Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Puglia

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1163 del 2022, proposto da An. Gh., titolare della ditta individuale Pu. di Gh. An., rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Regione Puglia, in nome del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Pa. Ca., con domicilio eletto presso lo studio delegazione Regione Puglia in Roma, via (...); per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce Sezione Terza n. 00913/2021, resa tra le parti, per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia: - della determina dirigenziale della Regione Puglia Dipartimento Agricoltura, Sviluppo Rurale ed Ambientale-Sezione Competitività delle Filiere Agroalimentari avente n° di protocollo r.puglia/AOO_155/PROT/09/12/2020/0015019 del 9/12/2020, notificata a mezzo p.e.c. in data 9/12/2020, con la quale la Regione Puglia non concede al ricorrente il contributo finanziario richiesto e previsto N. 00276/2021 REG.RIC. dall'Avviso pubblico per la presentazione delle domande di aiuto in favore degli operatori del settore florovivaistico DDS 156/2020; - della determinazione del Dirigente Sezione Competitività delle Filiere Agroalimentari della Regione Puglia 4.11.2020 n° 243 (SIAN CARI-19269.Codice CUP n. B34I20000670001.Aiuti in favore degli operatori del settore florovivaistico. Approvazione degli elenchi degli aventi diritto e non aventi diritto al contributo), pubblicata in data 26.11.2020 sul B.U.R. Puglia, n° 160, con la quale vengono fatte proprie le determinazioni richiamate con l'approvazione dell'elenco degli aventi diritto e non aventi diritto al contributo di che trattasi e viene escluso il ricorrente dal contributo finanziario richiesto; - nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale ancorché non conosciuto; e per la declaratoria del diritto del ricorrente ad ottenere gli aiuti finanziari previsti dall'Avviso pubblico nella misura richiesta Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Puglia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo; udita, per parte appellata, l'avv. Ca. Pa. Ca.; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce Sezione Terza, n. 00913/2021, di reiezione del ricorso proposto dal sig. An. Gh. avverso il diniego (del 9/12/2020) opposto dalla Regione Puglia-Dipartimento Agricoltura, Sviluppo Rurale ed Ambientale-Sezione Competitività delle Filiere all'istanza di contributo finanziario di cui dall'Avviso pubblico di aiuto in favore degli operatori del settore florovivaistico DDS 156/2020. 1.1. Cumulativamente, il ricorrente ha impugnato gli atti connessi del procedimento di sovvenzione. 2. L'appellante, proprietario d'azienda florovivaistica, rientrante nel codice ATECO A001192 (coltivazione di fiori in colture protette), ha presentato domanda di aiuti ai sensi dell'avviso pubblico per la presentazione delle domande di aiuto in favore degli operatori del settore florovivaistico ai sensi del d.l. 19.05.2020 n. 34 (c.d. Decreto Rilancio). L'art. 3 del suddetto avviso individua i soggetti beneficiari tra "gli operatori economici ovvero a PMI del settore primario, comparto florovivaistico, aventi sede legale ed operativa all'interno del territorio regionale pugliese, che hanno distrutto i materiali vegetali per effetto delle misure per il contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica nel periodo compreso tra il 9 marzo (DPCM 8.3.2020) e il 18 maggio 2020 (DPCM 15.5.2020) e la cui attività è contraddistinta dai codici ATECO: A0119 Floricoltura e coltivazione di altre colture non permanenti; A01191 Coltivazione di fiori in piena aria; A01192 Coltivazione di fiori in colture protette; A0128 Coltivazione di spezie, piante aromatiche e farmaceutiche; A0130 riproduzione di piante". Al successivo art. 4, con riferimento ai requisiti per l'accesso agli aiuti regionali veniva richiesto, tra l'altro, di "aver inviato regolare comunicazione di distruzione dei beni all'Agenzia Entrate territoriale e Comando Guardia di Finanza competente per territorio almeno 5 giorni prima della data prevista di distruzione della merce ai sensi art. 53 DPR 633/72 e s.m.i. nonché del dpr 10.11.1997 n. 441, completa di specie distrutte, quantità e costi, al netto di imposte, nel periodo compreso tra il 9/3/2020 e il 18/5/2020". 3. La Regione ha opposto il diniego impugnato poiché, dall'esame della documentazione trasmessa, ha riscontrato delle discrasie tra quanto dichiarato nel verbale della Guardia di Finanza e quanto dichiarato all'Agenzia delle Entrate, sia con riferimento alla specie vegetale distrutta che alla quantificazione del costo della distruzione. 4. Con ordinanza istruttoria il Tar ha ordinato alla Guardia di Finanza di Lecce, Compagnia di Gallipoli, "l'esibizione di una relazione di chiarimenti che precisi se l'espressione "Bulbi Lilium" riportata sub "Descrizione Merce" nei prospetti riepilogativi contenuti nel "processo verbale di operazioni compiute" del 17/04/2020 e del 05/05/2020 redatti dalla medesima Guardia di Finanza, Compagnia di Gallipoli". All'esito del deposito della relazione, previa comunicazione alle parti ex art. 73 c.p.a., richiamando quanto dedotto dalla Regione resistente sulla eventuale decurtazione "finanziaria in misura proporzionale al contributo spettante a ciascun beneficiario", il Tar ha dichiarato il ricorso inammissibile per omessa notifica ad almeno uno dei controinteressati. 5. Appella la sentenza il sig. An. Gh.. Resiste la Regione Puglia. 7. Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 8. Con il primo motivo l'appellante censura la pronuncia gravata nel punto in cui il ha dichiarato inammissibile il ricorso. L'appellante sottolinea che il ricorso di primo grado cumula una molteplicità di domande: d'annullamento della determinazione dirigenziale espressamente riferita alla sua posizione; d'annullamento del provvedimento dirigenziale di approvazione dell'elenco degli ammessi; e, da ultimo, d'accertamento e/o declaratoria del diritto al beneficio richiesto. Sicché la declaratoria d'inammissibile il ricorso, ex art. 41 c.p.a., della domanda d'annullamento - per difetto di regolarità del contraddittorio stante l'omessa notifica ad almeno ad almeno un controinteressato per l'appellante - non s'estenderebbe alla domanda d'accertamento del diritto al contributo. Né, ad avviso del ricorrente, i beneficiari del contributo, collocati in posizione utile della graduatoria finale, possiederebbero la qualifica di controinteressati sostanziali. In aggiunta, l'appellante censura l'affermazione contenuta nella sentenza appellata che già in sede di avviso sussistevano tutti gli elementi per poter valutare la sussistenza dell'obbligo di notifica ai controinteressati. Secondo la censura in esame nella determinazione n. 243/2020 l'unico aspetto chiarito dalla Regione sarebbe consistito nel fatto che l'ammontare complessivo del contributo liquidabile corrisponde a euro 3.731.411,42 che si procederà a ripartire in misura proporzionale al contributo spettante a ciascun beneficiario ai sensi del paragrafo 9 dell'Avviso pubblico approvato con DDS 156/2020 8.1 Il motivo è infondato. Va precisato che le ditte ammesse a contributo sono tutte nominativamente indicate nel decreto dirigenziale di approvazione dell'elenco degli ammessi e, in caso d'accoglimento del gravame, ai sensi del par. 9 dell'Avviso Pubblico, si sarebbe dovuto procedere ad un'ulteriore decurtazione finanziaria di quanto ad essi spettante. Raggiunta la dotazione finanziaria prevista, l'accoglimento del ricorso in esame avrebbe comportato, quale atto dovuto, la decurtazione a discapito dei soggetti ammessi al contributo, che, di conseguenza, assumono la veste di controinteressati. Va data continuità all'indirizzo giurisprudenziale a mente del quale nel processo amministrativo la nozione di controinteressato al ricorso si fonda sulla simultanea sussistenza di due elementi: a) quello formale, rappresentato dalla contemplazione nominativa del soggetto nel provvedimento impugnato, tale da consentirne alla parte ricorrente l'agevole individuazione; b) quello sostanziale, derivante dall'esistenza in capo a tale soggetto di un interesse legittimo uguale e contrario a quello fatto valere attraverso l'azione impugnatoria, vale a dire di un interesse al mantenimento della situazione esistente (cfr., Cons. Stato, sez. V, 15 giugno 2022, n. 4891 Sicché, come ritenuto dai giudici di prime cure, il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere notificato ad almeno uno dei soggetti controinteressati, individuati nel provvedimento impugnato. Da cui la declaratoria, ai sensi dell'art. 41 c.p.a., d'inammissibilità del gravame, senza che residui, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la cognizione della domanda d'accertamento del diritto al contributo cumulativamente proposta. Con gli atti impugnati è irritrattabilmente definita la schiera di coloro cui spetta il contributo nella quantificazione ivi stabilita: la tutela di mero accertamento, invocata dal ricorrente, sarebbe inutiliter data, o meglio non sarebbe corredata dal necessario presupposto processuale dell'interesse ad agire. 9. Con il secondo motivo l'appellante censura la pronuncia gravata nel punto in cui ha ritenuto insussistente l'errore scusabile e la rimessione in termini, sul rilievo che "non si verteva in materia di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto". Al contrario, secondo l'appellante, al momento della proposizione del ricorso e del successivo giudizio sussisterebbero condotte della p.a. riconducibili al concetto di ambiguità della condotta amministrativa. 9.1 Il motivo è infondato. Il rimedio dell'errore scusabile va riconosciuto e concesso con estremo rigore, entro limiti ben ristretti poiché il processo amministrativo, alla stregua dei criteri desumibili dagli artt. 3 e 24 Cost., è improntato al principio di perfetta simmetria delle posizioni delle parti in causa. In giurisprudenza è ribadito che "l'art. 37, c.p.a., va considerato norma di stretta interpretazione e la concessione del beneficio dell'errore scusabile è istituto eccezionale da applicarsi limitatamente alle ipotesi di: non intellegibilità delle norme di riferimento, orientamenti giurisprudenziali non univoci, attività macroscopicamente equivoche o contraddittore poste in essere dalla stessa amministrazione, caso fortuito e forza maggiore" (cfr., Cons. Stato, sez. III, 14 gennaio 2019, n. 345; Id., sez. II, 15 ottobre 2019, n. 7029; Id., sez. VII, 16 agosto 2023, n. 7767). Nel caso di specie non si ravvisano gli estremi per concedere il beneficio dell'errore scusabile, in quanto le ditte nei confronti delle quali il ricorso di primo grado andava notificato risultavano elencate nominativamente nel decreto d'approvazione della graduatoria, espressamente impugnato dal ricorrente. 10. Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 11. Le spese del grado di giudizio, come liquidate in dispositivo seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il sig. An. Gh. alla rifusione delle spese in favore della Regione Puglia liquidate complessivamente in 3000,00 (tremila) euro, oltre diritti ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere Oreste Mario Caputo - Consigliere, Estensore Roberto Caponigro - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1692 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da Gi. Sp. ed a, rappresentati e difesi dall'avv.to Um. Il., con domicilio digitale corrispondente alla PEC indicata negli scritti difensivi, e domicilio fisico eletto presso lo studio dell'avv.to Ni. Bu. in Palermo, Via (...); contro Presidente Regione Siciliana, Regione Sicilia - Assessorato Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea - Dipartimento Sviluppo Rurale e Territoriale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distr.le dello Stato, con domicilio digitale corrispondente alla PEC come da registri di giustizia, e domicilio fisico ex lege presso la sua sede in Palermo, Via (...); nei confronti Ag. Societa Agricola Semplice, Ma. Xi. Societa Agricola Semplice, Et. Ir. Ma., Ma. Gr. La Ba., Ca. Ro. Me., non costituitisi in giudizio; per l'annullamento Ricorso introduttivo - DEL D.D.G. DELL'ASSESSORATO AGRICOLTURA, SVILUPPO RURALE E PESCA MEDITERRANEA, DIPARTIMENTO AGRICOLTURA DEL 30/4/2019 N. 766, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI E DEI PUNTEGGI DEFINITIVI DELLE ISTANZE DI SOSTEGNO AMMISSIBILI E NON, SUL PSR SICILIA 2014-20, SOTTO-MISURA 6.1 "AIUTI ALL'AVVIAMENTO DI IMPRESE PER GIOVANI AGRICOLTORI", E IN PARTICOLARE DELL'ART. 5; - OVE OCCORRA, DEL D.D.G. 10/8/2018 N. 1916 E 20/8/2018 N. 1920, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI PROVVISORI E DEGLI ELENCHI PROVVISORI RETTIFICATI; - DEL D.D.G. 1/4/2019 N. 489; - OVE OCCORRA, DEL D.D.G. 30/5/2019 N. 1098 E DEL D.D.G. 31/5/2019 N. 1111; - DI OGNI ALTRO ATTO ANNESSO, CONNESSO, PRESUPPOSTO E/O CONSEQUENZIALE, COMPRESI IL BANDO DELLA SOTTO-MISURA 6.1 E DI QUELLE COLLEGATE, NONCHÉ LE DISPOSIZIONI SPECIFICHE ATTUATIVE. Motivi aggiunti depositati il 9/11/2019 - DEL. D.D.G. 3/10/2019 N. 2473, RECANTE LA VERSIONE AGGIORNATA DEGLI ELENCHI DEFINITIVI DELLE ISTANZE AMMISSIBILI E NON, CONFERMANDO LA SUDDIVISIONE DELLE DOTAZIONI FINANZIARIE; - DELL'AVVISO PUBBLICO 3/10/2019, DI INDIVIDUAZIONE DELLE ISTANZE AMMISSIBILI; - DELLA NOTA DIRIGENZIALE 30/9/2019, DI CORREZIONE DI ALCUNI ERRORI NEL POSIZIONAMENTO DI ALCUNI BENEFICIARI E ALTRE RETTIFICHE; - DEL D.D.G. 31/7/2019 N. 1606, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI DEFINITIVI DELLA SOTTO-MSURA 6.1, CON CONFERMA DELLA RIPARTIZIONE TRA DOTAZIONI; - DEL D.D.G. 9/8/2019 N. 1739, DI CONFERMA DELLA SUDDIVISIONE PER LA SOTTO-MISURA 6.1; - DELL'AVVISO PUBBLICO 9/8/2019; - DEL VERBALE DEL GRUPPO DI RIESAME 30/7/2019 PER LA SOTTO-MISURA 6.1; - OVE OCCORRA DELL'AVVISO PUBBLICO 4/9/2019 PUBBLICATO IL GIORNO SUCCESSIVO; - DELLA NOTA DIRIGENZIALE 25/9/2019; - DELL'AVVISO PUBBLICO 27/9/2019 PUBBLICATO IN PARI DATA; - DEGLI ELENCHI PROVINCIALI NOMINATIVI DEI BENEFICIARI; - DI OGNI ALTRO ATTO ANNESSO, CONNESSO, PRESUPPOSTO E/O CONSEQUENZIALE. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidente Regione Siciliana e di Regione Sicilia - Assessorato Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea - Dip.To Sviluppo Rurale e Territoriale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2024 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO A. Espongono i ricorrenti che il 29/5/2017 l'Assessorato intimato pubblicava un bando relativo alla sotto-misura 6.1 "Aiuti all'avviamento di imprese per i giovani agricoltori", attraverso un premio forfettario di insediamento per promuovere il ricambio generazionale nel settore primario siciliano. B. L'art. 3 del bando individuava la dotazione finanziaria complessiva in 235.000.000 Euro, di cui 40.000.000 Euro per la sotto-misura 6.1 e gli ulteriori importi ripartiti tra 4.1 "Sostegno a investimenti nelle aziende agricole" (160.000.000 Euro), 6.4.a "Investimenti per creazione e sviluppo di attività extra-agricole..." (25.000.000 Euro) e 8.1 "Sostegno alla forestazione e/o rimboschimento" (10.000.000 Euro). Il termine ultimo di presentazione delle istanze era fissato nel 18/10/2017 (art. 6 della lex specialis) poi prorogato al 13/1/2018 per quelle cartacee. C. Rappresentano gli esponenti che, in data 15/9/2017, il Dirigente Generale divulgava un avviso nel quale, dopo aver richiamato le dotazioni del "Pacchetto giovani" e il complessivo stanziamento - nonché la quota per la sotto-misura 6.1 - puntualizzava testualmente che "... la dotazione finanziaria complessiva, assegnata alle sottomisure collegate (4.1, 6.4.a, 8.1), pari a Euro 195.000.000,00, sarà utilizzata indistintamente per il finanziamento delle pratiche relative a dette sottomisure sino al raggiungimento dei 1.000 insediamenti previsti dal bando. Le dotazioni finanziarie riportate nel bando per singola sottomisura e operazioni, come già precisato nello stesso bando, sono da considerare, pertanto, come previsionali". D. Secondo la prospettazione di parte ricorrente detta rettifica, nel rideterminare un'unica e indistinta provvista finanziaria, sarebbe coerente con la finalità del bando, che è quella di favorire l'insediamento di giovani agricoltori e il ricambio generazionale (fabbisogno F05, Focus Area 2b), e di incidere sul tema trasversale dell'innovazione. Ciò che conta sarebbe l'ingresso e l'insediamento dei giovani nel settore e nelle zone rurali, a prescindere dalla specifica attività posta in essere. E. Sostengono i ricorrenti che l'avviso è stato divulgato in pendenza del termine di inoltro delle domande, così da condizionare l'elaborazione dei progetti sulla base delle nuove regole del gioco: in particolare, essi avrebbero optato per la sotto-misura 6.4.a malgrado fosse meno conveniente sotto il profilo dei vantaggi economici (75% di contributo a fondo perduto con un massimo di 200.000 Euro, diversamente dalla 4.1 con un tetto del 70% con un massimo di 450.000 Euro), per il punteggio più elevato conseguibile agevolmente in base ai criteri introdotti. La riprova si rinverrebbe nelle numerose domande presentate dagli aspiranti per la 6.4.a accanto alla 6.1, finalizzate ad accettare un ammontare inferiore ma con una migliore collocazione in graduatoria e maggiori chance di ottenere il finanziamento. F. I successivi D.D.G. di approvazione degli elenchi provvisori delle istanze ammissibili (n. 1916 del 10/8/2018, n. 1920 del 20/8/2018, n. 489 dell'1/4/2019 (quest'ultimo di implementazione di 25.000.000 Euro per la voce 6.1), non si diffondevano sulla suddivisione della dotazione finanziaria, per cui gli istanti confidavano nella clausola riportata nell'avviso 15/9/2017 (ripartizione unitaria). Il D.D.G. 30/4/2019 n. 766 pubblicato il 2/5 successivo disponeva viceversa all'art. 5 che "al finanziamento delle domande di aiuto ammissibili... si farà fronte con le risorse pubbliche in dotazione al bando, pari ad euro 65.000.000 per la Sottomisura 6.1 e con le risorse pubbliche per le sottomisure attivabili con il pacchetto giovani pari ad euro 160.000.000 per la Sottomisura 4.1., ad euro 25.000.000 per la Sottomisura 6.4.a e ad euro 10.000.000 per la Sottomisura 8.1". In tal modo è stata re-inserita (ad avviso degli esponenti in modo illegittimo) la clausola di ripartizione degli stanziamenti tra le diverse iniziative pur correlate. G. Lamentano i ricorrenti che, nella graduatoria unica, i progetti dei giovani che hanno presentato domanda per la sottomisura 6.4.a. si collocano tra i primi 1.000 in posizione utile per ottenere l'aiuto laddove, per converso, la suddivisione delle risorse operata col D.D.G. n. 766 preclude di ottenere il finanziamento vista la riduzione del plafond a soli 25.000.000 Euro con conseguente delimitazione a 136 della platea degli aventi diritto per progetti della sottomisura 6.4.a. Malgrado gli effetti del D.D.G. 31/5/2019 n. 1111 che ha sospeso i provvedimenti di approvazione degli elenchi definitivi in attesa delle decisioni sulle istanze di riesame, parte ricorrente impugna la D.D.G. n. 766/2019, deducendo in diritto la violazione del programma di sviluppo rurale della Regione Sicilia 2014-2020 approvato dalla Commissione Europea con decisione 8403/2015 e successiva decisione 20/12/2016 n. 8969, la violazione degli obiettivi del fabbisogno F05 e della Focus Area 2B, l'inosservanza dell'Avviso del 15/9/2017, l'eccesso di potere sotto plurimi profili (sviamento, deficit istruttorio, illogicità, contraddittorietà, lesione par condicio, correttezza, buona fede e affidamento, buon andamento e imparzialità, efficienza e trasparenza) dato che: - l'avviso 15/9/2017, a procedura concorsuale aperta, ha indicato con precisione che le somme complessivamente stanziate sarebbero state accorpate in un'unica dotazione per finanziare i progetti delle sotto-misure fino a raggiungere 1.000 insediamenti nella graduatoria unitaria; - gli interessati sono stati indotti a formulare istanza per la misura 6.4.a, pur meno appetibile economicamente ma con più facili riconoscimenti in termini di punteggio e maggiore probabilità di collocarsi in posizione utile nell'elenco finale; - è contrario alla par condicio modificare i criteri (ben definiti dall'Avviso 15/9/2017) in un momento successivo alla presentazione e valutazione delle domande, con penalizzazione di chi ha confidato nell'utilizzo indistinto delle risorse (lo stravolgimento postumo è contrario a buona fede); - la trasfusione in un unico collettore risponde alla logica ragione, già indicata in fatto, di favorire l'ingresso e l'insediamento di giovani in agricoltura e nelle zone rurali, a prescindere alla sotto-misura; - inoltre, la separazione postuma dei plafond e delle graduatorie pone il problema della dotazione alla quale concorre chi ha inoltrato domanda per più sotto-misure (che otterrà il contributo per una sola sotto-misura, mettendo a rischio l'intero programma d'investimento), mentre con la graduatoria e con l'ammontare unico i progetti sono plasticamente premiati in base al punteggio e al posto progressivo in elenco; - anche se fosse legittima la scelta postuma, l'Assessorato avrebbe dovuto prevedere diverse graduatorie e non una soltanto. G.1 Parte ricorrente chiede l'autorizzazione alla notifica mediante pubblici proclami. H. L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio. I. Nel seguito si sono susseguiti atti amministrativi di verifica delle domande di riesame (cfr. verbale 30/7/2019), conferma e rettifica delle precedenti determinazioni. Con D.D.G. 3/10/2019 n. 2473, pubblicato in pari data, veniva approvata la versione aggiornata degli elenchi definitivi delle istanze ammissibili e non per la sotto-misura 6.1, con conferma della suddivisione delle dotazioni finanziarie già disposta con D.D.G. 766/2019 (gravato con l'atto introduttivo del giudizio). Con Avviso 3/10/2019 sono state individuate le domande finanziabili. I.1 Chiariscono i ricorrenti che, dopo le modifiche intervenute, potrebbero beneficiare degli assestamenti della graduatoria, ma prudenzialmente insorgono tutti quanti perché la situazione è fluida con altri ricorsi pendenti e i punteggi potrebbero essere ancora rivisti. L'accoglimento del presente gravame soddisferebbe tutti gli esponenti, o perché migliorerebbero la posizione o perché la "blinderebbero". L. Con motivi aggiunti depositati il 9/11/2019 parte ricorrente impugna gli atti in epigrafe, deducendo in diritto la stessa articolata doglianza dedotta nell'atto introduttivo. M. Nelle proprie difese, l'amministrazione sottolinea che la nota dirigenziale del 15/9/2017 (consistente in un avviso non protocollato) contiene una mera indicazione del Dirigente Generale pro tempore di una possibile ripartizione delle risorse finanziarie, che non si è mai concretizzata attraverso l'adozione di un successivo provvedimento amministrativo di annullamento o modifica di quanto previsto nel bando: le prescrizioni stabilite nella lex specialis vincolerebbero sia i concorrenti che la stessa amministrazione, la quale non conserva alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione e applicazione. Osserva che l'uso indistinto delle risorse sarebbe in contrasto con le linee di priorità, le strategie di intervento, gli obiettivi specifici stabiliti nel Programma Sviluppo Rurale Sicilia 2014-2020 approvato dalla Commissione Europea (decisione 8403/2015, adottata con DGR 27/2/2018 n. 96 allegato D). La decisione sul ricorso straordinario del CGA avrebbe erroneamente attribuito all'avviso del 15/9/2017 la funzione di bando concorsuale, quando era privo di forma e requisiti, e soprattutto non era stato sottoposto all'approvazione del Comitato di Sorveglianza ex regolamento UE 1305/2013. Non sarebbe un caso che la somma di gran lunga maggiore sia stata stanziata per la misura 4.1 di sostegno a investimenti nelle aziende agricole, perché questo era l'obbiettivo più importante, concordato con la Commissione Europea e dalla stessa approvato. N. All'udienza straordinaria del 17/5/2024 il gravame introduttivo e i motivi aggiunti sono stati chiamati per la discussione e trattenuti in decisione. DIRITTO Con il gravame epigrafe, gli esponenti lamentano l'illegittimità degli atti della procedura comparativa concorsuale, nella parte in cui sono stati modificati i criteri definiti dall'Avviso 15/9/2017 in un momento successivo alla presentazione e valutazione delle domande, con indebita penalizzazione di chi ha confidato nell'utilizzo indistinto delle risorse. Il gravame introduttivo e i motivi aggiunti sono infondati e devono essere rigettati, per le ragioni di seguito precisate (potendosi prescindere dal profilo in rito della pienezza del contraddittorio). 1. La questione centrale che si pone investe la natura giuridica dell'Avviso del 15/9/2017, che "in base al noto principio del contrarius actus, il bando non poteva essere modificato con una mera comunicazione, cosicché legittimamente, nell'attribuzione dei benefici, l'Amministrazione regionale, come esplicitato negli avvisi del 4 e del 27 settembre 2019, ha tenuto conto della ripartizione della dotazione finanziaria complessiva di cui all'art. 3 del bando, la quale non era previsionale, ma vincolante". La predetta statuizione, che il Collegio ritiene condivisibile, è racchiusa nell'ordinanza della sez. I di questo T.A.R. - 4/12/2019 n. 1287 resa nel gravame r.g. 1690/2019, confermata in appello dal CGA (17/1/2020 n. 66). È stata altresì recepita nella recente sentenza della sez. V - 19/2/2024 n. 603. 2. Le suddette pronunce hanno evidenziato come, coerentemente con il bando, con avviso del 4/9/2019, l'Autorità di gestione del PSR Sicilia 2014/2020 ha chiarito che, al fine di beneficiare del premio previsto dalla sottomisura 6.1, era necessario che l'istanza rientrasse nella copertura finanziaria prevista dal bando e che almeno una delle sotto-misure collegate fosse oggetto di finanziamento; con avviso del 27/9/2019, l'Autorità medesima ha precisato che, sulla base delle risorse finanziarie disponibili per ciascuna sottomisura collegata a quella 6.1, erano indicativamente finanziabili tutti i progetti che prevedevano investimenti da realizzare solo con la sottomisura 8.1, mentre quelli collegati alla sottomisura 4.1 e all'operazione 6.4a erano finanziabili nei limiti della relativa disponibilità finanziaria. 3. Il Collegio conosce il parere reso su ricorso straordinario dal C.G.A. Sicilia 20/1/2023 n. 31. In base all'art. 5 del bando (e dell'Avviso del 15/9/2017) la graduatoria avrebbe dovuto essere unica e non era prevista la redazione di diverse graduatorie relative, ciascuna, ad una sottomisura (o ad una tipologia di progetto correlato ad una sottomisura). L'Avviso del 9/8/2019 avrebbe "modificato tale regola (della procedura selettiva); e ciò ha fatto stabilendo (innovativamente) che fra i progetti astrattamente finanziabili inclusi in graduatoria dal 154° posto in poi, sarebbero stati ammessi a finanziamento esclusivamente quelli correlati con le "sottomisure" 4/1 e 8/1". In tal modo l'amministrazione avrebbe ""scisso" la graduatoria, facendole perdere la omogeneità ed unitarietà prevista - in origine - dal bando" e, soprattutto, "inopinatamente (e illegittimamente) pregiudicato i concorrenti che, avendo fatto affidamento sulle regole del bando originario, avevano presentato progetti correlati con la sottomisura 6/4". 4. Il Collegio è, viceversa, dell'opinione che l'Assessorato non abbia violato i principi di par condicio e imparzialità, in quanto l'Avviso del 15/9/2017 non era in grado di modificare le regole di gara. 4.1 In proposito, quest'ultimo è privo di protocollo, non assume la forma rituale del decreto né indica le modalità di pubblicazione (il bando originario era apparso sul sito dell'Assessorato Regionale dell'Agricoltura dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea e del PSR Sicilia 2014/2020, e per estratto sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana). Inoltre, risulta emesso senza la preventiva acquisizione del parere obbligatorio del Comitato di Sorveglianza chiamato ad attestare la coerenza con il Programma di Sviluppo Rurale come previsto dai regolamenti UE 1305/2013 (artt. 49 e 74) e 1303/2013 (art. 47) e dallo stesso P.S.R. in atti (doc. 4 amm.ne, produzione dell'11/8/2019): a pagina 900 statuisce che "Il Comitato di sorveglianza (articoli 72 e 74 del Reg.(UE) n. 1305/2013) allo scopo di accertarsi delle prestazioni e dell'effettiva attuazione del Programma, oltre a svolgere le funzioni sopradescritte: - monitora la qualità di attuazione del Programma; - monitora il Programma mediante indicatori finanziari, di prodotti e di obiettivi; - è consultato ed emette un parere, entro quattro mesi dall'approvazione del programma, in merito ai criteri di selezione degli interventi finanziati, i quali sono riesaminati secondo le esigenze della programmazione; - esamina le attività e i prodotti relativi ai progressi nell'attuazione del piano di valutazione del programma; - esamina, in particolare, le azioni del Programma relative all'adempimento delle condizionalità ex ante nell'ambito delle responsabilità dell'Autorità di Gestione e riceve informazioni in merito alle azioni relative all'adempimento di altre condizionalità ex ante...". L'intervento del Comitato è fondamentale, dato che il finanziamento interferisce con la normativa che vieta in via tendenziale gli aiuti di Stato. In buona sostanza, traspare l'inosservanza del rituale iter previsto per l'adozione del bando originario. 4.2 La giurisprudenza ha evidenziato che la modifica della legge di gara contenuta nei "chiarimenti" adottati dall'Ente "non solo non è consentita, trattandosi di variazione della lex specialis con modalità difformi da quelle proprie della riformulazione del bando e del disciplinare (che richiederebbero l'adozione di omologhe forme pubblicitarie e la ri-apertura dei termini di partecipazione); ma può -e deve- essere disapplicata, in considerazione della natura non provvedimentale dei "chiarimenti" (che esclude l'onere di impugnazione e consente, per ciò, la disapplicazione degli stessi, senza violare il divieto generale di disapplicazione degli atti amministrativi)" (T.A.R. Puglia Bari, sez. I - 6/3/2024 n. 284). Infatti, i chiarimenti della stazione appaltante sono ammissibili solo se contribuiscono, con un'operazione di interpretazione del testo, a renderne chiaro e comprensibile il significato, ma non quando attribuiscano a una disposizione della lex specialis un significato ed una portata diversa o maggiore di quella che risulta dal legge di gara, cioè dal provvedimento che disciplina le regole di attuazione del principio di concorrenza: i chiarimenti infatti "non possono modificare gli atti di gara, pena l'illegittima disapplicazione della lex specialis (Cons. St., sez. III, 27 dicembre 2019 n. 8873). Ciò in quanto non è consentito nemmeno all'Amministrazione disapplicare il regolamento imperativo della procedura di affidamento da essa stessa predisposto, e al quale la stessa, e tutti i partecipanti, deve comunque sottostare (Ad. plen., 25 febbraio 2014 n. 9), pena la violazione delle regole di trasparenza e imparzialità che costituiscono il fondamento dei principi concorrenziali e dello stesso principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost." (Consiglio di Stato, sez. V - 26/10/2023 n. 9274; sez. V - 24/10/2023 n. 9210). 4.3 Posta la modifica sostanziale della lex specialis con la rettifica del 15/9/2017 (per cui le somme stanziate sarebbero state accorpate in un'unica dotazione per finanziare i progetti delle sotto-misure), può essere utilmente richiamato il principio del contrarius actus evocato nell'ordinanza cautelare del ricorso r.g. 1690/2019 (sia in primo che in secondo grado), ai sensi del quale il bando non poteva essere modificato con una mera comunicazione. 4.4 Da ultimo, l'amministrazione ha precisato di non avere formato diverse graduatorie ma una sola in ossequio al bando originario, finanziando secondo l'ordine fino all'esaurimento delle dotazioni previste per ciascuna sottomisura collegata (circa 1700 imprese per la sottomisura 4.1, avente maggiore capienza in quanto obiettivo strategico primario del P.S.R., e circa 300 imprese per la sottomisura 6.4a. 5. In conclusione, l'introdotto gravame, integrato da motivi aggiunti, non merita positivo apprezzamento. 6. Le spese di lite possono essere compensate, alla luce delle oscillazioni giurisprudenziali sul tema controverso. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quinta definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, integrato da motivi aggiunti, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024, tenutasi mediante collegamento da remoto in video-conferenza, con l'intervento dei magistrati: Stefano Tenca - Presidente, Estensore Roberto Valenti - Consigliere Silvana Bini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5839 del 2023, proposto da St. Ou. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Di Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Bari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ro. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fa. Ca. in Roma, via (...); nei confronti Er. It. S.r.l. e Cl. Ch. It. S.p.A., non costituite in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Terza n. 1776/2022 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 marzo 2024 il Cons. Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati Ca. Di Gi. e Ro. Ci.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società ricorrente ha appellato la sentenza di cui in epigrafe con la quale il Tar per la Puglia, Bari, ha respinto il suo ricorso per l'annullamento dell'ordinanza datata 25 ottobre 2021, n. 2021/03412, con cui le è stata ingiunta la rimozione degli impianti pubblicitari installati sul suolo comunale. In particolare, il provvedimento comunale è stato motivato con il riferimento al fatto che "è spirato alla data del 22 settembre 2021 il termine per la presentazione delle offerte nell'ambito della procedura selettiva cod. S21010 bandita con avviso pubblico del 14.05.2021 relativa a "affidamento in concessione degli spazi comunali per l'installazione dei gruppi omogenei di mezzi pubblicitari sul suolo pubblico di cui all'art. 9 del regolamento sulla Pubblicità, suddiviso in venti lotti" e che, per l'effetto e ai sensi della D.G.C. n. 40/2021, è consentita la permanenza sul territorio ai soli operatori, titolari di impianti e proponenti offerta, limitatamente agli impianti oggetto della relativa dichiarazione di permanenza; la permanenza sul territorio comunale oltre il termine di cui alla D.G.C. n. 40 del 22.01.2021 è consentita ai soli operatori economici che hanno presentato dichiarazione di permanenza e risultano aver formulato l'offerta di gara, in linea con le risultanze della prima fase di controllo di regolarità formale della documentazione amministrativa dichiarate da ultimo con la determina n. 1442 del 01.10.2021 da parte della Ripartizione Stazione Unica Appaltante, Contratti e Gestione LL.PP; l'amministrazione comunale può agire in autotutela ai sensi dell'art. 823, co. 2 del codice civile al fine della tutela dei beni sottoposti al regime del demanio pubblico di cui all'art. 822, co. 2 c.c.; l'art. 1, co. 822, della legge n. 160/2019 attinente al Bilancio di previsione dello Stato per l'anno 2020 prevede la "rimozione delle occupazioni e dei mezzi pubblicitari privi della prescritta concessione o autorizzazione o effettuati in difformità dalle stesse". In merito alla situazione specifica della società ricorrente, veniva infatti rilevato che l'operatore economico "è presente sul territorio comunale con impianti su suolo pubblico, ha presentato dichiarazione di permanenza ai sensi della D.G.C. 40/2021, ricevuta dalla scrivente ripartizione con nota prot. 027868 del 03.02.2021, ha presentato offerta nei termini indicati dagli atti della procedura ad evidenza pubblica S21010 ma è stata esclusa per mancata regolarizzazione della documentazione amministrativa ai sensi dell'art. 83, co. 9 del d.lgs. 50/2016". Senonché, è poi accaduto che la società abbia impugnato la suddetta esclusione dalla procedura con ricorso n. 1148/2021, riportando vittoria nel giudizio. Riammessa quindi alla procedura, ne ha conseguito anche la definitiva aggiudicazione. Reclama pertanto ora, con il ricorso in oggetto, la illegittimità dell'ordine di rimuovere gli impianti pubblicitari, essendo stato definitivamente acclarato in via giudiziale, seppure in via postuma rispetto all'adozione dell'atto impugnato, il suo diritto a partecipare alla procedura di aggiudicazione, finanche poi vinta. 2. Il Tar adito ha prescisso dall'esame delle preliminari eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune intimato e ha respinto il ricorso, tuttavia compensando le spese del giudizio. 3. La società ricorrente ha riproposto le originarie censure, articolate quali ragioni di critica specifica avverso la sentenza impugnata, così nella sostanza devolvendo alla odierna cognizione tutta l'originaria materia del contendere. In particolare, la stessa ha dedotto: 1) la violazione e falsa applicazione della delibera di Giunta comunale n. 40 del 22 gennaio 2021 e degli atti deliberativi presupposti, pregressi, successivi o comunque collegati, ivi compreso il regolamento comunale, delibera di c.c. n. 114/2017 - violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3, legge n. 241/1990, art. 97 Cost. - eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità manifesta, contraddittorietà ; 2) sotto diverso profilo, la violazione e falsa applicazione della succitata delibera n. 40/2021 e di quella, a essa presupposta, n. 963 del 4 dicembre 2020, unitamente agli ulteriori atti, a essa pure connessi e presupposti - violazione e falsa applicazione dell'art. 41 Cost., dell'art. 10, d.lgs. n. 59/2010, nonché dell'art. 48, commi 1 e 2, del regolamento sulla pubblicità, approvato con delibera di c.c. n. 114/2017 - violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3, legge n. 241/1990 - violazione del principio di proporzionalità e contrasto con i principi di cui all'art. 97 Cost. - eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità manifesta, contraddittorietà, sviamento di potere - violazione e falsa applicazione dell'art. 42 del T.u.e.l. - violazione dei principii di libera concorrenza. 4. Il Comune di Bari ha resistito al gravame e ne ha chiesto la reiezione. 5. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive. 6. Alla udienza pubblica del 12 marzo 2024, la causa è passata in decisione. 7. Anzitutto va respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado riproposta dal Comune appellato in quanto la rimozione degli impianti, contrariamente a quanto si afferma nel corpo dell'ordinanza di rimozione impugnata, non rappresenta una misura applicativa della delibera giuntale n. 40/2021, di talché non può condividersi l'eccezione di tardività della sua impugnazione e di quella della presupposta delibera giuntale n. 963/2020. L'applicazione dei precetti promananti dalla delibera in parola, infatti, inerenti all'obbligo di rimozione degli impianti esistenti, deve ritenersi riferibile solo agli operatori che non avevano partecipato alla procedura per l'assegnazione dei lotti, e non anche a quelli che, come la società ricorrente, vi avevano preso parte, indipendentemente dalle vicende che poi ne sono seguite (esclusione, impugnativa dell'esclusione, riammissione alla gara per effetto dell'accoglimento del ricorso, finanche l'aggiudicazione definitiva). 8. Nel merito, l'appello è fondato. La questione giuridica sottesa alla materia del contendere può così sintetizzarsi. Se, come motivato dal Comune di Bari e ritenuto dal Tar, la permanenza degli impianti di affissione deve essere fatta dipendere dalla ammissione della società alla gara, allora l'atto di rimozione impugnato va ritenuto legittimo, in quanto il vaglio di legittimità va necessariamente ancorato alla situazione di fatto e di diritto esistente al tempo della sua emanazione, quando cioè la società era stata dichiarata esclusa dalla procedura. Secondo questa ricostruzione esegetica, in particolare, il fatto che poi la società abbia impugnato la propria esclusione, abbia riportato vittoria nel giudizio e sia stata di conseguenza riammessa alla gara, addirittura aggiudicandosela, rappresenterebbero, tutti, nella sostanza, dei postfatti irrilevanti ai fini dell'adozione dell'atto, che resterebbe così insensibile alle sopravvenienze di fatto e giuridiche poi effettivamente verificatesi. Se invece, come propugnato dalla società ricorrente, la permanenza degli impianti di affissione va fatta dipendere dalla propria effettiva partecipazione alla gara, allora l'atto impugnato deve di conseguenza reputarsi illegittimo in quanto lo stesso non ha considerato che l'esclusione dalla gara era sub iudice e quindi, nelle more, l'Amministrazione non avrebbe potuto provvedere o, se già lo avesse fatto, l'atto avrebbe poi dovuto essere rimosso, rappresentando il sopravvenuto accertamento giurisdizionale del diritto a partecipare alla gara, in conseguenza della avvenuta caducazione dell'atto di illegittima esclusione, il necessario antefatto logico-giuridico rispetto all'ordine di rimozione degli impianti pubblicitari. 9. Ad avviso del Collegio, la ricostruzione esegetica corretta è la seconda. Deve anzitutto precisarsi che non è qui in discussione, e va anzi condivisa, la parte della sentenza in cui il primo giudice con articolata motivazione ricostruisce il quadro giuridico di riferimento alla base della riorganizzazione del sistema pubblicitario nel Comune di Bari, quale atto generale di programmazione e indirizzo nel trapasso dal sistema autorizzatorio a quello concessorio ai fini di programmazione e controllo, di attuazione dei principi costituzionali in materia di concorrenza e libertà economica di impresa e di quelli dell'evidenza pubblica, europea e nazionale. In particolare, è corretto affermare che il riordino di questo specifico settore di mercato è stato graduale ed è stato posto in essere attraverso la proroga del mantenimento degli impianti pubblicitari esistenti alla condizione che l'operatore economico interessato a continuare ad esercitare la propria attività imprenditoriale abbia manifestato in tal senso il proprio perdurante interesse attraverso l'apposita presentazione di domanda di partecipazione alla gara per le nuove assegnazioni degli spazi. In linea, infatti, con l'esigenza di ripensare il previgente regime basato su autorizzazione ad un sistema competitivo incentrato su rilascio di titolo concessorio, l'Amministrazione comunale ha programmato l'indizione di procedure di evidenza pubblica per l'assegnazione dei suoli pubblici sui quali consentire ai privati imprenditori di installare o mantenere i propri cartelloni pubblicitari. Senonché, rispetto a tale condivisibile premessa generale, ciò che però non può essere condiviso è l'esito decisionale al quale è giunto il primo giudice, sulla base del ragionamento logico-giuridico incentrato sul concetto di ammissione alla gara, piuttosto che di effettiva partecipazione alla stessa, che lo ha portato a valutare la legittimità dell'atto impugnato considerando unicamente l'avvenuta esclusione della società ricorrente dalla gara, ma non anche le conseguenze giuridiche che ne sono poi derivate. In particolare, non è condivisibile la parte della sentenza in cui si motiva "(c)he poi la fine del regime transitorio sia stata individuata nella scadenza del termine per la presentazione delle offerte di partecipazione alla gara e sia coincisa, per la società ricorrente, nel momento in cui ne è stata decretata l'esclusione per mancata produzione di documentazione ritenuta necessaria, riflette coerentemente l'impostazione generale del Comune, ed è conseguenza ragionevole di un programma attraverso il quale, lo si ripete, il regime concessorio soppianta definitivamente le autorizzazioni ad installare i cartelloni pubblicitari" e che "(l)a decisione di rimuovere gli impianti della ricorrente, contrariamente a quanto sottolineato dalla difesa della stessa, è del tutto adeguata e proporzionata al fine pubblico perseguito, che è quello di ampliare il mercato degli operatori del settore attraverso una procedura selettiva in linea con la libertà di impresa tutelata in sede sovranazionale, e assolutamente non in contrasto con l'art. 41 della Costituzione". Ritiene infatti il Collegio che non possano imputarsi alla ricorrente, peraltro risultata illegittimamente esclusa dalla gara, gli effetti pregiudizievoli conseguenti all'adozione dell'ordine di rimozione qui impugnato, dal momento che se per un verso è corretto affermare che la legittimità dell'atto va valutata sulla base delle circostanze di fatto e di diritto esistenti al momento della sua emanazione, per un altro verso è anche corretto affermare che nelle suddette circostanze rientrano pure le vicende successive che ne sono seguite. Di conseguenza, il Comune di Bari non avrebbe potuto obliterare le conseguenze derivanti dall'avere adottato l'atto di esclusione della società ricorrente dalla gara, ma anzi avrebbe dovuto considerare, nella pienezza dello svolgimento del rapporto tra le parti, l'impugnativa proposta dalla società esclusa e gli esiti giudiziari che ne sarebbero seguiti, essendo l'ordine di rimozione basato su un atto, ossia l'esclusione della gara, ancora sub iudice. Nemmeno possono poi essere condivise le motivazioni della sentenza nella parte in cui fa riferimento alla ritenuta corretta applicazione dei principi costituzionali in materia di libertà economica di impresa "in un quadro di bilanciamento doveroso con altri interessi ritenuti parimenti meritevoli di protezione al più alto livello normativo" e al fatto che "nel caso in esame, a fronte della pretesa della società ricorrente di beneficiare di una ulteriore proroga del mantenimento dei propri impianti pubblicitari, nonostante la scadenza abbondantemente consumata del regime transitorio fissato con il regolamento, è decisamente prevalente il pubblico interesse dell'amministrazione comunale a porre in essere una procedura selettiva per l'assegnazione dei suoli pubblici di localizzazione degli impianti, in modo tale da aprire al mercato e favorire la concorrenza, che della libertà di iniziativa economica costituisce un precipitato tecnico irrinunciabile". Tale lettura si appalesa infatti sproporzionata ed eccessiva rispetto alla legittima finalità perseguita dagli atti di programmazione generale del Comune, in quanto ha l'effetto di traslare la responsabilità gravante sul Comune per la corretta conduzione della gara in capo alla società ricorrente per la subita illegittima esclusione dalla gara. Di conseguenza, proprio nell'ottica di una lettura costituzionalmente orientata ad attuare un regime effettivamente paritario e concorrenziale fra gli operatori economici, non può ritenersi legittimo l'operato dell'Amministrazione comunale, in quanto lo stesso condurrebbe a discriminare la società ricorrente rispetto alle altre imprese concorrenti, pur avendo anch'essa, come queste ultime, legittimamente manifestato il proprio perdurante interesse alla prosecuzione dell'attività economica attraverso la partecipazione alla gara. 10. In definitiva, l'appello va accolto. 11. Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi attesa la novità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e di conseguenza annulla l'atto impugnato. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3549 del 2021, proposto dalla Wi. En. Pr. 2 S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. St. Da., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; contro la Regione Puglia, non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza n. 1636 del 2020 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia - Bari, Sezione Prima. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Eugenio Tagliasacchi; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in epigrafe la società Wi. En. Pr. 2 S.p.a. ha impugnato la sentenza del T.a.r. Puglia - Bari n. 1636 del 2020, che ha respinto il ricorso dalla medesima proposto per il risarcimento dei danni derivanti dal provvedimento prot. n. 5374 del 26 giugno 2013 del Servizio Energia della Regione Puglia, recante il diniego dell'autorizzazione unica richiesta dall'anzidetta società per la realizzazione di un impianto eolico nel Comune di (omissis), in località (omissis). 2. La domanda risarcitoria è stata proposta dalla ricorrente, odierna appellante, a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 2015, che - in riforma della sentenza del T.a.r. Puglia n. 718 del 12 giugno 2014 - ha accolto il precedente ricorso proposto dalla medesima società per l'annullamento del menzionato diniego di autorizzazione unica del 26 giugno 2013, prot. n. 5374. Dopo questa sentenza del Consiglio di Stato, infatti, l'istanza dell'odierna appellante è stata accolta soltanto in parte e tale accoglimento solo parziale dipenderebbe, nella prospettiva della società, dalla sopravvenuta introduzione di nuovi vincoli per effetto del P.P.T.R. approvato in epoca successiva al provvedimento impugnato, con il conseguente danno derivante dall'impossibilità di conseguire l'autorizzazione in base all'originaria richiesta. 3. In punto di fatto, la vicenda oggetto del presente giudizio può essere sintetizzata nei termini che seguono. 3.1. La società odierna appellante ha presentato in data 20 marzo 2008 l'istanza di autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio di un impianto eolico di potenza pari a 18 MW nel Comune di (omissis), in località (omissis). Tale impianto sarebbe stato costituito, secondo l'originario progetto, da quindici aerogeneratori e da una stazione elettrica di trasformazione da inserire sulla linea RTN "Foggia-Larino" nel Comune di (omissis). 3.2. La Provincia di Foggia, con le note n. 3007/6.15 del 14 settembre 2010 e n. 4172/6.15 del 29 dicembre 2010, ha rilasciato provvedimenti di V.I.A. favorevoli per dieci dei predetti quindici aerogeneratori. 3.3. Successivamente, è stata indetta la conferenza di servizi per la data del 12 dicembre 2011 nel cui ambito le amministrazioni chiamate a pronunciarsi in quella sede hanno espresso parere favorevole. 3.4. Il Commissario ad acta del Servizio Ambiente della Provincia di Foggia, con determinazione n. 2745 del 4 settembre 2012, ha poi espresso positiva valutazione di incidenza (V.INC.A.) in relazione alla stazione elettrica Te., con contestuale riduzione del numero degli aerogeneratori a sei unità . 3.5. La seconda seduta della conferenza di servizi del 26 ottobre 2012, nell'ambito della quale erano emerse talune criticità, si è poi conclusa con una valutazione positiva del progetto e l'Ufficio Energia della Regione Puglia, in quella sede, si è limitato a condizionare il rilascio dell'autorizzazione unica alla conclusione del procedimento di revisione dei primi tre adempimenti del PUTT/p da parte del Comune di (omissis) - realizzati con delibera n. 6 del 9 marzo 2013 - e al conseguente parere favorevole dell'Ufficio assetto del territorio della Regione Puglia intervenuto con nota prot. n. 0002812 del 5 aprile 2013. 