Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Sicilia

Ricerca semantica

Risultati di ricerca:

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1692 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da Gi. Sp. ed a, rappresentati e difesi dall'avv.to Um. Il., con domicilio digitale corrispondente alla PEC indicata negli scritti difensivi, e domicilio fisico eletto presso lo studio dell'avv.to Ni. Bu. in Palermo, Via (...); contro Presidente Regione Siciliana, Regione Sicilia - Assessorato Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea - Dipartimento Sviluppo Rurale e Territoriale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distr.le dello Stato, con domicilio digitale corrispondente alla PEC come da registri di giustizia, e domicilio fisico ex lege presso la sua sede in Palermo, Via (...); nei confronti Ag. Societa Agricola Semplice, Ma. Xi. Societa Agricola Semplice, Et. Ir. Ma., Ma. Gr. La Ba., Ca. Ro. Me., non costituitisi in giudizio; per l'annullamento Ricorso introduttivo - DEL D.D.G. DELL'ASSESSORATO AGRICOLTURA, SVILUPPO RURALE E PESCA MEDITERRANEA, DIPARTIMENTO AGRICOLTURA DEL 30/4/2019 N. 766, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI E DEI PUNTEGGI DEFINITIVI DELLE ISTANZE DI SOSTEGNO AMMISSIBILI E NON, SUL PSR SICILIA 2014-20, SOTTO-MISURA 6.1 "AIUTI ALL'AVVIAMENTO DI IMPRESE PER GIOVANI AGRICOLTORI", E IN PARTICOLARE DELL'ART. 5; - OVE OCCORRA, DEL D.D.G. 10/8/2018 N. 1916 E 20/8/2018 N. 1920, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI PROVVISORI E DEGLI ELENCHI PROVVISORI RETTIFICATI; - DEL D.D.G. 1/4/2019 N. 489; - OVE OCCORRA, DEL D.D.G. 30/5/2019 N. 1098 E DEL D.D.G. 31/5/2019 N. 1111; - DI OGNI ALTRO ATTO ANNESSO, CONNESSO, PRESUPPOSTO E/O CONSEQUENZIALE, COMPRESI IL BANDO DELLA SOTTO-MISURA 6.1 E DI QUELLE COLLEGATE, NONCHÉ LE DISPOSIZIONI SPECIFICHE ATTUATIVE. Motivi aggiunti depositati il 9/11/2019 - DEL. D.D.G. 3/10/2019 N. 2473, RECANTE LA VERSIONE AGGIORNATA DEGLI ELENCHI DEFINITIVI DELLE ISTANZE AMMISSIBILI E NON, CONFERMANDO LA SUDDIVISIONE DELLE DOTAZIONI FINANZIARIE; - DELL'AVVISO PUBBLICO 3/10/2019, DI INDIVIDUAZIONE DELLE ISTANZE AMMISSIBILI; - DELLA NOTA DIRIGENZIALE 30/9/2019, DI CORREZIONE DI ALCUNI ERRORI NEL POSIZIONAMENTO DI ALCUNI BENEFICIARI E ALTRE RETTIFICHE; - DEL D.D.G. 31/7/2019 N. 1606, DI APPROVAZIONE DEGLI ELENCHI DEFINITIVI DELLA SOTTO-MSURA 6.1, CON CONFERMA DELLA RIPARTIZIONE TRA DOTAZIONI; - DEL D.D.G. 9/8/2019 N. 1739, DI CONFERMA DELLA SUDDIVISIONE PER LA SOTTO-MISURA 6.1; - DELL'AVVISO PUBBLICO 9/8/2019; - DEL VERBALE DEL GRUPPO DI RIESAME 30/7/2019 PER LA SOTTO-MISURA 6.1; - OVE OCCORRA DELL'AVVISO PUBBLICO 4/9/2019 PUBBLICATO IL GIORNO SUCCESSIVO; - DELLA NOTA DIRIGENZIALE 25/9/2019; - DELL'AVVISO PUBBLICO 27/9/2019 PUBBLICATO IN PARI DATA; - DEGLI ELENCHI PROVINCIALI NOMINATIVI DEI BENEFICIARI; - DI OGNI ALTRO ATTO ANNESSO, CONNESSO, PRESUPPOSTO E/O CONSEQUENZIALE. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Presidente Regione Siciliana e di Regione Sicilia - Assessorato Agricoltura, Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea - Dip.To Sviluppo Rurale e Territoriale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 17 maggio 2024 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO A. Espongono i ricorrenti che il 29/5/2017 l'Assessorato intimato pubblicava un bando relativo alla sotto-misura 6.1 "Aiuti all'avviamento di imprese per i giovani agricoltori", attraverso un premio forfettario di insediamento per promuovere il ricambio generazionale nel settore primario siciliano. B. L'art. 3 del bando individuava la dotazione finanziaria complessiva in 235.000.000 Euro, di cui 40.000.000 Euro per la sotto-misura 6.1 e gli ulteriori importi ripartiti tra 4.1 "Sostegno a investimenti nelle aziende agricole" (160.000.000 Euro), 6.4.a "Investimenti per creazione e sviluppo di attività extra-agricole..." (25.000.000 Euro) e 8.1 "Sostegno alla forestazione e/o rimboschimento" (10.000.000 Euro). Il termine ultimo di presentazione delle istanze era fissato nel 18/10/2017 (art. 6 della lex specialis) poi prorogato al 13/1/2018 per quelle cartacee. C. Rappresentano gli esponenti che, in data 15/9/2017, il Dirigente Generale divulgava un avviso nel quale, dopo aver richiamato le dotazioni del "Pacchetto giovani" e il complessivo stanziamento - nonché la quota per la sotto-misura 6.1 - puntualizzava testualmente che "... la dotazione finanziaria complessiva, assegnata alle sottomisure collegate (4.1, 6.4.a, 8.1), pari a Euro 195.000.000,00, sarà utilizzata indistintamente per il finanziamento delle pratiche relative a dette sottomisure sino al raggiungimento dei 1.000 insediamenti previsti dal bando. Le dotazioni finanziarie riportate nel bando per singola sottomisura e operazioni, come già precisato nello stesso bando, sono da considerare, pertanto, come previsionali". D. Secondo la prospettazione di parte ricorrente detta rettifica, nel rideterminare un'unica e indistinta provvista finanziaria, sarebbe coerente con la finalità del bando, che è quella di favorire l'insediamento di giovani agricoltori e il ricambio generazionale (fabbisogno F05, Focus Area 2b), e di incidere sul tema trasversale dell'innovazione. Ciò che conta sarebbe l'ingresso e l'insediamento dei giovani nel settore e nelle zone rurali, a prescindere dalla specifica attività posta in essere. E. Sostengono i ricorrenti che l'avviso è stato divulgato in pendenza del termine di inoltro delle domande, così da condizionare l'elaborazione dei progetti sulla base delle nuove regole del gioco: in particolare, essi avrebbero optato per la sotto-misura 6.4.a malgrado fosse meno conveniente sotto il profilo dei vantaggi economici (75% di contributo a fondo perduto con un massimo di 200.000 Euro, diversamente dalla 4.1 con un tetto del 70% con un massimo di 450.000 Euro), per il punteggio più elevato conseguibile agevolmente in base ai criteri introdotti. La riprova si rinverrebbe nelle numerose domande presentate dagli aspiranti per la 6.4.a accanto alla 6.1, finalizzate ad accettare un ammontare inferiore ma con una migliore collocazione in graduatoria e maggiori chance di ottenere il finanziamento. F. I successivi D.D.G. di approvazione degli elenchi provvisori delle istanze ammissibili (n. 1916 del 10/8/2018, n. 1920 del 20/8/2018, n. 489 dell'1/4/2019 (quest'ultimo di implementazione di 25.000.000 Euro per la voce 6.1), non si diffondevano sulla suddivisione della dotazione finanziaria, per cui gli istanti confidavano nella clausola riportata nell'avviso 15/9/2017 (ripartizione unitaria). Il D.D.G. 30/4/2019 n. 766 pubblicato il 2/5 successivo disponeva viceversa all'art. 5 che "al finanziamento delle domande di aiuto ammissibili... si farà fronte con le risorse pubbliche in dotazione al bando, pari ad euro 65.000.000 per la Sottomisura 6.1 e con le risorse pubbliche per le sottomisure attivabili con il pacchetto giovani pari ad euro 160.000.000 per la Sottomisura 4.1., ad euro 25.000.000 per la Sottomisura 6.4.a e ad euro 10.000.000 per la Sottomisura 8.1". In tal modo è stata re-inserita (ad avviso degli esponenti in modo illegittimo) la clausola di ripartizione degli stanziamenti tra le diverse iniziative pur correlate. G. Lamentano i ricorrenti che, nella graduatoria unica, i progetti dei giovani che hanno presentato domanda per la sottomisura 6.4.a. si collocano tra i primi 1.000 in posizione utile per ottenere l'aiuto laddove, per converso, la suddivisione delle risorse operata col D.D.G. n. 766 preclude di ottenere il finanziamento vista la riduzione del plafond a soli 25.000.000 Euro con conseguente delimitazione a 136 della platea degli aventi diritto per progetti della sottomisura 6.4.a. Malgrado gli effetti del D.D.G. 31/5/2019 n. 1111 che ha sospeso i provvedimenti di approvazione degli elenchi definitivi in attesa delle decisioni sulle istanze di riesame, parte ricorrente impugna la D.D.G. n. 766/2019, deducendo in diritto la violazione del programma di sviluppo rurale della Regione Sicilia 2014-2020 approvato dalla Commissione Europea con decisione 8403/2015 e successiva decisione 20/12/2016 n. 8969, la violazione degli obiettivi del fabbisogno F05 e della Focus Area 2B, l'inosservanza dell'Avviso del 15/9/2017, l'eccesso di potere sotto plurimi profili (sviamento, deficit istruttorio, illogicità, contraddittorietà, lesione par condicio, correttezza, buona fede e affidamento, buon andamento e imparzialità, efficienza e trasparenza) dato che: - l'avviso 15/9/2017, a procedura concorsuale aperta, ha indicato con precisione che le somme complessivamente stanziate sarebbero state accorpate in un'unica dotazione per finanziare i progetti delle sotto-misure fino a raggiungere 1.000 insediamenti nella graduatoria unitaria; - gli interessati sono stati indotti a formulare istanza per la misura 6.4.a, pur meno appetibile economicamente ma con più facili riconoscimenti in termini di punteggio e maggiore probabilità di collocarsi in posizione utile nell'elenco finale; - è contrario alla par condicio modificare i criteri (ben definiti dall'Avviso 15/9/2017) in un momento successivo alla presentazione e valutazione delle domande, con penalizzazione di chi ha confidato nell'utilizzo indistinto delle risorse (lo stravolgimento postumo è contrario a buona fede); - la trasfusione in un unico collettore risponde alla logica ragione, già indicata in fatto, di favorire l'ingresso e l'insediamento di giovani in agricoltura e nelle zone rurali, a prescindere alla sotto-misura; - inoltre, la separazione postuma dei plafond e delle graduatorie pone il problema della dotazione alla quale concorre chi ha inoltrato domanda per più sotto-misure (che otterrà il contributo per una sola sotto-misura, mettendo a rischio l'intero programma d'investimento), mentre con la graduatoria e con l'ammontare unico i progetti sono plasticamente premiati in base al punteggio e al posto progressivo in elenco; - anche se fosse legittima la scelta postuma, l'Assessorato avrebbe dovuto prevedere diverse graduatorie e non una soltanto. G.1 Parte ricorrente chiede l'autorizzazione alla notifica mediante pubblici proclami. H. L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio. I. Nel seguito si sono susseguiti atti amministrativi di verifica delle domande di riesame (cfr. verbale 30/7/2019), conferma e rettifica delle precedenti determinazioni. Con D.D.G. 3/10/2019 n. 2473, pubblicato in pari data, veniva approvata la versione aggiornata degli elenchi definitivi delle istanze ammissibili e non per la sotto-misura 6.1, con conferma della suddivisione delle dotazioni finanziarie già disposta con D.D.G. 766/2019 (gravato con l'atto introduttivo del giudizio). Con Avviso 3/10/2019 sono state individuate le domande finanziabili. I.1 Chiariscono i ricorrenti che, dopo le modifiche intervenute, potrebbero beneficiare degli assestamenti della graduatoria, ma prudenzialmente insorgono tutti quanti perché la situazione è fluida con altri ricorsi pendenti e i punteggi potrebbero essere ancora rivisti. L'accoglimento del presente gravame soddisferebbe tutti gli esponenti, o perché migliorerebbero la posizione o perché la "blinderebbero". L. Con motivi aggiunti depositati il 9/11/2019 parte ricorrente impugna gli atti in epigrafe, deducendo in diritto la stessa articolata doglianza dedotta nell'atto introduttivo. M. Nelle proprie difese, l'amministrazione sottolinea che la nota dirigenziale del 15/9/2017 (consistente in un avviso non protocollato) contiene una mera indicazione del Dirigente Generale pro tempore di una possibile ripartizione delle risorse finanziarie, che non si è mai concretizzata attraverso l'adozione di un successivo provvedimento amministrativo di annullamento o modifica di quanto previsto nel bando: le prescrizioni stabilite nella lex specialis vincolerebbero sia i concorrenti che la stessa amministrazione, la quale non conserva alcun margine di discrezionalità nella loro concreta attuazione e applicazione. Osserva che l'uso indistinto delle risorse sarebbe in contrasto con le linee di priorità, le strategie di intervento, gli obiettivi specifici stabiliti nel Programma Sviluppo Rurale Sicilia 2014-2020 approvato dalla Commissione Europea (decisione 8403/2015, adottata con DGR 27/2/2018 n. 96 allegato D). La decisione sul ricorso straordinario del CGA avrebbe erroneamente attribuito all'avviso del 15/9/2017 la funzione di bando concorsuale, quando era privo di forma e requisiti, e soprattutto non era stato sottoposto all'approvazione del Comitato di Sorveglianza ex regolamento UE 1305/2013. Non sarebbe un caso che la somma di gran lunga maggiore sia stata stanziata per la misura 4.1 di sostegno a investimenti nelle aziende agricole, perché questo era l'obbiettivo più importante, concordato con la Commissione Europea e dalla stessa approvato. N. All'udienza straordinaria del 17/5/2024 il gravame introduttivo e i motivi aggiunti sono stati chiamati per la discussione e trattenuti in decisione. DIRITTO Con il gravame epigrafe, gli esponenti lamentano l'illegittimità degli atti della procedura comparativa concorsuale, nella parte in cui sono stati modificati i criteri definiti dall'Avviso 15/9/2017 in un momento successivo alla presentazione e valutazione delle domande, con indebita penalizzazione di chi ha confidato nell'utilizzo indistinto delle risorse. Il gravame introduttivo e i motivi aggiunti sono infondati e devono essere rigettati, per le ragioni di seguito precisate (potendosi prescindere dal profilo in rito della pienezza del contraddittorio). 1. La questione centrale che si pone investe la natura giuridica dell'Avviso del 15/9/2017, che "in base al noto principio del contrarius actus, il bando non poteva essere modificato con una mera comunicazione, cosicché legittimamente, nell'attribuzione dei benefici, l'Amministrazione regionale, come esplicitato negli avvisi del 4 e del 27 settembre 2019, ha tenuto conto della ripartizione della dotazione finanziaria complessiva di cui all'art. 3 del bando, la quale non era previsionale, ma vincolante". La predetta statuizione, che il Collegio ritiene condivisibile, è racchiusa nell'ordinanza della sez. I di questo T.A.R. - 4/12/2019 n. 1287 resa nel gravame r.g. 1690/2019, confermata in appello dal CGA (17/1/2020 n. 66). È stata altresì recepita nella recente sentenza della sez. V - 19/2/2024 n. 603. 2. Le suddette pronunce hanno evidenziato come, coerentemente con il bando, con avviso del 4/9/2019, l'Autorità di gestione del PSR Sicilia 2014/2020 ha chiarito che, al fine di beneficiare del premio previsto dalla sottomisura 6.1, era necessario che l'istanza rientrasse nella copertura finanziaria prevista dal bando e che almeno una delle sotto-misure collegate fosse oggetto di finanziamento; con avviso del 27/9/2019, l'Autorità medesima ha precisato che, sulla base delle risorse finanziarie disponibili per ciascuna sottomisura collegata a quella 6.1, erano indicativamente finanziabili tutti i progetti che prevedevano investimenti da realizzare solo con la sottomisura 8.1, mentre quelli collegati alla sottomisura 4.1 e all'operazione 6.4a erano finanziabili nei limiti della relativa disponibilità finanziaria. 3. Il Collegio conosce il parere reso su ricorso straordinario dal C.G.A. Sicilia 20/1/2023 n. 31. In base all'art. 5 del bando (e dell'Avviso del 15/9/2017) la graduatoria avrebbe dovuto essere unica e non era prevista la redazione di diverse graduatorie relative, ciascuna, ad una sottomisura (o ad una tipologia di progetto correlato ad una sottomisura). L'Avviso del 9/8/2019 avrebbe "modificato tale regola (della procedura selettiva); e ciò ha fatto stabilendo (innovativamente) che fra i progetti astrattamente finanziabili inclusi in graduatoria dal 154° posto in poi, sarebbero stati ammessi a finanziamento esclusivamente quelli correlati con le "sottomisure" 4/1 e 8/1". In tal modo l'amministrazione avrebbe ""scisso" la graduatoria, facendole perdere la omogeneità ed unitarietà prevista - in origine - dal bando" e, soprattutto, "inopinatamente (e illegittimamente) pregiudicato i concorrenti che, avendo fatto affidamento sulle regole del bando originario, avevano presentato progetti correlati con la sottomisura 6/4". 4. Il Collegio è, viceversa, dell'opinione che l'Assessorato non abbia violato i principi di par condicio e imparzialità, in quanto l'Avviso del 15/9/2017 non era in grado di modificare le regole di gara. 4.1 In proposito, quest'ultimo è privo di protocollo, non assume la forma rituale del decreto né indica le modalità di pubblicazione (il bando originario era apparso sul sito dell'Assessorato Regionale dell'Agricoltura dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea e del PSR Sicilia 2014/2020, e per estratto sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana). Inoltre, risulta emesso senza la preventiva acquisizione del parere obbligatorio del Comitato di Sorveglianza chiamato ad attestare la coerenza con il Programma di Sviluppo Rurale come previsto dai regolamenti UE 1305/2013 (artt. 49 e 74) e 1303/2013 (art. 47) e dallo stesso P.S.R. in atti (doc. 4 amm.ne, produzione dell'11/8/2019): a pagina 900 statuisce che "Il Comitato di sorveglianza (articoli 72 e 74 del Reg.(UE) n. 1305/2013) allo scopo di accertarsi delle prestazioni e dell'effettiva attuazione del Programma, oltre a svolgere le funzioni sopradescritte: - monitora la qualità di attuazione del Programma; - monitora il Programma mediante indicatori finanziari, di prodotti e di obiettivi; - è consultato ed emette un parere, entro quattro mesi dall'approvazione del programma, in merito ai criteri di selezione degli interventi finanziati, i quali sono riesaminati secondo le esigenze della programmazione; - esamina le attività e i prodotti relativi ai progressi nell'attuazione del piano di valutazione del programma; - esamina, in particolare, le azioni del Programma relative all'adempimento delle condizionalità ex ante nell'ambito delle responsabilità dell'Autorità di Gestione e riceve informazioni in merito alle azioni relative all'adempimento di altre condizionalità ex ante...". L'intervento del Comitato è fondamentale, dato che il finanziamento interferisce con la normativa che vieta in via tendenziale gli aiuti di Stato. In buona sostanza, traspare l'inosservanza del rituale iter previsto per l'adozione del bando originario. 4.2 La giurisprudenza ha evidenziato che la modifica della legge di gara contenuta nei "chiarimenti" adottati dall'Ente "non solo non è consentita, trattandosi di variazione della lex specialis con modalità difformi da quelle proprie della riformulazione del bando e del disciplinare (che richiederebbero l'adozione di omologhe forme pubblicitarie e la ri-apertura dei termini di partecipazione); ma può -e deve- essere disapplicata, in considerazione della natura non provvedimentale dei "chiarimenti" (che esclude l'onere di impugnazione e consente, per ciò, la disapplicazione degli stessi, senza violare il divieto generale di disapplicazione degli atti amministrativi)" (T.A.R. Puglia Bari, sez. I - 6/3/2024 n. 284). Infatti, i chiarimenti della stazione appaltante sono ammissibili solo se contribuiscono, con un'operazione di interpretazione del testo, a renderne chiaro e comprensibile il significato, ma non quando attribuiscano a una disposizione della lex specialis un significato ed una portata diversa o maggiore di quella che risulta dal legge di gara, cioè dal provvedimento che disciplina le regole di attuazione del principio di concorrenza: i chiarimenti infatti "non possono modificare gli atti di gara, pena l'illegittima disapplicazione della lex specialis (Cons. St., sez. III, 27 dicembre 2019 n. 8873). Ciò in quanto non è consentito nemmeno all'Amministrazione disapplicare il regolamento imperativo della procedura di affidamento da essa stessa predisposto, e al quale la stessa, e tutti i partecipanti, deve comunque sottostare (Ad. plen., 25 febbraio 2014 n. 9), pena la violazione delle regole di trasparenza e imparzialità che costituiscono il fondamento dei principi concorrenziali e dello stesso principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost." (Consiglio di Stato, sez. V - 26/10/2023 n. 9274; sez. V - 24/10/2023 n. 9210). 