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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 217 del 2021, proposto da Società Au. To. Iv. Va. D'A. (AT.) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ar. Ca. e Vi. Do. Ge., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l'avvocato Ar. Ca., con studio in Roma, piazza (...); contro Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e Ministero dell'Economia e delle finanze, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Torino, via (...); per l'annullamento del Decreto Interministeriale n. 629 del 31 dicembre 2020, emesso del Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle finanze, con il quale è stato negato l'adeguamento tariffario per l'anno 2021 nonché di ogni atto presupposto connesso e consequenziale, ivi compresi tutti gli atti dell'istruttoria svolta dalla Direzione generale di vigilanza sulle concessionarie autostradali, ancorché non conosciuti; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'Economia e delle finanze; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 25 settembre 2024 il dott. Luca Pavia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. A seguito dello spirare della relativa convenzione (sottoscritta il 7 novembre 2007 e scaduta il 31 agosto 2016), la società ricorrente gestisce una tratta autostradale in regime di prorogatio, il quale le impone di continuare a porre in essere tutte le attività di manutenzione ordinaria e straordinaria necessarie per assicurare la sicurezza della rete autostradale di sua competenza sino al subentro di una nuova concessionaria. Alla Convenzione è allegato un Piano Economico e Finanziario (PEF), che definisce le condizioni di equilibrio della concessione e indica gli strumenti attraverso i quali fare fronte agli oneri degli investimenti necessari per realizzare e gestire l'infrastruttura il quale, ai sensi della Convenzione, è oggetto di un adeguamento quinquennale. Tuttavia, le vicende relative al suo aggiornamento hanno dato luogo a un copioso contezioso tra la concessionaria e il Ministero concedente. 2. Per quanto qui di interesse si evidenzia che, il 30 settembre 2020, ATIVA ha chiesto l'aggiornamento delle tariffe di pedaggio per l'anno 2021 nella misura dello 0,42% e, il successivo 15 ottobre, ha comunicato che, sulla base del PEF oggetto di contezioso, esso avrebbe dovuto essere pari allo 1,06% ma, con il Decreto Interministeriale n. 629 del 31 dicembre 2020, il Concedente ha stabilito che, a partire dal 1° gennaio 2021, l'adeguamento avrebbe dovuto essere pari allo 0%. 3. Con ricorso, notificato il 1° marzo 2021 e depositato il successivo 15 marzo, la ricorrente ha impugnato il provvedimento de quo, unitamente a tutti gli atti della procedura, perché asseritamente illegittimi. 4. All'udienza pubblica del 25 settembre 2024, la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio. 5. Con il proprio ricorso, i cui motivi possono essere trattati congiuntamente, stante la loro stretta connessione, la ricorrente censura la violazione dell'art. 178 del d.lgs. n. 50/16, di tutte le disposizioni che regolano i rapporti tra concedente e concessionaria (ivi compresa la Convenzione del 7 novembre 2007) nonché l'eccesso di potere dell'amministrazione procedente. A suo dire, l'art. 15 della Convenzione del 7 novembre 2007 farebbe derivare l'adeguamento tariffario annuale dal tasso di inflazione programmato, dagli obiettivi di produttività e dalle variazioni degli indicatori della qualità del servizio mentre il relativo calcolo sarebbe compiutamente descritto dai successivi artt. 16 (dedicato al tasso di inflazione programmato), 16-bis (per l'indicatore di produttività ) e 19 (per l'indicazione di qualità ), a cui si dovrebbe aggiungere la possibilità di stabilire un ulteriore aumento, in contraddittorio tra le parti, per remunerare in nuovi investimenti (art. 18-bis). Inoltre, sia la Convenzione (art. 18.3) sia la legge (art. 21, comma 5, del d.l. n. 355/2003), consentirebbero all'amministrazione di modificare la proposta di piano solo in caso di errore nei valori inseriti nella formula revisionale, sbagli nei relativi conteggi ovvero in caso di gravi inadempienze. Nel caso di specie invece il concedente avrebbe negato l'adeguamento tariffario per l'anno 2021 esclusivamente perché la concessione sarebbe scaduta il 31 agosto 2016 e sarebbero in corso di definizione dei rapporti economici tra le parti. A suo dire, inoltre, poiché l'art. 5 della Convenzione imporrebbe alla concessionaria di proseguire la gestione dell'infrastruttura sino al subentro della nuova società, essa avrebbe comunque diritto all'adeguamento tariffario, anche perché la Concessionaria continuerebbe a pagare all'amministrazione i canoni previsti dagli art. 12 e 13 della Convenzione; tutt'al più il regime di prorogatio impedirebbe di inserire la parte relativa alla remunerazione dei nuovi investimenti. A ciò si aggiungerebbe che la mancata approvazione del PEF (che deriverebbe da asseriti inadempimenti del Concedente e sarebbe stato oggetto di un corposo contezioso innanzi a questo TAR) non inciderebbe sulla possibilità di richiedere l'adeguamento tariffario, tant'è che nei due esercizi successivi alla scadenza della concessione (2017 e il 2018) il concedente lo avrebbe riconosciuto, anche se in misura diversa da quella richiesta. A dire della ricorrente, infine, con il provvedimento impugnato il Concedente avrebbe illegittimamente tentato di dettare una serie di prescrizioni e indicazioni relative alla determinazione della misura dell'indennizzo spettante al Concessionario al termine del rapporto mentre tale procedura sarebbe esclusivamente disciplinata dalla convenzione e dall'art. 178 del d.lgs. n. 50 del 2016. 6. Il ricorso è fondato, con le precisazioni che seguiranno. Ai sensi dell'articolo 15 della Convenzione del 2007 le tariffe di pedaggio autostradale devono essere adeguate secondo la formula: ? T= ? P - X + ß ? Q, "dove ? T è la variazione tariffaria ponderata, ? P rappresenta il tasso d'inflazione programmato di cui all'art. 16, X è l'obiettivo di guadagno di produttività di cui all'art. 16 bis, ? Q la variazione percentuale dell'indicatore della qualità del servizio di cui all'art. 19 e 13 è un coefficiente definito nello stesso art. 19. Nella formula precedente, per variazione tariffaria ponderata si intende quella prevista dalla deliberazione CIPE n. 213/97", a cui si deve aggiungere il fattore K, qualora vengano realizzati nuovi investimenti, in modo da poterne assicurare la remunerazione. Le modalità di calcolo delle singole compenti sono, poi, esplicitate nei successivi artt. 15, 16, 16-bis, e 19 mentre l'art. 18 è dedicato alla procedura per l'aggiornamento delle tariffe, il quale prevede, nello specifico: - che entro il 30 settembre di ciascun anno il Concessionario comunichi al Concedente la variazione percentuale di aggiornamento tariffario quale derivante dalla formula revisionale di cui all'art. 15, comma 1; - che entro 45 giorni dal ricevimento della predetta comunicazione, il Concedente, previa verifica, trasmetta la comunicazione, nonché una sua proposta, ai Ministeri delle Infrastrutture e dei trasporti e dell'Economia e delle finanze, i quali, di concerto, approvano o rigettano le variazioni proposte, con provvedimento motivato, nei 30 giorni successivi al ricevimento della comunicazione; - che il Concedente possa contestare la richiesta esclusivamente qualora i valori inseriti nella formula revisionale e i relativi conteggi non siano corretti ovvero in caso di gravi inadempienze convenzionali, purché formalmente contestate al Concessionario entro il 30 giugno precedente; - che entro il 31 ottobre di ciascun anno il Concessionario comunichi al Concedente il valore della componente K e, anche in questo caso, il Concedente è tenuto, entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, a trasmetterla unitamente alla sua relativa proposta, ai Ministri competenti, i quali, nei successivi 30 giorni, approvano o rigettano di concerto, le variazioni proposte, con provvedimento motivato. Ciò posto, prima di esaminare il merito della controversia il Collegio è tenuto a premettere che, come già riconosciuto da questo Tribunale in alcune controversie afferenti il medesimo rapporto concessorio, l'attività de qua ha "natura autenticamente discrezionale, giacché implica "una valutazione, quand'anche tecnica, sulla sussistenza dei presupposti della formula tariffaria, frutto di un giudizio tecnico rimesso alla sola pubblica amministrazione" (Cons. St., sez. V, 21 febbraio 2018, n. 1098; Tar Lazio, Roma, sez. I, 7 dicembre 2020, n. 13057)" (cfr. TAR Piemonte, sez. II, 7 dicembre 2022, n. 1083). Del resto, pur trattandosi di attività prevista e disciplinata nella convenzione stipulata tra concedente e concessionario, essa non può ricondursi al mero adempimento di un'obbligazione contrattuale. La convenzione non è, infatti, un semplice contratto, ma un atto a contenuto complesso, che intreccia profili di carattere privatistico e pubblicistico, cui si riconosce natura di accordo amministrativo ex art. 11 della l. 241 del 1990 (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 17 luglio 2019, n. 5209). Tanto premesso, nel caso di specie il Ministero ha previsto un aggiornamento tariffario pari a zero sia perché "la Concessione è scaduta il 31 agosto 2016" e che, pertanto, "Ulteriori eventuali investimenti, validamente effettuati e non ancora ammortizzati, al netto di eventuali benefici conseguiti nel periodo successivo alla scadenza, saranno riconosciuti in sede di definizione dei rapporti economici" sia alla luce del fatto che "la mancata efficacia del Piano economico finanziario transitorio determina l'assenza di un quadro di riferimento per la determinazione delle tariffe all'utenza e pertanto non risulta possibile determinare il valore delle componenti della formula tariffaria sulla base di parametri accertati". A suffragio della propria tesi la ricorrente produce, invece, copiosa giurisprudenza a mente della quale l'adeguamento tariffario sarebbe funzionale ad aggiornare il corrispettivo percepito dal gestore della rete secondo il concreto svolgimento del rapporto, al fine di rendere aderente la remunerazione del concessionario rispetto al mutare del costo della vita e che, pertanto, non sussisterebbe alcun rapporto di presupposizione o subordinazione del procedimento in esame a quello di revisione e aggiornamento del PEF. Si tratta di principi che sono stati posti alla base alla base di decisioni di accoglimento delle pretese del ricorrente ma che non possono trovare solo una parziale applicazione al caso di specie. In primo luogo, è pacifico che l'esigenza di adeguare le tariffe non viene meno, né muta i suoi tratti fondamentali, laddove la gestione del servizio avvenga in prossimità della scadenza o in regime di prorogatio: l'istituto in esame è, infatti, funzionale ad aggiornare il corrispettivo percepito dal gestore della rete secondo il concreto svolgimento del rapporto, al fine di rendere aderente la remunerazione del concessionario rispetto al mutare del costo della vita (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 21 febbraio 2018, n. 1098). Tuttavia, ai sensi dell'articolo 13, comma 3, del d.l. 30 dicembre 2019, n. 162, vigente ratione temporis (ossia come modificato dall'articolo 13, comma 5, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183, convertito, con modificazioni, dalla Legge 26 febbraio 2021, n. 21), "Per i concessionari il cui periodo regolatorio quinquennale è pervenuto a scadenza, il termine per l'adeguamento delle tariffe autostradali relative all'anno 2020 e all'anno 2021 è differito sino alla definizione del procedimento di aggiornamento dei piani economici finanziari predisposti in conformità alle delibere adottate ai sensi dell'articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 109 del 2018, dall'Autorità di regolazione dei trasporti di cui all'articolo articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Entro il 30 marzo 2020 i concessionari presentano al Concedente le proposte di aggiornamento dei piani economico finanziari, riformulate ai sensi della predetta normativa, che annullano e sostituiscono ogni precedente proposta di aggiornamento. L'aggiornamento dei piani economici finanziari presentati nel termine del 30 marzo 2020 è perfezionato entro e non oltre il 31 luglio 2021". A seguito della novella, quindi, l'adeguamento tariffario è sospeso, e non azzerato, per far sì che la sua quantificazione avvenga in conformità al nuovo meccanismo introdotto dalle delibere ART nn. 16 e 77 del 2019, emanata in omaggio all'art. 37, comma 2, lett. g), d.l. n. 201 del 2011 (così come modificato dal d.l. n. 109/2018), che ha demandato all'Autorità il compito di individuare i criteri di determinazione dei criteri di aggiornamento delle tariffe autostradali per i concessionari. Ne consegue che non è più possibile sostenere che non vi sia alcun collegamento tra il sistema di revisione tariffaria e il piano economico finanziario in quanto esso rappresenta ora il presupposto necessario per ottenere l'invocata revisione. Tanto premesso, le peculiarità della fattispecie in esame devono condurre a un'interpretazione sistematica del quadro normativo di descritto che porta necessariamente ad applicare al piano transitorio le disposizioni che fanno riferimento al piano economico finanziario, con la precisazione a mente della quale l'amministrazione può solo differire l'approvazione degli adeguamenti tariffari sino alla sua redazione. Del resto, anche l'attuale formulazione dell'articolo 13, comma 3, del d.l. 30 dicembre 2019, n. 162, (così come sostituito dall'articolo 8, comma 9, del d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 febbraio 2024, n. 18), sancisce espressamente che entro "il 30 marzo 2024 le società concessionarie per le quali è intervenuta la scadenza del periodo regolatorio quinquennale presentano le proposte di aggiornamento dei piani economico-finanziari predisposti in conformità alle delibere adottate ai sensi dell'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2018, n. 130, dall'Autorità di regolazione dei trasporti di cui all'articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nonché alle disposizioni emanate dal concedente. L'aggiornamento dei piani economico-finanziari, presentati entro il termine del 30 marzo 2024 conformemente alle modalità stabilite, è perfezionato entro il 31 dicembre 2024. Nelle more degli aggiornamenti convenzionali, le tariffe autostradali relative alle concessioni di cui al primo periodo sono incrementate nella misura del 2,3 per cento, corrispondente all'indice di inflazione previsto per l'anno 2024 dalla Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2023. Gli adeguamenti, in eccesso o in difetto, rispetto ai predetti incrementi tariffari sono definiti in sede di aggiornamento dei piani economico-finanziari". 7. In conclusione, il ricorso è fondato e deve essere accolto, con conseguente obbligo dell'amministrazione di determinarsi nuovamente sul contenuto dell'istanza della ricorrente in omaggio al quadro normativo vigente, così come riassunto nella presente e decisione. 8. Alla luce del contenuto della presente decisione il Collegio ritiene che sussistano giustificati motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi e nei termini di cui in motivazione. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del 25 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Prosperi - Presidente Paola Malanetto - Consigliere Luca Pavia - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 476 del 2019 proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento della determinazione n. -OMISSIS- e di tutti gli atti presupposti, connessi, collegati e consequenziali, emessi ex art. 107, lett.ra g., del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 dal dirigente del dipartimento servizio urbanistica ed edilizia tecnica, sez. edilizia privata - del Comune di -OMISSIS- nei confronti di -OMISSIS-, compresa l'ordinanza di demolizione n° -OMISSIS- che si impugna espressamente, notificate contestualmente in data 18.02.2019. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2024 il dott. Andrea Maisano e udito per il ricorrente il difensore come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Il Sig. -OMISSIS- è proprietario di un immobile nel Comune di -OMISSIS- alla via -OMISSIS-. 2. A seguito di ordinanza comunale n. -OMISSIS-, volta alla demolizione e rimessa in pristino di manufatti abusivamente realizzati, egli ha presentato istanza di conservazione ai sensi dell'art. 34, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001 (doc. 1 di parte resistente). Alla domanda erano allegati elaborati grafici e una relazione tecnica asseverata, attestante che le opere non avrebbero potuto essere demolite senza pregiudizio di quanto edificato in conformità al permesso di costruire (doc. 6 di parte ricorrente). 3. La domanda di fiscalizzazione è stata accolta con atto n. -OMISSIS-(doc. 2 di parte resistente). 4. In esito a sopralluogo sul sito, eseguito su impulso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino (di cui è stata redatta relazione tecnica: doc. 3 di parte resistente), si accertava che una parte delle opere -ossia il locale individuato negli elaborati grafici allegati all'istanza di conservazione con la sigla "wc" e posto in adiacenza al locale soggiorno- non risulta strutturalmente connessa alle porzioni conformi, mentre i restanti manufatti abusivi ricadono nella categoria degli interventi eseguiti in "totale difformità " dal permesso di costruire. 5. Per l'effetto, con provvedimento n. -OMISSIS- (doc. 1 di parte ricorrente) il Comune di -OMISSIS-, previa comunicazione di avvio del procedimento, ha annullato in autotutela l'atto n. -OMISSIS-(doc. 2 di parte resistente) e con successiva ordinanza n. -OMISSIS- (doc. 2 di parte ricorrente) ha ingiunto la demolizione e messa in pristino delle opere. 6. Avverso i superiori atti, entrambi notificati il 18.2.2019, è insorto il deducente che, con ricorso notificato il 19.4.2019 e depositato il 16.5.2019, ne ha chiesto l'annullamento, previa sospensione cautelare, per il seguente motivo di diritto: Violazione di legge e eccesso di potere, per violazione e falsa applicazione dell'art. 21 nonies Legge n. 241/90, dell'art. 34 del D.P.R. 380/01, nonché carente istruttoria e contradditoria motivazione degli atti presupposti. Con un primo nucleo censorio il ricorrente lamenta l'omessa deduzione di un interesse pubblico alla caducazione dell'atto prevalente sull'affidamento del privato alla stabilità della disposta fiscalizzazione. Quindi, nella premessa che il versamento dell'importo di cui all'art. 34 D.P.R. 380/2001 avrebbe determinato il perfezionamento di un accordo sostitutivo di provvedimento amministrativo, egli contesta la violazione dell'art. 11 comma 4 Legge 241/1990 che subordina il recesso dell'amministrazione dall'accordo alla deduzione di sopravvenuti motivi d'interesse pubblico. Il ricorrente richiama, infine, l'art. 38 D.P.R. 380/2001 in base al quale, in caso di annullamento del permesso di costruire e valutata l'oggettiva impossibilità di demolizione delle opere, il rup o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria, il cui pagamento spiega i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'art. 36. 7. Si è costituito in giudizio il Comune di -OMISSIS- che, con documenti e memoria, ha dedotto l'infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto con vittoria di spese. 8. Con atto, denominato "motivi aggiunti", depositato in data 11.7.2019 e non previamente notificato, l'esponente ha confutato le tesi difensive dell'amministrazione, eccependone la natura di motivazione postuma, e ha allegato una nuova relazione tecnica (doc. 7 di parte ricorrente). 9. Con ordinanza n. -OMISSIS-, questo TAR, qualificato l'atto che precede come memoria difensiva (peraltro dichiarata tardiva rispetto ai termini di cui all'art. 55 cod. proc. amm.), ha rigettato l'istanza cautelare. 10. All'udienza del 9 luglio 2024 la causa è stata posta in decisione. DIRITTO A) Preliminarmente dev'essere ribadita la qualificazione (già statuita con la menzionata ordinanza cautelare n. -OMISSIS-) dell'atto depositato dal ricorrente in data 11.7.2019, e notificato lo stesso giorno all'amministrazione intimata, come memoria difensiva poiché, per suo tramite, egli non ha allegato ulteriori ragioni di doglianza né ha articolato domande nuove, ma ha esercitato un'attività confutatoria rispetto alle eccezioni della parte resistente e specificativa delle censure già dedotte nell'atto introduttivo del giudizio, mediante allegazione di un nuovo elaborato tecnico. Nel merito il ricorso è infondato. B) La prima ragione di doglianza, con cui l'esponente lamenta l'omessa deduzione di un interesse pubblico prevalente, non ha pregio. Giova rammentare che il gravato annullamento ex art. 21 nonies della Legge n. 241/1990 si fonda sulla constatazione che, delle opere descritte nell'istanza di conservazione, una parte presenta autonomia strutturale rispetto all'organismo principale, mentre gli altri manufatti si palesano totalmente difformi dal titolo edilizio. Quanto al primo profilo, la stessa relazione tecnica allegata alla domanda di fiscalizzazione dava atto, invero, della presenza di un volume "addossato esternamente all'immobile principale" e non avente "nessuna connessione architettonica con la restante parte dell'edificio" (doc. 6 di parte ricorrente, pag. 6 lett. a). Il dato è confermato anche dalla seconda relazione tecnica di parte, depositata insieme alla memoria del 11.7.2024, laddove parimenti si attesta che "addossata alla nuova porzione in ampliamento, è stata edificata una ulteriore struttura [...] da impiegare come wc", la quale "presenta una propria copertura indipendente" (doc. 7 di parte ricorrente, pag. 2, par. 2). La consapevolezza dell'istante, già al momento della presentazione della domanda di fiscalizzazione, circa il difetto, per una porzione delle opere, del requisito di unità strutturale esclude la possibilità di prospettare, al riguardo, un'incolpevole ignoranza della causa d'illegittimità dell'atto e, con essa, il plausibile convincimento di aver titolo all'utilità ottenuta. In merito al secondo profilo vanno richiamati i principi declinati in materia dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 17.10.2017 n. 8, in base ai quali: - l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione risulta attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati; al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate; - la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo al medesimo una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo a siffatta prospettazione di parte. Orbene, nel caso di specie solo all'esito del sopralluogo di cui in narrativa si è accertato che gli abusi commessi dal ricorrente non si sono concretizzati in mere divergenze qualitative o quantitative dal progetto assentito, ma hanno portato all'edificazione di un'opera del tutto diversa per conformazione e struttura. Pure tale circostanza risulta ammessa, peraltro, nell'elaborato tecnico di parte prodotto in data 11.7.2024 laddove (nel paragrafo rubricato "Descrizione della struttura allo stato attuale") si afferma esplicitamente che "Le opere abusive che hanno interessato il fabbricato originario hanno comportato come risultato finale una serie di profonde trasformazioni plano-altimetriche ottenendo nella sostanza un fabbricato completamente differente" (doc. 7 cit., ancora pag. 2). Alla stregua dei superiori postulati interpretativi, l'attestazione, nel provvedimento gravato, dell'incongruenza tra quanto dichiarato nell'istanza e lo stato effettivo dei luoghi -come corroborata dall'allegata relazione tecnica di sopralluogo (cfr. doc. 1 di parte ricorrente)- correda, perciò, l'annullamento dell'atto di fiscalizzazione di motivazione adeguata. Come evidenziato dall'amministrazione intimata (a pag. 8 della memoria di costituzione del 24.5.2019), il potere di autotutela è stato esercitato, altresì, entro il termine di cui all'art. 21 nonies della Legge n. 241/1990, essendo intercorso, tra l'accoglimento della domanda di fiscalizzazione (con atto n. -OMISSIS-del 18.7.2018: doc. 2 di parte resistente) e la sua caducazione d'ufficio (con provvedimento n. -OMISSIS-: doc. 1 di parte ricorrente), un intervallo di poco inferiore a sette mesi. Sicché, pure quanto all'ambito temporale di esplicazione del potere, il provvedimento impugnato si palesa legittimo. C) Il secondo nucleo censorio è inficiato dalla falsa premessa per cui il versamento della somma liquidata in sede di fiscalizzazione integrerebbe la fattispecie perfezionativa di un accordo sostitutivo di provvedimento ex art. 11 della Legge n. 241/1990. Al contrario, l'art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 è esplicito nel qualificare il pagamento come "sanzione" pecuniaria; come tale all'evidenza incompatibile con i moduli consensuali di esercizio del potere. Segnatamente, il dovere del Comune di reprimere gli abusi edilizi implica che non è nella sua disponibilità stipulare accordi o transigere con il privato in merito all'infrazione accertata. Né diversamente depone in proposito il documento n. 3 allegato al ricorso il quale dà atto soltanto del riconoscimento in suo favore del beneficio della rateizzazione del debito. Al fondo, poi, il (più mite) corredo sanzionatorio di cui al citato art. 34 postula la sussistenza di determinati presupposti, rivelatisi in specie insussistenti per le considerazioni svolte al paragrafo che precede. In definitiva, per il suo aperto contrasto con la lettera della norma in esame e con la ratio del complessivo ordinamento in materia d'illeciti edilizi, la doglianza è manifestamente infondata. D) Del tutto fuori fuoco è, infine, il richiamo, nella terza parte della censura, all'art. 38 del D.P.R. n. 380/2001. La disposizione in oggetto disciplina il regime giuridico applicabile agli interventi eseguiti in forza di un permesso di costruire successivamente annullato. In particolare, essa prevede una speciale forma di sanatoria mediante "compensazione" monetaria commisurata al valore venale delle opere abusivamente edificate. La ratio dell'istituto risiede nella tutela dell'affidamento del privato al cospetto di un abuso avente carattere sopravvenuto rispetto all'esercizio dell'attività edificatoria. Ne deriva che, non soltanto, per il suo carattere eccezionale, l'art. 38 citato è norma di stretta interpretazione, ma soprattutto, proprio perché volto a governare fattispecie di abusività sopravvenuta, non è prospettabile alcuna analogia rispetto alla vicenda in esame nella quale, all'opposto, assume rilievo un'ipotesi di abusività originaria in ragione della radicale difformità del manufatto dal titolo abilitativo. Per quanto esposto, confermata la riqualificazione dei motivi aggiunti come memoria difensiva, per le considerazioni innanzi illustrate, il ricorso dev'essere respinto, siccome infondato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono regolate come indicato nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il ricorrente al pagamento in favore del Comune di -OMISSIS- delle spese di lite, complessivamente liquidate in Euro 3.000 (tremila), oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare anche in via indiretta il ricorrente. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Bellucci - Presidente Andrea Maisano - Referendario, Estensore Marco Costa - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 840 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Mo. e Fr. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Sc. in Torino, via (...); contro Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Cr. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento -dell'ordinanza dirigenziale n° -OMISSIS-, emessa dal responsabile di settore programmazione territoriale SUE e notificata l'-OMISSIS-, provvedimento con cui si è ordinata la demolizione, entro 90 giorni dalla data di notifica, di interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire -OMISSIS-rilasciato in data-OMISSIS- e così ai sensi dell'art. 34 del DPR 380/2001 e s.m.i. ed in particolare con la realizzazione di isolamento termico per uno spessore pari a 7 cm in più rispetto a quanto assentito, sul prospetto dell'immobile confine ovest -OMISSIS-; - di ogni altro atto connesso, con particolare riferimento alle due relazioni di sopralluogo, datate -OMISSIS-, a firma dell'Istruttore Tecnico del Settore Programmazione Territoriale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 settembre 2024 il dott. Gianluca Bellucci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il Comune di -OMISSIS-, con ordinanza n. -OMISSIS-, ha ordinato al ricorrente, quale titolare del permesso di costruire e committente dei lavori, la demolizione di opera abusiva costituita da un isolamento termico esterno avente spessore pari a 7 centimetri in più rispetto a quanto assentito con permesso di costruire n. -OMISSIS-, ravvisando una difformità dal titolo edilizio. Avverso tale provvedimento l'interessato è insorto deducendo varie censure. Si è costituito in giudizio il Comune di -OMISSIS-. All'udienza del 26 settembre 2024 la causa è stata posta in decisione. DIRITTO 1.Con la prima censura il ricorrente lamenta l'omessa comunicazione di avvio del procedimento. La doglianza non è condivisibile. L'adozione dei provvedimenti repressivi di abusi edilizi non presenta margini di discrezionalità, trattandosi di atti vincolati, nell'an e nel contenuto, da quanto statuito dalla normativa di riferimento (nel caso di specie coincidente con l'art. 34 del d.p.r. n. 380/2001, richiamato nell'atto impugnato). Ne deriva che, rispetto ad essi, non si pone l'obbligo della previa partecipazione procedimentale dell'interessato: "l'ordine di demolizione di un abuso edilizio, essendo una conseguenza dell'accertamento dell'illegalità delle opere edilizie, rappresenta un atto obbligatorio e, pertanto, non richiede il preventivo avviso di cui all'art. 7 l. n. 241/1990. Questo provvedimento di carattere sanzionatorio per la violazione delle norme urbanistiche è una misura dovuta che segue un procedimento vincolato, precisamente stabilito dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge, non necessitando quindi di alcuna comunicazione conforme all'art. 7 l. n. 241/1990" (ex multis: Cons. Stato, VI, 5.7.2024, n. 5968). 2. Con il secondo motivo l'esponente sostiene che l'abuso edilizio in questione non supera la soglia di tolleranza prevista dall'art. 34, comma 2 ter, del d.p.r. n. 380/2001. Il rilievo non è condivisibile. L'invocata norma individua la soglia di tolleranza del 2% in caso di difformità nell'altezza, nei distacchi, nella cubatura o nella superficie coperta. Orbene, la difformità riscontrata dal Comune di -OMISSIS- non riguarda nessuna di tali tipologie di difformità ; non si tratta, infatti, di una modifica di altezza, di cubatura, di superficie coperta o di distacchi. Non sono quindi ipotizzabili la violazione dell'art. 34 del d.p.r. n. 380/2001, il denunciato travisamento e il difetto di istruttoria. 3. Con il terzo motivo l'istante, premesso che il gravato provvedimento è stato assunto a seguito di istanza anonima del 2014 e del 2015, lamenta la ritardata adozione del provvedimento stesso, con conseguente violazione dell'art. 2 della legge n. 241/1990. La censura non ha alcun pregio. Il legislatore non ha previsto un termine entro il quale debba essere adottata l'ordinanza repressiva dell'abuso edilizio, in quanto, configurando quest'ultimo un illecito permanente, la necessità permanente di far cessare l'illecito fa sì che l'ordine di demolizione può avere ad oggetto anche opere abusive realizzate da tempo remoto. Inoltre, la circostanza che vi sia stato l'impulso derivante dalla denuncia di un privato non comporta che il gravato provvedimento sia qualificabile come atto adottato su istanza di parte. Al contrario, una volta accertato l'illecito edilizio, il Comune è tenuto ad attivarsi autonomamente, sulla base di proprio accertamento dello stato dei luoghi e verifica di conformità rispetto al titolo edilizio. Infatti la vigilanza sull'attività urbanistico edilizia rientra nelle funzioni proprie del competente ufficio comunale, ai sensi dell'art. 27 del d.p.r. n. 380/2001. 4. Con la quarta doglianza il ricorrente deduce che, pur trattandosi di parziale difformità, l'impugnata ordinanza impone la totale riduzione in pristino, con la conseguenza che si configurerebbe sostanzialmente come annullamento d'ufficio in autotutela parziale del permesso di costruire. Il deducente aggiunge che il cappotto termico non può essere eliminato solo in parte, cosicché la demolizione parziale risulta impossibile e il Comune avrebbe dovuto applicare la sanzione pecuniaria ex art. 34, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001. La censura è infondata. L'impugnata ordinanza ha ad oggetto lo spessore dell'isolamento termico nella sola parte eccedente quanto autorizzato con il permesso di costruire: depongono in tal senso la descrizione dell'abuso e la qualificazione dell'intervento come "parziale difformità " espresse nell'ordinanza medesima, nonché il tenore letterale del suo dispositivo, preordinato ad ottenere il "ripristino dello stato dei luoghi autorizzato". In nessun modo, inoltre, l'atto impugnato prevede l'annullamento del permesso di costruire, ed anzi il titolo edilizio viene esplicitamente assunto come parametro di raffronto per valutare l'illiceità delle dimensioni del cappotto termico. Nemmeno sussiste violazione dell'art. 34, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001, giacché l'impossibilità di provvedere alla parziale demolizione deve essere valutata dal Comune e dimostrata dal privato nella fase successiva, ovvero nella autonoma fase esecutiva dell'ordinanza di demolizione (ex multis: Cons. Stato, VI, 12.5.2020, n. 2980; TAR Sicilia, Palermo, III, 19.3.2024, n. 1025; TAR Campania, Napoli, VIII, 17.9.2020, n. 3870). 5. Con le prime due parti della quinta censura l'interessato afferma che da un lato la motivazione dell'ordinanza impone la totale riduzione in pristino, dall'altro si contraddice richiamando l'art. 34 del d.p.r. n. 380/2001, e comunque disvela la volontà di procedere all'annullamento d'ufficio, come confermerebbero le relazioni di sopralluogo di cui ai documenti n. 2 e 3 depositati in giudizio. Sul presupposto che si tratti di atto di annullamento del permesso di costruire, il ricorrente deduce altresì la violazione dell'art. 21 nonies della legge n. 241/1990. Il mezzo non ha alcun pregio. La contestata ordinanza, come visto, è chiara nel prevedere la demolizione parziale, ovvero riguarda la sola parte del manufatto che eccede quanto assentito. In nessun modo è desumibile dalla stessa un annullamento d'ufficio. Le richiamate relazioni di sopralluogo sono valorizzate dall'ordinanza di demolizione nella parte in cui documentano la parziale difformità dal permesso di costruire. Pertanto nel caso di specie l'invocato art. 21 nonies della legge n. 241/1990 non ha alcun margine di applicazione. 6. Con la terza parte del quinto motivo l'esponente contesta i contenuti delle relazioni di sopralluogo, laddove si richiamano a ragioni di pubblico decoro senza considerare che il cappotto termico in questione affaccia su strada privata di scarso interesse. Il rilievo non ha pregio. L'impugnata sanzione demolitoria costituisce dichiarata applicazione dell'art. 34, comma 1, del d.p.r. n. 380/2000, in quanto, oltre a richiamare il medesimo art. 34, assume esplicitamente a fondamento la parziale difformità dell'isolamento termico rispetto al titolo autorizzatorio. Le ragioni di pubblico decoro e la natura della strada contigua al cappotto termico sono estranee alla motivazione della gravata ordinanza, la quale dispone la demolizione sul presupposto, di per sé decisivo, della parziale difformità dal permesso di costruire, rilevante ai fini della dichiarata applicazione dell'art. 34 del d.p.r. n. 380/2001. In ogni caso, a confutazione della tesi del ricorrente sulla natura privata del vicolo, il Collegio osserva che egli, con istanza del 10.8.2020 (documento n. 11 depositato in giudizio dall'Ente), ha chiesto al Comune di sdemanializzare la porzione stradale oggetto del contestato abuso ed ha quindi riconosciuto la natura pubblica del vicolo. 7. Con la quarta parte del quinto motivo di ricorso l'interessato, nel contestare la dichiarata illegittimità del titolo edilizio, deduce che il Comune non ha considerato che la normativa in tema di risparmio energetico consentiva, per le case a cortina, il posizionamento per 20 cm. sulla pubblica via. Il rilievo non ha pregio. Il gravato provvedimento trova giustificazione nell'art. 34, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, ovvero, come visto, si incentra sulla parziale difformità del manufatto dal permesso di costruire e non sulla illegittimità del titolo edilizio; né esso si sorregge sulla natura pubblica della via interessata dalla sporgenza dell'isolamento termico. Il permesso di costruire è stato quindi considerato dal Comune come legittimo provvedimento, valido per raffrontare l'opera assentita con l'opera effettivamente realizzata. 8. Con la quinta parte del quinto motivo l'esponente, richiamandosi alla pagina 3 del verbale di sopralluogo del 2 aprile 2019, sostiene l'assenza di esigenze di interesse generale all'uso del vicolo (omissis). La censura non ha alcun pregio. L'impugnato provvedimento non si sorregge su siffatte esigenze, né rilevano, ai fini della disposta demolizione, le valutazioni espresse riguardo ad esse nelle relazioni di accertamento; infatti il portato di dette relazioni per come recepito in sede di adozione dell'ordinanza demolitoria è circoscritto alla accertata parziale difformità dell'opera rispetto al permesso di costruire. 9. Con la sesta parte del quinto motivo il ricorrente deduce l'incomprensibilità del provvedimento laddove, richiamando le relazioni di sopralluogo, evidenzia la riduzione dei marciapiedi e la compromissione delle misure minime imposte dalla necessità di superare le barriere architettoniche. Il rilievo non ha pregio. L'impugnata ordinanza non si sorregge su una constatata riduzione dei marciapiedi o sulla violazione della disciplina in materia di barriere architettoniche. Le relazioni di sopralluogo sono recepite nell'ordinanza limitatamente all'accertata difformità dal titolo edilizio. 10. Con la settima parte del quinto motivo d'impugnativa l'interessato deduce l'illegittimità del richiamo all'art. 39 del d.p.r. n. 380/2001. La doglianza non ha alcun pregio. L'amministrazione, con la gravata ordinanza, ha richiamato l'art. 34 (e non l'art. 39) del d.p.r. n. 380/2001 e ha descritto l'abuso in modo da dimostrarne la riconducibilità all'illecito edilizio di cui all'art. 34, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001. Né depone in senso contrario la pagina 3 del verbale di sopralluogo datato 4 giugno 2019, citata dal ricorrente, in quanto nessuna parte dell'atto impugnato fa leva sull'art. 39 del d.p.r. n. 380/2001, cosicché il suddetto verbale, nella parte incentrata su tale norma, non risulta recepito e valorizzato dalla gravata ordinanza. 11. Con il sesto motivo l'interessato lamenta la lesione dell'affidamento e il difetto di proporzionalità . La censura non è condivisibile. Il Comune è obbligato a sanzionare l'abuso edilizio, in qualunque tempo ne accerti l'avvenuta realizzazione, ai sensi degli artt. 27 ss. del d.p.r. n. 380/2001, i quali prevedono un'attività repressiva vincolata, che non lascia spazio all'affidamento del privato. "L'ordine di demolizione in caso di abusi edilizi è un atto vincolato e sanzionatorio che non richiede una valutazione specifica delle ragioni di interesse pubblico né la comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti. Non si può invocare un affidamento basato sulla conservazione di una situazione abusiva, poiché il tempo non può legittimare tale situazione" (Cons. Stato, II, 8.4.2024, n. 3212). Nel caso di specie è pacifica la difformità del manufatto installato rispetto al titolo edilizio, ed è su tale difformità parziale che è stato calibrato il provvedimento, in puntuale applicazione dell'art. 34 del d.p.r.n. 380/2001. Pertanto nessun difetto di proporzionalità è ipotizzabile. 12. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il ricorrente a corrispondere al Comune la somma di euro 4.000 (quattromila) oltre accessori di legge, a titolo di spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità della parte ricorrente. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Bellucci - Presidente, Estensore Andrea Maisano - Referendario Alessandro Fardello - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 211 del 2024, integrato da motivi aggiunti, proposto da Bo. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, in relazione alla procedura CIG 98820372E9, rappresentata e difesa dall'avvocato Em. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco, rappresentato e difeso dall'avvocato Sa. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Centrale Unica di Committenza "(omissis)", non costituito in giudizio; nei confronti Me. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Fa., Br. Sa., Ma. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l'avvocato Ma. Fa. in Torino, via (...); per l''annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: della determinazione dirigenziale del Comune di (omissis) n. 178 del 30 gennaio 2024, relativa alla procedura di affidamento del servizio di gestione del verde urbano per gli anni 2024/2025/2026/2027, nella parte in cui ha disposto l''aggiudicazione del Lotto 1 (CIG 98820372E9) a vantaggio di Me. S.r.l., comunicata alla ricorrente in data 5 febbraio 2024, della nota del Comune di (omissis) avente ad oggetto "comunicazione esito gara" del 5 febbraio 2024, di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi espressamente incluso il verbale di valutazione delle offerte tecniche e i relativi allegati; nonché per il conseguimento a vantaggio di Bo. S.r.l., per effetto dello scorrimento della graduatoria di gara, dell''aggiudicazione e del contratto d''appalto; in subordine, per la condanna della stazione appaltante alla riedizione della fase di valutazione delle offerte tecniche e della fase di aggiudicazione; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Bo. S.r.l. il 12/4/2024: dell''atto del Comune di (omissis) prot. n. 16211/2024 dell''11 marzo 2024, avente ad oggetto "Procedura aperta per la conclusione di un accordo quadro con un operatore economico per il "SERVIZIO DI GESTIONE DEL VERDE - ANNI 2024 - 2027". Lotto I - Zona Nord ferroviaria TO-GE CIG: 98820372E9; Lotto II - Zona Sud ferroviaria TO-GE CIG: 9886082CF0; Lotto III - Aree verdi pertinenziali CIG: 9886136981 - Verifica dei requisiti speciali di capacità tecnica/professionale in capo agli operatori economici aggiudicatari Me. srl, Ag. srl e Vivai Cav. Gi. sa. e Fi. ss." (doc. 8, fascicolo Comune (omissis)); - della determinazione dirigenziale di aggiudicazione del contratto di appalto del Comune di (omissis) n. 840 del 08.05.2024, dell'atto del Comune di (omissis) prot. n. 16211/2024 dell'11 marzo 2024, avente ad oggetto "Procedura aperta per la conclusione di un accordo quadro con un operatore economico per il "SERVIZIO DI GESTIONE DEL VERDE - ANNI 2024 - 2027". Lotto I - Zona Nord ferroviaria TO-GE CIG: 98820372E9; Lotto II - Zona Sud ferroviaria TO-GE CIG: 9886082CF0; Lotto III - Aree verdi pertinenziali CIG: 9886136981 - Verifica dei requisiti speciali di capacità tecnica/professionale in capo agli operatori economici aggiudicatari Me. srl, Ag. srl e Vivai Cav. Gi. sa. e Fi. ss.", della determinazione dirigenziale del Comune di (omissis) n. 178 del 30 gennaio 2024, relativa alla procedura di affidamento del servizio di gestione del verde urbano per gli anni 2024/2025/2026/2027, nella parte in cui ha disposto l'aggiudicazione del Lotto 1 (CIG 98820372E9) a vantaggio di Me. S.r.l., comunicata alla ricorrente in data 5 febbraio 2024, della nota del Comune di (omissis) avente ad oggetto "comunicazione esito gara" del 5 febbraio 2024, di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi espressamente incluso il verbale di valutazione delle offerte tecniche e i relativi allegati, - NONCHÉ DICHIARARE INEFFICACE, AI SENSI DELL'ART. 122, C.P.A., il contratto di appalto stipulato tra il Comune di (omissis) e Me. S.r.l. in data 15 maggio 2024 (n. rep. 13856), eventualmente con modulazione della data di produzione degli effetti della sentenza onde consentire il subentro; - DISPORRE IL CONSEGUIMENTO a vantaggio di Bo. S.r.l., per effetto dello scorrimento della graduatoria di gara, dell''aggiudicazione e del contratto d'appalto, anche mediante subentro in relazione alle prestazioni ancora da eseguire, - E, IN TALE ULTIMO CASO, CONDANNARE la stazione appaltante al risarcimento del danno (da mancata aggiudicazione, da lesione dell'immagine aziendale, curriculare, da perdita di chance, etc.), ai sensi dell'art. 30, c. 5, c.p.a., con riferimento alle prestazioni già eseguite da altri e non più eseguibili dalla ricorrente, - OVVERO, IN SUBORDINE, OVE IL CONTRATTO NON FOSSE SUSCETTIBILE DI ESSERE DICHIARATO INEFFICACE, CONDANNARE la stazione appaltante al risarcimento del danno (da mancata aggiudicazione, da lesione dell'immagine aziendale, curricolare, da perdita di chance, etc.), ai sensi dell'art. 30, c. 5, c.p.a., se del caso previa indicazione dei criteri di liquidazione e assegnazione di un termine ragionevole alla stazione appaltante per la formulazione di una coerente proposta risarcitoria; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Me. