023 n. 2704), al quale il Collegio intende attribuire continuità, "Il silenzio della p.a. sulla richiesta di concessione in sanatoria e sulla istanza di accertamento di conformità, di cui all'art. 36 t.u. edilizia, ha un valore legale tipico di rigetto, costituisce cioè una ipotesi di silenzio significativo al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego; in effetti la natura provvedimentale è anche confermata dall'articolo stesso, secondo cui sulla richiesta di sanatoria si pronuncia il dirigente o il responsabile entro sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata; è anche evidente che l'inutile decorso del predetto termine comporta la reiezione della domanda de qua e quindi si invera un vero e proprio provvedimento tacito di diniego (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 6 giugno 2018, n. 3417). Il silenzio serbato dal Comune sull'istanza di accertamento di conformità urbanistica quindi non ha valore di silenzio-inadempimento, ma di silenzio-rigetto, con la conseguenza che, una volta decorso il relativo termine, non sussiste un obbligo di provvedere; ciò comporta altresì il permanere della facoltà di provvedere espressamente, nella specie esercitata ragionevolmente, anche a fronte del supplemento istruttorio svolto dall'amministrazione". Del resto l'ammissibilità di un provvedimento di diniego tardivo si porrebbe in contrasto con il principio di "collaborazione e buona fede" (e, quindi, di tutela del legittimo affidamento) cui sono informate le relazioni tra i cittadini e l'amministrazione, ai sensi dell'art. 1, comma 2-bis, l. 241/1990, più sopra richiamato, né il decorso del tempo può essere inteso come idoneo a trasformare un silenzio diniego così tipizzato dal legislatore (art. 36, comma 3, d.P.R. 380/2001) in silenzio assenso (cfr., in argomento e su entrambe le questioni, Cons. Stato, Sez. VI, 8 luglio 2022 n. 5746). Deriva da quanto sopra che correttamente il giudice di primo grado ha dichiarato irricevibile il ricorso introduttivo nella parte in cui con esso era stata proposta la domanda di annullamento dell'ordinanza n. 32/2009, emessa dal Comune di (omissis), con riferimento alla reiezione della domanda di accertamento di conformità delle opere ritenute abusive, tenuto conto che il termine per l'impugnazione in sede giurisdizionale di tale decisione del comune era oramai spirato, atteso che il dies a quo di detto termine doveva farsi coincidere con la scadenza del sessantesimo giorno dalla data di presentazione dell'istanza di accertamento di conformità (avvenuta il 6 maggio 2008). 6. - Con un profilo impugnatorio contenuto nel secondo motivo di appello (descritto a pag. 19 dell'atto di appello) la signora Pa. sostiene la erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha dichiarato inammissibile, in parte qua, il ricorso introduttivo di primo grado laddove è stata dichiarata inammissibile la domanda di annullamento della nota del Comune di (omissis), prot. 10047 del 18 luglio 2008, recante la comunicazione da parte della Polizia municipale, all'esito di sopralluogo, dell'accertamento in ordine alla realizzazione di opere eseguite in assenza del permesso di costruire e dell'autorizzazione paesaggistica prevista dall'art. 146 d.lgs. 42/2004. Nel dichiarare l'inammissibilità della suddetta domanda di annullamento il giudice di prime cure ha ritenendo che detto atto non avesse contenuto dispositivo e pertanto lesivo della sfera giuridica di parte ricorrente. Secondo l'odierna parte appellante, invece, detto assunto sarebbe smentito dal contenuto dell'ordinanza n. 32/2009 che ha sostanzialmente riprodotto il contenuto della nota redatta dalla Polizia Municipale. Anche in questo caso il Collegio ritiene che il giudice di primo grado abbia correttamente deciso per la inammissibilità della surrichiamata domanda giudiziale in quanto la natura e il contenuto dell'atto impugnato non permettono allo stesso di assurgere alla qualifica di provvedimento amministrativo, restando confinato nell'alveo della categoria degli atti endoprocedimentali e quindi non direttamente impugnabili. 7. - Può ora passarsi all'esame del merito delle censure dedotte in sede di appello nei confronti della sentenza di primo grado nella parte in cui ha respinto i motivi di doglianza recati dal ricorso introduttivo. In argomento va preliminarmente riferito che, in punto di fatto, si presenta documentalmente provata la collocazione urbanistico-paesaggistica dell'immobile di proprietà (all'epoca dei fatti) della signora Pa.. Dai documenti versati in giudizio nel corso del primo grado emerge che detta proprietà è sita nel Comune di (omissis) in area incisa da vincolo paesaggistico in quanto ubicata nella fascia prossima al fiume Ru., che è stato riconosciuto bene di interesse pubblico dalla Soprintendenza e ricompreso tra "i fiumi e corsi d'acqua" nel Piano paesistico ambientale, nonché nell'elenco delle acque pubbliche. Inoltre il fiume Ru. e il suo corso ricade nell'area E6 del PRG (corsi d'acqua Ve. - Ru.) all'epoca vigente del Comune di (omissis). L'immobile infine ricade in area di rispetto stradale "F3", dal che ne consegue la sottoposizione a vincolo ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. c), d.lgs. 42/2004. Fermo quanto sopra, sostanzialmente l'appellante sostiene che non sono applicabili al caso di specie e quindi non potevano porsi a fondamento dell'ordinanza n. 32/2009 le disposizioni recate dal d.lgs. 42/2004 perché all'epoca del rilascio del permesso di costruire n. 12 dell'1 giugno 2004 esse non erano entrate ancora in vigore. Tuttavia il d.lgs. 42/2004 è entrato in vigore l'1 maggio 2004 e comunque, nella specie, il vincolo gravane sull'area nella quale insiste l'immobile in questione, è previsto dall'art. 142, comma 1, lett. c), d.lgs. 42/2004 (recante disposizioni in materia di "aree tutelate per legge"), che così recita, per quel che qui interessa "Sono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo: (...) c) i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna (...)". Come è noto (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 18 maggio 2022, n. 3927) in virtù dell'art. 82, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (come modificato dalla l. 8 agosto 1985, n. 431, c.d. legge Galasso), confluito nell'art. 146, comma 1, lett. c), d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490e poi nell'art. 142, comma 1, lett. c), d.lgs. 42/2004, il legislatore ha previsto che siano comunque tutelati paesaggisticamente ex lege "i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna". All'art. 1-quater, il d.l. 27 giugno 1985, n. 312 (convertito dalla citata l. 431/1985), riprodotto nel d.lgs. 490/1999, si disponeva inoltre che: "In relazione al vincolo paesaggistico imposto sui corsi d'acqua ai sensi del quinto comma, lettera c), dell'articolo 82 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, come integrato dal precedente articolo 1, le regioni, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, determinano quali dei corsi d'acqua classificati pubblici, ai sensi del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, 6 n. 1775, possono, per la loro irrilevanza ai fini paesaggistici, essere esclusi, in tutto o in parte, dal predetto vincolo, e ne redigono e rendono pubblico, entro i successivi trenta giorni, apposito elenco. Resta ferma la facoltà del Ministro per i beni culturali e ambientali di confermare, con provvedimento motivato, il vincolo di cui al precedente comma sui corsi d'acqua inseriti nei predetti elenchi regionali". Alla luce di detta previsione normativa, il legislatore statale ha istituito il seguente meccanismo: in generale, tutti i fiumi e corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, sono ex lege vincolati; in particolare, con apposito elenco pubblico dei fiumi o corsi d'acqua irrilevanti, la Regione può escludere dal vincolo paesaggistico alcuni corsi d'acqua tra quelli inseriti negli elenchi del r.d. 1775/2013; in termini di chiusura, ed a conferma della primaria competenza statale, il Ministero può ripristinare il vincolo paesaggistico sui corsi d'acqua inserito nell'elenco della Regione con successivo atto motivato. In ragione di quanto sopra, nel caso in esame, in assenza di elementi che provino la esclusione del corso d'acqua corrente nell'area nella quale insiste la proprietà in questione dal regime vincolistico, non può essere posta in contestazione la necessità del previo rilascio dell'autorizzazione paesaggistica per la realizzazione di opere nell'immobile oggetto dell'ordinanza n. 32/2009. Pare evidente poi che le disposizioni di cui al d.lgs. 42/2004 trovino applicazione, ratione temporis, alla procedura di sanatoria avviata dalla odierna appellante con l'istanza presentata nel 2008 e quindi antecedentemente all'adozione dell'ordinanza di rimessione in pristino n. 32/2009 (e, tanto più con riferimento alla successiva istanza presentava in data 9 giugno 2009 (prot. n. 7914/09), successivamente integrata con altra domanda del 31 luglio 2009 (prot. n. 10308), per l'accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere realizzati in assenza dell'autorizzazione paesaggistica, per come rilevato nella ridetta ordinanza n. 32/2009), in quanto trattandosi di procedimenti amministrativi avviati quando il d.lgs. 42/2004 aveva trovato piena vigenza, nessun dubbio si pone con riferimento all'applicazione delle disposizioni del Testo unico dei beni culturali alle due procedure di sanatoria delle quali si ha notizia nel presente contenzioso. In argomento e nello specifico si condivide, peraltro, la considerazione fatta propria dal primo giudice, ad avviso del quale "(...) poiché si trattava di opere di ristrutturazione con interventi anche esterni realizzate in zona sottoposta a vincolo, ai sensi dell'art. 167, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, la ricorrente era tenuta alla rimessione in pristino a proprie spese, senza che possano rilevare, a tal fine, le condizioni quo ante del fabbricato ristrutturato" (così, testualmente, a pag. 17 della sentenza di primo grado), confermandosi quindi la decisione del TAR di respingere, nella parte non incisa dalle dichiarazioni di irricevibilità e di inammissibilità in parte qua, la superstite domanda di annullamento (dell'ordinanza n. 32/2009) proposta con il ricorso introduttivo di primo grado. 8. - Quanto alle censure dedotte in sede di appello nei confronti della sentenza n. 444/2019 nella parte in cui ha disposto la reiezione dei motivi proposti con il ricorso recante motivi aggiunti, aventi quale bersaglio la procedura e gli atti che hanno condotto all'adozione del provvedimento emesso in data 8 gennaio 2010 dal Comune di (omissis) e recante il diniego di compatibilità paesaggistica relativamente ai lavori di ristrutturazione ed ampliamento del fabbricato (all'epoca) di proprietà della signora Pa., ritiene il Collegio che anch'esse vadano respinte per le seguenti ragioni. Una delle questioni affrontate dalla parte appellante attiene alla successione di pareri contrastanti espressi dalla Soprintendenza sulla richiesta di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica. In punto di fatto è documentalmente comprovato che: - la signora Pa. aveva presentato istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica, ai sensi dell'art. 167, comma 4, d.lgs. 42/2004 al Comune di (omissis) che chiedeva alla competente Soprintendenza l'acquisizione del prescritto parere; - la competente Soprintendenza, con nota prot. n 13761 dell'1 dicembre 2009, comunicava al Comune di (omissis) che "l'istanza presentata riguarda una tipologia di abuso non prevista dal citato articolo", in quanto l'aumento di ulteriore "volume realizzato, pari a circa 85 mc, escludeva la possibilità di rilascio della compatibilità paesaggistica come specificato nel comma 4 della lettera a del citato art. 167"; - a detto parere seguiva l'adozione del provvedimento di definitiva reiezione della istanza di autorizzazione paesaggistica da parte del Comune di (omissis) in data 8 gennaio 2010. E' però, altrettanto documentalmente, comprovato che successivamente, con riferimento alla medesima istanza di rilascio dell'autorizzazione di compatibilità paesaggistica presentata dalla signora Pa. e della quale si è appena detto, all'interessata perveniva comunicazione della nota prot. n. 13761 del 5 gennaio 2010 trasmessa dalla Soprintendenza al Comune di (omissis), questa volta di avviso favorevole all'accoglimento dell'istanza, senza farsi riferimento alcuno ad altro parere espresso dalla Soprintendenza. Dinanzi alla richiesta di chiarimenti da parte del Comune di (omissis), la Soprintendenza chiariva che "per mero errore è stata trasmessa una nota che deve intendersi nulla", confermando il parere espresso con nota n. 13761 dell'1 dicembre 2009, di segno sfavorevole all'accoglimento dell'istanza. La odierna parte appellante si dilunga (negli atti processuali) sulla insussistenza dei presupposti previsti dall'art. 21-septies l. 241/1990 al fine di poter dichiarare nullo il parere del 5 gennaio 2010 nonché, a tutto voler concedere, l'assenza dei presupposti per un intervento in autotutela, per come descritti dall'art. 21-nonies ovvero dall'art. 21-quinquies l. 241/1990. Ad avviso del Collegio, in disparte i richiami formali all'istituto giuridico della nullità del provvedimento amministrativo, la nota a chiarimento, in tutta evidenza, segnala l'errore materiale nel quale è incorsa la Soprintendenza nella trasmissione di un secondo parere, ma soprattutto manifesta con evidenza la volontà di confermare il parere dell'1 dicembre 2019 contrario all'accoglimento dell'istanza presentata dalla (allora) proprietaria dell'immobile, peraltro congruamente motivato. Ne deriva che, in disparte il richiamo all'applicazione dell'istituto della nullità, ciò che rileva è la conferma della volontà dell'ente a ritenere non sussistenti i presupposti per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica. 9. - D'altronde nel merito della valutazione della Soprintendenza a ritenere non ammissibile il rilascio del titolo autorizzatorio paesaggistico non si rinvengono i profili di illegittimità pure segnalati dalla odierna appellante. Infatti la Soprintendenza ha motivato il parere contrario al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica in sanatoria specificando che l'intervento realizzato abusivamente determinava un incremento volumetrico di almeno 85 mc, circostanza che impediva l'accoglimento della domanda di rilascio postumo del titolo autorizzatorio. Come è noto (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 29 agosto 2022 n. 7504), le opere comportanti un aumento della volumetria legittimamente edificata in zona paesaggistica sono soggette alla sanzione demolitoria ex art. 167, comma 1, d.lgs. 42/2004 e ciò indipendentemente da una concreta valutazione in ordine al pregiudizio arrecato al contesto paesaggistico di riferimento. Tale disposizione contiene la regola della non sanabilità ex post degli abusi, sia sostanziali che formali. Il trasgressore, infatti, è "sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese", "fatto salvo quanto previsto al comma 4". L'intenzione legislativa è chiara nel senso di precludere qualsiasi forma di legittimazione del "fatto compiuto", in quanto l'esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell'intervento. Il rigore del precetto è ridimensionato soltanto da poche eccezioni tassative: segnatamente, sono suscettibili di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica gli interventi realizzati in assenza o difformità dell'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; l'impiego di materiali diversi da quelli prescritti dall'autorizzazione paesaggistica; i lavori configurabili come interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi della disciplina edilizia (art. 167, comma 4, cit.). Secondo quanto precisato dalla Sezione (tra le altre, Cons.Stato, Sez. VI, 22 ottobre 2021 n. 7117 e 10 giugno 2021 n. 4468), il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, ivi compresi i volumi tecnici o interrati. A fronte di fattispecie non riconducibili alle previsioni di cui all'art. 167, comma 4, cit., peraltro, l'amministrazione non è tenuta a svolgere alcuna valutazione discrezionale sull'effettivo impatto nel contesto paesaggistico delle opere eseguite - ammissibile soltanto nelle ipotesi di cui all'art. 167, comma 4, cit., ai fini dell'eventuale irrogazione di una sanzione pecuniaria - essendo vincolata a disporre il ripristino a tutela della integrità del paesaggio (cfr., sul tema, Cons. Stato, Sez. II, 22 novembre 2011 n. 7819). 10. - Quanto poi alla contestata tardività dell'assunzione del parere da parte della Soprintendenza va segnalato quanto segue. Il secondo periodo del comma 5 dell'art. 167, d.lgs. 42/2004, prevede a che "L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni". Orbene, in argomento, la giurisprudenza ha per lo più ritenuto (pure dopo l'ultima novella dell'art. 2 l. 241/1990 in materia di "silenzi" della P.A.) che lo spirare del termine assegnato alla Soprintendenza per esprimere il parere vincolante non esaurisca il potere dell'amministrazione di pronunciarsi, ma ne dequoti il contenuto a mero "suggerimento", sicché l'Autorità competente al rilascio dell'autorizzazione può tenerne conto, ma non ne è vincolata, dovendosi determinare autonomamente sull'impatto dell'opera sul paesaggio (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. II, 13 febbraio 2023, n. 1489, Sez. IV, 7 aprile 2022, n. 2584 e 29 marzo 2021 n. 2640). Sotto il versante, poi, della contestazione circa la legittimità del parere sfavorevole espresso dalla Soprintendenza in quanto carente di adeguata istruttoria è solo il caso di precisare che nella specie non è stato chiesto un parere ex art. 146 d.lgs. 42/2004 nel quale la Soprintendenza è chiamata ad esprimersi sulla compatibilità paesaggistica di un intervento che è ancora in fase di progetto. In una situazione del genere sarebbe stato pertinente chiedersi, come fa l'appellante, quale fosse la visione paesaggistica lesa o se l'interesse del primo fosse stato eccessivamente compresso e così via per tutti i profili sollevati nel motivo di ricorso. Nella specie si trattava di verificare l'esistenza dei presupposti di applicabilità del (diverso) art. 167 d.lgs. 42/2004, applicabilità da escludersi per le ragioni più volte sopra evidenziate. 11. - In ragione di quanto si è fin qui illustrato e tenuto conto del noto principio della ragione "più che liquida" (corollario del principio di economia processuale, in merito al quale cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015 n. 5 nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014 n. 26242) il ricorso in appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado. Le spese di lite del secondo grado di giudizio seguono il principio della soccombenza processuale, in applicazione dell'art. 91 c.p.c. per come richiamato espressamente dall'art. 26, comma 1, c.p.a., di talché esse, liquidate nella misura complessiva di Euro 5.000,00 (euro cinquemila/00), oltre accessori come per legge, vanno poste a carico dell'appellante, signora Si. Pa. e in favore del Ministero e della Soprintendenza nonché del comune appellato, ripartite tra dette amministrazioni nella misura del 50% per il Comune di (omissis) e del 50% per Ministero e Soprintendenza. Nulla deve disporsi con riferimento alle spese del grado rispetto alla società Dh., intervenuta ad adiuvandum nel presente giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello (n. R.g. 1123/2020), come indicato in epigrafe, lo respinge. Condanna la signora Si. Pa. a rifondere le spese del grado di appello in favore del Comune di (omissis), del Ministero per i beni e le attività culturali e della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle Marche, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, liquidate nella misura complessiva di Euro 5.000,00 (euro cinquemila/00), oltre accessori come per legge, e ripartite tra dette amministrazioni nella misura del 50% per il Comune di (omissis) e del 50% per il Ministero e la Soprintendenza. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 27 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Giordano Lamberti - Consigliere Stefano Toschei - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Marco Poppi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 566 del 2022, proposto dai signori Co. Be. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Ma. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); Università degli Studi di Padova, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Roberto Toniolo, Sabrina Visentin, Marika Sala, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'Avvocato Ro. To.; Università degli Studi di Bari, Università degli Studi di Bologna, Università degli Studi di Brescia, Università degli Studi di Cagliari, Università degli Studi di Catania, Università degli Studi di Catanzaro "Magna Graecia", Università degli Studi di Chieti - "G. D'Annunzio", Università degli Studi di del Molise, Università degli Studi di Ferrara, Università degli Studi di Firenze, Università degli Studi di Foggia, Università degli Studi di Genova, Università degli Studi De L'Aquila, Università degli Studi di Messina, Università degli Studi di Milano, Università degli Studi di Milano Bicocca, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Università degli Studi di Napoli "Federico II", Università degli Studi di Napoli "Luigi Vanvitelli",, Università degli Studi di Palermo, Università degli Studi di Parma, Università degli Studi di Pavia, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi di Pisa, Università degli Studi di Politecnica delle Marche, Università degli Studi di Roma "La Sapienza" Policlinico, Università degli Studi di Roma - "Tor Vergata", Università degli Studi di Salerno, Università degli Studi di Sassari, Università degli Studi di Siena, Università degli Studi di Torino, Università degli Studi di Trieste, Università degli Studi di Udine, Università degli Studi di Varese "Insubria", Università degli Studi di Vercelli "Avogadro", Università degli Studi di Verona, Università degli Studi di Milano "Vita e Salute S.Raffaele", Università degli Studi di Roma "La Sapienza" Polo Pontino, Università degli Studi di Roma "La Sapienza" S. Andrea, non costituiti in giudizio; nei confronti Ma. Ca. ed altri, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 6009/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione e dell'Università degli Studi di Padova; Visti tutti gli atti della causa; Vista la dichiarazione di sopravvenuto difetto d'interesse della Signora Ro. Br.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2023 il Cons. Raffaello Sestini e udito per le parti l'avvocato Sa. Vi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Gli studenti meglio individuati in epigrafe, che hanno partecipato alle prove di ammissione alle facoltà di medicina e chirurgia e di odontoiatria per l'anno accademico 2017/2018, impugnano la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza che ha dichiarato inammissibile, perché collettivo, il loro ricorso volto all'annullamento: a) del provvedimento di non ammissione degli odierni istanti al corso di laurea in medicina e chirurgia od odontoiatria e protesi dentaria, presso le Università indicate in epigrafe, per l'a.a. 2017/2018, previa declaratoria del diritto dei ricorrenti ad iscriversi ai suddetti corsi, nonché, ove occorra, di tutti i provvedimenti presupposti e in particolare: b) della graduatoria unica nazionale pubblicata in data 3 ottobre 2017 e dei successivi scorrimenti o ulteriori avvisi; c) dei bandi emanati dal Rettore delle Università indicate in epigrafe, con i quali è stato istituito il numero programmato, per l'anno accademico 2017/2018 e delle pregresse relative delibere, non conosciute, adottate dagli organi accademici competenti (Consiglio di Facoltà, Senato Accademico, Consiglio di amministrazione, dell'Ateneo de quo, C.U.N.); d) delle disposizioni interministeriali del 28 febbraio 2017 e successive modificazioni e integrazioni, recanti "Procedure per l'accesso degli studenti stranieri richiedenti visto ai corsi di formazione superiore del 2017-2018; e) del decreto ministeriale del 27 giugno 2017 recante "Modalità e contenuti della prova di ammissione al corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia in lingua inglese a.a. 2017-2018"; f) del decreto ministeriale del 28 giugno 2017 n. 477 recante "Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico ad accesso programmato nazionale a.a. 2017/2018"; g) del decreto ministeriale n. 523 del 27 luglio 2017 recante "Programmazione dei posti disponibili per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Odontoiatria e Protesi Dentaria a.a.2017/2018"; h) del decreto interministeriale n. 580 del 3 agosto 2017 recante "Definizione dei posti disponibili per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e Chirurgia a.a. 2017/2018"; i) del decreto del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca del 19 maggio 2017, n. 293, con il quale è stata costituita la Commissione incaricata della validazione dei quesiti per le prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato nazionale per l'anno accademico 2017/2018; j) del provvedimento della predetta Commissione con il quale sono stati definiti ed approvati i quesiti per le prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato nazionale per l'anno accademico 2017/2018; k) dei verbali e atti relativi all'espletamento della prova selettiva presso gli atenei indicati in epigrafe; l) di tutti i provvedimenti richiamati dai predetti atti e di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, anche non conosciuto. 2 - Al riguardo gli appellanti, premessa l'erroneità della dichiarazione di inammissibilità del ricorso collettivo da parte del TAR, espongono che in primo grado era stato impugnato il provvedimento di non ammissione ai corsi di laurea in Medicina e Chirurgia od in Odontoiatria e Protesi Dentaria per il suindicato anno accademico ed era stata altresì chiesta la declaratoria del diritto dei ricorrenti ad iscriversi ai predetti corsi. I ricorrenti avevano inoltre chiesto l'annullamento della graduatoria unica nazionale nonché dei successivi scorrimenti e ulteriori avvisi, dei bandi, emanati dai Rettori degli Atenei convenuti, con i quali è stato istituito il numero programmato, nonché dei decreti interministeriali di disciplina della materia. Gli appellanti affermano quindi l'illegittimità del sottodimensionamento dei posti e della mancata previsione della riassegnazione dei posti eventualmente risultati non coperti. Deducono inoltre plurimi vizi riferiti alla procedura concorsuale svoltasi. 3 - Si è costituto in giudizio il Ministero per eccepire l'inammissibilità del ricorso collettivo, il mancato superamento della prova d resistenza quanto alla possibilità di iscrizione e l'infondatezza quanto alle censure dedotte. In sede di sommaria delibazione, a seguito della camera di consiglio del 1 marzo 2022 è stata respinta la domanda cautelare incidentale proposta, in disparte il possibile profilo di inammissibilità del gravame formulato quale ricorso collettivo, per la mancata prova di un pericolo attuale ed imminente suscettibile di derivare dall'esecuzione del provvedimento gravato, essendo stati impugnati atti relativi alla graduatoria di un accademico ormai decorso, e sono state compensate le spese della fase cautelare. Nelle more è sopravvenuta la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione dell'appellante signora Br. Ro.. 4 -A giudizio del Collegio l'appello non è fondato. 5 - In particolare, la sentenza appellata ha ritenuto inammissibile il gravame in ragione della sua natura di ricorso collettivo. Il primo giudice ha rilevato, inoltre, come i ricorrenti avessero tutti ottenuto punteggi inferiori alla soglia minima prevista per l'ammissione e come, al di là della legittimità di tale soglia, non avrebbe potuto giovare loro nemmeno l'eventuale accoglimento della censura sul numero dei posti messi a bando, con il conseguente aumento di tale numero, atteso il rilevantissimo contingente di candidati non vincitori che li precedevano. 6 - Gli appellanti, dopo aver preliminarmente ribadito la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, argomentano l'ammissibilità del ricorso collettivo e ripropongono le censure già dedotte in primo grado e non esaminate dal TAR. Di conseguenza, i motivi di appello possono essere così sintetizzati: I - "erroneità della dichiarazione di inammissibilità del ricorso collettivo", atteso che, in ragione del sistema congeniato dal Ministero per la formazione e lo scorrimento della graduatoria unica, sarebbe impossibile definire ex ante in ragione delle censure dedotte quale ricorrente potrebbe essere ammesso al corso ed in quale ateneo, rispetto ad altri, in quanto l'ammissione di un solo studente o lo spostamento d'esso determinerebbe lo stravolgimento dell'intera graduatoria, in ragione delle differenti opzioni di ciascun candidato adottate ed adottande, non conoscibili dai ricorrenti; II - "Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.) Violazione e falsa applicazione della Legge n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) - Violazione e Falsa applicazione Direttive n. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE - Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione art. 1 L. 910/1969 - Violazione e falsa applicazione L. 9 maggio 1989 n. 168 (autonomia universitaria) - Mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti - Eccesso di potere - illogicità - sviamento (per carente od insufficiente motivazione) - Violazione del giusto procedimento per carenza di adeguata attività istruttoria - T.A.R. del Lazio, Sezione III bis, sentenza n. 2788/09 - Segnalazione, pubblicata in data 21 aprile 2009, da parte della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Osservazioni in merito alle modalità di individuazione del numero chiuso per l'accesso ai corsi di laurea in odontoiatria)", con riferimento alla contestata non corretta rilevazione delle capacità ricettive degli atenei; III - "Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.) Violazione e falsa applicazione della Legge n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) - Violazione e Falsa applicazione Direttive n. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE - Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione art. 1 L. 910/1969 - Violazione e falsa applicazione L. 9 maggio 1989 n. 168 (autonomia universitaria) - Mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti - Eccesso di potere - illogicità - sviamento (per carente od insufficiente motivazione) - Violazione del giusto procedimento per carenza di adeguata attività istruttoria - T.A.R. del Lazio, Sezione III bis, sentenza n. 2788/09 - Segnalazione, pubblicata in data 21 aprile 2009, da parte della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Osservazioni in merito alle modalità di individuazione del numero chiuso per l'accesso ai corsi di laurea in odontoiatria)", per non aver il Ministero previsto l'assegnazione di tutti i posti disponibili e stabiliti dal decreto ministeriale. 7 - Gli appellanti chiedono pertanto l'annullamento degli atti impugnati, con la loro conseguente ammissione al corso di laurea in medicina e chirurgia o odontoiatria presso l'ateneo indicato come prima scelta o, in alternativa, presso gli altri atenei via via indicati; in via subordinata, chiedono che sia dichiarata illegittima ed errata l'indicazione del numero dei posti disponibili e si disponga l'adeguamento degli stessi alle effettive capacità ricettive degli atenei e al fabbisogno nazionale, con conseguente scorrimento ulteriore della graduatoria; in via ulteriormente subordinata, chiedono che sia dichiarata l'illegittimità della mancata copertura di tutti i posti disponibili originariamente indicato dagli atenei e dal Ministero, disponendo l'opportuno scorrimento della graduatoria; in ogni caso, chiedono di condannare le amministrazioni resistenti al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi, liquidando il danno conseguente alla mancata o ritardata iscrizione e conseguentemente al mondo del lavoro, da determinarsi in via equitativa per equivalente, nella misura ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione ed interessi. Il tutto con vittoria di spese. In via istruttoria si chiede volersi disporre l'accesso e l'acquisizione delle determinazioni ministeriali delle deliberazioni degli organi accademici, relative alla determinazione del numero dei posti per il corso di laurea in medicina e chirurgia ed odontoiatria e protesi dentaria, con particolare riguardo alla verifica istruttoria della capacità recettiva degli Atenei resistenti. 8 - Ai fini della decisione, il Collegio deve esaminare in primo luogo le censure concernenti la pronuncia del TAR di inammissibilità del gravame di primo grado per la sua natura di ricorso collettivo. 9 - Come ritenuto dalla Sezione in analoghe controversie, pur non potendo il ricorso di primo grado essere ritenuto interamente inammissibile le censure proposte dagli appellanti, che riproducono quelle dedotte nella predetta sede, sono affette da plurimi profili di inammissibilità e di infondatezza, dai quali si evince che anche il ricorso di primo grado è simmetricamente inammissibile e infondato anche per motivi ulteriori rispetto alla inammissibilità quale ricorso collettivo esaminata dal giudice di primo grado (cfr., Cons. Stato, VII, n. 3979/2023). Le predette considerazioni vengono pertanto assunte dal Collegio anche ai fini della presente decisione. 10 - Viene pertanto in rilievo, in primo luogo, il consolidato orientamento della giurisprudenza, che ritiene che la previsione di un punteggio minimo quale soglia di ammissione sia in via di principio del tutto ragionevole, in quanto conforme al criterio del merito, in linea con l'art. 97 Cost. (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VII, 10 agosto 2022, n. 7072; Sez. VI, 5 novembre 2021, n. 7386; id., 11 dicembre 2015, n. 5639; Sez. III, ord. 8 luglio 2022, n. 3210). Di conseguenza, la censura diretta a contestare tale soglia risulta priva di fondamento e il ricorso di primo grado deve essere su tale punto respinto. 11. La giurisprudenza amministrativa, confortata sul punto dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, si è altresì orientata nel senso della legittimità della previsione di procedure concorsuali nazionali mediante la sottoposizione di quesiti al fine di garantire ai più capaci e meritevoli l'accesso al grado di istruzione universitario nei limiti delle capacità strutturali ed organizzative del sistema universitario italiano, in particolare qualora, come per le Facoltà in esame, siano necessarie attività in presenza e di laboratorio ai fini di una adeguata formazione, anche ai fini della tutela del diritto alla salute quale diritto inviolabile del singolo ed interesse della comunità . Sulla base di tale presupposto, devono ritenersi inammissibili sia le censure volte a contestare la procedura di selezione mediante graduatoria nazionale, sia le censure volte a contestare le modalità di individuazione del numero di posti disponibili, in quanto nessuno degli appellanti, in relazione al punteggio ottenuto e all'ordine di collocazione in graduatoria, riesce ad ottemperare all'onere di fornire un principio di prova volto al superamento della c.d. prova di resistenza. Infatti, nessuno degli appellanti potrebbe ragionevolmente aspirare ad un collocamento utile in graduatoria ed alla conseguente iscrizione alle Facoltà universitarie prescelta anche in caso di accoglimento delle sopraindicate censure, e quindi non può vantare un interesse attuale e concreto, meritevole di tutela, a far valere le medesime censure. 12 - Quanto agli ulteriori motivi concernetti le modalità di svolgimento della procedura selettiva, con particolare riguardo alle modalità di scorrimento a valere sulle riserve di posti per particolari categorie di aspiranti studenti, considera il Collegio che le stesse censure non riescono a dimostrare la irragionevolezza della previsione nell'ambito del complessivo sistema concorsuale nazionale, ma si limitano a contrapporre ipotesi diverse, in ipotesi più favorevoli agli appellanti, non apprezzabili da questo giudice anche perché anche in questo caso per le ragioni già esposte non viene superata la prova di resistenza. 13 - Alla stregua delle pregresse considerazioni, parimenti prive di fondamento sono l'istanza istruttoria, priva di alcuna utilità al fine di superare quanto sopra indicato e la domanda risarcitoria basata (peraltro in assenza di alcun elemento probatorio) sulla illegittimità della mancata ammissione ai corsi di laurea, che non è stata in questa sede accertata per le ragioni sopra esposte. 14 - In conclusione, pronunciando sull'appello, il ricorso di primo grado deve essere in parte dichiarato inammissibile e in parte respinto nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione, ad eccezione della ricorrente signora Br. Ro. che ha dichiarato di non avere più interesse alla decisione per la quale il ricorso deve essere dichiarato improcedibile. Le spese del presente grado seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto, dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso in appello della signora Br. Ro. e, per tutti gli altri appellanti, in parte dichiara inammissibile e in parte respinge il ricorso di primo grado, condannando in solido i medesimi appellanti a rifondere alle Amministrazioni costituitesi in giudizio - anch'esse in solido tra loro -, per come elencate in epigrafe, le spese del giudizio di appello, che liquida a in Euro 3.000,00 (tremila), oltre ad IVA e CPA. Compensa le spese del presente grado di giudizio per l'appellante signora Br. Ro.. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Marco Morgantini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 118 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato La. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2023 il Pres. Michele Corradino e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO L'appellante, cittadino indiano, ha fatto ingresso in Italia nel 2018, con un visto per motivi di lavoro stagionale, valido dal 6 maggio 2018 al 6 febbraio 2019. In data 31 dicembre 2018, l'appellante ha presentato alla Questura di Macerata istanza di conversione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato. La procedura in esame, tuttavia, si è interrotta a causa della mancata presentazione da parte dell'istante del documento di soggiorno in corso di validità, non consegnatogli dalla Questura di Napoli in quanto già scaduto, nonostante la pratica relativa al rilascio del permesso per lavoro stagionale fosse stata definita favorevolmente, con conseguente autorizzazione a permanere sul territorio nazionale sino al 6 febbraio 2019, come risulta dall'attestazione della Questura di Napoli del 16 aprile 2020 depositata in atti. In data 9 giugno 2020, l'appellante ha formulato una nuova istanza di conversione del permesso di soggiorno per motivi di lavoro stagionale in permesso per motivi di lavoro subordinato. Con provvedimento del 23 ottobre 2020, notificato il successivo 29 ottobre, la Questura di Macerata ha disposto l'archiviazione della pratica per la ritenuta carenza dei presupposti normativi essenziali per la presentazione dell'istanza, dichiarata irricevibile in quanto sprovvista del permesso di soggiorno da convertire. In data 23 ottobre 2020, l'appellante ha formulato istanza di revoca del decreto di irricevibilità della richiesta di conversione, riscontrata dall'Amministrazione con nota del 19 novembre 2020, con la quale la Questura di Macerata ha negato il riesame del provvedimento in ragione del fatto che lo straniero, al momento della presentazione della seconda istanza di conversione, risultava destinatario di un primo decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Milano il 10 febbraio 2020 e di un secondo provvedimento di espulsione emesso dal Prefetto di Macerata il 29 ottobre 2020, a causa dell'inottemperanza al primo ordine. Il rigetto dell'istanza di revoca del decreto con cui è stata dichiarata l'irricevibilità della richiesta di conversione del titolo di soggiorno non è stato impugnato dal cittadino straniero che, tuttavia, ha presentato istanza di revoca del provvedimento di espulsione, riscontrata positivamente dalla Prefettura di Milano con provvedimento del 12 maggio 2021, con il quale è stata disposta non solo la revoca del decreto di espulsione con accompagnamento alla frontiera del 10 febbraio 2020, ma anche la caducazione dei provvedimenti ad esso consequenziali emessi nei confronti dell'appellante. Il cittadino straniero ha perciò impugnato dinanzi al Tar Marche il solo provvedimento con il quale la Questura di Macerata ha dichiarato irricevibile l'istanza per la ritenuta mancanza del permesso di soggiorno da convertire. Il ricorrente ha lamentato, in particolare, l'illegittimità dell'atto per erronea interpretazione della circolare del Ministero dell'Interno del 5 novembre 2013 nonché per la violazione dell'art. 10-bis della legge n. 241/1990. Il Tar adito ha rigettato il ricorso, ritenendo che correttamente l'Amministrazione avesse rilevato che, all'atto di presentazione della domanda, non ci fosse alcun permesso da convertire, in quanto quello per lavoro stagionale rilasciato al ricorrente era già scaduto. A diverse conclusioni non avrebbe potuto condurre, ad avviso del primo Giudice, il fatto che la Questura di Napoli avesse attestato che allo straniero era stata rilasciata l'autorizzazione al regolare soggiorno dal 6 maggio 2018 al 6 febbraio 2019, atteso che la circostanza avrebbe, al più, potuto assumere rilievo rispetto all'istanza di conversione inoltrata il 31 dicembre 2018, ovvero quando il permesso di soggiorno era in corso di validità . Il cittadino straniero ha impugnato la sentenza, previa sospensione dell'efficacia, riproponendo le censure non accolte in primo grado, in chiave critica nei confronti della gravata pronuncia. Alla camera di consiglio del 9 febbraio 2023, la Sezione ha accolto l'istanza cautelare. Il Ministero dell'Interno si è costituito tardivamente. Alla pubblica udienza dell'11 maggio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO L'appello è fondato. Con il primo motivo di gravame, l'appellante sostiene che la sentenza di prime cure si basi su un'erronea valutazione dei fatti e dei presupposti legittimanti il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato a seguito di conversione del titolo di soggiorno per lavoro stagionale. La fattispecie in esame è regolata dall'art. 24, comma 10, del d.lgs. n. 286/1998, ai sensi del quale "il lavoratore stagionale, che ha svolto regolare attività lavorativa sul territorio nazionale per almeno tre mesi, al quale è offerto un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato, può chiedere allo sportello unico per l'immigrazione la conversione del permesso di soggiorno in lavoro subordinato, nei limiti delle quote di cui all'articolo 3, comma 4". Sulla scorta di tale dato normativo, l'appellante ha formulato una prima istanza di conversione del titolo di soggiorno in data 31 dicembre 2018, dunque circa un mese prima della formale scadenza del permesso di soggiorno da convertire. Solo in data 11 novembre 2019, lo Sportello Unico per l'Immigrazione di Macerata ha convocato il cittadino straniero per la definizione della procedura di conversione del permesso di soggiorno, con contestuale invito a presentare presso l'ufficio competente una copia del documento di soggiorno in corso di validità . La procedura, tuttavia, non è stata conclusa, in ragione dell'impossibilità dello straniero di produrre, al momento della convocazione, il permesso di soggiorno per lavoro stagionale, non rilasciato dalla Questura di Napoli in quanto già scaduto di validità, come si apprende dalla nota del 5 febbraio 2020, depositata in atti. L'appellante ha perciò presentato una seconda istanza di conversione in data 9 giugno 2020, riscontrata negativamente dalla Questura di Macerata in ragione della mancanza del permesso di soggiorno da convertire. Tanto premesso, si comprende come la mancanza di un permesso di soggiorno in corso di validità a corredo dell'istanza di conversione sia stata giudicata dall'Amministrazione ostativa alla favorevole conclusione del procedimento. La quaestio iuris dirimente ai fini della soluzione della presente controversia concerne la possibilità di disporre o meno la conversione del permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, anche dopo lo spirare del termine di validità del titolo da convertire. Invero, non vi è alcuna indicazione legislativa dalla quale poter desumere che, ai fini della conversione del titolo di soggiorno, occorra la presentazione di un titolo di soggiorno in corso di validità . In senso opposto dispone invece lo stesso art. 24, comma 10, del d.lgs. n. 286/1998, dal quale si ricava la necessità, ai fini della conversione, dell'esito favorevole della procedura per l'attribuzione della quota di conversione del titolo di soggiorno, da stagionale a lavoro subordinato. La sussistenza di un titolo di soggiorno in corso di validità al momento della presentazione dell'istanza di conversione risulta peraltro smentita dalla giurisprudenza di questa Sezione che, sia pure con riferimento alla conversione del permesso di soggiorno per motivi umanitari in permesso per motivi di lavoro, ha ritenuto che il termine di scadenza del permesso di soggiorno "sia da considerarsi ordinatorio ai fini della richiesta di conversione" (Cons. St., sez. III, 15 settembre 2022, n. 7995). Valorizzando infatti la ratio legis, per il conseguimento del permesso di soggiorno per motivi di lavoro assume spessore preponderante una valutazione prospettica dell'Amministrazione in ordine alla congruità e alla stabilità delle future fonti di sostentamento del richiedente. Ciò che rileva, dunque, sono i presupposti sostanziali per l'accoglimento dell'istanza di conversione che riposano in via precipua sull'esistenza di un contratto di lavoro idoneo all'ottenimento del titolo nonché sull'attribuzione della quota fissata dai Decreti flussi per gli ingressi per motivi di lavoro. Rispetto a questi presupposti sostanziali, assume carattere recessivo il dato formale della tempestività dell'istanza e il fatto che il procedimento di conversione sia avviato nel periodo di validità del titolo di soggiorno da convertire. In altri termini, deve ritenersi che il formale superamento del termine di validità del permesso di soggiorno da convertire non può ostare ex se alla conversione del titolo, laddove venga data dimostrazione dei presupposti sostanziali legittimanti il conseguimento del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, quali un contratto di lavoro che assicuri mezzi di sostentamento adeguati, l'inequivoca volontà di integrazione dello straniero nel territorio e nel tessuto sociale, nonché l'esito favorevole del procedimento per l'attribuzione della quota di conversione del titolo. Ciò vale, a maggior ragione, nel caso di specie, ove la prima istanza di conversione del permesso di soggiorno da stagionale a lavoro subordinato è stata in realtà presentata in costanza di validità del titolo, essendo stato tuttavia impossibile per lo straniero produrre al momento della convocazione presso lo Sportello Unico per l'Immigrazione di Macerata copia del documento di soggiorno, non consegnatogli materialmente dalla Questura di Napoli perché ormai scaduto. Alla luce di quanto precede, ritiene il Collegio che l'aver formulato la seconda istanza di conversione del titolo dopo il termine di validità del permesso di soggiorno da convertire non rappresenti un elemento ex se ostativo all'esame della possibilità di conversione in altra tipologia di permesso di soggiorno. La buona fede dello straniero in ordine alla volontà di integrarsi nel tessuto socio-economico italiano si desume oltre che dalla tempistica di presentazione della prima istanza di conversione, anche dalla documentazione depositata nel corso del giudizio e, segnatamente, dal contratto di lavoro per lavoro domestico stipulato il 6 giugno 2020. Tale allegazione, unitamente all'attribuzione della quota per lavoro subordinato, appare astrattamente idonea a integrare i presupposti che l'art. 24, comma 10, del d.lgs. n. 286/1998 richiede per la conversione del titolo di soggiorno, dimostrando l'attuale volontà dell'appellante di garantirsi autonomamente e lecitamente il soggiorno sul territorio nazionale. Parimenti fondata è la censura con cui l'appellante lamenta la violazione dell'art. 10-bis della l. 241/1990, ritenendo che l'Amministrazione procedente sia venuta meno all'obbligo di comunicare le ragioni del mancato accoglimento dell'istanza, che avrebbero consentito all'istante di produrre memorie e documenti idonei a indirizzare in senso a sé favorevole la Questura. Il preavviso di rigetto avrebbe infatti consentito all'appellante di depositare presso l'Ufficio immigrazione di Macerata eventuali attestazioni sostitutive del permesso di soggiorno in corso di validità, richiesto dalla Questura ai fini dell'esito favorevole della conversione del titolo di soggiorno. In conclusione, per i suesposti motivi, l'appello va accolto, con conseguente obbligo per l'Amministrazione di procedere al riesame della posizione dell'appellante, al fine di un'eventuale conversione del permesso di soggiorno per motivi di lavoro stagionale in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento in quella sede impugnato. Condanna l'Amministrazione appellata al pagamento di euro 1.000,00 (mille/00) in favore dell'appellante, per spese e onorari del secondo grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Michele Corradino - Presidente, Estensore Pierfrancesco Ungari - Consigliere Ezio Fedullo - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. BORSELLINO Maria D. - Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - rel. Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 27/10/2021 della CORTE APPELLO di PERUGIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FULVIO BALDI, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; uditi l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) nonche' l'avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza in data 12/02/2019, confermava la sentenza del 12/09/2016 con cui il Giudice dell'udienza preliminare dello stesso Tribunale, all'esito di giudizio abbreviato, aveva assolto (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di peculato. Secondo la prospettazione accusatoria gli imputati - (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita' di presidenti dei gruppi consiliari regionali; (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita' di consiglieri regionali, ritenuti anch'essi pubblici ufficiali- ed in concorso con i Presidenti dei rispettivi gruppi consigliari e (OMISSIS) nella qualita' di responsabile della Segreteria del gruppo consigliare ed in concorso con il presidente del gruppo - si erano appropriati dei fondi pubblici della Regione (OMISSIS), previsti per il finanziamento delle attivita' dei Gruppi consiliari dalla Legge Regionale n. 34 del 10 agosto 1988. 2. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20535/2020, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Ancona, annullava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia. In tale pronunzia la Suprema Corte formulava tutta una serie di principi in ordine: - alla natura giuridica dei gruppi Consiglieri ed al vincolo di destinazione delle somme erogate; - alla nozione di "spese rimborsabili "; - alla prova della condotta appropriativa. Nel rilevare che i giudici di merito non avevano fatto corretta applicazione dei principi di diritto indicati ha, quindi, onerato la Corte di appello di Perugia in sede di rinvio di verificare, applicando i principi indicati, in ordine alle singole posizioni processuali ed alle singole categorie di spese se, ed in che termini, fosse configurabile il reato contestato. 3. La Corte di appello di Perugia, con sentenza in data 27 ottobre 2021, pronunziando in sede di rinvio, per quello che ancora in questa sede rileva, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente ai reati loro ascritti riferiti all'anno 2008 per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione; ha condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 80), 125) e 126), limitatamente alle spese postali e convegnistiche; ha condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) limitatamente alle spese per i periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" e per la messaggistica "(OMISSIS)" e per talune delle spese di ristorazione. Con provvedimento in data 17 gennaio 2022 la Corte di appello, rilevata la sussistenza di un errore materiale nel dispositivo, in relazione alla omessa statuizione di confisca, ha disposto correggersi il dispositivo inserendo l'inciso: "visto l'articolo 322-ter c.p.p. ordina la confisca della somma di Euro 4.600,00 nei confronti di (OMISSIS) e della somma di Euro 21.500,00 + Euro 1.800,00 dei confronti di (OMISSIS) o dei beni di cui gli imputati avessero la disponibilita' per un valore equivalente". 4. Contro detta sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione entrambi i predetti imputati a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia. 4.1. (OMISSIS), con un primo ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS), formula i seguenti motivi. Con il primo motivo denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., nullita' della sentenza in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. Assume che, valutati anche i principi fissati dalla Corte EDU, nel caso in esame risultava palese la violazione dei diritti difensivi, non essendosi proceduto alla rinnovazione dell'audizione dell'imputato. Rileva che avendo il primo giudice espressamente valorizzato le dichiarazioni del (OMISSIS) ai fini assolutori e posto che la corte di merito aveva operato una "svalutazione" del peso probatorio di tali dichiarazioni, si rendeva indispensabile una rinnovata audizione dello stesso al fine di effettuare i necessari chiarimenti in ordine alla percezione dei rimborsi ed al legame istituzionale delle spese effettuate con la propria attivita' all'interno del gruppo consiliare. Con il secondo motivo denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), vizio di motivazione per non essersi il giudice del rinvio conformato ai principi di diritto fissati dalla Suprema Corte quanto alla verifica della legittimita' delle spese in questione. Lamenta per l'anno 2009 che: - quanto alla ritenuta illegittimita' delle spesa di ristorazione di Euro 200,00 la Corte territoriale nell'affermare che non era dato sapere se la stessa fosse collegata ad un evento di natura istituzionale, per un verso, aveva finito per rovesciare l'onere della prova a carico dell'imputato e, per altro verso, aveva del tutto trascurato di prendere in esame le giustificazioni fornite dall'imputato nel corso del proprio interrogatorio e del proprio esame; in ordine alla ulteriore spesa di Euro 200,00 per un rimborso legato ad un convegno indetto dal Ministero del lavoro era palese il vizio motivazionale in quanto la Corte di merito aveva omesso di considerare che non e' possibile, da parte del giudice penale, sindacare l'attivita' politica e le scelte di merito del Presidente di un gruppo consiliare. Osserva, quanto all'anno 2010 ed all'anno 2011, che gli addebiti riguardavano spese postali inerenti la spedizione di auguri natalizi corredati da una newsletter, in relazione alle quali non poteva ritenersi, come apoditticamente affermato dalla Corte di appello, che le stesse erano "scisse" dall'attivita' consiliare e riguardavano mera attivita' propagandistica del consigliere. Con il terzo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' vizio di motivazione in relazione alla nozione di disponibilita' giuridica del denaro in capo all'imputato. Nel premettere che presupposto indefettibile ai fini della configurabilita' del reato di peculato e' che il pubblico ufficiale abbia il possesso o, comunque, la concreta disponibilita' del denaro osserva che i giudici territoriali avevano omesso di considerare che, come precisato dal ricorrente, lo stesso non aveva mai gestito direttamente di denaro ovvero avuto la disponibilita' di carta di credito o di fondo cassa generalizzato e preventivo per le proprie spese. Con il quarto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 110- 314 c.p. nonche' vizio di motivazione in ordine al ritenuto concorso dell'imputato nei delitto di peculato con i capi-gruppo pro-tempore. Rileva che la sentenza aveva del tutto omesso di motivare in relazione alla condotta concorrente del Consigliere Regionale (OMISSIS) con i tre capi-gruppo succedutisi nella Presidenza del Gruppo Consiliare, non potendosi ritenere l'attivita' concorrente integrata nella richiesta di rimborsi aventi ad oggetto attivita' regolarmente realizzate dal consigliere regionale, ove anche ritenuti non dovuti. Il medesimo (OMISSIS), con altro ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS) formula i seguenti motivi. Con il primo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988 nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione desumibile in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- Gruppo Tutela Spesa Pubblica; esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016 e relazione della Dott.ssa (OMISSIS) Direzione Generale Assemblea Reg. (OMISSIS) depositata con memoria ex articolo 415-bis c.p.p. Osserva che, in disparte la considerazione che la Corte di appello aveva affermato la responsabilita' dell'imputato per l'illecito rimborso di Euro 400,00 per spese per "convegni/convegnistiche" sebbene nella parte ricostruttiva si elencavano "per convegni" solamente Euro 350,00 - dato questo sintomatico della illogicita' del ragionamento - i giudici di appello, dopo avere rilevato il rimborso di Euro 350,00 per spese convegnistiche, constatando che almeno 150,00 Euro di quelle spese erano lecite e giustificate, aveva condannato, del tutto illogicamente, l'imputato per essersi fatto rimborsare Euro 400,00 di spese per convegni. Evidenzia, ancora, che quanto alle spese di Euro 200,00 per la cena con otto commensali al Ristorante "(OMISSIS)", estranee alla suindicata tipologia, a parte la mancanza di coordinamento rispetto alla condanna ritenuta in dispositivo, il dato relativo alla mancanza di documentazione coeva non appariva decisivo, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, alla luce dei principi fissati alla giurisprudenza di legittimita' in tema di irrilevanza della semplice carenza documentale. Rileva che la sentenza della Corte di appello, in relazione alla ritenuta carenza di documentazione giustificativa coeva, da un lato si poneva in contrasto con il dictum della Cassazione e, per altro verso, appariva il frutto di un errore percettivo in quanto i giudici non avevano tenuto conto di quanto dichiarato dall'imputato in sede di indagini. In ordine alla spesa di Euro 200,00 per il convegno organizzato dalla Fondazione (OMISSIS) con oggetto "Oltre l'ideologia della crisi- lo sviluppo, l'etica ed il mercato nell'enciclica (OMISSIS) con conclusioni del Ministro del Lavoro Sacconi, rileva che la Corte di appello nel affermarne la "non inerenza" aveva violato i principi affermati dalla Suprema Corte in sede di annullamento, non considerando che tale partecipazione costituiva espressione di una scelta politica e che l'evento corrispondeva appieno a quelli che sono gli obiettivi ed i compiti del gruppo consiliare e del singolo consigliere. Con il secondo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34 del 1988, violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi alla Procuratore Generale della Corte dei Conti in data 15/10/2015; provvedimento di archiviazione del Procuratore Generale della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per le (OMISSIS) in data 12/06/2016 e documenti depositati unitamente alla memoria ex articolo 415-bis c.p.p. Deduce che la Corte di appello non aveva considerato che quanto alle "spese postali" ne era previsto il rimborso ai sensi dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34 del 1988, spese in relazione alle quali il Procuratore Generale della Corte dei Conti aveva disposto l'archiviazione e che del tutto erronee erano le conclusioni cui erano pervenuti i giudici in ragione di una asserita insufficienza documentale. Osserva che, nella specie, le spese postali riguardavano gli auguri natalizi inviati dal (OMISSIS) nell'ambito dell'attivita' istituzionale espletata e che il foglio notizie allegato - stampato senza ricorrere a fondi istituzionali - aveva il solo scopo di informare gli elettori della attivita' istituzionale posta in essere dal gruppo, e che i giudici appello aveva omesso di prendere in esame le dichiarazioni rese dall'imputato il quale aveva chiarito la insussistenza di qualunque fine propagandistico. Con il terzo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 516 e 522 c.p.