4.3 Posta la modifica sostanziale della lex specialis con la rettifica del 15/9/2017 (per cui le somme stanziate sarebbero state accorpate in un'unica dotazione per finanziare i progetti delle sotto-misure), può essere utilmente richiamato il principio del contrarius actus evocato nell'ordinanza cautelare del ricorso r.g. 1690/2019 (sia in primo che in secondo grado), ai sensi del quale il bando non poteva essere modificato con una mera comunicazione. 4.4 Da ultimo, l'amministrazione ha precisato di non avere formato diverse graduatorie ma una sola in ossequio al bando originario, finanziando secondo l'ordine fino all'esaurimento delle dotazioni previste per ciascuna sottomisura collegata (circa 1700 imprese per la sottomisura 4.1, avente maggiore capienza in quanto obiettivo strategico primario del P.S.R., e circa 300 imprese per la sottomisura 6.4a. 5. In conclusione, l'introdotto gravame, integrato da motivi aggiunti, non merita positivo apprezzamento. 6. Le spese di lite possono essere compensate, alla luce delle oscillazioni giurisprudenziali sul tema controverso. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quinta definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, integrato da motivi aggiunti, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2024, tenutasi mediante collegamento da remoto in video-conferenza, con l'intervento dei magistrati: Stefano Tenca - Presidente, Estensore Roberto Valenti - Consigliere Silvana Bini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 218 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Lo. e Gi. Li. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Difesa (Brigata Alpina "Julia" - 8° Reggimento Alpini), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliataria ex lege in Trieste, piazza (...); Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: per l'annullamento dell'ALLEGATO "B" - foglio prot.-OMISSIS- a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- notificato al ricorrente a mani in data 04/04/2022; per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del provvedimento sopra citato nonché dell'allegato "D" (a firma del Comandante del Reggimento Col. -OMISSIS- alla comunicazione -OMISSIS- dd. 21/12/2021; ivi compreso l'invito a produrre la documentazione relativa all'obbligo vaccinale; di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento, comunque denominati, relativamente al periodo di sospensione o, in via gradata, del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del Codice dell'Ordinamento Militare e per la relativa condanna dell'Amministrazione a corrispondere tali somme quale risarcimento del danno subito dal ricorrente in conseguenza dei provvedimenti sopra citati; nonché per l'accertamento del diritto del ricorrente a vedersi riconosciuti, per il periodo di sospensione, la maturazione di classi e scatti economici, la maturazione della licenza ordinaria, gli effetti pensionistici, gli accantonamenti contributivi, i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari e l'accertamento della validità del periodo di sospensione ai fini dello svolgimento delle attribuzioni specifiche/periodi di comando richiesti per l'avanzamento; nonché per la condanna dell'Amministrazione, ex art. 30 c.p.a., al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto subito dal ricorrente derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; previa, ove necessario, disapplicazione dell'art. 2 del Decreto Legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in Legge n. 3 del 21.01.2022, recante "Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali"; previa, ove necessario, remissione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022; Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati dal signor -OMISSIS- il 21/6/2023: per l'annullamento - del decreto di detrazione dell'anzianità di grado -OMISSIS-, notificato l'11/04/2023, emesso dal Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, a firma del Dirigente dott. -OMISSIS-; - di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ove lesivo o allo stato non conosciuto; nonché per la condanna dell'Amministrazione al pagamento della perdita economica subita dal ricorrente a seguito della detrazione di anzianità decretata e degli effetti derivanti dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa in via equitativa ritenuta di giustizia; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso introduttivo notificato il 19 aprile 2022 e depositato il successivo giorno 18 maggio 2022, il ricorrente, C.le Magg. C.a. dell'Esercito italiano effettivo alla Compagnia Comando Supporto Logistico - 8° Reggimento Alpini di Venzone (UD), ha impugnato l'atto in epigrafe compiutamente indicato, con cui è stata disposta nei suoi confronti la sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa per inosservanza dell'obbligo vaccinale e, conseguentemente, decurtata la sua retribuzione nel periodo di sospensione. Il ricorrente ha dedotto le seguenti censure: 1) Violazione ed errata applicazione degli artt. 885 - 877 - 878 - 893 - 914 -915 - 916 - 917 - 920 - 922 - 936 e 1352 del Codice dell'Ordinamento militare, decreto legislativo n. 66 del 15.03.2010 - incompetenza - violazione ed errata applicazione dell'art. 4 della legge n. 17 del 25.01.1982 e dell'art. 4 della legge n. 97 del 27.03.2001 - violazione del decreto legge 127/2021 - violazione del decreto legge n. 44/2021 - violazione della legge n. 76/2021 - violazione della legge n. 106/2021 - violazione dei principi di imparzialità e proporzionalità - illogicità ed ingiustizia manifesta; 2) Illegittimità costituzionale del decreto legge n. 172 del 26.11.2021, convertito in legge n. 3 del 21.01.2022, per violazione degli artt. 2 - 3 - 4 - 13 - 32 - 35 - 36 - 117 della Costituzione - violazione degli artt. 3, 21 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione dell'art. 14 della Convenzione dei diritti dell'uomo - violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale n. 12 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali - violazione dell'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - violazione del regolamento UE 953/2021 - violazione della dichiarazione di Helsinki - violazione art. 500 del d.lgs. n. 297/1994 (T.U. della scuola) e dell'art. 82 del d.P.R. n. 3/1957. Ha indi chiesto: a) l'annullamento del provvedimento impugnato, previa eventuale rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale prospettate; b) l'accertamento del diritto a percepire la retribuzione ed ogni altro compenso o emolumento relativamente al periodo di sospensione; c) in via gradata, l'accertamento del diritto a percepire la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo secondo le disposizioni del d.lgs. n. 66/2010; d) in ogni caso, la condanna dell'Amministrazione al risarcimento in forma specifica del danno ingiusto. 2. L'Amministrazione si è costituita in giudizio in resistenza al ricorso. 3. Con l'ordinanza -OMISSIS-del 23 marzo 2023 questo T.A.R. ha sospeso il giudizio nell'attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella causa C-765/2021 su questione pregiudiziale. 4. Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 9 giugno 2023 e depositato il successivo 21 giugno 2023, il ricorrente ha gravato, chiedendone l'annullamento, il decreto di detrazione dell'anzianità di grado nel frattempo emesso dall'Amministrazione, denunciandone l'illegittimità per: 1) Violazione dell'art. 4 ter del decreto legge n. 44/2021 convertito in legge n. 76 del 28.05.2021 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa; 2) Violazione delle disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate - violazione degli articoli 2251 bis, 2251 ter, 2251 quater, 2251 sexies, 2252, 2252 bis, 2252 ter, 2253, 2253 bis, 2253 ter, 2253 quater, 2253 quinquies, 2253 sexsies, 2253 septies, 2254 bis, 2254 ter, 2254 quater, 2255, 2255 bis, 2255 ter, 2256 del d.lgs. n. 66/2010 - violazione del decreto legislativo n. 94 del 29.05.2017 - violazione del decreto legislativo n. 173 del 27.12.2019 - eccesso di potere per errore nei presupposti - violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. 5. Il 5 settembre 2023 ha presentato apposita istanza di fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio e, poi, con atto in data 18 marzo 2024 ha chiesto il passaggio della causa in decisione senza discussione. 6. All'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2024 la causa è passata in decisione. 7. Il ricorso è fondato solo in minima parte. Per il resto è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato. 8. Le censure relative all'illegittimità della disposta sospensione dal servizio sono inammissibili. Dall'esame degli atti risulta infatti che con atto -OMISSIS- del 21 dicembre 2021, spedito per la notifica al ricorrente in data 23 dicembre 2021 e da questi ricevuto il successivo 30 dicembre 2021 (doc. 007 - fascicolo Ministero in data 31/05/2024), è stato accertato l'inadempimento dell'obbligo vaccinale ed è stata disposta a carico del medesimo la sospensione dall'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari, con i correlati effetti di legge. Come da preliminare rilievo formulato con l'ordinanza collegiale n. -OMISSIS- e ribadito all'odierna udienza ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., l'effetto lesivo della sfera giuridica del ricorrente, in ragione della sospensione dal servizio, si era già manifestato il 21 dicembre 2021 (rectius il 30 dicembre 2021); sicché era quell'atto a dover essere immediatamente impugnato, cosa che invece non è avvenuta. Con l'atto del 31 marzo 2022, impugnato con il presente ricorso, l'Amministrazione ha solamente operato una ricognizione del periodo di sospensione, quantificando l'effettiva durata della sospensione dal servizio già in precedenza disposta. Per la parte in cui si ribadisce la già disposta sospensione ed i suoi effetti, l'atto ricognitorio impugnato non presenta alcuna novità ; ne consegue la natura meramente confermativa dell'atto in parte qua (cfr. T.A.R. Piemonte, n. 196/2024). Le censure che in questa sede contestano in sé l'istituto della sospensione sono quindi inammissibili per carenza d'interesse. 9. Quanto alle restanti questioni di merito, in buona parte infondate, questo Collegio condivide in toto le argomentazioni sviluppate dal T.A.R. Lombardia, Brescia, nella sentenza n. 940/2023 che devono qui intendersi richiamate. 9.1. Nello specifico del primo motivo di ricorso, quanto alla censura d'incompetenza del Comandante di Corpo ad adottare l'atto ricognitivo del periodo di sospensione, è sufficiente ribadire che l'art. 4-ter, comma 2, del d.l. 44/2021, prevede che il rispetto dell'obbligo vaccinale sia assicurato, per il personale del comparto difesa e sicurezza, da "i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale", nel senso chiarito dal T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023 ("La competenza di cui alla disposizione appena citata si riferisce ad " assicurare il rispetto dell'obbligo" di vaccinazione: questo significa, con tutta evidenza, non solo accertare i casi di inosservanza di tale obbligo, ma anche applicare la sospensione dal lavoro che la legge prevede come conseguenza di tale inosservanza, perché il rispetto di un qualsivoglia obbligo viene assicurato anche applicando le conseguenze sfavorevoli che l'ordinamento prevede per il caso di inosservanza. Peraltro la legge prevede che la sospensione sia automatica e contestuale all'accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale: il 3° comma dell'art. 4 ter cit. dispone infatti che " L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro" . Pertanto il titolare del potere di accertamento può senza dubbio dichiarare l'avvenuta sospensione dal lavoro del pubblico dipendente, con un atto che è meramente ricognitivo dell'effetto prodotto ex lege, e non costitutivo"). 9.2. L'ulteriore censura relativa alla violazione dell'art. 893, comma 2, del d.lgs. n. 66/2010 ("Il rapporto di impiego può essere interrotto, sospeso o cessare solo in base alle disposizioni del presente codice") è inammissibile, perché essa attiene, a ben vedere, ad un vizio che doveva essere dedotto con la tempestiva impugnativa del presupposto decreto di sospensione dal servizio. La censura è comunque manifestamente infondata "perché è nozione istituzionale che un atto avente forza di legge, quale il decreto legge che ha introdotto l'obbligo di vaccinazione anti-Covid per alcune categorie di lavoratori, ben può derogare a una fonte di pari rango, qual è il codice dell'ordinamento militare. Che poi la norma derogatoria, giustificata dall'emergenza pandemica, sia collocata all'interno del medesimo codice oppure in un corpus normativo distinto, non ha nessuna incidenza sulla legittimità e sull'efficacia della norma medesima. Peraltro la scelta di non collocare la norma all'interno del c.o.m. risulta del tutto ragionevole, considerando sia il carattere temporaneo della stessa, collegata alla durata della pandemia, sia il fatto che l'obbligo vaccinale è stato previsto con identica disciplina, in un corpus normativo unitario, anche per altre categorie di dipendenti pubblici estranei all'ordinamento militare" (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 940/2023). 9.3. La censura relativa alla violazione dell'art. 920 del d.lgs. n. 66/2010 ("Al militare durante la sospensione dall'impiego compete la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo. Agli effetti della pensione, il tempo trascorso in sospensione dal servizio è computato per metà ") è fuori fuoco atteso che essa non tiene conto né si confronta con quanto previsto dalla norma speciale derogatoria. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito, introdotto dall'art. 2 del d.l. n. 172 del 2021, come convertito, dettava precise disposizioni sulle modalità di accertamento della violazione dell'obbligo vaccinale e sulle sue esatte conseguenze, prevedendo al riguardo che "... L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". Si osserva, peraltro, che le ipotesi in cui è prevista la corresponsione di emolumenti al personale sospeso dall'impiego (art. 82 del d.P.R. 3/1957, art. 920 del d.lgs. 66/2010) si correlano a vicende (procedimenti penali o disciplinari pendenti) che "procedono in modo autonomo ed insensibile, rispetto alla volontà dell'incolpato o dell'imputato di poterne bloccare lo svolgimento (per l'effetto, dimostrandosi giustificata l'erogazione di alcune provvidenze, quali la corresponsione di parte degli assegni a carattere fisso e continuativo e dell'assegno alimentare); laddove la persistenza della sospensione dal diritto all'erogazione della prestazione lavorativa (e della percezione degli emolumenti a fronte di essa spettanti) consegue a fatto "proprio", volontariamente posto in essere dal dipendente (obbligato a vaccinarsi) e dal medesimo liberamente rimuovibile, in ogni momento, per effetto del mero assolvimento del comportamento doveroso di cui trattasi" (cfr. T.A.R. Lazio, n. 4914/2022). Come ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza n. 14/2023 (al paragrafo 13.2) a proposito della norma analoga valevole per il personale sanitario, la sospensione dal lavoro prevista dall'art. 4 ter del d.l. 44/2021 non è una sanzione, ma è "una conseguenza calibrata, in termini di sacrificio dei diritti dell'operatore sanitario, che sia strettamente funzionale rispetto alla finalità perseguita di riduzione della circolazione del virus. E ciò tanto in termini di durata, posto che... il legislatore ha introdotto, sin dall'inizio, una durata predeterminata dell'obbligo vaccinale, modificandola, costantemente, in base all'andamento della situazione sanitaria, giungendo ad anticiparla appena la situazione epidemiologica lo ha consentito; quanto in termini di intensità, trattandosi di una sospensione del rapporto lavorativo, senza alcuna conseguenza di tipo disciplinare, e non di una sua risoluzione". Del tutto generica è poi la deduzione che "alle categorie di soggetti obbligati per legge alla somministrazione del vaccino in oggetto avrebbe dovuto essere rilasciata una apposita prescrizione medica che, invece, come noto, non viene rilasciata da alcun medico curante derivandone anche da tale circostanza l'illegittimità del provvedimento di sospensione oggi impugnato", atteso che l'obbligo di vaccinazione discendeva direttamente dalla legge, senza necessità di ulteriori intermediazioni. In ogni caso il vizio attiene all'originario provvedimento sospensivo. 10. Il secondo motivo è in buona parte inammissibile e precisamente nella parte in cui con esso la parte ricorrente ha dedotto l'illegittimità della disposta sospensione per la violazione di parametri costituzionali e internazionali; censure che, tuttavia, andavano rivolte al provvedimento col quale la sospensione era stata disposta. 10.1. Quanto alle conseguenze patrimoniali, connesse in effetti agli specifici provvedimenti qui gravati, si rileva quanto segue. 10.1.1. Quanto agli aspetti concernenti il riconoscimento di un assegno alimentare, sotto il profilo della legittimità costituzionale dell'art. 4-ter, comma 3, del d.l. n. 44 del 2021, la Corte Costituzionale ha già esaminato la questione, ritenendola infondata, anche sotto il profilo della proporzionalità e ragionevolezza (cfr. par. 14 della sentenza n. 15/2023). 10.1.2. Fatto salvo quanto si osserverà in seguito (pt. 10.1.4), anche la dedotta violazione dell'art. 36 Cost. risulta manifestamente infondata atteso che "la situazione di temporanea impossibilità della prestazione lavorativa in cui si viene a trovare il dipendente che non abbia adempiuto all'obbligo vaccinale deriva pur sempre da una scelta individuale di quest'ultimo e non da un fatto oggettivo. Nondimeno il legislatore, proprio nel rispetto della eventuale scelta del lavoratore di non attenersi all'obbligo vaccinale, si è limitato a prevedere la sospensione del rapporto di lavoro, disciplinando la fattispecie alla stregua di una impossibilità temporanea non imputabile. Di conseguenza, poiché la prestazione offerta dal lavoratore che non si è sottoposto all'obbligo vaccinale non è conforme al contratto, come integrato dalla legge, è certamente giustificato il rifiuto della stessa da parte del datore di lavoro e lo stato di quiescenza in cui entra l'intero rapporto è semplicemente un mezzo per la conservazione dell'equilibrio giuridico-economico del contratto" (così la richiamata sentenza n. 15/2023). 10.1.3. Le altre censure proposte (violazione dell'obbligo vaccinale in oggetto rispetto all'art. 32 della Costituzione e le questioni relative al consenso libero e informato della persona interessata) erano da dedursi con l'impugnativa del provvedimento del dicembre 2021, ormai consolidatosi. Non giova alla ricorrente nemmeno il richiamo alla sentenza della Corte di Giustizia C-765/2021 che ha giudicato irricevibile il rinvio pregiudiziale sottopostole dal Tribunale di Padova. La ricorrente, nella sua memoria depositata in giudizio il 16 febbraio 2024, enfatizza un unico passaggio motivazionale della pronuncia del giudice europeo ("il rilascio di dette autorizzazioni condizionate non comporta, in quanto tale, alcun obbligo, in capo ai destinatari potenziali di tali vaccini, di farsi somministrare questi ultimi, tanto più che il giudice del rinvio non ha esplicitamente posto l'interrogativo se le persone assoggettate all'obbligo vaccinale previsto all'articolo 4 del decreto-legge n. 44/2021 fossero obbligate ad assumere unicamente i vaccini oggetto delle suddette autorizzazioni condizionate" (punto 36) senza cogliere che l'argomento è stato speso per rilevare che non era stata adeguatamente chiarita dal giudice rimettente la rilevanza del parametro del diritto Ue invocato. D'altra parte la stessa pronuncia sul punto chiarisce senza equivoci che "Di conseguenza, in assenza di qualsiasi spiegazione da parte del giudice del rinvio circa i motivi per cui esso mette in discussione la validità delle autorizzazioni all'immissione in commercio condizionate nonché circa quelli relativi all'eventuale nesso tra, da un lato, la validità di tali autorizzazioni e, dall'altro, l'obbligo vaccinale contro la COVID-19 previsto all'articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, si deve giudicare che la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non soddisfa i requisiti ricordati al punto 31 della presente sentenza per quanto riguarda la prima questione" (punto 37). 