3.6. Tuttavia, il medesimo Ufficio Energia della Regione Puglia, con la nota dirigenziale prot. 3278 del 16 aprile 2013, ha altresì richiesto alla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia e all'Ufficio parchi regionale se, alla luce degli atti richiamati al punto che precede (ossia la delibera del Comune di (omissis) n. 6 del 9 marzo 2013 e la nota dell'Ufficio assetto del territorio della Regione Puglia, prot. n. 0002812 del 5 aprile 2013), potevano ritenersi superati i profili critici in ordine alla compatibilità paesaggistica e ambientale per la stazione elettrica Terna. 3.7. A seguito di tale richiesta, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia (con nota del 15 maggio 2013) e l'Ufficio parchi della Regione Puglia (con nota del 14 maggio 2013) hanno evidenziato - senza esprimersi nell'ambito della conferenza di servizi prevista dall'art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387 - taluni profili ostativi alla realizzazione della stazione elettrica. 3.8. In ragione dei profili ostativi evidenziati nei pareri testé menzionati, il Servizio Energia regionale ha ritenuto di negare l'autorizzazione unica, adottando il provvedimento di diniego prot. n. 5374 del 26 giugno 2013, poi impugnato dalla società odierna appellante nell'ambito del precedente giudizio sopra richiamato. 4. Con la già citata sentenza n. 4736 del 2015, il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza del T.a.r. Puglia - Bari n. 718 del 2014, ha annullato l'anzidetto diniego rilevando che i due pareri avrebbero dovuto essere acquisiti "nella sede procedimentale tipica di valutazione d'incidenza ambientale" e ha altresì osservato che i medesimi "non integravano un dissenso radicale e insuperabile", respingendo, pertanto, la domanda risarcitoria già avanzata in quella sede. 5. In esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, poi, l'Ufficio Energia della Regione Puglia ha rinnovato la convocazione della conferenza di servizi e, in quella sede, il Segretario regionale Mi.B.A.C.T. della Regione Puglia ha ritenuto di accogliere l'istanza di autorizzazione unica limitatamente alla realizzazione di un solo aerogeneratore tenuto conto della sopravvenuta apposizione di vincoli sull'area in questione per effetto del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale approvato dalla Regione Puglia. 6. Con nota dell'8 aprile 2016, l'odierna appellante ha ribadito che il progetto dell'impianto, nella originaria configurazione con sei aerogeneratori era stato già valutato positivamente da tutti gli enti interessati e ha quindi chiesto alla Regione di provvedere al rilascio dell'autorizzazione unica e, solo in via di mero subordine, ha chiesto la rimessione degli atti al Consiglio dei Ministri ai sensi dell'art. 14-quater, comma 3, della l. n. 241/1990, in considerazione del dissenso espresso dal Segretariato regionale Mi.B.A.C.T. della Puglia. 7. Con deliberazione del 20 gennaio 2017, il Consiglio dei Ministri ha condiviso il parere del Segretariato regionale Mi.B.A.C.T. della Puglia, consentendo "la prosecuzione del procedimento, volto alla realizzazione di un solo aerogeneratore, contraddistinto dal numero A1" e con il provvedimento prot. n. 0000672 del 23 febbraio 2017 la Sezione infrastrutture energetiche e digitali della Regione Puglia ha invitato la ricorrente a provvedere alla produzione documentale necessaria al rilascio dell'autorizzazione unica per il "solo aerogeneratore, contraddistinto dal numero A1". 8. L'anzidetto provvedimento del 23 febbraio 2017 che ha autorizzato un solo aerogeneratore non è stato impugnato dall'odierna appellante. 9. Tuttavia, pur non avendo impugnato il predetto provvedimento di autorizzazione relativo a un solo aerogeneratore, la società ha proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio formulando la domanda risarcitoria per il cui tramite ha chiesto il ristoro dei danni che ritiene di aver subito in ragione dell'illegittimo operato della Regione. Infatti, secondo la società Wi. En. Pr. 2 S.p.a., qualora la Regione avesse agito ab origine in modo conforme alla legge, pervenendo all'adozione del provvedimento di autorizzazione unica anziché del diniego poi ritenuto illegittimo e annullato dal Consiglio di Stato, non si sarebbero verificati "i notevoli pregiudizi economici causati dall'impossibilità di realizzare il progetto dell'Impianto nella sua configurazione originaria". 10. Il T.a.r. Puglia, con l'impugnata sentenza, ha respinto il ricorso per il risarcimento del danno condividendo il rilievo dell'Amministrazione resistente secondo cui la questione oggetto del presente giudizio risulta sovrapponibile ad altra identica controversia definita dal medesimo T.a.r. con la sentenza n. 852 del 20 giugno 2019, che aveva parimenti respinto la domanda risarcitoria connessa agli effetti della sentenza n. 4732 del 2015 della Sezione IV del Consiglio di Stato che, a sua volta, aveva riformato la sentenza n. 716 del 12 giugno 2014, riguardante l'identico diniego di autorizzazione unica di cui alla nota dirigenziale prot. n. 5374 del 26 giugno 2013 e degli atti a essa presupposti. Nella motivazione della sentenza n. 852 del 2019, tra l'altro, sono stati richiamati alcuni passaggi di un'ulteriore pronuncia, sempre del Consiglio di Stato, Sez. IV, 1 dicembre 2016, n. 5054, per il cui tramite era stato respinto il ricorso per l'ottemperanza alla sentenza n. 4732 del 2015 (di cui la sentenza n. 4736 del 2015 sarebbe pertanto sostanzialmente "gemella"). 11. Per esigenze di chiarezza, dunque, la sequenza delle pronunce rilevanti ai fini del presente giudizio può essere sintetizzata nei termini che seguono: a) sentenza del T.a.r. Puglia n. 718 del 12 giugno 2014 che ha respinto l'originario ricorso per l'annullamento del diniego di autorizzazione unica del 26 giugno 2013, prot. n. 5374, gemella della sentenza del medesimo T.a.r., n. 716 del 12 giugno 2014; b) sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 13 ottobre 2015 che, in riforma della sentenza sub a), ha annullato il provvedimento di diniego ma ha respinto la domanda risarcitoria in quanto, all'epoca, sussisteva ancora la possibilità di conseguire il bene della vita a seguito della rinnovazione del procedimento; c) sentenza del Consiglio di Stato n. 4732 del 13 ottobre 2015, gemella della precedente, che in un caso del tutto ana aveva a sua volta riformato la già citata sentenza del T.a.r. Puglia n. 716 del 12 giugno 2014 (per l'appunto del pari gemella della sentenza, del medesimo T.a.r. Puglia, n. 718 del 12 giugno 2014); d) sentenza del Consiglio di Stato n. 5054 del 2016 che ha respinto il ricorso per l'ottemperanza della sentenza n. 4732 del 2015; e) sentenza del T.a.r. Puglia n. 852 del 20 giugno 2019 che, pronunciandosi sulla vicenda analoga a quella del presente giudizio, ha respinto la domanda risarcitoria connessa agli effetti della già citata sentenza del Consiglio di Stato n. 4732 del 13 ottobre 2015, gemella della n. 4736 del 2015, che ha riformato la sentenza del T.a.r. Puglia n. 716 del 12 giugno 2014, annullando il diniego di autorizzazione unica; f) sentenza del Consiglio di Stato n. 6353 del 2020 che ha respinto l'appello avverso la sentenza sub e), T.a.r. Puglia n. 852 del 2019. 12. Con la pronuncia qui impugnata, dunque, il T.a.r. Puglia (si tratta della sentenza - lo si precisa per ulteriore chiarezza - n. 1636 del 2020) ha sottolineato l'analogia esistente tra le fattispecie concrete esaminate dalle pronunce del Consiglio di Stato n. 4732 e n. 4736 del 13 ottobre 2015, traendo ulteriori elementi per il rigetto della domanda risarcitoria anche dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 6353 del 2020. Ferme restando le considerazioni che precedono, il T.a.r., con la sentenza impugnata, ha ritenuto che la società ricorrente - dopo aver ottenuto la "rinnovazione del procedimento e la riconvocazione della conferenza di servizi" - avrebbe prestato acquiescenza ai provvedimenti che hanno determinato la possibilità di ottenere l'autorizzazione unica per un impianto costituito da un solo aerogeneratore. Sotto questo profilo, inoltre, il T.a.r. ha precisato che si tratterebbe per l'appunto esclusivamente di una mera possibilità, poiché sulla base degli atti depositati in giudizio non vi sarebbe prova né dell'effettivo rilascio dell'autorizzazione unica né dell'entrata in funzione dell'impianto. Sotto un ulteriore profilo, il T.a.r. ha sottolineato che l'appellante non aveva neppure impugnato gli atti recanti le valutazioni istruttorie sulla base delle quali era stato ridotto il numero degli aerogeneratori, sicché difetterebbe in radice il presupposto dell'illegittimità o erroneità della "non compatibilità paesaggistica" dell'impianto; del resto il parere del Segretariato regionale Mi.B.A.C.T. è poi stato integralmente recepito dal Consiglio dei Ministri, con la conseguenza che "la prova dell'autorizzabilità ab origine dell'impianto basato su sei aerogeneratori è rimasta una mera congettura". 13. Avverso tale pronuncia ha proposto appello la Wi. En. Pr. 2 S.p.a. formulando tre distinti motivi di gravame. 14. Con il primo motivo di appello, la società contesta la sentenza nella parte in cui ha fondato il rigetto della domanda risarcitoria sull'asserita acquiescenza prestata al provvedimento del 23 febbraio 2017 e a quelli ad esso presupposti. A tale proposito, l'appellante evidenzia che, nella sua prospettiva, la domanda di risarcimento del danno si riferisce non già al provvedimento del 23 febbraio 2017, bensì all'illegittimità del diniego di autorizzazione unica opposto dalla Regione Puglia attraverso il precedente provvedimento del 26 giugno 2013, con la conseguenza che i successivi atti adottati dalla Regione Puglia nel 2016 e nel 2017, a seguito della sopravvenienza dei vincoli introdotti dal P.P.T.R., "segnano quindi solo il momento in cui il danno in parola si è prodotto" ma "non ne costituiscono la fonte". Ritiene, inoltre, che ciò sarebbe confermato anche dalla circostanza che la sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 2015 aveva negato il risarcimento perché il danno era in quel momento "soltanto eventuale" posto che l'appellante avrebbe ancora potuto conseguire l'autorizzazione unica per tutti gli aerogeneratori previsti dal progetto, mentre, a seguito dell'introduzione dei vincoli del P.P.T.R., il danno sarebbe effettivamente divenuto "concreto ed attuale". Sotto un diverso profilo, l'appellante censura l'argomentazione secondo cui dalla mancata impugnazione dei provvedimenti in questione possa desumersi una "mancanza di prova in ordine all'autorizzabilità ab origine dell'Impianto". Del pari ritiene che dalla successiva autorizzazione di un solo impianto a causa dei vincoli sopravvenuti non si possa inferire che il progetto dell'impianto nella sua versione originaria fosse ab origine irrealizzabile. In altri termini, l'appellante sostiene che il fatto che sia stato poi autorizzato un solo impianto non significherebbe di per sé che fosse autorizzabile fin dall'origine un solo impianto, in quanto, attraverso il provvedimento di autorizzazione del 23 febbraio 2017, l'amministrazione avrebbe preso atto delle sopravvenute disposizioni del P.P.T.R. che non consentivano la realizzazione di tutti gli aerogeneratori previsti dal progetto. 15. Con il secondo motivo di gravame, l'appellante censura la decisione del T.a.r. sostenendo che sia stata travisata la portata della sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 2015, dal momento che ad avviso del T.a.r. tale sentenza si sarebbe limitata a disporre, in chiave conformativa, la sola rinnovazione del procedimento senza accertare la spettanza del bene della vita in capo all'odierna ricorrente. Secondo l'appellante, invece, l'anzidetta sentenza non si sarebbe limitata a rilevare che i pareri della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Bari, Barletta-Andria-Trani e Foggia e dell'Ufficio parchi della Regione Puglia (di cui alle note rispettivamente del 13 e del 14 maggio 2013) erano stati resi fuori dalla sede in cui avrebbero dovuto essere espressi, ossia fuori dalla conferenza di servizi, avendo per contro precisato altresì che i medesimi "non integravano un dissenso radicale e insuperabile" in relazione al progetto. 16. Con il terzo motivo di gravame, l'appellante deduce il vizio di omessa pronuncia o, comunque, la carenza assoluta di motivazione in relazione alle censure articolate in primo grado che conseguentemente "vengono integralmente riproposte". 16.1. Con il primo motivo del ricorso introduttivo aveva prospettato l'illegittimità del diniego di autorizzazione unica adottato dalla Regione Puglia in data 26 giugno per una pluralità di ragioni. In estrema sintesi l'illegittimità del provvedimento - peraltro già accertata dal Consiglio di Stato con la più volte richiamate sentenza n. 4736 del 2015 - deriverebbe dai seguenti vizi: a) il provvedimento di diniego sarebbe stato fondato su pareri resi dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici acquisiti al di fuori e dopo la conclusione della conferenza di servizi; b) sarebbe stato travisato il contenuto dei pareri espressi assumendo erroneamente che gli stessi recassero un radicale dissenso alla realizzazione della stazione di trasformazione Te. 380/Kv; c) l'illegittimità deriverebbe dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 2015. Sempre col primo motivo del ricorso introduttivo (ribadendo, invero, concetti già espressi) insiste sull'illegittimità per violazione dell'art. 14-quater della l. n. 241/1990 e in ragione della circostanza che i pareri erano stati resi in sede diversa da quella in cui dovevano essere espressi, ossia fuori dal procedimento unico deputato al rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione degli impianti elettrici alimentati da fonte rinnovabile, mentre l'art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 prescrive espressamente che l'autorizzazione unica debba essere rilasciata all'esito di un procedimento unico al quale partecipano tutte le amministrazioni coinvolte, per il tramite della conferenza di servizi, con conseguente valutazione contestuale e sincrona di tutti gli interessi che vengono in rilievo. Sotto un ulteriore profilo, ad avviso della ricorrente - come parimenti già prospettato con il secondo motivo di appello - con i richiamati pareri del 13 e 14 maggio 2013 non sarebbe stato espresso un radicale dissenso alla realizzazione della stazione elettrica Terna nel Comune di (omissis), come risulterebbe altresì dimostrato dalla circostanza che nella nota prot. n. 0004445 del 28 maggio 2013, lo stesso Servizio Energia della Regione Puglia aveva espressamente affermato che: "la Soprintendenza ha rilevato alcune criticità ritenute superabili con l'apporto di modifiche al progetto proposto". L'appellante aveva dunque presentato le proprie osservazioni ma era poi intervenuto il provvedimento di diniego senza che venissero prese in considerazione le proposte progettuali alternative. 17. Infine, con riferimento all'elemento della colpa dell'amministrazione, l'appellante ritiene che essa possa essere desunta in via presuntiva dall'illegittimità del provvedimento oltre che dalla circostanza che era stato attribuito rilievo a pareri espressi tardivamente. 18. Non si è costituita in giudizio la Regione Puglia. 19. Il Collegio - trattenuta la causa in decisione all'udienza pubblica del 16 maggio 2024 - reputa che l'appello non possa essere accolto per le ragioni che di seguito si espongono. 20. Anche a prescindere dal profilo già evidenziato dal T.a.r., secondo cui vi sarebbe stata acquiescenza dell'odierna appellante desumibile dall'omessa impugnazione del provvedimento che ha autorizzato un solo impianto, la domanda risarcitoria non può essere accolta per due distinte ragioni, ciascuna delle quali di per sé assorbente. 21. In primo luogo, si deve rilevare che la complessità dell'iter che ha preceduto l'adozione dell'atto annullato può di per sé essere valutata alla stregua di un elemento sintomatico dell'assenza di profili di dolo o colpa dell'amministrazione. Sul punto, la prospettazione dell'appellante si riduce alla mera considerazione che la colpa sia suscettibile di essere desunta in via presuntiva dall'illegittimità del provvedimento. Tuttavia, in tal modo, l'appellante omette del tutto di considerare che l'illegittimità dell'atto amministrativo, poi annullato dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 2015, era per contro stata esclusa in primo grado dal T.a.r. Puglia - Bari nell'ambito della sentenza n. 718 del 2014. Inoltre, anche nella pronuncia del Consiglio di Stato appena richiamata vi è un esplicito riconoscimento della complessità della vicenda amministrativa come si desume chiaramente dalla circostanza che già nel primo paragrafo il Collegio ha precisato che il diniego è stato adottato "All'esito di laborioso procedimento". In relazione ai due pareri resi rispettivamente dalla Sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici n. 6976 del 15 maggio 2013 e dall'Ufficio parchi della Regione Puglia n. 4298 del 14 maggio 2013, il T.a.r., respingendo il ricorso, aveva rilevato che si trattava di "plurime e non censurabili valutazioni tecniche operate dalla Amministrazione regionale...costituenti espressioni di ampia discrezionalità tecnica, non inficiate da vizi macroscopici, a fronte di una motivazione estremamente dettagliata in ordine ai vari profili ostativi alla installazione del progetto proposto" e il Consiglio di Stato ha altresì riconosciuto che "deve convenirsi che i due pareri non possano considerarsi ex se irrilevanti o nulli". 22. In secondo luogo, pur essendo pacifica l'illegittimità del diniego, come risulta definitivamente accertato dalla più volte citata sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 2015, l'odierna appellante non ha dimostrato la spettanza del bene della vita. La Wi. En. Pr. 2 S.p.a., infatti, avrebbe dovuto dare prova della circostanza che l'impianto, nella sua originaria versione con sei aerogeneratori, avrebbe dovuto essere autorizzato dall'amministrazione. Al riguardo si deve osservare che nel caso di specie viene in rilievo un'ipotesi riconducibile al risarcimento degli interessi legittimi pretensivi poiché il danno di cui la ricorrente, odierna appellante, chiede il ristoro viene fatto derivare dal mancato conseguimento del provvedimento di autorizzazione secondo l'originaria istanza. Tuttavia, con riferimento al risarcimento del danno derivante dalla lesione degli interessi legittimi pretensivi, secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, non risulta sufficiente la mera illegittimità del provvedimento di diniego, dovendo, per contro, sussistere la prova che "l'esercizio illegittimo del relativo potere abbia leso un bene della vita del privato, che quest'ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere"; in questo senso, cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 17 agosto 2023, n. 7793; Cons. Stato, Sez. II, 1 settembre 2021, n. 6163. Questa Sezione, in tempi ancor più recenti, ha avuto modo di ribadire i principi testé richiamati precisando quanto che: "Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo, ma richiede la verifica di tutti i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso) e, nel caso di richiesta di risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione, secondo un giudizio prognostico, con accertamento in termini di certezza o, quanto meno, di probabilità vicina alla certezza, che il provvedimento sarebbe stato rilasciato in assenza dell'agire illegittimo della pubblica amministrazione; ed infatti per danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. si intende non qualsiasi perdita economica, ma solo la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto; ne consegue quindi la necessità, per chiunque pretenda un risarcimento, di dimostrare la c.d. spettanza del bene della vita, ovvero la necessità di allegare e provare di essere titolare, in base ad una norma giuridica, del bene della vita che ha perduto od al quale anela, e di cui attraverso la domanda giudiziale vorrebbe ottenere l'equivalente economico" (Cons. Stato, Sez. IV, 12 settembre 2023, n. 8282). Nel caso di specie, la società appellante non ha dato prova degli elementi che precedono, essendosi limitata a sostenere che il provvedimento di autorizzazione per un solo impianto non implicava di per sé che gli altri cinque fossero ex ante non autorizzabili. Tale rilievo - pur essendo condivisibile - non è tuttavia dirimente poiché l'appellante avrebbe dovuto dimostrare non già che gli altri non fossero "non autorizzabili ex ante", in senso negativo, bensì - al contrario e in senso quindi positivo - che sarebbero stati effettivamente autorizzati tutti e sei gli aerogeneratori oggetto della richiesta. In altri termini, la dimostrazione della spettanza del bene della vita doveva essere fornita non già negando che sussistessero elementi sufficienti per ritenere che gli impianti sarebbero stati in ogni caso "non autorizzati", bensì provando in senso positivo che essi dovevano essere effettivamente autorizzati. Il carattere solo ipotetico dell'autorizzabilità ex ante - in epoca quindi antecedente alla modifica del P.P.T.R. - risulta confermato anzitutto proprio dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4736 del 2015, secondo cui i pareri "non integravano un dissenso radicale e insuperabile" e avrebbero pertanto dovuto comportare non già il diretto rilascio dell'autorizzazione unica secondo il progetto presentato dalla società, bensì la riconvocazione della conferenza di servizi. Sul punto, risulta particolarmente significativo il seguente passaggio della motivazione della sentenza: "Nell'alveo della riconvocanda conferenza di servizi, andava ricondotto l'esame dei profili di criticità espressi dai due pareri che, secondo quanto pure esattamente dedotto dall'appellante, non integravano un dissenso radicale e insuperabile, e che in ogni caso, pena l'elusione del principio del "dissenso costruttivo", andavano assoggettati a più puntuale e dialogico esame, al fine consentire sia puntualizzazioni e chiarimenti in ordine alle loro indicazioni, nonché eventuali ulteriori affinamenti progettuali tali da rendere del tutto compatibile con i valori paesistici e naturalistici la realizzazione della stazione elettrica a 380/150 kV collegata alla linea di rete di trasmissione nazionale a 380 kV Foggia-Larino, cui dovevano connettersi i vari parchi eolici". Dalla motivazione della pronuncia risulta, dunque, evidente che la legittima alternativa rispetto al diniego non sarebbe stata di per sé il rilascio dell'autorizzazione, bensì la riconvocazione della conferenza di servizi e un'ulteriore interlocuzione per rendere il progetto compatibile con i valori paesaggistici; del resto la sentenza ha anche precisato che con la nota dirigenziale prot. n. 3278 del 16 aprile 2013, per il cui tramite sono stati richiesti i pareri della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia e dell'Ufficio Parchi regionale, "si è, di fatto, provveduto a colmare una lacuna istruttoria rilevante". Conseguentemente, dalla stessa sentenza del Consiglio di Stato si desume chiaramente che non sussiste la prova della spettanza del bene della vita richiesto dal privato, poiché il rilascio dell'autorizzazione risultava ancora soltanto eventuale, occorrendo per l'appunto un ulteriore approfondimento istruttorio. Nella citata sentenza n. 4736 del 2015, del resto, si esclude espressamente la fondatezza della tesi, sostenuta dalla società, secondo cui la il provvedimento favorevole di V.INC.A. avrebbe assorbito ogni altro profilo; in proposito il Consiglio ha precisato infatti che: "Ne consegue che, almeno per tale aspetto, comunque decisivo, il primo ordine di censure è destituito di fondamento giuridico, non potendosi postulare l'invocato "assorbimento" nel provvedimento di V.INC.A. di valutazioni che non sono state espresse nel relativo subprocedimento". La stessa Soprintendenza, inoltre, aveva rilevato alcune criticità ritenute "superabili con l'apporto di modifiche al progetto proposto". 23. Infine, la prova della spettanza ab origine del bene della vita non può neppure essere desunta, per ragioni logiche prima ancora che giuridiche, dalla circostanza che ex post sia stato autorizzato un solo aerogeneratore sulla base della valutazione espressa dal Segretario Regionale del Mi.B.A.C.T. e confermata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con la deliberazione del 20 gennaio 2017. Tale circostanza, infatti, dimostra per l'appunto soltanto che ex post è stato autorizzato un solo impianto ma non consente di trarre alcun elemento che deponga nel senso che ex ante fossero autorizzabili tutti gli impianti oggetto della richiesta. 24. In definitiva, dunque, come già osservato dal T.a.r., non è dimostrato che l'impianto con sei aerogeneratori avrebbe dovuto essere autorizzato senz'altro ab origine, con la conseguenza che, in difetto della prova della spettanza del bene della vita, la domanda risarcitoria - così come formulata dalla società - deve essere respinta, con integrale rigetto dell'appello. 25. Poiché l'amministrazione appellata non si è costituita in giudizio nulla si dispone in punto spese processuali. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Nulla sulle spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere Eugenio Tagliasacchi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 353 del 2023, proposto da El. Za., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ar. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Emilia-Romagna, Provincia di Reggio Emilia, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - dell''atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 con oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell''art. 14 comma 6 LR 15/2013"; - della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Paola Pozzani, nessuno presente per le parti come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 recante in oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell'art. 14 comma 6 LR 15/2013", e dell'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 80 del 27.10.2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio il 28 dicembre 2023, ha speso le proprie difese con memoria del 18 gennaio 2024 ed ha depositato memoria ex art. 73 C.p.a. il 4 aprile 2024. La ricorrente ha precisato la propria posizione con memoria depositata in giudizio il 19 aprile 2024. Entrambe le parti hanno depositato copiosa documentazione. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La ricorrente, proprietaria, in (omissis) (RE), via (omissis), di un edificio residenziale in zona agricola, rappresenta che presentava al Comune di (omissis), in data 8.7.2023, prot. n. 8753, una s.c.i.a. in sanatoria avente ad oggetto la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina, del relativo locale tecnico, della pavimentazione perimetrale, di un piccolo fabbricato in legno ad uso spogliatoio e di una tettoia; ricevuti i documenti ed i chiarimenti richiesti, il Comune di (omissis), con atto 11.10.2023 prot. n. 13122 della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio, comunicava alla ricorrente l'inefficacia della s.c.i.a., "verificata l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP; verificata la non applicabilità dell'art. 4.1.3. comma 6 del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq. di SU". Faceva seguito l'ordinanza 27.10.2023 n. 80, con la quale l'Amministrazione comunale ha disposto la demolizione delle opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria ed anche di una recinzione, accertando, altresì, la sussistenza di una lottizzazione abusiva: "...Confermando quanto relazionato dalla comunicazione di inefficacia trasmessa dal Comune di (omissis) con Prot. n. 13122 del 11.10.2023 si precisa che dagli atti trasmessi risulta quanto segue: 1. Accertata difformità urbanistica ed edilizia sul mappale (omissis) (ex (omissis)) ad uso piscina e manufatti diversi (spogliatoio e wc, locale tecnico, tettoia); le dimensioni della difformità riguardano la piscina di mq. 132,92 di superficie, uno spogliatoio e wc di mq. 8,00, un locale tecnico di mq. 12,00 e una tettoia di mq. 35,02; 2. Accertata difformità urbanistica ed edilizia di muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis); 3. Accertata difformità urbanistica ed edilizia della pavimentazione realizzata sul mappale (omissis); 4. I succitati lavori di esecuzione dei manufatti e della recinzione risultano terminati da tempo, a maggio 2019, come da dichiarazione allegata alla scia 2023/041/S; 5. Accertata difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis) Pratica n. RE0065467 in atti dal 11.5.2023 Protocollo NSD n. ENTRATE.AGEV-STI.REGISTRO UFFICIALE.20433-58.11/05/2023 presentato il 11.5.2023 (n. 65467.1/2023)". Con il primo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" la ricorrente evidenzia, con riguardo alle opere di cui alla s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023, che l'art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, nel prevedere l'accertamento di conformità, mediante s.c.i.a. in sanatoria, degli interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, non detta alcuna disposizione volta a disciplinare il relativo procedimento e prospetta che in materia sussistano due orientamenti giurisprudenziali, l'uno rivolto a riconoscere l'applicabilità dell'istituto del silenzio assenso, l'altro a negarla. In particolare la difesa attorea si riferisce, quanto al primo, alle pronunce che affermano che "la s.c.i.a. in sanatoria, presentata ex art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001, si presta a rendere operanti le correlate prescrizioni di cui all'art. 19 e ss., legge n. 241 del 1990, in materia di silenzio assenso, dovendo essere ragionevolmente riconosciuto a tale segnalazione carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità dei fatti attestati e a produrre, con l'inutile decorso del tempo per l'emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una diversa volontà delle parti, ossia l'avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria... Di talché, non essendo intervenuto alcun motivato provvedimento inibitorio allo spirare del trentesimo giorno dalla segnalazione, il titolo in sanatoria deve essere considerato esistente...". (facendo riferimento a T.A.R. Campania, Salerno, 24.3.2022 n. 809; T.A.R. Campania, Napoli, 9.12.2019 n. 5789; T.A.R. Lazio, Roma, 9.1.2018 n. 156; T.A.R. Calabria 29.5.2019 n. 1085; Cons. Stato, Sez. V, 31.3.2014 n. 1534). Nel caso di specie, tale silenzio significativo si sarebbe formato in quanto il Comune di (omissis), a seguito della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria in data 8.7.2023, ha chiesto tempestivamente alla ricorrente, in data 7.8.2023, prima della scadenza del termine di 30 giorni, chiarimenti e determinata documentazione e, ottenute, in data 6.9.2023, le precisazioni richieste, l'Amministrazione comunale si è pronunciata con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dal ricevimento delle integrazioni e, pertanto, quando il titolo edilizio in sanatoria sarebbe ormai venuto ad esistenza. Parte attrice da atto che un diverso orientamento qualifica la fattispecie come silenzio rigetto (facendo riferimento a T.A.R. Lombardia, Milano, 21.3.2017 n. 676) o come silenzio inadempimento (in riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20.2.2023 n. 1708), ma ne contesta il fondamento poiché la prima declinazione ermeneutica replicherebbe la disciplina dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, precisando che nelle relative sentenze si farebbe riferimento anche al termine di 60 giorni previsto dall'art. 36, comma 3, quando, invece, il legislatore avrebbe tenuto ben distinte le fattispecie, prevedendo: - la disciplina dell'art. 36 per i casi di "interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio di attività nelle sole ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformità da essa"; - la disciplina di cui all'art. 37 per la diversa fattispecie riguardante "la realizzazione di interventi di cui all'art. 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla s.c.i.a.", senza operare alcun riferimento, neppure indirettamente, all'art. 36 né prevedere che il mancato, tempestivo, pronunciamento della Amministrazione sia da qualificarsi come silenzio rigetto. Quanto alla seconda declinazione interpretativa dell'orientamento in disamina, la difesa attorea sottolinea che sarebbe stato affermato (in riferimento a Cons. Stato, n. 1708/2023 cit.) che "il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento" in considerazione del fatto che "dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio": sul punto la ricorrente sottolinea che nella impossibilità, sulla base di detta impostazione, di far riferimento, per il pronunciamento dell'Amministrazione comunale, ad alcun termine determinato - non al termine dell'art. 19 della L. n. 241/1990, la cui inosservanza comporterebbe il silenzio assenso, non al termine di cui all'art. 36, la cui inosservanza è qualificata come silenzio rigetto, e neppure al termine previsto in via generale dall'art. 2, comma 2, della L. n. 241/1990, atteso che, sulla base della giurisprudenza citata, 30 giorni non sarebbero sufficienti per accertare la duplice conformità urbanistica di un'opera abusiva - verrebbe a determinarsi una situazione di assoluta incertezza, non essendo dato comprendere quando possa configurarsi l'inadempimento, così da consentire all'interessato di attivarsi giudizialmente per contrastare l'inerzia della Amministrazione. Né tale tesi sarebbe percorribile, ad avviso del patrocinio attoreo, sulla scorta del fatto che, in caso di esito favorevole, il quantum della somma da corrispondersi a titolo di oblazione debba essere determinato dal responsabile del procedimento medesimo, poiché non sussisterebbe alcuna preclusione a che la somma dovuta venga determinata in un momento successivo alla formazione, per decorso del termine di 30 giorni, del titolo edilizio in sanatoria: tale tesi sarebbe ancora meno spendibile con riferimento al caso di specie, avuto riguardo alla normativa regionale di riferimento. La ricorrente fa riferimento all'art. 17, comma 3, della L. Reg. 21.10.2004 n. 23 laddove prevede per le nuove costruzioni il pagamento di un importo a titolo di oblazione predeterminato dalla stessa norma, commisurato "al contributo di costruzione in misura doppia ovvero, in caso di esonero, in misura pari a quella prevista dalla normativa regionale e comunale, e comunque per un ammontare non inferiore a 2.000 euro": pertanto, assume la difesa attorea, l'intervento del responsabile del procedimento, nel caso considerato, non sarebbe a rigore necessario e il modulo relativo alla s.c.i.a. in sanatoria prevede che l'importo della oblazione sia indicato dal privato e preventivamente versato. L'esponente contesta l'impostazione della decisione del Consiglio di Stato n. 1708/2023 laddove si legge, altresì, che il silenzio inadempimento è soluzione che "appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio", poiché la disciplina di cui all'art. 19 della L. n. 241/1990 non esclude una valutazione espressa della Amministrazione, prevedendo anzi, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti prescritti, l'adozione di "motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa". Inoltre, aggiunge parte attrice, la s.c.i.a. in sanatoria ha per oggetto opere di minore impatto e rilevanza, per le quali l'accertamento della doppia conformità rispetto alla disciplina urbanistico - edilizia può essere adeguatamente effettuato nel termine di 30 giorni previsto dalla legge, tenuto conto anche del fatto che il termine in questione è suscettibile di essere interrotto per chiarimenti e integrazioni, per poi, una volta ottenuto quanto richiesto, riprendere nuovamente il suo corso. In conclusione, la difesa attorea prospetta che la comunicazione di cui all'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, in quanto pervenuta oltre il termine di 30 giorni dall'inoltro delle integrazioni richieste dall'Amministrazione comunale, sarebbe da ritenersi, sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale che ritiene preferibile, priva di efficacia, come previsto anche dall'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 (in riferimento al comma 8-ter) che il Comune di (omissis), a dimostrazione della ritenuta applicabilità della norma in questione anche nel caso di specie, avrebbe richiamato espressamente in detta comunicazione: il titolo edilizio in sanatoria sarebbe, pertanto, venuto ad esistenza e l'inefficacia dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 si riverberebbe sulla ordinanza 27.10.2023 n. 80, determinandone l'illegittimità per vizio derivato ed anche per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, difettando il presupposto per ordinare il ripristino dello stato dei luoghi, costituito dalla abusività delle opere considerate. Nella memoria finale la difesa attorea aggiunge che la tesi volta ad escludere la possibile formazione del silenzio assenso sulla s.c.i.a. in sanatoria confliggerebbe anche con quanto previsto dal D.Lgs. 25.11.2016 n. 222 ("Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124") sottolineando che l'art. 2 del D.Lgs. citato sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990": la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" indica la "S.c.i.a. in sanatoria" prospettando, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria è da considerarsi soggetta al regime del silenzio assenso, secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Con il secondo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Violazione dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione degli artt. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. del Comune di (omissis). Eccesso di potere per travisamento. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" parte ricorrente ritiene che nel caso di specie sussista il presupposto della doppia conformità posto che, a differenza di quanto ritenuto dal Comune di (omissis), le opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023 sarebbero conformi alla disciplina urbanistico - edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia alla data di presentazione di detta segnalazione: precisa, infatti, che si tratterebbe della medesima disciplina, atteso che le opere di cui trattasi sono state realizzate nel maggio del 2019 e il vigente R.U.E. del Comune di (omissis) è stato approvato con delibera di C.C. 21.12.2011 n. 72. La determinazione del Comune sarebbe erronea nel ritenere non sanabili le opere ridette, adducendo "l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP" ed anche la "non applicabilità dell'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" poiché la s.c.i.a. in sanatoria di cui si discute riguarda la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina e delle relative strutture accessorie costituite dal locale tecnico ove sono alloggiati gli impianti della piscina, da uno spogliatoio in legno, da una tettoia a bordo piscina per la sosta e il riparo delle persone e dalla pavimentazione perimetrale alla piscina: le opere descritte - prospetta l'esponente - sarebbero state realizzate in stretta contiguità spaziale rispetto all'attiguo edificio abitativo (la piscina è posta di fronte a detto edificio, alla distanza di una ventina di metri), per il quale, con autorizzazione edilizia 7.1.2000 n. 47/99/A, è stato assentito il mutamento di destinazione d'uso da fabbricato rurale a edificio residenziale. A sostegno della pertinenzialità la ricorrente adduce che la Regione Emilia-Romagna, con nota 24.6.2020 n. PG/2020/463171 del Servizio giuridico del territorio, disciplina dell'edilizia, sicurezza e legalità (in actis al documento n. 8), ha precisato che costituisce pertinenza dell'edificio residenziale la piscina posta a servizio dell'edificio medesimo, "con dimensioni non superiori al 20% del volume dell'edificio principale, che non ha una potenziale autonoma utilizzazione economica" e, come si evincerebbe dalla relazione tecnica del Geom. Al. Be. del 5.12.2003 (in actis al documento n. 9), la piscina di cui trattasi ha un volume di 152 mc. inferiore al 20% del volume del fabbricato principale, pari a 1462,27 mc. (1462,27mc x 20% = 292,45 mc.). Inoltre, aggiunge la ricorrente, la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonoma utilizzazione economica, considerato che la stessa, come risulterebbe dalla relazione succitata, ha le dimensioni di una piscina ad uso privato destinata a soddisfare le esigenze delle persone residenti nell'edificio abitativo, risultando, altresì, strettamente connessa all'edificio medesimo non solo per la sua ubicazione, ma anche per il fatto che la piscina è dotata di impianti derivanti dalla abitazione ridetta, sia per l'adduzione idrica, sia per l'energia elettrica: la pertinenzialità sarebbe implicitamente - ad avviso della difesa attorea - riconosciuta dallo stesso Comune di (omissis) che nulla avrebbe eccepito in ordine al fatto che, per la sua sanatoria, sia stata presentata una s.c.i.a. Inoltre, sottolinea la esponente, il riferimento operato dal Comune di (omissis), con l'atto impugnato, alla assenza di titolo per intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E., non sarebbe corretto trattandosi di pertinenza di un edificio residenziale, e avrebbe, perciò, titolo per intervenire il proprietario dell'edificio medesimo, ancorché privo della qualifica di imprenditore agricolo. A sostegno della tesi, la ricorrente evidenzia che l'art. 4.1.3. del R.U.E. del Comune di (omissis) prevede la possibilità di ottenere il mutamento di destinazione d'uso degli edifici rurali in edifici residenziali, così che, una volta assentito detto mutamento, deve ritenersi consentita, per il proprietario, la realizzazione di opere pertinenziali dell'edificio principale: questa prospettazione sarebbe confermata dalla giurisprudenza, essendosi ritenuta legittima la realizzazione, in ragione del riconosciuto carattere pertinenziale, di una piscina di dimensioni contenute a corredo di un edificio a destinazione residenziale sito in zona agricola (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. V, 16.4.2014 n. 1951; idem, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Puglia, Lecce, 1.6.2018 n. 931; idem, 14.1.2019 n. 40; T.A.R. Liguria 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Sicilia, Palermo, 13.2.2015 n. 441). Sarebbero, così, suscettibili di sanatoria anche il locale tecnico, lo spogliatoio in legno, la tettoia e la pavimentazione perimetrale, trattandosi di elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina (citando con riferimento al locale tecnico, Cons. Stato, n. 1951/2014), insuscettibili, per le loro dimensioni contenute, di alterare in modo significativo l'assetto del territorio. Quanto al fatto che il Comune di (omissis), con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, ha addotto altresì, che, nel caso di specie, non sarebbe applicabile l'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. "in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" la difesa attorea ne contesta l'assunto in quanto la disposizione medesima disciplinerebbe l'ampliamento delle unità edilizie abitative e delle superfici accessorie esistenti, senza escludere la possibilità di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: nel caso in esame, detto limite, come sarebbe evidenziato nella relazione sopra del Geom. Be., sarebbe stato rispettato anche considerando i locali accessori (spogliatoio e locale tecnico), mentre la tettoia non sarebbe computabile a fini volumetrici, essendo aperta su tutti i lati. Aggiunge l'esponente che il locale spogliatoio e il locale tecnico hanno, rispettivamente, una volumetria di 17,78 mc. e di 27 mc. che sommata al volume della piscina (152 mc.) porta ad una volumetria complessiva di 196,78 mc., inferiore al 20% del volume del fabbricato principale (292,45 mc.) concludendo che le opere oggetto di sanatoria sarebbero da considerarsi conformi alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento e, così, suscettibili di sanatoria. Con il terzo motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23, nonchè per eccesso di potere per travisamento sotto altro profilo" la ricorrente lamenta che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha disposto la demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", ma la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, per alcune difformità riguardanti l'edificio principale e anche la recinzione anzidetta: su tale s.c.i.a. l'Amministrazione comunale non si sarebbe ancora pronunciata, avendo chiesto integrazioni, da ultimo, con nota 26.9.2023 prot. n. 12395, alla quale ha fatto seguito, in data 26.10.2023, la trasmissione delle integrazioni richieste; anche in tale caso si sarebbe formato il silenzio assenso, dovendosi, così, escludere la possibilità di ordinare la demolizione dell'opera medesima. Inoltre, l'ordinanza 27.10.2023 n. 80 oggetto di gravame sarebbe da considerarsi illegittima anche nell'ipotesi in cui il procedimento di sanatoria dovesse considerarsi ancora pendente poiché per giurisprudenza consolidata - prospetta la difesa attorea - è "illegittima l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive emessa in pendenza della già avvenuta presentazione di una domanda in sanatoria; questo in quanto nelle more della definizione di tali domande i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi" (citando Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.2021 n. 7448). I Con il quarto motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione e falsa applicazione dell'art. 30 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380 e dell'art. 12 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Eccesso di potere sotto i profili della illogicità e del travisamento sotto ulteriore profilo" evidenzia l'esponente che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha contestato anche una "difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis)", la quale nel caso di specie non sussisterebbe. La difesa attorea sottolinea che la lottizzazione c.d. "cartolare", come espressamente sancito dall'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 12 della L. Reg. n. 23/2004, è ravvisabile allorquando la trasformazione del suolo sia predisposta "mediante il frazionamento e la vendita, ovvero mediante atti negoziali equivalenti, del terreno frazionato in lotti", i quali, per le loro oggettive caratteristiche - con riguardo soprattutto alla dimensione correlata alla natura dei terreni ed alla destinazione degli appezzamenti considerata sulla base degli strumenti urbanistici, al numero, all'ubicazione o all'eventuale previsione di opere di urbanizzazione - rivelino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio degli atti adottati dalle parti (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3215, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4429, Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937). Nel caso di specie, precisa il patrocinio della ricorrente, mancherebbe il presupposto fondamentale per la sussistenza di una lottizzazione "cartolare", atteso che al frazionamento dell'originario mappale n. (omissis) non ha fatto seguito alcuna vendita del terreno frazionato, vendita che non sarebbe configurabile, considerato che la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonomo sfruttamento economico: il frazionamento di cui trattasi è stato effettuato in data 16.5.2023, dandone comunicazione anche al Comune di (omissis) (con riferimento al documento n. 13 in actis), in funzione della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria riguardante la piscina, al fine di distinguere catastalmente la piscina medesima dalla restante area di proprietà, in cui era presente un magazzino, anch'esso realizzato in assenza di titolo edilizio, per il quale è stata presentata dalla ricorrente, in data 7.7.2023, prot. n. 8752, una c.i.l.a. ai fini della sua demolizione. Pertanto, conclude sul punto l'esponente, ancorché l'Amministrazione comunale, con l'atto impugnato, pare essersi riferita esclusivamente alla lottizzazione c.d. "cartolare", sarebbe da escludersi che possano configurarsi anche la lottizzazione "materiale" e la lottizzazione c.d. mista, caratterizzata, quest'ultima, dalla compresenza delle attività negoziali e delle attività materiali volte alla edificazione del terreno dovendosi, in base alla giurisprudenza, considerare che la fattispecie lottizzatoria nella veste "materiale" implica la realizzazione di "opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest'ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori; siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all'amministrazione" (citando Cons. stato, Sez. VI, 4.11.2019 n. 7530): deve, pertanto, trattarsi di una radicale trasformazione del suolo a fini edificatori che non può riscontrarsi, a prescindere dalla dimostrata legittimità dell'intervento, nella realizzazione di una piscina a servizio di un edificio residenziale in zona agricola, non comportando tale opera, tra l'altro, alcun aggravio del carico urbanistico (rinviando a Cons. Stato, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142). Il Comune resistente precisa in fatto che la ricorrente è proprietaria di un complesso immobiliare sito in via (omissis) a (omissis) (RE), che consta di un'abitazione principale (già fabbricato rurale, oggi edificio residenziale) e di un'ampia porzione di terreno agricolo, compendio su cui - nel corso degli anni - sono stati fatti diversi interventi di trasformazione edilizia in assenza di valido titolo. In particolare, in data 28.04.2023 la ricorrente depositava presso il Comune di (omissis) la comunicazione di avvenuto frazionamento dell'ex mappale (omissis) nei nuovi mappali (omissis) e (omissis), frazionamento che era stato presentato all'Agenzia delle Entrate - Ufficio Provinciale di Reggio Emilia - in data 18.04.2023; sul mappale (omissis), secondo la difesa dell'Ente, sono stati commessi svariati abusi edilizi, che - di fatto - lo caratterizzano in modo del tutto differente rispetto al mappale (omissis), sul quale pure sono stati commessi abusi edilizi che la ricorrente ha dichiarato di voler demolire con CILA presentata al Comune in data 08.07.2023, prot. n. 8752, ripristinando in tal modo l'originaria connotazione agricola del terreno (con riferimento ai documenti nn 3, 4, 5, 6, 7 e 8 in actis). Inoltre, prosegue l'Amministrazione, al fine di sanare le opere abusive non rimosse con la CILA di cui sopra, la ricorrente presentava al Comune due distinte pratiche di Segnalazione Certificata di Inizio Attività : la n. 2023/029/S, acquisita con prot. n. 5985 del 12.05.2023, relativa alla sanatoria di opere eseguite su edificio residenziale e sulla recinzione esterna dell'area cortiliva (immobile identificato catastalmente al foglio 20, mappale 205) e la n. 2023/041/S, acquisita con prot. n. 8753 del 08.07.2023, relativa alla sanatoria di una piscina - di oltre 112 mq. di superficie - e di manufatti annessi (su terreno agricolo, identificato catastalmente al foglio 20, mappale (omissis)). Quindi, sottolinea l'Amministrazione, emerge che le opere realizzate sul mappale (omissis) (piscina, tettoia, pavimentazione, locali tecnici, spogliatoio, recinzioni perimetrali alla piscina) sono dalla ricorrente medesima qualificate come "pertinenze" dell'edificio residenziale di cui al mappale 205, ma non sono state inserite nella stessa comunicazione di SCIA in sanatoria. Il Comune resistente aggiunge che dalla relazione fotografica e dagli elaborati grafici allegati alla SCIA prot. 8753, peraltro, si evince che gli interventi abusivamente realizzati sul mappale (omissis) hanno determinato la creazione di un autonomo lotto, con piscina e locali accessori, oltre ad una tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo (di oltre 35 mq. di superficie coperta), lotto del tutto indipendente rispetto all'abitazione principale, al punto che da questa è separata da due cancelli e da uno stradello carrabile (rinviando ai documenti nn. 20 e 21 in actis): ciò comporterebbe che gli abusi edilizi e i frazionamenti dei mappali catastali hanno determinato la creazione di tre distinti lotti all'interno della proprietà della ricorrente, tutti serviti da uno stradello privato interno: uno con abitazione a area cortiliva di pertinenza, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale 205), uno con piscina, zona relax, tettoia con zona pranzo-cucina e locali accessori, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale (omissis)) ed uno che - a seguito della demolizione dei fabbricati abusivi che vi insistono - riacquisterà la sua originaria natura di terreno agricolo (mappale (omissis)). Inoltre, le due SCIA menzionate hanno avuto una sorte tra loro differente: - la n. 2023/029/S, prot. n. 5985, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale 205, dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata accettata dal Comune con atto prot. n. 602/2024; - la n. 2023/041/S, prot. n. 8753, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale (omissis), dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata dichiarata inefficace dal Comune con atto prot. n. 13122 del 11.10.2023. Quest'ultima, oggetto di impugnazione, è stata dal Comune motivata con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti (rinviando all'estratto del PSC di cui al documento n. 25 ed all'estratto del RUE di cui al documento n. 26 in actis) per i seguenti motivi: - assenza di titolo ad intervenire in zona agricola, ai sensi dell'art. 4.1.1 e seguenti del RUE (in quanto intervento in zona agricola effettuato da non imprenditore agricolo - IAP); - per l'inapplicabilità dell'art. 4.1.3 comma 6 del RUE, in quanto l'intervento è stato eseguito su edificio non di recente costruzione e con ampliamento superiore ai 30 mq. di superficie (la sola tettoia sarebbe di 35,02 mq. con riferimento al documento n. 20 in actis). Con l'ordinanza impugnata il Comune ingiungeva di demolire le opere abusive, non sanabili perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (PSC e RUE) realizzate in assenza di valido titolo edilizio sul mappale (omissis), e di ripristinare lo stato dei luoghi, con precisa identificazione delle opere da demolire: piscina, spogliatoio-wc, locale tecnico, tettoia, muri perimetrali, pavimentazione esterna e recinzioni sul lato ovest, sud ed est. Sul primo motivo l'Amministrazione precisa che le tesi della ricorrente non sono condivise dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha invece affermato essere necessario un espresso pronunciamento del Comune sulla SCIA in sanatoria: "... il procedimento (relativo alla sanatoria di abusi edilizi tramite SCIA, n. d.r.) può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento. Innanzitutto, infatti, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento... Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio" (citando Cons. Stato, sez. II, 20.02.2023, n. 1708 e per una puntuale ricostruzione dell'istituto della SCIA in sanatoria riferendosi a T.A.R. Lazio Roma, sez. II-quater, 07.12.2023, n. 18386): di conseguenza, sottolinea la resistente, il procedimento avviato dalla ricorrente con la SCIA prot. n. 8753/2023 è stato correttamente concluso dal Comune con la comunicazione di inefficacia della SCIA stessa (prot. n. 13122, del 11.10.2023), atto motivato con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti. Sul secondo motivo, il Comune precisa che la nota della Regione citata dalla ricorrente si riferisce al quantum del contributo e non al concetto di pertinenzialità e che la declaratoria di inefficacia della SCIA impugnata è corretta in quanto non sussiste nel caso di specie la consistenza della misura inferiore ai 30 mq sostanziandosi l'intervento in un'opera che non sarebbe sanabile nemmeno da un imprenditore agricolo; la pertinenzialità sarebbe esclusa in quanto si tratta di un opera non contenuta ma di una piscina di 112 mq, e ai fini IMU (l'art. 1, comma 741, lett. b) della L. n. 160/2019 individua le pertinenze dell'abitazione principale nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7), e le piscine, che sono da ricomprendere ai sensi delle descrizioni contenute nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 5 del 14.03.1992 "Revisione generale della qualificazione della classificazione e del classamento del N.C.E.U." nella categoria C/4 (Fabbricati e locali per esercizi sportivi), sono escluse dal concetto di pertinenza. Inoltre, sottolinea l'Amministrazione, la giurisprudenza citata dalla ricorrente, al fine di affermare la pertinenzialità della piscina rispetto all'edificio principale, ha comunque quale presupposto per l'applicazione del regime di SCIA la circostanza che la piscina stessa sia costituita da un elemento prefabbricato e non determini modifiche al territorio, circostanze che non ricorrono nel caso de quo. Di conseguenza, controdeduce sul punto l'Amministrazione, risulterebbe irrilevante la tesi sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: non si tratterebbe di una questione di limite percentuale, ma è la natura stessa delle opere abusive che non ne consentirebbe la sanatoria tramite SCIA. Infine, conclude il Comune, l'argomento relativo all'implicito riconoscimento della piscina quale pertinenza dell'abitazione da parte del Comune stesso, che nulla avrebbe eccepito in ordine alla sanatoria dell'abuso tramite SCIA, non terrebbe conto del tenore della "comunicazione di inefficacia" della SCIA stessa, che - attraverso il richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE - implicitamente affermerebbe che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, avrebbero potuto essere realizzate solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Sul terzo motivo di ricorso il Comune di (omissis) precisa che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, Prot. n. 5985 e ciò sarebbe agevolmente rilevabile dalla tavola di raffronto tra la porzione di recinzione sanata con la SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985, segnata in viola, e la porzione di recinzione - non sanata - oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 80/2023, segnata in giallo (con riferimento al documento n. 28 in actis): sarebbero secondo la resistente, pertanto, irrilevanti le argomentazioni del ricorso relative alla "pendenza" del procedimento SCIA n. 2023/029/S poiché la eventuale pendenza del medesimo non rileverebbe, avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Sul quarto motivo di ricorso l'Amministrazione sottolinea che il frazionamento di più opere abusive censurate in via sostanziale integrerebbe una fattispecie di lottizzazione abusiva mista rinviando alla pronuncia del T.A.R. Sardegna, Sez. II, 20.03.2023, n. 194, che la descrive come categoria dogmatica "... caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dall'art. art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nell'attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso...": nel caso in esame, conclude sul punto l'Amministrazione, è stato accertato un disegno unitario, con un rilevante impatto negativo sul territorio rurale, con aggravio del relativo carico urbanistico e con pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita al Comune a garanzia del corretto uso del territorio deponendo per la correttezza della qualificazione della fattispecie come "lottizzazione abusiva". Illustrate brevemente le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che le questioni poste dalla ricorrente sugli effetti del decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in sanatoria non siano rilevanti nel caso de quo in quanto la fattispecie concreta non rientra in tale istituto di semplificazione in base ad un consolidato principio espresso dalla giurisprudenza in materia. Va premesso che l'art. 2 del D.Lgs. n. 222 del 2016, richiamato dal ricorrente, sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990", prevedendo la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" il richiamo alla "S.c.i.a. in sanatoria"; in ragione di ciò prospetta, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria sarebbe da considerarsi soggetta al regime del "silenzio assenso", secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Sul punto il Collegio rileva che il citato n. 41 della tabella A, Sez. II, si riferisce alla s.c.i.a. in sanatoria per interventi realizzati in assenza di s.c.i.a. o in difformità da essa, mentre nel caso concreto, si tratta, come sarà approfondito nel prosieguo della presente decisione, di attività esclusa dai procedimenti semplificati: la costruzione delle opere di cui è causa avrebbe necessitato il permesso di costruire e non la s.c.i.a e, perciò, nel caso di specie, è assente il presupposto stesso - previsto dalla norma - per l'applicazione della disposizione invocata con la conseguenza che alla declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. impugnata non è applicabile il regime amministrativo previsto dall'art. 19 della Legge n. 241 del 1990. Il Collegio, sul punto richiama la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 1055 del 10 aprile 2024 laddove precisa in via generale che dalla necessaria applicazione dell'istituto del permesso di costruire alla fattispecie concreta "deriva l'inapplicabilità dell'art. 19 della legge 241/1990: "L'errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della d.i.a. (oggi SCIA) poiché frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest'ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un'eventuale responsabilità amministrativa, non già la sanatoria della d.i.a. mancante di un requisito essenziale; di conseguenza, il provvedimento con cui l'Amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante d.i.a., occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all'attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento" (cfr.: T.a.r. Puglia Bari, sez. II, 20.02.2017 n. 147)". In particolare, sulla s.c.i.a. in sanatoria, la sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, n. 809 del 24 marzo 2022, ritiene che non è ricollegabile portata infirmante all'inosservanza del termine di 30 giorni ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990 quando le opere abusive esulano dal perimetro del regime abilitativo della SCIA, essendo subordinate al previo rilascio del permesso di costruire: la pronuncia precisa che a tale premessa consegue "l'assenza di effetti legittimanti ricollegabili alla SCIA in sanatoria prot. n. 67995 del 21 novembre 2019, la quale, dacché formata al di fuori del corrispondente modello legale tipico (stante l'assoggettamento dell'opera eseguita ad un più rigoroso regime abilitativo), era da considerarsi 'tamquam non esset', così da giustificare l'impugnata determinazione reiettiva senza l'operatività della preclusione temporale ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990". Quanto alla sussistenza nel caso concreto della necessità del permesso di costruire anziché dell'applicabilità degli istituti di semplificazione, vanno considerati sia gli aspetti definitori del concetto di pertinenzialità rilevante in materia sia l'orientamento ermeneutico sulla qualificazione della specifica opera abusiva, nonché la concreta consistenza dell'intervento edilizio di cui è causa. Sul concetto generale di pertinenzialità il Collegio rinvia a quanto precisato dal T.A.R. Lazio, Sez II Stralcio, n. 7463 del 16 aprile 2024, in adesione al pacifico orientamento giurisprudenziale che "assegna al concetto di "pertinenza", in campo urbanistico-edilizio, un significato più ristretto e meno ampio rispetto alla definizione civilistica di cui all'art. 817 c.c., essendo configurabili come tali "solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscono la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico, e dovendosi altresì tener conto, oltre che della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche della consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essendo il vincolo pertinenziale caratterizzato oltre che dal nesso funzionale, anche dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa" (cfr. ex multis T.A.R. Lazio, Sez. II S, 17 novembre 2023, n. 17168; T.A.R Lazio, II quater, 21 novembre 2022, n. 15371; id., 12 luglio 2022, n. 9594; 26 aprile 2021, n. 4824)". In particolare, sulle piscine l'esegesi cui intende aderire il Collegio ritiene che l'opera interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell'edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio che comporta e della non necessaria complementarità all'uso delle abitazioni poiché non riveste un'obiettiva funzione di migliore utilizzazione della res principalis, tale che in sua assenza risulterebbero impedite o sacrificate talune delle materiali possibilità di sfruttamento o godimento di quest'ultima (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, n. 993 del 24.10.2022; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 9.9.2020, n. 3730; T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, n. 800 del 30.09.2021). In coerenza con tale indirizzo interpretativo, si è di recente rilevato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 02/01/2024, n. 44) che la piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata e perciò configura una nuova costruzione, non potendo essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, atteso che, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di divertimento; in effetti, la realizzazione della piscina comporta una "durevole trasformazione del territorio" e, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede, sì che non può coincidere con la relativa nozione civilistica di pertinenza, nel presupposto che la nozione di pertinenza urbanistica è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, viceversa tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione. Nel caso di specie, una piscina di oltre 112 mq. di superficie, assistita da opere ulteriori (locali accessori e tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo di oltre 35 mq. di superficie coperta), non può essere definita come "di dimensioni contenute" incidendo, pertanto, significativamente sulla trasformazione del territorio e non riveste il carattere di intrinseca funzionalità rispetto alla res principalis sopra delineato; nel provvedimento impugnato di declaratoria di inefficacia della s.c.i.a., infatti, emerge, attraverso il riferimento all'istruttoria svolta in contraddittorio endoprocedimentale ed al richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE, sia che le opere costituiscono un ampliamento superiore ai 30 mq di SU in edificio di non recente costruzione sia che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, si sarebbero potute realizzare solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Di conseguenza, risulta inconferente la tesi attorea sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale, in quanto difetta nel caso concreto la natura stessa di opera pertinenziale. Infine, la nota della Regione Emilia-Romagna invocata a sostegno della pertinenzialità della piscina è chiaramente rivolta alla definizione della medesima esclusivamente ai fini del pagamento e alla qualificazione del contributo di costruzione e, pertanto, la relativa portata interpretativa è confinata in tale ambito: nella nota medesima, infatti, si chiarisce che la natura pertinenziale di una piscina di volume inferiore al 20% dell'abitazione principale rileva al fine di considerarla quale Superficie accessoria che non richiede il versamento della quota degli oneri di urbanizzazione (U1 e U2) ma è soggetta al solo versamento della quota relativa al costo di costruzione (QCC) da calcolarsi non sulla classificazione catastale, bensì, in relazione alla tipologia OMI, formulando un chiarimento di connotazione sostanzialmente tecnico-economica ai fini dell'imposizione della prestazione patrimoniale imposta, che risponde a presupposti diversi da quelli rilevanti nella presente sede. Quanto, poi, al locale tecnico, allo spogliatoio in legno, alla tettoia e alla pavimentazione perimetrale, che la stessa ricorrente qualifica come elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina, vale il consolidato orientamento per cui la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 11/03/2024, n. 2321). Pertanto, al regime edilizio della piscina, necessitante di un permesso di costruire, si associano evidentemente le altre opere alla stessa collegate. Sul terzo motivo di ricorso, relativo all'ordine di demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", proposto in base all'assunto attoreo secondo il quale la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, il Collegio ritiene che l'Amministrazione abbia ampiamente chiarito, con precisazioni sulle quali la difesa attorea non ha ulteriormente coltivato il motivo in disamina, che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985: pertanto, la eventuale "pendenza" di quest'ultima è irrilevante nel presente giudizio avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Il Collegio, infine, ritiene che l'esame dell'ultima doglianza possa dichiararsi assorbito in considerazione della dirimente questione esaminata, relativa all'inconfigurabilità della consistenza pertinenziale delle opere de quibus quale elemento fondante della declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente e di per sé idoneo a sorreggere il conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi. Il Collegio ritiene che, in considerazione della peculiarità della materia, le spese di lite possano essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5084 del 2023, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, Ministero della Cultura e Ministero della Transizione Ecologica, in persona dei rispettivi Ministri, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, in via (...); contro In. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. St. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Regione Puglia, non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Seconda n. 684/2023, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di In. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Riccardo Carpino e uditi per le parti gli avvocati come da verbale. FATTO e DIRITTO 1.La questione controversa riguarda la deliberazione adottata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri del 10 marzo 2022 ed il decreto n. 211 del 25 maggio 2022 del Ministro della transizione ecologica contenente "Giudizio negativo di compatibilità ambientale per il progetto del Parco eolico di potenza pari a 50,4 MW denominato "Tr. Pe." nei comuni di (omissis), (omissis) e (omissis) (FG) (...)", comunicato alla società in data 8 giugno 2022. Il progetto riguarda la produzione di energia da fonte rinnovabile, costituito da n. 12 aerogeneratori, ognuno della potenza di 4,2 MW (per una potenza complessiva di 50,4 MW), ubicati in località "Tr. Pe.", ai confini dei comuni di (omissis), (omissis) e (omissis), nella provincia di Foggia, su una superficie di circa 700 ettari; detto progetto è stato giudicato positivamente dal Ministero per l'ambiente (successivamente definito "Ministero per la Transizione ecologica") e dalla Commissione tecnica VIA e VAS con prescrizioni, e negativamente dal Ministero per i beni e le attività culturali (successivamente denominato "Ministero della Cultura"). In considerazione delle diverse valutazioni emerse, il Ministero per la Transizione ecologica ha attivato la procedura prevista dall'art. 5, comma 2, lett. c-bis), della legge 23 agosto 1988 n. 400 di deferimento al Consiglio dei Ministri della decisione sul contrasto tra le valutazioni della amministrazioni; il Consiglio dei Ministri ha definito negativamente la valutazione di impatto ambientale dell'impianto ed il Ministero della transizione ecologica, con il provvedimento anche impugnato in primo grado, ha conseguentemente formulato giudizio negativo di compatibilità ambientale. Parimenti in senso negativo, per quanto di competenza, si era espressa la Regione Puglia, deducendo il contrasto dell'impianto con le direttrici informative del proprio P.P.T.R. di tutela paesaggistica; la Regione inoltre, preso atto dell'esito negativo della V.I.A concludeva negativamente il procedimento di autorizzazione unica, ai sensi del d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387 recante: "Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità ", senza indire la prevista conferenza dei servizi per l'acquisizione di ulteriori atti di assenso, pareri, autorizzazioni e nulla osta. Avverso questo secondo provvedimento l'odierno appellato ha proposto motivi aggiunti in primo grado. 1.1 Nel giudizio di primo grado, il TAR ha esaminato, tra le numerose censure, quelle che ha ritenuto avere carattere dirimente, ossia la n. 2 relativa alla concreta mancata ponderazione dei diversi interessi pubblici e la n. 5 concernente l'assenza di reali profili ostativi alla realizzazione del progetto. Su detti punti il giudice di primo grado ha rilevato che: -la delibera del Consiglio dei Ministri ha obliterato il parere positivo alla realizzazione del Progetto espresso dal preposto Comitato tecnico VAS-VIA insediato presso il Ministero della transizione ecologica, ossia da parte dell'amministrazione portatrice dell'interesse primario in considerazione peraltro dell'assenza di vincoli specifici paesaggistici o altri fattori ambientali ostativi; - il Ministero per i beni e le attività culturali (nota del 13 novembre 2020 prot. n. 33188) non ha evidenziato alcun reale fattore ostativo alla realizzazione dell'intervento né, ad avviso del giudice di primo grado, è pertinente il richiamo alla concentrazione degli impianti nella zona; - non consta dall'istruttoria svolta che i siti dov'è progettato l'impianto in questione rientrino in zone o ambiti censiti come specificamente "aree non idonee" ad ospitare i c.d. "parchi eolici" per la produzione energetica da fonte rinnovabile secondo quanto prescritto dall'art. 12, comma 10, d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387, e dalle relative linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010 recante "Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili"; - sulla base dell'art. 3 del Regolamento U.E. n. 2577 del 22 dicembre 2022, che istituisce "il quadro per accelerare la diffusione delle energie rinnovabili", secondo cui gli impianti alimentati da fonti rinnovabili assumono "interesse pubblico prevalente" nell'ambito della ponderazione dei vari interessi giuridici non si riscontra congrua motivazione per ritenere sussistenti apprezzabili profili di incompatibilità ambientale o paesaggistica, in assenza di espressi vincoli ostativi. In considerazione di quanto rilevato, il giudice di primo grado ha ritenuto che i provvedimenti di diniego contrastino con le linee guida e siano pertanto illegittimi nella misura in cui precludono la realizzazione del parco eolico senza una adeguata motivazione "vieppiù stante il parere positivo del preposto istituzionalmente Comitato tecnico VAS e VIA, che ha avuto cura di indicare in ponderate prescrizioni tutte le cautele da adottarsi". 2. L'Avvocatura erariale propone ora ricorso con un unico motivo: I) Violazione dell'art. 5, comma 2, lett. c-bis, della legge n. 400/1988 - Eccesso di potere giurisdizionale: sconfinamento da parte del TAR nel merito amministrativo. In particolare l'appellante muove una serie di censure: - la deliberazione del Consiglio dei Ministri va qualificata come atto di "alta amministrazione", espressione di amplissima discrezionalità amministrativa con la quale vengono conciliati l'interesse paesaggistico con gli altri interessi in gioco, compreso quello ambientale; tale deliberazione è sindacabile solo in relazione a macroscopici e conclamati profili di erroneità e irragionevolezza (ex multis, Consiglio di Stato sez. IV sent. n. 4062 del 2017) per il quale il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica non può, comunque, comportare la sostituzione della valutazione operata dall'Amministrazione con quella del giudice; - si tratta di una scelta di merito che può essere sindacata solo per arbitrarietà o irragionevolezza manifeste ovvero travisamento dei fatti ed in tal senso richiama consolidata giurisprudenza sulla scorta della quale la sostituzione, da parte del giudice amministrativo, della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell'amministrazione costituisce ipotesi di sconfinamento vietato dalla giurisdizione di legittimità nella sfera del merito riservata alla p.a., quand'anche l'eccesso in questione sia compiuto da una pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell'area dell'annullamento dell'atto; - le ragioni ostative alla realizzazione dell'impianto eolico contenute nell'atto in questione sono plurime e tra queste il contrasto con gli obiettivi del PPTR; - la localizzazione dell'impianto eolico in esame al di fuori di tutte le aree vincolate non comporta automaticamente il suo corretto inserimento nel paesaggio; - non vi è una carente motivazione, come ritenuto dal giudice di primo grado, in quanto la delibera esamina compiutamente - anche per relationem - tutti gli aspetti controversi ponendoli in comparazione sino ad individuare quello prevalente mediante l'esercizio della discrezionalità tipica degli atti di alta amministrazione, valutato anche il fatto che "l'interesse del privato tende necessariamente a deflettere nel procedimento di specie"; - l'art. 3 del Regolamento U.E. n. 2577 del 22 dicembre 2022, cui fa riferimento il giudice di primo grado non risulta applicabile alla fattispecie ratione temporis; inoltre l'art. 3 del regolamento europeo attribuisce, un "interesse pubblico prevalente" agli impianti energetici da fonti energetiche rinnovabili solamente in relazione alle ponderazioni di interessi giuridici riferite agli specifici casi ivi elencati, tra i quali non rientra la tutela del paesaggio in senso culturale. Nel caso in questione il giudice di primo grado, ad avviso dell'appellante, si sarebbe sostituito al Consiglio dei Ministri travalicando i propri poteri; ribadisce che la scelta della delibera del Consiglio dei Ministri, di lata e amplissima discrezionalità, di non derogare al dissenso qualificato dell'Amministrazione dissenziente, compete alla responsabilità propria del Governo ed esprime, in concreto, un raccordo tra attività amministrativa e attività politica. Il giudice di primo grado avrebbe dunque travalicato i limiti di sindacabilità sostituendosi al Consiglio dei Ministri nella valutazione di quale, tra gli interessi coinvolti, dovesse essere quello prevalente e meritevole di maggior tutela. 3. Il motivo è infondato. 3.1 Preliminarmente il Collegio ritiene di aderire all'orientamento giurisprudenziale consolidato (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV sent. 1174 del 5 febbraio 2024, cui si rinvia ai sensi dell'art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.), per il quale la deliberazione del Consiglio dei Ministri è un atto di alta amministrazione, espressione di ampia discrezionalità amministrativa (cfr.Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2020, n. 1486). Esso, in quanto tale, è sindacabile esclusivamente in ordine alla sussistenza dei relativi presupposti previsti dalla legge o nei casi di manifesta carenza di motivazione o ancora di irragionevolezza della scelta in concreto operata (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 26 settembre 2013, n. 4768), senza che il sindacato giurisdizionale possa risolversi in un "sindacato sostitutivo" incidente sulle scelte di merito che, in ossequio al principio costituzionale di separazione dei poteri, spettano alla pubblica amministrazione. Nello specifico non v'è dubbio che un atto di alta amministrazione su una questione siffatta eleva l'esame ad un livello di comparazione, anche politico-istituzionale degli interessi pubblici coinvolti (cfr. in termini Cons. Stato, sez. IV, 27 settembre 2021 n. 6473), comunque sindacabile esclusivamente nei limiti estrinseci e formali senza possibilità alcuna di sostituzione. 3.2. Ciò premesso, occorre rilevare che la localizzazione dell'impianto eolico al di fuori di tutte le aree vincolate di cui al d.m. 10 settembre 2010, non comporta automaticamente il corretto inserimento nel paesaggio. In particolare il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 - vigente ratione temporis - dispone che la Regione adotta una autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili; l'art. 12, comma 10, del citato d.lgs. rubricato "Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative" dispone che la Conferenza unificata approva le linee guida per lo svolgimento del relativo procedimento di autorizzazione unica. Tali linee guida sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti nel paesaggio, con specifico riguardo agli impianti eolici; in base a dette linee guida, le Regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti. È altresì previsto un obbligo di adeguamento da parte delle Regioni alle linee guida fermo restando che, in mancanza di detto adeguamento, si applicano le linee guida nazionali. Il d.m. 10 settembre 2010 recante le Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili prescrive, all'art. 17.1, che: "Al fine di accelerare l'iter di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, in attuazione delle disposizioni delle presenti linee guida, le Regioni e le Province autonome possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità di cui al presente punto e sulla base dei criteri di cui all'Allegato 3. L'individuazione della non idoneità dell'area è operata dalle Regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione." L'allegato 3 dispone che: "L'individuazione delle aree e dei siti non idonei mira non già a rallentare la realizzazione degli impianti, bensì ad offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti." 3.3 Come evidenziato dalla giurisprudenza, il legislatore statale ha trovato un punto di equilibrio, tra valori costituzionali potenzialmente antagonisti, nell'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, che disciplina il procedimento volto al rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la norma richiamata è volta, da un lato, a realizzare le condizioni affinché tutto il territorio nazionale contribuisca all'aumento della produzione energetica da fonti rinnovabili, sicché non possono essere tollerate esclusioni pregiudiziali di determinate aree; e, dall'altro lato, a evitare che una installazione massiva degli impianti possa vanificare gli altri valori coinvolti, tutti afferenti la tutela, soprattutto paesaggistica, del territorio (ex plurimis, sentenze n. 224 del 2012, n. 308, n. 275, n. 192, n. 107, n. 67 e n. 44 del 2011, n. 366, n. 168 e n. 124 del 2010, n. 282 del 2009) (cfr. Consiglio di Stato sez. IV - 11 settembre 2023, n. 8263). Va inoltre rilevato che, come già chiarito dalla giurisprudenza di questa Sezione (Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5122), le linee guida non sono vincolanti ma operano alla stregua di mere raccomandazioni e cioè alla stregua di criteri di indirizzo suscettibili di essere assunti quale ipotesi decisionale preferenziale ma non vincolante per l'autorità procedente, e comunque da ponderare con le altre possibili, rispetto agli ulteriori criteri normativi direttivi, tra cui primeggia quello del favor per lo sviluppo delle energie rinnovabili (Sez. IV, 11 settembre 2023, n. 8258). La finalità propria delle linee guida (sino all'attuazione di una diversa disciplina recata dall'art. 20 d.lgs. 8 novembre 2021 n. 199) è quella quindi - in una ottica di semplificazione - di offrire un quadro il più possibile certo all'operatore delle aree non idonee, ossia delle aree ove risulta inutile e dispendioso, sotto il profilo dell'attività amministrativa da porre in essere, almeno ad un primo esame, proporre la costruzione di impianti di energie rinnovabili; si tratta, nella sostanza, di una preistruttoria che le Regioni fanno, sulla base di quanto dispone il d.m. 10 settembre 2010, anche delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, proprio al fine di escludere che per determinate zone - quelle non idonee - vengano avanzate delle proposte di realizzazione di impianti che portino ad un diniego certo. 3.4 Da questo quadro normativo, volto indubbiamente alla semplificazione, non può conseguire che la previsione di aree non idonee comporti - alla stregua di un effetto automatico - che tutte le altre aree siano idonee ex se, escludendo qualsiasi valutazione dell'amministrazione. Se tutto l'impianto delle linee guida ha la finalità di semplificazione a favore delle imprese che intendono installare un impianto eolico e di incentivazione dell'utilizzo delle energie rinnovabili (Sez. IV, 11 settembre 2023, n. 8258), esso, al fine di conseguire una utilità complessiva, deve comportare che nel momento in cui l'amministrazione neghi l'installazione dell'impianto in una "area idonea", risultante per sottrazione dalle aree non idonee delle linee guida, occorre comunque fornire una adeguata motivazione sul punto. In linea generale si deve ritenere che l'amministrazione deve comunque motivare specificamente anche sulla difformità rispetto alle linee guida affinché queste poi, in un processo virtuoso che coinvolge lo Stato e le Regioni, possano essere modificate ed adeguate successivamente; un processo che quindi non è da ritenersi cristallizzato a quanto già previsto in epoca ormai risalente al d.m. 10 settembre 2010. Non va infatti trascurato che così come dispone il richiamato d.m. 10 settembre 2010 l'individuazione della non idoneità dell'area è operata dalle Regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto tra l'altro la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento (par. 17.1 d.m. 10 settembre 2010). 4. La delibera del Consiglio dei Ministri compie un ampio excursus sulle circostanze e le valutazioni effettuate dal Ministero della Cultura, così come emerse dall'istruttoria e individuabili (sinteticamente) nell'interferenza col PPTR, nella necessità di tutelare e conservare i valori paesaggistici, pur risultando già visibili nove aerogeneratori, nell'esistenza di testimonianze di tipo storico-culturale oltre che nella conservazione del patrimonio archeologico. Dopodiché, sulla base della comparazione degli interessi coinvolti, ha ritenuto di considerare prevalente l'interesse alla tutela del paesaggio, in considerazione dei molteplici impatti negativi dell'opera, al fine della tutela e della conservazione dei valori paesaggistici e culturali dell'area interessata. 5. Fatte tali premesse e ribaditi i limiti che incontra il giudice amministrativo nel sindacare gli atti di alta discrezionalità, qual è quello impugnato in primo grado (si veda par. 3.1), la sentenza merita conferma, seppur con diversa motivazione senza che, a differenza di quanto paventato da parte appellante, si sconfini nel sindacato del merito amministrativo. Per la Sezione, infatti, il provvedimento impugnato, certamente altamente discrezionale, non risulta congruamente motivato alla luce dell'istruttoria svolta e delle peculiari circostanze in fatto emerse. Nello specifico, il sindacato del giudice non ha invaso il merito nella parte in cui ha valutato la coerenza della motivazione, così sostanzialmente ravvisando il difetto di motivazione, in relazione ad un profilo di rilievo, qual è quello della localizzazione del progetto, alla luce della qualificazione dell'area nonché del parere VIA-VAS rilasciato. Si tratta di questioni peraltro già evidenziate dalla società appellata nel corso del procedimento che ha rilevato, sin dal riscontro in data 6 luglio 2020 (Rif. LT/PER/GP/2020-022) alle osservazioni formulate dal Ministero della Cultura ex art. 10 bis l. 241/1990 (prot. 48790 del 25 giugno 2020) agli atti di causa, come l'area in questione non rientra tra le aree non idonee individuate dalla Regione con il relativo Regolamento regionale n. 24 del 30 dicembre 2010 e con il PPTR. Nella sostanza quindi non si tratta di valutare "meccanicamente" la qualificazione dell'area - né di attribuire preminenza all'interesse della parte richiedente - bensì di richiedere una motivazione sull'esclusione in concreto dei siti interessati dalla realizzazione del progetto anche in relazione alle linee guida che - va ricordato - tengono conto pure dei valori del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. 6. In conclusione, alla luce delle considerazioni sino a qui espresse (anche in adesione a un orientamento già espresso da questa sezione in un caso ana; si veda Sez. IV, 19 maggio 2023, n. 5019), l'appello deve essere respinto e la sentenza di primo grado confermata esclusivamente nella parte in cui ha acclarato il difetto di motivazione nei termini di cui si è detto. Resta naturalmente ferma, e integra, in sede di rinnovato esercizio del potere amministrativo, l'autonomia dell'amministrazione di compiere tutte le valutazioni previste dalla legge, in senso favorevole o contrario alle ragioni dell'istante, soffermandosi sui profili già evidenziati nella sentenza di primo grado, ossia quelli relativi alla specifica area - considerata non inidonea (ma non per questo idonea ex se per le ragioni prima esposte) - e alla più approfondita valutazione comparativa delle posizioni e degli interessi rappresentati dalle differenti amministrazioni. 7. In considerazione della complessità del quadro normativo, dell'obiettiva difficoltà di ricostruzione dei fatti e dell'andamento del processo, sussistono idonei motivi per una compensazione delle spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere Riccardo Carpino - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5244 del 2023, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, dal Ministero della Cultura e dal Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, in via (...); contro In. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. St. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Regione Puglia, non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Seconda n. 788/2023, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di In. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Riccardo Carpino e uditi per le parti gli avvocati delle parti come da verbale. FATTO e DIRITTO 1.La questione controversa riguarda il procedimento di VIA, ai sensi dell'art. 23 del d.lgs. n. 152/2006, avviato presso il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in data 9 agosto 2019 dalla Società In. S.p.A. e relativo al progetto di un impianto eolico denominato "Pa. Eo. St. No.", costituito da 11 aerogeneratori della potenza complessiva di 61,60 MW nel territorio comunale di Stornara, nella provincia di Foggia, e delle relative opere connesse, nonché l'istanza alla Regione Puglia per l'Autorizzazione Unica concernente il medesimo impianto ai sensi dell'art. 12 del d.lgs. n. 387/2003. Con parere n. 271 del 10 giugno 2022 la Commissione Tecnica di Verifica dell'Impatto Ambientale VIA e VAS, ha espresso parere favorevole con prescrizioni; con nota n. 8431 del 7 marzo 2022, il Ministero della Cultura ha espresso parere tecnico istruttorio negativo, anche sulla base del parere negativo formulato dalla Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Barletta, Andria, Trani e Foggia e sul parere del proprio Servizio Scavi e Tutela del Patrimonio archeologico. In considerazione del dissenso tra le amministrazioni con la nota n. 17175 del 21 luglio 2022, il Ministero della Transizione ecologica, secondo la nuova denominazione nel frattempo intervenuta, ha chiesto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di attivare la procedura ex art. 5, comma 2, lettera c - bis), della legge n. 400/1988, al fine di risolvere il contrasto fra i due Dicasteri. Con delibera del 5 ottobre 2022, il Consiglio dei Ministri, richiamato il parere negativo del Ministero della Cultura, ha reso giudizio negativo di compatibilità ambientale; con nota prot. n. 12889 del 18.10.2022 il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica (già della Transizione ecologica) ha notificato all'appellante il diniego. Successivamente, con pec del 14 novembre 2022, la Regione Puglia ha comunicato il preavviso di diniego al rilascio dell'autorizzazione unica ex art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 motivato sulla base dell'esito negativo del giudizio di compatibilità ambientale. L'odierno appellante ha proposto ricorso in primo grado avverso la suindicata delibera della Presidenza del Consiglio dei Ministri oltreché ad una serie di atti relativi al procedimento. 2. Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso evidenziando, innanzitutto, la mancanza di una reale comparazione tra le posizioni del Ministero della cultura e quelle espresse dal Ministero della transizione ecologica. Inoltre, per il TAR, il difetto di motivazione sarebbe "tanto più grave se si tiene conto che il parco eolico dovrebbe essere realizzato in un'area pianeggiante con destinazione agricola utilizzata solo come seminativo/pascolo e non oggetto di alcun vincolo diretto". Inoltre l'area sarebbe estranea rispetto ai siti Natura 2000 e alle Ibas (Importante Bird and Biodiversity Areas) con ulteriore, e conseguente, difetto di motivazione. La decisione del giudice di primo grado evidenzia ancora come, secondo il Comitato tecnico VIA, il progetto dell'impianto ricade al di fuori delle c.d. "aree non idonee", per come individuate dalla Regione Puglia (all'interno del proprio Piano energetico ambientale) e rispetterebbe quanto previsto dalle Linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010 in merito alle misure di mitigazione e alle distanze minime di ciascun aerogeneratore, rispetto alle strade provinciali esistenti, così da scongiurare il c.d. effetto selva. 2. L'Avvocatura erariale propone ora ricorso con un unico motivo: I) Violazione dell'art. 5, comma 2, lett. c-bis, della legge n. 400/1988 - Eccesso di potere giurisdizionale: sconfinamento da parte del TAR nel merito amministrativo. In particolare l'appellante muove una serie di censure: - la deliberazione del Consiglio dei Ministri va qualificata come atto di "alta amministrazione", espressione di amplissima discrezionalità amministrativa con la quale vengono conciliati l'interesse paesaggistico con gli altri interessi in gioco, compreso quello ambientale; tale deliberazione è sindacabile solo in relazione a macroscopici e conclamati profili di erroneità e irragionevolezza (ex multis, Consiglio di Stato sez. IV sent. n. 4062 del 2017) per il quale il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica non può, comunque, comportare la sostituzione della valutazione operata dall'Amministrazione con quella del giudice; - si tratta di una scelta di merito che può essere sindacata solo per arbitrarietà o irragionevolezza manifeste ovvero travisamento dei fatti ed in tal senso richiama consolidata giurisprudenza sulla scorta della quale la sostituzione, da parte del giudice amministrativo, della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell'amministrazione costituisce ipotesi di sconfinamento vietato dalla giurisdizione di legittimità nella sfera del merito riservata alla p.a., quand'anche l'eccesso in questione sia compiuto da una pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell'area dell'annullamento dell'atto; - le ragioni ostative alla realizzazione dell'impianto eolico contenute nell'atto in questione sono plurime e tra queste il contrasto con gli obiettivi del PPTR; - la localizzazione dell'impianto eolico in esame al di fuori di tutte le aree vincolate non comporta automaticamente il suo corretto inserimento nel paesaggio; - non vi è una carente motivazione, come ritenuto dal giudice di primo grado, in quanto la delibera esamina compiutamente - anche per relationem - tutti gli aspetti controversi ponendoli in comparazione sino ad individuare quello prevalente mediante l'esercizio della discrezionalità tipica degli atti di alta amministrazione, valutato anche il fatto che "l'interesse del privato tende necessariamente a deflettere nel procedimento di specie". 3. Il motivo è infondato. 3.1. Preliminarmente il Collegio ritiene di aderire all'orientamento giurisprudenziale consolidato (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV sent. 1174 del 5 febbraio 2024, cui si rinvia ai sensi dell'art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.), per il quale la deliberazione del Consiglio dei Ministri è un atto di alta amministrazione, espressione di ampia discrezionalità amministrativa (cfr.Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2020, n. 1486). Esso, in quanto tale, è sindacabile esclusivamente in ordine alla sussistenza dei relativi presupposti previsti dalla legge o nei casi di manifesta carenza di motivazione o ancora di irragionevolezza della scelta in concreto operata (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 26 settembre 2013, n. 4768), senza che il sindacato giurisdizionale possa risolversi in un "sindacato sostitutivo" incidente sulle scelte di merito che, in ossequio al principio costituzionale di separazione dei poteri, spettano alla pubblica amministrazione. Nello specifico non v'è dubbio che un atto di alta amministrazione su una questione siffatta eleva l'esame ad un livello di comparazione, anche politico-istituzionale degli interessi pubblici coinvolti (cfr. in termini Cons. Stato, sez. IV, 27 settembre 2021 n. 6473), comunque sindacabile esclusivamente nei limiti estrinseci e formali senza possibilità alcuna di sostituzione. 3.2 Ciò premesso occorre rilevare che la localizzazione dell'impianto eolico al di fuori di tutte le aree vincolate di cui al d.m. 10 settembre 2010, non comporta automaticamente il corretto inserimento nel paesaggio. In particolare il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 - vigente ratione temporis - dispone che la regione adotta una autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili; l'art. 12, comma 10, del citato d.lgs. rubricato "Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative" dispone che la Conferenza unificata approva le linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3. Tali linee guida sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio; in base a dette linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti. È altresì previsto un obbligo di adeguamento da parte delle regioni alle linee guida fermo restando che, in mancanza di detto adeguamento, si applicano le linee guida nazionali. Il d.m. 10 settembre 2010 recante le Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili prescrive, all'art. 17.1, che: "Al fine di accelerare l'iter di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, in attuazione delle disposizioni delle presenti linee guida, le Regioni e le Province autonome possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità di cui al presente punto e sulla base dei criteri di cui all'Allegato 3. L'individuazione della non idoneità dell'area è operata dalle Regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione." L'allegato 3 dispone che: "L'individuazione delle aree e dei siti non idonei mira non già a rallentare la realizzazione degli impianti, bensì ad offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti." 3.3 Come evidenziato dalla giurisprudenza, il legislatore statale ha trovato un punto di equilibrio, tra valori costituzionali potenzialmente antagonisti, nell'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, che disciplina il procedimento volto al rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la norma richiamata è volta, da un lato, a realizzare le condizioni affinché tutto il territorio nazionale contribuisca all'aumento della produzione energetica da fonti rinnovabili, sicché non possono essere tollerate esclusioni pregiudiziali di determinate aree; e, dall'altro lato, a evitare che una installazione massiva degli impianti possa vanificare gli altri valori coinvolti, tutti afferenti la tutela, soprattutto paesaggistica, del territorio (ex plurimis, sentenze n. 224 del 2012, n. 308, n. 275, n. 192, n. 107, n. 67 e n. 44 del 2011, n. 366, n. 168 e n. 124 del 2010, n. 282 del 2009) (cfr. Consiglio di Stato sez. IV - 11 settembre 2023, n. 8263) Va inoltre rilevato che, come già chiarito dalla giurisprudenza di questa Sezione (Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5122), le linee guida non sono vincolanti ma operano alla stregua di mere raccomandazioni e cioè alla stregua di criteri di indirizzo suscettibili di essere assunti quale ipotesi decisionale preferenziale ma non vincolante per l'autorità procedente, e comunque da ponderare con le altre possibili, rispetto agli ulteriori criteri normativi direttivi, tra cui primeggia quello del favor per lo sviluppo delle energie rinnovabili (Sez. IV, 11 settembre 2023, n. 8258). La finalità propria delle linee guida (sino all'attuazione di una diversa disciplina recata dall'art. 20 d.lgs. 8 novembre 2021 n. 199) è quella quindi - in una ottica di semplificazione - di offrire un quadro il più possibile certo all'operatore delle aree non idonee, ossia delle aree ove risulta inutile e dispendioso, sotto il profilo dell'attività amministrativa da porre in essere, almeno ad un primo esame, proporre la costruzione di impianti di energie rinnovabili; si tratta, nella sostanza, di una preistruttoria che le Regioni fanno, sulla base di quanto dispone il d.m. 10 settembre 2010, anche delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, proprio al fine di escludere che per determinate zone - quelle non idonee - vengano avanzate delle proposte di realizzazione di impianti che portino ad un diniego certo. 