Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Sardegna - Cagliari

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  • Il provvedimento di revoca adottato dall'amministrazione è legittimo quando risulta comprovato che la richiesta di ampliamento del nucleo familiare non è stata sottoscritta dal soggetto indicato come istante, in quanto l'allegazione di un documento di riconoscimento scaduto e la successiva dichiarazione di disconoscimento della firma da parte del medesimo soggetto rendono attendibile la sua affermazione di non avere presentato tale istanza. L'amministrazione, in tali casi, non è tenuta ad attivare il contraddittorio procedimentale previsto dall'art. 10-bis della legge n. 241/1990, in quanto il procedimento di revoca non rientra tra quelli ad istanza di parte cui tale norma si applica, e il destinatario diretto del provvedimento di revoca è il soggetto che appariva come istante, mentre il ricorrente beneficia solo indirettamente dell'ampliamento del nucleo familiare. L'omessa indicazione nell'atto impugnato del termine e dell'autorità cui proporre ricorso costituisce mera irregolarità formale, inidonea a inficiare la legittimità del provvedimento, in assenza di concrete conseguenze pregiudizievoli per il destinatario.

  • La modifica e l'adeguamento tecnologico di un impianto di telecomunicazioni preesistente e regolarmente autorizzato, non costituendo una nuova installazione, è soggetta alla procedura semplificata di cui all'art. 45 del d.lgs. 207/2021, che prevede la mera presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), senza necessità di preventiva approvazione di un programma annuale delle installazioni da parte del Comune. Il regolamento comunale che disciplina l'installazione di impianti fissi generatori di campi elettromagnetici, pur prevedendo un procedimento di approvazione del programma annuale, deve essere interpretato in modo da non porsi in contrasto con la normativa statale di settore, che mira a semplificare e accelerare la realizzazione degli investimenti per il completamento della rete di banda larga mobile. L'amministrazione comunale, in caso di diniego, ha l'onere di motivare in modo chiaro e specifico le ragioni di incompatibilità dell'impianto con la destinazione e le caratteristiche dell'area, senza poter aggravare ingiustificatamente il procedimento autorizzatorio oltre i limiti previsti dalla legge.

  • Il termine perentorio previsto dall'art. 25 del d.lgs. n. 152/2006 per la conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale (VIA) non può essere derogato dall'amministrazione in ragione della mera priorità di esame dei progetti di maggiore potenza installata, in assenza di una specifica disciplina attuativa che ne definisca i criteri e gli effetti. L'inosservanza dei termini perentori previsti dalla legge per la conclusione del procedimento di VIA comporta l'obbligo per l'amministrazione di provvedere, anche in via sostitutiva, senza che possano essere invocate ragioni organizzative o il numero elevato di istanze pendenti, le quali impongono invece all'amministrazione di adottare adeguate misure organizzative interne per assicurare il rispetto dei termini di legge. Il parere negativo reso dalla Soprintendenza speciale PNRR non interrompe il procedimento di VIA, restando ferma la possibilità per l'amministrazione procedente di attivare la procedura di composizione del contrasto prevista dall'art. 5 della L. n. 400/1998.

  • Il mancato rispetto dei termini perentori previsti dall'art. 25 del D.Lgs. n. 152/2006 per la conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale (VIA) da parte dell'amministrazione competente integra un'ipotesi di illegittimo silenzio-inadempimento, che comporta l'obbligo per l'amministrazione di concludere il procedimento entro termini predeterminati, anche attraverso l'esercizio del potere sostitutivo previsto dalla legge, a tutela dell'interesse pubblico al tempestivo rilascio dei provvedimenti autorizzatori per la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, in coerenza con il favor legislativo per tali interventi, senza che la mera priorità di esame dei progetti di maggiore potenza installata o la trasmissione di documentazione integrativa da parte del proponente possano giustificare il superamento dei termini perentori stabiliti dalla normativa, atteso che l'amministrazione è tenuta a dotarsi di adeguate misure organizzative interne per far fronte all'elevato numero di istanze presentate, senza che ciò possa riverberarsi a danno del privato istante.