10.1.4. L'impugnazione merita, invece, di essere accolta, laddove rivolta alle conseguenze pregiudizievoli ulteriori rispetto alla privazione della retribuzione o di altro compenso o emolumento, fatte derivare dal Ministero intimato e compendiate nel provvedimento del 31 marzo 2022 e, poi, in quello del 22 giugno 2022, gravato col ricorso per motivi aggiunti. L'art. 4-ter, comma 3, del d.l. 1 aprile 2021, n. 44 legittima, invero, durante la sospensione dal servizio, unicamente la privazione della retribuzione o compenso o emolumento (in termini T.A.R. Lombardia - Milano, sez. I, 2 gennaio 2023, n. 16; T.A.R. FVG, sez. I, 27 febbraio 2023, n. 74; T.A.R. Sicilia - Palermo, sez. III, 6 giugno 2023, n. 1877; T.A.R. Lombardia - Milano, sez. V, 21 novembre 2023, n. 2750). Depone, invero, in tal senso, oltre al pacifico dato testuale, la circostanza, correttamente evidenziata dal ricorrente, che il legislatore, con riguardo ai casi di sospensione dal servizio per motivi penali e disciplinari, si è preoccupato di disciplinare specificamente le conseguenze che ne derivano sotto il profilo economico e giuridico, nel mentre, nel caso specifico, nulla ha disposto sul punto, essendosi limitato a stabilire che "L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati". In parte qua, il ricorso va, pertanto, accolto e, per l'effetto, annullati i provvedimenti gravati laddove viziati. Ne deriva l'obbligo per l'Amministrazione intimata di conformarsi sul punto alla presente decisione e di disporre in merito, adottando ogni necessario atto e/o provvedimento. 11. Le domande di accertamento (i trattamenti fissi e continuativi, gli assegni accessori, i compensi indennitari) e di condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno sono del tutto generiche e, pur proposte, non sono state adeguatamente e analiticamente dedotte nel corpo del ricorso. 12. In conclusione, alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso e il ricorso per motivi aggiunti vanno accolti nei sensi e limiti dianzi evidenziati. Il ricorso introduttivo, per il resto, deve essere, in parte, dichiarato inammissibile e, in parte, rigettato. 13. Le spese di lite, per la novità di alcune delle questioni esaminate, possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie nei sensi e limiti evidenziati in motivazione e, per l'effetto, annulla il provvedimento prot.-OMISSIS- (in parte qua) e il provvedimento n. -OMISSIS- 22/06/2022. Per il resto, dichiara il ricorso introduttivo in parte inammissibile e in parte lo respinge. Compensa le spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Modica de Mohac - Presidente Manuela Sinigoi - Consigliere, Estensore Daniele Busico - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1534 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Bi. e Ma. Ca., con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia; contro il Comune (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ag. Se. e Gi. Ca., con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia; Regione Siciliana - Assessorato Famiglia, Politiche Sociali e Lavoro - Centro per l'impiego di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia; nei confronti di -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'annullamento - della determinazione dirigenziale n. -OMISSIS- con la quale il Comune di Comune (omissis) disponeva l'esclusione del ricorrente e lo scorrimento ed approvazione della nuova graduatoria del concorso di cui infra; - della nota prot. n. -OMISSIS- del 10.5.2019 con la quale l'Assessorato Regionale della Famiglia - Centro per l'Impiego di Catania dichiarava la non compatibilità delle condizioni del ricorrente con l'espletamento delle mansioni di giardiniere; - della successiva Deliberazione G.M. di Comune (omissis) -OMISSIS- del 28.6.2019 con la quale si disponeva l'assunzione dei vincitori; - del rigetto dell'istanza di archiviazione dei motivi ostativi all'assunzione dell'odierno deducente di cui alla nota trasmessa in data 13.6.2019 e della presupposta e sconosciuta prot. n. -OMISSIS- del 28.5.2019; - della nota comunale del 3.6.2019; - della nota comunale prot. n. -OMISSIS- del 19.7.2019; - del Contratto di assunzione se medio tempore stipulato con il soggetto subentrato in graduatoria in luogo del ricorrente; - di qualsiasi ulteriore provvedimento presupposto, connesso e/o consequenziale, nonché per il risarcimento del danno derivato al ricorrente dalla ritardata assunzione nel posto di lavoro. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune (omissis) e dell'amministrazione regionale intimata; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Comune (omissis) e dell'Assessorato regionale della famiglia delle politiche sociali e del lavoro; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza ex art. 87, comma 4-bis c.p.a., del 4 marzo 2024 il dott. Calogero Commandatore e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; FATTO e DIRITTO Il ricorrente, con ricorso notificato in data 26 settembre 2019, ha impugnato i provvedimenti in epigrafe chiedendone l'annullamento. In fatto ha esposto che: - il Comune di Comune (omissis), giusta Determinazione n. 20 del 23.2.2018, indiceva il "Concorso pubblico per titoli, colloquio e prova pratica, per la copertura di n. 6 posti a tempo pieno e indeterminato di categoria A/1 di cui n. 3 afferenti il profilo professionale di giardiniere e n. 3 afferenti il profilo professionale di operai generici, esclusivamente riservato ai soggetti disabili di cui all'art. 1, L. 68/1999 e s.m.i."; - il concorso era espressamente regolato dal Capo IV del Regolamento per la disciplina dei concorsi, il quale, all'art. 8, prevedeva che la procedura si sarebbe imperniata su un colloquio e una prova pratica; - egli è laureato in Scienze e tecnologie agrarie e affetto da morbo di Parkinson determinante un'invalidità nella misura del 100% (attestata da verbale INPS del 15.02.2015) e ha partecipato per il posto di giardiniere; - con Determinazione Dirigenziale n. -OMISSIS- veniva pubblicata la graduatoria ed egli si collocava al primo posto con 103,16 punti; - a seguito di una verifica della documentazione da parte del Centro per l'Impiego di Catania (prot. n. -OMISSIS- del 10 maggio 2019), veniva dichiarato che i medici ritenevano le mansioni di giardiniere incompatibili con la diagnosi di invalidità civile; - il Comune faceva, quindi, pervenire comunicazione del 17 maggio 2019 di sussistenza di motivi ostativi all'assunzione assegnando termine per controdedurre; - in data 21 maggio 2019, presentava istanza di accesso con la quale chiedeva copia del suddetto provvedimento del Centro per l'Impiego di Catania e del presupposto verbale della seduta del Comitato di accertamento disabili dell'8 maggio 2019; - il successivo 27 maggio, trasmetteva poi proprie note di partecipazione procedimentale nelle quali contestava: a) la competenza della Commissione del Centro per l'Impiego di Catania; b) l'inidoneità della documentazione di invalidità civile a fungere da presupposto per la valutazione della capacità lavorativa, così definendo la collocabilità o non collocabilità del disabile che non spetta né dipende da valutazioni dell'INPS; c) che il giudizio di incompatibilità con le mansioni fosse in contrasto con il decorso positivo della patologia e la pressoché normalità delle sue condizioni di vita (abita in casa da solo, guida la macchina, etc.); d) l'abnormità di un accertamento effettuato solo sulla lettura dei documenti, senza procedere ad una visita medica; - con nota del 3 giugno 2019 il Comune esitava l'istanza di accesso trasmettendo la nota n. -OMISSIS-/2019 del Centro per l'Impiego di Catania, dando atto di non essere in condizione di trasmettere il verbale del Comitato contenente la valutazione medica degli interessati; - l'Amministrazione, con pec del 13 giugno 2019, disattendeva le istanze di annullamento in autotutela del procedimento, confermando l'inidoneità ; - con Determinazione Dirigenziale -OMISSIS- venivano approvati gli atti del procedimento e la graduatoria finale del concorso e con Deliberazione G.M. -OMISSIS- del 28 giugno 2019 veniva disposta l'assunzione dei vincitori di concorso; - in data 5 luglio 2019, egli inoltrava una duplice istanza di accesso e contestazione con la quale, tra l'altro, chiedeva di conoscere - anche al fine di acquisire gli estremi dei controinteressati in un eventuale giudizio - nominativi, riferimenti e documentazione concorsuale dei soggetti utilmente collocati in graduatoria; - il Comune confermava le sanzioni espulsive irrogate e, con riferimento all'accesso ai dati e documenti degli altri concorrenti, dichiarava di dover acquisire il loro consenso prima di poter riscontrare l'accesso. Non avendo ottenuto alcun riscontro, l'odierno ricorrente ha impugnato i suddetti provvedimenti, sulla base dei motivi che seguono. I. Incompetenza della Commissione di verifica dell'idoneità : - violazione e falsa applicazione Regolamento Comunale Concorsi, Capo IV, art. 55; - violazione e falsa applicazione artt. 1, comma 4, L. n. 68/1999, 4, comma 1, L. n. 104/1992 e 1, commi 1-4, L. n. 285/1990. Il ricorrente lamenta che il Comitato di accertamento disabili sedente presso il Centro per l'Impiego di Catania sarebbe privo di competenza e non legittimato ad intervenire all'interno della selezione indetta dal Comune. Quest'ultima, infatti, risulterebbe espressamente regolata dal Regolamento del Comune di Comune (omissis) approvato con Deliberazione G.M. n. 32/2017, il quale all'art. 55, con riferimento alle assunzioni obbligatorie di lavoratori appartenenti alle categorie protette e disabili, prevede che l'ente possa richiedere alla competente Commissione medica dell'Azienda U.S.L. di sottoporli a visita medica al fine di verificare che la causa invalidante non sia incompatibile con le mansioni da svolgere. Ciò, peraltro, in coerenza con quanto previsto dall'art. 1, comma 4, L. n. 68/1999 (in forza della quale veniva bandito il concorso) il quale rinvia alle medesime Commissioni istituite presso le AUSL di cui all'art. 4 della L. n. 104/1992. A sua volta, il suddetto art. 4 richiama l'art. 1 della L. 295/1990, il quale indica la composizione e le modalità operative della Commissione in parola: "esse sono composte da un medico specialista in medicina legale che assume le funzioni di presidente e da due medici di cui uno scelto prioritariamente tra gli specialisti in medicina del lavoro. (...) In sede di accertamento sanitario, la persona interessata può farsi assistere dal proprio medico di fiducia". Sulla base del vigente quadro legislativo, dunque, i soli organi legittimati a pronunciarsi sulla residua capacità lavorativa dei disabili ex art. 1, L. n. 68/1999, sono le Commissioni costituite presso l'AUSL territorialmente competente, operanti con una composizione qualificata e specializzata, che, dietro accertamento sanitario diretto sul soggetto interessato si pronunceranno sulla idoneità a ricoprire il posto di lavoro messo a concorso. II. Illegittimità della verifica documentale effettuata in danno del ricorrente: - violazione e falsa applicazione Regolamento Comunale Concorsi, Capo IV, art. 55, comma 5, sotto altro profilo; - violazione e falsa applicazione artt. 1, comma 4, L. n. 68/1999, 4, comma 1, L. n. 104/1992 e 1, commi 1-4, L. n. 285/1990, sotto altro profilo; - eccesso di potere per irrazionalità evidente e manifesta, sviamento di potere e difetto di istruttoria. Il quadro normativo suddetto evidenzierebbe, altresì, l'inadeguatezza di un'attività di verifica documentale per l'accertamento della compatibilità del candidato con l'espletamento delle mansioni del posto messo a concorso, esigendosi, invece, un accertamento sanitario sul soggetto valutato. Nel caso del Comune di Comune (omissis), peraltro, quest'obbligo emergerebbe in maniera ancor più netta derivando dal citato art. 55 del regolamento comunale concorsi che imporrebbe che i concorrenti siano "sottoposti a visita medica". Nel caso in esame, al contrario, si è proceduto ad un accertamento cartolare, esaminando un documento risalente, peraltro, a più di quattro anni prima, che, per di più, è il verbale INPS di accertamento dell'invalidità civile, atto che non ha la finalità di verificare l'idoneità lavorativa residua del concorrente (che non compete all'INPS), ma solo di comprovare, ai fini dell'ammissione, il grado di invalidità civile riconosciuto per come previsto dall'art. 4, comma 1, lettera q), del Bando di concorso. III. Eccesso di potere sotto vari profili: - illogicità ed irrazionalità delle modalità di accertamento e difetto di istruttoria; - contraddittorietà con certificazioni in data odierna provenienti da strutture pubbliche. Sebbene le valutazioni discrezionali degli organi tecnici dell'Amministrazione non possano essere sindacate dagli organi giurisdizionali in quanto riguardanti il merito delle scelte amministrative, questo limite può essere superato allorché si dimostri che l'Ente pubblico ha agito in manifesta assenza di criteri di razionalità operative e/o in difetto di istruttoria o travisamento dei fatti, circostanza che, secondo la prospettazione di parte ricorrente, si sarebbe verificata nella fattispecie in esame, essendo basato il giudizio su dati e circostanze non più attuali, omettendo di verificare direttamente le condizioni dell'interessato, le quali, peraltro, potevano presumersi congrue col posto messo a concorso, avendo egli superato brillantemente la prova pratica. Parte ricorrente evidenzia, infatti, come dal certificato del 25.5.2019 di visita neurologica effettuata presso l'IRCCS - Ce. Ne. Bo. Pu. di Me. allegato, emerga che: "...la malattia è ben controllata dalla terapia farmacologica. Il compenso motorio e cognitivo è ottimale e non vi sono in atto elementi che possano controindicare o inficiare in alcun modo lo svolgimento delle varie attività della vita quotidiana in ambito privato e/o sociale né le attività lavorative". IV. Violazione art. 3, L. n. 241/1990: - difetto di motivazione. L'accertamento effettuato dal Comitato di accertamento disabili nella seduta dell'8.5.2019 con cui si stabiliva l'estromissione dalla selezione dell'odierno ricorrente non è neanche stato comunicato a quest'ultimo. Gli è stata trasmessa soltanto la nota prot. n. -OMISSIS-/2019 del Centro per l'Impiego di Catania riportante la genericissima dicitura: "... in relazione alla diagnosi del verbale di invalidità civile ed alla scheda della diagnosi funzionale le mansioni di giardiniere non sono compatibili...", in violazione dell'obbligo motivazionale di cui all'art. 3 L. 241/90. Parte ricorrente chiede, altresì, il risarcimento per equivalente del danno che dovesse patire a causa della ritardata assunzione causata dall'illegittimità degli atti comunali gravati secondo le quantificazioni economiche che si articoleranno in corso di giudizio. Il Comune si è costituito in giudizio in data 28 ottobre 2019 al fine di resistere al ricorso. Nonostante la regolarità della notifica del ricorso introduttivo, i controinteressati non si sono costituiti in giudizio. In data 28 novembre 2019, le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio, eccependo, in sintesi: la legittimità della valutazione compiuta dal Comitato di accertamento disabili, presieduto dal Direttore dell'UPLMO o da un suo delegato e composto da due medici specializzati in medicina legale e del lavoro designati dall'ASP, due componenti designati dalle Associazioni maggiormente rappresentative dei disabili, un rappresentante delle OO.SS. dei lavoratori ed uno delle associazioni dei datori di lavoro; proprio l'alta qualifica dei componenti, la tipologia del parere che rende il comitato e la funzione che esso svolge in sede di inserimento lavorativo del disabile renderebbero le sue determinazioni espressione di discrezionalità tecnica, sindacabili solo ove controparte dimostri un travisamento dei fatti o una macroscopica illogicità del suddetto parere, cosa non avvenuta nel caso di specie; se il candidato avesse ritenuto che quanto risultante dalla documentazione non fosse più aggiornato, avrebbe dovuto sottoporsi ad una nuova visita medica dinnanzi alla ASP o all'INPS. In data 4 maggio 2022, il Comune ha depositato una memoria nella quale ha eccepito l'infondatezza dei motivi di ricorso. All'udienza ex art. 87, comma 4-bis, c.p.a., tenutasi il 4 marzo 2024, la causa è stata posta in decisione. Il ricorso è fondato e va accolto nei sensi e nei limiti infraprecisati. Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento poiché l'art. 8, comma 1-bis del d.lgs. n. 68/1999 prevede espressamente la competenza per la valutazione della capacità lavorative, nell'ambito del collocamento mirato, sicché la norma - in ragione del criterio di gerarchia delle fonti e di specialità - deve ritenersi prevalente sulle disposizioni regolamentari difformi che, peraltro, si riferiscono chiaramente al sistema antecedente alla novella portata dal d.lgs. n. 151/2015. Meritano accoglimento, invece, gli altri motivi di ricorso. E invero, se è indubbia l'ampia discrezionalità tecnica riservata al comitato tecnico ex art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 68/1999, sindacabile dal giudice amministrativo solo con riguardo al controllo formale ed estrinseco del percorso logico seguito dall'Amministrazione e avente a oggetto la sola attendibilità delle operazioni tecniche sul piano della loro correttezza quanto a criterio tecnico e a procedimento applicativo, deve evidenziarsi come l'evidente assenza o la grave insufficienza della motivazione del parere può, ancorché sotto il solo profilo sintomatico, evidenziare un distorto esercizio della facoltà attribuito per eccesso di potere. Orbene, con riguardo a quanto sopra riportato, ad avviso del Collegio, anche avuto riguardo alla particolare delicatezza della questione, le valutazioni espresse nella fattispecie dal Comitato sulla base degli elementi esaminati non appaiono convincenti e, nella sostanza, risultano prive di un'adeguata motivazione in relazione alle circostanze evidenziate dal ricorrente. E invero, seppure astrattamente può affermarsi che la valutazione del Comitato può basarsi solo sulla documentazione prodotta, senza che sia sempre necessaria e obbligatoriamente la visita medica, occorre sottolineare come, in concreto, tale facoltà debba necessariamente conciliarsi con il necessario approfondimento istruttorio necessariamente emergente dalla motivazione. Nel caso che ci occupa, il giudizio del Comitato si è fondato unicamente su un solo documento - il verbale d'invalidità civile del 5 febbraio 2015 - senza in alcun modo motivare in ordine alla persistente validità di diagnosi effettuate in epoca risalente (più di quattro anni prima) e limitandosi laconicamente ad affermare che "... in relazione alla diagnosi del verbale di invalidità civile ed alla scheda della diagnosi funzionale le mansioni di giardiniere non sono compatibili...". Insufficienza di tale motivazione che costituisce sintomo di un difetto istruttorio anche in ragione della certificazione medica del 25.5.2019 - emessa all'esito di visita neurologica del ricorrente effettuata presso l'IRCCS - Ce. Ne. Bo. Pu. di Me. - ove è emerso che: "...la malattia è ben controllata dalla terapia farmacologica. Il compenso motorio e cognitivo è ottimale e non vi sono in atto elementi che possano controindicare o inficiare in alcun modo lo svolgimento delle varie attività della vita quotidiana in ambito privato e/o sociale né le attività lavorative". In tale contesto l'accertamento svolto dal Comitato, successivamente recepito dal Comune intimato, non è esaustivo, dal che consegue l'annullamento degli atti impugnati con la precisazione che, all'esito della presente pronuncia, l'Amministrazione resistente dovrà nuovamente pronunciarsi sull'istanza dell'interessato, attenendosi a tutti i canoni motivazionali sopra enunciati. L'Amministrazione dovrà quindi riesaminare l'affare nella sua interezza entro 120 (centoventi) giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione, o dalla notificazione della stessa, se anteriormente effettuata. L'assenza di un giudizio sull'effettiva spettanza del bene della vita preclude - allo stato - la possibilità di accogliere la domanda risarcitoria. Stante l'assenza di una valutazione sulla spettanza del bene della vita e il rigetto della domanda risarcitoria sussistono i presupposti per compensare per metà le spese di lite che, per la restante meta, seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in motivazione. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti indicati in motivazione; rigetta la domanda risarcitoria. Compensa per metà le spese di lite e condanna le amministrazioni resistenti, in solido fra loro, al pagamento della restante metà che si liquidano, in tale frazione, in euro 2.000,00 (duemila/00) oltre al rimborso delle spese forfettarie ex art., 2, comma 2, del d.m. n. 55/2014, oltre alla C.P.A. e all'IVA. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Catania nelle camere di consiglio dei giorni 4 marzo 2024, 22 maggio 2024, tenutosi tramite collegamento da remoto, con l'intervento dei magistrati: Aurora Lento - Presidente Calogero Commandatore - Primo Referendario, Estensore Arturo Levato - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 357 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ca. e Ar. Pl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via (...); per l'annullamento - del provvedimento disciplinare del 31 gennaio 2022 numero 333/SSA/I/232778, notificato all'interessato in data 8 febbraio 2022 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Marilena Di Paolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso notificato il 1° aprile 2022, l'odierno ricorrente, -OMISSIS-, agente scelto della Polizia di Stato, ha impugnato il decreto del Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza emesso il 31 gennaio 2022, notificato l'8 febbraio 2022, con il quale è stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi uno, ai sensi dell'art. 6, n. 1 e n. 4, in relazione all'art. 4, n. 3 del d.P.R. n. 737/1981. 2. Il provvedimento disciplinare risulta fondato sulla seguente motivazione: "dall'aprile del 2020 al febbraio del 2021 manteneva, al di fuori di esigenze di servizio, relazioni con compagnie non confacenti al proprio stato. Inoltre, in violazione dei doveri inerenti alle funzioni, rivelava notizie ed informazioni di uffici riguardanti le attività di Polizia giudiziaria e controllo del territorio, turbando la regolarità del servizio". 3. In particolare, il procedimento disciplinare era stato avviato dopo l'arresto di S.A., pregiudicato, avvenuto in Lecco in data 30 ottobre 2020, in concorso con il cittadino albanese F.C., per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, in quanto trovati in possesso di 450 gr di cocaina, oltre 2,3 kg. di hashish e circa 7 gr. di marijuana. 4. Dall'analisi del cellulare di S.A. e dai successivi riscontri sui tabulati telefonici acquisiti in sede di indagine, erano emersi numerosi ed assidui contatti dell'agente scelto -OMISSIS- con il pregiudicato sopraindicato e con i familiari di quest'ultimo, anche dopo il suo arresto. 5. In particolare, tale stretta frequentazione, quasi fraterna, era emersa dai numerosi contatti telefonici, dall'analisi delle chat wh. e da Fa., intrattenuti fino alla mattina del giorno in cui S.A. è stato tratto in arresto, di cui viene dato ampiamente conto nell'annotazione redatta in data 26 febbraio 2021 da personale della Squadra Mobile della Questura di Lecco. 6. Nelle chat intercorse, inoltre, erano state rilevate alcune richieste di informazioni relative al servizio di controllo del territorio svolto dalle volanti che S.A. aveva rivolto a -OMISSIS-, confidando sulla sua disponibilità ; in ben quattro occasioni, tutte documentate, S.A., mentre si trovava in alcuni locali della Provincia di Lecco, aveva inviato all'agente scelto -OMISSIS-, tramite wh., le foto di alcuni avventori, chiedendogli se appartenessero alle FF.OO.: una volta il -OMISSIS- aveva confermato che uno dei soggetti fotografati era effettivamente un appartenente all'Arma dei Carabinieri. In un'altra circostanza, sempre mediante lo stesso mezzo di comunicazione, aveva informato l'amico sulla propria posizione durate il servizio di volante e gli aveva inviato foto raffiguranti sia l'autovettura di servizio che colleghi e persone sottoposte a controlli documentali. 7. Era inoltre emerso un altro rapporto di conoscenza dell'agente scelto -OMISSIS- con altri soggetti trovati in possesso di sostanze stupefacenti e tratti in arresto in data 21 luglio 2020 dalla Polizia Ferroviaria di Milano e il 28 ottobre 2020 dalla Squadra Mobile di Lecco. 8. Pertanto, l'agente scelto -OMISSIS- era stato deferito alla locale A.G. per il reato di rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio. 9. In data 20 aprile 2021, il Pubblico Ministero titolare dell'indagine aveva formulato richiesta di archiviazione per speciale tenuità del fatto, rilevando che: "- non ricorrono le condizioni per dover richiedere l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato; - il reato per cui si procede rientra nella cornice edittale prevista dall'art. 131-bis, commi 1 e 4 c.p.; - non ricorrono le cause ostative di cui all'art. 131-bis, co. 2 e 3 c.p; - le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio portano a ritenere le condotte di reato di particolare tenuità, attese le motivazioni addotte alla base delle stesse, ascrivibili ad una superficiale valutazione delle conseguenze penali in relazione alla rivelazione di segreti d'ufficio; - l'instaurazione di un giudizio penale non appare coerente con le finalità per cui questo è stato disegnato dal Legislatore". 10. In data 9 giugno 2021 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco aveva accolto la richiesta del Pubblico Ministero, emettendo decreto di archiviazione del procedimento penale. 11. Il Questore di Lecco, acquisito il citato decreto in data 29 giugno 2021, a seguito di formale istanza finalizzata a conoscere lo stato del procedimento penale, avviava l'inchiesta disciplinare, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. n. 737/1981, nominando, con atto del 10 settembre 2021, notificato il 13 settembre 2021, il funzionario istruttore, il quale, a sua volta, in data 21 settembre 2021, formalizzava la contestazione degli addebiti, individuando ex art. 6, commi 1, 4 e 7 della citata normativa, in relazione alla condotta tenuta dall'agente, la sanzione della "sospensione dal servizio". 12. L'agente De Beo, in data 17 ottobre 2021, presentava memoria difensiva, con la quale negava di conoscere i pregiudizi penali a carico di S.A. e dei suoi familiari, nonché contestava di aver rivelato segreti d'ufficio. 13. Il procedimento disciplinare si è concluso con l'adozione del provvedimento disciplinare oggetto dell'odierno ricorso. 14. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Interno per resistere al ricorso depositando documenti e memorie e insistendo per il rigetto del ricorso. 15. All'udienza pubblica del 22 maggio 2024 la causa è passata in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è affidato a tre motivi di illegittimità . 2. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 6, dPR 737/81: il ricorrente sostiene che siano stati violati i termini per l'esercizio del potere disciplinare. A suo dire la contestazione degli addebiti sarebbe avvenuta oltre i 40 giorni dalla comunicazione del decreto di archiviazione, e ciò in violazione dell'art. 9, comma 6, d.P.R. 737/81 che prevede "Quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione". 2.1. Il motivo è infondato. 2.2. Si osserva che l'art. 9, comma 6, del d.P.R. 737/81 presuppone che sia stata pronunciata una sentenza, sia essa di condanna o di assoluzione, con la quale sia stato definito il processo penale, situazione che non ricorre nel caso di specie, dove invece non è stata esercitata l'azione penale - si evidenzia - non per infondatezza della notitia criminis, ma per la speciale tenuità del fatto. 2.3. Il citato articolo, inoltre, fa decorrere il dies a quo del termine di decadenza per la contestazione degli addebiti, che coincide con l'inizio del procedimento disciplinare, dalla pubblicazione o dalla notificazione della sentenza, adempimenti non prescritti per il decreto di archiviazione. 2.4. Non trattandosi dunque di casi simili, il citato art. 9, comma 6, non può trovare applicazione analogica come invece sostiene parte ricorrente, dal momento che l'art. 12 delle preleggi prevede che se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, salvo il divieto di analogia in malam partem, sancito dal successivo art. 14, per le leggi penali e leggi eccezionali. 2.5. Ebbene, nel caso di specie, in virtù del rinvio contenuto nell'art. 31 del d.P.R. n. 737/1981, ai procedimenti disciplinari dell'Amministrazione di pubblica sicurezza è applicabile analogicamente l'art. 103 d.P.R. n. 3/1957, secondo il quale "l'ufficio del personale che abbia comunque notizia di una infrazione disciplinare commessa da un impiegato svolge gli opportuni accertamenti preliminari e, ove ritenga che il fatto sia punibile con la sanzione della censura, rimette gli atti al competente capo ufficio; negli altri casi contesta subito gli addebiti all'impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni". 2.6. Per costante giurisprudenza la norma ora citata, secondo cui la contestazione degli addebiti deve avvenire "subito", non mira a vincolare l'Amministrazione all'osservanza di un termine prestabilito e puntuale, tale da comportare col suo decorso la decadenza dell'azione disciplinare, bensì indica una regola di ragionevole prontezza e tempestività, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti e alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell'iter procedimentale (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 6 febbraio 2023, n. 1212). 2.7. Non è infatti previsto, all'art. 12, d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 - che costituisce la normativa speciale rispetto a quella generale dettata dal d.P.R. n. 3 del 1957 -, alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti disciplinari a carico degli agenti della Polizia di Stato, con la conseguenza che l'Amministrazione procedente deve ottemperare solo ad una regola di ragionevole prontezza nell'effettuare detta contestazione; inoltre, l'uso del termine "subito" nel contesto dell'art. 103, d.P.R. n. 3 del 1957, ai fini della contestazione degli addebiti, per l'orientamento giurisprudenziale consolidato, presenta una mera valenza sollecitatoria, sicché residua all'Amministrazione un ampio spazio di azione ai fini dell'espletamento degli adempimenti finalizzati al reperimento e alla valutazione degli elementi relativi alle vicende oggetto di esame; infatti, nel procedimento disciplinare a carico dell'agente di Polizia di Stato - che ha inizio con la contestazione degli addebiti e termina con l'adozione del provvedimento sanzionatorio o con il proscioglimento dell'incolpato - vanno distinti i termini inderogabili, che sono quelli posti a garanzia dell'inquisito, e cioè quelli previsti per la presentazione delle giustificazioni, la presa di visione degli atti e, appunto, per il preavviso di trattazione davanti alla Commissione, da quelli ordinatori o sollecitatori, che sono tutti gli altri termini (Consiglio di Stato sez. III 20 giugno 2018 n. 3779, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. V, 23 febbraio 2024, n. 718). 2.8. Ciò chiarito, va ulteriormente precisato che il d.P.R. n. 737/1981 non indica puntualmente quale sia l'atto di avvio del procedimento disciplinare, ossia quello che materialmente impedisce la decadenza dal potere, sicché spetta all'interprete individuarlo. 2.9. Orbene, analizzando il corpus normativo va rilevato come per l'irrogazione del richiamo scritto, della pena pecuniaria e della deplorazione il procedimento si avvia con la contestazione scritta degli addebiti (v. artt. 17 e 18 d.P.R. 737 cit.); viceversa, nel caso delle sanzioni più gravi, il primo atto del procedimento è la nomina del funzionario istruttore (art. 19, comma 2 d.P.R. 737 cit.), il quale comunica l'avvio (rectius, contesta per iscritto gli addebiti) al dipendente entro 10 giorni. 2.10. Nel caso di specie, dunque, il termine di riferimento è da individuarsi nel 13 settembre 2021, data in cui il Questore di Lecco aveva disposto l'espletamento di una inchiesta disciplinare notificando la nomina del funzionario istruttore, e la contestazione degli addebiti è avvenuta il 21 settembre 2021. 2.11. Sulla ragionevolezza dei termini per la contestazione degli addebiti, considerata la natura afflittiva del procedimento disciplinare, si osserva inoltre che nella disciplina del procedimento sanzionatorio contenuta nella L. 689/81, l'art. 14 prescrive che la contestazione degli addebiti deve essere fatta "immediatamente" e se la contestazione non è avvenuta immediatamente, deve essere fatta entro il termine di 90 giorni. Da ciò si trae dunque un ulteriore argomento per sostenere la ragionevolezza del termine entro il quale è avvenuta la contestazione degli addebiti e cioè nel termine di 85 giorni. 2.12. Ebbene, il periodo intercorso tra il fatto, la segnalazione (29 giugno 2021) e l'avvio del procedimento disciplinare, considerando anche l'approssimarsi del periodo estivo (luglio - agosto) in cui l'attività lavorativa subisce un naturale rallentamento legato al godimento delle ferie da parte del personale, si è manifestato in linea con quei criteri di ragionevole prontezza e tempestività di cui sopra, rendendo manifestamente infondata la doglianza del ricorrente. 3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti posti a fondamento della sanzione, violazione della sfera della discrezionalità della P.A., violazione e falsa applicazione dell'art. 6 d.P.R. 737/81: in sintesi, il ricorrente sostiene che l'Amministrazione avrebbe erroneamente riportato la sua condotta alle fattispecie previste dall'art. 6 comma III, cioè ai casi in cui: - vengono poste in essere in modo abituale o reiterato le mancanze sanzionate con la pena pecuniaria; - si sia ricevuta una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo che non comporti la destituzione di diritto; - l'aver denigrato l'Amministrazione o i superiori; - l'aver tenuto un comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto; - l'aver tollerato abusi commessi da dipendenti; - aver compiuto atti contrari ai doveri derivanti dalla subordinazione; - l'assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume ovvero di pregiudicati; - l'uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope risultante da referto medico 8 legale; - l'allontanamento senza autorizzazione, dalla sede di servizio per un periodo superiore a cinque giorni; - l'omessa o ritardata presentazione in servizio per un periodo superiore a quarantotto ore e inferiore a cinque giorni o, comunque, nei casi in cui l'omissione o la ritardata presentazione in servizio di cui all'art. 4, n. 10, provochi gravi disservizi ovvero sia reiterata o abituale. Non solo la condotta tenuta dall'odierno ricorrente non rientrerebbe affatto nelle fattispecie sopra descritte ma, a suo dire, l'Amministrazione non avrebbe considerato che il decreto di archiviazione avrebbe ritenuto non gravi i fatti e il giudice penale non avrebbe svolto alcun tipo di accertamento dei fatti. Infine, il ricorrente esclude la consapevolezza e la conoscenza dei precedenti penali a carico del soggetto tratto in arresto. 4. Il motivo non è fondato. 4.1. Innanzitutto si osserva che il provvedimento impugnato si fonda sui fatti tipici di cui all'art. 6, n. 1 e n. 4, in relazione all'art. 4, n. 3 del d.P.R. n. 737/1981. 4.2. La fattispecie di cui al combinato disposto degli artt. 6, n. 1 e n. 4, e 4, n. 3, del d.P.R. n. 737/1981 contempla le "mancanze...di particolare gravità ovvero...reiterate o abituali" in relazione al "mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato" nonché in relazione ad un "comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto". 4.3. Per quanto riguarda l'infrazione di cui all'art. 4 n. 3 del d.P.R. n. 737/1981, vale a dire il "mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato" dai tabulati telefonici versati negli atti delle indagini preliminari, è emerso che l'agente scelto -OMISSIS- frequentava e aveva instaurato un rapporto di amicizia quasi fraterno con S.A. e con la sua famiglia, rapporto che andava ben al di là di quello di semplice avventore del ristorante di quest'ultimo. Risulta infatti che -OMISSIS- e S.A. si sono tenuti in contatto telefonico e tramite messaggi via chat con una costante frequenza fino alla mattina dell'arresto di S.A. e risulta inoltre che -OMISSIS-, il 23 luglio 2020, aveva scritto a S.A. "-OMISSIS-torna tra noi" informandolo come quest'ultimo, arrestato per droga, fosse stato scarcerato e sottoposto al regime degli arresti domiciliari. Dalla relazione istruttoria redatta dal funzionario istruttore emergono inoltre ulteriori elementi a supporto dello stretto legame instaurato dal -OMISSIS- con la famiglia di S.A.; in particolare, il funzionario istruttore aveva allegato una nota investigativa redatta dal Dirigente della DIGOS di Lecco, che aveva documentato, dopo l'arresto di S.A., un incontro conviviale e amichevole di -OMISSIS- con i parenti di S.A., presso il bar del palazzetto dello sport di Me.. Si legge inoltre che dagli stessi accertamenti investigativi, emergevano altresì contatti del -OMISSIS-, non motivati da finalità istituzionali, con un dipendente di un esercizio commerciale destinatario di una misura interdittiva antimafia e di un cittadino kossovaro, tale -OMISSIS-, entrambi arrestati per reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti. 4.4. Quanto al procedimento penale a carico del -OMISSIS-, assumono rilevanza le chat che riportano le richieste di informazioni che S.A. gli rivolgeva per identificare eventuali appartenenti alle forze dell'ordine presenti nei locali dallo stesso frequentati e per conoscere la localizzazione delle pattuglie sul territorio, informazioni evidentemente utili per poter svolgere la sua illecita attività di spaccio lontano dalle forze dell'ordine. 4.5. Contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente - la quale sostiene che in sede penale non sarebbe stato svolto alcun accertamento sui fatti - il decreto di archiviazione ex art. 131-bis c.p. per la speciale tenuità del fatto è stato emesso in quanto "le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio portano a ritenere le condotte di reato di particolare tenuità, attese le motivazioni addotte alla base delle stesse, ascrivibili ad una superficiale valutazione delle conseguenze penali in relazione alla rivelazione di segreti d'ufficio" e dunque esso è stato adottato sul presupposto di un giudizio di fondatezza della notitia criminis, considerato che l'art. 131-bis c.p. non esclude la responsabilità penale ma prevede una causa di non punibilità per i reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, applicabile nel caso di specie. 5. Non può quindi negarsi che il comportamento contestato al ricorrente in sede disciplinare sia in contrasto coi doveri del personale della Polizia di Stato e capace di arrecare grave nocumento alla credibilità e al prestigio di quest'ultima, in considerazione delle sue funzioni istituzionali, né è dato cogliere profili di irragionevolezza nella valutazione dell'Amministrazione in merito alla gravità della condotta dell'incolpato, il quale, ancora dopo l'arresto del pregiudicato aveva continuato a mantenere rapporti di convivialità con i parenti dell'arrestato. 6. Occorre rammentare che per il regolamento di servizio dell'Amministrazione della pubblica sicurezza il personale della Polizia di Stato ha il precipuo dovere di "non mantenere, al di fuori di esigenze di servizio, relazioni con persone che notoriamente non godono pubblica estimazione, non frequentare locali o compagnie non confacenti alla dignità della funzione" (art. 12, n. 4, d.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782) e di "non frequentare senza necessità di servizio o in maniera da suscitare pubblico scandalo persone dedite ad attività immorali o contro il buon costume ovvero pregiudicate" (art. 12, n. 5, d.P.R. n. 782/85) e, in generale, "deve mantenere una condotta irreprensibile, operando con senso di responsabilità, nella piena coscienza delle finalità e delle conseguenze delle proprie azioni in modo da riscuotere la stima, la fiducia ed il rispetto della collettività, la cui collaborazione deve ritenersi essenziale per un migliore esercizio dei compiti istituzionali, e deve astenersi da comportamenti o atteggiamenti che arrecano pregiudizio al decoro dell'Amministrazione" tenendo anche fuori servizio una "condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni" (art. 13 d.P.R. n. 782/85). 