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione. Assume che la condanna dell'imputato era stata basata su una asserita carenza documentale per tutti i capi, non tenendo conto che lo stesso era stato archiviato in sede contabile e che aveva riguardato, nella sostanza, fatti del tutto diversi sostenendosi la non inerenza di spese che, per contro, non apparivano per nulla eccentriche rispetto a quelle ammesse dalla legge regionale. Con il quarto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. inoltre, vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- (OMISSIS); esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016 nonche' spontanee dichiarazioni rese dall'imputato innanzi alla Corte nel precedente grado di appello. Rileva che, in ragione della riforma della pronunzia assolutoria alla luce di quanto in precedenza dichiarato dall'imputato, la corte di appello, al fine di accertare la responsabilita' oltre ogni ragionevole dubbio avrebbe dovuto procedere d' ufficio alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con l'audizione dell'imputato. Con il quinto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988, violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione. Osserva che dal momento che la giustizia contabile aveva escluso anche profili di colpa dell'imputato la Corte di appello avrebbe dovuto motivare in relazione all'elemento psicologico del reato, profilo in relazione al quale la motivazione era assai carente. Con il sesto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p. violazione degli articoli 314 e 640 c.p. nonche' vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- (OMISSIS); esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016. Osserva che la Corte di appello non aveva considerato che dalle complessive risultanze istruttorie era emerso che il (OMISSIS) non aveva la disponibilita' di somme sicche', in ipotesi, si era in presenza del reato di truffa. L'Avv. (OMISSIS) ha depositato in data 18 gennaio 2023 nell'interesse dell'imputato memoria, contenente motivi nuovi, con la quale ha precisato che all'esito del giudizio dibattimentale instaurato nell'ambito del medesimo procedimento nei confronti di alcuni imputati che non avevano optato per il rito abbreviato, la Corte d'appello di (OMISSIS), con sentenza del 23 maggio 2022, divenuta irrevocabile il 16 ottobre 2022 stante l'omessa impugnazione da parte del Procuratore generale, aveva assolto gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (oltre a (OMISSIS)) dall'accusa di peculato contestata agli stessi in qualita' di "Presidenti pro-tempore del Gruppo Consiliare (OMISSIS)", gruppo di cui (OMISSIS) era consigliere. Ha precisato che agli stessi era contestato di essersi appropriati indebitamente di importi assegnati al gruppo e nella loro disponibilita' "a titolo di rimborso delle spese sostenute per ristorazioni, valori bollati, omaggi, telefonia, affitti, stampe, manifesti e servizi televisivi" (in parte riferibili agli imputati personalmente, in parte "genericamente al gruppo"), addebiti fondati sul rilievo per cui "le spese non erano fornite di documentazione idonea a giustificare il costo e la sua riconducibilita' ad attivita' funzionali al Gruppo", rilevando che dalle motivazioni della sentenza della Corte d'Appello di Ancona si aveva riscontro della piena sovrapponibilita' - rispetto al presente giudizio di legittimita' - delle categorie di spesa esaminate (spese per ristorazione, spese postali e spese di rappresentanza), vuoi delle modalita' di documentazione (documentazione contabile coeva alla spesa) vuoi degli indici presuntivi dell'addebito (l'asserita mancanza di idonea giustificazione successiva delle spese da parte degli imputati). Ha, ancora, rilevato che (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita' di Capigruppo del Gruppo consiliare di (OMISSIS) ((OMISSIS)), erano stati irrevocabilmente assolti, quindi, da due contestazioni coincidenti con quelle per le quali l'odierno ricorrente, (OMISSIS), era stato condannato in concorso proprio con i predetti capigruppo. Ha ribadito che, come rilevato nell'atto di ricorso, la decisione impugnata aveva omesso di esaminare il profilo relativo al contributo concorsuale di (OMISSIS) rispetto alla disposizione dei rimborsi operata da quegli stessi Capigruppo, definitivamente ritenuti estranei ad ogni ipotesi appropriativa e che allo stato la conferma della sentenza di appello avrebbe implicato l'accertamento di un dolo di concorso rispetto alla condotta dei capogruppo, la cui illiceita' e' stata definitivamente esclusa nel collegato processo penale. Ha, ancora, osservato che la sentenza della Corte d'appello di (OMISSIS), che aveva assolto i Presidenti del Gruppo consiliare al quale apparteneva l'odierno ricorrente, (OMISSIS), rileva nel presente giudizio di legittimita' anche con riferimento alla definizione del perimetro di legalita' delle spese dei gruppi regionali, fondato specificamente sull'interpretazione della legge regionale vigente al momento dei fatti (I. r. 34/1998), ribadendo come una corretta ermeneusi della disciplina della Regione (OMISSIS) riferita all'epoca dei fatti faceva riferimento a quel parametro indicato dalla Corte in sede di annullamento per sindacare la legittimita' delle spese (sono illegittime le spese "del tutto scisse" dalle iniziative del Gruppo consiliare), radicalmente disatteso dal giudice del rinvio, come gia' dedotto in ricorso. 4.2. (OMISSIS) formula i seguenti motivi. Con il primo motivo, articolato in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese telefoniche ed all'acquisto di messagistica (OMISSIS), denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), omissione della motivazione rafforzata a seguito della riforma della sentenza di primo grado nonche' omessa disamina della memoria difensiva ed omessa valutazione del dolo del reato contestato; violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p.; violazione del combinato disposto dell'articolo 314 c.p. in relazione all'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988; violazione del diritto di difesa per mancata audizione del teste (OMISSIS). Assume che la corte di appello, nel riformare la pronunzia assolutoria di primo grado, non si era adeguatamente confrontata con la ricostruzione del giudice di primo grado il quale, nel pronunziare l'assoluzione sul punto, aveva affermato che trattavasi di "invii evidentemente finalizzati ad informare la popolazione su attivita' politico istituzionali in corso" da ritenere ammissibili in forza della normativa regionale laddove la corte di appello, del tutto apoditticamente, aveva concluso nel senso che si trattava di attivita' totalmente avulsa da quella istituzionale. Rileva che la motivazione, in proposito, era gravemente carente in quanto i giudici di merito avrebbero dovuto valutare il contenuto dei singoli messaggi per verificare se avessero un mero fine di propaganda elettorale, come ritenuto e che nel pervenire alle proprie conclusioni i giudici del rinvio non si erano conformati ai principi di diritto fissati dalla Suprema Corte quanto alla verifica della legittimita' delle spese in questione non chiarendo per quale ragione le stesse dovevano essere ritenute "scisse" dall'attivita' consiliare e riguardanti mera attivita' propagandistica del consigliere. Deduce, ancora, che la Corte di merito aveva omesso di considerare che le spese per la messagistica (OMISSIS) alla luce del disposto di cui all'articolo 34 L.Reg. 34/1998 erano da ritenere legittime. Assume, altresi', che in ragione della riforma della sentenza assolutoria in primo grado si rendeva necessaria ex articolo articolo 603 comma 3-bis c.p.p. la rinnovazione dell'audizione del teste (OMISSIS) sentito in sede di indagini difensive ed il cui verbale di audizione era stato allegato alla memoria in data 4 marzo 2015, teste il quale aveva reso delle dichiarazioni decisive in relazione alla finalizzazione dei messaggi in questione. Con il secondo motivo articolato in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese per la spedizione dei periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), omissione della motivazione rafforzata a seguito della riforma della sentenza di primo grado nonche' omessa disamina della memoria difensiva ed omessa valutazione del dolo del reato contestato; violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p.; violazione del combinato disposto dell'articolo 314 c.p. in relazione all'articolo 1-bis Legge Regionale Marche n. 34 del 1988. Assume che la corte di appello, nel riformare la pronunzia assolutoria di primo grado, non si era adeguatamente confrontata con la ricostruzione del giudice di primo grado il quale, nel pronunziare, l'assoluzione sul punto aveva affermato che trattavasi di spese lecite "aventi ad oggetto tematiche strettamente connesse a questioni di interesse regionale ed all'attivita' consiliare e del suo Presidente " da ritenere legittime in forza della normativa regionale ex articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988, laddove la corte di appello, del tutto apoditticamente, aveva concluso nel senso che si trattava di attivita' totalmente avulsa da quella istituzionale. Rileva che la motivazione, in proposito, era gravemente carente in quanto i giudici di merito avrebbero dovuto valutare l'autonomia della scelta del politico di veicolare nel modo ritenuto opportuno le prospettive e le attivita' del gruppo, come ritenuto dal primo giudice, omettendo di considerare che, nel caso in esame, trattavasi di gruppo unipersonale composto dal solo (OMISSIS) e che, peraltro, non potevano immaginarsi mere finalita' propagandistiche in quanto i fatti risalivano agli anni 2008-2009 mentre le elezioni regionali si sarebbero svolte nel 2010. Osserva, ancora, che la corte di merito non aveva adeguatamente motivato sul punto, non aveva rispettato i dicta della Suprema Corte in sede di annullamento ed aveva omesso di considerare che le spese in questione, riguardanti le riviste "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)", erano da ritenere legittime alla luce del disposto di cui all'articolo 1 bis- L.Reg. 34 del 1998. Assume che risultando evidente che dette spese erano legittime e che mancava una condotta distrattiva doveva essere pronunzia sentenza di proscioglimento nel merito in luogo della dichiarata prescrizione per i fatti del 2008. Con il terzo motivo articolato, in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese di ristorazione denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera b) c) ed e), c.p.p., violazione dell'articolo 546 comma 3 c.p.p. in relazione all'articolo 81 c.p., violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p. nonche' vizio di motivazione. Evidenzia che la sentenza doveva essere ritenuta viziata sul punto in quanto nella parte dispositiva si faceva riferimento alla condanna per le spese di ristorazione di cui alla parte motiva in relazione ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) ma in seno a tali capi difettava una esatta indicazione dei singoli fatti contestati. Osserva che la corte di appello da un lato non aveva fatto corretta applicazione dei principi di diritto fissati dalla Suprema Corte in sede di annullamento e, per altro verso, aveva finito per operare una invasione di campo laddove aveva ritenuto che all'imputato era precluso la possibilita' di svolgere la propria attivita' istituzionale con lo strumento ritenuto piu' idoneo. Con il quarto motivo denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., nullita' della sentenza in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. Assume che, pure valutati i principi fissati dalla Corte EDU, nel caso in esame risultava palese la violazione dei diritti difensivi non essendosi proceduto alla rinnovazione dell'audizione dell'imputato il quale nel corso dell'interrogatorio aveva chiarito che tutte le spese erano finalizzate a fare conoscere l'attivita' del gruppo. Con il quinto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 81 nonche' vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Assume che la corte non aveva in alcun modo motivato in relazione ai singoli aumenti di pena in continuazione. Con il sesto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 130 c.p.p. in combinato disposto con l'articolo 546 comma 3 c.p.p. e dell'articolo 81 c.p. Assume che in ragione dell'esatto ammontare dei profitti non era possibile procedere alla confisca nella forma di correzione di un errore materiale. Gli avv. ti (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori del sig. (OMISSIS), hanno depositato in data 19 gennaio 2023 memoria contenente motivi nuovi con cui hanno ribadito che la sentenza impugnata aveva male individuato il perimetro delle spese legittimamente realizzate dai Presidenti dei Gruppi consiliari alla luce della legge regionale in vigore al tempo nella Regione (OMISSIS) (I. r. 34 del 1998). Hanno rilevato che la patologia che aveva inficiato l'iter valutativo di cui in motivazione della sentenza impugnata appariva ancor piu' evidente sulla scorta dal parallelo giudizio intervenuto nei confronti di alcuni degli altri Presidenti di Gruppi consiliari istituiti in seno all'Assemblea regionale marchigiana definito con sentenza irrevocabile. Hanno assunto che i rilievi contenuti - per la piena omogeneita' del contesto (normativo), della tipologia di spese (spese per ristorazione, spese postali, spese di rappresentanza) e delle contestazioni mosse (mancanza di adeguata giustificazione "successiva") - sgombravano il campo da ogni dubbio in ordine alla legittimita' dei rimborsi ottenuti dal Presidente del Gruppo (OMISSIS), risultando evidente la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza gravata e il mancato adeguamento della stessa ai principi di diritto stabiliti dalla sentenza di annullamento con riferimento ai tre insiemi di spese per i quali era intervenuta la condanna dell'imputato e in relazione ai quali erano stati partitamente esposte le doglianze nell'atto di ricorso: le spese di telefonia e concernenti il servizio di messaggistica (OMISSIS) (doglianze raccolte nel motivo n. 1); le spese relative alla spedizione dei periodici "(OMISSIS)" e (OMISSIS)" (doglianze di cui al motivo n. 2); le spese di ristorazione (doglianze di cui al motivo n. 3). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi meritano accoglimento per le ragioni appresso specificate. 2. Appare opportuno un preliminare richiamo ai principi fissati dalla Suprema Corte nella pronunzia di annullamento, indispensabile al fine di valutare la fondatezza delle censure formulate. 2.1. Relativamente alla prima questione, avente ad oggetto la natura giuridica dei gruppi Consigliari ed il vincolo di destinazione delle somme erogate, nel precisare che trattavasi di un argomento rilevante ai fini della corretta definizione delle finalita' in ragione delle quali sarebbe stato possibile fare uso delle somme messe a disposizione dei gruppi consigliari regionali da parte del Consiglio della Regione (OMISSIS), la Corte di Cassazione ha richiamato, in primo luogo, la sentenza n. 1130 del 1988 della Corte Costituzionale in cui e' stato affermato che " dal momento che i gruppi sono gli organi nei quali si raccolgono e si organizzano all'interno dell'assemblea i consiglieri eletti al fine di elaborare congiuntamente le iniziative da intraprendere e di trovare in essi gli adeguati supporti organizzativi per poter svolgere adeguatamente i propri compiti, non e' arbitrario che i gruppi consiliari vengano dotati di mezzi adeguati e di personale idoneo, affinche' ogni consigliere sia messo in grado di concorrere all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale e, in particolare, all'elaborazione dei progetti di legge, alla preparazione degli atti di indirizzo e di controllo, all'acquisizione di informazioni sull'attuazione delle leggi e sui problemi emergenti dalla societa', alla stesura di studi, di statistiche e di documentazioni relative alle materie sulle quali si svolgono le attivita' istituzionali del Consiglio regionale". Ha evidenziato che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 187 del 1990, aveva avuto modo di precisare che "i gruppi consiliari sono organi del Consiglio regionale, caratterizzati da una peculiare autonomia in quanto espressione, nell'ambito del Consiglio stesso, dei partiti o delle correnti politiche che hanno presentato liste di candidati al corpo elettorale, ottenendone i suffragi necessari alla elezione dei consiglieri. Essi, pertanto, contribuiscono in modo determinante al funzionamento e all'attivita' dell'assemblea, curando l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica". Dunque, i gruppi consigliari sono organi del Consiglio regionale al cui interno esprimono i partiti o le correnti che hanno presentato liste di candidati. I gruppi contribuiscono al funzionamento dell'attivita' assemblare ed ogni consigliere deve essere messo in condizione di concorrere, nel modo indicato, all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale; un'attivita', quella dei gruppi consigliari, funzionale a quella del Consiglio regionale. Ha, quindi, ulteriormente precisato: " Si tratta di affermazioni riprese in seguito dalla stessa Corte costituzionale che, con la sentenza n. 39 del 2014, richiamando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite civili di questa Corte (Sez. U, n. 609 del 01/09/1999, Rv. 529547), ha chiarito e valorizzato ulteriormente la connotazione pubblicistica delle funzioni svolte dai gruppi 5 costituiti in seno ai consigli regionali, definendoli non solo come organi del consiglio e proiezioni dei partiti politici in assemblea regionale, ma anche "come uffici comunque necessari e strumentali alla formazione degli organi interni del consiglio", in quanto funzionalmente inerenti all'istituzione regionale. Nello stesso senso Corte Cost. n. 107 del 2015, in cui si e' aggiunto significativamente che i gruppi consiliari contribuiscono in modo determinante al funzionamento ed all'attivita' dell'assemblea regionale, assicurando "l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica". Si tratta di principi recepiti dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 8145 del 2010, ha concorso a delineare ulteriormente la connessione tra gruppi consigliari e partiti politici. Secondo il giudice amministrativo infatti: "(...) in via generale il gruppo consiliare non e' un'appendice del partito politico di cui e' esponenziale, ma ha una specifica configurazione istituzionale come articolazione del consiglio regionale, i cui componenti esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato dai partiti e dagli elettori (...)". Il Gruppo consigliare non e' un'appendice del partito politico a cui appartiene il singolo consigliere. Non diversamente, le Sezioni Unite civili sono giunte alle stesse conclusioni con l'ordinanza 31 ottobre 2014, n. 23257 (cui hanno fatto seguito le ordinanze 21 aprile 2015, n. 8077, 28 aprile 2015, n. 8570, e 29 aprile 2015, n. 8622) con riguardo alla gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali ed alla ritenuta giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla responsabilita' erariale del componente del gruppo, autore di "spese di rappresentanza" prive di giustificativi. Si e' affermato che: a) i gruppi consiliari hanno "natura pubblicistica" "in rapporto all'attivita' che li attrae nell'orbita della funzione istituzionale del soggetto giuridico, assemblea... regionale, nel cui ambito sono destinati ad operare"; b) i contributi pubblici sono erogati ai gruppi consiliari "con gli specifici vincoli ad essi impressi dalla legge": vincoli "dettagliatamente predefiniti... con esplicito esclusivo asservimento a finalita' istituzionali del consiglio regionale e non a quelle delle associazioni partitiche o, tanto meno, alle esigenze personali di ciascun componente"; c) tenuto conto della qualifica di pubblico ufficiale, ai sensi dell'articolo 357 c.p., comma 1, che la giurisprudenza penale della Corte attribuisce al presidente del gruppo partitico del consiglio regionale, questi, nel suo ruolo, partecipa alle modalita' progettuali ed attuative della funzione legislativa regionale, nonche' alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo". (in tal senso, Sez. 6, n. 1561 del 14/01/2019, Fiorito, Rv. 274940). In questo contesto assume rilevante valenza Sez. U. civ. n. 12 marzo 2019, n. 10772 in cui la Corte, richiamando le proprie precedenti pronunce (Sez. U, 31 ottobre 2014, n. 23257; Sez. U, 21 aprile 2015, n. 8077; Sez. U, 28 aprile 2015, n. 8570; Sez. U, 29 6 aprile 2015, n. 8622; Sez. U, 8 aprile 2016, n. 6895; Sez. U, 7 settembre 2018, n. 21927; Sez. U., 17 dicembre 2018, n. 32618; Sez. U, 16 gennaio 2019, n. 1035 e 1034, quest'ultima con riferimento alla Regione Emilia Romagna) ha ulteriormente chiarito che "la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali e' soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilita' erariale, sia perche' a tali gruppi - pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica - va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica in relazione alla funzione strumentale al funzionamento dell'organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell'origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo". Nell'occasione, le Sezioni unite, richiamando Corte Cost. n. 235 del 2015, hanno ulteriormente precisato che: a) in ordine alla gestione delle somme erogate a titolo di contributi pubblici ai gruppi consiliari, i capigruppo dei Consigli regionali e tutti i consiglieri regionali, anche se sottratti alla giurisdizione di conto, restano assoggettati alla responsabilita' amministrativa e contabile (oltre che penale, ricorrendone i presupposti); b) l'accertamento rimesso in tale ambito alla Corte dei conti, affinche' non debordi dai limiti esterni imposti alla sua giurisdizione, non puo' investire l'attivita' politica del presidente del gruppo consiliare o le scelte di "merito" dal medesimo effettuate nell'esercizio del mandato, ma deve mantenersi nell'alveo di un giudizio di conformita' alla legge dell'azione amministrativa (articolo 1 della L. n. 20 del 1994), come ribadito anche dalla Corte costituzionale (n. 235 e 107 del 2015) e che la riconducibilita' delle spese sostenute dai singoli consiglieri a determinate categorie di spesa, pur astrattamente previste, non vale, di per se', a fare escludere necessariamente la possibilita' che le singole spese siano "non inerenti" all'attivita' del gruppo, nei casi in cui non sia rispettato il parametro di ragionevolezza, soprattutto con riferimento alla entita' o proporzionalita', oltre che all'effettivita' delle spese, anche sotto il profilo della veridicita' della relativa documentazione; c) in siffatto alveo rimane la verifica, rimessa alla Corte dei conti, della "manifesta difformita'", in cio' consistendo propriamente il giudizio di non "inerenza" delle attivita' di gestione del contributo erogato ai gruppi consiliari rispetto alle finalita', di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente, in termini di congruita' e di collegamento teologico delle singole voci di spesa ammesse al rimborso alle finalita' pubblicistiche dei gruppi. Dunque: 1) un collegamento teleologico tra spese e finalita' di preminente interesse pubblico da verificare in termini di congruita'; 2) una verifica che non attiene al merito delle scelte ovvero all'attivita' politica, ma alla conformita' alla legge dell'azione amministrativa, in cui l'astratta riconducibilita' delle spese a determinate categorie, pur teoricamente previste, non esclude che le stesse siano non inerenti rispetto all'attivita' dei gruppo, come definita dalla Corte costituzionale; 3) una verifica che si realizza anche attraverso il parametro di ragionevolezza, in relazione all'entita', alla proporzionalita', alla effettivita' delle spese, alla veridicita' della relativa documentazione e che puo' condurre 7 alla manifesta difformita' della spesa rispetto al perseguimento delle finalita' sottese al funzionamento del Gruppi consigliari. Un denaro, quello attribuito ai gruppi consigliari regionali, pubblico, gestito da pubblici ufficiali, funzionalmente vincolato nel senso indicato; il gruppo consigliare non e' un'appendice del partito politico a cui appartiene il singolo consigliere. Non e' in discussione il principio secondo cui, a seguito delle modifiche apportate alla norma incriminatrice di cui all'articolo 314 co. pen., con la L. n. 86 del 1990, l'origine o - se si preferisce-la natura pubblica o privata del denaro altrui e/o delle altre cose mobili altrui, che costituiscono l'oggetto materiale del peculato, e' un dato irrilevante ai fini del perfezionamento del reato, che e' integrato dal fatto appropriativo di denaro o cosa mobile "altrui" di pertinenza di qualunque soggetto giuridico, pubblico o privato, individuale o collettivo, e non piu' dal denaro o dalla cosa mobile "appartenente alla p.a." secondo la previgente disciplina normativa. Il tema, decisivo rispetto ai fatti oggetto del processo, attiene invece al se ed in che limiti l'attivita' del singolo consigliere componente di un gruppo consiliare, esterna rispetto alla diretta partecipazione ai lavori dell'assemblea dell'ente pubblico territoriale, debba essere scandita da nessi di collegamento funzionale con la vita e le esigenze del gruppo, nel senso indicato dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza richiamata. La questione e' quella di definire la portata del vincolo di destinazione impresso ai contributi erogati dall'ente al gruppo consiliare e, quindi, i limiti entro cui di quei contributi e' possibile fare uso legittimo da parte del singolo consigliere. Limiti in relazione ai quali divenga possibile tracciare, con criteri compatibili con il principio di determinatezza delle condotte pena/mente rilevanti, la pertinenzialita' dell'avvenuto impiego (spendita) da parte del gruppo (e per esso del suo presidente e dei singoli consiglieri) dei contributi gli scopi e obiettivi che di essi contributi costituiscono causa. Sulla base della ricostruzione normativa compiuta e dei principi richiamati, discende in negativo che: a) non possono essere imputate al fondo per il funzionamento dei Gruppi consigliari le spese connesse all'attivita' politica dei partiti, di cui i consiglieri sono espressione, che non siano espressione e connesse ad iniziative del gruppo, volte, cioe', al funzionamento del gruppo; b) non possono essere imputate al fondo le spese che i singoli consiglieri sostengono per la loro personale attivita' politica, spese volte alla "cura" del proprio consenso politico, delle relazioni personali sul territorio con esponenti della societa' civile, con l'informazione, con gli elettori; rapporti finalizzati alla conservazione o all'incremento del consenso politico soggettivo, della visibilita' personale del consigliere, ma del tutto scissi da iniziative e dalle funzioni del gruppo consigliare, nel senso indicato; 8 c) non possono essere imputate al fondo le spese che i consiglieri hanno in ragione dei rapporti personali tra essi, ovvero per l'organizzazione di iniziative politiche che non trovino nel gruppo consigliare la fonte di riferimento e di legittimazione; d) non possono chiaramente essere imputate le spese connesse alle esigenze private del consigliere. Affermare che anche il singolo consigliere possa dare attuazione alle attivita' del gruppo non consente di ritenere che le spese derivanti da ogni atto o comportamento del consigliere possano essere imputate al fondo solo in ragione del rapporto con lo status di consigliere; affermare che le iniziative del gruppo consigliare possano essere attuate anche attraverso il singolo consigliere non consente di ritenere che ogni condotta, ogni comportamento, ogni partecipazione del singolo consigliere ad un evento, anche pubblico, sia espressione dell'iniziativa del gruppo consigliare e che quindi ogni spesa- in quanto di per se' legata all'attivita' del singolo consigliere- sia imputabile al Fondo per il funzionamento. Sul tema si evoca spesso un precedente giurisprudenziale di questa Sezione (Sez. 6, n. 33069 del 12/5/2003, Tretter, Rv. 226531), secondo cui l'attivita' di un gruppo consiliare, estranea alla diretta partecipazione ai lavori dell'assemblea dell'ente pubblico territoriale, sarebbe sempre scandita da nessi di collegamento funzionale con la vita e le esigenze del gruppo, inteso come proiezione del partito politico dei cui progetti e interessi e' portatore". Nell'osservare che con la sentenza impugnata la Corte di merito aveva affermato il principio secondo cui " non risponde del delitto di peculato il presidente di un gruppo consiliare provinciale che si appropri di contributi ottenuti dalla provincia per l'esplicazione dei compiti del proprio gruppo, impiegandoli per sostenere spese di propaganda politica o di rappresentanza (nella specie, per l'acquisto di materiale propagandistico e di oggetto-regalo di modesto valore per gli elettori, per pranzi e rinfreschi in occasione di incontri pre-elettorali), trattandosi di attivita', benche' non istituzionali, comunque legate da nesso funzionale con la vita e le esigenze del gruppo" ha evidenziato la necessita' di una rivisitazione di dette considerazioni in ragione dei principi generali evidenziati. 2.2. In ordine al concetto di spese rimborsabili ed al tema delle spese "c.d. di rappresentanza e di quelle di ristorazione" la Corte di Cassazione ha precisato che il legislatore ha individuato le singole categorie di spesa di rappresentanza ed e' stata la giurisprudenza, soprattutto contabile, a specificare una serie di criteri e principi necessari per delimitarne l'ammissibilita' e la liceita', precisando che vi sono cioe' degli elementi sostanziali e formali che consentono di delimitare la nozione di spesa di rappresentanza e chiarendo che: " La spesa deve essere strettamente correlata con le finalita' istituzionali dell'ente; pertanto, "le spese di rappresentanza possono essere ritenute lecite, solo se sono rigorosamente giustificate e documentate, con l'esposizione, caso per caso, dell'interesse istituzionale perseguito, della dimostrazione del rapporto tra l'attivita' dell'ente e la spesa, della qualificazione del soggetto destinatario e dell'occasione della spesa" (cfr., Corte dei conti, Sez. 2, 20 marzo 2007, n. 64). La spesa deve avere inoltre uno scopo anche promozionale per l'ente; essa deve essere effettuata per l'immagine o per l'attivita' dell'ente: "Le attivita' di rappresentanza, in altri termini, garantiscono una proiezione esterna dell'amministrazione verso la collettivita' amministrata e sono finalizzate ad apportare vantaggi che l'ente trae dall'essere conosciuto"(cfr. Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, 30 luglio 2012, n. 356) Se, quindi, la spesa viene effettuata a fini promozionali di un singolo, per quanto rappresentativo dell'ente (es. il sindaco), la stessa non e' ammissibile e non puo' essere considerata quale spesa di rappresentanza appena delineata (cosi', testualmente, Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 5 novembre 2012, n. 466). Inoltre, si sottolinea, la spesa deve rispondere a criteri di ragionevolezza, sobrieta', sia con riguardo all'evento eventualmente realizzato, sia con riferimento ai valori di mercato. (cfr., fra gli altri, Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per l'Abruzzo, sentenza 30 ottobre 2008, n. 394). Ancora, secondo la Corte dei conti, affinche' possano essere considerate legittime le spese di rappresentanza, esse devono avere i caratteri dell'ufficialita' e dell'eccezionalita'. Nel primo senso, devono, quindi, finanziare "manifestazioni della pubblica amministrazione idonee ad attrarre l'attenzione di ambienti qualificati o dei cittadini amministrati al fine di ricavare i vantaggi correlati alla conoscenza dell'attivita' amministrativa. L'attivita' di rappresentanza ricorre in ogni manifestazione ufficiale attraverso gli organi muniti, per legge o per statuto, del potere di spendita del nome della pubblica amministrazione di riferimento" (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 5 novembre 2012, n. 466, citata.) Ovviamente, come ripetuto sovente dalla giurisprudenza, la spesa non puo' essere rivolta nei confronti di politici o di dipendenti interni all'ente, ma dev'essere rivolta all'esterno (cfr., fra le altre, Corte dei conti, sezione giurisdizionale per l'Umbria, sentenza 30 marzo 2000, n. 160). Si aggiunge che, alla luce dei principi di trasparenza e del generale obbligo di motivazione, e' necessario fornire una rigorosa giustificazione del fine istituzionale perseguito e del rapporto tra l'attivita' dell'ente e la spesa; le spese devono essere rendicontate analiticamente, evidenziandone, in modo documentale, la natura, le circostanze che hanno generato la spesa, i modi e i tempi di tali erogazioni (Cfr. Corte 10 dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, sentenza 5 luglio 2013, n. 246). Una nozione di spesa di rappresentanza rigorosa ma coerente con i principi generali in precedenza indicati; una nozione di spesa conforme alla consolidata definizione che di essa fornisce anche la Corte di cassazione secondo cui per "spese di rappresentanza" devono intendersi solo quelle destinate a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell'ente pubblico al fine di accrescere il prestigio dell'immagine dello stesso e darvi lustro nel contesto sociale in cui si colloca (fra le tante, Sez. 6, n. 36827 del 04/07/2018, M, Rv. 274023; Sez. 6, n. 16529 del 23/02/2017, Ardigo', Rv. 270794; Sez. 6, n. 10135 Raimondi, Rv, 254763). Si tratta di principi che certo non possono essere derogati per i gruppi consigliari regionali, atteso che: a) questi non sono "altro" o "cosa diversa" rispetto all'ente Regione; b) i gruppi consigliari gestiscono denaro pubblico della stessa Regione; c) le somme erogate per il fondo per il funzionamento dei gruppi fanno parte del bilancio della Regione; d) le somme erogate devono essere utilizzate per le finalita' di cui si e' detto; e) rispetto a quelle somme vi era un intrinseco dovere di giustificazione e di controllo. Il tema non e' quello del se l'iniziativa e l'attivita' del gruppo possa essere attuata dal singolo consigliere, quanto, piuttosto, come gia' detto, del se esista una "iniziativa" del gruppo in ragione della quale il singolo consigliere regionale opera. Le somme erogate per il funzionamento dei Gruppi consigliari non costituiscono una sorta di "zona franca", di elargizione liberale di denaro da parte della Regione che i singoli consiglieri possono "modellare" e "piegare" liberamente in ragione del senso politico personale, del loro status, come se fossero state somme di cui si possa disporre per creare o gestire il consenso politico del singolo o per tessere relazioni personali in prospettiva di convenienze e di utilita' della propria carriera politica, all'interno o all'esterno del partito di appartenenza. Dunque, ad esempio, non sono spese di rappresentanza e non sono spese di ristorazione rimborsabili quelle prive di uno specifico collegamento con il gruppo, quelle cioe' non imputabili al gruppo nel senso indicato, quelle aventi ad oggetto donativi del singolo consigliere in occasione di feste o ricorrenze, quelle giustificate in ragione dell'attivita' politica e della visibilita' della sola persona; non sono spese di rappresentanza quelle relative ad incontri con colleghi interni all'ente di appartenenza; non sono spese di rappresentanza quelle sostenute in occasione di incontri con avventori casuali, quelle sostenute per cene o pasti con i propri collaboratori, quelle sostenute in occasioni di incontri con politici, ma pur sempre sganciate da funzioni di visibilita' del gruppo consigliare. Non sono spese di rappresentanza, cioe', tutte quelle estranee alla rappresentanza del gruppo, all'accrescimento della sua capacita' operativa all'interno del Consiglio, e connesse solo alla proiezione esterna ed alle esigenze di visibilita' del consigliere o del partito di appartenenza". Ha, infine, chiarito che: "le considerazioni esposte assumono rilievo anche per le altre categorie di spese, nel senso che, pur volendo prescindere dal tema del se all'epoca in cui i fatti sarebbero stati commessi, fosse o meno previsto un trattamento economico onnicomprensivo anche per quel che concerne le spese rimborsabili, il tema che deve essere verificato e' se le "ulteriori" spese, anche diverse da quelle espressamente disciplinate, siano sostenute per il funzionamento del gruppo consigliare e per il perseguimento delle finalita' ad esso sottese, cosi' come indicate". 2.3. Per quanto concerne la prova della condotta appropriativa, nel rilevarevtale concetto "non coincide affatto con l'assenza di giustificazione della spesa" ha evidenziato che ai fini della prova della responsabilita' penale e della condotta di appropriazione, secondo quanto affermato costantemente dalla giurisprudenza di legittimita': " a) non puo' darsi di per se' rilievo alla mancanza di coeva giustificazione, nel senso che non puo' intendersi come intrinsecamente illecita la spesa per il solo profilo formale, salva la sua concreta verifica; b) la prova della condotta appropriativa deve essere fornita dalla Pubblica Accusa. (Sez. 6, n. 38245 del 03/07/2019, De Luca Cateno, Rv. 276712; Sez. 6, n. 35683 del 01/06/2017, Adamo, Rv. 270549). In tale contesto, si pone il tema: a) delle c.d. spese ambivalenti, cioe' di spese la cui natura strutturale non sia di per se' rivelatrice della loro incompatibilita' ontologica rispetto alle finalita' pubbliche attributive del potere di spesa; b) della impossibilita', ai fini penali, di far discendere la prova della condotta appropriativa per le c.d. spese ambivalenti da una giustificazione incerta, incompleta dubbia, non univoca (Sez. 6, n. 2166 del 09/04/2019, Marino, Rv. 276067). Si tratta di un tema che risente tuttavia di quanto gia' in precedenza detto in ordine: a) all'onere oggettivo in capo ai consiglieri di documentazione della spesa e della sua giustificazione, derivante dalla natura del denaro e dalla sua destinazione funzionale; b) alla necessita' che la spesa sia finalizzata al perseguimento degli scopi per cui le somme erano erogate al fondo di funzionamento dei gruppi consigliari; c) all'esatta individuazione delle finalita' del Fondo, di cui pure si e' detto. Il giudizio di ambivalenza, ovvero quello della strutturale incompatibilita' della spesa rispetto alle finalita' istituzionali del gruppo, e' un giudizio di relazione che viene formulato avendo come polo di riferimento la corretta individuazione, nel senso indicato, della 12 finalita' dei gruppi consigliari; la spesa e' davvero ambivalente se e' in astratto compatibile con le reali finalita' del fondo, queste ultime correttamente individuate. Quanto alle spese effettivamente ambivalenti, il tema dell'appropriazione deve senza dubbio prescindere da meccanismi presuntivi e di distribuzione dell'onere della prova; in tal senso va in parte rimodulato il principio affermato da Sez. 6, n. 23066 del 2009, Provenzano, secondo cui integra il delitto di peculato l'utilizzazione di denaro pubblico accreditato su un capitolo di bilancio intestato a "spese riservate", quando non si dia una giustificazione certa e puntuale del suo impiego per finalita' strettamente corrispondenti alle specifiche attribuzioni e competenze istituzionali del soggetto che ne dispone, tenuto conto delle norme generali della contabilita' pubblica, ovvero di quelle specificamente previste dalla legge. La questione ha una dimensione fattuale e probatoria, oltre che giuridica. La prova della finalita' illecita della spesa per cui si chiede ed ottiene il rimborso e' innanzitutto direttamente proporzionale alla "distanza", al "quantum" che intercorre tra la causa apparente della spesa rispetto alla ragione giustificativa dell'attribuzione del potere di spesa. La necessita' di approfondire sul piano probatorio la causale della spesa si pone dunque in senso progressivo rispetto alla capacita' dimostrativa della documentazione "ex ante" prodotta, cioe' al momento in cui viene chiesto il rimborso; quanto piu' sara' neutra o ambigua la documentazione originaria, tanto piu' potra' essere evidente la necessita' di approfondire ed investigare. E' possibile che le indagini colorino di significato indiziario l'originaria documentazione, ed allora, davanti a richieste di spiegazioni, puo' assumere rilievo la capacita' dimostrativa della documentazione "ex post", eventualmente prodotta nell'ambito dello sviluppo dialettico del procedimento, ovvero le giustificazioni fornite. In situazioni come quella in esame, la prova dell'appropriazione e' connessa innanzitutto alla rilevanza causale apparente della spesa, alla sua specificita' originaria, per come rappresentata al momento in cui fu richiesto il rimborso, nel senso che e' possibile che sin dall'inizio la spesa abbia una giustificazione documentale pienamente compatibile ovvero, viceversa, strutturalmente incompatibile con le finalita' giustificative del potere di spesa (es., in astratto, spesa per una festa di compleanno di un parente, per pagare stanze di albergo a soggetti terzi, o per un regalo privato) In questi ultimi casi la prova della condotta appropriativa, per certi versi, e' docu mentale. Nel caso in cui, invece, la documentazione originaria sia causalmente muta (uno