3.4. Da questo quadro normativo, volto indubbiamente alla semplificazione, non può conseguire che la previsione di aree non idonee comporti - alla stregua di un effetto automatico - che tutte le altre aree siano idonee ex se, escludendo qualsiasi valutazione dell'amministrazione. Se tutto l'impianto delle linee guida ha la finalità di semplificazione a favore delle imprese che intendono installare un impianto eolico e di incentivazione dell'utilizzo delle energie rinnovabili, (Sez. IV, 11 settembre 2023, n. 8258), esso, al fine di avere una utilità complessiva, deve comportare che nel momento in cui l'amministrazione neghi l'installazione dell'impianto in una "area idonea", risultante per sottrazione dalle aree non idonee delle linee guida, occorre comunque fornire una adeguata motivazione sul punto. In linea generale si deve ritenere che l'amministrazione deve quindi motivare specificamente anche sulla difformità rispetto alle linee guida. Non va infatti trascurato che così come dispone il richiamato d.m. 10 settembre 2010 l'individuazione della non idoneità dell'area è operata dalle Regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto, tra l'altro, la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento (par.17.1 d.m. 10 settembre 2010). 4. La delibera del Consiglio dei Ministri compie un ampio excursus sulle circostanze e le valutazioni effettuate dal Ministero della Cultura, così come emerse dall'istruttoria e individuabili (sinteticamente) nel parere negativo della Soprintendenza, nell'interferenza con il PPTR, nel mancato rispetto delle regole di riproducibilità delle invarianti strutturali stabilite dal PPTR, nella presenza nella zona di beni sottoposti a vincolo paesaggistico, oltreché nella localizzazione al centro di una fitta rete tratturale e alle "possibili" interferenze con un villaggio neolitico. Dopodiché, sulla base della comparazione degli interessi coinvolti, ha ritenuto di considerare prevalente l'interesse alla tutela del paesaggio, in considerazione dei molteplici impatti negativi dell'opera, al fine della tutela e della conservazione dei valori paesaggistici e culturali dell'area interessata. 5. Fatte tali premesse e ribaditi i limiti che incontra il giudice amministrativo nel sindacare gli atti di alta discrezionalità, qual è quello impugnato in primo grado (si veda par. 3.1), la sentenza merita conferma, senza che, a differenza di quanto paventato da parte appellante, si sconfini nel sindacato del merito amministrativo. Per la Sezione, infatti, il provvedimento impugnato, certamente altamente discrezionale, non risulta congruamente motivato alla luce dell'istruttoria svolta e delle peculiari circostanze in fatto emerse oltreché nella mancanza di adeguata motivazione sulla posizione espressa dal Ministero della Transizione ecologica. Nello specifico, il sindacato del giudice di primo grado non ha invaso il merito in quanto si è limitato - in linea con i limiti del sindacato sugli atti di alta amministrazione - a valutarne la coerenza della decisione assunta rispetto ai molteplici profili di rilievo. In particolare dal provvedimento impugnato (la delibera della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 5 ottobre 2022) non emergono, pur nei limiti del sindacato formale di questo giudice, elementi di riscontro rispetto alle valutazione operate dalla Commissione Via sui molteplici aspetti poi evidenziati dal giudice di primo grado. Nella sostanza non si tratta, come paventa l'appellante, di escludere che una delle due tesi avanzate dalle amministrazioni di settore sia prevalente rispetto all'altra bensì di fornire una congrua motivazione. 6. In conclusione, alla luce delle considerazioni sino a qui espresse (anche in adesione a un orientamento già espresso da questa sezione in un caso ana; si veda Sez. IV, 19 maggio 2023, n. 5019), l'appello deve essere respinto e la sentenza di primo grado confermata esclusivamente nella parte in cui ha acclarato il difetto di motivazione nei termini di cui si è detto. Resta naturalmente ferma, e integra, in sede di rinnovato esercizio del potere amministrativo, l'autonomia dell'amministrazione di compiere tutte le valutazioni previste dalla legge, in senso favorevole o contrario alle ragioni dell'istante, soffermandosi sui profili già evidenziati nella sentenza di primo grado, ossia quelli relativi alla specifica area e alla più approfondita valutazione comparativa delle posizioni e degli interessi rappresentati dalle differenti amministrazioni. 7. In considerazione della complessità del quadro normativo, dell'obiettiva difficoltà di ricostruzione dei fatti e dell'andamento del processo, sussistono idonei motivi per una compensazione delle spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere Riccardo Carpino - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5037 del 2023, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro tempore, dal Ministero della Cultura e Ministero della Transizione Ecologica, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, in via (...); contro In. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. St. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Regione Puglia, non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Seconda n. 683/2023, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di In. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Riccardo Carpino e uditi per le parti gli avvocati delle parti come da verbale. FATTO e DIRITTO 1. La questione controversa riguarda la deliberazione adottata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nella riunione del 10 marzo 2022 con la quale ai sensi dell'art. 5, comma 2, lett. c-bis), della legge 3 agosto 1988 n. 400 il Consiglio dei Ministri ha disposto "di fare propria la posizione del Ministero della cultura e di non consentire il proseguimento del procedimento di valutazione di impatto ambientale del progetto di parco eolico denominato "Ponticello"; Detto progetto per la produzione di energia da fonte rinnovabile era costituito da n. 10 aerogeneratori della potenza complessiva di 42 MW, da installare nel territorio comunale di (omissis) e (omissis) nella provincia di Foggia su una superficie di circa 450 ettari; era stato proposto dalla società appellante ed era stato giudicato positivamente dal Ministero per l'ambiente (successivamente definito "Ministero per la Transizione ecologica") e dalla Commissione tecnica VIA e VAS, che adottava parere positivo con prescrizioni, ma negativamente dal Ministero per i beni e le attività culturali (successivamente denominato "Ministero della Cultura"). In considerazione del conflitto determinatosi tra il Ministero della cultura e la Commissione tecnica VAS-VIA presso il Ministero della transizione ecologica, quest'ultimo, con apposita nota, ha investito il Consiglio dei Ministri della definitiva valutazione, attivando la procedura prevista dall'art. 5, comma 2, lett. c-bis), della legge 23 agosto 1988 n. 400; il Consiglio dei Ministri ha definito negativamente la valutazione di impatto ambientale dell'impianto ed il Ministero della transizione ecologica, con il provvedimento anche impugnato in primo grado, ha conseguentemente formulato giudizio negativo di compatibilità ambientale. Parimenti in senso negativo, per quanto di competenza, si era espressa la Regione Puglia, deducendo il contrasto dell'impianto con le direttrici informative del proprio P.P.T.R. di tutela paesaggistica; la Regione inoltre, preso atto dell'esito negativo della V.I.A., concludeva negativamente il procedimento di autorizzazione unica, ai sensi del d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387 recante: "Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità ", senza indire la prevista conferenza dei servizi per l'acquisizione di ulteriori atti di assenso, pareri, autorizzazioni e nulla osta. Avverso questo secondo provvedimento l'odierno appellato ha proposto motivi aggiunti in primo grado. 1.1 Nel giudizio di primo grado, il TAR ha esaminato, tra le numerose censure, quelle che ha ritenuto avere carattere dirimente, ossia la n. 2 relativa alla concreta mancata ponderazione dei diversi interessi pubblici e la n. 5 concernente l'assenza di reali profili ostativi alla realizzazione del progetto. Su detti punti il giudice di primo grado ha rilevato che: -la delibera del Consiglio dei Ministri ha obliterato il parere positivo alla realizzazione del Progetto espresso dal preposto Comitato tecnico VAS-VIA insediato presso il Ministero della transizione ecologica, ossia da parte dell'amministrazione portatrice dell'interesse primario in considerazione peraltro dell'assenza di vincoli specifici paesaggistici o altri fattori ambientali ostativi; - il Ministero per i beni e le attività culturali (nota del 13 novembre 2020 prot. n. 33188) non ha evidenziato alcun reale fattore ostativo alla realizzazione dell'intervento né, ad avviso del giudice di primo grado, è pertinente il richiamo alla concentrazione degli impianti nella zona; - non consta dall'istruttoria svolta che i siti, dov'è progettato l'impianto in questione, rientrino in zone o ambiti censiti come specificamente "aree non idonee" ad ospitare i c.d. "parchi eolici" per la produzione energetica da fonte rinnovabile secondo quanto prescritto dall'art. 12, comma 10, d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387, e dalle relative linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010 recante "Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili"; - sulla base dell'art. 3 del Regolamento U.E. n. 2577 del 22 dicembre 2022, che istituisce "il quadro per accelerare la diffusione delle energie rinnovabili", secondo cui gli impianti alimentati da fonti rinnovabili assumono "interesse pubblico prevalente" nell'ambito della ponderazione dei vari interessi giuridici non si riscontra congrua motivazione per ritenere sussistenti apprezzabili profili di incompatibilità ambientale o paesaggistica, in assenza di espressi vincoli ostativi. In considerazione di quanto rilevato il giudice di primo grado ha ritenuto che i provvedimenti di diniego contrastino con le linee guida e siano pertanto illegittimi nella misura in cui precludono la realizzazione del parco eolico senza una adeguata motivazione "vieppiù stante il parere positivo del preposto istituzionalmente Comitato tecnico VAS e VIA, che ha avuto cura di indicare in ponderate prescrizioni tutte le cautele da adottarsi". 2. L'Avvocatura erariale propone ora ricorso con un unico motivo: I) Violazione dell'art. 5, comma 2, lett. c-bis, della legge n. 400/1988 - Eccesso di potere giurisdizionale: sconfinamento da parte del TAR nel merito amministrativo. In particolare l'appellante muove una serie di censure: - la deliberazione del Consiglio dei Ministri va qualificata come atto di "alta amministrazione", espressione di amplissima discrezionalità amministrativa con la quale vengono conciliati l'interesse paesaggistico con gli altri interessi in gioco, compreso quello ambientale; tale deliberazione è sindacabile solo in relazione a macroscopici e conclamati profili di erroneità e irragionevolezza (ex multis, Consiglio di Stato sez. IV sent. n. 4062 del 2017) per il quale il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica non può, comunque, comportare la sostituzione della valutazione operata dall'Amministrazione con quella del giudice; - si tratta di una scelta di merito che può essere sindacata solo per arbitrarietà o irragionevolezza manifeste ovvero travisamento dei fatti ed in tal senso richiama consolidata giurisprudenza sulla scorta della quale la sostituzione, da parte del giudice amministrativo, della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell'amministrazione costituisce ipotesi di sconfinamento vietato dalla giurisdizione di legittimità nella sfera del merito riservata alla p.a., quand'anche l'eccesso in questione sia compiuto da una pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell'area dell'annullamento dell'atto; - le ragioni ostative alla realizzazione dell'impianto eolico contenute nell'atto in questione sono plurime e tra queste il contrasto con gli obiettivi del PPTR; - la localizzazione dell'impianto eolico in esame al di fuori di tutte le aree vincolate non comporta automaticamente il suo corretto inserimento nel paesaggio; - non vi è una carente motivazione, come ritenuto dal giudice di primo grado, in quanto la delibera esamina compiutamente - anche per relationem - tutti gli aspetti controversi ponendoli in comparazione sino ad individuare quello prevalente mediante l'esercizio della discrezionalità tipica degli atti di alta amministrazione, valutato anche il fatto che "l'interesse del privato tende necessariamente a deflettere nel procedimento di specie". - l'art. 3 del Regolamento U.E. n. 2577 del 22 dicembre 2022, cui fa riferimento il giudice di primo grado non risulta applicabile alla fattispecie ratione temporis; inoltre l'art. 3 del regolamento europeo attribuisce, un "interesse pubblico prevalente" agli impianti energetici da fonti energetiche rinnovabili solamente in relazione alle ponderazioni di interessi giuridici riferite agli specifici casi ivi elencati, tra i quali non rientra la tutela del paesaggio in senso culturale. Nel caso in questione il giudice di primo grado, ad avviso dell'appellante, si sarebbe sostituito al Consiglio dei Ministri travalicando i propri poteri; ribadisce l'appellante che la scelta della delibera del Consiglio dei Ministri, di lata e amplissima discrezionalità, di non derogare al dissenso qualificato dell'Amministrazione dissenziente, compete alla responsabilità propria del Governo ed esprime, in concreto, un raccordo tra attività amministrativa e attività politica. Il giudice di primo grado avrebbe dunque travalicato i limiti di sindacabilità sostituendosi al Consiglio dei Ministri nella valutazione di quale, tra gli interessi coinvolti, dovesse essere quello prevalente e meritevole di maggior tutela. 3. Il motivo è infondato. 3.1. Preliminarmente il Collegio ritiene di aderire all'orientamento giurisprudenziale consolidato (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV sent. 1174 del 5 febbraio 2024, cui si rinvia ai sensi dell'art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.), per il quale la deliberazione del Consiglio dei Ministri è un atto di alta amministrazione, espressione di ampia discrezionalità amministrativa (cfr.Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2020, n. 1486). Esso, in quanto tale, è sindacabile esclusivamente in ordine alla sussistenza dei relativi presupposti previsti dalla legge o nei casi di manifesta carenza di motivazione o ancora di irragionevolezza della scelta in concreto operata (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 26 settembre 2013, n. 4768), senza che il sindacato giurisdizionale possa risolversi in un "sindacato sostitutivo" incidente sulle scelte di merito che, in ossequio al principio costituzionale di separazione dei poteri, spettano alla pubblica amministrazione. Nello specifico non v'è dubbio che un atto di alta amministrazione su una questione siffatta eleva l'esame ad un livello di comparazione, anche politico-istituzionale degli interessi pubblici coinvolti (cfr. in termini Cons. Stato, sez. IV, 27 settembre 2021 n. 6473), comunque sindacabile esclusivamente nei limiti estrinseci e formali senza possibilità alcuna di sostituzione. 3.2. Ciò premesso, occorre rilevare che la localizzazione dell'impianto eolico al di fuori di tutte le aree vincolate di cui al d.m. 10 settembre 2010, non comporta automaticamente il corretto inserimento nel paesaggio. In particolare il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 - vigente ratione temporis - dispone che la Regione adotta una autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili; l'art. 12, comma 10, del citato d.lgs. rubricato "Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative" dispone che la Conferenza unificata approva le linee guida per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione unica. Tali linee guida sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti nel paesaggio, con specifico riguardo agli impianti eolici; in base a dette linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti. È altresì previsto un obbligo di adeguamento da parte delle Regioni alle linee guida fermo restando che, in mancanza di detto adeguamento, si applicano le linee guida nazionali. Il d.m. 10 settembre 2010 recante le Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili prescrive, all'art. 17.1, che: "Al fine di accelerare l'iter di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, in attuazione delle disposizioni delle presenti linee guida, le Regioni e le Province autonome possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità di cui al presente punto e sulla base dei criteri di cui all'Allegato 3. L'individuazione della non idoneità dell'area è operata dalle Regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione." L'allegato 3 dispone che: "L'individuazione delle aree e dei siti non idonei mira non già a rallentare la realizzazione degli impianti, bensì ad offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti." 3.3 Come evidenziato dalla giurisprudenza, il legislatore statale ha trovato un punto di equilibrio, tra valori costituzionali potenzialmente antagonisti, nell'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, che disciplina il procedimento volto al rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la norma richiamata è volta, da un lato, a realizzare le condizioni affinché tutto il territorio nazionale contribuisca all'aumento della produzione energetica da fonti rinnovabili, sicché non possono essere tollerate esclusioni pregiudiziali di determinate aree; e, dall'altro lato, a evitare che una installazione massiva degli impianti possa vanificare gli altri valori coinvolti, tutti afferenti la tutela, soprattutto paesaggistica, del territorio (ex plurimis, sentenze n. 224 del 2012, n. 308, n. 275, n. 192, n. 107, n. 67 e n. 44 del 2011, n. 366, n. 168 e n. 124 del 2010, n. 282 del 2009) (cfr. Consiglio di Stato sez. IV - 11 settembre 2023, n. 8263). Va inoltre rilevato che, come già chiarito dalla giurisprudenza di questa Sezione (Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5122), le linee guida non sono vincolanti ma operano alla stregua di mere raccomandazioni e cioè alla stregua di criteri di indirizzo suscettibili di essere assunti quale ipotesi decisionale preferenziale ma non vincolante per l'autorità procedente, e comunque da ponderare con le altre possibili, rispetto agli ulteriori criteri normativi direttivi, tra cui primeggia quello del favor per lo sviluppo delle energie rinnovabili (Sez. IV, 11 settembre 2023, n. 8258). La finalità propria delle linee guida (sino all'attuazione di una diversa disciplina recata dall'art. 20 d.lgs. 8 novembre 2021 n. 199) è quella quindi - in una ottica di semplificazione - di offrire un quadro il più possibile certo all'operatore delle aree non idonee, ossia delle aree ove risulta inutile e dispendioso, sotto il profilo dell'attività amministrativa da porre in essere, almeno ad un primo esame, proporre la costruzione di impianti di energie rinnovabili; si tratta, nella sostanza, di una preistruttoria che le Regioni fanno, sulla base di quanto dispone il d.m. 10 settembre 2010, anche delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, proprio al fine di escludere che per determinate zone - quelle non idonee - vengano avanzate delle proposte di realizzazione di impianti che portino ad un diniego certo. 3.4. Da questo quadro normativo, volto indubbiamente alla semplificazione, non può conseguire che la previsione di aree non idonee comporti - alla stregua di un effetto automatico - che tutte le altre aree siano idonee ex se, escludendo qualsiasi valutazione dell'amministrazione. Se tutto l'impianto delle linee guida ha la finalità di semplificazione a favore delle imprese che intendono installare un impianto eolico e di incentivazione dell'utilizzo delle energie rinnovabili (Sez. IV, 11 settembre 2023, n. 8258), esso, al fine di avere una utilità complessiva, deve comportare che nel momento in cui l'amministrazione neghi l'installazione dell'impianto in una "area idonea", risultante per sottrazione dalle aree non idonee delle linee guida, occorre comunque fornire una adeguata motivazione sul punto. In linea generale si deve ritenere che l'amministrazione deve motivare specificamente anche sulla difformità rispetto alle linee guida affinché queste poi, in un processo virtuoso che coinvolge lo Stato e le Regioni, possano essere modificate ed adeguate successivamente; un processo che quindi non è da ritenersi cristallizzato a quanto già previsto in epoca ormai risalente al d.m. 10 settembre 2010. Non va infatti trascurato che, così come dispone il richiamato d.m. 10 settembre 2010, l'individuazione della non idoneità dell'area è operata dalle Regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto tra l'altro la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento (par. 17.1 d.m. 10 settembre 2010). 4. La delibera del Consiglio dei Ministri compie un ampio excursus sulle circostanze e le valutazioni effettuate dal Ministero della Cultura, così come emerse dall'istruttoria e individuabili (sinteticamente) nel paesaggio agrario, nella alta significatività archeologica e nella prossimità a strade a valenza paesaggistica. Dopodiché, sulla base della comparazione degli interessi coinvolti, ha ritenuto di considerare prevalente l'interesse alla tutela del paesaggio, in considerazione dei molteplici impatti negativi dell'opera, al fine della tutela e della conservazione dei valori paesaggistici e culturali dell'area interessata. 5. Fatte tali premesse e ribaditi i limiti che incontra il giudice amministrativo nel sindacare gli atti di alta discrezionalità, qual è quello impugnato in primo grado (si veda par. 3.1), la sentenza merita conferma, seppur con diversa motivazione senza che, a differenza di quanto paventato da parte appellante, si sconfini nel sindacato del merito amministrativo. Per la Sezione, infatti, il provvedimento impugnato, certamente altamente discrezionale, non risulta congruamente motivato alla luce dell'istruttoria svolta e delle peculiari circostanze in fatto emerse. Nello specifico, il sindacato del giudice non ha invaso il merito nella parte in cui ha valutato la coerenza della motivazione, così sostanzialmente ravvisando il difetto di motivazione, in relazione ad un profilo di rilievo, qual è quello della localizzazione del progetto, alla luce della qualificazione dell'area nonché del parere VIA-VAS rilasciato. Si tratta di questioni peraltro già evidenziate dalla società appellata nel corso del procedimento che ha evidenziato, sin dal riscontro in data 29 maggio 2020 (Rif. LT/PON/GP/2020-015) alle osservazioni formulate dal Ministero della Cultura ex art. 10 bis l. 241/1990 (prot. 15335 del 19 maggio 2020) agli atti di causa come l'area in questione è stata individuata "nel pieno rispetto del Regolamento Regionale n. 24/2010 della Regione Puglia ("Linee Guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili", recante la individuazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati da fonti rinnovabili nel territorio della Regione Puglia - Regolamento attuativo del Decreto del Ministero per lo Sviluppo Economico del 10 settembre 2010), che stabilisce le Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili." Nella sostanza quindi non si tratta di valutare "meccanicamente" la qualificazione dell'area - né di attribuire preminenza all'interesse della parte richiedente - bensì di richiedere una reale motivazione sull'esclusione in concreto dei siti interessati dalla realizzazione del progetto anche in relazione alle linee guida che - va ricordato - tengono conto pure dei valori del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. 6. In conclusione, alla luce delle considerazioni sino a qui espresse (anche in adesione a un orientamento già espresso da questa sezione in un caso ana; si veda Sez. IV, 19 maggio 2023, n. 5019), l'appello deve essere respinto e la sentenza di primo grado confermata esclusivamente nella parte in cui ha acclarato il difetto di motivazione nei termini di cui si è detto. Resta naturalmente ferma, e integra, in sede di rinnovato esercizio del potere amministrativo, l'autonomia dell'amministrazione di compiere tutte le valutazioni previste dalla legge, in senso favorevole o contrario alle ragioni dell'istante, soffermandosi sui profili già evidenziati nella sentenza di primo grado, ossia quelli relativi alla specifica area - considerata non inidonea (ma non per questo idonea ex se per le ragioni prima esposte) - e alla più approfondita valutazione comparativa delle posizioni e degli interessi rappresentati dalle differenti amministrazioni. 7. In considerazione della complessità del quadro normativo, dell'obiettiva difficoltà di ricostruzione dei fatti e dell'andamento del processo, sussistono idonei motivi per una compensazione delle spese. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere Riccardo Carpino - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5486 del 2023, proposto da Pu. Sa. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ca. Di Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio; e con l'intervento di con l'intervento ad adiuvandum di Ta. Ou. Do. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Di Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, Sezione Prima, n. 1878/2022 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2024 il Cons. Daniela Di Carlo e udito per la parte appellante l'avvocato Ca. Di Gi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società ricorrente ha appellato la sentenza di cui in epigrafe con cui il Tar della Puglia, Sezione staccata di Lecce, ha respinto il suo ricorso, integrato da motivi aggiunti, per l'annullamento degli atti della serie procedimentale concernente il diniego all'istallazione di impianti pubblicitari. Più in particolare, la società ricorrente aveva impugnato: I.- per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - il provvedimento prot. n. 16538/2018 del 4 maggio 2018, con il quale il Dirigente dell'Ufficio Tecnico aveva comunicato "il diniego definitivo dell'istanza in oggetto per i motivi già citati con la comunicazione prot. 61170 del 16.2.12018, ai sensi dell'articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990 e che restano confermati così come Parere espresso dal Comando di Polizia Municipale con la nota Prot. n. 43774 del 14/11/2017", nella parte in cui si negava l'autorizzazione all'installazione dei sette impianti pubblicitari 6 x 3 metri insistenti in agro di (omissis) di cui all'autorizzazione/p.d.c. n. 302/2005 (A221, A222, A223, A224, A225, A226, A227, A228) e in quella in cui si negava l'autorizzazione per l'installazione degli impianti di (omissis) e Viale (omissis), di cui alla richiesta prot. 11025 del 15 marzo 2017; - la comunicazione ex art. 10-bis l. n. 241/1990 prot. n. 61170 del 16 febbraio 2018; - la nota prot. n. 1946 dell'11 febbraio 2017 del Comando di Polizia Municipale del Comune di (omissis); - la nota prot. n. 43774 del 14 novembre 2017 con cui il Comando di Polizia Municipale del Comune di (omissis) aveva espresso parere negativo sui due nuovi impianti; - le note prot. n. 20113 del 16 maggio 2017, prot. n. 35494 del 18 settembre 2017, prot. n. 42580 del 3 novembre 2017, prot. n. 32627 del 23 agosto 2017, prot. n. 12604 del 30 marzo 2018, prot. n. 12322 del 4 aprile 2018; II.- per quanto riguarda i motivi aggiunti: - gli atti già impugnati col ricorso introduttivo, e, più specificamente, le note prot. n. 1946 dell'11 febbraio 2017 e prot. n. 43774 del 14 novembre 2017, il cui contenuto non era conosciuto fino alla loro produzione in giudizio da parte del Comune intimato. 2. A sostegno dell'impugnativa aveva dedotto numerose violazioni di legge (d.lgs. n. 267/2000; d.lgs. n. 285/1992; d.P.R. n. 485/1992, artt. 3, 7, 20, 21-quinquies, 21-nonies, legge n. 241/1990; d.lgs. n. 507/1993; art. 41 Cost.) e di regolamento (falsa applicazione del PGIP del Comune di (omissis)), oltre al vizio di incompetenza dell'organo che ha adottato gli atti impugnati e a svariate figure sintomatiche di eccesso di potere (per carenza istruttoria e motivazionale, per disparità di trattamento, per manifesta irragionevolezza e illogicità, per carenza nei presupposti e travisamento dei fatti, per sviamento). 3. Il Tar adito ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti con la motivazione che "- non si era formato "l'invocato silenzio-assenso sull'istanza di rinnovo relativa ai sette impianti di cui all'autorizzazione n. 302 del 2005, in quanto già dichiarata decaduta con svariate note comunali ritualmente comunicate alla Società ricorrente e poiché manca, nelle istanze di rinnovo presentate, la specifica attestazione che "nessuna variazione è intervenuta rispetto alla precedente autorizzazione", (invece) prescritta ai fini della formazione del titolo abilitativo tacito dal vigente Piano per l'Installazione degli Impianti Pubblicitari; - non sussiste la "dedotta incompetenza del Dirigente dell'Ufficio Tecnico Comunale rispetto al Dirigente dello Sportello Unico delle Attività Produttive (irrilevante giuridicamente, in considerazione, essenzialmente, dell'insussistenza di alcuna differenza ontologica)"; - per i sette impianti esistenti, risulta "ammissibile la motivazione per relationem all'indicata nota del Comando della Polizia Municipale prot. n. 1946 dell'11 febbraio 2017, esibita in giudizio dal Comune intimato, da cui si evincono adeguati motivi ostativi al rinnovo (la evidenziata violazione dell'art. 23 del Codice della Strada, in ragione dell'illecito -sostanziale, e non già meramente formale- disturbo visivo e distrazione agli utenti della strada, con conseguente pericolo per la sicurezza stradale ...)", e ciò indipendentemente dal dato procedimentale dell'annullamento prefettizio dei verbali elevati; - per i due impianti da installare ex novo, "la motivazione negativa appare adeguata ('lato rampa cavalcavià e istituendo "rondo ', in uno al - rispettivo - riferimento all'art. 51, comma 3, lett. g) e all'art. 51, comma 2 e comma 3, lettera b) del vigente Regolamento di Esecuzione del Codice della Strada". 4. Ha appellato la società ricorrente articolando censure avverso tutti i capi reiettivi dei motivi di ricorso originario e dei motivi aggiunti, così nella sostanza devolvendo alla odierna cognizione tutta l'originaria materia del contendere. 5. È intervenuta ad adiunvandum la S.r.l. Ta. Ou. Do.. 6. Il Comune di (omissis), costituito nel primo grado, non si è invece difeso nel presente. 7. La parte appellante e la società intervenuta hanno ulteriormente insistito sull'accoglimento dell'appello. 8. Alla udienza pubblica del 26 marzo 2024, la causa è passata in decisione. 9. Va anzitutto dichiarato inammissibile l'intervento ad adiunvandum della S.r.l. Ta. Ou. Do.. Trattandosi, infatti, di intervento adesivo dipendente, e cioè di quella forma di intervento spiegata da chi è pregiudicato dagli atti impugnati non in via immediata, bensì in via mediata e indiretta o anche di riflesso in considerazione degli effetti negativi che si producono o che si potrebbero produrre nella sfera giuridica del ricorrente, si sarebbe dovuta dare la prova, da parte dell'interveniente, di trovarsi in simile situazione, dimostrando cioè di essere titolare di un interesse personale concreto e attuale, e non di mero fatto, dipendente da quello fatto valere dalla parte adiuvata (Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza n. 1241/1996; IV, sentenza n. 855/1992; Ad. Pl., sentenza n. 8/1992; VI, sentenza n. 3016/2011). Nel caso all'esame, ritiene il Collegio che tale condizione legittimante non sussista, essendosi l'interveniente limitato ad affermare "che l'interesse della Target Outdoor, a intervenire nell'odierno gravame alberga nella sussistenza di rapporti commerciali continuativi con l'appellante, che suggeriscono, per l'appetibilità della medesima offerta commerciale della Target, operante, anch'essa, nel settore della Pubblicità Sa.pi., di prendere parte all'impugnativa, facendo proprie le istanze dell'appellante presso il Comune di (omissis), oggetto di domanda di pianificazione pubblicitaria da parte dell'interveniente", senza nulla altro precisare e dimostrare. Pertanto, non essendo provata né l'esistenza, né la natura dei detti rapporti, né l'eventuale concreto interesse che deriverebbe dall'adiuvare la parte ricorrente, l'intervento va ritenuto senza alcun dubbio inammissibile. Ad ogni buon conto, il Collegio fa pure osservare che le argomentazioni illustrate nell'atto di intervento -peraltro patrocinato dal medesimo difensore dell'impugnativa principale- sono esattamente le stesse di quelle contenute nel ricorso di primo grado e nell'attuale ricorso in appello, che qui di seguito viene esaminato. 10. Detto appello è infondato. In fatto, la vicenda è chiara. Il provvedimento di diniego alla installazione qui impugnato è solo l'ultimo atto della complessa vicenda amministrativa svoltasi fra le parti. Innanzitutto, l'originaria autorizzazione n. 302/2005 rilasciata dal Comune di (omissis) in favore della società ricorrente aveva ad oggetto l'installazione di sette impianti pubblicitari ed era già essa stessa condizionata al rispetto di quanto contenuto nel parere del Comando della Polizia Municipale, quale atto facente parte integrante del provvedimento autorizzatorio, e che così recitava: "In relazione alla nota in oggetto, a seguito di richiesta dell'Ufficio Tecnico Sezione urbanistica prot.n. 36057 del21.09.05 tendente al rilascio nulla osta, relativo alla installazione di impianti di pubblicità esterna, nell'ambito del centro urbano ed in strade extraurbane, si comunica che nulla osta alle predetta installazione di impianti di pubblicità esterna: a condizione che siano tassativamente rispettati l'art. 23 del C.d.S. di cui al D.lgs. 30.04.1992 e gli artt. 47 comma 4, 48 comma 1 e 2, l'art. 49, e l'art. 51 del Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo Codice della Strada D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495". Tale preciso quadro normativo non è mai stato rispettato dalla società ricorrente, e in particolare già al momento della installazione dei suddetti sette impianti pubblicitari, e ciò ha condotto l'Amministrazione comunale ad emettere ben due ordinanze di decadenza e rimozione: la prima (la n. 485 del 24.12.2012) anche in ragione del mancato pagamento della tassa di ICP per gli anni 2006/2007, e poi la seconda (la n. 34 del 5.2.2015). Nessuna di esse è stata fatta oggetto di impugnazione da parte della società ricorrente, cosicché entrambe spiegano piena efficacia. Da qui l'evidente carenza di interesse della società ricorrente, prima ancora che l'infondatezza delle questioni che la medesima pone, rispetto alle censure con cui si invoca la formazione del silenzio-assenso sulla istanza di rinnovo dell'autorizzazione n. 302 del 2005, in quanto già dichiarata decaduta con l'ordine di immediata rimozione. È nei fatti evidente, quindi, la inconsistenza della pretesa della società ricorrente a sostenere che il Comune non si sarebbe mai pronunciato sulla istanza di rinnovo, con conseguente automatico provvedimento tacito di prosecuzione nel rapporto, in quanto sono i fatti a smentire recisamente la circostanza: alcun rinnovo si sarebbe potuto richiedere da parte della società ricorrente stante la patente violazione delle previsioni recate dagli art. 23-bis del Codice della Strada e dell'art. 51 del Regolamento di esecuzione e attuazione del codice della strada, oltre alla decadenza dell'originaria autorizzazione nr. 302/2005, come anche ribadito nella nota prot. n. 29545 del 19.8.2016, e alla perdurante e definitiva efficacia delle ordinanze di rimozione mai opposte e a tutt'oggi pienamente valide ed efficaci. Anche volendo prescindere dalla circostanza della mancata impugnazione delle ordinanze di rimozione, le contestazioni mosse dalla società ricorrente sono comunque infondate nel merito. Muovendo dalle specifiche finalità cui risponde l'art. 23 del Codice della Strada, che da un lato vieta la collocazione lungo le strade o in vista di esse di insegne e di ogni impianto pubblicitario che possa distrarre l'attenzione di chi le percorre, e dall'altro ne sottopone l'installazione ad un provvedimento autorizzatorio, emesso dall'ente gestore, può concordarsi sull'esegesi secondo cui l'intento perseguito dal legislatore sia quello di prevenire la collocazione sugli spazi destinati alla circolazione veicolare, così come sugli spazi a questi adiacenti, di fonti di captazione o di disturbo dell'attenzione dei conducenti e di consequenziale sviamento dalla funzione della guida del veicolo (Corte di cassazione, sez. II, sentenza n. 4683/2009). Di conseguenza, non vi può essere dubbio alcuno che l'installazione di insegne pubblicitarie sia soggetta a procedimento autorizzatorio e che l'autorizzazione possa essere negata quando, come nel caso all'esame, l'ente gestore della strada abbia fatto un uso corretta della propria discrezionalità specificamente motivando le ragioni ostative all'accoglimento della istanza di rinnovo del titolo, attraverso un ragionevole, quanto condivisibile, e quindi legittimo, bilanciamento dei contrapposti interessi, in modo tale che l'interesse privato all'esercizio dell'attività di impresa sia recessivo quando occorra tutelare la sicurezza della circolazione e la pubblica incolumità da azioni di disturbo visivo agli utenti della strada. Neppure rileva che l'insegna rispetti i limiti dimensionali massimi previsti dalle norme del regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada, dovendosi in ogni caso valutare in concreto se, in ragione della apposita collocazione e della morfologia e caratteristiche dell'ambiente circostante, sussista, come nel caso che ci occupa, pericolosità (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 6044/2012). Sulla base dei pareri resi dalla Polizia Municipale è stato infatti possibile accertare il "disturbo visivo e distrazione agli utenti della strada, con conseguente pericolo per la sicurezza stradale". Di conseguenza, hanno trovato legittima valutazione nel diniego impugnato sia il mancato rispetto della normativa stradale da parte della società ricorrente, sia le prioritarie esigenze pubbliche di sicurezza stradale, che costituiscono l'interesse principale tra quelli che l'Amministrazione deve prendere in considerazione nel valutare eventuali rinnovi o nuove autorizzazioni stabilite dal Codice della strada. Pertanto, occorre concludere, contrariamente a quanto dedotto dalla società ricorrente, la scelta dell'Amministrazione comunale di non rinnovare il titolo per gli impianti già autorizzati (e di cui è stata ordinata la rimozione) e di non autorizzarne di nuovi (la società avrebbe voluto installarne altri due), non appare affatto arbitraria, né penalizzante, né tantomeno vessatoria, ma anzi coerente sulla base del quadro normativo di riferimento (i citati artt. 23 del Codice della strada e 51 del Regolamento di esecuzione e attuazione) in considerazione della forte incidenza visiva con conseguente pericolo per la sicurezza stradale. Inoltre, nessuna carenza di istruttoria o di motivazione potrebbe essere legittimamente invocata dalla società ricorrente, dal momento che nel corso di questi anni l'Amministrazione ha sempre dato una risposta esplicita a tutte le istanze presentate dalla ricorrente, anche mediante rinvio per relationem ai vari atti e interlocuzioni che si sono succedute (in particolare, si vedano i pareri della Polizia municipale depositati in data 21 settembre 2018, conosciuti dalla ricorrente), sempre ribadendo la decadenza, revoca e rimozione del titolo originario autorizzatorio. Anche le norme del Piano Generale degli Impianti Pubblicitari in vigore nel Comune di (omissis), richiamato nel provvedimento gravato, rappresentano poi un ulteriore fattore ostativo al rilascio del rinnovo del titolo, giacché le stesse contemplano la durata triennale delle autorizzazioni di impianti pubblicistici, le quali sono alla scadenza soggette a rinnovo dietro obbligatoria presentazione di apposita istanza dell'interessato, purché non siano intervenute variazioni rispetto alle condizioni di rilascio. Nel caso all'esame, è incontrovertibile che tali variazioni siano avvenute, avendo il Comune addirittura ordinato la rimozione degli impianti già autorizzati, così definitivamente decaduti, sulla base di una nuova ponderazione dell'interesse pubblico generale attraverso le due succitate ordinanze di rimozione rimaste inoppugnate. Né sarebbe invocabile da parte della società ricorrente alcun legittimo interesse alla conservazione del bene della vita per l'innanzi goduto, atteso che, conformemente alla giurisprudenza costituzionale, "(...) il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova sì copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non già in termini assoluti e inderogabili. Per un verso, infatti, la posizione giuridica che dà luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio deve risultare adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per un periodo sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento. Per altro verso, interessi pubblici sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente anche su posizioni consolidate, con l'unico limite della proporzionalità dell'incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti." (Corte Cost. n. 56 del 2015). Non può quindi sostenersi, sulla base di quanto fin qui esposto, l'esistenza di un diritto della società ricorrente ad ottenere il mantenimento di tutte le installazioni autorizzate con l'originaria autorizzazione e addirittura l'apertura di due nuove, atteso che l'interesse economico dell'imprenditore non può che trovare un limite nell'esigenza di non disturbare visivamente in funzione della tutela dell'interesse pubblico di rango sovraordinato della sicurezza pubblica nella circolazione stradale. 11. In definitiva, l'appello va respinto. 12. Nulla sulle spese di giudizio, non essendosi l'Amministrazione comunale costituita ed essendo stato, l'intervento, volontariamente spiegato ad adiuvandum della società ricorrente. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, dichiara l'intervento ad adiuvandum inammissibile e respinge l'appello. Nulla sulle spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Pietro De Berardinis - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GIUSTI Alberto - Presidente Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere Dott. FALASCHI Milena - Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - rel. Consigliere Dott. CAPONI Remo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 17043-2018 R.G. proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS) ( (OMISSIS)) ed (OMISSIS); -ricorrenti- contro (OMISSIS) SNC, (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS); - controricorrenti e ricorrenti in via incidentale- avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia n. 196-2018 depositata il 05/03/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2022 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI. FATTI DI CAUSA 1.L' (OMISSIS). s.n.c., (OMISSIS) ed (OMISSIS), in qualita' di legali rappresentanti della societa', citarono in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo (OMISSIS) ed (OMISSIS) per sentirli condannare all'arretramento del fabbricato, dell'autorimessa e del terrapieno realizzati in posizione antistante alla struttura alberghiera in violazione delle distanze previste dal d.M 1444-68, articolo 9. La costruzione consisteva nella sopraelevazione di un vecchio manufatto adibito a laboratorio-magazzino, realizzato alla distanza di 1,5 metri dal confine ed a 6 metri dalla frontistante parete del fabbricato " (OMISSIS)", nonche' nell'ampliamento dell'edificio preesistente, posto alla distanza di dieci metri dal predetto albergo. 1.1.Il Tribunale di Bergamo accolse per quanto di ragione la domanda e condanno' i convenuti ad arretrare la porzione di edificio costruita in sopraelevazione; rigetto', invece la domanda in relazione all'autorimessa ed al terrapieno. 1.2.Proposero appello (OMISSIS) ed (OMISSIS); si costituirono per resistere al gravame e spiegarono appello incidentale la societa' (OMISSIS). s.n.c., (OMISSIS) ed (OMISSIS). 1.3.Nel corso del giudizio d'appello, venne prodotta la sentenza del Consiglio di Stato N. 2782-2013, che aveva dichiarato inammissibile per tardivita' l'impugnazione proposta dalla societa' (OMISSIS) avente ad oggetto la legittimita' della concessione edilizia. 1.4.La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza del 22.11.2017, rigetto' l'appello principale ed accolse l'appello incidentale. 1.5.La corte distrettuale non ritenne rilevante il giudicato amministrativo in quanto la sentenza del Consiglio di Stato si era limitata a dichiarare inammissibile l'impugnazione proposta dalla societa' per tardivita', senza pronunciarsi nel merito della legittimita' dell'intervento edilizio. In ogni caso, poiche' la domanda di annullamento della concessione edilizia aveva ad oggetto il controllo di legittimita' dell'esercizio del potere da parte della PA, era esclusa l'efficacia del giudicato amministrativo nelle controversie fra privati aventi ad oggetto la lesione del diritto di proprieta' derivante dalla violazione delle distanze legali. 1.6.La Corte d'appello accerto' che l'opera realizzata era differente dal precedente manufatto per forma altezza e volume, costituiva una nuova costruzione e violava le distanze; escluse che l'intervento edilizio avesse natura di "sopralzo", in relazione al quale era legittima la distanza preesistente prevista dall'articolo 5 delle NTA del Comune di (OMISSIS). In ogni caso, la inderogabilita' della normativa sui distacchi tra fabbricati prevista dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, avente rango primario, determinava l'illegittimita' di ogni previsione regolamentare in contrasto con il limite minimo di distanza. 1.7.La Corte distrettuale accolse l'appello incidentale proposto dalla societa' con riferimento alla violazione delle distanze dell'autorimessa, che considero' parte integrante del fabbricato, in quanto l'altezza dell'autorimessa sporgeva di cm86 e, quindi di oltre 16 centimetri rispetto alle previsioni dell'articolo 7 delle NTA del Comune di (OMISSIS). La Corte distrettuale rigetto', invece, l'appello incidentale, non ravvisando la violazione delle distanze rispetto al terrapieno, attese le sue modeste dimensioni e la funzione sostanzialmente ornamentale. 2.Avverso la sentenza della Corte d'appello hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) ed (OMISSIS) sulla base di cinque motivi. 2.1. L' (OMISSIS). s.n.c., (OMISSIS) ed (OMISSIS) hanno resistito con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi. 2.2.I ricorrenti hanno depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale. 2.3.In prossimita' dell'udienza, le parti hanno depositato memorie illustrative. 2.4.Il Sostituto Procuratore Generale in persona del Dott. Alessandro Pepe ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell'360, comma 1, n. 5 c.p.c., l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla sentenza del Consiglio di Stato N. 2782-2013, oltre alla violazione del giudicato amministrativo, ai sensi dell'articolo 2909 c.c., relativamente al potere di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo, previsto dalla L. n. 2248 del 1865, articolo 5, All. E. I ricorrenti denunciano l'erroneita' della statuizione della Corte d'Appello di Brescia nella parte in cui ha affermato che il giudicato amministrativo ha avuto ad oggetto la legittimita' della concessione edilizia mentre, invece, il Consiglio di Stato avrebbe accertato, con autorita' di giudicato, che l'intervento edilizio doveva essere qualificato come "sopralzo" e non come nuova costruzione. Tale statuizione sarebbe vincolante nel giudizio avente ad oggetto la violazione delle distanze, al fine di evitare un contrasto di giudicati mentre, invece, la Corte d'appello avrebbe erroneamente disapplicato l'articolo 8 delle NTA, che esclude l'applicabilita' delle norme sulle distanze per i "sopralzi", con evidente violazione del ne bis in idem. Affermano i ricorrenti che il giudizio civile ed amministrativo sono caratterizzati da identita' soggettiva, petitum e causa petendi, perche' aventi ad oggetto l'accertamento delle distanze minime legali fra fabbricati frontistanti. 1.Il motivo e' infondato. 1.1.Non merita accoglimento la censura relativa al vizio motivazionale in quanto la Corte d'appello non ha omesso l'esame della sentenza del Consiglio di Stato ma, esaminandola, ha ritenuto irrilevante il giudicato amministrativo nel presente giudizio per ragioni che questo collegio condivide. 1.2.Come correttamente affermato dalla Corte di merito, il Consiglio di Stato non ha valutato la legittimita' delle norme urbanistiche del Comune di (OMISSIS) ma ha pronunciato in rito, dichiarando l'inammissibilita' dei ricorsi. Infatti, come risulta dalla motivazione della sentenza del Consiglio di Stato, per due dei tre ricorsi era stata omessa la notifica alla Regione Lombardia mentre il terzo ricorso, nella parte in cui aveva impugnato le NTA, era stato dichiarato inammissibile per tardivita', considerando che il dies a quo decorreva dal momento in cui gli atti avevano manifestato la concreta attitudine lesiva, coincidente con la conoscenza della concessione edilizia (pag. 4 della sentenza del Consiglio di Stato del 16.4.2013). In tali ipotesi, non puo' dirsi formato il giudicato amministrativo, non contenendo detta decisione nessun accertamento sul merito del ricorso, con la conseguenza che all'adito giudice ordinario non e' precluso l'esame di quelle delibere nonche' di disapplicarle, in caso di riconosciuta illegittimita', limitatamente al caso sottoposto al suo esame (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 5982 del 09/07/1987). L'esercizio da parte del giudice ordinario del potere di disapplicare un atto della p.a. e' precluso solo quando la legittimita' dell'atto sia stata accertata dal giudice amministrativo con sentenza passata in giudicato, resa nel contraddittorio delle parti (Cassazione civile sez. II, 04/02/2005, n. 2213). 