Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Molise

Ricerca semantica

Risultati di ricerca:

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1856 del 2024, proposto dalla Id. soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 89103193D9, rappresentata e difesa dagli avv. ti Ro. e Fa. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ro. Pa. in Roma, via (...); contro l'Università degli Studi Roma "La Sapienza", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti della C.M. Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti An. An., An. Ru., Ma. Or. e Ma. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - delle decisioni del RUP della stazione appaltante all'esito della seduta riservata del 16 maggio 2023, riportate nel Verbale n. 8, nella parte in cui si è ritenuto che: i) il costo del lavoro indicato dalla CM Se. s.r.l. nella propria offerta economica le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi; ii) l'offerta economica stessa fosse congrua e ammissibile; - della determinazione dell'Ateneo del 2 agosto 2023 di aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se. s.r.l.; nonché per l'accertamento della circostanza per cui la CM Se. s.r.l. doveva essere esclusa dalla gara; nonché per la declaratoria dell'inefficacia del contratto d'appalto stipulato e del subentro nell'esecuzione del servizio. Visti il ricorso, la memoria e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio di Università degli Studi Roma "La Sapienza" e i relativi allegati, nonché l'atto di costituzione in giudizio e la memoria della C.M. Se. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 il dott. Massimiliano Scalise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Con l'atto introduttivo del presente giudizio, la Id. soc. coop. (di seguito anche "Id." o "ricorrente") ha impugnato gli atti sulla cui base la procedura aperta per l'affidamento dell'appalto quinquennale relativo ai servizi di pulizia delle sedi dell'Università di Roma "La Sapienza" è stata aggiudicata in favore della la C.M. Se. s.r.l. (di seguito anche "CM Se." o "controinteressata" o "aggiudicataria"). 2 - La gara europea d'appalto, per un importo a base d'asta nel quinquennio di circa euro 45 milioni, è stata aggiudicata secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base del miglior rapporto qualità /prezzo (punti 80 per l'offerta tecnica e 20 punti per l'offerta economica). A seguito delle operazioni valutative delle offerte presentate (trentacinque), è scaturita la graduatoria finale, in cui la CM Se. s.r.l. si è classificata al primo posto con punti 90,842 e la Id. si è posizionata al secondo posto, con punti 89,39. In particolare, l'aggiudicataria ha offerto un ribasso del 18,25%, avendo stimato i costi della manodopera in euro 34.990.650,04 contro gli euro 36.780.796,00 stimati dalla stazione appaltante (circa euro 1.8 milioni in meno), con un utile corrispondente a circa lo 0,47% dell'importo offerto (circa euro 175.000,00 nel quinquennio). 3 - Successivamente, hanno avuto luogo le operazioni di verifica della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, articolatesi attraverso diverse interlocuzioni e richieste di chiarimenti, e conclusesi con un giudizio positivo dell'Ateneo, che così ha concluso: "Dall'analisi complessiva della documentazione, e delle giustificazioni presentate e a seguito dell'audizione tenuta in data 09/05/2023, analizzate tutte le componenti dei costi, tenuto conto dell'offerta nella sua complessità, il RUP e la Commissione valutano congrua e sostenibile, e pertanto ammissibile, l'offerta". 4 - E' seguito il provvedimento dell'Università del 2 agosto 2023, recante la comunicazione dell'aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se., alla quale, poi, lo stesso Ateneo ha consegnato i lavori in via d'urgenza già il 1° settembre 2023, a fronte della stipula del contratto avvenuta il 2 febbraio 2024. 5 - Non appena avuta notizia dell'aggiudicazione in favore della prima classificata, la ricorrente si è attivata per conseguire l'accesso agli atti e ai verbali di gara, riuscendo a soddisfare integralmente la sua pretesa ostensiva solo a seguito di vari tentativi e della sentenza di questa Sezione n. 17209/2023. 6 - La ricorrente ha, poi, gravato gli esiti della gara, focalizzando le censure sulla pretesa inosservanza, da parte della CM Se., dei trattamenti retributivi minimi stabiliti dal CCNL del settore e sull'asserita incongruità della relativa offerta. 7 - Il ricorso è stato affidato a tre motivi: i) violazione di legge: violazione degli articoli 95, comma 10 e 97, comma 5, lettera d) del d.lgs n. 50/2016; illegittimità dell'avere la CM Se. calcolato i costi della manodopera considerando per il primo anno del servizio i livelli contrattuali minimi del periodo "07/2021-07/2022", ossia dell'anno antecedente a quello in cui il servizio avrebbe potuto iniziare a venir svolto, e per ognuno dei successivi quattro anni di servizio i livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente; eccesso di potere: difetto di istruttoria e manifesta illogicità dei giudizi del RUP, che ha ritenuto che il costo della manodopera considerato dalla CM Se. le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi e che la sua offerta economica fosse congrua; ii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, che ha ritenuto: 1) che i costi della manodopera considerati dalla CM Se. le consentissero di rispettare i minimi salariali retributivi; 2) che l'offerta economica da essa presentata fosse congrua per non essersi egli, altresì, reso conto che tale operatore economico, avendo basato il calcolo del costo della manodopera del triennio 2023/2026 utilizzando il dato percentuale INPS del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%, ha mancato di considerare gli oneri INPS obbligatoriamente da sostenersi, ammontanti in relazione alle ore di lavoro ordinario, al complessivo importo di euro 120.585,09, con inosservanza dei limiti inderogabili tabellari stabiliti dalla contrattazione collettiva; iii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, secondo cui l'offerta economica della CM Se. le consentiva di rispettare i minimi salariali retributivi ed era congrua per il fatto di non essersi accorto che, in relazione all'incidenza del dato percentuale INPS, essa ha calcolato il costo delle ore di lavoro supplementari: 1) per il triennio dal 2023 al 2026, considerando il dato percentuale del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%; 2) per tutti i cinque anni del servizio, senza ricomprendere nel calcolo medesimo la maggiorazione del 28% dovuta per tale tipo di prestazione. 8 - L'Università di Roma "La Sapienza" si è costituita in resistenza al ricorso e, con una succinta relazione, ha sostenuto l'attendibilità delle valutazioni compiute sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria. Lo stesso ha fatto la CM Servizi con un'articolata memoria, in cui ha dedotto alcuni aspetti di inammissibilità del ricorso e ne ha argomentato l'infondatezza. In particolare, ha sostenuto che: i) il margine derivante da alcune sovrastime compiute in sede d'offerta di circa euro 414.000 sarebbe idoneo ad assorbire i maggiori costi quantificati nei primi due mezzi; ii) il terzo mezzo sarebbe infondato. 9 - In vista dell'udienza, la ricorrente con puntuale memoria ha meglio articolato le proprie tesi, anche alla luce delle deduzioni della controinteressata. 10 - All'udienza pubblica del 22 maggio 2024, uditi gli avvocati come da verbale, la causa è stata assunta in decisione. 11 - In via preliminare, il Collegio deve esaminare i profili di inammissibilità del ricorso eccepiti dalla controinteressata. In particolare: i) sotto un primo versante, è stato affermato che il giudizio sulla congruità dell'offerta prima classificata sarebbe un giudizio globale e sintetico, espressione di discrezionalità tecnica, e non potrebbe risolversi in una "caccia all'errore", risultando altrimenti la relativa censura inammissibile; ii) sotto un secondo angolo di visuale, la ricorrente avrebbe omesso di contestare il merito dei verbali relativi al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta prima classificata antecedenti al verbale n. 8, nei quali sarebbero stati trattati aspetti cruciali per la valutazione della sua sostenibilità : essi sarebbero, quindi, divenuti incontestabili e risulterebbero idonei a sorreggere la legittimità valutazione finale compiuta nel verbale n. 8. Entrambi i citati profili non colgono nel segno. 11.1 - Non il primo tenuto conto che: i) la prima parte del primo e del secondo mezzo, con cui la ricorrente ha lamentato il mancato rispetto da parte dell'aggiudicataria, in sede d'offerta, dei minimi retributivi fissati dal CCNL del settore, in violazione degli artt. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, afferiscono ad una fase distinta e precedente rispetto a quella di valutazione della congruità dell'offerta: detta fase ha, infatti, esclusivo riguardo alla verifica dello scostamento oggettivo del costo della manodopera offerto rispetto ai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale, senza che siano ammesse e valutabili giustificazioni su tale aspetto; e l'eventuale scostamento è sufficiente a determinare l'esclusione dalla gara del concorrente; ii) in ogni caso, il resto del ricorso è volto a far valere aspetti di erroneità e di lacunosità nell'operato dell'Ateneo in sede di valutazione della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, di portata tale da integrare evidenti errori di fatto e palesi illogicità, pienamente sindacabili in sede giurisdizionale, quali componenti essenziali per il corretto esercizio del potere tecnico-discrezionale da parte della stazione appaltante (cfr. ex multis, Cons. St., V, n. 3854/2024). 11.2 - Le stesse conclusioni di infondatezza valgono per il secondo rilievo, ove si consideri che il fuoco dell'impugnazione si è correttamente concentrato sul verbale (il n. 8), in cui l'Ateneo ha concluso l'esame della sostenibilità dell'offerta della CM Servizi, compendiando gli esiti dell'istruttoria precedentemente condotta e documentata nei precedenti verbali (tutta l'attività pregressa è richiamata al penultimo capoverso di pag. 1 del verbale n. 8) e traendone le relative conclusioni ultimative. Nel verbale n. 8, infatti, la stazione appaltante, tirando le somme dell'attività fino a quel momento compiuta, si è espressa in modo definitivo sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria e ha concluso la sua analisi, ritenendo che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta, pur discostandosi lievemente dai livelli individuati dalle Tabelle ministeriali, risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge". Pertanto, l'impugnazione del solo verbale n. 8 non determina alcuna conseguenza in punto di inammissibilità delle censure ricorsuali, posto che esso ha richiamato tutta l'attività istruttoria (e interna) compiuta, tracciandone le conseguenze definitive in chiave valutativa. 12 - Venendo al merito, il ricorso va accolto, in quanto è fondato per quanto di ragione. 13 - Con la prima parte del primo e secondo motivo la ricorrente ha lamentato: - il contrasto con l'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016 dell'operato della CM Se., nella parte in cui ha considerato, in sede d'offerta: i) un costo della manodopera inferiore ai minimi salariali retributivi; ii) l'incidenza INPS sul costo del lavoro, tenendo conto di un'aliquota erronea e più bassa rispetto a quella di legge (il 28,44% in luogo del 29,44%); - la conseguente illegittimità dei giudizi del RUP, che non si è accorto di tale aspetto e, conseguentemente, ha mancato di escluderla. In tesi, la CM Se., per dimostrare che il costo della manodopera da essa quantificato in sede d'offerta in euro 34.990.650,04 la metteva in grado di rispettare i minimi salariali retributivi, ha spostato all'indietro di un intero anno il primo periodo/anno di svolgimento del servizio, al fine di potersi avvalere degli inferiori costi del lavoro applicabili nell'anno precedente; e tale modus procedendi è stato proiettato per l'intera durata del contratto: per ognuno dei successivi quattro anni di servizio successivi al primo, quindi, l'aggiudicataria si è attenuta ai livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente. Conseguentemente, la CM Se. avrebbe derogato in pejus i minimi salariali della contrattazione collettiva nazionale di settore, in contrasto con quanto previsto dall'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, con una sottostima nei costi di manodopera pari circa euro 430.000,00 (315.000,00 relativi alla retribuzione +120.000,00 per i minori oneri previdenziali), tali da erodere interamente l'utile dichiarato di circa euro 175.000,00. La censura così riassunta coglie nel segno per quanto di ragione. 13.1 - Va subito considerato in fatto che la CM Servizi in giudizio ha ammesso: - di non aver tenuto conto, in relazione al primo anno di esecuzione del contratto, degli aumenti retributivi scattati da luglio 2022 e di aver considerato, per i successivi quattro anni, i minimi salariali validi per l'anno precedente, senza tener conto degli aumenti stabiliti (e della relativa decorrenza) in sede di rinnovo del CCNL di settore (cfr. sul punto l'all. 22 depositato in giudizio dalla ricorrente il 22 febbraio 2024); - di aver stimato, in sede d'offerta, l'incidenza degli oneri contributivi sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio, applicando l'aliquota del 28,44% e non già in quella del 29,13%, in tesi individuata come corretta. La stessa aggiudicataria ha quantificato la sottostima dei connessi costi di manodopera in circa euro 240.000,00, che in tesi sarebbero assorbiti dalla sopravvalutazione, compiuta in sede di offerta, di altre voci di costo, che avrebbero generato un risparmio complessivo, sempre nel quinquennio, di circa euro 414.000,00. In chiave esimente, quanto alla sottovalutazione dei costi di manodopera l'aggiudicataria ha affermato di aver calcolato il costo del lavoro considerando quale momento di avvio del servizio il 2021, seguendo le indicazioni dell'Amministrazione sul punto. Sennonché tale rilievo, se vale a giustificare il mancato aggiornamento dei minimi salariali relativi al primo anno, non giustifica certamente il disallineamento relativo agli anni successivi; e ciò tenuto conto che sia al momento della pubblicazione del bando (luglio 2021) che al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte (17 gennaio 2022) era già stato concluso e vigeva l'accordo collettivo del settore (lo stesso recava la data dell'8 giugno 2021), con la conseguenza che le decorrenze dei vari aumenti per gli anni successivi al primo, obliterate dalla CM Servizi, erano da ritenersi, nella rispettiva scansione temporale, ampiamente note e conoscibili a tutte le imprese del settore. Per quest'ultima ragione, non risulta utilmente invocabile - contrariamente a quanto affermato dalla CM Servizi - neppure l'istituto della revisione dei prezzi, attesa l'impossibilità di annoverare l'accordo collettivo dell'8 giugno 2021 fra gli eventi successivi alla stipula del contratto, futuri e non addebitabili alla volontà dell'imprenditore tali da incidere sull'equilibri contrattuale; detto accordo era, infatti, vigente già alla data della pubblicazione del bando di gara e di esso dovevano e potevano tener conto tutte le imprese operanti nel settore. In ogni caso, il Collegio ritiene di dover estendere alla fattispecie in esame l'orientamento giurisprudenziale, affermato nella vigenza del d.lgs n. 50/2016, secondo cui l'aumento derivante dal periodico rinnovo dei contratti collettivi di lavoro applicabili al settore, non può essere considerato un evento imprevedibile ma una normale evenienza di cui l'imprenditore dovrebbe sempre tenere conto nel calcolo della convenienza economica dell'offerta presentata in gara (cfr. in tal senso Cons. St., V, n. 453/2024; id., n. 6652/2023). 13.2 - A tale stregua, è emerso un quadro in cui: - la CM Servizi non ha allineato la sua offerta (quanto meno per gli anni successivi al primo) a quelli che l'accordo collettivo di settore dell'8 giugno 2021 all'art. 73 ha definito in modo emblematico "trattamenti minimi contrattuali", non potendosi desumere dal tenore dell'accordo che i relativi importi fossero considerabili quali valori medi o meramente indicativi; in tal ottica, non giova all'aggiudicataria, al fine di dimostrare la correttezza del suo operato, la considerazione relativa ai costi di manodopera su base aggregata e la loro congruenza complessiva con le tabelle ministeriali, tenuto conto del rilievo per cui il rispetto dei minimi salariali risponde all'esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della giusta retribuzione e serve ad evitare manovre speculative sulla retribuzione dei dipendenti finalizzate a rendere l'offerta in gara più competitiva; a tale stregua, la verifica del rispetto dei minimi, per presidiare in modo effettivo le finalità cui è preordinata, va effettuata prendendo a riferimento gli importi previsti dal CCNL di settore per i profili professionali corrispondenti a quelli impiegati nella commessa e non già, come erroneamente ritenuto dall'aggiudicataria e dalla stazione appaltante, gli importi complessivi su base aggregata; - la CM Servizi ha sottostimato l'incidenza INPS sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio; - da tali condotte è derivata la mancata previsione di costi di manodopera che la stessa aggiudicataria ha quantificato in un importo notevole (circa euro 240.000,00). 13.3 - Ciò premesso in fatto, il Collegio è dell'avviso che nella fattispecie all'esame rientri nell'ambito applicativo: - dell'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'offerta economica l'operatore deve indicare i propri costi della manodopera..... Le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell'aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all'articolo 97, comma 5, lettera d)" - dell'art. 97, comma 6 (prima parte), d.lgs. n. 50/2016, secondo cui "6. Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge. Non sono, altresì, ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza di cui al piano di sicurezza e coordinamento previsto dall'articolo 100 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81...". La disposizione testé enunciata fa riferimento non già ad uno scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, d.lgs. n. 50/2016, dato questo indicativo e da valutare nella sede del giudizio di congruità dell'offerta, bensì ad uno scostamento - come nella specie - del costo del lavoro "dai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale" concretamente applicabile al singolo imprenditore (essendo proprio tale contrattazione la "fonte autorizzata dalla legge" a cui fa riferimento l'art. 97, comma 6 citato). Tale scostamento non tollera alcun tipo di giustificazione da parte del singolo operatore economico, radicando, quindi, non già un potere discrezionale della stazione appaltante di valutare (in contraddittorio con l'impresa) l'eventuale giustificazione dell'anomalia dell'offerta, bensì un potere vincolato di esclusione automatica dalla gara. Esclusione che prescinde, quindi, da una complessiva valutazione discrezionale (da parte della stazione appaltante) dell'impatto del summenzionato scostamento del costo del lavoro sulla congruità economica globale dell'offerta e sulla sua sostenibilità finanziaria. La ragion d'essere di tale esclusione automatica risiede, infatti, nella circostanza che il mancato rispetto del minimo retributivo stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale vigente non può mai essere giustificato (a prescindere, quindi, dal suo concreto impatto sulla sostenibilità economica dell'offerta), stante il ruolo centrale che detta contrattazione svolge nella definizione dei parametri costituzionali di "sufficienza" e "proporzionalità " della retribuzione del lavoratore subordinato (cfr. art. 36 Cost.) (cfr. in tal senso T.A.R. Lazio, Roma, II, n. 8473/2024 e id., I-bis, n. 15870/2023, secondo cui "... una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsti dai Contratti collettivi il parametro utilizzato al fine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore"; cfr. anche T.A.R. Veneto, I, n. 958/2017, secondo cui "una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsi dai contratti collettivi, in base ad un criterio costantemente seguito dalla giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale, il parametro comunemente utilizzato alfine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore, ai sensi dell'art. 36 della Costituzione"). Quanto precede risulta coerente con il principio generale sancito dall'art. 30, comma 3, del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X". Il rispetto dei trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile al singolo operatore economico costituisce, dunque, una condicio sine qua non di partecipazione alla gara. Tali coordinate ermeneutiche trovano un loro compiuto riconoscimento nel consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui la valutazione della possibilità di escludere l'offerente in applicazione dell'articolo 97, comma 5, lett. d) del d.lgs. n. 50 del 2016 "deve invero intendersi riferita all'incongruità complessiva del costo del lavoro, quale risultante all'esito delle giustificazioni prodotte nel corso del subprocedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta - rispetto al quale il riferimento ai costi risultanti dalle tabelle ministeriali di cui all'art. 23 comma 6 del codice costituisce utile parametro di riferimento, secondo quanto di seguito specificato - laddove, per contro, il mancato rispetto dei minimi salariali inderogabili previsti dalla leggi o da fonti autorizzate dalla legge (id est dalla contrattazione collettiva) comporta ex se l'esclusione dalla procedura di gara, non essendo in relazione al mancato rispetto di detti minimi salariali ammesse le giustificazioni, come claris verbis statuito dall'art. art. 95 comma 6 del Codice secondo cui "Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge..." (cfr. ex multis Cons. St., V, n. 1652/2023). Il che conferma, quindi, che l'eventuale violazione dei minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile - lungi dal consentire all'operatore economico di giustificare lo scostamento retributivo - impone piuttosto l'esclusione dalla gara di detto operatore. 13.4 - Calando tali coordinate ricostruttive nella fattispecie all'esame, a fronte dell'accertato disallineamento dell'offerta dell'aggiudicataria rispetto ai trattamenti minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile (quanto meno per gli anni successivi al primo) e delle sottostime dei costi di manodopera che ne sono conseguiti, la stazione appaltante ha totalmente pretermesso l'apprezzamento di tale preliminare e dirimente aspetto. Difatti, essa ha affermato, peraltro senza fornire alcuna adeguata motivazione, che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta...risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge" e ha proceduto all'esame di congruità dell'offerta ritenendo, anche in questo caso in modo eccessivamente generico, che il rilevato disallineamento rispetto ai livelli individuati dalle tabelle ministeriali fosse giustificato. Emerge, dunque, con evidenza che l'iter valutativo della stazione appaltante risulta viziato da un palese travisamento dei fatti e da evidenti profili di contraddittorietà rispetto al quadro istruttorio emerso. Infatti, a fronte del carattere evidente del surrichiamato disallineamento, la stazione appaltante avrebbe dovuto procedere senz'altro all'esclusione dell'aggiudicataria, essendo destinata a passare in secondo piano ogni ulteriore profilo inerente alla valutazione delle giustificazioni a suffragio della sostenibilità dell'offerta, così come ogni profilo inerente allo scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, del d.lgs n. 50/2016 (tabelle aventi, a differenza del CCNL, un valore soltanto orientativo). Di qui l'illegittimità degli atti impugnati per violazione degli artt. 95, comma 10 e 97, comma 6 del d.lgs n. 50/2016. 14 - Per mera completezza, si soggiunge che, quand'anche l'aggiudicataria avesse dimostrato di aver osservato i trattamenti minimi previsti dalla vigente contrattazione collettiva o comunque che il disallineamento accertato non avesse conseguenze in punto di sottovalutazione dei costi di manodopera, i restanti motivi di gravame sarebbero comunque stati accolti. E ciò in quanto, come puntualmente dedotto e comprovato dalla ricorrente e non adeguatamente smentito dalla controinteressata, l'offerta da quest'ultima presentata sarebbe stata da ritenere comunque incongrua e non sostenibile. 14.1 - La ricorrente, infatti - a fronte di un ribasso del 18,25% (con circa 187.655 ore di lavoro in meno rispetto a quanto stimato in sede di lex specialis) e dell'appostazione di un utile su cinque anni pari a circa euro 175.000,00 pari allo 0,47% dell'importo offerto di euro 34.990.650,04 - ha compiutamente illustrato i profili di sottostima: i) conseguenti al mancato rispetto dei trattamenti minimi inderogabili stabiliti nel CCNL di settore per un importo complessivo di circa euro 315.000,00 di costi non considerati; ii) derivanti dal calcolo dei contributi previdenziali sulla base di un'aliquota più bassa rispetto a quella vigente (28,44% rispetto a quella del 29,44%), per un importo complessivo di circa euro 120.000,00 di costi non considerati; iii) relativi all'erroneo calcolo dei contributi previdenziali sul lavoro complementare, per il quale è stata computata un'aliquota più bassa e il relativo calcolo non ha compreso la maggiorazione del 28%, per un importo complessivo di circa euro 390.000,00 di costi non considerati. In tesi, tali profili di sottostima erano tali da erodere il ridotto margine di utile (circa 175.000,00 nel quinquennio), rendendo l'offerta incongrua e insostenibile. Sul punto, giova puntualizzare che, con l'articolazione di tali censure, la ricorrente non ha inteso compiere una "caccia all'errore" ma ha piuttosto individuato puntuali circostanze di fatto idonee a determinare la palese erroneità e l'evidente travisamento nelle valutazioni compiute dalla stazione appaltante in merito alla congruità dell'offerta della CM Servizi. 14.2 - Orbene, in relazione alle predette censure, l'aggiudicataria ha: - allegato di aver compiuto, in sede d'offerta, delle sovrastime con riguardo ai costi per la manodopera (circa euro 101.000), ai costi per la sicurezza (circa 78.000) e all'assistenza sanitaria integrativa (euro 54.000), sovrastime che, unite all'utile di circa euro 175.000,00, formerebbero un margine di circa euro 414.000,00, sufficiente ad assorbire le paventate sottostime; - quanto alla censura sub i), l'aggiudicataria, realizzando l'allineamento, tempo per tempo, degli importi a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, ha ridotto la sottostima a circa 244.000,00; - quanto alla censura sub ii), la CM Servizi ha riconosciuto di aver calcolato i contributi previdenziali con un'aliquota non corretta (28,44% in luogo di 29,13% e non già di 29,44% come affermato nel ricorso) e conseguentemente ha ridotto la sottostima a circa euro 68.000,00. - quanto alla censura sub iii), ha affermato che, a mente dell'art. 33 del CCNL la maggiorazione andrebbe applicata ai soli istituti retributivi diretti e indiretti, senza impattare sul calcolo degli oneri contributivi. La medesima aggiudicataria ha, quindi, concluso nel senso della piena sostenibilità dell'offerta. 14.3 - Ciò premesso, è rilevante considerare che la ricorrente, con successiva memoria non fatta oggetto, neppure nel corso della discussione, di alcuna adeguata confutazione, ha puntualmente dedotto quanto segue. 14.3.1 - La paventata sovrastima relativa ai costi per la manodopera (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 per ciascuno dei cinque anni di contratto), quantificata ritoccando l'importo dei costi di manodopera offerti da euro 34.990.650,04 ad euro 34.889.719,84 (cfr. pag. 12 delle prime giustificazioni alla stazione appaltante del 20 ottobre 2022 e pag. 7 delle seconde giustificazioni del 23 febbraio 2023, entrambe fornite alla stazione appaltante - cfr. all. ti 18 e 19 depositati in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024), è stata successivamente superata da quanto affermato dalla stessa aggiudicataria nella successiva nota consegnata al RUP il 9 maggio 2023 in sede di audizione (cfr. cfr. all. 20 depositato in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024). In tale nota, la CM Servizi, per fronteggiare i rilievi del RUP sul minor assenteismo dichiarato, ha proceduto a modificare al rialzo il costo della manodopera annuo, quantificandolo in euro 6.994.965,98 (per una somma di euro 34.974,82 nel quinquennio). Ora, alla luce di ciò, è emerso che il margine di sovrastima si è inevitabilmente ridotto dalla somma inizialmente indicata (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 annui) a circa euro 3.000,00 annui e a circa euro 15.000,00 nel quinquennio. Conseguentemente, il margine attivo idoneo ad assorbire le sottostime puntualmente quantificate nel ricorso è destinato ad assottigliarsi da circa euro 414.000,00 (stimati dall'aggiudicataria) a circa euro 330.000 nel quinquennio. 14.3.2 - Quanto alla sottostima dei costi, il Collegio rileva che, anche a voler assumere la correttezza delle prospettazioni formulate dalla CM Servizi in giudizio sulle prime due censure: i) il riallineamento degli aumenti previsti anno per anno ai minimi retributivi inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva determina una sottostima dei costi di manodopera di circa euro 240.000,00; ii) il calcolo degli oneri contributivi secondo l'aliquota del 29,13% determina una sottostima di costi per un importo di circa euro 68.000,00. 14.3.3 - A tali importi, poi, vanno aggiunti, ad avviso del Collegio, sia quelli relativi derivanti dal calcolo dei contributi sul lavoro supplementare con l'aliquota del 29,13% (in luogo dell'aliquota del 28,44% utilizzata) sia soprattutto quelli derivanti dal calcolo degli oneri contributivi includendo nell'imponibile la maggiorazione del 28% prevista per il lavoro supplementare. La tesi dell'aggiudicataria, secondo cui quest'ultima componente sarebbe esente dagli oneri contributivi non può aver pregio ove si consideri che: i) la maggiorazione forfettaria e convenzionale del 28% costituisce la retribuzione per il lavoro supplementare, vale a dire per quello reso, nell'ambito di rapporti di lavoro a tempo parziale, oltre l'orario contrattuale, e avente un costo orario sensibilmente inferiore rispetto all'ora lavorativa ordinaria; ii) la normativa rilevante in materia (la l.n. 153/1969 per gli aspetti previdenziali e il d.P.R. n. 917/1986 per gli aspetti fiscali) depone nel senso che l'assoggettamento a prelievo contributivo del reddito di lavoro dipendente debba tendenzialmente avvenire sulla medesima base imponibile individuata ai fini fiscali ex art. 48 del TUIR (oggi art. 51); e tale norma così dispone "Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui si riferiscono": il quadro normativo è, dunque, chiaro nel ricomprendere anche la maggiorazione del 28% nell'imposizione contributiva, rientrando la stessa, in quanto forma di retribuzione convenzionale e forfettaria del lavoro supplementare, nel novero delle somme e dei valori corrisposti "in relazione al rapporto di lavoro" (cfr. in tal senso anche Cons. St., V, n. 453/2024, secondo cui in caso di utilizzo del lavoro supplementare, "gli oneri previdenziali sul corrispondente e complessivo costo non possono certamente essere negletti o non valorizzati nell'ambito dell'appalto.."). Né a conclusioni opposte può indurre il richiamo all'art. 33 del CCNL, invocato dall'aggiudicataria: tale previsione, infatti, in piena coerenza con l'ambito oggettivo di intervento rimesso alla contrattazione collettiva, laddove prevede che "Le ore di lavoro supplementare sono retribuite come ore ordinarie, incrementate ai sensi dell'art. 6, comma 2 del D.lgs. 81/2015 dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari su tutti gli istituti retributivi indiretti e differiti, compreso il TFR, determinata convenzionalmente e forfetariamente, tra le parti, nella misura del 28%, calcolato sulla retribuzione base e retribuito il mese successivo all'effettuazione della prestazione. La definizione di quanto sopra è coerente con quanto previsto all'articolo 6 del D.lgs. 81/2015", disciplina il differente aspetto dell'incidenza della maggiorazione sui vari istituti retributivi (al fine di determinarne il loro adeguamento), senza incidere sull'adempimento degli obblighi contributivi, disciplinati da una disciplina pubblicistica, inderogabile e autosufficiente. Sulla base di quanto precede, emerge un'ulteriore sottostima dei costi di importo pari ad almeno circa euro 248.000,00. 14.3.4 - In definitiva, sommando tutti i costi che - come emerso dall'esame delle risultanze in atti -l'impresa non ha considerato (circa euro 240.000,00 per costi di manodopera + euro 68.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi + circa euro 248.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi sul lavoro supplementare) e ponendoli a confronto del margine "attivo" derivante dalle sovrastime compiute (per circa euro 330.000,00) emergono con sufficiente evidenza l'insostenibilità dell'offerta e la sua non congruità . E ciò in quanto le voci di costo, per la loro entità, non solo sono certamente tali di erodere ogni margine di utile ma sono suscettibili di dar luogo all'esecuzione del servizio in perdita. Di tutto ciò evidentemente non ha tenuto conto la stazione appaltante che, in sede di verifica di congruità dell'offerta - pur avendo dato luogo ad un articolato contraddittorio con l'aggiudicataria e pur avendo preso atto delle diverse rettifiche compiute sui costi di manodopera e degli errori nel calcolo degli oneri contributivi - si è limitata a valutare il solo scostamento dai parametri medi di cui alle tabelle ministeriali, senza porsi la questione preliminare e assorbente della coerenza degli importi offerti con i trattamenti minimi inderogabili. E sul punto il Collegio deve ribadire nella specie il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui, col riferimento al "costo della manodopera, costituente un elemento essenziale dell'offerta economica - tanto è vero che deve essere oggetto di una specifica indicazione ai sensi dell'art. 95 comma 10 del d.lgs n. 50/2016 - la valutazione della stazione appaltante deve essere condotta con particolare rigore, esigendo quindi dall'impresa sottoposta a verifica spiegazioni assolutamente adeguate" (cfr. sul punto, ex multis Cons. St., V, n. 3968/2020 e in senso ana T.A.R. Lombardia, Milano, IV, n. 1194/ 2020; T.A.R. Molise, I, n. 175/2020). D'altro lato, l'Ateneo si è appiattito sulle deduzioni dell'aggiudicataria concludendo, senza corredare le conclusioni raggiunte degli elementi atti ad illustrare l'iter logico seguito a tal fine, che "l'offerta nella sua complessità ...fosse congrua e sostenibile...", dato questo smentito dalle surrichiamate risultanze documentali, non adeguatamente considerate in sede endoprocedimentale e, per contro, ben evidenziate in tutte le loro implicazioni dalla ricorrente. Del resto, a riprova della superficialità dell'istruttoria condotta dall'Ateneo, vanno anche considerate l'omessa considerazione della valenza e degli effetti sulla sostenibilità dell'offerta di due aspetti dedotti nel ricorso e non oggetto di alcuna contestazione da parte della CM Servizi, l'uno afferente al monte ore degli addetti da assumersi ex novo e l'altro relativo ai costi per la formazione. Quanto al primo aspetto, l'aggiudicataria ha indicato che avrebbe fatto prestare ai dieci addetti di secondo livello da assumersi ex novo n. 721,25 ore settimanali e, quindi, matematicamente a ciascuno più di 72 ore per settimana, laddove il monte ore massimo è fissato in 40 ore. Conseguentemente i costi della sicurezza sono stati calcolati solo sui 10 addetti, quando per prestare le ore di lavoro previste (nel rispetto del monte ore massimo) sarebbe stato necessario più del doppio delle risorse necessarie, con relativi maggiori costi della sicurezza. Quanto al secondo aspetto, l'aggiudicataria ha previsto in sede di offerta di far svolgere nel quinquennio n. 177.750 ore di formazione e di appostare per esse un costo di soli euro 99.591,86, come se ciascuna ora di formazione, nell'impossibilità di farle svolgere tutte "on the job", potesse effettivamente costare appena 56 centesimi di euro. Sulla base di tutto quanto fin qui illustrato, il Collegio osserva che l'attività della stazione appaltante risulta viziata da manifesto errore di fatto e da palese illogicità, avendo la stessa pretermesso l'adeguata valutazione di circostanze di fatto deponenti in modo preciso e univoco nel senso dell'insostenibilità dell'offerta della CM Servizi e quindi nel senso della sua esclusione dalla gara. Orbene, il Collegio non ignora che, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, il giudizio di verifica della congruità dell'offerta ha natura globale e sintetica e costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale riservato all'Amministrazione, come tale limitatamente sindacabile. Tuttavia è altrettanto innegabile che l'analisi della stazione appaltante debba avere riguardo a tutte le componenti dell'offerta e che il sindacato giurisdizionale si esplichi con pienezza nelle ipotesi di manifesta e macroscopica erroneità dell'operato del seggio di gara. Questo è il caso della fattispecie all'esame, in cui è stata censurata l'omessa considerazione della portata e degli effetti non già di poste aleatorie o valutative ma di talune voci di costo (alcune delle quali ammesse anche dalla ricorrente e comunque tutte emerse in sede endoprocedimentale) non considerate in sede di offerta che, se poste a confronto con il margine (tutt'altro che cospicuo) di utile stimato, erano tali da condurre all'insostenibilità di quest'ultima e da determinare l'esclusione dell'aggiudicataria (cfr. in tal senso, ex multis, Cons. St., V, n. 6786/2020; id., n. 2796/2020; id., n. 4820/2018; id., VI, n. 4350/2017). Ne consegue che gli atti impugnati risultano manifestamente erronei o illogici rispetto alle complessive risultanze emerse a seguito dei giustificativi presentati dall'interessata. 15 - In definitiva, sulla base di quanto in precedenza illustrato, il ricorso deve essere accolto e, per l'effetto: i) vanno annullati gli atti impugnati meglio identificati in epigrafe; ii) va accertata l'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione a favore della controinteressata, che avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara; iii) va accolta la domanda di annullamento dell'aggiudicazione impugnata. Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene, altresì, che ricorrano i presupposti di cui all'art. 122 del cod.proc.amm. per la dichiarazione di inefficacia del contratto d'appalto, essendo stata presentata dalla ricorrente la domanda di subentro nel contratto nella forma di domanda risarcitoria in forma specifica e non essendo stata fornita in giudizio alcuna allegazione di elementi a ciò ostativi. Invero, qualora la controinteressata fosse stata esclusa, la ricorrente avrebbe senz'altro conseguito l'aggiudicazione dell'appalto, in quanto classificata seconda nella gara, a seguito di scorrimento nell'ordine di graduatoria. Ne consegue che il contratto di appalto in corso di esecuzione deve essere dichiarato inefficace a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, con subentro della ricorrente nel contratto stesso, ai sensi dell'art. 124 del cod.proc.amm., previa verifica del possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente e dalla legge di gara. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto: - annulla il provvedimento di aggiudicazione impugnato e tutti gli atti identificati in epigrafe, sulla cui base la stazione appaltante è pervenuta alla sua adozione; - dichiara l'inefficacia del contratto di appalto stipulato e il subentro nello stesso della parte ricorrente, a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, previo svolgimento delle relative verifiche; - condanna l'Università degli Studi Roma "La Sapienza" e la C.M. Se. s.r.l. al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente, che liquida, a carico di ciascuna delle parti soccombenti, in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre ad oneri come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Sapone - Presidente Massimiliano Scalise - Referendario, Estensore Marco Savi - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1258 del 2022, proposto da Pi. Cu. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Ma. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Università degli Studi di Bari, Università degli Studi di Bologna, Università degli Studi di Brescia, Università degli Studi di Cagliari, Università degli Studi di Catania, Università degli Studi di Catanzaro "Magna Graecia", Università degli Studi di Chieti - "G. D'Annunzio", Università degli Studi di del Molise, Università degli Studi di Ferrara, Università degli Studi di Firenze, Università degli Studi di Foggia, Università degli Studi di Genova, Università degli Studi di L'Aquila, Università degli Studi di Messina, Università degli Studi di Milano, Università degli Studi di Milano Bicocca, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Università degli Studi di Napoli "Federico II", Università degli Studi di Napoli Luigi Vanvitelli, Università degli Studi di Palermo, Università degli Studi di Pavia, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi di Pisa, Università degli Studi di Politecnica delle Marche, Università degli Studi di Roma "La Sapienza" Policlinico, Università degli Studi di Roma "La Sapienza" Polo Pontino, Università degli Studi di Roma "La Sapienza" S. Andrea, Università degli Studi di Roma - "Tor Vergata", Università degli Studi di Salerno, Università degli Studi di Sassari, Università degli Studi di Siena, Università degli Studi di Torino, Università degli Studi di Trieste, Università degli Studi di Udine, Università degli Studi di Varese "Insubria", Università degli Studi di Vercelli "Avogadro", Università degli Studi di Verona, in persona del rispettivo Rettore pro tempore, non costituito in giudizio; Ministero dell'Istruzione, in persona del Ministro pro tempore, e Ministero dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...); Università degli Studi di Padova, in persona del Rettore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ro. To., Sa. Vi. e Ma. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ro. Ni. ed altri, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione Terza, n. 7084/2021, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione e del Ministero dell'Università e della Ricerca e della Università degli Studi di Padova; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2023 il Cons. Daniela Di Carlo; Udito l'avvocato Sabrina Visentin per l'Università degli Studi di Padova; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso n. 15365/2028, proposto dinanzi al Tar del Lazio, sede di Roma, un elevato numero di soggetti (precisamente, si è trattato di novantasei ricorrenti) hanno impugnato la graduatoria nazionale di merito nella parte in cui li ha esclusi dall'accesso al corso di laurea a numero programmato in medicina e chirurgia e in odontoiatria e protesi dentaria per l'anno accademico 2018/2019, non essendosi i medesimi collocati in posizione utile ai fini dell'ammissione. Inoltre, i ricorrenti hanno impugnato i seguenti ulteriori atti relativi alla medesima procedura: - i decreti-bandi, emanati dal Rettore dell'Università indicata in epigrafe, con il quale è stato istituito il numero programmato, per l'anno accademico 2018/2019, nonché, ove occorra, tutti i provvedimenti in essi richiamati e/o menzionati ovvero delle pregresse relative delibere, non conosciute, adottate dagli organi accademici competenti (Consiglio di Facoltà, Senato Accademico, Consiglio di amministrazione dell'Ateneo de quo, C.U.N.); - le disposizioni interministeriali del 2018, recanti "Procedure per l'accesso degli studenti stranieri richiedenti visto ai corsi di formazione superiore del 2018-2019", nonché, ove occorra, i relativi allegati e i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - il Decreto Ministeriale del 26 aprile 2018 n. 337, recante Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico ad accesso programmato nazionale a.a. 2018/2019, nonché, ove occorra, i relativi allegati e i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - il decreto Ministeriale del 14 maggio 2018 n. 385, recante Modalità e contenuti della prova di ammissione al corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia in lingua inglese a.a. 2018-2019, nonché, ove occorra, i relativi allegati e i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - gli atti e provvedimenti, non conosciuti, con i quali gli atenei indicati in epigrafe hanno accertato la potenziale offerta formativa di ciascuno di essi, in ragione delle effettive capacità ricettive e didattiche, così come svolta e comunicata al ministero per i corsi in Odontoiatria e Protesi Dentaria e Medicina e Chirurgia a.a. 2018/2019, nonché, ove occorra, i relativi allegati e di tutti i provvedimenti in esso richiamati e/o menzionati; - il Decreto Ministeriale n. 523 del 28 giugno 2018, avente ad oggetto Programmazione dei posti disponibili per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Odontoiatria e Protesi Dentaria a.a.2018/2019, nonché, ove occorra, i relativi allegati e i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - il Decreto Interministeriale n. 524 del 28 giugno 2018, recante Definizione dei posti disponibili per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e Chirurgia a.a. 2018/2019, nonché, ove occorra, i relativi allegati e i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - il Decreto del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca con il quale è stata costituita la Commissione incaricata della validazione dei quesiti per le prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato nazionale per l'anno accademico 2018/2019, nonché, ove occorra, i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - il provvedimento della predetta Commissione con il quale sono stati definiti ed approvati i quesiti per le prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato nazionale per l'anno accademico 2018/2019, nonché, ove occorra, i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - ove esistano, i verbali e gli atti relativi all'espletamento della prova selettiva presso l'ateneo indicato in epigrafe, nonché, ove occorra, i provvedimenti in esso richiamati o menzionati; - ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, anche se non conosciuto. 2. A sostegno del ricorso, formulavano otto motivi di gravame, così di seguito riportati: I. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.) Violazione e falsa applicazione della Legge n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) - Violazione e Falsa applicazione Direttive n. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE - Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione art. 1 L. 910/1969 - Violazione e falsa applicazione L. 9 maggio 1989 n. 168 (autonomia universitaria) - Mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti - Eccesso di potere - illogicità - sviamento (per carente od insufficiente motivazione) - Violazione del giusto procedimento per carenza di adeguata attività istruttoria - T.A.R. del Lazio, Sezione III bis, sentenza n. 2788/09 - Segnalazione, pubblicata in data 21 aprile 2009, da parte della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Osservazioni in merito alle modalità di individuazione del numero chiuso per l'accesso ai corsi di laurea in odontoiatria); II. Violazione artt. 3, 33, 34 e 97 Cost. - Violazione dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell'Amministrazione. - Violazione del principio dell'anonimato. Eccesso di potere per carenza di contestualità, trasparenza e par condicio; III. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 33 e 34 Cost. - artt. 3 L. n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) - Violazione e falsa applicazione della Direttiva 93/16/CEE - Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 del Decreto ministeriale 21 luglio 1997, n. 245 (in Gazz. Uff., 29 luglio, n. 175). - Mancanza degli atti presupposti. Eccesso di potere - illogicità - sviamento (per carente od insufficiente motivazione) - Violazione del giusto procedimento; IV. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.) Violazione e falsa applicazione della Legge n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) - Violazione e Falsa applicazione Direttive n. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE - Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione art. 1 L. 910/1969 - Violazione e falsa applicazione L. 9 maggio 1989 n. 168 (autonomia universitaria) - Mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti - Eccesso di potere - illogicità - Violazione del giusto procedimento; V. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.) Violazione e falsa 17 applicazione della Legge n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) - Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione art. 1 L. 910/1969 - Violazione e Falsa applicazione Direttive n. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE - Mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti - Eccesso di potere - illogicità - Violazione del giusto procedimento; VI. Violazione artt. 3, 33, 34 e 97 Cost. - Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione della Direttiva 93/16/CEE - Eccesso di potere - illogicità - Violazione del giusto procedimento. - Violazione dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione. - Eccesso di potere per carenza di par condicio e trasparenza; VII. Violazione artt. 3, 24, 33, 34 e 97 Cost. - Violazione e falsa applicazione Legge 23 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione Legge. n. 264 del 2 agosto 1999 - Violazione e falsa applicazione Decreto Ministeriale 28 giugno 2012 n. 196 - Violazione dei principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione. - Eccesso di potere per carenza di trasparenza e par condicio; VIII. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.) Violazione e falsa applicazione della Legge n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) - Violazione e Falsa applicazione Direttive n. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE - Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione art. 1 L. 910/1969 - Violazione e falsa applicazione L. 9 maggio 1989 n. 168 (autonomia universitaria) - Mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti - Eccesso di potere - illogicità - sviamento (per carente od insufficiente motivazione)". 3. Concludevano, dunque, con la richiesta di annullamento degli atti gravati e conseguente ammissione al corso di laurea indicato come prima opzione e, in via graduata, a quelli corrispondenti alle opzioni successive, domandando in ogni caso il risarcimento per equivalente dei danni subiti. 4. Il Tar del Lazio, Roma, con la sentenza di cui all'epigrafe, ritenendo fondata l'eccezione sollevata nelle memorie difensive delle Amministrazioni resistenti, come già peraltro rilevato nella propria ordinanza cautelare n. 3447/2019, ha dichiarato inammissibile il ricorso (tuttavia compensando fra le parti le spese di lite), in considerazione della mancanza dei requisiti per la sua proposizione in forma collettiva, da rinvenire: I) nell'assenza di una conflittualità di interessi, anche soltanto potenziale, per effetto della quale l'accoglimento della domanda di alcuni ricorrenti sarebbe incompatibile con l'accoglimento di quelle degli altri; II) nell'identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo necessario che le domande siano identiche nell'oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che siano censurati per gli stessi motivi. In particolare, nel caso all'esame, il Tar ha ritenuto che "Emerge, infatti, dagli atti di causa che il gravame proposto riunisce un numero molto elevato di soggetti (quasi un centinaio di candidati) con punteggi assai disparati (che vanno da un massimo di 42,9 a un minimo di 20) e conseguenti posizioni in graduatoria del tutto diversificate, includendo altresì soggetti che risultano decaduti dalla graduatoria per mancata conferma (entro il prescritto termine) dell'interesse a permanervi (cfr. sul punto la relazione del MUR depositata in data 26 maggio 2020), venendo quindi i soggetti ricorrenti a trovarsi in posizione di potenziale conflittualità .". 5. Nel gravame gli appellanti, dopo aver preliminarmente sostenuto, al punto A, l'ammissibilità del ricorso collettivo, al punto B hanno riproposto pedissequamente le censure già dedotte in primo grado (e non esaminate dal T.A.R), concludendo: I) in via principale, per l'ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, o in Odontoiatria e Protesi Dentaria, presso l'Università indicata da ciascuno di essi come prima scelta, o in alternativa presso gli altri Atenei via via indicati, o, infine, in quelli dove ogni singolo appellante sarebbe potuto entrare, in base al punteggio conseguito; II) in subordine, per la declaratoria dell'illegittimità e dell'erroneità dell'indicazione del numero di posti disponibili, con il conseguente adeguamento degli stessi alle effettive capacità ricettive degli Atenei e il relativo ulteriore scorrimento della graduatoria; III) in ulteriore subordine, per la declaratoria di illegittimità della mancata copertura di tutti i posti disponibili originariamente indicati dagli Atenei e dal Ministero, con il conseguente scorrimento della graduatoria; IV) da ultimo, in via ancora subordinata, per l'annullamento della graduatoria e dell'intera procedura selettiva; V) in ogni caso, per la condanna delle Amministrazioni resistenti al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi, con liquidazione del danno conseguente alla mancata e/o ritardata iscrizione e al correlativo mancato o ritardato ingresso nel mondo del lavoro. 6. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'Università e della Ricerca e il Ministero dell'istruzione, depositando successivamente una relazione del Segretariato Generale dello stesso Ministero e documentazione sui fatti di causa. 7. Con ordinanza n. 1701/2022, il Collegio ha dato atto della dichiarazione di parte appellante che, con istanza depositata in data 6 aprile 2022, ha chiesto la cancellazione della causa dal ruolo delle sospensive per non avere mai formulato la relativa domanda incidentale nel ricorso in appello. 8. Con successiva ordinanza interlocutoria n. 8276/2022, il Collegio ha ritenuto necessario procedere ad un approfondimento istruttorio per chiarire la specifica posizione in cui si trovano tutti gli originari ricorrenti, e cioè : a) se essi sono o meno iscritti ad un corso di studi, se e quali esami abbiano sostenuto e con quale profitto rispetto ai crediti formativi, anche rispetto all'orientamento seguito dalla Sezione sui limiti dell'applicazione del principio del consolidamento (così Consiglio di Stato, Sezione VII, n° 2856/2022, 2857/2022, 2858/2022, 2859/2022, 3357 del 27 aprile 2022; da ultimo, n. 7159/2022); b) se sussiste l'interesse alla decisione del gravame. 9. Parte appellante ha ottemperato all'incombente istruttorio in data 25 novembre 2022. 10. Con istanza del 30 marzo 2023, si è invece dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso limitatamente alla posizione di Ma. Fa.. 11. All'udienza pubblica del 3 maggio 2023 il Collegio ha trattenuto la causa in decisione. 12. In via preliminare va esaminata l'eccezione sollevata dall'Università degli Studi di Padova circa il difetto della propria legittimazione passiva, attesa la necessità di instaura correttamente il contraddittorio processuale fra tutte le parti del giudizio. L'eccezione è fondata e va dunque accolta, in quanto nessuno dei ricorrenti ha svolto la prova preselettiva di ammissione presso l'Ateneo di Padova, né alcuna delle censure risulta direttamente collegabile all'operato di questa Amministrazione. Di conseguenza, l'Università degli Studi di Padova va estromessa dal giudizio. 13. Ancora in via preliminare, va dato atto della dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del gravame da parte della signora Ma. Fa.: per questa, pertanto, il giudizio di appello va dichiarato improcedibile. 14. Passando agli altri appellanti, osserva il Collegio che non vi sono ragioni per discostarsi dalle decisioni assunte di recente dalla Sezione in contenziosi analoghi, le cui motivazioni vanno pertanto condivise e richiamate quali precedenti specifici e conformi ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d), c.p.a. (Consiglio di Stato, Sezione VII, sentenze nn. 3979, 3980, 3981 del 19 aprile 2023; n. 4007 del 20 aprile 2023). Più in particolare, nelle menzionate sentenze si fa riferimento al fatto che le censure contenute nel gravame, le quali riproducono in modo pedissequo quelle formulate nel ricorso di primo grado, presentano molteplici profili di inammissibilità e di infondatezza, da cui si ricava che il predetto ricorso di primo grado è simmetricamente inammissibile e infondato. Detti profili sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli che pone l'odierno contenzioso. E segnatamente. 14.1. Con il primo motivo di gravame gli appellanti deducono le doglianze di: violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.); violazione e falsa applicazione della l. n. 264 del 2 agosto 1999; violazione e falsa applicazione delle direttive n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE, n. 82/76/CEE e n. 93/16/CEE; violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della l. n. 910/1969; violazione e falsa applicazione della l. n. 168 del 9 maggio 1999 sull'autonomia universitaria; eccesso di potere per illogicità, sviamento, carente o insufficiente motivazione; violazione del giusto procedimento per carenza di un'adeguata attività istruttoria; inosservanza della segnalazione pubblicata il 21 aprile 2009 dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (osservazioni sulle modalità di individuazione del numero chiuso per l'accesso ai corsi di laurea in Odontoiatria); eccesso di potere per difetto di adeguata istruttoria e di congrua motivazione in ordine alla determinazione del numero dei posti messi a concorso; eccesso di potere per irragionevolezza, difetto di motivazione e contraddittorietà tra provvedimenti. La censura è volta a lamentare la non corretta rilevazione delle capacità ricettive degli Atenei ed è inammissibile, in quanto "i ricorrenti si trovano in posizioni tra loro differenziate in ordine alla c.d. prova di resistenza, con riguardo, cioè, all'incremento di posti che consentirebbe a ciascuno di essi di collocarsi in posizione utile e di essere, perciò, ammesso al corso di laurea. Per questo verso, dunque, ha ragione il T.A.R. nel sottolineare la mancanza di omogeneità delle posizioni dei ricorrenti, tale da determinare l'inammissibilità (almeno in parte qua) del ricorso in forma collettiva (Consiglio di Stato, Sezione VII, sentenze nn. 3979, 3980, 3981 del 19 aprile 2023; n. 4007 del 20 aprile 2023, che a loro volta citano, ex plurimis, Id., Sezione VII, 29 novembre 2022, n. 10523; Sez. II, 23 febbraio 2021, n. 1569; Sez. VI, 18 febbraio 2015, n. 831; Sez. V, 24 agosto 2010 n. 5928; id., 11 dicembre 2008, n. 6162). Si rileva che, nel caso all'esame, il giudice di primo grado ha correttamente motivato anche in ordine alla circostanza di fatto secondo cui "il gravame proposto riunisce un numero molto elevato di soggetti (quasi un centinaio di candidati) con punteggi assai disparati (che vanno da un massimo di 42,9 a un minimo di 20) e conseguenti posizioni in graduatoria del tutto diversificate, includendo altresì soggetti che risultano decaduti dalla graduatoria per mancata conferma (entro il prescritto termine) dell'interesse a permanervi (cfr. sul punto la relazione del MUR depositata in data 26 maggio 2020), venendo quindi i soggetti ricorrenti a trovarsi in posizione di potenziale conflittualità .". 14.2. Con il secondo motivo gli appellanti formulano le doglianze di: violazione degli artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.; violazione dei principi di legalità, buon andamento e imparzialità dell'Amministrazione; violazione del principio dell'anonimato; eccesso di potere per carenza di contestualità, trasparenza e par condicio. In buona sostanza, nella censura in esame si lamenta che anche nei test preselettivi dell'anno accademico 2019/2020 si sarebbero verificate situazioni comportanti la violazione della segretezza dei quesiti e la diffusione di informazioni a studenti di altre sedi, tenuto conto che i quesiti sono uguali a livello nazionale e che il sistema previsto dall'art. 9 del d.m. del 17 aprile 2003 non sarebbe in grado di assicurare il rispetto dei principi di contestualità, trasparenza e par condicio, espressivi dei canoni costituzionali di legalità, buon andamento e imparzialità dell'Amministrazione. Nel dichiarare l'inammissibilità anche di questa censura, il Collegio si riporta alla distinzione operata dalla Sezione, nelle summenzionate sentenze, fra il profilo che mira ad ottenere la ripetizione tout court della prova (cd. interesse strumentale alla riedizione per ottenere una nuova chance di superare la preselezione), correttamente azionato dai ricorrenti nelle forme del ricorso collettivo, e il profilo concernente la genericità delle censure articolate, tale da incorrere nella declaratoria di inammissibilità, in quanto con esse si deducono "illazioni del tutto generiche, che non oltrepassano i limiti del "si dice" e sono prive di allegazioni concrete, nonché di idonei supporti probatori." (Più nel dettaglio: "La genericità della censura si coglie, ad es., nell'affermazione che "in molti Atenei" i plichi con gli elaborati dei candidati sarebbero stati consegnati aperti e sarebbe stato permesso di fare calcoli e prendere appunti sul foglio delle domande da consegnare, così consentendo l'inserimento di segni di riconoscimento, senza però che tale affermazione sia supportata dall'allegazione concreta di dove tali fatti si sarebbero verificati e che tantomeno sia fornito alcun indizio o elemento probatorio a sostegno dell'affermazione stessa. 4.4.1. Altrettanto generiche e prive di idoneo supporto probatorio sono poi le affermazioni in ordine a un mancato controllo capillare dei telefoni cellulari e alla mancanza nelle aule di esame di strumenti in grado di rilevarne la presenza, non essendo nemmeno specificato in quali Atenei tali omissioni si sarebbero verificate. Del pari generiche sono le allegazioni di ulteriori anomalie elencate nell'atto di appello (che anche per questo verso riproduce pedissequamente il ricorso di primo grado). Quanto al fatto che nella notte anteriore alla prova si sarebbero verificati picchi di ricerca sul motore di ricerca "Google" in relazione a taluni quesiti poi estratti nei test, si tratta di asserzione per la quale non è in alcun modo invocabile il fatto notorio, come adombrano i ricorrenti.)". 14.3. Con i successivi tre motivi di gravame (terzo, quarto e quinto) gli appellanti deducono le doglianze di: I) violazione e falsa applicazione di legge (artt. 33 e 34 Cost., art. 3 della l. n. 264/1999); violazione e falsa applicazione della direttiva n. 93/16/CEE; violazione e falsa applicazione dell'art. 2 del d.m. 21 luglio 1997, n. 245; mancanza degli atti presupposti; eccesso di potere per illogicità, sviamento e carente o insufficiente motivazione; violazione del giusto procedimento; II) violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.); violazione e falsa applicazione della l. n. 264/1999; violazione e falsa applicazione delle direttive n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE, n. 82/76/CEE e n. 93/16/CEE; violazione e falsa applicazione della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della l. n. 910/1969; violazione e falsa applicazione della l. n. 168/1999; mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti; eccesso di potere per illogicità ; violazione del giusto procedimento; III) violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.); violazione e falsa applicazione della l. n. 264/1999; violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della l. n. 910/1969; violazione e falsa applicazione delle direttive n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE, n. 82/76/CEE e n. 93/16/CEE; mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti; eccesso di potere per illogicità ; violazione del giusto procedimento; eccesso di potere per disparità di trattamento. Nella sostanza, si contestano: i) l'illegittimità di una graduatoria unica nazionale; ii) la violazione della riserva di legge sulla programmazione degli accessi ai corsi universitari, fissata con atti amministrativi; iii) la sottrazione allo studente della possibilità di scegliere corso di laurea e Ateneo. Ad avviso del Collegio, anche i detti motivi non superano la soglia dell'ammissibilità, per un triplice ordine di motivi: in primo luogo, come si è già detto, per mancanza di omogeneità fra le posizioni dei ricorrenti; in secondo luogo, per carenza di interesse alla proposizione delle censure, attesa la diversa articolazione della c.d. prova di resistenza, che, comunque sia, nessuno dei ricorrenti ha fornito, e che dà piuttosto conto, in generale, della divergenza delle posizioni tra i medesimi; infine, non va sottovalutato che fra i ricorrenti vi sono pure soggetti che risultano decaduti dalla graduatoria per mancata conferma entro il prescritto termine dell'interesse a permanervi. Inoltre, vanno condivise le considerazioni già espresse dalla Sezione nei richiamati precedenti, secondo cui "non si comprende, inoltre, quale beneficio i ricorrenti otterrebbero da un eventuale accoglimento di uno o più dei motivi in esame, visto quanto detto sopra circa la loro posizione assai deteriore rispetto agli ultimi tra gli ammessi e tenuto conto che non vi è alcuna prova che una differente modellazione della graduatoria (non più su base nazionale), una diversa individuazione degli atti a cui conferire la programmazione degli accessi, o diverse modalità (neppure ben precisate) di scelta dell'Ateneo cui iscriversi, avrebbero consentito ai ricorrenti stessi di collocarsi in posizione utile per essere ammessi al corso di laurea prescelto.". 14.4. Il sesto motivo deduce le censure di: violazione degli artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.; violazione e falsa applicazione della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione della direttiva n. 93/16/CEE; eccesso di potere per illogicità ; violazione del giusto procedimento e dei principi di legalità, buon andamento e imparzialità dell'Amministrazione; eccesso di potere per carenza di par condicio e trasparenza. Gli appellanti si dolgono dell'inserimento nei test di accesso di domande di logica, in difetto di una norma che lo prevedesse, nonché dell'aumento delle domande di cultura generale, le quali non avrebbero nulla a che fare con il corso di studi da intraprendere. Aggiungono che non vi sarebbe un criterio oggettivo e/o assoluto per stabilire se una risposta possa considerarsi arbitraria, o più o meno probabile e che anzi alcune delle domande oggetto della selezione sarebbero risultate con una risposta errata, o comunque dubbia. Da ultimo, lamentano che molti dei quesiti coinciderebbero con quelli presenti in "Ar.", "Al." ed "Ed.", da cui il CINECA li avrebbe estratti, sicché gli studenti che hanno acquisito e memorizzato le relative domande sarebbero risultati avvantaggiati in modo ingiusto, non potendosi ammettere che la coincidenza tra i quesiti ministeriali e alcuni testi commerciali porti alla possibile previa conoscibilità dei quesiti stessi. Il motivo è in parte inammissibile e per il resto infondato. In dettaglio, nei richiamati arresti si è motivato circa il fatto che "il motivo è inammissibile nella parte in cui censura lo spazio dato ai quesiti di logica e cultura generale, perché la doglianza è, anzitutto, troppo generica e comunque sconfina in valutazioni di merito, tenuto conto che la scelta delle domande da somministrare nelle procedure concorsuali è tipica espressione di discrezionalità dell'Amministrazione, sindacabile nei limiti della ragionevolezza e della congruità (C.d.S., Sez. IV, 29 novembre 2018, n. 6775; Sez. VI, 22 settembre 2015, n. 4432; id., 9 novembre 2010, n. 7984). Manca poi la c.d. prova di resistenza della possibilità di superare il test preselettivo qualora non vi fossero state le domande di logica o cultura generale (C.d.S., Sez. VII, 7 novembre 2022, n. 9768; Sez. III, 28 maggio 2020, n. 3376): prova che, invero, avrebbe potuto e dovuto essere fornita, dimostrando ad esempio che gli errori o le risposte "in bianco" attengono a questo tipo di quesiti. Più in generale, non vi è prova che le posizioni dei ricorrenti siano omogenee rispetto alla doglianza relativa alle domande di logica e cultura generale, sicché anche per questo verso difettano i requisiti per la proposizione del ricorso collettivo.". Di converso, sempre nei richiamati precedenti, il motivo si è ritenuto infondato nella parte in cui ci si è lamentati dell'esistenza di volumi contenenti i quesiti, in quanto "trattasi di censura non assistita da idoneo supporto probatorio: sul punto si sottolinea che nel precedente richiamato dagli appellanti (C.d.S., Sez. VI, ord. 4193 del 29 settembre 2017) il giudice ha concesso la cautela richiesta, essendovi "in atti documentazione da cui risulta in varia misura coincidenza tra i quesiti ministeriali ed alcuni testi commerciali". Né la censura in discorso può essere utilizzata per celare le eventuali lacune nella preparazione alla prova preselettiva, imputabili semmai all'auto-responsabilità dei candidati secondo il noto brocardo "imputet sibi".". 14.5. Ancora, con il settimo motivo gli appellanti formulano le doglianze di: violazione degli artt. 3, 24, 33, 34 e 97 Cost.; violazione e falsa applicazione della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione della l. n. 264/1999; violazione e falsa applicazione del d.m. 28 giugno 2012, n. 196; violazione dei principi di legalità, buon andamento e imparzialità dell'Amministrazione; eccesso di potere per carenza di trasparenza e di par condicio. Il motivo è finalizzato a rivendicare l'esigenza di conoscere quali siano stati il procedimento e le modalità di individuazione delle domande e delle risposte corrette, e, tra queste, delle risposte che avrebbero dovuto essere selezionate dal candidato per ottenere il punteggio massimo. A tale scopo si invoca la presa di visione di ogni e qualsiasi verbale della Commissione di esperti sull'attività da essa dispiegata, per consentire un controllo sui criteri applicati e sulle modalità seguite nella formulazione dei quesiti. Anche questo motivo è destituito di fondamento. Sempre nei richiamati precedenti, la Sezione ha escluso, per un verso, che si verta nell'ambito di un'istanza incidentale di accesso ex art. 116, comma 2, c.p.a. e che, anche laddove lo fosse, la medesima sarebbe inammissibile perché proposta per la prima volta in grado di appello; per un altro verso, invece, ha rilevato il carattere meramente esplorativo, e dunque inammissibile della censura, "non essendo neppure possibile comprendere quali siano i vizi dedotti attraverso essa, da cui sarebbe affetto l'operato della P.A.: il motivo, insomma, nella misura in cui intende far emergere non meglio precisate illegittimità che vizierebbero l'operato della Commissione chiamata a formulare i quesiti della prova preselettiva, si rivela meramente esplorativo e, perciò, inammissibile (C.d.S., Sez. II, 4 maggio 2022, n. 3483; Sez. V, 20 luglio 2016, n. 3280; Sez. III, 12 marzo 2015, n. 1286).". 14.6. Da ultimo, con l'ottavo motivo di gravame, gli appellanti deducono le doglianze di: violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.); violazione e falsa applicazione della l. n. 264/1999; violazione e falsa applicazione delle direttive nn. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE; violazione e falsa applicazione della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della l. n. 910/1969; violazione e falsa applicazione della l. n. 168/1999; mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti; eccesso di potere per illogicità, sviamento, carente o insufficiente motivazione. I ricorrenti lamentano l'illegittimità della disposizione che ha previsto la decadenza dalla graduatoria in caso di mancata conferma in via telematica di interesse alla stessa, poiché, avendo essi impugnato la mancata ammissione al corso e tutti gli atti concorsuali, sarebbe incontestabile il perdurare della loro volontà e del loro interesse all'ammissione al corso di laurea. La Sezione, con motivazione alla quale anche in questo caso ci si riporta integralmente, ha ritenuto la doglianza infondata per plurime considerazioni: i) in primo luogo, perché il meccanismo della conferma dell'interesse all'immatricolazione e la conseguente decadenza dalla graduatoria per il caso di mancata conferma risultano espressamente previsti dal bando (v. par. 10, lett. d), dell'allegato 2 al d.m. n. 277 del 2019) e dunque trattasi incombenti e oneri di cui i candidati hanno avuto o avrebbero dovuto avere, secondo diligenza, esatta conoscenza; ii) in secondo luogo, perché detto meccanismo è stato ritenuto dalla giurisprudenza adempimento non sproporzionato, né eccessivamente oneroso, né irragionevole, contemperando anzi le esigenze organizzative dell'Amministrazione al rapido aggiornamento della graduatoria con l'interesse dei singoli a permanervi stabilmente (C.d.S., Sez. VI, 8 febbraio 2022, n. 881; id., 31 gennaio 2022, n. 648; id., ord. 1° agosto 2018, n. 3672; id., ord. 4 agosto 2017, n. 3307). La giurisprudenza cautelare ha inoltre precisato che "non può ritenersi equipollente dell'adempimento richiesto la presentazione di ricorso giurisdizionale" (C.d.S., Sez. VI, ord. n. 3672/2018, cit.). 15. In definitiva, ad esclusione della ricorrente Ma. Fa., nei confronti della quale il ricorso va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, per tutti gli altri appellanti, pronunciando sull'appello, il ricorso di primo grado va dichiarato in parte inammissibile e per il resto va respinto. Di conseguenza, va respinta pure la conseguenziale domanda risarcitoria proposta, non essendosi riscontrato alcun elemento di illegittimità dell'operato delle Amministrazioni coinvolte. 16. Per tali appellanti le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore dei Ministeri costituiti (in solido fra di loro) e dell'Università degli Studi di Padova, irritualmente convenuta in giudizio, mentre non si fa luogo alla condanna alle spese nei confronti delle altre Università e dei controinteressati, in quanto non costituitisi in giudizio. Le spese di lite possono invece essere compensate nei riguardi della ricorrente Ma. Fa., attese le ragioni sottese alla declaratoria di improcedibilità del gravame. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto: a) estromette l'Università degli Studi di Padova dal giudizio per mancanza di legittimazione passiva; b) dichiara la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso da parte della signora Ma. Fa.; c) dichiara il ricorso di primo grado in parte inammissibile e per il resto lo respinge; d) compensa le spese del giudizio nei confronti della signora Ma. Fa.; e) condanna tutti gli altri ricorrenti alla refusione delle spese di lite per la complessiva somma di euro 3.000,00, di cui euro 1.500,00 in favore dell'Università degli Studi di Padova ed euro 1.500,00 in favore, in solido fra di loro, del Ministero dell'Istruzione e del Ministero dell'Università e della Ricerca. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere, Estensore Raffaello Sestini - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7709 del 2018, proposto da Nu. Nu., rappresentata e difesa dagli avvocati Vi. Co., Ma. Di Ne., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Cl. Pa. in Roma, via (...); contro Regione Molise, non costituita in giudizio; nei confronti Za. Pe., non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima n. 00177/2018, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2023 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Ro., in dichiarata delega dell'Avv. Di Ne.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La appellante partecipava ad un concorso per 39 incarichi di collaborazione coordinata e continuativa (CO.CO.CO.) indetto dalla Regione Molise per esperti in fondi strutturali europei da inserire, in particolare, all'interno delle attività del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC). L'odierna appellante partecipava in particolare per il Profilo B senior (23 posti) dell'Area IV. 2. All'esito delle prove, la stessa appellante si classificava al posto 39mo della graduatoria finale e dunque in posizione non utile onde avere accesso ai suddetti incarichi. Tali esiti venivano allora impugnati dinanzi al TAR Molise che, tuttavia, rigettava il ricorso dal momento che: 2.1. Non v'era alcuna lamentata incompatibilità tra un membro della commissione (funzionario regionale) e 4 candidate che avevano collaborato con questo stesso membro in occasione di altre tipologie di incarico; 2.2. Non v'era alcuna incompetenza in capo ai commissari di concorso, essendo stati rispettati criteri e requisiti di cui all'art. 19 del Regolamento regionale n. 3 del 17 ottobre 2003 (sulle posizioni e sulle qualifiche che debbono ricoprire i membri di commissione); 2.3. Non sussisteva alcuna violazione delle norme in materia di pubblici concorsi atteso che nel caso di specie, trattandosi di esperti esterni alla PA, non si doveva applicare la normativa di cui al DPR n. 487 del 1994 ma, piuttosto, quella di cui all'art. 7, comma 6-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001, a norma del quale le singole amministrazioni adottano discipline ad hoc per la selezioni di esperti per l'appunto esterni alla PA (normativa ad hoc qui adottata con delibera della Giunta regionale n. 267 del 10 giugno 2013 la quale prevedeva soltanto colloqui orali e non anche prove scritte). 3. La sentenza veniva appellata soltanto sotto il profilo sub 2.1. I profili sub 2.2. e 2.3. venivano sì riproposti ma soltanto con memoria difensiva depositata in data 2 maggio 2023, ossia in vista della pubblica udienza. 4. Non si costituiva in giudizio l'appellata amministrazione regionale. 5. Alla pubblica udienza del 6 giugno 2023 la causa veniva infine trattenuta in decisione. 6. Tutto ciò premesso i motivi riproposti soltanto con memoria di udienza in data 2 maggio 2023 (carenza di competenza specifica dei commissari e violazione disciplina dei pubblici concorsi ai sensi art. 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001) vanno dichiarati inammissibili in quanto sui due punti si è ormai formato giudicato (la memoria, oltre che ritualmente non notificata alle parti, è stata peraltro prodotta ad oltre cinque anni di distanza dalla pubblicazione della gravata sentenza di primo grado). 7. Quanto invece al profilo sub 2.1., per giurisprudenza costante: - Si "determina per il componente della commissione un effetto di incompatibilità a partecipare alla valutazione comparativa di candidati" soltanto allorché la "collaborazione... sia stata particolarmente intensa e si sia protratta nel tempo" (Cons. Stato, sez. VI, 7 luglio 2020, n. 4356); - "la conoscenza personale e/o l'instaurazione di rapporti lavorativi e accademici non sono di per sé motivi di astensione, a meno che i rapporti personali o professionali non siano di rilievo e intensità tali da far sorgere il sospetto che il candidato sia giudicato non in base al risultato delle prove, bensì in virtù delle conoscenze personali". Ed ancora che: "perché i rapporti personali assumano rilievo deve trattarsi di rapporti diversi e più saldi di quelli che di regola intercorrono tra maestro e allievo o tra soggetti che lavorano nello stesso ufficio, essendo rilevante e decisiva la circostanza che il rapporto tra commissario e candidato, trascendendo la dinamica istituzionale delle relazioni docente/allievo, si sia concretato in un autentico sodalizio professionale connotato dai caratteri della sistematicità, stabilità, continuatività e della reciprocità d'interessi di carattere economico (Cons. Stato, sez. VI, n. 4015 del 2013)" (Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2020, n. 3804); - "la mera esistenza di rapporti di servizio... tra taluno dei commissari, da un lato, e dei candidati, dall'altro, non può essere considerata ex se causa di astensione, né vizio del procedimento, qualora non sia provata l'effettiva incidenza sull'imparzialità dei giudizi espressi all'esito delle prove. Ne consegue che, come osservato da questo Consiglio, "non ogni forma di rapporto professionale o collaborazione scientifica tra commissario e candidato costituisce ipotesi d'incompatibilità ma soltanto quella in cui la comunanza di interessi economici o di vita sia di intensità tale da far sorgere il sospetto che la valutazione del candidato non sia oggettiva ma motivata dalla conoscenza personale" (Cons. Stato, sez. II, 20 giugno 2019, n. 4238). Ebbene di tale "comunanza di interessi" o di tale "sistematicità, stabilità e continuità dei rapporti" la difesa di parte appellante non ha fornito la benché minima dimostrazione, essendosi la stessa limitata ad affermare che le quattro candidate: A. Sarebbero "collaboratrici storiche" del suddetto commissario di concorso in quanto "hanno svolto alle sue dipendenze pregresse esperienze lavorative" (cfr. pag. 6 atto di appello). Ed ancora che: "le candidate alla selezione de quo, prima di partecipare alla medesima, erano assegnate al... membro di commissione del concorso e collaboravano a stretto contatto con la funzionaria stessa" (pag. 7 atto di appello). Inoltre che: "la documentazione qui invocata documenta solo l'ultimo anno di collaborazione, mentre è noto... che le suddette candidate collaborano e intrattengono rapporti stabili di lavoro con la dott.ssa... perlomeno da cinque anni ad oggi" (cfr. pag. 7 atto di appello). Infine che: "le candidate vincitrici dell'avviso pubblico hanno collaborato e intrattenuto rapporti stabili di lavoro con la dott.ssa..." (pag. 14 atto di appello). Il tutto senza tuttavia allegare più specifici ordini o relazioni di servizio o, comunque, qualsiasi altro elemento di prova da cui ricavare tale comunanza e tale stabilità di rapporti; B. Avrebbero collaborato alla stesura di materiale documentale relativo ai programmi comunitari che hanno poi formato oggetto dei quesiti formulati per il colloquio orale del concorso stesso. In particolare si deduce che: "dal sito istituzionale emergeva come una moltitudine dei documenti da studiare per la preparazione al colloquio fossero stati predisposti dalle stesse candidate che collaboravano con la dott.ssa...". Ed ancora che: "In particolare, le candidate poi risultate vincitrici della selezione, sostanzialmente sono andate a sostenere il colloquio sui materiali e sugli argomenti da loro stesse predisposti in collaborazione con la dott.ssa..." (pag. 8 atto di appello). Il tutto, anche in questo caso, senza tuttavia fornire lettere di incarico o direttive dirigenziali ad hoc, né ancora relazioni di servizio idonee a dimostrare tale assunto, né soprattutto senza indicare più specificamente di quale materiale si trattasse, e ciò soprattutto nella considerazione che tutto sarebbe stato pubblicato. Seguiva la descrizione di ampi stralci di giurisprudenza e di circolari della Funzione Pubblica a di ANAC (pagg. 8 - 20 atto di appello). In sostanza la denunziata "comunanza di interessi" è stata soltanto dichiarata ma non anche dimostrata: di qui la inevitabile genericità della sollevata censura. Si deve allora pienamente concordare con il giudice di prime cure allorché si afferma che: "Quando si tratta di normali rapporti lavorativi determinati dal fatto di essere colleghi all'interno di una stessa struttura amministrativa e dipendenti dallo stesso datore di lavoro, non si può - sol per questo - sostenere che insorga in uno dei colleghi l'obbligo di astenersi dal partecipare a Commissioni di valutazione in procedure selettive a cui partecipino gli altri colleghi". E ciò al netto di ogni considerazione circa il fatto che, mentre l'odierna appellante ha preso parte alle selezioni per l'Area IV, le quattro candidate che si sussumono in posizioni di conflitto di interessi con una delle commissarie hanno comunque partecipato per altre Aree, ossia la I e la II (circostanza questa evidenziata dal TAR e non altrimenti contestata dalla difesa di parte appellante): di qui la probabile assenza, altresì, di un più specifico interesse a ricorrere avverso gli atti della procedura. In conclusione la censura, data la sua genericità, deve dunque essere rigettata. 8. In conclusione il ricorso in appello è infondato e deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza di primo grado. Il collegio ritiene infine di non doversi esprimere sul regime delle spese stante la mancata costituzione in giudizio dell'appellata amministrazione regionale. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Nulla spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Valerio Perotti - Consigliere Alberto Urso - Consigliere Anna Bottiglieri - Consigliere Massimo Santini - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5140 del 2022, proposto dalla società -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ro., con domicilio fisico presso il suo studio in Roma, Via (...) e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l'Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Bologna, in persona del Prefetto pro tempore e il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via (...), e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna-Bologna, -OMISSIS- resa tra le parti, non notificata ed avente ad oggetto la richiesta di annullamento del provvedimento di revoca dell'iscrizione della società nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all'articolo 1, commi 52 - 57, della legge 6 novembre 2012, n. 190; visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 giugno 2023 il consigliere Luca Di Raimondo e dato atto della presenza, ai sensi di legge, degli avvocati delle parti come da verbale dell'udienza; Ritenuto in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con appello notificato e depositato il 22 giugno 2022, la società -OMISSIS- (di seguito anche "-OMISSIS-") ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza -OMISSIS-, con la quale il Tribunale amministrativo per l'Emilia Romagna-Bologna, Sezione I, ha rigettato il suo ricorso avente ad oggetto la richiesta di annullamento del provvedimento indicato in epigrafe, ritenuto dal primo giudice congruamente motivato in ordine ai plurimi profili esaminati dal Prefetto di Bologna. 