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 settembre 2024 il dott. Raffaele Prosperi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con ricorso a questo Tribunale notificato il 3 marzo 2024 la Bo. s.r.l. impugnava, chiedendone l'annullamento, la determinazione dirigenziale del Comune di (omissis) n. 178 del 30 gennaio 2024, relativa alla procedura di affidamento del servizio di gestione del verde urbano per gli anni 2024/2025/2026/2027, nella parte in cui era stata disposta l'aggiudicazione del Lotto 1 a vantaggio di Me. S.r.l., unitamente a tutti gli atti connessi, ivi espressamente incluso il verbale di valutazione delle offerte tecniche e i relativi allegati. Premetteva in fatto la ricorrente, una volta appreso di aver ottenuto il punteggio di 98/62/100 al fronte dei 99,37/100 dell'aggiudicataria, di aver effettuato istanza di accesso agli atti al fine di estrarre copia dei verbali di gara e della documentazione amministrativa e tecnica presentata dagli operatori collocati in posizione utile nella graduatoria ed una volta ottenuti, di aver accertato gli errori di fatto e l'illogicità irragionevolezze tanto dell'istruttoria quanto della valutazione effettuata dalla stazione appaltante nei confronti dell'offerta tecnica di Me. S.r.l.; in conseguenza di ciò di aver trasmesso alla stazione appaltante un'articolata istanza di riesame su tali elementi, istanza non seguita da alcun riesame. Era allora intervenuto il ricorso in esame con la deduzione in diritto delle seguenti censure con il loro relativo contenuto: 1.Eccesso di potere per difetto di istruttoria in violazione del principio di analiticità della valutazione del seggio di gara; violazione della lex specialis di gara (art. 17 disciplinare) e di principi di parità di trattamento degli operatori e di tutela della concorrenza. 2. Eccesso di potere per manifesto travisamento dei fatti, illogicità irragionevolezza, difetto di istruttoria e di motivazione; violazione della lex specialis di gara (art. 17 disciplinare) e di principi di parità di trattamento degli operatori e di tutela della concorrenza. La ricorrente concludeva come in atti e quindi si costituiva in giudizio la controinteressata Me. S.r.l. ed il Comune di (omissis), sostenendo la tardività e l'infondatezza del ricorso. Con atto recante motivi aggiunti notificato il 10 aprile 2024 Bo. estendeva l'impugnazione all'atto comunale prot. n. 16211/2024 dell'11 marzo 2024, non notificatole, né oggetto di pubblicazione, con il quale era attestato "l'esito positivo nei confronti degli operatori in oggetto del controllo effettuato sul requisito previsto al punto 6.3 lettera d) del disciplinare di gara e art 8 del Capitolato, relativo al possesso/disponibilità minima di mezzi e attrezzature, sulla base della documentazione dagli operatori economici in sede di gara". Espressi nuovamente le irragionevolezze insite nella valutazione dell'offerta tecnica dell'aggiudicataria, la ricorrente deduceva i seguenti motivi: A. Vizi in via derivata. 1.Eccesso di potere per difetto di istruttoria in violazione del principio di analiticità della valutazione del seggio di gara inoltre della lex specialis di gara (art. 17 del disciplinare); Violazione dei principi di parità di trattamento degli operatori e di tutela della concorrenza. 2.Eccesso motivi per manifesto travisamento dei fatti, illogicità irragionevolezza, difetto di istruttoria e di motivazione; violazione della lex specialis di gara (art. 17 del disciplinare) e dei principi di parità di trattamento degli operatori e di tutela della concorrenza. B. Vizi propri dell'atto impugnato. 3.Violazione della lex specialis di gara (art. 8, punto E, c.s.a.); eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e difetto di presupposti. 4.Violazione della lex specialis di gara (art. 8, punto E, c.s.a. e art. 17 del disciplinare); eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e difetto di presupposti. La ricorrente concludeva come in atti, per l'annullamento dell'aggiudicazione con lo scorrimento della graduatoria in subordine per la riedizione della valutazione delle offerte tecniche. A seguito della notizia dell'avvenuta stipulazione del contratto tra l'attuale controinteressata ed il Comune, il 7 giugno 2024 Bo. notificava un secondo atto recante motivi aggiunti, con cui ribadiva i motivi di ricorso riguardanti in via derivata il provvedimento di aggiudicazione ed inoltre illustrava le ragioni che avrebbero dovuto condurre alla declaratoria di inefficacia del contratto articolava in via subordinata la domanda risarcitoria nell'ipotesi denegata di rigetto della domanda di tutela in forma specifica induceva inoltre le seguenti censure con il loro contenuto: 1.Violazione della lex specialis di gara (art. 8, punto E, c.s.a.); eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e difetto di presupposti. 2.Violazione della lex specialis di gara (art. 8, punto E, c.s.a. e art. 17 del disciplinare); eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e difetto di presupposti. Tali ultimi due motivi, a differenza dei precedenti di cui si è dato conto della rubrica concernenti vari aspetti della valutazione dell'offerta tecnica dell'aggiudicataria, riguardavano in particolare la comunicazione di documenti amministrativi dei mezzi a disposizione della Me. e della loro disponibilità . Di seguito si dava conto dell'effetto caducativo insito nella fondatezza di una serie di motivi e motivi aggiunti e della possibilità della sostituzione dell'appaltatore con la ditta ricorrente in via subordinata veniva illustrata l'ipotesi risarcitoria per i quattro anni di mancata aggiudicazione. Con vasto numero di memorie le controparti si diffondevano in una copiosa difesa dei singoli punti oggetto di censura e ribadivano altresì le tesi sulla tardività del ricorso. Con ordinanza cautelare 4 luglio 2024 n. 249 questa Sezione accoglieva in parte la domanda cautelare ed in conseguenza sospendeva l'aggiudicazione, mentre rinviava al merito per ragioni di interesse pubblico ogni decisione in relazione all'eventuale inefficacia del contratto e fissava all'udienza del 25 settembre 2024 la trattazione del merito della causa. Ciò in quanto, pur riconoscendo e confermando il principio della discrezionalità della commissione di gara e dei suoi componenti, principio dal quale derivava l'elemento tipico dei criteri di assegnazione del punteggio, lasciavano forti perplessità le identiche assegnazioni di punteggi alla ricorrente ed alla aggiudicataria alla luce del personale e dei mezzi messi a disposizione dell'appalto da entrambe, soprattutto in merito alle età degli operatori ed ancor più dei mezzi disponibili e nel numero e nella qualità e nella vetustà . All'udienza odierna, così come stabilito in sede cautelare, la causa è passata in decisione. DIRITTO Il Collegio è tenuto a puntualizzare che nonostante la sovrabbondanza degli scritti difensivi di parte e di documentazione depositata, perseguirà per quanto possibile di mantenere il rispetto dell'art. 120 co. 10 che impone la sinteticità delle sentenze in materia di procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture. Si deve dapprima sgombrare il campo dall'eccezione di tardività del ricorso introduttivo e di inammissibilità quanto alle mancate impugnazioni della legge di gara e dei verbali del procedimento. E' impugnata la determinazione dirigenziale del Comune di (omissis) n. 178 del 30 gennaio 2024, relativa alla procedura di affidamento del servizio di gestione del verde urbano per gli anni 2024/2025/2026/2027, nella parte in cui ha disposto l'aggiudicazione del Lotto 1 a vantaggio dell'attuale controinteressata Me. S.r.l., comunicata alla ricorrente in data 5 febbraio 2024, della nota del Comune di (omissis) avente ad oggetto "comunicazione esito gara" del 5 febbraio 2024, di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi espressamente incluso il verbale di valutazione delle offerte tecniche e i relativi allegati. Il ricorso introduttivo è stato notificato il 6 marzo 2024 e a parere delle difese comunali la ricorrente era a conoscenza dei contenuti lesivi già dal 2 febbraio 2024 ossia dalla pubblicazione sul sito del Comune di (omissis); secondo l'aggiudicataria, viste le censure sollevate, il ricorso andava proposto nei termini di legge una volta conosciuti i contenuti del disciplinare di gara che avrebbero a suo dire vincolato l'attribuzione del punteggio. Tali eccezioni appaiono infondate. In primo luogo la ricorrente ha dovuto presentare a propria tutela domanda di accesso per conoscere nella sua completezza l'offerta tecnica dell'attuale contentezza e tale accesso è stato possibile dal 19 febbraio 2024 e dunque solo a quella data, per costante giurisprudenza, andava ritenuta l'avvenuta conoscenza piena dei provvedimenti contestati e quindi decorrente la possibilità di agire in giudizio. Quanto all'impugnazione dei verbali, solo la loro concreta applicazione poteva permettere di chiedere tutela al giudice amministrativo e dunque non era immaginabile un ricorso per così dire "anticipatorio". Altrettanto si deve rilevare quanto all'eccezione successivamente sollevata di tardività del ricorso in quanto sarebbe stata da impugnare immediatamente la legge di gara. Va ora affrontato il merito che verte essenzialmente sul ricorso introduttivo, il quale ha i contenuti sufficienti per sviluppare il giudizio, in quanto i due atti recanti motivi aggiunti notificati nelle fasi successive costituiscono in buona sostanza uno sviluppo delle censure del ricorso introduttivo e attengono più che altro alla contestazione per ragioni analoghe a quelle ricorso introduttivo sia del controllo positivo dei requisiti dell'aggiudicataria, sia del contratto in seguito stipulato. In conseguenza non si possono fare questioni sulla tempestività dei loro contenuti. Le due censure del ricorso, l'una attinente le modalità di attribuzione del punteggio ai due concorrenti ora in lite e l'altra l'asserita macroscopica illegittimità della valutazione dell'offerta tecnica dell'aggiudicataria, devono essere esaminate congiuntamente. Il primo motivo concerne l'attribuzione dei criteri di valutazione dell'offerta tecnica, per i quali il disciplinare di gara stabiliva l'attribuzione di punteggi tabellari nel numero massimo di 46, da attribuirsi o meno in riferimento alla presenza o meno di quanto richiesto dalla legge di gara ed inoltre l'attribuzione di punteggi discrezionali, a parere della commissione giudicatrice nel numero massimo di 24, dunque un totale di 70 punti per l'offerta tecnica a fronte dei 30 per l'offerta economica. Ora i commissari di gara hanno attribuito pari voti a tutte le offerte per ogni voce di valutazione. Secondo il motivo sub 1) il giudizio sull'offerta tecnica si era ridotto ad una semplice formalità, fissando in capo all'offerta economica il criterio dominante per la scelta del contraente in palese contrasto con le norme riguardanti il principio dell'offerta economicamente vantaggiosa ed in spregio alla parità di trattamento ed alla tutela della concorrenza. L'identità di punteggio per ogni concorrente esprimeva non solo un appiattimento anomalo della valutazione, ma rivelava in sintesi un inammissibile mancato esercizio dei poteri discrezionali di giudizio affidati ai componenti della commissione giudicatrice, a dire della ricorrente secondo giurisprudenza riportata "sicura spia dell'eccesso di potere, sotto il profilo del cattivo uso della discrezionalità amministrativa e della falsa applicazione delle disposizioni del disciplinare di gara sui criteri di valutazione dell'offerta tecnica", ma anche patente disapplicazione della legge di gara che prevedeva giudizi autonomi da parte di ciascun commissario. Tale censura se letta in astratto offre il destro ad un sostanziale fumus di fondatezza, ma secondo quanto prima considerato essa deve essere analizzata in concreto secondo quanto prospettato dal secondo motivo per comprendere se i punteggi finali sono stati effettivamente viziati da una discrezionalità del tutto distorta come appunto prospettato nella seconda censura passando in rassegna una serie di elementi delle due offerte tecniche che dimostrerebbero una sovrastima dell'offerta dell'aggiudicataria ed una sottostima dell'offerta della ricorrente. Si ritiene oggettivamente corretto iniziare l'esame dalle risorse umane messe in campo dalla Me. s.r.l. Bo. si duole che tra il personale assegnato alla commessa come lavoratori vengano individuati dei soci, alcuni dei quali in età pensionistica - i sig.ri Ma. Me. e Fr. Me., per i quali il progetto tecnico di Me. indica la data di nascita e non quella di assunzione; allo stesso Fr. Me. e ad altro socio St. Me. vengono attribuiti compiti tra loro non sovrapponibili; St. Me. dovrebbe infatti essere allo stesso tempo persona reperibile h. 24, responsabile commessa ed operaio della squadra 4; Fr. Me. - di anni 73 - dovrebbe essere al contempo responsabile cantieri, operaio della squadra 4 e persona reperibile h. 24. Ancora il disciplinare prevede l'attribuzione di 3 punti all'operatore che preveda la "direzione lavori degli interventi su esemplari arborei da parte di tecnico abilitato all'albo degli agronomi", mentre l'aggiudicataria esibisce la generica dichiarazione di impegno di un agronomo - dott. Ma. Mi. - a "collaborare con Me. S.r.l. relativamente all'affidamento del servizio di gestione del verde per gli anni 2024-205-2026- 2027 su n. 3 lotti", senza alcun riferimento alla continuatività delle funzioni e dalla responsabilità fissa di direzione dei lavori, mentre Bo. ha dichiarato la presenza nel proprio organigramma quale dipendente di un agronomo che avrebbe assunto la qualifica di direttore dei lavori. Il Collegio rileva che non vi sia alcun dubbio che un socio possa essere inserito nella dotazione del personale operativo per la commessa in questione; ma lascia molto perplessi, a prescindere già dalle età anagrafiche che pure vanno considerate, che tali soggetti soprattutto nel caso di settantatreenni possano essere contemporaneamente responsabile cantieri, operaio di una squadra e persona reperibile h. 24/24. Naturalmente non è un fenomeno proibito, tanto meno dalla legge di gara, ma certo non appare un fattore determinante del punteggio massimo. Altrettanto, se non più marcatamente, va rilevato quanto alla posizione del dott. Mi., il quale si impegna a collaborare con l'aggiudicataria per la gestione del verde negli anni contrattuali; non si può dimenticare come prima riferito che il disciplinare prevedeva l'attribuzione di tre punti al concorrente che si impegnasse esplicitamente a conferire la direzione dei lavori ad un tecnico abilitato all'albo degli agronomi; nel caso della ricorrente vi è un dipendente con l'abilitazione specifica che espressamente andrebbe preposto al compito richiesto, mentre aggiudicataria propone l'impegno alla collaborazione - si ripete alla collaborazione e non alla direzione dei lavori - da parte di un esterno. Come si vede dal punto di vista delle risorse umane l'attribuzione di una parità di punteggio appare senza dubbio impropria. Si deve passare ora ai mezzi dichiarati disponibili nelle offerte tecniche delle due concorrenti. Me. ha dichiarato di possedere 6 mezzi su 7 attrezzati per il taglio mulching nella percentuale pari all'85,7 % per il quale il disciplinare del sub criterio F3 prevedeva l'assegnazione di 6 punti il luogo di 4 punti per la percentuale del 40%, 6 punti poi assegnati all'aggiudicataria; tale attribuzione non appare ragionevole, come sostenuto dalla ricorrente, laddove non viene dimostrato l'effettivo possesso dei predetti mezzi in vista dell'effettuazione del servizio appaltato: infatti con la domanda di partecipazione non è stato allegato il contratto di comodato d'uso del mezzo "tosatrice Etesa" ed è stata dichiarata esclusivamente la mera disponibilità a noleggiare il mezzo "robot modello Spider"; appare corretto il profilo di censura in cui si sostiene che la mera disponibilità a noleggiare un mezzo - senza il contratto stipulato con il noleggiatore - non può essere considerata equivalente al possesso effettivo, costituendo una soluzione che non garantisce affatto alla stazione appaltante che al momento dell'effettuazione del servizio l'appaltatore sarà in grado effettivamente di disporre dei mezzi richiesti. Eguali considerazioni valgono altresì per la dichiarazione d'impegno dell'aggiudicataria "a noleggiare almeno una macchina a sfalcio mulching alimentazione a batteria modello Aries Zenith-E", in assenza di un contratto di noleggio; con ciò non si vuole negare che conseguirà in seguito il sopraggiungere dei noleggi in questione, ma non è giustificabile l'attribuzione dei medesimi punti attribuiti a Bo. S.r.l. che invece ha inserito tra i mezzi attrezzati per il taglio mulching mezzi già al momento di proprietà della stessa, quindi nella sua effettiva disponibilità . Quanto all'art. 17, punto 1.3, del disciplinare di gara, altro diverso profilo di censura, stabiliva che le ditte concorrenti indicassero nella relazione ai fini del criterio di valutazione G, i "mezzi, attrezzature e immobili messi a disposizione per la gestione del servizio, in aggiunta a quelli indicati nel capitolato speciale d'appalto e non già oggetto di valutazione all'interno del criterio F". La ricorrente ha inserito nella sua offerta - vd. da pag. 12 a pag. 15 - quanto segue: 1.3 Mezzi, attrezzature per la gestione del servizio, in aggiunta a quelli indicati nel capitolato speciale di appalto e non già oggetto di valutazione all'interno del criterio F e oggetto: attrezzatura tecnica a disposizione. n. 2 autocarri euro 6D Ford Transit cassonati portata 1200 kg. (omissis) anno 2021 _(omissis) anno 2021; n. 1 autocarro ibrido euro 6D Ford Transit cassone ribaltabile trilaterale targato (omissis) anno 2022; n. 1 autocarro Fiat Ducato cassone fisso targato (omissis) euro 6D anno 2020; n. 3 autocarri Ford Transit cassone ribaltabile (omissis) ANNO 2020; n. 4 autocarri euro 6B - Ford Transit cassone ribaltabile trilaterale portata 850 kg. targati (omissis) anno 2019 - (omissis) Anno 2019 (omissis) Anno 2019 (omissis) Anno 2019 n. 3 Autocarri Euro 6b - Ford Transit cassone ribaltabile trilaterale portata 850 kg targati (omissis) Anno 2017 (omissis) Anno 2017 (omissis) Anno 2017 n. 1 Autocarro Ford Transit Cassone Ribaltabile Portata Complessiva Fino 50 Q.Li Targato (omissis) Euro 6d Anno 2020; n. 1 Autocarro Euro 6 Iveco Eurocargo 180-250, cassone ribaltabile trilaterale con sovrasponde portata complessiva 91 Q.Li dotato di gru Fassi F.105.Active e pinza da legna optional targato (omissis) anno 2017; n. 2 piattaforma aerea Hinowa Light Lift 14.72 (per lavori in quota fino a 14 metri) anni 2010-2018; n. 1 piattaforma aerea Hinowa Gold Lift 17.80 (per lavori in quota fino a 17 metri) anno 2018; n. 1 piattaforma aerea Hinowa Light Lift 20,10 (per lavori in quota fino a 20 metri) dicembre 2019; n. 1 autoscala Multitel Pagliero su Iveco Daily H 25 Mt targata (omissis); dicembre 2021; n. 1 sollevatore telescopico Manitou 2150 Privilege con accessori (Aereal Jib per potature di piante fino a 31 mt., pala e forche) conforme alle direttive 97/68/Ce ase Iiia Anno 2019; n. 1 scavatore Kubota U48, 48 q. li con 3 benne e pinza girevole anno 2016; n. 1 pinza girevole carica-tronchi Agriforest Gmr 1300 Xt Anno 2019; N. 1 miniescavatore Kubota U17-3ke; n. 1 miniescavatore Takeuchi TB210R anno 2020; n. 1 trattore Kubota M7173 (omissis) 170cv targato (omissis) in leasing strumentale anno 2021 munito di gru idraulica Kronos G608 con pinza anno 2021; n. 1 trattore Kubota M135gx 143 cv targato (omissis) anno 2018 munito di gru idraulica Dg320f; n. 1 trattore Kubota M5111 115 cv targato (omissis) anno 2020; n. 1 trattore Kubota M9960 99 cv targato (omissis) conforme alle direttive 2000/25/Ce Fase Iiib - anno 2016; n. 1 trattore Kubota L4100 targato (omissis) conforme alle direttive 2000/25/Ce fase Iiia anno 2017; n. 1 trattorino Iseki Tm-3217 targato (omissis) conforme fase V Reg Ue 2018/985 n. 1 trattorino Iseki Tlr-3410 targato (omissis) conforme fase V Reg Ue 2018/985 n. 1 rimorchio Francini targato (omissis) con frenatura idraulica 500x245cm portata 110 q.li; n. 1 rimorchio Francini targato (omissis) portata 60 q.li anno 2020; n. 1 rimorchio Francini targato (omissis) portata 60 q.li Anno 2022; n. 1 trattorino tagliaerba John Deere F1580 targato (omissis) conforme fase V Reg 2016/1628/Ue; n. 1 trattorino idrostatico Gianni Ferrari Turbo Iv Fifty targato (omissis) Anno 2020 con piatto da 150 cm, trincia Peruzzo da 160 cm e raccolta da 1400 litri anno 2020; In luogo di ciò, l'offerta dell'aggiudicataria relativa a questo punto si limita a rivendicare la costante manutenzione ordinaria e straordinaria dei propri mezzi e a garantire cambiamenti tramite la disponibilità di macchine o mezzi al posto di quelli da sostituire. Da ultimo va esaminato l'ulteriore profilo di censura concernente il sub criterio F2, per il quale il disciplinare attribuiva il massimo di 6 punti per l'utilizzo di "apparecchi (motoseghe, decespugliatori) a motore elettrico e mezzi operativi omologati non inferiori ad euro 5": se su tale punto l'aggiudicataria ha adottato una dichiarazione di impegno pro-futuro, per cui in caso di aggiudicazione si sarebbe impegnata nell'uso superiore del 75 % di apparecchi (motoseghe, decespugliatori, ecc...) a motore elettrico, dunque alimentati a batteria, la ricorrente ha elencato nell'offerta il dettaglio di tutti i mezzi elettrici di cui la stessa era attualmente proprietaria (vd. pagg. 2, 3, 4 e 5 dell'offerta tecnica di Bo.) e che venivano messi a disposizione per l'appalto; anche qui i punti attribuiti ai commissari di gara sono i medesimi. L'esame della seconda analitica censura posta a dimostrazione dell'assunto del primo motivo si rivela fondata in via assorbente, residuando solo alcuni punti secondari. A questo punto l'attribuzione del punteggio esattamente uguale ai due concorrenti in lite appare una macroscopica irrazionalità . Al Collegio è ben chiaro che le dimensioni delle due ditte in controversia siano assolutamente diverse e la controinteressata lo ha dimostrato depositando dell'imminenza dell'udienza di trattazione una serie di aggiudicazioni ottenute dalla Bo. in vari Comuni del Piemonte e della Lombardia, tanto da adombrare una posizione di quasi monopolio. Ma le dimensioni delle imprese non sono in questo campo coperte da tutela normativa e non possono divenire oggetto di contestazioni. Per tali motivi l'aggiudicazione impugnata deve essere annullata e va rimesso alla stazione appaltante il potere di valutare nuovamente la consistenza delle offerte tecniche secondo quanto rilevato in sentenza. Tale passaggio comporta l'accoglimento della domanda subordinata di riesame e conseguentemente l'irrilevanza della domanda di scorrimento della graduatoria e l'attribuzione alla ricorrente del contratto de quo. Le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti, vista anche la violazione da parte dei contendenti dei contenuti di cui all'art. 3 del codice del processo amministrativo che obbliga le parti a redigere gli atti in maniera sintetica. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione. Spese compensate, fatta eccezione della restituzione alla ricorrente del contributo unificato da parte del Comune di (omissis) Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Prosperi - Presidente, Estensore Paola Malanetto - Consigliere Luca Pavia - Referendario
TAR Torino
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 115 del 2024, proposto da So. So. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ge. e Fr. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ro. Ca. e Si. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; e con l'intervento di ad adiuvandum: Al. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e Se. Ca. rappresentati e difesi dagli avvocati Gi. Fr. Fe. e Vi. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento dirigenziale senza data ma trasmesso il 13 dicembre 2023, avente ad oggetto annullamento d'ufficio del permesso di costruire 27 luglio 2023 n. 150_2023. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (Omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2024 il dott. Andrea Maisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. So. S.p.A. (So.) è proprietaria, per acquisto a titolo derivativo dalle società Al. S.r.l. e Nu. Co. So. Co., di un fondo edificabile di 19.000 mq nel territorio comunale di Al., in prossimità del fiume Bormida. 2. Prima di perfezionare il contratto definitivo di vendita, le società danti causa avevano presentato istanza di permesso di costruire per la realizzazione di un immobile ad uso commerciale. 2.1. L’istanza era corredata di relazione sul rischio idraulico, la quale, premessa la collocazione del lotto in classe di pericolosità idrogeologica III.b.a (secondo la carta di sintesi del PRGC), precisava che, a fronte di una superficie topografica sita a 91,40 m. s.l.m., la superficie calpestabile del fabbricato sarebbe stata situata a 93,50 m. s.l.m. (doc. 6 di parte ricorrente pagg. 10 e 21), conformemente all’art. 51 delle norme tecniche di attuazione del citato PRGC e all’allegata tabella A che, per la classe di pericolosità in oggetto, indicano in quell’altitudine la quota di sicurezza dal rischio idrico. 3. Il 27.7.2023, il Comune di (Omissis) ha rilasciato all’avente causa So. il permesso di costruire n. (…) (doc. 10 di parte ricorrente) 4. Con successivo atto ex art. 7 Legge n. 241/1990 del 16.8.2023 (doc. 11 di parte ricorrente), avente anche portata sospensiva del titolo, l’amministrazione ha, però, comunicato l’avvio della procedura di annullamento in autotutela del provvedimento autorizzatorio. 4.1. Nelle sue motivazioni, l’atto che precede fa riferimento alla variante del Piano di Assetto Idrogeologico (PAI), adottata con decreto dell’autorità di bacino n. 121/2022 (doc. 17 di parte ricorrente) -che ha ridisegnato le fasce fluviali del Comune di (Omissis) e, per quanto d’interesse, la fascia B, con il relativo limite di progetto rispetto alla fascia C- nonché alla delibera di giunta regionale (DGR) n. 27-6373 del 28.12.2022 (doc. 12 di parte ricorrente), con cui la Regione Piemonte ha dettato disposizioni per i comuni con strumenti urbanistici non ancora adeguati al PAI e nuovi criteri di valutazione del rischio idraulico, disponendo, al riguardo, che gli enti locali possono procedere a una più approfondita valutazione del rischio idraulico e che: “Effettuata la verifica, qualora all’interno dei centri e nuclei abitati emergano ambiti caratterizzati da tiranti inferiori a 30 cm e velocità inferiori a 0,60 m/sec, seppur allagabili per la piena di riferimento, è possibile effettuare valutazioni volte a verificare la compatibilità degli interventi da attuarsi in tali ambiti con le condizioni di pericolosità emerse dalle analisi su elencate”. 4.2. La sospensione del titolo è stata inoltre giustificata a motivo: i) dell’erroneo richiamo all’art. 51 NTA del piano regolatore comunale anziché alle sovraordinate prescrizioni del PAI; ii) dell’imprecisione della relazione idraulica allegata al progetto, nella parte in cui si riferisce al fiume Tanaro anziché a tergo della fascia B di progetto del fiume Bormida; iii) del difetto della relazione finale del r.u.p.; iv) delle corrispondenti valutazioni del Comune sul rischio idrogeologico di aree con caratteristiche analoghe al lotto di proprietà della ricorrente (doc. 11 cit.). 5. Sia So. sia la dante causa Al. hanno presentato osservazioni endoprocedimentali. La prima ha depositato anche una nuova relazione tecnica (doc. 13 di parte ricorrente). 5.1. in merito alla superficie idraulica (o Piano di Laminazione: P.L.) la relazione allegata da So. afferma che le risultanze a corredo del progetto edilizio hanno assunto a riferimento le simulazioni idrauliche in moto vario con tempo di ritorno di duecento anni (TR200) sulla base dei “valori calcolati per la sezione n.5b più prossima all’area in esame”; precisandosi in proposito che: “Tale sezione individua una quota della superficie idrica (PL) pari a 92.80 m s.l.m. a cui corrisponde un franco di +0,90 metri rispetto al piano di edificazione (93,70 m.s.l.m.). Effettuando analoghe simulazioni in moto idraulico permanente, sempre per TR200 anni, la stessa sezione 5b segnala una quota della superficie idrica (PL) pari a 93.88 m.s.l.m., superando quindi di soli 18 cm la quota di edificazione”. La relazione attesta, infine, che: “In riferimento alle disposizioni di cui all’Allegato 1 della DGR n. 27-6373/2022 […] gli interventi ammissibili devono prevedere tiranti idraulici inferiori a 30 cm: in questo caso il tirante idraulico è pari a 12 cm.” (doc. 13, pag. 12 pdf). 6. Con provvedimento del 13.12.2023 (doc. 18 di parte ricorrente) il Comune di (Omissis) ha annullato d’ufficio il permesso di costruire n. (…). 6.1. La decisione si fonda sul rilievo che il tirante idrico (e cioè l’altezza massima tollerata dell’acqua in caso di esondazione) inferiore a 30 cm., di cui al citato allegato 1 della DGR 28.12.2022 n. 27-6373, dev’essere parametrato non al piano di edificazione in progetto, ma allo stato dei luoghi attuale e alla relativa quota topografica del terreno. Pertanto, poiché la nuova relazione tecnica versata da So. situa la superficie idrica (P.L.) dell’area oggetto dell’intervento alla quota di 93,88 m. s.l.m., mentre ai sensi dell’elaborato progettuale la quota topografica sarebbe posta a 91,40 s.l.m., l’amministrazione ha censurato il vistoso scostamento (pari a 2,48 m.) dal limite di tolleranza di trenta centimetri. Nello stesso atto si evidenzia, inoltre, l’insufficienza delle valutazioni dell’elaborato di progetto a fronte dell’aggravamento dello scenario di rischio idrogeologico delineato dalla variante del PAI. 7. Avverso il superiore annullamento d’ufficio del titolo edilizio è insorta So. , con ricorso notificato il 12.2.2024 e depositato il giorno successivo, chiedendone la caducazione, previa sospensione cautelare, per i seguenti motivi: I. Violazione e falsa applicazione dell'art. 21 nonies L. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione della deliberazione della Giunta Regionale del Piemonte 28 dicembre 2022 n. 27-6373 in relazione agli artt. 65 e 67 D.Lgs. n. 152/2006 e agli artt. 9, 18, 31, 39 e 51 del Piano stralcio per l'Assetto Idrogeologico (PAI) adottato con deliberazione del Comitato Istituzionale n. 18 in data 26 aprile 2001. Violazione e falsa applicazione del Decreto del Segretario Generale dell'Autorità di Bacino 26 ottobre 2022 n. 121. Violazione e falsa applicazione del PRG di Alessandria (art. 35). Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento e difetto di presupposto. Illogicità. Il limite di tolleranza idraulica di trenta centimetri, stabilito dall’allegato 1 della DGR 28.12.2022 n. 27-6373 e posto a fondamento dell’atto impugnato, sarebbe privo di immediata cogenza in quanto, per integrarne la forza esecutiva, sarebbe necessario il preventivo recepimento della norma nello strumento urbanistico comunale o, in alternativa, l’inutile decorso del termine di 36 mesi fissato a tal fine dalla stessa DGR; con la conseguenza che, fino ad allora, dovrebbero applicarsi le vigenti prescrizioni del piano regolatore generale del Comune di (Omissis), che non prevedono l’anzidetto limite. Ciò in conformità anche all’art. 39 delle norme tecniche di attuazione al PAI. II. In subordine. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies L. n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento e difetto di presupposto. Violazione a falsa applicazione degli atti amministrativi generali richiamati nella rubrica del primo motivo di ricorso e nel provvedimento impugnato. In via gradata si deduce l’erroneità della valutazione del Comune circa il prospettato superamento dell’anzidetto limite di tolleranza. Rileva, in proposito, la ricorrente che, nel difetto di dati ufficiali concernenti la specifica area di sua proprietà, gli unici elementi disponibili sono quelli richiamati nelle relazioni di parte, con conseguente inaffidabilità delle risultanze assunte dall’amministrazione intimata. 8. In data 1.3.2024 la dante causa Al. e l’autore del progetto edilizio, arch. Se. Ca., hanno depositato atto d’intervento adesivo con cui lamentano: l’omessa deduzione di un interesse pubblico prevalente sotteso al provvedimento di secondo grado, come imposto dall’art. 21 nonies L. 241/1990; il difetto d’istruttoria per mancata valutazione delle note procedimentali presentate dalla stessa Al.; il vizio d’incompetenza. 9. Ha resistito in giudizio il Comune di (Omissis) che, con documenti e memoria, ha eccepito l’infondatezza del ricorso, chiedendone l’integrale rigetto. 10. Con ordinanza n. 102 del 7 marzo 2024 questo TAR ha fissato la trattazione nel merito del ricorso, in forza dell’art. 55, comma 10 cod. proc. amm. 11. Dopo scambio di ulteriori atti difensivi, all’udienza del 25 giugno 2024, il Presidente ha rilevato ai sensi dell’art. 73 comma 3 cod. proc. amm. la sussistenza di possibili profili d’inammissibilità dell’atto di intervento ad adiuvandum nella proposizione di censure diverse da quelle dedotte dal ricorrente. La causa è stata, quindi, posta in decisione. DIRITTO A) In via preliminare, come da rituale annuncio in udienza, deve dichiararsi l’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum spiegato da Al. e dall’arch. Se. Ca. Nel processo amministrativo la posizione dell’interventore si caratterizza per la sua strutturale accessorietà rispetto a quella della parte a sostegno della quale egli interviene, con conseguente impossibilità per lo stesso di ampliare il thema decidendum, i cui confini sono segnati dal contenuto motivazionale e dispositivo del provvedimento impugnato e dalle censure contro di esso dedotte dal ricorrente (TAR Puglia, Bari, sez. II, 6.9.2022, n.1185). Per converso, come esposto in narrativa, nel loro atto d’intervento Al. e l’arch. Ca. hanno contestato alla parte intimata: a) l’omessa deduzione di un interesse pubblico prevalente ex art. 21 nonies L. 241/1990; b) l’obliterazione dello specifico contributo istruttorio offerto da Al. a mezzo di osservazioni procedimentali; c) il vizio d’incompetenza (invero soltanto allegato e non compiutamente argomentato). Tali doglianze non trovano addentellato nella trama censoria svolta dalla ricorrente So. . Esse, pertanto, allargano lo spazio formale e sostanziale delle questioni sollevate nel presente contenzioso, assurgendo a contenuti avversativi autonomi e ultronei rispetto al perimetro della lite. In proposito, il Consiglio di Stato ha evidenziato che “nel giudizio amministrativo non è infatti previsto il cd. intervento autonomo (invece contemplato dall'articolo 105, co. 1, c.p.c.), ma solo interventi ex articoli 28 e 50 cod. proc. amm., riconducibili al c.d. intervento adesivo dipendente ad adiuvandum vel opponendum” (Cons. Stato sez. IV, 14.2.2022, n. 1040). Ne consegue che, onde mantenere fermo il tema del decidere, così come impostato nel ricorso, l’intervento di cui si discute deve dichiararsi inammissibile. B) Nel merito i due mezzi di gravame, che per stretta connessione logico-argomentativa possono trattarsi congiuntamente, sono infondati per le considerazioni che seguono. Giova rilevare in premessa che, secondo la nuova cartografia delle fasce fluviali, come aggiornata dalla variante al PAI n. 121/2022, l’area in cui è sito il lotto di proprietà di So. è posta nella fascia fluviale C, a tergo del limite di progetto della fascia B (cfr. doc. 15 della parte resistente). La circostanza risulta ammessa anche dalla parte ricorrente (cfr. pagg. 21 e 22 del ricorso). Per effetto di tale collocazione, e in assenza di adeguate difese idrauliche, l’area in oggetto è sottoposta alla medesima disciplina applicabile alle aree pienamente ricadenti in fascia B. Depone in tal senso l’art. 31 comma 5 delle norme tecniche di attuazione del PAI a tenore del quale: “Nei territori della Fascia C, delimitati con segno grafico indicato come “limite di progetto tra la Fascia B e la Fascia C” nelle tavole grafiche, per i quali non siano in vigore misure di salvaguardia ai sensi dell’art. 17, comma 6, della L. 183/1989, i Comuni competenti, in sede di adeguamento degli strumenti urbanistici […] sono tenuti a valutare le condizioni di rischio e, al fine di minimizzare le stesse, ad applicare anche parzialmente, fino alla avvenuta realizzazione delle opere, gli articoli delle presenti Norme relative alla Fascia B, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 1, comma 1, let. b), del D.L. n. 279/2000 convertito, con modificazioni, in L. 365/2000” (doc. 20 di parte ricorrente, pagg. 42-43). Conformemente a tale precetto, l’art. 51 delle NTA del piano regolatore generale del Comune di (Omissis) dispone che: “Alle aree in Fascia C si intendono estese le norme della fascia B fino al completamento delle opere di difesa idraulica e/o riassetto territoriale. In tali ambiti la fruibilità urbanistica avverrà in conformità […] del comma 5 dell'art. 31 delle Norme di Attuazione del PAI”. Pure tale circostanza è, del resto, incontestata da So. (si vedano di nuovo pagg. 21 e 22 del ricorso). La controversia attiene, piuttosto, all’individuazione del pertinente regime urbanistico, essendo dibattuto se all’intervento edilizio della ricorrente (assentito con il permesso di costruire, poi annullato in autotutela) debbano applicarsi soltanto le norme tecniche di attuazione del PRGC del Comune di (Omissis) -il cui citato art. 51 richiede che, nelle aree con classe di pericolosità III.b.a, il piano di calpestio degli edifici sia posto a una certa quota di sicurezza- oppure anche l’allegato 1 della già più volte richiamata DGR 28.12.2022 n. 27-6373, il quale subordina la valutazione del rischio legato all’attività edificatoria alla condizione minima che, per l’area d’interesse, il tirante idrico sia inferiore a trenta centimetri rispetto al piano di campagna (oltre a quella ulteriore della velocità di deflusso inferiore a 0,60 m/sec.). In breve, diverso è il parametro assunto a riferimento dai due precetti che, nel primo, coincide con il piano di calpestio del manufatto, e, nel secondo, con la quota naturale del terreno. Parte ricorrente patrocina la prima delle due tesi innanzi prospettate sull’assunto che il limite stabilito dalla delibera di giunta regionale sulla tolleranza idraulica (inferiore a trenta centimetri) non avrebbe immediato effetto conformativo, occorrendo a tal fine il suo preventivo recepimento nello strumento urbanistico comunale o, in alternativa, l’inutile decorso del termine dilatorio di 36 mesi concesso a tal fine dalla medesima norma regionale; talché fino a quel momento andrebbero applicate le vigenti norme del piano regolatore (cfr. in particolare pagg. 18 e 22 del ricorso). L’argomento non è condivisibile, non trovando avallo nei principi che regolano la gerarchia tra i diversi livelli di pianificazione (di bacino e urbanistica) né nel dato testuale dell’atto deliberativo regionale. Sotto il primo profilo si rammenta che, ai sensi dell’art. 65 comma 4 D.Lgs. 152/2006, le disposizioni del piano di bacino (e, quindi, del PAI) sono provviste di carattere vincolante, sia per le amministrazioni pubbliche sia per i soggetti privati, ove così dichiarate dallo stesso piano. La norma dimostra che gli strumenti connessi alla tutela idrogeologica costituiscono un necessario antecedente logico e funzionale alla pianificazione urbanistica (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20.5.2014 n. 2563), talché gli enti locali non possono rilasciare titoli edilizi contrastanti con le prescrizioni del PAI. Al contempo l’art. 65, comma 4 in esame evidenzia la natura composita del piano di bacino che può contenere sia previsioni d’indirizzo, sotto forma di direttive, sia prescrizioni direttamente conformative della proprietà privata. In coerenza, le norme tecniche di attuazione del PAI per il bacino del Po individuano, agli artt. 5 e 27, le prescrizioni immediatamente esecutive. In particolare -ribadita l’estensione anche alle aree a tergo del limite di progetto di fascia B della relativa disciplina- tra queste assumono rilievo, per quanto d’interesse, l’art. 30 comma 2, che enumera gli interventi vietati in fascia B, e l’art. 39 comma 4, che, specularmente, fissa la tassonomia delle opere edilizie consentite (cfr. doc. 20 di parte ricorrente). Fuori dal raggio delle norme immediatamente cogenti, l’art. 27, comma 2, delle medesime norme tecniche stabilisce che “le Regioni, entro novanta giorni dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’atto di approvazione del Piano, emanano ove necessario disposizioni di carattere integrativo concernenti l’attuazione del Piano stesso nel settore urbanistico. A mente dell’art. 17, comma 6, della richiamata L. 183/1989, gli Enti territorialmente interessati dal Piano, sono tenuti a rispettare le prescrizioni nel settore urbanistico con l’obbligo di adeguare i propri strumenti urbanistici entro nove mesi dalla pubblicazione dell’atto di approvazione del presente Piano” (doc. 20 cit., pag. 37). In disparte il rilievo che l’art. 17 Legge 183/1989 è stato sostituito dall’art. 65 D.Lgs. 152/2006, il quadro regolatorio conferisce, dunque, alle regioni un potere di “integrazione”, in sede attuativa delle prescrizioni urbanistiche del PAI, circa gli usi del territorio nelle tre fasce fluviali (A, B e C). Il termine di novanta giorni previsto a tal fine deve ritenersi ordinatorio avuto riguardo al principio di precauzione e al rango primario degli interessi presidiati dalla disciplina sulla tutela dal rischio idrogeologico; tale, quindi, da non determinare l’esaurimento del potere per il decorso del tempo. La delibera di giunta regionale 28.12.2022 n. 27-6373 costituisce esplicazione di questo potere al quale, del resto, fa espresso riferimento allorché, nelle premesse, rammenta che “il PAI, nelle proprie norme, ha previsto che le Regioni potessero disporre specifiche disposizioni concernenti l’attuazione del Piano nel settore urbanistico” (doc. 12 di parte ricorrente, pag. 1). In tale contesto, la delibera detta ai Comuni piemontesi due ordini di prescrizioni. Da una parte impone agli enti, in passato esonerati dall’osservanza del PAI, di procedere al necessario adeguamento. Dall’altra introduce nuovi criteri di apprezzamento del rischio idraulico. Il termine dilatorio di 36 mesi, evocato dalla ricorrente, è concesso solo rispetto al primo dei due ordini di precetti menzionati, come reso evidente dal dato testuale della delibera allorché dispone che “la variante allo strumento urbanistico, di adeguamento al PAI e al Piano di gestione rischio alluvioni (PGRA), dovrà essere approvata entro e non oltre 36 mesi dalla pubblicazione sul BU del presente provvedimento”. Di contro, la conseguente determina di “approvare, per quanto riguarda la definizione delle condizioni di pericolosità e vulnerabilità dei centri e nuclei abitati a tergo dei limiti B di progetto e la conseguente corretta normazione d’uso lungo il reticolo idrografico, i criteri di valutazione del rischio idraulico, contenuti nell’allegato 1 alla presente deliberazione” non è soggetta ad alcun differimento temporale, essendo volta, del resto, a sostituire i criteri fino ad allora già in vigore (dettati dalla DGR n. 64-2017 del 7.4.2014). Se ne ricava che la prescrizione sul tirante idraulico inferiore a trenta centimetri -integrante uno dei nuovi parametri valutativi- è provvista di efficacia immediata, non necessitando di ulteriore recepimento in sede di pianificazione urbanistica, in quanto essa stessa già strumento attuativo del PAI. La diversa ermeneutica prospettata dal ricorrente collide, d’altronde, con il principio di precauzione. L’esigenza di adottare più stringenti criteri di valutazione del rischio è motivata nell’allegato 1 alla delibera di giunta alla stregua delle nuove mappe di pericolosità del piano di gestione del rischio alluvioni, che valorizzano anche gli scenari di piena poco frequenti a tergo dei limiti di progetto di fascia B, tracciati tenendo conto dei livelli idrici corrispondenti alla piena di riferimento, con tempo di ritorno di cento e duecento anni (doc. 12 di parte ricorrente, pag. 5), ai quali è riconducibile anche l’area di proprietà della ricorrente. Pur in un contesto d’incertezza scientifica, la delibera evidenzia, quindi, un rischio specifico per l’incolumità pubblica, posto a fondamento dei più rigorosi limiti adottati, la cui efficacia verrebbe, all’evidenza, compromessa, ove subordinata al lungo iato temporale di 36 mesi invocato dalla ricorrente. In definitiva, il provvedimento impugnato risulta immune da censura allorché, richiamando il primato gerarchico delle disposizioni del PAI sullo strumento comunale, ha fondato l’annullamento in autotutela del permesso di costruire sulla diretta applicabilità dell’allegato 1 alla DGR 28.12.2022 n. 27-6373. C) Anche il secondo mezzo di gravame è infondato. Osserva il ricorrente che gli studi disponibili, relativi al pertinente tratto del fiume Bormida, non consentivano (per difetto di specificità e di approfondimento) di rapportare ad essi i progetti edilizi e che, in ogni caso, in base agli studi e alle conoscenze attuali “non è vero che nell'area dell'intervento So. il franco idraulico sarebbe superiore (addirittura di oltre due metri) ai 30 centimetri” (pag. 4 della memoria del 24.5.2024). I documenti di causa comprovano, tuttavia, che l’amministrazione comunale ha desunto il dato contestato proprio dagli elaborati tecnici presentati dalla ricorrente nel procedimento edilizio e in quello successivo di annullamento in autotutela del titolo, laddove attestano, rispettivamente, che la quota naturale del terreno è sita a 91,40 m. s.l.m. (doc. 6, pag. 21), mentre la superficie idraulica è collocata alla più elevata quota di 93,88 m. s.l.m. (doc. 13, pag. 12 del pdf). In breve, sono le risultanze allegate dalla medesima So. sul tempo di ritorno duecentennale di piena ad attestare un’altezza del fronte d’acqua rispetto al piano di campagna ampiamente superiore ai trenta centimetri. In ossequio al principio di autoresponsabilità la società esponente non può, di conseguenza, dolersi del fatto che il Comune di (Omissis) abbia accertato l’inosservanza del limite di tolleranza idraulica in base ai dati dalla stessa forniti. Né può essere posto in dubbio che la superficie idraulica debba essere parametrata alla quota naturale di terreno anziché, come pure emergente dalle richiamate relazioni tecniche, al piano di calpestio. Quest’ultimo, infatti, è il risultato dell’intervento edificatorio; onde esso non può essere implicato nella commisurazione del tirante idraulico che, alla stregua del citato allegato 1 alla DGR 28.12.2022 n. 27-6373, costituisce un prius logico e procedimentale rispetto alla successiva valutazione di compatibilità del progetto edilizio. Della necessità di rapportare il piano di laminazione alla quota topografica del terreno appare consapevole, peraltro, la stessa ricorrente allorché afferma che: “Quanto ai contenuti della DGR 28 dicembre 2022 n 27-6373 per effettuare le verifiche di cui all'Allegato 1, è ovviamente necessario disporre dei livelli idrici ufficiali (riportati normalmente nelle Relazione Tecnica dei Decreti di approvazione del PAI o di sue varianti), unitamente alla velocità e alla coerente posizione topografica (ed estensione)” (pag. 24 del ricorso). Da quanto precede, ferma l’inammissibilità dell’atto d’intervento, il ricorso dev’essere respinto, siccome infondato. La peculiarità giuridica e fattuale della fattispecie in esame giustifica la compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Bellucci, Presidente Andrea Maisano, Referendario, Estensore Marco Costa, Referendario