1.3. La Corte di merito ha anche ribadito il consolidato il principio di questa Corte, secondo cui la pronuncia del giudice amministrativo, investito della domanda di annullamento della licenza, concessione o permesso di costruire ha ad oggetto il controllo di legittimita' dell'esercizio del potere da parte della Pubblica Amministrazione ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la P.A., sicche' non ha efficacia di giudicato nelle controversie tra privati, proprietari di fabbricati vicini, aventi ad oggetto la violazione della normativa in tema di distanze legali, che e' posta a tutela non solo di interessi generali ma anche della posizione soggettiva del privato (Cassazione civile sez. II, 14/05/2015, n. 9869). 2.Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, articolo 5 All. E, in relazione al contenuto delle NTA del PRG di (OMISSIS); la Corte d'appello, nell'affermare che gli strumenti urbanistici comunali non possono derogare al DM 1444-68, non avrebbe indicato nessuna delle norme tecniche del Comune di (OMISSIS) (NTA) contrastanti con la disciplina statale in tema di distanze fra fabbricati. Ne conseguirebbe l'inapplicabilita' dell'istituto della disapplicazione previsto della L. n. 2248 del 1865, articolo 5, allegato E. in relazione all'articolo 5 delle NTA, che prevedono una nozione di "sopralzo" diversa da quella di "nuova costruzione", ai fini del calcolo delle distanze. L'articolo 5 delle NTA prevede, infatti, che "in caso di sopralzo la verifica delle si distanze si intende soddisfatta ove siano mantenuti i rapporti e le distanze esistenti" e tale norma, siccome non tempestivamente impugnata dalla parte interessata non potrebbe essere disapplicata. 2.1.Con la memoria ex articolo 378 c.p.c., i ricorrenti hanno posto la questione dell'applicabilita' della normativa sopravvenuta, con particolare riferimento alle modifiche previste dalla L.120 del 2020, articolo 19, comma 1, lett.a) e b), ritenendo che sopraelevazione fosse legittima anche per effetto dello ius superveniens. 2.2.Nell'incipit della memoria illustrativa, i ricorrenti hanno evidenziato come il fulcro del presente giudizio sia costituito dalla disapplicazione dell'articolo 8 delle NTA del Comune di (OMISSIS) per contrasto con il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9. Pur prendendo atto dell'orientamento giurisprudenziale che assimila la sopraelevazione ad una nuova costruzione, rilevano come l'articolo 2 bis, comma 1 ter del Testo Unico dell'Edilizia, nella formulazione adottata dalla L. 120 del 2020, consenta l'aumento volumetrico dei fabbricati esistenti anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Inoltre, la normativa sopravvenuta avrebbe ampliato il concetto di intervento di "ristrutturazione edilizia", come previsto dall'articolo 3, lettera d del citato TUE, comprendendo anche gli interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, specificando che l'intervento possa prevedere "incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana". Nel caso di specie, quindi, per effetto della normativa sopravvenuta la sopraelevazione rientrerebbe nell'ambito della ristrutturazione. 2.3.Il motivo e' infondato. 2.4.La vicenda processuale va certamente esaminata alla luce dello ius superveniens, trattandosi di normativa posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione e pertinente rispetto alle questioni in esso prospettate (Cass. 19617/2018; Cass. 10547/206). 2.5.Secondo la costante interpretazione giurisprudenziale in materia di distanze nelle costruzioni, infatti, qualora subentri una disposizione derogatoria favorevole al costruttore, si consolida - salvi gli effetti di un eventuale giudicato sull'illegittimita' della costruzione - il diritto di quest'ultimo a mantenere l'opera alla distanza inferiore, se, a quel tempo, la stessa sia gia' ultimata, restando irrilevanti le vicende normative successive (tra le tante Cass. Civ., Sez. II, 4.2.2021, n. 2640; Cass. Civ., Sez. II, 26.7.2013, m.18119). Il sopravvenire della disciplina normativa meno restrittiva comporta, invero, che l'edificio in contrasto con la regolamentazione in vigore al momento della sua ultimazione, ma conforme alla nuova, non possa piu' essere ritenuto illegittimo, cosicche' il confinante non puo' pretendere l'abbattimento o, comunque, la riduzione alle dimensioni previste dalle norme vigenti al momento della sua costruzione. 2.6. Ai fini della decisione della controversia, e' opportuno esaminare sommariamente lo stato della normativa e della giurisprudenza in materia. 2.7.Innanzitutto, la nozione di ricostruzione di un edificio, in passato, era individuata in un intervento che fosse contenuto nei limiti preesistenti di altezza, volumetria, sagoma e area di sedime dell'edificio. Le eventuali eccedenze invece andavano considerate come nuova costruzione. Da cio' discendeva, in tema di distanze, che le nuove costruzioni dovevano essere soggette alle distanze legali, mentre per le ricostruzioni le distanze erano quelle previste per l'edificio originario (in tal senso Cass. Civ., Sez. II n. 473/2019). 2.8. Tale distinzione si basava su una serie di disposizioni, a partire dalla L. n. 457 del 1987, articolo 31, comma 1, lettera d), per passare poi all'articolo 3, comma 1, lettera d), del Testo Unico dell'Edilizia (Decreto del Presidente della Repubblica n. 6 giugno 2001 n. 380), il quale, nella sua formulazione originaria, prevedeva che "nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica". Basandosi su tale norma, la giurisprudenza ha quindi ripetutamente ribadito che si ha ricostruzione, che segue le sorti dell'edificio preesistente, quando ci si contenga nei limiti di sagoma, volumi, area di sedime di quest'ultimo, si ha nuova costruzione per cio' che eccede (ex multis Cass. Civ, Sez. II, n. 15041/2018). 2.9. Il D. L. 69 del 2013 ha novellato l'articolo 3 del T.U dell'edilizia, comprendendo, nell'ambito della ristrutturazione edilizia gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica. Nella nuova formulazione, per aversi una ricostruzione bastava dunque rispettare la volumetria originaria, senza necessita' di rispettare la sagoma. 2.10. Il Decreto Legge n. 32 del 2019, convertito nella L. 55 del 2019, e' intervenuto sul tema delle distanze per le costruzioni al fine di semplificare e velocizzare i procedimenti sottesi alla realizzazione degli interventi edilizi di rigenerazione del tessuto edificatorio nelle aree urbane. 2.11.In questo quadro, la L.55 del 2019 ha operato una serie di modifiche agli standard urbanistici fissati dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, che prevedeva limiti inderogabili "di distanza tra i fabbricati", tali da vincolare i comuni nell'adozione degli strumenti urbanistici e tali da poter essere invocati, previa disapplicazione dello strumento urbanistico eventualmente difforme, nelle controversie tra privati. 2.12.I cambiamenti al Decreto Ministeriale n. N. 1444 del 1968 sono in concreto intervenuti mediante le modifiche apportate dal Decreto Legge n. 32 del 2019 all'articolo 2 bis del TU edilizia, con riferimento a quelle disposizioni che consentivano a Regioni e Province autonome di adottare disposizioni derogatorie sulle distanze legali. 2.13.Il Decreto Legge n. 32 del 2019 ha aggiunto i seguenti commi al citato articolo 2 bis: "1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densita' edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio." 1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima e' comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purche' sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo." 2.14. Discende da quanto sopra delineato che con le modifiche apportate dal Decreto Legge n. 32 del 2019, articolo 5, all'articolo 2 bis del TU edilizia, la demolizione e ricostruzione di un fabbricato e' consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purche' sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo. In caso diverso, le eventuali disposizioni derogatorie sulle distanze devono comunque essere previste dai Comuni nell'ambito degli strumenti urbanistici. 2.15. Dette previsioni non consentivano quindi l'aumento di volumetria e le leggi regionali in contrasto con la legge statale sono state dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale in tutte le occasioni in cui e' stata adita. 2.16.E' utile ricordare la sentenza della Corte Costituzionale N. 30 del 2020, che, pronunciandosi sulla legittimita' dell'articolo 9, comma 8 bis della Legge Regionale Veneto n. 14 del 2009, la quale consentiva deroghe alle altezze dei fabbricati, ha ribadito l'inderogabilita' delle norme sulle distanze previste dal Decreto Ministeriale n.1444-68, articolo 9. 2.17.La Corte Costituzionale e' nuovamente intervenuta con la sentenza N. 70-2020 per dichiarare costituzionalmente illegittime le previsioni della Legge Regionale Puglia n. 5 del 2019 (Piano Casa Puglia) che consentiva, in caso di demolizione e ricostruzione un aumento volumetrico. Con tale decisione, ribadendo il suo consolidato orientamento (tra le tante Corte Cost n. 86/2019; Corte Cost. 125/2017), il giudice delle leggi ha ribadito, sulla base del Decreto Legge n.32 del 2019, articolo 2 bis, l'inderogabilita' delle norme statali, in quanto necessarie a offrire una protezione unitaria su tutto il territorio nazionale in relazione alle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza. 2.18. Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, nelle prime applicazioni delle modifiche apportate dal Decreto Legge n. 32 del 2019, articolo 5 all'articolo 2 bis del TU Edilizia, ha affermato che la demolizione e ricostruzione di un fabbricato e' consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purche' sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo; in caso diverso, le eventuali disposizioni derogatorie sulle distanze devono comunque essere previste dai Comuni nell'ambito degli strumenti urbanistici (Consiglio di Stato sez. IV, 16/10/2020, n. 6282 in fattispecie antecedente al S.L. N. 76 del 2020, convertito nella L. n. 120 del 2020, che ha ulteriormente modificato l'articolo 2 bis del TU Edilizia). 2.19. Al fine di allargare l'ambito degli interventi di ristrutturazione e riqualificazione urbana, senza incorrere nel rilievo di incostituzionalita', il legislatore e' nuovamente intervenuto sul Testo Unico dell'Edilizia. 2.20. Il D. L. 16.7.2020 m.76, articolo 10 convertito con modificazioni dalla L.11.9.2020 n. 120 ha inciso profondamente sulla struttura del Decreto del Presidente della Repubblica n. 6.6.2001, n. 380 attraverso una serie di interventi puntuali, aventi come finalita' l'esigenza di "semplificare e accelerare le procedure edilizie, di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo del suolo". 2.21.Le singole previsioni del decreto sono intervenute su specifici profili della disciplina edilizia, con l'obiettivo pratico di fornire strumenti normativi favorevoli alla rigenerazione dei tessuti urbani. 2.22.Secondo autorevole dottrina, con il decreto semplificazioni, il legislatore statale ha compiuto una "manutenzione straordinaria del Testo Unico dell'Edilizia", proseguendo nel percorso intrapreso con il "decreto sbloccacantieri" del 2019, che, pur avendo indicato una serie di obiettivi ritenuti prioritari nella rigenerazione urbana, era intervenuto soprattutto in materia di distanza tra costruzioni con previsioni che non avevano superato il vaglio di costituzionalita'. 2.23.Proprio in tema di distanze tra gli edifici, la novita' introdotta dalla L. 120 del 2020 e' proprio la rivisitazione del concetto di "ristrutturazione edilizia" (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1 lettera d) ed il suo conseguente coordinamento con la definizione di "manutenzione straordinaria" (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lett.b)). In tal senso sono orientate le norme in tema di demolizione- ricostruzione, che costituiscono il fulcro della normativa inserita con la L.120 del 2020. 2.24. Ai sensi dell'articolo 3, lettera d) costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. La norma prosegue affermando che, nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia, sono ricompresi altresi' gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilita', per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. Inoltre, al solo fine di promuovere interventi di rigenerazione urbana, sono ammessi incrementi di volumetria, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali. 2.25.Con le modifiche apportate dall'articolo 3, lettera d), gli interventi di ristrutturazione possono, quindi, consistere anche in demolizioni e ricostruzioni in cui, rispetto all'edificio originario mutino la sagoma, i prospetti, il sedime e le caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. In tali casi, l'intervento deve mantenersi rispettoso unicamente del volume preesistente, con possibilita' di formazione di un manufatto tipologicamente anche radicalmente diverso dal preesistente. 2.26. Quando, invece, " la legislazione vigente o gli strumenti comunali lo consentano", sono ammessi incrementi di volumetria "anche per interventi di rigenerazione urbana". 2.27.Questa flessibilita' derogatoria non e' ammessa ne' per gli edifici tutelati, per le zone A (o come diversamente definite dalle leggi regionali) cosi' come nei "centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico", fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici. In tali ipotesi, la ricostruzione ed il ripristino degli edifici crollati o demoliti deve mantenersi fedele all'esistente, ossia deve rispettare non solo il volume ma anche la sagoma, il sedime e le caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio demolito, senza possibilita' di incrementi volumetrici. 2.28. E' stato osservato in dottrina che gli interventi di ristrutturazione edilizia sarebbero fortemente penalizzati qualora dovessero rispettarsi anche per i nuovi edifici le distanze tra costruzioni previste dal Decreto Ministeriale n. 1444-68, articolo 9 nell'ambito di interventi di rigenerazione urbana che abbiano come fine un nuovo modello di citta' "urbana" e lo sviluppo del territorio. 2.29. Le criticita' emerse con il c.d "Decreto del Fare" (D. L. 69 del 2013) e con il "Decreto Sbloccacantieri" (L.55 del 2019) sono state, quindi, superate con il nuovo testo dell'articolo 2 bis, comma 1 ter, che consente di sfruttare gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. 2.30. Ne e' seguita la modifica dell'articolo 2 bis, comma 1 ter del Testo Unico dell'Edilizia, da parte della L.120 del 2020, che, nel nuovo testo, cosi' recita: "in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell'area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione e' comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l'intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti" 2.31.La norma introduce il principio secondo cui ogni intervento di demolizione - ricostruzione, nel contesto di un intervento unitario, indipendentemente dalla qualificazione come ristrutturazione o nuova costruzione ("in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici"), puo' essere realizzato sulla linea di confine del fabbricato demolito, anche ove quest'ultimo risulti "legittimamente" posto ad una distanza da fabbricati e da confini inferiore da quelle attualmente previste. La norma prosegue indicando la possibilita' che anche eventuali "incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti all'intervento" possano essere collocati sul filo dell'edificio preesistente, anche fuori della sagoma e con superamento dell'altezza del manufatto demolito. 2.32. Cosi' ricostruito il quadro normativo in relazione allo ius superveniens, nel caso di specie, la normativa sopravvenuta non incide sulla fattispecie in esame, in cui il fabbricato ricostruito e' diverso dal preesistente manufatto per "forma, altezza e superficie " (pag.11 della sentenza impugnata) e l'intervento costruttivo non rientra nel regime derogatorio previsto dall'articolo 3 lettera d), ovvero per promuovere un intervento di rigenerazione urbana. 2.33.Si tratta di costruzione realizzata dal privato in violazione del Decreto Ministeriale n.1944-68, articolo 9, in ragione dell'entita' delle modificazioni apportate al volume ed alla collocazione del fabbricato, che rendevano l'opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente. L'opera aumentava il volume e modificava la sagoma dell'edificio demolito, senza rispettare le distanze preesistenti, e cioe' di quelle conformi alla normativa vigente al momento in cui e' stato realizzato l'intervento originario (Cassazione civile sez. II, 24/06/2022, n. 20428; Cass. Civ., Sez. II, 14.4.2022, n. 12196). 2.34. L'intervento costruttivo e' avvenuto in assenza di alcun intervento di pianificazione urbanistica, che legittimasse l'aumento di volumetria. 2.35.La normativa introdotta sulle distanze dalla L.120/2020 e' coerente con il perseguimento dell'interesse pubblico e non gia' con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che e' invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile e dal Decreto Ministeriale n.1444-68. 2.36.Allo stato attuale della normativa, in ogni caso di demolizione con ricostruzione - e quindi anche in presenza di aumento di volumetria nei casi consentiti dall'articolo 3, lettera d) del TUE - la costruzione deve rispettare le distanze preesistenti. 2.37. Come chiarito anche dalla relazione ministeriale al decreto semplificazioni (Decreto Legge n. 76 del 2020), l'articolo 2, comma 1-ter, ha rimosso il vincolo del medesimo sedime e della medesima sagoma ma solo per gli interventi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione disciplinati da un piano urbanistico che preveda un programma di rigenerazione urbana, nella specie non sussistente. 2.38. L'ulteriore profilo di ricorso riguarda la qualificazione dell'intervento edilizio. I ricorrenti sostengono che si tratti di "sopralzo" di un edificio preesistente e non di nuova costruzione, ragione per la quale esso sarebbe legittimo ai sensi dell'articolo 5 delle NTA del Comune di (OMISSIS), che cosi' dispone: "in caso di sopralzo la verifica delle distanze si intende soddisfatta ove siano mantenuti i rapporti e le distanze esistenti", mentre la distanza di metri dieci rispetto alle pareti finestrate dei fabbricati antistanti si applicherebbe agli interventi di nuova costruzione e di ampliamento, ai sensi dell'articolo 8 delle NTA. 2.39. Anche tale profilo e' infondato. 2.40. Come correttamente statuito dalla Corte di merito, in tema di distanze tra costruzioni, il Decreto Ministeriale n. 2 aprile 1968 n. 1444, articolo 9 comma 2, essendo stato emanato su delega della l. 17 agosto 1942 n. 1150, articolo 41 quinquies (cd. legge urbanistica), aggiunto dalla l. 6 agosto 1967 n. 765, articolo 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicche' le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densita', altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (Cassazione civile sez. un., 07/07/2011, n. 14953; Cassazione civile sez. II, 15/01/2021, n. 624). 2.41 Ne consegue che, una volta che i Comuni abbiano proceduto alla pianificazione del territorio, effettuando la ripartizione per zone omogenee, le distanze minime sono quelle previste dal citato decreto n. 1444 del 1968, articolo 9, sia nel caso in cui lo strumento urbanistico preveda distanze inferiori, sia nel caso di assenza di previsioni sul punto. Nella prima ipotesi si verifica l'inserimento automatico della norma cogente di cui al decreto n. 1444 del 1968, in sostituzione della illegittima previsione di distanze inferiore a quella minima. Nella seconda ipotesi - quando cioe' lo strumento urbanistico non contenga previsioni al riguardo, ragioni di ordine sistematico e di interpretazione conforme impongono l'analoga conclusione della inserzione automatica della disciplina dettata dal richiamato decreto. 2.42, Nel caso di specie, poiche' l'intervento edilizio era diverso dal preesistente manufatto per forma, altezza, volume e superficie, doveva osservare la distanza di dieci metri dall'edificio frontistante, per inserzione automatica dell'articolo 9 del DM 1444-68 ed in conformita' all'articolo 8 delle NTA del Comune di (OMISSIS). 3.Con il terzo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del disposto di cui agli articoli 113 e 115 c.p.c e la nullita' della sentenza, ai sensi dell'articolo 132 n. 4 c.p.c., in quanto la Corte d'appello non avrebbe considerato che vi era una discrasia in ordine alla misurazione delle distanze, sulla base delle diverse conclusioni cui erano giunti il CTU in primo grado ed in appello. Tale discrasia si riverberebbe sulla nullita' della motivazione. 3.1.Il motivo e' inammissibile perche' difetta di specificita' per non avere il ricorrente allegato gli atti ed i documenti su cui il motivo di ricorso si fonda, attraverso la trascrizione, anche sommaria, delle consulenze svolte nei gradi di merito. 5.Con il quarto motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell'articolo 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 7 e 8 delle NTA del Comune di (OMISSIS), per avere la Corte di merito ritenuto che l'autorimessa sporgesse di sedici centimetri rispetto al limite massimo di sporgenza dalla quota zero, facendo coincidere il "piano di calpestio" dell'autorimessa interrata con la "soletta" dell'autorimessa stessa. L'errore della Corte consisterebbe nell'aver applicato l'articolo 8, comma 12 delle NTA, che disciplina le autorimesse edificate a confine mentre, nel caso di specie, l'autorimessa sarebbe posta alla distanza di 1,5 metri dal confine e troverebbe, pertanto, applicazione dell'articolo 8 comma 11 delle NTA, del quale rispetterebbe le condizioni. Dalla CTU emergerebbe infatti che il pavimento del piano terra del fabbricato e il piano di calpestio esterno sporgono di 16 cm oltre la fascia di tolleranza e non la "soletta" dell'autorimessa, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte d'Appello di Brescia. 6.Con il quinto motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento agli elaborati peritali della CTU di secondo grado ed alle osservazioni critiche del proprio CT. I ricorrenti rilevano come la Corte d'Appello di Brescia abbia omesso di considerare le risultanze della relazione peritale, che dimostrerebbe il pieno rispetto alla fascia di tolleranza di 70 cm della "soletta" di copertura dell'autorimessa interrata. La Corte avrebbe anche omesso di considerare che i 16 cm di eccedenza riguarderebbero il "piano di calpestio" esterno soprastante, elemento estraneo alla "soletta" dell'autorimessa. 6.1.I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente perche' attinenti al calcolo della distanza dell'autorimessa, sono infondati. 6.2.L'articolo 8, comma 11 delle NTA del Comune di (OMISSIS) prevede che "per le costruzioni completamente interrate-in tutte le zone- la distanza minima dai confini deve essere di mt 1,50". 6.3.L'articolo 8, comma 12 delle NTA cosi' recita: " E' ammessa la costruzione a confine nei seguenti casi ove si tratti di autorimessa o di locale di servizio interrati aventi altezza interna non superiore a mt 2,30 e sporgenza - rispetto alla quota 00 come definita dal precedente articolo 7 - non eccedente i 70 cm. 6.4. E' incontestato- ed e' stato oggetto di puntuale accertamento da parte della Corte d'appello - che l'autorimessa realizzata dai ricorrenti non era completamente interrata in quanto il piano di copertura sporgeva di 86 cm. 6.5.In tale ipotesi, la sporgenza sarebbe stata ammissibile solo in caso di costruzione posta al confine e non nei casi in cui la costruzione sia realizzata a distanza dal confine; in tal caso, l'autorimessa deve essere completamente interrata e ad una distanza minima di mt 1, 50 dal confine. 6.6.Assorbente al riguardo appare la considerazione che l'articolo 873 c.c., che stabilisce per le costruzioni su fondi limitrofi, se non unite o aderenti, la distanza non minore di tre metri, assegna ai regolamenti locali la sola potesta' di disporre una distanza maggiore, ma non gia' di definire la nozione di costruzione, cioe' di stabilire le caratteristiche in base alle quali l'opera possa definirsi costruzione e quindi ritenersi soggetta alla normativa sulle distanze (Cass. N. 23843 del 2018; Cass. N. 144 del 2016; Cass. N. 5136 del 2015; Cass. N. 19530 del 2005) 6.7.La nozione di costruzione, agli effetti dell'articolo 873 c.c., e' infatti necessariamente unica e non puo' subire deroghe, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, da parte delle norme locali, atteso il loro rango secondario e la delimitata competenza loro assegnata in materia. 6.8.Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli articolo 873 c.c. e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidita', stabilita' ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e cio' indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa (Cass. N. 23856 del 2018; Cass. n. 27399 del 2014; Cass. 15972 del 2011). Solanto l'immobile completamente interrato si sottrae pertanto al rispetto della normativa in tema di distanze, non anche quello che si eleva dal suolo, indipendentemente dalla relativa altezza (Cass. n. 3793 del 2012; Cass. 5956 del 1996). 6.9. Alla luce della nozione unitaria di costruzione, il piano di copertura dell'autorimessa comprende non solo la soletta ma anche il terrazzo che la ricopre, il quale e' strettamente integrato alla soletta ed emerge complessivamente dal piano di campagna, violando l'articolo 11 delle NTA del Comune di (OMISSIS). 6.10. Correttamente, la Corte di merito, ai fini della determinazione della quota zero, ha richiamato l'articolo 7 NTA, che considera la "media delle quote del terreno lungo la linea di intersezione di esso con l'edificio da costruire" ed ha ritenuto che dovesse tenersi conto dell'intero perimetro dell'edificio di nuova costruzione, comprensivo della villa e dell'autorimessa, in conformita' alla nozione unitaria di costruzione. 7. Deve essere esaminato il ricorso incidentale. 7.1. Deve essere, in primo luogo, rigettata l'eccezione di inammissibilita' del ricorso incidentale, sia in relazione alla carenza di interesse, per essere i fratelli (OMISSIS) e l' (OMISSIS) vittoriosi in relazione alla regolarita' dell'autorimessa, sia perche' sarebbe stata introdotta una domanda nuova. 7.2.Osserva il collegio che il primo motivo dell'appello incidentale, con il quale era stato impugnato il rigetto della domanda di arretramento dell'autorimessa, era stato parzialmente accolto dalla Corte d'appello (pag. 15-15 della sentenza impugnata), che ha aderito alla terza ipotesi elaborata dal CTU, tenendo conto del perimetro della villa e dell'autorimessa mentre i ricorrenti in via incidentale avevano chiesto che venisse calcolato il perimetro della sola autorimesse; in tal modo, la demolizione avrebbe interessato non solo la soletta ma anche il terrazzo che la ricopriva. 7.3. Poiche' l'appello incidentale era stato parzialmente accolto, sussisteva l'interesse a ricorrere in cassazione al fine di ottenere una pronuncia piu' favorevole. 7.4. Ne' sussiste il vizio di novita' della domanda poiche' la demolizione dell'autorimessa, e non solo della soletta, era stata riproposta in sede di appello incidentale, ove, solo in via subordinata era stato chiesta la demolizione della porzione eccedente la sporgenza massima di 70 cm dalla quota 0. 7.5.Ne consegue che non vi e' stata modifica della domanda ma riproposizione, della domanda proposta in via principale, che era stata rigettata dalla Corte d'appello. 7.6. I motivi, contrariamente a quanto eccepito dai ricorrenti, sono specifici in quanto idonei a censurare con chiarezza la statuizione della Corte d'appello. 7.7.Con il primo motivo, si deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 7 e 8 delle NTA del PRG del Comune di (OMISSIS) in materia di distanze delle autorimesse dal confine; si rileva che la quota zero dovesse essere calcolata sulla base del perimetro della sola autorimessa e non dell'autorimessa e della villa, come affermato dalla Corte d'appello. Sarebbe quindi errata l'adesione alla terza ipotesi interpretativa elaborata dal CTU in quanto l'articolo 7 del NTA del Comune di (OMISSIS) individuerebbe la quota zero con riferimento "all'edificio da costruire" da identificarsi nella sola autorimessa. La decisione della Corte di merito sarebbe erronea perche' basata esclusivamente sul fatto che il titolo abilitativo edilizio era comprensivo sia del fabbricato residenziale che dell'autorimessa, atteso il rapporto di pertinenzialita' tra edificio ed autorimessa. 7.8. il motivo e' infondato. 7.9. Come argomentato in relazione al quarto e quinto motivo del ricorso principale, la Corte di merito, ai fini della determinazione della quota zero, ha correttamente applicato l'articolo 7 NTA, che considera la "media delle quote del terreno lungo la linea di intersezione di esso con l'edificio da costruire" ed ha ritenuto che dovesse tenersi conto dell'intero perimetro dell'edificio di nuova costruzione, comprensivo della villa e dell'autorimessa, in conformita' alla nozione unitaria di costruzione. 8.Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 873 c.c. e articolo 8 NTA del PRG del Comune di (OMISSIS) per avere la Corte di merito escluso che il terrapieno realizzato sopra l'autorimessa fosse un'opera rilevante ai fini del calcolo delle distanze dal confine poiche' costituiva un'opera di modeste dimensioni con funzioni sostanzialmente ornamentali. La Corte d'appello ha ritenuto che le ridotte dimensioni del terrapieno e la sua sporgenza da terra possano essere calcolate a partire dai 70 cm di altezza previsti per l'autorimessa, non considerando invece, piu' correttamente, l'intera altezza del terrapieno che fuoriesce dal piano originario di campagna. 8.1.Il motivo e' fondato. 8.2. Questa Corte ha affermato, con orientamento che si condivide, che, in tema di distanze legali, diversamente dal muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale, che, per la parte che adempie alla sua specifica funzione, non puo' considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'articolo 873 c.c., devono invece ritenersi soggetti a tale norma, perche' costruzioni, il terrapieno e il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (Cass. n. 23843 del 2018; Cass. n. 10512 del 2018; Cass. n. 11388 del 2013). 8.3.La sentenza impugnata ha errato nell'affermare che il terrapieno non era soggetto al rispetto delle distanze perche' costituiva un'opera di modeste dimensioni con funzioni sostanzialmente ornamentali, senza verificare se fosse opera dell'uomo e se adempiva alla specifica funzione di sostegno e contenimento. 8.4.Il motivo deve, pertanto, essere accolto. 8.5.La sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimita', alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione. 8.7.Il giudice di rinvio provvedera' anche in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimita'. 9.Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita', alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. LIBERATI Giovanni - rel. Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere Dott. MENGONI Enrico - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/3/2022 della Corte d'appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Liberati Giovanni; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Costantini Francesca, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio limitatamente al capo a) per intervenuta prescrizione e il rigetto nel resto, con i provvedimenti conseguenti; udito per il ricorrente l'avv. (OMISSIS), anche in sostituzione dell'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 12 giugno 2019 il Tribunale di Lecce aveva dichiarato (OMISSIS) e (OMISSIS) responsabili dei reati di cui all'articolo 110 e articolo 734 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera c), Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 e articoli 54, 55 e 1161 codice navale (loro ascritti in concorso per avere, (OMISSIS) quale proprietario e (OMISSIS) quale dirigente dell'Ufficio tecnico del Comune di (OMISSIS), eseguito interventi edilizi costituiti dalla realizzazione di una struttura commerciale destinata a chiosco - bar con annesso laboratorio della superficie di circa 300 mq., insistente in parte su area demaniale marittima e in parte su area sottoposta a vincolo paesaggistico e idrogeologico, in assenza di titoli demaniali, del permesso di costruire e del nulla osta delle autorita' preposte alla tutela del vincolo, dovendo ritenersi illegittimi gli assensi rilasciati con il permesso edilizio n. 190 del 2016, relativo all'installazione di una struttura commerciale a carattere precario e stagionale, essendo stati realizzati interventi di natura stabile e permanente, con la realizzazione di un chiosco - bar con annesso deposito, servizi igienici, impianto idrico, fognario ed elettrico, con adiacente porticato, cosi' deturpando le bellezze naturali, realizzando innovazioni non autorizzate e occupando abusivamente il demanio marittimo; in (OMISSIS) della Marina di (OMISSIS), accertato il 17/2/2016, in permanenza; capo A della rubrica), e, il solo (OMISSIS), responsabile anche del reato di cui all'articolo 81 cpv. e articolo 323 c.p. (ascrittogli per avere, nella suddetta qualita' di dirigente dell'Ufficio tecnico del Comune di (OMISSIS), rilasciato il 19/10/2016 un parere tecnico favorevole al mantenimento di una struttura commerciale a carattere precario e di facile rimozione per la realizzazione di una struttura commerciale chiosco - bar in un'area delimitata nel PPTR della Regione Puglia come area di rispetto boschivo nella quale il mantenimento della struttura commerciale costituiva ingombro stabile e quindi non poteva considerarsi ammissibile ai sensi dell'articolo 62 del PPTR, nonche' in un'area costiera nella quale il mantenimento della struttura era vietato dall'articolo 45 del medesimo PPTR, cosi' intenzionalmente procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale al titolare della struttura (OMISSIS), in quanto autorizzava l'edificazione e il mantenimento della struttura turistico balneare di cui al capo A con opere e strutture nuove e di forte impatto ambientale, realizzate in violazione degli strumenti urbanistici vigenti e in contrasto con la prescrizione di ripristino dello stato dei luoghi al (OMISSIS) riportata nella autorizzazione paesaggistica del (OMISSIS); in (OMISSIS); capo B della rubrica); (OMISSIS) era quindi stato condannato alla pena di nove mesi di arresto e 40.000,00 Euro di ammenda e (OMISSIS) alla pena di un anno di reclusione; con la medesima sentenza erano state disposte la demolizione delle opere abusive e la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, a spese di (OMISSIS). Con sentenza del 11 marzo 2022 la Corte d'appello di Lecce, provvedendo sulla impugnazione proposta dagli imputati nei confronti di tale sentenza, ha assolto entrambi gli imputati dal reato di cui all'articolo 734 c.p. perche' il fatto non sussiste; ha assolto il solo (OMISSIS) dai reati di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 e articoli 54, 55 e 1161 c.n., per non aver commesso il fatto; ha riqualificato il fatto di cui al capo b) nella fattispecie di cui agli articoli 56 e 323 c.p.; ha rideterminato la pena nei confronti di (OMISSIS) per tale reato e per quello di cui Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 in complessivi cinque mesi di reclusione; ha rideterminato la pena nei confronti di (OMISSIS) per i residui reati ascrittigli in nove mesi di arresto e 39.000,00 Euro di ammenda, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il solo (OMISSIS), mediante gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che lo hanno affidato a cinque articolati motivi. 2.1. Con un primo motivo ha lamentato la mancanza della motivazione con riferimento alla eccezione di nullita' della sentenza di primo grado, derivante dalla violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p., sollevata con l'atto d'appello e ignorata dalla Corte territoriale. Ha esposto che mediante tale eccezione era stata evidenziata la chiara differenza strutturale tra il fatto contestato e quello accertato con la sentenza di primo grado, in quanto secondo l'imputazione l'illegittimita' dei titoli autorizzatori derivava dall'assenza di titoli demaniali rilasciati dal Capo del Compartimento, nonche' del permesso di costruire e del nulla osta delle autorita' preposte alla tutela del vincolo paesaggistico, mentre nella sentenza di primo grado era stato attribuito carattere di illegittimita' ai provvedimenti emessi dal ricorrente non perche' emessi in assenza di validi titoli amministrativi presupposti, bensi' per una loro asserita, autonoma e intrinseca, illegittimita' rispetto agli strumenti urbanistici e paesaggistici vigenti nell'area oggetto dell'intervento realizzato da (OMISSIS). Tale eccezione non era, pero', in alcun modo stata considerata dalla Corte d'appello, cosicche' la stessa non poteva neppure essere considerata come implicitamente esaminata e disattesa, anche perche' la Corte d'appello, nel disattendere l'impugnazione del ricorrente, non aveva solamente rilevato l'illegittimita' del provvedimento del 24/6/2016 (ossia del permesso stagionale al mantenimento delle opere) e del parere tecnico del 19/10/2016 (reso nell'ambito del procedimento per il rilascio della autorizzazione al mantenimento annuale delle medesime opere), ma aveva dato atto anche di tutte le autorizzazioni o permessi stagionali rilasciati da (OMISSIS) a (OMISSIS) a far tempo dall'anno 2010. Analogamente, quanto al reato di abuso di ufficio, era stato fatto rilevare, con l'atto di impugnazione, che la responsabilita' del ricorrente era stata affermata per la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 12 e 13 benche' cio' non fosse mai stato oggetto di contestazione, e che l'ingiusto vantaggio patrimoniale per (OMISSIS) era stato individuato nell'esonero dal pagamento degli oneri di urbanizzazione altrimenti dovuti, con argomento del tutto eccentrico rispetto alla contestazione e anche a quanto emerso nel corso del giudizio. 2.2. In secondo luogo, ha denunciato la manifesta illogicita' della motivazione, anche sotto forma di travisamento delle prove, nella parte relativa alla conferma della configurabilita' del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 di cui al capo a), in quanto l'autorizzazione edilizia n. 104 del 24/6/2016, con cui era stata definita la pratica edilizia n. 190 del 2016, relativa alla richiesta di (OMISSIS) di rilascio dell'autorizzazione alla installazione di una struttura a carattere precario e stagionale, era stata rilasciata tenendo conto della autorizzazione paesaggistica con cui era stata verificata la conformita' delle opere al PPTR, del parere di conformita' igienico - sanitaria della struttura, del nulla osta del servizio forestale regionale, della autorizzazione rilasciata dalla Agenzia delle Dogane, della autorizzazione rilasciata dalla Capitaneria di Porto per realizzare la struttura precaria nell'ambito della fascia di 30 metri dal demanio marittimo, cosicche', tenendo conto dei pareri favorevoli e delle autorizzazioni di tutte le varie autorita' preposte alla tutela dei diversi vincoli esistenti nell'area, l'autorizzazione alla installazione di opere precarie rilasciata dal ricorrente risultava essere un provvedimento necessitato e privo di contenuto discrezionale; il parere tecnico urbanistico del 19/10/2016 si inseriva nel diverso e autonomo procedimento amministrativo volto a ottenere l'autorizzazione al mantenimento per tutto l'anno della medesima struttura precaria e atteneva ai soli profili urbanistico - edilizi dell'intervento oggetto della richiesta e non autorizzava affatto il richiedente a mantenere l'opera precaria ma aveva solo l'effetto, interno al procedimento, di consentire che la richiesta proseguisse il suo corso in attesa delle determinazioni delle altre autorita' amministrative coinvolte, anche perche' tale parere non autorizzava alcun tipo di intervento. Il rilievo attribuito, nella motivazione della sentenza impugnata, alle autorizzazioni al mantenimento di opere precarie rilasciate allo (OMISSIS) a far tempo dall'anno 2010 risulterebbe, quindi, del tutto inconferente rispetto alla contestazione, posto che tali precedenti autorizzazioni non erano mai state oggetto di alcuna censura o rilievo, ne', tantomeno, di contestazioni penali, anche perche' tali autorizzazioni, come pure quella del 24/6/2016, alla installazione di strutture a carattere precario e stagionale, erano consentite dalla Delib. Consiglio comunale di (OMISSIS) n. 5 del 31/3/2006. Le valutazioni espresse dal ricorrente, circa la compatibilita' tra il mantenimento dell'opera e le sue caratteristiche costruttive, erano correlate esclusivamente allo strumento urbanistico vigente nella zona, e gli altri soggetti preposti alla tutela dei vari vincoli ivi esistenti avrebbero ancora dovuto esprimersi sul punto, secondo le loro attribuzioni, e solo all'esito sarebbe stata valutata la rilasciabilita' del permesso di costruire richiesto da (OMISSIS). 2.3. Con un terzo motivo ha denunciato l'errata applicazione di disposizioni di legge penale e la carenza della motivazione, con riferimento alla affermazione della configurabilita' del delitto di tentato abuso di ufficio di cui agli articoli 56 e 323 c.p.. Ha contestato, anzitutto, la rilevata violazione di specifiche disposizioni di legge nell'emanazione del parere favorevole del 19/10/2016 (con riferimento al quale e' stato ravvisato il delitto di tentato abuso d'ufficio, cosi' riqualificata la condotta di cui al capo B da parte della Corte d'appello di Lecce, rispetto all'ipotesi consumata contestata e ravvisata dal Tribunale di Lecce), in quanto il richiamo compiuto a tal fine dalla Corte d'appello al disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 12 e 13 sarebbe errato, trattandosi di precetti estranei alla pratica amministrativa che il ricorrente, nell'ambito delle sue competenze, aveva istruito, riferendosi, nel rilascio del parere favorevole oggetto della contestazione, non ai suddetti articoli 12 e 13 del testo unico dell'edilizia, bensi' alla Delib. Consiglio comunale di (OMISSIS) n. 5 del 31/3/2006, con la quale erano stati stabiliti i criteri per la installazione di opere precarie e stagionale lungo la fascia costiera, e alla successiva analoga Delib. n. 41 del 2008 del medesimo organo territoriale. Ha denunciato anche l'incerta individuazione del vantaggio patrimoniale che la condotta illecita avrebbe procurato, o tentato di procurare, a (OMISSIS), che era stato prima individuato nella estensione permanente della possibilita' di mantenere le opere abusive dallo stesso realizzate, e poi nel mancato pagamento dei relativi oneri di urbanizzazione. Ha lamentato anche la totale mancanza di motivazione a proposito della matrice intenzionale del dolo in capo al ricorrente, di cui era stata spiegata la sussistenza esclusivamente con il riferimento alla macroscopica illegittimita' dell'atto, senza alcun approfondimento circa la presenza di evidenti e macroscopiche incongruenze della pratica amministrativa, o a proposito dei rapporti interpersonali tra l'agente e il soggetto beneficiato dal provvedimento illegittimo, tra l'altro in contrasto con quanto affermato nella medesima sentenza a proposito del reato paesaggistico, di cui era stata esclusa la sussistenza alla luce dell'esistenza di una autorizzazione paesaggistica recente (n. 126 del 2015) sulla quale il ricorrente aveva fatto affidamento. Ha censurato anche l'affermazione della configurabilita' di un tentativo di abuso d'ufficio, fondata sulla rilevanza, all'interno del procedimento amministrativo, del parere favorevole formulato dal ricorrente, senza alcuna illustrazione della idoneita' e della univocita' degli atti qualificati come tentativo di abuso d'ufficio; in particolare la Corte d'appello aveva omesso di verificare se nella condotta ascritta al ricorrente potevano rintracciarsi elementi capaci di porre in dubbio l'esclusiva direzione finalistica della condotta alla realizzazione dell'evento, in quanto la valutazione spettante al dirigente dell'Ufficio tecnico comunale era solo di compatibilita' con gli strumenti urbanistici, essendo rimesse ad altri soggetti le ulteriori valutazioni relative alla assentibilita' dell'intervento edilizio, con la conseguente equivocita' della condotta, che non poteva dirsi diretta indiscutibilmente verso la realizzazione dell'evento contestato. 2.4. Con un quarto motivo ha lamentato la mancanza e, comunque, la manifesta illogicita' della motivazione, nella parte relativa alla determinazione della pena per il delitto tentato di cui agli articoli 56 e 323 c.p., essendo stata ridotta la pena minima edittale prevista per il delitto consumato, pari a un anno di reclusione, solamente della meta' anziche' di due terzi, come pure sarebbe stato possibile, e senza alcuna giustificazione. 2.5. Infine, con un quinto motivo, ha eccepito l'intervenuta estinzione per prescrizione del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 di cui al capo a), commesso il 17/2/2017, allorquando era stato eseguito il sopralluogo della polizia giudiziaria ed era stato accertato che il fabbricato ritenuto abusivo era stato interamente completato; poiche' al termine massimo quinquennale stabilito per la prescrizione di tale contravvenzione doveva aggiungersi solamente il periodo di sospensione per impedimento del difensore, dal 3/4/2019 al 12/6/2019, pari a complessivi due mesi e nove giorni, detto termine risultava decorso il 26/4/2022, ossia nel periodo intercorrente tra la lettura del dispositivo e il deposito della motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che essendo ora maturato detto termine la sentenza impugnata avrebbe dovuto essere annullata senza rinvio in relazione al suddetto reato di cui al capo a), in quanto estinto per prescrizione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' inammissibile. 2. Giova premettere, al fine della migliore comprensione della vicenda e delle censure sollevate dal ricorrente, che il Tribunale di Lecce era pervenuto alla affermazione di responsabilita' di entrambi gli imputati in relazione a tutti i reati loro contestati sulla base di quanto emerso in occasione del sopralluogo eseguito dalla polizia giudiziaria il 2 febbraio 2017, quando era stato accertato che parte del fondo di proprieta' di (OMISSIS) era occupato da un chiosco bar (che avrebbe dovuto, in base alla autorizzazione rilasciata allo stesso (OMISSIS), essere smontato al termine della stagione estiva, e comunque entro il 31 ottobre 2016), e da opere di non facile rimozione, tra cui un'area pavimentata in cemento della superficie di 125 mq. e un gazebo in legno della superficie di 72 mq. (tra l'altro realizzato su area demaniale marittima), risultando realizzati interventi edilizi non autorizzati per complessivi 300 mq., tra cui il suddetto chiosco bar della superficie di 160 mq. e altre strutture di pertinenza, nonche' quella su cui era stata realizzata una pavimentazione stabilmente infissa al suolo, con chianche di pietra di Cursi. Riguardo alla natura dell'intervento il Tribunale aveva sottolineato la abusiva realizzazione degli interventi edilizi, della superficie complessiva di circa 300 mq., in considerazione della loro stabilita', contrariamente a quanto indicato nelle varie autorizzazioni rilasciate a (OMISSIS), nelle quali le opere erano descritte come precarie e di facile amovibilita' al termine della stagione estiva e comunque entro il 31 ottobre. Quanto alla condotta del ricorrente (OMISSIS), il Tribunale aveva sottolineato il diniego della autorizzazione paesaggistica al mantenimento delle opere reso il 18/4/2016 dalla Unione dei Comuni di Terra di Leuca (per il contrasto con le disposizioni del PPTR) e il parere favorevole al mantenimento di dette opere reso dal ricorrente (OMISSIS) il 19/10/2016 e la autorizzazione n. 104 del 24/6/2016 dallo stesso rilasciata, in violazione degli strumenti urbanistici e nella piena consapevolezza di violare numerose norme volte alla tutela del paesaggio, del territorio e dell'ambiente, allo scopo di consentire a (OMISSIS) di conseguire un indebito vantaggio patrimoniale, costituito dalla prosecuzione della sua attivita' commerciale, mediante il suddetto chiosco - bar e le opere a esso accessorie. La Corte d'appello ha ribadito la necessita' del preventivo rilascio del permesso di costruire per le opere realizzate da (OMISSIS), in considerazione della loro stabilita' e permanenza, ritenendo irrilevante la loro destinazione a una attivita' commerciale di carattere stagionale, con la conseguente illegittimita' della autorizzazione al loro mantenimento rilasciata dal ricorrente il 24/6/2016 e del parere favorevole al mantenimento della struttura commerciale dallo stesso reso il 19/10/2016, volto a procurare un vantaggio patrimoniale allo stesso (OMISSIS), estendendo in via permanente il gia' illegittimo provvedimento autorizzativo stagionalmente rilasciato, con esonero dal pagamento degli oneri di urbanizzazione altrimenti dovuti. 3. Cio' premesso, quanto agli aspetti salienti della vicenda e alle valutazioni compiute dai giudici di merito, il primo motivo di ricorso, mediante il quale e' stata lamentata la mancanza assoluta della motivazione con riferimento alla eccezione di nullita' della sentenza di primo grado per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui agli articoli 521 e 522 c.p.p., e' manifestamente infondato. Va, infatti, ricordato come, da tempo, nella giurisprudenza di legittimita' sia stato affermato il principio secondo cui, in tema di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale sia stata riassunta l'ipotesi astratta prevista dalla legge, cosi' da determinare un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio per i diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione di tale principio non va esaurita nel mero confronto, puramente letterale, fra contestazione e oggetto della statuizione di sentenza, perche', vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e' insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, si sia venuto a trovare nella condizione concreta di potersi difendere in ordine all'oggetto dell'imputazione cosi' come ritenuta in sentenza (cfr. Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; conf., ex plurimis, Sez. 4, n. 16900 del 04/02/2004, Caffaz, Rv. 228042; Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo, Rv. 232423; Sez. 3, n. 35225 del 28/06/2007, Dimartino, Rv. 237517; Sez. 3, n. 15655 del 27/02/2008, Fontanesi, Rv. 239866; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 03/02/2016, Addio e altri, Rv. 265946). Tale orientamento e' stato sviluppato chiarendo che e' configurabile la violazione del principio della correlazione tra l'imputazione contestata e la pronuncia solo quando il fatto, ritenuto in sentenza, si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneita' o di incompatibilita', nel senso che sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione e variazione dei contenuti essenziali dell'addebito (Sez. 3, n. 9973 del 22/09/1997, Angelini, Rv. 209245; Sez. 6, n. 36003 del 14/06/2004, Di Bartolo, Rv. 229756), precisando che puo' sussistere violazione del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza solo quando tra il fatto descritto e quello accertato non si rinviene un nucleo comune identificato dalla condotta, e si manifesta, pertanto, un rapporto di incompatibilita' ed eterogeneita', che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell'accusa, a fronte dei quali l'imputato e' impossibilitato a difendersi (Sez. 4, n. 27355 del 27/01/2005, Capanna, Rv. 231727; Sez. 6, n. 81 del 06/11/2008, Zecca, Rv. 242368; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, Domizi, Rv. 254888). E' stato, poi, ulteriormente precisato come, ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'articolo 521 c.p.p., debba tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicche' questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sull'intero materiale probatorio posto a fondamento della decisione (Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lucera, Rv. 254419; Sez. 2, n. 46786 del 24/10/2014, Borile, Rv. 261052, nella quale e' stato chiarito che non e' configurabile la violazione dell'articolo 521 c.p.p. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, in relazione al quale l'imputato e il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilita' di interloquire in ordine al contenuto dell'imputazione, anche attraverso l'ordinario rimedio dell'impugnazione). L'obbligo di correlazione tra accusa e sentenza, pertanto, non puo' ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilita' di difesa dell'imputato: la nozione strutturale di "fatto" va, infatti, coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata e decisione giurisdizionale risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (cfr. Sez. 5, n. 3161 del 13/12/2007, P., Rv. 238345; Sez. 2, n. 38889 del 16/09/2008, D. Rv. 241446; Sez. 2, n. 18729 del 14/04/2016, Russo, Rv. 266758). Ne consegue che la violazione dell'articolo 521 c.p.p. non sussiste quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l'imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni (cfr. Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, Jovanovic, Rv. 254648), tenendo anche conto dei possibili sviluppi, interpretativi e sul piano della qualificazione giuridica, della ipotesi d'accusa originaria, che siamo in questa insiti ab origine. Tali consolidati criteri ermeneutici sono stati ritenuti compatibili con la regola di sistema espressa dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo (sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia), secondo cui, ai sensi dell'articolo 6, par. 3, lettera a) e b) della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo sul "processo equo", la garanzia del contraddittorio deve essere assicurata all'imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice ex officio (cfr., al riguardo, Sez. 6, n. 45807 del 12/11/2008, Drassich, Rv. 241754; conf. Sez. 5, n. 231 del 09/10/2012, Ferrari, Rv. 254521), quando la diversa qualificazione giuridica avvenga "a sorpresa", determinando conseguenze negative per l'imputato (e, quindi, fondando un suo concreto interesse ad ottenerne la rimozione), che, per la prima volta, e senza mai avere avuto la possibilita' di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali, al punto tale, cioe', da imporre una diversa e nuova definizione giuridica del fatto medesimo, rispetto a quanto contestato, in punto di fatto e di diritto, nell'imputazione, di cui rappresenta uno sviluppo inaspettato (cfr. Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, Jovanovic, Rv. 254649; conf. Sez. 5, n. 1697 del 25/09/2013, Cavallari, Rv. 258941; Sez. 5, n. 48677 del 06/06/2014, Napolitano, Rv. 261356; Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438). Ora, nel caso in esame, la contestazione faceva chiaramente e inequivoco riferimento alla realizzazione, da parte del coimputato non ricorrente (OMISSIS), di interventi edilizi costituiti dalla realizzazione di una struttura commerciale destinata a chiosco - bar con annesso laboratorio della superficie di circa 300 mq., insistente in parte su area demaniale marittima e in parte su area sottoposta a vincolo paesaggistico e idrogeologico, in assenza di titoli demaniali, del permesso di costruire e del nulla osta delle autorita' preposte alla tutela del vincolo. La responsabilita' degli imputati e' stata, in primo grado, affermata in relazione a tutte le ipotesi di reato loro contestate, ossia per i reati di cui agli articoli 110 e 734 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera c), Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181 e articoli 54, 55 e 1161 c.n., e, nel giudizio di appello, e' stata confermata solamente per il reato urbanistico, ritenuto integrato dalla realizzazione di dette opere in assenza del permesso di costruire, ritenuto necessario in considerazione della loro natura e delle loro caratteristiche costruttive. Quanto al delitto di abuso di ufficio di cui al capo b), la contestazione, da leggere, evidentemente, anche alla luce del reato urbanistico contestato sub a), a proposito del quale sono stati menzionati entrambi i provvedimenti emessi dal (OMISSIS) (e' cioe' sia l'autorizzazione del 24/6/2016 sia il parere favorevole del 19/10/2016), fa riferimento alla autorizzazione da parte del (OMISSIS), nella qualita' di dirigente dell'Ufficio tecnico del Comune di (OMISSIS), a realizzare e mantenere la struttura turistica balneare indicata al capo a), dunque alla complessiva condotta tenuta dal (OMISSIS) descritta ai capi a) e b) della rubrica, quindi a entrambi i provvedimenti amministrativi dallo stesso adottati (menzionati espressamente al capo a), cosicche', anche riguardo a tale contestazione, risultavano chiare le condotte contestate al ricorrente, che, comunque, nel corso di entrambi i giudizi di merito ha ampiamente controdedotto al riguardo ed e' stato posto nella possibilita' di difendersi dalla contestazione di aver adottato entrambi gli atti illegittimi in questione, cosicche', anche a questo riguardo, non risulta esservi stata alcuna radicale immutazione dei fatti contestati rispetto a quelli ritenuti nelle sentenze di merito, ne' alcun pregiudizio ai diritti difensivi dell'imputato, al quale il principio di correlazione tra accusa e sentenza e' strumentalmente coordinato. Non vi e' stata, dunque, come e' evidente, alcuna immutazione radicale dei fatti contestati rispetto a quelli per i quali e' stata affermata la responsabilita' degli imputati, in quanto le contestazioni fanno chiaramente riferimento, tra l'altro, alla realizzazione di una pluralita' di opere, descritte con sufficiente specificita', della superficie complessiva di 300 mq., e alle loro caratteristiche costruttive e strutturali, tali da richiedere il preventivo rilascio del permesso di costruire per la loro realizzazione, che e' la residua ipotesi di reato di cui al capo a), in relazione alla quale e' stata confermata la responsabilita' degli imputati, e ai due atti amministrativi adottati dal ricorrente, strumentali alla realizzazione e al mantenimento di dette opere abusive, cosicche' risulta chiaramente insussistente qualsiasi immutazione del nucleo essenziale dei fatti contestati rispetto a quelli ritenuti nelle sentenze di merito, con la conseguente manifesta infondatezza dei rilievi sollevati sul punto con il primo motivo di ricorso. 3. Il secondo motivo, mediante il quale e' stato lamentato un vizio della motivazione con riferimento alla affermazione della configurabilita' del reato edilizio di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 contestato al capo a), e' manifestamente infondato. Il ricorrente al riguardo afferma, da un lato, la piena legittimita' della autorizzazione al mantenimento di opere stagionali e precarie dallo stesso rilasciata il 24/6/2016 (si tratta della autorizzazione n 104 del 2016), in ragione del carattere precario e amovibile delle opere, e, dall'altro, l'irrilevanza del parere favorevole al mantenimento annuale delle medesime opere dallo stesso reso il 19/10/2016, in quanto atto interno al procedimento volto al rilascio del permesso di costruire. Ora, a prescindere dalla intrinseca contraddittorieta' di tale prospettazione, perche' prima si afferma la non necessarieta' del permesso di costruire, in ragione della natura delle opere e del loro carattere precario, e poi si da' atto della richiesta di tale titolo e della espressione di parere favorevole al loro mantenimento, va osservato che correttamente entrambi i giudici di merito hanno escluso il carattere precario delle opere oggetto della contestazione e hanno rilevato la necessita' per la loro realizzazione del preventivo rilascio del permesso di costruire. Giova al riguardo ricordare che, per consolidata giurisprudenza di legittimita', per definire precario un immobile, tanto da non richiedere il rilascio di un titolo abilitativo, e' necessario ravvisare l'obiettiva e intrinseca destinazione a un uso temporaneo per specifiche esigenze contingenti, non rilevando che esso sia realizzato con materiali non abitualmente utilizzati per costruzioni stabili. (Sez. 3, n. 5821 del 15/01/2019, Dule, Rv. 275697, relativa a fattispecie in cui la Corte ha escluso la natura precaria di una platea in conglomerato cementizio avente una superfice di circa 100 metri quadrati, con tramezzature perimetrali in laterizio di metri 25 di lunghezza in quanto denotante una futura stabile destinazione; conf. Sez. 3, n. 38473 del 31/05/2019, Bossone, Rv. 277837; Sez. 3, n. 380 del 17/10/2019, dep. 2020, Lauro, Rv. 278277; Sez. 3, n. 36552 del 15/06/2022, Crugliano, Rv. 283590). Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lettera e), dispone, infatti, che costituiscono "interventi di nuova costruzione" - assoggettati al previo rilascio del permesso di costruire ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 10, comma 1, lettera a), - "quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti" e che, tra l'altro, "sono comunque da considerarsi tali...e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unita' abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti" (la citata lettera e.5 e' stata cosi' sostituita dal Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, articolo 10 recante Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale, conv., con modiff., in L. 11 settembre 2020, n. 120). Al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa non puo' quindi essere desunta dalla temporaneita' della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera a un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilita' di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilita' o il mancato ancoraggio al suolo (Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, dep. 2015, Manfredini, Rv. 261636, relativa a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto penalmente rilevante la realizzazione abusiva di una stalla costruita con pali in legno saldamente ancorati al suolo e copertura in lamiera per soddisfare esigenze permanenti e durature nel tempo; v. anche Sez. 3, n. 36552 del 15/06/2022, Crugliano, Rv. 283590, cit.). Cio', del resto, era gia' stato chiarito dalla Corte costituzionale, che in proposito ha osservato che "la normativa statale sancisce il principio per cui ogni trasformazione permanente del territorio necessita di titolo abilitativo e cio' anche ove si tratti di strutture mobili allorche' esse non abbiano carattere precario. Il discrimine tra necessita' o meno di titolo abilitativo e' data dal duplice elemento: precarieta' oggettiva dell'intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e precarieta' funzionale, in quanto caratterizzata dalla temporaneita' dello stesso" (Corte Cost., sent. 23 giugno 2010, n. 278; Corte Cost., sent. 9 giugno 2014, n. 189). Nel caso in esame i giudici di merito hanno chiaramente e correttamente escluso il carattere, indispensabile per poter ritenere non necessario il permesso di costruire, della precarieta' strutturale delle opere, evidenziando come sia stata realizzata un'area pavimentata in cemento di 125 mq., edificato un gazebo in legno della superficie di 72 mq. (tra l'altro ricadente nel demanio marittimo), costruita una struttura destinata a chiosco - bar in metallo con infissi in alluminio della superficie di 48 mq., dotata di servizi igienici e impianto idrico e fognario. E' stato, in particolare (cfr. pag. 9 della sentenza di primo grado), evidenziato che l'opera realizzata da (OMISSIS), con il concorso del ricorrente (OMISSIS), possiede "le caratteristiche di un intervento edilizio tutt'altro che precario e facilmente amovibile, avente natura e peculiarita' di un'opera stabile e causativa di una modifica irreversibile della morfologia del territorio". Risultano, quindi chiaramente infondati i rilievi sollevati dal ricorrente a proposito della non necessarieta' del permesso di costruire, stante il carattere stabile e nient'affatto precario delle opere materialmente realizzate da (OMISSIS); altrettanto manifestamente infondati risultano i rilievi relativi alla estraneita' del ricorrente alla realizzazione di tali opere, cui certamente concorse, sia con l'autorizzazione del 24/6/2016 al mantenimento di tali opere, definite come precarie nonostante le opere inequivocabili caratteristiche strutturali; sia con il successivo parere favorevole del 19/10/2016, reso allo scopo di consentire il rilascio del permesso di costruire per poter mantenere dette opere, nonostante il parere contrario di compatibilita' paesaggistica. Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza anche dei rilievi sollevati con il secondo motivo di ricorso. 4. Il terzo motivo, mediante il quale sono state lamentate errate applicazioni di disposizioni di legge penale e vizi della motivazione, riguardo alla affermazione della configurabilita' del delitto di abuso d'ufficio, nella forma tentata ravvisata dalla Corte d'appello, e', anch'esso, manifestamente infondato. Quanto alla configurabilita' dell'elemento oggettivo di tale reato, di cui e' stata contestata la ricorrenza a causa della indebita e comunque errata individuazione delle specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge e che sarebbero state violate, erroneamente indicate dalla Corte d'appello nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 12 e 13 va osservato che la giurisprudenza di legittimita' ha gia' affermato, con principio che il Collegio condivide e ribadisce, che il rilascio del titolo abilitativo edilizio avvenuto senza il rispetto del piano regolatore generale o degli altri strumenti urbanistici integra la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, cosi' come richiesto dalla nuova formulazione dell'articolo 323 c.p. ad opera del Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, articolo 16 convertito nella L. 11 settembre 2020, n. 120, in quanto il Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 12, comma 1, prescrive espressamente che il permesso di costruire, per essere legittimo, deve conformarsi agli strumenti urbanistici e il successivo articolo 13 detta la specifica disciplina urbanistica che il direttore del settore e' tenuto ad osservare (cosi' Sez. 6, n. 31873 del 17/09/2020, Pieri, Rv. 279889), non essendovi margini di discrezionalita' riguardo al suo rilascio (come chiarito da Sez. 3, n. 26834 del 08/09/2020, Barletta, Rv. 280266; nel medesimo senso v. anche Sez. 6, n. 13148 del 08/03/2022, Calabro', Rv. 283111). Tali decisioni si fondano sul condivisibile principio secondo cui le regole stabilite dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 12 e 13, tra cui l'obbligo di conformarsi agli strumenti urbanistici, non lasciano spazi di discrezionalita' alla pubblica amministrazione investita della richiesta di rilascio di un titolo abilitativo edilizio, cosicche' la fattispecie incriminatrice non puo' certo dirsi indeterminata quando si correli la violazione di regole di condotta previste dalla legge al mancato rispetto degli strumenti urbanistici, ne' la condotta tipica risulta imprevedibile o indeterminabile, derivando dette regole di condotta esclusivamente dalla esatta osservanza delle disposizioni del testo unico urbanistico e degli strumenti urbanistici che ne sono attuazione e specificazione, con la conseguente evidente infondatezza delle censure sollevate dal ricorrente a proposito della errata individuazione delle disposizioni di legge che sarebbero state violate dal ricorrente nella sua azione amministrativa, in particolare nell'adozione dei provvedimenti autorizzativi e consultivi resi a seguito delle richieste presentate da (OMISSIS). Quanto al vantaggio patrimoniale per quest'ultimo, lo stesso risultava talmente evidente da non richiedere analitica illustrazione, consistendo nella possibilita' di mantenere a tempo indeterminato, e non solo per il periodo estivo (per il quale sarebbe comunque stato necessario il permesso di costruire in ragione delle caratteristiche e della consistenza delle opere realizzare, come evidenziato a proposito del residuo reato di cui al capo A), le opere abusivamente realizzate dallo stesso (OMISSIS) e mantenute illecitamente per il periodo estivo in forza della indebita autorizzazione rilasciata dal ricorrente (OMISSIS) il 24/6/2016, derivando evidentemente da cio' un chiaro vantaggio patrimoniale, consistente nella possibilita' di mantenere le opere nella loro consistenza senza rimuoverle al termine della stagione estiva, con un palese risparmio di costi. L'elemento soggettivo, della intenzionalita' della condotta, e' stato, altrettanto correttamente, ricavato dalla palese illegittimita' del parere favorevole rilasciato dal ricorrente, in quanto lo stesso, anche se privo di immediata portata autorizzativa, si e' inserito in modo determinante nel procedimento amministrativo volto a ottenere il permesso di costruire richiesto dallo (OMISSIS), dando atto della possibilita' di rilascio di tale permesso sul piano urbanistico edilizio, nonostante i plurimi ostacoli al suo rilascio derivanti dalla presenza nell'area interessata dalla realizzazione delle opere di vincoli paesaggistici e idrogeologici e dalla occupazione di aree demaniali, ostacoli palesi in ragione delle caratteristiche delle opere e della loro collocazione, cosicche' il parere favorevole rilasciato dal ricorrente non poteva che essere volto, proprio alla luce dei plurimi impedimenti al rilascio del permesso di costruire (concretatisi nel il diniego della autorizzazione paesaggistica al mantenimento delle opere reso il 18/4/2016 dalla Unione dei Comuni di Terra di Leuca per il contrasto con le disposizioni del PPTR), a favorire indebitamente (OMISSIS). La configurabilita' del tentativo, in particolare l'univocita' degli atti, deriva, anch'essa, dalla inequivoca direzione della condotta del ricorrente, consistita nel rilascio del suddetto parere favorevole, a consentire a (OMISSIS) di ottenere, indebitamente (in quanto in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti, stante la prossimita' delle opere alla fascia costiera e in particolare a una zona di questa caratterizzata dalla presenza di dune di sabbia e soggetta a particolare protezione), il permesso di costruire. Il contenuto dell'atto amministrativo adottato dal ricorrente non lascia dubbi sulla sua esclusiva direzione alla realizzazione dell'evento, e cioe' all'indebito rilascio del permesso di costruire richiesto da (OMISSIS), in quanto la valutazione favorevole del dirigente dell'Ufficio tecnico comunale, di compatibilita' con gli strumenti urbanistici, ha avuto l'effetto di rimuovere un ostacolo al rilascio di tale permesso, pur essendo rimesse ad altri soggetti le ulteriori valutazioni relative alla assentibilita' dell'intervento edilizio, con la conseguente univocita' della condotta, indiscutibilmente volta alla realizzazione dell'evento contestato, costituito dal rilascio del titolo abilitativo richiesto dallo (OMISSIS). Deve, in definitiva, concludersi per la manifesta infondatezza dei rilievi sollevati dal ricorrente a proposito della configurabilita' del reato di cui al capo b), come riqualificato dalla Corte d'appello nella forma del tentativo di abuso d'ufficio. 5. Il quarto motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, determinato senza applicare la massima riduzione possibile per il delitto tentato, essendo stata applicata la riduzione di meta' anziche' di due terzi al minimo edittale di un anno di reclusione previsto per il delitto di cui all'articolo 323 c.p., e' manifestamente infondato, essendo volto a censurare una valutazione di merito, ossia quella in ordine alla misura della pena detentiva, che e' stata giustificata adeguatamente dalla ampia illustrazione delle modalita' della condotta e dalla sottolineatura della sua gravita', per la pluralita' di interessi protetti pregiudicati dalla realizzazione delle opere abusive e l'estensione di queste ultime, tenendo conto del consolidato principio secondo cui non e' necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso, come quello in esame, in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale (cfr. Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288, nella quale e' anche stato chiarito che tale media deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato cosi' ottenuto al minimo; nel medesimo senso gia', in precedenza, Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, Rv. 256464). 6. Il quinto motivo, mediante il quale e' stata eccepita l'intervenuta estinzione per prescrizione del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 di cui al capo a), commesso il 17/2/2017, per essere decorso il 26/4/2022 il relativo termine massimo, tenuto conto della sua interruzione per impedimento del difensore dell'imputato, ossia nel periodo intercorrente tra la lettura del dispositivo e il deposito della motivazione della sentenza impugnata, e' manifestamente infondato, in quanto ai fini del computo della prescrizione del reato deve essere preso in considerazione esclusivamente il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna, che rende la decisione non piu' modificabile in relazione alla pretesa punitiva, e non quello successivo di deposito della motivazione, che contiene soltanto l'esposizione dei motivi in fatto e in diritto sui quali la decisione e' fondata (Cfr. Sez. 7, Ordinanza n. 38143 del 13/02/2014, Foggetti, Rv. 262615; Sez. 1, n. 20432 del 27/01/2015, Lione, Rv. 263365; Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593). 7. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a causa della manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali e' stato affidato. L'inammissibilita' originaria del ricorso esclude, poi, il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacche' detta inammissibilita' impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimita', e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616; nonche' Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966). Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento, nonche' del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per la comunicazione del dispositivo ai sensi dell'articolo 154 ter disp. att. c.p.p. alla amministrazione comunale di (OMISSIS).

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CIAMPI Francesco Mari - Presidente Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere Dott. CENCI Daniele - Consigliere Dott. D'ANDREA Alessandro - Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza del 15/07/2022 del TRIB. LIBERTA' di BRINDISI; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA; sentite le conclusioni del PG in persona del Sostituto PG Dott. ODELLO LUCIA, che ha chiesto rigettarsi il proposto ricorso; Uditi i difensori del ricorrente avvocato ARICO' FRANCESCA, del foro di ROMA e avvocato BELMONTE ELVIA, del foro di LECCE, che, illustratine i motivi, hanno insistito per l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 17/9/2021, il Tribunale del Riesame di Brindisi confermava il decreto emesso il 3/8/2021 dal G.I.P. del Tribunale di Brindisi, con il quale, per quanto in questa sede rileva, era stato disposto nei confronti di (OMISSIS) il sequestro preventivo, in via diretta e anche per equivalente, di beni nella sua disponibilita' per un valore complessivo di 717.841 Euro, importo corrispondente alla somma dei profitti conseguiti sia attraverso la realizzazione di due episodi del delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, contestati ai capi A e C, sia mediante la realizzazione di due episodi del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti di cui ai capi G e H. Si addebita in particolare al ricorrente di avere, quale amministratore di fatto della societa' fornitrice " (OMISSIS) s.r.l.", concorso nell'adoperare artifici e raggiri per trarre in inganno la Regione Puglia e l'A.G.E.A. al fine di ottenere la liquidazione di contributi pubblici previsti nell'ambito del Piano di sviluppo regionale della Puglia relativo agli anni (OMISSIS), cosi' ottenendo l'erogazione, in favore della " (OMISSIS) societa' cooperativa agricola", societa' destinataria di false fatture, di due finanziamenti che, avuto riguardo ai fondi ricevuti e ai costi realmente sostenuti, generavano un ingiusto profitto pari rispettivamente a 100.000 Euro (capo A) e a 425.000 Euro (capo C), risultando le truffe commesse fino al (OMISSIS) (capo A) e fino al (OMISSIS) (capo C), date in cui avevano avuto luogo le ultime erogazioni dei finanziamenti. (OMISSIS) e' inoltre accusato di avere indicato, nelle dichiarazioni IVA della societa' " (OMISSIS) s.r.l." relative agli anni (OMISSIS) (capo G) e (OMISSIS) (capo H), elementi passivi fittizi per un importo complessivo pari a 363.000 Euro (capo G) e a 59.800 Euro (capo H), contabilizzando costi mai sostenuti. 1.2. Avverso la prima ordinanza del Tribunale pugliese, il (OMISSIS), tramite il suo difensore di fiducia, ebbe a proporre un primo ricorso per cassazione, e la Terza Sezione Penale di questa Corte di legittimita', con la sentenza 20254/22 del 10/2/2022 l'ha annullata con rinvio. Il giudice di legittimita' ha ritenuto meritevoli di accoglimento il terzo e il quarto motivo, che ha trattato unitariamente. Ha ricordato che, con l'istanza di riesame, al punto 3, la Difesa ha evidenziato che l'unico beneficiario delle condotte di truffa aggravata di cui ai capi A e C e' la Coop. agricola " (OMISSIS)", destinatario esclusivo dei vantaggi economici connessi ai reati, osservando che tale societa' dispone, come documentato, di un patrimonio netto contabile pari a 2.902.219 Euro, sufficiente a garantire idonea copertura rispetto ai danni cagionati dalle condotte illecite, per cui, stante la capienza della societa', non poteva ritenersi legittima, perche' assolutamente sproporzionata, l'aggressione del patrimonio di (OMISSIS). Nel richiamare la relazione del consulente tecnico di parte, Dott. (OMISSIS), la difesa contestava poi la quantificazione del profitto dei reati di cui ai capi A, C, G e H, osservando che il profitto confiscabile a (OMISSIS) doveva rideterminarsi, al piu', nel minore importo di 374.562,49 Euro, scaturente dalla somma tra il profitto della truffa (262.500 Euro) e quello delle imposte evase (112.062 Euro). La sentenza 20254/22 ha ritenuto che con tali censure il tribunale del riesame, con la precedente ordinanza, non si fosse adeguatamente confrontato. Cio' perche', pur dando atto del deposito e del contenuto della consulenza tecnica, i giudici dell'impugnazione cautelare avevano sottolineato che le contestazioni ai criteri di computo del profitto non potevano trovare ingresso nel giudizio svolto dinanzi al Tribunale, stante l'assenza di poteri istruttori del giudice della cautela. Rispetto al tema della sufficiente capienza del patrimonio societario, invece, la precedente sentenza di legittimita' ha ritenuto non si rinvenirsi nel provvedimento impugnato alcuna risposta all'eccezione difensiva. Ebbene, in ordine al primo aspetto, il precedente giudice di legittimita' ebbe a ritenere che, pur essendo corretta l'affermazione del Tribunale brindisino circa l'indisponibilita' di poteri istruttori, tuttavia non apparisse per cio' solo giustificabile il silenzio argomentativo dell'ordinanza gravata rispetto alle deduzioni difensive, dovendosi richiamare il principio elaborato da. Sez. 3, n. 29431 del 10/05/2019, Rv. 276272, secondo cui, in sede di riesame avverso il decreto di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, fatti salvi i casi di manifesta sproporzione tra il valore dei beni oggetto del provvedimento ablatorio e il "quantum" del profitto del reato indicato nella richiesta al giudice per le indagini preliminari della pubblica accusa, il Tribunale non ha il potere di compiere accertamenti diretti a verificare il rispetto del principio di proporzionalita', essendo tenuto tuttavia a valutare il contenuto dell'eventuale consulenza tecnica presentata dalla parte ricorrente. Da cio' consegue che i giudici del riesame, pur senza attivare verifiche tecniche autonome, avrebbero dovuto comunque confrontarsi con i rilievi contenuti nella memoria del Dott. (OMISSIS), quantomeno al fine di valutarne l'eventuale idoneita' a destrutturare la diversa prospettiva insita nella ricostruzione accusatoria. Quanto invece all'ulteriore questione della contestuale applicazione della confisca sia nei confronti della persona giuridica beneficiaria delle condotte illecite che della persona fisica che a tali condotte risulta aver cooperato, il Tribunale del Riesame, in sede di rinvio, era stato chiamato a confrontarsi con la relativa deduzione difensiva, tenendo conto dei canoni ermeneutici tracciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258648, ricorrente Gubert e ribaditi di recente (Sez. 2, n. 42411 del 17/06/2021, Rv. 282132), nella parte in cui e' stato affermato che, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, e' legittimo il provvedimento cautelare che incide contemporaneamente, in via diretta, sui beni della societa' che dal reato ha tratto vantaggio e, per equivalente, sui beni della persona fisica che lo ha commesso, qualora il reperimento dei beni dell'ente non sia possibile al momento della richiesta e dell'adozione della misura, verifica questa che non risultava essere stata compiuta nella precedente ordinanza, nonostante l'espressa sollecitazione difensiva in tal senso. Alla stregua delle considerazioni svolte e nei limiti esposti, la precedente ordinanza era stata, pertanto, annullata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Brindisi competente ai sensi dell'articolo 324 c.p.p., comma 5. Il precedente giudice di legittimita', invece, aveva ritenuto non meritevoli di accoglimento i primi due motivi di ricorso (con il primo, la difesa aveva censurato la risposta del Tribunale all'eccezione difensiva di nullita' del decreto di sequestro preventivo per violazione del diritto di difesa, per assoluta incertezza del fatto contestato, evidenziando che l'indagato non era stato adeguatamente informato circa il tenore delle accuse a suo carico; con il secondo la difesa aveva censurato la valutazione indiziaria dei reati di cui agli articolo 640 bis c.p. e del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 2 e 8 rilevando che gli addebiti provvisori erano fondati su una mera presunzione smentita dalle evidenze processuali, non essendosi considerato che i requisiti per beneficiare dei fondi erogati erano cosi' stringenti e specifici da non lasciare margini di manovra ai partecipanti ai bandi pubblici). 1.3. Nelle more dell'intervenuto annullamento e prima del giudizio in sede di rinvio, come ricorda il provvedimento oggi impugnato, e precisamente dopo il deposito (in data 23/9/2021) dell'ordinanza dei Tribunale del Riesame del 17.09.2021, il pubblico ministero, ritenendo che alcune osservazioni contenute nella consulenza tecnica di parte a firma del commercialista (OMISSIS) (allegata alla richiesta di riesame avanzata dalla difesa del (OMISSIS)) fossero fondate e meritevoli di approfondimento, delegava la Guardia di Finanza, gia' in data 9/12/2021, per compiere un approfondimento istruttorio. La Guardia di Finanza trasmetteva in risposta le note del 17/1/2022, del 25/1/2022 e del 21/2/2022 all'esito delle quali il pubblico ministero inoltrava al Giudice per le indagini preliminari, una prima richiesta di revoca parziale (datata 21/2/2022) del sequestro preventivo per riduzione del profitto confiscabile. Seguiva un decreto del G.I.P. datato 1/3/2022 di accoglimento della richiesta del p.m. e di riduzione dell'importo di valore del sequestro per equivalente, ma il pubblico ministero non dava esecuzione a quel decreto di riduzione del sequestro preventivo perche' vi era stato un errore di calcolo nella determinazione del profitto confiscabile di cui ai capi g) ed h) e per la presenza di un refuso nella parte motiva del decreto del G.I.P. che faceva riferimento ai fatti di altro procedimento penale. Lo stesso pubblico ministero, quindi, in data 18/3/2022, depositava una nuova (seconda) richiesta di revoca parziale del sequestro preventivo per riduzione del profitto confiscabile come rideterminato in relazione ai capi g) ed h). Il capo g) veniva anche modificato per tenere conto della diversa quantificazione del profitto. Nel frattempo, essendo state depositate il 25/5/2022 le motivazioni con cui la Terza Sezione di questa Corte di legittimita' aveva annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale del Riesame, il pubblico ministero, ritenendo corretti i rilievi critici della difesa, procedeva ad un ricalcolo del profitto dei reati di cui ai capi a) e c) e in data 4/7/2022, trasmetteva al G.I.P. una (terza) richiesta di revoca parziale del sequestro per riduzione del profitto confiscabile (che sostituiva la precedente, che doveva intendersi revocata, non essendo ancora pervenuta una decisione). Su tale nuova ed ultima (la terza) richiesta del pubblico ministero di revoca parziale del sequestro preventivo, il Giudice per le indagini preliminari ha provveduto con decreto in data 6/7/2022, accogliendo integralmente la richiesta, ha rideterminato e ridotto l'importo del profitto confiscabile tanto per i reati di truffa (di cui ai capi a) e c)) quanto per il reato di dichiarazione fraudolenta di cui al capo g). 1.4. Come ricorda il provvedimento impugnato, sulla base di tale novum, l'istanza di riesame della difesa di (OMISSIS), con riferimento alla questione della determinazione del profitto confiscabile e sequestrabile diveniva ormai priva di attualita', tanto e' vero che lo stesso difensore, nel corso dell'udienza camerale in sede di rinvio, ha rappresentato di insistere solo sull'ulteriore motivo di ricorso inerente l'illegittimita' del sequestro emesso ed eseguito nei confronti del (OMISSIS), per equivalente, stante la sicura capienza del patrimonio de " (OMISSIS) Societa' Cooperativa" agricola a "coprire" la somma sequestrabile quale profitto del reato, come emergeva anche dal bilancio di tale societa' con riferimento alla data di chiusura esercizio del (OMISSIS). Si tratta della questione (motivo di riesame) di ingiustificata aggressione al patrimonio personale di (OMISSIS) (semplice concorrente nel reato) a fronte della ritenuta capienza del patrimonio della societa' (Cooperativa (OMISSIS)) beneficiaria delle indebite erogazioni dei reati di cui ai cavi M e O, che era stata una delle due ritenute fondate e su cui la precedente sentenza di legittimita' aveva annullato l'ordinanza del Tribunale del Riesame del 17.09.2021 in accoglimento del quarto motivo di ricorso per cassazione proposta dalla difesa del (OMISSIS). 1.6. Pronunciando in sede di rinvio, con ordinanza del 15/7/2022, il Tribunale del Riesame di Brindisi ha nuovamente rigettato la richiesta di riesame reale avanzata da (OMISSIS) e per l'effetto ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP di quel Tribunale il 3/8/2021 come modificato con decreto emesso dal medesimo ufficio il 6/7/2022. 2. Ricorre nuovamente, a mezzo del proprio difensore di fiducia, (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1. Con un primo motivo il ricorrente lamenta nullita' dell'ordinanza impugnata per violazione degli articoli 627 e 324 c.p.p., 322ter, 640bis, 640 quater c.p.. Il ricorrente rivolge anche alla nuova ordinanza del giudice del gravame della cautela la doglianza di non avere affrontato compiutamente le questioni sottoposte con l'istanza di riesame. Dopo avere ricordato quanto statuito da Sez. 3 n. 20254/2022 in relazione al terzo e al quarto motivo del precedente ricorso per cassazione, ritenuti fondati, il ricorrente conferma che, come emerge dal testo dell'ordinanza impugnata, emessa dal giudice del rinvio, nelle more, su richiesta del PM, rivolta al Gip e da questi accolta, si e' proceduto ad operare la riduzione del quantum sequestrabile, riportandolo nel recinto della proporzionalita' e legittimita', di talche' deve ritenersi anticipatamente rispettato il dictum della Corte Suprema, relativamente al quarto motivo di ricorso. Dunque, concorda il ricorrente che occorrera' verificare solo se il giudice del rinvio abbia operato secondo il dictum della Corte di legittimita' del 10 febbraio 2022, in relazione al terzo motivo di doglianza, attinente alla fondamentale questione, che e' quella della possibilita' di chiedere e di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato in via diretta su beni diversi dal denaro a carico della societa' e, dall'altro canto, di risolvere la quaestio juris riguardante il profitto effettivamente realizzato -nella vicenda- dalla persona giuridica. Ricorda il ricorrente che la precedente sentenza di legittimita' aveva invitato il giudice del rinvio, da un lato, a tenere da conto le deduzioni riportate dalla difesa tecnica (consulenza Dott. (OMISSIS) in atti) e dall'altro a confrontarsi con le stesse, in ottemperanza "ai canoni ermeneutici tracciati dalle Sezioni Unite..... con la sentenza n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258648, ricorrente Gubert e ribaditi di recente (Sez. 2, n. 42411 del 1710612021, Rv. 282132), nella parte in cui e' stato affermato che, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, e' legittimo il provvedimento cautelare che incide contemporaneamente, in via diretta, sui beni della societa' che dal reato ha tratto vantaggio e, per equivalente, sui beni della persona fisica che lo ha commesso, qualora il reperimento dei beni dell'ente non sia possibile al momento della richiesta e dell'adozione della misura, verifica questa che si sostiene non essere stata compiuta nel caso di specie, nonostante l'espressa sollecitazione difensiva in tal senso. Per il ricorrente il giudice del procedimento rescissorio non si e' uniformato al sopra enunciato principio di diritto, incorrendo nella violazione del disposto degli articoli 627, 321, e 322 ter c.p.p. e dell'articolo 640 quater c.p.. Ricordato che la Corte di Cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica sull'adempimento del dovere di motivazione, si sottolinea che, nella specie, la precedente sentenza di legittimita' non solo ha evidenziato la totale mancata risposta su un punto fondamentale devoluto all'esame del tribunale brindisino, ma ha statuito in diritto. Sicche' il giudice di rinvio, pur conservando la liberta' di decisione mediante un'autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, era tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali (il richiamo e' a Sez. 2 n. 45863/2019, fattispecie nella quale la Corte ha nuovamente annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale del riesame che, pur a seguito di precedente annullamento con rinvio, aveva considerato superflui gli accertamenti specifici demandati dal giudice di legittimita', da espletare al fine di risolvere il quesito relativo alla qualifica rivestita dall'indagato rispetto ad un'imputazione provvisoria per corruzione). Ricorda il ricorrente che nella sentenza di annullamento n. 20254/2022 e' stato affermato a chiare lettere il principio di sussidiarieta' in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, con cio' intendendosi la legittimita' della primaria aggressione dei beni della societa' e solo ove non reperiti o reperibili, la misura cautelare, contemporaneamente, potra' essere indirizzata, per equivalente, sui beni delle persone fisiche che hanno commesso i reati. Tuttavia- prosegue il ricorso- nonostante la difesa del ricorrente abbia segnalato e documentato l'esistenza di un patrimonio netto capiente della societa', unico soggetto che ha tratto vantaggi dalla perpetrazione delle truffe aggravate (come emerge anche dalla produzione, nel giudizio di rinvio, del bilancio per l'anno 2021) ancora una volta non sarebbe stata compiuta alcuna effettiva verifica da parte del giudice procedente, anche solo allo stato degli atti, per come previsto dal giudice di Legittimita', nella sentenza della Sez. 2 n. 42411/2021, citata nel provvedimento di annullamento con rinvio. Ricorda il ricorrente che, sin dalle prime battute del procedimento penale, l'interessato, per il tramite della propria difesa e di apposita consulenza tecnica di parte, ha apportato specifici dati dimostrativi della sequestrabilita' diretta in capo alla persona giuridica, tali da evitare la vanificazione di ogni esigenza di cautela. Il ricorrente ripercorre le argomentazioni del Tribunale del Riesame di Brindisi per approdare alla statuizione che qui si censura nella parte in cui ritiene non aggredibili i due impianti (vinicolo ed oleario) creati dalla Cooperativa e "per i quali" si sono poste in essere le truffe aggravate (fol. 13-15). Rileva il ricorrente che per il giudice a quo non si puo' decidere in virtu' del principio che nella nozione di profitto funzionale alla confisca rientrano non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell'illecito ma anche ogni altra utilita' che sia conseguenza anche indiretta o mediata dell'attivita' criminosa. Ed invero, si sostiene nell'impugnata ordinanza che, con riferimento ai reati di truffa aggravata, il profitto e' stato determinato con riferimento ai fondi erogati e non dovuti, proprio in quanto correlati alla sovrafatturazione, laddove gli impianti sono stati ammodernati e realizzati con contributi pubblici ricevuti dalla regione e non valutati ai fini della determinazione del profitto perche' destinati a coprire costi effettivamente sostenuti dalla societa'. Per meglio chiarire il punto di vista della difesa, il ricorrente riporta un passaggio motivazionale di una recente sentenza di questa Corte di legittimita' (Sez. 5, n. 6391/2021) secondo cui: "... la confisca "diretta" si dirige "in prima battuta" verso i beni che presentano una derivazione causale dal reato e che dunque vengono appresi ovunque si trovino anche se detenuti o posseduti o acquisiti da terzi, se non estranei al reato. Quindi e' preminente la componente dell'oggetto" della confisca, mentre rimane in secondo piano quella del "soggetto" che viene privato del bene (persona fisica o giuridica, non necessariamente sottoposta a procedimento penale), salvo che si tratti di persona estranea al reato. La confisca di valore viene in rilievo solo in via subordinata, quando la confisca diretta non sia possibile. Essa riguarda beni di provenienza lecita, non connessi al reato, che sono sottoposti a vincolo solo per il controvalore dei beni causalmente collegati al reato che, per varie ragioni, non sono escutibili. Quindi e' prevalente la componente "soggettiva". nel senso che la confisca si rivolge al patrimonio dell'indagato, imputato, condannato, mentre l'oggetto rimane in secondo piano, perche' assume rilievo solo come "tantundem ". In questo senso deve essere interpretato e inteso il "principio di sussidiarieta'" (...) tenendo presente che l'impossibilita' del reperimento dei beni puo' essere transitoria e reversibile, purche' sussistente al momento della richiesta e dell'adozione della misura, non essendo necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni (cfr. per tutte Sez. U, n. 10561 del 3010112014, Gubert, Rv. 258648)". Per il ricorrente, allora, occorre intendersi su quali siano i beni della Cooperativa che presentano una derivazione causale dal reato e che dunque vengono appresi ovunque si trovino anche se detenuti o posseduti o acquisiti da terzi, se non estranei al reato. In altre parole: cosa si intende per profitto, tenuto conto di quanto sostenuto in dottrina e in giurisprudenza sul tema precipuo, atteso che l'attenzione del giudice si incentra su tale profilo della vicenda, affermando contrariamente alla tesi difensiva- che gli impianti non sono profitto (diretto) dei reati posti in essere dall'Amministratore della Cooperativa- Il profitto -prosegue il ricorso- e' generalmente l'utile ottenuto in seguito alla commissione del reato, ossia il vantaggio di natura economica, il beneficio di tipo patrimoniale di diretta derivazione causale dall'attivita' del reo. E, per il combinato disposto cui agli articolo 640 quater e articolo 322 ter c.p., sono oggetto di confisca i beni che costituiscono profitto e prodotto del reato: gli stessi beni possono essere sottoposti alla cautela reale. Nel caso in esame, diversamente da quanto si opina nel provvedimento impugnato, la difesa ribadisce che nel patrimonio netto della Cooperativa ci sono i due stabilimenti realizzati con i contributi regionali, e tali beni sono "profitto diretto del reato di truffa". Viene ricordato, a tal punto, che per la giurisprudenza di legittimita' il profitto del reato e' solo quello costituito da un mutamento materiale, attuale e di segno positivo, della situazione patrimoniale del beneficiario, ingenerato dal reato attraverso la creazione, trasformazione o acquisizione di cose suscettibili di valutazione economica. Sul tema, si contrappongono due indirizzi interpretativi: uno restrittivo, che ha affermato la necessita' di una stretta affinita' del bene con l'oggetto del reato, considerando irrilevante ogni altro legame di derivazione meramente indiretto e mediato, ed uno piu' estensivo, che considera profitto del reato anche i beni acquisiti con l'impiego dell'immediato profitto dell'illecito. Applicando siffatte coordinate esegetiche nel caso al nostro esame si perverrebbe per il ricorrente ad una conclusione opposta a quella patrocinata nella gravata ordinanza, con salvaguardia dei diritti costituzionalmente garantiti del ricorrente. Si rammenta in ricorso che le Sezioni Unite, hanno precisato che, ai fini dell'applicabilita' della confisca, nel concetto di profitto del reato vanno compresi non soltanto i beni che l'autore del reato apprende alla sua disponibilita' per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma anche ogni altra utilita' che lo stesso realizza come effetto mediato ed indiretto dell'attivita' criminosa, attraverso la trasformazione o l'investimento dei primi; cosicche', sono confiscabili, ai sensi dell'articolo 322-ter (e anche dell'articolo 240), non solo il denaro o l'utilita' direttamente ricevuta dall'agente in conseguenza dell'illecito commesso, ma anche i beni che, con certezza, risultino essere stati ottenuti dal reo attraverso la trasformazione o l'investimento dei primi (il richiamo e' a SS.UU. n. 10280/2008, dove si specifica, inoltre, che costituiscono profitto il denaro o le altre utilita' ricevute dal concessore in conseguenza della sua attivita' di costrizione o induzione). Cosi', ad esempio, la confisca di un immobile acquistato dal reo con il denaro ottenuto dalla realizzazione del reato non e' per equivalente, ma in forma specifica, posto che, come sopra detto, qualsiasi trasformazione che il denaro illecitamente conseguito subisca per effetto di investimento dello stesso deve essere considerata profitto del reato quando sia collegata alla commissione del reato medesimo ed al profitto immediato - il denaro - concretamente conseguito. In conclusione, il ricorrente ribadisce che e' profitto confiscabile, non solo quello immediato, ossia quello direttamente derivante dall'attivita' criminosa, ma anche quello mediato o indiretto, cioe' risultante dalla trasformazione del primo; e cio' perche' le utili trasformazioni dell'immediato prodotto del reato e gli impieghi redditizi del denaro di provenienza delittuosa non possono impedire che al reo venga sottratto cio' che ha costituito il preciso obiettivo perseguito dal suo disegno criminoso (S.U., n. 10280/2008). Cio' posto, per il ricorrente puo' fondatamente sostenersi che gli argomenti sfruttati dai giudici a quibus per contrapporsi alla tesi privilegiata dalla difesa si spunterebbero di fronte ai rilievi ed ai principi di diritto innanzi richiamati. Il che renderebbe evidente l'errore di diritto cui non e' riuscito a sottrarsi il giudice della cautela nel considerare diretta solo la confisca del denaro e, quindi, diretto il sequestro preventivo del denaro, negando natura di profitto diretto ai due stabilimenti (vinicolo ed oleario), cosi' violando anche il principio di diritto vivente di sussidarieta', giungendo ad aggredire ingiustificatamente i beni del ricorrente (mobili ed immobili) per equivalente. Si aggiunge in ricorso che in tale fase deve essere prioritariamente tentata l'apprensione del profitto del reato a carico della persona - fisica o giuridica-che ne ha beneficiato, e che, solo in caso di incapienza di tale soggetto, puo' essere aggredito, con la confisca per equivalente, il patrimonio dell'autore o degli autori del reato. E in fase cautelare non puo' calcolarsi l'importo del finanziamento illegittimamente conseguito che costituisce il profitto del reato, ne' affermarsi il valore del bene ed i costi sopportati dalla Cooperativa e da detrarre legittimamente, perche' cio' potrebbe avvenire a seguito di una perizia tecnica, non eseguibile in tale fase procedimentale. Per il ricorrente non e' revocabile in dubbio, come ammette il Tribunale di Brindisi, nelle vesti di giudice del rinvio, che l'unico percettore del profitto sia la Cooperativa; che la persona giuridica e' oltremodo capiente con il patrimonio netto che comprende i due stabilimenti; che la Suprema Corte ha fatto riferimento ai beni della Cooperativa -tutti quelli che compongono il patrimonio netto della societa' che e' destinato a garantire i creditori- e non solo al denaro dell'ente giuridico. Orbene, sarebbe evidente che il patrimonio della societa', in cui sono compresi anche gli stabilimenti (quello vinicolo e quello oleario su cui sono stati eseguiti gli interventi con i contributi regionali), non e' stato ancora una volta preso in considerazione dal Tribunale del Riesame di Brindisi, secondo l'erroneo convincimento che il profitto del reato della societa' da sottoporre a cautela fosse solo il denaro, quando il vantaggio conseguito dalla persona giuridica sono gli stabilimenti. Si ribadisce che l'illegittimita' del sequestro per equivalente nei confronti di (OMISSIS) in relazione ai capi A) e C) riguardanti due fattispecie di cui all'articolo 640 bis c.p. sarebbe indiscutibile, attesa la palese e dimostrata capienza del patrimonio della societa'. Ne discenderebbe, dunque, l'errata applicazione del cd principio solidaristico, che implica l'applicazione del sequestro e della confisca per equivalente anche nei confronti dell'ente e non solo degli indagati. Nel caso in esame, secondo la tesi su cui insiste il ricorso, al momento dell'adozione della misura cautelare vi erano i beni della Cooperativa da aggredire, ma sugli stessi non e' stato operato alcun intervento. Chiede pertanto che questa Corte annulli l'ordinanza impugnata, con tutte le conseguenze di legge. 