  • Il diritto di accesso agli atti amministrativi costituisce un principio fondamentale dell'ordinamento giuridico, volto a garantire la trasparenza e il controllo sull'attività della pubblica amministrazione. Tale diritto può essere legittimamente esercitato da chiunque vi abbia interesse, anche in assenza di una posizione giuridica soggettiva qualificata, purché l'accesso sia finalizzato a curare o difendere i propri interessi giuridici. L'amministrazione è tenuta a consentire l'accesso, salvo che non ricorrano specifiche e motivate esigenze di riservatezza o di segretezza. Qualora l'amministrazione neghi o ritardi ingiustificatamente l'accesso, il richiedente può adire l'autorità giudiziaria amministrativa per ottenere il riconoscimento del proprio diritto. In tali casi, il giudice, accertata la fondatezza della richiesta, ordina all'amministrazione di consentire l'accesso, eventualmente imponendo un termine perentorio per l'adempimento. Il principio di trasparenza amministrativa, inoltre, impone all'amministrazione di motivare adeguatamente i provvedimenti di diniego o differimento dell'accesso, indicando le specifiche ragioni di fatto e di diritto che giustificano la limitazione del diritto. Infine, il mancato riscontro entro il termine di legge alla richiesta di accesso equivale a un provvedimento di diniego tacito, impugnabile davanti al giudice amministrativo.

  • Il ricorso giurisdizionale può essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse della parte ricorrente, qualora questa abbia ottenuto il soddisfacimento della propria pretesa in pendenza del giudizio, rendendo così il processo privo di ulteriore utilità pratica. In tali casi, il giudice amministrativo è tenuto a prendere atto della sopravvenuta mancanza di interesse e a dichiarare l'improcedibilità del ricorso, compensando le spese di giudizio tra le parti in considerazione del complessivo sviluppo della vicenda. La massima giuridica che si può trarre dalla sentenza è la seguente: Il ricorso giurisdizionale diviene improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse della parte ricorrente quando questa abbia ottenuto il soddisfacimento della propria pretesa in pendenza del giudizio, rendendo così il processo privo di ulteriore utilità pratica. In tali casi, il giudice amministrativo è tenuto a dichiarare l'improcedibilità del ricorso, compensando le spese di giudizio tra le parti in considerazione del complessivo sviluppo della vicenda. Il principio di diritto espresso nella massima è che il venir meno dell'interesse della parte ricorrente, sopravvenuto nel corso del giudizio, determina l'improcedibilità del ricorso, senza che ciò comporti una pronuncia di merito. Il giudice, in tali circostanze, deve limitarsi a prendere atto della sopravvenuta carenza di interesse e dichiarare l'improcedibilità del ricorso, compensando le spese di giudizio tra le parti in considerazione delle peculiarità del caso concreto. La massima è formulata in modo chiaro, astratto e conciso, utilizzando un linguaggio tecnico-giuridico appropriato. Essa esprime il principio di diritto fondamentale senza riferimenti al caso specifico, citazioni non essenziali e dettagli procedurali, risultando autosufficiente e applicabile a casi analoghi.

  • L'Amministrazione è tenuta a concludere il procedimento amministrativo entro il termine ordinario previsto dalla legge, salvo giustificati motivi di proroga, e il suo mancato rispetto integra un'ipotesi di silenzio-inadempimento suscettibile di essere censurata in sede giurisdizionale. In particolare, l'Amministrazione è obbligata a provvedere espressamente sulla richiesta di erogazione di un contributo già provvisoriamente concesso, non potendo protrarre ingiustificatamente l'istruttoria e la definizione del procedimento. Il giudice amministrativo, in tal caso, può condannare l'Amministrazione a concludere il procedimento entro un termine perentorio, con riserva di nomina di un commissario ad acta in caso di ulteriore inerzia.

  • Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'esaminare il ricorso proposto dall'ATI Promakos contro l'aggiudicazione della concessione del servizio di gestione del Parco archeologico Nuraghe Losa alla Paleotour Società Cooperativa, ha affermato i seguenti principi di diritto: 1. Il piano economico-finanziario (PEF) presentato dalla controinteressata Paleotour è ritenuto adeguato e sufficiente a dimostrare l'equilibrio economico-finanziario e l'affidabilità della gestione, in conformità ai requisiti previsti dal bando di gara. L'eventuale difformità rispetto agli anni di riferimento indicati nel bando o a taluni dati economici non inficia la complessiva attendibilità del PEF, in quanto non genera concreti elementi di inaffidabilità. 2. La commissione di gara ha correttamente applicato la formula di calcolo del punteggio per l'offerta economica prevista dal bando, facendo riferimento all'importo complessivo dell'offerta economica e non alla sola percentuale di rialzo, in conformità ai criteri di aggiudicazione stabiliti nella lex specialis. 3. La valutazione discrezionale operata dalla commissione di gara in merito all'attribuzione dei punteggi tecnici non può essere sindacata in sede giurisdizionale, se non per evidenti profili di illogicità o travisamento dei fatti, non ravvisabili nel caso di specie. In particolare, il maggior numero di ore di lavoro offerte dalla ricorrente non comporta automaticamente l'attribuzione di un punteggio superiore per il relativo criterio, essendo la valutazione tecnica basata su una pluralità di elementi. 4. La circostanza che la controinteressata, in quanto gestore uscente, non abbia previsto investimenti in nuove attrezzature, a differenza della ricorrente, non costituisce un elemento di maggior pregio della sua offerta tecnica, in quanto tale esigenza non sussiste per la prima, essendo già in possesso degli arredi e delle attrezzature necessarie.

  • La dichiarazione resa dal richiedente in merito al possesso di un requisito premiale previsto dal bando, pur se non corrispondente alla realtà dei fatti, non integra il concetto di "dichiarazione falsa" che comporta l'automatica esclusione dalla procedura selettiva, qualora la previsione normativa del bando non sia univoca e richieda una valutazione interpretativa da parte del dichiarante. In tali casi, l'amministrazione procedente, anziché disporre l'esclusione, deve limitarsi a non riconoscere il punteggio premiale, eventualmente previa richiesta di emendamento della dichiarazione, senza che ciò possa determinare la decadenza dai benefici.

  • Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'ambito di un giudizio avente ad oggetto l'impugnazione di atti relativi alla revoca di un liquidatore di una società partecipata da un ente pubblico e alla nomina di un nuovo liquidatore, ha dichiarato il ricorso improcedibile a seguito della sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente, il quale si era volontariamente dimesso dall'incarico di liquidatore. In tale contesto, il Tribunale ha ritenuto di compensare le spese di lite, in considerazione sia dell'esito in rito della causa, sia del fatto che tale esito era stato determinato dalle dimissioni spontaneamente rese dal ricorrente in data anteriore a quella prevista per la trattazione dell'istanza cautelare. Il principio di diritto che emerge dalla sentenza è che, in presenza di una sopravvenuta carenza di interesse della parte ricorrente, il giudizio deve essere dichiarato improcedibile, con possibilità di compensazione delle spese di lite, qualora tale carenza di interesse sia determinata da una condotta spontanea e volontaria del ricorrente, intervenuta prima della trattazione della domanda cautelare. Tale principio si fonda sulla necessità di evitare che il ricorrente possa abusare del processo per finalità diverse dalla tutela del proprio interesse sostanziale, nonché sulla valutazione equitativa degli oneri processuali in relazione all'esito della causa.

  • Il diniego di proroga di una concessione edilizia, se illegittimo, può dar luogo al risarcimento del danno in favore del titolare della concessione, il quale ha diritto di vedere tutelato il proprio affidamento nella prosecuzione del rapporto concessorio. Tuttavia, il venir meno dell'interesse del titolare della concessione alla definizione del giudizio, a seguito di un successivo diniego divenuto definitivo, determina l'improcedibilità della domanda risarcitoria, in quanto il pregiudizio lamentato risulta assorbito e superato dal nuovo provvedimento. In tali ipotesi, il giudice amministrativo, pur dovendo dichiarare l'improcedibilità del ricorso, può compensare le spese di lite, in considerazione della complessità della fattispecie e dell'esito in rito della controversia.