2. In particolare, nell'alveo dei canoni ermeneutici elaborati dalla giurisprudenza in applicazione della normativa applicabile per l'esame dei provvedimenti di revoca dell'iscrizione nelle cosiddette white list come quello per cui è causa, il Tar ha stabilito che le risultanze documentali emerse in rilevo nell'istruttoria compiuta dall'Amministrazione procedente rivelano fondati elementi su cui è basato il provvedimento gravato in prime cure, con riguardo particolare: - ai "rapporti tra -OMISSIS-, -OMISSIS- della -OMISSIS-, e la -OMISSIS- destinataria di informazione antimafia interdittiva e di provvedimento di rigetto dell'iscrizione nelle white list, adottati dal Prefetto di Caserta in data 31 luglio 2017, la cui legittimità è stata accertata con autorità di giudicato"; - alla circostanza secondo cui "-OMISSIS-, oltre ai legami familiari con -OMISSIS-, sino al -OMISSIS- ha detenuto -OMISSIS- del capitale della società stessa ed anche dopo l'interdittiva ha mantenuto rapporti economici con essa. 3. L'appellante affida il proprio gravame a quattro motivi di censura, con i quali ripropone in chiave critica rispetto alla sentenza impugnata le doglianze svolte in primo grado, lamentando: "I. Error in iudicando et in procedendo. Violazione e/o falsa applicazione artt. 84 e 91 d.lgs 6.9.2011 n. 159; d.p.c.m. 18 aprile 2013. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, comma 52, della legge 6 novembre 2012, n. 190 istruttoria carente e/o insufficiente e/o approssimativa; erroneità e/o falsità di presupposti; travisamento e/o erronea e/o insufficiente valutazione dei fatti; carenza e/o insufficienza di motivazione; violazione e/o mancata applicazione della circolare ministeriale 8.2.2013 n. 11001/119/20(6); violazione del principio di proporzionalità dell'azione amministrativa; violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento ex artt. 3 e 97 cost.; violazione e/o abnorme compromissione del principio di libertà di iniziativa economica ex art. 41 cost; violazione del compito istituzionale ex art. 3, comma 2, cost.; mancato e/o inadeguato bilanciamento degli interessi in gioco. Contraddittorietà tra atti della stessa amministrazione.": secondo la -OMISSIS-, gli elementi fondativi del provvedimento impugnato erano già noti all'Amministrazione, che aveva in due occasioni (-OMISSIS- e -OMISSIS-) consesso alla società l'iscrizione nelle white list; "II. Error in iudicando et in procedendo. Violazione e/o falsa applicazione artt. 84 e 91 d.lgs 6.9.2011 n. 159; d.p.c.m. 18 aprile 2013. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, comma 52, della legge 6 novembre 2012, n. 190 istruttoria carente e/o insufficiente e/o approssimativa; erroneità e/o falsità di presupposti; travisamento e/o erronea e/o insufficiente valutazione dei fatti; carenza e/o insufficienza di motivazione; violazione e/o mancata applicazione della circolare ministeriale 8.2.2013 n. 11001/119/20(6); violazione del principio di proporzionalità dell'azione amministrativa; violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento ex artt. 3 e 97 cost.; violazione e/o abnorme compromissione del principio di libertà di iniziativa economica ex art. 41 cost; violazione del compito istituzionale ex art. 3, comma 2, cost.; mancato e/o inadeguato bilanciamento degli interessi in gioco. Violazione dei princiupi di legittimo affidamento, tutela della buona fede, della lealtà nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione e del buon andamento dell'azione amministrativa.": lamenta l'appellante che la sentenza di cui chiede la riforma avrebbe erroneamente respinto il secondo motivo di ricorso dedotto in prime cure, ritenendo non rientrante l'iscrizione nelle white list tra i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dell'interessato, quali le autorizzazioni nonché atti "attributivi di vantaggi economici", come la concessione di contributi o sussidi economici o la stessa aggiudicazione di contratti pubblici; "III. Error in iudicando et in procedendo. Violazione e/o falsa applicazione artt. 84 e 91 d.lgs 6.9.2011 n. 159; violazione e/o falsa applicazione art. 4 d.lgs 8.8.1994 n. 490; istruttoria carente e/o insufficiente e/o approssimativa; erroneità e/o falsità di presupposti; travisamento e/o erronea e/o insufficiente valutazione dei fatti; carenza e/o insufficienza di motivazione; violazione e/o mancata applicazione della circolare ministeriale 8.2.2013 n. 11001/119/20(6); violazione del principio di proporzionalità dell'azione amministrativa; violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento ex artt. 3 e 97 cost.; violazione e/o abnorme compromissione del principio di libertà di iniziativa economica ex art. 41 cost; violazione del compito istituzionale. Omessa pronuncia.": ad avviso della -OMISSIS-, il Tar avrebbe errato nel respingere il terzo motivo di ricorso, con cui la società lamentava che "il "contatto" non è intervenuto tra la società appellante e una società interdetta per "motivi propri", ma tra la società appellante e società che a sua volta subiva gli effetti "a cascata" di altra società interdetta", senza che risultasse provato l'elemento dell'attualità del pericolo di infiltrazione; "IV. Error in iudicando et in procedendo. Violazione e falsa applicazione dell'art. 93. D.lgs n. 159 del 6.9.11. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241 e succ. modif. e/o integr. Eccesso di potere per assoluto difetto di istruttoria, errore sui presupposti, contraddittorietà . Contraddittorietà tra parti della stessa sentenza.": con tale mezzo, l'appellante lamenta l'erroneo rigetto del quarto motivo di ricorso, che ha ritenuto inapplicabile l'articolo 93 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sull'assunto della sua riferibilità all'attività di prevenzione delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici. 4. Con memoria depositata il 20 dicembre 2022, la -OMISSIS- si è costituita con un nuovo difensore, che si è riportato alle deduzioni svolte con l'appello; con atto depositato il 13 giugno 2023, le Amministrazioni appellate si sono costituite in giudizio, presentando memoria difensiva in pari data, di cui il Collegio non tiene conto in quanto depositata tardivamente, come eccepito dall'appellante nel corso della discussione. 5. All'udienza del 15 giugno 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. L'appello è infondato. 7. Prima di esaminare i singoli mezzi di gravame, il Collegio ritiene opportuno ricostruire i canoni ermeneutici entro cui si sviluppa correttamente l'esercizio del sindacato di legittimità nella materia disciplinata dal decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. 7.1. Da questo punto di vista, osserva il Collegio che la ratio della normativa è proprio quella di evitare il "rischio" di contaminazione con la criminalità organizzata, che può verificarsi anche senza la necessaria ed immediata connivenza (contiguità soggiacente) dell'operatore economico oggetto di interesse da parte delle organizzazioni malavitose (in tema, la giurisprudenza ha più volte affermato che "la pluralità ed eterogeneità dei dati sintomatici di un pericolo di infiltrazione, anche solo in forma di contiguità c.d. soggiacente, è infatti tale, ad una valutazione congiunta degli stessi, da far ritenere non implausibile e non irragionevole la valutazione ritenuta dall'Amministrazione in relazione al complessivo quadro indiziario"; così, Consiglio di Stato, Sezione III, 29 dicembre 2022, n. 11600; cfr., altresì, Consiglio di Stato, Sezione III, 15 novembre 2022, n. 10033 e 3 novembre 2022, n. 9629). 7.2. Quanto alla durata dei rapporti tra appartenenti alla impresa (soci o dipendenti) con ambienti della criminalità organizzata, il loro carattere occasionale da cui potrebbe dedursi l'illegittimità del provvedimento interdittivo può consentire, al più, come nel caso di specie, all'impresa di essere ammessa al controllo giudiziario (Cassazione penale, VI, 16 luglio 2021, n. 27704), il cui buon esito consente "all'impresa ad esso (volontariamente) sottoposta di continuare ad operare, nella prospettiva finale del superamento della situazione sulla cui base è stata emessa l'interdittiva." (Consiglio di Sato, Adunanza plenaria, 13 febbraio 2023, n. 7, che ha anche fissato i confini del rapporto tra provvedimento prefettizio e controllo giudiziario, stabilendo che questo "sopravviene ad una situazione di condizionamento mafioso in funzione del suo superamento ed al fine di evitare la definitiva espulsione dal mercato dell'impresa permeata dalle organizzazioni malavitose", aggiungendo che "da un lato il rapporto di successione tra i due istituti si coglie con immediatezza laddove il condizionamento mafioso non possa ritenersi definitivamente accertato, pendente la contestazione mossa in sede giurisdizionale contro la ricostruzione dell'autorità prefettizia; dall'altro lato la medesima vicenda successoria di istituti non è comunque impedita quando il condizionamento possa invece ritenersi accertato con effetto di giudicato, con il rigetto dell'impugnazione contro l'interdittiva."). 7.3. Da un concorrente angolo prospettico, la giurisprudenza ha stabilito che gli elementi posti a base dell'informativa antimafia e, per quanto di interesse, della revoca dell'iscrizione nelle white list, non devono essere letti ed interpretati in una visione atomistica e parcellizzata, ma nel loro insieme, così da avere un quadro complessivo, da cui si possano inferire dati di un possibile condizionamento della libera attività concorrenziale dell'impresa (a partire da Consiglio di Stato, Sezione III, 3 maggio 2016, n. 1743, ex multis, Consiglio di Stato, Sezione III, 19 maggio 2022, n. 3973, 11 aprile 2022, n. 2712, 22 aprile 2022, n. 2985). Specularmente, è stata più volte ribadita l'autonomia tra la sfera dell'indagine penale e quella del procedimento amministrativo che conduca ad un provvedimento interdittivo, considerata la funzione di misura preventiva e non inquisitoria del secondo. 7.4. Con argomentazioni dalle quali il Collegio non vede ragioni di discostarsi, la Sezione ha stabilito quanto segue: "3.- La costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già chiarito che il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell'accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma che implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere "più probabile che non", appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (v., per tutte, Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758; Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743 e la giurisprudenza successiva di questa Sezione, tutta conforme, da aversi qui per richiamata). 3.1. Lo stesso legislatore - art. 84, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011 (qui in avanti, per brevità, anche codice antimafia) - riconosce quale elemento fondante l'informazione antimafia la sussistenza di "eventuali tentativi" di infiltrazione mafiosa "tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate". 3.2- Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di queste ad influenzare la gestione dell'impresa sono all'evidenza tutte nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzate, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. 3.3- Il pericolo - anche quello di infiltrazione mafiosa - è per definizione la probabilità di un evento e, cioè, l'elevata possibilità e non mera possibilità o semplice eventualità che esso si verifichi. 3.4- Il diritto amministrativo della prevenzione antimafia in questa materia non sanziona perciò fatti, penalmente rilevanti, né reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica, l'infiltrazione mafiosa nell'attività imprenditoriale, e la probabilità che siffatto "evento" si realizzi." (Consiglio di Stato, Sezione III, 31 marzo 2023, n. 3338). 7.5. E ciò pur nella consapevolezza che "il pericolo dell'infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, "non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, che consegnerebbero questo istituto, pietra angolare del sistema normativo antimafia, ad un diritto della paura, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del d.lgs. n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, "a condotta libera", sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell'autorità amministrativa, che "può " - si badi: può - desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell'art. 91, comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all'attività delle organizzazioni criminali "unitamente a concreti elementi da cui risulti che l'attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata"" (cfr. Consiglio di Stato, III, n. 6105/2019). 8. Nel caso all'esame del Collegio, oggetto dell'impugnativa in prime cure è un provvedimento plurimotivato, che poggia su diverse circostanze che attestano, secondo la Prefettura di Bologna, il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nell'attività della società appellante (la giurisprudenza, ex multis, Consiglio di Stato, Sezione I, parere n. 11/2023, ha stabilito che "per sorreggere l'atto in sede giurisdizionale è sufficiente la legittimità di una sola delle ragioni espresse; con la conseguenza che il rigetto delle doglianze svolte contro una di tali ragioni rende superfluo l'esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento", sicché "il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell'atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, indipendentemente dall'ordine con cui i motivi sono articolati nel gravame, in quanto la conservazione dell'atto implica la perdita di interesse del ricorrente all'esame delle altre doglianze" (cfr., di questa Sezione, pareri n. 357/2022 e n. 205/2022, nonché sentenze Sez. VI, 18 luglio 2022, n. 6114 e Sez. V, 14 aprile 2020, n. 2403, 13 settembre 2018, n. 5362, 3 settembre 2003, n. 437". Nel caso in esame, oltre che dalla consultazione della Banca dati nazionale unica antimafia, il provvedimento di cancellazione fa leva sulle risultanze documentali che emergono da: - la nota della DIA- Sede operativa di Bologna -OMISSIS- del 10 novembre 2020, - la nota del Nucleo di Polizia Economico-finanziaria di Bologna -OMISSIS- del 18 gennaio 2021; - la nota della Polizia Anticrimine della Questura di Bologna -OMISSIS-; - i verbali del Gruppo Interforze del 22 gennaio 2021 e del 19 febbraio 2021. Da questo primo angolo prospettico, perde consistenza la censura dedotta con il primo motivo di appello, con cui la -OMISSIS- lamenta che il Tar avrebbe fatto riferimento a circostanze già note all'Amministrazione procedente, atteso che gli atti suindicati, tutti successivi alla seconda iscrizione nelle white list e posti a base del provvedimento impugnato, testimoniano una nuova valutazione delle circostanze in fatto, che hanno condotto la Prefettura a revocare l'iscrizione, in precedenza concessa per due volte. Osserva, al riguardo, il Collegio che l'Amministrazione dell'interno ben può rivalutare la situazione complessiva in cui versa l'impresa alla luce di nuovi elementi che emergono dalla consultazione della BNDUA e delle comunicazioni ricevute dalle Forze di Polizia, dovendo essere lette in questa nuova prospettiva anche le informative a suo tempo trasmesse dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta, cui l'appellante attribuisce valore decisivo e indicativo di un profilo di contraddittorietà del provvedimento impugnato in primo grado. Dirimente, al riguardo, e non scalfita del primo mezzo di censura, è la considerazione finale del Tar sul punto, laddove la sentenza impugnata afferma con riguardo alla conoscibilità da parte della Prefettura di parte dei nuovi elementi che "rimane ineludibile il dato - come si dirà appresso - della oggettiva rilevanza delle interessenze tra la società ricorrente e la società interdetta -OMISSIS-." 9. Allo stesso modo risulta infondato anche il secondo motivo di appello. Con esso, la -OMISSIS- lamenta, in sostanza, che il Tribunale territoriale avrebbe erroneamente considerato l'atto impugnato non ascrivibile ai provvedimenti indicati nel testo vigente dell'articolo 21-quinquies, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, che così stabilisce: "per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo." Con riguardo alla nuova disciplina della revoca introdotta dall'articolo 25, comma 1, lettera b-ter, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, osserva condivisibilmente il Tar che "la suindicata norma restringe i presupposti tipici dell'esercizio del potere di revoca solamente per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dell'interessato quali autorizzazioni et simila oltre che per gli atti "attributivi di vantaggi economici" quali concessione di contributi o sussidi economici o la stessa aggiudicazione di contratti pubblici (Consiglio di Stato sez. III, 22 marzo 2017, n. 1310) mentre l'iscrizione alle c.d. white list non par proprio rientrare in tali ipotesi, da ritenersi tassative in considerazione del carattere eccezionale della norma in quanto innovativa e limitativa dei fondamentali principi di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa su cui si basa l'autotutela con funzione di riesame (ex plurimis T.A.R. Molise 7 luglio 2016, n. 290) ovvero della corrispondenza all'interesse pubblico perseguito", considerando che, alla stregua dei principi che regolano l'interdittiva antimafia, trattandosi di misure volte alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, "l'Amministrazione, una volta rilasciata l'iscrizione, può sempre verificare la sussistenza dei relativi presupposti in considerazione della preminente rilevanza dell'interesse pubblico coinvolto, risultando recessivo l'affidamento del privato al mantenimento dell'iscrizione ottenuta su di una incompleta valutazione degli elementi fattuali rilevanti." Da questo punto di vista, la sentenza gravata risulta corretta e l'atto impugnato immune dei vizi denunciati, anche perché preceduto dalla comunicazione ai sensi dell'articolo 10-bis della legge n. 241/1990, che ha consentito all'interessata di partecipare al procedimento, fornendo elementi valutati dall'Amministrazione nel provvedimento conclusivo. 10. Con il terzo mezzo di gravame, l'appellante si duole della mancata pronuncia del Tar sul motivo di ricorso concernente la lamentata insussistenza di un effetto automatico che sia indice di un possibile contagio con la criminalità organizzata, considerato che il rischio paventato sarebbe quello dell'adozione di un'interdittiva "a cascata". Anche questo mezzo è infondato. Osserva la Sezione che sul punto il Tar ha fornito una motivazione convincente, laddove ha stabilito, richiamando copiosa giurisprudenza, che "nel caso di specie l'Amministrazione ha comprovato la sussistenza di interessenze economiche e di legami familiari tra le due imprese, risultando -OMISSIS- socio -OMISSIS- del capitale della società -OMISSIS- sino al -OMISSIS- oltre che parente di -OMISSIS-, soci della predetta società colpita da interdittiva", la cui legittimità è stata confermata dal giudice amministrativo (cfr. pagina 4 del provvedimento prefettizio). In sostanza, l'appellante non ha contestato in modo convincente le risultanze del provvedimento di cancellazione, che consistono nell'emersione di rapporti commerciali tra la -OMISSIS- e la -OMISSIS- e di situazioni di contiguità con organizzazioni criminali operanti in Campania (-OMISSIS-). 11. Del pari deve essere respinto anche l'ultimo motivo di appello, che ripropone il quarto mezzo di ricorso in prime cure, con il quale viene dedotta la violazione dell'articolo 93 del decreto legislativo n. 159/2011, atteso che correttamente il primo giudice ha stabilito che la disposizione "si riferisce all'attività di prevenzione delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici e alla possibilità per il Prefetto di disporre l'accesso ai cantieri e non trova pertanto applicazione nel caso di specie, trattandosi di iscrizione nelle cd. white list provinciali che può avvenire solo su istanza di parte e che non presuppone necessariamente la partecipazione a gare o appalti pubblici", a nulla rilevando che la sentenza abbia ritenuto che i principi informatori dell'interdittiva e dell'iscrizione alle white list siano i medesimi, in disparte il rilievo che, dal punto di vista della ricognizione della normativa applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta, nella presente vicenda il provvedimento interdittivo impugnato in primo grado è stato adottato in data anteriore all'entrata in vigore del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, convertito dalla legge 29 dicembre 2021, n. 233, che ha innovato - per la parte di interesse - la disciplina dell'istituto (in argomento era già intervenuta la Sezione con la sentenza 31 gennaio 2020, n. 820, che cita l'ordinanza 13 gennaio 2020, n. 28, con la quale il Tar Puglia - Bari, Sezione III, ha rimesso la questione alla CEDU). 12. In conclusione, nell'ambito dell'ampia discrezionalità da cui è connotata l'attività amministrativa in materia, sindacabile in sede giurisdizionale solo per evidente violazione di legge e per macroscopica irrazionalità (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione III, 23 dicembre 2022, n. 11265), il Prefetto di Bologna, dunque, ha adottato il provvedimento di cancellazione sulla base di vari elementi che si fondano sulle emergenze documentali sopra indicate e, al riguardo, ritiene il Collegio che la motivazione sottesa all'atto gravato sia esaustiva e completa e che il Tribunale territoriale abbia fatto buon governo delle regole che presiedono alla disciplina antimafia. Con argomentazioni che il Collegio condivide in quanto applicabili alla cancellazione dalle white list, in tema di interdittiva la Sezione ha stabilito che "in subiecta materia, il nucleo del sindacato giurisdizionale non riposa tanto nella ricognizione, operata alla stregua della copiosa giurisprudenza che si è occupata dell'argomento, dei principi fondanti l'esercizio secundum legem del potere preventivo e dei criteri ai quali il giudice amministrativo deve ispirare la sua attività di controllo di legittimità del provvedimento sottoposto alla sua attenzione, ma nella attenta verifica che, nella fattispecie concreta e pur sullo sfondo della innegabile discrezionalità che caratterizza l'azione amministrativa di matrice preventiva, sia stata fatta corretta e coerente applicazione di quei principi, nel rispetto della loro ratio di fondo. 7.2.- Non può negarsi, invero, che l'estrema variabilità delle fattispecie esaminate, riflesso a sua volta delle molteplici forme in cui si manifesta il fenomeno mafioso ed esigente un attento sforzo - prima dell'Amministrazione, quindi del giudice - inteso a discernere le ipotesi di vero e proprio condizionamento mafioso da quelle in cui esso non è suffragato da concreti elementi probatori, nemmeno di tipo latamente presuntivo, impone all'Amministrazione - e, in sede contenziosa, al giudice, nell'esercizio del suo sindacato di legittimità - di individuare di volta in volta, e sulla base di una attività di bilanciamento e ponderazione sempre diversa nelle modalità del suo svolgimento, il punto di equilibrio tra le esigenze contrapposte che vengono in rilievo ogniqualvolta si tratti di determinare la sostanziale incapacità giuridica dell'impresa interdicenda, cui come è noto, per effetto del provvedimento interdittivo e per un periodo di tempo non determinabile nella sua durata, viene precluso l'esercizio dell'attività economica che ne costituisce la ragion d'essere, in vista della tutela di un interesse altrettanto meritevole di considerazione, come quello proteso alla salvaguardia del mercato e dei rapporti contrattuali coinvolgenti la P.A. dall'ingerenza inquinante della criminalità organizzata." (Consiglio di Stato, Sezione III, 23 dicembre 2022, n. 11265). In applicazione dei principi giurisprudenziali applicabili in materia, la sentenza appellata risulta, dunque, immune dei vizi denunciati, perché adeguatamente motivata con riferimento alle circostanze rilevanti nel caso di specie (sentenza irrevocabile di rigetto della richiesta di annullamento dell'interdittiva a carico della -OMISSIS-, quote societarie detenute da parte dell'-OMISSIS-, rapporti commerciali tra le due imprese), che denotano il pericolo di infiltrazione mafiosa. Fermo restando quanto sopra osservato in ordine alla necessità di una valutazione complessiva, non atomistica e parcellizzata delle risultanze istruttorie, ritiene la Sezione che, nel caso di specie, il Tar abbia adeguatamente valorizzato tutti gli elementi a sua disposizione, per come emergenti dalla documentazione versata in atti. Avendo riguardo all'apparato motivazionale del provvedimento impugnato, se ne deduce, in conclusione, che l'Amministrazione ha svolto un'attenta e scrupolosa istruttoria, di cui ha dato conto in modo esaustivo e sufficientemente supportato in ordine all'iter logico-giuridico seguito per la sua adozione, unitamente alle tante altre adeguatamente valorizzate dall'atto gravato e largamente considerate dal Tar secondo i canoni ermeneutici sopra richiamati e che avvalorano l'impostazione generale e complessiva del provvedimento impugnato, con la conseguenza che l'appello deve essere respinto. 14. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso (n. r.g. 5140/2022), come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la ricorrente a rifondere le spese del giudizio in favore delle Amministrazioni intimate nella misura complessiva di Euro 3.000,00, oltre accessori. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante e le persone fisiche e giuridiche citate. Giovanni Pescatore - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Antonio Massimo Marra - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9566 del 2018, proposto da S.R.L. St. 5 in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...) contro Ministero dello Sviluppo Economico, non costituito in giudizio nei confronti Ra. Wa. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. De Ve. e Ma. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. De Ve. in Roma, via (...) per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 3848/2018 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ra. Wa. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 22 marzo 2023 il Cons. Rosaria Maria Castorina; Nessuno è presente per le parti; Viste altresì le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con la sentenza n. 3848/2018 il T.A.R. Lazio ha respinto il ricorso dell'odierna appellante avverso il provvedimento del Ministero dello Sviluppo Economico, Ispettorato Territoriale Abruzzo - Molise, del 26 marzo 2008, con il quale è stato ordinato alla St. 5 S.r.l. "la rimozione immediata delle cause che determinano le interferenze più volte accertate alla ricezione dei programmi trasmessi dall'impianto RA. MF. di Co. Sa. Ma. FM 93,100 MHz" con invito alla presentazione di un progetto radioelettrico di modifica dei parametri tecnici del proprio impianto operante in località (omissis) sulla frequenza 93,000 MHz". In sintesi il TAR ha respinto le doglianze dell'appellante per le seguenti ragioni: 1) i motivi dedotti dalla ricorrente si fondano su una generica contestazione riguardante le modalità di esercizio dell'impianto Ra. Wa., tralasciando che il provvedimento impugnato ha invece ad oggetto l'impianto della ricorrente; 2) sono totalmente assenti prove atte a dimostrare l'inesistenza delle interferenze provocate dal proprio impianto; 3) la ricorrente non ha illustrato l'infondatezza dei presupposti del provvedimento impugnato, ma si è limitata a sostenere che l'impianto RA. è divenuto fonte di interferenze subite dalla medesima società St. 5; 4) il richiamo della ricorrente al contratto di servizio RA. risulta inconferente, in quanto le norme indicate individuano gli standard minimi degli impianti ma non i criteri di risoluzione delle problematiche interferenziali; 5) il richiamo alle linee guida per la soluzione di problematiche interferenziali nel settore della radiodiffusione sonora è inconferente anche alla luce dell'annullamento delle suddette linee guida con sentenza del Consiglio 6 di Stato n. 145/2014 del 16 gennaio 2014; 6) la ricorrente risultava pienamente informata dell'esistenza dell'interferenza in pregiudizio delle emissioni provenienti dall'impianto Ra. Wa. di Co. Sa. Ma.: è stato infatti raggiunto un accordo tra l'Amministrazione resistente, Ra. Wa. e la stessa St. 5 al fine di individuare finalità comuni per la risoluzione dei problemi interferenziali. Inoltre il Giudice, premesso che il principio dispositivo con metodo acquisitivo del processo amministrativo possa ragionevolmente operare solo rispetto a quegli atti e documenti formati o custoditi dall'Amministrazione, evidenziava come le difese della società ricorrente, in mancanza di di precise allegazioni, non possano neppure giustificare una verificazione o una consulenza, essendo precluso al giudice di supplire all'onere probatorio gravante sulle parti mediante un utilizzo esplorativo dei suddetti strumenti. Impugnata ritualmente la sentenza, la controinteressata Ra. Wa. S.p.a. si costituiva in giudizio concludendo per l'inammissibilità e, comunque, per l'infondatezza nel merito dell'appello. Il Ministero dello sviluppo economico, non si è costituito benché regolarmente intimato. All'udienza di smaltimento del 22 marzo 2023 la causa passava in decisione. DIRITTO Con i motivi di appello l'appellante deduce: 1.Omesso pronunciamento in merito ai motivi di ricorso e ai presupposti in fatto, irrazionalità, stravolgimento motivazionale in riferimento ai principi ex artt. 1, 3 D.Lg. 104/2010, con conseguente motivazione erronea, illogica, apparente, inidonea, perplessa e gravemente contraddittoria, sotto plurimi profili; 2. Erronea ricostruzione dei fatti; 3. Violazione e falsa applicazione della normativa di settore e di quella sul giusto procedimento. Evidenzia l'erroneità ed infondatezza della sentenza appellata in quanto non erano state adeguatamente valutate le dedotte illegittimità degli atti oggetto dell'originario ricorso. Le censure non sono fondate. 4.Il Tar ha affermato: "La ricorrente quindi, senza contestare l'interferenza lamentata da Ra. Wa., assume piuttosto di subire essa stessa disturbi radioelettrici, che sarebbero determinati da modifiche delle caratteristiche d'uso della stazione gestita da Ra. Wa., in violazione del contratto di servizio. Tuttavia l'istante non introduce alcun principio di prova atto a dimostrare l'inesistenza delle interferenze provocate dal proprio impianto o, secondo la tesi sostenuta dalla medesima St. 5, piuttosto che le stesse siano riconducibili a non ben definite modifiche delle caratteristiche dell'impianto di trasmissione Ra. Wa. di Co. Sa. Ma. (AP) MF03, il quale risulta attivato nel 1958. In altri termini, l'istante articola le proprie censure muovendo da una singolare inversione di ordine logico, essa infatti non mira a illustrare la infondatezza dei presupposti del provvedimento impugnato, ma ad affermare piuttosto la irregolarità dell'impianto Rai, il quale sarebbe stato modificato nelle proprie caratteristiche di trasmissione, divenendo fonte di interferenze subite alla medesima St. 5, modifiche dell'impianto RA. che, peraltro, sarebbero desumibili - solo implicitamente - da un fax inviato il 26 giugno 2007 dal Ministero delle Comunicazioni". 5. La società ricorrente era a conoscenza, in data antecedente alla ricezione del provvedimento impugnato in primo grado, della esistenza dell'interferenza in danno al servizio pubblico trasmesso dall'impianto Ra. Wa. di Co. Sa. Ma., tanto da avere concertato con l'Amministrazione resistente e la controinteressata le modalità di risoluzione della problematica con l'accordo del 19 febbraio 2007. Tuttavia, l'appellante non ha mai presentato alcun progetto per risolvere il problema delle interferenze, interferenze che non sono state nemmeno contestate. 6. Nessun elemento può trarsi, in favore della tesi della ricorrente dal contratto di servizio in essere tra RA. e il Ministero il quale stabilisce che: "La RA. assicura un grado di qualità del servizio, salvo le implicazioni interferenziali non risolvibili con opere di compatibilizzazione radioelettrica, non inferiore a 3, riferito ai livelli della scala UIT-R (Unione Internazionale delle Telecomunicazioni - Radiocomunicazioni)". Tale norma, infatti, individua gli standard qualitativi minimi degli impianti da cui vengono trasmessi i segnali del servizio pubblico radiotelevisivo, ma non indica i criteri di risoluzione delle problematiche interferenziali con le emittenti private. Non può ritenersi, pertanto, che la norma abbia ad oggetto i criteri di risoluzione di eventuali interferenze con emittenti private a danno delle trasmissioni funzionali al servizio pubblico radiofonico. 7. Al contrario i soggetti che svolgono attività di radiodiffusione sono tenuti ad assicurare un uso efficiente delle frequenze radio ad essi assegnate ed in particolare ad assicurare che le proprie emissioni non provochino interferenze con altre emissioni lecite di radiofrequenze. Il Consiglio di Stato ha più volte affermato "l'art. 42 del testo unico della radiotelevisione, approvato con il d.lgs. n. 177/2005, afferma chiaramente il principio secondo cui ciascun concessionario, pubblico o privato sia tenuto ad "assicurare che le proprie emissioni non provochino interferenze con altre emissione lecite di radio frequenze". La norma tutela l'emissione lecita di radio frequenze proveniente dal singolo impianto, come si ricava agevolmente dall'art. 16 della 12 l. n. 223/1990 che, al primo comma, subordina l'ottenimento della concessione per l'esercizio della radiodiffusione da parte di soggetti diversi dalla concessionaria pubblica all'ottenimento della concessione "anche per l'installazione dei relativi impianti", e, al secondo comma, stabilisce che nell'atto di concessione sono determinate le frequenze sulle quali gli impianti sono abilitati a trasmettere, la potenza e l'ubicazione e l'area da servire da parte dei suddetti impianti. In base a tale normativa deve certamente escludersi che un concessionario possa appropriarsi di aree di servizio assegnate ad altri soggetti, in particolare alla concessionaria pubblica, mediante emissioni interferenti sugli impianti in esercizio a questi ultimi, occupandone le frequenze e peggiorandone la ricezione fino al livello di qualità minimo accettabile. Occorre, al contrario, che alla concessionaria pubblica l'Amministrazione assicuri sempre, anche in base agli obblighi assunti con il contratto di servizio, la piena disponibilità delle frequenze occorrenti all'espletamento del servizio ed alla copertura del territorio" (Cons. St. Sez. VI, sent. n. 2739 del 9 maggio 2011, ma anche Cons. St. Sez. VI sent. n. 145 del 16 gennaio 2014). 8. Il potere di disattivazione dell'impianto non va confuso con quello di revoca della concessione, poiché la disattivazione è prevista al fine di eliminare interferenze, disturbi e modifiche tecniche sostanziali, mentre il potere di revoca trova il suo fondamento nei consueti presupposti di riesame d'opportunità del provvedimento originario, incidendo la disattivazione sul mero esercizio dell'attività, la revoca sull'atto-fonte che costituisce la posizione giuridica dell'impresa concessionaria (Cons. St., Sez. VI, 10 settembre 2007, n. 4740). L'art. 18, III comma della legge 6 agosto 1990 n. 223 stabilisce che "le norme concernenti la protezione delle radiocomunicazioni relative all'assistenza e alla sicurezza del volo di cui alla legge 8 aprile 1983 n. 110 sono estese, in quanto applicabili, alle bande di frequenza assegnate ai servizi di polizia ed agli altri servizi pubblici essenziali", tra i quali ultimi va annoverato il servizio radiotelevisivo in concessione alla RAI. L'art. 3, II comma della legge 8 aprile 1983 n. 110, a sua volta, conferisce alla Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni il potere di procedere alla disattivazione d'ufficio degli impianti, qualora i titolari degli stessi non abbiano ottemperato all'ordine di "immediata eliminazione" delle interferenze. Più volte il Consiglio di Stato ha affermato che, ai sensi della disciplina legislativa che disciplina il settore e degli atti di concessione, è obbligo per le concessionarie private di non arrecare disturbo alle trasmissioni della concessionaria del servizio pubblico e che legittimamente l'Amministrazione ne intima la cessazione, disponendo, in difetto, la disattivazione degli impianti, non essendo tenuta ad alcuna altra forma di intervento (cfr. Cons. St. 572/2004; Sez. VI, 31 maggio 1996 n. 759 e 26 febbraio 2003, n. 1083). 9. Correttamente il Tar ha ritenuto inconferente il riferimento alle "linee guida per la soluzione di problematiche interferenziali nel settore della radiodiffusione sonora" (adottate in data 24 giugno 2005 dal Direttore Generale dei Servizi di Comunicazione Elettronica e Radiodiffusione e dal Direttore Generale Pianificazione e Gestione Spettro Elettrico del Ministero delle Comunicazioni - ora Sviluppo Economico), richiamando la sentenza n. 145/2014 del 16 gennaio 2014 del Consiglio di Stato che ha definitivamente e integralmente annullato le suddette linee guida ministeriali. 4.6.Quanto al difetto di istruttoria, il Tar ha evidenziato che, in mancanza di qualsivoglia allegazione a fondamento delle proprie ragioni, "l'ipotesi ricostruttiva prospettata dalla difesa della ricorrente, pertanto, in difetto di precise allegazioni, si rivela del tutto inidonea a giustificare una verificazione o, addirittura, una consulenza non potendo il giudice, in maniera del tutto esplorativa e apodittica supplire, in luogo della parte interessata, all'onere della prova nell'allegazione dei fatti e nella dimostrazione dei relativi elementi probatori a sostegno". "Nel processo amministrativo, com'è noto, l'onere della prova grava sul ricorrente con alcuni temperamenti dettati dalla disparità di posizioni delle parti processuali, sicché in sede di legittimità vige il principio dispositivo con metodo acquisitivo e ciò consente al giudice amministrativo di contribuire all'acquisizione delle prove in giudizio sulla base delle richieste di parte ricorrente che introduca anche parziali elementi a suffragio dell'essenza della prova e della sua rilevanza in giudizio". (Cons. St., Sez. VI, 22 giugno 2022, n. 5146). 10. Per completezza, quanto al rilievo, sebbene tardivo della incompetenza dell'Ispettorato, questo Consiglio ha già affermato che la norma regolatrice della competenza deve rinvenirsi in disposizioni di carattere generale e segnatamente nell'art. 18, comma 3, l. n. 223 del 1990, che richiama l'art. 2, comma 2, l. 8 aprile 1983, n. 110; la norma conferisce alla "Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni" il potere di procedere alla disattivazione d'ufficio degli impianti, qualora i titolari degli stessi non abbiano ottemperato all'ordine di "immediata eliminazione" delle interferenze. Al fine poi di individuare l'organo (centrale o periferico) competente e disporre la disattivazione dovrà farsi riferimento alle norme di organizzazione del Ministero, e in particolare al D.P.R. 24 marzo 1995, n. 166 che all'art. 10, lett. m), il quale attribuisce ai funzionari preposti agli uffici circoscrizionali "il controllo tecnico per l'individuazione ed i conseguenti provvedimenti in materia di interferenze radioelettriche". Le disposizioni contenute nell'art. 10 di detto decreto sono già state ritenute decisive da questo Consiglio, per affermare in fattispecie analoghe a quella in esame, che la competenza a disattivare gli impianti di radiodiffusione in caso di modifiche non autorizzate, appartiene agli organi periferici del Ministero (Cons. Stato, VI, 11 maggio 2006, n. 2644; 26 luglio 2005, n. 4001; 22 giugno 2004, n. 4419; 7 luglio 2003, n. 4027). A quanto precede si deve aggiungere che laddove l'art. 1, comma 5, l. 30 aprile 1998, n. 122 stabiliva che il Ministero "attraverso i propri organi periferici" autorizza le modificazioni degli impianti sia ai fini della loro compatibilizzazione, sia dell'ottimizzazione e razionalizzazione delle aree servite dagli emittenti, esso conferma il riconoscimento agli organi periferici della competenza in tema di disattivazione, dovendo ritenersi che il potere di autorizzare modifiche agli impianti comprende necessariamente anche quello di irrogare le conseguenti misure sanzionatorie (Cons. Stato, VI, n. 2644/2006; 14 gennaio 2009, n. 121; 20 ottobre 2010, n. 7592). 11. L'appello deve essere, conseguentemente respinto. 12. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro4000,00 oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Rosaria Maria Castorina - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1707 del 2023, proposto dal Consorzio Na. Co. di Pr. e La. "Ci. Me." Soc. Coop. per Azioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. Pe., Al. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...); nei confronti Azienda Ospedaliera Regionale Sa. Ca., Regione Basilicata, Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Campania Molise Puglia e Basilicata - Sede Coord. di Potenza, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata Sezione Prima n. 771/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2023 il Cons. Giovanni Tulumello e viste le conclusioni delle parti come in atti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con sentenza n. 771/2022, il T.A.R. della Basilicata ha declinato la giurisdizione in relazione al ricorso proposto dall'odierna appellante per l'annullamento del verbale della sede coordinata di Napoli del Comitato Tecnico Amministrativo del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Campania-Molise-Puglia-Basilicata del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile, n. 20 del 4.11.2021. L'indicata sentenza è stata impugnata con ricorso in appello dalla parte ricorrente in primo grado. Si è costituito in giudizio il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla camera di consiglio del 4 maggio 2023. 2. Il provvedimento impugnato in primo grado ha espresso - ai sensi dell'art. 5, comma 2-quater del decreto-legge n. 136/2004 - parere non favorevole all'accertamento della conformità alle Norme Tecniche per le Costruzioni del 2008 dei lavori di adeguamento del fabbricato I6 dell'Azienda Ospedaliera Sa. Ca. di Po.. Il T.A.R. ha ritenuto che "la fattispecie, oggetto della controversia, della verifica ex art. 5,comma 2 quater D.L. n. 136/2004 conv. nella L. n. 186/2004 di conformità al D.M.v14.1.2008 dei progetti di lavori pubblici di importo inferiore a Euro 50.000.000,00, finanziati per il almeno il 50% dallo Stato, da parte dei Comitati Tecnici Amministrativi dei Provveditorati Interregionali per le Opere Pubbliche attiene alla fase esecutiva del contratto di appalto dei lavori di realizzazione del nuovo Trauma Center, di adeguamento sismico dei fabbricati (omissis) e di demolizione e ricostruzione del Gruppo Operatorio ubicato nel padiglione (omissis), nell'ambito della quale, poiché i contraenti si trovano in una posizione paritaria (cd. Rapporto paritetico), sono titolari esclusivamente di diritti soggettivi ed anche perché l'accertamento tecnico in questione, di conformità al D.M. 14.1.2008, è di tipo vincolato con esclusione di qualsiasi apprezzamento discrezionale". 3. La tesi dell'appellante poggia sulla distinzione fra profilo meramente cronologico e profilo funzionale della vicenda: "le controversie relative ai provvedimenti emessi dal CTA e relative all'approvazione del progetto esecutivo sotto il profilo strutturale, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e ciò anche nell'ipotesi in cui detti provvedimenti intervengano nella fase successiva alla stipula del contratto d'appalto, venendo comunque in rilievo l'esercizio di un potere pubblico da parte di una amministrazione che, peraltro, non è parte del contratto. Nell'ambito della funzione pubblicistica di espressione del parere non può non essere ricompreso anche l'accertamento del progetto de quo che configura un'ipotesi di esercizio del potere autoritativo della P.A. che giustifica il radicamento della giurisdizione del Giudice Amministrativo". Argomenta poi l'appellante che la valorizzazione, da parte del T.A.R., del Disciplinare di gara (nella parte in cui stabilisce che "l'aggiudicatario è tenuto ad apportare, senza alcun onere per la stazione appaltante, tutte le modifiche richieste al progetto definitivo presentato in gara, richieste dalla stessa stazione appaltante ovvero richieste dagli Enti preposti al rilascio dei pareri e/o delle autorizzazioni indispensabili per l'esecuzione") non è pertinente, perché nel caso di specie "non vi è alcuna evidenza della richiesta di modifica al progetto (che peraltro è pianamente conforme alle Norme Tecniche) né da parte del CTA, che si limita ad emettere un parere non favorevole sulla scorta di mere perplessità, e men che mai da parte della Stazione Appaltante, che al riguardo non ha avanzato alcuna richiesta di modifica del progetto". L'appellante deduce che, ancorchè in fase esecutiva, la verifica in questione non avviene in posizione paritaria, perché la parte pubblica esercita in essa poteri autoritativi. 