3. Il P.G. presso questa Corte Suprema il 19/1/2003 ha depositato memoria con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso, conclusioni che ha confermato in sede di discussione orale. In data 20/1/2023 e' stata depositata memoria a firma del ricorrente Avv. Elvia Belmonte e del codifensore Avv. Francesca Arico' che, ribadendo i motivi del ricorso (e, in particolare con riferimento al reato di truffa aggravata di cui ai capi A) e C) che sarebbe indubbio che l'unico beneficiario delle operazioni contestate sia (OMISSIS) Societa' Cooperativa Agricola, autore diretto dei delitti, nonche' unico destinatario dei vantaggi economici connessi agli stessi e come Cooperativa disponga di un patrimonio netto contabile pari ad Euro 2.902.219, lo stesso appare sufficiente a garantire idonea copertura rispetto ai danni cagionati dalle asserite condotte delittuose che dovessero ritenersi confermate) hanno insistito per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e pertanto il proposto ricorso va rigettato. 2. Preliminarmente, va ricordato, in punto di diritto che, l'articolo 325 c.p.p. prevede contro le ordinanze in materia di appello e di riesame di misure cautelari reali che il ricorso per cassazione possa essere proposto per sola violazione di legge. La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha piu' volte ribadito, tuttavia, come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione cosi' radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice vedasi Sez. Un. 25932 del 29/5/2008, Ivanov, Rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, Faiella, Rv. 269296). E' stato anche precisato che e' ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perche' sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'"iter" logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (cosi' Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati previsti dagli articoli 416, 323, 476, 483 e 353 c.p. con riguardo all'affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarita' amministrative). Di fronte all'assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell'atto. Va anche aggiunto che, anche se in materia di sequestro preventivo il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio pregnante come per le misure cautelari personali, non e' pero' sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione, ma e' invece necessario valutare le concrete emergenze istruttorie per ricostruire la vicenda anche in semplici termini di "fumus". 3. Nel caso in esame, si e' senz'altro al di fuori di tali ipotesi. Va ricordato che, alla luce del tortuoso iter procedimentale ricordato in premessa, e' pacifico che il thema decidendi del giudice del rinvio si sia ridotto a dover valutare se il giudice del rinvio abbia operato secondo il dictum della Corte di legittimita' del 10 febbraio 2022, in relazione al terzo motivo di doglianza, attinente alla fondamentale questione, che e' quella della possibilita' di chiedere e di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato in via diretta su beni diversi dal denaro a carico della societa' e, dall'altro canto, di risolvere la quaestio juris riguardante il profitto effettivamente realizzato -nella vicenda dalla persona giuridica. Il ricorrente, infatti, insiste sull'illegittimita' del sequestro emesso ed eseguito nei confronti del (OMISSIS), per equivalente, stante la sicura capienza del patrimonio de " (OMISSIS) Societa' Cooperativa" agricola a "coprire" la somma sequestrabile quale profitto del reato, come emergeva anche dal bilancio di tale societa' con riferimento alla data di chiusura esercizio del (OMISSIS). Si tratta della questione (motivo di riesame) di ingiustificata aggressione al patrimonio personale di (OMISSIS) (semplice concorrente nel reato) a fronte della ritenuta capienza del patrimonio della societa' (Cooperativa (OMISSIS)) beneficiaria delle indebite erogazioni dei reati in contestazione. 4. Ebbene, detto dei limiti del sindacato di legittimita' limitato alla sola violazione di legge, non pare sussistere la lamentata violazione ed erronea applicazione delle norme di legge di cui al combinato disposto degli articoli 627 e 324 c.p.p.; articoli 322 ter, 640 bis, 640 quater c.p.. Il (OMISSIS) sostiene che non sarebbe stata compiuta alcuna verifica da parte del giudice procedente, nonostante la difesa avesse segnalato e documentato l'esistenza di un patrimonio netto capiente della societa' (soggetto che ha tratto vantaggi dalla perpetrazione delle truffe aggravate). In particolare, secondo la ricostruzione del ricorrente il giudice della cautela avrebbe illegittimamente negato la natura di profitto diretto ai due stabilimenti societari (vinicolo ed oleario), determinando cosi' un'aggressione ingiustificata ed illegittima dei suoi beni (mobili ed immobili) per equivalente. Tale doglianza difensiva, seppur articolata, appare infondata, laddove, per contro, priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto appare la motivazione del giudice del rinvio che -attenendosi a quanto indicato dal precedente giudice di legittimita' in fase rescindente- ha motivato in ordine al sequestro per equivalente, che ha attinto il denaro rinvenuto sui conti correnti bancari ed i beni immobili di proprieta' e nella disponibilita' del (OMISSIS). Il tribunale pugliese ha seguito un percorso motivazionale del tutto coerente laddove ha dato atto che ogni altro bene immobile o mobile della persona giuridica Cooperativa (OMISSIS) diverso dal denaro non avrebbe potuto costituire profitto diretto dei reati e che l'eventuale apprensione avrebbe comportato un'estensione inammissibile (nei confronti della persona giuridica) del sequestro per equivalente ai profitti dei reati. Corretto appare il rilievo che la misura di cui all'articolo 640 quater c.p. esplica la sua efficacia sanzionatoria solo nei confronti delle persone fisiche dei soggetti autori o coautori del reato e non nei confronti della persona giuridica (salvo il caso di contestazione dell'illecito, ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001) e la constatata impossibilita' di ritenere che gli impianti de (OMISSIS) Societa' Cooperativa Agricola, ammodernati, siano profitto diretto del reato, in quanto tali impianti sono stati ammodernati e migliorati con i contributi pubblici ricevuti dalla Regione e non valutati ai fini della determinazione del profitto (poiche' destinati a coprire dei costi che effettivamente sono stati sostenuti dalla societa'). 5. L'ordinanza impugnata, inoltre, opera un buon governo dei principi piu' volte affermati da questa Corte di legittimita' e, in particolare, di quello secondo cui, in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, e articolo 322 ter c.p. non puo' essere disposto sui beni dell'ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni" (Sez. Un. 10561/2014 Rv. 258646). Nel caso in esame, infatti, e' pacifico che la societa' non fosse un mero paravento dietro al quale l'odierno ricorrente ha agito: pertanto, e' stata data piena applicazione ai predetti principi delle Sezioni Unite della Cassazione e ribaditi anche nella sentenza di annullamento de quo di codesta Corte, in cui viene espressamente rilevato che "in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, e' legittimo il provvedimento cautelare che incide contemporaneamente in via diretta, sui beni della societa' che dal reato ha tratto vantaggio e, per equivalente, sui beni della persona fisica che lo ha commesso, qualora il reperimento dei beni dell'ente non sia possibile al momento della richiesta e dell'adozione della misura" (canone ermeneutico sancito dalle Sezioni Unite, Gubert, con la sentenza n. 15061 del 30.01.2014, Rv. 258648 e, come ricorda il provvedimento impugnato e la stessa sentenza rescindente ribaditi di recente da Sez. 2, n. 42411 del 1710612021, Rv. 282132) Come ricorda il tribunale pugliese a pag. 7 dell'ordinanza impugnata, le Sezioni Unite hanno anche precisato che la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell'autore della condotta, e che rappresenti l'effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non e' ostativa alla sua adozione l'allegazione o la prova dell'origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione." (cfr. Sez. Un., n. 42415 del 27/5/2021 - Rv. 282037 - 01). Corretta e' anche l'affermazione che, versandosi in materia di misura cautelare reale, non e' possibile pretendere la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato, giacche', durante il tempo necessario per l'espletamento ditale ricerca, potrebbero essere occultati gli altri beni suscettibili di confisca per equivalente, cosi' vanificando ogni esigenza di cautela. Infatti, quando il sequestro interviene in una fase iniziale del procedimento, non e', di solito, ancora possibile stabilire se sia possibile o meno la confisca dei beni che costituiscono il prezzo od il profitto di reato, previa loro certa individuazione. E' percio' legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni costituenti profitto illecito anche quando l'impossibilita' del loro reperimento sia anche soltanto transitoria e reversibile, purche' sussistente al momento della richiesta e dell'adozione della misura. (Sez. 2, n. 2823 del 10/12/2008, dep. 2009, Schiattarella, Rv. 242653). 6. Sulla base di tali considerazioni, come correttamente si legge a pag. 11 del provvedimento impugnato, il sequestro preventivo deve riguardare: 1) sequestro diretto del denaro dell'ente; 2) sequestro per equivalente di beni dell'ente solo se sia mero paravento dietro al quale il reo agisca (prova che non sussiste nel caso che ci occupa); 3) sequestro diretto del denaro del rappresentante legale o del concorrente nel reato (per gli importi non rivenuti nella disponibilita' dell'ente e fino al raggiungimento della somma che costituisce il profitto del reato); 4) sequestro per equivalente di beni del rappresentante legale dell'ente o del concorrente nel reato (per un valore corrispondente agli importi non rinvenuti nella disponibilita' dell'ente e del rappresentante legale e fino al raggiungimento della somma che costituisce il profitto del reato). Ebbene, pacifico e' che nel caso in esame non sia contestato alla " (OMISSIS) societa' agricola cooperativa" l'illecito amministrativo ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001 che avrebbe consentito il sequestro e la confisca per equivalente ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 19; responsabilita' amministrativa dell'ente che ha presupposti diversi rispetto alla mera commissione del reato presupposto. I giudici brindisini ricordano che nell'ordine di esecuzione del sequestro preventivo il pubblico ministero ha impartito alla Guardia di Finanza con delega datata 14.8.2021 dettagliate istruzioni sulle modalita' da rispettare per dare esecuzione al sequestro, precisando testualmente che, per come ribadito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, e' da considerare profitto diretto del reato, il denaro rinvenuto nella disponibilita' del soggetto, a prescindere dal momento in cui lo stesso sia entrato afar parte del patrimonio del soggetto (e cio' e' stato specificamente indicato, riguardo alla (OMISSIS) SOCIETA' COOPERATIVA AGRICOLA a r.l. sia con riferimento ai profitti accrescitivi dei due delitti di truffa rubricati ai capi a) e c), sia con riferimento ai profitti intesi come risparmio di spesa dei delitti tributari di dichiarazione fraudolenta di cui ai capi I), m), n) ed o). Seguendo, pertanto, l'ordine di una precisa graduazione e' stato oggetto di ricerca e di apprensione cautelare, con riferimento ai delitti di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche contestati ai capi a) e c), quello che costituisce il profitto diretto dei due reati di cui si e' arricchita la persona giuridica LA COOPERATIVA (OMISSIS) intendendo per tale, come profitto diretto, solo il denaro che e' stato rinvenuto sui conti correnti bancari della societa' fino ad un importo complessivo di Euro 159.008,26. Per la parte residua di profitto dei due reati di truffa (di cui ai capi a) e c)) che non e' stata appresa nelle forme del sequestro di profitto diretto, si e' proceduto, invece, al sequestro preventivo di valori equivalenti a tali ulteriori profitti, che sono stati ricercati nel patrimonio delle persone fisiche che avevano concorso nei reati. Per tale motivo, essendo incapiente di valori, denaro e beni il patrimonio di (OMISSIS) e quello di (OMISSIS), il sequestro per equivalente ha attinto il denaro rinvenuto sui conti correnti bancari ed i beni immobili di proprieta' e nella disponibilita' di (OMISSIS). Diversamente da quanto si opina in ricorso, priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto e' stato ritenere che gli impianti della " (OMISSIS) Societa' Cooperativa agricola" ammodernati o realizzati con i contributi pubblici, non potessero considerarsi profitto diretto del reato, neanche in virtu' del principio che nella nozione di profitto funzionale alla confisca rientrano non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell'illecito, ma anche ogni altra utilita' che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell'attivita' criminosa. Il giudice del gravame cautelare ricorda, infatti, che, con riferimento ai reati di truffa aggravata, il profitto e' stato determinato con riferimento ai fondi erogati e non dovuti, proprio in quanto correlati alla sovrafatturazione, laddove gli impianti sono stati ammodernati e realizzati con i contributi pubblici ricevuti dalla Regione e non valutati ai fini della determinazione del profitto, perche' destinati a coprire costi effettivamente sostenuti dalla societa'. Anche con riferimento ai profitti dei reati di dichiarazione fraudolenta contestati nei capi g) ed h) commessi in relazione agli anni di imposta (OMISSIS) e (OMISSIS) dagli amministratori ( (OMISSIS) in quanto amministratore di diritto e (OMISSIS) in quanto amministratore di fatto) della (OMISSIS) s.r.l., in assenza di qualsiasi bene e di denaro e di valori non rinvenuti nella disponibilita' della predetta societa' nel cui patrimonio si era consolidato il profitto del reato in termine di risparmio di spesa per le minori imposte da versare all'erario, sono stati oggetto di apprensione cautelare beni, denaro e valori ricercati nel patrimonio personale dei soggetti individuati come autori dei reati. Ancora una volta, essendo incapiente il patrimonio personale di (OMISSIS), il sequestro e' stato eseguito su beni e denaro del (OMISSIS). In altre parole, sia per i reati tributari sia per i reati di truffa, il provvedimento impugnato opera una corretta applicazione nel provvedimento impugnato degli insegnamenti delle Sezioni Unite cristallizzati nelle sentenze Gubert, Lucci e Gaeta (Sez. Un. 10561 del 30/1/2014, Rv. 258647; n. 31617 del 26/6/2015, Rv. 264437; n. 42415 del 27/5/2021, Rv. 282037 - 01), ribaditi anche nella precedente sentenza di legittimita' di annullamento con rinvio. Sulla scorta di tali insegnamenti e' stato sequestrato il denaro (ritenuto sempre profitto diretto) rinvenuto nella disponibilita' delle persone giuridiche nel cui patrimonio si era consolidato il profitto (quello accrescitivo derivante dalle truffe e quello in termini di risparmio di spesa derivante dai delitti tributari). E per la parte residua di tali profitti, non rinvenuti nel patrimonio delle persone giuridiche, si e' proceduto al sequestro per equivalente di valori, beni e denaro rinvenuti nel patrimonio personale dei soggetti autori del reato. Coerente appare, pertanto, la conclusione del tribunale brindisino di disattendere la doglianza della difesa della capienza del patrimonio della societa' Cooperativa (OMISSIS), atteso che sono state sottoposte a sequestro le somme di denaro nella disponibilita' della societa' e non potendosi imporre il vincolo sui beni immobili e/o mobili registrati ditale societa', non costituendo profitto diretto dei reati in esame, sono stati sottoposti a vincolo i beni del (OMISSIS). Di conseguenza, il provvedimento impugnato resiste alle censure difensive e non viene scalfito in alcun modo dalle doglianze, reiterate in questa sede, che non dialogano correttamente con l'esauriente corpus motivazionale. 7. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RICCIARELLI M. - Presidente Dott. CAPOZZI A. - Consigliere Dott. DE AMICIS G. - Consigliere Dott. DI NICOLA TRAVAGLINI Paol - Consigliere Dott. DI GERONIMO - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso l'ordinanza emessa il 28/7/2022 dal Tribunale di Lecce; visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere Dr. Paolo Di Geronimo; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Perelli Simone, che ha chiesto l'annullamento con rinvio. RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale del riesame confermava l'ordinanza cautelare con la quale (OMISSIS) era stato sottoposto agli arresti domiciliari, in relazione al reato di cui all'articolo 319 c.p.. All'indagato, all'epoca dei fatti Commissario straordinario dei Consorzi di bonifica, si contesta di aver indebitamente rinnovato l'incarico di direttore amministrativo in favore di (OMISSIS), agendo in concorso con l'assessore regionale (OMISSIS). Quest'ultimo, quale prezzo della corruzione, avrebbe ricevuto plurime forniture di pesce e spumante, nonche' ospitalita' presso il ristorante gestito da (OMISSIS), padre di (OMISSIS), consegnando - almeno in un'occasione - anche al (OMISSIS) parte dei beni ricevuti dal (OMISSIS). Il tutto si inseriva nell'ambito di una piu' ampia gestione clientelare realizzata dal (OMISSIS), all'epoca dei fatti assessore regionale al welfare per la Regione Puglia, il quale si adoperava per la nomina di (OMISSIS) quale Commissario straordinario dei Consorzi di bonifica, ricevendo in cambio di tale atto il pieno appoggio del (OMISSIS) per la successiva conferma della (OMISSIS) nel ruolo di direttore amministrativo. Il Tribunale del riesame, nel confermare l'ordinanza cautelare, riqualificava l'imputazione provvisoria formulata al capo 2) in termini di corruzione propria, anziche' corruzione per l'esercizio della funzione, sul presupposto della sussistenza della commissione di un atto contrario ai doveri d'ufficio. La misura cautelare, infine, veniva confermata anche in relazione all'ulteriore contestazione mossa nei confronti del (OMISSIS), concernente il reato di falso ideologico (capo 3) commesso istigando la commissione di concorso, nominata per l'assunzione di due geometri presso uno dei consorzi rientranti nella competenza del (OMISSIS), ad attribuire un punteggio avulso dal reale rendimento di esame, nonche' il riconoscimento di un requisito di ammissione, al fine di consentire l'utile collocamento in graduatoria del soggetto per il quale (OMISSIS) aveva precedentemente interceduto presso il (OMISSIS). 2. Nell'interesse del ricorrente sono stati formulati tre motivi di impugnazione. 2.1. Con il primo articolato motivo, il ricorrente contesta l'insussistenza dei gravi indizi di reita' in ordine al reato di corruzione, sia nell'originaria qualificazione (318 c.p.) che in quella ritenuta dal Tribunale del riesame (319 c.p.). Si contesta, in primo luogo, che la nomina di (OMISSIS) quale Commissario straordinario dei Consorzi di bonifica non venne in alcun modo influenzata da (OMISSIS) e, quindi, (OMISSIS) non aveva alcun "debito di riconoscenza" nei suoi confronti. Dalle intercettazioni telefoniche, infatti, emergerebbe chiaramente che, allorquando (OMISSIS) si rivolgeva a (OMISSIS) per avere informazioni, la sua nomina era gia' in corso di definizione e, quindi, non venne in alcun modo influenzata da (OMISSIS). Nella proroga di (OMISSIS) quale dirigente amministrativo presso il consorzio di bonifica, (OMISSIS) non avrebbe compiuto alcun atto contrario ai doveri d'ufficio, posto che la (OMISSIS) aveva tutti i requisiti per permanere nel suddetto incarico. Ne' l'illegittimita' dell'atto potrebbe essere ravvisata nella proroga disposta per il periodo di 5 anni, a fronte di una iniziale nomina per una durata inferiore, posto che il contratto collettivo applicabile al caso di specie prevedeva espressamente la possibilita' di assunzione per chiamata diretta per la durata di 5 anni, ulteriormente rinnovabili. Si assume, inoltre, che (OMISSIS) si sarebbe limitato al compimento di un atto doveroso nell'interesse dell'amministrazione, non essendo partecipe dei rapporti tra (OMISSIS) e (OMISSIS), connotati da ripetute dazioni del secondo in favore del primo. Di cio' ne sarebbe riprova il fatto che nelle captazioni delle conversazioni tra (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo redarguiva il secondo dicendogli che lui con (OMISSIS) non doveva avere alcun rapporto, in tal modo il (OMISSIS) si proponeva quale unico referente delle richieste del (OMISSIS) e, quindi, anche delle sue remunerazioni indebite. Cio' sarebbe dimostrato dal fatto che mentre (OMISSIS) ha sicuramente ricevuto plurime forniture di frutti di mare e champagne dal (OMISSIS), quest'ultimo non elargi' alcunche' al (OMISSIS) al quale, solo in un'occasione, (OMISSIS) avrebbe dato una parte del pesce ricevuto dal (OMISSIS). 2.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei' gravi indizi del reato di falso ideologico contestato al capo 3). Il ricorrente contesta in primo luogo la configurabilita' del falso ideologico a fronte non gia' della constatazione di un fatto, bensi' dell'espressione di una valutazione resa in una prova concorsuale. Si sostiene, inoltre, che non vi sarebbero i gravi indizi per dimostrare che (OMISSIS) fosse compartecipe nella condotta, materialmente posta in essere dai componenti della commissione, consistita nel riconoscere al candidato un titolo costituente requisito per la partecipazione al concorso che, invero, non era stato neppure indicato nella domanda di partecipazione al concorso. 2.3. Con il terzo motivo, si contesta il vizio di motivazione e la violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, evidenziandosi, altresi', come il Tribunale del riesame non aveva neppure tenuto conto di quanto rappresentato con la memoria difensiva prodotta nell'interesse del (OMISSIS). 2.4. I difensori dell'indagato depositavano memoria difensiva con la quale insistevano per l'accoglimento del ricorso, allegando ulteriore documentazione. 3. Il procedimento e' stato trattato in forma cartolare, ai sensi del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, e Decreto Legislativo n. 150 del 2022, articolo 94, modificato dall'articolo 5-duodecies della L. n. 199 del 2022. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' fondato nei limiti di seguito indicati. 2. Occorre preliminarmente esaminare la diversa qualificazione data al fatto dal Tribunale del riesame, secondo cui sarebbe configurabile il reato di corruzione propria, anziche' quello di corruzione per l'esercizio della funzione. Tale conclusione si fonda sul presupposto secondo cui il rinnovo del contratto disposto in favore di (OMISSIS) sarebbe formalmente legittimo, ma diverrebbe contrario ai doveri d'ufficio in quanto frutto dell'accordo corruttivo. Si assume che l'esito predeterminato dell'atto implicherebbe di per se' la violazione del dovere di imparzialita' e, quindi, renderebbe l'atto contrario ai doveri d'ufficio. Si tratta di una soluzione non condivisibile, posto che nel caso di specie si verte in tema di attivita' discrezionale, non sussistendo un obbligo di rinnovare o non rinnovare l'incarico gia' ricoperto dalla (OMISSIS), ne' risulta se vi sia stata una specifica violazione di legge commessa dal (OMISSIS). Quel che emerge, invero, e' un chiaro interesse del (OMISSIS) e del (OMISSIS) a confermare la (OMISSIS), anche aumentando la durata del suo incarico, il tutto pero', si sarebbe svolto nei limiti della legalita', non risultando la violazione dei doveri d'ufficio. Ne' a diversa conclusione puo' condurre l'osservazione secondo cui il semplice interesse di favorire il privato, alterando l'imparzialita' dell'agire della pubblica amministrazione, comporterebbe la sussistenza del piu' grave reato di corruzione propria. Invero, la giurisprudenza di questa Corte- all'esito di un percorso ermeneutico avviato a seguito delle modifiche apportate all'articolo 318 c.p. - ha affermato che la mera accettazione da parte del pubblico agente di un'indebita utilita' a fronte del compimento di un atto discrezionale non integra necessariamente il reato di corruzione propria, dovendosi verificare, in concreto, se l'esercizio dell'attivita' sia stata condizionata dalla "presa in carico" dell'interesse del privato corruttore, comportando una violazione delle norme attinenti a modi, contenuti o tempi dei provvedimenti da assumere e delle decisioni da adottare, ovvero se l'interesse perseguito sia ugualmente sussumibile nell'interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere, nel qual caso la condotta integra il meno grave reato di corruzione per l'esercizio della funzione (Sez.6, n. 18125 del 22/10/2019, dep.2020, Bolla, Rv. 279555; Sez.6, n. 1594 10/11/2020, dep. 2021, Siclari Rv. 280342). Nel caso di specie, non e' stato evidenziato se ed in che misura la proroga nell'incarico della (OMISSIS) fosse obiettivamente confliggente con l'interesse pubblicistico, elemento che doveva essere puntualmente valutato, non potendosi ritenere che il mero accordo corruttivo renda di per se' l'atto contrario ai doveri d'ufficio. 2.1. Passando all'esame delle altre doglianze sollevate dal ricorrente, si rileva in primo luogo come non sia dubitabile che il (OMISSIS) avesse uno stretto legame con il (OMISSIS) e fosse pienamente compartecipe della sua gestione clientelare della cosa pubblica. A tal fine, invero, non e' dirimente il solo fatto dell'interessamentovdel (OMISSIS) alla nomina del (OMISSIS) quale Commissario per i Consorzi di bonifica, assumendo ben maggiore pregnanza l'atteggiamento mostrato dal (OMISSIS) sia nella vicenda relativa alla (OMISSIS), che in quella relativa al concorso nel quale era stata pilotata l'assunzione di (OMISSIS). Il dato secondo cui (OMISSIS) era totalmente disponibile a recepire le sollecitazioni del (OMISSIS), pertanto, non puo' essere messo ragionevolmente in discussione. 2.3. Tale assunto di partenza e' essenziale per correttamente inquadrare la questione relativa alla sussistenza o meno dei gravi indizi di reita' con riferimento all'adesione del (OMISSIS) al patto corruttivo, che avrebbe condotto al rinnovo del contratto della (OMISSIS). Il ricorrente, infatti, evidenzia come la dazione di utilita' - essenzialmente consistite in pranzi al ristorante di (OMISSIS) e forniture di prodotti di pregio sarebbero avvenute tutte in favore del (OMISSIS) e solo in un'occasione questi avrebbe diviso con il (OMISSIS) parte dei prodotti consegnatigli da (OMISSIS). Sottolinea la difesa come dalle intercettazioni telefoniche contenute nell'ordinanza genetica e, in parte, richiamate nell'ordinanza del riesame, risulta che (OMISSIS) avesse esplicitato a (OMISSIS) di non rivolgersi al (OMISSIS). In buona sostanza, (OMISSIS) risulterebbe essere il vero dominus dell'intera operazione, ragion per cui questi riceveva direttamente le utilita' dal (OMISSIS), mentre (OMISSIS) ne avrebbe beneficiato solo indirettamente. Il Tribunale del riesame ha superato tale obiezione ritenendo che il (OMISSIS), proprio perche' totalmente asservito al Rugg(eri, agiva essenzialmente per far conseguire a questi le utilita' provento della corruzione, si'cche' non rileva l'omessa percezione diretta dei beni, essendo sufficiente la consapevolezza dell'accordo corruttivo e la volonta' di contribuire alla sua realizzazione. Si' tratta di una ricostruzione che non presenta vizi motivazionali censurabili in sede di legittimita'. In particolare, non risulta illogica o contraddittoria una ricostruzione del fatto nell'ambito della quale (OMISSIS), forte della sua caratura politica, sapeva di poter fare pieno affidamento sul (OMISSIS), il quale a sua volta accondiscendeva alle richieste, nella piena consapevolezza delle dazioni' ricevute dal (OMISSIS) e delle quali, in almeno un'occasione, era stato reso partecipe. L'ipotesi concorsuale, del resto, consente di frazionare la condotta penalmente rilevante, con la conseguenza che ben puo' ipotizzarsi una forma di corruzione in cui le utilita' "dirette" siano percepite solo da uno dei due correi, a condizione che il soggetto che non riceva personalmente le utilita' sia consapevole della dazione o promessa e del rapporto sinallagmatico con l'esercizio della funzione, inserendosi in tale accordo con una condotta esecutiva del complessivo accordo. E' bene precisare, infine, che la fattispecie in esame non e' sovrapponibile a quelle in cui questa Corte ha escluso la configurabilita' del concorso di persone nel delitto di corruzione nel caso della condotta del terzo che, dopo la conclusione di un accordo corruttivo rispetto al quale e' rimasto estraneo e senza che sia intervenuto un nuovo patto con effetti novativi, si adoperi per la realizzazione, in fase esecutiva, di tale accordo, non essendo configurabile una compartecipazione postuma al delitto medesimo, gia' consumatosi nel momento in cui il pubblico ufficiale ha accettato l'indebita utilita' promessagli od offertagli dal privato corruttore (da ultimo, Sez.6, n. 46404 del 29/10/2019, Genco, Rv. 277308; Sez.6, n. 18125 del 22/10/2019, dep.2020, Bolla, Rv. 279555-10). Nelle suddette ipotesi, infatti, il concorso nel reato di corruzione del terzo e' escluso in virtu' della sua estraneita' all'accordo. Ben diversa e' la fattispecie oggetto del presente ricorso, nella quale (OMISSIS) era pienamente consapevole dell'accordo corruttivo, aveva beneficiato - sia pur limitatamente - dell'utilita' ricevuta dal (OMISSIS) e, soprattutto, si era dimostrato pienamente d'accordo con quest'ultimo per portare a compimento l'atto in vista della cui realizzazione le dazioni erano state elargite. In buona sostanza, quindi, puo' ritenersi che la fattispecie concorsuale vede da un lato il Ruggerch, che riceve personalmente l'utilita' e tiene i rapporti con il privato corruttore, dall'altro il (OMISSIS) attua l'accordo corruttivo, essendo pienamente consapevole della sua esistenza e, quindi, fornisce un contributo materiale necessario alla realizzazione dell'accordo. 3. Il secondo motivo di ricorso concerne la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di falso ideologico, rispetto al quale il (OMISSIS) avrebbe svolto la funzione di istigatore, inducendo i commissari di esame a dare una votazione favorevole a (OMISSIS), nonostante la deludente prova di esame, nonche' a riconoscergli un titolo costituente requisito di partecipazione al concorso di cui non era in possesso. La difesa contesta la ricostruzione in punto di gravita' indiziaria, nonche' di configurabilita' stessa del reato di falso ideologico, evidenziando la natura valutativa del contenuto dell'atto. Il motivo e' manifestamente infondato, ove solo si consideri che - a prescindere dall'aspetto relativo alla valutazione - l'atto sarebbe ugualmente falso nella misura in cui, nel verbale del 3 marzo 2020, si attestava il possesso di requisiti di ammissione che il (OMISSIS) non aveva neppure indicato nella domanda di partecipazione al concorso. La difesa eccepisce che difetterebbero elementi per affermare il concorso del (OMISSIS) nella condotta tenuta dai componenti della commissione. Sul punto, invero, si ritiene che le intercettazioni, compiutamente richiamate nell'ordinanza genetica, dimostrino inequivocabilmente come la procedura concorsuale fosse stata artatamente indirizzata in favore del (OMISSIS), per effetto dell'intervento del (OMISSIS) e del (OMISSIS), non assumendo altrimenti logica spiegazione le conversazioni nelle quali si' discute del modesto risultato del (OMISSIS) nella prova concorsuale e della conseguente difficolta' di attribuir n voto che lo facesse risultare vincitore. 4. Il terzo motivo di ricorso, concernente la valutazione della perdurante sussistenza delle esigenze cautelari e l'adeguatezza della misura degli arresti domiciliari, e' fondato. Occorre preliminarmente rilevare che il Tribunale non si e' pronunciato sulla questione relativa al pericolo di inquinamento probatorio, ma tale carenza 14/4 motivazione e' evidentemente indotta dal fatto che e' stato ritenuto assorbente il rischio di reiterazione del reato. Rispetto a quest'ultimo aspetto, il ricorrente rappresenta di essersi dimesso non solo dalla carica di Commissario per i consorzi di bonifica, ma anche da quella di consigliere comunale, in tal modo elidendo in radice la possibilita' di reiterare condotte analoghe a quelle per le quali si procede. Il Tribunale ha ritenuto non determinanti le dimissioni sopravvenute all'adozione della misura cautelare, considerandole strumentali alle esigenze difensive e, comunque, insufficienti a far venir meno la dimostrata capacita' di incidere nell'attivita' degli enti locali, frutto di consolidati e permanenti rapporti personali. A fronte dell'allontanamento del (OMISSIS) da qualsivoglia attivita' in seno alla pubblica amministrazione, obiettivamente sopravvenuto rispetto alla valutazione compiuta al momento dell'applicazione della misura, il Tribunale ha ritenuto di contrapporre il principio, anche recentemente ribadito da questa corte, secondo cui il giudizio di prognosi sfavorevole sulla pericolosita' sociale dell'incolpato non e' di per se' impedito dalla circostanza che l'indagato abbia dismesso la carica o esaurito l'ufficio nell'esercizio del quale aveva realizzato la condotta addebitata. Tuttavia, la validita' di tale principio deve essere rapportata al caso concreto, la' dove il rischio di ulteriori condotte illecite del tipo di quella contestata deve essere reso probabile da una permanente posizione soggettiva dell'agente che gli consenta di continuare a mantenere, pur nell'ambito di funzioni o incarichi pubblici diversi, condotte antigiuridiche aventi lo stesso rilievo ed offensive della stessa categoria di beni e valori di appartenenza del reato commesso (Sez.6, n. 19052 del 10/1/2013, De Pietro, Rv. 256223; Sez.6, n. 1238 del 3/12/2019, dep.2020, Carletti, Rv. 278338). Il Tribunale e' incorso in una motivazione contraddittoria nella parte in cui era chiamato a fornire le specifiche ragioni dalle quali desumere l'insufficienza della dismissione delle cariche pubbliche, fondata da un lato sul modus operandi dimostrato in relazione ai fatti per l'quali si' procede, dall'altro dalla circostanza che il "momentaneo allontanamento" da incarichi istituzionali sarebbe strumentale alle esigenze difensive. In tal modo si introduce un elemento - la temporaneita' dell'allontanamento che non trova riscontro in alcun dato fattuale ed ipotizza che l'indagato, una volta non piu' ristretto agli arresti domiciliari, potrebbe tornare a rivestire ruoli funzionali alla commissione di reati contro la pubblica amministrazione. Invero, in tal modo il pericolo di reiterazione, lungi dal fondarsi su un giudizio di attualita' e concretezza, si sposta su un piano ipotetico e, soprattutto, non prende in considerazione la possibilita' di garantire le esigenze cautelari con l'adozione di misure meno afflittive ma, al contempo, maggiormente confacenti alla fattispecie in esame. 4.1. Nel rivalutare l'attualita' delle esigenze cautelari e l'adeguatezza della misura cautelare, il Tribunale dovra' tener conto anche della diversa qualificazione data al fatto, inquadrato nella meno grave fattispecie della corruzione per l'esercizio della funzione. 5. Alla luce di tali considerazioni, l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio, per nuovo giudizio in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, secondo i principi sopra indicati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Lecce, competente ai sensi dell'articolo 309 c.p.p., comma 7.

  • CORTE DI APPELLO DI LECCE prima sezione civile REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello riunita in camera di consiglio nella seguente composizione dr. Maurizio Petrelli presidente dr. Virginia Zuppetta consigliere dr. Carolina Elia consigliere est. ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 799 del ruolo generale delle cause dell'anno 2018. tra COMUNE DI CAVALLINO (c.f. 01155110750), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. (...), come da mandato in atti APPELLANTE AGENZIA TERRITORIALE DELLA REGIONE PUGLIA PER IL SERVIZIO DI GESTIONE RIFIUTI (AGER), (c.f. 93473040728) in persona del Commissario ad acta e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...), come da mandato in atti APPELLANTE e (...) s.c.a.r.l., con sede in Campi Salentina (c.f. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...), come da mandato in atti APPELLATA COMUNE DI LIZZANELLO (c.f. 800010200758) in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. (...), come da mandato in atti APPELLATO COMUNI DI MELENDUGNO, ARNESANO, CARMIANO, CAPRARICA DI LECCE, CASTRI' DI LECCE, LEQUILE, LEVERANO, MARTIGNANO, MONTERONI, PORTO CESAREO, SALICE SALENTINO, SAN CESARIO DI LECCE, SAN DONATO DI LECCE, SAN PIETRO IN LAMA, SQUINZANO, in persona dei rispettivi sindaci pro tempore tutti rappresentati e difesi dall'avv. (...) come da mandato in atti APPELLATI COMUNI DI CALIMERA, COPERTINO, NOVOLI, TREPUZZI, VEGLIE, APPELLATI CONTUMACI All'udienza del 26.1.2022 i procuratori delle parti costituite hanno discusso oralmente la causa ed hanno concluso come da verbale cui si fa espresso rinvio. Fatto e svolgimento del processo Par. 1 La vicenda che ha dato origine alla lite è stata così narrata nel lodo impugnato: "La società (...) società consortile a r.l., con atto notificato il 26 maggio 2014 all'ATO provincia di Lecce, nonché per opportuna conoscenza anche ai fini dell'eventuale intervento, alla Regione Puglia, alla Provincia di Lecce, al Commissario per l'emergenza ambientale in Puglia ed a tutti i comuni conferitori, ha proposto domanda di arbitrato, con contestuale nomina dell'arbitro, nella persona dell'avv. (...), in forza di clausola compromissoria contenuta nella convenzione 17 maggio 1999 - rep. n. 472/99 - intercorsa con il comune di Cavallino, chiedendo che sia accertato l'esistenza del suo diritto alla revisione annuale della tariffa stabilita nella convenzione sulla base dei criteri di calcolo di cui al punto 5 dell'allegato 22 'gestione finanziaria dell'intervento ed aspetti tariffari; relazione economica' del progetto tecnico esecutivo. La ricorrente ha dedotto: che il 17 maggio 1999 era stata stipulata tra il comune di Cavallino e l'A.T.I. aggiudicataria, rappresentata dalla (...) s.r.l. la convenzione (rep. n. 472) per l'affidamento in concessione della progettazione esecutiva, costruzione e gestione della piattaforma per il trattamento dei rifiuti a servizio del bacino Le/1; che essa ricorrente era subentrata, con presa d'atto del 28 novembre 1999 da parte del comune di Cavallino, all'A.T.I. aggiudicataria; che la durata della concessione era stata fissata in dieci anni con decorrenza dall'inizio della gestione degli impianti, avvenuta il 27 novembre 2000; che la tariffa offerta in gara e recepita nella convenzione, era fissata in lire 108.000 (centottomila) pari ad euro 55,78 al netto di imposte, con la precisazione che tale importo sarebbe stato soggetto a revisione in base alle modalità di revisione delle tariffe di smaltimento previste dal concessionario nel quadro economico; che era stato previsto all'art. 3 della convenzione che analoghe convenzioni sarebbero state stipulate con gli altri comuni del bacino di utenza Le/1; che con delibera n. 53 del 20/12/2005 dell'ATO era stata aggiornata ad euro 62,46per tonnellata di rifiuti la tariffa inizialmente stabilita in euro 55,78; che periodicamente aveva emesso regolari fatture con richiesta di adeguamento e rivalutazione delle tariffe. La società (...) s.c.a.r.l. ha, quindi, proposto i quesiti finali: 'dica il collegio arbitrale se sussiste il diritto ... alla revisione annuale'; '...in quale misura deve essere effettuata la revisione della tariffa a far data dall'inizio della convenzione (27.11.2000) sino alla data dell'emanando lodo'; '...se e in quale misura spettino gli interessi legali, compensativi e la rivalutazione...'; '...stabilisca il collegio sulle spese di arbitrato e di patrocinio determinando a quale delle parti ed in quale misura devono far carico'. Nel procedimento si è costituito ATO Gestione Rifiuti della Provincia di Lecce, dichiarando di declinare la competenza arbitrale, resistendo comunque, alla domanda e proponendo domanda riconvenzionale. Ha dedotto, innanzitutto, l'ATO l'inammissibilità della domanda di arbitrato, stante la sua assoluta estraneità alla convenzione contenente la clausola compromissoria, convenzione sottoscritta dalla ricorrente e dal comune di Cavallino. Ha rilevato inoltre il resistente che, pur ipotizzando che il rapporto oggetto della controversia potesse riguardarlo, la domanda di revisione sarebbe inammissibile per il periodo successivo a quello della durata decennale della convenzione, stante il divieto di proroga tacita dei contratti stipulati dall'amministrazione pubblica. L'ATO ha poi eccepito la nullità della clausola compromissoria in ragione della non compromettibilità per arbitri delle controversie inerenti interessi legittimi e della natura irrituale dell'arbitrato voluta dalle parti. In via ulteriormente subordinata l'ATO ha poi: a) rilevato la non compromettibilità in arbitri della controversia per superamento dei limiti oggettivi della clausola compromissoria; b) contestato la mancata impugnazione dei provvedimenti amministrativi di determinazione della tariffa, delle decisioni dell'autorità di gestione, nonché dei provvedimenti delle amministrazioni sulla congruità della tariffa; c) dedotto la tardività della domanda perché notificata oltre i termini previsti dalla legge, nonché il decorso dei termini di prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 4 c.c. delle pretese azionate dalla ricorrente; d) eccepito la nullità dell'atto di nomina dell'arbitro di parte attrice, perché avendo natura negoziale avrebbe dovuto essere sottoscritto dalla parte personalmente o dal difensore munito del potere di rappresentanza negoziale. Per quanto riguarda il merito, il resistente ha osservato che: a) la clausola di revisione prezzi è prevista per i contratti ad esecuzione continuata e periodica, non anche per le concessioni come quella in esame, che riguarda l'affidamento in concessione di costruzione e gestione di un impianto di selezione e biostabilizzazione, in relazione al quale è la costruzione l'elemento prevalente; b) la richiesta di revisione opererebbe soltanto per il tempo di durata del contratto e non anche per le successive proroghe o i taciti rinnovi, in quanto questi sarebbero nulli. L'ATO ha, comunque, rilevato che la domanda dovrebbe essere rigettata perché mancherebbe la prova dell'an e del quantum, e che, in ogni caso, la revisione non dovrebbe operare per il primo anno. Il resistente ha fondato la domanda riconvenzionale o l'eccezione di compensazione riconvenzionale su inadempienze della società attrice sotto i seguenti profili: a) inadeguatezza del sistema di riduzione dei volumi dei rifiuti a mezzo biotunnel, ai fini dell'aggiudicazione della concessione con il comune di Cavallino, con capacità giornaliera pari a 67 ton/g per 312 giorni lavorativi, soluzione questa prevista con realizzazione di tre biotunnel ma non approvata dal Commissario Delegato, che, stante il carattere sperimentale del processo, aveva ridotto i volumi trattabili a 5 ton/g, il che, oltre a rendere ingiustificate le voci di investimento (circa tre milioni di lire), e sgravato il concessionario dei correlativi costi di gestione per consumi e personale, aveva comportato che, per i quantitativi non biostabilizzabili (per ridotto funzionamento del biotunnel) o non sbiostabilizzati (per mancato funzionamento dei biotunnel), la frazione organica era stata conferita tal quale in discarica, e dunque, con volume superiore a quelli previsti, che avevano determinato la necessità del relativo ìsopralzo'- b) realizzazione di una discarica di servizio/soccorso, ad intere spese del concessionario, necessaria per fronteggiare la situazione derivante dall'esaurimento dei volumi di discarica per la situazione delineata sopra al punto precedente, stante l'inadempimento della società attrice all'obbligo di assicurare il servizio di smaltimento definitivo per tutta la durata decennale della convenzione; c) plurimi scostamenti delle prestazioni rese dal concessionario rispetto a quele contrattualizzate in quanto: per il biogas era stata realizzata una soltanto delle due stazioni di regolazione previste in progetto; per il percolato la vasca di raccolta era stata realizzata fuori terra e a cielo aperto, anziché seminterrata e coperta; per i monitoraggi la piattaforma non era stata dotata delle apparecchiature elettroniche di rilevamento in continuo dei pozzi, la frequenza dei controlli non aveva avuto la cadenza mensile prevista, nonché l'area della piattaforma non era stata munita di idonea centralina elettrica meteorologica e le analisi meteorologiche dei rifiuti non erano state effettuate; per i rifiuti urbani pericolosi non era stato realizzato il centro di stoccaggio previsto in progetto, né espletata la relativa attività gestionale; per i beni durevoli non erano state effettuate le attività di stoccaggio e le lavorazioni previste in progetto; per il biotunnel il ridotto o mancato funzionamento - Sulla base di tali rilievi, il resistente ha osservato che la società attrice aveva operato con riduzione del costo degli investimenti, delle spese per il personale, amministrative e generali di gestione. Ciò premesso, l'ATO ha quantificato il proprio credito in euro 16.000.000,00 (sedici milioni), oltre interessi e rivalutazione. Costituitosi il collegio arbitrale in data 7 ottobre 2015 dopo la nomina del terzo arbitro da parte del presidente del tribunale, il procedimento si è articolato attraverso le difese delle parti sulle questioni pregiudiziali e di merito- A seguito di nota del procuratore dell'ATO, con cui è stato comunicato che l'ente era stato soppresso con disposizione di legge regionale 4 agosto 2016 n. 20 e che per il servizio di gestione dei rifiuti era stata istituita quale organo unico di governo una agenzia denominata 'Agenzia territoriale della regione Puglia', il collegio arbitrale, ritenuta la necessità di garantire il rispetto del contraddittorio per non essersi costituito il soggetto legittimato a succedere ex lege all'ente soppresso, ha sospeso il giudizio per la durata di giorni 70 (settanta) per consentire la costituzione del soggetto legittimato- Il procuratore della società ricorrente ha provveduto a notificare all'Agenzia territoriale della Regione Puglia per il servizio di gestione dei rifiuti gli atti del procedimento informandola del giudizio arbitrale, ai fini della costituzione in giudizio. Disposte due consulenze tecniche sul merito, rispettivamente, della domanda principale e di quella riconvenzionale, i comuni, cui erano stati notificati sia inizialmente la domanda arbitrale sia gli atti del procedimento dopo la soppressione dell'ATO, hanno spiegato intervento con atti depositati il 9 magio 2017 (il comune di Melendugno + altri 20 comuni con un unico atto ed il comune di Cavallino con separato atto a mezzo di diverso procuratore alle liti) L'agenzia territoriale della regione Puglia per il servizio di gestione dei rifiuti è rimasta assente dal giudizio. Par. 1.1 Il collegio arbitrale, con lodo del 14.11.2017, ha accertato il diritto di (...) s.c.a.r.l. alla revisione dei prezzi ed ha accolto anche la riconvenzionale proposta dal convenuto ATO (ora AGER); sulla scorta dei dati contabili offerti dai consulenti tecnici, ha condannato AGER al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 33.188.667,00 (per differenza tra la somma di Euro 169.349.990,00 complessivamente spettante ad (...) per le prestazioni eseguite, e la somma di Euro 134.377.673,00 già riscossa), detratto il credito di ATO, pari ad Euro 1.783.650,00 accertato in via riconvenzionale e compensato. Par. 1.2 Il collegio arbitrale, a sostegno della propria decisione ha argomentato come segue: - ha rigettato l'eccezione di difetto di potestas iudicandi sollevata dalla difesa del comune di Melendugno (ed altri) - secondo cui la soppressione dell'ATO Provincia di Lecce avrebbe determinato il venir meno dei poteri dell'arbitro nominato dall'ATO di decidere la controversia - ritenendo tale eccezione in contrasto con il principio (dettato dall'art. 816 sexies c.p.c.) della perdurante legittimazione del collegio arbitrale, anche dopo l'evento estintivo che ha colpito una delle parti in giudizio; - sul presupposto che ATO fosse subentrata ex lege in tutti i contratti di affidamento della gestione del servizio rifiuti stipulati dai comuni (ricadenti nell'ambito territoriale di appartenenza) - e dunque anche nella convenzione n. 472/99 - il collegio ha rigettato l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall'ATO (e ribadita ad adiuvandum dai comuni intervenuti), per non essere stata parte della convenzione contenente la clausola arbitrale; - ha qualificato la pretesa di (...) s.c.a.r.l. come diritto soggettivo, ed ha di conseguenza rigettato l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall'ATO convenuto; - ha accertato la natura rituale dell'arbitrato promosso da (...) s.c.a.r.l., e dunque la sua ammissibilità ex art. 12 del codice del processo amministrativo, evidenziando che con delibera Comunale n. 431 del 19.11.2009, la clausola compromissoria di cui all'art. 21 della convenzione n. 472/99 era stata modificata in tal senso; - ritenuto che la questione controversa - avente ad oggetto oneri assunti pattiziamente - non potesse sottrarsi alla operatività della clausola compromissoria, il collegio ha poi rigettato l'eccezione di inammissibilità dell'arbitrato, formulata dall'ATO convenuto, per denunciare il superamento dei limiti oggettivi della clausola stessa; - ha ritenuto irrilevante la eccezione formulata