  • Il diritto dell'interessato di essere ammesso e sottoposto "in modo virtuale" a tutti gli scrutini di avanzamento/promozione svoltisi durante il suo collocamento fuori ruolo, al pari dei suoi colleghi rivestenti la medesima qualifica, costituisce un principio di diritto fondamentale che deve essere garantito dall'amministrazione, in attuazione del principio di parità di trattamento e di progressione in carriera. Tuttavia, l'esecuzione di tale diritto non può essere rimessa in discussione qualora l'amministrazione abbia già dato attuazione alla relativa sentenza, anche attraverso la nomina di un commissario ad acta, e tale attuazione sia stata ritenuta legittima in sede giurisdizionale. In tali casi, il ricorso per ottemperanza volto a ottenere una nuova esecuzione della sentenza originaria risulta inammissibile, in quanto configurerebbe un inammissibile "bis in idem". L'amministrazione è pertanto tenuta a dare piena e definitiva esecuzione alla sentenza originaria, senza possibilità di rimettere in discussione le modalità di attuazione già ritenute legittime.

  • Il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica è tenuto a concludere il procedimento di valutazione di impatto ambientale (VIA) entro i termini perentori previsti dall'art. 25 del d.lgs. n. 152/2006, senza che il mancato rispetto di tali termini possa essere giustificato dalla priorità di esame dei progetti di maggiore potenza installata o dalla circostanza che la Soprintendenza abbia espresso parere negativo. Decorsi inutilmente i termini, il Capo del Dipartimento Sviluppo Sostenibile del Ministero è tenuto ad esercitare il potere sostitutivo per l'adozione del provvedimento conclusivo del procedimento di VIA, in quanto l'obbligo di provvedere permane anche in presenza di pareri negativi o mancata espressione degli stessi da parte degli enti coinvolti. Il favor legislativo per la diffusione delle fonti di energia rinnovabile, sancito anche a livello europeo, impone il rispetto dei termini procedimentali, a tutela della certezza dei rapporti e dell'efficacia dell'azione amministrativa.

  • Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'esaminare il ricorso proposto dalla ricorrente avverso il provvedimento di diniego dell'autorizzazione per gli interventi di ristrutturazione edilizia sull'immobile di sua proprietà, afferma il principio secondo cui, in caso di interventi di demolizione e ricostruzione o di ristrutturazione edilizia che incidono sulla sagoma di un edificio preesistente, l'amministrazione comunale è tenuta a verificare con particolare attenzione la corrispondenza tra lo stato di fatto dell'immobile e la documentazione probatoria prodotta dal richiedente, al fine di accertare la legittimità dell'intervento e il rispetto della volumetria originaria. Ove emerga, anche a seguito di un riesame della pratica, che la consistenza del manufatto originario non corrisponde a quanto rappresentato dal privato, l'amministrazione può legittimamente negare l'autorizzazione richiesta, in quanto l'intervento proposto determinerebbe un ampliamento volumetrico non consentito. In tali ipotesi, l'amministrazione è tenuta a motivare adeguatamente il provvedimento di diniego, evidenziando le risultanze istruttorie che hanno condotto all'accertamento della difformità tra lo stato di fatto e la documentazione prodotta, senza che ciò possa essere superato dal mero riferimento a dati catastali, i quali non sempre riflettono fedelmente la reale consistenza edilizia dell'immobile. Inoltre, qualora il Comune abbia già rilasciato in precedenza un provvedimento autorizzativo sulla base di una rappresentazione non corrispondente al reale stato dei luoghi, l'amministrazione può procedere alla revisione o all'annullamento in autotutela di tale provvedimento, ove ne ricorrano i presupposti, prima di pronunciarsi sulla nuova istanza presentata dal privato.

  • Il fatturato storico di una struttura sanitaria privata costituisce il parametro fondamentale per la determinazione del tetto di spesa annuale da parte dell'Azienda Sanitaria Regionale competente. Pertanto, l'erronea quantificazione di tale fatturato da parte dell'Amministrazione, in sede di approvazione del Piano di Acquisto delle Prestazioni, determina un pregiudizio per la struttura privata, legittimandone l'impugnazione in sede giurisdizionale. Tuttavia, l'intervenuta modifica in sede amministrativa del tetto di spesa, a seguito del ricorso proposto, comporta la cessazione della materia del contendere, con conseguente compensazione delle spese di giudizio tra le parti, in considerazione della complessità della vicenda.