scontrino relativo ad una consumazione tra due o piu' persone, o ad un acquisto da un dato negozio, una ricevuta di ristorazione) ovvero sia indicativa di una causale astrattamente compatibile con quelle giustificanti la spesa, ma tuttavia generica (es. "spese di rappresentanza" "spese di ristorazione"), il tema della prova della condotta 13) appropriativa assume una valenza indiziaria e si sposta all'interno dell'accertamento processuale. La questione si pone nei casi in cui, a fronte di una documentazione originaria muta od opaca, vi siano risultanze di indagini che colorino quella documentazione originaria di significato penalmente rilevante sotto molteplici profili; ci si puo' riferire: a) ai casi in cui venga accertato che il consigliere si trovasse in un posto diverso da quello in cui risulta emesso il documento contabile per il quale si e' chiesto il rimborso; b) ai casi in cui, nel corso dello stesso giorno, risultino emessi piu' scontrini in luoghi diversi e distanti tra loro; c) ai casi in cui risultino una quantita' di scontrini o di documenti che, per frequenza e sistematicita', riveli una finalita' non compatibile con quella istituzionale, perche' esplicita la sostanziale inesistenza di una iniziativa del gruppo; d) ai casi in cui la documentazione contabile riguardi spese avvenute in luoghi ovvero in giorni che solitamente si frequentano in periodi di vacanza, quando l'attivita' istituzionale dei gruppi consigliari e' sospesa; e) ai casi in cui le contabili di prelievi dal conto corrente del gruppo siano anticipate e temporalmente distanti dalla data della documentazione per cui si chiede il rimborso. Si tratta di situazioni in cui le risultanze investigative si sviluppano sulla base di una documentazione "neutra" e portano a far emergere una situazione in cui il difetto di giustificazione della spesa si manifesta in modo chiaro e stringente, atteso il numero, il tipo, la sequenza, la sistematicita', l'oggetto, le coordinate di tempo e di luogo delle spese, le modalita' di gestione complessiva del denaro. In tali contesti la dialettica probatoria puo' rivelare e fare emergere l'esistenza di situazioni altamente significative sul piano probatorio della condotta appropriativa. Non si intende fare riferimento ai casi in cui, a fronte di situazioni come quelle appena indicate ed ad una fisiologica richiesta di spiegazioni a seguito delle risultanze di indagini, il soggetto interessato produca documenti o alleghi circostanze che, pur incomplete, pur non decisive, lascino il fondato, ragionevole dubbio che quella spesa possa essere stata comunque sostenuta per il conseguimento delle finalita' istituzionali. Assumono invece i casi in cui l'interessato, in situazioni come quelle descritte, non fornisca nessuna spiegazione - ad esempio del perche' sia stato chiesto il rimborso di una spesa sostenuta in un luogo ed in un tempo in cui egli era altrove - ovvero adduca spiegazioni o produca documenti che, al di la' dei convincimenti soggettivi (che al piu' possono assumere rilievo sul piano dell'accertamento del dolo), confermino, anche solo implicitamente, la causale esterna della spesa rispetto alle finalita' attributive del potere e finiscono per provare l'interversione del possesso. Un procedimento probatorio indiziario complesso, in cui il requisito della molteplicita' degli indizi, che consente una valutazione di concordanza, e quello di gravita' si completano a vicenda; un ragionamento indiziario in cui elementi singoli di limitata valenza possono assumere rilievo per il loro numero elevato e per la loro cadenza 14 sistematica e possono accompagnarsi ad altri indizi, forse numericamente minori, ma di maggiore consistenza dimostrativa del fatto da provare. (ex multis Sez. 5, n. 16397 del 21/2/2014, P.G. in proc. Maggi, Rv. 259552) ". 3. Cio' premesso occorre muovere da un primo dato che inficia la tenuta logica della sentenza impugnata con riferimento alla posizione di entrambi gli imputati, non risultando rispettato il dictum della Cassazione quanto alla esatta individuazione delle "spese non rimborsabili". 3.1. Secondo quanto stabilito in dispositivo (OMISSIS) e' stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 80), 125) e 126): "limitatamente alle spese postali e convegnistiche" e (OMISSIS) e' stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) "limitatamente alle spese per i periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" e per la messaggistica "(OMISSIS)" e per quelle di ristorazione meglio indicate in motivazione", risultando evidente la (parziale) "indeterminatezza" del dispositivo. Orbene i rapporti che regolano la motivazione ed il dispositivo della sentenza penale sono complessi e non sono soggetti ad un'unica disciplina, perche' la regola secondo la quale il rapporto esistente nel processo penale tra il dispositivo e la motivazione della sentenza, regola che si risolve nel ritenere quest'ultima inidonea a svolgere una autonoma efficacia giuridica, capace di incidere, a posteriori, sul contenuto essenziale del dispositivo, puo' essere derogata nei casi in cui, essendo la motivazione ed il dispositivo emessi contestualmente, la prima puo' possedere l'attitudine ad incidere sul comando giuridico che dalla sentenza penale deriva, posto che entrambe le parti essenziali di essa trovano una simultanea origine, capace di rendere intelligibile il comando stesso. Tuttavia, fuori dai casi di emanazione contestuale di motivazione e dispositivo della sentenza penale, e' alla pronuncia di quest'ultimo che e' affidata nel processo penale la funzione dell'applicazione della legge al fatto contestato all'imputato, mentre la motivazione adempie ad una finalita' meramente strumentale per cui e' improduttiva di conseguenze giuridiche diverse da quelle coerenti col dispositivo. Ne consegue che la motivazione non puo', di regola, supplire alle eventuali omissioni del dispositivo. Nel caso in esame la mancata esatta indicazione delle spese "non rimborsabili" oggetto delle contestate condotte di peculato nel dispositivo non poteva essere integrata dalla motivazione ove, peraltro, i giudici di merito, quanto alla specifica posizione del (OMISSIS), hanno introdotto un altro elemento di confusione ed incertezza in quanto hanno indicato come non consentite "spese per ristorazione" che non possono logicamente ricomprendersi nelle speSe "convegnistiche", non comprendendosi, quindi, per quali esatti fatti, alla lettura del dispositivo, il suindicato imputato e' stato ritenuto responsabile. Altrettanto "anomala" appare la condanna dello (OMISSIS) ritenuto responsabile per fatti di peculato individuati solo ex posta fronte di una ben piu' ampia contestazione contenuta nel capo di imputazione riguardante numerose spese. Sotto questo profilo, ove non volesse ritenersi sussistente una vera e propria nullita' ex articolo 546 c.p.p., sussiste certamente un vizio di motivazione decisivo in quanto la suddetta carenza si ripercuote sulla coerenza e logicita' del complessivo impianto motivazionale. 4. Risultano, parimenti, fondate le censure relative alle gravi carenze motivazionali della pronunzia de qua con la quale e' stato operato un parziale "overturning" rispetto alla pronunzia assolutoria di primo grado, senza che la Corte territoriale si sia, peraltro, conformata al thema decidendum come delineato nella sentenza di annullamento. La giurisprudenza di questa Corte si e' ripetutamente occupata del tema del "ribaltamento" della sentenza assolutoria di primo grado. Secondo una prima elaborazione giurisprudenziale la sentenza che, in riforma totale della decisione di primo grado, sostituisce l'assoluzione dell'imputato con l'affermazione di colpevolezza, deve contenere una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte. Ne discende che il giudice di appello dovra' confrontarsi con le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l'integrale riforma senza limitarsi ad inserire delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire un percorso argomentativo, nuovo e compiuto, che dimostri, in primo luogo, con una rigorosa analisi, "l'incompletezza o l'incoerenza" della decisione appellata, "non essendo altrimenti razionalmente giustificata la riforma" (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. U, n. 6682 del 4/2/1992, Musumeci, Rv. 191229; Sez. U, n. 45276 del 30/10/200.3, Andreotti, Rv. 226093). Per la riforma di una sentenza assolutoria nel giudizio di appello non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio gia' acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, ma occorre invece una "forza persuasiva superiore", tale da far venire meno "ogni ragionevole dubbio". La condanna, infatti, come significativamente evidenziato da Sez. 6, n. 40159 del 3/11/2011, Galante, Rv. 251066 "presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza". Orbene appare evidente che la corte territoriale ha posto a fondamento i medesimi elementi di prova gia' valorizzati dal Tribunale per pervenire ad una pronuncia liberatoria, fornendone una lettura prospettata come piu' plausibile. Nel delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio, non ha, pero', proceduto alla necessaria confutazione delle difformi valutazioni del primo giudice, mettendone in luce le carenze o le aporie o, quanto meno, dando conto delle ragioni dell'incompletezza o incoerenza dei piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza. In particolare la Corte territoriale, senza affrontare funditus il tema delle spese c.d. ambivalenti e di quelle del tutto scisse da iniziative e dalle funzioni del gruppo consiliare (ed in tal modo violando anche il disposto di cui all'articolo 627 c.p.), si e' limitata a richiamare genericamente il tenore della documentazione in atti ed ha ritenuto ininfluenti le dichiarazioni rese dagli imputati sulle quali era stata fondata la pronunzia assolutoria proprio in ragione dei chiarimenti forniti circa la legittimita' delle stesse, pervenendo, del tutto apoditticamente, alla conclusione circa la finalita' di "propaganda politica personale" delle spese per cui e' intervenuta la statuizione di condanna. E sebbene il G.U.P., nel pervenire alla pronunzia assolutoria, aveva anche esaminato la documentazione prodotta dagli imputati e le loro memorie (vedi, in particolare, quanto al (OMISSIS) memoria con allegato provvedimento di archiviazione da parte della Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale delle (OMISSIS) della Corte dei Conti in data 19/11/2015 e quanto allo (OMISSIS) la messagistica (OMISSIS) e le riviste con allegate memorie) la Corte di appello di Perugia non ne ha fatto cenno alcuno (se non per sommi capi) ovvero ne ha richiamato il contenuto con considerazioni del tutto generiche ed apodittiche Il ribaltamento dello scrutinio di responsabilita' compiuto nel processo di appello sullo stesso materiale probatorio acquisito in primo grado doveva essere, comunque, sorretto da 20 argomenti dirimenti, conseguenti alla rinnovata disamina delle prove tale da rendere evidente l'errore della sentenza assolutoria, la quale deve rivelarsi, rispetto a quella di appello, non piu' razionalmente sostenibile, per essere stato del tutto fugato ogni ragionevole dubbio sull'affermazione di responsabilita', procedimento nel caso in esame non correttamente seguito. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, in accoglimento dei motivi sin qui esaminati dedotti dai suindicati ricorrenti, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Firenze, che, nella piena liberta' delle valutazioni di merito di sua competenza, dovra' porre rimedio alle rilevate carenze motivazionali, uniformandosi ai richiamati principi di diritto. Giova rilevare che, a fronte dei cennati vizi e delle anzidette gravi lacune motivazionali, la questione relativa alla nullita' della sentenza impugnata in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. rimane di fatto assorbita: spettera' al giudice del rinvio valutare, se a fronte di quanto argomentato dal primo giudice - le cui argomentazioni dovranno costituire punto di partenza ed oggetto "adeguato confronto" - appaia indispensabile, per esigenze legate ad una rivalutazione di prove dichiarative ritenute decisive, disporre la rinnovazione dell'attivita' istruttoria. Rimangono assorbiti tutti i rimanenti motivi perche' afferenti a questioni la cui delibazione resta logicamente subordinata all'esito del nuovo scrutinio del tema, principale, della responsabilita', fermo restando che gia' in questa sede deve rilevarsi che, alla luce del devoluto e di quanto statuito dalla Suprema Corte con la suddetta sentenza, non potra' piu' essere messa in discussione la qualificazione dei fatti in questione quale ipotesi di peculato ex articolo 314 c.p. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro Ma - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: dal Procuratore della Repubblica del tribunale di Ancona; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello; Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pietro Molino che ha concluso per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 24 maggio 2022, il tribunale del riesame di Ancona, adito nell'interesse di (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 322 c.p.p. avverso il decreto del 2 maggio 2022 del Gip del medesimo tribunale, con cui era stato disposto il sequestro preventivo di un'area con annessi edifici in relazione al reato di lottizzazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 ex articolo 44 lettera c), annullava il sequestro con restituzione di quanto in vinculis. 2. Avverso la predetta ordinanza il pubblico ministero del tribunale di Ancona propone ricorso deducendo un unico motivo di impugnazione. 3. Deduce il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 articoli 30 e 44 lettera c), 3 comma 1 lettera d) e comma 2 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, 1 e 2 Legge Regionale Marche 22/09, 24 e 25 NTA del PRG del Comune di Loreto. Si contesta la decisione del tribunale del riesame che avrebbe sostenuto la legittimita' delle opere sequestrate in violazione delle predette disposizioni. Cio' perche' sarebbe erronea la qualificazione, in termini di ristrutturazione, del complessivo intervento edilizio sequestrato, sia in quanto, da una parte, la ristrutturazione impone comunque la conservazione ovvero il recupero dell'immobile preesistente nonostante le modifiche per legge consentite, sia in quanto dall'altra, l'intervento in oggetto avrebbe comportato la demolizione pura e semplice di edifici preesistenti non ricostruiti nella loro fisica esistenza, con utilizzo delle volumetrie dei manufatti demoliti, aumento di volumetria, e quindi creazione di un organismo del tutto diverso, in ultima analisi integrante una ristrutturazione urbanistica in ragione della sostituzione del preesistente tessuto urbanistico ed edilizio, in zona agricola di interesse paesistico, anche a fronte della creazione di una apposita strada e di un parcheggio. In tale quadro, si osserva che alla luce della qualificazione degli interventi contemplati nel piano di recupero assunto a riferimento per gli interventi in questione, la disciplina regionale applicabile sarebbe stata solo quella dell'articolo 2 inerente interventi di demolizione e ricostruzione e non anche come invece ritenuto, quella di cui all'articolo 1 della medesima legge. Con evidente non conformita' urbanistica degli interventi previsti dal piano di recupero, con riguardo alla prevista realizzazione di 10 - 12 unita' immobiliari a fronte delle due esistenti, posto che la possibilita' di aumento superiore ad una unita' immobiliare rispetto alle esistenti sarebbe previsto dall'articolo 1 comma 1 citato e non dall'articolo 2 citato della medesima legge regionale, inerente interventi di demolizione e ricostruzione rilevanti nel caso in esame. La non conformita' riguarderebbe anche i profili inerenti il mancato rispetto del tipo edilizio e delle caratteristiche edilizie storiche. In particolare, alla luce dell'articolo 24 e 25 delle NTA del PRG non sarebbero ammesse nuove costruzioni quali quelle in esame, ma solo essenzialmente costruzioni in termini, al piu', di ristrutturazione e ampliamento per la residenza della famiglia coltivatrice dell'imprenditore agricolo e di costruzioni accessorie e impianti strumentali per l'attivita' agricola. Laddove il piano di recupero inerente gli interventi in questione non farebbe riferimento a tipologie di intervento quali quelle da ultimo indicate. In ultima analisi emergerebbe una lottizzazione abusiva mista. Quanto al periculum in mora, esso conseguirebbe all'immediato inizio dei lavori, realizzato senza comunicazione di inizio lavori al Comune e senza affissione della cartellonistica necessaria, oltre che alla gia' intervenuta demolizione dei manufatti accessori, per i quali sussistevano dubbi sulla relativa legittimita' urbanistica, per cui i lavori all'indomani del dissequestro potranno essere ripresi trasformando l'area e pregiudicando anche ulteriori accertamenti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Premesso che e' sollevato un vizio di violazione di legge, occorre stabilire se e quale sia l'intervento in ordine al quale si contesta la ricostruzione giuridica elaborata dal tribunale. 1.1. Dal provvedimento impugnato oltre che dal ricorso proposto, emerge che l'ipotesi accusatoria attiene all'intervenuto rilascio di un permesso di costruire autorizzante la demolizione di una casa colonica costituita da due unita' immobiliari e cinque annessi agricoli di varia tipologia, con costruzione, in luogo di tali strutture, di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso, costituito da 24 stalli con copertura fotovoltaica. 1.2. Il tema essenziale proposto, e' quello della configurabilita' o meno di un intervento di ristrutturazione edilizia; quest'ultimo rinvenuto dal tribunale del riesame, con esclusione, quindi, di ogni abusivita' dell'intervento come invece sostenuto dal ricorrente in termini di lottizzazione. 1.3. Va premesso che la nozione di ristrutturazione edilizia, introdotta inizialmente con l'articolo 31, lettera d), L. n. 457/1978, e da ultimo tradottasi nelle previsioni di cui all'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, e' stata interessata da progressivi interventi legislativi, che hanno ampliato la stessa. Di recente, con l'articolo 10 del decreto del 16 luglio 2020 n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, dettato "al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonche' di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo" e' stato novellato l'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, nei seguenti termini: "alla lettera d), il terzo e il quarto periodo sono sostituiti dai seguenti: "nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresi' gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilita', per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento puo' prevedere altresi', nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purche' sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria." Per completezza va aggiunto che con D.L.l'1 marzo 2022 n. 17, convertito in L. 27 aprile 2022 n. 34, con l'articolo 28 comma 5 bis e' stato disposto che "al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, dopo le parole: "decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42," sono inserite le seguenti: "ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi dell'articolo 142 del medesimo codice". Inoltre, con Decreto Legge n. 17 maggio 2022, n. 50 convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2022, n. 91 si e' disposto, con l'articolo 14, comma 1-ter, lettera a), la modifica dell'articolo 3, comma 1, lettera d) nel senso che "al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, le parole: "dell'articolo 142" sono sostituite dalle seguenti: "degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142". 