dal convenuto, relativa alla mancata impugnazione dei decreti commissariali di determinazione delle tariffe, chiarendo che oggetto di causa era solo la revisione delle tariffe, già determinate; - ha rigettato l'eccezione di prescrizione delle pretese azionate da (...) s.c.a.r.l., atteso che le fatture emesse e inviate all'ATO tempo per tempo, anche per revisione delle tariffe, non erano state contestate da parte resistente; - ha rigettato l'eccezione di tardività della domanda di revisione delle tariffe; - ha rigettato l'eccezione relativa alla mancata sottoscrizione da parte della società attrice dell'atto di nomina dell'arbitro, evidenziando la sopravvenuta ratifica; - ha ritenuto ammissibile la domanda di revisione anche per il periodo successivo al novembre 2010 - data di scadenza della convenzione - atteso che il servizio era stato garantito da (...) s.c.a.r.l. in regime di prorogatio ben oltre il suddetto termine di scadenza; - quanto agli interventi adesivi dipendenti spiegati dai comuni, ha osservato come gli stessi non avessero in alcun modo ampliato il thema decidendum e li ha dichiarati ammissibili nella parte in cui hanno sostenuto le ragioni dell'ATO, mentre non ha ammesso le domande riconvenzionali volte all'accertamento di loro autonomi diritti; - nel merito, il collegio ha affermato che il diritto della ricorrente alla revisione tariffaria " trova fondamento nella clausola n. 3 della convenzione n. 472/1999, ove trovasi testualmente affermato che l'importo del corrispettivo 'sarà revisionato annualmente in base alle modalità di revisione delle tariffe di smaltimento previste dal concessionario nel quadro economico"; ha anche evidenziato che nel progetto tecnico esecutivo, a pag. 22 punto 5 rubricato "modalità di revisione delle tariffe' sono riportate le regole - di un sistema automatico di adeguamento nel tempo della tariffa - espresse da apposite formule matematiche, cui si è attenuto il CTU Olivati per quantificare le somme spettanti ad (...) s.c.a.r.l., a titolo di revisione, con decorrenza dal 17.5.2000, ovvero dall'anno successivo alla stipula della convenzione, e sino ad agosto 2017 (data di deposito della CTU). A parziale rettifica dei conteggi, operati dal CTU per calcolare le somme spettanti alla società ricorrente a titolo di revisione, nel periodo successivo all'1.9.2005, ha utilizzato i calcoli del CTP di (...) s.c.a.r.l., perché maggiormente rispettosi dei criteri di adeguamento, secondo gli indici ISTAT, ed è giunto a determinare in Euro 169.349.990,00 l'importo complessivo, moltiplicando periodo per periodo l'importo della tariffa rivalutata per il quantitativo di rifiuti trattati (incrociandoli con quelli del CTU relativi quantitativo di rifiuti trattati; detratte da tale importo le somme già percepite (pari ad Euro 134.377.673,00), il collegio ha quantificato in Euro 34.972.317,00 credito residuo della ricorrente; - ha poi accolto la domanda riconvenzionale, ridimensionandone la portata e riducendo ad Euro 1.783.650,00, sulla scorta degli accertamenti tecnici eseguiti dal CTU Serrano, l'importo delle somme spettanti all'ATO; - ha infine dichiarato parzialmente estinto per compensazione il maggior debito di AGER verso (...) s.c.a.r.l., quantificando in Euro 33.188.667,00 il debito residuo; - ha rigettato la domanda di condanna al pagamento degli adeguamenti tariffari, avanzata pro quota da (...) s.c.a.r.l. nei confronti dei comuni intervenuti. Par. 2 Con separati atti di appello, il Comune di Cavallino e AGER hanno impugnato il lodo arbitrale e ne hanno chiesto l'annullamento, con conseguente rigetto delle domande avanzate da (...) s.c.a.r.l., e condanna della stessa al pagamento delle spese di lite del doppio grado, in totale riforma della decisione adottata dagli arbitri. Si è costituita in giudizio (...) s.c.a.r.l. ed ha chiesto il rigetto dell'appello. Si sono costituiti anche i comuni elencati in epigrafe e si sono associati alle richieste degli appellanti. Con ordinanza del 17.1.2019, i gravami sono stati riuniti. All'udienza del 9.6.2021 la causa è stata trattenuta per la decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di note conclusionali e repliche. Su richiesta del procuratore di (...) s.c.a.r.l., la causa è poi stata discussa oralmente all'udienza del 26.1.2022 MOTIVI DELLA DECISIONE Par. 3 Occorre preliminarmente scrutinare l'eccezione di inammissibilità dell'appello proposto dal Comune di Cavallino: (...) s.c.a.r.l. ha dedotto che nella sua qualità di interventore adesivo dipendente, il Comune di Cavallino non potesse autonomamente appellare il lodo, poiché in nessun capo della decisione erano state adottate determinazioni in suo pregiudizio. La questione può essere agevolmente risolta sulla scorta dei principi di diritto dettati dalle sezioni unite della suprema corte che, in proposito hanno statuito quanto segue: "L'interventore adesivo non ha un'autonoma legittimazione ad impugnare (salvo che l'impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell'intervento o la condanna alle spese imposte a suo carico), sicché la sua impugnazione è inammissibile, laddove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole; inoltre, esso non vanta un interesse concreto ed attuale all'impugnazione di affermazioni pregiudizievoli contenute nella sentenza favorevole, qualora svolte in via incidentale e sprovviste della forza vincolante del giudicato". (cass.civ.sez.unite, 17.4.2012 n. 5992). Poiché AGER (parte adiuvata, soccombente in primo grado) ha impugnato autonomamente il lodo l'eccezione di inammissibilità dell'appello proposto dal Comune di Cavallino è infondata. Gli appelli riuniti si fondano sugli stessi motivi (sebbene formulati in un diverso ordine espositivo). Par. 4 L'appello di AGER è articolato in sei motivi. Par. 4.1 Con il terzo motivo d'impugnazione, che deve essere esaminato per primo in quanto pregiudiziale ad ogni altra questione, AGER ha dedotto che avrebbe errato il collegio arbitrale a rigettare l'eccezione di difetto di giurisdizione degli arbitri, sollevata da ATO gestione rifiuti provincia di Lecce nel giudizio di primo grado; ad avviso dell'appellante, la controversia non poteva essere compromessa in arbitri per due ordini di motivi: 1) perché apparteneva alla competenza esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133 comma 1 lett. e) n. 2) del codice del processo amministrativo (D.Lgs. n. 104/2010; 2) perché la ricorrente aveva chiesto la tutela di un interesse legittimo e non di un diritto soggettivo. Tanto avrebbe dovuto indurre gli arbitri a declinare la propria giurisdizione, atteso che solo le liti concernenti diritti soggettivi, devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale (ex art 12 del codice del processo amministrativo). Il motivo è fondato. La domanda proposta da (...) s.c.a.r.l. nel giudizio di primo grado aveva ad oggetto il pagamento di somme, pretese a titolo di revisione prezzi nell'ambito di un contratto pubblico di fornitura di beni e servizi. In disparte da ogni considerazione in ordine alla natura della posizione giuridica azionata dalla ricorrente, la materia - al momento della notifica del ricorso (26 maggio 2014) - rientrava certamente nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ed invero, l'art. 133 comma 1 lett. e) n. 2 del codice del processo amministrativo D.Lgs. n. 104/2010) dispone che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie "relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell'ipotesi di cui all'articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell'adeguamento dei prezzi ai sensi dell'articolo 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto". In deroga rispetto a tale disposizione, l'art. 12 dello stesso codice del processo amministrativo dispone che: "Le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto ai sensi degli articoli 806 e seguenti del codice di procedura civile". Occorre, a questo punto, per completezza chiedersi se - stante la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - spetti al giudice ordinario il potere di iuris dicere in grado d'appello. In proposito, la Suprema Corte ha di recente chiarito che "l'impugnazione del lodo arbitrale rituale deve essere sempre proposta dinanzi alla corte d'appello nel cui distretto è la sede dell'arbitrato, ai sensi dell'art. 828 c.p.c., unica disposizione diretta alla determinazione del giudice cui spetta la cognizione su detta impugnazione, sicché il giudice ordinario, in qualità di giudice naturale dell'impugnazione del lodo, qualora accolga l'impugnazione ha anche il potere-dovere, salvo contraria volontà di tutte le parti, di decidere nel merito ai sensi dell'art. 830 comma 2 c.p.c., a nulla rilevando che la controversia sarebbe stata affidata, ove non fosse stata deferita in arbitri, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo". (cass.civ. sez. I ordinanza n. 646 del 12.1.2018). Ciò posto, è agevole osservare che, sebbene la posizione giuridica azionata da (...) s.c.a.r.l. sia stata esattamente qualificata dal collegio arbitrale come diritto soggettivo - fondato contrattualmente sull'art. 3 della convenzione n. 472/1999 - non altrettanto corretta può dirsi la valutazione operata (a pag. 21 del lodo) dallo stesso collegio, in ordine alla validità della clausola compromissoria in forza della quale la ricorrente aveva agito. Rivolgendosi agli arbitri per la soluzione della controversia, la ricorrente si è avvalsa dello strumento processuale contenuto all'art. 21 della convenzione stessa. Nella sua versione originale, il patto prevedeva che "ogni controversia che dovesse insorgere tra le parti durante la concessione sull'interpretazione ed esecuzione di quanto forma oggetto della presente convenzione, sarà risolta dal Collegio arbitrale previsto dell'art. 24 del T. U. del 15.10.1925 n. 2578.", dunque nelle forme dell'arbitrato irrituale. Con delibera della G.M. n. 431 del 19.11.2009 il Comune di Cavallino aveva poi deliberato di modificare la clausola compromissoria come segue: "Ogni controversia che dovesse insorgere tra le parti durante la concessione in ordine alla validità e/o all'interpretazione e/o all'esecuzione del contratto di cui alla convenzione e delle eventuali sue successive integrazioni e/o modificazioni, saranno devolute alla decisione di un Collegio arbitrale composto da tre arbitri rituali. (...omissis...)". La clausola, nella sua nuova formulazione, era stata oggetto della convenzione aggiuntiva n. 1028/2009, siglata dal Comune di Cavallino e dall'ATI dante causa di (...) s.c.a.r.l.. Ciò premesso, occorre evidenziare che, con la istituzione degli ATO - cui è stato demandato un ruolo di riorganizzazione e gestione dell'intero servizio rifiuti - si è determinata una successione degli stessi nei contratti di affidamento del servizio stesso, precedentemente stipulati dai comuni appartenenti all'area di competenza. Nella specie, più precisamente, al Comune di Cavallino è subentrato nella convenzione n. 472/1999, dapprima, il Consorzio ATO LE/1 (istituito nel 2006, posto in seguito in liquidazione e definitivamente soppresso con decreto AGER n. 102 dell'8.12.2017), poi, ATO gestione rifiuti provincia di Lecce (istituito nel 2012; destinatario del ricorso per lodo arbitrale del 26.5.2014; soppresso con legge regionale n. 20 del 4.8.2016) ed, infine, AGER (istituita nel corso del giudizio di primo grado con la stessa legge regionale n. 20/2016). Se, dunque, da un lato non può negarsi che ATO gestione rifiuti della provincia di Lecce sia subentrata nella convenzione n. 472/1999, è altrettanto vero che il patto aggiunto, contenuto nella convenzione n. 1028/2009, non è alla stessa opponibile, perché stipulato esclusivamente tra le parti originarie; la questione è stata espressamente sollevata dalla convenuta in limine litis. Lo strumento processuale azionato, nelle forme del ricorso per arbitrato rituale, da (...) s.c.a.r.l., nei confronti di ATO gestione rifiuti della provincia di Lecce, sebbene - in astratto - idoneo (ex art. 12 c.p.a.) ad incardinare il giudizio arbitrale, avrebbe dovuto - in concreto - esitare in una pronuncia di difetto di giurisdizione da parte degli arbitri; ed invero, una volta verificata l'inefficacia della convenzione aggiuntiva nei confronti dell'ATO convenuta, che mai aveva sottoscritto detto patto, gli arbitri avrebbero dovuto prendere atto di non avere alcuna giurisdizione, fuori dall'area residua riservata all'arbitrato rituale dall'art. 12 c.p.a. (l'eccezione, peraltro, era rilevabile d'ufficio). Sulla questione si è espressa, di recente, la suprema corte affermando che "L'attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla l. n. 25 del 1994 e dal D.Lgs. n. 40 del 2006, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione". (cass.civ.sez.VI, ord. 16.11.2021 n. 34569). Va pertanto dichiarato il difetto di giurisdizione degli arbitri, con ogni conseguenza in ordine alla regolamentazione delle spese di lite e alla restituzione delle somme eventualmente corrisposte in esecuzione del provvedimento impugnato. Restano impregiudicati nel merito i diritti vantati reciprocamente dalle parti. Par. 4.2 Ogni altra censura è assorbita. Par. 5 Passando ad esaminare l'appello del Comune di Cavallino, è agevole concludere che lo stesso è fondato nella parte in cui ricalca, adadiuvandum, le censure proposte da AGER e sin qui positivamente scrutinate. Par. 6 Le spese del doppio grado seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato in dispositivo, in considerazione della definizione in rito del giudizio di appello. P.Q.M. la corte, accoglie gli appelli proposti da AGER e dal Comune di Cavallino e, per l'effetto, dichiara il difetto di giurisdizione degli arbitri che hanno emesso il lodo impugnato; condanna (...) s.c.a.r.l. alla restituzione delle somme eventualmente ricevute in esecuzione del lodo impugnato; condanna (...) s.c.a.r.l. al pagamento delle spese processuali del procedimento arbitrale: - in favore di ATO gestione rifiuti della provincia di Lecce (ora AGER) che liquida in Euro 20.000,00 per compenso, oltre accessori di legge e di tariffa in misura del 15%; - in favore del Comune di Cavallino, che liquida in Euro 7.000,00 per compenso, oltre accessori di legge e di tariffa in misura del 15%; - in favore degli altri comuni intervenuti ad adiuvandum, che liquida - in solido - in Euro 7.000,00 per compenso, oltre accessori di legge e di tariffa in misura del 15%; pone definitivamente a carico di (...) s.c.a.r.l. le spese per CTU e i compensi già liquidati, in primo grado, in favore degli arbitri e del segretario; condanna (...) s.c.a.r.l. al pagamento delle spese processuali del giudizio di appello: - in favore di AGER e del Comune di Cavallino che liquida, per ciascuno in Euro 1.713,00 per spese ed Euro 9.000.00 per compenso, oltre accessori di legge e di tariffa in misura del 15%; - in favore degli altri comuni intervenuti ad adiuvandum che, liquida, in solido in Euro 5.000,00 per compenso, oltre accessori di legge e di tariffa in misura del 15%, - in favore del Comune di Lizzanello che liquida in Euro 5.000,00 per compenso, oltre accessori di legge e di tariffa in misura del 15%. Lecce, 8 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI BARI SEZIONE LAVORO composta dai magistrati: Dott.ssa Vittoria Orlando - Presidente Dott.ssa Manuela Saracino - Consigliere Dott. Nicola Morgese - Consigliere rel. ha emesso la seguente SENTENZA nella controversia di lavoro iscritta sul ruolo generale al n. 1538 del 2021 TRA (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Ca.Ca., APPELLANTE E REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente della G.R. p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. Mi.Si., APPELLATA E ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Direttore Generale p.t., non costituito. APPELLATO RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con ricorso ex art. 414 c.p.c., depositato il 13.09.2017 ed iscritto al R.G. n.9997/2017, (...) conveniva in giudizio la Regione Puglia e l'INPS al fine di ottenere dal Tribunale di Bari una pronuncia di accoglimento delle seguenti conclusioni: "1. in via principale, accertare che il ricorrente, dipendente della Regione Puglia, ha lavorato presso la struttura del Commissario Delegato per l'Emergenza in materia di rifiuti solidi urbani nella Regione Puglia, in posizione di distacco, di comando e come collaboratore in forma non continuativa, nell'ambito delle attività proprie della qualifica rivestita (tecnico - amministrativo), dal 27.08.1997 al 15.07.2016; 2. accertare e dichiarare l'omissione contributiva della Regione Puglia in qualità di datore di lavoro distaccante e di Amministrazione subentrante al Commissario Delegato per l'Emergenza ambientale nella Regione Puglia - Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella misura complessiva di Euro 36.774,80, ovvero la diversa somma che dovesse essere accertata in corso di causa, esattamente 3. accertare e dichiarare l'obbligo contributivo a carico della Regione Puglia, in qualità di datore di lavoro distaccante, relativamente ai contributi dovuti per le somme che l'Ufficio del Commissario Delegato ha corrisposto al ricorrente a titolo di indennità ex art. 5, co.2, dell'O.P.C.M. n. 245 del 0796 - recante compenso accessorio - per i periodi dal 27.08.1997 al 24.12.2002 (all. n. 5) e dal 13.02.2010 al 31.03.2014 (all. n. 12 e 13); 4. accertare e dichiarare l'obbligo contributivo a carico della Regione Puglia, quale amministrazione subentrante al Commissario Delegato per l'Emergenza ambientale nella Regione Puglia - Presidenza del Consiglio dei Ministri, giusta previsione di cui all'Ordinanza della Protezione Civile n. 343 del 9.05.2016, relativamente ai contributi dovuti per le somme che l'Ufficio del Commissario Delegato, in qualità di committente ha corrisposto al ricorrente a titolo di indennità ex art.5, co.2, dell'O.P.C.M. n. 2450 del 1996 - recte compenso accessorio - per i periodi in cui ha prestato la propria collaborazione in forma non continuativa, ossia dal 25.12.2002 al 12.02.2010 (all. n. 6) e dal 01.04.2014 al 15.07.2016 (all. n. 15); 5. in subordine, accertare e dichiarare il diritto del ricorrente alla costituzione di una rendita vitalizia ex art. 13 L. n. 1338 del 1962 presso l'INPS, relativamente ai contributi prescritti, 3. in alternativa, accertare e dichiarare la responsabilità civile ex art. 2116 c.c. per i danni da omissione contributiva della Regione Puglia in qualità di datore di lavoro distaccante e quale Amministrazione subentrante al Commissario Delegato per l'Emergenza ambientale nella Regione Puglia - Presidenza del Consiglio dei Ministri, giusta previsione di cui all'Ordinanza della Protezione Civile n. 343 del 9.05.2016, relativamente aicontributi prescritti, e per l'effetto 4. in via principale, condannare la Regione Puglia, in persona del Presidente p.t., in qualità di datore di lavoro distaccante, al versamento dei contributi dovuti per le somme che l'Ufficio del Commissario Delegato ha corrisposto al ricorrente a titolo di indennità ex art. 5, co.2, dell'O.P.C.M. n. 2450 del 1996 - recte compenso accessorio - per i periodi dal 27.08.1997 al 24.12.2002 (all. n. 5) e dal 14.02.2010 al 31.03.2014 (all. n. 12 e 13), come da conteggi allegati; 6. condannare la Regione Puglia, in persona del Presidente p.t., quale Amministrazione subentrante al Commissario Delegato per l'Emergenza ambientale nella Regione Puglia - Presidenza del Consiglio dei Ministri, giusta previsione di cui all'Ordinanza della Protezione Civile n. 343 del 9.05.2016, al versamento dei contributi dovuti per le somme che l'Ufficio del Commissario Delegato, in qualità di committente ha corrisposto al ricorrente a titolo di indennità ex art. 5, co.2, dell'O.P.C.M. n. 2450 del 1996 - recte compenso accessorio - per i periodi in cui ha prestato la propria collaborazione in forma non continuativa, ossia dal 25.12.2002 al 12.02.2010 (all. n. 6) e dal 01.04.2014 al 15.07.2016 (all. n. 15), come da conteggi allegati; 7. in subordine, condannare la Regione Puglia, in persona del Presidente p.t. in qualità di Amministrazione distaccante, nonché quale Amministrazione subentrante al Commissario delegato per l'Emergenza ambientale nella Regione Puglia - committente, giusta previsione di cui all'Ordinanza di Protezione Civile n. 343 del 9/5/2016, alla regolarizzazione della posizione contributiva del sig. (...) mediante costituzione della rendita vitalizia di cui all'art. 13 della L. n. 1338 del 1962 relativamente ai contributi prescritti; 8. in alternativa, condannare la Regione Puglia, in persona del Presidente p.t., in qualità di Amministrazione distaccante, nonché quale Amministrazione subentrante al Commissario delegato per l'Emergenza ambientale nella Regione Puglia - committente, giusta previsione ddi cui all'Ordinanza di Protezione Civile n. 343 del 9/5/2016, al risarcimento, in via equitativa, del danno da irregolarità contributiva, relativamente ai contributi prescritti, con interessi e rivalutazione monetaria su tutta la somma dalle singole scadenze al saldo. Con vittoria di spese ed onorari". 2. In particolare, il ricorrente deduceva: - che, con D.P.(...) del 8 novembre 1994, era stato dichiarato l'inizio dell'emergenza ambientale, nel settore dei rifiuti solidi urbani, della bonifica e del risanamento ambientale di suoli, falde e sedimenti inquinati sul territorio della Regione Puglia; - che, per l'effetto, con ordinanza del 27.06.1996 del D.P.(...) - Dipartimento della Protezione Civile, era stato nominato un Commissario delegato per la gestione della medesima emergenza, che poteva avvalersi di dipendenti pubblici in favore dei quali doveva essere corrisposta una indennità pari ad un importo corrispondente fino a 120 ore mensili di lavoro straordinario e che, con decreto 1/96, era istituito un apposito Ufficio; - che, con Decreto n.72 del 27.08.1997, veniva distaccato presso l'Ufficio del Commissario Delegato - in qualità di collaboratore tecnico-amministrativo - con conseguente diritto alla percezione dell'indennità di cui all'art. 5, comma 2, O.P.C.M. n. 2450 del 1996; - che, con decreto n. 411 del 24.12.2002, veniva disposta la cessazione del comando presso l'Ufficio del Commissario Delegato, con nomina di collaboratore secondo il regime della collaborazione non continuativa, fino alla cessazione dello stato di emergenza, mantenendo il diritto all'indennità di cui all'art. 5 co.2 O.P.C.M. n. 2450 del 1996; - di essere stato confermato, con Decreto n.93/CD del 21.05.2004, nel ruolo di collaboratore a tempo parziale per i compiti di segreteria, quale componente dell'organizzazione a supporto del Commissario Delegato, la cui operatività veniva prorogata fino al 31.12.2007; - che, con i Decreti nn. 33/CD del 31.01.2007, 02/CD del 22.01.2008 e 02/CD del 30.01.2009, veniva confermato quale collaboratore in forma non continuativa presso la Sezione Rifiuti e Bonifiche; - che, in seguito alla proroga dello stato di emergenza, con Decreto n. 01/CD del 11.02.2010, veniva nominato in posizione di comando relativamente agli affari generali; lo stesso, per gli anni a seguire ovvero 2011, 2012 e 2013; - che, con Decreto n. 08/CD, veniva rideterminata l'organizzazione della struttura ed iniziava ad essere utilizzato in forma non continuativa presso la Sezione Tutela delle Acque; - che, con Ordinanza della Protezione Civile n. 343 del 09.05.2016, veniva disposta la cessazione dell'attività del Commissariato, a far data dal 15.07.2016 e la Regione Puglia era autorizzata ad occuparsi del coordinamento e del completamento degli interventi di competenza della gestione commissariale; - di aver cessato la collaborazione con il Commissario Delegato il 15.07.2016; - che non risultavano versati i contributi dovuti per le somme percepite a titolo di indennità sopra citata; - che, ai sensi dell'art. 70 co. 12 D.Lgs. n. 165 del 2001, l'amministrazione che utilizza il personale in posizione di comando è tenuta a rimborsare all'amministrazione di appartenenza l'onere relativo al trattamento fondamentale economico, normativo e previdenziale; - che la Regione Puglia, in qualità di datore di lavoro, aveva corrisposto gli oneri relativi al trattamento fondamentale, provvedendo al versamento dei relativi contributi ma non aveva corrisposto "l'indennità" quale trattamento economico accessorio; che tale trattamento era stato erogato direttamente dall'Ufficio del Commissario Delegato che aveva provveduto, annualmente, a rilasciare i CUD, ai sensi dell'O.P.C.M. n. 2450 del 1996; tuttavia, i connessi contributi non erano stati versati sia da quest'ultimo sia dal proprio datore di lavoro; - che, nonostante il comando, la Regione Puglia era tenuta a versare i contributi anche relativi al compenso accessorio. Sulla scorta di tanto riteneva la Regione Puglia inadempiente, per un importo pari a Euro 36.774,80 e tanto: 1) sia in qualità di datore di lavoro, relativamente all'indennità versata dall'Ufficio del Commissario Delegato per il periodo in cui era collocato in posizione di comando ovvero dal 27.08.1997 al 24.12.2002 e dal 13.10.2010 al 31.03.2014; 2) sia quale Amministrazione subentrante al Commissario Delegato per le somme che quest'ultimo aveva versato nei periodi in cui aveva prestato la propria collaborazione in forma non continuativa ovvero dal 25.10.2002 al 12.02.2010 e dal 01.04.2014 al 15.07.2016. 3. La Regione Puglia restava contumace, mentre l'INPS si costituiva in giudizio, contestando le argomentazioni avverse e chiedendo il rigetto del ricorso. 4. Con sentenza n. 1334/2021 del 29.04.2021 il Tribunale di Bari in funzione di Giudice del Lavoro ha così definito la controversia: "dichiara la contumacia della Regione Puglia e nulla si dispone sulle spese; rigetta il ricorso nei termini di cui in motivazione; spese compensate". 5. Avverso la sentenza ha interposto appello (...), con ricorso depositato in data 28.10.2021, chiedendone l'integrale riforma. 6. La Regione Puglia si è costituita in giudizio, contestando la fondatezza del gravame, di cui ha chiesto il rigetto; l'INPS restava intimato. 7. All'odierna udienza, all'esito della discussione, la causa è stata decisa mediante lettura e pubblicazione del dispositivo in calce trascritto. I. Sulla sentenza di primo grado. Il Tribunale di Bari ha rigettato il ricorso proposto da (...), sulla scorta dei seguenti punti di motivazione: - ha premesso che, in materia di onere probatorio dell'inadempimento di un'obbligazione, il creditore che voglia ottenere l'adempimento o il risarcimento del danno deve solo provare la fonte del proprio diritto e il relativo termine di scadenza; il debitore, invece, ha l'onere di provare il fatto estintivo della propria pretesa; - ha sottolineato, sempre in via preliminare, che il principio di non contestazione opera solo laddove l'attore abbia allegato specificamente i fatti costitutivi del diritto azionato e il convenuto non abbia preso specifica posizione sugli stessi e che la mancata costituzione in giudizio del convenuto non è interpretabile alla stregua di una mancata contestazione dei fatti posti alla base della domanda; - ha osservato che nella fattispecie viene in rilievo una ipotesi di distacco o comando di diritto pubblico per cui il dipendente è destinato a prestare servizio presso un'amministrazione differente da quella di appartenenza, con l'immediata conseguenza che il lavoratore è inserito all'interno di essa sotto il profilo sia organizzativo - funzionale sia gerarchico e disciplinare e che gli oneri economici non gravano direttamente sul datore di lavoro distaccante, salva una diversa specifica previsione normativa; - ha rilevato che nel caso in esame, in carenza di specifica disposizione derogatrice, gli oneri retributivi e contributivi, poiché estranei al trattamento economico fondamentale, non potevano gravare sulla Regione Puglia, ritenuta carente di legittimazione passiva, essendo di pertinenza esclusiva del Commissario Delegato, organo straordinario della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento della Protezione Civile); - quanto all'assunto attoreo, secondo cui la Regione Puglia sarebbe subentrata nelle funzioni del Commissario Delegato, ha affermato che, secondo gli atti richiamati dal (...), la Regione è piuttosto divenuta l'ente legittimato a gestire in via ordinaria gli interventi a tutela delle acque del territorio regionale e che l'Ordinanza che ha disposto il subentro non ha previsto alcunché in ordine agli oneri afferenti ai rapporti di collaborazione svolti in favore dell'ufficio Commissariale; sicché, avendo l'Ufficio del Commissario Delegato provveduto all'erogazione dei compensi indennitari, avrebbe dovuto provvedere al versamento anche dei relativi oneri contributivi. Alla luce di tanto ed assorbita ogni altra questione, ha rigettato il ricorso e ha compensato le spese di lite, in ragione della novità e dell'opinabilità delle questioni controverse. II. Sul ricorso in appello. II.1.a. Con la prima doglianza articolata sub (...), parte appellante contesta la sentenza nella parte in cui ha escluso l'obbligo contributivo della Regione, in qualità di "datore di lavoro distaccante", in ordine agli importi percepiti nei periodi di distacco. In particolare, censura la pronuncia nella parte in cui afferma che: "poiché l'interesse primario che giustifica l'attribuzione del potere è quello dell'amministrazione di destinazione che assume i poteri di gestione del rapporto di lavoro in forza dell'imperatività del provvedimento, non possono gravare sul datore di lavoro distaccante gli oneri economici direttamente connessi all'attività prestata presso l'amministrazione di destinazione, salva una diversa, specifica previsione di legge che diversamente disponga". Al riguardo e riproponendo argomentazioni già esposte in prime cure, rileva che il Tribunale avrebbe omesso di considerare che, ai sensi e per gli effetti dell'art. 70, comma 12, del D.Lgs. n. 165 del 2001, nell'ipotesi in cui il personale di amministrazioni pubbliche sia posto in posizione di comando presso altre amministrazioni, quella che lo utilizza rimborsa all'amministrazione di appartenenza l'onere relativo al trattamento fondamentale. Sostiene che tale principio sarebbe confermato dall'ARAN, precisando che esso non si applica al trattamento accessorio, il quale piuttosto viene corrisposto al dipendente dall'ente presso il quale lo stesso rende la propria prestazione, come avvenuto nella fattispecie in cui l'Ufficio del Commissario Delegato ha corrisposto allo stesso il trattamento economico accessorio, ma non i contributi dovuti. Inoltre, richiamando anche la Circolare INPS n.103 del 26.05.2000, deduce che, anche in ipotesi di comando o distacco, i contributi restano comunque a carico del datore di lavoro distaccante, salvo rimborso dietro richiesta documentata. Inoltre, il (...) impugna la sentenza anche nella parte in cui ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Regione Puglia, secondo una interpretazione che non tiene in debito conto la citata circolare INPS. II.1.b. Con il secondo profilo di doglianza, articolato sub (...) del gravame, parte appellante contrasta la sentenza nella parte in cui non ha riconosciuto, in capo alla Regione Puglia quale amministrazione subentrante al Commissario delegato l'obbligo contributivo sugli importi percepiti nei periodi in cui lo stesso ha collaborato con l'ufficio del commissario delegato secondo il regime della collaborazione non continuativa, ovvero dal 25.12.2002 al 12.02.2010 e dal 01.04.2014 al 15.07.2016. In merito ai detti periodi, l'appellante rileva che, avendo percepito un reddito superiore al tetto massimo di Euro 5.000,00, la propria prestazione era soggetta al regime vigente per le collaborazioni coordinate e continuative, giusta previsione di cui alla Circolare n. 2/2008 del Dipartimento della Funzione Pubblica; a dispetto di tanto, lo stesso deduce di non essere mai stato iscritto alla gestione separata INPS e, di conseguenza, che non gli sono stati versati i contributi dovuti da parte dell'Ufficio del Commissario Delegato, obbligato per il periodo di svolgimento della collaborazione. Ciò detto, l'appellante sostiene che il giudice di prime cure avrebbe errato anche nell'escludere l'integrale subentro della Regione Puglia nelle funzioni del Commissario delegato, dovendo quindi rispondere, in tale veste, delle omissioni contributive per cui è causa; rileva al riguardo che, contrariamente a quanto statuito dal Tribunale, l'Ordinanza di Protezione Civile n.343 del 09.05.2016 parla espressamente di "subentro" della Regione Puglia: situazione che comportava, necessariamente, anche la gestione delle risorse umane ovvero di tutte le situazioni giuridiche passive relative ai rapporti di lavoro. II.1.c. Con il terzo ed il quarto motivo, l'appellante ripropone argomentazioni già esposte in primo grado e non espressamente affrontate dal primo giudice poiché ritenute assorbite. La prima è afferente al principio di automaticità delle prestazioni di cui all'art. 2116 c.c. e all'art. 27 del R.D.L. del n. 636 del 1939, in forza del quale, come ricorda l'appellante, il lavoratore ha diritto al pagamento delle prestazioni previdenziali anche se il datore di lavoro non ha corrisposto le somme spettanti all'Istituto Previdenziale a titolo di contributi, purché il diritto al pagamento della contribuzione sia ancora possibile. La seconda questione riproposta concerne la domanda di costituzione della rendita vitalizia ex art. 13 L. n. 1338 del 1962; in particolare, il (...) rileva, che: 1) tale domanda può essere proposta nell'ipotesi in cui sia accertata un'omissione contributiva da parte del datore di lavoro, denunciata dal lavoratore alla Autorità Giudiziaria; 2) la stessa, in quanto riconducibile al novero delle facoltà comunemente ricondotte alla categoria dei diritti potestativi, non è soggetta a prescrizione, e tanto a smentita di quanto eccepito dall'Inps in primo grado. III.1.a. L'appello è infondato e deve essere respinto, sulla scorta delle seguenti motivazioni. Il primo profilo di doglianza, concernente l'asserito inadempimento, da parte della Regione Puglia, in qualità di amministrazione distaccante, dell'obbligo contributivo relativo all'indennità accessoria percepita per i periodi di distacco, è privo di pregio e deve essere disatteso. Giova premettere che, come evidenziato in ricorso, la vicenda trae origine dalla Ordinanza n.2450 del 1996, con la quale la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della protezione civile, ha disposto la nomina del Presidente della Regione Puglia quale Commissario delegato per la gestione dell'emergenza connessa ai rifiuti. Nella richiamata ordinanza, all'articolo 5, si è previsto che i commissari delegati "si avvalgono per lo svolgimento dei compiti previsti" di due subcommissari nonché "di funzionari della pubblica amministrazione" e, fra l'altro, "delle regioni"; inoltre, al comma 2, dispone che: "in favore dei commissari nonché del personale di cui al comma precedente è autorizzata la corresponsione di una indennità nella misura prevista dall'art. 5, comma 2 e 2 bis, dell'O.P.C.M. 4 gennaio 1995, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.2 del 25 gennaio 1995". Quanto alla specifica posizione dell'appellante, si osserva poi che, proprio nel decreto n.72 del 27.08.1997, a firma del commissario delegato, è espressamente disposto che (...), dipendente della Regione Puglia, in servizio presso il settore protezione civile "è distaccato presso l'ufficio del commissario delegato", per collaborare con lo stesso nell'ambito dell'attività propria della qualifica rivestita. Inoltre, al punto 2, con riferimento agli oneri economici, si dispone che: "in attuazione delle norme che regolano l'istituto del distacco tra pubbliche amministrazioni si provvederà al rimborso degli oneri stipendiali diretti e riflessi afferenti lo stesso dipendente, dietro richiesta documentata dell'amministrazione di appartenenza ovvero la Regione Puglia". Appare dunque chiaro che, nel caso di specie, non è imputabile alla Regione Puglia, in qualità di amministrazione distaccante, alcuna omissione contributiva in quanto, secondo la normazione primaria, dettata per le ipotesi di comando e richiamata dal decreto commissariale (art. 45 del D.Lgs. del 31 marzo 1998, n.80 e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 70, comma 12), in caso di utilizzazione di personale appartenente ad altra amministrazione (a titolo di comando, di collocamento fuori ruolo o di altra analoga posizione), la stessa è tenuta ad anticipare, salvo rimborso, le sole somme relative al trattamento fondamentale. Ed invero, come testualmente previsto dalla disposizione e ribadito dallo stesso appellante, "l'amministrazione che utilizza il personale rimborsaall'amministrazione di appartenenza l'onere relativo al trattamento fondamentale", provvedendo direttamente ad erogare i compensi accessori e connessi all'attività prestata nel proprio interesse. Come al riguardo precisato dalla Cassazione, tale norma, che ricalca la disciplina già dettata dal D.P.R. n. 3 del 1957, art.57, comma 3, tiene conto della natura del distacco, atteso che se "l'interesse primario che giustifica l'attribuzione del potere è quello dell'amministrazione di destinazione, che assume i poteri di gestione del rapporto di lavoro in forza dell'imperatività del provvedimento, non possono gravare sul datore di lavoro distaccante gli oneri economici direttamente connessi all'attività prestata presso l'amministrazione di destinazione, salva, naturalmente, una diversa, specifica previsione di legge che diversamente disponga" (Cass. n.13482 del 29.05.2018, che richiama Cass. n.17842 del 2005). Ciò posto, si osserva che, nella fattispecie in esame, come affermato dal primo giudice, non si ravvisa una disciplina derogatoria rispetto al principio generale, in quanto l'ordinanza ministeriale citata non indica un diverso criterio di imputazione degli oneri economici derivanti dal rapporto di impiego del personale distaccato, individuando solo, in guisa di compenso aggiuntivo, la corresponsione di una indennità pari all'importo corrispondente fino a 120 ore mensili di lavoro straordinario -come evincibile dal rinvio alla precedente O.N. Inoltre e a riprova dell'assunto, si evidenzia che, nel decreto di nomina n. 72 del 27.08.1997, è espressamente richiamato, mediante il rinvio alle "norme che regolano l'istituto del distacco", il regime ordinario di rimborso previsto dalla legge, che contempla, come detto, esclusivamente gli oneri relativi "al trattamento fondamentale". Ciò posto è indubbio, per averlo riconosciuto anche parte appellante, che l'indennità prevista dalla O.P.C.M. n. 2450 del 1996 si configura quale indennità aggiuntiva ed accessoria rispetto al trattamento fondamentale percepito dal (...) e, come tale afferisce a costi che, in ragione di quanto affermato dalla Suprema Corte, non possono gravare sul datore di lavoro distaccante, in quanto "direttamente connessi all'attività prestata presso l'amministrazione di destinazione". A diverse conclusioni, peraltro, non depone la citata circolare dell'Inps, atteso che, in disparte la valenza non vincolante della stessa -in quanto priva di valore normativo-, la stessa, nel disciplinare peraltro una mera facoltà di adempimento degli obblighi contributivi nel rispetto dei "principi in materia di titolarità dell'obbligo contributivo", appare distonica rispetto alla ratio e alla lettera della disposizione primaria che limita il meccanismo del rimborso al trattamento fondamentale dovuto al dipendente. Significativo, in tal senso, è poi il fatto (riferito dallo stesso appellante) che, diversamente dal trattamento fondamentale, che è stato regolarmente corrisposto al dipendente dalla Regione Puglia in qualità di datore di lavoro distaccante secondo il meccanismo del rimborso, "il trattamento economico accessorio" per cui è causa, sub specie di indennità, "è stato erogato direttamente dall'Ufficio del commissario delegato che ha provveduto a rilasciare annualmente i CUD". Ne consegue, in linea con quanto affermato dal primo giudice, che l'omissione contributiva relativa ai detti importi avrebbe dovuto essere fatta valere, nei limiti della prescrizione, nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento della Protezione Civile), atteso che l'Ufficio del Commissario delegato è un suo organo straordinario, non potendosi imputare alla Regione Puglia il mancato adempimento di oneri ad essa non spettanti, in quanto relativi a compensi indennitari aggiuntivi che non era neppure tenuta ad anticipare. Va dunque escluso l'obbligo contributivo della Regione Puglia, "in qualità di datore di lavoro distaccante", relativamente ai contributi dovuti per le somme che l'Ufficio del Commissario Delegato ha corrisposto al ricorrente a titolo di indennità ex art. 5, comma 2, dell'O.P.C.M. n. 2450 del 1996 e "per i periodi in cui il (...) è stato collocato in posizione di distacco/comando, ossia dal 27.08.1997 al 24.12.2002 (all.n 5) e dal 13.02.2010 al 31.03.2014 (all.n. 12 e 13), giusta previsione di cui alla Circolare INPS n. 3 del 26.05.2000". III.1.b. Pervenendo al secondo profilo di doglianza, concernente l'omissione contributiva sugli importi percepiti dall'appellante nei periodi di collaborazione occasionale, lo stesso è parimenti privo di pregio e deve essere respinto. Occorre premettere che, in considerazione della natura non continuativa della collaborazione prestata e della cadenza non periodica e prestabilita della indennità percepita, i redditi prodotti dal (...) nel periodo in cui ha operato in regime di collaborazione non sono assimilabili ex art. D.P.R. n. 917 del 1986, art. 50, comma 1, lett. c) bis ai redditi da lavoro dipendente. È infatti noto che tale disposizione prevede l'assimilazione ai fini fiscali ai redditi da lavoro dipendente dei soli compensi "percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita". Ciò posto, e in linea con quanto asserito dallo stesso appellante, appare indubbia l'applicabilità alla fattispecie dell'art. 2, comma 26, della L. n. 335 del 1995 che impone l'obbligo di iscrizione alla gestione separata INPS ai titolari dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nonché, come nel caso in esame, ai soggetti ai titolari di rapporti di lavoro occasionali (qualora, come dedotto, il reddito annuo derivante dalla collaborazione superi la soglia di Euro 5.000,00), su cui grava direttamente l'obbligazione contributiva. A tale riguardo, non può non rilevare la precisazione operata dalla Suprema Corte, da ultimo con Cass. 17.03.2022, n.8789, secondo cui, mentre nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore è affatto estraneo al rapporto contributivo, che si costituisce esclusivamente tra il datore di lavoro e l'ente previdenziale, del tutto diversa è, invece, la disciplina dettata dalla L. n. 335 del 1995, art. 2, commi 26 e ss. applicabile ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, poiché nel rapporto tra lavoratore autonomo ed ente previdenziale l'obbligazione contributiva grava sullo stesso lavoratore al quale compete il diritto alle prestazioni. In particolare, come di recente affermato da Cass. n.11430 del 30.04.2021, nelle collaborazioni coordinate e continuative, che sono soggette al regime previdenziale della gestione separata Inps, l'obbligazione contributiva grava sul collaboratore, a cui favore l'art. 2, comma 30, L. n. 335 del 1995 dispone, con carico sul committente, l'accollo privativo ex lege nella misura di due terzi dell'importo dovuto all'ente previdenziale; poiché nella gestione separata, in caso di omesso versamento dei contributi, non trova applicazione il principio di automatismo delle prestazioni ex art. 2116, comma 1, c.c., sussiste un qualificato interesse del collaboratore all'integrale adempimento dell'obbligazione contributiva e, in quanto debitore, ai sensi dell'art. 1236 c.c., gli va riconosciuta la facoltà di rinunciare all'effetto privativo dell'accollo, assumendo su di sé l'intero adempimento del debito contributivo. Inoltre, richiamando Corte Cost. n.374 del 1997, la Corte ha anche precisato che: - il mancato versamento dei contributi obbligatori impedisce di regola la stessa costituzione del rapporto previdenziale e comunque la maturazione del diritto alle prestazioni; - tale esclusione non può essere ritenuta irragionevole, dal momento che, nel rapporto tra lavoratore autonomo ed ente previdenziale, l'obbligazione contributiva grava sullo stesso lavoratore al quale compete il diritto alle prestazioni, il quale, coerentemente, non può che subire le conseguenze pregiudizievoli del proprio inadempimento (così espressamente Cass. nn.18830 del 2004, 6340 del 2005, 23164 del 2007). Alla stregua di tanto, assume valenza dirimente, ai fini decisori, la circostanza che parte appellante (come ammesso in ricorso e ribadito in sede di udienza di discussione) non ha mai provveduto, in ossequio all'art. 2 della L. n. 335 del 1995, ad iscriversi alla gestione separata, venendo meno ad un preciso onere connesso all'obbligazione contributiva che non può essere imputato, come ritenuto in ricorso, all'ufficio del Commissario delegato -e comunque, per effetto dell'asserito subentro, alla Regione Puglia. Per l'effetto, poiché alla luce dei suesposti principi, l'obbligazione contributiva in oggetto, comprensiva dell'obbligo di provvedere all'iscrizione nella gestione separata e del versamento della quota dei contributi, gravava sullo stesso collaboratore, nessuna omissione contributiva può essere imputata ai detti enti, atteso che il mancato assolvimento dell'obbligo da parte del (...) ha impedito in radice la stessa costituzione del rapporto previdenziale, precludendo anche la possibilità di agire per il versamento di quella parte del contributo dovuto in capo al committente - nella specie il Commissario straordinario. A diverse conclusioni, d'altra parte, non conduce il richiamo, operato nella terza doglianza, al principio di automaticità delle prestazioni, atteso che, come affermato dalla Cassazione, il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali di cui all'art. 2116 c.c., comma 1, non si applica ai collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla gestione separata, atteso che, ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 2, essi sono personalmente obbligati alla contribuzione, (Cass. sez. L., sentenza n. 11430 del 30 aprile 2021). In ragione di tali argomenti, deve dunque escludersi la ricorrenza di profili di inadempimento della Regione Puglia anche in ordine "ai contributi dovuti per le somme che l'Ufficio del Commissario Delegato ha corrisposto al ricorrente a titolo di indennità ex art. 5, co. 2, dell'O.P.C.M. n. 2450 del 1996 - recte compenso accessorio - per i periodi in cui ha prestato la propria collaborazione in forma non continuativa, ossia dal 25.12.2002 al 12.02.2010 (all. n. 6) e dal 01.04.2014 al 15.07.2016". Per mera completezza di esposizione, va anche detto che i dedotti profili di responsabilità dell'ente territoriale, in quanto fondati, secondo la prospettazione attorea, sull'asserita qualità di "Amministrazione subentrante al Commissario Delegato per l'Emergenza Ambientale nella Regione Puglia - Presidenza del Consiglio dei Ministri", non trovano neppure conferma nella richiamata ordinanza della Protezione Civile n.343 del 2016. Ed invero, come correttamente rilevato dal primo giudice, il suindicato provvedimento, lungi dal disporre l'immediata successione in universum ius nella gestione commissariale, disciplina il subentro della Regione nelle sole "iniziative finalizzate al superamento della situazione di criticità", con autorizzazione del dirigente della sezione risorse idriche a porre in essere "le attività occorrenti per il proseguimento in regime ordinario delle iniziative in corso finalizzate al superamento del contesto critico", essendo lo stesso pur sempre tenuto a dare conto delle stesse al Dipartimento della protezione civile competente (cfr. p.to 1.1 dell'ordinanza, in cui si dispone che: "il dirigente della sezione risorse idriche della Regione Puglia provvede ad inviare al dipartimento della protezione civile una dettagliata relazione semestrale sullo stato di avanzamento delle attività condotte per l'attuazione degli interventi di cui alla presente ordinanza con il relativo quadro economico"). A riprova di tanto, rileva la circostanza che l'attività del Commissario delegato è pacificamente proseguita anche dopo l'ordinanza e sino al successivo 15 luglio del 2016: data in cui è stata contestualmente disposta la definitiva cessazione della collaborazione da parte del (...), senza prosecuzione dell'incarico in favore della Regione Puglia. In tale situazione e in carenza di specifiche disposizioni di senso contrario, non può che pervenirsi al rigetto della censura, all'uopo non rilevando, come già asserito dal Tribunale, la generica previsione contenuta nella suindicata ordinanza n.343 del 2016 circa la ricognizione delle procedure e dei rapporti giuridici pendenti che il Dirigente delle Risorse Idriche era tenuto ad avviare. III. In conclusione ed assorbita ogni altra questione, l'appello proposto deve essere respinto, con conseguente conferma dell'impugnata sentenza, nei termini e con le suesposte integrazioni motivazionali. Le spese del grado seguono la soccombenza dell'appellante e sono liquidate come da dispositivo, in ossequio ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 (come mod. dal D.M. n. 147 del 2022) e tenuto conto del valore della controversia, della sua complessità e dell'attività processuale in concreto espletata; nulla è dovuto nei confronti dell'Inps, rimasto intimato. Deve, infine, darsi atto della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012. Spetta peraltro all'amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo per l'inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (v. Cass. sez. un. n. 4315 del 2020). P.Q.M. La Corte di Appello di Bari, Sezione lavoro, definitivamente pronunziando sull'appello proposto da (...), con ricorso depositato il 28.10.2021, avverso la sentenza n. 1334/2021 emessa in data 29.04.2021 dal Giudice del lavoro del Tribunale di Bari, nei confronti della Regione Puglia e dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, così provvede: - Rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma l'impugnata sentenza. - Condanna parte appellante al pagamento delle spese di gravame nei confronti della Regione Puglia, liquidate in Euro 4.000,00, oltre rimborso forfettario per spese generali, nella misura del 15% ed accessori di legge; nulla sulle spese nei confronti dell'Inps; dà atto della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, in materia di versamento dell'ulteriore importo del contributo unificato nella misura ivi specificata, se dovuto. Così deciso in Bari il 12 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 febbraio 2023.

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