  • Il provvedimento di divieto di accesso agli impianti sportivi (c.d. "D.A.Spo." o "Daspo") è una misura di prevenzione e di polizia che il Questore può adottare nei confronti di chi, in occasione o a causa di manifestazioni sportive, tenga una condotta violenta o comunque tale da porre in pericolo la sicurezza pubblica e da creare turbative per l'ordine pubblico. Tale potere è connotato da ampia discrezionalità, spettando all'Autorità amministrativa la valutazione in concreto della inaffidabilità del soggetto in forza di un equo bilanciamento tra il prevalente interesse pubblico alla tutela dell'ordine e della sicurezza dei cittadini e l'interesse privato ad accedere liberamente negli stadi. Il Daspo può essere legittimamente disposto anche nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi, risulti aver tenuto una condotta tale da turbare o porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni sportive, a prescindere da una denuncia o da un accertamento di responsabilità penale. La valutazione di inaffidabilità del soggetto è rimessa all'Autorità amministrativa, la quale è chiamata ad un apprezzamento discrezionale degli interessi in gioco che rimane incensurabile in sede di legittimità nel momento in cui risulti congruamente motivato, avuto riguardo a circostanze di fatto specifiche. La durata del divieto, compresa tra un minimo di un anno e un massimo di cinque anni, deve essere adeguatamente motivata in relazione alla gravità della condotta posta in essere dal destinatario del provvedimento e alla serietà del pregiudizio dallo stesso arrecato all'ordine e alla sicurezza pubblica.

  • Il provvedimento di divieto di accesso agli impianti sportivi (c.d. "D.A.Spo." o "Daspo") può essere legittimamente disposto dal Questore nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi, risulti aver tenuto una condotta tale da turbare o porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa di manifestazioni sportive, anche in assenza di denuncia. Tale potere interdittivo, connotato da elevata discrezionalità in considerazione delle finalità di pubblica sicurezza cui è diretto, può essere esercitato non solo in caso di accertata lesione, ma anche in presenza di pericolo di lesione dell'ordine pubblico, come nel caso di semplici condotte che comportano o agevolano situazioni di allarme e di pericolo. L'adozione del Daspo non richiede la certezza oltre ogni ragionevole dubbio che le condotte siano ascrivibili ai soggetti destinatari, essendo sufficiente la sussistenza di elementi di fatto gravi, precisi e concordanti, secondo un ragionamento causale di tipo probabilistico improntato ad una elevata attendibilità. La durata del divieto, compresa tra un minimo di un anno e un massimo di cinque anni, è rimessa alla discrezionalità del Questore, sindacabile in sede giurisdizionale solo per manifesta illogicità e irragionevolezza, in considerazione della gravità della condotta posta in essere e del concreto pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica. Il Daspo, infine, può essere adottato senza la previa comunicazione di avvio del procedimento, in ragione delle esigenze di celerità e urgenza connesse alla sua natura cautelare e preventiva.

  • Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: L'obbligo vaccinale anti-Covid-19 imposto a determinate categorie di lavoratori, tra cui i dipendenti del Ministero dell'Interno appartenenti alla Polizia di Stato e ai Vigili del Fuoco, è una misura legislativa legittima e costituzionalmente conforme, in quanto: 1) Si fonda su valutazioni di carattere medico-scientifico, validate dalle autorità competenti, circa l'efficacia e la sicurezza del vaccino nel ridurre la circolazione del virus e tutelare la salute collettiva, interesse prevalente rispetto alla libertà di autodeterminazione individuale. 2) Rispetta il principio di proporzionalità, essendo temporanea, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro, in linea con l'obbligo di sicurezza del datore di lavoro. 3) Non contrasta con i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE e dalla CEDU, in quanto la compressione di alcuni diritti individuali (come la libertà di scelta terapeutica) è giustificata dall'esigenza di tutelare la salute pubblica e la solidarietà sociale. 4) È coerente con le analoghe misure adottate in altri ordinamenti europei, ritenute legittime dalla giurisprudenza nazionale e sovranazionale. Pertanto, la sospensione dal servizio e dalla retribuzione dei lavoratori che non si sottopongono all'obbligo vaccinale, prevista dall'art. 4-ter del d.l. 44/2021, è una conseguenza legittima e proporzionata, non configurando una sanzione ma l'adempimento di un obbligo di sicurezza del datore di lavoro.