4. L'appello è fondato. Osserva il Collegio che è anzitutto inconferente ogni richiamo alla natura vincolata del potere, posto che anche a fronte del potere vincolato la posizione del privato può assumere la consistenza di interesse legittimo (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 6371/2020). La fattispecie dedotta in giudizio attiene alla fase esecutiva del rapporto negoziale unicamente come collocazione temporale, ma non concerne l'inadempimento di obblighi negoziali gravanti sull'appellante. Per questo correttamente l'appellante deduce- alternativamente rispetto alla tesi della giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm. - la tesi della posizione non paritaria delle parti, e dunque la natura di interesse legittimo della posizione soggettiva dell'appellante. L'appello è pertanto fondato perché il ricorso di primo grado ha ad oggetto un provvedimento del Comitato Tecnico Amministrativo istituito presso il Provveditorato alle Opere Pubbliche, relativo ad un intervento oggetto di contratto (in fase di esecuzione) stipulato da altra amministrazione (l'Azienda Ospedaliera Regionale Sa. Ca. di Po.), e sostanzialmente attinente non al rispetto delle condizioni contrattuali, ma alla conformità dell'intervento oggetto del contratto ad una normativa pubblicistica, posta a presidio di interessi superindividuali. L'autorità che ha emanato il provvedimento impugnato, pertanto - che è comunque diversa dall'amministrazione contraente - non interviene sull'esecuzione del rapporto contrattuale, ma su un suo presupposto provvedimentale (ancorché tale intervento si collochi, sul piano meramente cronologico, a valle della stipula). Il potere esercitato è pertanto autoritativo e non negoziale. Ne consegue che tale provvedimento non può ricondursi in senso proprio - né dal punto di vista strutturale, né sul piano funzionale - alla fase esecutiva del rapporto contrattuale che giustificherebbe la declinatoria di giurisdizione. Peraltro, lo stesso giudice del riparto mostra di non ritenere in assoluto precluso un esercizio di poteri pubblicistici della stessa amministrazione committente (il che, come detto, qui non è ) pur dopo la stipula del contratto, e in fase di esecuzione dello stesso: "non potendo escludersi che anche nella fase esecutiva del contratto di appalto l'Amministrazione committente disponga di poteri autoritativi, il cui esercizio si manifesti attraverso atti aventi natura provvedimentale espressione di discrezionalità valutativa, a fronte dei quali la posizione soggettiva del privato si atteggia a interesse legittimo" (Cass. Civ., SU, 18 novembre 2016 n. 23468). 5. Il ricorso in appello ripropone infine le censure del ricorso di primo grado. Tuttavia l'accoglimento del motivo di appello sul riparto della giurisdizione comporta l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 105, cod. proc. amm. Ne segue che, in accoglimento dell'appello, debba essere affermata la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine all'intera controversia e che, annullata la decisione qui impugnata, la stessa controversia debba essere rimessa in toto alla cognizione del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata nel termine stabilito dall'art. 105, comma 3, c.p.a. Le parti devono, ai sensi dell'art. 105, comma 3, c.p.a., riassumere avanti al Tribunale il processo con ricorso notificato nel termine perentorio di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza. Le spese del doppio grado del giudizio, per la parziale novità delle questioni esaminate, possono essere interamente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, annulla la sentenza di primo grado con rinvio della causa al Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata. Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Mario Luigi Torsello - Presidente Paolo Carpentieri - Consigliere Nicola D'Angelo - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere, Estensore Luca Di Raimondo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4904 del 2023, proposto da Sa. Es., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Pa. Fo., Fa. Se., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fa. Se. in Roma, via (...); contro Ufficio Centrale Regionale Presso La Corte di Appello di Campobasso, Ufficio Centrale Circoscrizionale Presso il Tribunale di Campobasso, Prefettura di Campobasso non costituiti in giudizio; nei confronti Al. Al. ed altri non costituiti in giudizio; Cl. Pi., rappresentato e difeso dall'avvocato Sa. Di Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima n. 00186/2023, resa tra le parti, concernente il provvedimento di non ammissione della lista denominata "Democrazia Cristiana" alla competizione elettorale del 25 e 26 giugno 2023 per l'elezione del Presidente della Giunta Regionale e del Consiglio Regionale del Molise. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor Cl. Pi.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella up speciale elettorale del giorno 13 giugno 2023 il Cons. Carmelina Addesso e uditi per le parti gli avvocati Fa. Se. e Sa. Di Pa.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il signor Sa. Es., in proprio e nella qualità di segretario amministrativo e legale rappresentante nonché delegato della lista denominata "Democrazia Cristiana", chiede la riforma della sentenza del TAR Molise n. 186 del 5 giugno 2023 che ha respinto il ricorso avverso il provvedimento di non ammissione della lista in questione alla competizione elettorale del 25 e 26 giugno 2023 per l'elezione del Presidente della Giunta Regionale e del Consiglio Regionale del Molise. 1.1 La non ammissione veniva disposta dall'Ufficio Unico Circoscrizionale c/o il Tribunale di Campobasso con provvedimento del 27 maggio 2023 e confermata dalla Commissione Centrale Regionale con provvedimento del 31 maggio 2023 (di reiezione del ricorso proposto dall'interessato ai sensi dell'art. 10 L. n. 108/1968) per le seguenti ragioni: i) tardività della presentazione della lista, avvenuta, alla stregua del relativo verbale, il 27 maggio 2023 soltanto alle ore 15,16, senza che i delegati alla sua presentazione risultassero giunti all'Ufficio entro il prescritto orario delle 12.00; ii) la dichiarazione di collegamento a un candidato come Presidente della Giunta Regionale, pur formulata dalla lista, con riferimento alla persona della sig.ra Tr. El., doveva considerarsi inefficace, ai sensi dell'art. 5 comma 1 della L.R. n. 20 del 2017, non risultando in atti analoga e convergente dichiarazione resa dal suddetto candidato per la carica presidenziale; iii) pur essendo stata depositata una dichiarazione di accettazione da parte della sig.ra Tr. della relativa candidatura presidenziale, non risultava agli atti, tuttavia, la prescritta dichiarazione di presentazione della candidatura della medesima alla carica di Presidente, candidatura da considerarsi, quindi, tamquam non esset. 1.2 Il TAR respingeva il ricorso sulla scorta dei seguenti rilievi: i) il verbale di ricevuta della lista reca, quale indicazione di orario, quella delle ore 15,16 mentre gli assunti di parte ricorrente in ordine alla tempestiva presenza del delegato nei locali adibiti alla presentazione delle liste entro le ore 12,00 sono del tutto sforniti di supporto probatorio; ii) la raccolta delle firme compiuta per i candidati al Consiglio regionale non può valere al tempo stesso anche a supporto della candidatura, collegata, alla Presidenza della Giunta poiché, in coerenza con la diversità di presupposti e contenuti delle previsioni, pur connesse, di cui agli artt. 5 e 6 della L.R. n. 20/2017, le sottoscrizioni di elettori previste da entrambi gli articoli citati hanno un oggetto differenziato, concernente, nel primo caso, la presentazione delle liste dei candidati al Consiglio regionale e, nel secondo caso, quella della candidatura alla Presidenza della Giunta. 2. Con l'appello in epigrafe il ricorrente chiede la riforma della sentenza di primo grado per i seguenti motivi: 1) ERROR IN JUDICANDO. VIOLAZIONE DI LEGGE. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ART. 9 DELLA L. 108/1968 E 5, COMMA 1, DELLA L.R. MOLISE N. 20/2017. ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA, DIFETTO E PERPLESSITÀ DELLA MOTIVAZIONE, TRAVISAMENTO DI FATTI, CONTRADDITTORIETÀ E SVIAMENTO DI POTERE. VIOLAZIONE DEL FAVOR PARTECIPATIONIS ALLE COMPETIZIONI ELETTORALI. Il TAR avrebbe errato nel ritenere che la presenza del delegato alla presentazione della lista nell'ufficio adibito alla ricezione della documentazione entro le ore 12,00 fosse rimasta sfornita di riscontro probatorio, poiché la prova di tale circostanza emerge dalla documentazione versata in atti da parte ricorrente; 2) VIOLAZIONE DI LEGGE. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 3, 51 E 97 COST. VIOLAZIONE FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 6 DELLA L.R. MOLISE N. 20/2017. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA SEZIONE II "CANDIDATURE A PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE" DELLE ISTRUZIONI PER LA PRESENTAZIONE E L'AMMISSIONE DELLE CANDIDATURE ALLA COMPETIZIONE ELETTORALE PER IL RINNOVO DELLA CARICA DI PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE E DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL 25/26 GIUGNO 2023. ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA, DIFETTO DI MOTIVAZIONE, CONTRADDITTORIETÀ E SVIAMENTO DI POTERE. Contrariamente a quanto sostenuto dal TAR, la normativa non impone la presentazione di liste separate per la candidatura a consigliere regionale e per la candidatura a Presidente della Giunta regionale. 3) OMESSA PRONUNCIA. VIOLAZIONE DI LEGGE. VIOLAZIONE FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 5, 6 E 8 DELLA L.R. MOLISE N. 20/2017. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA SEZIONE I "CANDIDATURE A PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE E FORMAZIONE DELLE LISTE REGIONALI DEI CANDIDATI" SEZIONE I "LISTE REGIONALI DEI CANDIDATI", ARTT. 1, 3 E 9, DELLE ISTRUZIONI PER LA PRESENTAZIONE E L'AMMISSIONE DELLE CANDIDATURE ALLA COMPETIZIONE ELETTORALE PER IL RINNOVO DELLA CARICA DI PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE E DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL 25/26 GIUGNO 2023. VIOLAZIONE FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 6 DELLA L.R. MOLISE N. 20/2017. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA SEZIONE II "CANDIDATURE A PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE" DELLE ISTRUZIONI PER LA PRESENTAZIONE E L'AMMISSIONE DELLE CANDIDATURE ALLA COMPETIZIONE ELETTORALE PER IL RINNOVO DELLA CARICA DI PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE E DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL / GIUGNO 2023. ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA, DIFETTO DI MOTIVAZIONE, CONTRADDITTORIETÀ E SVIAMENTO DI POTERE. Il TAR non si è pronunciato sul secondo motivo di ricorso relativo alla mancanza della dichiarazione di collegamento resa dal candidato Presidente della Giunta regionale ai sensi dell'articolo 6, comma 2, l.r. 20/2017, motivo che, quindi, viene integralmente riproposto. 3. Si è costituito il controinteressato signor Cl. Pi., in qualità di delegato alla presentazione della lista "il Molise che Vogliamo" che ha controdedotto sui motivi di appello, chiedendone la reiezione. 3.1 L'amministrazione appellata non si è costituita in giudizio. 4. All'udienza speciale elettorale del 13 giugno 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 5. L'appello è in parte infondato e in parte inammissibile nei termini di seguito esposti. 6. Con il primo motivo l'appellante censura il capo della sentenza impugnata che ha respinto il primo motivo di ricorso volto a contestare l'asserita tardività della presentazione della lista. 6.1 Premette, in punto di fatto, che il delegato di lista, sig. Es., era giunto presso l'Ufficio Unico Circoscrizionale, unitamente a due accompagnatori (un candidato della lista al Consiglio e l'autore delle autenticazioni delle firme raccolte) alle ore 11.55 circa del 27 maggio 2023 e, quindi, in tempo utile per la presentazione, ma che era stato costretto ad allontanarsi poiché un addetto dell'ufficio che gli aveva segnalato la necessità di munirsi di un "tagliando elimina code" presso un locale differente da quello deputato alla consegna della documentazione. Per tale ragione, al momento della chiusura dell'ufficio, alle ore 12, rimanevano all'interno solo gli accompagnatori del sig. Es., muniti di tutta la documentazione necessaria per la presentazione della lista. 6.2 La prova delle circostanze di fatto sopra richiamate emergerebbe dalla seguente documentazione versata in atti: i) le dichiarazioni rese ai sensi dell'art. 47 del D.P.R. 445/2000 dai due accompagnatori del signor Es., i quali espressamente dichiaravano "di essere giunti nel Tribunale di Campobasso alle ore 11,55 e di essere entrati direttamente nell'aula di udienza sulla destra, posta all'ingresso di Via A(omissis) (...)"; ii) le immagini pubblicate dai quotidiani locali, dalle tv nazionali (allegati n. ri 22, 23 e 24 del fascicolo di primo grado), unitamente al servizio di telegiornale (allegato n. 21), dai quali si evince la presenza del sig. Es. all'interno del locale adibito alla ricezione delle liste. Ai citati documenti devono aggiungersi le registrazioni delle telecamere di sorveglianza del Tribunale di cui si chiede l'acquisizione. 6.3 Il motivo è infondato. 6.4 Il termine stabilito dal legislatore per il deposito delle liste è tassativo in quanto posto a presidio delle esigenze di certezza e di celerità del procedimento elettorale. Al fine di contemperare il carattere rigoroso del predetto termine con il principio di massima partecipazione alla competizione elettorale, la giurisprudenza ha statuito che il ritardo nel deposito è giustificabile solo in casi eccezionali allorché ricorrano cumulativamente seguenti condizioni: 1) che il ritardo sia "lieve"; 2) che all'ora di scadenza del termine i presentatori della lista si trovassero già all'interno della casa comunale; 3) che il ritardo sia giustificato da ragioni eccezionali e imprevedibili non imputabili ai soggetti interessati. Inoltre, la presenza dei delegati all'interno degli uffici comunali entro il termine prescritto per la presentazione delle candidature, al fine di assumere valenza esimente quanto al mancato rispetto del suddetto termine, deve accompagnarsi alla contestuale disponibilità da parte degli stessi dei documenti all'uopo necessari (Cons. Stato sez. III 9 maggio 2019, n. 3032; id. 5 dicembre 2019 n. 8336). 6.5 Questa Sezione, ponendosi nel solco dell'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, ha precisato che, quand'anche la mancata osservanza del tassativo termine previsto per la presentazione delle liste possa, eccezionalmente, incontrare fattispecie derogatorie, suscettibili di condurre all'ammissione anche in presenza del superamento di detto termine, nondimeno è necessario non soltanto che sia dimostrata la presenza dei delegati di lista all'interno della casa comunale alla scadenza del termine stesso, ma che, ulteriormente, siano comprovati il carattere obiettivamente ostativo assunto dagli impedimenti al rispetto del previsto orario di presentazione, così come la disponibilità, da parte degli stessi presentatori, della documentazione a corredo della lista (Cons. Stato, sez. II 8 novembre 2022 n. 9817). 6.6 La Sezione ha, inoltre, osservato che non è idonea a giustificare il ritardo, ma al contrario, evidenzia una grave mancanza di diligenza in capo al delegato di lista la circostanza che lo stesso fosse giunto presso gli uffici comunali solo in prossimità della scadenza del termine delle ore 12,00 e si fosse avvalso di due collaboratori per il deposito della documentazione. Tali comportamenti, pur non integrano la violazione di precise disposizioni di legge, non appaiono collimanti con il principio di collaborazione e buona fede che oggi ispira l'intero assetto ordinamentale per effetto della modifica dell'art. 1 della legge n. 241 del 1990 operata dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla l. 11 settembre 2020, n. 120. Ne discende che non assume "alcun rilievo la disgiunzione tra la presenza fisica del delegato dentro gli uffici comunali entro l'ora indicata, e la detenzione della documentazione (la cui completezza è indimostrata) da parte di terzi che non sono riusciti a raggiungere il delegato a causa della situazione di caos creatasi verso lo spirare del termine finale, poiché la positiva valutazione della circostanza che il delegato fosse all'interno degli uffici comunali entro il termine prescritto per la presentazione delle candidature assume valenza esimente, quanto al mancato rispetto del termine di presentazione, soltanto in presenza della contestuale disponibilità da parte sua dei documenti all'uopo necessari, il che nel caso di specie incontrastabilmente non si è verificato" (Cons. Stato sez. II 18 settembre 2021 n. 6388). 6.7 Le sopra esposte conclusioni si attagliano anche al caso di specie in quanto la presenza dei soli accompagnatori all'interno dell'ufficio entro l'orario di chiusura non integra la circostanza esimente delineata dalla giurisprudenza che impone sia presenza fisica all'interno dell'ufficio del delegato sia la disponibilità da parte sua dei documenti all'uopo necessari. 6.8 Osserva, inoltre, il Collegio che la presenza del delegato di lista sig. Es. presso l'ufficio entro le ore 12,00 è rimasta del tutto priva di riscontro probatorio, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado. Sotto tale profilo, le produzioni documentali agli atti del fascicolo di primo grado e richiamate anche nel ricorso in appello non consentono di ritenere assolto l'onere probatorio gravante su parte ricorrente poiché non forniscono alcuna certezza né dell'orario di presentazione né dell'effettivo allontanamento per le asserite esigenze organizzative legate al deposito. 6.9 Dall'esame della documentazione versata in atti, infatti, emerge che: - non è stato depositato il tagliando "salva coda", il cui ritiro costituirebbe la ragione dell'allontanamento del delegato dall'ufficio deputato al deposito della documentazione; - le dichiarazioni ex d.p.r. 445/2000 dei due accompagnatori del signor Es.- anche a voler prescindere dalla circostanza, evidenziata dal TAR, che le stesse provengono da soggetti aventi un interesse diretto all'ammissione della lista in questione, sicché avrebbero dovuto essere quanto meno corroborate da ulteriori riscontri estrinseci- possono attestare la presenza del delegato a ridosso della scadenza del termine, ore 11,55, presso l'ufficio da cui si sarebbe poi allontanato, ma nulla consentono di inferire in ordine alla contestuale disponibilità della documentazione necessaria, come richiesto dalla giurisprudenza sopra richiamata e diversamente da quanto sostenuto nel ricorso in appello (pag. 11 e pag. 15 del ricorso in appello). - del pari, le immagini dei quotidiani e il servizio televisivo attestano la sola presenza degli interessati nei locali di consegna, ma non forniscono certezza né dell'ora né della contestuale disponibilità, da parte del delegato, della documentazione da depositare. Sul punto giova, inoltre, osservare che la richiesta istruttoria volta all'acquisizione delle immagini di videosorveglianza del Tribunale non può essere accolta poiché, oltre ad essere incompatibile con la celerità che connota il rito disciplinato dall'art. 129 c.p.a., demanda al giudice l'accertamento di fatti dei quali parte ricorrente non ha fornito nemmeno un principio di prova per l'inidoneità dei documenti depositati; 6.10. Alle considerazioni sopra svolte occorre aggiungere i seguenti ulteriori rilievi: i) il ritardo nel deposito attestato dal verbale di consegna (ore 15,16) non può considerarsi "lieve" come, invece, richiesto dalla giurisprudenza per derogare alla tassatività del relativo termine (ore 12,00); ii) la necessità di munirsi del tagliando salva coda, rientrando nell'ordinaria organizzazione dell'ufficio, non integra una situazione eccezionale e imprevedibile idonea ad escludere l'imputabilità del ritardo; iii) la presentazione presso l'ufficio solo a ridosso dell'orario di chiusura, alle ore 11,55, non risulta conforme ai principi di collaborazione e di buona fede nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione (ora sancito espressamente dall'art. 1, comma 2 bis, l. 241/1990) il quale impone ad entrambe le parti, pubblica e privata, un onere di correttezza comportamentale per contribuire all'ordinato e celere svolgimento del procedimento di ammissione delle liste e delle candidature in vista del risultato ultimo della massima partecipazione alla competizione elettorale. Sotto tale profilo, si osserva che l'appellante non ha dedotto alcuna circostanza di fatto che lo abbia determinato a presentarsi solo cinque minuti prima della chiusura presso l'ufficio, nonostante la delicatezza dell'incombente consistente nel deposito della lista e della candidatura per la partecipazione alle elezioni. 6.11 Per le ragioni sopra indicate il primo motivo di appello deve essere respinto in quanto infondato. 7. Con il secondo motivo di appello l'appellante lamenta l'erroneità del capo della sentenza di primo grado che ha respinto il terzo motivo di ricorso relativo all'assenza della dichiarazione di presentazione della candidatura alla carica di Presidente della Giunta, Dott.ssa El. Tr.. 7.1 Deduce, in particolare, che, contrariamente a quanto sostenuto dal TAR, nessuna norma impone che tanto la presentazione della candidatura a Presidente della Giunta regionale quanto la presentazione della candidatura a consigliere regionale, corredata dalle necessarie sottoscrizioni degli elettori, debba avvenire su moduli separati. La consegna alla cancelliera addetta alla ricezione della documentazione di un'unica lista regionale di presentazione tanto dei candidati per l'elezione al Consiglio regionale quanto del Presidente, unitamente alle sottoscrizioni degli elettori, assolverebbe ad entrambe le funzioni richieste dalla legge. I sottoscrittori, infatti, avrebbero manifestato la propria volontà di far presentare alla futura competizione elettorale tanto la candidata a Presidente, Dott.ssa El. Tr. (espressamente indicata in tale qualità nella lista corredata dalle firme dei sottoscrittori depositata presso il competente ufficio elettorale) quanto dei candidati a consiglieri comunali. Siffatta interpretazione sarebbe, inoltre, conforme ai principi costituzionali di tutela dell'elettorato passivo ex artt. 3 e 51 Cost. e di libero esercizio del diritto del voto di cui all'art 48 comma 2 Cost. 7.2 Il motivo è infondato. 7.3 Giova premettere che, anche in caso di accoglimento del motivo in esame, il provvedimento di esclusione risulta legittimamente adottato in considerazione della tardività del deposito rispetto al termine previsto dall'art. 9 l. 108/1968 e dall'art. 5 comma 1 l.r. 20/2017 alla luce delle considerazioni svolte al § 6. 7.4 In disparte i profili di ammissibilità per difetto di interesse sopra rilevati, il motivo è anche infondato nel merito. 7.5 Contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, il dato normativo è chiaro nel richiedere la presentazione dei seguenti documenti: i) la lista dei candidati a consigliere regionale, sottoscritta da almeno 300 e da non più di 600 elettori iscritti nelle liste elettorali di comuni compresi nella regione e corredata dalla dichiarazione di collegamento con un candidato Presidente della Giunta regionale, a pena di esclusione (art. 5 l.r. 20/2017); ii) la candidatura a Presidente della Giunta regionale, corredata dalla dichiarazione di collegamento con le singole liste circoscrizionali regionali da parte del candidato Presidente della Giunta regionale, a pena di esclusione, e sottoscritta, pena la sua invalidità, da almeno 300 e da non più di 600 elettori iscritti nelle liste elettorali di comuni compresi nella regione (art. 6 l.r. 20/2017); 7.6 Nel caso di specie è incontestato che sia stata depositata solo lista sub i), ma non la dichiarazione sub ii) relativa alla presentazione della candidatura alla carica di Presidente della Giunta Regionale. 7.7 L'assunto difensivo secondo cui la presentazione della lista dei candidati a consigliere regionale varrebbe, al contempo, come presentazione della candidatura alla carica di Presidente della Giunta regionale si scontra con il dato normativo che distingue la presentazione della lista da quella della candidatura, differenziandole per requisiti e documentazione a corredo nonché assoggettandole a distinte verifiche (la prima alle verifiche di cui all'art. 8 l.r. 20/2017 e la seconda alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di candidabilità presso l'Ufficio unico circoscrizionale di cui all'art. 6 comma 1). La necessità di una specifica dichiarazione per la candidatura a Presidente della Giunta Regionale è, inoltre, espressamente imposta dal citato art. 6 che, al comma 8, sancisce che la candidatura alla carica di Presidente della Giunta regionale deve essere presentata con apposita dichiarazione scritta. 7.8 Non rileva tanto l'unicità o la duplicità del modulo, come sostenuto dall'appellante, bensì la circostanza che- imponendo la legge un'apposita e specifica dichiarazione per la presentazione della candidatura alla carica di Presidente della Giunta regionale-siffatto adempimento non può ritenersi assolto con la presentazione della lista dei candidati a consigliere regionale prevista dall'art. 5 della citata legge regionale (lista depositata in primo grado da parte ricorrente: doc. n. 9) alla quale non può, di conseguenza, essere assegnata in via interpretativa alcuna finalità o valenza polivalente in contrasto con la previsione di legge. 7.9 L'interpretazione sopra richiamata, oltre ad essere l'unica consentita dal dato positivo, non determina alcuna violazione delle norme costituzionali citate dall'appellante, non essendo manifestamente irragionevole l'imposizione di dichiarazioni separate per le due candidature (a consigliere regionale e a Presidente della Giunta regionale) in modo che, da un lato, non residuino incertezze in ordine alla volontà espressa sottoscrittori e, dall'altro lato, sia escluso il rischio di sovrapposizioni e confusioni in sede di verifica. La Corte costituzionale ha, infatti, costantemente statuito che il legislatore gode di ampia discrezionalità nella disciplina della materia elettorale poiché in essa si esprime con un massimo di evidenza la politicità della scelta legislativa, che è pertanto censurabile solo quando risulti manifestamente irragionevole (Corte cost. 10 marzo 2022 n. 62 e i precedenti ivi richiamati), circostanza esclusa nel caso di specie. 7.10 Anche il secondo motivo di appello deve, quindi, essere respinto. 8. Con il terzo motivo di appello si deduce l'omessa pronuncia da parte del TAR sull'originario secondo mezzo di impugnazione, che viene riproposto integralmente, afferente alla mancanza della dichiarazione di collegamento del candidato alla carica di Presidente della Giunta Regionale alla lista di consiglieri. Deduce, in particolare, che risulta "comprovato per tabulas, dal cancelliere addetto alla ricezione della lista (Dott.ssa Mo. Co.) che al momento della presentazione della lista, unitamente agli altri documenti richiesti dalla normativa di settore, venivano altresì depositati tanto la dichiarazione di collegamento della lista di candidati con il candidato alla carica di Presidente". 8.1 Il motivo è infondato. 8.2 Il giudice di primo grado, nel sottolineare la natura plurimotivata del provvedimento e la sussistenza di due delle tre cause giustificative dell'esclusione, ha osservato che anche laddove "l'ulteriore ragione di esclusione avversata con il detto motivo residuo di ricorso dovesse eventualmente rivelarsi priva di pregio, l'esclusione che ha colpito la lista per la quale si ricorre rimarrebbe comunque sorretta dalle restanti criticità, confermatesi non superabili". 8.3 Gli appellanti non hanno formulato alcuna critica specifica in relazione a quanto osservato dal giudice di primo grado circa la natura plurimotivata del provvedimento e al difetto di interesse all'esame del secondo motivo di ricorso, limitandosi a riproporre il motivo in questione, l'esame del quale, tuttavia, risulta sfornito di qualunque utilità in considerazione dell'infondatezza dei primi due motivi di appello per le ragioni puntualmente esposte sub. § 6 e § 7. 8.4 Per le ragioni sopra indicate, il terzo motivo di appello è inammissibile per genericità e per difetto di interesse. 9. In conclusione, l'appello deve essere in parte respinto in quanto infondato e in parte dichiarato inammissibile. 10. La natura delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio tra le parti costituite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, proposto in parte lo respinge e in parte lo dichiara inammissibile ai sensi di cui in motivazione. Spese compensate. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Gianpiero Paolo Cirillo - Presidente Francesco Frigida - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere Stefano Filippini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 566 del 2022, proposto dai signori Co. Be. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Ma. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); Università degli Studi di Padova, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Roberto Toniolo, Sabrina Visentin, Marika Sala, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'Avvocato Ro. To.; Università degli Studi di Bari, Università degli Studi di Bologna, Università degli Studi di Brescia, Università degli Studi di Cagliari, Università degli Studi di Catania, Università degli Studi di Catanzaro "Magna Graecia", Università degli Studi di Chieti - "G. D'Annunzio", Università degli Studi di del Molise, Università degli Studi di Ferrara, Università degli Studi di Firenze, Università degli Studi di Foggia, Università degli Studi di Genova, Università degli Studi De L'Aquila, Università degli Studi di Messina, Università degli Studi di Milano, Università degli Studi di Milano Bicocca, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Università degli Studi di Napoli "Federico II", Università degli Studi di Napoli "Luigi Vanvitelli",, Università degli Studi di Palermo, Università degli Studi di Parma, Università degli Studi di Pavia, Università degli Studi di Perugia, Università degli Studi di Pisa, Università degli Studi di Politecnica delle Marche, Università degli Studi di Roma "La Sapienza" Policlinico, Università degli Studi di Roma - "Tor Vergata", Università degli Studi di Salerno, Università degli Studi di Sassari, Università degli Studi di Siena, Università degli Studi di Torino, Università degli Studi di Trieste, Università degli Studi di Udine, Università degli Studi di Varese "Insubria", Università degli Studi di Vercelli "Avogadro", Università degli Studi di Verona, Università degli Studi di Milano "Vita e Salute S.Raffaele", Università degli Studi di Roma "La Sapienza" Polo Pontino, Università degli Studi di Roma "La Sapienza" S. Andrea, non costituiti in giudizio; nei confronti Ma. Ca. ed altri, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 6009/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione e dell'Università degli Studi di Padova; Visti tutti gli atti della causa; Vista la dichiarazione di sopravvenuto difetto d'interesse della Signora Ro. Br.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2023 il Cons. Raffaello Sestini e udito per le parti l'avvocato Sa. Vi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Gli studenti meglio individuati in epigrafe, che hanno partecipato alle prove di ammissione alle facoltà di medicina e chirurgia e di odontoiatria per l'anno accademico 2017/2018, impugnano la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza che ha dichiarato inammissibile, perché collettivo, il loro ricorso volto all'annullamento: a) del provvedimento di non ammissione degli odierni istanti al corso di laurea in medicina e chirurgia od odontoiatria e protesi dentaria, presso le Università indicate in epigrafe, per l'a.a. 2017/2018, previa declaratoria del diritto dei ricorrenti ad iscriversi ai suddetti corsi, nonché, ove occorra, di tutti i provvedimenti presupposti e in particolare: b) della graduatoria unica nazionale pubblicata in data 3 ottobre 2017 e dei successivi scorrimenti o ulteriori avvisi; c) dei bandi emanati dal Rettore delle Università indicate in epigrafe, con i quali è stato istituito il numero programmato, per l'anno accademico 2017/2018 e delle pregresse relative delibere, non conosciute, adottate dagli organi accademici competenti (Consiglio di Facoltà, Senato Accademico, Consiglio di amministrazione, dell'Ateneo de quo, C.U.N.); d) delle disposizioni interministeriali del 28 febbraio 2017 e successive modificazioni e integrazioni, recanti "Procedure per l'accesso degli studenti stranieri richiedenti visto ai corsi di formazione superiore del 2017-2018; e) del decreto ministeriale del 27 giugno 2017 recante "Modalità e contenuti della prova di ammissione al corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia in lingua inglese a.a. 2017-2018"; f) del decreto ministeriale del 28 giugno 2017 n. 477 recante "Modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico ad accesso programmato nazionale a.a. 2017/2018"; g) del decreto ministeriale n. 523 del 27 luglio 2017 recante "Programmazione dei posti disponibili per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Odontoiatria e Protesi Dentaria a.a.2017/2018"; h) del decreto interministeriale n. 580 del 3 agosto 2017 recante "Definizione dei posti disponibili per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e Chirurgia a.a. 2017/2018"; i) del decreto del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca del 19 maggio 2017, n. 293, con il quale è stata costituita la Commissione incaricata della validazione dei quesiti per le prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato nazionale per l'anno accademico 2017/2018; j) del provvedimento della predetta Commissione con il quale sono stati definiti ed approvati i quesiti per le prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato nazionale per l'anno accademico 2017/2018; k) dei verbali e atti relativi all'espletamento della prova selettiva presso gli atenei indicati in epigrafe; l) di tutti i provvedimenti richiamati dai predetti atti e di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, anche non conosciuto. 2 - Al riguardo gli appellanti, premessa l'erroneità della dichiarazione di inammissibilità del ricorso collettivo da parte del TAR, espongono che in primo grado era stato impugnato il provvedimento di non ammissione ai corsi di laurea in Medicina e Chirurgia od in Odontoiatria e Protesi Dentaria per il suindicato anno accademico ed era stata altresì chiesta la declaratoria del diritto dei ricorrenti ad iscriversi ai predetti corsi. I ricorrenti avevano inoltre chiesto l'annullamento della graduatoria unica nazionale nonché dei successivi scorrimenti e ulteriori avvisi, dei bandi, emanati dai Rettori degli Atenei convenuti, con i quali è stato istituito il numero programmato, nonché dei decreti interministeriali di disciplina della materia. Gli appellanti affermano quindi l'illegittimità del sottodimensionamento dei posti e della mancata previsione della riassegnazione dei posti eventualmente risultati non coperti. Deducono inoltre plurimi vizi riferiti alla procedura concorsuale svoltasi. 3 - Si è costituto in giudizio il Ministero per eccepire l'inammissibilità del ricorso collettivo, il mancato superamento della prova d resistenza quanto alla possibilità di iscrizione e l'infondatezza quanto alle censure dedotte. In sede di sommaria delibazione, a seguito della camera di consiglio del 1 marzo 2022 è stata respinta la domanda cautelare incidentale proposta, in disparte il possibile profilo di inammissibilità del gravame formulato quale ricorso collettivo, per la mancata prova di un pericolo attuale ed imminente suscettibile di derivare dall'esecuzione del provvedimento gravato, essendo stati impugnati atti relativi alla graduatoria di un accademico ormai decorso, e sono state compensate le spese della fase cautelare. Nelle more è sopravvenuta la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione dell'appellante signora Br. Ro.. 4 -A giudizio del Collegio l'appello non è fondato. 5 - In particolare, la sentenza appellata ha ritenuto inammissibile il gravame in ragione della sua natura di ricorso collettivo. Il primo giudice ha rilevato, inoltre, come i ricorrenti avessero tutti ottenuto punteggi inferiori alla soglia minima prevista per l'ammissione e come, al di là della legittimità di tale soglia, non avrebbe potuto giovare loro nemmeno l'eventuale accoglimento della censura sul numero dei posti messi a bando, con il conseguente aumento di tale numero, atteso il rilevantissimo contingente di candidati non vincitori che li precedevano. 6 - Gli appellanti, dopo aver preliminarmente ribadito la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, argomentano l'ammissibilità del ricorso collettivo e ripropongono le censure già dedotte in primo grado e non esaminate dal TAR. Di conseguenza, i motivi di appello possono essere così sintetizzati: I - "erroneità della dichiarazione di inammissibilità del ricorso collettivo", atteso che, in ragione del sistema congeniato dal Ministero per la formazione e lo scorrimento della graduatoria unica, sarebbe impossibile definire ex ante in ragione delle censure dedotte quale ricorrente potrebbe essere ammesso al corso ed in quale ateneo, rispetto ad altri, in quanto l'ammissione di un solo studente o lo spostamento d'esso determinerebbe lo stravolgimento dell'intera graduatoria, in ragione delle differenti opzioni di ciascun candidato adottate ed adottande, non conoscibili dai ricorrenti; II - "Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.) Violazione e falsa applicazione della Legge n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) - Violazione e Falsa applicazione Direttive n. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE - Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione art. 1 L. 910/1969 - Violazione e falsa applicazione L. 9 maggio 1989 n. 168 (autonomia universitaria) - Mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti - Eccesso di potere - illogicità - sviamento (per carente od insufficiente motivazione) - Violazione del giusto procedimento per carenza di adeguata attività istruttoria - T.A.R. del Lazio, Sezione III bis, sentenza n. 2788/09 - Segnalazione, pubblicata in data 21 aprile 2009, da parte della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Osservazioni in merito alle modalità di individuazione del numero chiuso per l'accesso ai corsi di laurea in odontoiatria)", con riferimento alla contestata non corretta rilevazione delle capacità ricettive degli atenei; III - "Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3, 33, 34 e 97 Cost.) Violazione e falsa applicazione della Legge n. 264 del 2 agosto 1999 (in G.U. n. 183 del 6/8/99) - Violazione e Falsa applicazione Direttive n. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE - Violazione e falsa applicazione Legge 241/90 e successive modificazioni - Violazione e falsa applicazione art. 1 L. 910/1969 - Violazione e falsa applicazione L. 9 maggio 1989 n. 168 (autonomia universitaria) - Mancanza della normativa di riferimento e degli atti presupposti - Eccesso di potere - illogicità - sviamento (per carente od insufficiente motivazione) - Violazione del giusto procedimento per carenza di adeguata attività istruttoria - T.A.R. del Lazio, Sezione III bis, sentenza n. 2788/09 - Segnalazione, pubblicata in data 21 aprile 2009, da parte della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Osservazioni in merito alle modalità di individuazione del numero chiuso per l'accesso ai corsi di laurea in odontoiatria)", per non aver il Ministero previsto l'assegnazione di tutti i posti disponibili e stabiliti dal decreto ministeriale. 7 - Gli appellanti chiedono pertanto l'annullamento degli atti impugnati, con la loro conseguente ammissione al corso di laurea in medicina e chirurgia o odontoiatria presso l'ateneo indicato come prima scelta o, in alternativa, presso gli altri atenei via via indicati; in via subordinata, chiedono che sia dichiarata illegittima ed errata l'indicazione del numero dei posti disponibili e si disponga l'adeguamento degli stessi alle effettive capacità ricettive degli atenei e al fabbisogno nazionale, con conseguente scorrimento ulteriore della graduatoria; in via ulteriormente subordinata, chiedono che sia dichiarata l'illegittimità della mancata copertura di tutti i posti disponibili originariamente indicato dagli atenei e dal Ministero, disponendo l'opportuno scorrimento della graduatoria; in ogni caso, chiedono di condannare le amministrazioni resistenti al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi, liquidando il danno conseguente alla mancata o ritardata iscrizione e conseguentemente al mondo del lavoro, da determinarsi in via equitativa per equivalente, nella misura ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione ed interessi. Il tutto con vittoria di spese. In via istruttoria si chiede volersi disporre l'accesso e l'acquisizione delle determinazioni ministeriali delle deliberazioni degli organi accademici, relative alla determinazione del numero dei posti per il corso di laurea in medicina e chirurgia ed odontoiatria e protesi dentaria, con particolare riguardo alla verifica istruttoria della capacità recettiva degli Atenei resistenti. 8 - Ai fini della decisione, il Collegio deve esaminare in primo luogo le censure concernenti la pronuncia del TAR di inammissibilità del gravame di primo grado per la sua natura di ricorso collettivo. 9 - Come ritenuto dalla Sezione in analoghe controversie, pur non potendo il ricorso di primo grado essere ritenuto interamente inammissibile le censure proposte dagli appellanti, che riproducono quelle dedotte nella predetta sede, sono affette da plurimi profili di inammissibilità e di infondatezza, dai quali si evince che anche il ricorso di primo grado è simmetricamente inammissibile e infondato anche per motivi ulteriori rispetto alla inammissibilità quale ricorso collettivo esaminata dal giudice di primo grado (cfr., Cons. Stato, VII, n. 3979/2023). Le predette considerazioni vengono pertanto assunte dal Collegio anche ai fini della presente decisione. 10 - Viene pertanto in rilievo, in primo luogo, il consolidato orientamento della giurisprudenza, che ritiene che la previsione di un punteggio minimo quale soglia di ammissione sia in via di principio del tutto ragionevole, in quanto conforme al criterio del merito, in linea con l'art. 97 Cost. (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VII, 10 agosto 2022, n. 7072; Sez. VI, 5 novembre 2021, n. 7386; id., 11 dicembre 2015, n. 5639; Sez. III, ord. 8 luglio 2022, n. 3210). Di conseguenza, la censura diretta a contestare tale soglia risulta priva di fondamento e il ricorso di primo grado deve essere su tale punto respinto. 