TAR Torino
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1005 del 2019, proposto da Ma. Ba. e Si. Bo., rappresentati e difesi dagli avvocati Ci. Pi. e Al. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), rappresentato e difeso dall'avvocato Fe. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Cr. Ro. in Torino, via (...); nei confronti Al. Bo., non costituito in giudizio; per l'annullamento - della deliberazione della Giunta Comunale del Comune di (omissis) del 31.7.2019 n. 56, pubblicata all'Albo pretorio per quindici giorni a far data dal 23.9.2019, avente ad oggetto "Diramazione dell'incrocio viario Via (omissis)/Via (omissis)/Via (omissis), determinazioni a tutela della proprietà comunale"; - della relazione tecnica del 14.5.2019 redatta dal responsabile del procedimento, Ufficio Tecnico comunale, prot. n. 1662 del 15.5.2019, allegata alla suddetta deliberazione di Giunta, avente ad oggetto "Diramazione dell'incrocio viario Via (omissis)/Via (omissis)/Via (omissis). Definizione controversia accesso alle aree di proprietà sigg. Ba. - Br. - Ca. - Bo."; - del provvedimento del Sindaco del Comune di (omissis) 17.10.2019 prot. n. 3604 con cui, in ragione dei predetti atti, è stato ordinato al signor Ba. e alla signora Bo. di "rimuovere il segnale stradale apposto all'inizio della diramazione, all'esterno della vostra recinzione, entro otto g.g. dal ricevimento della presente"; - di ogni atto presupposto, conseguente, preordinato o comunque connesso. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2024 il dott. Marco Costa e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. I deducenti sono proprietari di un fondo sito nel Comune di (omissis), adiacente alla propria abitazione e acquistato unitamente a quest'ultima con atto pubblico di compravendita del 6.5.2011 (doc. 1 ricorrente): secondo quanto dai medesimi prospettato, il relativo dante causa aveva realizzato su parte di detto terreno una stradina privata di accesso alla proprietà, segnalando il divieto di accedervi mediante apposito cartello, della cui apposizione aveva preventivamente richiesto autorizzazione al Comune di (omissis); l'Ente Locale, in persona del Sindaco, con nota del 22.3.1999 aveva espressamente escluso la necessità del proprio assenso in quanto "la strada è privata e quindi non necessita alcuna autorizzazione per la posa del cartello segnaletico" (doc. 3 ricorrente). 2. Il sedime della strada in questione confina con il frontistante terreno dell'odierno controinteressato (doc. 9 ricorrente, relazione tecnica, all. B): il diritto di passaggio sulla medesima è divenuto oggetto di un contenzioso tra le parti private; in tale contesto, il controinteressato ha richiesto all'Amministrazione comunale l'inclusione della via di accesso in questione nello stradario comunale, ritenendola privata ma assoggettata all'uso pubblico. 3. Il Comune di (omissis), nell'espletare l'attività istruttoria conseguente all'istanza, con relazione datata 14.5.2019 ha ricostruito il risalente assetto dell'area, dando atto che "nella cartografia ottocentesca del cosiddetto Catasto Rabbini - 3 - (precedente il Nuovo Catasto Terreni) al foglio (omissis) mappale n. (omissis) è individuato il sedime del demanio comunale della stradina che si dirama a nord, in corrispondenza dell'intersezione tra la Via (omissis) (ex strada comunale da (omissis)) e la via (omissis) (ex mappa Rabbini foglio (omissis) mappale (omissis)), in direzione del borgo di (omissis)" (doc. 4 ricorrente): tale originaria stradina, sulla base di una sovrapposizione cartografica tra il catasto Rabbini e il Nuovo Catasto Terreni, si troverebbe sul mappale n. (omissis) del Foglio n. (omissis) del N.C.T. di proprietà degli odierni deducenti, sostanzialmente in corrispondenza dell'attuale percorso di accesso alla relativa proprietà e a confine con il fondo del controinteressato (doc. 4 ricorrente). 4. Il tecnico comunale, nel medesimo elaborato, ha altresì precisato che "con le opere di trasformazione della rete viaria il passaggio esercitato sulla stradina (...) è stato progressivamente abbandonato e nel tempo il sedime è stato trasformato in fossato di intercettazione e di deflusso del rio (omissis) delle acque superficiali e di drenaggio dell'abitato di (omissis)", dando atto che "negli anni a cavallo tra il 1980 e il 1990 il sedime di area di ruscellamento delle acque è stato prima intubato e successivamente asfaltato" e che rispetto a tali interventi "l'amministrazione comunale aveva sicuramente compartecipato al finanziamento dell'opera e successivamente finanziato e realizzato (...) l'asfaltatura così come nello stato di fatto"; in conclusione, richiamando le previsioni urbanistiche che hanno inizialmente previsto la realizzazione di strade di diversa tipologia sul sedime in esame, dando atto che successivamente nella Variante Generale al P.R.G.C. e di adeguamento al PAI "il tratto di area contesa è stato individuato come linea di deflusso delle acque a carattere temporaneo, a cielo aperto o intubata, non indicata nelle mappe catastali e con imposizione della fascia di rispetto, di m. 5,00 ambo i lati a partire dall'asse dell'incisione o della tombinatura, in classe IIIA", il responsabile dell'Ufficio Tecnico ha concluso che "è provato e inopinabile che l'attuale sedime di area asfaltata è del demanio comunale" e "non può essere usucapito" ed ha proposto alla Giunta comunale "azioni di difesa e di rivendicazione del sedime del demanio (...)" (doc. 4 ricorrente). 5. Sulla base della richiamata relazione istruttoria la Giunta comunale, con deliberazione del 31.7.2019 n. 56, pubblicata per quindici giorni all'Albo pretorio a far data dal 23.9.2019, ha impegnato l'Ente ad avviare le pertinenti azioni volte alla difesa e alla rivendicazione del sedime demaniale, fondate sul presupposto uso pubblico di passaggio e di condotta (doc. 5 ricorrente); nell'ambito dell'azione di manutenzione ex art. 1170 cod. civ. proposta avanti al Tribunale di Verbania (r.g. n. 1358/2019) dagli odierni deducenti nei confronti dell'odierno controinteressato, la richiamata deliberazione di Giunta comunale è stata valutata - unitamente al complessivo compendio probatorio ivi prodotto - quale elemento sintomatico dell'esistenza di un uso pubblico sul sedime in esame, con conseguente rigetto della domanda giudiziale (decreto n. 4893/2019 del 4.10.2019, doc. 7 resistente); il Sindaco del Comune di (omissis), con atto del 17.10.2019, ha quindi intimato agli odierni ricorrenti di rimuovere il segnale stradale indicante il divieto di accesso nella proprietà da questi ultimi ritenuta privata (doc. 6 ricorrente). 6. Contro il provvedimento di rimozione del cartello in questione e gli atti connessi sono insorti i deducenti, chiedendone l'annullamento previa sospensione cautelare sulla base dei seguenti motivi di ricorso: I. Violazione di legge in relazione agli artt. 3 e 6 l. 7.8.1990 n. 241. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, erronea valutazione dei presupposti in fatto e in diritto - difetto di prova della natura pubblica della strada di accesso alla proprietà dei ricorrenti; II. Violazione di legge in relazione agli artt. 3 e 6 l. 7.8.1990 n. 241, 19 l. 20.3.1865 n. 2248, all. f. eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, erronea valutazione dei presupposti in fatto e in diritto - Inesistenza del carattere demaniale della strada originaria che, al più, era riconducibile ad una strada vicinale ad uso pubblico comunque tacitamente sdemanializzata; III. Violazione di legge in relazione agli artt. 3 e 6 l. 7.8.1990 n. 241. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, erronea valutazione dei presupposti in fatto e in diritto - Erroneità dell'individuazione del sedime stradale asseritamente pubblico; IV. Violazione di legge in relazione all'art. 107 del d.lgs. 18.8.2000 n. 267 - Incompetenza del Sindaco ad emanare l'ordine di rimozione della segnaletica; V. Violazione di legge in relazione agli artt. 7 e 10 l. 7.8.1990 n. 241 - Mancata comunicazione di avvio del procedimento. 7. Si è costituito il Comune di (omissis), contestando con memorie e produzioni documentali le avversarie domande e concludendo per il rigetto del ricorso, con vittoria di spese; in particolare, la difesa comunale ha rimarcato la sussistenza di una coerente pluralità di elementi a supporto della natura pubblica della strada in questione, quali la libera fruibilità della medesima da parte della collettività indiscriminata (che risulta inoltre distinta nella toponomastica come via (omissis) e dotata di numerazione civica, anche in relazione all'abitazione dei deducenti, doc. 8 resistente), la relativa, agevole accessibilità da parte di chiunque, in quanto non interclusa all'ingresso da ostacoli, quali cancelli o sbarre, la posizione della stessa all'intersezione con le pubbliche vie (omissis) e (omissis), la presenza sul sedime della medesima di asfaltatura e segnaletica stradale orizzontale indicante lo stop; le argomentazioni difensive di parte pubblica hanno attinto al compendio istruttorio raccolto dagli uffici comunali e agli atti del richiamato giudizio possessorio avanti al giudice ordinario, definito in senso sfavorevole agli odierni deducenti. 8. Alla camera di consiglio del 17 dicembre 2019 la difesa ricorrente ha rinunciato all'istanza cautelare, con presa d'atto da parte del Collegio. 9. Nelle more del giudizio, con relazione di servizio, documentazione fotografica e verbale di sopralluogo depositati in data 15.5.2024 (docc. 17, 18 e 19 resistente), il Comune intimato ha constatato che il cartello di cui è causa non è più presente, dando atto altresì dell'esecuzione con utilizzo di risorse pubbliche di lavori di sistemazione idrogeologica su parte del tracciato viario in questione nel biennio 2020-2021, con ulteriori interventi programmati per la restante porzione del percorso. 10. A seguito di ulteriore scambio di atti difensivi all'udienza pubblica del 25 giugno 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. In limine il Collegio ritiene che permanga l'interesse alla decisione della presente impugnativa sebbene il cartello in contestazione non risulti più presente, come constatato dal personale comunale a seguito di sopralluogo eseguito in data 14 maggio 2024 (doc. 18 resistente). La giurisprudenza amministrativa si è infatti ripetutamente espressa sulla rilevanza dell'esecuzione spontanea dell'ordine di rimuovere un manufatto in pendenza di giudizio, escludendo che possa essere interpretata come manifestazione di acquiescenza al provvedimento impugnato, in quanto il suddetto adempimento, ove non sia manifesta l'adesione al precetto amministrativo, trova piuttosto fondamento nella necessità di scongiurare il rischio delle conseguenze previste dalla legge nel caso di inottemperanza, e non preclude, in ogni caso, la tutela giurisdizionale né l'esperimento della tutela risarcitoria (Tar Lombardia, Milano, V, 15.02.2024, n. 385, con pertinenti richiami giurisprudenziali). Nel caso in esame, connotato da un ordine di rimozione che, ai fini dello scrutinio del presente profilo, può essere assimilato alla fattispecie oggetto della richiamata decisione, dal tenore delle difese svolte dalla parte ricorrente dopo il sopra citato sopralluogo comunale, ove quest'ultima insiste per l'annullamento degli atti gravati, non può in alcun modo desumersi l'acquiescenza o l'adesione al provvedimento sindacale impugnato, cosicchè non può ritenersi che sia venuto meno per circostanze sopravvenute l'interesse alla pronuncia. 2. Tanto premesso, la trattazione della causa muove dall'esame della quarta censura con cui la parte deducente contesta la competenza del Sindaco all'adozione del gravato provvedimento di rimozione della segnaletica stradale recante l'indicazione di "strada privata": l'accoglimento del vizio di incompetenza assume, infatti, carattere assorbente nei confronti delle restanti censure, poiché "in tutte le situazioni di incompetenza, carenza di proposta o parere obbligatorio, si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, sicché il giudice non può fare altro che rilevare, se assodato, il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole dell'azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo munus" (Cons. Stato, Ad. Plen., 27.4.2015 n. 5). La doglianza è fondata. Il provvedimento gravato deve infatti essere qualificato quale esercizio da parte del Comune di (omissis) del potere di autotutela esecutiva di cui all'art. 823 del codice civile, esercitabile anche a tutela dei beni ritenuti appartenenti al patrimonio indisponibile dell'Ente: in casi analoghi, per recente, autorevole statuizione del Giudice d'Appello "non è, infine, revocabile in dubbio che la competenza ad adottare il provvedimento in questione sia del dirigente e non del sindaco. Premesso il fondamentale ed insuperabile principio di distinzione tra attività di governo ed attività di gestione, deve osservarsi che l'attività di sgombero di proprietà comunali non ha alcun contenuto politico, trattandosi di attività di mera gestione, sicché il relativo provvedimento può essere legittimamente adottato dal dirigente preposto allo specifico settore, rinvenendosi la fonte del relativo potere nella previsione di cui all'art. 107, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267" (Cons. Stato, VII, 29.1.2024 n. 862). L'accoglimento del vizio in questione preclude la trattazione nel merito delle ulteriori censure, non risultando applicabile a tale fattispecie la sanatoria processuale di cui all'art. 21 octies, comma secondo, L.241/1990 (Cons. Stato, IV, 11.09.2023, n. 8252), né è predicabile in relazione agli ulteriori atti di cui all'epigrafe, che si pongono quali presupposti del provvedimento sindacale oggetto di richiesta di annullamento, la qualità di autonomi provvedimenti lesivi per i deducenti: la relazione tecnica prot. n. 1662 del 14.5.2019 redatta dall'Ufficio Tecnico comunale assume consistenza di mero atto istruttorio endoprocedimentale, mentre la deliberazione di Giunta Comunale del 31.7.2019 n. 56 si limita ad esprimere un atto di indirizzo, impegnando il Comune a porre in essere future azioni a tutela della proprietà comunale, senza incidere direttamente sulla situazione giuridica di cui è causa. 3. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e, per l'effetto, annullato il provvedimento del Sindaco del Comune di (omissis) del 17.10.2019. 4. La particolarità della fattispecie milita per la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla l'impugnato provvedimento del Sindaco. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Bellucci - Presidente Andrea Maisano - Referendario Marco Costa - Referendario, Estensore
TAR Torino
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 853 del 2023, proposto da Comune di (omissis), ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Vi. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Autorità d'Ambito Torinese Ato3, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi. Al. e Ri. Lu. con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vi. Al. in Torino, corso (...); nei confronti S.M.. S.p.A., non costituita in giudizio; per l'annullamento - della nota emessa dalla Autorità d'Ambito Torinese Ato3 protocollo n. 0002423/2023 del 27 luglio 2023, a firma del Direttore dott. Roberto Ronco, ricevuta dai Comuni ricorrenti in pari data; - di tutti gli atti anteriori, conseguenti o comunque connessi con il provvedimento impugnato, ancorché non conosciuti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Autorità d'Ambito Torinese Ato3; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2024 il dott. Marco Costa e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. I Comuni ricorrenti hanno una popolazione residente inferiore a 1.000 abitanti e appartengono alle rispettive Comunità Montane: sulla base delle richiamate caratteristiche, della capacità di presa in carico dell'intero ciclo "integrato" delle acque e di apposita decisione in tal senso hanno conservato la gestione diretta del proprio servizio idrico; ciò in forza delle deliberazioni della Conferenza dell'Autorità d'ambito del 23 aprile 2009, n. 353, 24 marzo 2011 n. 423 e 11 ottobre 2012 n. 468 (docc. da n. 7 a n. 9 ter resistente), emesse ai sensi dell'allora vigente art. 148, co. 5, d.lgs. n. 152/2006, a mente del quale "l'adesione alla gestione unica del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a 1000 abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che gestiscano l'intero servizio idrico integrato, e previo consenso dell'Autorità d'ambito competente". 2. L'Autorità d'Ambito, con la deliberazione del 21 novembre 2008 n. 332 (doc. n. 2 ricorrente), attuativa della richiamata norma di rango primario, aveva disciplinato il contenuto dell'istanza con la quale i Comuni erano chiamati a manifestare la propria volontà di mantenere la gestione del servizio idrico, prevedendone nel relativo allegato A le modalità di presentazione nonché la durata, così individuata dall'art. 4: "Fatte salve eventuali modifiche normative, la gestione del s.i.i. ai sensi dell'art. 148, co. 5, cit., perdura sino allo spirare del termine dell'affidamento della gestione del servizio per l'ambito territoriale ottimale n. 3 "Torinese" di cui alla deliberazione della Conferenza dell'Autorità d'ambito n. 173/2004 (31/12/2023)"; nell'allegato B - contenente la Convenzione-tipo per il coordinamento delle gestioni nei Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti inclusi nel territorio delle Comunità montane, quali gli odierni deducenti - risultava parimenti previsto all'art. 5 (Decorrenza, durata e cessazione) che "La presente Convenzione, decorrente dalla data di sottoscrizione, dura sino allo spirare del termine dell'affidamento della titolarità della gestione del servizio per la totalità dell'ambito territoriale ottimale n. 3 "Torinese" di cui alla deliberazione della Conferenza dell'Autorità d'ambito n. 173/2004 (31/12/2023)"; analoghe prescrizioni risultano presenti nella deliberazione della medesima Autorità del 11 ottobre 2012 n. 467 (doc. n. 3 ricorrente) - successiva all'approvazione della L.R. piemontese 24 maggio 2012 n. 7 recante "Disposizioni in materia di servizio idrico integrato e di gestione integrata dei rifiuti urbani" ed attuativa delle disposizioni nella medesima contenute - ricalcante nei relativi allegati A e B le sopra trascritte previsioni. 3. Ciascun Comune deducente, ottenuto il consenso dell'Autorità alla prosecuzione della gestione diretta del servizio, aveva sottoscritto con S.M.. s.p.a. la Convenzione di coordinamento dei produttori del servizio idrico integrato nell'ambito territoriale ottimale di appartenenza, avente il contenuto previsto dal modello di cui all'allegato B delle predette deliberazioni n. 332/2008 e 467/2012 e, pertanto, recante il sopra trascritto art. 5 che ne delimitava il periodo di vigenza (docc. da n. 10 a n. 16 resistente). 4. La durata della gestione del servizio idrico integrato nell'ambito Ottimale n. 3 "Torinese" - svolta da S.M.. s.p.a. per effetto delle deliberazioni n. 173 del 27 maggio 2004, n. 282 del 14 giugno 2007 e n. 296 del 13 dicembre 2007 assunte dall'A.T.O.3 (docc. n. 4, 5 e 6 ricorrente) - risultava originariamente fissata con la deliberazione n. 173/2004 sino al 31 dicembre 2023 (doc. n. 4 ricorrente, pag. 14); nel 2015 S.M.. s.p.a. - al fine di dare impulso ad opere di grande infrastrutturazione - ha quindi richiesto all'A.T.O.3 Torinese di posticipare il termine della gestione del servizio sino al 2033; il richiesto posticipo è stato accordato con la deliberazione dell'Autorità n. 598 del 29 aprile 2016 (doc. 7 ricorrente), assunta sulla base della valutazione di congruità del nuovo termine in rapporto alla sostenibilità economico-finanziaria dei nuovi investimenti programmati. 5. La normativa di rango primario di cui al d.lgs. n. 152/2006 è stata oggetto di numerose modifiche: per quanto di interesse, con il d.l. 29 dicembre 2011, n. 216, convertito con modificazioni dalla l. 24 febbraio 2012, n. 14, è stato abrogato l'art. 148 disciplinante, tra l'altro, proprio le gestioni autonome di cui è causa; successivamente, con l'art. 7, comma 1, lettera b) del d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla l. 11 novembre 2014, n. 164, è stato introdotto il comma 2-bis dell'articolo 147 in virtù del quale sono fatte salve "le gestioni del servizio idrico in forma autonoma nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti già istituite ai sensi del comma 5 dell'articolo 148"; l'art. 62, comma 4, della l. 28 dicembre 2015, n. 221 è ulteriormente intervenuto modificando la formulazione del comma 2-bis dell'articolo 147: "Sono fatte salve: a) le gestioni del servizio idrico in forma autonoma nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti già istituite ai sensi del comma 5 dell'articolo 148; b) le gestioni del servizio idrico in forma autonoma esistenti, nei comuni che presentano contestualmente le seguenti caratteristiche: approvvigionamento idrico da fonti qualitativamente pregiate; sorgenti ricadenti in parchi naturali o aree naturali protette ovvero in siti individuati come beni paesaggistici ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; utilizzo efficiente della risorsa e tutela del corpo idrico. Ai fini della salvaguardia delle gestioni in forma autonoma di cui alla lettera b), l'ente di governo d'ambito territorialmente competente provvede all'accertamento dell'esistenza dei predetti requisiti". 6. Con la deliberazione del 29 aprile 2016 n. 601 (doc. 8 ricorrente) la Conferenza d'Autorità d'Ambito Torinese 3, in ordine al procedimento d'acquisizione degli elementi utili all'intervento sostitutivo regionale in materia di riorganizzazione del servizio idrico integrato ai sensi del d.l. n. 133/2014 (conv. in l. 164/2014), pur dando atto che "il regime di salvaguardia delle gestioni autonome esistenti del s.i.i. di cui all'art. 147, co. 2 bis, lett. b) del d.lgs. n. 152/2006 non trova applicazione nel settore del servizio idrico integrato piemontese", facendo propria una esegesi della norma sconfessata dalla giurisprudenza del Giudice d'Appello (Cons. Stato, V, 20.6.2023 n. 6064), confermava la legittimità delle gestioni dei Comuni di (omissis) in quanto precedentemente assentite ex art. 148, co. 5, d.lgs. n. 152/2006, richiamando nel relativo allegato A le delibere con cui la stessa Autorità aveva manifestato il proprio consenso. 7. Il 27 luglio 2023 i Comuni di (omissis) hanno ricevuto l'atto qui gravato (doc. 1 ricorrente), con cui l'Autorità d'Ambito intimata, rilevato lo spirare del termine delle rispettive gestioni autonome del servizio idrico, come ribadito nelle sottoscritte convenzioni, ha richiesto agli Enti Locali di porre in essere tutti gli incombenti necessari ad acquisire la qualità di socio della S.M.. S.p.a. nonché ad assicurare l'avvio della gestione del servizio da parte di quest'ultima a partire dal 1° gennaio 2024, richiamando a fondamento del relativo, automatico subentro il disposto di cui all'art. 172, co. 2, del d.lgs. n. 152/2006. 8. I comuni interessati, lamentando l'assenza di preventive interlocuzioni e ritenendo il comportamento dell'Autorità d'Ambito contrario al principio di leale collaborazione tra Enti pubblici, sono insorti avverso il provvedimento di cui all'epigrafe, chiedendone l'annullamento previa sospensione cautelare deducendo: I. Illegittimità dell'atto impugnato. Violazione di legge. Violazione dell'art. 147, co. 2-bis, secondo paragrafo, lett. a), e co. 2-ter, secondo paragrafo, d.lgs. n. 152/2006. Eccesso di potere per difetto d'istruttoria e contraddittorietà . Violazione della deliberazione Conferenza Autorità d'ambito n. 3 Torinese 29 aprile 2016 n. 601 (doc. n. 8). Eccesso di potere per difetto d'istruttoria e contraddittorietà . Violazione di legge. Difetto di motivazione. Violazione dell'art. 3 l. n. 241/1990. La censura si articola in sintesi sulla violazione dell'art. 147, co. 2-bis, d.lgs. n. 152/2006, la cui ratio deve rinvenirsi alla luce della più recenti statuizioni del Consiglio di Stato e della giurisprudenza costituzionale nella tutela dell'ambiente, non recessiva rispetto alle esigenze concorrenziali sottese all'unicità della gestione del servizio idrico integrato di cui all'art. 172, co. 2, d.lgs. n. 152/2006. Ad avviso dei deducenti le deliberazioni del 21 novembre 2008 n. 332 e 11 ottobre 2012 n. 467 (docc. n. 2 e 3 ricorrenti), nell'approvare i criteri per l'attuazione dell'allora vigente art. 148, co. 5, d.lgs. n. 152/2006, avevano previsto che le gestioni "salvaguardate avrebbero avuto scadenza 31 dicembre 2023 "fatte salve eventuali modifiche normative" (allegato A, art. 4 - Durata): queste ultime sarebbero intervenute proprio con l'introduzione dell'art. 147, co. 2-bis, secondo paragrafo, lett. a, del d.lgs. n. 152/2006; la novella normativa in questione fonderebbe quindi la salvaguardia delle gestioni in deroga prescindendo dai relativi, originari termine di scadenza, in coerenza, tra l'altro, con il contenuto della deliberazione dell'Autorità resistente n. 601/2016, priva di riferimenti in merito alla durata temporale della salvaguardia. In ogni caso, l'Autorità d'Ambito non avrebbe posto in essere gli adempimenti preliminari richiesti entro il 30 settembre 2022 ai sensi dell'art. 147, comma 2-ter, del d.lgs. n. 152/2006 per la presa in carico delle gestioni non salvaguardate, riconoscendo in tal modo la piena legittimità della prosecuzione della gestione da parte degli odierni deducenti, ingenerando inoltre un legittimo affidamento in tal senso derivante dall'omessa emanazione di una disciplina attuativa del citato art. 147, co. 2-bis, secondo paragrafo, lett. a, del d.lgs. n. 152/2006. II. Illegittimità dell'atto impugnato. Eccesso di potere per difetto d'istruttoria e contraddittorietà . Violazione di legge. Difetto di motivazione. Violazione dell'art. 3 l. n. 10 241/1990. Violazione della deliberazione Conferenza Autorità d'ambito n. 3 Torinese 29 aprile 2016 n. 598 (doc. n. 7). I Comuni attori subordinatamente ritengono che l'estensione decennale dell'affidamento a S.M.. S.p.a. della gestione del servizio idrico integrato - con proroga dell'originario termine di scadenza dal 31.12.2023 al 31.12.2033 - debba dispiegare automaticamente i propri effetti nella vicenda de qua, con automatico adeguamento del regime di salvaguardia per eguale periodo. 9. Si è costituita l'Autorità d'Ambito intimata, contestando con memorie e produzioni documentali le avversarie domande, eccependo preliminarmente l'inammissibilità dell'impugnativa, in quanto per un verso rivolta avverso un atto ritenuto privo di contenuto provvedimentale, in quanto contenente il mero richiamo a pregresse determinazioni rimaste inoppugnate, nonché, per altro verso, non appuntata sulla censura degli atti di subentro adottati del gestore del servizio idrico integrato, rimasti incontestati sebbene dotati di autonomo contenuto lesivo. 10. All'esito della camera di consiglio del 23 novembre 2023 l'adito Tribunale ha respinto l'istanza di sospensione cautelare con ordinanza n. 448/2023, non ritenendo sussistenti né il presupposto fumus boni iuris nè il paventato periculum in mora; con ordinanza n. 222/2024 la IV Sezione del Consiglio di Stato ha accolto l'appello cautelare proposto dai Comuni deducenti, statuendo quanto di seguito: "Rilevato, ad un primo sommario esame proprio della fase cautelare, che l'appello appare assistito dal prescritto requisito del fumus atteso che: a) non appare implausibile - e comunque richiede l'approfondimento proprio della fase di merito - la tesi dei Comuni ricorrenti circa la applicabilità al caso di specie della normativa sopravvenuta rappresentata dall'art. 147, comma 2-bis, secondo paragrafo, lett. a) d.lgs. n. 152/2006 a mente del quale "sono fatte salve: a) le gestioni del servizio idrico in forma autonoma nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti già istituite ai sensi del comma 5 dell'articolo 148"; b) ana approfondimento merita l'argomento della possibile rilevanza della proroga al 2033, della convenzione principale con S.M.. S.p.a. per la gestione del servizio integrato dell'ATO 3, disposta con deliberazione della Conferenza della Autorità d'ambito n. 3 Torinese del 29 aprile 2016 n. 598, termine cui si ricollega quello di scadenza delle convenzioni in deroga stipulate dai Comuni montani non aderenti all'ATO, tenuto conto che nella Convenzione tipo per il coordinamento delle gestioni approvata con le deliberazioni 332/2008 e 467/2012 (tutte sottoscritte dai Comuni gestori), all'art. 5, rubricato "Decorrenza, durata, cessazione", è previsto che "La presente Convenzione, decorrente dalla data di sottoscrizione, dura sino allo spirare del termine dell'affidamento della titolarità della gestione del servizio per la totalità dell'ambito territoriale ottimale 3 Torinese di cui alla deliberazione della Conferenza dell'Autorità d'ambito n. 173/2004 (31/12/2023)". Rilevato inoltre che, nelle more della decisione di merito del T.a.r., appare opportuno inibire le operazioni di subentro del gestore del servizio idrico integrato affidatario per l'ambito territoriale ottimale n. 3 Torinese, S.M.. S.p.A., nelle gestioni dei Comuni appellanti al fine di mantenere la res adhuc integra". 11. All'esito dell'ulteriore scambio di atti difensivi all'udienza pubblica del 6 giugno 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 12. Il più approfondito esame della controversia proprio della presente fase di merito conduce all'accoglimento del ricorso sulla base delle considerazioni che seguono. 12.1. In primo luogo deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del gravame sollevata dalla difesa dell'Autorità intimata. Infatti l'atto impugnato esplica un contenuto lesivo per i Comuni ricorrenti in quanto fa discendere dalla lettura del pregresso compendio di atti e deliberazioni dell'Autorità intimata la definitiva scadenza del periodo di validità delle gestioni idriche salvaguardate, imponendo i conseguenti incombenti a carico dei destinatari, con ciò palesando la propria natura provvedimentale. Invece gli altri atti del gestore S.M.. S.p.a. (doc. da n. 18 a n. 24 resistente), di cui l'Autorità lamenta l'omessa impugnazione, per un verso traggono il proprio fondamento nel provvedimento impugnato, ivi espressamente richiamato e costituente il relativo presupposto, per altro verso risultano privi di contenuto provvedimentale, limitandosi a trasmettere la modulistica necessaria all'attuazione degli obblighi imposti dalla nota in questa sede gravata. Ciò premesso, entrando nel merito della trattazione del gravame, si osserva quanto segue. 12.2. La prima doglianza è infondata, nei sensi appresso precisati. Deve ritenersi applicabile alle gestioni comunali di cui è causa il disposto di cui all'art. 147, comma 2-bis, secondo paragrafo, lett. a) del d.lgs. n. 152/2006: le stesse, infatti, risultavano già istituite ai sensi del comma 5 dell'articolo 148, traendo il proprio titolo giuridico legittimante - oltre che dal rispetto delle caratteristiche soggettive dimensionali e di attitudine gestionale previste dalla normativa - dal consenso espresso dall'autorità d'Ambito con le delibere n. 353/2009 (per i Comuni di (omissis)), n. 423/2011 (per il Comune di (omissis)) e n. 468/2012 (per i Comuni di (omissis)), cui accedono le convenzioni stipulate da ciascun Ente Locale con il gestore del servizio idrico integrato. L'Autorità resistente - sebbene abbia riconosciuto la legittimità delle gestioni de quibus con la deliberazione n. 601/2016 - con la nota gravata risulta aver ignorato il disposto di cui all'art. 147, comma 2-bis, secondo paragrafo, lett. a) del d.lgs. n. 152/2006 (introdotto dall'art. 7, comma 1, del d.l. n. 133/2014, converito nella legge n. 164/2014, e modificato dall'art. 62, comma 4, della legge n. 221/2015), sopravvenuto all'originario regime regolativo e applicabile alla fattispecie in applicazione dei principi e canoni ermeneutici come interpretati dalla più recente giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, V, 20.6.2023 n. 6064). La lettera a) dell'art. 147, comma 2-bis, d.lgs. n. 152/2006 dispone la salvaguardia delle "gestioni del servizio idrico in forma autonoma nei comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti già istituite ai sensi del comma 5 dell'articolo 148", in ragione della "peculiarità idrica delle zone comprese nei territori delle comunità montane" (Corte Cost., 12 marzo 2015, n. 32), senza che sia necessario accertare particolari requisiti (come avviene, invece, nella fattispecie disciplinata dalla lettera "b"), purché tali gestioni siano state "istituite ai sensi del comma 5 dell'articolo 148", richiedendo, dunque, esclusivamente il consenso dell'Autorità d'Ambito competente (Cons. Stato, IV, 2.2.2024 n. 1113). Infatti il richiamato art. 148 statuisce che i suddetti comuni montani aderiscano facoltativamente alla gestione unica, fermo restando il consenso dell'Autorità d'Ambito competente. Tale approdo ermeneutico non consente l'accoglimento del mezzo di gravame nel senso prospettato dai Comuni deducenti, difettando nell'invocata, sopravvenuta disposizione normativa un'automatica e permanente estensione dell'ivi previsto regime di salvaguardia. Nonostante la finalità di tutela ambientale sottesa alla disciplina del servizio idrico nei piccoli comuni montani, il dato positivo non supporta le conclusioni dei ricorrenti: l'art. 147, comma 2 bis, d.lgs. 152/2006, infatti, si limita a salvaguardare le gestioni esistenti e munite di titolo giuridico, il quale, pertanto, conserva la propria attitudine a regolare la fattispecie. Invero, la fattispecie prevista dall'art. 147, comma 2 -bis del d.lgs. n. 152/2006 consente solo in casi eccezionali a singoli Comuni la gestione in forma autonoma del servizio idrico integrato, ponendosi quale norma derogatoria ed eccezionale, che deve essere interpretata in modo rigoroso e restrittivo, atteso che una più ampia interpretazione comporterebbe l'effetto di vanificare il principio dell'unicità di gestione per ambiti territoriali ottimali, riducendone fortemente la portata applicativa (Cons. Stato, V, 26.8.2020 n. 5237). L'Autorità, con le deliberazioni nn. 332/2008 e 467/2012 recanti i criteri attuativi della previgente disciplina di cui all'art. 148 del d.lgs 152/2006, aveva sin dall'origine previsto una durata a tempo determinato per le gestioni del servizio idrico in questione, collegandola allo spirare del termine dell'affidamento al gestore d'ambito, affidamento che è stato prorogato sino al 2033; tale scansione temporale risulta riprodotta nell'art. 5 delle convenzioni stipulate dai singoli enti locali, la cui durata è ancorata al medesimo parametro ed espressamente destinata a spirare alla scadenza dell'affidamento alla Società di gestione del servizio idrico integrato per l'ambito territoriale in questione. Sotto altro profilo, la temporaneità della gestione è principio immanente al sistema, con espressa previsione ex art. 151 d.lgs. 152/2006 di un termine massimo di affidamento del servizio anche per il gestore del servizio idrico integrato. Deve, pertanto, ritenersi che una lettura delle disposizioni in esame che consenta una salvaguardia automatica e sine die delle gestioni in questione non si ponga in armonia né con il dettato legislativo (come recentemente interpretato dal Consiglio di Stato) né con le pregresse vicende costitutive e i titoli delle gestioni derogatorie di cui è causa. Quanto alle successive direttrici contestative contenute nel primo mezzo di gravame, inconferente si palesa la dedotta violazione dell'art. 147, comma 2-ter, del d.lgs. n. 152/2006 e, in particolare, del termine del 30 settembre 2022 ivi previsto per l'adozione degli atti preordinati alla presa in carico delle gestioni non salvaguardate: a tale data infatti le gestioni de quibus risultavano comunque pienamente valide e legittimate, non ricadendo per tale ragione nello spettro applicativo della suddetta norma; parimenti infondata risulta l'argomentazione in merito all'efficacia affidante del comportamento dell'Autorità intimata, la quale, nulla disponendo in merito all'attuazione del sopravvenuto comma 2 bis dell'art. 147 del D. Lgs. 152/2006, avrebbe ingenerato nei Comuni attori la fondata convinzione che la propria originaria istanza risultasse tuttora valida: tale considerazione non persuade, in quanto la corretta esegesi della norma, come sopra chiarita, salvaguarda le gestioni legittimamente in essere, seppure nei limiti previsti dal relativo titolo di riferimento, nel caso di specie rappresentato dalle citate deliberazioni n. 173/2004 e, alla stregua delle considerazioni che saranno espresse dal Collegio nella trattazione della seconda censura, n. 598/2016. 12.3. Il secondo mezzo di gravame, incentrato sull'erroneo computo del termine di scadenza delle gestioni salvaguardate, è fondato. Le gestioni de quibus - salvaguardate ai sensi dell'art. 147, comma 2-bis, secondo paragrafo, lett. a) del d.lgs. n. 152/2006 - risultano assentite per una durata temporale pari a quella dell'affidamento del servizio integrato al gestore S.M.. S.p.a., destinato originariamente a concludersi il 31.12.2023; tale scadenza, tuttavia, è stata posticipata al 31.12.2033 con la deliberazione dell'Autorità n. 598 del 29 aprile 2016 (doc. 7 ricorrente). Orbene, il dato letterale contenuto nelle deliberazioni dell'Autorità 21 novembre 2008 n. 332 e 11 ottobre 2012 n. 467 (docc. 2 e 3 ricorrente), esplicative dei criteri adottati per la manifestazione dell'assenso allo svolgimento delle autonome gestioni idriche comunali, è chiaro nel collegare funzionalmente la scadenza delle gestioni salvaguardate alla durata dell'affidamento del servizio al gestore d'ambito e alla realizzazione del corrispondente piano di investimenti da effettuarsi nel territorio: il termine finale - seppure espressamente indicato con la trascrizione della data originariamente fissata - deve ritenersi in realtà dipendente dall'effettiva scadenza dell'affidamento e, perciò, destinato a recepirne automaticamente le eventuali proroghe. Inoltre, la richiamata deliberazione dell'Autorità n. 598 del 29 aprile 2016 - successiva alle manifestazioni di consenso da parte della stessa Amministrazione allo svolgimento del servizio a cura dei Comuni deducenti - non fornisce elementi da cui possa desumersi la programmata estensione dello svolgimento del servizio idrico integrato da parte della società S.M.. S.p.a. al territorio degli Enti Locali ricorrenti a partire dalla originaria data di scadenza delle gestioni autonome (quindi dall'1.1.2024). Alla luce della superiore esegesi letterale, corroborata dalla rilevata assenza di elementi di segno contrario, il termine di validità del consenso alla gestione salvaguardata - da intendersi quale titolo giuridico che ne fonda la legittimità - deve beneficiare della citata proroga decennale del termine di affidamento, con simmetrico effetto anche sulle convenzioni stipulate dai singoli Enti Locali con la Società di gestione del servizio integrato, in relazione alle quali valgono le seguenti, ulteriori considerazioni. Le convenzioni di coordinamento, stipulate da ciascun Comune con la Società di gestione del servizio idrico integrato, devono essere lette alla stregua dei medesimi criteri ermeneutici sopra individuati, con necessario allineamento della durata della gestione autonoma con quella dell'effettivo affidamento del servizio alla predetta società di gestione; in ogni caso, anche a voler sostenere la scadenza delle convenzioni de quibus, deve rammentarsi che queste ultime non costituiscono elemento determinante la legittimità della gestione salvaguardata, poiché tale elemento deve essere rinvenuto nel solo consenso dell'Autorità d'Ambito (Cons. Stato, IV, 2.2.2024 n. 1113). 13. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, stante la fondatezza della seconda censura. 14. La particolarità della fattispecie e la complessità e parziale novità di alcune delle questioni trattate giustificano l'integrale compensazione delle spese di lite fra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla l'atto impugnato. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Bellucci - Presidente Andrea Maisano - Referendario Marco Costa - Referendario, Estensore
TAR Torino