1.4. Purtuttavia, nonostante il riportato ampliamento, in particolare con la citata novella del 2020, dell'ambito di operativita' della nozione attuale di ristrutturazione, con particolare riferimento agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' a quelli ubicati nelle zone omogenee A, permane comunque la ratio qualificante l'intervento edilizio, che postulando la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, e' comunque finalizzata al recupero del medesimo, pur con le ammesse modifiche di esso. Si tratta di un indirizzo piu' volte sottolineato negli anni, oltre che dalla dottrina, anche dalla giurisprudenza. In tal senso si e' espressa anche di recente la giurisprudenza amministrativa, laddove ha evidenziato che la ristrutturazione edilizia, quale intervento sul preesistente, non puo' fare a meno di una certa continuita' con l'edificato pregresso (TAR Veneto Sez. H n. 660 del 2 maggio 2022 T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna Sez. II, 16 febbraio 2022, n. 183; Consiglio di Stato, Sez. II, 6 marzo 2020 n. 1641) e analogamente ha fatto questa Suprema Corte (Sez. 3 - n. 23010 del 10/01/2020 Rv. 280338 - 01) laddove ha precisato, ancorche' rispetto a un quadro normativo non inclusivo ancora del citato decreto legge del luglio 2020 n. 76, che l'articolo 3, comma 1, lettera d), Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, nel definire gli "interventi di ristrutturazione edilizia" non prescinde, ne' potrebbe, dalla necessita' che venga conservato l'immobile preesistente, del quale deve essere comunque garantito il recupero. Allo stesso modo la ristrutturazione dei manufatti crollati o demoliti e' possibile al solo fine del loro "ripristino", termine quest'ultimo dal significato univoco nella parte in cui esclude la mera demolizione a vantaggio di un edificio diverso. La ristrutturazione, per definizione, non puo' mai prescindere dalla finalita' di recupero del singolo immobile che ne costituisce l'oggetto. In tale quadro e' stata sottolineata, molto opportunamente, "la necessita' di un'interpretazione della definizione dell'intervento di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) dell'articolo 3, comma 1, Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, che sia aderente alla (e non tradisca la) finalita' di conservazione del patrimonio edilizio esistente, finalita' che contraddistingue tale intervento rispetto a quelli di "nuova costruzione" di cui alla successiva lettera e), e non si presti all'elusione degli standard urbanistici vigenti al momento della riedificazione ed applicabili in caso di nuova costruzione. Del resto, la conferma della ontologica necessita' che l'intervento di ristrutturazione edilizia, pur con le ampie concessioni legislative in termini di diversita' tra la struttura originaria e quella frutto di "ristrutturazione", non possa prescindere dal conservare traccia dell'immobile preesistente, e' fornita dallo stesso articolo 10 sopra gia' citato, integrativo dell'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, laddove si premette che le novelle introdotte rispondono "al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonche' di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo". Anche la lettura stessa del citato articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 depone in tal senso, laddove, da una parte, definisce come ristrutturazione "gli interventi edilizi volti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso", dall'altra, distingue rispetto ad essa gli "interventi di nuova costruzione" (articolo 3 comma 1 lettera e), che sono strutturalmente connotati dalla assenza di una preesistenza edilizia. In altri termini, con riguardo alla ristrutturazione non vi e' spazio per nessun intervento che lasci scomparire ogni traccia del preesistente. 1.5. Alla luce delle precedenti considerazioni, deve essere esaminato l'intervento oggetto di sequestro. Che risulta indiscutibilmente consistente nell'abbattimento, in zona agricola, di edifici rurali accessori ad una casa colonica - composta di due unita' immobiliari - non ancora demolita, con aumenti di cubatura previsti per l'intervento finale, consistente nella creazione di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso costituito da n. 24 stalli con copertura fotovoltaica. Si tratta di interventi edilizi in corso, funzionali, come appare evidente per quanto immediatamente sopra illustrato, non alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ma pur sempre identificabile con quest'ultimo, quanto, piuttosto, di plurimi e diversi organismi, quali le villette, ancorche' in linea; laddove la previsione di una strada e di 24 parcheggi a raso conferma la predisposizione di un nuovo complesso residenziale, come tale distante dal criterio fondante della ristrutturazione, che pur con l'ampiezza operativa concessa ai sensi dell'articolo 3 attualmente vigente, impone, comunque, per rispettare la ratio dell'intervento e la distinzione rispetto ad altre operazioni edilizie, e in particolare rispetto alle "nuove costruzioni", un connubio materiale o comunque funzionale e identitario, tra l'edificio originario e l'immobile frutto di ristrutturazione. Correlazione evidentemente assente allorquando, come nel caso di specie, rispetto ad un unico edificio - quale la casa colonica comprensiva di due unita' immobiliari - si prospettano plurime e autonome unita' immobiliari, quali le 10 ville, nel contesto, peraltro, di una strada e di un parcheggio integranti interventi per i quali pare assente ogni riferimento strutturale originario, idoneo a inquadrare anche tali ultime opere nel novero di una ristrutturazione. Ne', per quanto detto, e anche per quanto di seguito si precisera' circa i rapporti tra Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e leggi regionali, appare pertinente la precisazione, in ordinanza, per cui con legge regionale sarebbe caduto il divieto di realizzare, previa demolizione e ricostruzione, diverse unita' immobiliari, atteso che qui viene in rilievo non la possibilita', consentita, che il nuovo organismo contempli, in se', altre unita' immobiliari, ma la necessita' che l'operazione di ripristino non si traduca nella moltiplicazione, da un unico edificio, di piu' distinte e autonome strutture edilizie. In altri termini, seppure la recente novella del 2020 abbia contribuito a delineare la possibilita' di interventi di ristrutturazione fortemente innovativi rispetto all'organismo preesistente, tanto che alcuni criteri prima utilizzati dalla legge e giurisprudenza, per sancire la corrispondenza tra i due organismi interessarti appaiono via via sfumati o scomparsi (quali, in sintesi, con riferimento in particolare a zone non vincolate, la fedele ricostruzione comprensiva di limitate innovazioni, oppure, poi, la medesima sagoma /volumetria o, ancora, l'identita' del sedime), permane il requisito, insuperabile, per cui deve pur sempre trattarsi di interventi di recupero del medesimo immobile ancorche' trasformato in organismo edilizio in tutto o in parte diverso. Per cui, in tale quadro va esclusa la moltiplicazione, da un unico edificio, di plurime distinte strutture o, di converso, l'assorbimento di plurimi immobili in un unico complesso edilizio. 1.6. In proposito, e' utile osservare come tale impostazione sia seguita dall'articolo 2 della L. 22/2009 della regione Marche che, nel consentire la demolizione e ricostruzione, fa chiaro riferimento al parametro, permanente, prima e dopo dell'intervento, dell'organismo edilizio preesistente, mediante le espressioni " ricostruzione" e "ricomposizione planovolumetrica" oltre che con riferimento - in zone agricole - alla realizzazione di un "nuovo edificio" (piuttosto che di plurimi edifici "generati" da un unico edificio - oltre che annessi "assorbiti" - come nel caso in esame); peraltro, si noti bene, il tutto per delineare i confini reali della fattispecie di ristrutturazione sancita dalla disciplina in esame, pur sempre "secondo il tipo edilizio e le caratteristiche edilizie storiche". Non sembra inoltre trascurabile, nel caso in esame, il seguente ulteriore dato: pur stabilendo, l'attuale articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, che la ristrutturazione puo' prevedere altresi' "nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana", tale previsione fa evidentemente riferimento, nel quadro della gia' delineata ricostruzione normativa, ad ampliamenti relativi a ciascun singolo edificio da ristrutturare. Solo entro tali limiti, dunque, e' ammesso un aumento volumetrico. Di contro, il rinvio di cui all'articolo 2 comma 8 della L. Marche 22/2009 all'articolo 1 comma 6 della stessa, appare riferibile a fattispecie diversa, quale l'accorpamento, all'edificio principale, della volumetria di accessori ad esso di pertinenza e diversi, che nella misura in cui si traduca, come pare nel caso di specie, nella demolizione di immobili accessori distinti, con acquisizione all'immobile principale della relativa volumetria, e scomparsa, di fatto, dei predetti locali si traduce in un intervento che, per quanto sopra detto, con riguardo alla necessaria identificabilita' del singolo immobile ristrutturato con il nuovo organismo realizzato, esula dalla nozione legislativamente fissata di ristrutturazione. Cosicche', pur alla luce delle piu' recenti novelle, l'utilizzazione, a favore dell'unico edificio ricostruito, delle volumetrie espresse da a(tri edifici anch'essi demoliti e' concetto totalmente estraneo - e come tale deve essere interpretato il rinvio disposto dall'articolo 2 comma 8 citato all'articolo 1 comma 6 pure citato - alla definizione detta ristrutturazione: manca infatti, in tal caso, la "ricostruzione" dell'edificio demolito (che invece scompare, con mero "acquisto", in favore dell'immobile principale, della relativa volumetria), ancorche' rinnovato e modificato (nei termini di legge consentiti). Di rilievo, in tal senso, appare il principio affermato da Cons. Stato Sez. VI Sent., 16/12/2008, n. 6214, secondo cui la trasformazione di due manufatti agricoli in villa ad uso residenziale, con accorpamento di volumi e parziale spostamento dell'area di sedime, esula dalla nozione di ristrutturazione, sia come attualmente definita del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 articolo 3, comma 1, lettera d), sia in rapporto alla elaborazione giurisprudenziale. Si tratta di decisione che, seppure formulata in un quadro giuridico piu' restrittivo rispetto a quello attualmente vigente a seguito della novella del 2020, ribadisce il senso della disciplina della ristrutturazione, nella sua correlazione tra edificio demolito ed edificio ricostruito, laddove evidenzia come "cio' che distingue, infatti, gli interventi di tipo manutentivo e conservativo da quelli di ristrutturazione e', indubbiamente, il carattere innovativo di quest'ultima in ordine all'edificio preesistente; cio' che contraddistingue, pero', la ristrutturazione dalla nuova edificazione e' la gia' avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un "insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente"), ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita". 1.7. Ne' osta a tale ultimo rilievo, sulla corretta interpretazione del rinvio di cui della L. Marche 22 del 2009 articolo 2 comma 8 all'articolo 1 comma 6, la previsione dell'articolo 2 comma 8 ter L. R. Marche 22/2009, per cui "gli interventi previsti da questo articolo costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) del comma 1 articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380", atteso che l'articolo 1, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, stabilisce che "il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell'attivita' edilizia", e i commi 1 e 3 dell'articolo 2, prevedono, rispettivamente, che "le regioni esercitano la potesta' legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico" e "le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi". Di rilievo e' anche il comma 3 dell'articolo 117 Cost., secondo cui sono materie di legislazione concorrente, tra le altre, quelle relative al "governo del territorio" e, "nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato". Consegue che la nozione di ristrutturazione di cui all'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, costituendo un principio fondamentale della legislazione statale dettato in tema di caratteristiche di interventi latu sensu conservativi e di recupero, non puo' essere integrata o modificata con legge regionale. Tanto, del resto, risulta gia' stabilito da questa Suprema Corte, laddove si e' precisato che in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Sez. F - n. 46500 del 30/08/2018 Rv. 274173 - 01; Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016 Ud. (dep. 20/06/2017) Rv. 270210 - 01). 1.8. Con riguardo, dunque, alla qualificazione giuridica dell'intervento, appare corretto il rilievo del ricorrente nel senso della esclusione di un'operazione di ristrutturazione, a fronte di un nuovo complesso residenziale dal notevole impatto edilizio ed urbanistico. Le cui caratteristiche, peraltro in area a destinazione agricola, non possono prescindere dalla considerazione dei principi piu' volte ribaditi da questa Suprema Corte, secondo i quali in materia edilizia, e' configurabile il reato di lottizzazione abusiva anche nel caso di interventi realizzati, in difetto di uno strumento pianificatorio di dettaglio, in zone gia' urbanizzate o parzialmente urbanizzate, purche' di consistenza e complessita' tali da costituire una notevole trasformazione del territorio, inammissibile in mancanza di un piano per la realizzazione degli interventi infrastrutturali, che garantisca il raccordo della nuova edificazione a quella preesistente (Sez. 3 -, n. 36616 del 07/06/2019 Rv. 277614 - 02). Inoltre, integra il reato di lottizzazione abusiva il frazionamento e la predisposizione di un terreno agricolo alla realizzazione di piu' edifici aventi natura e destinazione residenziale, in quanto trattasi di attivita' edificatoria fittiziamente connessa alla coltivazione ed allo sfruttamento produttivo del fondo ed incompatibile con l'originaria vocazione dell'area (Sez. 3, n. 15605 del 31/03/2011 Rv. 250151 - 01) ed ancora, in tema di reati urbanistici, nel caso di costruzione in zona agricola, la destinazione del manufatto alle opere dell'agricoltura ed il possesso dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo in capo a chi lo realizza - tanto al momento della richiesta e del rilascio del permesso di costruire, quanto al tempo della eventuale voltura del titolo abilitativo in favore di terzi - sono elementi rilevanti nella valutazione della rispondenza dell'opera alle prescrizioni dello strumento urbanistico e, di conseguenza, anche per l'eventuale valutazione di conformita' ai fini del rilascio della sanatoria (Sez. 3, n. 7681 del 13/01/2017 Rv. 269159 - 01). 1.9. Rispetto a tale ricostruzione, anche di principio, le ulteriori considerazioni critiche in ordine alla interpretazione di atti amministrativi quali le NTA del PRG vigente, citate in ricorso, muovono su un piano fattuale, inammissibile in questa sede, proponendo un'analisi non effettuabile da parte di questa Corte, atteso che in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche l'affermata erronea interpretazione di un atto amministrativo, poiche' essendo relativa ad atti privi di carattere normativo rientra, ai sensi dell'articolo 325, comma 1, c.p.p. nella valutazione del fatto (Sez. 3 - n. 14977 del 25/02/2022 Rv. 283035 - 01; Sez. 3, n. 37451 del 11/04/2017 (dep. 27/07/2017) Rv. 270543 - 01). 2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che l'ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio al tribunale di Ancona per nuovo esame in relazione alla ipotesi accusatoria formulata, alla luce delle considerazioni sopra riportate. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di Ancona competente ai sensi dell'articolo 324, comma 5, c. p. p.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. MAGRO Maria Beatric - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: dal Procuratore della Repubblica del tribunale di Ancona; nel procedimento a carico di (OMISSIS); avverso la ordinanza del 24/05/2022 del tribunale di Ancona; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pietro Molino che ha concluso per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato; udite le conclusioni dei difensori dell'indagato, avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 24 maggio 2022, il tribunale del riesame di Ancona, adito nell'interesse di (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 322 c.p.p., avverso il decreto del 2 maggio 2022 del Gip del medesimo tribunale, con cui era stato disposto il sequestro preventivo di un'area con annessi edifici in relazione al reato di lottizzazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001ex articolo 44 lettera c), annullava il sequestro con restituzione di quanto in vinculis. 2. Avverso la predetta ordinanza il pubblico ministero del tribunale di Ancona propone ricorso deducendo un unico motivo di impugnazione. 3. Deduce il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 arti. 30 e 44 lettera c), Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 art 3 comma 1 lettera d) e comma 2, Legge Regionale Marche 22/09 articoli 1 e 2, 24 e 25 NTA del PRG del Comune di (OMISSIS). Si contesta la decisione del tribunale del riesame che avrebbe sostenuto la legittimita' delle opere sequestrate in violazione delle predette disposizioni. Cio' perche' sarebbe erronea la qualificazione, in termini di ristrutturazione, del complessivo intervento edilizio sequestrato, sia in quanto, da una parte, la ristrutturazione impone comunque la conservazione ovvero il recupero dell'immobile preesistente nonostante le modifiche per legge consentite, sia in quanto dall'altra, l'intervento in oggetto avrebbe comportato la demolizione pura e semplice di edifici preesistenti non ricostruiti nella loro fisica esistenza, con utilizzo delle volumetrie dei manufatti demoliti, aumento di volumetria, e quindi creazione di un organismo del tutto diverso, in ultima analisi integrante una ristrutturazione urbanistica in ragione della sostituzione del preesistente tessuto urbanistico ed edilizio, in zona agricola di interesse paesistico, anche a fronte della creazione di una apposita strada e di un parcheggio. In tale quadro, si osserva che alla luce della qualificazione degli interventi contemplati nel piano di recupero assunto a riferimento per gli interventi in questione, la disciplina regionale applicabile sarebbe stata solo quella dell'articolo 2 inerente interventi di demolizione e ricostruzione e non anche come invece ritenuto, quella di cui all'articolo 1 della medesima legge. Con evidente non conformita' urbanistica degli interventi previsti dal piano di recupero, con riguardo alla prevista realizzazione di 10 - 12 unita' immobiliari a fronte delle due esistenti, posto che la possibilita' di aumento superiore ad una unita' immobiliare rispetto alle esistenti sarebbe previsto dall'articolo 1 comma 1 citato e non dall'articolo 2 citato della medesima legge regionale, inerente interventi di demolizione e ricostruzione rilevanti nel caso in esame. La non conformita' riguarderebbe anche i profili inerenti il mancato rispetto del tipo edilizio e delle caratteristiche edilizie storiche. In particolare, alla luce dell'articolo 24 e 25 delle NTA del PRG non sarebbero ammesse nuove costruzioni quali quelle in esame, ma solo essenzialmente costruzioni in termini, al piu', di ristrutturazione e ampliamento per la residenza della famiglia coltivatrice dell'imprenditore agricolo e di costruzioni accessorie e impianti strumentali per l'attivita' agricola. Laddove il piano di recupero inerente gli interventi in questione non farebbe riferimento a tipologie di intervento quali quelle da ultimo indicate. In ultima analisi emergerebbe una lottizzazione abusiva mista. Quanto al periculum in mora, esso conseguirebbe all'immediato inizio dei lavori, realizzato senza comunicazione di inizio lavori al Comune e senza affissione della cartellonistica necessaria, oltre che alla gia' intervenuta demolizione dei manufatti accessori, per i quali sussistevano dubbi sulla relativa legittimita' urbanistica, per cui i lavori all'indomani del dissequestro potranno essere ripresi trasformando l'area e pregiudicando anche ulteriori accertamenti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Premesso che e' sollevato un vizio di violazione di legge, occorre stabilire se e quale sia l'intervento in ordine al quale si contesta la ricostruzione giuridica elaborata dal tribunale. 1.1. Dal provvedimento impugnato oltre che dal ricorso proposto, emerge che l'ipotesi accusatoria attiene all'intervenuto rilascio di un permesso di costruire autorizzante la demolizione di una casa colonica costituita da due unita' immobiliari e cinque annessi agricoli di varia tipologia, con costruzione, in luogo di tali strutture, di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso, costituito da 24 stalli con copertura foto vo I ta i ca. 1.2. Il tema essenziale proposto, e' quello della configurabilita' o meno di un intervento di ristrutturazione edilizia; quest'ultimo rinvenuto dal tribunale del riesame, con esclusione quindi di ogni abusivita' dell'intervento come invece sostenuto dal ricorrente. 