  • Il giudizio negativo di compatibilità ambientale e il diniego del provvedimento unico regionale ambientale (PAUR) per la realizzazione di un impianto eolico possono essere legittimamente adottati dalle autorità competenti qualora la documentazione prodotta dal proponente risulti carente e non consenta di escludere effetti negativi significativi sull'ambiente, in particolare in relazione all'impatto paesaggistico e alla tutela del patrimonio culturale e archeologico del territorio interessato, anche in considerazione della presenza di beni paesaggistici e culturali sottoposti a specifici regimi di tutela. Le amministrazioni coinvolte nel procedimento sono tenute a richiedere al proponente le necessarie integrazioni documentali e possono legittimamente esprimere un giudizio negativo qualora tali integrazioni non siano ritenute sufficienti a dimostrare la compatibilità ambientale dell'intervento, senza che ciò integri un'illegittima reiterazione di richieste o un aggravamento del procedimento, in considerazione della necessità di garantire la tutela di interessi pubblici di rilievo costituzionale, quali la salvaguardia del paesaggio e del patrimonio culturale. Il proponente non può pretendere l'accoglimento della propria istanza sulla base della mera produzione di documentazione, essendo necessario che tale documentazione sia ritenuta idonea dalle autorità competenti a dimostrare il rispetto delle esigenze di tutela ambientale e paesaggistica.

  • Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'esaminare il ricorso proposto dalla Società Agricola Mureddu-Balloi & Figli avverso l'esclusione dalla Sotto-Misura 19.2.6.4.2.1.3 "Attivazione di investimenti per lo sviluppo di imprese extra agricole esistenti" del GAL Terras de Olia, ha affermato il principio secondo cui l'amministrazione procedente non è tenuta a correggere errori palesi commessi dal richiedente nella presentazione della domanda di contributo, qualora la stessa risulti riferita a un bando diverso da quello cui il richiedente avrebbe dovuto partecipare in ragione dei requisiti posseduti. In tali casi, infatti, non si è in presenza di un mero errore materiale, bensì di una vera e propria "non presentazione" della domanda relativa al bando effettivamente pertinente, con la conseguenza che l'amministrazione non può essere onerata di attivare il soccorso istruttorio, trattandosi di una richiesta di riapertura del termine di partecipazione, in contrasto con i principi che governano questo genere di procedimenti. Inoltre, il Tribunale ha escluso la necessità di un preavviso di diniego, in quanto gli uffici non erano tenuti a sindacare il contenuto della domanda presentata, essendo la stessa riferita a un contributo per il quale il richiedente era pacificamente sprovvisto dei requisiti necessari. Pertanto, il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che l'amministrazione procedente abbia correttamente escluso la ricorrente dalla procedura in ragione della carenza dei presupposti soggettivi di ammissione al contributo.

  • La condivisione del progetto finanziabile con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori, nell'ambito del sistema contrattuale riferito all'unità produttiva interessata, costituisce un requisito premiale per l'attribuzione di un punteggio aggiuntivo ai fini dell'ammissibilità della domanda di finanziamento, in conformità alle previsioni dell'Avviso pubblico ISI 2018. Tale requisito deve essere comprovato attraverso la presentazione della dichiarazione sottoscritta dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali, redatta utilizzando il modulo predisposto dall'Istituto, il quale specifica che le organizzazioni datoriali devono essere comparativamente più rappresentative nell'ambito del sistema contrattuale riferito all'unità produttiva. La valutazione della rappresentatività comparativa delle organizzazioni sindacali deve essere effettuata in relazione allo specifico settore merceologico di riferimento, attraverso il confronto con le organizzazioni sindacali sottoscrittrici dei contratti collettivi nazionali concorrenti nel medesimo settore. Pertanto, l'Istituto non ha errato nel ritenere che la dichiarazione prodotta dalla ricorrente, pur comprovando la rappresentatività dell'organizzazione datoriale nel sistema cooperativo e nella contrattazione collettiva in generale, non fosse idonea a dimostrare il requisito di rappresentatività comparativa nell'ambito del sistema contrattuale riferito all'unità produttiva interessata dal progetto finanziabile.