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 606 del 2021, proposto da -AL.-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Fe. ed En. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Provincia di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati La. Fo. e An. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ro. Ma., Gi. Re., Cl. Vi. ed El. So., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Arpa Piemonte- Dipartimento Territoriale Arpa-OMISSIS- e Comune di-OMISSIS-, non costituiti in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 110 del 2022, proposto da -AL.-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Fe., ed En. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Provincia di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati La. Fo. ed An. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Arpa Piemonte- Dipartimento Territoriale Arpa-OMISSIS-, non costituita in giudizio; nei confronti Comune di-OMISSIS-, non costituito in giudizio; Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ro. Ma., Gi. Re., Cl. Vi. ed El. So., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento quanto al ricorso n. 606 del 2021: della determinazione n. -OMISSIS-, con cui il dirigente dell'area Direzione Operativa Servizio Programmazione e Gestione del Territorio Ufficio Autorizzazioni Ambientali ha diffidato la ricorrente "la ditta -AL.-, con sede legale ed operativa in Via -OMISSIS- nel Comune di-OMISSIS- -OMISSIS-, P.I. -OMISSIS-, nelle more della conclusione del procedimento di riesame avviato dalla Provincia di -OMISSIS- con nota prot. n. -OMISSIS-, a provvedere immediatamente a: - sospendere il conferimento agli impianti di discarica del prodotto "MPS D" che non rispetti il test di cessione di cui all'All. 3 al DM 05/02/1998; nonché, a provvedere entro 30 giorni dalla notifica del presente provvedimento a: - inviare alla Provincia di -OMISSIS- i quantitativi di produzione del prodotto "MPS D" relativi alle annualità 2019 e 2020 e l'elenco degli impianti di destino, sia nazionali che transfrontalieri, presso cui tali prodotti sono stati collocati"; di ogni altro atto presupposto o comunque connesso con quello impugnato, con particolare riferimento, per quanto di ragione, al contributo del Dipartimento Territoriale Arpa-OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS-, che per quanto riguarda la linea di confezionamento dei prodotti MPS 0/40 D e MPS 0/80 D. quanto al ricorso n. 110 del 2022: per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - della determinazione dirigenziale n. -OMISSIS-, mediante cui il responsabile dell'area Direzione Operativa Servizio Programmazione e Gestione del Territorio - Ufficio Autorizzazione Ambientali della Provincia di -OMISSIS-, ha definito il procedimento riesame dell'autorizzazione integrata ambientale a suo tempo rilasciata alla ricorrente per la gestione dell'impianto di recupero di rifiuti sito in-OMISSIS- -OMISSIS-, Via -OMISSIS-, così come in parte qua impugnato; - di ogni atto presupposto o comunque connesso con quello impugnato, con particolare riferimento, per quanto di ragione, ai pareri resi nel corso del procedimento da ARPA Piemonte, Dipartimento Territoriale-OMISSIS-, Servizio territoriale di Tutela e Vigilanza di -OMISSIS-, con contributo del -OMISSIS-e contributo del -OMISSIS-, per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da -AL.- il 11/4/2022: per l'annullamento della determinazione dirigenziale n. -OMISSIS- della Provincia di -OMISSIS- avente ad oggetto "Artt. 29-bis e segg. e 208 del d.lgs. 152/2006 e s.m. e i. - installazione IPPC denominata "-AL.-" ubicata in comune di-OMISSIS- -OMISSIS-, via -OMISSIS- - Autorizzazione Integrata Ambientale per il trattamento dei rifiuti (codice attività IPPC 5) - Rettifica D.D. n. -OMISSIS-". per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da -AL.- il 21/7/2022: per l'annullamento - della determinazione dirigenziale n. -OMISSIS- della Provincia di -OMISSIS- comunicata in data -OMISSIS- avente ad oggetto "Artt. 29-bis e segg. e 208 del d.lgs. 152/2006 e s.m. e i. - Installazione IPPC denominata "-AL.-" ubicata in comune di-OMISSIS- -OMISSIS-, via -OMISSIS- - Autorizzazione Integrata Ambientale per il trattamento dei rifiuti (codice attività IPPC 5) - Modifica d.d. n. -OMISSIS-" e degli allegati A e B alla medesima; - di ogni atto presupposto o comunque connesso con quello impugnato, con particolare riferimento, per quanto di ragione, ai pareri resi nel corso del procedimento da ARPA Piemonte, Dipartimento Territoriale-OMISSIS-, Servizio territoriale di Tutela e Vigilanza di -OMISSIS-, con contributi -OMISSIS-; per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da -AL.- il 15/12/2022: per l'annullamento: - della determinazione dirigenziale n. -OMISSIS- della Provincia di -OMISSIS- comunicata in data -OMISSIS- avente ad oggetto "Artt. 29-bis e segg. e 208 del d.lgs. 152/2006 e s.m. e i. - Installazione IPPC denominata "-AL.-" ubicata in comune di-OMISSIS- -OMISSIS-, via -OMISSIS- - Autorizzazione Integrata Ambientale per il trattamento dei rifiuti (codice attività IPPC 5) - Seconda Modifica D.D. n. -OMISSIS-" e degli allegati alla medesima (doc. 46), nelle sole parti lesive per la ricorrente; per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da -AL.- il 31/10/2023: per l'annullamento: - della determinazione dirigenziale n. -OMISSIS-, nel disporre le rettifiche indicate dal provvedimento, ha altresì stabilito di "annullare e sostituire integralmente gli allegati A, B, D, G e H della D.D. n. -OMISSIS- con i seguenti allegati, facenti parte integrante e sostanziale del presente provvedimento". Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di -OMISSIS- e del Comune di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2024 il dott. Andrea Maisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. -AL.- conduce nel Comune di -OMISSIS- un'installazione IPPC per il trattamento dei rifiuti. 2. Con autorizzazione integrata ambientale (a.i.a.) n. -OMISSIS- (doc. 8 di parte ricorrente) -modificativa di preesistente a.i.a. n. -OMISSIS- (doc. 7 di parte ricorrente)- essa è stata abilitata dalla Provincia di -OMISSIS- allo svolgimento di operazioni di recupero (R5), aventi il fine di restituire prodotti che hanno cessato la qualifica di rifiuto (End of Waste: EoW o anche MPS), ed in particolare, per quanto d'interesse, conglomerati cementizi e un materiale granulare, denominato MPS-D, destinato a copertura giornaliera e ad altre opere d'ingegneria per i siti di discarica. L'autorizzazione comprende un ampio cata di codici rifiuto (EER e CER), raggruppati in differenti linee di recupero secondo caratteristiche omogenee di provenienza, composizione o finalità produttiva ("scorie, ceneri e affini", "misto cementato", "cementeria" ecc.). 3. Quali standard prestazionali e ambientali del prodotto MPS-D, il titolo abilitativo richiedeva il possesso della marcatura CE nonché l'osservanza del DM 27 settembre 2010 (sui criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, ora confluiti nelle tabelle del D.Lgs. 121/2020) e della circolare del Ministero dell'Ambiente n. UL/2005/5205 del 15 luglio 2005 (sugli aggregati riciclati da impiegare nel settore edile, stradale e ambientale), senza tuttavia esplicitare anche il contestuale rispetto dei parametri di eco-compatibilità fissati dall'allegato 3 al DM 5 febbraio 1998 (sulla individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero), pur richiamato dalla circolare n. UL/2005/5205. 4. Con nota del -OMISSIS- -AL.-ha domandato il riesame dell'a.i.a. per consentirne l'adeguamento alle sopravvenute conclusioni sulle migliori tecniche disponibili enunciate dalla Commissione UE con decisione n. 2018/1147 (doc. 18 di parte ricorrente nel giudizio RG 110/2022). 5. Nella conferenza di servizi, convocata ai sensi dell'art. 29 quater, comma 5, D.Lgs. 152/2006, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente del Piemonte (Arpa Piemonte), in ragione delle caratteristiche dei prodotti e materiali sostituiti (terreno sciolto o aggregati riciclati da costruzione e demolizione) e in una prospettiva di maggior coerenza al quadro ordinamentale, ha espresso parere di sottoporre l'MPS-D prodotto da -AL.-ai limiti sulla concentrazione di sostanze inquinanti stabiliti dall'allegato 3 del DM 5 febbraio 1998, da accertare con la metodica del test di cessione, in aggiunta a quelli già richiesti per l'accettabilità dei rifiuti in discarica (cfr. doc. 2 della produzione provinciale nel giudizio RG 110/2022, pag. 47 del pdf). 6. Al procedimento ha preso parte, quale interventore volontario, anche il Comune di -OMISSIS-, ove ha sede una delle discariche destinatarie del materiale prodotto da -AL.- che, con precedenti esposti, aveva lamentato fenomeni di emissioni odorigene moleste, direttamente riconducibili allo spandimento dell'MPS-D a copertura dei rifiuti, e denunciato anomalie nelle modalità di campionamento della sostanza e nel rapporto contrattuale tra -AL.-e la società di gestione della discarica (che nella documentazione di trasporto del materiale era qualificato come conferimento in discarica anziché come vendita di prodotto). Dalle denunce del Comune ha tratto avvio anche un parallelo procedimento penale, allo stato nella fase delle indagini preliminari, per l'accertamento di eventuali illeciti nella gestione del ciclo dei rifiuti. 7. In pendenza del riesame, con determinazione n. -OMISSIS- la Provincia di -OMISSIS- ha ingiunto alla società esponente di "sospendere il conferimento agli impianti di discarica del prodotto "MPS D" che non rispetti il test di cessione di cui all'All. 3 al DM 05/02/1998", vale a dire la procedura, che simulando in laboratorio il naturale dilavamento meteorico, mira a valutare il rilascio nell'ambiente degli inquinanti indicati nel decreto in misura eccedente le concentrazioni limite consentite. 8. Avverso il provvedimento è insorta -AL.-che, con ricorso RG 606/2021 notificato il 21.6.2021 e ritualmente depositato, ne ha chiesto l'annullamento, previa sospensione cautelare, in base a tre motivi di diritto a mezzo dei quali lamenta: l'omessa comunicazione di avvio del procedimento e la compromissione delle garanzie partecipative; la carenza dei presupposti sostanziali e procedurali stabiliti dall'art. 29 decies, comma 9, D.Lgs. 152/2006 per la sospensione dell'a.i.a.; il travisamento di fatto e il difetto di motivazione nella prospettazione del rischio ambientale ascritto all'impiego in discarica dell'MPS-D. 9. Si sono costituiti per resistere la Provincia di -OMISSIS- e il Comune di -OMISSIS-, instando per l'integrale rigetto delle pretese avversarie. 10. Non si sono costituiti Arpa Piemonte e il Comune di -OMISSIS-. 11. Con ordinanza n. -OMISSIS- questo TAR ha respinto l'istanza cautelare. 12. Nelle more, con determinazione dirigenziale n. -OMISSIS- la Provincia di -OMISSIS- ha concluso la procedura di riesame, imponendo in via definitiva per la produzione di MPS-D ed anche per la linea di recupero "misto cementato" l'osservanza dei parametri sulla qualità chimica dell'eluato (e cioè la soluzione liquida che riproduce il percolato rilasciato nell'ambiente) dettati dall'allegato 3 al DM 5 febbraio 1998. 12.1. La statuizione è motivata con il rilievo che, mentre il DM 27 settembre 2010 -abrogato e sostituito dal D.Lgs. 121/2020- non figura nel repertorio delle fonti che disciplinano il recupero dei rifiuti, per altro verso il DM 5 febbraio 1998 dispone l'espletamento del test per prodotti affini, per caratteristiche e destinazione, all'MPS-D. A suffragio del precetto la determina evoca, inoltre, l'art. 184 ter, comma 3, D.lgs. 152/2006, sulle autorizzazioni "caso per caso", la cui lettera c) richiede che il titolo abilitativo definisca i "valori limite delle sostanze inquinanti". La motivazione del provvedimento richiama, infine, l'originaria autorizzazione n. -OMISSIS-, oggetto del riesame, laddove questa rinviava alla circolare ministeriale n. UL/2005/5205 del 15 luglio 2005, che, ai fini della verifica di eco-compatibilità, postula il rispetto dei parametri chimici di cui all'allegato 3 del DM 5.2.1998 (cfr. doc. 2 della Provincia di -OMISSIS- RG 110/2022, pag. 4, parr. 3.1-3.4). 13. Nella sua originaria formulazione l'atto recava, inoltre, un riferimento al DPR n. 120/2017, in materia di terre e rocce da scavo. 14. La società esponente ha impugnato la determinazione che precede con separato ricorso RG 110/2022, notificato il 4.1.2022 e depositato il 28.1.2022, deducendo i motivi che di seguito più estesamente si riportano: I. Violazione, e degli articoli 29-quater, 29-sexies, 29-octies, 29-decies del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione dell'articolo 184-ter del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione delle Linee Guida dettate dal Sistema delle Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (SNPA), approvate dal Consiglio SNPA con deliberazione n. 62/20 del 6 febbraio 2020 (Linee Guida SNPA). Eccesso di potere per travisamento dei presupposti, per illogicità manifesta, per contraddittorietà, per perplessità e per difetto di motivazione. In assenza di parametri normativi predefiniti per il prodotto MPS-D, l'amministrazione avrebbe dovuto elaborare criteri specificamente calibrati sul caso concreto, ai sensi dell'art. 184 ter, comma 3 D.Lgs. 152/2006, prescindendo dall'applicazione analogica del DM 5 febbraio 1998 -che disciplina le procedure semplificate per il recupero di rifiuti non pericolosi- siccome privo di portata vincolante e non pertinente a un prodotto che, per il suo utilizzo giornaliero in discarica, può avere la stessa composizione chimica dei rifiuti tal quali, nel rispetto dei soli limiti fissati per l'ammissibilità in ingresso dei rifiuti. In contrario non deporrebbero né la previsione della lett. c) del citato art. 184 ter, comma 3 sui "valori limite per le sostanze inquinanti", né il rimando nell'originaria autorizzazione n. -OMISSIS- alla circolare UL/2005/5205. Si rileva, inoltre, che la produzione dell'MPS-D è stata autorizzata all'esito di un precedente periodo di sperimentazione le cui risultanze non sono mai state contestate; come pure nessuna obiezione sarebbe mai stata opposta dai fruitori del prodotto e dagli enti di controllo. II. Violazione, e degli articoli 29-quater, 29-sexies, 29-octies, 29-decies del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione dell'articolo 184-ter del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti, per illogicità manifesta, per contraddittorietà, per perplessità e per difetto di motivazione. La predetta censura è estesa alla corrispondente imposizione del test di cui al DM 5 febbraio 1998 anche alla linea di recupero "misto cementato", per la quale, ugualmente, sarebbe occorso uno statuto deontologico ad hoc. III. Violazione, e degli articoli 29-quater, 29-sexies, 29-octies, 29-decies del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione dell'articolo 184-ter del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione del DPR 120/2017. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti, per illogicità manifesta, per contraddittorietà, per perplessità e per difetto di motivazione. Si contesta, in ultimo, l'erroneità del richiamo al DPR 120/2017 sul rilievo che tale fonte disciplina le terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotto dell'attività di scavo, mentre in specie le stesse sostanze rilevano come rifiuti da avviare a trattamenti di recupero. 15. La suddetta determina n. -OMISSIS- è stata, quindi, incisa da reiterati atti correttivi e di modifica -sollecitati da istanze di revisione in autotutela della stessa società esponente- che, nelle parti a sé pregiudizievoli, -AL.-ha avversato con susseguenti motivi aggiunti, per dedurne vizi d'illegittimità propria e derivata, quanto al precetto sui parametri di compatibilità ambientale ex DM 5 febbraio 1998, perpetuato (riguardo all'MPS-D) in tutte le successive trasformazioni del titolo. 16. Più nel dettaglio, con determinazione n. -OMISSIS-(doc. 3 della produzione provinciale) la Provincia di -OMISSIS- ha emendato la determina n. -OMISSIS- da errori materiali e ostativi, attraverso la riscrittura degli allegati A e B, senza incidere, tuttavia, sulle motivazioni del provvedimento rettificato né sulla condizionalità relativa all'espletamento del test di cessione. 16.1. -AL.-ne ha chiesto l'annullamento con primi motivi aggiunti al ricorso RG 110/2022, notificati il 25.3.2022 e ritualmente depositati, a mezzo dei quali ha spiegato, a titolo d'illegittimità derivata, le stesse ragioni di doglianza dedotte nel ricorso introduttivo ad eccezione del terzo motivo, per l'intervenuta correzione, in sede di rettifica, dell'improprio richiamo al DPR 120/2017. 17. Con successiva determinazione n. -OMISSIS- (doc. 8 della produzione provinciale), comunicata il -OMISSIS- e avente ad oggetto "Artt. 29-bis e segg. e 208 del d.lgs. 152/2006 e s.m. e i., Installazione IPPC denominata "-AL.-" ubicata in comune di-OMISSIS- -OMISSIS-, via -OMISSIS- - Autorizzazione Integrata Ambientale per il trattamento dei rifiuti (codice attività IPPC 5) - modifica d.d. n. -OMISSIS-", l'amministrazione provinciale, in accoglimento di specifiche istanze di variante del titolo avanzate dalla società esponente (docc. 28 e 29 di parte ricorrente), ha operato una prima modifica dei contenuti dell'a.i.a., mediante lo stralcio dalla linea di recupero "misto cementato" dei codici rifiuto estranei alla tassonomia del DM 5 febbraio 1998 e l'autorizzazione al trattamento di un nuovo codice EER (06.03.16: sali e loro soluzioni, contenenti metalli pesanti). 17.1. Il provvedimento è stato impugnato con secondo atto ex art. 43 cod. proc. amm., notificato il 18.7.2022 e depositato il 21.7.2022, in relazione alle statuizioni reiettive dell'atto alle ulteriori richieste di -AL.-volte ad ottenere: i) la deroga dal test di cessione per la linea "misto cementato", mediante differimento della verifica dello stato di cessato rifiuto al momento successivo all'uscita della miscela secca dal miscelatore (anziché in quello del suo ingresso); ii) il riconoscimento di un regime facilitato in entrata per modesti quantitativi di determinati codici rifiuto (01.04.13, 10.13.11 e 17.09.04); iii) l'esenzione dagli adempimenti sul punto di emissione in atmosfera (camino E1) e sul relativo monitoraggio. 17.2. Con sette motivi di gravame la ricorrente contesta, al riguardo, l'illegittimità propria del provvedimento, per contestuali vizi di violazione di legge ed eccesso di potere inficianti la regolarità del contraddittorio procedimentale e il contenuto finale dell'atto (parr. A.I-AV, pagg. 12-22 dei secondi motivi aggiunti), e l'illegittimità derivata dalla determina n. -OMISSIS-, censurata mediante riproposizione del primo e del secondo motivo del ricorso introduttivo del giudizio (parr. B.I-BII, pagg. 22-33 dei secondi motivi aggiunti). 18. A seguito di ulteriori istanze di revisione del titolo avanzate da -AL.-(il -OMISSIS- e -OMISSIS-), la Provincia di -OMISSIS- è nuovamente intervenuta sui contenuti precettivi dell'a.i.a. con determinazione n. -OMISSIS- (doc. 46 di parte ricorrente). 18.1. In riforma della pregressa determina n. -OMISSIS-, con tale provvedimento l'amministrazione ha infine acconsentito, quanto alla linea "misto cementato", a differire la verifica della cessata qualità di rifiuto al momento di uscita del prodotto dal miscelatore, ha inoltre esentato -AL.-dagli adempimenti relativi all'allestimento del camino e ha escluso dall'esecuzione del test di cessione le miscele che rispondono alle caratteristiche prestazionali previste dalla norma UNI EN 14277-1. Al contempo, però, la Provincia ha stabilito nuove prescrizioni e respinto altre istanze di autotutela ed in particolare: - ha introdotto per le linee di recupero "scorie, ceneri e affini" e "cementeria" la nuova operazione R12 (consistente nello "scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate da R 1 a R 11"); - ha respinto la richiesta di -AL.-di poter riprocessare il lotto in caso di difformità chimica dai parametri limite come pure quella d'incrementare, per la linea "cementeria", la concentrazione massima di cromo totale (nella forma di ossido di cromo) da 700 ppm a 1500 ppm; - ha riformato l'allegato A della determinazione n. -OMISSIS- laddove disciplina il regime di assegnazione del codice CER 191202 (metalli ferrosi). 18.2. -AL.-ha impugnato la superiore determina, limitatamente alle parti ritenute lesive, con terzo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 25.11.2022 e depositato il 15.12.2022, con cui, previa allegazione della sopravvenuta perdita d'interesse rispetto alla censura dei vizi propri denunciati con secondi motivi aggiunti, ha contestato, in otto ragioni di doglianza, vizi di violazione di legge ed eccesso di potere costitutivi d'illegittimità propria, insieme del procedimento e del contenuto intrinseco delle statuizioni (parr. A.I-A.VII, pagg. 13-22 dei terzi motivi aggiunti), nonché derivata dal precetto sul test di cessione ai sensi del DM 5 febbraio 1998, ancora obbligatorio per il materiale MPS-D (par. B.I, pagg. 22-32 dei terzi motivi aggiunti). 19. Infine, con quarti motivi aggiunti, notificati il giorno 11.10.2023 e depositati il 31.10.2023, la ricorrente, riproponendo parte delle censure formulate nel terzo atto di aggiunzione, ha chiesto l'annullamento della determinazione n. -OMISSIS-(doc. 56 di parte ricorrente), con cui la Provincia, tramite nuova rettifica, ha emendato altri errori materiali ed ostativi negli allegati tecnici alla determinazione n. -OMISSIS-. 20. Anche nel giudizio RG 110/2022 si sono costituiti la Provincia di -OMISSIS- e il Comune di -OMISSIS- che, con documenti e memorie, hanno eccepito, in rito, la sopravvenuta carenza d'interesse al ricorso RG 606/2021 e rispetto ai primi, secondi e terzi motivi aggiunti dello stesso giudizio RG 110/2022 nonché, nel merito, l'infondatezza delle residue censure scrutinabili, chiedendone l'integrale rigetto. 21. All'udienza pubblica calendarizzata per il 6 giugno 2024, dopo reiterati rinvii imposti dall'indicata sequenza di motivi aggiunti, sono stati chiamati entrambi i ricorsi RG 606/2021 ed RG 110/2022. Il Presidente, ai sensi dell'art. 73, comma 1 bis cod. proc. amm., ha respinto un'ulteriore richiesta di rinvio della discussione, avanzata da parte ricorrente per la prospettata possibilità di nuovi motivi aggiunti, ravvisando non sussistenti allo stato altri atti passibili d'impugnazione ai sensi dell'art 43 cod. proc. amm.. Le cause sono state, quindi, poste in decisione. DIRITTO In limine dev'essere disposta la riunione del giudizio RG 110/2022 al giudizio RG 606/2021, per evidenti ragioni di connessione soggettiva e oggettiva. Il provvedimento sospensivo dell'a.i.a., gravato con il primo ricorso, s'innesta, infatti, nel procedimento di riesame del titolo, i cui esiti sono stati impugnati per mezzo del secondo gravame, come integrato dai relativi motivi aggiunti. I) Sul ricorso RG 606/2021. Il primo ricorso è improcedibile. Con il gravame de quo la società ricorrente ha impugnato la determina n. -OMISSIS-, di sospensione dell'autorizzazione integrata ambientale. L'effetto sospensivo era espressamente programmato per operare "nelle more della conclusione del procedimento di riesame avviato dalla Provincia di -OMISSIS- con nota prot. n. -OMISSIS-". Di conseguenza, come eccepito dalla difesa provinciale (alle pag. 7 e 8 della memoria del 3.5.2024), una volta concluso tale procedimento con l'adozione della determinazione n. -OMISSIS- (impugnata con ricorso RG 110/2022), quell'effetto si è estinto e l'atto interinale è stato sostituito dal nuovo cata di prescrizioni definitivamente fissato nel provvedimento emesso all'esito del riesame. In difetto dell'allegazione di un concreto interesse a fini risarcitori, è, perciò, preclusa al Collegio la cognizione nel merito della dedotta illegittimità di un atto che ha nelle more esaurito i propri effetti, stante la sopravvenuta carenza d'interesse al ricorso (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I, 5.4.2022, n. 3909 e TAR Liguria, sez. II, 13.5.2024, n. 346). II) Sul ricorso 110/2022. A) In ordine al secondo giudizio, a fronte della specifica eccezione in rito della difesa provinciale (cfr. pag. 4 della memoria del 3.5.2024) e delle dichiarazioni rese dalla stessa ricorrente (cfr. pag. 6, par. 10 dei primi motivi aggiunti e pag. 9, par. 18 dei terzi motivi aggiunti), occorre svolgere una preliminare ricognizione delle censure ancora sorrette da un perdurante interesse al ricorso, che, per pacifico insegnamento, deve sussistere non solo al momento in cui l'azione è proposta, ma anche in quello della pronuncia finale, dalla quale dev'essere possibile trarre un qualche potenziale risultato vantaggioso (così, tra le molte altre, T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 4.4.2022 n. 3822). Ciò rende necessario ricostruire la natura degli atti oggetto di gravame. Va richiamata, a tal fine, la distinzione tra atti meramente confermativi e atti di conferma in senso proprio. Per consolidata e condivisa giurisprudenza ricade nella prima fattispecie l'atto che ribadisce la decisione affermata in un precedente provvedimento senza alcuna rivalutazione degli interessi o nuovo apprezzamento del compendio istruttorio. Ricorre, invece, conferma in senso proprio quando l'approdo al medesimo esito provvedimentale della decisione confermata consegue a un riesame della situazione fattuale rilevante e della gerarchia degli interessi in gioco. Detto altrimenti, di fronte alla sollecitazione del privato a riaprire il procedimento in autotutela, con l'atto meramente confermativo l'amministrazione rende risposta negativa, escludendo i presupposti per l'avvio di un nuovo iter procedimentale; con l'atto di conferma in senso proprio, invece, l'autorità riscontra positivamente la richiesta, instaurando un nuovo procedimento, benché con esito coincidente con l'atto confermato (cfr., tra le molte, Cons. Stato, sez. III, -OMISSIS-.2024 n. 4913). Assumono rilievo anche gli istituti della riforma e della rettifica. La riforma consiste nell'innovazione del contenuto dell'atto attraverso l'introduzione di uno o più elementi diversi da quelli originari. Quando da ciò consegue anche la caducazione di altra parte dell'atto (mediante rimozione, annullamento o revoca) si discorre di riforma sostitutiva. In ogni caso, sia quando soltanto aggiunta sia quando sostitutiva del contenuto pregresso, la parte nuova spiega i suoi effetti ex nunc. La rettifica consiste, per converso, nell'eliminazione degli errori ostativi o materiali in cui un atto sia incorso e nelle conseguenti eliminazioni, sostituzioni o aggiunte necessarie a renderlo conforme, in via retroattiva, a ciò che risulti essere stato effettivamente voluto. A.1) Applicando le superiori categorie dogmatiche al caso di specie si ricava, anzitutto, che del ricorso introduttivo del giudizio (il quale attinge la determina n. -OMISSIS- di riesame dell'a.i.a.), risulta ancora scrutinabile il primo mezzo di gravame con cui -AL.-contesta l'applicazione al prodotto MPS-D dei parametri di compatibilità ambientale sanciti dall'allegato 3 al DM 5 febbraio 1998. I successivi atti di revisione della determina n. -OMISSIS-, sollecitati dalle istanze della ricorrente, non hanno inciso sulle motivazioni a suffragio di quella prescrizione (doc. 2 della Provincia di -OMISSIS- RG 110/2022, pag. 4, parr. 3.1-3.4) né l'amministrazione ha mai manifestato al riguardo la volontà di riaprire il procedimento, sia pure con finalità di conferma. Ne consegue che, laddove le determinazioni sopravvenute ribadiscono quanto previamente stabilito sulla qualità chimica del materiale, da accertare all'esito del test di cessione disciplinato dal DM 5 febbraio 1998, esse si connotano di un effetto meramente confermativo della determina n. -OMISSIS-, che continua ad integrare la sede di regolazione di quel precetto. A.2) Il secondo mezzo del ricorso introduttivo, che estende la medesima censura alle corrispondenti statuizioni sulla composizione dei prodotti risultanti dalla linea "misto cementato", è invece, divenuto improcedibile allorché, con determinazione n. -OMISSIS-, la Provincia di -OMISSIS- ha stabilito che: "La cessazione della qualifica di rifiuto della miscela secca si applica esclusivamente al prodotto legato in uscita dal miscelatore nella sua formulazione definitiva per l'utilizzo" (doc. 46 di parte ricorrente, pag. 21 del pdf), in tal modo differendo il relativo regime ad un momento successivo rispetto alle operazioni di recupero di cui si discute. Ora benché, alla stregua delle coordinate ermeneutiche innanzi richiamate, tale revisione operi ex nunc, nondimeno, non avendo parte ricorrente manifestato neppure in tal caso un interesse risarcitorio quanto alle ricadute pregiudizievoli eventualmente subite per effetto del pregresso assetto regolatorio, il sopravvenuto mutamento della situazione giuridica rende inutile una pronuncia sul punto, poiché difetta l'attualità dell'interesse azionato. A.3) Il terzo motivo del ricorso introduttivo, con cui si censura l'improprio richiamo al DPR n. 120/2017 in materia di terre e rocce da scavo, è parimenti improcedibile a fronte dell'espressa dichiarazione della ricorrente, enunciata nei primi motivi aggiunti (pag. 6, par. 10), di non avere più interesse a coltivare tale profilo di doglianza dopo che la determina n. -OMISSIS- ha rettificato (con effetto retroattivo) gli allegati A e B alla determina n. -OMISSIS-, emendando anche quell'improprio riferimento normativo. A.4) I primi motivi aggiunti, che attingono la menzionata determinazione n. -OMISSIS-, sono a loro volta diventati improcedibili, come eccepito dalla difesa provinciale (a pag. 9, par. 21 della memoria del 3.5.2024), per effetto dell'ulteriore rettifica degli allegati A e B e degli altri allegati tecnici alla determina n. -OMISSIS- disposta con determinazione n. -OMISSIS-(avversata con i quarti motivi aggiunti). A.5) I secondi motivi aggiunti, aventi ad oggetto la determinazione di variante dell'a.i.a. n. -OMISSIS-, non sono più assistiti da interesse, come ammesso della medesima parte ricorrente (a pag. 9, par. 18 dei terzi motivi aggiunti), in conseguenza della successiva modifica, su ambiti sovrapponibili, statuita con determinazione n. -OMISSIS-; tale da ingenerare una nuova e mutata situazione giuridica. Tanto osservato, non può trovare accoglimento, invece, la tesi patrocinata dalla Provincia di -OMISSIS- secondo cui l'ultimo atto della sequenza, e cioè la menzionata determina n. -OMISSIS-, avrebbe interamente attratto a sé l'interesse al ricorso, con conseguente improcedibilità di tutti gli altri motivi aggiunti. Dalla disamina della motivazione dell'atto (doc. 56 di parte ricorrente) si evince, infatti, che, in relazione ai profili rilevanti per il giudizio, esso ha in parte natura di rettifica (delle disposizioni emendate) e in parte natura di atto meramente confermativo (delle disposizioni ribadite), talché, non avendo statura provvedimentale, non può sostituirsi agli atti pregressi come fonte di regolazione del titolo autorizzatorio. In definitiva, all'esito della progressiva stratificazione di revisioni e modifiche dell'a.i.a., risultano suscettibili di cognizione nel merito soltanto il primo motivo del ricorso introduttivo (che investe la determinazione n. -OMISSIS-), i terzi e i quarti motivi aggiunti (concernenti rispettivamente le determinazioni n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS-), non ravvisandosi un residuo interesse al ricorso rispetto a tutte le altre censure, che vanno dunque dichiarate improcedibili. Nel merito si osserva quanto segue. B) Il ricorso introduttivo del giudizio -il cui apparato censorio si esaurisce, per le osservazioni che precedono, soltanto nel primo motivo- è infondato. Si rammenta che, per suo tramite, parte ricorrente censura l'applicazione al ciclo produttivo dell'MPS-D del DM 5 febbraio 1998, poiché ritenuto non vincolante né pertinente alle caratteristiche funzionali del materiale (siccome destinato all'utilizzo in siti di discarica), e contesta, sul piano dell'istruttoria e della motivazione, il rischio d'incidenza negativa sull'ambiente imputato al materiale da essa prodotto. Merita ricordare, altresì, che la motivazione della determina impugnata n. -OMISSIS- (par. 3.3) evoca, al riguardo, l'art. 184 ter, comma 3 D.Lgs. 152/2006. Questo dispone che, nel difetto di criteri normativi predefiniti che regolino lo specifico processo produttivo di End of Waste da autorizzare, il titolo è rilasciato "sulla base di criteri dettagliati, definiti nell'ambito dei medesimi procedimenti autorizzatori previo parere obbligatorio e vincolante dell'ISPRA o dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale territorialmente competente, che includono: a) materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell'operazione di recupero; b) processi e tecniche di trattamento consentiti; c) criteri di qualità per i materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall'operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario; d) requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo della qualità, l'automonitoraggio e l'accreditamento, se del caso; e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformità ". La norma si applica anche alla fattispecie del riesame dell'autorizzazione, il cui procedimento segue le stesse modalità del primo rilascio del titolo (art. 29 octies, comma 10, D.Lgs. 152/2006). Ciò posto, la decisione della Provincia di -OMISSIS- di definire con maggior rigore lo standard ambientale dell'MPS-D, prescrivendone in modo inequivoco l'assoggettamento alle metodiche e ai limiti di cui al DM 5 febbraio1998, trova razionale giustificazione nel parere reso in conferenza di servizi da Arpa Piemonte e nel contributo istruttorio del Comune di -OMISSIS-. La prima, dato atto che "alla creazione del prodotto da recupero MPS D possono essere destinati quasi tutti i codici EER previsti in ingresso all'installazione, di cui alcuni unicamente destinati all'ottenimento di questo EoW", ha concluso che "si ritiene maggiormente coerente con la normativa vigente, in considerazione delle caratteristiche dei prodotti/materiali sostituiti (terreno sciolto o anche aggregati e riciclati da C& D), il rispetto del test di cessione ai limiti di cui all'allegato 3 al DM 5 febbraio 1998 e, stante la non completa sovrapponibilità dei parametri, agli ulteriori limiti per l'ammissibilità in discarica per rifiuti non pericolosi" (doc. 2 della Provincia di -OMISSIS-, pag. 47 del pdf). L'assunto si conforma al fondamentale precetto dell'art. 184 ter, comma 1, lett. d) D.Lgs. 152/2006 che indica quale autonomo requisito rilevante ai fini della cessazione della qualifica di rifiuto che "l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana". Come osservato in giurisprudenza, benché il requisito che precede sia espressione di un principio informatore della disciplina dei rifiuti e non possa di per sé dirsi innovativo (cfr. CGUE 22.12.2008, n. 283), tuttavia, la sua autonoma considerazione da parte del legislatore vale a chiarire che, affinché il rifiuto sia sottratto al regime tutorio suo proprio, occorre che l'assenza di effetti negativi sull'ambiente o la salute sia accertata prima che il materiale sia utilizzato o commercializzato alla stregua di un prodotto "primario". Fino a tale momento dovrà trovare applicazione, ai sensi del comma 5 dell'art. 184 ter, la disciplina in materia di gestione dei rifiuti (così TAR Veneto, sez. II, 4.2.2020, n. 124). Il rafforzamento delle caratteristiche ambientali prescritto in sede di riesame dell'a.i.a. è coerente, perciò, all'esigenza di ristabilire la corretta distinzione tra prodotto con stato di End of Waste e rifiuto; ciò al fine di meglio presidiare i tratti indefettibili del primo ed evitare indebite sovrapposizioni tra fattispecie, foriere di distonie applicative e potenziali rischi per l'ambiente. Il precetto contestato trova, inoltre, legittimo fondamento nella memoria procedimentale del Comune di -OMISSIS-, richiamata nella determina n. -OMISSIS- e ad essa integralmente allegata (cfr. doc. 2 della Provincia di -OMISSIS-, pag. 3 e pag. 79 e ss. del pdf) nonché nelle osservazioni del tecnico da questo incaricato, parimenti riportate nel provvedimento (doc. 2 cit., par. 12, pag. 6 del pdf). Da esse si evince, in primo luogo che, attraverso un'inversione del fisiologico assetto negoziale, il rapporto tra -AL.-e la società che gestisce la discarica nel territorio comunale si configurava nei fatti non già come somministrazione di prodotti dal primo alla seconda, bensì come "conferimento di rifiuti" ricevuti in discarica dietro versamento di un corrispettivo da parte di -AL.-(cfr. doc. 2 cit., pag 91 del pdf e il documento di trasporto in discarica allegato come doc. N dal Comune di -OMISSIS-). La relazione del Comune ha altresì indicato la presenza nel materiale prodotto dalla ricorrente di elevati valori di carbonio organico disciolto (d.o.c.), incompatibili con la qualifica di End of Waste, ed evidenziato che i campionamenti da questa commissionati, per la rilevazione delle concentrazioni d'inquinanti, erano eseguiti, almeno in parte, da laboratori non accreditati e, ancora, che l'analisi di alcuni parametri (sostanza secca e tds) era del tutto omessa (cfr. doc. 2 cit., pagg. 87 e 88 del pdf). Tali risultanze, non specificamente confutate da -AL.- contestualizzano un quadro che, pur connotato da incertezza scientifica, evidenzia un rischio specifico per l'ambiente (sub specie di potenziale accumulo di sostanze nocive nel percolato di discarica), al cospetto del quale la decisione dell'autorità pubblica di superare le incertezze applicative ingenerate dall'originario statuto autorizzatorio e ridurre le esternalità negative, indicando quali "valori limite per le sostanze inquinanti" ex art. 184 ter, comma 1, lett. c) D.Lgs. 152/2006 quelli indicati dal DM 5 febbraio 1998, si conforma al canone unionale di precauzione (art. 191 TFUE), come recepito dall'art. 301 D.Lgs. 152/2006. Le opposte critiche ricorsuali non colgono nel segno. Non suscettibile di positivo apprezzamento è, anzitutto, l'assunto secondo cui il provvedimento avrebbe dovuto prescindere dal rimando al menzionato decreto ministeriale. L'affermazione è contraddetta dalla circolare del Ministero dell'Ambiente n. UL/2005/5205 del 15 luglio 2005, richiamata nella motivazione del provvedimento impugnato (e alla cui osservanza -AL.-era già tenuta in forza della previgente autorizzazione n. -OMISSIS-), che, per gli aggregati riciclati nel settore edile, stradale e ambientale derivanti da attività di costruzione e demolizione -ivi inclusi quelli destinati alla realizzazione di recuperi ambientali, riempimenti e colmate- prescrive, quale condizione di eco-compatibilità, la conformità al test di cessione disciplinato dall'allegato 3 del DM del 1998. L'affinità funzionale tra il materiale prodotto dalla ricorrente e le fattispecie tipizzate dalla circolare nonché l'inclusione, tra i codici rifiuto che -AL.-è autorizzata a trattare, anche di sostanze provenienti da attività di costruzione e demolizione, giustificano l'applicazione di quella norma anche al caso di specie. Il DM 5 febbraio 1998 integra, del resto, il paradigma per le autorizzazioni EoW non altrimenti governate da criteri più specifici. Se, infatti, l'art. 184 ter, comma 3 D.Lgs. 152/2006 lo indica come standard per le procedure semplificate, in base alle linee guida SNPA lo stesso può assurgere a riferimento anche nelle procedure ordinarie di autorizzazione "caso per caso" -come quella per cui è controversia- rispetto alle quali, come ricordato dalla stessa ricorrente (a pag. 21 del ricorso introduttivo), lo scostamento dalle prescrizioni del decreto è giustificato nei casi di apprezzabile divario tra la situazione concreta e le fattispecie ivi disciplinate. Nella vicenda in esame l'analogia tra l'attività oggetto di autorizzazione e quelle regolate dal DM 5.2.1998 è, tuttavia, marcata ed investe tanto le caratteristiche del prodotto finale quanto le relative matrici di rifiuto. Sotto il primo profilo, il decreto menziona in modo esplicito le coperture per discarica nel cata dei prodotti da recupero, imponendo sempre al riguardo il test di cessione. Sotto il secondo profilo, i codici rifiuto, ivi destinati a tale impiego, presentano caratteristiche e provenienza affini ai codici dell'autorizzazione di cui è titolare -AL.-(tra i quali, come detto, quelli provenienti da attività di demolizione e costruzione); ed anzi taluni dei codici menzionati nella tassonomia del decreto (10.02.02 e 10.09.03) coincidono esattamente con quelli autorizzati, per lo stesso fine, dalla determina n. -OMISSIS- (cfr. doc. 2 della Provincia di -OMISSIS-, pagg. 17 e 29 del pdf e doc. H del Comune di -OMISSIS-, pag. 74, par. 4.4). In considerazione dell'uguale destinazione d'uso del materiale e della sostanziale affinità dei rifiuti trattati, l'applicazione in specie del DM 5 febbraio 1998 risponde, dunque, al principio di ragionevolezza. Parimenti non condivisibile è l'assunto per cui, atteso l'utilizzo dell'MPS-D in discarica, la qualità chimica dell'eluato (e cioè la soluzione che simula il percolato rilasciato nell'ambiente) potrebbe essere uguale a quella dei rifiuti alla cui copertura il materiale è destinato, nel rispetto dei (soli) limiti del DM 27.9.2010, ora dettati dalle tabelle allegate al D.Lgs. 121/2020. L'argomento contravviene alla necessità di distinguere, sul piano materiale oltre che giuridico, gli EoW dai rifiuti; necessità tanto più avvertita alla luce delle richiamate risultanze istruttorie che hanno rivelato come il materiale MPS-D fosse ceduto da -AL.-alla stregua di un rifiuto da smaltire e non come prodotto rigenerato. Focalizzandosi solo sul chimismo dei liquidi rilasciati, la tesi non considera, inoltre, il potenziale offensivo derivante dal menzionato fattore di accumulo delle quantità di agenti inquinati né i limiti tecnici e dimensionali delle discariche cessionarie nella ricezione e nel trattamento del percolato. Inconferente è pure il riferimento di -AL.-al pregresso periodo di sperimentazione, dal momento che la legittimità del provvedimento impugnato dev'essere vagliata alla stregua della situazione giuridica e fattuale esistente al momento della sua adozione -vale a dire, quando l'a.i.a. è stata riesaminata- e non in base a quella pregressa. Non è probante, infine, nemmeno l'assunto circa l'assenza di rilievi o contestazioni dai fruitori dell'MPS-D, essendo stati allegati in giudizio indizi dai quali è possibile desumere, con attendibile livello di verosimiglianza, che anche con i gestori delle altre discariche parte ricorrente abbia intrattenuto rapporti analoghi a quello instaurato con la società che gestisce il sito di -OMISSIS-, ponendo in essere operazioni di cessione della sostanza a titolo gratuito o con "prezzo negativo" (cfr. doc. 3 del Comune di -OMISSIS-, pagg. 2-9). In definitiva, per le considerazioni che precedono e ferma la declaratoria d'improcedibilità della seconda e della terza ragione di doglianza, il ricorso introduttivo del giudizio dev'essere respinto, siccome infondato. C.1) Passando al vaglio dei terzi motivi aggiunti, con la prima censura ("Violazione degli articoli 7 della Legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione degli articoli 29-quater, 29-sexies, 29-octies, 29-decies, 184-ter e 208 del D.lgs. 3aprile 2006, n. 152. Violazione del giusto procedimento. Violazione dei principi in materia di imparzialità e buon andamento. Violazione dei principi di certezza e legittimo affidamento. Eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta. Difetto dei presupposti e difetto di motivazione") -AL.-lamenta che, per il tramite della determina n. -OMISSIS-, l'amministrazione ha introdotto d'ufficio nuove prescrizioni (concernenti, rispettivamente, l'operazione R12 e le modalità di attribuzione del codice CER 19.12.02) nel difetto di previa comunicazione di avvio del procedimento e in violazione del canone di tassatività dei presupposti per il riesame dell'a.i.a.. La doglianza è infondata. La determina n. -OMISSIS- è stata adottata in riscontro ad istanza di riforma della pregressa determina n. -OMISSIS- proposta dalla stessa ricorrente (cfr. terzi motivi aggiunti, pagg. 8-9 par. 16) la quale, come si legge nelle premesse del provvedimento impugnato, oltre ad aver avanzato le sue richieste per iscritto, le ha pure "evidenziate verbalmente nel corso dell'incontro tecnico del 09/06/2022" (doc. 46 di parte ricorrente, pag. 4 del pdf). Pertanto, mentre l'indicata finalità d'impulso alla revisione delle statuizioni pregresse pone la fattispecie fuori dal perimetro dell'art. 29 octies D.Lgs. 152/2006 (sulle ipotesi di riesame dell'a.i.a.), collocandola piuttosto nel campo dell'autotutela, per altro verso l'iniziativa procedimentale ad istanza di parte nonché la partecipazione attiva di -AL.-alla fase istruttoria escludono la lamentata compromissione del contraddittorio procedimentale. Del resto, tenuto conto che le richieste di modifica sono state in larga misura positivamente scrutinate dall'amministrazione, i plurimi interessi sensibili implicati nella vicenda e la natura complessa del procedimento ostano alla configurazione di alcuna legittima aspettativa in ordine all'accoglimento puro e semplice dell'istanza, rientrando nella discrezionalità dell'autorità pubblica integrare l'a.i.a. -quale atto "a struttura aperta"- con condizioni d'obbligo alle quali subordinare l'efficacia del titolo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 25.8.2023, n. 7956). C.2) Destituita di fondamento è anche la seconda censura ("Violazione dell'articolo 10-bis della Legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione degli articoli 29-quater, 29-sexies, 29-octies, 29-decies e 184-ter del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione del giusto procedimento. Violazione dei principi in materia di imparzialità e buon andamento. Eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta. Difetto dei presupposti e difetto di motivazione"), con cui, con argomento speculare al primo motivo, parte ricorrente contesta l'illegittimità delle statuizioni del provvedimento reiettive di alcune specifiche istanze di revisione (e, nella specie, quelle concernenti i limiti alla concentrazione di cromo totale e il riprocessamento dei lotti in caso di loro difformità chimica) in quanto non precedute da preavviso di diniego. Per condivisa giurisprudenza: "L'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 non si applica quando sia proposta un'istanza di riesame, volta alla rinnovazione dell'esercizio del potere, e non prospetti alcuna sopravvenienza. In tal caso, infatti, si chiede all'Amministrazione di effettuare una ulteriore valutazione della situazione di fatto e di diritto già in precedenza valutata e non vi sono profili che potrebbero comportare una "motivazione a sorpresa" (...); l'Amministrazione, così come in linea di principio non ha l'obbligo di prendere in considerazione l'istanza di riesame, così non ha l'obbligo di inviare la comunicazione prevista dall'art. 10-bis, se intende respingerla perché ritiene immodificabile la precedente valutazione" (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 5.6.2023 n. 3454). Pertanto, stante l'acclarata natura di provvedimento di secondo grado della determinazione n. -OMISSIS- e il suo inquadramento nella categoria dell'autotutela, l'amministrazione non era vincolata, in specie, ad alcun obbligo di preavviso. C.3) Con il terzo mezzo ("Violazione degli articoli 1 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione degli articoli 29-quater, 29-sexies, 29-octies, 29-decies e 184-ter del D.lgs. 3 aprile2006, n. 152. Violazione dell'Allegato C alla parte IV del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione del DM 25 febbraio 1998. Violazione del principio di certezza e legittimo affidamento. Eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, erronea e fuorviata valutazione dei presupposti, per carenza di istruttoria e difetto di motivazione. Contraddittorietà ") -AL.-contesta l'inserimento dell'operazione R12 nelle linee di recupero "scorie, ceneri ed affini" (MPS-A, MPS-B e MPS-D) e "cementeria" (MPS CEM) di cui denuncia l'illogicità unitamente alla carenza e alla contraddittorietà della motivazione La doglianza è meritevole di accoglimento. E' opportuno rammentare che l'allegato C alla parte quarta del D.Lgs. 152/2006 definisce l'operazione R12 come "scambio di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate da R 1 a R 11". La nota esplicativa chiarisce che: "In mancanza di un altro codice R appropriato, può comprendere le operazioni preliminari precedenti al recupero, incluso il pretrattamento come, tra l'altro, la cernita, la frammentazione, la compattazione, la pellettizzazione, l'essiccazione, la triturazione, il condizionamento, il ricondizionamento, la separazione, il raggruppamento prima di una delle operazioni indicate da R 1 a R 11". Tanto precisato, nella motivazione della determina n. -OMISSIS- si afferma che "relativamente all'assenza nell'autorizzazione rilasciata dell'operazione di recupero R12, pur ritenendo adeguata la scelta precedentemente adottata da questa amministrazione, derivata dalla constatazione che nella prassi si fa ricorso a tale operazione in mancanza di un diverso codice R appropriato che è stato identificato per -AL.