11. La giurisprudenza amministrativa, confortata sul punto dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, si è altresì orientata nel senso della legittimità della previsione di procedure concorsuali nazionali mediante la sottoposizione di quesiti al fine di garantire ai più capaci e meritevoli l'accesso al grado di istruzione universitario nei limiti delle capacità strutturali ed organizzative del sistema universitario italiano, in particolare qualora, come per le Facoltà in esame, siano necessarie attività in presenza e di laboratorio ai fini di una adeguata formazione, anche ai fini della tutela del diritto alla salute quale diritto inviolabile del singolo ed interesse della comunità . Sulla base di tale presupposto, devono ritenersi inammissibili sia le censure volte a contestare la procedura di selezione mediante graduatoria nazionale, sia le censure volte a contestare le modalità di individuazione del numero di posti disponibili, in quanto nessuno degli appellanti, in relazione al punteggio ottenuto e all'ordine di collocazione in graduatoria, riesce ad ottemperare all'onere di fornire un principio di prova volto al superamento della c.d. prova di resistenza. Infatti, nessuno degli appellanti potrebbe ragionevolmente aspirare ad un collocamento utile in graduatoria ed alla conseguente iscrizione alle Facoltà universitarie prescelta anche in caso di accoglimento delle sopraindicate censure, e quindi non può vantare un interesse attuale e concreto, meritevole di tutela, a far valere le medesime censure. 12 - Quanto agli ulteriori motivi concernetti le modalità di svolgimento della procedura selettiva, con particolare riguardo alle modalità di scorrimento a valere sulle riserve di posti per particolari categorie di aspiranti studenti, considera il Collegio che le stesse censure non riescono a dimostrare la irragionevolezza della previsione nell'ambito del complessivo sistema concorsuale nazionale, ma si limitano a contrapporre ipotesi diverse, in ipotesi più favorevoli agli appellanti, non apprezzabili da questo giudice anche perché anche in questo caso per le ragioni già esposte non viene superata la prova di resistenza. 13 - Alla stregua delle pregresse considerazioni, parimenti prive di fondamento sono l'istanza istruttoria, priva di alcuna utilità al fine di superare quanto sopra indicato e la domanda risarcitoria basata (peraltro in assenza di alcun elemento probatorio) sulla illegittimità della mancata ammissione ai corsi di laurea, che non è stata in questa sede accertata per le ragioni sopra esposte. 14 - In conclusione, pronunciando sull'appello, il ricorso di primo grado deve essere in parte dichiarato inammissibile e in parte respinto nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione, ad eccezione della ricorrente signora Br. Ro. che ha dichiarato di non avere più interesse alla decisione per la quale il ricorso deve essere dichiarato improcedibile. Le spese del presente grado seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto, dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso in appello della signora Br. Ro. e, per tutti gli altri appellanti, in parte dichiara inammissibile e in parte respinge il ricorso di primo grado, condannando in solido i medesimi appellanti a rifondere alle Amministrazioni costituitesi in giudizio - anch'esse in solido tra loro -, per come elencate in epigrafe, le spese del giudizio di appello, che liquida a in Euro 3.000,00 (tremila), oltre ad IVA e CPA. Compensa le spese del presente grado di giudizio per l'appellante signora Br. Ro.. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Marco Morgantini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10342 del 2021, proposto dai signori Ch. Am. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, Ufficio Scolastico Regionale Campania, Ufficio Scolastico Regionale Lazio, Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale Puglia, Ufficio Scolastico Regionale Toscana, Ufficio Scolastico Regionale Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale Sardegna, Ufficio Scolastico Regionale Marche, Ufficio Scolastico Regionale Veneto, Ufficio Scolastico Regionale Liguria, Usr - Ufficio Scolastico Regionale Sicilia - Direzione Generale, Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale Calabria, Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale Umbria, Ufficio Scolastico Regionale Molise, Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via (...); Ufficio Scolastico Regionale per L'Abruzzo, non costituito in giudizio; nei confronti Signora An. Li., non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 10905/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio degli Uffici del Ministero dell'Istruzione; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2023 il Cons. Raffaello Sestini, nessuno presente per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Gli appellanti impugnano la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sez. III bis, n. 10905/2021 depositata in data 25 ottobre 2021, con la quale veniva dichiarato inammissibile il ricorso collettivo proposto avverso le graduatorie definitive ed il d.D.G. 23 aprile 2020 n. 510, recante bando di indizione della procedura straordinaria di reclutamento del personale ai sensi dell'art. 1 del d.l. 29 ottobre 2019 n. 126 (conv. dalla L. 20 dicembre 2019 n. 159), nella parte in cui prevede una prova scritta selettiva da intendersi superata con il conseguimento del punteggio minimo pari a 56/80 (art. 13), nonché nella parte in cui prevede la formazione di una graduatoria di vincitori e/o idonei all'assunzione (art. 15). 2 - Il Ministero argomenta ampiamente circa l'inammissibilità del ricorso collettivo di primo grado e, comunque, circa la legittimità della previsione della soglia di sbarramento impugnata in primo grado. 3 - In sede di sommaria delibazione il Consiglio di Stato, con ordinanza del 24 gennaio 2022, ha respinto la domanda cautelare motivando circa l'assenza del fumus. 4 - In particolare, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado gli odierni appellanti rappresentavano di essere tutti docenti precari in possesso di un'anzianità di servizio pre-ruolo almeno triennale, maturata su posti vacanti e disponibili, e quindi chiedevano di veder stabilizzato il proprio rapporto lavorativo sulla base di procedure di assunzioni di tipo idoneativo e non selettivo. Essi pertanto impugnavano le graduatorie definitive nonché il d.D.G. 23 aprile 2020 n. 510, recante bando di indizione della procedura straordinaria di reclutamento del personale ai sensi dell'art. 1 del d.l. 29 ottobre 2019 n. 126 (conv. dalla L. 20 dicembre 2019 n. 159), siccome delineavano un meccanismo concorsuale altamente competitivo che determinava la concorrenza su un novero di posti estremamente limitato. Al riguardo venivano articolate plurime censure intese a contestare l'impianto della procedura, alla quale gli odierni appellanti avevano comunque partecipato non superando la prova scritta. Veniva inoltre dedotta una specifica questione incidentale di legittimità costituzionale. Costituitosi il Ministero resistente, a seguito della Camera di Consiglio cautelare del 6 settembre 2021, con ordinanza interlocutoria n. 9548/2021 del 7 settembre 2021 il giudice di primo grado sottoponeva al contraddittorio delle parti la questione di ammissibilità del ricorso collettivo per asserita carenza dei presupposti, e all'esito della Camera di consiglio del 19 ottobre 2021, con sentenza n. 10905/2021 depositata in data 25 ottobre 2021 emessa in forma breve ex art. 60 cod. proc. amm., dichiarava il ricorso inammissibile in quanto collettivo e cumulativo, confermando un precedente in termini della medesima Sezione. 5 - Avverso la predetta sentenza viene proposto appello, deducendo gli appellanti i motivi di seguito sintetizzati. 5.1 - In primo luogo viene dedotta l'erroneità della sentenza appellata per "error in iudicando. violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 111 e 113 cost. violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 35 e 40 cod. proc. amm. violazione e falsa applicazione dei principi in tema di proposizione del ricorso in forma collettiva. motivazione incongrua e perplessa". La sentenza impugnata, infatti, dichiarerebbe inammissibile la domanda giudiziale sulla scorta di motivazioni che non attengono al merito della controversia o alla sussistenza dei presupposti di accesso alla tutela interinale, ma si fondano invece sull'ammissibilità del ricorso per la proposizione dell'azione in forma collettiva, con una visione ritenuta rispondente a "meri schemi formali ed atomistici", il cui effetto sarebbe solo la produzione di decine o centinaia, di cause-fotocopia, sulla base dell'erroneo assunto secondo cui il ricorso sarebbe e finalizzato ad impugnare graduatorie distinte e non riferibili a ciascun candidato e, quindi, alla parte processuale collettivamente intesa. Vi sarebbe però un manifesto errore di percezione in ordine all'oggetto del giudizio, tenuto conto del petitum sostanziale del ricorso proposto. Il diritto azionato, infatti, era da individuarsi nella pretesa ad ottenere la stabilizzazione della propria posizione lavorativa, siccome docenti muniti di anzianità di servizio almeno triennale, mediante procedure idoneative e non selettive. Di talché, da un lato, con impugnazione parziale del bando concorsuale volta quindi all'eliminazione della soglia di idoneità della prova scritta ed alla previsione di una graduatoria di soli vincitori, gli odierni appellanti intendevano ottenere la trasformazione della procedura in canale a scorrimento integrale, e, dall'altro, con espressa domanda di accertamento, essi chiedevano il riconoscimento del diritto in parola sulla base della costante giurisprudenza europea e nazionale. In tal modo l'accoglimento del ricorso avverso l'atto generale non sarebbe stato suscettibile di caducare integralmente le graduatorie medio tempore approvate. 5.2 - In secondo luogo vengono dedotti i vizi di "error in iudicando. violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 60, 74 e 88 cod. proc. amm. omessa pronuncia sui motivi di ricorso". Ciò in quanto la sentenza impugnata ometterebbe qualsiasi disamina delle censure sollevate nel ricorso introduttivo del giudizio di prime cure, ritenendo erroneamente che ogni valutazione sia impedita dalla sussistenza di una questione preliminare di inammissibilità . Gli appellanti al riguardo rinviano quindi ai motivi di impugnazione (di seguito sintetizzati) non esaminati dal TAR. 5.3 - In particolare in primo grado gli odierni appellanti, premessa la giurisdizione del TAR, la competenza del TAR del Lazio e l'ammissibilità del ricorso in forma collettiva, deducevano la "violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 97 e 117 cost. violazione e falsa applicazione della direttiva 1999/70/ce. violazione e falsa applicazione dell'art. 19 del d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81. violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 70 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165. violazione e falsa applicazione dell'art. 9 del d.l. 13 maggio 2011 n. 70 (conv. con l. 12 luglio 2011 n. 106). violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del d.l. 25 settembre 2009 n. 134 (conv. con l. 24 novembre 2009 n. 167)", ritenendo i provvedimenti impugnati non idonei ad assicurare piena ed integrale tutela nei confronti dei docenti precari che avevano maturato un'anzianità di servizio pari a 36 mesi ovvero tre annualità complete ai sensi dell'art. 11, co. 14 della L. 3 maggio 1999 n. 124, e pertanto non consentivano il ristoro dei pregiudizi patiti a causa dell'illecita reiterazione di contratti a tempo determinato. 5.4 - Veniva inoltre dedotta la "violazione e falsa applicazione dei principi di ragionevolezza, congruità e proporzionalità di cui agli artt. 3 e 97 cost. violazione e falsa applicazione dei principi di par condicio, trasparenza ed imparzialità di cui all'art. 1 della l. 7 agosto 1990 n. 241. violazione e falsa applicazione delle regole della concorsualità e del principio meritocratico. violazione e falsa applicazione del principio del favor partecipationis. violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 14 e 16 della direttiva comunitaria 2005/36/ce (modificata dalla direttiva 2013/55/ue). violazione del principio di proporzionalità . mancata valutazione dell'esperienza professionale maturata. eccesso di potere. irragionevolezza. manifesta illogicità . difetto di motivazione. difetto istruttorio. illegittimità della soglia di idoneità in quanto sensibilmente superiore alla sufficienza", dal momento che i provvedimenti impugnati comportavano l'esclusione di candidati che, all'esito della prova, avevano comunque conseguito un giudizio positivo, avendo ottenuto un punteggio almeno pari - se non superiore - alla sufficienza aritmetica espressa in centesimi (60/100). In tal senso, il mancato adeguamento della soglia di ammissione al reale fabbisogno di personale avrebbe prodotto una ingiustificata lesione del favor partecipationis nonché una evidente vanificazione del confronto concorrenziale fra i candidati rimasti nel concorso, il cui numero sarebbe stato corrispondente o, in alcuni casi, inferiore ai posti vacanti e disponibili messi a concorso. 5.5 - Da ultimo, veniva altresì proposta una questione incidentale di legittimità costituzionale, in quanto i provvedimenti impugnati violerebbero il diritto alla stabilizzazione dei ricorrenti scaturito dall'illecita reiterazione di incarichi a tempo determinato per un periodo complessivo pari ad almeno 36 mesi, in patente violazione della direttiva 1999/70/Ce secondo quanto già accertato dalla Corte di Giustizia UE. Le disposizioni normative contenute nell'art. 1 del d.l. 29 ottobre 2019 n. 126 (conv. con L. 20 dicembre 2019, n. 159), così come modificato e integrato dall'art. 2 del d.l. 8 aprile 2020 n. 22 (conv. con L. 6 giugno 2020 n. 22), si porrebbero pertanto in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza e trasparenza (art. 3 Cost.), imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.), di tutela del lavoro (art. 4 Cost.), di uguaglianza di accesso alle cariche pubbliche (art. 51 Cost.) nonché di conformità ai principi e delle norme dell'ordinamento europeo (art. 117 Cost.). 7 - L'Amministrazione contro deduce, con propria ampia relazione, la piena legittimità della procedura concorsuale, l'esattezza della sentenza impugnata e l'inammissibilità ed infondatezza dell'appello. 8 - Osserva il Collegio, preliminarmente, che, come rilevato dagli appellanti, il Tar ha errato nel dichiarare inammissibile il ricorso in quanto collettivo. Al riguardo, come recentemente affermato dalla Sezione in fattispecie analoghe (Cons. Stato, VII, n. 3998/2023), deve essere in primo luogo considerato che il ricorso originario appartiene ad una ricorrente serialità di impugnazioni aventi ad oggetto questioni identiche o analoghe. In relazione a ciò, non è infondato considerare legittimo un approccio giurisdizionale c.d. sostanzialistico che, in linea con quanto affermato nella sentenza n. 7045/2021 di questo Consiglio, richiamata da parte appellante sebbene afferente ad altro contesto, consenta di realizzare i principi di concentrazione e ragionevole durata del processo, evitando il proliferare di innumerevoli ricorsi identici su medesime censure di legittimità . Si tratta, come pure evidenziato dalla richiamata giurisprudenza, di accedere a una concezione non formalistica, fondata sull'identità del bene della vita oggetto del ricorso in riferimento all'interesse azionato dai ricorrenti. Nella controversia di cui è causa, sebbene le graduatorie impugnate non sono comuni a tutti i ricorrenti e le posizioni sono relative a ognuno di essi, non può essere condivisa la conclusione del primo giudice che fa discendere da ciò il difetto di qualsiasi interesse a impugnare, mediante ricorso cumulativo, graduatorie per le quali non è stata presentata domanda di inserimento. Si tratta, evidentemente, di prendere in considerazione un'eccezione al principio secondo cui ogni distinto provvedimento si impugna con distinto ricorso, eccezione tuttavia giustificata alla luce delle richiamate circostanze di contesto che, in questo come in altri casi analoghi, senza rappresentare un vulnus per i principi in materia di ricorsi collettivi, correttamente indicati dal giudice di primo grado, consenta tuttavia di non confliggere con altri rilevanti principi dello svolgimento del processo, come quelli richiamati di concentrazione e ragionevole durata. D'altro canto, va pure considerato che, nell'atto d'appello, con il quale si impugna il bando, viene rappresentato come la finalità dell'impugnazione fosse diretta a lamentare la disciplina generale del procedimento concorsuale, ritenuta lesiva, e come rispetto a questa, specificamente, sussistano l'identità della posizione sostanziale dei ricorrenti, l'identità dei motivi di censura, l'identità del tipo di pronuncia richiesto al giudice ed infine l'identità degli atti impugnati. E' pur vero che oggetto di impugnazione avanti il primo giudice sono state anche le distinte graduatorie. Tuttavia, può essere accolta la deduzione di parte appellante che la circostanza dell'impugnazione anche di distinte graduatorie non sia sufficiente a determinare nel caso di specie l'inammissibilità del ricorso collettivo, tenuto conto dell'affermata impugnazione tuzioristica di queste, al solo fine di evitare pronunce di inammissibilità, ma soprattutto alla luce della disamina dei motivi di ricorso e degli argomenti a tal fine sviluppati, che effettivamente non pongono in diretta contestazione la formazione di dette graduatorie. 9 - Con gli ulteriori motivi di appello, vengono riproposte le censure sollevate nel primo giudizio e non esaminate dal giudice, in quanto impedite dalla preliminare pronuncia di inammissibilità . Tali censure sono infondate e, conseguentemente, va respinto il ricorso di primo grado. 9.1 - La giurisprudenza amministrativa si è, infatti, già pronunciata nel senso della legittimità della previsione di una soglia di sbarramento, sotto forma di punteggio concorsuale minimo, ai fini dell'inserimento nella graduatoria di riferimento. In particolare, il decreto legge 29 ottobre 2019 n. 126, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 2019, n. 159, recante "Misure di straordinaria necessità ed urgenza in materia di reclutamento del personale scolastico e degli enti di ricerca e di abilitazione dei docenti", e il decreto legge 08 aprile 2020, n. 22, recante "Misure urgenti sulla regolare conclusione e l'ordinato avvio dell'anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato" convertito, con modificazioni, dalla legge 06 giugno 2020, n. 41, hanno dettato la disciplina della procedura concorsuale straordinaria finalizzata all'immissione in ruolo del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado in numero di 32.000 insegnanti in organico dall'a.s. 2021/22, bandita con decreto dipartimentale del Ministero dell'istruzione 23 aprile 2020 n. 510 e ulteriormente modificata con D.D. 8 luglio 2020 n. 783. In tale quadro, l'art. 1, comma 10, prevede espressamente il superamento della prova scritta della predetta selezione per i soli candidati "che conseguano il punteggio minimo di sette decimi o equivalente". La pretesa di vedere eliminare la predetta soglia comporterebbe pertanto l'eliminazione del carattere concorsuale della procedura in materia di reclutamento stabile nei ruoli dell'Amministrazione, in violazione dell'art. 97 Cost. con la corrispondente violazione dei principi del merito, del pubblico concorso e del buon andamento dell'amministrazione perseguibile attraverso la scelta del miglior candidato. 9.2 - Con riferimento alla ragionevolezza della soglia stabilita, considera altresì il Collegio che, avendo il procedimento in oggetto carattere concorsuale e non di abilitazione, l'amministrazione ben poteva stabilire una soglia rapportata al numero dei candidati piuttosto che al numero di risposte giuste fornite da parte del candidato. 9.3 - Quanto, poi, alla previsione del requisito di conoscenza al livello B2 della lingua inglese, la stessa non appare né ultronea né irragionevole rispetto alla previsione dell'art. 37 del d.lgs. 165/2001, come modificato dall'art. 7 d.lgs. 75/2017, secondo la quale i bandi di concorso per l'accesso alle pubbliche amministrazioni prevedono l'accertamento della conoscenza della lingua inglese nonché, ove opportuno in relazione al profilo professionale richiesto, di altre lingue straniere. La citata disposizione normativa, infatti, da un lato indica espressamente la lingua inglese quale idioma straniero di cui si prevede l'accertamento della conoscenza, dall'altro si riferisce ad altre lingue straniere a condizione che sia ritenuto opportuno in relazione al profilo professionale richiesto. In tale cornice primaria, risulta evidentemente rimessa alla discrezionalità dell'amministrazione, che nel caso di specie è stata esercitata in modo ragionevole, determinare in sede di bando di concorso la lingua prescelta, mentre per converso non risulta provato che le relative prove richiedano o abbiano richiesto una conoscenza "eccezionalmente approfondita", come lamentato da parte appellante. 9.4 -Neppure risultano fondate le censure di violazione della normativa e della giurisprudenza euro unitaria in tema di abusiva reiterazione dei contratti a termine, risultando manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale. Gli appellanti contestano la legittimità dei provvedimenti impugnati in quanto non idonei ad assicurare piena e integrale tutela nei confronti dei docenti precari che hanno maturato un'anzianità di servizio pari a 36 mesi ovvero tre annualità complete ai sensi dell'art. 11, co. 14 della legge 3 maggio 1999, n. 124, e pertanto non idonei a soddisfare la pretesa al ristoro dei pregiudizi patiti a causa dell'illecita reiterazione di contratti a tempo determinato. La questione è stata già affrontata in plurime decisioni di questa Sezione, qui richiamate e condivise, alla luce delle quali (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sezione VII, n. 3699/2023) " (....) l'Adunanza Plenaria, 20 dicembre 2017, n. 11 ha chiarito che "la normativa in esame, così come interpretata e ricostruita non solleva...dubbi di illegittimità costituzionale o di contrarietà con l'ordinamento dell'Unione Europea", evidenziando in proposito che "nella situazione in esame appare ragionevole ed ispirato a consistenti ragioni di interesse pubblico il ripristino a regime del sistema di reclutamento degli insegnanti attraverso selezione concorsuale per esami, con salvaguardia delle sole più antiche posizioni di "precariato storico", per evidenti ragioni sociali. Ragioni, quelle appena indicate, che giustificano pienamente l'attuale disciplina anche in rapporto al diritto comunitario, con particolare riguardo alla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, che esclude ogni discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato e postula estensione ai primi degli istituti propri del rapporto dei secondi (...). Come chiarito dalla giurisprudenza, tuttavia, spetta al giudice nazionale una delicata valutazione - da condurre caso per caso - al fine di verificare la sussistenza, o meno, di "ragioni oggettive", che a norma della medesima direttiva possono giustificare un trattamento differenziato dei lavoratori a tempo determinato (Corte di Giustizia, Valenza e a. - da C-302/11 a C-305/11). Per l'individuazione di tali ragioni, in effetti, non si rinvengono parametri di riscontro nella direttiva 1999/70/CE, ma la Corte di Giustizia (Grande sezione, sentenza del 4 luglio 2006, causa C-212/04 -Adeneler) ha precisato che il significato e la portata della relativa nozione debbono essere determinati in funzione dell'obiettivo perseguito dall'accordo-quadro e, in particolare, del contesto in cui si inserisce la clausola 5, n. 1, lettera a) dello stesso (...) "È di tutta evidenza che le disposizioni normative in esame rispondono pienamente alla disciplina comunitaria, in quanto, appunto, volte ad eliminare il precariato (pur nel rispetto di parametri di gradualità, introdotti a tutela di situazioni a lungo protrattesi nel tempo e destinate alla stabilizzazione), con tendenziale, generalizzato ritorno ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, previa selezione concorsuale per merito, nel già ricordato interesse pubblico alla formazione culturale dei giovani, che la scuola deve garantire attraverso personale docente qualificato (....)". Ed inoltre (Consiglio di Stato, Sezione VII, n. 3077/2023) " (....) - nella stessa sentenza Mascolo la Corte di Giustizia ha ritenuto aleatoria la possibilità per un docente che abbia effettuato supplenze, ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 124/1999, in una scuola statale di ottenere la trasformazione dei suoi contratti di lavoro a tempo determinato successivi in un contratto o in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con immissione in ruolo per effetto dell'avanzamento in graduatoria; con la conseguenza che tale possibilità non potrebbe comunque essere considerata una sanzione a carattere sufficientemente effettivo e dissuasivo ai fini di garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (punti 116 e 117); - in ogni caso, dall'accordo quadro in esame e dalla sentenza Mascolo non è possibile evincere un dovere di stabilizzazione in favore degli appellanti in termini di effetti reali (cfr. anche Corte Cost. n. 187 del 2016) (.....) Tale pronuncia (Mascolo) si limita a prevedere che "quando, come nel caso di specie, il diritto dell'Unione non prevede sanzioni specifiche nell'ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell'accordo quadro" (punto 77). 27.3 In riferimento a quest'ultima precisazione, va ricordato, dovendosi sul punto escludere ogni contrasto con i principi generali di uguaglianza e di non discriminazione tra dipendenti pubblici e privati, che la diversità di tutele tra lavoro pubblico e privato - dove l'illegittimo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato comporta, in caso di violazione delle prescrizioni dettate dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, la conversione del rapporto (ex plurimis, Cass., 23 agosto 2006, n. 18378) - è stata ritenuta legittima non soltanto dalla Corte costituzionale (sentenza n. 89 del 2003), ma anche dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, che ha ritenuto la disciplina nazionale astrattamente compatibile con il diritto europeo, purché sia assicurata altra analoga misura sanzionatoria effettiva, proporzionata e dissuasiva (Corte di Giustizia 12 dicembre 2013, Papalia, C-50/13, cfr. anche sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C-212/04 e del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04) (......) parimenti, la previsione di piani straordinari di assunzione è volta a fornire una soluzione, sia pur graduale, del fenomeno del precariato, contemperando la pressante esigenza di stabilizzazione di esso con la regola generale del pubblico concorso; a tali fini risulta differente la posizione dei soggetti iscritti a pieno titolo nelle graduatorie ad esaurimento, avuto riguardo all'esigenza di salvaguardare le "sole più antiche posizioni di "precariato storico" per evidenti ragioni sociali" (Cons. Stato, Ad. Plen., 20 dicembre 2017, n. 11) (....)". Va aggiunto che l'assimilazione al servizio di "ruolo" di quello "pre-ruolo" quale requisito per l'ammissione a procedure concorsuali è possibile soltanto se prevista espressamente (Cons. Stato sez. VI, 10/7/2013 n. 3658; 19/10/2009 n. 6384), atteso che il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. impone di trattare in modo uguale situazioni ragionevolmente uguali ed in modo diverso situazioni ragionevolmente diverse. Neppure la prospettata questione di legittimità costituzionale palesa pertanto i necessari profili di non manifesta infondatezza. 10 - Alla stregua delle pregresse considerazioni, pronunciando sul ricorso in appello, deve essere respinto il ricorso di primo grado. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara ammissibile il ricorso di primo grado e lo respinge. Condanna gli appellanti alla rifusione in favore delle amministrazioni appellate delle spese del giudizio di appello, che liquida in Euro 4.000 (quattromila/00), oltre ad IVA e CPA. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1138 del 2022, proposto da Do. An. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Ni. Za., Wa. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Sa. Ru. in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo, Ufficio Scolastico Regionale Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale Calabria, Ufficio Scolastico Regionale Campania, Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale Lazio, Ufficio Scolastico Regionale Liguria, Ufficio Scolastico Regionale Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale Marche, Ufficio Scolastico Regionale Molise, Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale Puglia, Ufficio Scolastico Regionale Sardegna, Usr Ufficio Scolastico Regionale Sicilia Direzione Generale, Ufficio Scolastico Regionale Toscana, Ufficio Scolastico Regionale Umbria, Ufficio Scolastico Regionale Veneto, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff III Ambito Terr per la Provincia dell'Aquila, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Terr Provinciale di Chieti Pescara Sede Pescara, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Chieti e Pescara Sede Chi, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff V Ambito Terr per la Provincia di Teramo, Uff Scolastico Reg Basilicata Uff III Ambito Terr per la Provincia di Potenza, Uff Scolastico Reg Basilicata Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Matera, Uff Scolastico Reg Calabria Uff III Ambito Terr per la Provincia di Crotone, Uff Scolastico Reg Calabria Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Vibo Valentia, Uff Scolastico Reg Calabria Uff II Ambito Terr per la Provincia di Catanzaro, Uff Scolastico Reg Calabria Uff V Ambito Terr per la Provincia di Cosenza, Uff Scolastico Reg Calabria Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Reggio Calabria, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Avellino, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Benevento, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Caserta, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Napoli, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Salerno, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff V Ambito Terr per la Provincia di Bologna, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Ferrara, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Forlà Cesena Rimini, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Modena, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff IX Ambito Terr per la Provincia di Parma e Piacenza Se, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff X Ambito Terr per la Provincia di Ravenna, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff XI Ambito Terr per la Provincia di Reggio Emilia, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Gorizia, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff V Ambito Terr per la Provincia di Pordenone, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Ambito Terr per la Provincia di Trieste, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Udine, Uff Scolastico Reg Lazio Uff IX Ambito Terr per la Provincia di Rieti, Uff Scolastico Reg Lazio Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Roma, Uff Scolastico Reg Lazio Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Frosinone, Uff Scolastico Reg Lazio Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Latina, Uff Scolastico Reg Lazio Uff X Ambito Terr per la Provincia di Viterbo, Uff Scolastico Reg Liguria Uff II Ambito Terr per la Provincia di Genova, Uff Scolastico Reg Liguria Uff IV Ambito Terr per la Provincia di La Spezia, Uff Scolastico Reg Liguria Uff V Ambito Terr per la Provincia di Imperia, Uff Scolastico Reg Liguria Uff III Ambito Terr per la Provincia di Savona, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Bergamo, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Como, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Cremona, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Lecco, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Lodi, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Mantova, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Milano, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Monza e Brianza, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Pavia, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Sondrio, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Varese, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Brescia, Uff Scolastico Reg Marche Uff III Ambito Terr per la Provincia di Ancona, Uff Scolastico Reg Marche Uff IV per Le Province di Ascoli Piceno e Fermo, Uff Scolastico Reg Marche Uff V Ambito Terr per la Provincia di Macerata, Uff Scolastico Reg Marche Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Pesaro Urbino, Uff Scolastico Reg Molise Ambito Terr per la Provincia di Campobasso, Uff Scolastico Reg Molise A, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Cuneo, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff V Ambito Terr per la Provincia di Torino, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Alessandria, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Novara, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Asti, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IX Ambito Terr per la Provincia del Verbano Cusio Ossola, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff X Ambito Terr per la Provincia di Biella, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Vercelli, Uff Scolastico Reg Puglia Uff V Ambito Terr per la Provincia di Foggia, Uff Scolastico Reg Puglia Uff III Ambito Terr per la Provincia di Bari, Uff Scolastico Reg Puglia Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Brindisi, Uff Scolastico Reg Puglia Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Lecce, Uff Scolastico Reg Puglia Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Taranto, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff V Ambito Terr per la Provincia di Cagliari, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Sassari, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Nuoro, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Oristano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ambito Territoriale per la Provincia di Agrigento, Ambito Territoriale per la Provincia di Ancona, Ambito Territoriale per la Provincia di Bari, Ambito Territoriale per la Provincia di Belluno, Ambito Territoriale per la Provincia di Bergamo, Ambito Territoriale per la Provincia di Bologna, Ambito Territoriale per la Provincia di Cagliari, Ambito Territoriale per la Provincia di Catania, Ambito Territoriale per la Provincia di Catanzaro, Ambito Territoriale per la Provincia di Cosenza, Ambito Territoriale per la Provincia di Cuneo, Ambito Territoriale per la Provincia di Firenze, Ambito Territoriale per la Provincia di Foggia, Ambito Territoriale per la Provincia di Genova, Ambito Territoriale per la Provincia di L'Aquila, Ambito Territoriale per la Provincia di Lecce, Ambito Territoriale per la Provincia di Messina, Ambito Territoriale per la Provincia di Milano, Ambito Territoriale per la Provincia di Napoli, Ambito Territoriale per la Provincia di Padova, Ambito Territoriale per la Provincia di Palermo, Ambito Territoriale per la Provincia di Parma, Ambito Territoriale per la Provincia di Perugia, Ambito Territoriale per la Provincia di Pesaro-Urbino, Ambito Territoriale per la Provincia di Pescara, Ambito Territoriale per la Provincia di Pistoia, Ambito Territoriale per la Provincia di Pordenone, Ambito Territoriale per la Provincia di Reggio Calabria, Ambito Territoriale per la Provincia di Reggio Emilia, Ambito Territoriale per la Provincia di Roma, Ambito Territoriale per la Provincia di Salerno, Ambito Territoriale per la Provincia di Savona, Ambito Territoriale per la Provincia di Siracusa, Ambito Territoriale per la Provincia di Taranto, Ambito Territoriale per la Provincia di Teramo, Ambito Territoriale per la Provincia di Torino, Ambito Territoriale per la Provincia di Trapani, Ambito Territoriale per la Provincia di Treviso e Verona, Ufficio Scolastico Regionale per L'Abruzzo, Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria, Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, Ufficio Scolastico Regionale per L'Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale per la Liguria, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale per Le Marche, Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte, Ufficio Scolastico Reginale per la Puglia, Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, Ufficio Scolastico Regionale per la Sardegna, Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana, Ufficio Scolastico Regionale per L'Umbria, Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Bis n. 08128/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione e di Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo e di Ufficio Scolastico Regionale Basilicata e di Ufficio Scolastico Regionale Calabria e di Ufficio Scolastico Regionale Campania e di Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna e di Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia e di Ufficio Scolastico Regionale Lazio e di Ufficio Scolastico Regionale Liguria e di Ufficio Scolastico Regionale Lombardia e di Ufficio Scolastico Regionale Marche e di Ufficio Scolastico Regionale Molise e di Ufficio Scolastico Regionale Piemonte e di Ufficio Scolastico Regionale Puglia e di Ufficio Scolastico Regionale Sardegna e di Usr Ufficio Scolastico Regionale Sicilia Direzione Generale e di Ufficio Scolastico Regionale Toscana e di Ufficio Scolastico Regionale Umbria e di Ufficio Scolastico Regionale Veneto e di Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff III Ambito Terr per la Provincia dell'Aquila e di Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Terr Provinciale di Chieti Pescara Sede Pescara e di Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Chieti e Pescara Sede Chi e di Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff V Ambito Terr per la Provincia di Teramo e di Uff Scolastico Reg Basilicata Uff III Ambito Terr per la Provincia di Potenza e di Uff Scolastico Reg Basilicata Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Matera e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff III Ambito Terr per la Provincia di Crotone e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Vibo Valentia e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff II Ambito Terr per la Provincia di Catanzaro e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff V Ambito Terr per la Provincia di Cosenza e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Reggio Calabria e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Avellino e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Benevento e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Caserta e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Napoli e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Salerno e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff V Ambito Terr per la Provincia di Bologna e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Ferrara e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Forlà Cesena Rimini e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Modena e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff IX Ambito Terr per la Provincia di Parma e Piacenza Se e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff X Ambito Terr per la Provincia di Ravenna e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff XI Ambito Terr per la Provincia di Reggio Emilia e di Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Gorizia e di Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff V Ambito Terr per la Provincia di Pordenone e di Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Ambito Terr per la Provincia di Trieste e di Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Udine e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff IX Ambito Terr per la Provincia di Rieti e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Roma e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Frosinone e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Latina e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff X Ambito Terr per la Provincia di Viterbo e di Uff Scolastico Reg Liguria Uff II Ambito Terr per la Provincia di Genova e di Uff Scolastico Reg Liguria Uff IV Ambito Terr per la Provincia di La Spezia e di Uff Scolastico Reg Liguria Uff V Ambito Terr per la Provincia di Imperia e di Uff Scolastico Reg Liguria Uff III Ambito Terr per la Provincia di Savona e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Bergamo e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Como e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Cremona e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Lecco e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Lodi e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Mantova e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Milano e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Monza e Brianza e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Pavia e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Sondrio e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Varese e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Brescia e di Uff Scolastico Reg Marche Uff III Ambito Terr per la Provincia di Ancona e di Uff Scolastico Reg Marche Uff IV per Le Province di Ascoli Piceno e Fermo e di Uff Scolastico Reg Marche Uff V Ambito Terr per la Provincia di Macerata e di Uff Scolastico Reg Marche Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Pesaro Urbino e di Uff Scolastico Reg Molise Ambito Terr per la Provincia di Campobasso e di Uff Scolastico Reg Molise A e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Cuneo e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff V Ambito Terr per la Provincia di Torino e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Alessandria e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Vii Ambito Terr per la Provincia di Novara e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Asti e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Ix Ambito Terr per la Provincia del Verbano Cusio Ossola e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff X Ambito Terr per la Provincia di Biella e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Viii Ambito Terr per la Provincia di Vercelli e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff V Ambito Terr per la Provincia di Foggia e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff III Ambito Terr per la Provincia di Bari e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Brindisi e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Lecce e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Taranto e di Uff Scolastico Reg Sardegna Uff V Ambito Terr per la Provincia di Cagliari e di Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Sassari e di Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Nuoro e di Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Oristano; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2023 il Cons. Marco Valentini, nessuno è presente per le parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con ricorso collettivo avanti il giudice di prime cure sono state impugnate le disposizioni dell'ordinanza ministeriale n. 60/2020 con cui sono