6.1. Alla luce degli elementi in atti, il Collegio ritiene che l'apprezzamento dell'Amministrazione dell'Interno in ordine alla sussistenza dei presupposti degli illeciti disciplinari ascritti al dipendente sia esente da palese travisamento dei fatti. 7. Con il terzo e ultimo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l'eccessività della sanzione inflitta: a dire del ricorrente, la sanzione sarebbe del tutto sproporzionata rispetto alla condotta contestata, tenuto anche conto del fatto che, a mente dell'art. 13, comma 1, del d.P.R.737/81, l'organo competente ad infliggere la sanzione deve tener conto di tutte le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell'età, della qualifica e della anzianità di servizio e sanzionare con maggior rigore le mancanze commesse in servizio o che abbiano prodotto più gravi conseguenze per il servizio, quelle commesse in presenza o in concorso con inferiori o indicanti scarso senso morale e quelle recidive o abituali. Nel caso di specie non vi sarebbe alcuna prova che la mancanza descritta nella nota di contestazione del 21 settembre 2021, anche alla luce del giudizio di tenuità proposto dal P.M. ed accolto dal G.I.P. di Lecco, sia stata reiterata o abituale, o che abbia gettato scandalo nell'Amministrazione. 8. Il motivo è infondato. 8.1. Occorre premettere che per costante giurisprudenza, in punto di individuazione e dosimetria della sanzione disciplinare, l'Amministrazione gode di ampia discrezionalità, sindacabile dal giudice amministrativo solo ab externo nei casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità o palese arbitrarietà (ex multis, Cons. St., sez. II, 31 gennaio 2023, n. 1103, cit.; Cons. St., sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484; T.A.R. Piemonte, sez. I, 13 febbraio 2022, n. 124). 8.2. Nel caso di specie, il funzionario istruttore ha tenuto conto di tutte le circostanze, esposte a pag. 5 della relazione istruttoria, ritenendo prevalente la gravità della condotta in quanto le frequentazioni del -OMISSIS- con soggetti dediti ad attività criminose quali spaccio di sostanze stupefacenti, non sono deontologicamente conformi al regolamento di servizio, cui un appartenente ai ruoli della Polizia di stato ha il dovere di uniformarsi e ciò è stato considerato come altamente lesive del vincolo fiduciario di appartenenza che lega la Polizia di Stato ai propri dipendenti. 8.3. A fronte di un simile riprovevole comportamento, di particolare gravità per il decoro e l'immagine della Polizia di Stato, la sanzione inflitta al ricorrente non appare sproporzionata né illogica. 8.4. Quanto al trasferimento d'ufficio, la giurisprudenza ha chiarito che il trasferimento per motivi di opportunità ed incompatibilità ambientale dell'appartenente alla Polizia di Stato, disposto ai sensi della norma appena citata, "non ha carattere sanzionatorio né disciplinare, non postulando comportamenti sanzionabili in sede penale o disciplinare, ed è condizionato solo alla valutazione del suo presupposto essenziale costituito dalla sussistenza oggettiva di una situazione di fatto lesiva del prestigio, decoro o funzionalità dell'amministrazione che sia, da un lato, riferibile alla presenza del dipendente in una determinata sede e, dall'altro lato, suscettibile di rimozione attraverso l'assegnazione del medesimo ad altra sede" (T.A.R. Milano, sez. III, 30/04/2018, n. 1156; T.A.R. Palermo, sez. I, 18/11/2022, n. 3273; T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 07/12/2021, n. 928; T.A.R. Cagliari, sez. II, 03/07/2019, n. 599). 9. Per quanto sopra esposto il ricorso va dunque respinto. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite nei confronti del Ministero dell'Interno che liquida in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) oltre accessori se previsti dalla legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Gabbricci - Presidente Alessandro Fede - Referendario Marilena Di Paolo - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 535 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Li. Pa. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Sa. Pa. in Palermo, via (...); contro il Ministero dell'Interno - Ufficio Territoriale del Governo di -OMISSIS- - Questura di -OMISSIS-, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Palermo, via (...); per l'annullamento -del decreto prot. interno n. -OMISSIS- - prot. uscita n. -OMISSIS-, emesso dal Prefetto di -OMISSIS- con il quale è stata respinta la memoria depositata dal Sig-OMISSIS- volta ad ottenere l'archiviazione del procedimento amministrativo avente ad oggetto il divieto di detenzioni armi e munizioni materie esplodenti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno - Ufficio Territoriale del Governo di -OMISSIS- - Questura di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2024 il dott. Guido Gabriele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. In punto di fatto rilevano le seguenti circostanza: - in data 1 giugno 2021, la Questura di -OMISSIS- notificava al ricorrente la comunicazione di avvio del procedimento di ammonimento ai sensi dell'art. -OMISSIS-(cd. -OMISSIS-), aperto a seguito di un esposto presentato da -OMISSIS-; - in sede partecipativa, il ricorrente inoltrava alla Questura procedente memoria difensiva corredata da documentazione e da video, volti a smentire la ricostruzione fattuale contenuta nell'esposto che aveva dato luogo all'avvio dell'azione amministrativa; - all'esito, il Questore di -OMISSIS- adottava in data-OMISSIS- il provvedimento di archiviazione del procedimento di ammonimento sulla base della seguente motivazione: "CONSIDERATO che dalla lettura degli atti assunti e degli accertamenti svolti, non sussistono, allo stato attuale, i presupposti idonei e necessari all'emissione del provvedimento richiesto da -OMISSIS- ai sensi della L. -OMISSIS- e successive modifiche."; - in data 6 luglio 2021, l'Ufficio Territoriale del Governo di -OMISSIS- comunicava al ricorrente l'avvio del procedimento volto alla adozione del provvedimento di divieto di detenzione armi, munizioni e materiali esplodenti ai sensi dell'art. 39 del TULPS, in ragione della proposta della Questura di -OMISSIS- motivata dalla pendenza del procedimento di ammonimento ai sensi dell'art. -OMISSIS-; - in data 7 luglio 2021, il ricorrente inoltrava all'UTG procedente memoria partecipativa in funzione difensiva, in cui informava la Prefettura della archiviazione del procedimento di ammonimento intervenuta pochi giorni prima, allegando il relativo provvedimento; - con il provvedimento impugnato in epigrafe, l'UTG di -OMISSIS- disponeva il divieto di detenzione armi, munizioni e materiale esplodenti a carico del ricorrente. 2. Avverso il prefato provvedimento, il ricorrente ha proposto la seguente articolata censura: - "VIOLAZIONE DI LEGGE PER CARENZA DI ISTRUTTORIA - ECCESSO DI POTERE PER MANCANZA DI VALIDA MOTIVAZIONE PER SUPPORTARE IL DIVIETO". Con il mezzo in esame parte ricorrente lamenta che il provvedimento prefettizio abbia completamente omesso di valutare la circostanza fattuale dell'archiviazione del procedimento di ammonimento, valorizzando esclusivamente la prodromica segnalazione della Questura e ciò nonostante lo stesso ricorrente, in sede partecipativa, avesse segnalato l'intervento del provvedimento di archiviazione del procedimento di ammonimento, fondato sulla insussistenza di elementi fattuali concreti che ne potessero legittimare l'adozione. In secondo luogo, il ricorrente censura il provvedimento di detenzione armi gravato per non aver valutato la personalità del medesimo e per non aver valutato in concreto le emergenze fattuali del provvedimento di archiviazione del procedimento di ammonimento. In buona sostanza, il mezzo impugnatorio proposto censura il provvedimento gravato perché esso non ha tenuto in nessun conto gli accadimenti successivi alla segnalazione della Questura, che è stata recepita acriticamente dalla Prefettura, senza tenere conto degli sviluppi conseguenti agli approfondimenti istruttori disposti dalla stessa Questura di -OMISSIS- e conducenti alla archiviazione del procedimento di ammonimento. 3. In data 15 aprile 2022, si è costituito in giudizio il Ministero dell'Interno con memoria di stile. 4. Con ordinanza del -OMISSIS-, il Tar Palermo, II Sezione, ha rigettato la proposta istanza cautelare con la seguente motivazione: "Considerato che il ricorso in epigrafe non mostra evidenti profili di fondatezza, e che comunque non è ravvisabile un danno grave ed irreparabile, agli interessi di parte ricorrente, in conseguenza dell'efficacia del provvedimento impugnato; ... ". 5. In data 18 gennaio 2024, l'Avvocatura dello Stato ha depositato memoria difensiva, con cui ha instato per il rigetto del ricorso, richiamando le diversità tra il procedimento in tema di armi e il procedimento di ammonimento e ritenendo complessivamente il provvedimento prefettizio immune dai vizi prospettati in ricorso. 6. All'udienza del 22 febbraio 2024 il ricorso è stato posto in decisione. 7. Il ricorso è meritevole di accoglimento sulla base delle seguenti ragioni. 8. In particolare, il motivo di ricorso è fondato quanto alla deduzione del difetto di istruttoria e, conseguentemente, di motivazione. 8.1 Invero, l'art. 39, comma 1, del R.D. del 18 giugno 1931, n. 773 prevede che: "Il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne.". 8.1.1 Secondo la condivisibile giurisprudenza amministrativa: "In tema di divieto di detenzione e porto d'armi, il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, proprio in forza della riconosciuta ampia discrezionalità, va esercitato nel rispetto dei canoni tipici dell'esercizio della discrezionalità amministrativa, sia sotto il profilo motivazionale che sotto quello della coerenza logica e ragionevolezza; la motivazione, pertanto, deve dare conto dell'adeguata istruttoria espletata al fine di evidenziare circostanze di fatto in ragione delle quali il soggetto sia ritenuto pericoloso o comunque capace di abusi.". (ex pluris: Tar Sicilia, Catania, IV Sezione, sentenza del 1 dicembre 2023, n. 3703). 8.2 In sostanza, l'ampia discrezionalità riconosciuta alla amministrazione di P.S. in subiecta materia va esercitata secondo una scansione trifasica così articolata: i) acquisizione di tutti i fatti rilevanti; ì ì ) valutazione delle circostanze fattuali sulla base dei principi di ragionevolezza e proporzionalità ; iii) prognosi di abuso delle armi. L'ultima fase, costituente l'ubi consistam del potere prefettizio in esame, si estrinseca pertanto in un giudizio di sintesi avente ad oggetto le risultanze delle prime due fasi di acquisizione dei fatti e della loro valutazione, ed esso giudizio deve trovare un immediato ed esaustivo riscontro nel supporto motivazionale del provvedimento di divieto di detenzione armi. 8.3 Nel caso in scrutinio, l'UTG di -OMISSIS-, pur avendo acquisito tutti i fatti rilevanti, anche attraverso l'esercizio delle facoltà partecipative da parte del ricorrente, ha operato una valutazione solo parziale delle risultanze istruttorie, omettendo del tutto di vagliare la pur rilevante circostanza dell'archiviazione del procedimento di ammonimento disposto dalla Questura di -OMISSIS-, adottando, all'esito, un provvedimento contraddittorio ed illogico. Da ciò deriva che l'amministrazione resistente ha esercitato in modo disfunzionale la pur ampia discrezionalità riconosciutale dalla divisata norma attributiva del potere, determinando la fondatezza del motivo di ricorso proposto. 8.4 Conclusivamente, il ricorso è fondato e va di conseguenza accolto. 9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie. Condanna il Ministero dell'Interno al pagamento delle spese di lite in favore del ricorrente, che si liquidano per tutte le fasi del giudizio in complessivi euro 1.500,00, oltre rimborso forfettario, iva e cpa, come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare ogni soggetto nominato nel presente provvedimento. Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Francesco Bruno - Presidente Guido Gabriele - Referendario, Estensore Giulia La Malfa - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 846 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ga. Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Messina, Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, Regione Siciliana Assessorato Regionale Agricoltura Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Catania, via (...); per l'annullamento, previa sospensione: 1) dell'informazione interdittiva emessa dalla Prefettura di Messina - Antimafia - prot. Interno n. -OMISSIS-del 08/02/2024 unitamente a tutti gli altri atti connessi, presupposti e/o conseguenziali, ivi compreso, il parere reso dal Gruppo Interforze; 2) delle richieste di informazione antimafia non conosciute perché non citate; 3) delle "informazioni rese dagli Organi di Polizia", non meglio specificate per data e numero di protocollo, come genericamente richiamate nella citata interdittiva; 4) del provvedimento - non conosciuto - di sospensione dall'erogazione dei contributi comunitari mediante apposizione di anomalia D12 di sospensione nel procedimento amministrativo telematico di AGEA; 5) di ogni altro atto presupposto, connesso o, comunque, conseguenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, dell'Ufficio Territoriale del Governo Messina, dell'A.G.E.A. e dell'Assessorato Regionale Agricoltura Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 la dott.ssa Agnese Anna Barone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La ditta ricorrente è un'impresa agricola individuale con sede a -OMISSIS-il cui titolare è il sig. -OMISSIS-. Con comunicazione del 28 agosto 2023 la Prefettura di Messina comunicava che dall'istruttoria svolta era emerso il pericolo di infiltrazione della criminalità sulla base di diversi elementi riconducibili: a) alle vicende giudiziarie del titolare; b) alle vicende giudiziarie della coniuge convivente; c) ai rapporti di parentela con 4 diversi soggetti (fratello e 3 nipoti) a vario e diverso titolo coinvolti in procedimenti penali per criminalità organizzata; d) alle frequentazioni con soggetti controindicati; e) a specifiche cointeressenze economiche nell'ambito della famiglia. Con nota del 18 settembre 2024, l'interessato presentava le proprie osservazioni precisando che: - le segnalazioni a carico del titolare risalenti ad oltre 30 anni fa, analogamente a quelle più recenti per reati di truffa, non sono mai sfociate in procedimenti penali; - le condanne per il reato di favoreggiamento personale risalgono al 1993 e al 1997; - i rapporti parentali sarebbero insufficienti a supportare il rischio di infiltrazione e comunque l'amministrazione non avrebbe considerato che uno dei nipoti citati nel provvedimento (arrestato nell'ambito dell'operazione -OMISSIS-) sarebbe stato successivamente assolto; - le cointeressenze familiari sarebbero state determinate dal fatto che i terreni sono il cespite dell'eredità del padre defunto. Con provvedimento dell'8 febbraio 2024 il Prefetto di Messina riteneva le osservazioni inidonee ad incidere sui numerosi e convergenti elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria che valutati complessivamente evidenziavano l'esistenza di possibili tentativi di infiltrazione mafiosa ai sensi dell'art 91 del Codice Antimafia. Con il ricorso in esame, ritualmente notificato e depositato, l'interessato ha chiesto l'annullamento della citata misura interdittiva per i seguenti motivi: 1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 92 comma 2 bis del D.lgs. n. 159/2011 sotto il duplice profilo: a) della violazione del termine di sessanta giorni ivi indicato; b) dell'omesso riscontro delle osservazioni difensive della parte ricorrente. 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 94 bis del D.lgs. 159/2011, difetto di istruttoria e di motivazione in ordine alla mancata valutazione dell'esistenza dei presupposti per l'applicazione della misura di prevenzione collaborativa. 3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost con riferimento alla libertà economica e alla imparzialità della P.A.; violazione dell'art. 84 del D.lgs. n. 159/2011; irragionevolezza; ingiustizia manifesta; difetto di istruttoria e difetto di motivazione con riferimento alle seguenti circostanze: - le vicende giudiziarie in cui è stato coinvolto il titolare dell'impresa sono tutte collegate a reati di pascolo abusivo e non costituiscono "reati spia", né fattispecie di "maggiore allarme sociale"; - le condanne per favoreggiamento del titolare risalgono a 30 anni fa. 4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 84, 85 e 91 del D.lgs. n. 159/2011 e degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990; difetto di motivazione e carenza di istruttoria in relazione alla mancata esternazioni delle modalità con le quali i parenti indicati nel provvedimento sarebbero in grado di condizionare la gestione dell'impresa. L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio per resistere al ricorso e ha puntualmente controdedotto ai motivi di ricorso; ha, inoltre, depositato gli atti dell'istruttoria tra cui le informazioni rese dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Messina Alla camera di consiglio del 28 maggio 2024, il ricorso è stato trattenuto in decisione, ai sensi dell'art. 60 c.p.a., previo avviso alle parti. DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Partendo dalle contestazioni di ordine procedimentale va osservato che: - il termine di sessanta giorni di cui all'art. 92 comma 2 bis invocato dalla parte ricorrente si riferisce espressamente alla durata complessiva della fase (infra)procedimentale del contraddittorio e non al termine di definizione del procedimento che rimane regolato dalle disposizione dell'art. 92, comma 2° del D.lgs. n. 159/2011 (e che, peraltro, rimane sospeso durante la fase del contraddittorio tra le parti, cfr. in termini: Cons. Stato, Sez. III, 8 marzo 2024, n. 2260; T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. V, 10 maggio 2024, n. 1749); - in ogni caso, in mancanza di una espressa qualificazione dei termini come "perentori", essi vanno intesi come termini sollecitatorio o ordinatori, sicché il loro eventuale superamento non determina l'illegittimità dell'atto (cfr. in termini, C.G.A. 5 giugno 2023, n. 388); - non è ravvisabile, inoltre, alcuna violazione dell'art. 92, comma 2bis per la ritenuta omessa valutazione delle memorie di parte ricorrente atteso che alle pag. 6 e segg. del provvedimento sono esternate le ragioni della ritenuta inidoneità delle osservazioni a modificare la valenza del quadro fattuale e indiziario. Ne consegue il rigetto del primo motivo di ricorso. 3. Quanto alle censure mosse dal ricorrente circa la presunta insussistenza a carico dello stesso delle condizioni per l'adozione di un provvedimento interdittivo, il Collegio rileva come la misura sia stata adottata ai sensi degli artt. 84, 91 e 94 del Codice Antimafia, i quali non richiedono né la sussistenza di condanne, né la necessità di altri provvedimenti del giudice penale (rinvio a giudizio, misure cautelari, misure di prevenzione) ai fini della complessiva valutazione sul grado di permeabilità della criminalità organizzata. Invero, il sistema della prevenzione - per come disciplinato dal Codice Antimafia - si presenta come "binario", inducendo in via automatica da alcune categorie di reati il rischio di infiltrazione mafiosa e lasciando, invece, negli altri casi, al prudente apprezzamento dell'autorità prefettizia la valutazione "atipica" di una serie di elementi sintomatici elaborati dalla giurisprudenza. I presupposti per l'emanazione di un provvedimento interdittivo costituiscono, quindi, un cata aperto da cui l'Autorità può desumere gli indizi corroboranti il giudizio prognostico sotteso all'apprezzamento del rischio infiltrativo; quindi, la sussistenza di un provvedimento di condanna, ancorché non definitivo non è presupposto tassativo, potendo essere doppiato e traguardato dalle altre situazioni sintomatico-presuntive di cui all'art. 84, comma 4° del D.lgs. n. 159/2011 o dalla clausola aperta compendiata nei "concreti elementi" di cui all'art. 91, 6° comma, D.lgs. n. 159/2011. 