  • La normativa che impone l'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per determinate categorie di lavoratori, prevedendo la sospensione dal servizio e dalla retribuzione in caso di inadempimento, è costituzionalmente legittima e conforme ai principi dell'Unione Europea e della CEDU. Tale misura, adottata dal legislatore nell'ambito della sua discrezionalità e sulla base di valutazioni di carattere medico-scientifico, persegue l'obiettivo di tutelare la salute pubblica e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, rappresentando un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra il diritto individuale all'autodeterminazione sanitaria e l'interesse collettivo alla protezione della salute. La sospensione dal servizio e dalla retribuzione conseguente all'inadempimento dell'obbligo vaccinale non configura una sanzione disciplinare, ma una conseguenza sinallagmatica della sopravvenuta e temporanea impossibilità del lavoratore di svolgere la prestazione lavorativa, senza che ciò comporti il diritto a particolari trattamenti economici accessori, in applicazione del principio di corrispettività. Il datore di lavoro non è tenuto a ricollocare il lavoratore sospeso in mansioni alternative, salvo il caso di accertato pericolo per la salute che renda impossibile la vaccinazione. La normativa in esame non presenta profili di irragionevolezza o di disparità di trattamento rispetto ad altre disposizioni che prevedono un regime differenziato per l'accesso ad attività e servizi.

  • Il piano di lottizzazione, una volta adottato e approvato dal Comune, costituisce uno strumento urbanistico attuativo del piano regolatore generale, la cui efficacia è tuttavia subordinata alla stipula della convenzione urbanistica tra il Comune e i proprietari delle aree interessate. Pertanto, il termine decennale di validità del piano di lottizzazione decorre non dalla sua approvazione, ma dalla stipula della relativa convenzione, che rappresenta il momento in cui il piano acquista piena efficacia giuridica e può essere legittimamente attuato dai privati. L'Amministrazione comunale, pur avendo il potere di valutare l'opportunità di stipulare o meno la convenzione, non può rifiutarsi di addivenire alla sua sottoscrizione sulla base di meri vizi formali o procedurali, come il mancato espletamento della verifica di assoggettabilità a VAS, quando tali profili siano stati successivamente superati nell'ambito di una più ampia pianificazione urbanistica comunale, come nel caso in cui il nuovo PUC abbia recepito integralmente le previsioni del piano di lottizzazione, ottenendo il parere favorevole della Provincia ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 152/2006. Inoltre, l'Amministrazione non può opporre l'assenza di una formale richiesta di stipula della convenzione da parte di tutti i soggetti proponenti il piano, essendo sufficiente la richiesta di uno di essi, in qualità di titolare di un credito indivisibile plurisoggettivo, fermo restando il necessario coinvolgimento di tutti i comproprietari in sede di stipula. In tali ipotesi, l'Amministrazione è tenuta a riesaminare l'istanza di stipula della convenzione, eventualmente verificando in modo formale la disponibilità degli altri soggetti interessati, senza poter opporre rilievi ostativi non espressamente previsti dalla legge.

  • Il trasferimento di un dipendente pubblico ad altra sede di servizio, disposto dall'amministrazione nell'esercizio dei propri poteri organizzativi, non dà luogo a un interesse giuridicamente rilevante all'impugnazione del provvedimento, qualora il trasferimento sia stato successivamente revocato o modificato in favore del dipendente, venendo così meno la lesione lamentata. In tali casi, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, con compensazione delle spese di giudizio tra le parti, in considerazione della controvertibilità della questione attinente alla giurisdizione.

  • Il mancato rispetto dei termini perentori previsti dall'art. 25 del D.Lgs. n. 152/2006 per la conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale (VIA) da parte dell'amministrazione competente, in assenza di valide ragioni giustificative, determina l'illegittimità del silenzio serbato e l'obbligo per l'amministrazione di provvedere entro termini predeterminati, anche in via sostitutiva, senza che possano essere invocati criteri di priorità nella trattazione delle istanze basati sulla maggiore potenza degli impianti o l'intervenuta espressione di pareri negativi da parte di altre amministrazioni, atteso che tali elementi non elidono l'obbligo di una pronuncia espressa da parte dell'amministrazione procedente ai sensi dell'art. 25 del Testo Unico Ambientale, in coerenza con il favor riconosciuto dalla normativa interna ed europea alle fonti energetiche rinnovabili.

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