-S.r.l. nell'operazione R5, si ritiene opportuno, per maggiore chiarezza, prevedere l'inserimento della suddetta operazione nel quadro autorizzativo delle linee in cui si effettua l'attività di miscelazione e/o frantumazione, ad eccezione della linea Misto Cementato, eseguita ai sensi del D.M. 05/02/1998, dato che il decreto non prevede espressamente tale operazione" (doc. 46 di parte ricorrente, pag. 4). Alla luce del menzionato dato testuale, coglie nel segno la censura di contraddittorietà e insufficienza del discorso giustificativo atteso che la Provincia di -OMISSIS-, pur riconoscendo l'appropriatezza del codice R5 e la sua esaustività rispetto alle attività trasformative esercitate dalla ricorrente, ha nondimeno introdotto nei due cicli produttivi indicati una nuova operazione, che pure, secondo la norma da ultimo citata, ha carattere residuale, trovando applicazione solo nel difetto di altra più pertinente operazione. Il dedotto fine di "maggiore chiarezza", per il suo carattere stereotipato e generico, non correda il precetto di valida motivazione. Né soccorre al riguardo la difesa dell'amministrazione secondo la quale l'operazione non comporterebbe una modifica significativa, essendo evidente al contrario che l'implementazione delle procedure di trattamento richiederebbe inevitabili adattamenti dell'assetto organizzativo ed operativo dell'attività . Nei termini indicati, la censura è perciò fondata. C.4) Con il quarto rilievo su cui si incentrano i terzi motivi aggiunti ("Violazione degli articoli 1 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione degli articoli 29-quater, 29-sexies, 29-octies, 29-decies e 183, 188, 190 e 193 del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione dell'Allegato C alla parte IV del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza") -AL.-si duole della sostituzione del previgente regime sull'attribuzione del codice CER 19.12.02 alle sostanze avviate nella linea cementeria con la prescrizione in base alla quale: "(...) il materiale processato rimane codificato rifiuto sino all'ottenimento dei risultati analitici che confermano la conformità ai criteri di impiego presso cementificio. All'ottenimento dei report analitici il materiale processato viene convertito in CER 191202 destinato ad essere recuperato in cementeria" (doc. D del Comune di -OMISSIS-, pag. 22 del pdf) La censura è inammissibile. In breve, il precetto avversato stabilisce che il rifiuto rimane tale fino all'esito del rapporto di prova. Se questo è favorevole, la sostanza acquista lo stato di End of Waste; diversamente, mantiene la natura di rifiuto, ma il codice CER dev'essere convertito in 19.12.02 (rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti e, specificamente, "metalli ferrosi"). Come riconosciuto dalla stessa ricorrente, la previsione non preclude la possibilità di avviare il materiale processato in cementeria attribuendogli il codice in parola; sicché, essendo la disposizione carente di diretto spessore lesivo, la doglianza, come eccepito dalla difesa provinciale (a pag. 24 della memoria del 7.8.2023), è sguarnita d'interesse. C.5) A mezzo della quinta censura ("Violazione degli articoli 1 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione degli articoli 29-quater, 29-sexies, 29-octies, 29-decies e 184-ter e degli artt. 183, 188, 190 e 193 del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione della Direttiva 2008/28/CE e delle Direttive 98/2008/CE e 851/2018/UE. Eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, erronea e fuorviata valutazione dei presupposti, per carenza di istruttoria e difetto di motivazione") è impugnato, per difetto d'istruttoria e motivazione, il diniego opposto dalla Provincia a modificare la regola che vieta la possibilità di riprocessare i lotti della linea "scorie, ceneri e affini" per il caso di loro difformità chimica, come invece consentito nell'ipotesi di difformità fisica. L'argomento non è suscettibile di positivo scrutinio. A differenza del riprocessamento fisico che, comportando meri adeguamenti dimensionali delle sostanze, non ha ricadute pregiudizievoli per l'ambiente, il riprocessamento chimico, concretandosi nella diluizione dello stesso carico di agenti inquinanti in una maggiore quantità di rifiuto, contravverrebbe all'art. 187 D.Lgs. 152/2006, che, proprio per contrastare simili pratiche, vieta la miscelazione di rifiuti pericolosi con differenti caratteristiche di pericolosità e di rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi. La proibizione stabilita al riguardo dalla Provincia di -OMISSIS- è perciò legittima. La conclusione non è infirmata dall'allegazione della ricorrente -peraltro non suffragata dall'occorrente rigore dimostrativo- di asserite posizioni favorevoli espresse in proposito da Arpa (cfr. pagg. 20-21 dei terzi motivi aggiunti), tenuto conto del consolidato indirizzo per cui il vizio di disparità di trattamento non è predicabile quando si assuma come parametro di riferimento un atto eventualmente adottato "contra legem" (Cons. Stato, sez. V, 18/11/2003, n. 7314); e tali dovrebbero qualificarsi eventuali manifestazioni di assenso dell'autorità ambientale a pratiche di diluizione non consentite dall'ordinamento. C.6) Riguardo al sesto mezzo di gravame ("Violazione degli articoli 1 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241. Violazione degli articoli 29-quater, 29-sexies, 29-octies, 29-decies e 184-ter del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, erronea e fuorviata valutazione dei presupposti, per carenza di istruttoria e difetto di motivazione"), con cui -AL.-lamenta il mancato accoglimento della richiesta d'incrementare il tenore massimo di cromo totale per i prodotti della linea "cementeria", fissato dalla Provincia in 700 ppm (anziché in 1500 ppm, come domandato dalla ricorrente), è sufficiente osservare come, nel difetto di limiti predefiniti per il caso di specie, la scelta dell'amministrazione di armonizzare il parametro a una norma tecnica vigente nel settore della produzione del cemento (UNI EN 197-1), richiamata nella determina (doc. 46 di parte ricorrente, pag. 19 del pdf), sia conforme a ragionevolezza stante la sostanziale identità dei prodotti sostituti. La prescrizione resiste, pertanto, alle contestazioni di parte ricorrente. C.7) Il settimo rilievo dei terzi motivi aggiunti ("Violazione dell'articolo 269 e ss del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione del DPR 59/2013 e della DGR n. 72-16738/1997 e ss. mm. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti, per illogicità, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta, per contraddittorietà e per difetto di motivazione. Perplessità e contraddittorietà "), a mezzo del quale -AL.-impugna, in via cautelativa, la contraddittoria statuizione sull'allestimento del camino, è divenuto improcedibile per effetto della determina n. -OMISSIS-che ha emendato tale errore ostativo, esplicitando la deroga in favore della ricorrente agli adempimenti relativi all'emissione in atmosfera. C.8) Con l'ottavo mezzo ("Violazione, e degli articoli 29-quater, 29-sexies, 29-octies, 29-decies del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione dell'articolo 184-ter del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione delle Linee Guida dettate dal Sistema delle Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (SNPA), approvate dal Consiglio SNPA con deliberazione n. 62/20 del 6 febbraio 2020 (Linee Guida SNPA). Eccesso di potere per travisamento dei presupposti, per illogicità manifesta, per contraddittorietà, per perplessità e per difetto di motivazione") la società esponente ha reiterato, a titolo d'illegittimità derivata, le contestazioni compendiate nel primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, che si rivelano, perciò, infondate per le stesse ragioni svolte al superiore paragrafo B, al quale si rinvia. In conclusione, il ricorso per terzi motivi aggiunti va in parte accolto, in parte respinto, in parte dochiarato inammissibile e in parte dichiarato improcedibile. D) I quarti motivi aggiunti, che, sotto le insegne dell'illegittimità derivata, ripropongono la terza, la quinta, la sesta e l'ottava censura dei terzi motivi aggiunti sono in parte da accogliere, in parte da respingere, in parte da dichiarare inammissibili e improcedibili, per le considerazioni illustrate ai punti che precedono, ai quali ugualmente si rinvia. E) Per quanto esposto: - il ricorso RG 606/2021 è improcedibile per sopravvenuto difetto d'interesse; - quanto al ricorso RG 110/2022 e ai relativi motivi aggiunti: il ricorso introduttivo va in parte respinto e in parte dichiarato improcedibile; il primo e il secondo ricorso per motivi aggiunti sono improcedibili per sopravvenuto difetto d'interesse; il terzo e il quarto ricorso per motivi aggiunti vanno in parte accolti, in parte respinti, in parte dichiarati inammissibili e in parte dichiarati improcedibili. Sussistono giustificati motivi per compensare le spese di lite, in considerazione della parziale soccombenza reciproca e della peculiarità fattuale e giuridica delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, integrati da motivi aggiunti, come in epigrafe proposti: - dichiara improcedibile il ricorso RG 606/2021; - in parte dichiara improcedibile e in parte respinge il ricorso RG 110/2022; dichiara improcedibili i primi e i secondi motivi aggiunti ad esso relativi; in parte accoglie, in parte respinge, in parte dichiara inammissibili e in parte dichiara improcedibili i terzi e i quarti motivi aggiunti. Spese di lite compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare, anche indirettamente, le parti del giudizio. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Bellucci - Presidente Andrea Maisano - Referendario, Estensore Stefania Caporali - Referendario
TAR Torino
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 993 del 2019, proposto da Da. Da., in qualità di titolare dell'omonima azienda agricola, rappresentato e difeso dall'avvocato An. St. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Fr. Pe. in Torino, alla via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Ba. e Ma. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Vi. Ba. in Torino, corso (...); per il risarcimento del danno subito dal ricorrente in conseguenza del comportamento illegittimo tenuto dal Comune di (omissis) nell'ambito dell'iter autorizzativo per l'intervento di riprofilatura di superfici agrarie dei terreni agricoli censiti a Catasto sul foglio n. (omissis) mappali (omissis) Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2024 il dott. Andrea Maisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il Sig. Da. Da. è proprietario nel Comune di (omissis) di un fondo agricolo, di estensione complessiva pari a 28.900 mq, in prossimità del torrente "Co.". 2. In data 11.9.2014 egli ha presentato denuncia d'inizio attività (d.i.a.) per opere di riprofilatura di superfici agrarie (doc. 2 di parte ricorrente del 26.4.2024), mediante uso di 42.000 mc di terre da scavo conferite dalla società So. s.r.l. -incaricata di realizzare un bacino irriguo nel territorio municipale- in base ad accordo interprivato del 5.5.2014 (doc. 3 di parte ricorrente). 3. Dopo l'intervenuto conferimento sul sito di proprietà dell'esponente di circa 4.000 mc di materiale, con ordinanza n. 203 del 6.11.2015 (doc. 7 di parte resistente) il Comune di (omissis) ha annullato la d.i.a. ai sensi dell'art. 21 nonies Legge 241/1990 e, per l'effetto, ha inibito la prosecuzione dei lavori e ingiunto il ripristino dell'originario stato dei luoghi. 4. La motivazione dell'atto si fondava interamente su parere della Regione Piemonte del 28.10.2015, che, rinviando a sua volta agli esposti di alcune associazioni ambientaliste, valutava l'opera incompatibile con il rischio da dissesto torrentizio riferito al lotto (ricadente, in parte, in area a pericolosità elevata "Eb" e, per la restante parte, in area a pericolosità molto elevata "Ee"), secondo le pertinenti norme tecniche di attuazione del Piano di Assetto Idrogeologico (PAI) (cfr. doc. 7 cit., pagg. 2 e 3). 5. Con autonomi ricorsi (rispettivamente, RG 55/2016 ed RG 26/2016) il Sig. Da. e So. s.r.l. hanno impugnato l'ordinanza comunale n. 203/2015 innanzi a questo T.A.R. che, con ordinanze n. 66 e 70 del 11.2.2016, ne ha sospeso l'efficacia in via cautelare, contestualmente ingiungendo alle amministrazioni intimate di "riesaminare il provvedimento impugnato sulla base di un'istruttoria adeguata e nel contraddittorio con l'interessata, anche alla luce delle valutazioni di carattere tecnico allegate da quest'ultima in ordine alla compatibilità degli interventi con il P.A.I.". 6. In ottemperanza delle anzidette pronunce cautelari: - con nota del 23.2.2016 (doc. 8 di parte resistente) la Regione Piemonte ha espresso parere di "rinnovare il contenuto della nota n. 54550/A1816A del 28/10/2015, in quanto i siti interessati dalla messa a dimora delle terre derivanti dallo scavo per il costruendo bacino irriguo, ricadono in aree Ee (aree coinvolgibili da fenomeni con pericolosità molto elevata) e aree Eb (aree coinvolgibili da fenomeni con pericolosità elevata) in cui vigono le norme di cui all'art. 9 del PAI"; - con ordinanza n. 114 del 14.12.2016 (doc. 16 di parte resistente) il Comune di (omissis), previa comunicazione di avvio del procedimento, ha statuito la "revoca parziale" dell'ordinanza n. 203/2015, "limitatamente al ripristino dello stato dei luoghi", mantenendo perciò fermo il divieto di prosecuzione delle restanti opere di riprofilatura. 7. Il provvedimento che precede si basa, oltre che sul rinnovato parere della Regione, anche sulle risultanze di un nuovo studio idraulico appositamente commissionato dal Comune (doc. 15 di parte resistente), che, nell'attestare la sostanziale ininfluenza sul piano geomorfologico dei lavori già eseguiti (e segnatamente, l'abbancamento del materiale da scavo già conferito e la realizzazione di una pista di accesso), escludono, viceversa, la compatibilità della progettata sistemazione agraria con le condizioni di pericolosità idraulica del sito. 8. Con sentenza n. 1341 del 12.12.2018 questo Tribunale ha dichiarato l'improcedibilità del ricorso RG 55/2016, promosso dal Sig. Da., e ha al contempo condannato l'amministrazione comunale alla rifusione delle spese processuali, fondando il sindacato di soccombenza virtuale sui vizi dell'istruttoria sottostante all'annullamento in autotutela della d.i.a. e sulla vulnerazione delle garanzie partecipative del procedimento. 9. Mercé l'odierno ricorso, notificato il 7.11.2019 e ritualmente depositato, l'esponente agisce per la tutela risarcitoria avverso gli atti adottati dal Comune di (omissis) nel descritto iter autorizzatorio, domandando il ristoro dei danni "diretti", pari ai costi necessari a ricostituire la situazione produttiva di partenza del lotto. 9.1. Il ricorrente ravvisa l'elemento oggettivo dell'illecito nella carenza d'istruttoria e motivazione dell'avversato annullamento della d.i.a., conseguente all'obliterazione dei contributi di conoscenza da lui offerti tramite gli elaborati tecnici allegati al progetto. La responsabilità del Comune discenderebbe, inoltre, dall'omessa enunciazione di un interesse pubblico alla caducazione dell'atto, prevalente sull'affidamento del privato alla stabilità del titolo, nonché dal tempo occorso all'amministrazione per completare il riesame del provvedimento (in esecuzione dell'ordinanza cautelare propulsiva), tale da rendere necessari reiterati rinvii dei giudizi, poi decisi dalla sentenza n. 1341/2018, costringendo, infine, So. a reperire altri siti per il deposito dello smarino, così da privare il ricorrente della materia prima necessaria ai lavori di riprofilatura e con danno alle attività colturali (pag. 4 e pagg. 7-11 del ricorso). 9.2. Attraverso integrale richiamo dei rilievi svolti nella citata pronuncia d'improcedibilità, in ordine alla soccombenza virtuale del Comune, i medesimi profili di doglianza sono valorizzati anche nella prospettazione dell'elemento soggettivo della colpa (pagg. 12-13 del ricorso). 9.3. Infine, ai sensi dell'art. 1223 cod. civ., la conseguenza pregiudizievole dell'illecito è identificata nella perdita della funzione produttiva del lotto, ascritta al persistente abbancamento sui sedimi del materiale riversato da So., prima del provvedimento di autotetutela, e ivi rimasto accumulato negli anni successivi, precludendo l'esercizio dell'attività colturale. In specie, mediante sistematico rinvio a perizia di parte (doc. 2 di parte ricorrente del 20.11.2019), il ricorrente quantifica l'ammontare dei danni nei costi delle operazioni asseritamente necessarie per ricostruire le superfici produttive, come di seguito dettagliati: - Euro 103.017,48 per "ripristino aree interferite"; - Euro 9.662,76 per "ripristino funzionalità irrigua"; - Euro 2.301,62 per "ripristino funzionalità agronomica"; per la liquidazione di un danno complessivo di Euro 114.981,86 (pag. 15 del ricorso). 10. Ha resistito in giudizio il Comune di (omissis) che, con documenti e memoria, e con l'ausilio di propria consulenza di parte (doc. 20 della produzione comunale), ha domandato l'integrale rigetto delle pretese avversarie. 11. Dopo scambio di ulteriori atti difensivi, all'udienza del 6 giugno 2024 il ricorrente ha chiesto l'autorizzazione al deposito di documentazione versata con la memoria di replica del 16.5.2024, cui si è opposta la parte intimata, eccependone la tardività . La causa è stata quindi posta in decisione. 12. Tanto premesso, si può prescindere dall'eccezione della difesa comunale verbalizzata in udienza attesa comunque l'infondatezza del ricorso, non incisa dalla tardiva produzione documentale del ricorrente, per le ragioni che appresso si espongono. 13. Il Collegio, pur consapevole di costrutti ermeneutici alternativi, ritiene che la fattispecie debba essere inquadrata alla stregua del prevalente indirizzo giurisprudenziale -ribadito anche in sede nomofilattica- secondo cui la responsabilità della pubblica amministrazione da provvedimento illegittimo ha natura d'illecito aquiliano e non già d'inadempimento contrattuale, non essendo predicabile al procedimento amministrativo il paradigma del rapporto obbligatorio (neppure nelle sembianze del "contatto sociale qualificato") in considerazione dell'assetto asimmetrico del rapporto pubblico -caratterizzato dalla supremazia della P.A.- e della natura parimenti attiva delle due situazioni giuridiche che si fronteggiano al suo interno: il potere autoritativo e l'interesse legittimo (cfr. Cons. Stato Ad. Plen. 23.4.2021 n. 7). 14. Dalla sussunzione nella regola del neminem laedere ex art. 2043 cod. civ. consegue la centralità del giudizio sulla spettanza del bene della vita quale requisito indefettibile -già a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 22.7.1999 n. 500- per configurare una responsabilità dell'amministrazione. 14.1. In particolare, come ancora chiarito in giurisprudenza, elemento centrale nella fattispecie di responsabilità è l'ingiustizia del danno, da dimostrare in giudizio, a differenza di quanto avviene per la responsabilità da inadempimento dell'obbligazione, ove la relativa valutazione è assorbita in quella sulla violazione della regola contrattuale. Il requisito dell'ingiustizia del danno implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto se l'esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest'ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere od ottenere, secondo la dicotomia tra interessi legittimi oppositivi e pretensivi. Di contro, il risarcimento è escluso quando l'interesse legittimo riceva tutela idonea con l'accoglimento dell'azione di annullamento, ma quest'ultimo sia determinato da un'illegittimità, solitamente di carattere formale, da cui non derivi un accertamento di fondatezza della pretesa del privato ma un vincolo per l'amministrazione a rideterminarsi, senza esaurimento della discrezionalità ad essa spettante (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 7/2021 cit.). In conclusione, "il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell'agire illegittimo della pubblica amministrazione; ed infatti per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l'equivalente economico" (Cons. Stato, IV, 31.5.2024, n. 4908). 15. Dalle superiori coordinate interpretative consegue l'impossibilità di radicare la pretesa risarcitoria avanzata dal ricorrente nella sentenza di questo T.A.R. n. 1341/2018, ancorché passata in giudicato. 15.1. Detta pronuncia ha dichiarato l'improcedibilità del ricorso avverso l'ordinanza comunale n. 203/2015 (di annullamento della d.i.a.), motivandola, in parte, con il sopravvenuto provvedimento di revoca parziale n. 114/2016 -adottato dal Comune di (omissis) in ottemperanza del remand cautelare- e, per altra parte, con la risoluzione dell'accordo sul conferimento delle terre da scavo tra il proprietario del fondo e la società So. (cfr. doc. 1 di parte ricorrente del 20.11.2019). 15.2. Ai fini della regolazione delle spese di giudizio, secondo il principio della soccombenza virtuale, la sentenza de qua ha, quindi, stigmatizzato la condotta procedimentale del Comune per essersi "uniformato pedissequamente al parere della Regione, che a sua volta si era uniformato all'esposto di Legambiente", benché con nota del 13.10.2015 (doc. 5 di parte resistente) lo stesso Comune avesse "formulato approfondite considerazioni circa la compatibilità dell'intervento con i valori tutelati dal PAI, facendo altresì riferimento, [...] a considerazioni di carattere tecnico desunte dai contributi istruttori allegati dal sig. Da. alla propria DIA", e in particolare: 1) la relazione illustrativa del progetto laddove afferma che il "vigente Piano Regolatore Generale del Comune di (omissis), ha evidenziato come le simulazioni di deflusso [...] risultino praticamente sempre contenute entro l'alveo inciso del Torrente Colla", e ancora che "il presente intervento di sistemazione agraria [...] non interferirà con le condizioni di deflusso delle portate di piena [...] e non ridurrà la capacità di invaso dell'area, in quanto le opere previste costituiscono una sistemazione dell'area tesa al miglioramento fondiario dei terreni mediante una più regolare raccordo delle esistenti superfici"; 2) la perizia geologica nella parte in cui avalla le conclusioni della relazione illustrativa (cfr. ancora doc. 1 cit.). 15.3. In breve, il sindacato di virtuale illegittimità del provvedimento discende dalla contraddittorietà dell'istruttoria a monte dell'annullamento in autotutela della d.i.a., come pure dalla vulnerazione delle garanzie partecipative in ragione dell'omessa comunicazione di cui all'art. 7 Legge n. 241/1990. 15.4. La natura "in rito" della sentenza, che la priva dell'attitudine al giudicato sostanziale (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 13.7.2022 n. 8), anche rispetto alle statuizioni sulla soccombenza (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18.3.2019, nn. 1766 e 1776), e il tenore procedimentale dei vizi rilevati (ai fini del riparto delle spese) hanno lasciato impregiudicata la questione della spettanza del bene della vita e preservato gli spazi liberi del riesercizio del potere amministrativo. Ciò impedisce di ritenere accertata in quella sede l'ingiustizia del danno, nell'accezione sostanzialistica innanzi descritta, e comporta che la domanda risarcitoria debba essere vagliata all'esito della nuova manifestazione del potere, che in effetti nel caso di specie si è verificata. 15.5. Nel concreto il Comune di (omissis) ha riesercitato il potere con la citata ordinanza n. 114 del 14.12.2016 (doc. 16 di parte resistente), notificata al Sig. Da. il 15.12.2016 e a So. s.r.l. il 23.12.2016 (come da relate di notifica in calce all'atto: doc. 16 cit., pagg. 4 e 6), con cui l'amministrazione ha caducato solo parzialmente il pregresso annullamento della d.i.a.. 15.6. In specie, all'esito di una rinnovata istruttoria, l'amministrazione municipale ha riconosciuto la compatibilità con il PAI solo delle opere già eseguite sul fondo (e cioè la messa a dimora del materiale di scavo e la viabilità di accesso al sito) di cui pure originariamente aveva ingiunto il ripristino; per converso, quanto alla progettata sistemazione agraria, la nuova relazione idraulica, appositamente commissionata e che integra per relationem la motivazione del provvedimento, ha evidenziato che: "Il rimodellamento delle superfici previsto dai progetti, ancorché finalizzato a un miglioramento fondiario per il cambio colturale, prevede alterazioni morfologiche evidenti in aree di pertinenza fluviale", confermando la conclusione dell'ordinanza n. 203/2015 secondo cui "le finalità dell'intervento non sembrano riconducibili a quelle consentite dall'art. 9 delle Norme di attuazione" del PAI (doc. 15 di parte resistente, pag. 34, par. 2). 16. Per pacifica ricostruzione fattuale, il ricorrente non ha impugnato la predetta ordinanza n. 114/2016. 16.1. La circostanza assume rilievo ai sensi dell'art. 30, comma 3 cod. proc. amm.. La norma, pur non evocando in modo esplicito il disposto dell'art. 1227, comma 2, cod. civ., afferma che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza (cfr., tra le altre, T.A.R. Lazio, Roma, sez. V, 3.5.2023, n. 7529). 16.2. Ebbene, è palese che il Sig. Da. non abbia, al riguardo, tenuto una condotta idonea a evitare i danni che afferma di aver subito in quanto l'omessa impugnazione del provvedimento di riesame, nella parte a sé pregiudizievole, ha definitivamente consolidato il precetto inibitorio delle opere di riprofilatura disposto nel 2015. 16.3. La conclusione non è infirmata dai documenti allegati dal ricorrente in uno con la memoria di replica del 16.5.2024, relativi a una s.c.i.a. edilizia e ad autorizzazione paesaggistica per opere sul fondo di sua proprietà . Come si evince dal tenore degli atti, tali vicende procedimentali attengono ai lavori che la sopravvenuta ordinanza comunale n. 114/2016 ha consentito, nei limiti del materiale già presente sui sedimi (pari a circa 4000 mc) e conformemente alla condizionalità ivi stabilita in base alla quale "la superficie oggetto del deposito dovrebbe essere regolarizzata in modo tale da consentire la coltivazione così come veniva effettuata nella condizione ante intervento" (doc. 16 di parte resistente, pag. 2). È, invece, ormai divenuto inoppugnabile il divieto all'esecuzione dei restanti lavori secondo l'originario disegno progettuale (che prevedeva l'impiego di 42.000 mc di materiale), del quale, dunque, il Sig. Da. non può più dolersi. 17. L'omessa contestazione del provvedimento di riesame e delle rinnovate valutazioni tecniche ad esso sottostanti, incide poi, al fondo, sulla prova stessa della spettanza del bene della vita. 17.1. In particolare, a comprova della compatibilità dei lavori di riprofilatura con lo stato di rischio idrogeologico del sito, da cui discenderebbe la fondatezza sostanziale della sua pretesa, l'esponente si limita a richiamare -con modalità non sempre rispettosa del principio di autosufficienza degli atti difensivi- le relazioni tecniche a suffragio della d.i.a. del 2014 (cfr. in particolare pagg. 12 e 13 del ricorso e pagg. 5 e 6 della memoria di replica). Tuttavia, poiché antecedenti al nuovo approfondimento istruttorio espletato dall'amministrazione nel 2016 (doc. 15 di parte resistente), tali elaborati sono strutturalmente inidonei a confutare ab intrinseco l'attendibilità della valutazione del fatto complesso compiuto dal Comune nel riesercizio del potere tecnico-discrezionale. 17.2. Il nuovo studio idraulico commissionato dal Comune (doc. 15 cit.) si appunta, infatti, proprio sui rilievi posti in quegli elaborati, osservando che, sebbene non direttamente interessata da fenomeni di esondazione, l'area d'interesse è tuttavia coinvolta in rilevanti processi erosivi e che l'intervento di miglioria non può essere ricondotto entro alcuna delle categorie di opere consentite dall'art. 9 NTA del PAI per le pertinenti condizioni di dissesto idrogeologico e, segnatamente, né tra quelle volte alla ricostituzione degli equilibri naturali, poiché destinato a trovare sede in adiacenza a un riporto di terra già realizzato in passato, né tra quelle di mitigazione della vulnerabilità, poiché da eseguire in quota inferiore all'abitato circostante (doc. 15 cit. pagg. 29-30 nonché pagg. 28, nota 12 e 32, nota 13). 17.3. A fronte di tali sopravvenute risultanze istruttorie, specificamente tese ad approfondire le questioni poste dai tecnici di parte ricorrente, le critiche ricorsuali, non fornendo al riguardo alcun elemento confutatorio, non consentono di dimostrare la legittimità della pretesa del ricorrente allo svolgimento dei lavori e, per l'effetto, la fondatezza dell'odierna domanda risarcitoria, sostanziandosi piuttosto in meri argomenti di non condivisione soggettiva. 18. In ultimo, il requisito dell'ingiustizia del danno non può radicarsi neppure nella lamentata tempistica del procedimento. 18.1. Quanto alla sequenza procedimentale sfociata nell'annullamento della d.i.a., invero, lo stesso ricorrente ammette, sia pure in chiave censoria, che questa si è conclusa entro il termine di diciotto mesi, stabilito dall'art. 21 nonies Legge 241/1990, nella formulazione all'epoca vigente (cfr. pagg. 3 e 4 della memoria di replica). La riconosciuta conformità dell'azione amministrativa al limite temporale normativamente stabilito esclude in radice ogni possibile profilo di antigiuridicità che, ai sensi dell'art. 30, comma 4 cod. proc. amm., è configurabile solo in caso di "inosservanza" dolosa o colposa del termine. 18.2. Con specifico riguardo, poi, all'asserito nesso di causalità tra la tempistica del procedimento di riesame (avviato su impulso delle ordinanze di remand) e la decisione di So. s.r.l. di sciogliere il contratto per il conferimento delle terre da scavo, le critiche ricorsuali non reggono al giudizio controfattuale tenuto conto che, mentre il definitivo consolidamento del divieto all'esecuzione dei lavori, rimasto inoppugnato, avrebbe reso comunque inutili i nuovi depositi di materiale, per altro verso, come visto, parte resistente ha dato prova di aver notificato l'ordinanza n. 114/2016 al Sig. Da. e a So. s.r.l. già nel dicembre del 2016 (cfr. doc. 16 di parte ricorrente, pagg. 4 e 6); vale a dire prima delle richieste di rinvio della trattazione da costoro formulate nei rispettivi giudizi RG 55/2016 ed RG 26/2016 -nei quali il Comune non era costituito e in seguito decisi con la sentenza n. 1341/2018-, motivate proprio con la dedotta pendenza di quel procedimento (cfr. pag. 4 del ricorso, doc. 1 di pare ricorrente del 20.11.2019 e pagg. 6-7 della memoria del Comune di (omissis) del 6.5.2024). 18.3. Peraltro, poiché fin da quella data il ricorrente era legittimato a movimentare e utilizzare le terre da scavo già presenti sui sedimi, per le finalità e nei limiti stabiliti dal provvedimento di riesame, la circostanza assume rilievo, di nuovo, ai sensi del citato art. 30, comma 3 cod. proc. amm. in relazione al pregiudizio alle attività colturali, asseritamente ascrivibile allo stazionamento del materiale sul sito, che il ricorrente avrebbe potuto evitare conformandosi, già a partire dal 2016, a quanto previsto in quell'atto in merito alla reintegrazione delle condizioni produttive ante intervento (cfr. ancora doc. 16 cit., pag. 2). 19. In definitiva, essendo mancata la necessaria dimostrazione dell'ingiustizia del danno e della spettanza del bene della vita sotteso al provvedimento in questione, la domanda risarcitoria dev'essere respinta, siccome infondata; ciò che esime il Collegio dal vaglio delle ulteriori ragioni di doglianza prospettate nel ricorso. 20. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il ricorrente al pagamento in favore del Comune di (omissis) delle spese di lite, complessivamente liquidate in Euro 3000 (tremila) oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Bellucci - Presidente Andrea Maisano - Referendario, Estensore Stefania Caporali - Referendario
TAR Torino
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1152 del 2022, proposto dal Consorzio Nazionale per la Ge., Ra. e Tr. degli Ol. Mi. Us., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Fo., An. Fa. e Om. Ha. Ka., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Provincia di Alessandria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Te., Al. Ve. e De. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Regione Piemonte, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Eu. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Torino, corso (...); Gr. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Re., Cl. Vi. ed El. So., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento a) in parte qua, della determinazione della Provincia di Alessandria Prot. Gen. N. 20220048836, del 09.09.2022, recante "Provvedimento di rinnovo, a seguito di riesame, ai sensi del D.lgs. 152/06 - art. 29 octies e s.m.i, dell'Autorizzazione Integrata Ambientale ddap1 400 -2012 npg 85135 del 26/07/2012 e smi rilasciata ai sensi del D.P.R. 160/10 e dell'art. 29 octies comma 1 del D.lgs. 152/06 e s.m.i. alla ditta Gr. SPA, impianto sito in comune di Predosa (AL) - via Per Retorto n. 31", ivi incluso il relativo Allegato Tecnico trasmesso via pec in data 14.09.2022; b) ove occorra, di ogni altro atto presupposto, preordinato, conseguente e/o connesso, menzionato nel prosieguo del ricorso, ivi inclusi, in particolare: 1) in parte qua, le note ARPA G07_2021_01280_01 (Provincia n. p.g. 71693 del 13.12.21), G07_2021_01280_02 (Provincia n. p.g. 21262 del 3.5.22) G07_2021_01280_03 (Provincia n. p.g. 23261 del 12.5.22) e G07_2021_01280_03 (Provincia n. p.g. 37603 del 11.7.22); 2) in parte qua verbali e deliberazioni della conferenza di servizi. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Alessandria, dell'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Regione Piemonte e di Gr. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2024 il dott. Andrea Maisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Gr. S.p.A. (Gr.) conduce dal 2012 nel Comune di Predosa un impianto per la raccolta e la gestione degli oli minerali usati. 2. Con provvedimento di VIA-AIA n. 50 del 26.4.2017 la Provincia di Alessandria ha autorizzato l'impresa anche all'attività di "rigenerazione o altri impieghi degli oli" ai sensi dell'Allegato VIII, categoria 5.1, Parte Seconda, del D.Lgs. 152/2006. 3. Dopo una prima richiesta di modifica non sostanziale del titolo, poi rinunciata, con istanza del 13.8.2021 Gr. ha domandato il riesame, con funzione di rinnovo, del superiore provvedimento di VIA-AIA. 4. Nella conferenza di servizi, convocata ai sensi degli artt. 29 nonies, comma 2 e 29 quater, comma 5, D.Lgs. 152/2006, ha partecipato, su base volontaria, anche il Consorzio Nazionale per la Ge., Ra. e Tr. degli Ol. Mi. Us. (Co. o Consorzio), -cui Gr. è, per legge, consorziata- che ha chiesto di precisare se l'attività di quest'ultima abbia natura di rigenerazione o di semplice recupero degli oli usati e ha evidenziato l'esigenza di adeguare la relazione tecnica End of Waste alle Linee guida SNPA-2020, con particolare riferimento alle caratteristiche chimico-fisiche del prodotto finito. 5. All'esito del procedimento, nel quale l'impresa ha reso chiarimenti e integrazioni documentali, la Provincia di Alessandria, in base alla prevalenza delle posizioni favorevoli espresse, ha adottato la determinazione dirigenziale prot. n. 20220048836 (DDVA3 - 706 - 2022) del 9.9.2022, di rinnovo dell'a.i.a.. 6. Il provvedimento è stato comunicato con pec del 14.9.2022 al Co. che lo ha impugnato, con ricorso notificato in data 11.11.2022 e depositato il 27.11.2022, per chiederne l'annullamento in base ai seguenti motivi di diritto: I. Violazione e falsa applicazione di legge (art. 6 c. 16; 29-bis, commi 1 e 2; art. 29-sexies, commi 4, 5-bis 5-ter, e 9-ter; art. 183, c. 1, lett. v, D. Lgs. 152/06; Allegato XI, Parte II e Allegato B, punto R9, Parte IV, D.lgs. 152/2006; artt. 179 e 216-bis, D.lgs. 152/2006 e art. 3, c. 3, D.lgs. 95/1992; art. 236, c. 12, lett. f), D.lgs. 152/2006). Violazione dei principi di precauzione, prevenzione e non regressione. Eccesso di potere sotto svariati profili (difetto di istruttoria e di motivazione; manifesta illogicità ; irragionevolezza; contraddittorietà, anche con precedenti provvedimenti). L'attività autorizzata non sarebbe qualificabile come rigenerazione di oli minerali usati, giacché asseritamente inidonea alla compiuta rimozione dei contaminanti. In particolare, il progetto approvato prevede l'impiego, nell'ultima fase operativa (c.d. finissaggio), di un trattamento di tipo alcalino che non sarebbe riconosciuto dai BREF (i documenti di riferimento delle migliori tecnologie disponibili) per la specifica tecnologia di processo adottata da Gr. e che avrebbe richiesto, perciò, una preventiva sperimentazione. Atteso, inoltre, il carattere innovativo di tale elemento rispetto al processo autorizzato nel 2017, il provvedimento di riesame e gli atti istruttori ad esso sottostanti sarebbero errati laddove hanno escluso la sussistenza di modifiche sostanziali del progetto. II. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 184-ter, 177 e 178, D.lgs. 152/2006), delle Linee Guida SNPA sull'end-of-waste, nonché dei principi di precauzione, prevenzione e non regressione. Eccesso di potere sotto svariati profili (difetto di istruttoria e di motivazione; manifesta illogicità e irragionevolezza). Il rinnovo dell'a.i.a. si porrebbe in contrasto con l'art. 184 ter D.Lgs. 152/2006 avendo l'amministrazione omesso di verificare le quattro condizioni richieste dal comma 1 della norma, per la cessazione della qualifica di rifiuto, e di elaborare i criteri indicati dal successivo comma 3. III. Violazione e falsa applicazione di legge (artt. 29-bis e ss., 184-bis 183 lett. qq), 184-ter D.lgs. 152/2006; D.M. 264/2016), nonché dei principi di precauzione, prevenzione e non regressione. Eccesso di potere sotto svariati profili (difetto di istruttoria e di motivazione; manifesta illogicità, contraddittorietà e irragionevolezza). Si contesta l'illegittimità del provvedimento nella parte in cui qualifica il bitume e il gasolio derivanti dalla rigenerazione degli oli come sottoprodotti atteso che l'attività in oggetto non avrebbe natura di "processo di produzione" ai sensi dell'art. 184 bis comma 1 lett. a) D.Lgs. 152/2006. IV. Violazione e falsa applicazione di legge (art. 6, commi 6, 7, 9 e 9-bis, nonché art. 29, c. 1, D.lgs. 152/2006), nonché dei principi di precauzione, prevenzione e non regressione. Eccesso di potere sotto svariati profili (difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento e difetto dei presupposti). In considerazione della modifica sostanziale dell'a.i.a. -dedotta nel primo motivo di ricorso- il riesame del titolo avrebbe richiesto la preventiva verifica di assoggettabilità a VIA, ai sensi dell'art. 6, comma 6, lettera b) D.Lgs. 152/2006. V. Violazione dei principi di precauzione, prevenzione e non diluizione degli inquinanti. Eccesso di potere sotto svariati profili (manifesta illogicità, contraddittorietà e irragionevolezza, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione dei principi di buona amministrazione). Il provvedimento sconterebbe, infine, un deficit di logicità e coerenza, non consentendo d'identificare le prescrizioni mantenute e quelle stralciate rispetto al titolo rinnovato. 7. Si sono costituite per resistere la Provincia di Alessandria, Arpa Piemonte, e la controinteressata Gr. che, con documenti e memorie, hanno eccepito, in via pregiudiziale, il difetto di legittimazione ed interesse ad agire di parte ricorrente, alternativamente dedotto: dalla natura tecnico-discrezionale del potere che compete, in materia, alla Provincia e dalla funzione di rinnovo del provvedimento gravato, dalla natura privatistica del Co. -al quale non spetterebbero funzioni di tutela ambientale-, dall'inidoneità del provvedimento a spiegare effetti lesivi in danno del ricorrente e, infine, dalla posizione conflittuale e anticoncorrenziale espressa, in concreto, dal Consorzio rispetto alla sua consorziata Gr.. Nel merito, esse contestano l'infondatezza delle censure avversarie, chiedendone l'integrale rigetto. 8. All'udienza del 6 giugno 2024 la causa è stata posta in decisione. DIRITTO A) Il ricorso è inammissibile, ritenendo il Collegio fondate le eccezioni pregiudiziali di difetto di legittimazione ad agire e di carenza d'interesse all'annullamento di un atto privo di effetti lesivi per il ricorrente, per le considerazioni che appresso si espongono. Appare utile premettere che il Co. è stato istituito dall'art. 4 D.P.R. 691/1982 (di attuazione della Direttiva n. 75/439/CEE), con l'obiettivo di garantire la raccolta e il corretto riutilizzo degli oli minerali lubrificanti usati, qualificati come rifiuto pericoloso, nonché d'informare l'opinione pubblica sui rischi derivanti dalla loro dispersione nell'ambiente. La disciplina dell'ente è ora compendiata negli artt. 11 D.Lgs. 95/1992 e 236 D.Lgs. 152/2006. Quest'ultimo, al comma 2, qualifica il Co. come consorzio obbligatorio con personalità giuridica di diritto privato, privo di scopo di lucro. Tra i suoi compiti istituzionali, dettagliati nel successivo comma 12, rientrano, per quanto d'interesse, quelli di: promuovere la sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulle tematiche della raccolta; assicurare e incentivare la raccolta degli oli usati; selezionare gli oli raccolti ai fini della loro corretta eliminazione tramite rigenerazione, combustione o smaltimento; cedere gli oli usati in via prioritaria alla rigenerazione tesa alla produzione di oli base e, solo in caso ostino effettivi vincoli di carattere tecnico economico e organizzativo, alla combustione o co-incenerimento; operare nel rispetto dei principi di concorrenza, libera circolazione di beni, economicità della gestione e tutela della salute e dell'ambiente. Atteso il carattere prioritario che l'ordinamento riconosce alla rigenerazione degli oli usati rispetto a qualsiasi altro tipo di recupero o smaltimento, il Co. è inoltre tenuto -ai sensi della lett. l-ter) del citato art. 236, comma 12 D.Lgs. 152/2006- a erogare alle imprese di rigenerazione un "corrispettivo" in ragione della quantità di base lubrificante ottenuta per tonnellata di olio usato, che sia di qualità idonea al consumo (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. III, 5.9.2023 n. 2052). Il Consorzio è, dunque, un ente collettivo, titolare dell'interesse comune alle imprese di rigenerazione, che vi aderiscono ope legis. La centralità dell'interesse di categoria è ribadita dall'art. 1, comma 2 dello statuto (approvato con DM 7 novembre 2017), a tenore del quale: "Il Consorzio espleta le proprie attività nell'interesse dei soggetti consorziati in attuazione del principio della responsabilità estesa del produttore" (doc. 2 di parte ricorrente, pag. 3 del pdf). B) Tanto osservato, merita ancora rilevare in premessa che, che nei processi di parte, innervati dal principio della domanda e dal suo corollario, rappresentato dal principio dispositivo, la legittimazione e l'interesse ad agire assolvono a una funzione di filtro in chiave deflattiva delle domande proposte al giudice, fino ad assumere l'aspetto di un controllo di meritevolezza dell'interesse sostanziale in gioco, alla luce dei valori costituzionali ed internazionali rilevanti (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. II, 27.2.2024 n. 202 e giurisprudenza ivi richiamata). Peraltro, allorché si agisca per la tutela di un interesse superindividuale, il rapporto tra le due anzidette condizioni dell'azione è improntato a un assetto che, come osservato in giurisprudenza, guadagna al criterio della legittimazione ad agire una primazia, quand'anche né assoluta né totalitaria, sul concorrente criterio dell'interesse processuale (così, Cons. Stato, sez. V, 23.8.2023 n. 7925). La fattispecie all'esame va inquadrata, dunque, in primo luogo nel prisma della giurisprudenza sugli enti esponenziali e sui presupposti per loro legittimazione ad agire. Essi si distinguono, come noto, tanto dai singoli associati quanto dalla comunità generale. L'interesse di cui sono portatori dev'essere riferibile al gruppo in sé, quale sintesi e non mera sommatoria degli interessi individuali degli appartenenti alla categoria. Solo proiettato in questa dimensione collettiva, l'interesse, altrimenti diffuso, assume la fisionomia dell'interesse legittimo, suscettibile di tutela; configurandosi come situazione giuridica propria dell'ente e non come interesse altrui azionato nelle forme della sostituzione processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 20.2.2020 n. 6). In ragione di quanto precede, non può essere condiviso l'assunto della parte controinteressata in base al quale il difetto di legittimazione del Co. sarebbe ascrivibile (anche) alla sua natura di ente di diritto privato, in contrapposizione alla natura pubblicistica delle funzioni tutorie dell'ambiente, implicate nel procedimento di rinnovo dell'a.i.a. per cui è causa (pag. 10 della memoria ex art. 73 cod. proc. amm.). Invero, la circostanza che la cura dell'interesse pubblico generale sia rimessa all'amministrazione non toglie, tuttavia, che la stessa possa essere soggettivamente riferibile, sia pur indistintamente, a formazioni sociali, e che queste ultime, nella loro dimensione associata, rappresentino gli effettivi e finali fruitori del bene comune della cui cura trattasi. Le situazioni sono, infatti, diverse ed eterogenee: l'amministrazione ha il dovere di curare l'interesse pubblico e dunque gode di una situazione giuridica capace d'incidere sulle collettività e sulle categorie (potestà ); le associazioni rappresentative delle categorie invece incarnano l'interesse sostanziale, ne sono fruitrici, e dunque la situazione giuridica della quale sono titolari è quella propria dell'interesse legittimo, id est quella pertinente alla sfera soggettiva dell'associazione, correlata a un potere pubblico, che, sul versante processuale, si pone in senso strumentale ad ottenere tutela in ordine a beni della vita, toccati dal potere riconosciuto all'amministrazione (così Cons. Stato, Ad. Plen. 6/2020 cit.). La natura di diritto privato del Co. -rimarcata anche da Arpa Piemonte (a pag. 6 della memoria ex art. 73 cod. proc. amm.)