3.1 Al riguardo, la giurisprudenza è da tempo consolidata nel ritenere che i provvedimenti prefettizi interdittivi possano essere adeguatamente motivati con riferimento a riscontri che danno vita a valutazioni che sono espressione di ampia discrezionalità e che non devono necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazioni malavitose (e, quindi, del condizionamento in atto dell'attività di impresa), ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergono sufficienti elementi di pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata (cfr. tra le tante: C.G.A. 14 maggio 2021, n. 431; Cons. Stato, sez. III 4 giugno 2021, n. 4293; 27 aprile 2021, n. 3379; T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. I, 19 gennaio 2018, n. 148 e 29 settembre 2017 n. 2258). Il "tentativo di infiltrazione" deve essere, quindi, valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere raggiungere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell'accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere "più probabile che non", appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (Cons. Stato, Ad. Plen. 6 aprile 2018, n. 3; Cons. Stato, Sez. III, 25 novembre 2021, n. 7890; 30 gennaio 2019, n. 758; 18 aprile 2018, n. 2343). Lo stesso legislatore, del resto, laddove fa riferimento (art. 84, comma 3°, D.lgs. n. 159 del 2011) agli "eventuali tentativi" di infiltrazione mafiosa "tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate" richiama nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di infiltrazione mafiosa è, dunque, la probabilità che si verifichi l'evento secondo una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un'ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso (cfr. in termini, tra le più recenti, Cons. Stato Sez. III, 6 settembre 2021, n. 6225 e 3 agosto 2021, n. 5734 con ampi richiami giurisprudenziali). 3.2 Venendo alla fattispecie oggetto di giudizio, gli elementi su cui il provvedimento interdittivo ha fondato la sua prognosi indiziaria sono costituiti: - da varie vicende giudiziarie del ricorrente e della coniuge convivente; - dalle frequentazioni, tutte recenti (v. pag. 5 del provvedimento), con soggetti pregiudicati; - dai rapporti di parentela con soggetti coinvolti a vario titolo in procedimenti penali per associazione di tipo mafioso (pagg. 2 e segg. del provvedimento) e dalle cointeressenze economiche con i membri della famiglia derivanti dai numerosi contratti di affitto indicati alle pagg. 5-6 del provvedimento. In particolare, il ricorrente è : 1) fratello di -OMISSIS-(attualmente detenuto, come riferito dallo stesso ricorrente), rimasto coinvolto nell'ambito nelle operazioni di polizia denominate -OMISSIS- (per il reato di associazione di tipo mafioso, riqualificato, con apposita Ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Palermo, nel reato di favoreggiamento personale aggravato dal metodo mafioso) e -OMISSIS- (in ordine ai reati di concorso esterno in associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori aggravato; 2) zio di -OMISSIS- (figlio del fratello sopra indicato) socio amministratore insieme ad altro soggetto di impresa agricola operante nel medesimo territorio e già destinataria, nel 2018, di provvedimento interdittivo; 3) zio di -OMISSIS-, titolare di altra impresa destinataria, nel 2021, di interdittiva; 4) zio di -OMISSIS- (anch'egli figlio del fratello indicato sub 1) arrestato nel 2019 nell'ambito dell'operazione -OMISSIS- per i reati di concorso in associazione di tipo mafioso, concorso in truffa aggravata e trasferimento fraudolento di valori; 5) zio di -OMISSIS- (figlio di altro fratello del ricorrente): a) segnalato, tra l'altro, nel 2016 per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso in concorso con esponenti del mandamento mafioso di -OMISSIS- e condannato, per tali reati, nel 2019 (sentenza del 2019 indicata nel provvedimento) alla pena di anni 6 di reclusione e 4.000,00 euro di multa; b) coinvolto, sempre nel 2016, nel procedimento penale convenzionalmente denominato -OMISSIS-per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis commi 1,3, 4, 5 e 6 c.p.), quale appartenente alla famiglia mafiosa inserita nel mandamento di -OMISSIS-, successivamente arrestato, nel 2018, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare e, infine, assolto nel 2019 "per non avere commesso il fatto"; di tale assoluzione da espressamente atto il provvedimento impugnato precisando che la circostanza non elide la contiguità ai contesti malavitosi comunque ritraibili dalle dinamiche relazioni emerse dall'ordinanza di custodia cautelare (pag. 7 del provvedimento); c) segnalato, nel 2018, e successivamente sottoposto, unitamente ad altri 3 familiari (-OMISSIS-), a misure cautelari nell'ambito dell'operazione -OMISSIS- poiché responsabili, a vario titolo, dei reati di concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori con l'aggravante di aver commesso il fatto per agevolare l'organizzazione mafiosa e concorso in truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche; - citato nell'ordinanza di custodia cautelare emessa nell'ambito dell'operazione denominata -OMISSIS-da cui emerge l'inserimento in un contesto criminale dedito principalmente alla commissione di estorsioni in danno di imprese edili. Risultano, infine, indicati 5 contratti di affitto di fondi rustici (uno risalente al 2015, gli altri molto più recenti) tra il ricorrente e altri fratelli in qualità di dante causa con controparti appartenenti alla medesima famiglia; tra questi soggetti figurano, tra gli altri, i soggetti indicati sub 1), 2), 3) e 4.c). 3.3 Ciò premesso il Collegio ritiene che i riferiti elementi, complessivamente valutati, danno vita ad un quadro indiziario sufficiente per ritenere correttamente formulato il giudizio del Prefetto circa l'attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività economica ed imprenditoriale riconducibile alla ditta del ricorrente, ove si consideri la funzione di tutela sociale significativamente anticipatoria assegnata dal legislatore alle misure previste dalla normativa antimafia. Non si può disconoscere che un ruolo centrale nell'impianto motivazionale è costituito dai rapporti parentali che - come più volte affermato anche da questo TAR - da soli e astrattamente considerati non avrebbero potuto sostenere un'informazione interdittiva, dato che la pericolosità sociale non si trasferisce automaticamente da un parente all'altro essendo comunque necessario un concreto rischio che dalla parentela possa scaturire un pericolo di condizionamento. Invero, il solo legame parentale, nella sua mera esistenza, non si presta - in mancanza di ulteriori elementi idonei ad attribuirgli concreta rilevanza indiziaria nella prospettiva della valutazione antimafia - a fondare il pericolo di condizionamento, ciò in quanto il rapporto familiare, genericamente inteso, in quanto ontologicamente esistente in una dimensione non solo extra-criminale, ma anche extra-imprenditoriale, può alternativamente costituire, dal punto di vista della valutazione interdittiva, un elemento "inerte" o neutrale, in quanto privo di concreto significato ai fini preventivi e confinato esclusivamente nella sfera personale, ovvero un elemento "dinamico" e rilevante, in quanto idoneo ad innescare il flusso inferenziale che fa da sfondo alla ricostruzione indiziaria del pericolo di condizionamento. A determinare il passaggio "qualitativo" del vincolo parentale dall'una all'altra dimensione valutativa è la specifica caratterizzazione dello stesso, soprattutto in determinati contesti socio economici nella doverosa constatazione che l'organizzazione mafiosa tende a strutturarsi secondo un modello "clanico" che si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, con la conseguenza che il vincolo parentale unitamente al contesto ambientale e sociale nel quale opera l'impresa attinta da informativa possono rilevare quali elementi sintomatici accessori tanto il contesto ambientale e parentale nel quale opera l'impresa attinta da informativa, quanto la sua struttura organizzativa o societaria, possono rilevare quali elementi sintomatici accessori (cfr. in termini, C.G.A. 6 novembre 2023, n. 762; 6 marzo 2023, n. 200; Cons. Stato, sez. III, 21 marzo 2022, n. 2167; 17 marzo 2022, n. 1935; 7 marzo 2022, n. 1622). Orbene, nel caso di specie, ciò che assume profonda valenza in chiave prognostica, non è solo il coinvolgimento dei familiari del ricorrente in vari procedimenti penali anche per reati associativi, risultando determinanti anche le cointeressenze economiche comprovate dall'affitto dei fondi rustici (alcuni dei quali con familiari già destinatari di interdittive) in uno specifico contesto socio economico e in un limitato ambito territoriale (caratterizzato da una pervasiva presenza del fenomeno mafioso espressione della regia clanico-familiare delle attività in agricoltura) ove il pericolo di contaminazione mafiosa assume connotazioni più pregnanti. 3.4 A ciò si aggiunga il fatto che altro elemento indiziario è costituito da una serie di recenti frequentazioni con soggetti fortemente controindicati con pregiudizi, tra gli altri, per sequestro di persona a scopo di estorsione, concorso in associazione di tipo mafioso, rapina e truffa aggravata. Anche i predetti elementi, esaminati nelle loro specifica consistenza e valutati nel contesto territoriale e sociale in cui opera l'impresa agricola sono idonei a sorreggere, in una logica di prevenzione, l'impianto dei due provvedimenti in termini di indici sintomatici dell'infiltrazione mafiosa. 3.5 Quindi, il Collegio - tenuto anche conto dei limiti di sindacato su un provvedimento assistito dalla lata discrezionalità amministrativa, censurabile soltanto per parametri quali l'irragionevolezza, l'arbitrarietà, il travisamento del fatto, elementi questi che non connotano la fattispecie - ritiene che risultino persuasivamente ricostruiti i rapporti familiari connotati da cointeressenze economiche e gli ulteriori rapporti tra il ricorrente e soggetti pregiudicati per reati gravi che consentono appieno di ritenere soddisfatto il requisito del "più probabile che non" dato che non vi è stata un'automatica ed apodittica valutazione del solo dato del rapporto parentale, bensì l'apprezzamento di un insieme di indici considerati nel loro insieme, che hanno condotto ad un giudizio di verosimile e probabile condizionamento delle scelte e degli indirizzi dell'impresa. 4. Gli elementi sopra richiamati, per le loro oggettive caratteristiche, la continuità nel tempo e per il loro significato in termini prognostici esprimono, inoltre, un pericolo di infiltrazione avente una natura e dimensione tale, anche in relazione alle caratteristiche del soggetto economico in questione, da non potere essere adeguatamente fronteggiate da strumenti diversi da quello interdittivo, sicché la scelta della Prefettura di ricorrere all'informativa interdittiva (in luogo delle misure di collaborazione preventiva) risulta formalmente coerente all'impianto motivazionale posto a fondamento dell'atto. 5. In conclusione, per tutto quanto sopra esposto il ricorso è infondato e va respinto. 6. Le spese seguono la soccombenza, nei rapporti tra la parte ricorrente e il Ministero dell'Interno - UTG di Enna, secondo la liquidazione operata in dispositivo tenendo anche conto dell'immediata definizione del giudizio in sede cautelare. Le spese sono, invece, compensate con le altre parti costituite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero dell'Interno - UTG di Enna che liquida nella somma complessiva di Euro 1500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge. Compensa le spese con le altre parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente e delle generalità delle altre persone fisiche citate del provvedimento. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Agnese Anna Barone - Presidente, Estensore Giuseppina Alessandra Sidoti - Consigliere Salvatore Accolla - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 353 del 2023, proposto da El. Za., rappresentata e difesa dall'avvocato Al. Ar. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Emilia-Romagna, Provincia di Reggio Emilia, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - dell''atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 con oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell''art. 14 comma 6 LR 15/2013"; - della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Paola Pozzani, nessuno presente per le parti come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con il ricorso introduttivo la ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'atto, a firma della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio del Comune di (omissis), 11.10.2023 prot. n. 13122 recante in oggetto "S.c.i.a. 2023/041/S - Prot. n. 8753 dell'8.7.2023 - Comunicazione di inefficacia ai sensi dell'art. 14 comma 6 LR 15/2013", e dell'ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 80 del 27.10.2023. Il Comune di (omissis), costituitosi in giudizio il 28 dicembre 2023, ha speso le proprie difese con memoria del 18 gennaio 2024 ed ha depositato memoria ex art. 73 C.p.a. il 4 aprile 2024. La ricorrente ha precisato la propria posizione con memoria depositata in giudizio il 19 aprile 2024. Entrambe le parti hanno depositato copiosa documentazione. Alla pubblica udienza del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La ricorrente, proprietaria, in (omissis) (RE), via (omissis), di un edificio residenziale in zona agricola, rappresenta che presentava al Comune di (omissis), in data 8.7.2023, prot. n. 8753, una s.c.i.a. in sanatoria avente ad oggetto la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina, del relativo locale tecnico, della pavimentazione perimetrale, di un piccolo fabbricato in legno ad uso spogliatoio e di una tettoia; ricevuti i documenti ed i chiarimenti richiesti, il Comune di (omissis), con atto 11.10.2023 prot. n. 13122 della Responsabile del Servizio Uso e Assetto del Territorio, comunicava alla ricorrente l'inefficacia della s.c.i.a., "verificata l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP; verificata la non applicabilità dell'art. 4.1.3. comma 6 del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq. di SU". Faceva seguito l'ordinanza 27.10.2023 n. 80, con la quale l'Amministrazione comunale ha disposto la demolizione delle opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria ed anche di una recinzione, accertando, altresì, la sussistenza di una lottizzazione abusiva: "...Confermando quanto relazionato dalla comunicazione di inefficacia trasmessa dal Comune di (omissis) con Prot. n. 13122 del 11.10.2023 si precisa che dagli atti trasmessi risulta quanto segue: 1. Accertata difformità urbanistica ed edilizia sul mappale (omissis) (ex (omissis)) ad uso piscina e manufatti diversi (spogliatoio e wc, locale tecnico, tettoia); le dimensioni della difformità riguardano la piscina di mq. 132,92 di superficie, uno spogliatoio e wc di mq. 8,00, un locale tecnico di mq. 12,00 e una tettoia di mq. 35,02; 2. Accertata difformità urbanistica ed edilizia di muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis); 3. Accertata difformità urbanistica ed edilizia della pavimentazione realizzata sul mappale (omissis); 4. I succitati lavori di esecuzione dei manufatti e della recinzione risultano terminati da tempo, a maggio 2019, come da dichiarazione allegata alla scia 2023/041/S; 5. Accertata difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis) Pratica n. RE0065467 in atti dal 11.5.2023 Protocollo NSD n. ENTRATE.AGEV-STI.REGISTRO UFFICIALE.20433-58.11/05/2023 presentato il 11.5.2023 (n. 65467.1/2023)". Con il primo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" la ricorrente evidenzia, con riguardo alle opere di cui alla s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023, che l'art. 37, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, nel prevedere l'accertamento di conformità, mediante s.c.i.a. in sanatoria, degli interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività, non detta alcuna disposizione volta a disciplinare il relativo procedimento e prospetta che in materia sussistano due orientamenti giurisprudenziali, l'uno rivolto a riconoscere l'applicabilità dell'istituto del silenzio assenso, l'altro a negarla. In particolare la difesa attorea si riferisce, quanto al primo, alle pronunce che affermano che "la s.c.i.a. in sanatoria, presentata ex art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001, si presta a rendere operanti le correlate prescrizioni di cui all'art. 19 e ss., legge n. 241 del 1990, in materia di silenzio assenso, dovendo essere ragionevolmente riconosciuto a tale segnalazione carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità dei fatti attestati e a produrre, con l'inutile decorso del tempo per l'emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una diversa volontà delle parti, ossia l'avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria... Di talché, non essendo intervenuto alcun motivato provvedimento inibitorio allo spirare del trentesimo giorno dalla segnalazione, il titolo in sanatoria deve essere considerato esistente...". (facendo riferimento a T.A.R. Campania, Salerno, 24.3.2022 n. 809; T.A.R. Campania, Napoli, 9.12.2019 n. 5789; T.A.R. Lazio, Roma, 9.1.2018 n. 156; T.A.R. Calabria 29.5.2019 n. 1085; Cons. Stato, Sez. V, 31.3.2014 n. 1534). Nel caso di specie, tale silenzio significativo si sarebbe formato in quanto il Comune di (omissis), a seguito della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria in data 8.7.2023, ha chiesto tempestivamente alla ricorrente, in data 7.8.2023, prima della scadenza del termine di 30 giorni, chiarimenti e determinata documentazione e, ottenute, in data 6.9.2023, le precisazioni richieste, l'Amministrazione comunale si è pronunciata con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dal ricevimento delle integrazioni e, pertanto, quando il titolo edilizio in sanatoria sarebbe ormai venuto ad esistenza. Parte attrice da atto che un diverso orientamento qualifica la fattispecie come silenzio rigetto (facendo riferimento a T.A.R. Lombardia, Milano, 21.3.2017 n. 676) o come silenzio inadempimento (in riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20.2.2023 n. 1708), ma ne contesta il fondamento poiché la prima declinazione ermeneutica replicherebbe la disciplina dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, precisando che nelle relative sentenze si farebbe riferimento anche al termine di 60 giorni previsto dall'art. 36, comma 3, quando, invece, il legislatore avrebbe tenuto ben distinte le fattispecie, prevedendo: - la disciplina dell'art. 36 per i casi di "interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio di attività nelle sole ipotesi di cui all'art. 23, comma 01, o in difformità da essa"; - la disciplina di cui all'art. 37 per la diversa fattispecie riguardante "la realizzazione di interventi di cui all'art. 