1.3. 1.1. Va premesso che la nozione di ristrutturazione edilizia, introdotta inizialmente con l'articolo 31, lettera d), L. n. 457 del 1978, e da ultimo tradottasi nelle previsioni di cui all'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, e' stata interessata da progressivi interventi legislativi, che hanno ampliato la stessa. Di recente, con l'articolo 10 del decreto del 16 luglio 2020 n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, dettato "al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonche' di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo" e' stato novellato l'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, nei seguenti termini: "alla lettera d), il terzo e il quarto periodo sono sostituiti dai seguenti: "nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresi' gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilita', per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento puo' prevedere altresi', nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purche' sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria." Per completezza va aggiunto che con D.L.l'1 marzo 2022, convertito in L. 27 aprile 2022 n. 34, con l'articolo 28 comma 5 bis e' stato disposto che "al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, dopo le parole: "decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42," sono inserite le seguenti: "ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi dell'articolo 142 del medesimo codice,". Inoltre, con Decreto Legge n. 17 maggio 2022, n. 50 convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2022, n. 91 si e' disposto, con l'articolo 14, comma 1-ter, lettera a), la modifica dell'articolo 3, comma 1, lettera d) nel senso che "al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, le parole: "dell'articolo 142" sono sostituite dalle seguenti: "degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142". 1.4. Purtuttavia, nonostante il riportato ampliamento, in particolare con la citata novella del 2020, dell'ambito di operativita' della nozione attuale di ristrutturazione, con particolare riferimento agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' a quelli ubicati nelle zone omogenee A, permane comunque la ratio qualificante l'intervento edilizio, che postulando la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, e' comunque finalizzata al recupero del medesimo, pur con le ammesse modifiche di esso. Si tratta di un indirizzo piu' volte sottolineato negli anni, oltre che dalla dottrina, anche dalla giurisprudenza. In tal senso si e' espressa anche di recente la giurisprudenza amministrativa, laddove ha evidenziato che la ristrutturazione edilizia, quale intervento sul preesistente, non puo' fare a meno di una certa continuita' con l'edificato pregresso (TAR Veneto Sez. H n. 660 del 2 maggio 2022T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna Sez. II, 16 febbraio 2022, n. 183; Consiglio di Stato, Sez. II, 6 marzo 2020 n. 1641) e analogamente ha fatto questa Suprema Corte (Sez. 3 - n. 23010 del 10/01/2020 Rv. 280338 - 01) laddove ha precisato, ancorche' rispetto a un quadro normativo non inclusivo ancora del citato decreto legge del luglio 2020 n. 76, che Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001articolo 3, comma 1, lettera d), , nel definire gli "interventi di ristrutturazione edilizia" non prescinde, ne' potrebbe, dalla necessita' che venga conservato l'immobile preesistente, del quale deve essere comunque garantito il recupero. Allo stesso modo la ristrutturazione dei manufatti crollati o demoliti e' possibile al solo fine del loro "ripristino", termine quest'ultimo dal significato univoco nella parte in cui esclude la mera demolizione a vantaggio di un edificio diverso. La ristrutturazione, per definizione, non puo' mai prescindere dalla finalita' di recupero del singolo immobile che ne costituisce l'oggetto. In tale quadro e' stata sottolineata, molto opportunamente, "la necessita' di un'interpretazione della definizione dell'intervento di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 articolo 3, comma 1, , che sia aderente alla (e non tradisca la) finalita' di conservazione del patrimonio edilizio esistente, finalita' che contraddistingue tale intervento rispetto a quelli di "nuova costruzione" di cui alla successiva lettera e), e non si presti all'elusione degli standard urbanistici vigenti al momento della riedificazione ed applicabili in caso di nuova costruzione. Del resto, la conferma della ontologica necessita' che l'intervento di ristrutturazione edilizia, pur con le ampie concessioni legislative in termini di diversita' tra la struttura originaria e quella frutto di "ristrutturazione", non possa prescindere dal conservare traccia dell'immobile preesistente, e' fornita dallo stesso articolo 10 sopra gia' citato, integrativo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 articolo 3 comma 1 lettera d), laddove si premette che le novelle introdotte rispondono "al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonche' di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo". Anche la lettura stessa del citato articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 depone in tal senso, laddove, da una parte, definisce come ristrutturazione "gli interventi edilizi volti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso", dall'altra, distingue rispetto ad essa gli "interventi di nuova costruzione" (articolo 3 comma 1 lettera e), che sono strutturalmente connotati dalla assenza di una preesistenza edilizia. In altri termini, con riguardo alla ristrutturazione non vi e' spazio per nessun intervento che lasci scomparire ogni traccia del preesistente. 1.5. Alla luce delle precedenti considerazioni, deve essere esaminato l'intervento oggetto di sequestro. Che risulta indiscutibilmente consistente nell'abbattimento, in zona agricola, di edifici rurali accessori ad una casa colonica - composta di due unita' immobiliari - non ancora demolita, con aumenti di cubatura previsti per l'intervento finale, consistente nella creazione di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso costituito da n. 24 stalli con copertura fotovoltaica. Si tratta di interventi edilizi in corso, funzionali, come appare evidente per quanto immediatamente sopra illustrato, non alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ma pur sempre identificabile con quest'ultimo, quanto, piuttosto, di plurimi e diversi organismi, quali le villette, ancorche' in linea; laddove la previsione di una strada e di 24 parcheggi a raso conferma la predisposizione di un nuovo complesso residenziale, come tale distante dal criterio fondante della ristrutturazione, che pur con l'ampiezza operativa concessa ai sensi dell'articolo 3 attualmente vigente, impone, comunque, per rispettare la ratio dell'intervento e la distinzione rispetto ad altre operazioni edilizie, e in particolare rispetto alle "nuove costruzioni", un connubio materiale o comunque funzionale e identitario, tra l'edificio originario e l'immobile frutto di ristrutturazione. Correlazione evidentemente assente allorquando, come nel caso di specie, rispetto ad un unico edificio - quale la casa colonica comprensiva di due unita' immobiliari - si prospettano plurime e autonome unita' immobiliari, quali le 10 ville, nel contesto, peraltro, di una strada e di un parcheggio integranti interventi per i quali pare assente ogni riferimento strutturale originario, idoneo a inquadrare anche tali ultime opere nel novero di una ristrutturazione. Ne', per quanto detto, e anche per quanto di seguito si precisera' circa i rapporti tra Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e leggi regionali, appare pertinente la precisazione, in ordinanza, per cui con legge regionale sarebbe caduto il divieto di realizzare, previa demolizione e ricostruzione, diverse unita' immobiliari, atteso che qui viene in rilievo non la possibilita', consentita, che il nuovo organismo contempli, in se', altre unita' immobiliari, ma la necessita' che l'operazione di ripristino non si traduca nella moltiplicazione, da un unico edificio, di piu' distinte e autonome strutture edilizie. In altri termini, seppure la recente novella del 2020 abbia contribuito a delineare la possibilita' di interventi di ristrutturazione fortemente innovativi rispetto all'organismo preesistente, tanto che alcuni criteri prima utilizzati dalla legge e giurisprudenza, per sancire la corrispondenza tra i due organismi interessarti appaiono via via sfumati o scomparsi (quali, in sintesi, con riferimento in particolare a zone non vincolate, la fedele ricostruzione comprensiva di limitate innovazioni, oppure, poi, la medesima sagoma /volumetria o, ancora, l'identita' del sedime), permane il requisito, insuperabile, per cui deve pur sempre trattarsi di interventi di recupero del medesimo immobile ancorche' trasformato in organismo edilizio in tutto o in parte diverso. Per cui, in tale quadro va esclusa la moltiplicazione, da un unico edificio, di plurime distinte strutture o, di converso, l'assorbimento di plurimi immobili in un unico complesso edilizio. 1.6. In proposito, e' utile osservare come tale impostazione sia seguita dall'articolo 2 della L. 22/2009 della regione Marche che, nel consentire la demolizione e ricostruzione, fa chiaro riferimento al parametro, permanente, prima e dopo dell'intervento, dell'organismo edilizio preesistente, mediante le espressioni " ricostruzione" e "ricomposizione planovolumetrica" oltre che con riferimento - in zone agricole - alla realizzazione di un "nuovo edificio" (piuttosto che di plurimi edifici "generati" da un unico edificio - oltre che annessi "assorbiti" - come nel caso in esame); peraltro, si noti bene, il tutto per delineare i confini reali della fattispecie di ristrutturazione sancita dalla disciplina in esame, pur sempre "secondo il tipo edilizio e le caratteristiche edilizie storiche". Non sembra inoltre trascurabile, nel caso in esame, il seguente ulteriore dato: pur stabilendo, l'attuale articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, che la ristrutturazione puo' prevedere altresi' "nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana", tale previsione fa evidentemente riferimento, nel quadro della gia' delineata ricostruzione normativa, ad ampliamenti relativi a ciascun singolo edificio da ristrutturare. Solo entro tali limiti, dunque, e' ammesso un aumento volumetrico. Di contro, il rinvio di cui all'articolo 2 comma 8 della L. Marche 22/2009 all'articolo 1 comma 6 della stessa appare riferibile a fattispecie diversa, quale l'accorpamento, all'edificio principale, della volumetria di accessori ad esso di pertinenza e diversi, che nella misura in cui si traduca, come pare nel caso di specie, nella demolizione di immobili accessori distinti, con acquisizione all'immobile principale della relativa volumetria, e scomparsa, di fatto, dei predetti locali si traduce in un intervento che, per quanto sopra detto, con riguardo alla necessaria identificabilita' del singolo immobile ristrutturato con il nuovo organismo realizzato, esula dalla nozione legislativamente fissata di ristrutturazione. Cosicche', pur alla luce delle piu' recenti novelle, l'utilizzazione, a favore dell'unico edificio ricostruito, delle volumetrie espresse da altri edifici anch'essi demoliti e' concetto totalmente estraneo - e come tale deve essere interpretato il rinvio disposto dall'articolo 2 comma 8 citato all'articolo 1 comma 6 pure citato - alla definizione della ristrutturazione: manca infatti, in tal caso, la "ricostruzione" dell'edificio demolito (che invece scompare, con mero "acquisto" all'immobile principale della sola relativa volumetria), ancorche' rinnovato e modificato (nei termini di legge consentiti). Di rilievo, in tal senso, appare il principio affermato da Cons. Stato Sez. VI Sent., 16/12/2008, n. 6214, secondo cui la trasformazione di due manufatti agricoli in villa ad uso residenziale, con accorpamento di volumi e parziale spostamento dell'area di sedime, esula dalla nozione di ristrutturazione, sia come attualmente definita dall'articolo 3, comma 1, lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, sia in rapporto alla elaborazione giurisprudenziale. Si tratta di decisione che, seppure formulata in un quadro giuridico piu' restrittivo rispetto a quello attualmente vigente a seguito della novella del 2020, ribadisce il senso della disciplina della ristrutturazione, nella sua correlazione tra edificio demolito ed edificio ricostruito, laddove evidenzia come "cio' che distingue, infatti, gli interventi di tipo manutentivo e conservativo da quelli di ristrutturazione e', indubbiamente, il carattere innovativo di quest'ultima in ordine all'edificio preesistente; cio' che contraddistingue, pero', la ristrutturazione dalla nuova edificazione e' la gia' avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un "insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente"), ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita". 1.7. Ne' osta a tale ultimo rilievo, sulla corretta interpretazione del rinvio di cui all'articolo 2 comma 8 della L. Marche 22/2009 all'articolo 1 comma 6, la previsione dell'articolo 2 comma 8 ter L. R. Marche 22/2009, per cui "gli interventi previsti da questo articolo costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) del comma 1 articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380", atteso che l'articolo 1, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, stabilisce che "il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell'attivita' edilizia", e i commi 1 e 3 dell'articolo 2, prevedono, rispettivamente, che "le regioni esercitano la potesta' legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico" e "le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuati ve dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi". Di rilievo e' anche il comma 3 dell'articolo 117 Cost., secondo cui sono materie di legislazione concorrente, tra le altre, quelle relative al "governo del territorio" e, "nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato". Consegue che la nozione di ristrutturazione di cui all'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, costituendo un principio fondamentale della legislazione statale dettato in tema di caratteristiche di interventi lato sensu conservativi e di recupero, non puo' essere integrata o modificata con legge regionale. Tanto, del resto, risulta gia' stabilito da questa Suprema Corte, laddove si e' precisato che in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Sez. F - n. 46500 del 30/08/2018 Rv. 274173 - 01; Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016 Ud. (dep. 20/06/2017) Rv. 270210 - 01). 1.8. Con riguardo, dunque, alla qualificazione giuridica dell'intervento, appare corretto il rilievo del ricorrente nel senso della esclusione di un'operazione di ristrutturazione, a fronte di un nuovo complesso residenziale dal notevole impatto edilizio ed urbanistico. Le cui caratteristiche, peraltro in area a destinazione agricola, non possono prescindere dalla considerazione dei principi piu' volte ribaditi da questa Suprema Corte secondo i quali in materia edilizia, e' configurabile il reato di lottizzazione abusiva anche nel caso di interventi realizzati, in difetto di uno strumento pianificatorio di dettaglio, in zone gia' urbanizzate o parzialmente urbanizzate, purche' di consistenza e complessita' tali da costituire una notevole trasformazione del territorio, inammissibile in mancanza di un piano per la realizzazione degli interventi infrastrutturali, che garantisca il raccordo della nuova edificazione a quella preesistente (Sez. 3 -, n. 36616 del 07/06/2019 Rv. 277614 - 02). Inoltre integra il reato di lottizzazione abusiva il frazionamento e la predisposizione di un terreno agricolo alla realizzazione di piu' edifici aventi natura e destinazione residenziale, in quanto trattasi di attivita' edificatoria fittiziamente connessa alla coltivazione ed allo sfruttamento produttivo del fondo ed incompatibile con l'originaria vocazione dell'area (Sez. 3, n. 15605 del 31/03/2011 Rv. 250151 - 01), ed ancora, in tema di reati urbanistici, nel caso di costruzione in zona agricola, la destinazione del manufatto alle opere dell'agricoltura ed il possesso dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo in capo a chi lo realizza - tanto al momento della richiesta e del rilascio del permesso di costruire, quanto al tempo della eventuale voltura del titolo abilitativo in favore di terzi - sono elementi rilevanti nella valutazione della rispondenza dell'opera alle prescrizioni dello strumento urbanistico e, di conseguenza, anche per l'eventuale valutazione di conformita' ai fini del rilascio della sanatoria (Sez. 3, n. 7681 del 13/01/2017 Rv. 269159 - 01). 1.9. Rispetto a tale ricostruzione, anche di principio, le ulteriori considerazioni critiche in ordine alla interpretazione di atti amministrativi quali le NTA del PRG vigente, citate in ricorso, muovono su un piano fattuale, inammissibile in questa sede, proponendo un'analisi non effettuabile da parte di questa Corte, atteso che in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche l'affermata erronea interpretazione di un atto amministrativo, poiche' essendo relativa ad atti privi di carattere normativo rientra, ai sensi dell'articolo 325, comma 1, c.p.p. nella valutazione del fatto (Sez. 3 - n. 14977 del 25/02/2022 Rv. 283035 - 01; Sez. 3, n. 37451 del 11/04/2017 (dep. 27/07/2017) Rv. 270543 - 01). 2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che l'ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio al tribunale di Ancona per nuovo esame in relazione alla ipotesi accusatoria formulata, alla luce delle considerazioni sopra riportate. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di Ancona competete ai sensi dell'articolo 324 c.p.p. co 5 c. p. p.

Ricerca rapida tra migliaia di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Tribunale Milano Tribunale Roma Tribunale Napoli Tribunale Torino Tribunale Palermo Tribunale Bari Tribunale Bergamo Tribunale Brescia Tribunale Cagliari Tribunale Catania Tribunale Chieti Tribunale Cremona Tribunale Firenze Tribunale Forlì Tribunale Benevento Tribunale Verbania Tribunale Cassino Tribunale Ferrara Tribunale Pistoia Tribunale Matera Tribunale Spoleto Tribunale Genova Tribunale La Spezia Tribunale Ivrea Tribunale Siracusa Tribunale Sassari Tribunale Savona Tribunale Lanciano Tribunale Lecce Tribunale Modena Tribunale Potenza Tribunale Avellino Tribunale Velletri Tribunale Monza Tribunale Piacenza Tribunale Pordenone Tribunale Prato Tribunale Reggio Calabria Tribunale Treviso Tribunale Lecco Tribunale Como Tribunale Reggio Emilia Tribunale Foggia Tribunale Messina Tribunale Rieti Tribunale Macerata Tribunale Civitavecchia Tribunale Pavia Tribunale Parma Tribunale Agrigento Tribunale Massa Carrara Tribunale Novara Tribunale Nocera Inferiore Tribunale Busto Arsizio Tribunale Ragusa Tribunale Pisa Tribunale Udine Tribunale Salerno Tribunale Verona Tribunale Venezia Tribunale Rovereto Tribunale Latina Tribunale Vicenza Tribunale Perugia Tribunale Brindisi Tribunale Mantova Tribunale Taranto Tribunale Biella Tribunale Gela Tribunale Caltanissetta Tribunale Teramo Tribunale Nola Tribunale Oristano Tribunale Rovigo Tribunale Tivoli Tribunale Viterbo Tribunale Castrovillari Tribunale Enna Tribunale Cosenza Tribunale Santa Maria Capua Vetere Tribunale Bologna Tribunale Imperia Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto Tribunale Trento Tribunale Ravenna Tribunale Siena Tribunale Alessandria Tribunale Belluno Tribunale Frosinone Tribunale Avezzano Tribunale Padova Tribunale L'Aquila Tribunale Terni Tribunale Crotone Tribunale Trani Tribunale Vibo Valentia Tribunale Sulmona Tribunale Grosseto Tribunale Sondrio Tribunale Catanzaro Tribunale Ancona Tribunale Rimini Tribunale Pesaro Tribunale Locri Tribunale Vasto Tribunale Gorizia Tribunale Patti Tribunale Lucca Tribunale Urbino Tribunale Varese Tribunale Pescara Tribunale Aosta Tribunale Trapani Tribunale Marsala Tribunale Ascoli Piceno Tribunale Termini Imerese Tribunale Ortona Tribunale Lodi Tribunale Trieste Tribunale Campobasso

Un nuovo modo di esercitare la professione

Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.