- non ne preclude, dunque, di per sé la legittimazione ad agire; tenuto conto, inoltre, che il citato art. 236, comma 12 D.Lgs. 152/2006 indica tra i compiti istituzionali dell'ente anche il rispetto "della tutela dell'ambiente e della salute" di fronte ai rischi derivanti dagli oli minerali usati. L'eccepita carenza delle condizioni dell'azione discende, piuttosto, dall'inosservanza, nel caso concreto, delle stringenti regole cui la giurisprudenza à ncora la legittimazione attiva degli enti collettivi (Cons. Stato, Ad. Plen. 2.11.2015 n. 9). È necessario, innanzitutto, che la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell'ente e, dunque, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale, e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati (in questo caso, consorziati). È, quindi, indispensabile che l'interesse tutelato sia comune a tutti i partecipanti, cosicché non siano affermate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e non siano, in definitiva, prospettabili conflitti interni alla categoria rappresentata (anche rispetto agli interessi di uno solo dei consociati), che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio. Ebbene, nella fattispecie in oggetto emerge con evidenza che l'interesse azionato nel ricorso non è omogeneo a tutti i consorziati né sussiste l'unanime condivisione degli appartenenti alla categoria in sé considerata. Piuttosto, attraverso l'impugnazione del titolo autorizzatorio rilasciato a una delle sue consorziate, il Co. esprime una posizione manifestamente conflittuale giacché l'accoglimento delle tesi espresse nel ricorso -secondo cui, in sintesi, l'attività autorizzata avrebbe natura di mero recupero degli oli usati- precluderebbe il riconoscimento consortile di Gr. come impresa di rigenerazione, con ovvie ricadute sulla sua capacità di operare sul mercato rilevante, a vantaggio degli operatori concorrenti, che del pari aderiscono, per legge, al Consorzio. Corrobora tale rilievo la documentazione prodotta dalla controinteressata, che attesta l'avvio presso l'Autorità Garante per la concorrenza e il mercato di un procedimento volto ad accertare eventuali condotte anticoncorrenziali ascrivibili al Co. in ragione della sua azione avversativa nei confronti di Gr. e di altro operatore economico, con il risultato di avvantaggiare la posizione di due storici rigeneratori di oli usati (cfr. doc. 25 della parte controinteressata). La posizione confliggente si palesa anche alla luce del citato art. 1, comma 2 dello statuto, sull'obbligo del Consorzio di operare "nell'interesse dei soggetti consorziati". Se ne ricava la strumentalità del ricorso all'affermazione di un interesse disomogeneo e riferibile solo ad alcuni degli appartenenti alla categoria che il Co. rappresenta; sicché, alla stregua dell'acclarata situazione conflittuale, l'interesse collettivo, di cui l'ente è latore, trascolora in un interesse individuale, ancorché plurisoggettivo, con conseguente inammissibilità del gravame (cfr. ancora Cons. Stato, Ad. Plen. n. 6/2020). In senso contrario non depone il richiamo di parte ricorrente, in sede di replica (pag. 2 e ss. della memoria del 16.5.2024), al suo dovere di far rispettare la corretta osservanza degli obblighi consortili. In un ordinamento di libero mercato regolamentato la tutela degli interessi di categoria, anche laddove volta a preservare la serietà dell'attività in concreto prestata dalle imprese del settore, non può legittimamente precludere l'iniziativa economica e il confronto concorrenziale dei singoli operatori (cfr. Cons. Stato, sez. III, 22.7.2022, n. 6439). L'inadempimento delle obbligazioni consortili è, peraltro, presidiato dai generali rimedi civilistici e da quelli specificamente dettati dallo statuto del Co. (che prevede anche la possibilità di esclusione dell'operatore economico dal Consorzio). La tutela delle situazioni da questo sorgenti non può, pertanto, risalire fino al (diverso) rapporto pubblicistico tra la singola impresa di rigenerazione e l'autorità amministrativa, che trae titolo dall'autorizzazione integrata ambientale. La legittimazione ad agire non può neppure radicarsi nella partecipazione del ricorrente, quale interventore volontario, alla conferenza di servizi convocata dalla Provincia per esaminare l'istanza di rinnovo dell'a.i.a.. La legittimazione procedimentale assolve a una funzione collaborativa, che non presuppone la titolarità di una posizione giuridica qualificata e differenziata, integrante, invece, requisito necessario per riconoscere a chi agisce la legittimazione processuale (Cons. Stato, sez. V, 15.7.2013, n. 3824). C) Deve altresì escludersi l'attitudine del gravato provvedimento di rinnovo ad esercitare un'immediata incidenza sulla sfera giuridica del Consorzio. La mancanza di lesività non consegue, come pure dedotto da tutte le parti resistenti, dalla funzione di rinnovo del provvedimento gravato rispetto all'originario titolo ambientale, all'epoca non contestato dal Co. (cfr. le memorie del 6.5.2025, rispettivamente: della Provincia di Alessandria, pagg. 5 e 6; di Arpa Piemonte, pag. 6; della controinteressata Gr., pag. 14, par. 21). Invero, il rinnovo dell'a.i.a. ai sensi del comma 3 dell'art. 29 octies D.Lgs. 152/2006, comporta l'integrale riesame del titolo. Gli atti di causa comprovano gli approfondimenti istruttori compiuti dall'autorità procedente e diretti, come esposto dalla stessa controinteressata Gr., ad acquisire chiarimenti anche "in merito alle fasi di trattamento degli oli minerali usati nel processo di rigenerazione" (pag. 5 della memoria del 6.5.2024). Nella relativa conferenza di servizi -articolatasi in più sessioni- sono stati acquisiti a tal fine le integrazioni documentali della parte istante e lo specifico contributo tecnico-consultivo dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente e del servizio gestione rifiuti della Provincia, che hanno espresso il loro parere favorevole. La rinnovata attività istruttoria, e il conseguente arricchimento dell'apparato motivazionale dell'a.i.a., connotano il provvedimento oggi impugnato della natura di atto di conferma in senso proprio dal momento che l'approdo al medesimo esito della decisione confermata consegue alla riapertura del procedimento e a un complessivo riesame tanto della situazione fattuale rilevante quanto degli interessi in gioco (cfr. Cons. Stato, sez. III, 31.5.2024 n. 4913). La statura provvedimentale dell'atto di rinnovo e la sua valenza costitutiva -quale nuova sede di regolazione dello statuto autorizzatorio- lo rendono, perciò, astrattamente idoneo a radicare un autonomo interesse al ricorso. La carenza di effetti lesivi sulla situazione dedotta dal ricorrente discende, piuttosto, dalla circostanza che il provvedimento gravato non è fonte di diretti obblighi conformativi a carico del Co. (cfr. in senso ana TAR Lombardia, Milano, sez. III, 5.9.2023 n. 2052 cit.). Nel dettaglio, come osservato da Arpa Piemonte (pag. 7 della memoria del 6.5.2024), nessun automatismo è prospettabile tra l'atto per cui è causa e l'erogazione del corrispettivo di cui all'art. 236, comma 12, lett. l-ter) D.Lgs. 152/2006, per le quantità di basi lubrificanti rigenerate. Ai sensi della stessa norma, infatti, il corrispettivo è dovuto soltanto se il prodotto risultante dal processo di rigenerazione sia di "qualità idonea per il consumo". Per l'effetto, l'erogazione del contributo non integra una conseguenza diretta dell'autorizzazione ambientale all'attività di rigenerazione, ma è, gioco forza, intermediata dalla verifica della qualità del prodotto, che deve sempre essere espletata, a prescindere dalla tecnologia di processo in concreto utilizzata dalla singola impresa e dal relativo regime autorizzatorio. Sicché è solo all'esito di tale verifica che può accertarsi, nel concreto, l'eventuale persistenza di contaminanti nelle basi oleose, indicata dallo stesso ricorrente come fattore scriminante tra la spettanza o meno del corrispettivo (cfr. pag. 9 del ricorso). Il necessario riscontro dell'effettiva idoneità del prodotto al consumo segna, in breve, una cesura tra il piano, a monte, dell'abilitazione ambientale all'attività rigenerativa e quello, a valle, di versamento del corrispettivo; con la conseguenza che l'interesse del Co., e il relativo potere di contestazione, è circoscritto all'esperimento della prova di qualità del prodotto, senza proiettarsi sul livello superiore dell'autorizzazione integrata ambientale. Anche sotto questo profilo, il gravame è, di conseguenza, dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Condanna il Consorzio nazionale per la Ge., Ra. e Tr. degli Ol. Mi. Us. al pagamento in favore della Provincia di Alessandria, dell'Agenzia Regionale per la protezione dell'ambiente del Piemonte e di Gr. S.p.A. delle spese di lite nella misura di Euro 2000 (duemila) per ciascuna, oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Bellucci - Presidente Andrea Maisano - Referendario, Estensore Stefania Caporali - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 405 del 2023, proposto da Bl. s.c.ar.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Lu. Sa. e Ga. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro Autorità di Regolazione dei Trasporti, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino, domiciliataria ex lege avente sede in Torino, via (...); per l'accertamento - dell'insussistenza del diritto dell'ART a riscuotere il contributo di funzionamento di cui all'art. 37 del D.L. 201/2011 e s.m.i.; e conseguentemente, - dell'insussistenza di alcun obbligo dichiarativo di Bl. s.c.ar.l. in ordine a tale contributo; - e comunque del diritto della ricorrente a non corrispondere il predetto contributo per le annualità 2022 e 2023, ed in ogni caso a far data dalla cessazione della gestione del servizio di trasporto pubblico da parte di On. s.c.ar.l. (di cui la ricorrente era consorziata) nel territorio della Regione Toscana di cui al "contratto ponte" e ai successivi atti d'obbligo di servizio pubblico. Sotto altro profilo, per l'accertamento: - dell'insussistenza del diritto della Autorità di Regolazione dei Trasporti a riscuotere il contributo di funzionamento di cui all'art. 37 del D.L. 201/2011 e s.m.i. nella parte in cui lo stesso si riferisca a ricavi per i servizi svolti in favore della società consortile On. s.c.ar.l.; nonché - dell'insussistenza di alcun obbligo dichiarativo in ordine ai ricavi per i servizi svolti in favore della società consortile On. s.c.ar.l.; Ove occorra, per l'annullamento, - della nota dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti, a firma del Segretario Generale, dott. Guido Improta, del 13/03/2023 comunicata in pari data recante oggetto "Diffida ad adempiere agli obblighi dichiarativi e contributivi- Annualità 2022" con il quale è stato intimato alla ricorrente di provvedere entro sessanta giorni dal ricevimento della nota all'"assolvimento degli obblighi dichiarativi e contributivi nei riguardi della scrivente Autorità, utilizzando i dati di conto economico concernenti l'esercizio 2020"; - della nota dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti del 01/04/2022 comunicata in pari data recante oggetto "Contributo per il funzionamento dell'Autorità di regolazione dei trasporti. Anno 2022", della nota dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti del 03/04/2023 comunicata in pari data recante oggetto "Contributo per il funzionamento dell'Autorità di regolazione dei trasporti. Anno 2023"; - nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente ivi comprese la nota dell'ART inviata alla ricorrente in data 04/05/2022, la Delibera dell'ART n. 181/2021 del 16/12/2021 e la Delibera dell'ART n. 242 del 06/12/2022 ove intese nel senso di legittimare la richiesta contributiva della Autorità . Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2024 il dott. Giovanni Francesco Perilongo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. - Con ricorso notificato in data 08/05/2023, Bl. s.c.ar.l. ha chiesto che fosse accertato il proprio diritto a non corrispondere il contributo per il mantenimento dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti (di seguito "ART") di cui all'art. 37 del d.l. 201/2011 e a non adempiere ai correlati obblighi dichiarativi per le annualità 2022 e 2023. La società consortile ricorrente ha domandato inoltre l'annullamento della nota ART del 13/03/2023 a mezzo della quale è stata diffidata ad adempiere agli obblighi dichiarativi funzionali alla determinazione del contributo, nonché delle Delibere ART n. 181/2021 e n. 242/2022, "ove intese nel senso di legittimare la richiesta contributiva della Autorità ". Bl. s.c.ar.l. ha articolato due motivi di impugnazione, di seguito compendiati: - "1. Violazione e falsa applicazione dell'art. 37 co. 6 lett. b) del D.L. 201/2011. Violazione e falsa applicazione dell'artt. 2, 7 e 10 della L. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente). Violazione e falsa applicazione della Delibera dell'ART n. 181/2021 e della Delibera dell'ART n. 242/2022. Difetto di istruttoria. Errore nei presupposti e travisamento dei fatti. Ingiustizia manifesta. In via subordinata: illegittimità dell'art. 1 co. 5 della Delibera ART n. 181/2021 e dell'art. 1 co. 5 della Delibera ART n. 242/2022 per violazione e falsa applicazione dell'art. 37 co. 6 lett. b) del D.L. 201/2011"), a mezzo del quale la ricorrente ha evidenziato come On. s.c.ar.l., cui Bl. s.c.ar.l. è socia, abbia integralmente cessato la gestione del servizio di trasporto pubblico nel territorio della Regione Toscana, svolto al 31/10/2021 in forza di un affidamento diretto (c.d. Contratto ponte) e di obblighi di servizio, ai sensi dell'art. 5 del Reg. CE n. 1370/2007. Non svolgendo - e non potendo per Statuto svolgere - alcuna altra prestazione sul mercato del trasporto, né On. s.c.ar.l. né le società ad essa consorziate sarebbero più soggette ad alcuno degli obblighi dichiarativi e contributivi previsti dalle Delibere ART n. 181/2021 e n. 242/2022, a nulla rilevando la mancata liquidazione del consorzio. Donde l'infondatezza di ogni pretesa in tal senso avanzata dall'Amministrazione intimata; - "II: Violazione e falsa applicazione dell'art. 37 co. 6 lett. b) del D.L. 201/2011. Violazione e falsa applicazione della Delibera dell'ART n. 181/2021 del 16.12.2021. Violazione e falsa applicazione dell'art. 67 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 660 e del divieto di doppia imposizione. Difetto di istruttoria. Errore nei presupposti e travisamento dei fatti. Ingiustizia manifesta. Violazione degli articoli 3 e 97"), a mezzo del quale Bl. lamenta che la pretesa avanzata dall'ART nei propri confronti contrasti col divieto di doppia imposizione, previsto dall'art. 67 del d.p.r. 600/1973. 2. - L'ART si è costituita in giudizio, chiedendo l'integrale reiezione delle pretese di controparte. La Difesa erariale ha eccepito innanzitutto la tardività del ricorso, in quanto l'obbligo contributivo contestato da Bl. s.c.ar.l. troverebbe fondamento nelle Delibere ART n. 181/2021 e n. 242/2022, la cui impugnazione non sarebbe più ammissibile, stante il decorso del termine previsto dall'art. 29 c.p.a.. Nel merito, ha contestato la fondatezza delle tesi attoree, sostenendo che il mancato svolgimento del servizio di trasporto non escluda la qualifica di "operatore del mercato", giacché l'esonero dall'obbligo contributivo opera unicamente a favore delle imprese soggette a liquidazione o a procedura concorsuale con finalità liquidative. Ha poi escluso il rischio di una doppia imposizione fiscale a carico della ricorrente, giacché le Delibere ART n. 181/2021 e n. 242/2022 (al pari dei provvedimenti che vi hanno dato attuazione) prevedono che, nel computo della base di calcolo del tributo dovuto da società appartenenti a un consorzio, vadano scomputati i ricavi da quest'ultimo prodotti. Resterebbero invece salvi gli obblighi dichiarativi, il cui assolvimento è stato dunque legittimamente preteso dall'Amministrazione. 3. - Nel corso dell'udienza pubblica del 05/06/2024, la Presidente ha reso l'avviso ex art. 73, co. 3 c.p.a. in ordine alla sussistenza di profili di parziale inammissibilità del ricorso, relativamente alla domanda di accertamento negativo della debenza del contributo ART per l'anno 2022. La causa è stata infine assegnata in decisione, previa discussione delle parti. 4. - Il ricorso è inammissibile con riferimento alla domanda di accertamento della non debenza del contributo ex art. 37 d.l. 201/2011 per l'anno 2022. In data 01/04/2022 la società ricorrente ha ricevuto una nota (doc. 2 di parte ricorrente), a mezzo della quale l'ART ha sollecitato "(i) a On. il pagamento del contributo anche per l'anno 2022 e, ai fini della determinazione del quantum, e (ii) a tutte le imprese in essa consorziate (tra cui Bl. s.c.ar.l.) la dichiarazione del fatturato risultante dall'ultimo bilancio approvato alla data del 9 febbraio 2022 (e cioè il bilancio 2020)" (pag. 4 del ricorso introduttivo). Detta nota, pur avendo contenuto ricognitivo delle prescrizioni contenute nella Delibera n. 181/2021, non può ritenersi priva di rilevanza esterna, giacché essa ha specificamente individuato la ricorrente quale destinataria degli obblighi dichiarativi prescritti dalla Delibera ART n. 181/2021, in tal modo vincolandola al rispetto dei termini fissati per il relativo adempimento. La nota ha posto dunque Bl. s.c.ar.l. in posizione qualificata e differenziata rispetto agli operatori economici non regolati, dando attuazione sul piano provvedimentale alla normazione contenuta nella Delibera e, in questa misura, operando sul piano del "provvedere", non più sul piano del "prevedere". Le missive inviate successivamente, ivi inclusa l'impugnata nota del 13/03/2023, hanno finalità esplicativa o, al più, sollecitatoria di prescrizioni che l'ART aveva già elaborato (nella Delibera n. 181/2022) e già indirizzato al Consorzio ricorrente (nella nota del 01/04/2022). Esse dunque non fanno che reiterare una volontà provvedimentale manifestata al destinatario e ormai consolidatasi. In questa prospettiva, la domanda di accertamento (negativo) proposta dalla società ricorrente incide su di un rapporto giuridico già conformato da provvedimenti divenuti inoppugnabili e, in questi termini, si appalesa inammissibile. 5. - Quanto invece alle domande di contenuto demolitorio, le considerazioni ora svolte comportano l'inammissibilità dell'impugnazione proposta avverso le note ART del 04/05/2022 e del 13/03/2023. Le missive in parola hanno meramente confermato una volontà provvedimentale già manifestata, di talché non assumono autonomo contenuto lesivo per la società ricorrente. È invece irricevibile, per tardività del ricorso, l'impugnazione degli atti presupposto, segnatamente della nota ART del 01/04/2022 e della Delibera 181/2021 (peraltro impugnate con formula eventuale: "ove intese nel senso di legittimare la richiesta contributiva della Autorità "). La volontà dell'Amministrazione di sottoporre Bl. s.c.ar.l. agli obblighi dichiarativi e contributivi (infra § 8) per l'anno 2022 era stata resa palese con nota del 01/04/2022, di talché al momento della proposizione del ricorso era già spirato il termine per l'impugnazione. Il fatto che, con successive missive, l'ART abbia motivato la propria pretesa con argomentazioni parzialmente confliggenti non può valere ai fini della rimessione in termini ex art. 37 c.p.a. (che invero la ricorrente non ha chiesto), giacché l'Amministrazione non ha mai messo in dubbio la debenza del contributo in capo alla ricorrente. In questi limiti, le eccezioni di irricevibilità sollevate dall'Amministrazione resistente sono fondate. 6. - Anche a trascurare i rilevati profili di inammissibilità e irricevibilità del ricorso, esso è comunque infondato con riferimento ad entrambe le annualità oggetto di giudizio. Manca infatti la prova del fatto che negli agli anni 2022 e 2023 On. s.c.ar.l. non abbia svolto servizi di trasporto (e prodotto alcun corrispondente ricavo) e sia perciò rimasta "inattiva" ai fini di cui all'art. 37 d.l. 201/2011. 6.1 - Rilievo probatorio modestissimo assumono le previsioni contenute nello Statuto consortile stipulato in data 21/12/2017 (doc. 8 di parte ricorrente), al pari della definitiva attribuzione ad Autolinee Toscane s.p.a. del servizio di trasporto pubblico locale per la Regione Toscana a partire dal 01/11/2021 (doc. 9 di parte ricorrente). La ricorrente non ha versato in atti una visura camerale (sintetica o storica) o altra documentazione societaria relativa a On. s.c.ar.l. che consenta di escludere l'intervento di modifiche statutarie nei quasi sette anni trascorsi dalla costituzione della società e dall'approvazione del relativo statuto. Né d'altronde è stato prodotto in sede procedimentale o versato negli atti di questo giudizio un bilancio di esercizio aggiornato o altra documentazione fiscale (che - si badi - On. s.c.ar.l. è tenuta a presentare all'Amministrazione finanziaria), che attesti la mancata produzione di ricavi o, anche solo, il mancato sostenimento di costi correlati allo svolgimento di attività economiche. Si osserva d'altronde che l'art. 2484 co. 1 c.c. (applicabile in forza del rinvio implicito operato dall'art. 2615-ter c.c.) prevede, tra le cause di scioglimento delle società a responsabilità limitata, il decorso del termine (n. 1) e il conseguimento dell'oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo "salvo che l'assemblea, all'uopo convocata senza indugio, non deliberi le opportune modifiche statutarie" (n. 2). L'art. 2485 c.c. prevede a propria volta che gli amministratori siano obbligati ad accertare il verificarsi di una causa di scioglimento della società, procedendo "senza indugio" all'iscrizione presso l'Ufficio del registro delle imprese delle relative formalità dichiarative, e che rispondano personalmente e in solido per i danni cagionati alla società, ai soci, ai creditori sociali e ai terzi da ogni ritardo o omissione in tal senso. Ebbene, l'atto costitutivo di On. s.c.ar.l. e il relativo statuto prevedono - o prevedevano - che la società abbia quale esclusivo oggetto l'assunzione "in proprio e per conto delle Società consorziate, (de)gli obblighi derivanti dal contratto ponte - di cui al Decreto Dirigenziale n. 11613 del 4.8.2017 (...)" e fissano al "31 dicembre 2020" termine di durata del rapporto sociale. Anche a considerare che, allo scadere del termine statutariamente previsto, la società sia stata tacitamente prorogata, l'estinzione del rapporto intercorso con la Regione Toscana ha certamente determinato la sopravvenuta impossibilità di conseguire l'obiettivo sociale (inizialmente) fissato dai soci, così integrando una causa di scioglimento di On. s.c.ar.l. In questa prospettiva, il fatto - del tutto incontroverso tra le parti - che alla data dell'udienza di discussione il Consorzio non fosse stato posto in liquidazione né dagli amministratori né dai soci (art. 2485, co. 2 c.c.) è perspicuo indice presuntivo del fatto che una modifica dell'atto costitutivo sia intervenuta medio tempore e che, conseguentemente, la società consortile abbia in qualche modo proseguito le proprie attività . Si osserva infine che, in sede amministrativa, l'ART aveva rilevato come "dalla lettura delle Note al bilancio d'esercizio 2021, depositato il 26 aprile 2022, (fosse) emerso che i soci hanno espresso la volontà di proseguire le attività procedendo, in data 2 febbraio 2022, tramite delibera assembleare con la modifica dell'oggetto sociale allo scopo di estendere l'ambito territoriale di operatività a livello nazionale" (doc. 5 di parte resistente). In definitiva, la ricorrente non ha fornito prova del fatto che On. s.c.ar.l. fosse inattiva negli anni 2022 e 2023 e il compendio documentale acquisito in fase amministrativa e giudiziale fornisce una prova (presuntiva) del contrario. 6.2 - Poste tali premesse, l'onere di provare il mancato svolgimento del servizio di trasporto per le annualità 2022 e 2023 ricadeva sulla società ricorrente e su On. s.c.ar.l. La scansione procedimentale di esazione del contributo ART, avente carattere dialogico-collaborativo, prevede che l'operatore economico avente un fatturato superiore a Euro 5.000.000,00 renda noti all'Autorità i propri dati economici mediante la dichiarazione di cui all'art. 3 delle Delibere n. 181/2021 e n. 242/2022, da presentarsi prima o comunque contestualmente al versamento della prima trance del contributo (art. 4, co. 1 delle Delibere). Obblighi dichiarativi e contributivi si sovrappongono anche sul piano temporale, secondo un meccanismo assimilabile a quello di autoliquidazione delle imposte che connota il sistema tributario italiano (sulla natura tributaria del contributo ART, cfr. ex plurimis TAR Piemonte, Sez. I, 15/03/2021, n. 287). Il meccanismo impositivo previsto dalla Delibera non appare dunque "eccentrico" rispetto all'ordinaria scansione procedimentale tributaria, la quale conferisce all'Autorità pubblica il potere di verificare la correttezza dei dati economico-contabili forniti dal contribuente sopra-soglia (o ricostruirli in ipotesi di omessa dichiarazione), non già di accertare la permanenza in attività dell'operatore, pur in assenza di dati contabili o societari indicativi in tal senso. Sul piano testuale, lo stesso art. 3, co. 2 delle Delibere n. 181/2021 e n. 242/2022, nel prevedere che l'operatore economico debba sottoscrivere e depositare un prospetto analitico, volto a dettagliare le esclusioni "invocate", evidenzia come gli obblighi dichiarativi assolvano una funzione pubblicitaria inerente la (auto)liquidazione dell'imposta. Essi sono dunque volti a indirizzare le funzioni pubbliche di controllo ex post del dato economico fornito dall'operatore soprasoglia. La stessa previsione di una soglia di esenzione dal contributo (art. 2, co. 12 della Delibera n. 181/2021 e art. 2, co. 10 n. 242/2022), nel sottendere la convivenza di un obbligo dichiarativo e di un esonero contributivo, rende palese come sia il contribuente sopra-soglia a dover rendere noti all'Autorità i propri dati economici a prescindere dalla misura - e dalla stessa debenza - del contributo dovuto. Una simile previsione sarebbe d'altronde inspiegabile, ove l'Autorità fosse chiamata a verificare in via preventiva che gli operatori sopra-soglia possano beneficiare delle esclusioni dal calcolo del fatturato previste dalla Delibera. Quanto poi alla possibilità che, in assenza di una comunicazione da parte dell'operatore interessato, l'Autorità possa accertare in via preventiva e autonoma la mancata erogazione del servizio di trasporto per l'anno in corso, vale la pena ricordare che il fatturato rilevante ai fini del calcolo del contributo ART è quello risultante dall'ultimo bilancio depositato. In tal senso si esprime l'art. 37 d.l. 201/2011 ("contributo versato dagli operatori economici operanti nel settore del trasporto (...) in misura non superiore all'1 per mille del fatturato derivante dall'esercizio delle attività svolte percepito nell'ultimo esercizio"); in senso conforme sono disciplinate le modalità di calcolo precisate ai capoversi dell'art. 2 delle Delibere (co. 2: "Per fatturato deve intendersi l'importo risultante dal conto economico alla voce A1 (ricavi delle vendite e delle prestazioni) sommato alla voce A5 (altri ricavi e proventi) o voci corrispondenti per i bilanci redatti secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS"). Si tratta di documentazione relativa all'anno precedente a quello in cui la dichiarazione dev'essere resa: vi è dunque una inevitabile discrasia temporale tra l'anno di debenza del tributo e l'anno di riferimento per il calcolo dell'importo contributivo (eventualmente) dovuto. In questa prospettiva, non può che essere l'operatore economico a comprovare il sopravvenire di vicende societarie che, pur a fronte di un fatturato sopra-soglia nell'anno precedente (ovvero di importo contributivo superiore al de minimis), escludono la debenza del contributo per l'anno successivo. Si consideri infine che la tesi di parte ricorrente, secondo cui sarebbe l'ART a dover acquisire ex ante prova dell'inattività dell'operatore economico (già ) sopra-soglia, escludendo quest'ultimo persino dagli obblighi dichiarativi, confligge col principio di buon andamento dell'azione pubblica (art. 97, co. 2 Cost.). Sarebbe infatti impossibile per l'ART, in mancanza di una previa collaborazione del contribuente interessato, verificare in modo autonomo, di anno in anno, se il singolo operatore economico sopra-soglia sia o meno rimasto attivo sul mercato di riferimento. L'Autorità sarebbe infatti chiamata ad acquisire ed esaminare dati societari ed economici di un numero altissimo di operatori economici, verificando preventivamente e in concreto se la documentazione acquisita rifletta lo svolgimento di prestazioni sul mercato da parte di ciascuno di essi per l'anno in corso o se vi siano ragioni per escludere ex ante la debenza del contributo. Tutto questo prima ancora di determinare se il singolo operatore sia o meno tenuto a rendere la dichiarazione di cui all'art. 3 della Delibera. Un simile onere - da assolvere, si badi, con cadenza annuale - avrebbe evidenti ricadute sulla possibilità per l'Autorità di svolgere le ulteriori funzioni attribuitele dalla legge, con inevitabile pregiudizio dell'attività di regolazione e controllo del mercato del trasporto, e in ultima istanza dei diritti dei consumatori. L'onere lumeggiato dal Consorzio ricorrente avrebbe insomma un effetto paralizzante sull'attività dell'ART, certamente contraria al principio di buon andamento. In definitiva, è conforme alle previsioni della Delibera, coerente col sistema tributario nel suo complesso e in linea col principio di buon andamento dell'attività amministrativa che il singolo operatore sopra-soglia debba comprovare la propria inattività sul mercato per l'anno in corso, ai fini del versamento del contributo ART. 6.3 - Tornando alla vicenda di cui è causa, non è in contestazione che fino al 2021 On. s.c.ar.l. avesse un fatturato superiore alla soglia prevista dall'art. 3 delle Delibere, come attestato inter alia dal fatto che la società ha versato il contributo dovuto per tale annualità (pag. 3 del ricorso "One ha pagato il contributo dovuto all'ART ai sensi dell'art. 37 co. 6 lett. b) del D.L. 6.12.2011 n. 201 fino all'annualità 2021, e cioè fino a che ha svolto il citato servizio di tpl"). Non vi era dunque modo per l'ART di appurare, sulla scorta dell'ultimo bilancio depositato, che On. s.c.ar.l. avesse effettivamente cessato la propria attività . A tal fine, come visto (supra § 6.1), la documentazione acquisita in fase amministrativa era scarsamente perspicua, giacché la mancata liquidazione del Consorzio non consentiva di ritenere determinanti le previsioni contenute nello Statuto consortile. Per di più, vi era un principio di prova del fatto che il Consorzio avesse modificato il proprio oggetto sociale, in chiave di prosecuzione dell'attività economica. Non vi erano dunque indici del fatto che On. s.c.ar.l. avesse effettivamente cessato ogni attività . Alla luce di tali considerazioni, non poteva che essere onere di On. s.c.ar.l. rendere la dichiarazione prescritta dall'art. 3 della Delibera per l'anno 2022 (nonché naturalmente per il 2023), fornendo eventualmente prova all'Autorità di aver cessato la propria attività nel 2021. La prova dell'inattività del Consorzio era d'altronde agevole, essendo sufficiente per il 2022 fornire all'Amministrazione la documentazione fiscale attestante l'assenza di fatturato e, per il 2023, depositare l'ultimo bilancio di esercizio dal quale risultasse un volume di affari pari a zero (o comunque sotto-soglia). Non è d'altronde privo di rilievo osservare che una simile prova non è stata fornita nemmeno in questo giudizio, giacché la ricorrente non ha versato alcuna documentazione societaria, contabile o fiscale relativa a On. s.c.ar.l. (mentre è prodotta agli atti la visura di Bl. s.c.ar.l.). La stessa ricorrente era in condizioni di provare con immediatezza l'assenza di ricavi imputabili all'attività di trasporto di On. s.c.ar.l., fornendo prova delle circostanze eccepite ma non provate nei confronti dell'Autorità . Si osservi come l'inconsistenza della tesi attorea sotto il profilo probatorio renda in qualche modo irrilevante l'interpretazione che si voglia offrire dell'art. 37 d.l. n. 201/2011 e delle previsioni contenute agli art. 1 delle Delibere n. 181/2021 e n. 242/2022. Anche infatti ad accedere alla tesi del Consorzio ricorrente, secondo cui la qualifica di "operatore del mercato" sia inestricabilmente correlata all'effettivo e attuale svolgimento delle sole prestazioni elencate all'art. 1 della Delibera (sul punto, cfr. infra § 7), non poteva che essere On. s.c.ar.l. a dare prova di una simile circostanza per il 2022 e il 2023, stante la produzione di un fatturato sopra-soglia nelle annualità precedenti. L'ART non era in condizioni di giungere ad una simile conclusione sulla scorta della documentazione societaria relativa al 2021, ed anzi - come più volte evidenziato - disponeva di evidenze documentali indicative del contrario. Il primo motivo di impugnazione è dunque infondato, poiché la ricorrente assume come provata una circostanza non dimostrata (e la cui prova era a proprio carico). Più precisamente, Bl. s.c.ar.l. ritiene erroneamente che, ai fini della prova della (asserita) inattività di On. s.c.ar.l., siano sufficienti le previsioni del relativo Stato consortile. Per le ragioni evidenziate, tale conclusione non è condivisibile. 7. - Pur a fronte di tali assorbenti considerazioni, ragioni di completezza della motivazione suggeriscono di affrontare l'ulteriore nodo argomentativo articolato dalla ricorrente, avente ad oggetto l'interpretazione delle disposizioni delle Delibere n. 181/2021 e n. 242/2022. In estrema sintesi, Bl. s.c.ar.l. afferma che debba escludersi la qualifica di "operatore del mercato" ai fini dell'art. 37, co. 6 d.l. 201/2011 (e delle Delibere di determinazione del contributo ART) in capo all'impresa che, pur iscritta al registro delle Imprese e dotata di un compendio aziendale suscettibile di svolgere servizio di trasporto, non eroghi alcuna delle prestazioni caratteristiche del proprio segmento di mercato. Determinante sarebbe dunque l'erogazione effettiva ed attuale sul mercato delle prestazioni di cui agli art. 1 delle Delibere n. 181/2021 e n. 242/2022, in mancanza della quale dovrebbe escludersi qualsiasi obbligo dichiarativo nei confronti dell'ART per l'anno in corso (e a fortiori quello contributivo), ciò a prescindere dalle prestazioni erogate nelle annualità precedenti, in quanto l'azienda non può dirsi "esercitare" in concreto il servizio di trasporto. In disparte le già evidenziate mancanze sul piano probatorio (supra § 6), la tesi attorea, nella sua nettezza, pecca di formalismo. 7.1 - Non vi è dubbio sul fatto che la qualifica di "operatore economico", ai fini della contribuzione ART, abbia contenuto eminentemente fattuale, giacché dipende non già da una specifica investitura formale, ma dal fatto che il soggetto presti la propria attività economica nel mercato del trasporto, così operando in un settore soggetto a regolazione ART. Il contenuto fattuale della nozione di "operatore economico" non va tuttavia eccessivamente enfatizzato. L'art. 37 d.l. 201/2011 e l'art. 1 della Delibera 281/2021 mutuano una formula lessicale utilizzata in altri luoghi dell'ordinamento giuridico, in particolare in ambito commerciale, e che trova, sul piano sistematico, il proprio referente fondamentale nell'art. 2082 c.c. ("È imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi"). Sul piano giuridico, l'"esercizio dell'impresa" si concreta nello svolgimento di un'attività economica organizzata che sia ricollegabile ad un dato obiettivo inerente all'attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi (Cass. Civ., Sez. Trib., 08/07/2015, n. 14225). Elementi identificativi dell'impresa commerciale sono dunque la professionalità e l'organizzazione, intese come svolgimento abituale e continuo dell'attività, dunque quale effettivo e concreto espletamento dell'attività economica conformemente a criteri di economicità . Va tuttavia ricordato che l'adesione al principio di effettività "consente di per sé soltanto di escludere che si abbia esercizio di attività di impresa in relazione a mere intenzioni ovvero in relazione all'assolvimento di meri adempimenti formali (Cass. 9 dicembre 1976, n. 4577), mentre lascia intatta la questione di stabilire quando si ha l'effettivo inizio dell'attività d'impresa. A questo fine il dato dell'organizzazione, come ha bene messo in evidenza autorevole dottrina, gioca un ruolo fondamentale poiché in presenza di un "esteriore apparato aziendale" la qualità di imprenditore commerciale si acquista anche con il compimento di un singolo atto riconducibile a quella organizzazione ("atto dell'organizzazione") ed anzi si discute se la stessa attività di organizzazione possa assumere i connotati dell'attività di impresa (in senso affermativo v. Cass. 6 maggio 1980, n. 2996 e Cass. 18 dicembre 1994, n. 10728, entrambe in tema di concorrenza sleale); quando, invece, manca un siffatto apparato, perché l'attività viene svolta con mezzi anche rudimentali, sufficienti comunque ad integrare il requisito dell'organizzazione (Cass. 29 gennaio 1973, n. 467; Cass. 16 settembre 1983, n. 5589), soltanto la reiterazione di atti, oggettivamente suscettibili di essere qualificati come atti d'impresa, rende manifesto che non si tratta di operazioni isolate, ma di attività professionalmente esercitata" (Cass. Civ., Sez. I, 13/08/2004, n. 15769). È chiaro dunque come la predisposizione dell'apparato aziendale e lo svolgimento dell'attività economica e giuridica funzionale allo svolgimento dell'impresa (si pensi al reperimento di risorse finanziare presso banche o enti di credito) configurino attività imprenditoriale, dunque qualifichino il soggetto come esercente un'attività economica organizzata (art 2082 c.c.), a prescindere dal fatto che questi abbia erogato sul mercato le prestazioni indicate nell'oggetto sociale. Specularmente, in presenza di un compendio aziendale integro e attivo, la mancata erogazione delle prestazioni caratteristiche del proprio mercato di riferimento non è di per sé sufficiente a privare il soggetto della qualifica di imprenditore (ossia soggetto che "esercita" professionalmente un'attività economica organizzata). Vi è insomma uno iato tra l'esercizio dell'impresa e lo svolgimento delle prestazioni caratteristiche del mercato di riferimento. 7.2 - Calando tali coordinate alla fattispecie controversa, è doveroso concludere che la qualifica di "operatore del mercato dei trasporti" individui l'imprenditore - persona fisica o giuridica - attivo in tale ambito, ossia il soggetto che eserciti l'attività di impresa nel settore del trasporto, anche laddove per qualsiasi ragione non svolga stricto sensu alcuno dei servizi elencati all'art. 1 della Delibera 181/2022. In questa prospettiva, l'impresa del trasporto che, pur mantenendo intatto e attivo il proprio compendio aziendale (ad esempio, estendendo le linee di credito, rinnovando i contratti di locazione degli immobili aziendali, prorogando i contratti di leasing dei beni strumentali, svolgendo la manutenzione ordinaria dei mezzi), sospenda la propria attività, non smette per ciò solo di essere "operatore del mercato" ai fini di cui all'art. 37 d.l. n. 201/2011 né - si badi - cessa di "esercitare" l'attività imprenditoriale che le è propria. Questione diversa è quella inerente l'effettiva debenza del contributo, la quale dipenderà dal volume del fatturato prodotto dall'impresa in parola e dal conseguente superamento della soglia contributiva minima. Resta tuttavia immutata la conclusione, ossia che una azienda può "esercitare" l'attività di impresa nel mercato del trasporto, ancorché per contingenti e insindacabili ragioni essa non eroghi le correlate prestazioni caratteristiche. Restano naturalmente salve le esclusioni dagli obblighi dichiarativi e contributivi lei spettanti in forza delle previsioni contenute nelle Delibere di determinazione del contributo (nonché l'esclusione del contributo per l'anno successivo laddove, in ragione della propria inattività, l'impresa non superi le rilevanti soglie di fatturato). In definitiva, l'interpretazione della disciplina di riferimento offerta da Bl. s.c.ar.l. in questo giudizio non è condivisibile, nella misura in cui, sulla scorta un argomento formale, correla in via di stretta necessità la presenza di un operatore nel mercato del trasporto alla sola erogazione delle prestazioni elencate agli art. 1 delle Delibere 181/2021 e 242/2022, anziché all'esercizio - recte, al mantenimento in esercizio - dell'impresa nel suo complesso. Anche sotto questo profilo, dunque, il primo motivo di impugnazione non coglie nel segno. 8 - Parimenti infondato è il secondo motivo di impugnazione, a mezzo del quale Bl. s.c.ar.l. lamenta che le statuizioni assunte dall'Amministrazione resistente si pongano in contrasto con il divieto di doppia imposizione. 8.1 - L'art. 1, co. 4 di entrambe le Delibere n. 181/2021 n. 242/2022 stabilisce che "In caso di ricavi generati da imprese riunite in Consorzio, il contributo è versato dal Consorzio per le prestazioni di competenza. Le imprese consorziate sono comunque tenute all'assolvimento dell'obbligo dichiarativo e, in relazione alle prestazioni estranee al consorzio, a quello contributivo". Le note trasmesse dall'ART, con riferimento al contributo dovuto per entrambe le annualità 2022 (nota del 01/04/2022, doc. 2 di parte ricorrente) e 2023 (nota del 03/04/2023, doc. 3 di parte ricorrente), espressamente chiariscono che "in caso di ricavi generati da imprese riunite in consorzio, il contributo deve essere versato dal consorzio", ulteriormente precisando, ai fini del calcolo dell'importo contributivo eventualmente dovuto da una impresa facente parte di un consorzio, che "dal totale dei ricavi siano esclusi: (i) i ricavi delle imprese consorziate derivanti dai servizi di trasporto forniti a consorzi eroganti servizi di trasporto". Sin dall'adozione del provvedimento di quantificazione del contributo ex art. 37 d.l. 201/2011, dunque, i ricavi prodotti da un consorzio erano espressamente esclusi dal calcolo dell'importo contributivo dovuto dalle imprese consorziate. I provvedimenti attuativi hanno confermato detta previsione. Tanto è sufficiente per scongiurare ab imis il rischio di una duplice imposizione tributaria in capo a Bl. s.c.ar.l. 8.2 - Quanto poi agli obblighi di carattere dichiarativo correlati alla partecipazione societaria in On. s.c.ar.l., le doglianze di Bl. s.c.ar.l. si infrangono contro la già rilevata inconsistenza dell'apparato probatorio dispiegato, giacché la ricorrente non ha fornito prova, in sede giudiziale come in sede amministrativa, del fatto che On. s.c.ar.l. abbia effettivamente interrotto l'erogazione del servizio di trasporto nel biennio 2022/2023. Fintanto che una simile prova non venga fornita, la società ricorrente è chiamata a rendere la dichiarazione prevista dagli artt. 3 delle Delibere impugnate. 8.3 - Si osserva infine che, sulla base degli atti di causa, non è possibile escludere che la ricorrente abbia svolto prestazioni al di fuori del contratto di trasporto pubblico locale assegnato dalla Regione Toscana a On. s.c.ar.l. In questo senso, non è determinante il contenuto della visura camerale prodotta dalla ricorrente sub doc. 10: in disparte la parzialità delle informazioni ivi contenute (vi figura unicamente la voce "1. Informazioni da statuto/atto costitutivo", mentre mancano i dati societari e i dati dell'ultimo bilancio depositato), lo Statuto consortile prevede che l'oggetto principale - non dunque esclusivo - sia la gestione del servizio di trasporto pubblico locale "relativo al Lotto di gara della Provincia di Pistoia", con l'obiettivo - si noti - di operare unitariamente nello svolgimento del servizio "conseguente alla licitazione privata effettuata dalla Provincia di Pistoia". In assenza di ulteriore documentazione a corredo, la formula utilizzata non dissipa i dubbi in ordine alla riconducibilità in via esclusiva del servizio prestato da Bl. s.c.ar.l. a quello assegnato dalla Regione Toscana a On. s.c.ar.l. In ogni caso, lo statuto consortile ulteriormente prevede che "Con essa (la società ) inoltre i soci intendono costituire un'organizzazione comune per coordinare e disciplinare le proprie e rispettive attività nel campo del trasporto pubblico locale della mobilità e di ogni altra attività a queste connesse sia nell'ambito a rilevanza interna (...) sia nell'ambito con rilevanza esterna attraverso l'acquisizione di commesse e/o appalti di servizi o lavori anche mediante partecipazione a procedure concorsuali". Lo statuto ammette dunque in modo espresso che la società possa acquisire commesse e/o appalti di servizi o lavori, operando così al di fuori del perimetro tracciato dalla partecipazione in On. s.c.ar.l. In questa prospettiva, l'infondatezza della tesi attorea prescinde persino dall'affermata inattività On. s.c.ar.l. (comunque non determinante: supra § 7), giacché non è possibile escludere che la ricorrente sia chiamata in proprio ad ottemperare agli obblighi contributivi e dichiarativi previsti dalle Delibere 181/2021 e 242/2022. Anche il secondo motivo di impugnazione è insomma privo di fondamento. 