state disciplinate, per gli anni scolastici 2020/21 e 2021/22, le graduatorie provinciali per le supplenze (GPS), nella parte in cui non consentono l'iscrizione degli originari ricorrenti nella seconda fascia per mancato possesso dei 24 CFU o in alternativa del possesso dell'abilitazione in altra classe di concorso o del precedente inserimento nelle graduatorie d'istituto. Col medesimo gravame i ricorrenti hanno chiesto, oltre all'annullamento degli atti impugnati, che comprendono anche le graduatorie redatte dai diversi Uffici scolastici regionali, anche l'accertamento del loro diritto ad essere inseriti nelle GPS. Il ricorso è stato giudicato in primo grado infondato anche in aderenza a giurisprudenza ormai consolidata relativa alla natura non abilitante del titolo ITP. In particolare, il giudice di prime cure ha richiamato la sentenza di questo Consiglio, Sezione VI, n. 4095/2021, secondo cui "(...) il possesso del diploma rilasciato da un Istituto tecnico professionale non ha valore di per sé abilitante, pertanto non è idoneo all'inserimento nelle GAE e nella II fascia delle GI; presupposto necessario per l'accesso alle stesse è che gli ITP siano in possesso di abilitazione o d'idoneità all'insegnamento, diversa dal ed ulteriore al titolo di studio posseduto in illo tempore (diploma) e conseguita a seguito di concorsi per titoli e/o per esami, anche ai soli fini abilitanti (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 6 luglio 2018 n. 3158; id., 23 luglio 2018 n. 4503; id., 8 aprile 2019 n. 2268; id., 9 luglio 2019 n. 4820; id., 24 aprile 2020 n. 2632 - infatti, di regola il possesso del diploma rilasciato da un Istituto tecnico professionale non ha di per sé valore abilitante, onde non è idoneo all'inserimento nelle GAE e nella II fascia delle GI, per accedere alle quali occorre che gli ITP siano effettivamente in possesso d'un titolo di abilitazione o d'idoneità all'insegnamento, conseguiti a seguito di concorsi per titoli e/o per esami, anche ai soli fini abilitanti, o di uno degli specifici titoli di abilitazione previsti dal vigente ordinamento; - in particolare, il predetto diploma non ha in sé valore abilitante, né tale valore può desumersi dal DM 39/1998, poiché quest'ultimo si limitò ad ordinare le classi di concorso, senza incidere sulle vigenti norme inerenti all'abilitazione all'insegnamento ed ai modi per conseguirla per il vigente ordinamento, sicché il mero possesso del diploma ITP, sol perché conseguito in un sistema che non si curava della concreta formazione del personale da destinare all'insegnamento, è adesso divenuto sempre inopponibile ed insufficiente all'iscrizione nella II fascia delle GI; - neppure convince la mancanza di percorsi abilitanti ordinari per i diplomati ITP nel previgente ordinamento, in quanto, a parte che più volte tali percorsi furono attivati per gli insegnanti tecnico-pratici -onde chi non volle parteciparvi, imputet sibi-, tal vicenda non è invocabile a guisa di sanatoria per consentire comunque l'iscrizione al personale sprovvisto del prescritto titolo di abilitazione (che s'aggiunge al e non si confonde col titolo di studio del vecchio ordinamento) a detta II fascia, la quale, com'è noto, permette l'accesso direttamente l'insegnamento (....)". Il ricorso è stato respinto in quanto infondato. DIRITTO In sede di appello, è stato dedotta l'erroneità della decisione del TAR. In particolare sono dedotti i seguenti motivi: I.VIOLAZIONE DEL REGIME TRANSITORIO E DEROGATORIO PREVISTO, PER GLI INSEGNANTI TECNICO PRATICI, DALL'ART. 402 DEL D. LGS N. 297/1994, DALL'ART. 3, COMMA 2, DEL DPR N. 19/2016 E DALL'ART. 22, COMMA 2, DEL DECRETO LEGISLATIVO 13 APRILE 2017 Preliminarmente, gli appellanti evidenziano che l'art. 4 della L. 124/1999 distingue tre tipologie di supplenze del personale docente - che danno luogo al conferimento di incarichi a tempo determinato - e indica a quali graduatorie attingere per le nomine: ( (supplenze annuali (fino, cioè, al 31 agosto), per la copertura di cattedre e posti di insegnamento effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico. Per il conferimento di tali supplenze si utilizzano le graduatorie ad esaurimento (GAE); ( (supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche (fino, cioè, al 30 giugno), per la copertura di cattedre e posti di insegnamento non vacanti, di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico, ovvero per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario (intendendo per posti orario gli abbinamenti di spezzoni che non raggiungono l'orario di cattedra). Per il conferimento di tali supplenze si utilizzano le GAE; ( (supplenze temporanee più brevi, nei casi diversi da quelli citati. Per il conferimento di tali supplenze si utilizzano le graduatorie di circolo o di Istituto. La disciplina per l'affidamento delle supplenze è stata definita più nel dettaglio con il regolamento emanato con DM 131/2007. Nello specifico, evidenziano gli appellanti che in base all'art. 5: la prima fascia delle graduatorie d'istituto comprende gli aspiranti inseriti nelle GAE per il medesimo posto o classe di concorso cui è riferita la graduatoria di circolo o di istituto; la seconda fascia comprende gli aspiranti non inseriti nella corrispondente GAE ma forniti di specifica abilitazione; la terza fascia comprende gli aspiranti che, come i ricorrenti, sono semplicemente forniti di titolo di studio valido per l'accesso all'insegnamento richiesto. Rispetto al quadro esposto, l'art. 1-quater del decreto legge 29 ottobre 2019, n. 126 - recante misure di straordinaria necessità ed urgenza in materia di reclutamento del personale scolastico e degli enti di ricerca e di abilitazione dei docenti - ha previsto "al fine di ottimizzare l'attribuzione degli incarichi di supplenza" la costituzione di nuove graduatorie provinciali (in sigla G.P.S) da utilizzare, in subordine alle GAE, dall'a.s. 2020/2021 per il conferimento delle supplenze annuali e delle supplenze fino al termine delle attività didattiche. Infine, il decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22, recante "Misure urgenti sulla regolare conclusione e l'ordinato avvio dell'anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato nonché in materia di procedure concorsuali e di abilitazione e per la continuità della gestione accademica", convertito, con modificazioni, dalla legge 06 giugno 2020, n. 41, con l'articolo 2, comma 4-ter, ha previsto che in considerazione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, le procedure di istituzione delle graduatorie di cui all'articolo 4, commi 6-bis e 6-ter, della legge 3 maggio 1999, n. 124, come modificato dal comma 4 dello stesso articolo, e le procedure di conferimento delle relative supplenze per il personale docente ed educativo, ad esclusione di ogni aspetto relativo alla costituzione e alla composizione dei posti da conferire a supplenza, siano disciplinate, in prima applicazione e per gli anni scolastici 2020/2021 e 2021/2022, anche in deroga all'articolo 4, comma 5, della predetta legge, con ordinanza del Ministro dell'istruzione ai sensi del comma 1, al fine dell'individuazione nonché della graduazione degli aspiranti. Evidenziano gli appellanti che il Ministero oggi resistente, ai sensi dell'articolo 2, comma 4-ter, del decreto legge 8 aprile 2020, n. 22, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2020, n. 41, con l'ordinanza n. 60 del 10 luglio 2020 ha emanato disposizioni specifiche per disciplinare l'aggiornamento delle Graduatorie Provinciali per le Supplenze da disporre sui posti vacanti in organico di diritto (con scadenza al 31 agosto) e sui posti vacanti in organico di fatto (con scadenza al 30 giugno) distinguendole in due fasce: la prima riservata ai docenti in possesso di specifica abilitazione o idoneità al concorso; e la seconda aperta ai docenti abilitati in altre classi di concorso, oppure già inseriti nelle precedenti graduatorie d'istituto o, infine, in possesso dei titoli necessarie per la partecipazione ai concorsi a cattedre ai sensi dell'art. dell'articolo 5, commi 1, lettera b), e 2, lettera b), del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59 (ossia, in possesso del titolo di studio valido per l'accesso all'insegnamento e di 24 crediti formativi universitari o accademici). Osservano gli appellanti che, coerentemente con il dato normativo, il Ministero resistente ha collocato nella seconda fascia delle GPS tutti i docenti che fossero in possesso dei requisiti d'accesso al concorso ordinario (oppure che fossero inseriti nella terza fascia delle G.I). Nel far ciò, tuttavia, secondo gli appellanti l'amministrazione convenuta ha omesso di considerare che gli insegnanti tecnico pratici sono assoggettati a un regime derogatorio e transitorio ai fini dell'accesso all'insegnamento richiesto e per la partecipazione ai concorsi a cattedre. Il titolo di studio degli insegnanti tecnico pratici è, ad avviso degli appellanti, idoneo per l'accesso all'insegnamento richiesto ai sensi della tabella C del Decreto Ministeriale n. 39 del 30 gennaio 1998 e valido per la partecipazione al concorso a cattedre già ai sensi dell'art. 402 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. Se, dunque, rilevano gli appellanti, i corsi di sostegno didattico sono riservati esclusivamente al personale docente abilitato e/o in possesso di un titolo di studio idoneo per la partecipazione ai concorsi a cattedre, se ne deduce che la negazione dell'idoneità del titolo ITP ai fini dell'inserimento nelle GPS, insieme agli altri docenti in possesso di un titolo di studio valido per l'accesso ai concorsi e per la partecipazione ai corsi di specializzazione didattica per le attività di sostegno, sarebbe del tutto illogica e incoerente con il descritto quadro normativo. E ciò anche perché, ribadiscono gli appellanti, ai sensi dell'art. 2 della legge 06 giugno 2020, n. 41, l'ordinanza ministeriale istitutiva delle GPS avrebbe potuto disciplinare unicamente "le procedure di conferimento delle relative supplenze per il personale docente ed educativo, ad esclusione di ogni aspetto relativo alla costituzione e alla composizione dei posti da conferire a supplenza". II. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI AFFIDAMENTO L'illegittimità degli atti impugnati, infine, deriva secondo gli appellanti anche dalla lesione del principio dell'affidamento, che a sua volta discende dalla legittima aspettativa degli interessati sulla transitoria validità del titolo di studio posseduto ai fini del conferimento delle supplenze. L'affidamento si sostanzia nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel danno subito a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta; si tratta, in sostanza, di "un'aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell'amministrazione fondata sulla buona fede" (così Cass. civ., sez. un., ord. 28 aprile 2020, n. 8236). I principi posti in luce dalla giurisprudenza in materia di tutela dell'affidamento calzano perfettamente, secondo gli appellanti, alle vicende di cui è causa. I ricorrenti, invero, sapevano di possedere un titolo di studio interinalmente valido per la stipula dei contratti a tempo indeterminato e per la partecipazione ai concorsi a cattedre. Onde la lesione della legittima aspettativa dei ricorrenti sulla validità di tale titolo di studio ai fini dell'inserimento nelle nuove graduatorie provinciali per le supplenze. III. SULL'ILLEGITTIMITÀ DELLE DISPOSIZIONI SECONDO LE QUALI LE DOMANDE DEVONO ESSERE PRESENTATE ESCLUSIVAMENTE CON MODALITÀ TELEMATICA PER VIOLAZIONE DELL'ART. 51, COMMA 1, DELLA COSTITUZIONE E DELL'ART. 4, COMMI 1 E 2, DEL DPR 487/1994. È altresì evidente l'illegittimità, secondo gli appellanti, per violazione dell'art. 51, comma 1, della Costituzione, di un atto amministrativo che determini una aprioristica preclusione alla stessa presentazione delle domande di partecipazione al concorso. La possibilità di produrre domanda esclusivamente con modalità via web, violerebbe anche l'art. 4, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 487/1994, ai sensi del quale le domande di ammissione al concorso possono essere redatte in carta semplice. L'attualizzazione della normativa concorsuale determina la possibilità di presentare le domande di partecipazione ad una procedura non già in via esclusiva ma, come modalità alternativa, anche in via telematica. Risulterebbe quindi evidente come l'Amministrazione oggi resistente non avrebbe potuto considerare tamquam non essent le domande redatte in carta semplice e tempestivamente indirizzate dai ricorrenti a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento. In conclusione, gli appellanti formulano richiesta di accoglimento dell'appello, con conseguente obbligo conformativo dell'amministrazione resistente di inserire i ricorrenti nelle GPS di rispettivo interesse. L'appello non può essere accolto in quanto non fondato. Osserva il Collegio che, a partire dall'orientamento espresso dalla sentenza n. 4503/2018, si è sviluppata una costante giurisprudenza di questo Consiglio dalla quale si evince la distinzione tra titoli abilitanti e titoli di accesso all'insegnamento: nell'ambito di questi ultimi si colloca il diploma tecnico posseduto dagli appellanti. Da ultimo, con la sentenza della Sezione n. 11598/22, si è ribadito che "La giurisprudenza di questo consesso, dopo la sentenza n. 4503 del 2018, si è orientata nel ritenere, da un lato, che per l'iscrizione - che consente l'accesso diretto all'attività di insegnamento - sia necessario il possesso di un titolo abilitante, e, dall'altro, che il diploma di insegnante tecnico-pratico posseduto dagli attuali appellanti non attribuisce il predetto titolo". Nessuno dei tre motivi dedotti nell'atto di appello, pertanto, in conformità alla richiamata giurisprudenza della Sezione, qui condivisa, può essere accolto. Sussistono nondimeno peculiari motivi per la compensazione delle spese della presente fase tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Giovagnoli - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Rosaria Maria Castorina - Consigliere Marco Valentini - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4315 del 2017, proposto dal signor Lu. Gi. Fe. in proprio e nella qualità di legale rappresentante della ditta La Be. Ve. s.a.s. di Lu. Gi. Fe. & C., entrambi rappresentati e difesi dagli avvocati Ro. Fo. e Lu. Ma., con domicilio eletto presso lo studio degli stessi in Roma, via (...); contro il Ministero delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sezione seconda, n. 11584 del 21 novembre 2016. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2023 il consigliere Emanuela Loria; Viste le conclusioni delle parti come da verbale. FATTO e DIRITTO 1. L'oggetto del presente contenzioso è costituito dl provvedimento n. 101694 del 12 febbraio 2021 avente ad oggetto il Testimoniale di Stato per l'acquisizione del complesso alberghiero denominato "La Be. Ve." edificato dalla società La Be. Ve. s.a.s. all'inizio degli anni Sessanta su suolo demaniale (arenile del lago di Vi.). 2. La ricorrente ha rilevato di avere presentato numerose istanze (tra l'8 maggio 1959 e il 6 marzo 2000) tese all'ottenimento della concessione della porzione di arenile ma l'Amministrazione non avrebbe dato riscontro a tali richieste nonostante fosse approvato lo schema di disciplinare per la concessione. Tale atto (redatto dall'Ufficio speciale del Genio civile per il Te. e l'Agro romano) recava lo schema di disciplinare contenente le norme e le condizioni vincolanti la concessione, ma non il prezzo, sicché l'11 dicembre 2000 l'interessata ha inviato una perizia giurata intesa ad integrare il disciplinare onde determinare un canone provvisorio e si è impegnata a sanare ogni pendenza non appena l'Amministrazione avesse fornito i conteggi. Successivamente l'Amministrazione ha appreso dell'avvenuta redazione del Testimoniale di Stato per l'acquisizione dell'edificio indicato. 3. L'istante ha proposto ricorso al Tar per il Lazio, articolando tre motivi: I. Violazione degli obblighi di motivazione e comunicazione dell'avvio del procedimento: al riguardo, è stato osservato che il provvedimento incide su "posizioni soggettive consolidate dell'interessato", in assenza di ragioni di urgenza, posto che sono trascorsi quasi 40 anni dall'avvio dell'iter concessorio. II. Violazione dell'art. 47 del R.D. n. 726 del 895, il quale impone la riconsegna dell'area demaniale "nel pristino stato" al termine della concessione, e solo ove l'interessato chieda di essere esonerato dalla demolizione dei fabbricati consente la ritenzione di questi in proprietà dello Stato. Nel caso di specie, mancando una richiesta al riguardo, non sarebbe stato consentito emanare l'atto impugnato. III. Violazione dell'art. 97, lett. n), R.D. n. 523 del 25 luglio 1904 e degli obblighi di istruttoria e di motivazione, considerato che l'atto impugnato è stato adottato in assenza del parere tecnico-idraulico del Genio Civile e dell'autorizzazione prescritta per le opere realizzate sull'arenile. 4. Il T.a.r. per il Lazio, con la sentenza impugnata ha respinto il ricorso e la connessa domanda risarcitoria e ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio. 5. Con l'appello in esame, l'appellante ha articolato due motivi: 1. Errata interpretazione e falsa applicazione dell'art. 97 del R.D. 523 del 25 luglio 1904. Con il primo motivo viene sostanzialmente riproposto il terzo motivo del ricorso di primo grado: l'acquisizione al Demanio dei manufatti sarebbe stata effettuata senza il prescritto parere di esclusiva competenza del Genio Civile previsto dall'art. 97, lett. n), R.D. n. 523 del 25 luglio 1904. 2. Violazione e mancata applicazione dell'art. 96 del T.U. n. 523 del 1904. Con il secondo motivo è stato riproposto il secondo motivo del ricorso di primo grado. Sebbene l'appellante rilevi che la mancata autorizzazione da parte del Genio Civile avrebbe carattere assorbente, deduce che il Ministero delle Finanze, con l'impugnato provvedimento, avrebbe violato anche l'art. 96 del T.U. 523/1904. In presenza di costruzioni asseritamente abusive su demanio lacuale, il Demanio dovrebbe scegliere tra l'acquisizione o la demolizione e tale scelta non sarebbe di fatto praticabile allorché essi, sempre se posti su area demaniale, violino le norme sui vincoli apposti alle fasce di terreno sulle quali insistono. 6. L'Amministrazione non si è costituita in giudizio. 7. Alla pubblica udienza del 31 marzo 2023 la causa è stata spedita in decisione, non essendo necessario ai fini del decidere il rinvio richiesto in udienza dall'avvocato dell'appellante poiché la causa è matura per la decisione. 8. In via preliminare, si osserva che il primo motivo del ricorso di primo grado non è stato riproposto per cui si è formato il giudicato sulla parte della sentenza gravata che ha respinto il primo motivo (§ 5). 9. In punto di fatto si osserva che gli appellanti e il loro dante causa hanno edificato un complesso turistico-alberghiero insistente su un'area demaniale di circa mq. 2000 (tra aree coperte e scoperte) secondo i rilievi eseguiti dall'UTE del 1990 in assenza di autorizzazione e senza versare l'indennizzo determinato dall'UTE di Viterbo dal'1990 (limitandosi gli interessati a pagare importi in via provvisoria), fino a quando gli occupanti, in data 6 febbraio 1997, hanno ritenuto di determinare autonomamente il canone concessorio (in £ 3.783.780 per l'anno 1997, rivalutabili, somma molto inferiore alla stima UTE pari a £ 26.994.780) mediante una perizia giurata presentata ex art. 5, co. 7 e 7 ter, L.n. 507/95. Conseguentemente, l'Ufficio del Registro di Viterbo ha iscritto a ruolo le somme dovute dalla Società, ammontanti a centinaia di milioni di lire. Poi, sulla base delle direttive di cui alla nota n. 14205 del 3settembre 1996 della D.C. Territorio per il Lazio, Abruzzo e Molise, l'Ufficio del Territorio di Viterbo ha assunto in consistenza il complesso immobiliare in questione con verbale n. 35447 del 28 luglio 2000, avente valore di Testimoniale di Stato. Gli occupanti hanno diffidato e sollecitato l'Amministrazione ad adottare un atto di concessione, la quale non è stata rilasciata stante il rifiuto del nulla osta alla stipula da parte dell'Ufficio del Territorio di Viterbo che, a fronte dello schema di disciplinare da parte dell'Ufficio Speciale del Genio Civile, con nota del 13 novembre 2000 ha motivato la propria scelta negativa affermando che: - sarebbe stato impossibile rilasciare una concessione a chi ha giudizi pendenti con lo Stato e non è in regola con il pagamento degli indennizzi richiesti; - non erano stati presi in considerazione, nel disciplinare, taluni manufatti insistenti sull'arenile lacuale ed acquisiti con Testimoniale di Stato; - l'area occupata secondo il disciplinare (mq. 2688, 60) risultava maggiore rispetto a quella considerata dall'Ufficio (mq.2003 tra coperto e scoperto) per il calcolo degli indennizzi; - la superficie occupata risultava essersi progressivamente incrementata e ciò era ostativo alla regolarizzazione del rapporto, essendo impossibile individuare esattamente l'area occupata e, quindi, calcolare correttamente l'indennizzo. 10. In relazione al primo motivo d'appello - con il quale è stato riproposto il terzo motivo di primo grado - lo stesso è infondato oltre ad essere poco chiaro nella sua argomentazione logica in relazione alla posizione di interesse al ricorso (e quindi agli specifici motivi sollevati) che caratterizza il giudizio amministrativo. Infatti, le carenze contestate supportano (piuttosto che minare) il provvedimento impugnato, il quale, appunto, è stato adottato anche considerando che le costruzioni insistenti sull'arenile erano state realizzate in assenza delle prescritte autorizzazioni e che mancava il previsto parere tecnico-idraulico del Genio Civile. Invero, la Società non vanta posizioni giuridiche soggettive consolidate poiché ha abusivamente edificato e mantenuto l'area per oltre sessanta anni senza essere titolare di un atto concessorio e omettendo di pagare i canoni. 11. Anche il secondo motivo - con il quale è stato riproposto il secondo motivo del ricorso di primo grado - è infondato. L'art. 47 del R.D. n. 726 del 1895 obbliga la riconsegna dell'area demaniale "nel pristino stato" al termine della concessione e solo ove l'interessato chieda di essere esonerato dalla demolizione dei fabbricati si consente la ritenzione di questi in proprietà dello Stato. Secondo parte ricorrente, essendo mancata, nel caso di specie, una richiesta al riguardo, l'atto impugnato sarebbe illegittimo. Il motivo è infondato. L'interesse della Società è quello di ottenere la concessione, previo annullamento del provvedimento impugnato; ai sensi dell'art. 47 del citato R.D. la domanda dell'interessata avrebbe potuto riguardare l'esonero dall'obbligo di "rimettere e riconsegnare le aree al pristino stato" (vale a dire di rimuovere gli immobili abusivamente realizzati). La Società pertanto non può trarre un vantaggio dal fatto di non avere giustificato con una propria domanda l'acquisizione dei beni allo Stato per non voler essa stessa riconsegnare l'area nello stato originario, e quindi accollarsi l'onere della demolizione. In tal caso, infatti, l'interessata sarebbe stata obbligata a demolire direttamente gli immobili e a liberare il suolo, mentre la Società mirava ad ottenere la concessione. 12. Conclusivamente l'appello è da respingere. 13. Nulla si dispone sulle spese in assenza di costituzione dell'Amministrazione. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello r.g.n. 4315/2017, lo respinge. Nulla sulle spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Lopilato - Presidente FF Luca Lamberti - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2476 del 2018, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ru., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Na. in Roma, via (...); contro Al. Gu., rappresentato e difeso dall'avvocato Do. Vi., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti Città Metropolitana di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ve. Be., Ma. Ma. Ma., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Ma. Ma. in Napoli, piazza (...); Commissario ad acta arch. Lu. Sa., Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza 20 dicembre 2017, n. 5978 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione Seconda. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Città Metropolitana di Napoli e di Al. Gu.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 aprile 2023 il Cons. Vincenzo Lopilato, uditi per le parti gli avvocati, viste le conclusioni delle parti presenti, o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale. FATTO e DIRITTO 1.- Il sig. Gu. Al. è comproprietario, insieme al sig. Gu. Pi. Gi., di alcuni terreni siti nel Comune di (omissis). La Provincia di Napoli, con decreto del 14 maggio 1990, n. 71, approvava il piano regolatore generale del suddetto Comune, con stralcio di alcune aree, che, pertanto, era sottoposte al regime delle zone bianche. Il Comune, con delibera 22 settembre 2011, n. 94, adottava il nuovo strumento urbanistico che, però, la Provincia non approvava per difetto di coerenza. I terreni dei sig.ri Gu., essendo stati, in parte, "stralciati" dal piano regolatore generale sono rimati privi di classificazione urbanistica. La sig.ra Ac. Ma., dante causa dei sig.ri Gu., a fronte dell'inerzia del Comune aveva chiesto, ai sensi dell'art. 39 della legge della Regione Campania 22 dicembre 2004, n. 16, l'intervento sostitutivo della Provincia di Napoli, che, con atto del 25 febbraio 2014, n. 1501, ha nominato il commissario ad acta al fine di provvedere alla riclassificazione dell'area. Il Comune successivamente ha adottato le determinazioni 28 febbraio 2014, n 22 e n. 4426. I sig.ri Gu. hanno proposto, innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, azione avverso il silenzio nei confronti del Comune di (omissis) per non avere proceduto alla riclassificazione dei suddetti terreni. 2.- Il Tar, con sentenza 20 dicembre 2017, n. 5978: i) ha dichiarato inammissibile l'azione avverso il silenzio, in quanto il Comune, prima dell'instaurazione del processo, con le suddette determinazioni numeri 22 e 4426 del 2014, ha rigettato la domanda; ii) ha dichiarato illegittime tali determinazioni, in quanto "pur riconoscendo la sussistenza di un obbligo a provvedere all'adozione di una idonea disciplina urbanistica addivengono ad un diniego nonostante il contenuto inequivoco delle osservazioni presentate dagli interessati" ed ha fissato il termine di duecentoquaranta giorni dalla comunicazione della sentenza per la classificazione dell'area dei ricorrenti. 3.- Il Comune ha impugnato tale sentenza, rilevando che gli atti impugnati sono legittimi, avendo il Comune, per evitare discriminazioni, rigettato le istanze di riclassificazione al fine di procedere ad una riclassificazione complessiva delle aree. 3.1.- Si sono costituiti in giudizio i ricorrenti di primo grado, chiedendo il rigetto dell'appello e proponendo appello incidentale con richiesta di riforma della sentenza impugnata nella parte in cui, da un lato, ha concesso un termine troppo lungo al Comune per provvedere, dall'altro, non ha disposto la reviviscenza, a seguito dell'annullamento dei provvedimenti comunali, delle determinazioni provinciali di nomina del commissario. 3.2.- Il Comune, con memoria del 22 febbraio 2023, ha chiesto che venga dichiarato improcedibile il ricorso in appello, in quanto ha approvato, con delibera pubblicata in data 4 luglio 2022, il nuovo piano urbanistico comunale, che ha proceduto alla classificazione urbanistica anche dell'area di proprietà degli appellati. 3.3.- Questi ultimi, con memoria del 3 marzo 2023, si sono opposti alla dichiarazione di improcedibilità . In particolare, hanno fatto presente che, nelle more del giudizio, lo stesso Tar ha accolto, con sentenza 15 aprile 2019, n. 2106, il ricorso di ottemperanza ed ha assegnato al Comune il termine di centoventi giorni per dare esecuzione alla sentenza di cognizione sopra indicata, nominando, in caso di persistente inadempimento, quale commissario ad acta, il Provveditore alle opere pubbliche della Campania, Molise, Puglia e Basilicata. Il commissario ha già avviato la fase di consultazione e di partecipazione popolare ed "è prossima l'adozione, da parte del commissario, della variante al piano regolatore generale per la riclassificazione urbanistica dell'area" in esame. 4.- La causa è stata decisa all'esito dell'udienza pubblica del 6 aprile 2023. 5.- Il ricorso in appello deve essere dichiarato improcedibile per difetto di interesse. 5.1.- L'art. 35, la cui rubrica reca "pronunce di rito", dispone che il ricorso è dichiarato "improcedibile quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione" (comma 1, lett. c.). L a sopravvenuta carenza di interesse presuppone la mancanza di interesse alla decisione perché, tra l'altro: i) il ricorrente non ha impugnato un atto presupposto o collegato da cui derivano effetti sfavorevoli; ii) il provvedimento impugnato si basa su più ragioni indipendenti e sono state censurate soltanto alcune di esse; iii) sopravviene un atto o un fatto che rende sostanzialmente inutile l'eventuale annullamento dell'atto impugnato; iv) la parte dichiara di non avere più interesse alla decisione (Cons. Stato, sez. IV, 17 marzo 2023, n. 2768; Cons. Stato, sez. VI, 11 ottobre 2021, n. 6824). 5.2.- Nel caso in esame, ricorre sia una oggettiva sopravvenienza, costituita dall'adozione del nuovo piano regolatore generale, sia la espressa richiesta della parte appellante. Non sussistono ostacoli a tale dichiarazione in ragione della avvenuta nomina del commissario ad acta nel giudizio di ottemperanza. L'Adunanza plenaria, con sentenza 25 maggio 2021, n. 8, ha ritenuto che anche a seguito di tale nomina l'amministrazione, fino a quando non viene adottata la determinazione finale, non perde il potere di regolare il rapporto controverso. In particolare, si è affermato che: "a) il potere dell'amministrazione e quello del commissario ad acta sono poteri concorrenti, di modo che ciascuno dei due soggetti può dare attuazione a quanto prescritto dalla sentenza passata in giudicato, o provvisoriamente esecutiva e non sospesa, o dall'ordinanza cautelare fintanto che l'altro soggetto non abbia concretamente provveduto; b) gli atti emanati dall'amministrazione, pur in presenza della nomina e dell'insediamento del commissario ad acta, non possono essere considerati di per sé affetti da nullità, in quanto gli stessi sono adottati da un soggetto nella pienezza dei propri poteri, a nulla rilevando a tal fine la nomina o l'insediamento del commissario". Ne consegue che l'atto successivo, costituito dal nuovo strumento urbanistico, adottato dall'amministrazione priva di qualunque oggettiva utilità la decisione del merito di questa causa. Infatti, anche qualora l'appello principale venisse rigettato, in ogni caso il rapporto giuridico sarebbe ugualmente regolato dal nuovo provvedimento sopravvenuto. Lo stesso vale per l'appello incidentale, in quanto anche in questo caso dall'eventuale accoglimento non deriverebbe alcuna utilità per le parti. Rimangono ferme le forme di tutela che le parti, ricorrendone i presupposti, intenderanno azionare nei confronti di tale sopravenuta decisione amministrativa. 6.- La natura della controversia giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando: a) dichiara l'improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell'appello principale e dell'appello incidentale; b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Vincenzo Lopilato - Consigliere, Estensore Luca Lamberti - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni - Presidente Dott. MOCCI Mauro - Consigliere Dott. CARRTO Aldo - rel. Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. CRISCUOLO Mauro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 31397-2021 proposto dal: COMUNE DI TERMOLI, in persona del Sindaco pro-tempore, domiciliato "ex lege" in ROMA, presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente - contro MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, MINISTERO ECONOMIA FINANZE, AGENZIA DEL DEMANIO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 232/2021 della CORTE D'APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 6/7/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/2022 dal Consigliere ALDO CARRATO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Aldo Ceniccola, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso, conclusioni ribadite anche in sede di discussione nella citata udienza; letta la memoria depositata dalla difesa del ricorrente ai sensi dell'articolo 378 c.p.c.: uditi gli Avvocati (OMISSIS), per delega dell'Avv. Vincenzo Mastrangelo; RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE 1. Con sentenza n. 195/2013 (pubblicata il 6 maggio 213), il Tribunale di Campobasso rigettava la domanda proposta dal Comune di Termoli - nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze oltre che dell'Agenzia del Demanio - per sentir dichiarare l'insussistenza dei requisiti di demanialita' marittima, pretesa dalla suddette Amministrazioni, nel litorale Sud, denominato (OMISSIS), relativo ai terreni ubicati fra la strada comunale "(OMISSIS)" e la spiaggia c.d. "(OMISSIS)", a iniziare dal torrente omonimo fino alla Localita' c.d. "(OMISSIS)", sulla base della planimetria allegata all'atto di citazione. 2. Decidendo sul gravame formulato dal soccombente Comune attore e nella costituzione delle citate Amministrazioni convenute, la Corte di appello di Campobasso, con sentenza n. 232/2021 (pubblicata il 6 luglio 2021), ha rigettato l'impugnazione, compensando le spese del grado. A sostegno dell'adottata pronuncia la Corte molisana rilevava l'infondatezza dell'unica complessa censura addotta a sostegno dell'appello, con la quale si era inteso sostenere che il procedimento amministrativo di delimitazione avviato nel 1910 non si fosse completato, poiche' la delimitazione della proprieta' demaniale operata nel 1912 non era aveva costituito oggetto di approvazione con apposito decreto, per cui il confine tracciato non si sarebbe potuto considerare giuridicamente valido. In particolare, la Corte di secondo grado smentiva l'assunto dell'ente appellante secondo cui le citate operazioni avrebbero potuto avere un esclusivo rilievo al fine di una "sdemanializzazione tacita" delle aree accedenti la linea di delimitazione, con l'effetto che la nuova linea di demarcazione di cui al verbale del 10 marzo 1981 avrebbe individuato il demanio marittimo, separandolo da cio' che non aveva piu' le sue precipue caratteristiche e stabilendo - in effetti - che la zona individuata con il foglio 22 non era piu' assoggettabile a tali tipo di demanio, avendo, pertanto, acquisito la natura di "patrimonio disponibile dello Stato", che, in quanto tale, avrebbe dovuto ritenersi usucapita da tutti gli occupanti. Pertanto, a confutazione del contenuto dell'atto di appello, la Corte territoriale riteneva che si dovesse ritenere valida, oltre che pienamente attendibile, l'attivita' di ricognizione svolta nel 1910 e nel 1912 (ancorche' quest'ultima fosse stata classificata come "Antico Demanio"), in quanto idonea ad individuare i confini del demanio marittimo relativamente alla zona in contestazione, senza potersi, invece, riconoscere alcuna rilevanza al citato verbale di demarcazione del 10 marzo 1981, in quanto non seguito dall'approvazione delle autorita' competenti a valutare la non necessarieta' del beni ai fini del codice della navigazione. Osservava, inoltre, la Corte molisana che non poteva, altresi', considerarsi influente la "sclassificazione" dei terreni ricadenti nel demanio marittimo di cui al Decreto Legge n. 80 del 2004, articolo 6, comma 2-bis (aggiunto dalla legge di conversione n. 140/2004), come, in seguito, parzialmente modificato dalla L. n. 205 del 2017, rilevando che la collocazione della nuova linea di delimitazione secondo le risultanze catastali, con decorrenza retroattiva, non aveva avuto pratica attuazione da parte degli Uffici competenti, non essendo stata recepita in alcun espresso provvedimento amministrativo. 3. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, il Comune di Termoli. L'Agenzia del Demanio, il Ministero dell'Economia e delle Finanze ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti hanno resistito con un unico controricorso. La difesa del ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell'articolo 378 c.p.c.. RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Legge n. 80 del 2004, articolo 6 comma 2-bis conv. nella L. n. 104 del 2004, come modificato dalla L. n. 205 del 2017, articolo 1, comma 907, e dell'articolo 822 c.c. e articolo 28 c.n., relativamente alla dizione "Antico Demanio" ed alla sua qualificazione come demanio disponibile, nonche' della direttiva del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) del 15 aprile 2008, prot. (OMISSIS). Si evidenzia che, tradizionalmente, la dizione di Antico Demanio designa quei beni che, in quanto provenienti dal patrimonio degli stati preunitari ovvero degli enti ecclesiastici, appartengono allo Stato ma fanno parte del suo patrimonio disponibile. Si aggiunge che, nella specie, il verbale di delimitazione del 19 marzo 1912 distingueva tra la spiaggia, ovvero la fascia di terreno piu' prossima al mare, indicata come demanio marittimo, dalla fascia piu' interna, invece designata come demanio patrimoniale, specificando che tale distinzione aveva trovato, poi, conferma nell'istituzione del catasto particellare, in quanto solo la prima fascia e' stata indicata come Demanio pubblico dello Stato - Ramo Marina Mercantile, trovando la seconda fascia l'assegnazione al Demanio pubblico - Antico Demanio. Tale distinzione, che ha poi corrispondenza anche nelle diverse modalita' di gestione dei beni, conforterebbe quindi il fatto che la fascia piu' interna, ove sono ubicati i beni dei ricorrenti, e' parte del patrimonio disponibile. 2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del Decreto Legge n. 80 del 2004, articolo 6, comma 2-bis (come convertito dalla L. n. 140/2004), e successive modifiche, censurando l'impugnata sentenza nella parte in cui ha affermato che la norma non sia immediatamente esecutiva, ma necessiti di ulteriori adempimenti amministrativi per la sua vigenza. Si sostiene che l'impugnata sentenza, negando l'immediata applicazione della modifica del 2017, ha erroneamente interpretato la legge che e' suscettibile di immediata applicazione quanto all'individuazione dei beni demaniali. Cio' troverebbe risposta nel contenuto della citata Direttiva, che chiarisce come lo scopo della innovazione normativa sia stato proprio quello di risolvere il contenzioso venutosi a creare con i privati, ribadendo il carattere meramente ricognitivo dell'attivita' amministrativa cui fa richiamo la legge. 3. Rileva il collegio che i due formulati motivi - esaminabili congiuntamente, perche' all'evidenza tra loro connessi - investono la decisiva questione dell'incidenza sulla vicenda in esame della novella normativa del 2017, con la quale e' stato aggiunto il Comune di Termoli a quelli originariamente contemplati nella L. n. 140 del 2004, articolo 6, comma 2-bis di conversione del Decreto Legge n. 80 del 200, con cui e' stata prevista, con efficacia retroattiva, una riqualificazione dell'area demaniale marittima, conformemente alle risultanze catastali. 