9. - In definitiva, i motivi di diritto articolati da Bl. s.c.ar.l. non meritano accoglimento. Il ricorso va dunque integralmente respinto. 10. - Le spese di lite seguono la soccombenza. La liquidazione dei compensi professionali dovrà essere operata sulla scorta dei valori medi di cui alla Tabella n. 21 dell'Allegato 1 al DM 10/03/2014 n. 55, nello scaglione delle cause di valore indeterminabile. I valori tabellari sono soggetti a dimidiazione a norma dell'art. 4, co. 1 del menzionato DM, stante l'assenza di questioni di fatto o di diritto di particolare complessità, e sono escluse le competenze spettanti per la fase istruttoria, giacché nessun incombente è stato espletato a tal fine. Il carattere lato sensu seriale del contenzioso giustifica una proporzionale riduzione degli importi liquidati. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Terza, definitivamente pronunciando: - dichiara in parte inammissibile e in parte irricevibile il ricorso, nei termini di cui in motivazione, in relazione alle domande inerenti la contribuzione ex art. 37 d.l. 201/2011 per l'annualità 2022; - respinge per il resto il ricorso; - condanna la società ricorrente a rifondere all'Amministrazione intimata le spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 (duemila/00), a titolo di compenso professionale di avvocato, oltre accessori, come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Rosa Perna - Presidente Giovanni Francesco Perilongo - Referendario, Estensore Lorenzo Maria Lico - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 253 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ca. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi. Al. e Ri. Lu., con domicilio digitale come da PEC risultante dal Registro di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gr. Sa. e Ma. Pa., con domicilio digitale come da PEC risultante dal Registro di Giustizia; nei confronti Regione Piemonte e Città Metropolitana, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio; per l'annullamento a) per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - della determinazione del Dirigente Settore Urbanistica e Ambiente Comune di (omissis) n. 1490/2020 del 30.12.2020, avente ad oggetto "Programma di rigenerazione urbana, sociale e architettonica "(omissis) rigenera". Attuazione delle previsioni programmatiche sull'area di rigenerazione d.1: determinazione di conclusione negativa della conferenza di servizi finalizzata all'esame del progetto di intervento e della proposta di variante semplificata al P.R.G.C. ex art. 17 bis l.r. 5.12.1977 n. 56 e s.m.i.". - nonché di ogni altro atto connesso, se e in quanto lesivo; b) per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati in data 5 agosto 2022: - dell'atto del Comune di (omissis) AB662A5 - PG - 0043909 del 22 giugno 2022, a firma del Sindaco, dell'Assessore alla Pianificazione Territoriale, del Dirigente del Settore Urbanistica e Ambiente - e di ogni altro atto presupposto e/o connesso, se e in quanto lesivo. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 febbraio 2024 la dott.ssa Stefania Caporali e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il Comune di (omissis) ha avviato un programma di rigenerazione urbana, sociale e architettonica ai sensi dell'art. 14 della legge regionale n. 20 del 14 luglio 2020, chiamato "(omissis) Rigenera". Con deliberazione del Consiglio comunale n. 46 del 11.05.2017 l'amministrazione ha approvato le schede di progetto pervenutele dai proponenti. In data 2 luglio 2018 la società Ca. s.p.a. ha presentato un'istanza di variante al PRCG, relativamente all'ambito di competenza D1 "Complesso Ex Sa.", sulla quale si è espressa la Giunta del Comune di (omissis), con provvedimento n. 252 del 25 luglio 2018, condividendo l'impianto urbano dello schema progettuale presentato e fornendo indicazioni di merito per l'adeguamento e l'approfondimento della soluzione progettuale (cfr. doc. 14 di parte ricorrente). La società Ca. s.p.a. ha presentato istanza di variante semplificata al PRGC in data 9 gennaio 2020, ai sensi dell'art. 17 bis della legge regionale n. 56/1977. Si sono così svolte due conferenze di servizi, convocate ai sensi dell'art. 14 della legge n. 241/1990 e dell'art. 17 bis, comma 5, della legge regionale n. 56/1977 e, in occasione dell'apertura della seconda conferenza, il rappresentante del comune ha letto il parere negativo dell'ente sulla proposta progettuale di Ca.. Successivamente, in data 12/11/2020, il Comune di (omissis) ha trasmesso alla società la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza ai sensi dell'art. 10 bis della legge n. 241/1990, evidenziando diversi aspetti che non consentivano di procedere alla determinazione positiva della conferenza. Nonostante le osservazioni presentate dalla ricorrente, il comune ha definitivamente concluso in senso negativo il procedimento con l'adozione della determina dirigenziale del settore urbanistica e ambiente n. 1490 del 30.12.2020 (cfr. doc. 25 di parte ricorrente). Tale provvedimento è stato impugnato dalla società Ca. s.p.a. per i seguenti motivi in diritto: "I - Violazione ed errata applicazione dell'art. 17 bis della legge reg. n. 56/77, nonché dell'art. 14 l. reg. n. 20/2009 e dell'art. 12 l. reg. n. 16/2018. Violazione del giusto procedimento". "II - Violazione ed errata applicazione dell'art. 17 bis della legge reg. n. 56/77, nonché dell'art. 14 l. reg. n. 20/2009 e dell'art. 12 l. reg. n. 16/2018. Eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione, contraddittorietà e perplessità manifesta. Travisamento e sviamento". Nelle more del giudizio e a seguito di ulteriori interlocuzioni avvenute tra le parti, l'amministrazione ha adottato la nota AB662A5 - PG - 0043909 del 22 giugno 2022, con la quale - dopo aver richiamato il proprio precedente atto di diniego - ha affermato che "La validità del provvedimento si ritiene confermata e lo stesso costituirà la base di riferimento per il riavvio dell'iter procedimentale previsto dalla normativa urbanistica, unitamente ai contenuti e agli obiettivi fondamentali già esplicitati con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 46/2017 di approvazione del Programma (omissis) Rigenera . Nel merito delle problematiche indicate nel provvedimento di diniego e puntualmente riportate nelle missive successive, si aggiunge quanto segue" e ha evidenziato tre ulteriori punti cui dover adeguare lo schema progettuale, concludendo che "La Città di (omissis) resta dunque in attesa della proposta progettuale adeguata, che sarà sottoposta all'attenzione formale del Consiglio Comunale prima dell'avvio dell'iter di Variante urbanistica" (cfr. doc. 7 depositato dall'amministrazione). Avverso tale nota del 22 giugno 2022, la società Ca. s.p.a. ha proposto ricorso per motivi aggiunti lamentando la "I - Violazione ed errata applicazione dell'art. 17 bis della legge reg. n. 56/77, nonché dell'art. 14 l.reg. n. 20/2009 e dell'art. 12 l.reg. n. 16/2018. Violazione del giusto procedimento. Eccesso di potere per sviamento, incoerenza, contraddittorietà . Violazione dei principi generali della materia". Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) chiedendo, in via preliminare, che il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti siano dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse in considerazione dell'apertura - dopo l'instaurazione del giudizio - di un nuovo procedimento amministrativo caratterizzato dall'indizione di un'altra conferenza di servizi finalizzata all'approvazione della variante semplificata al PRGC del Comune di (omissis). In subordine, il comune resistente ha chiesto che il ricorso per motivi aggiunti sia dichiarato inammissibile perché la società ha impugnato un atto meramente confermativo del diniego già espresso con la determinazione n. 1490 del 30.12.2020. Nel merito, l'amministrazione ha chiesto che sia il ricorso principale sia il ricorso per motivi aggiunti vengano rigettati perché infondati. Sono state depositate le memorie ex art. 73 d.lgs. n. 104/2010. Nella memoria di replica, depositata in data 17.01.2024, la società Ca. s.p.a. ha manifestato il proprio interesse alla declaratoria di illegittimità degli atti impugnati anche ai fini risarcitori (cfr. p. 4 della memoria di replica). All'udienza del 7.02.2024 i difensori delle parti hanno discusso oralmente la causa e, all'esito, il Collegio l'ha riservata in decisione. DIRITTO 1.Deve preliminarmente essere respinta l'eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse formulata dal Comune di (omissis) per effetto dell'avvenuta indizione di una nuova conferenza di servizi volta all'approvazione della variante al programma di rigenerazione urbana - complesso D1 - Ex Sa.. La società Ca. ha infatti espressamente dichiarato di non aver prestato acquiescenza alle indicazioni contenute negli atti impugnati. Con nota del 24 ottobre 2023 la società ricorrente ha infatti chiesto il riavvio della conferenza di servizi (all. 34 e 35), contestualmente precisando che "la presentazione della medesima non costituisce acquiescenza nei confronti della Determinazione del Dirigente Settore Urbanistica e Ambiente n. 1490/2020 del 30.12.2020; non costituisce rinuncia al ricorso proposto al TAR Piemonte da Ca. avverso tale provvedimento né ai successivi motivi aggiunti, gravame tuttora pendente con il n. di R.G. 253/2021 e chiamato alla prossima udienza del 7 febbraio 2024; non costituisce manifestazione di carenza di interesse nei confronti del gravame medesimo". Tale circostanza è stata poi ribadita in corso di giudizio (cfr., tra l'altro, p. 4 della memoria di parte ricorrente depositata il 5.01.2024: "Ca. stessa ha sempre tenuto a precisare che le nuove istanze ovviamente non costituivano rinuncia al ricorso e non rappresentavano manifestazione di carenza di interesse nei confronti del gravame medesimo (allegati 30, 31, 35)" e pp. 1-2 della memoria di replica depositata il 17.01.2024) e, come detto, la società ha, da ultimo, manifestato anche il proprio interesse alla decisione ai fini risarcitori (cfr. p. 4 della memoria di replica depositata il 17.01.2024). 2. Deve altresì essere rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti sollevata dall'amministrazione resistente a motivo della natura meramente confermativa dell'atto impugnato rispetto alla precedente determinazione negativa adottata dal Comune di (omissis). Sul punto il Collegio richiama la nota distinzione tra atto meramente confermativo e atto di conferma, incentrata sulla natura innovativa dell'istruttoria compiuta dall'amministrazione, sebbene in entrambi i casi non muti il dispositivo del provvedimento confermato (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 22.08.2023, n. 7891; TAR Torino, sez. II, sentenza n. 737/2023: "La distinzione tra atti confermativi e atti meramente confermativi si ravvisa nell'eventuale istruttoria svolta dall'amministrazione e nel contenuto motivazionale del nuovo provvedimento, dal quale dovrebbe risultare una nuova ponderazione degli interessi in conflitto e/o l'attività diretta ad accertare l'effettiva sussistenza del vizio dedotto dalla parte interessata con la nuova istanza. Pertanto, un atto deve qualificarsi come meramente confermativo quando non sia preceduto da un riesame della situazione che aveva condotto al provvedimento precedente, ma 'l'amministrazione si limiti a dichiarare l'esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazionè (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 02.05.2023, n. 4399; Consiglio di Stato, sez. II, 9 giugno 2020, n. 3673)... Così configurato, l'atto meramente confermativo non costituisce un'autonoma determinazione del Comune, sia pure identica nel contenuto alla precedente, ma solo la manifestazione della decisione della p.a. di non ritornare nelle scelte effettuate. Detto altrimenti, l'atto meramente confermativo non è impugnabile, perché non integra un'autonoma determinazione dell'Amministrazione, sia pure identica nel contenuto alla precedente (Cons. Stato, VI, 10.3.2011, n. 1530; TAR Lazio, Roma, II, 15.2.2012, n. 1508)"). Nel caso in esame, il Collegio reputa che l'atto impugnato con il ricorso per motivi aggiunti non abbia natura meramente confermativa della precedente determinazione del Comune di (omissis) n. 1490/2020, posto che, già sul piano letterale ("si aggiunge quanto segue", cfr. doc. 7 depositato dal Comune), emerge che il provvedimento in questione introduce nuove e diverse argomentazioni a sostegno della determinazione negativa, con il risultato che la motivazione è solo in parte sovrapponibile a quella del primo provvedimento. L'integrazione della motivazione del diniego rende dunque evidente la natura dispositiva dell'atto impugnato. 3. Il Collegio procede alla trattazione nel merito del ricorso principale, prendendo le mosse dalla prima censura, nella parte volta a contestare la legittimità formale e procedurale del provvedimento impugnato. Con tale doglianza la società contesta lo svolgimento della seconda conferenza di servizi, in occasione della quale il rappresentante del Comune ha letto il parere negativo all'esordio della seduta, anziché all'esito della stessa. Tale censura non merita accoglimento. L'amministrazione comunale ha infatti correttamente partecipato alla conferenza di servizi per il tramite del proprio rappresentante che ha espresso la volontà dell'ente. La circostanza che il parere negativo sia stato espresso in apertura della seduta non comporta un vizio del provvedimento finale, perché risulta dimostrato dagli atti di causa che il contenuto dello stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Nel verbale della seconda conferenza di servizi, tenutasi il 29.10.2020, il Dirigente comunale precisa infatti che "l'elemento su cui l'Amministrazione comunale non intende transigere è la necessità di compensare l'edificazione di aree libere con una quota equivalente di demolizioni, a prescindere dal sub-ambito di partenza. (...) Le integrazioni prodotte non vanno nella direzione auspicata dal Comune, né rispettano quanto richiesto in sede di Prima seduta della Cds. (...) Nella Proposta di variante presentata non si ravvede l'interesse pubblico auspicato dal Programma (omissis) Rigenera . Si rimarca che la pianificazione urbanistica è un compito in capo al Comune, che nel caso specifico è l'Ente depositario dell'interesse prevalente al riguardo. Stante la documentazione agli Atti, la procedura seguita, e alla luce delle problematiche emerse, il Responsabile del procedimento non può che chiudere la Conferenza di servizi con l'espressione del parere già letto. Non si ritiene percorribile la strada di un accoglimento con prescrizioni" (cfr. verbale della conferenza del 29.10.2020, pp. 5-6 del doc. 21 depositato da parte ricorrente). 4. Con il primo motivo di gravame, la società Ca. lamenta altresì la violazione del principio del giusto procedimento, nonché la violazione dell'art. 17 bis della legge regionale n. 56/1977, dell'art. 14 della legge regionale n. 20/2009 e dell'art. 12 della legge regionale n. 16/2018 per ragioni sostanziali. In particolare, la società stigmatizza l'operato dell'amministrazione che, solo in sede di seconda conferenza di servizi, avrebbe tentato di introdurre modifiche al progetto di variante semplificata, nonostante le stesse non fossero emerse nella fase di esame progettuale e in sede di prima conferenza di servizi e nonostante le stesse non risultassero coerenti con le linee guida dettate dalla DGC n. 252/2018 e della deliberazione del Consiglio Comunale n. 46 del 11/05/2017 (cfr. p. 19 del ricorso). 5. Con il secondo motivo di gravame, inoltre, la società ricorrente censura le motivazioni del provvedimento impugnato, ritenendo che lo stesso denoti "una chiara strumentalità, volta a rigettare aprioristicamente la Variante proposta", indice di un sintomatico vizio di eccesso di potere per sviamento (cfr. p. 21 del ricorso). In particolare la ricorrente contesta: che il tema del boulevard non era trattato nella delibera n. 252 del 25.07.2018 e sarebbe stato "introdotto dal rappresentante dell'Ente in piena autonomia e in assenza di una indicazione da parte dell'Organo deliberativo" (cfr. p. 21 del ricorso); che il tema della trasformazione ad utilizzo sportivo delle aree connesse, seppur indicato nella delibera n. 252 del 25.07.2018, non era vincolante e, comunque, non è mai stato affrontato in sede di conferenza; che i temi del prolungamento della Via (omissis) e del cronoprogramma avrebbero potuto costituire oggetto di prescrizioni della conferenza e non determinare il provvedimento di diniego. Tutti gli argomenti addotti dall'amministrazione atterrebbero poi alla fase attuativa e non a quella di pianificazione e ciò risulta tanto più evidente con riferimento al punto relativo al prolungamento di via (omissis) poiché il Comune ha chiesto una rappresentazione grafica esplicativa, nonché con riferimento al punto in cui il Comune richiede l'assunzione da parte della società dei costi di espropriazione dei terreni. 6. Il Collegio ritiene di esaminare congiuntamente tali profili di censura, in uno alla doglianza sollevata con ricorso per motivi aggiunti e volta a contestare nel merito la già citata nota del 22 giugno 2022, che ha confermato la precedente decisione di definire negativamente la conferenza di servizi, adducendo però ulteriori argomentazioni con riferimento ai seguenti tre punti: "Volontà della Città di valorizzare ulteriormente il boulevard urbano, creando i presupposti per una continuità scenico -percettiva, anche futura, verso l'area del (omissis)", "Necessità di garantire, attraverso dei chiari passaggi attuativi definiti in scheda normativa, il completamento delle opere infrastrutturali funzionali all'intero intervento e per questo richieste in anticipazione unitamente all'attuazione del primo sub-ambito. Nella fattispecie si tratta delle opere identificate dal perimetro aree connesse su corso (omissis) e della nuova viabilità di collegamento in prosecuzione della via (omissis)", "Necessità di disciplinare l'ordine di attuazione degli interventi in termini vincolanti, in esito agli approfondimenti di carattere ambientale documentati in uno specifico cronoprogramma" (cfr. doc. 7 depositato dal Comune resistente). 7. Le censure sono fondate nei termini che seguono. Emerge in via documentale che il progetto presentato dalla società ricorrente è coerente rispetto agli atti di indirizzo espressi dal Consiglio Comunale con la deliberazione n. 46 del 11/07/2017 e dalla Giunta Comunale con la deliberazione n. 252 del 25.07.2018, come, tra l'altro, risulta da quanto deliberato dall'ente comunale, ove si chiarisce che lo schema progettuale depositato dalla società Ca. in data 2.07.2018 è "condivisibile nell'impianto urbano e in linea generale coerente con gli obbiettivi fissati dal Consiglio Comunale nella delibera di approvazione del Programma "(omissis) Rigenera", ma nondimeno suscettibile di miglioramenti progettuali in riferimento ad alcuni aspetti di particolare interesse per la Città " (cfr. delibera n. 252/2018, doc. 14 di parte ricorrente). A fronte di tale generale valutazione di compatibilità dello schema progettuale con gli atti di indirizzo, i provvedimenti di diniego oggetto di impugnazione non risultano adeguatamente motivati dall'amministrazione comunale, poiché contengono profili nuovi e in parte non coerenti con quanto programmato. Occorre innanzitutto richiamare l'orientamento più volte espresso dalla giurisprudenza secondo cui "Le scelte urbanistiche del Comune sono rimesse esclusivamente all'Amministrazione che le adotta in base ad una ratio che, entro determinati limiti, è pur sempre sindacabile in sede giurisdizionale. (...)La verifica della legittimità delle scelte urbanistiche da effettuarsi secondo il criterio della sussumibilità delle figure sintomatiche dell'eccesso di potere si atteggia però diversamente in relazione all'ipotesi, quale è quella in esame, di una variante semplificata avente ad oggetto la localizzazione di un'opera su una porzione specifica e limitata del territorio che, per la natura ed entità della variazione proposta, non implica scelte di politica urbanistica di carattere generale stricto sensu, sì che la determinazione da assumersi da parte dell'Amministrazione, nella comparazione degli interessi coinvolti, ben è assoggettabile a un più ampio e stringente sindacato giurisdizionale, in relazione, s'intende, ai profili di invalidità appositamente denunciati dagli interessati, senza che si possa in ciò configurare una non consentita funzione sostitutiva del giudice amministrativo a danno delle funzioni e delle prerogative dell'Autorità istituzionalmente preposta alla gestione della relativa procedura (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1673 del 2015, con riguardo all'analoga procedura semplificata di cui al previgente d.P.R. n. 447/1998, riferibile senz'altro alla successiva e analoga disciplina di cui all'odierna controversia)" (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 24/11/2022, n. 10354). Orbene, gli impugnati provvedimenti di diniego non risultano puntualmente giustificati rispetto ai presupposti atti di indirizzo, e disattendono così l'obbligo di motivazione sancito dalla giurisprudenza in tema di varianti localizzative (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 19.06.2023, n. 6003; Consiglio di Stato, sez. VI, 19/06/2023, n. 6003; Cons. Stato, sez. II, n. 7484/2022; Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 10354 del 24.11.2022; Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1118 del 2014, che ha escluso l'applicabilità dell'art. 13 della legge n. 241/1990 alle varianti localizzative). 8. In particolare, con riferimento al tema del boulevard urbano e all'esigenza di ulteriormente valorizzarlo creando i presupposti per una continuità scenico-percettiva, anche futura, verso l'area del (omissis), ovvero in relazione all'argomentazione secondo cui "Rimarcare la continuità dei percorsi pedonali a giustificazione delle scelte adottate non risolve la problematica sollevata, in quanto ciò che si chiede è una maggiore valorizzazione scenica del boulevard e non una maggiore continuità funzionale, allo stato già evidente e condivisa" (come indicato sia nel diniego n. 1490/2020, sia nella nota del 22 giugno 2022 impugnata con ricorso per motivi aggiunti), il Collegio reputa che il tema non era puntualmente indicato nei presupposti atti di indirizzo, nonostante il tenore generale delle prescrizioni contenute nella delibera della Giunta Comunale n. 252/2018. Deve infatti evidenziarsi che la mera indicazione secondo cui l'Ente, con la citata delibera, esprimeva "condivisione generale dell'impianto urbano, rimarcando comunque la necessità di ulteriori miglioramenti progettuali da condividere con l'Amministrazione" (cfr. p. 4, doc. n. 25 depositato dalla ricorrente e citato a p. 13 memoria del comune del 30.08.2022) non è sufficiente a supportare il provvedimento di diniego impugnato, che richiede anche la valorizzazione scenico-percettiva del boulevard. 9. In secondo luogo, con riferimento alla necessità, indicata nell'impugnata nota del 22 giugno 2022, di garantire il completamento di opere funzionali all'intero intervento (più in particolare, relativamente alle opere identificate dal perimetro delle aree connesse su corso (omissis) e della nuova viabilità di collegamento in prosecuzione della via (omissis)), per il quale l'amministrazione ha chiarito di non voler avviare procedimenti espropriativi, con invito - nella nota impugnata con motivi aggiunti - a "riconsiderare le previsioni di progetto inerenti alle viabilità, escludendo tutte le aree che non siano già in capo al Comune oppure in proprietà del soggetto proponente l'intervento" (cfr. doc. 7 di parte resistente), la questione non emerge dalle linee guida comunali: nella delibera della Giunta Comunale n. 252/2018, infatti, era espressa una generale condivisione dello schema di progetto presentato dalla società Ca., con alcune indicazioni "di merito" che non riguardavano gli eventuali espropri da realizzare, bensì differenti profili (demolizioni simultanee all'attuazione dell'unità di intervento destinata a RSA; riqualificazione a uso sportivo di parte delle aree connesse disposte sul lato nord del futuro prolungamento di via (omissis) verso corso (omissis); localizzazione dell'edificio destinato a RSA nel rispetto del filo edilizio determinato dagli attuali fabbricati residenziali posti sul lato ovest di via (omissis); la previsione di un camminamento coperto a uso pubblico al piede dei fabbricati disposti lungo via (omissis), cfr. doc. 14 di parte ricorrente) e, tuttavia, dette indicazioni di merito erano previste nel provvedimento come profili da "valutare" e non aventi carattere vincolante. 10. Infine, per quanto concerne la questione relativa alla necessità di un cronoprogramma che scandisca l'ordine di attuazione degli interventi, si evidenzia che la stessa attiene a un profilo esecutivo e non progettuale e, pertanto, non è idonea a sorreggere la motivazione del diniego opposto dall'amministrazione sulla proposta di variante. In definitiva, il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti devono essere accolti, nei termini indicati. La particolarità e la complessità della causa giustificano la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso principale e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati, ai fini del riesame dell'istanza. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Bellucci - Presidente Marco Costa - Referendario Stefania Caporali - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 989 del 2023, proposto da Wa. to Me. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Cu. Sm. Ri. (AC.) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ri. Mo. e Cr. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; C.E. - Consorzio Ec. Cu., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Sc., Se. Vi. e Ch. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti En. It. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Bo. e Ro. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Torino, via (...); per l'annullamento - del provvedimento, prot. n. 3841 del 27 ottobre 2023, con cui la ricorrente è stata esclusa dalla procedura aperta n. 02/2023 indetta dalla AC. s.p.a., avente a oggetto la fornitura, l'installazione e la messa in esercizio di un impianto di digestione anaerobica dei rifiuti presso l''impianto di Borgo (omissis) (CN), finanziato dall''Unione Europea - Next Generation EU - PNRR, Missione 2, componente 1; - di tutti i verbali di gara e, in particolare, di quelli: a) n. 9, relativo alla seduta del 25 ottobre 2023; b) n. 10 del 31 ottobre 2023, con il quale è stata proposta l'aggiudicazione favore della controinteressata; c) del Consiglio di Amministrazione dell'A. del 20 novembre 2023, con il quale è stato approvato il provvedimento di esclusione della ricorrente e disposta l'aggiudicazione in favore della controinteressata; - di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale a quello impugnato e, per quanto occorrer possa, del disciplinare di gara e del capitolato speciale; nonché per l'annullamento o la declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente stipulato; e per il risarcimento dei danni, nei termini che saranno dedotti; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Azienda Cu. Sm. Ri. (AC.) s.p.a., della società En. It. s.p.a., del Ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica e del C.E. - Consorzio Ec. Cu.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del 20 marzo 2024 il dott. Luca Pavia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Il Consorzio Ec. Cu. esercita funzioni di governo e di coordinamento nell'organizzazione dei servizi di bacino presso i 54 Comuni consorziati, per assicurare la gestione unitaria dei rifiuti urbani nella fase di raccolta e di avvio a recupero e smaltimento. La AC. s.p.a. è, invece, una società pubblica, di cui sono soci 54 Comuni della Provincia di Cuneo, che si occupa di gestire gli impianti tecnologici di trattamento e recupero dei rifiuti, comprese le discariche. 2. Con il decreto m-ante.MITE.DISS.REGISTRO DECRETI.R. 0000198.02 - 12- 2022, il Ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica ha approvato la graduatoria definitiva delle proposte ammesse al finanziamento per la realizzazione dell'intervento di installazione e messa in esercizio di un impianto di digestione anaerobica dei rifiuti, con produzione di biometano e ha, conseguentemente, attribuito al Consorzio Ec. Cu. un contributo pari a 12.851.000,00 euro per la realizzazione di una struttura in Borgo (omissis) (CN). 3. Con bando, pubblicato sulla G.U.U.E. del 22 giugno 2023 e sulla G.U.R.I. del 26 giugno 2023, la AC. s.p.a. ha conseguentemente indetto la "gara europea n. 02/2023, per l'appalto di fornitura, installazione e messa in esercizio di un impianto di digestione anaerobica dei rifiuti, con produzione di biometano, presso l'impianto di Borgo (omissis) (CN) - finanziato dall'Unione Europea - Next Generation EU - PNRR, Missione 2, Componente 1, Investimento 1.1., Linea B - CUP c35h19000150005 - CIG 99014230BF". Nello specifico, si trattava di una procedura aperta da aggiudicare secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa (70 punti per l'offerta tecnica e 25 punti quella economica, con la possibilità di attribuire un massimo di 5 punti al cronoprogramma delle attività ). 4. Entro il termine stabilito dal bando e dal disciplinare (5 settembre 2023) hanno presentato offerta due concorrenti: la En. s.p.a. e la Wa. to Me. s.r.l., odierna ricorrente. 5. Il 25 ottobre 2023 l'odierna ricorrente è stata esclusa perché la proposta non garantiva il raggiungimento di tutte le prestazioni previste dall'art. 130 del C.S.A.. 6. Il 31 ottobre 2023 la Commissione ha proposto l'aggiudicazione nei confronti della società En. s.p.a. e ha trasmesso gli atti al RUP (verbale numero 10) il quale ha, a sua volta, disposto l'esclusione della ricorrente e proposto l'aggiudicazione a favore della controinteressata. Tutti gli atti di gara, ivi compresa la proposta di aggiudicazione, sono stati approvati dalla stazione appaltante il 16 novembre 2023. 7. Con ricorso, notificato il 24 novembre 2023 e depositato il successivo 27 novembre, la ricorrente ha impugnato gli atti della procedura chiedendone l'annullamento, previa sospensione cautelare, perché asseritamente illegittimi. 8. All'esito dell'udienza camerale del 13 dicembre 2023, il Collegio ha dato atto della rinuncia all'istanza cautelare e ha ordinato alla ricorrente di rinnovare la notificazione nei confronti del Ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica nonché di integrare il contraddittorio nei confronti del Consorzio Ec. Cu.. 9. All'udienza pubblica del 20 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio. 10. In via preliminare, il Collegio deve dare atto dell'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa notificazione al Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica. Come noto, ai sensi dell'art. 12-bis, comma 4, del d.l. 68/22, convertito dalla legge 5 agosto 2022, n. 108, "Sono parti necessarie dei giudizi disciplinati dal presente articolo le amministrazioni centrali titolari degli interventi previsti nel PNRR, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, lettera l), del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, per le quali si osservano le disposizioni delle leggi speciali che prescrivono la notificazione presso gli uffici dell'Avvocatura dello Stato. Si applica l'articolo 49 del codice del processo amministrativo, di cui all'allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104". Articolo, quest'ultimo, che, come noto, prevede la possibilità per il giudice di disporre l'integrazione del contraddittorio in caso di proposizione del ricorso avverso solo taluno dei controinteressati. Tuttavia, nel caso di specie, ci si trova innanzi a un problema peculiare in cui la ricorrente ha correttamente individuato l'amministrazione controinteressata titolare degli interventi previsti dal PNRR (Ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica), salvo, poi, notificare il ricorso all'Avvocatura generale dello Stato anziché a quella distrettuale, come invece previsto dall'art. 11, comma 1, del r.d. 1611/33, a fronte del quale "Tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi agli arbitri, devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'Autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro competente". Sul punto si evidenzia, in linea generale, che la giurisprudenza ritiene inammissibile il ricorso di primo grado proposto avverso un atto adottato da Amministrazione statale, che sia stato notificato presso l'Avvocatura generale dello Stato anziché a quella distrettuale nella cui circoscrizione siede il giudice adito (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 6 marzo 2012, n. 1272). Principio, questo, che è stato recentemente ribadito dal Consiglio di Stato, il quale ha evidenziato che "se la notifica dell'appello proposto avverso la sentenza di un Tar ha avuto luogo presso l'Avvocatura dello Stato del distretto in cui ha sede il Tribunale, la notifica deve considerarsi nulla, con conseguente inammissibilità dell'appello stesso, ove l'Amministrazione evocata non abbia sanato tale nullità con la propria costituzione in giudizio" (cfr. Consiglio di Stato sez. II, 10 gennaio 2023, n. 311) né è possibile applicare al caso di specie la sanatoria prevista dall'articolo 44, comma 3, del c.p.a. stante la mancata costituzione dell'amministrazione intimata. Tuttavia, nel caso in esame, il Ministero titolare della procedura di finanziamento non può essere considerato un'amministrazione resistente e, pertanto, anche alla luce del fatto che il ricorso è stato notificato ad almeno uno dei controinteressati, a seguito dell'integrazione del contraddittorio, disposta con l'ordinanza n. 496/23, l'eccezione di inammissibilità deve essere respinta. 11. Sempre in via preliminare, il Collegio è tenuto a esaminare l'eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa integrale impugnazione del (plurimotivato) provvedimento d'esclusione. L'eccezione è in parte fondata, con le precisazioni che seguiranno. Come noto, per giurisprudenza costate, l'annullamento "di un atto-plurimotivato di segno negativo è condizionato alla presentazione di censure in ordine a tutte le autonome motivazioni, in grado da sole di sostenere la decisione; il mancato accoglimento anche di uno solo dei motivi determina, dunque, l'inammissibilità degli altri per difetto d'interesse, in quanto il privato non potrebbe trovare alcuna soddisfazione dall'eventuale accoglimento di una delle restanti censure, reggendosi il provvedimento gravato su altro autonomo motivo passato indenne al vaglio di legittimità " (ex multis T.A.R. Toscana, sez. II, 5 luglio 2023, n. 688). Ebbene, il ricorso in esame si fonda essenzialmente su due argomentazioni: la prima, mira a sostenere l'illegittimità dell'esclusione, perché l'articolo 130 del capitolato non prevedrebbe dei requisiti minimi dell'offerta mentre con la seconda la ricorrente ritiene che, anche qualora i requisiti de quibus fossero ritenuti escludenti, essa non dovrebbe essere comunque esclusa dalla procedura perché la propria proposta sarebbe perfettamente corrispondente o, quanto meno, equivalente a quanto prescritto dalla lex specialis. Appare, quindi, evidente che, se all'esito di un esame del merito del ricorso si giungesse a ritenere che l'articolo 130 del Capitolato prevede dei requisiti minimi dell'offerta, l'esclusione della ricorrente sarebbe legittima a prescindere dalle ulteriori doglianze perché essa non ha contestato tutti i punti del giudizio della commissione di gara. Nello specifico, essa non ha preso posizione sui punti: 20 (Acqua in forma liquida), 21 (Altri gas che potrebbero avere effetti sulla sicurezza o integrità del sistema di trasporto/distribuzione) della tabella 4 (Parametri garantiti composizione e caratteristiche fisiche e energetiche del biometano al punto di consegna) nonché sui punti: 2 (parametro NH3), 3 (Ammine come metilammina), 5 (parametro HCI), 6 (Carbonio organico totale escluso il metano COT-NM) e 7 (Polveri) della tabella 5 (Parametri garantiti. Composizione off-gas alla flangia di emissione). Né tale omissione può essere supplita dalle difese della ricorrente secondo cui essi sarebbero stati contestati nella parte dell'impugnazione in cui si sostiene che non sarebbe necessaria un'espressa "garanzia" delle prestazioni in quanto essa sarebbe stata implicitamente prestata al momento dell'accettazione di tutte le regole della lex specialis. Invero, tale, generica, affermazione potrebbe al massimo essere valida per i punti 20 e 21 della tabella 4, che richiedevano una mera dichiarazione di assenza di acqua in forma liquida o di altri gas che potrebbero incidere sulla sicurezza o integrità del sistema di trasporto/distribuzione, mentre essa non è idonea a censurare il giudizio relativo ai punti 2, 3, 5, 6 e 7 della tabella 5 i quali impongono, invece, l'indicazione di un valore espressamente inferiore a massimali indicati in tabella. In conclusione, l'eccezione è fondata e deve essere accolta, seppur con i limiti di cui sopra con conseguente parziale declaratoria di inammissibilità del ricorso nella parte in cui pur censurando l'operato della commissione di gara non ne contesta in toto la valutazione. 12. Sempre in via preliminare, il Collegio deve esaminare l'eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione delle disposizioni della lex specialis di gara che prescriverebbero i requisiti minimi dell'offerta e l'escussione del concorrente che non li rispetta, sollevata dal Consorzio Ec. Cu.. L'eccezione è infondata perché, al contrario di quanto sostenuto dal Consorzio, la ricorrente non contesta il contenuto delle disposizioni de quibus ma ne offre un'interpretazione a sé favorevole la di lui fondatezza che deve necessariamente essere oggetto di uno scrutinio di merito. 13. Ciò posto, con il proprio ricorso, i cui motivi possono essere trattati congiuntamente stante la loro stretta interconnessione, la ricorrente asserisce che non solo tutti i dati tecnici richiesti sarebbero evincibili dalla propria offerta e, soprattutto, che nessuna disposizione del disciplinare o del capitolato imporrebbe la presentazione di un'apposita dichiarazione di "garanzia", la quale sarebbe, di fatto, assorbita nell'accettazione incondizionata delle disposizioni della lex specialis. A dire della ricorrente, inoltre, l'articolo 130 del Capitolato non prevedrebbe neppure un criterio escludente in quanto i requisiti minimi dell'offerta sarebbero contenuti nell'art. 16 del Disciplinare e negli artt. da 97 a 127 del Capitolato mentre il menzionato articolo 130 (che sancirebbe la possibilità di applicare delle penali, il rifiuto della fornitura e, financo, la risoluzione del contratto) prevedrebbe dei meri requisiti esecutivi della prestazione; senza contare che le garanzie imposte sarebbero del tutto generiche e, pertanto, inidonee a determinare l'esclusione di un concorrente. La Società evidenzia, poi, che non solo le disposizioni del bando e del disciplinare prevedrebbero che il digestore dovesse funzionare solo in modalità termofila ma anche che il suo impianto sarebbe comunque in grado di operare in entrambe le modalità (termofilo e mesofilo) e, pertanto, la stazione appaltante era tenuta a chiedere chiarimenti, anche mediante l'istituto del soccorso procedimentale, anziché disporre immediatamente l'esclusione della ricorrente. La censura è stata, ulteriormente, precisata nel terzo motivo di ricorso in cui la Società, dopo aver ribadito la conformità della propria offerta al contenuto della lex specialis, ritiene che la stazione appaltante avrebbe dovuto ammetterla anche in omaggio al principio di equivalenza. 13.1. Il ricorso è infondato. 13.2. Come noto, per giurisprudenza consolidata l'esclusione "dell'offerta per difformità dai requisiti minimi può operare soltanto nei casi in cui la lex specialis preveda caratteristiche e qualità dell'oggetto dell'appalto che possano essere qualificate con assoluta certezza come caratteristiche minime, perché espressamente definite come tali o perché se ne fornisce una descrizione che ne rivela in modo certo ed evidente il carattere essenziale; laddove manchi una tale certezza e permanga un margine di ambiguità circa l'effettiva portata delle clausole del bando, riprende vigore il principio residuale che impone di preferire l'interpretazione della lex specialis maggiormente rispettosa del principio del favor partecipationis e dell'interesse al più ampio confronto concorrenziale, oltre che della tassatività - intesa anche nel senso di tipicità ed inequivocabilità - delle cause di esclusione" (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 31 maggio 2023, n. 5393). Ebbene, con specifico riferimento al caso di specie, il paragrafo 16 del disciplinare (dedicato al contenuto e alla presentazione dell'offerta tecnica) prevede espressamente che dalla documentazione da inviare si sarebbero dovute evincere, tra l'altro, "le specifiche tecniche e prestazionali, comprensive delle garanzie di processo e tecnologiche, che assicurino il raggiungimento di tutte le prestazioni da garantire, esplicitando il "valore dichiarato" per ciascun indicatore di prestazione, di cui all'art. 130 del C.S.A.; i valori prestazionali dichiarati in sede di gara non possono essere peggiorativi rispetto ai "valori garantiti"". Il successivo paragrafo 19.1 sancisce, invece, che il "concorrente verrà altresì escluso qualora le forniture proposte non assicurino il raggiungimento delle prestazioni minime di cui al Capitolato speciale d'appalto, come meglio specificato al successivo paragrafo 25". Disposizione, quest'ultima che prevede espressamente l'esclusione delle offerte che "non garantiscano il raggiungimento di tutte le prestazioni di cui all'art. 130 del C.S.A., che il concorrente deve indicare, dichiarandole in sede di gara". Le disposizioni richiamate sono dunque, inequivoche nel prevedere che il mancato rispetto delle prestazioni da garantire, espressamente indicate nell'art. 130 del capitolato, avrebbe determinato l'esclusione dalla procedura. Il richiamo all'art. 130 del capitolato da parte del paragrafo 25 del bando, rende altresì impossibile sostenere che disposizione prescriva dei requisiti meramente esecutivi: dal combinato disposto delle disposizioni indicate emerge, infatti, che le "prestazioni da garantire" siano di importanza tale da determinare sia l'esclusione dalla gara, qualora l'operatore economico non si impegni espressamente ad assicurarle, sia l'applicazione delle sanzioni indicate se, nonostante la garanzia, la prestazione non raggiunga il livello qualitativo minimo previsto. Del resto, il fatto che gli elementi indicati nelle tabelle previste nell'art. 130 non siano espressamente contemplati come criteri di valutazione dell'offerta tecnica non fa altro che avvalorare le tesi secondo cui la loro importanza è tale per cui il loro mancato raggiungimento non incide sull'attribuzione dei punteggi ma comporta l'esclusione del concorrente per mancato rispetto dei requisiti minimi dell'offerta. Né è possibile sostenere che i parametri de quibus siano eccessivamente generici e, quindi, inidonei a determinare l'esclusione dalla gara in quanto dalla loro semplice lettura appare evidente che essi prescrivano un chiaro livello mimino della prestazione che ogni concorrente è tenuto a rispettare, si pensi, ad esempio, all'affidabilità del 100% che è chiaramente volta a impedire fermi dell'impianto. Si evidenzia, infine, che l'importanza attribuita dalla stazione appaltante alle prescrizioni de quibus è tale da escluderne l'ottemperanza mediante una generica dichiarazione di adesione a tutte le prescrizioni previste dalla lex specialis. 