4. Ritiene opportuno il collegio riassumere preventivamente le vicende che hanno determinato il presente contenzioso. Come si ricava dallo svolgimento fattuale della vicenda e dal contenuto delle due sentenze emesse nei due gradi di merito, i beni di cui si controverte ricadono in una fascia litoranea delimitata ad est dal mare Adriatico e ad ovest da una linea di demarcazione del demanio marittimo suddivisa in due tratti distinti, tracciati in base ad un verbale di delimitazione redatto a questo fine il 19 marzo 1912 di concerto tra un rappresentante dell'amministrazione marittima periferica dello Stato ed un funzionario dell'Ufficio Tecnico di Finanza di Campobasso, il primo dei quali e' compreso fra la riva superiore o sinistra del fiume Biferno, a sud, e la riva inferiore o destra del torrente "Rio Sei Voci", a nord, mentre il secondo tratto corre fra la riva superiore o sinistra del torrente "Rio Sei Voci", a sud, e la riva inferiore o destra del torrente "Rio Vivo", a nord, e si identifica con il limite naturale rappresentato dalla linea di base dell'altopiano che dal centro di Termoli digrada verso sud. Detto verbale e l'allegata planimetria individuano anche la fascia piu' interna appartenente al patrimonio dello Stato (c.d. "demanio patrimoniale"), chiarendo, peraltro, che essa si estende dalla riva superiore o sinistra del fiume Biferno, a sud, fino alla riva inferiore o destra del torrente "Rio Sei Voci", a nord, e che nel tratto a monte fra la riva superiore o sinistra del torrente "Rio Sei Voci" e la riva inferiore o destra del torrente "Rio Vivo" non esistono terreni appartenenti al patrimonio dello Stato ma soltanto suoli del demanio marittimo delimitato dalla linea naturale dell'altopiano, di cui la planimetria allegata al verbale del 19 marzo 1912 riporta appunto il tratto tra i torrenti "Rio Vivo" e "Rio Sei Voci". I Ministeri delle Finanze e dei Trasporti e della Navigazione e l'Agenzia del Demanio hanno, quindi, rivendicato l'appartenenza al demanio marittimo di parte dei terreni occupati dalle controparti private, ed hanno allegato, a supporto della tesi della demanialita', il verbale di delimitazione del 19/3/1912 sopra richiamato. I privati, dal canto loro, e, nel caso di specie, il Comune di Termoli, hanno chiesto l'accertamento negativo dell'appartenenza dei beni stessi al demanio marittimo. Cio' precisato, e' agevole rilevare, in primo luogo, che entrambe le posizioni processuali hanno ad oggetto l'accertamento, rispettivamente positivo e negativo, dei caratteri fisici nei quali si compendia la demanialita' marittima e che il verbale di delimitazione del 19/3/1912 e' stato richiamato dalle Amministrazioni del demanio in funzione della prova della demanialita' marittima delle aree rivendicate. Il verbale di delimitazione de quo si inseriva nel quadro di un'annosa vertenza fra l'Amministrazione del demanio dello Stato, da un lato, e, dall'altro, il Comune di Termoli nonche' altri soggetti che avevano occupato gli arenili del litorale posto a sud dell'abitato di Termoli. A ridosso della fascia demaniale marittima insisteva un'area composita formata da immobili appartenenti al patrimonio dello Stato, provenienti dalle proprieta' pubbliche dell'epoca preunitaria (c.d. "demanio patrimoniale"), e antichi demani delle comunita' locali. Detta area era stata anche oggetto di occupazioni da parte di privati cittadini e tale situazione di fatto, unitamente alle rivendicazioni del Comune di Termoli, aveva interessato la fascia costiera che l'amministrazione marittima riteneva compresa nel demanio marittimo. Di tale controversia si diede atto nel verbale dell'adunanza tenutasi in Termoli il 23/24 novembre 1910, fra il capo del compartimento marittimo di Ancona, un funzionario delegato dall'Intendente di Finanza di Campobasso ed il Commissario del Comune di Termoli, e si richiamo' anche un provvedimento adottato dal Ministero della Marina mercantile nel 1890, con il quale si era ritenuto di limitare la fascia demaniale marittima entro un raggio di 35 metri misurati dal "battente del mare". In una successiva riunione tenutasi in Termoli il 14/3/1912, alla quale intervennero funzionari dell'Intendenza di Finanza e della Prefettura di Campobasso ed il Sindaco del Comune di Termoli, fu tracciata, su una planimetria risalente al 1846 accettata da tutte le parti intervenute alla precedente adunanza del 23/24 novembre 1910, la linea di demarcazione fra il demanio marittimo e la proprieta' comunale nel tratto compreso fra il torrente "Rio Vivo" ed il torrente "Rio Sei Voci", costituita dalla linea che separava la spiaggia dall'altopiano retrostante, e la linea di demarcazione fra il demanio marittimo ed il patrimonio disponibile dello Stato nel tratto compreso fra il torrente "Rio Sei Voci" ed il fiume Biferno, contrassegnata da sei punti nei quali sarebbero stati apposti altrettanti termini lapidei. Con il successivo verbale del 19/3/1912 piu' volte richiamato, infine, si provvide alla materiale apposizione dei termini lapidei con la partecipazione del delegato del capo del compartimento marittimo di Ancona, come stabilito nel verbale del 14/3/1912, e la delimitazione cosi' operata ricevette l'approvazione del Ministero della Marina mercantile con dispaccio n. 2353 dell'11/4/1912. La contestazione in merito all'esatta delimitazione dell'area demaniale rispetto a quella invece suscettibile di appropriazione anche da parte dei privati ha, quindi, determinato l'insorgenza del contenzioso, di cui il presente procedimento e' solo uno dei numerosi rivoli. La situazione dei privati ha visto, peraltro, l'interessamento anche della Regione che a suo tempo, ed in relazione al contenzioso che aveva interessato anche i vicini Comuni di Campomarino e Vasto, sollevo' conflitto di attribuzione, denunciando proprio le iniziative avanzate dalle Amministrazioni odierne controricorrenti. La Corte costituzionale, pero', con la sentenza n. 150/2003, dichiaro' inammissibile il ricorso, in quanto la contestazione delle intimazioni a privati, possessori di aree asseritamente demaniali, di pagamento di indennita' per abusiva occupazione e di rilascio degli immobili sulle stesse costruiti, non investiva funzioni attribuite alla Regione, ma conteneva la rivendicazione delle stesse invocando la titolarita' del bene cui ineriscono, osservando che alla luce dell'assetto normativo relativo al demanio marittimo, il reale oggetto della controversia proposta davanti alla Corte era costituito non dalla estensione delle funzioni regionali, ma dalla rivendica della titolarita' del demanio marittimo (estranea ai conflitti di cui all'articolo 134 Cost.), cui ineriscono le funzioni contestate, come del resto confermava la richiesta della ricorrente di dichiarare superato lo stesso concetto di demanio statale attraverso una pronuncia di illegittimita' costituzionale dell'articolo 822 c.c., comma 1. Il quadro normativo e' stato poi modificato dalle leggi della Regione Molise L. 5 maggio 2006, n. 5 e L. 27 settembre 2006, n. 28. La Legge Regionale 5 maggio 2006, n. 5, articolo 3, comma 1, aveva individuato le aree demaniali marittime della costiera molisana e delle antistanti zone del mare territoriale indicando come linee di demarcazione, per i litorali sud e nord del Comune di Termoli, rispettivamente la linea di demarcazione determinata con verbale del dicembre 1984 dalla Capitaneria di Porto di Pescara e la SS n. 16 "Europa 2" ovvero l'eventuale, diversa e piu' restrittiva demarcazione demaniale proposta dal S.I.D. (Sistema Informatico del Demanio) verso il mare, risultante dagli atti ufficiali. E', pero', insorto il dubbio che la nuova delimitazione del demanio marittimo regionale avesse la sola funzione di delimitare l'ambito territoriale entro il quale la Regione Molise ed i Comuni molisani dovessero esercitare le funzioni amministrative in materia di demanio marittimo loro rispettivamente attribuite e non estendesse i suoi effetti alla disciplina della proprieta' dei beni pubblici e privati sul litorale costiero molisano. Tuttavia, la costante giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr.: Corte costituzionale 19 ottobre 2007, n. 344; Corte costituzionale 6 luglio 2007 n. 255; Corte costituzionale 10 marzo 2006, n. 89) ha posto in risalto che l'attribuzione alle Regioni delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo comporta l'individuazione automatica del loro ambito territoriale di applicazione, coincidente con le zone che l'articolo 822 c.c. e l'articolo 28 codice navale qualificano come demanio marittimo, con la conseguenza che sarebbe assolutamente inutile una disposizione legislativa regionale che operasse una individuazione riduttiva dell'ambito territoriale di esercizio delle funzioni amministrative anzidette. Una disposizione di tal genere, infatti, sarebbe priva di effetto e non impedirebbe alla Regione ed ai Comuni l'esercizio delle funzioni loro rispettivamente attribuite in materia di demanio marittimo anche in ambiti territoriali che, pur non ricadendo nella delimitazione operata dalla norma regionale, siano tuttavia compresi nella nozione di demanio marittimo assunta dall'articolo 822 c.c. e articolo 28 c.n.. A fugare ogni dubbio sull'effettiva portata della delimitazione operata dalla Legge Regionale 5 maggio 2006, n. 5, articolo 3, comma 1, era intervenuta la disposizione di cui alla Legge Regionale 27 settembre 2006, n. 28, articolo 12, comma 6, che - con norma di interpretazione autentica vincolante per l'interprete - aveva stabilito che le disposizioni di cui alla Legge Regionale 5 maggio 2006, n. 5, articolo 3, citato comma 1 dovevano essere interpretate nel senso di determinare quali erano nella Regione Molise le zone di cui all'articolo 822 c.c. e articolo 28 c.n.. In base a tale norma interpretativa, dunque, si intendeva affermare che la Legge Regionale 5 maggio 2006, n. 5, articolo 3, comma 1, assumeva rilievo anche ai fini del diritto privato, individuando l'ambito della proprieta' demaniale marittima nella Regione Molise e non la sola estensione territoriale di esercizio delle funzioni amministrative della Regione e dei Comuni in materia di demanio marittimo. Tuttavia la successiva sentenza della Corte costituzionale n. 370 del 5/14 novembre 2008, ha dichiarato incostituzionali la Legge Regionale Molise 5 maggio 2006, n. 5, articolo 3, il comma 1 ed della Legge Regionale Molise 27 settembre 2006, n. 28, articolo 12, il comma 6 essendo stati ritenuti in contrasto con l'articolo 117 Cost., comma 2, lettera l), per avere il legislatore regionale invaso una materia - la proprieta' dei beni pubblici - riservata alla competenza esclusiva del legislatore statale. Tali disposizioni normative regionali, infatti, essendo rivolte alla disciplina della proprieta' dei beni pubblici e privati sul litorale costiero molisano, si rivelavano incompatibili con la ripartizione delle funzioni legislative tra lo Stato e le Regioni anche alla luce del novellato articolo 117 Cost., che al comma 2, lettera l) riserva allo Stato non soltanto "la giurisdizione e le norme processuali" ma anche "l'ordinamento civile", in tal modo significando che il diritto sostanziale civile, nell'ambito del quale certamente rientra la regolamentazione della proprieta' pubblica e privata con le relative definizioni e delimitazioni, costituisce materia di esclusiva competenza statale, sulla quale le Regioni non possono percio' in alcun modo legiferare, pena l'incostituzionalita' delle norme che nonostante cio' fossero emanate con la finalita', diretta o indiretta, di disciplinare la proprieta' dei beni pubblici. In virtu' di detta declaratoria di incostituzionalita', quindi, la delimitazione operata dalla L. della Regione Molise 5 maggio 2006, n. 5, articolo 3, comma 1 e' stata definitivamente espunta ex tunc dal sistema normativo e non avuto piu' alcuna incidenza nella presente controversia, ritornandosi quindi alla valenza della risalente delimitazione del 1912. Anche la Corte di appello ha attribuito prevalenza a tale attivita' di delimitazione, reputando che la qualifica di bene demaniale dovesse avvenire secondo quanto previsto nel verbale del 19/3/1912. A tal fine e' stato anche svalutato l'argomento speso dalla difesa dei privati, secondo cui la porzione di terreno dai medesimi occupata era catastalmente qualificata come "Antico Demanio", atteso che la stessa non derivava dalla delimitazione del demanio marittimo operata con il verbale del 19/3/1912 ma risaliva all'impianto del catasto geometrico particellare del 1937-1939, ed era dovuta, percio', ai rilievi eseguiti dai funzionari dell'UTE e non alle indicazioni esplicite o implicite dei competenti organi centrali e periferici del Ministero della Marina mercantile, con la duplice conseguenza che a tale classificazione non poteva attribuirsi l'efficacia di un atto di sdemanializzazione tacita. La sentenza ha, poi, richiamato la giurisprudenza di questa Corte, che ha ribadito l'impossibilita', a mente dell'articolo 35 c.n., per il demanio marittimo dell'operativita' di una sdemanializzazione tacita (Cass. S.U. n. 7739/2020, citata dalla Corte d'Appello, cui adde, ex multis, Cass. n. 26655/2019, che ribadisce come il relativo decreto abbia carattere costitutivo, in quanto segue alla verifica, in concreto, della non utilizzabilita' delle zone "per pubblici usi del mare", e senza che tale diversita' di disciplina rispetto agli altri beni demaniali contrasti coi principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 42 Cost., stante, rispettivamente, la non sovrapponibilita' degli interessi tutelati dai due istituti e la priorita' della salvaguardia della proprieta' pubblica rispetto alla privata; cfr., anche, Cass. n. 4839/2019 e Cass. n. 10489/2018, che negano come possa aversi sdemanializzazione per l'esercizio di un potere di fatto da parte di un privato che abbia realizzato abusivamente opere e manufatti, in quanto cio' non fa venir meno l'attitudine del bene a realizzare i pubblici usi del mare; v., altresi', in precedenza, Cass. n. 10817/2009). La Corte di appello ha, poi, reputato che la dizione di Antico Demanio non potesse essere reputata risolutiva, osservando come anche questa Corte si fosse occupata della questione, con la sentenza n. 12945/2014, che proprio in relazione al Comune di Termoli ha ribadito che ai sensi dell'articolo 35 codice navale la sdemanializzazione dei beni appartenenti al demanio marittimo richiede un formale provvedimento della competente autorita' avente efficacia costitutiva e non puo' avvenire per facta concludentia, il che imponeva di accertare in concreto se un determinato terreno, pur non facendo parte della spiaggia, o del lido del mare, conservasse l'attitudine a consentire in futuro usi pubblici del mare (in motivazione venne precisato che tale indagine non era preclusa dal fatto che il terreno fosse accatastato allo "Antico demanio dello Stato" - definizione che di norma e' riferita alla proprieta' dei beni degli Stati preunitari o degli enti ecclesiastici passata parimenti allo Stato - ribadendo la necessita' della verifica dei caratteri del demanio marittimo). La Corte di appello, peraltro, ha con riferimento alla vicenda in esame, aggiunto in motivazione che la fascia di terreno delimitata dalla linea del 19/3/1912 conservava una potenziale idoneita' a soddisfare i pubblici usi del mare. 5. Tutto cio' premesso ed illustrato, osserva, pero', il collegio che - con riferimento al riportato impianto motivazionale - occorre tener conto che, nelle more del giudizio, e' intervenuta (come puntualmente dedotto con i motivi in esame) la legge di conversione n. 140/2004 del Decreto Legge n. 80 del 2004, che ha introdotto all'articolo 6, il comma 2-bis, il quale cosi' recita: "2-bis. La fascia demaniale marittima compresa nel territorio dei comuni di Campomarino e di Termoli (Campobasso) e del comune di San Salvo (Chieti) e' delimitata, con effetti retroattivi, secondo la linea di demarcazione definita sulla base delle risultanze catastali alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. L'attuazione in via amministrativa della ridefinizione della predetta linea di demarcazione e' delegata d'Agenzia del demanio, d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti". La norma, che nella sua prima versione contemplava il solo Comune di Campomarino, ha visto poi l'aggiunta del Comune di San Salvo con il Decreto Legge n. 148 del 2017, articolo 17-quinquies (conv. nella L. n. 172 del 2017), ed infine l'aggiunta - con la L. n. 205 del 2017, articolo 1, comma 907, - del Comune di Termoli. Trattasi di interventi successivi che erano stati giustificati dalla esigenza di porre fine al contenzioso esistente tra lo Stato ed i vari privati che avevano occupato dei terreni che il primo rivendicava come appartenenti al demanio marittimo, e cio' in considerazione del fatto che l'originario intervento del 2004 aveva assicurato per il territorio di Campomarino la definizione stragiudiziale delle controversie pendenti, essendosi preso atto della nuova delimitazione demaniale da parte dell'Agenzia del Demanio. In tal senso rileva anche la relazione illustrativa alla modifica di cui alla legge di conversione n. 148 del 2017, riferita al Comune di San Salvo, nella quale si evidenzia che la finalita' della legge era quella di assicurare una nuova delimitazione della fascia demaniale marittima, con efficacia retroattiva, analogamente a quanto gia' avvenuto per quello di Campomarino, il tutto secondo la linea di demarcazione definita sulla base delle risultanze catastali alla data di entrata in vigore della legge di conversione del medesimo Decreto Legge n. 80 del 2004. Lo scopo della norma era, poi, quello di risolvere le incertezze sulla collocazione della linea di demarcazione della fascia di demanio marittimo, in quanto appariva controverso il regime giuridico delle relative aree per il consolidarsi di situazioni di proprieta' privata in territori ubicati in prossimita' dell'ampia fascia appartenente inequivocabilmente al demanio. Nella relazione si evidenziava, altresi', che per effetto dell'intervento normativo anche la fascia demaniale marittima compresa nel territorio di San Salvo diveniva oggetto di una nuova delimitazione, con effetti retroattivi, secondo la linea di demarcazione definita sulla base delle risultanze catastali alla data di entrata in vigore della legge di conversione del citato Decreto Legge n. 80 del 2004. Analoghe considerazioni, tenuto conto del mero rinvio - che e' dato leggere nella relazione illustrativa al Senato della L. n. 205 del 2017, articolo 1, comma 907 - alla giustificazione della precedente modifica riguardante il Comune di San Salvo, valgono peraltro anche in relazione al successivo ampliamento della previsione normativa al Comune di Termoli, ponendosi la modifica in un'ideale linea di continuita' con il precedente intervento del legislatore regionale, rivelatosi vano per le aspettative dei privati, in ragione della illegittimita' della norma come dichiarata dalla Corte costituzionale. Avuto riguardo, quindi, al tenore letterale della norma, e considerati anche gli argomenti di carattere storico che possono trarsi dai lavori preparatori, la norma in questione ha provveduto alla riqualificazione della fascia costiera, con una rideterminazione anche dell'area del demanio marittimo, individuando come limite la linea di demarcazione ricavabile dalle risultanze catastali alla data di entrata in vigore. Ritiene, quindi, il collegio che la corretta esegesi della norma in esame e' nel senso che sono demaniali solo quelle aree che risultano essere tali secondo le emergenze del catasto alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 140 del 2004, ma il tutto con portata retroattiva, dovendosi opinare che le aree invece escluse secondo la riproduzione grafica catastale dal demanio marittimo, lo sono quanto meno sin dalla data di impianto del catasto, dovendosi reputare che a tale data, per scelta del legislatore, lo stesso risultava idoneo a fornire una corretta rappresentazione della reale situazione dominicale. Occorre, altresi' ed in senso determinante, chiarire che la norma di cui al Decreto Legge n. 80 del 2004, articolo 6, comma 2-bis (come aggiunto con la legge di conversione n. 140 del 2004) deve rettamente intendersi come volta a determinare una declassificazione ex lege di aree anche eventualmente ab origine appartenenti al demanio marittimo, e quindi da reputarsi ampiamente satisfattiva dei requisiti formali prescritti dall'articolo 35 c.n.. Il rinvio ad un elemento di carattere obiettivo e predeterminato, quale la linea di demarcazione definita sulla base delle risultanze catastali, unitamente alla espressa previsione di retroattivita' della norma, denota come l'intento del legislatore sia stato quello di provvedere con immediatezza alla rideterminazione delle aree demaniali (attesa anche la finalita' di porre termine all'annoso contenzioso in atto), di tal che, come confermato anche dall'utilizzo dell'espressione "attuazione in via amministrativa", i compiti demandati alle Amministrazioni non consentono, come invece ritenuto dalla Corte molisana, che la loro attivita' abbia efficacia costitutiva ai fini dell'individuazione delle aree demaniali, traducendosi la medesima nel solo adeguamento a quanto gia' statuito con efficacia immediata nei rapporti dominicali dalla legge stessa (in proposito non assumono rilevanza - e devono, in ogni caso intendersi superati alla stregua dell'analisi, compiutamente operata in questa sede, conducente ad un risultato piu' convincente sul piano sistematico e logico-giuridico della questione - i precedenti di cui a Cass. n. 12945/2014, perche' non contenente l'esame dell'incidenza del Decreto Legge n. 80 del 2014, citato articolo 6, comma 2-bis; a Cass. n. 30476/2019, nella quale la questione risulta considerata ma solo ai fini della valutazione di insussistenza del requisito di specificita' del relativo motivo; a Cass. n. 16757/2014 e a Cass. n. 9203/2021, in cui si accenna solo alla questione in oggetto, ma senza soffermarsi sulla natura, portata ed efficacia della suddetta norma innovativa). E' opportuno, altresi', evidenziare che l'allora Ministro delle Infrastrutture e Trasporti, con sua direttiva del 15 aprile 2008 (e relativa allegazione) - indirizzata, tra gli altri, al Direttore dell'Agenzia del Demanio, al Presidente della Regione Molise, al Sindaco del Comune di Campomarino e alla Capitaneria di Porto di Termoli - ebbe a chiarire, nel senso qui propugnato, che la delimitazione amministrativa dell'Agenzia del Demanio e del Ministero si sarebbe dovuta ritenere quale mero adempimento burocratico, non avente effetto costitutivo, dovendo la citata norma prevista dal Decreto Legge n. 80 del 2004, articolo 6, comma 2-bis (aggiunto, in sede di conversione, dalla L. n. 140/2004) qualificarsi come autoesecutiva. Una diversa conclusione contrasterebbe, peraltro, anche con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha piu' volte affermato che, ove la P.A. emetta ordinanza di rilascio di un immobile, sul presupposto della sua appartenenza al demanio, ed il privato occupante insorga avverso tale ordinanza, al fine di sentire negare la demanialita' ed accertare il proprio diritto di proprieta', la relativa controversia spetta alla cognizione del giudice ordinario, in quanto non investe vizi dell'atto amministrativo, ma si esaurisce nell'indagine sulla titolarita' della proprieta' e, quindi, e' rivolta alla tutela di posizioni di diritto soggettivo. Ne' assume rilievo che la causa verta anche sulla natura demaniale o meno del bene o sulla sua estensione, trattandosi di carattere che consegue direttamente dalla legge e non postula l'emanazione di atti amministrativi (Cass. S.U n. 20596/2013). Infatti, va ribadito che (Cass. S.U. n. 4127/2012) la controversia tra privato e P.A. concernente la proprieta' di un immobile, sia quando se ne debba accertare la natura demaniale, sia quando si contesti il potere dell'amministrazione di modificarla, e' devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, a nulla rilevando che le doglianze del privato siano dirette a denunciare errori inerenti la non corretta delimitazione, sul piano sostanziale, tra area pubblica ed area privata, ad impugnare i relativi provvedimenti, oppure a denunciarne i vizi procedurali per carenza o incompletezza dell'attivita' istruttoria o errori di valutazione, e cio' in quanto la demanialita' consegue direttamente dalla legge (articolo 822 c.c. e articolo 28 c.n.), e non postula l'emanazione di atti amministrativi, necessari solo nella diversa ipotesi in cui si discuta non sulla natura demaniale del bene, ma sull'esatta delimitazione dei suoi confini (Cass. S.U. n. 3068/1978). L'individuazione, con efficacia peraltro retroattiva, del demanio marittimo e' quindi contenuta nell'articolo 6 citato, comma 2-bis, prima parte e cio' con il rinvio a criteri oggettivi e predeterminati, sicche' non e' corretto affermare che solo a seguito dell'attivita' devoluta alle Amministrazioni sarebbe possibile definire il regime dominicale delle aree interessate, attribuendo quindi all'operato delle stesse un'efficacia costitutiva che contrasta con la chiara lettera della legge e con la volonta' di operare la detta rideterminazione con efficacia retroattiva. L'intervento sollecitato all'Agenzia del Demanio, di intesa con il MIT, e', quindi, finalizzato a dare una concreta attuazione della suddetta norma sul piano della delimitazione e demarcazione fisiche tra il demanio marittimo e le aree che, invece, per volonta' del legislatore non ne fanno parte, con l'adozione di un atto di delimitazione ex articolo 32 c.n., che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ha funzione di mero accertamento, sicche', essendo escluso il potere discrezionale della P.A., la contestazione delle risultanze del verbale di delimitazione deve avvenire dinanzi al giudice ordinario, il quale potra' disapplicare l'atto amministrativo se ed in quanto illegittimo (Cass. n. 14048/2021; Cass. S.U. n. 7639/2020; Cass. n. 18511/2018; Cass. S.U. n. 4127/2012; Cass. n. 10817/2009). Dall'esposto impianto argomentativo deriva, percio', l'accoglimento del ricorso, con conseguente cassazione dell'impugnata sentenza ed il rinvio alla Corte di appello di Campobasso, in diversa composizione, che dovra' procedere all'accertamento della natura demaniale o meno dei terreni oggetto di causa, tenendo conto dell'immediata portata precettiva della modifica del Decreto Legge n. 80 del 2004, articolo 6, comma 2-bis, (conv. dalla L. n. 140 del 2004), comportante una "sdemanializzazione espressa" (per l'appunto "ex lege"), la cui attuazione in via amministrativa della ridefinizione della linea di demarcazione della fascia demaniale marittima deve considerarsi avente natura meramente dichiarativa. Poiche' detta norma stabilisce che la nuova delimitazione di tale fascia ha effetti retroattivi, cio' implica che essa deve considerarsi temporalmente efficace fin dalla data di demarcazione catastale, ovvero a decorrere dall'entrata in vigore del catasto del 1939 e delle successive modificazioni. Il giudice di rinvio dovra', pertanto, uniformarsi al principio di diritto, secondo cui: ai sensi del Decreto Legge n. 80 del 2004, articolo 6, comma 2-bis aggiunto dalla legge di conversione n. 140 del 2004, come da ultimo modificato dalla L. n. 205 del 2017, articolo 1, comma 907, la fascia demaniale marittima compresa nel territorio dei comuni di Campomarino, Termoli e San Salvo e' delimitata, con effetti retroattivi, secondo la linea di demarcazione definita sulla base delle risultanze catastali alla data di entrata in vigore della stessa legge di conversione, con la conseguenza che detta norma riveste efficacia di provvedimento di carattere costitutivo implicante la cessazione della demanialita' marittima, individuando retroattivamente la linea di demarcazione del demanio, sicche' il nuovo regime dei beni deve intendersi acquisito sin dal momento dell'iscrizione in catasto, a far tempo dalla formazione del nuovo catasto edilizio urbano disciplinato dal R.Decreto Legge 13 aprile 1939, n. 652 e tenendo conto delle eventuali intervenute variazioni della consistenza immobiliare annotate negli atti catastali e risultanti alla data di entrata in vigore della L. n. 140 del 2004. Non rileva in senso opposto la delega che la medesima norma conferiva all'Agenzia del demanio per l'attuazione in via amministrativa della ridefinizione della linea di demarcazione, consistendo tale attuazione unicamente in un procedimento di delimitazione avente funzione di mero accertamento dei confini del demanio marittimo rispetto alle proprieta' private, con esclusione di ogni potere discrezionale della pubblica amministrazione. La Corte di rinvio provvedera' anche a regolare le spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Campobasso, in diversa composizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LOMBARDO Giovanni Luigi - Presidente Dott. MOCCI Mauro - Consigliere Dott. CARRATO Aldo - rel. Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. CRISCULO Mauro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 27847-2020 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS) e dallo stesso rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso; - ricorrente - contro MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, MINISTERO ECONOMIA FINANZE, AGENZIA DEL DEMANIO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis; - controricorrenti - avverso la sentenza n. 96/2020 della CORTE D'APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 31/3/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/12/2022 dal Consigliere ALDO CARRATO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Mistri Corrado, che ha chiesto la dichiarazione di parziale inammissibilita' del ricorso, come da parte motiva, e, nel resto, il suo rigetto, o, in via di subordine, l'integrale reiezione del ricorso; letta la memoria depositata dalla difesa della ricorrente. RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione del 7 ottobre 2003, il Ministero delle Finanze e l'Agenzia del Demanio convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Campobasso, (OMISSIS) per sentir accertare l'abusiva occupazione, da parte della stessa, di un'area (anche mediante la realizzazione di un fabbricato indicato come abusivo), sita in (OMISSIS), alla contrada denominata "(OMISSIS)", identificata in catasto al foglio (OMISSIS), lamentando che l'occupazione aveva ad oggetto dei terreni facenti parte del demanio statale, come da delimitazione risalente al 1912, concludendo per la condanna della convenuta al rilascio delle citate zone di proprieta' pubblica, alla demolizione dell'opera abusivamente edificata, oltre che alla condanna al pagamento di un'indennita' di occupazione. La convenuta si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto della predetta domanda. Il Tribunale di Campobasso, con sentenza n. 651/2012 (depositata il 5 novembre 2012), accoglieva la formulata domanda ed accertava la natura demaniale marittima dell'area oggetto di causa, con la condanna della convenuta alla demolizione dell'opera illegittimamente eseguita, al rilascio della stessa area ed al pagamento dell'indennizzo per la protratta occupazione del fondo. 2. Avverso tale sentenza proponeva appello la (OMISSIS), che contestava la correttezza della decisione gravata, quanto alla qualificazione dell'area come demaniale, concludendo per il conseguente rigetto delle domande della parte pubblica. Nella costituzione delle Amministrazioni appellate, che spiegavano anche appello incidentale in ordine alla quantificazione dell'indennizzo riconosciuto con la sentenza di prime cure, la Corte di appello di Campobasso, con sentenza n. 96/2020 (pubblicata il 31 marzo 2020), respingeva il gravame principale e riteneva fondato quello incidentale, condannando la (OMISSIS) al pagamento della somma di Euro 184.523,70, a titolo - per l'appunto - di indennizzo per l'occupazione del suolo oggetto di controversia a far data dal 16 febbraio 1985 e fino al rilascio dell'immobile, oltre interessi legali fino all'effettivo soddisfo e al pagamento delle spese del grado. La Corte molisana, respinta l'eccezione pregiudiziale circa l'asserita violazione dell'articolo 342 c.p.c., passando all'esame merito della questione, e cioe' alla verifica dell'appartenenza dell'area oggetto di causa al Demanio marittimo ovvero al patrimonio disponibile dello Stato, rilevava che il Tribunale aveva evidenziato che vi era stata una ricognizione risalente al 1910 ed al 1912, le cui risultanze, quanto all'individuazione dei confini del demanio marittimo erano ancora attendibili, essendo stata svolta nel contraddittorio con le Amministrazioni interessate ed all'esito di un procedimento che aveva visto le parti interessate concordare sugli esiti, senza che i mutamenti intervenuti a far data dal 1912 potessero inficiare la correttezza della delimitazione. Osservava, inoltre, la Corte molisana che, poiche', ai fini dell'efficacia di un'eventuale sclassificazione e' necessaria l'adozione di un apposito provvedimento amministrativo che la disponga, nel caso di specie si sarebbe dovuta ritenere irrilevante la ricognizione operata di concerto tra il Compartimento marittimo di Pescara, l'Intendenza di Finanza di Campobasso, l'UTE di Campobasso e l'Ufficio del Genio Civile per le opere marittime di Ancona con verbale dell'11 dicembre 1984, non seguita dall'approvazione dell'autorita' marittima centrale, nonche' da atti provenienti da PP.AA. diverse da quella marittima, senza potersi configurare una sdemanializzazione tacita ed essendo irrilevante la circostanza che gli occupanti avessero modificato le caratteristiche morfologiche del suolo. Quanto all'appello incidentale proposto dalle Amministrazioni appellate, la Corte di appello ne ravvisava la fondatezza nei termini prima menzionati, sulla base della c.t.u. rinnovata in secondo grado, alla stregua della normativa effettivamente applicabile e con riferimento alla decorrenza pure anteriormente specificata. 3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, la (OMISSIS), illustrato da memoria. L'Agenzia del Demanio e il Ministero dell'Economia e delle Finanze hanno resistito con un unico controricorso. La difesa ha depositato memoria in prossimita' della pubblica udienza. RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia - ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4 - la nullita' delle sentenze di primo e secondo grado, in relazione all'articolo 102 c.p.c., commi 1 e 2, e all'articolo 354 c.p.c., nella parte in cui, con la sentenza di appello, la Corte molisana ha affermato l'infondatezza dell'eccezione - dalla stessa sollevata - di nullita' della sentenza di primo grado, per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di tale (OMISSIS), poiche' la circostanza che quest'ultimo fosse comproprietario degli immobili del giudizio - e, quindi, litisconsorte necessario - risultava solo dai dati catastali, non aventi dirimente efficacia probatoria. 2. Con la seconda censura, la ricorrente ha dedotto - con riferimento all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione e falsa applicazione degli articoli 822, 28 e 35 c.n., anche avuto riguardo al recente orientamento delle Sezioni unite di questa Corte espresso con la sentenza n. 7739/2020, in relazione all'erronea valutazione degli elementi dai quali la Corte di appello aveva desunto la natura demaniale del suolo, pure edificato, oggetto di controversia. Ad integrazione di questo motivo la ricorrente ha anche inteso sostenere che - quand'anche si fosse voluta ritenere fondata la ricostruzione di controparte relativa alla necessita' di un provvedimento apposito ai fini della sdemanializzazione dei beni in contestazione - l'efficacia equiparabile ad un tale provvedimento, in favore del Comune di (OMISSIS), avrebbe dovuto comunque essere rinvenuta nel Decreto Legge n. 80 del 2004, articolo 6, comma 2-bis, come convertito dalla L. n. 140 del 2004 (e successive modificazioni), contemplante una chiara manifestazione volitiva del legislatore, di natura costitutiva e gia', di per se', percio' efficace, con l'attribuzione al conseguente provvedimento amministrativo dell'Agenzia del Demanio di una natura meramente dichiarativa, in tal modo non incidendo su una situazione di fatto e di diritto gia' cristallizzata proprio in virtu' di detta disposizione normativa. 3. Rileva, innanzitutto, il collegio che l'istanza, formulata nella memoria integrativa depositata dalla difesa della ricorrente, diretta a far dichiarare "la litispendenza fra i giudizi pendenti rispettivamente al n. 27847/2020 e n. 12950/2021 aventi il medesimo oggetto e le medesime parti", con la disposizione della conseguente riunione, e' inammissibile perche' la questione (oltretutto non implicante una ipotesi di litispendenza in senso tecnico ai sensi dell'articolo 39 c.p.c.) risulta prospettata per la prima volta con tale scritto difensivo, non essendo stata formulata ne' con il ricorso ne' nei gradi precedenti di giudizio. 4. Cio' premesso, il primo motivo e' da considerarsi infondato e deve, percio', essere rigettato. Infatti, al di la' di quanto accertato dalla Corte di appello sull'insufficienza della prova documentale prodotta (siccome riferita solo ai dati catastali) al fine di poter far ritenere sussistente la qualita' di comproprietario di (OMISSIS), va rilevato che anche gli ulteriori documenti indicati con il motivo - di cui si lamenta l'omessa valutazione - non sarebbero stati idonei a fornire tale prova e, quindi, ad imporre al giudice l'obbligo di disporre l'integrazione del contraddittorio (difettando, per l'appunto, la prova la ricorrenza dei presupposti per la configurazione di una ipotesi di litisconsorzio necessario). Infatti, a tal proposito, non avrebbero potuto ritenersi probanti ne' la dichiarazione sostitutiva di atto di notorieta' sottoscritta dal (OMISSIS), ne' il certificato di morte della nonna (OMISSIS) (indicata come gia' comproprietaria, unitamente alla (OMISSIS), dei beni oggetto di causa, nella cui successione sarebbe subentrato il citato (OMISSIS), per rappresentazione in sostituzione del padre rinunciante), ne' la dichiarazione di successione della menzionata (OMISSIS), in difetto di alcun riscontro documentale sulla intervenuta accettazione, da parte dello stesso (OMISSIS), di tale eredita' o dell'allegazione di altro specifico titolo probatorio supportante la dedotta comproprieta'. 5. E' fondato, invece, il secondo motivo per le complessive ragioni di seguito specificate, avuto riguardo all'accoglimento dell'assorbente questione sollevata con riferimento all'applicabilita' del Decreto Legge n. 80 del 2004, articolo 6, comma 2-bis, come convertito dalla L. n. 140 del 2004, (e successive modificazioni), contemplante una chiara manifestazione volitiva del legislatore, di natura costitutiva e gia', di per se', efficace, con l'attribuzione al conseguente provvedimento amministrativo dell'Agenzia del Demanio di una natura meramente dichiarativa, in tal modo non incidendo su una situazione di fatto e di diritto gia' da considerarsi definita in virtu' di detta disposizione normativa. Va, infatti, osservato che, nelle more del giudizio di cui trattasi, e' intervenuta la legge di conversione (n. 140/2004) del Decreto Legge n. 80 del 2004, che ha introdotto all'articolo 6, il comma 2 bis, il quale cosi' recita: "2-bis. La fascia demaniale marittima compresa nel territorio dei comuni di Campomarino e di (OMISSIS) (Campobasso) e del comune di San Salvo (Chieti) e' delimitata, con effetti retroattivi, secondo la linea di demarcazione definita sulla base delle risultanze catastali alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. L'attuazione in via amministrativa della ridefinizione della predetta linea di demarcazione e' delegata d'Agenzia del demanio, d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti". La norma, che nella sua prima versione contemplava il solo Comune di Campomarino, ha visto poi l'aggiunta del Comune di San Salvo con Decreto Legge n. 148 del 2017, articolo 17-quinquies, (conv. nella L. n. 172 del 2017), ed infine l'aggiunta - della L. n. 205 del 2017, con l'articolo 1, comma 907, - del Comune di (OMISSIS). Trattasi di interventi successivi che erano stati giustificati dalla esigenza di porre fine al contenzioso esistente tra lo Stato ed i vari privati che avevano occupato dei terreni che il primo rivendicava come appartenenti al demanio marittimo, e cio' in considerazione del fatto che l'originario intervento del 2004, aveva assicurato per il territorio di Campomarino la definizione stragiudiziale delle controversie pendenti, essendosi preso atto della nuova delimitazione demaniale da parte dell'Agenzia del Demanio. In tal senso rileva anche la relazione illustrativa alla modifica di cui alla legge di conversione n. 148 del 2017, riferita al Comune di San Salvo, nella quale si evidenzia che la finalita' della legge era quella di assicurare una nuova delimitazione della fascia demaniale marittima, con efficacia retroattiva, analogamente a quanto gia' avvenuto per quello di Campomarino, il tutto secondo la linea di demarcazione definita sulla base delle risultanze catastali alla data di entrata in vigore della legge di conversione del medesimo Decreto Legge n. 80 del 2004. Lo scopo della norma era, poi, quello di risolvere le incertezze sulla collocazione della linea di demarcazione della fascia di demanio marittimo, in quanto appariva controverso il regime giuridico delle relative aree per il consolidarsi di situazioni di proprieta' privata in territori ubicati in prossimita' dell'ampia fascia appartenente inequivocabilmente al demanio. Nella relazione si evidenziava, altresi', che per effetto dell'intervento normativo anche la fascia demaniale marittima compresa nel territorio di San Salvo diveniva oggetto di una nuova delimitazione, con effetti retroattivi, secondo la linea di demarcazione definita sulla base delle risultanze catastali alla data di entrata in vigore della legge di conversione del citato Decreto Legge n. 80 del 2004. Analoghe considerazioni, tenuto conto del mero rinvio - che e' dato leggere nella relazione illustrativa al Senato della L. n. 205 del 2017, articolo 1, comma 907,- alla giustificazione della precedente modifica riguardante il Comune di San Salvo, valgono peraltro anche in relazione al successivo ampliamento della previsione normativa al Comune di (OMISSIS), ponendosi la modifica in un'ideale linea di continuita' con il precedente intervento del legislatore regionale, rivelatosi vano per le aspettative dei privati, in ragione della illegittimita' della norma come dichiarata dalla Corte costituzionale. Avuto riguardo, quindi, al tenore letterale della norma, e considerati anche gli argomenti di carattere storico che possono trarsi dai lavori preparatori, la norma provvede alla riqualificazione della fascia costiera, con una rideterminazione anche dell'area del demanio marittimo, individuando come limite la linea di demarcazione ricavabile dalle risultanze catastali alla data di sua entrata in vigore. Ritiene, quindi, il collegio che la corretta esegesi della norma e' nel senso che sono demaniali solo quelle aree che risultano essere tali secondo le emergenze del catasto alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 140 del 2004, ma il tutto con portata retroattiva, dovendosi opinare che le aree invece escluse secondo la riproduzione grafica catastale dal demanio marittimo, lo sono quanto meno sin dalla data di impianto del catasto, dovendosi reputare che a tale data, per scelta del legislatore, lo stesso risultava idoneo a fornire una corretta rappresentazione della reale situazione dominicale. Occorre, altresi' ed in senso determinante, chiarire che la norma di cui del Decreto Legge n. 80 del 2004, articolo 6, comma 2-bis (come aggiunto con la legge di conversione n. 140 del 2004) deve rettamente intendersi come volta a determinare una declassificazione ex lege di aree anche eventualmente ab origine appartenenti al demanio marittimo, e quindi da reputarsi ampiamente satisfattiva dei requisiti formali prescritti dall'articolo 35 c.n.. Il rinvio ad un elemento di carattere obiettivo e predeterminato, quale la linea di demarcazione definita sulla base delle risultanze catastali, unitamente alla espressa previsione di retroattivita' della norma, denota come l'intento del legislatore fosse quello di provvedere con immediatezza alla rideterminazione delle aree demaniali (attesa anche la finalita' di porre termine all'annoso contenzioso in atto), di tal che, come confermato anche dall'utilizzo dell'espressione "attuazione in via amministrativa", i compiti demandati alle Amministrazioni non consentono - come, invece, ritenuto dalla Corte molisana - che la loro attivita' abbia efficacia costitutiva ai fini dell'individuazione delle aree demaniali, traducendosi la medesima nel solo adeguamento a quanto gia' statuito con efficacia immediata nei rapporti dominicali dalla legge stessa (in proposito non assumono rilevanza - e devono, in ogni caso intendersi superati alla stregua dell'analisi, compiutamente operata in questa sede, conducente ad un risultato piu' convincente sul piano sistematico e logico-giuridico della questione - i precedenti di cui a Cass. n. 12945/2014, perche' non contenente l'esame dell'incidenza del citato dal Decreto Legge n. 80 del 2014, articolo 6, comma 2-bis; a Cass. n. 30476/2019, nella quale la questione risulta considerata ma solo ai fini della valutazione di insussistenza del requisito di specificita' del relativo motivo; a Cass. n. 16757/2014 e a Cass. n. 9203/2021, in cui si accenna solo alla questione in oggetto, ma senza soffermarsi sulla natura, portata ed efficacia della suddetta norma innovativa). E' opportuno, altresi', evidenziare che l'allora Ministro delle Infrastrutture e Trasporti, con sua direttiva del 15 aprile 2008 (e relativa allegazione) - indirizzata, tra gli altri, al Direttore dell'Agenzia del Demanio, al Presidente della Regione Molise, al Sindaco del Comune di Campomarino e alla Capitaneria di Porto di (OMISSIS) -, ebbe a chiarire, nel senso qui propugnato, che la delimitazione amministrativa dell'Agenzia del Demanio e del Ministero si sarebbe dovuta ritenere quale mero adempimento burocratico, non avente effetto costitutivo, dovendo la citata norma prevista del Decreto Legge n. 80 del 2004, articolo 6, comma 2-bis (aggiunto, in sede di conversione, dalla L. n. 140 del 2004) qualificarsi come autoesecutiva. Una diversa conclusione contrasterebbe, peraltro, anche con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha piu' volte affermato che, ove la P.A. emetta ordinanza di rilascio di un immobile, sul presupposto della sua appartenenza al demanio, ed il privato occupante insorga avverso tale ordinanza, al fine di sentire negare la demanialita' ed accertare il proprio diritto di proprieta', la relativa controversia spetta alla cognizione del giudice ordinario, in quanto non investe vizi dell'atto amministrativo, ma si esaurisce nell'indagine sulla titolarita' della proprieta' e, quindi, e' rivolta alla tutela di posizioni di diritto soggettivo. Ne' assume rilievo che la causa verta anche sulla natura demaniale o meno del bene o sulla sua estensione, trattandosi di carattere che consegue direttamente dalla legge e non postula l'emanazione di atti amministrativi (Cass. S.U n. 20596/2013). Infatti, va ribadito che (Cass. S.U. n. 4127/2012) la controversia tra privato e P.A. concernente la proprieta' di un immobile, sia quando se ne debba accertare la natura demaniale, sia quando si contesti il potere dell'amministrazione di modificarla, e' devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, a nulla rilevando che le doglianze del privato siano dirette a denunciare errori inerenti la non corretta delimitazione, sul piano sostanziale, tra area pubblica ed area privata, ad impugnare i relativi provvedimenti, oppure a denunciarne i vizi procedurali per carenza o incompletezza dell'attivita' istruttoria o errori di valutazione, e cio' in quanto la demanialita' consegue direttamente dalla legge (articolo 822 cod. civ. e articolo 28 c.n.), e non postula l'emanazione di atti amministrativi, necessari solo nella diversa ipotesi in cui si discuta non sulla natura demaniale del bene, ma sull'esatta delimitazione dei suoi confini (Cass. S.U. n. 3068/1978). L'individuazione, con efficacia peraltro retroattiva, del demanio marittimo e' quindi contenuta nella prima parte dell'articolo 6, comma 2-bis citato, e cio' con il rinvio a criteri oggettivi e predeterminati, sicche' non e' corretto affermare che solo a seguito dell'attivita' devoluta alle Amministrazioni sarebbe possibile definire il regime dominicale delle aree interessate, attribuendo quindi all'operato delle stesse un'efficacia costitutiva che contrasta con la chiara lettera della legge e con la volonta' di operare la detta rideterminazione con efficacia retroattiva. L'intervento sollecitato all'Agenzia del Demanio, di intesa con il MIT, e', quindi, finalizzato a dare una concreta attuazione della suddetta norma sul piano della delimitazione e demarcazione fisiche tra il demanio marittimo e le aree che, invece, per volonta' del legislatore non ne fanno parte, con l'adozione di un atto di delimitazione ex articolo 32 c.n., che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ha funzione di mero accertamento, sicche', essendo escluso il potere discrezionale della P.A., la contestazione delle risultanze del verbale di delimitazione deve avvenire dinanzi al giudice ordinario, il quale potra' disapplicare l'atto amministrativo se ed in quanto illegittimo (Cass. n. 14048/2021; Cass. S.U. n. 7639/2020; Cass. n. 18511/2018; Cass. S.U. n. 4127/2012; Cass. n. 10817/2009). Dall'esposto impianto argomentativo deriva, percio', l'accoglimento del secondo motivo di ricorso (come impostato nel suo complesso), con conseguente cassazione dell'impugnata sentenza ed il rinvio alla Corte di appello di Campobasso, in diversa composizione, che dovra' procedere all'accertamento della natura demaniale o meno dei terreni oggetto di causa, tenendo conto dell'immediata portata precettiva della modifica del Decreto Legge n. 80 del 2004, articolo 6, comma 2-bis, (conv. dalla L. n. 140 del 2004), comportante una "sdemanializzazione espressa" (per l'appunto "ex lege"), la cui attuazione in via amministrativa della ridefinizione della linea di demarcazione della fascia demaniale marittima deve considerarsi avente natura meramente dichiarativa. E, poiche', detta norma stabilisce che la nuova delimitazione di tale fascia ha effetti retroattivi, ne deriva che essa deve considerarsi temporalmente efficace fin dalla data di demarcazione catastale, ovvero a decorrere dall'entrata in vigore del catasto del 1939 e delle successive modificazioni. Il giudice di rinvio dovra', pertanto, uniformarsi al principio di diritto, secondo cui: ai sensi del Decreto Legge n. 80 del 2004, articolo 6, comma 2-bis, aggiunto dalla legge di conversione n. 140 del 2004, come da ultimo modificato dalla L. n. 205 del 2017, articolo 1, comma 907, la fascia demaniale marittima compresa nel territorio dei comuni di Campomarino, Termoli e San Salvo e' delimitata, con effetti retroattivi, secondo la linea di demarcazione definita sulla base delle risultanze catastali alla data di entrata in vigore della stessa legge di conversione, con la conseguenza che detta norma riveste efficacia di provvedimento di carattere costitutivo implicante la cessazione della demanialita' marittima, individuando retroattivamente la linea di demarcazione del demanio, sicche' il nuovo regime dei beni deve intendersi acquisito sin dal momento dell'iscrizione in catasto, a far tempo dalla formazione del nuovo catasto edilizio urbano disciplinato dal R.Decreto Legge 13 aprile 1939, n. 652 e tenendo conto delle eventuali intervenute variazioni della consistenza immobiliare annotate negli atti catastali e risultanti alla data di entrata in vigore della L. n. 140 del 2004. Non rileva in senso opposto la delega che la medesima norma conferiva all'Agenzia del demanio per l'attuazione in via amministrativa della ridefinizione della linea di demarcazione, consistendo tale attuazione unicamente in un procedimento di delimitazione avente funzione di mero accertamento dei confini del demanio marittimo rispetto alle proprieta' private, con esclusione di ogni potere discrezionale della pubblica amministrazione. La Corte di rinvio provvedera' anche a regolare le spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Campobasso, in diversa composizione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro M - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TERAMO; nei confronti di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 14/04/2022 del TRIB. LIBERTA' di TERAMO; udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSIO SCARCELLA; lette le conclusioni del PG PASQUALE FIMIANI, che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata; lette le memorie difensive dell'Avv. (OMISSIS), con cui, in replica al ricorso del Pubblico Ministero ed alle conclusioni scritte del PG, ha chiesto il rigetto del ricorso e la conferma del provvedimento impugnato. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza 14.04.2022, il tribunale del riesame di Teramo ha accolto il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), quale legale rappresentante della soc. (OMISSIS) s.n.c. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP/Tribunale di Teramo in data 18.03.2022 avente ad oggetto le opere ricadenti in area demaniale marittima senza valido titolo autorizzatorio, il tutto presso il ristorante pub ad insegna "(OMISSIS)" di proprieta' della predetta societa', e nelle sue aree di pertinenza, corrente in (OMISSIS). 2. Avverso l'ordinanza impugnata nel presente procedimento, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Teramo propone ricorso per cassazione, deducendo un unico ed articolato motivo, di seguito sommariamente indicato. 2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 1161 c.n. In sintesi, il ricorso evidenzia come la concessione demaniale marittima denominata "(OMISSIS)" risultava in capo alla societa' dell'indagato in forza del titolo rilasciatogli in data 18.03.2002, titolo che, rilasciato per la durata di sei anni, aveva una validita' dal 1.01.2002 al 31.12.2007. Nel predetto titolo concessorio era presente la clausola di rinnovo automatico in forza del Decreto Legge 400 del 1993 articolo 1, comma 2, conv. con modd. in L. 494 del 1993, come sostituito dall'articolo 10, L. n. 88 del 2001. Al punto 10 delle condizioni indicate nella concessione demaniale in questione veniva specificato che il tacito rinnovo della concessione in questione era subordinato al pagamento dei canoni e al versamento dei depositi cauzionali entro il termine stabilito, a pena di decadenza e con l'onere di sgombero e riconsegna. Orbene, rileva il PM ricorrente che dalle indagini svolte e' emerso che il canone del 2009 non risultava pagato e lo stesso risultava essere stato richiesto dall'autorita' competente alla ditta concessionaria con nota 1.09.2009. Ne consegue, quindi, che deve escludersi che possa essersi verificato il tacito rinnovo della concessione demaniale in questione, atteso che il pagamento del canone del 2009 aveva impedito il rinnovo della concessione demaniale in questione, donde la stessa e' da ritenersi spirata prima dell'entrata in vigore delle norme che hanno introdotto il regime delle proroghe tacite delle concessioni demaniali marittime turistico - ricreative, di cui all'articolo 18, Decreto Legge 194 del 2009, conv. con modd. in L. 25 del 2010, e successive modifiche ed integrazioni, dovendosi pertanto ritenere fondata l'occupazione arbitraria in totale carenza di un valido titolo demaniale marittimo. Il tribunale, dunque, aderendo alla tesi difensiva proposta in sede di riesame, non avrebbe adeguatamente effettuato quell'indispensabile attivita' critica che avrebbe dovuto essere svolta. A tal fine, il PM ricorrente, dopo aver operato un'ampia e dettagliata ricognizione normativa e giurisprudenziale sul tema delle proroghe tacite delle concessioni demaniali marittime, osserva come il tribunale del riesame avrebbe errato nel configurare il rinnovo automatico come una vera e propria protrazione del medesimo rapporto concessorio, senza soluzione di continuita', essendo giunto a tale soluzione senza analizzare i presupposti dell'istituto del rinnovo, insistendo sull'assunto che, rinnovata automaticamente, la concessione demaniale in questione sarebbe stata prorogata. In altri termini, sarebbe stato erroneamente applicato il principio secondo cui, in sede di proroga, e non quindi in sede di rinnovo alla data della scadenza del 31.12.2007, vi fosse l'esonero dell'Amministrazione dall'istruire qualsiasi procedimento di rinnovo, nonche' l'esonero di attivita' istruttorie finalizzate a qualsiasi accertamento di carattere ammi-nistrativo/finanziario, anche in relazione alla pretesa correttezza del concessionario nel pagamento dei canoni concessori dovuti. Diversamente, ribadisce il PM ricorrente, nel caso in esame non sussisterebbero le condizioni del c.d. rinnovo automatico, attesa l'assenza dei requisiti richiesti dalla normativa, tra cui la regolarita' della corresponsione dei canoni dovuti alla data di scadenza, nonche' la sottoscrizione e registrazione di un titolo valido, che ove esistente e regolarmente formalizzato, avrebbe eventualmente dato accesso al regime di proroga. Sul punto, evidenzia come la regione Abruzzo, ufficio demanio marittimo, con nota 9.02.2021 aveva evidenziato che la societa' riferibile all'indagato non aveva effettuato il pagamento dei canoni demaniali marittimi dal 2009 ad oggi, per una somma totale di quasi 364.000 Euro, senza nemmeno pagare le imposte regionali, pari al 10% del canone, per una somma di poco inferiore ai 42.000 Euro. Operata, infine, una puntualizzazione sulle differenze tra "proroga" e "rinnovo", in cui si anniderebbe l'errore dei giudici del riesame, ribadisce il PM che detta tesi sarebbe stata suffragata anche da plurime decisioni del giudice amministrativo, richiamando quattro sentenze del Consiglio di Stato pronunciate in data 3.12.2018 e riguardanti l'accoglimento di ricorsi in appello promossi proprio dall'Agenzia del Demanio di Pescara contro le opposizioni proposte rispettivamente da altrettanti stabilimenti balneari del teramano. Di conseguenza, nessun procedimento amministrativo preordinato alla decadenza della concessione avrebbe dovuto essere instaurato dalla Regione Abruzzo, in quanto il descritto istituto cadu-catorio presuppone la sussistenza di un rapporto giuridico valido ed efficace e non, come nel caso in esame, una situazione scaduta e quindi definitivamente esaurita. Da ultimo, infine, si duole il PM ricorrente per aver i giudici del riesame operato un distinguo delle difformita' edilizie accertate in sede di ispezione demaniale alla concessione, parte delle quali derubricata ad innovazioni anziche' ad abusi, atteso che, diversamente, la prospettazione accusatoria sarebbe confermata dalla circostanza per la quale, in assenza di un provvedimento mai formalmente rinnovatosi, e quindi mai prorogato di validita', permarrebbe la piena operativita' del reato di cui all'articolo 1161 c.n., nei termini dell'abusiva occupazione dell'intera area assentita in concessione, illecito penale posto a base del carattere permanente della fattispecie e del requisito del periculum in mora ravvisato dal GIP, dovendosi in ultima analisi ritenere che il periculum risulterebbe in re ipsa. Sarebbe, conseguentemente, superato il dubbio espresso dal Tribunale circa la maggiore occupazione della superficie demaniale (1610 mq. anziche' 1530 mq.) condizione che da sola aveva determinato il tribunale a disporre l'annullamento del decreto di sequestro, atteso che l'indagato dal 2009 non aveva effettuato alcun pagamento dei canoni demaniali, e che l'ultimo titolo concessorio demaniale marittimo rilasciato era quello scaduto il 31.12.2007. Erroneamente, pertanto, i giudici del riesame avrebbero ritenuto insussistenti le esigenze cautelari solo in ragione dell'incerta perimetrazione delle maggiori aree occupate, trascurando invece le occupazioni del demanio marittimo constatate dalla PG e contestate nel capo b) dalla lettera b) alla lettera k). 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 28.11.2022 la propria requisitoria scritta con cui ha insistito per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata. In particolare, il P.G. ha evidenziato: (a) che e' ormai consolidato l'orientamento di legittimita' il quale, partendo dalle pronunce della Corte Costituzionale (sentenze n. 213 del 2011, n. 340 del 2010, n. 233 del 2010 e n. 180 del 2010), ha affermato che le disposizioni che prevedono proroghe automatiche di concessioni demaniali marittime violano l'articolo 117 Cost., comma 1, per contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza (c.d. Direttiva Bolkestein), con conseguente obbligo di disapplicazione delle norme (nazionali o regionali) che prevedono taciti rinnovi delle concessioni per il periodo in cui sono state in vigore, e relativa caducazione di tali taciti rinnovi in ragione del venire meno del presupposto normativo su cui si fondavano (in argomento, anche Sez. 3, sentenza n. 7267 del 09/01/2014 - dep. 14/02/2014, Granata e altri, Rv. 259294 - 01, secondo cui dalla immediata operativita' della direttiva CE sopra indicata consegue la disapplicazione del Decreto Legge n. 400 del 1993, come conv. e succ. modif., con l'effetto che le concessioni demaniali che scadevano il 31.12.2007, quale e' quella di specie, non potevano essere piu' prorogate automaticamente); (b) che la proroga legale dei termini di durata delle concessioni, prevista dall'articolo 1, comma 18, Decreto Legge n. 30 dicembre 2009, n. 194 (conv. in L. 26 febbraio 2010, n. 25), la quale, se applicabile alla concreta fattispecie, esclude la configurabilita' del reato di cui all'articolo 1161 c.n., presuppone la titolarita' di un provvedimento concessorio valido ed efficace ed opera solo per gli atti ampliativi successivi all'entrata in vigore del medesimo Decreto Legge n. 194 del 2009 (su cui si richiama anche Sez. 3, sentenza n. 29763 del 26/03/2014 - dep. 08/07/2014, Di Francia, Rv. 260108 - 01; succ. conformi, da ultimo, Sez. 3, sentenza n. 15676 del 13/04/2022 - dep. 22/04/2022, Galli, n. m.), mentre nella specie, al momento di entrata in vigore dell'articolo 1 citato, la concessione demaniale de qua era gia' scaduta, non operando cosi' il regime di rinnovo automatico; (c) il dictum di Sez. 3, sentenza n. 29105 del 16/09/2020 - dep. 21/10/2020, Longino, n. m., relativa ad analoga vicenda, peraltro nella stessa zona demaniale. 4. In data 21.10.2022 l'Avv. (OMISSIS), nell'interesse dell'indagato, ha fatto pervenire memoria difensiva, con cui, in replica al ricorso del Pubblico Ministero, ha chiesto il rigetto del ricorso e la conferma del provvedimento impugnato. Con successiva memoria datata 2.12.2022, il predetto difensore, in replica alla requisitoria scritta del PG, ha insistito per il rigetto del ricorso del PM. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso - in assenza di richiesta di discussione orale, trattato ai sensi dell'articolo 23, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, e successive modifiche ed integrazioni e' fondato. 2. Al fine di meglio chiarire le ragioni che hanno determinato il Collegio a tale soluzione, e' utile ripercorrere, sebbene sinteticamente, la vicenda storico processuale al medesimo sottesa. 3. Il 9.02.2021 l'Ufficio Demanio Marittimo della Giunta Regionale abruzzese, Dipartimento Territorio - Ambiente, Servizio Pianificazione territoriale e Paesaggio segnalava alcune criticita' relative alla concessione demaniale accordata alla societa' " (OMISSIS) s.n.c.", di cui e' legale rappresentante l'indagato. In tale nota si rappresentava l'emersione, a seguito di alcuni sopralluoghi eseguiti negli anni 1997 e 2008, di tutta una serie di manufatti, abusivamente realizzati e connessi funzionalmente alla concessione in questione, e si disponeva la rettifica dei canoni demaniali in ragione dell'effettiva consistenza riscontrata. La nota veniva, poi, inoltrata all'Ufficio Circondariale Marittimo - Guardia Costiera di (OMISSIS), a sua volta richiesto di eseguire ulteriori accertamenti sulla regolarita' delle opere e sulla tempestivita' dei versamenti degli oneri concessori. In sede di attivita' compiuta in data 11.11.2021, la societa' dell'indagato non era in grado di esibire il titolo concessorio in corso di validita'; l'indagato negava di aver ricevuto solleciti di pagamento di canoni relativi alla concessione demaniale e non presentava documentazione inerente all'avvenuto pagamento delle imposte regionali dovute. A questo punto, l'Agenzia del Demanio di Pescara rimetteva una nota con cui evidenziava il mancato pagamento dei canoni demaniali dovuti per la concessione a partire dal 2009. Veniva, peraltro, acquisita ulteriore documentazione inerente al titolo concessorio demaniale, che veniva identificato nella concessione n. 29/2002 rilasciata dalla Capitaneria di Porto di Pescara. Tale concessione aveva una durata di sei anni, come previsto dal Decreto Legge n. 400 del 1993 articolo 1, comma 2, (poi abrogato dall'articolo 1, comma 1, lettera a), L. n. 217/2011 al dichiarato fine di favorire la rapida e favorevole definizione di procedure d'infrazione a carico dello Stato avviate dalla Commissione Europea). Il personale dell'Agenzia del Demanio, Direzione Regionale Abruzzo e Molise intraprendeva un'attivita' ispettiva nell'ambito della quale veniva esaminata la documentazione tecnico-amministrativa, veniva avviato il contraddittorio con l'indagato, e veniva espletato un sopralluogo sempre in data 11.11.2021: in questo contesto venivano acquisiti i titoli edilizi che assentivano gli interventi eseguiti sul compendio immobiliare oggetto di concessione (ossia dell'autorizzazione edilizia n. 114 del 12.09.1984, n. 103 del 04/05/1987, n. 384 del 16/06/1987 e n. 199 del 21/07/1987). All'esito dei rilievi venivano accertate: 1) attivita' di rilevanza edilizia poste in essere in assenza o in difformita' ai titoli edilizi (per cui si veda il capo a) d'imputazione); 2) rilevanti scostamenti dal titolo concessorio, ritenuto scaduto, quanto all'effettiva occupazione di spazi demaniali. In conseguenza di cio', in data 18.03.2022, il G.I.P. presso il Tribunale di Teramo disponeva il sequestro preventivo del ristorante/pub, con aree di pertinenza, ritenendo sussistente il fumus boni iuris in relazione ad entrambi i reati contestati in via provvisoria all'indagato. Quanto al capo a) della rubrica (reato p. e p. dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e s.m.i. articolo 35, 44 lettera c), Decreto Legislativo n. 42 del 2004 e s.m.i. articolo 142, comma 1 lettera a), articolo 146, commi 1 e 2, articolo 181, comma 1-bis lettera A)), risultava, infatti, essere stata accertata, in sede di sopralluogo presso i locali in uso all'impresa dell'indagato, la realizzazione di tutta una serie di opere, vuoi in totale difformita' dai titoli edilizi, vuoi in totale carenza degli stessi, da identificare, in ragione della natura demaniale del bene immobile destinato ad ospitare le opere, nel permesso a costruire. Quanto al capo b) della rubrica (reato p. e p. dagli articoli 54, 1161, comma 1, Regio Decreto n. 327/1942 - Codice della Navigazione), anche in questo caso (dopo aver operato una sintetica rassegna delle principali disposizioni e pronunce in materia) venivano ritenuti sussistenti gli elementi del fumus boni iuris in relazione al reato di occupazione arbitraria, poiche' avente ad oggetto superficie maggiore di quella assentita dai titoli demaniali e poiche' discendente da "innovazioni non consentite" ai sensi dell'articolo 1161 codice navale idonee a determinare un ampliamento dell'occupazione (risultando, infatti, che la concessione in favore dell'indagato consentiva l'occupazione di una superficie totale massima di 1530 mq, a fronte dell'effettiva occupazione di 1610 mq, in ragione evidentemente delle innovazioni non consentite). Infine, veniva ritenuto sussistente anche il periculum in mora, dato che "la realizzazione di numerosi interventi edilizi sine titulo, l'ampliamento per le vie di fatto dell'oggetto della concessione e l'omissione di pagamenti dei canoni concessori per vari anni (...) consentivano di ritenere assai probabile l'aggravamento delle conseguenze dell'illecito penale" (pag. 3 decreto di sequestro G.I.P. Teramo). In data 31.03.2022, l'indagato interponeva istanza di riesame avverso il provvedimento di sequestro, chiedendo in via principale l'annullamento del decreto di sequestro preventivo del 18.03.2022 oppure, in via subordinata, la sostituzione della misura con altra meno onerosa (sostenendosi peraltro, a pag. 12, come vi fosse una differenza tra la volumetria concessa, pari a 1530 mq, e quella effettivamente occupata, pari a 1610 mq). Erano due i motivi di riesame: il primo concernente l'asserita insussistenza del fumus boni iuris della misura cautelare reale (peraltro sollevando la questione relativa alla prescrizione dell'illecito di cui al capo a) di imputazione); il secondo relativo all'insussistenza del periculum in mora, indefettibile ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare di sequestro preventivo. In data 14.04.2022, il Tribunale penale di Teramo, Sezione per il riesame nei provvedimenti di sequestro, accoglieva il ricorso e revocava il sequestro preventivo in essere (definitivamente disponendo il dissequestro lo stesso 14.04.2022, come da verbale di dissequestro ex articolo 263 c.p.p.). Difatti, richiamando l'impostazione e le argomentazioni difensive, il Giudice del Riesame affermava di non ritenere sussistente il fumus boni iuris che aveva portato all'emissione della misura da parte del G.I.P. in quanto, ai fini del rinnovo della concessione, non erano necessari gli incombenti di cui parlava l'accusa a carico dell'indagato, non sussistendo in definitiva il reato di occupazione arbitraria posta in totale carenza di titolo demaniale. Nessun argomento veniva speso in punto di periculum in mora e, conclusivamente, veniva operato un incerto riferimento a come "non sia possibile allo stato dei fatti determinare e circostanziare l'area che e' abusivamente occupata" (pag. 4 ord. Riesame Trib. Teramo). 4. Tanto premesso, puo' quindi procedersi nell'esame del ricorso del Procuratore della Repubblica che, come anticipato, e' fondato. 5. In punto di fatto, innanzitutto merita ricordare che la concessione demaniale marittima denominata "(OMISSIS)", presente nel Comune di (OMISSIS) ed oggetto del ricorso, risultava in Capo alla Ditta " (OMISSIS) s.n.c." di (OMISSIS) in forza del titolo concessorio n. 29 - Rep. 29710 in data 18.03.2002, redatto ai sensi del Codice della Navigazione e del relativo Regolamento, nonche' a quanto prescritto dalla L. n. 88/2001, che prevedeva da quattro a sei anni la durata dei titoli concessori. Di fatto, dunque, il titolo risultava rilasciato per la durata di sei anni, dal 01.01.2002 al 31.12.2007 (con la clausola secondo cui "alla scadenza si rinnova automaticamente per altri sei anni e cosi' successivamente ad ogni scadenza, salvo diverso provvedimento di revoca da parte dell'Amministrazione concedente ex articolo 42 del codice navale ovvero di decadenza ex articolo 47 del c.n., fermo restando il pagamento della tassa di registrazione da richiedersi a cura della medesima Amministrazione"), e la clausola di "rinnovo automatico della concessione demaniale marittima" sopra indicata veniva redatta nel titolo in forza dell'articolo 1, comma 2 del Decreto Legge n. 400/1993, poi sostituito dall'articolo 10 della L. n. 88/2001 (dall'esame del testo della concessione, peraltro, risultano le seguenti annotazioni: "Si rilascia la presente licenza subordinata oltre che alle discipline doganali e di pubblica sicurezza alle condizioni che seguono:", al cui successivo punto 10 si rileva che "il tacito rinnovo della presente concessione e' comunque subordinato al pagamento dei canoni ed al versamento dei depositi cauzionali entro il termine stabilito, sempre sotto pena di decadenza e con l'onere di sgombero e riconsegna di cui alle condizioni precitate"). Dall'attivita' di P.G. svolta, tuttavia, si rilevava che il canone del 2009 non risultava pagato e lo stesso risultava essere stato richiesto dall'Autorita' competente alla ditta concessionaria sopra indicata con nota protocollo n. 437/DE3 del 09.01.2009. Pertanto, a fronte di tale clausola ed al mancato pagamento del canone 2009, deve escludersi che possa considerarsi tacitamente rinnovata la concessione demaniale marittima in questione, oltre al fatto che non vi e' evidenza dei depositi cauzionali eseguiti ai fini del rinnovo della concessione demaniale. Quindi, se il mancato pagamento del canone 2009 ha impedito il rinnovo della concessione demaniale, la stessa e' da considerarsi spirata prima del regime normativo che stabilisce le tacite proroghe delle concessioni demaniali marittime turistico ricreative, disposta dall'articolo 18 del Decreto Legge n. 194/2009, convertito in L. n. 25/2010, dovendosi ritenere fondata l'arbitraria occupazione in totale carenza di un valido titolo demaniale marittimo. 6. In merito alla durata delle concessioni demaniali marittime, l'articolo 10, comma 1, L. n. 88 del 2001 ha introdotto il principio del c.d. "rinnovo automatico" di sei anni in sei anni alla scadenza del titolo concessorio e, contestualmente, l'articolo 37 del Codice della Navigazione, come modificato dal Decreto Legge n. 400 del 1993 ha enunciato il "diritto di insistenza" dei concessionari sui beni oggetto della concessione, stabilendo che in sede di rinnovo delle stesse, dovesse esser accordata preferenza al precedente concessionario. La disciplina normativa fin qui esaminata e' stata poi oggetto di attenzione da parte del Legislatore, il quale, in sede di approvazione della Legge Finanziaria 2007 (L. n. 296 del 2006) ha modificato l'articolo 3 del Decreto Legge n. 400 del 1993, tramite l'inserimento del comma 4-bis, che prevede la possibilita' di essere titolari di concessioni demaniali marittime per una durata non inferiore a 6 anni e non superiore a 20 anni "in ragione dell'entita' e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle Regioni" (articolo 1, comma 253). L'impianto normativo italiano pocanzi esaminato ha dovuto uniformarsi alla pronuncia della direttiva comunitaria del 12.12.2006 n. 2006/123/CE - Bolkestein, che (in particolare, ai §§ 1-2, articolo 12) ha ritenuto che nel comparto servizio-turismo la modalita' di assegnazione della concessione demaniale marittima debba essere assoggettata a gara, con la conseguente applicazione delle norme che sovrintendono le procedure ad evidenza pubblica. Lo strappo con il diritto comunitario e' divenuto cosi' inevitabile e nel 2008 la Commissione Europea, nel verificare il rispetto della Direttiva da parte dello Stato italiano, rilevata l'incompatibilita' con i principi in essa contenuti delle disposizioni rinvenibili nel Codice della Navigazione e del Decreto Legge n. 400/1993, attinenti il diritto di insistenza, ha formalmente ammonito l'Italia con la procedura d'infrazione n. 2008/4908, intimando la revisione dell'ordinamento giuridico interno al fine di armonizzare le disposizioni normative nazionali ai principi comunitari. Sul punto sono anche intervenute diverse pronunce della Giustizia Amministrativa (ex multis, Cons. St., 25.09.2009, n. 5765), che hanno affermato il principio giuridico in base al quale "alle concessioni di beni pubblici di rilevanza economica (specificamente le concessioni demaniali marittime), poiche' idonee a fornire una situazione di guadagno a soggetti operanti nel libero mercato, devono applicarsi i principi discendenti dall'articolo 81 del Trattato UE e dalle Direttive comunitarie in materia di appalti, quali quelli della loro necessaria attribuzione mediante procedure concorsuali, trasparenti, non discriminatorie, nonche' tali da assicurare la parita' di trattamento ai partecipanti" (TAR Campania, Napoli, Sez. VII, n. 3828/2009; occorrendo anche nell'assegnazione di un bene demaniale l'individuazione del soggetto maggiormente idoneo a consentire il perseguimento dell'interesse pubblico, garantendo a tutti gli operatori economici una parita' di possibilita' di accesso all'utilizzazione dei beni demaniali, sic TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 23.04.2010, n. 2085). Rebus sic stantibus, il Legislatore italiano e' intervenuto con il Decreto Legge n. 194 del 2009, convertito con L. n. 25/2010, il cui articolo 1, comma 18, ha abrogato il comma 2 dell'articolo 37 del c.n., disciplinante il "diritto di insistenza" e, contestualmente, disponendo una proroga sino al 31.12.2015 della scadenza di tutte le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del decreto. Tale emendamento ha poi comportato l'apertura di una seconda procedura di infrazione comunitaria (la n. 2010/2734), legata al permanere della disposizione relativa al rinnovo automatico delle concessioni gia' esistenti. 7. Orbene, il Tribunale, aderendo sostanzialmente ai contenuti dell'istanza di riesame datata 31.03.2022, depositata dalla difesa dell'indagato in sede di riesame, non risulta aver adeguatamente effettuato quella indispensabile attivita' critica che doveva ineludibilmente essere operata nel caso di specie, se solo si considera che il richiamato giudizio si rivelava evidentemente incentrato su un taglio interpretativo della norma pro-assistito, che, sebbene offrisse un apprezzabile quadro generale della disciplina generale della materia trattata, trascurava alcuni passaggi critici indispensabili per delineare la corretta soluzione. Occorre, infatti, rilevare come il Collegio adito configuri il rinnovo automatico (il primo istituto in ordine cronologico reputato sussistente che, solo al suo concretizzarsi, avrebbe poi legittimato le successive proroghe riconosciute ai titoli concessori) come una vera e propria protrazione del medesimo rapporto conces-sorio, senza soluzione di continuita'. Tuttavia, tale conclusione e' offerta a fondamento della motivazione dell'ordinanza impugnata senza analizzare in alcuna maniera i presupposti dell'istituto del rinnovo, insistendo ulteriormente sull'assunto che, rinnovata automaticamente, la concessione in esame sia stata prorogata, con cio' richiamando il principio secondo cui in sede di proroga - e non di rinnovo (alla data della scadenza al 31.12.2007) - sussistessero i presupposti per l'esonero dell'Amministrazione dall'istruire qualsiasi procedimento di rinnovo, nonche' per l'esonero di attivita' istruttorie finalizzate a qualsivoglia accertamenti di carattere amministrativo/finanziario, anche in relazione alla pretesa correttezza del concessionario nel pagamento dei canoni concessori dovuti. Nel caso in esame, tuttavia, non sussistono le condizioni del c.d. rinnovo automatico, stante l'assenza dei presupposti richiesti dalla normativa; tra questi, proprio la regolarita' nella corresponsione dei canoni dovuti alla data di scadenza, nonche' la sottoscrizione e registrazione di un titolo valido che, qualora esistente e regolarmente formalizzato, avrebbe eventualmente dato in seguito accesso al regime di proroga. E invero, per il perfezionamento del citato iter procedimentale di rinnovo, la Regione Abruzzo e' tenuta, ineludibilmente, a riscontrare l'avvenuto pagamento dei canoni dovuti. Conformemente a tali disposizioni normative, la Regione Abruzzo - Servizio di Pianificazione Territoriale e Paesaggio - Ufficio Demanio Marittimo tramite la nota n. 48641 del 09.02.2021 evidenziava del resto che la societa' (OMISSIS) s.n.c. non aveva effettuato il pagamento dei canoni demaniali marittimi dell'anno 2009 ad oggi per una somma totale pari a Euro 363.915,17 e altresi' non aveva pagato le imposte regionali (10/0 del canone) per una somma totale pari a Euro 41.794,61. Nel caso di specie, invece, il mancato configurarsi di tali essenziali presupposti ha conseguentemente inibito la definizione del procedimento e, con esso, anche l'adozione e l'emanazione di un titolo concessorio valido, titolo che, qualora regolarmente formalizzato, avrebbe avuto poi accesso al gia' richiamato istituto della proroga. Infatti, sulla base della normativa richiamata, il distinguo tra l'istituto del rinnovo dell'atto concessorio e quello della mera proroga e' rappresentato dalla ineludibile circostanza che, mentre quest'ultima presuppone la continuazione di un rapporto in corso, il rinnovo, invece, incide, rivitalizzandolo, su un rapporto ormai esaurito. Perche' tale rivitalizzazione si concretizzi, non si puo' prescindere dal concretizzarsi degli estremi di una nuova concessione, che si sostituisce alla precedente gia' scaduta. In tal senso, si noti, anche alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa riguardanti l'accoglimento di ricorsi in appello promossi proprio dall'Agenzia del Demanio di Pescara contro le opposizioni proposte dagli stabilimenti balneari del teramano (Cons. St., sentenze nn. 6850-6851-68526853/2018, tutte in data 03/12/2018). Di fatto, nella concreta fattispecie, nessun procedimento amministrativo, preordinato alla decadenza della concessione, doveva essere instaurato dalla Regione Abruzzo, in quanto tale istituto caducatorio presuppone inevitabilmente la sussistenza di un rapporto giuridico valido ed efficace e non, come in questo caso, una situazione gia' scaduta e, quindi, definitivamente esaurita. 8. Alla stregua di quanto sopra, poi, non rileva, a giudizio del Collegio, la questione relativa alla "proroga automatica" delle concessioni che, infatti, presuppone un titolo concessorio valido ed efficace e non, invece, un titolo scaduto, peraltro alla data del 31.12.2007, dunque antecedente alla normativa interna, succedutasi nel tempo (ossia Decreto Legge n. 194 del 2009articolo 1, comma 18, , che ha prorogato i termini di scadenza delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalita' turistico - ricreative dapprima al 31.12.2015; successivamente, le modifiche apportate dal Decreto Legge n. 18 ottobre 2012, convertito nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, sino al 31.12.2020 e, infine, per effetto dell'articolo 1, commi 682 e 683 della successiva L. n. 145/2018, sino al 31.12.2033), dichiarata incompatibile alla luce della Direttiva n. 2006/123/CE. Ed invero, va ricordato che Decreto Legge n. 400 del 1993articolo 1, comma 2, , abrogato dal L. 15 dicembre 2011, n. 217 articolo 11, comma 1, (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' Europee Legge comunitaria 2010) stabiliva che "le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attivita', hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e cosi' successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo l'articolo 42, comma 2, codice navale Le disposizioni del presente comma non si applicano alle concessioni rilasciate nell'ambito delle rispettive circoscrizioni territoriali dalle autorita' portuali di cui alla L. 28 gennaio 1994, n. 84". L'abrogazione di quella disposizione, come espressamente chiarito dalla L. n. 217 del 2011, che vi provvedeva, si era resa necessaria per chiudere la procedura di infrazione n. 2008/4908 avviata ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea e per rispondere all'esigenza degli operatori del mercato di usufruire di un quadro normativo stabile che, conformemente ai principi comunitari, consentisse lo sviluppo e l'innovazione dell'impresa turistico-balneare-ricreativa. L'instaurazione della procedura d'infrazione e la successiva abrogazione della norma erano conseguenza di un contrasto della normativa interna, oltre che con i principi del Trattato in tema di concorrenza e di liberta' di stabilimento, con la direttiva n. 2006/123/CE nella parte in cui, con l'articolo 12, comma 2, esclude il rinnovo automatico della concessione. 9. Conclusivamente, la concessione rilasciata alla 4G, con scadenza alla data del 31 dicembre 2007, non "esisteva" piu' al momento dell'entrata in vigore del Decreto Legge n. 194 del 2009 articolo 1, comma 18, , conv. in L. n. 25 del 2010, e come tale non poteva essere non solo oggetto di rinnovo (posto che il mancato pagamento del canone ex articolo 47, lettera d), c.n., ne comporta la decadenza, imponendo all'Amministrazione l'esercizio di un potere di discrezionalita' vincolata, con conseguente esclusione di ogni possibile bilanciamento tra l'interesse pubblico e le esigenze del privato concessionario: tra le tante, Cons. St., Sez. VI, n. 465 del 2 febbraio 2015) ne', tantomeno, oggetto di proroga. Sul punto, del resto, e' sufficiente in questa sede ricordare che in relazione allo svolgimento del rapporto concessorio conseguente al rilascio di una concessione demaniale marittima, la decadenza del concessionario per omesso pagamento del canone concessorio costituisce atto doveroso, unitamente alle altre ipotesi previste dall'articolo 47 del Codice della Navigazione, che (con l'esclusione della lettera f), che fa generico riferimento alla " inadempienza degli obblighi derivanti dalla concessione") rappresentano altrettante clausole risolutive espresse, integrate le quali la risoluzione opera di diritto (v., sul punto: Cass. civ., Sez. 2, sentenza n. 20854 del 02/10/2014, Rv. 632838 - 01), senza necessita' di provare la gravita' dell'inadempimento della controparte (T.A.R. Cagliari, Sardegna, sez. I, 18/09/2019, n. 746). La concessione demaniale in questione era scaduta e non prorogata ne' prorogabile; e cio' in quanto gia' Decreto Legge n. 30 dicembre 2009, n. 194, articolo 1, comma 18 conv. in L. 26 febbraio 2010, n. 25 prevedeva che il termine di durata delle concessioni "in essere" alla data di entrata in vigore del predetto decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 fosse prorogato fino al 31 dicembre 2020, con la logica conseguenza che la proroga dovesse intendersi come valevole solo per le concessioni "nuove" (nel senso di successive al Decreto Legge n. 194 del 2009 conv. in L. n. 25 del 2010) in quanto "in essere alla data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 194 del 2009 e in scadenza" e tale non era la concessione originariamente emessa a favore della 4G (v., in senso conforme: Sez. 3, n. 29763 del 26/03/2014 - dep. 08/07/2014, Di Francia, Rv. 260108; Sez. 3, n. 32966 del 02/05/2013 - dep. 30/07/2013, Vita, Rv. 256411). Del tutto inconferente e' dunque il richiamo, da parte del Tribunale distrettuale e della difesa della 4G, dell'omessa attivazione, da parte dell'Amministrazione, del procedimento di decadenza dalla concessione per l'omesso pagamento del canone di concessione, di cui all'articolo 47, comma 1, lettera d), c.n., per l'assorbente ragione che, essendo la concessione scaduta, non era piu' in essere alcun rapporto giuridico tra l'amministrazione e la 4G. Ne', infine, risulta che la concessionaria abbia usufruito del c.d. condono balneare di cui all'articolo 100, di. 4 agosto 2020, n. 104, convertito con modificazioni dalla L. 13 ottobre 2020, n. 126. 10. Che, del resto, questa sia la conclusione corretta, era stato gia' affermato da questa stessa Sezione (Sez. 3, n. 29105 del 16 settembre 2020, dep. 21 ototbre 2020, PM in proc. Longino, n. m.). Va, infine, richiamata la giurisprudenza di legittimita' secondo cui il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo si configura anche in caso di occupazione protrattasi oltre la scadenza del titolo, a nulla rilevando l'esistenza della pregressa concessione e la tempestiva presentazione dell'istanza di rinnovo (da ultimo: Sez. 3, n. 34622 del 22/06/2011 - dep. 23/09/2011, P.M. in proc. Barbieri, Rv. 250976), attesa la natura costitutiva del diritto e non meramente autorizzatoria del provvedimento amministrativo di concessione. 11. Da ultimo, ritiene il Collegio che parimenti non abbia rilievo l'articolo 3, comma 3, L. 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, in G.U. n. 188 del 12-8-2022), in vigore dal 27/08/2022, che ha disciplinato l'annosa questione delle concessioni demaniali marittime all'articolo 3, introducendo un inciso al comma 3 che impedisce di ritenere configurabile, fino al 31.12.2023 o, in presenza delle condizioni ivi indicate, fino al 31.12.2024, il reato di cui all'articolo 1161 c.n. Tale disposizione, che proroga ex lege l'efficacia, fino alle predette date, delle concessioni indicate dalla lettera a) della medesima disposizione, subordina infatti la proroga "a tempo" dell'efficacia alla condizione che la concessione sia "in essere alla data di entrata in vigore della presente legge sulla base di proroghe o rinnovi disposti anche ai sensi della L. 30 dicembre 2018, n. 145, e del Decreto Legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 ottobre 2020, n. 126", con la conseguenza che tale disposizione non trova applicazione, invece, a quelle concessioni che non sono in essere alla data del 27.08.2022, ossia data di entrata in vigore della L. 118/2022. E' quindi lo stesso Legislatore a prevedere espressamente che tale "beneficio" non possa estendersi alle concessioni scadute, tra cui vi rientra quella in esame, soggetta si' a rinnovo automatico in forza della clausola n. 10, ma subordinatamente alla condizione del regolare pagamento dei canoni concessori, non corrisposti a far data dal 2009, come emerge dagli atti, donde la stessa da tale data era da considerarsi scaduta perche' decaduta ex articolo 47, comma 1, lettera d), c.n., con conseguente permanenza dell'abusiva occupazione dello spazio demaniale marittimo, integrante l'illecito di cui all'articolo 1161 c.n. 12. L'impugnata ordinanza dev'essere pertanto annullata per nuovo giudizio davanti al tribunale di Teramo. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Teramo competente ai sensi dell'articolo 324, comma 5, c.p.p.

Ricerca rapida tra migliaia di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Tribunale Milano Tribunale Roma Tribunale Napoli Tribunale Torino Tribunale Palermo Tribunale Bari Tribunale Bergamo Tribunale Brescia Tribunale Cagliari Tribunale Catania Tribunale Chieti Tribunale Cremona Tribunale Firenze Tribunale Forlì Tribunale Benevento Tribunale Verbania Tribunale Cassino Tribunale Ferrara Tribunale Pistoia Tribunale Matera Tribunale Spoleto Tribunale Genova Tribunale La Spezia Tribunale Ivrea Tribunale Siracusa Tribunale Sassari Tribunale Savona Tribunale Lanciano Tribunale Lecce Tribunale Modena Tribunale Potenza Tribunale Avellino Tribunale Velletri Tribunale Monza Tribunale Piacenza Tribunale Pordenone Tribunale Prato Tribunale Reggio Calabria Tribunale Treviso Tribunale Lecco Tribunale Como Tribunale Reggio Emilia Tribunale Foggia Tribunale Messina Tribunale Rieti Tribunale Macerata Tribunale Civitavecchia Tribunale Pavia Tribunale Parma Tribunale Agrigento Tribunale Massa Carrara Tribunale Novara Tribunale Nocera Inferiore Tribunale Busto Arsizio Tribunale Ragusa Tribunale Pisa Tribunale Udine Tribunale Salerno Tribunale Verona Tribunale Venezia Tribunale Rovereto Tribunale Latina Tribunale Vicenza Tribunale Perugia Tribunale Brindisi Tribunale Mantova Tribunale Taranto Tribunale Biella Tribunale Gela Tribunale Caltanissetta Tribunale Teramo Tribunale Nola Tribunale Oristano Tribunale Rovigo Tribunale Tivoli Tribunale Viterbo Tribunale Castrovillari Tribunale Enna Tribunale Cosenza Tribunale Santa Maria Capua Vetere Tribunale Bologna Tribunale Imperia Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto Tribunale Trento Tribunale Ravenna Tribunale Siena Tribunale Alessandria Tribunale Belluno Tribunale Frosinone Tribunale Avezzano Tribunale Padova Tribunale L'Aquila Tribunale Terni Tribunale Crotone Tribunale Trani Tribunale Vibo Valentia Tribunale Sulmona Tribunale Grosseto Tribunale Sondrio Tribunale Catanzaro Tribunale Ancona Tribunale Rimini Tribunale Pesaro Tribunale Locri Tribunale Vasto Tribunale Gorizia Tribunale Patti Tribunale Lucca Tribunale Urbino Tribunale Varese Tribunale Pescara Tribunale Aosta Tribunale Trapani Tribunale Marsala Tribunale Ascoli Piceno Tribunale Termini Imerese Tribunale Ortona Tribunale Lodi Tribunale Trieste Tribunale Campobasso

Un nuovo modo di esercitare la professione

Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.