13.3. Tanto premesso, si evidenzia che, per sua espressa ammissione, la ricorrente non ha rispettato il disposto del paragrafo 25 del disciplinare che, come visto, prevedeva, a pena di esclusione, che le prestazioni indicate dall'art. 130 del Capitolato dovessero essere dichiarate espressamente e specificatamente in fase di gara. Ne consegue che per tale assorbente ragione il ricorso è infondato e deve essere respinto: si rammenta, infatti, che, come precedentemente evidenziato, la ricorrente non ha censurato tutti i parametri non garantiti o addirittura reputati peggiorativi rispetto a quanto prescritto dalla lex specialis di gara. 13.4. Nonostante quindi le considerazioni de quibus siano di per sé sufficienti per escludere la ricorrente dalla procedura, il Collegio evidenzia, per mere ragioni di completezza, che la Commissione di gara ha comunque esaminato il contenuto dell'offerta e ha rilevato che non solo le prestazioni mimme non erano state garantite ma anche che alcuni elementi della proposta erano addirittura peggiorativi rispetto a quanto richiesto (capacità di trattamento dei digestori, consumo di energia elettrica, portata nominale e massima del Biogas a secco nonché emissioni di CH4 e H2S); a cui si deve aggiungere che l'impianto proposto è in grado di operare solo in modalità termofila. Ciò posto, prima di esaminare i singoli elementi peggiorativi dell'offerta, il Collegio ritiene doveroso premettere che, per giurisprudenza costante, la valutazione delle offerte "è espressione dell'ampia discrezionalità riconosciuta a tale organo, così che le censure sul merito di tale valutazione sono sottratte al sindacato di legittimità, ad eccezione dell'ipotesi in cui si ravvisi manifesta irragionevolezza, arbitrarietà, illogicità, irrazionalità o travisamento dei fatti" (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 25 agosto 2023, n. 7942). In particolare, per giurisprudenza altrettanto pacifica, il "sindacato del giudice amministrativo sull'esercizio della propria attività valutativa da parte della Commissione giudicatrice di gara non può sostituirsi a quello della pubblica amministrazione, in quanto la valutazione delle offerte nonché l'attribuzione dei punteggi da parte della Commissione giudicatrice rientrano nell'ampia discrezionalità tecnica riconosciuta a tale organo; le censure che attingono il merito di tale valutazione (opinabile) sono inammissibili, perché sollecitano il giudice amministrativo ad esercitare un sindacato sostitutivo, al di fuori dei tassativi casi sanciti dall'art. 134 c.p.a., fatto salvo il limite della abnormità della scelta tecnica; ne deriva che, come da consolidato indirizzo giurisprudenziale, per sconfessare il giudizio della Commissione giudicatrice non è sufficiente evidenziarne la mera non condivisibilità, dovendosi piuttosto dimostrare la palese inattendibilità e l'evidente insostenibilità del giudizio tecnico compiuto" (ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 27 febbraio 2023, n. 494). 13.3.1. Ciò posto, con specifico riferimento alla capacità di trattamento dei digestori, la lex specialis prescriveva che essa dovesse essere = 31.500 t/a mentre la commissione ha desunto dall'offerta che quelli proposti avessero una capacità di soli 29.750 t/a. Si tratta di una conclusione che non può essere messa in dubbio dalla consulenza tecnica della ricorrente (secondo cui la capacità degli impianti de quibus sarebbe pari a 32.120 t/a), in quanto il suo contenuto è stato confutato sia dalla resistente, la quale evidenzia che il calcolo proposto non prederebbe in considerazione la densità del materiale di gestione, sia dalla relazione del tecnico di fiducia della controinteressata il quale, dopo aver ribadito che il calcolo non prende in considerazione la densità del materiale ed evidenziato che il tecnico di controparte avrebbe arbitrariamente assunto come valore HRT 25 giorni, ha concluso affermando che "Preso atto dell'incorrettezza della formula applicata, per entrambi i calcoli portati ad esempio, il parametro non è solo "non dichiarato", ma anche non deducibile e di conseguenza potenzialmente "inferiore al minimo garantito"". 13.3.2. Per quanto riguarda, poi, il consumo di energia elettrica per il materiale ingestato (che avrebbe dovuto essere almeno pari a 5.18 kWh/t), si evidenzia che la Commissione ha ricavato, dalla stima dei consumi del piano di manutenzione, un valore pari a soli 35 kWh/t e, anche in questo caso, i calcoli contenuti nella perizia della ricorrente, sono stati ritenuti inattendibili sia dall'amministrazione resistente (la quale ha evidenziato che i consumi sono stati desunti selezionando arbitrariamente solo alcune voci di consumo elettrico) sia dal consulente della controinteressata, il quale ha dichiarato che poiché la ricorrente non ha espressamente indicato i dati di base qualunque tipologia di calcolo potrebbe comunque a conclusioni incerte. Si tratta di considerazioni pacificamente estendibili anche al consumo elettrico della sezione di raffinazione del biogas, il quale doveva essere = 0,35 kWh/Nm3 ed è, invece, stato individuato come pari a 0,4975 kWh/Nm3 ovvero ad un massimo di 0,32 kWh/Nmc e 0,292 kWh/Nmc, come indicato nella scheda tecnica. Poiché quindi, trattandosi di un requisito essenziale dell'offerta, la certezza dei dati era essenziale, anche sotto tale aspetto l'operato della commissione di gara appare immune da censure di ordine logico. 13.3.3. Per quanto concerne la portata nominale di biogas secco, si evidenzia che essa avrebbe dovuto essere pari a 600 Nm3/h mentre la Commissione di gara ha ricavato un valore pari a 595,36 Nmc/h (con la precisazione che la scheda tecnica riportava un valore pari a 560 Nmc/h), e, quindi, inferiore al minimo richiesto. Anche tali considerazioni non possono essere confutate dalla consulenza tecnica di parte, in quanto, anche in questo caso, l'amministrazione ha evidenziato che la ricorrente non ha precisato se i valori indicati fossero riferiti al biogas secco o a quello a umido. Del pari, nell'elaborato "Schede Tecniche - Data Sheet", è indicata una portata massima di biogas secco a 650 Nm3/h mentre avrebbe dovuto essere almeno pari a 750 Nm3/h, e, sul punto, neppure la consulenza tecnica della ricorrente ha preso posizione, confermando, così, implicitamente il giudizio della commissione di gara. 13.3.4. Con specifico riferimento, poi, al fatto che l'off gas dovesse avere una quantità di acido solfidrico (H2S) inferiore a 5 mg/Nm3, l'offerta della ricorrente indica solo un'efficienza di abbattimento pari all'80%, senza però quantificare la quantità emessa. Sul punto la consulenza della ricorrente tenta di confutare l'assunto affermando che l'acido solfidrico "o idrogeno solforato, la cui formula chimica H2S, è sempre bloccato dalle membrane del sistema Upgrading. Infatti, il valore di una efficienza superiore all'80% consente di affermare anche che il valore possa essere inferiore a 5 mg/Nm3", senza, però, indicare le ragioni da cui si desumerebbe che un'efficienza dell'80% porterebbe al rispetto del parametro minimo richiesto. Del resto, anche la consulenza della controinteressata evidenzia che, non essendo indicato il valore di H2S in entrata "Non è possibile dedurre un valore di H2S nell'offgas con le informazioni a disposizione" e che, pertanto "La difesa proposta da W2M risulta non clarificatoria e inconcludente". 13.3.5. In conclusione, il Collegio ritiene che, anche alla luce dei chiarimenti resi dalla resistente e dalla controinteressata nei propri scritti difensivi, la Commissione di gara non abbia effettuato una valutazione manifestatamente erronea o irragionevole, posto che le contestazioni della ricorrente si risolvono nella richiesta di sovrapporre la valutazione del giudice a quella dell'amministrazione procedente. Alle argomentazioni difensive e alla perizia prodotta da parte ricorrente (la quale sostiene, in estrema sintesi, che tutti i dati richiesti sarebbero evincibili dalla relazione tecnica prodotta e che i requisiti minimi dell'offerta sarebbero stati rispettati), si contrappongono, infatti, il giudizio della commissione di gara, gli scritti defensionali della resistente e della controinteressata (con annessa perizia di parte, la quale ritiene non condivisibili e arbitrarie le conclusioni raggiunte dal tecnico di fiducia della ricorrente), a dimostrazione che la censura de qua si riduce, nella sostanza, alla proposta di una diversa valutazione tecnica rispetto a quella operata dall'amministrazione procedente, su cui però, per i motivi già illustrati, il sindacato del giudice non può spingersi. 13.4. Si evidenzia, infine, che la Commissione di gara ha, inoltre rilevato, che l'impianto della ricorrente funzionerebbe solo in modalità termofila o che, comunque, la concorrente non solo non avrebbe espressamente dichiarato la possibilità di operare in modalità mesofila ma anche che tale dato non sarebbe evincibile dalla documentazione tecnica allegata. Al contrario, la ricorrente sostiene, non solo che tale specifica non sarebbe richiesta dalla lex specialis della procedura ma anche che, dalla dichiarazione secondo cui il proprio impianto opererebbe circa a 45° C, si desumerebbe l'operatività del sistema in entrambe le modalità . Sul punto, il Collegio è tenuto a evidenziare che l'articolo 99 del Capitolato, sancisce espressamente che l'impianto deve poter operare "in regime mesofilo e termofilo", con la conseguenza che, trattandosi di un requisito minimo dell'offerta, il suo mancato rispetto non può che determinare l'esclusione della concorrente. Del resto, il fatto che anche il menzionato articolo 99 prescriva un requisito minimo dell'offerta è pacificamente cofermento dalla stessa ricorrente la quale, a pagina 16 del ricorso (nel tentare di sostenere che l'art. 130 del capitolato non prevedrebbe requisiti minimi di qualità dell'offerta), evidenzia che "La sezione "Prescrizioni Tecniche" del Capitolato Speciale d'Appalto è contenuta nella Parte II da pagina 89 a pagina 120, ovvero dagli artt. 97 a 127" e prosegue citando proprio il menzionato art. 99, ivi compresa la parte in cui si prescrive che l'impianto debba lavorare sia in regime termofilo sia mesofilo. Chiarito, quindi, che la possibilità di funzionamento in entrambe le modalità rappresentava un requisito minimo dell'offerta, il Collegio evidenzia che le affermazioni contenute a pagina 14 del ricorso (secondo cui il regime mesofilo, opera a temperature comprese tra i 38° C ed i 45° C mentre quello regime termofilo, a temperature comprese tra i 45° C ed i 50° C, e, pertanto, siccome il proprio impianto funzionerebbe a circa 45°, esso sarebbe in grado di operare in entrambe le modalità ) si pongono in insanabile contrasto con quanto contenuto nel paragrafo 3.3. della propria offerta tecnica, in cui è stato inequivocabilmente dichiarato che una prerogativa importante dell'offerta è "rappresentata dal funzionamento a bassa temperatura del digestore; Il digestore proposto è del tipo dry a flusso continuo tipo PFR (plug flow reactor) e opera nell'intervallo di temperatura tra 45° e 55° pertanto in ambiente termofilo". Del resto, anche se si volesse prescindere da tale contraddizione, la tesi sostenuta nel ricorso (vale a dire che, poiché impianto opererebbe a circa 45°, ben potrebbe funzionare in entrambe le modalità ), contrata espressamente con quanto richiesto dal Capitolato: l'articolo 105 del capitolato prevedeva infatti che "I fermentatori dovranno poter lavorare sia in condizioni mesofile (37-42° C) sia in condizioni termofile (48-55° C)". 13.5. Alla luce dell'inequivocabile tenore delle dichiarazioni de quibus il Collegio ritiene che la Stazione appaltante abbia correttamente deciso di non ricorrere al soccorso procedimentale. Come noto, infatti, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che l'istituto de quo possa essere utilizzato esclusivamente in caso di dubbi riguardanti gli elementi essenziali dell'offerta tecnica ed economica e "consiste nella possibilità di richiedere al concorrente di fornire chiarimenti volti a consentire l'interpretazione della sua offerta e a ricercare l'effettiva volontà dell'offerente superando le eventuali ambiguità dell'offerta, ciò fermo il divieto di integrazione dell'offerta, senza attingere a fonti di conoscenza estranee alla stessa e a condizione di giungere a esiti certi circa la portata dell'impegno negoziale con essa assunta" (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 4 ottobre 2022, n. 8481). 13.6. Per quanto concerne, infine, la censura relativa alla mancata applicazione del principio di equivalenza il Collegio è tenuto a evidenziare, in primo luogo, che essa si pone in insanabile contrasto logico con l'intero impianto del ricorso che è, infatti, totalmente incentrato sul completo rispetto di quanto prescritto della lex specialis della procedura, salvo, poi, contraddittoriamente sostenere, nella censura de qua, l'equivalenza della propria offerta con quanto richiesto dal disciplinare e dal relativo capitolato. Si tratta di una contraddizione che diviene ancora più palese nel momento in cui la ricorrente afferma espressamente di aver "offerto esattamente un impianto che raggiunge il fine ultimo della fornitura, per come puntualmente indicata nell'oggetto dell'affidamento e, pertanto, l'offerta tecnica non può essere esclusa, ma deve essere riammessa ai fini dell'attribuzione del punteggio". Inoltre, anche se si volesse prescindere dalla considerazione de qua, per giurisprudenza costante, "benché il principio dell'equivalenza permei l'intera disciplina dell'evidenza pubblica, rispondendo lo stesso al principio del favor partecipationis, e costituendo, altresì, espressione del legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte della P.A., nondimeno anche l'ampia latitudine riconosciuta al canone di equivalenza non ne consente, tuttavia, l'estensione all'ipotesi, esulante dal campo applicativo della stessa, di difformità del bene rispetto a quello descritto dalla lex specialis, configurandosi in tal caso un'ipotesi di aliud pro alio, non rimediabile, quale è quello che, nella fattispecie la ricorrente avrebbe voluto, dall'esterno, ovvero non partecipando alla gara, imporre all'Amministrazione. Pertanto, l'operatore che intenda avvalersi del principio dell'equivalenza (suscettibile di trovare applicazione indipendentemente da un espresso richiamo negli atti di gara), deve dunque fornire la prova già in sede di gara, non potendo essa essere verificata d'ufficio dalla Stazione appaltante né tanto meno dimostrata in via postuma in sede giudiziale" (ex multis T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 10 marzo 2023, n. 4169). È, infatti, pacifico che le caratteristiche essenziali e indefettibili (ossia i requisiti minimi) delle prestazioni o del bene previste dalla lex specialis costituiscono una condizione di partecipazione alla procedura selettiva, perché non è ammissibile che il contratto venga aggiudicato ad un concorrente che non garantisca il minimo prestabilito, con la conseguenza che il "principio di equivalenza non trova applicazione quando si verte sul rispetto di requisiti tecnici minimi obbligatori che identificano le caratteristiche essenziali e indefettibili dei lavori, servizi o forniture richieste dall'Amministrazione" (ex multis T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 30 maggio 2023, n. 370). A ciò si aggiunga che la ricorrente non ha neppure fornito un principio di prova circa l'equivalenza della propria offerta ma si è limitata a ribadire pervicacemente quanto precedentemente asserito (vale a dire che le specifiche tecniche del proprio impianto risponderebbero a quanto richiesto dalla stazione appaltante) nonostante tali considerazioni fossero già state confutate dalla commissione di gara mediante un giudizio che, come visto, è immune da censure di ordine logico. Si evidenzia, infine, che l'offerta della ricorrente è stata oggetto di un'approfondita disanima da parte della commissione di gara che non solo non ha ritenuto le prestazioni offerte non equivalenti a quelle richieste ma le ha addirittura valutate insufficienti. 14. In conclusione, alla luce di quanto esposto, il ricorso è in parte inammissibile e infondato nella restante parte. 15. Il Collegio ritiene, infine, che le spese di lite debbano seguire la soccombenza eccezion fatta per il Ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica nei cui confronti possono essere compensate in virtù del suo ruolo processuale e dell'attività difensiva svolta. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile e lo respinge nella restante parte. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che quantifica in euro 8.000,00 (ottomila/00), oltre accessori di legge, a favore Azienda Cu. Sm. Ri. (AC.) s.p.a., in euro 8.000,00 (ottomila/00), oltre accessori di legge, a favore del C.E. - Consorzio Ec. Cu. e in altrettanti euro 8.000,00 (ottomila/00), oltre accessori di legge, a favore della società En. It. s.p.a.; compensa le spese nei confronti Ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del 20 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Raffaele Prosperi - Presidente Paola Malanetto - Consigliere Luca Pavia - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 774 del 2023, proposto da -OMISSIS-., ora -OMISSIS-., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati En. Di Ie. e Lu. Li., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Centrale Unica di Committenza - Cuc - dell'Unione dei Comuni del -OMISSIS-e del -OMISSIS-, non costituita in giudizio; Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ad. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Fe., Em. Ca. e Ma. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento: a) della determinazione della C.U.C. dell'Unione dei Comuni del -OMISSIS-e del -OMISSIS- n. -OMISSIS- di aggiudicazione della gara ad -OMISSIS-; b) di tutti i processi verbali, con particolare riguardo al verbale del -OMISSIS- afferente alla seduta pubblica telematica, in parte qua ove il RUP e la Responsabile procedura di gara hanno aperto la busta 'A' contenente la documentazione amministrativa e verificato anche il possesso dei requisiti di ordine generale e speciale in capo a -OMISSIS-, ritenendola conforme e ammettendola alla fase successiva di gara; c) dei verbali del -OMISSIS-, in parte qua laddove la Commissione ha valutato anche l'offerta tecnica di -OMISSIS-; d) del verbale del -OMISSIS-, in parte qua ove la Commissione ha valutato l'offerta economica di -OMISSIS-; nonché per quanto occorrer possa: e) del bando e del disciplinare di gara, in parte qua, laddove non hanno previsto esplicitamente la sanzione espulsiva in caso di mancato rispetto del Patto di Integrità ai sensi dell'art. 83 -bis del D.Lgs. 159/2011 nonché ogni altro atto annesso, connesso e consequenziale ancorché non conosciuto; Per la declaratoria di inefficacia del contratto di appalto ex art. 122 c.p.a., ove nelle more stipulato, e per l'accertamento e la condanna al risarcimento dei danni patiti e patiendi in via prioritaria in forma specifica attraverso l'aggiudicazione della gara e la stipula del relativo contratto, con richiesta fin da ora di eventuale subentro; in via subordinata, nell'impossibilità di reintegrazione in forma specifica, al risarcimento del danno per equivalente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS- e di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il dott. Andrea Maisano; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con determinazione n. -OMISSIS- (doc. 3 dell'amministrazione resistente) il Comune di -OMISSIS- ha disposto di procedere all'affidamento del servizio di refezione scolastica per gli alunni e il personale docente della locale scuola primaria per il periodo 01/09/2023 - 31/08/2026, con opzione di rinnovo per un ulteriore anno (CIG -OMISSIS-). 2. La gara, da espletarsi mediante procedura aperta e con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, è stata avviata con determinazione n. -OMISSIS-della Centrale Unica di Committenza (C.U.C.) dell'Unione dei Comuni del -OMISSIS-e del -OMISSIS-. 3. L'art. 15 del disciplinare richiedeva di allegare, entro la busta amministrativa, il patto d'integrità, elaborato dalla stazione appaltante, sottoscritto dal concorrente (doc. 5 di parte resistente, pag. 15). 4. Il menzionato patto d'integrità (doc. 6 di parte resistente) -avente il dichiarato obiettivo di improntare i comportamenti dell'operatore economico e della stazione appaltante a principi di lealtà, trasparenza e concorrenza- veniva, a sua volta qualificato, come "parte integrante di ogni contratto affidato dalla stazione appaltante" e disponeva all'art. 4.4 che "La stazione appaltante (...) si avvale della clausola risolutiva espressa, di cui all'articolo 1456 c.c., ogni qualvolta nei confronti dell'operatore economico, di taluno dei componenti la compagine sociale o dei dirigenti dell'impresa, sia stata disposta misura cautelare o sia intervenuto rinvio a giudizio per taluno dei delitti di cui agli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, 320, 322, 322-bis, 346-bis, 353 e 353-bis". 5. Alla procedura hanno partecipato due concorrenti: l'odierna ricorrente -OMISSIS-. (già -OMISSIS-.; di seguito: -OMISSIS-) e la controinteressata -OMISSIS- (di seguito: -OMISSIS-). 6. Quest'ultima ha reso dichiarazione ai sensi dell'art. 80 D.Lgs. 50/2016, allegando la circostanza del rinvio a giudizio, per la fattispecie di cui all'art. 353, comma 1, c.p. (turbata libertà degli incanti), su decreto del GUP presso il Tribunale di Padova, degli attuali presidente e amministratore delegato della società nonché di due amministratori cessati dall'incarico il 15.12.2022 -aventi attualmente il ruolo di legale rappresentante e consigliere delegato di -OMISSIS-, società holding di -OMISSIS- per il 90%-, in tal caso nella forma del reato continuato con l'art. 483 c.p. (falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) (docc. 7-9 di parte ricorrente). Sono state, altresì, dichiarate l'adozione di un provvedimento di sequestro nei confronti del legale rappresentante della controllante -OMISSIS-, disposto dalla Procura della Repubblica di Livorno nell'ambito di procedimento penale per il reato di cui all'art. 356 c.p. (frode nelle pubbliche forniture), e l'adozione, nei confronti dell'attuale amministratore delegato di -OMISSIS-, di un decreto penale di condanna emesso dal GIP di Torino per il reato di cui all'art. 590, comma 3 c.p. (lesioni colpose commesse in violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro), cui è seguito, per opposizione al decreto, giudizio di primo grado dinnanzi al Tribunale di Torino, conclusosi con condanna alla pena di duemila euro di multa, con sentenza attualmente appellata. La stessa controinteressata ha, inoltre, allegato alla busta amministrativa copia del patto d'integrità sottoscritta digitalmente dal legale rappresentante della società (doc. 10 di parte ricorrente). 7. Anche -OMISSIS- ha prodotto dichiarazione ex art. 80 D.Lgs. 50/2016 attestante la pendenza di procedimenti penali nei confronti del suo amministratore delegato, per varie fattispecie di reato, e una sentenza di condanna non definitiva a suo carico, per il reato di cui all'art. 590 commi 1 e 3 c.p. (lesioni colpose a seguito di infortunio sul lavoro), alla pena di duecento euro di multa, sospesa e con beneficio della non menzione. 8. La procedura si è conclusa con la determina n. -OMISSIS- (doc. 1 di parte ricorrente) che ha aggiudicato l'appalto ad -OMISSIS-. 9. Avverso il superiore provvedimento, e gli altri meglio individuati in epigrafe, è insorta -OMISSIS-, con ricorso notificato il 29.9.2023 e ritualmente depositato, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi di diritto: I. Violazione e falsa applicazione dell'art. 15 del disciplinare di gara in combinato disposto con gli artt. 2, 4.4 e 6 del patto di integrità . Violazione e falsa applicazione dell'art. 83 bis del d.lgs. 159/2011. Violazione del principio della par condicio, dell'autovincolo dell'amministrazione, del legittimo affidamento e del buon andamento della pubblica amministrazione. Violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990. Difetto di motivazione e di istruttoria. Eccesso di potere per arbitrarietà, travisamento dei fatti, irragionevolezza e illogicità, ingiustizia manifesta. Violazione dell'art. 97 Cost. II. Violazione dell'art. 80, comma 1, lett. B) e comma 2, del d.lgs. 50/2016. Violazione dell'art. 6 del disciplinare di gara. Carenza dei requisiti di ordine pubblico e di moralità in capo alla controinteressata eccesso di potere per travisamento, erroneità, carenza dei presupposti, illogicità della valutazione, difetto di istruttoria e di motivazione. Violazione del principio della par condicio, e del buon andamento della pubblica amministrazione. Violazione dell'art. 97 Cost. 10. L'istante ha, inoltre, domandato accertarsi l'inefficacia ex art. 122 c.p.a. del contratto di appalto, eventualmente nelle more stipulato, nonché il risarcimento del danno in forma specifica attraverso l'aggiudicazione della gara e la stipula del contratto, chiedendone il subentro, ovvero, in via gradata, per equivalente pecuniario. 11. Si sono costitute in giudizio l'amministrazione comunale e la controinteressata che, con documenti e memorie hanno eccepito, in via preliminare, l'inammissibilità del ricorso per violazione del divieto di venire contra factum proprium -atteso che anche la ricorrente è stata ammessa alla gara nonostante la dichiarazione di fatti connotati di rilevanza penale- nonché, nel merito, la sua infondatezza, chiedendone la reiezione con vittoria di spese. 12. Non si è costituita la Centrale Unica di Committenza - C.U.C. - dell'Unione dei Comuni del -OMISSIS-e del -OMISSIS-. 13. Dopo scambio di ulteriori atti difensivi, all'udienza del 21 marzo 2024 la causa è stata posta in decisione. DIRITTO A) Il Collegio ritiene di poter prescindere dall'eccezione preliminare d'inammissibilità, stante l'infondatezza del ricorso per le considerazioni che seguono. Con il primo mezzo di gravame la ricorrente sostiene che, poiché il patto d'integrità richiamato all'art. 15 del disciplinare era parte sostanziale e vincolante della documentazione di gara, al cui rispetto i concorrenti erano obbligati, la controinteressata avrebbe dovuto essere esclusa stante la corrispondenza tra la fattispecie dalla stessa dichiarata ai sensi dell'art. 80 D.Lgs. 50/2016 (rinvio a giudizio delle figure apicali per il reato di cui all'art. 353 c.p.) e quella tipizzata dall'art. 4.4 del patto. Deduce ancora l'esponente che, pur nel difetto di un'espressa comminatoria espulsiva, l'esclusione si sarebbe, comunque, imposta alla luce di quanto stabilito dall'art. 83 bis D.lgs. 159/2011 per il caso d'inosservanza dei protocolli di legalità . La condotta dell'amministrazione sarebbe censurabile anche per il difetto d'istruttoria della commissione giudicatrice che non avrebbe approfondito i fatti dichiarati dall'aggiudicataria. D'altra parte ove l'operato dell'amministrazione fosse ritenuto conforme alla legge di gara, dovrebbe allora affermarsi, in via gradata, l'illegittimità del bando e del disciplinare nella parte in cui non prevedono l'esclusione automatica del concorrente per il caso di violazione del patto. La censura non coglie nel segno. I patti di integrità, rispondenti all'esigenza di rafforzare le misure di prevenzione e contrasto all'illegalità nel settore degli appalti pubblici, possono essere inseriti nei bandi di gara in base alla norma attributiva di potere di cui all'art. 1, comma 17, Legge 190/2012 (cfr. Cons. Stato sez. V, 10.5.2022, n. 3646). Il fenomeno è stato ricondotto ora alla categoria delle condizioni generali di contratto (cfr. Cons. Stato sez. V, 5.2.2018, n. 722), ora a una dimensione schiettamente pubblicistica (cfr. C.G.A.R.S., sez. giur., 12.1.2022, n. 32). Nell'uno e nell'altro caso il patto d'integrità soggiace, comunque, alle stesse regole dettate dall'art. 1362 cod. civ. e seguenti per l'interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata all'interpretazione letterale, dovendo in ogni caso il giudice ricostruire l'intento dell'amministrazione in base al contenuto complessivo dell'atto. Alla stregua, inoltre, del criterio di buona fede ex art. 1366 cod. civ., la perimetrazione degli effetti della clausola è circoscritta solo a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in ragione del principio costituzionale di buon andamento, che impone alla P.A. di operare in modo chiaro e lineare, così da fornire ai cittadini regole di condotta certe e sicure, soprattutto quando possano derivarne conseguenze negative (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19.6.2023, n. 5989). Ciò posto, dal tenore letterale dell'art. 4.4 del patto d'integrità rilevante nel caso in oggetto (che codifica una clausola risolutiva espressa e richiama l'art. 1456 cod. civ.) si ricava pianamente la finalità di consentire il rapido svincolo contrattuale della stazione appaltante, tramite il rimedio della risoluzione di diritto, allorché l'integrazione dei fatti ivi indicati, incidendo sulle qualità dell'aggiudicatario, pregiudichi la fiducia dell'amministrazione. In sostanza, per la fase di esecuzione contrattuale (in cui il contraente è già individuato), il patto implementa le ordinarie tutele del codice dei contratti, consentendo di configurare, quale causa di scioglimento del vincolo, provvedimenti di rilievo penale, pure non definitivi, occorsi in quel contesto. Ciò, d'altra parte, non implica che lo strumento debba restare confinato al solo ambito negoziale del rapporto, potendo le medesime circostanze, ivi dedotte, essere ritenute preclusive -in un'ottica di efficienza ed economicità dell'azione selettiva del contraente- già dell'aggiudicazione della procedura e della stipula del contratto (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 13.12.2023, n. 18918). Tuttavia, l'espressa funzionalizzazione della clausola ex art. 4.4 allo scioglimento del vincolo non fornisce ragionevole avallo ad opzioni ermeneutiche volte a ricondurre entro i suoi confini applicativi fatti diversi, sul piano oggettivo e temporale, da quelli comunque rilevanti ai fini della risoluzione del contratto; sicché rimangono estranei al campo di efficacia della clausola provvedimenti adottati in epoca antecedente alla selezione dell'aggiudicatario, che sono, invece, assoggettati alla disciplina delle cause di esclusione di cui all'art. 80 D.Lgs. 50/2016 (qui applicabile ratione temporis). Alla stregua di un'interpretazione sistematica dell'articolato, militano in tal senso pure gli artt. 2 e 6 del patto in oggetto (del pari invocati dalla ricorrente) a tenore dei quali, rispettivamente, "In sede di gara l'operatore economico, pena l'esclusione, dichiara di accettare ed approvare la disciplina del presente" e "Il presente vincola l'operatore economico per tutta la durata della procedura di gara e, in caso di aggiudicazione, sino al completamento, a regola d'arte, della prestazione contrattuale" (doc. 6 di parte ricorrente pagg. 1 e 3); laddove l'insistito riferimento alla procedura di gara vale a circoscrivere entro tale spazio il pertinente ambito di emersione delle fattispecie indicate dal patto. Di contro, l'assunto ricorsuale volto ad espandere ulteriormente l'area del fumus qualificato di disvalore fino a ricomprendere, a ritroso, anche provvedimenti (non definitivi) adottati prima della partecipazione alla procedura, non risulta suffragato né dal criterio letterale né da quello di buona fede. Poiché, dunque, non è in discussione che il rinvio a giudizio delle figure apicali di -OMISSIS- per il reato di turbata libertà degli incanti preceda in ordine di tempo la gara per cui è causa, esso non può integrare il necessario presupposto di applicazione dell'art. 4.4 del patto. Al medesimo approdo conducono anche più generali considerazioni di sistema. Anzitutto, in ossequio al principio unionale di proporzionalità, il patto d'integrità "non deve eccedere quanto necessario per raggiungere l'obiettivo perseguito" (CGUE 22.10.2015, causa C-425/14). Ne consegue che, anche ove sia positivamente stabilito un obbligo per le stazioni appaltanti di prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito l'inosservanza di quanto ivi pattuito come causa di esclusione dalla gara, le stazioni appaltanti, nel rispetto del richiamato parametro di proporzionalità, devono comunque "valutare l'idoneità della condotta a giustificare l'esclusione dalla gara" e adottare la sanzione espulsiva "in ottemperanza ai canoni del procedimento amministrativo che richiedono la garanzia del contraddittorio e l'obbligo di idonea motivazione delle scelte adottate" (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II ter, 12.4.2022 n. 4384 e C.G.A.R.S., sez. giur., 12.1.2022 n. 32, che, a sua volta, richiama la delibera ANAC 22.12.2020 n. 1120). Dal principio di tassatività delle cause di esclusione si è desunto, inoltre, che il patto d'integrità "fa sorgere obblighi connessi alla specifica procedura cui l'operatore economico partecipa e per la quale sottoscrive il patto e non si riferisce a comportamenti tenuti dall'impresa in occasione di precedenti appalti, anche perché, ad opinare diversamente, si determinerebbe una sovrapposizione di tale disciplina con quella dei "motivi di esclusione", ovvero della sussistenza dei requisiti di ordine generale (Cons. Stato, V, 5 febbraio 2018, n. 722)" (Cons. Stato, sez. V, 7.2.2023, n. 1302). La pretesa della ricorrente di annettere, in forza della clausola risolutiva in esame, un'attitudine immediatamente espulsiva all'operato pregresso degli amministratori dell'aggiudicataria contravviene ai richiamati principi ordinamentali, in quanto mira a dilatare, in modo non consentito, il perimetro delle cause tassative di esclusione. Per le medesime ragioni la censura va respinta pure laddove si appunta, in via gradata, sulla legittimità del bando e del disciplinare atteso che la mancata previsione nella lex specialis di una regola escludente, automatica e retroattiva, al cospetto di provvedimenti penali non definitivi, risulta conforme agli indicati parametri di sistema. In senso contrario non depone il richiamato art. 83 bis D.Lgs. 159/2011, la cui interpretazione, necessariamente orientata ai medesimi principi ordinamentali, conduce, del pari, a negare che esso legittimi forme di automatismo espulsivo (cfr. C.G.A.R.S. 32/2022 e delibera ANAC 1120/2020 previamente citate). B) Con il secondo motivo di ricorso la società esponente, argomentando dall'art. 80 comma 1 lett. b) D.Lgs. 50/2016, che fa espressa menzione (tra le altre fattispecie di reato anche) dell'art. 353 c.p., afferma che, pure in assenza di un provvedimento definitivo di condanna, la natura penalmente sensibile dei fatti dichiarati sarebbe comunque idonea a infrangere il rapporto di fiducia tra la stazione appaltante e la controinteressata; la cui ammissione alla gara sarebbe, di conseguenza, viziata per difetto d'istruttoria e motivazione. Pure tale censura non può trovare condivisione. Posto che non è in discussione il completo adempimento dell'aggiudicataria all'obbligo dichiarativo ex art. 80 D.Lgs. 50/2016, il riferimento al comma 1 lett. b) della norma non è pertinente al caso di specie giacché, come pure pacifico, i provvedimenti penali dichiarati da -OMISSIS- non hanno carattere definitivo. La decisione sull'esclusione (o non esclusione) per "deficit di fiducia", è frutto, poi, di una valutazione discrezionale della stazione appaltante, alla quale il legislatore riserva l'individuazione del "punto di rottura dell'affidamento" nel futuro contraente. Pertanto il relativo controllo del giudice amministrativo dev'essere svolto ab estrinseco ed è diretto ad accertare il ricorrere di seri indici, ma non è mai sostitutivo (C.G.A.R.S., sez. giur., 24.6.2021 n. 614 che richiama Cass. Civ., sez. un., 17.2.2012 nn. 2312 e 2313). Nel caso in esame non si ravvisano, peraltro, macroscopici vizi d'illogicità o irragionevolezza, tenuto conto della limitata portata quantitativa dei fatti riferiti dalla controinteressata e della circostanza che, allo stesso modo, neppure gli svariati provvedimenti penali che hanno interessato l'amministratore della ricorrente sono stati ritenuti ostativi alla sua partecipazione alla gara. E', perciò, sufficiente richiamare, in specie, il consolidato indirizzo per cui la stazione appaltante, che non ritenga il precedente penale dichiarato dal concorrente incisivo della sua moralità professionale, non è tenuta a esplicitare in maniera analitica le ragioni di siffatto convincimento, potendo la motivazione di non gravità del reato risultare anche implicita o per facta concludentia, ossia con l'ammissione alla gara dell'impresa, mentre è la valutazione di gravità, semmai, che richiede l'assolvimento di un particolare onere motivazionale: la stazione appaltante deve quindi motivare puntualmente le esclusioni, e non anche le ammissioni, se su di esse non vi è, in gara, contestazione (Cons. Stato, sez. V, 5.5.2020 n. 2850 e la giurisprudenza ivi richiamata). Quel che rileva ai fini del presente giudizio è che la stazione appaltante abbia avuto conoscenza delle vicende pregresse, peraltro acquisite dalla stessa società interessata, essendo così posta nelle condizioni di farne oggetto di apprezzamento in ordine all'integrità dell'operatore economico, e che, nell'ambito dell'indicata valutazione discrezionale, abbia escluso qualsivoglia rilevanza e idoneità delle medesime a incidere sull'affidabilità professionale di -OMISSIS-, aggiudicandole in via definitiva l'appalto. C) All'infondatezza della domanda di annullamento consegue la reiezione anche della domanda di tutela risarcitoria, per difetto della presupposta illegittimità dell'atto ritenuto pregiudizievole. Alla luce delle superiori considerazioni il ricorso dev'essere respinto, siccome infondato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore del Comune di -OMISSIS- e di -OMISSIS- delle spese di lite, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila/00 euro) per ciascuno, oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare, anche indirettamente, le parti in giudizio e ogni altro soggetto menzionato. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Bellucci - Presidente Andrea Maisano - Referendario, Estensore Stefania Caporali - Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 1071 del 2023, proposto da Pr. Cl., rappresentato e difeso dall'avvocato Te. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Co., St. Fi., Gi. Gr. e Gi. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Provincia di Biella e Cl. Pr. S.r.l., non costituite in giudizio; per l'annullamento - dell'ordinanza n. 38 del 10 ottobre 2023, ricevuta in data 16 ottobre 2023, del Comune di (omissis), avente ad oggetto "Opere edilizie eseguite in totale assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica. Conclusione procedimento - ordinanza di demolizione e rimessa in pristino stato dei luoghi"; - della relazione di sopralluogo menzionata nella predetta ordinanza, ad oggi non conosciuta; - di ogni altro atto preordinato, conseguente o comunque connesso. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2024 il dott. Gianluca Bellucci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il Comune di (omissis) ha notificato al ricorrente (quale proprietario) l'ordinanza di demolizione n. 38 del 10.10.2023, avente a oggetto un terrapieno/piazzale e un capannone composto da più fabbricati, situato sul foglio (omissis), mappale (omissis) e realizzato in assenza di un corrispondente titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica. Avverso la suddetta ordinanza l'interessato è insorto deducendo: 1)violazione dell'art. 32 della legge n. 47/1985, dell'art. 31 del d.p.r. n. 380/2001 e della legge n. 241/1990; carenza di istruttoria e di motivazione; ingiustizia manifesta; 2) violazione dell'art. 31 del d.p.r. n. 380/2001 e del d.p.r. n. 31/2017, nonché della legge n. 241/1990 per carenza di istruttoria e di motivazione; 3) violazione dell'art. 32 della legge n. 47/1985, dell'art. 31 del d.p.r. n. 380/2001 e della legge n. 241/1990 per carenza di istruttoria e di motivazione; ingiustizia manifesta; irragionevolezza, travisamento e violazione del principio del legittimo affidamento; 4) violazione degli artt. 31, 33 e 34 del d.p.r. n. 380/2001 e dell'art. 32 della legge n. 47/1985; violazione della legge n. 241/1990 per carenza di istruttoria e di motivazione; ingiustizia manifesta; irragionevolezza, travisamento. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis). Alla camera di consiglio del 10 gennaio 2024 la causa è stata posta in decisione. DIRITTO 1.Con la prima censura il ricorrente sostiene che per la tettoia in questione (rectius: capannone) fu a suo tempo presentata dall'allora proprietario domanda di condono ai sensi della legge n. 47/1985 e fu ottenuta l'autorizzazione paesaggistica regionale in data 25.10.1993, tuttora valida; il deducente aggiunge che tali documenti non risultano menzionati nel gravato provvedimento. La doglianza non è condivisibile. La domanda di condono edilizio, alla quale fa riferimento la difesa del ricorrente, non costituisce titolo di regolarizzazione dell'opera abusiva. Peraltro, non si tratta di domanda di condono ma di istanza di concessione edilizia in sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/1985 (documento n. 5 allegato al ricorso), rispetto alla quale il legislatore ha previsto il silenzio rigetto e non il silenzio assenso. Inoltre, la tettoia (rectius: il capannone) oggetto dell'impugnata ordinanza ha maggiori dimensioni e una conformazione diversa dal manufatto oggetto dell'istanza di sanatoria e dell'autorizzazione paesaggistica (si confronti la relazione di sopralluogo con la relazione tecnica del gennaio 1993 allegata all'istanza di autorizzazione paesaggistica: documenti n. 3 e 9 depositati in giudizio dal Comune). Pertanto, essendovi una sostanziale diversità tra l'opera originaria e quella attuale, la richiesta di sanatoria edilizia e l'autorizzazione paesaggistica non sono idonee a coprire l'abuso edilizio accertato in sede di sopralluogo del 13.7.2023. L'altro manufatto (il terrapieno), invece, non era in alcun modo indicato né nella pratica di sanatoria edilizia né nell'autorizzazione regionale (si veda la documentazione di cui all'autorizzazione paesaggistica del 1993, costituente il documento n. 9 depositato in giudizio dall'Ente). E' pertanto corretta la motivazione dell'impugnato provvedimento. 2. Con il secondo mezzo l'istante, nel dedurre che il terrapieno non necessita di autorizzazione paesaggistica, richiama i punti 10, 12 e 13 dell'allegato A del d.p.r. n. 31/2017; aggiunge che esso costituisce una idonea pavimentazione per l'attività di gestione dei rifiuti. La censura non ha pregio. Trattasi di manufatto di rilevanti dimensioni, di forte impatto sul lotto in questione, cosicché non è assimilabile alle opere di cui ai punti 10, 12 e 13 dell'allegato A del d.p.r. n. 31/2017. E' infatti un terrapieno con soprastante piazzale, le cui considerevoli dimensioni sono rappresentate nella descrizione contenuta nel verbale del sopralluogo svoltosi il 13.7.2023 e nella foto ivi allegata. La sua realizzazione necessitava quindi di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica. 3. Con il terzo motivo il ricorrente sostiene che, nell'ambito del procedimento di rilascio dell'A.I.A., al quale ha partecipato anche il Comune, sono stati messi a disposizione i documenti indicanti i manufatti in questione, riportati nelle planimetrie, tanto che il capannone e il piazzale sono stati oggetto di rilascio di vari titoli autorizzativi, tra i quali l'A.I.A.. La doglianza non ha pregio. L'autorizzazione ambientale, in quanto non avente valore di titolo abilitativo edilizio, non ha assentito la realizzazione dei manufatti de quibus; né rileva l'affidamento del deducente, giacché l'ordine di demolizione è di per sé finalizzato al ripristino del regolare assetto del territorio, a prescindere dall'affidamento maturato dal proprietario circa la liceità dell'opera. In ogni caso, il fatto che i manufatti in questione siano privi del corrispondente permesso di costruire e della corrispondente autorizzazione paesaggistica è sufficiente a escludere qualsiasi situazione di buona fede o affidamento del privato, nonostante l'esistenza dell'autorizzazione integrata ambientale. Invero non è invocabile l'affidamento a fronte dell'illiceità permanente derivante dall'abusiva trasformazione del territorio (Cons. Stato, A.P., 17.10.2017, n. 9). In particolare, la procedura AIA riguarda la valutazione dell'impianto produttivo solo da un punto di vista ambientale, così come, per converso, gli accertamenti in ordine alla conformità edilizia e urbanistica non rilevano sulla legittimità dell'autorizzazione integrata ambientale, legata unicamente alle modalità di esercizio dell'impianto, fatto salvo l'autonomo potere sindacale in materia di vigilanza edilizio - urbanistica (TAR Lombardia, Brescia, I, 4.5.2020, n. 320). 4. Con il quarto rilievo l'esponente sostiene che il Comune di (omissis) avrebbe dovuto considerare che la porzione di immobile che ricade nel confinante Comune di (omissis) è legittima (in quanto munita dei necessari titoli abilitativi), con la conseguenza che vi sarebbe una parziale difformità rispetto ai titoli rilasciati e che la demolizione nella parte ubicata nel Comune di (omissis) comprometterebbe la parte situata nell'altro Comune. La censura è infondata. L'impugnata ordinanza è riferita all'unico manufatto di cui il Comune di (omissis) può avere contezza, ovvero al manufatto esistente sul suo territorio. L'opera non può che essere oggetto di un proprio specifico e autonomo titolo edilizio, rilasciato dal Comune di (omissis) (competente territorialmente), cosicché non potevano rilevare, ai fini del giudizio di inesistenza del permesso di costruire e dell'autorizzazione paesaggistica espresso nell'atto impugnato, i titoli autorizzativi rilasciati dal Comune di (omissis) e richiamati nel ricorso. Sotto altro profilo, in base al principio di disponibilità dei mezzi di prova era onere del ricorrente dimostrare la connessione strutturale del capannone situato nell'altro Comune. Invero, la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria attiene alla fase dell'esecuzione dell'ordine di ripristino e presuppone, da parte del destinatario, la prova dell'impossibilità di demolire senza nocumento per la restante parte (legittima) dell'immobile (ex multis: TAR Campania, Napoli, IV, 10.1.2019, n. 137), prova che nel caso in esame non è stata fornita e che comunque attiene alla fase successiva all'adozione dell'ordinanza di demolizione. 5. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il ricorrente a corrispondere al Comune di (omissis) la somma di euro 2.000 (duemila) oltre accessori di legge, a titolo di spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Bellucci - Presidente, Estensore Andrea Maisano - Referendario Stefania Caporali - Referendario
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