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla s.c.i.a.", senza operare alcun riferimento, neppure indirettamente, all'art. 36 né prevedere che il mancato, tempestivo, pronunciamento della Amministrazione sia da qualificarsi come silenzio rigetto. Quanto alla seconda declinazione interpretativa dell'orientamento in disamina, la difesa attorea sottolinea che sarebbe stato affermato (in riferimento a Cons. Stato, n. 1708/2023 cit.) che "il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento" in considerazione del fatto che "dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio": sul punto la ricorrente sottolinea che nella impossibilità, sulla base di detta impostazione, di far riferimento, per il pronunciamento dell'Amministrazione comunale, ad alcun termine determinato - non al termine dell'art. 19 della L. n. 241/1990, la cui inosservanza comporterebbe il silenzio assenso, non al termine di cui all'art. 36, la cui inosservanza è qualificata come silenzio rigetto, e neppure al termine previsto in via generale dall'art. 2, comma 2, della L. n. 241/1990, atteso che, sulla base della giurisprudenza citata, 30 giorni non sarebbero sufficienti per accertare la duplice conformità urbanistica di un'opera abusiva - verrebbe a determinarsi una situazione di assoluta incertezza, non essendo dato comprendere quando possa configurarsi l'inadempimento, così da consentire all'interessato di attivarsi giudizialmente per contrastare l'inerzia della Amministrazione. Né tale tesi sarebbe percorribile, ad avviso del patrocinio attoreo, sulla scorta del fatto che, in caso di esito favorevole, il quantum della somma da corrispondersi a titolo di oblazione debba essere determinato dal responsabile del procedimento medesimo, poiché non sussisterebbe alcuna preclusione a che la somma dovuta venga determinata in un momento successivo alla formazione, per decorso del termine di 30 giorni, del titolo edilizio in sanatoria: tale tesi sarebbe ancora meno spendibile con riferimento al caso di specie, avuto riguardo alla normativa regionale di riferimento. La ricorrente fa riferimento all'art. 17, comma 3, della L. Reg. 21.10.2004 n. 23 laddove prevede per le nuove costruzioni il pagamento di un importo a titolo di oblazione predeterminato dalla stessa norma, commisurato "al contributo di costruzione in misura doppia ovvero, in caso di esonero, in misura pari a quella prevista dalla normativa regionale e comunale, e comunque per un ammontare non inferiore a 2.000 euro": pertanto, assume la difesa attorea, l'intervento del responsabile del procedimento, nel caso considerato, non sarebbe a rigore necessario e il modulo relativo alla s.c.i.a. in sanatoria prevede che l'importo della oblazione sia indicato dal privato e preventivamente versato. L'esponente contesta l'impostazione della decisione del Consiglio di Stato n. 1708/2023 laddove si legge, altresì, che il silenzio inadempimento è soluzione che "appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio", poiché la disciplina di cui all'art. 19 della L. n. 241/1990 non esclude una valutazione espressa della Amministrazione, prevedendo anzi, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti prescritti, l'adozione di "motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa". Inoltre, aggiunge parte attrice, la s.c.i.a. in sanatoria ha per oggetto opere di minore impatto e rilevanza, per le quali l'accertamento della doppia conformità rispetto alla disciplina urbanistico - edilizia può essere adeguatamente effettuato nel termine di 30 giorni previsto dalla legge, tenuto conto anche del fatto che il termine in questione è suscettibile di essere interrotto per chiarimenti e integrazioni, per poi, una volta ottenuto quanto richiesto, riprendere nuovamente il suo corso. In conclusione, la difesa attorea prospetta che la comunicazione di cui all'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, in quanto pervenuta oltre il termine di 30 giorni dall'inoltro delle integrazioni richieste dall'Amministrazione comunale, sarebbe da ritenersi, sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale che ritiene preferibile, priva di efficacia, come previsto anche dall'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 (in riferimento al comma 8-ter) che il Comune di (omissis), a dimostrazione della ritenuta applicabilità della norma in questione anche nel caso di specie, avrebbe richiamato espressamente in detta comunicazione: il titolo edilizio in sanatoria sarebbe, pertanto, venuto ad esistenza e l'inefficacia dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 si riverberebbe sulla ordinanza 27.10.2023 n. 80, determinandone l'illegittimità per vizio derivato ed anche per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, difettando il presupposto per ordinare il ripristino dello stato dei luoghi, costituito dalla abusività delle opere considerate. Nella memoria finale la difesa attorea aggiunge che la tesi volta ad escludere la possibile formazione del silenzio assenso sulla s.c.i.a. in sanatoria confliggerebbe anche con quanto previsto dal D.Lgs. 25.11.2016 n. 222 ("Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124") sottolineando che l'art. 2 del D.Lgs. citato sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990": la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" indica la "S.c.i.a. in sanatoria" prospettando, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria è da considerarsi soggetta al regime del silenzio assenso, secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Con il secondo motivo di ricorso "Illegittimità dell'atto 11.10.2023 prot. n. 13122 per violazione dell'art. 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Violazione dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione degli artt. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. del Comune di (omissis). Eccesso di potere per travisamento. Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per vizio derivato e per violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380" parte ricorrente ritiene che nel caso di specie sussista il presupposto della doppia conformità posto che, a differenza di quanto ritenuto dal Comune di (omissis), le opere oggetto della s.c.i.a. in sanatoria presentata in data 8.7.2023 sarebbero conformi alla disciplina urbanistico - edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia alla data di presentazione di detta segnalazione: precisa, infatti, che si tratterebbe della medesima disciplina, atteso che le opere di cui trattasi sono state realizzate nel maggio del 2019 e il vigente R.U.E. del Comune di (omissis) è stato approvato con delibera di C.C. 21.12.2011 n. 72. La determinazione del Comune sarebbe erronea nel ritenere non sanabili le opere ridette, adducendo "l'assenza di titolo ad intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E. in quanto trattasi di intervento in zona agricola effettuato da non IAP" ed anche la "non applicabilità dell'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. vigente in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" poiché la s.c.i.a. in sanatoria di cui si discute riguarda la realizzazione, in assenza di titolo edilizio, di una piscina e delle relative strutture accessorie costituite dal locale tecnico ove sono alloggiati gli impianti della piscina, da uno spogliatoio in legno, da una tettoia a bordo piscina per la sosta e il riparo delle persone e dalla pavimentazione perimetrale alla piscina: le opere descritte - prospetta l'esponente - sarebbero state realizzate in stretta contiguità spaziale rispetto all'attiguo edificio abitativo (la piscina è posta di fronte a detto edificio, alla distanza di una ventina di metri), per il quale, con autorizzazione edilizia 7.1.2000 n. 47/99/A, è stato assentito il mutamento di destinazione d'uso da fabbricato rurale a edificio residenziale. A sostegno della pertinenzialità la ricorrente adduce che la Regione Emilia-Romagna, con nota 24.6.2020 n. PG/2020/463171 del Servizio giuridico del territorio, disciplina dell'edilizia, sicurezza e legalità (in actis al documento n. 8), ha precisato che costituisce pertinenza dell'edificio residenziale la piscina posta a servizio dell'edificio medesimo, "con dimensioni non superiori al 20% del volume dell'edificio principale, che non ha una potenziale autonoma utilizzazione economica" e, come si evincerebbe dalla relazione tecnica del Geom. Al. Be. del 5.12.2003 (in actis al documento n. 9), la piscina di cui trattasi ha un volume di 152 mc. inferiore al 20% del volume del fabbricato principale, pari a 1462,27 mc. (1462,27mc x 20% = 292,45 mc.). Inoltre, aggiunge la ricorrente, la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonoma utilizzazione economica, considerato che la stessa, come risulterebbe dalla relazione succitata, ha le dimensioni di una piscina ad uso privato destinata a soddisfare le esigenze delle persone residenti nell'edificio abitativo, risultando, altresì, strettamente connessa all'edificio medesimo non solo per la sua ubicazione, ma anche per il fatto che la piscina è dotata di impianti derivanti dalla abitazione ridetta, sia per l'adduzione idrica, sia per l'energia elettrica: la pertinenzialità sarebbe implicitamente - ad avviso della difesa attorea - riconosciuta dallo stesso Comune di (omissis) che nulla avrebbe eccepito in ordine al fatto che, per la sua sanatoria, sia stata presentata una s.c.i.a. Inoltre, sottolinea la esponente, il riferimento operato dal Comune di (omissis), con l'atto impugnato, alla assenza di titolo per intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e seguenti del R.U.E., non sarebbe corretto trattandosi di pertinenza di un edificio residenziale, e avrebbe, perciò, titolo per intervenire il proprietario dell'edificio medesimo, ancorché privo della qualifica di imprenditore agricolo. A sostegno della tesi, la ricorrente evidenzia che l'art. 4.1.3. del R.U.E. del Comune di (omissis) prevede la possibilità di ottenere il mutamento di destinazione d'uso degli edifici rurali in edifici residenziali, così che, una volta assentito detto mutamento, deve ritenersi consentita, per il proprietario, la realizzazione di opere pertinenziali dell'edificio principale: questa prospettazione sarebbe confermata dalla giurisprudenza, essendosi ritenuta legittima la realizzazione, in ragione del riconosciuto carattere pertinenziale, di una piscina di dimensioni contenute a corredo di un edificio a destinazione residenziale sito in zona agricola (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. V, 16.4.2014 n. 1951; idem, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Puglia, Lecce, 1.6.2018 n. 931; idem, 14.1.2019 n. 40; T.A.R. Liguria 21.7.2014 n. 1142; T.A.R. Sicilia, Palermo, 13.2.2015 n. 441). Sarebbero, così, suscettibili di sanatoria anche il locale tecnico, lo spogliatoio in legno, la tettoia e la pavimentazione perimetrale, trattandosi di elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina (citando con riferimento al locale tecnico, Cons. Stato, n. 1951/2014), insuscettibili, per le loro dimensioni contenute, di alterare in modo significativo l'assetto del territorio. Quanto al fatto che il Comune di (omissis), con l'atto 11.10.2023 prot. n. 13122, ha addotto altresì, che, nel caso di specie, non sarebbe applicabile l'art. 4.1.3., comma 6, del R.U.E. "in quanto trattasi di edificio non di recente costruzione e di ampliamento superiore ai 30 mq di SU" la difesa attorea ne contesta l'assunto in quanto la disposizione medesima disciplinerebbe l'ampliamento delle unità edilizie abitative e delle superfici accessorie esistenti, senza escludere la possibilità di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: nel caso in esame, detto limite, come sarebbe evidenziato nella relazione sopra del Geom. Be., sarebbe stato rispettato anche considerando i locali accessori (spogliatoio e locale tecnico), mentre la tettoia non sarebbe computabile a fini volumetrici, essendo aperta su tutti i lati. Aggiunge l'esponente che il locale spogliatoio e il locale tecnico hanno, rispettivamente, una volumetria di 17,78 mc. e di 27 mc. che sommata al volume della piscina (152 mc.) porta ad una volumetria complessiva di 196,78 mc., inferiore al 20% del volume del fabbricato principale (292,45 mc.) concludendo che le opere oggetto di sanatoria sarebbero da considerarsi conformi alla disciplina urbanistico-edilizia di riferimento e, così, suscettibili di sanatoria. Con il terzo motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380, dell'art. 19 della L. 7.8.1990 n. 241, dell'art. 14 della L. Reg. 30.7.2013 n. 15 e dell'art. 17 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23, nonchè per eccesso di potere per travisamento sotto altro profilo" la ricorrente lamenta che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha disposto la demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", ma la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, per alcune difformità riguardanti l'edificio principale e anche la recinzione anzidetta: su tale s.c.i.a. l'Amministrazione comunale non si sarebbe ancora pronunciata, avendo chiesto integrazioni, da ultimo, con nota 26.9.2023 prot. n. 12395, alla quale ha fatto seguito, in data 26.10.2023, la trasmissione delle integrazioni richieste; anche in tale caso si sarebbe formato il silenzio assenso, dovendosi, così, escludere la possibilità di ordinare la demolizione dell'opera medesima. Inoltre, l'ordinanza 27.10.2023 n. 80 oggetto di gravame sarebbe da considerarsi illegittima anche nell'ipotesi in cui il procedimento di sanatoria dovesse considerarsi ancora pendente poiché per giurisprudenza consolidata - prospetta la difesa attorea - è "illegittima l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive emessa in pendenza della già avvenuta presentazione di una domanda in sanatoria; questo in quanto nelle more della definizione di tali domande i procedimenti sanzionatori in materia edilizia sono sospesi" (citando Cons. Stato, Sez. VI, 9.11.2021 n. 7448). I Con il quarto motivo di ricorso "Illegittimità della ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi 27.10.2023 n. 80 per violazione e falsa applicazione dell'art. 30 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380 e dell'art. 12 della L. Reg. 21.10.2004 n. 23. Violazione dell'art. 31 del d.P.R. 6.6.2001 n. 380. Eccesso di potere sotto i profili della illogicità e del travisamento sotto ulteriore profilo" evidenzia l'esponente che il Comune di (omissis), con la ordinanza 27.10.2023 n. 80, ha contestato anche una "difformità urbanistica per lottizzazione abusiva del mappale (omissis) e (omissis) in seguito al frazionamento del mappale ex (omissis)", la quale nel caso di specie non sussisterebbe. La difesa attorea sottolinea che la lottizzazione c.d. "cartolare", come espressamente sancito dall'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001 e dall'art. 12 della L. Reg. n. 23/2004, è ravvisabile allorquando la trasformazione del suolo sia predisposta "mediante il frazionamento e la vendita, ovvero mediante atti negoziali equivalenti, del terreno frazionato in lotti", i quali, per le loro oggettive caratteristiche - con riguardo soprattutto alla dimensione correlata alla natura dei terreni ed alla destinazione degli appezzamenti considerata sulla base degli strumenti urbanistici, al numero, all'ubicazione o all'eventuale previsione di opere di urbanizzazione - rivelino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio degli atti adottati dalle parti (facendo riferimento a Cons. Stato, Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3215, Sez. V, 3 agosto 2012, n. 4429, Sez. IV, 13 maggio 2011, n. 2937). Nel caso di specie, precisa il patrocinio della ricorrente, mancherebbe il presupposto fondamentale per la sussistenza di una lottizzazione "cartolare", atteso che al frazionamento dell'originario mappale n. (omissis) non ha fatto seguito alcuna vendita del terreno frazionato, vendita che non sarebbe configurabile, considerato che la piscina non sarebbe suscettibile, neppure in via potenziale, di autonomo sfruttamento economico: il frazionamento di cui trattasi è stato effettuato in data 16.5.2023, dandone comunicazione anche al Comune di (omissis) (con riferimento al documento n. 13 in actis), in funzione della presentazione della s.c.i.a. in sanatoria riguardante la piscina, al fine di distinguere catastalmente la piscina medesima dalla restante area di proprietà, in cui era presente un magazzino, anch'esso realizzato in assenza di titolo edilizio, per il quale è stata presentata dalla ricorrente, in data 7.7.2023, prot. n. 8752, una c.i.l.a. ai fini della sua demolizione. Pertanto, conclude sul punto l'esponente, ancorché l'Amministrazione comunale, con l'atto impugnato, pare essersi riferita esclusivamente alla lottizzazione c.d. "cartolare", sarebbe da escludersi che possano configurarsi anche la lottizzazione "materiale" e la lottizzazione c.d. mista, caratterizzata, quest'ultima, dalla compresenza delle attività negoziali e delle attività materiali volte alla edificazione del terreno dovendosi, in base alla giurisprudenza, considerare che la fattispecie lottizzatoria nella veste "materiale" implica la realizzazione di "opere finalizzate alla trasformazione urbanistica di terreni in zona non adeguatamente urbanizzata in violazione della disciplina a quest'ultima impartita dalla legislazione e dagli strumenti pianificatori; siffatti interventi devono risultare globalmente apprezzabili in termini di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, di aggravio del relativo carico insediativo e di pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita all'amministrazione" (citando Cons. stato, Sez. VI, 4.11.2019 n. 7530): deve, pertanto, trattarsi di una radicale trasformazione del suolo a fini edificatori che non può riscontrarsi, a prescindere dalla dimostrata legittimità dell'intervento, nella realizzazione di una piscina a servizio di un edificio residenziale in zona agricola, non comportando tale opera, tra l'altro, alcun aggravio del carico urbanistico (rinviando a Cons. Stato, Sez. I, 21.7.2014 n. 1142). Il Comune resistente precisa in fatto che la ricorrente è proprietaria di un complesso immobiliare sito in via (omissis) a (omissis) (RE), che consta di un'abitazione principale (già fabbricato rurale, oggi edificio residenziale) e di un'ampia porzione di terreno agricolo, compendio su cui - nel corso degli anni - sono stati fatti diversi interventi di trasformazione edilizia in assenza di valido titolo. In particolare, in data 28.04.2023 la ricorrente depositava presso il Comune di (omissis) la comunicazione di avvenuto frazionamento dell'ex mappale (omissis) nei nuovi mappali (omissis) e (omissis), frazionamento che era stato presentato all'Agenzia delle Entrate - Ufficio Provinciale di Reggio Emilia - in data 18.04.2023; sul mappale (omissis), secondo la difesa dell'Ente, sono stati commessi svariati abusi edilizi, che - di fatto - lo caratterizzano in modo del tutto differente rispetto al mappale (omissis), sul quale pure sono stati commessi abusi edilizi che la ricorrente ha dichiarato di voler demolire con CILA presentata al Comune in data 08.07.2023, prot. n. 8752, ripristinando in tal modo l'originaria connotazione agricola del terreno (con riferimento ai documenti nn 3, 4, 5, 6, 7 e 8 in actis). Inoltre, prosegue l'Amministrazione, al fine di sanare le opere abusive non rimosse con la CILA di cui sopra, la ricorrente presentava al Comune due distinte pratiche di Segnalazione Certificata di Inizio Attività : la n. 2023/029/S, acquisita con prot. n. 5985 del 12.05.2023, relativa alla sanatoria di opere eseguite su edificio residenziale e sulla recinzione esterna dell'area cortiliva (immobile identificato catastalmente al foglio 20, mappale 205) e la n. 2023/041/S, acquisita con prot. n. 8753 del 08.07.2023, relativa alla sanatoria di una piscina - di oltre 112 mq. di superficie - e di manufatti annessi (su terreno agricolo, identificato catastalmente al foglio 20, mappale (omissis)). Quindi, sottolinea l'Amministrazione, emerge che le opere realizzate sul mappale (omissis) (piscina, tettoia, pavimentazione, locali tecnici, spogliatoio, recinzioni perimetrali alla piscina) sono dalla ricorrente medesima qualificate come "pertinenze" dell'edificio residenziale di cui al mappale 205, ma non sono state inserite nella stessa comunicazione di SCIA in sanatoria. Il Comune resistente aggiunge che dalla relazione fotografica e dagli elaborati grafici allegati alla SCIA prot. 8753, peraltro, si evince che gli interventi abusivamente realizzati sul mappale (omissis) hanno determinato la creazione di un autonomo lotto, con piscina e locali accessori, oltre ad una tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo (di oltre 35 mq. di superficie coperta), lotto del tutto indipendente rispetto all'abitazione principale, al punto che da questa è separata da due cancelli e da uno stradello carrabile (rinviando ai documenti nn. 20 e 21 in actis): ciò comporterebbe che gli abusi edilizi e i frazionamenti dei mappali catastali hanno determinato la creazione di tre distinti lotti all'interno della proprietà della ricorrente, tutti serviti da uno stradello privato interno: uno con abitazione a area cortiliva di pertinenza, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale 205), uno con piscina, zona relax, tettoia con zona pranzo-cucina e locali accessori, interamente recintato e chiuso da cancelli (mappale (omissis)) ed uno che - a seguito della demolizione dei fabbricati abusivi che vi insistono - riacquisterà la sua originaria natura di terreno agricolo (mappale (omissis)). Inoltre, le due SCIA menzionate hanno avuto una sorte tra loro differente: - la n. 2023/029/S, prot. n. 5985, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale 205, dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata accettata dal Comune con atto prot. n. 602/2024; - la n. 2023/041/S, prot. n. 8753, relativa alla sanatoria degli abusi eseguiti sul mappale (omissis), dopo alcune proroghe di termini e richiesta di documentazione integrativa, è stata dichiarata inefficace dal Comune con atto prot. n. 13122 del 11.10.2023. Quest'ultima, oggetto di impugnazione, è stata dal Comune motivata con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti (rinviando all'estratto del PSC di cui al documento n. 25 ed all'estratto del RUE di cui al documento n. 26 in actis) per i seguenti motivi: - assenza di titolo ad intervenire in zona agricola, ai sensi dell'art. 4.1.1 e seguenti del RUE (in quanto intervento in zona agricola effettuato da non imprenditore agricolo - IAP); - per l'inapplicabilità dell'art. 4.1.3 comma 6 del RUE, in quanto l'intervento è stato eseguito su edificio non di recente costruzione e con ampliamento superiore ai 30 mq. di superficie (la sola tettoia sarebbe di 35,02 mq. con riferimento al documento n. 20 in actis). Con l'ordinanza impugnata il Comune ingiungeva di demolire le opere abusive, non sanabili perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (PSC e RUE) realizzate in assenza di valido titolo edilizio sul mappale (omissis), e di ripristinare lo stato dei luoghi, con precisa identificazione delle opere da demolire: piscina, spogliatoio-wc, locale tecnico, tettoia, muri perimetrali, pavimentazione esterna e recinzioni sul lato ovest, sud ed est. Sul primo motivo l'Amministrazione precisa che le tesi della ricorrente non sono condivise dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha invece affermato essere necessario un espresso pronunciamento del Comune sulla SCIA in sanatoria: "... il procedimento (relativo alla sanatoria di abusi edilizi tramite SCIA, n. d.r.) può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento. Innanzitutto, infatti, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento... Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell'amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio" (citando Cons. Stato, sez. II, 20.02.2023, n. 1708 e per una puntuale ricostruzione dell'istituto della SCIA in sanatoria riferendosi a T.A.R. Lazio Roma, sez. II-quater, 07.12.2023, n. 18386): di conseguenza, sottolinea la resistente, il procedimento avviato dalla ricorrente con la SCIA prot. n. 8753/2023 è stato correttamente concluso dal Comune con la comunicazione di inefficacia della SCIA stessa (prot. n. 13122, del 11.10.2023), atto motivato con l'accertata difformità dell'intervento rispetto agli strumenti urbanistici vigenti. Sul secondo motivo, il Comune precisa che la nota della Regione citata dalla ricorrente si riferisce al quantum del contributo e non al concetto di pertinenzialità e che la declaratoria di inefficacia della SCIA impugnata è corretta in quanto non sussiste nel caso di specie la consistenza della misura inferiore ai 30 mq sostanziandosi l'intervento in un'opera che non sarebbe sanabile nemmeno da un imprenditore agricolo; la pertinenzialità sarebbe esclusa in quanto si tratta di un opera non contenuta ma di una piscina di 112 mq, e ai fini IMU (l'art. 1, comma 741, lett. b) della L. n. 160/2019 individua le pertinenze dell'abitazione principale nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7), e le piscine, che sono da ricomprendere ai sensi delle descrizioni contenute nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 5 del 14.03.1992 "Revisione generale della qualificazione della classificazione e del classamento del N.C.E.U." nella categoria C/4 (Fabbricati e locali per esercizi sportivi), sono escluse dal concetto di pertinenza. Inoltre, sottolinea l'Amministrazione, la giurisprudenza citata dalla ricorrente, al fine di affermare la pertinenzialità della piscina rispetto all'edificio principale, ha comunque quale presupposto per l'applicazione del regime di SCIA la circostanza che la piscina stessa sia costituita da un elemento prefabbricato e non determini modifiche al territorio, circostanze che non ricorrono nel caso de quo. Di conseguenza, controdeduce sul punto l'Amministrazione, risulterebbe irrilevante la tesi sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale: non si tratterebbe di una questione di limite percentuale, ma è la natura stessa delle opere abusive che non ne consentirebbe la sanatoria tramite SCIA. Infine, conclude il Comune, l'argomento relativo all'implicito riconoscimento della piscina quale pertinenza dell'abitazione da parte del Comune stesso, che nulla avrebbe eccepito in ordine alla sanatoria dell'abuso tramite SCIA, non terrebbe conto del tenore della "comunicazione di inefficacia" della SCIA stessa, che - attraverso il richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE - implicitamente affermerebbe che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, avrebbero potuto essere realizzate solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Sul terzo motivo di ricorso il Comune di (omissis) precisa che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, Prot. n. 5985 e ciò sarebbe agevolmente rilevabile dalla tavola di raffronto tra la porzione di recinzione sanata con la SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985, segnata in viola, e la porzione di recinzione - non sanata - oggetto dell'ordinanza di demolizione n. 80/2023, segnata in giallo (con riferimento al documento n. 28 in actis): sarebbero secondo la resistente, pertanto, irrilevanti le argomentazioni del ricorso relative alla "pendenza" del procedimento SCIA n. 2023/029/S poiché la eventuale pendenza del medesimo non rileverebbe, avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Sul quarto motivo di ricorso l'Amministrazione sottolinea che il frazionamento di più opere abusive censurate in via sostanziale integrerebbe una fattispecie di lottizzazione abusiva mista rinviando alla pronuncia del T.A.R. Sardegna, Sez. II, 20.03.2023, n. 194, che la descrive come categoria dogmatica "... caratterizzata dalla compresenza delle attività materiali e negoziali individuate dall'art. art. 30 del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nell'attività negoziale di frazionamento di un terreno in lotti e nella successiva edificazione dello stesso...": nel caso in esame, conclude sul punto l'Amministrazione, è stato accertato un disegno unitario, con un rilevante impatto negativo sul territorio rurale, con aggravio del relativo carico urbanistico e con pregiudizio per la potestà programmatoria attribuita al Comune a garanzia del corretto uso del territorio deponendo per la correttezza della qualificazione della fattispecie come "lottizzazione abusiva". Illustrate brevemente le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che le questioni poste dalla ricorrente sugli effetti del decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. in sanatoria non siano rilevanti nel caso de quo in quanto la fattispecie concreta non rientra in tale istituto di semplificazione in base ad un consolidato principio espresso dalla giurisprudenza in materia. Va premesso che l'art. 2 del D.Lgs. n. 222 del 2016, richiamato dal ricorrente, sancisce, al comma 1, che "a ciascuna delle attività elencate nell'allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato" e, al comma 3, che "per lo svolgimento delle attività per le quali la tabella A indica la Scia, si applica il regime di cui all'articolo 19 della legge n. 241 del 1990", prevedendo la tabella A, "Sezione II - Edilizia", al n. 41 della "Ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi" il richiamo alla "S.c.i.a. in sanatoria"; in ragione di ciò prospetta, quindi, l'esponente che la s.c.i.a. in sanatoria sarebbe da considerarsi soggetta al regime del "silenzio assenso", secondo il paradigma dell'art. 19 della L. n. 241/1990. Sul punto il Collegio rileva che il citato n. 41 della tabella A, Sez. II, si riferisce alla s.c.i.a. in sanatoria per interventi realizzati in assenza di s.c.i.a. o in difformità da essa, mentre nel caso concreto, si tratta, come sarà approfondito nel prosieguo della presente decisione, di attività esclusa dai procedimenti semplificati: la costruzione delle opere di cui è causa avrebbe necessitato il permesso di costruire e non la s.c.i.a e, perciò, nel caso di specie, è assente il presupposto stesso - previsto dalla norma - per l'applicazione della disposizione invocata con la conseguenza che alla declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. impugnata non è applicabile il regime amministrativo previsto dall'art. 19 della Legge n. 241 del 1990. Il Collegio, sul punto richiama la sentenza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, n. 1055 del 10 aprile 2024 laddove precisa in via generale che dalla necessaria applicazione dell'istituto del permesso di costruire alla fattispecie concreta "deriva l'inapplicabilità dell'art. 19 della legge 241/1990: "L'errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della d.i.a. (oggi SCIA) poiché frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest'ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un'eventuale responsabilità amministrativa, non già la sanatoria della d.i.a. mancante di un requisito essenziale; di conseguenza, il provvedimento con cui l'Amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante d.i.a., occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all'attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento" (cfr.: T.a.r. Puglia Bari, sez. II, 20.02.2017 n. 147)". In particolare, sulla s.c.i.a. in sanatoria, la sentenza del T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, n. 809 del 24 marzo 2022, ritiene che non è ricollegabile portata infirmante all'inosservanza del termine di 30 giorni ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990 quando le opere abusive esulano dal perimetro del regime abilitativo della SCIA, essendo subordinate al previo rilascio del permesso di costruire: la pronuncia precisa che a tale premessa consegue "l'assenza di effetti legittimanti ricollegabili alla SCIA in sanatoria prot. n. 67995 del 21 novembre 2019, la quale, dacché formata al di fuori del corrispondente modello legale tipico (stante l'assoggettamento dell'opera eseguita ad un più rigoroso regime abilitativo), era da considerarsi 'tamquam non esset', così da giustificare l'impugnata determinazione reiettiva senza l'operatività della preclusione temporale ex art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990". Quanto alla sussistenza nel caso concreto della necessità del permesso di costruire anziché dell'applicabilità degli istituti di semplificazione, vanno considerati sia gli aspetti definitori del concetto di pertinenzialità rilevante in materia sia l'orientamento ermeneutico sulla qualificazione della specifica opera abusiva, nonché la concreta consistenza dell'intervento edilizio di cui è causa. Sul concetto generale di pertinenzialità il Collegio rinvia a quanto precisato dal T.A.R. Lazio, Sez II Stralcio, n. 7463 del 16 aprile 2024, in adesione al pacifico orientamento giurisprudenziale che "assegna al concetto di "pertinenza", in campo urbanistico-edilizio, un significato più ristretto e meno ampio rispetto alla definizione civilistica di cui all'art. 817 c.c., essendo configurabili come tali "solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscono la loro destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico, e dovendosi altresì tener conto, oltre che della necessità e oggettività del rapporto pertinenziale, anche della consistenza dell'opera, che non deve essere tale da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essendo il vincolo pertinenziale caratterizzato oltre che dal nesso funzionale, anche dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a permesso di costruire la realizzazione di un'opera di rilevanti dimensioni, che modifica l'assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla res principalis, indipendentemente dal vincolo di servizio o d'ornamento nei riguardi di essa" (cfr. ex multis T.A.R. Lazio, Sez. II S, 17 novembre 2023, n. 17168; T.A.R Lazio, II quater, 21 novembre 2022, n. 15371; id., 12 luglio 2022, n. 9594; 26 aprile 2021, n. 4824)". In particolare, sulle piscine l'esegesi cui intende aderire il Collegio ritiene che l'opera interrata costituisca una nuova costruzione assoggettata al permesso di costruire e non sia qualificabile in termini di pertinenza dell'edificio principale in ragione della significativa trasformazione del territorio che comporta e della non necessaria complementarità all'uso delle abitazioni poiché non riveste un'obiettiva funzione di migliore utilizzazione della res principalis, tale che in sua assenza risulterebbero impedite o sacrificate talune delle materiali possibilità di sfruttamento o godimento di quest'ultima (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. II, n. 993 del 24.10.2022; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 9.9.2020, n. 3730; T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, n. 800 del 30.09.2021). In coerenza con tale indirizzo interpretativo, si è di recente rilevato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VII, 02/01/2024, n. 44) che la piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata e perciò configura una nuova costruzione, non potendo essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, atteso che, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di divertimento; in effetti, la realizzazione della piscina comporta una "durevole trasformazione del territorio" e, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede, sì che non può coincidere con la relativa nozione civilistica di pertinenza, nel presupposto che la nozione di pertinenza urbanistica è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, viceversa tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione. Nel caso di specie, una piscina di oltre 112 mq. di superficie, assistita da opere ulteriori (locali accessori e tettoia con funzioni di zona cucina-pranzo di oltre 35 mq. di superficie coperta), non può essere definita come "di dimensioni contenute" incidendo, pertanto, significativamente sulla trasformazione del territorio e non riveste il carattere di intrinseca funzionalità rispetto alla res principalis sopra delineato; nel provvedimento impugnato di declaratoria di inefficacia della s.c.i.a., infatti, emerge, attraverso il riferimento all'istruttoria svolta in contraddittorio endoprocedimentale ed al richiamo all'impossibilità per la ricorrente di intervenire in zona agricola ai sensi dell'art. 4.1.1. e ss. del RUE, sia che le opere costituiscono un ampliamento superiore ai 30 mq di SU in edificio di non recente costruzione sia che le opere eseguite in assenza di titolo, non essendo pertinenze dell'abitazione principale, si sarebbero potute realizzare solamente da un imprenditore agricolo e comunque senza possibilità di ricorrere a procedimenti semplificati (come la SCIA). Di conseguenza, risulta inconferente la tesi attorea sull'applicazione dell'art. 4.1.3., comma 6, del RUE, che a parere della ricorrente consentirebbe di realizzare nuove opere pertinenziali nel rispetto del limite del 20% del volume dell'edificio principale, in quanto difetta nel caso concreto la natura stessa di opera pertinenziale. Infine, la nota della Regione Emilia-Romagna invocata a sostegno della pertinenzialità della piscina è chiaramente rivolta alla definizione della medesima esclusivamente ai fini del pagamento e alla qualificazione del contributo di costruzione e, pertanto, la relativa portata interpretativa è confinata in tale ambito: nella nota medesima, infatti, si chiarisce che la natura pertinenziale di una piscina di volume inferiore al 20% dell'abitazione principale rileva al fine di considerarla quale Superficie accessoria che non richiede il versamento della quota degli oneri di urbanizzazione (U1 e U2) ma è soggetta al solo versamento della quota relativa al costo di costruzione (QCC) da calcolarsi non sulla classificazione catastale, bensì, in relazione alla tipologia OMI, formulando un chiarimento di connotazione sostanzialmente tecnico-economica ai fini dell'imposizione della prestazione patrimoniale imposta, che risponde a presupposti diversi da quelli rilevanti nella presente sede. Quanto, poi, al locale tecnico, allo spogliatoio in legno, alla tettoia e alla pavimentazione perimetrale, che la stessa ricorrente qualifica come elementi accessori strettamente funzionali e strumentali rispetto alla piscina, vale il consolidato orientamento per cui la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 11/03/2024, n. 2321). Pertanto, al regime edilizio della piscina, necessitante di un permesso di costruire, si associano evidentemente le altre opere alla stessa collegate. Sul terzo motivo di ricorso, relativo all'ordine di demolizione dei "muri perimetrali a recinzione del mappale (omissis) sui lati ovest, sud ed est a divisione del mappale (omissis)", proposto in base all'assunto attoreo secondo il quale la recinzione in questione figurerebbe fra le opere oggetto di altra s.c.i.a. in sanatoria presentata dalla ricorrente in data 11.5.2023, prot n. 5985, il Collegio ritiene che l'Amministrazione abbia ampiamente chiarito, con precisazioni sulle quali la difesa attorea non ha ulteriormente coltivato il motivo in disamina, che i muri perimetrali di recinzione del mappale (omissis), oggetto dell'impugnata ordinanza di demolizione n. 80/2023 non sono i medesimi muri di recinzione oggetto della SCIA n. 2023/029/S, prot. n. 5985: pertanto, la eventuale "pendenza" di quest'ultima è irrilevante nel presente giudizio avendo per oggetto manufatti non colpiti dall'ordinanza di demolizione. Il Collegio, infine, ritiene che l'esame dell'ultima doglianza possa dichiararsi assorbito in considerazione della dirimente questione esaminata, relativa all'inconfigurabilità della consistenza pertinenziale delle opere de quibus quale elemento fondante della declaratoria di inefficacia della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente e di per sé idoneo a sorreggere il conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi. Il Collegio ritiene che, in considerazione della peculiarità della materia, le spese di lite possano essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese di lite compensate. Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Italo Caso - Presidente Caterina Luperto - Referendario Paola Pozzani - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 664 del 2019, proposto da -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati An. Si. Ed. Ba. e Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro Ente di Diritto Pubblico Parco Regionale della Valle del Lambro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pi. Fe. ed En. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. En. Ro. in Milano, Piazza (...); nei confronti del Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Corso di (...); sul ricorso numero di registro generale 1984 del 2019, proposto da -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati An. Si. Ed. Ba. e Gi. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Corso di (...); nei confronti del Parco Regionale della Valle del Lambro, non costituito in giudizio; per l'annullamento - quanto al ricorso n. 664 del 2019: del provvedimento (prot. -OMISSIS-) recante parere ai sensi dell'art. 32 del decreto legge n. 269/2003, reso dal Parco Regionale della Valle del Lambro in data 26.02.2010 sulla istanza presentata dal dante causa delle ricorrenti per la sanatoria di opere eseguite sul fabbricato di proprietà, sito in -OMISSIS- (MB), meglio descritto in atti, nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale; - quanto al ricorso n. 1984 del 2019: del provvedimento ("Protocollo: -OMISSIS-") - avente ad oggetto "Domanda, ai sensi dell'art. 32 del D.L. 269/2003, di definizione degli illeciti edilizi N.-OMISSIS- per l'intervento in sanatoria di eliminazione locale caldaia, chiusura parziale porticato esistente per formazione taverna, realizzazione bagno di servizio in strada della -OMISSIS- n. -OMISSIS- fg. -OMISSIS- mapp. -OMISSIS-.. Diniego definitivo", emesso dal Comune di -OMISSIS- in data 25.07.2019 e notificato in pari data, sulla istanza presentata dal dante causa delle ricorrenti per la sanatoria di opere eseguite sul fabbricato di proprietà, sito in -OMISSIS- (MB), meglio descritto in atti, nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale, ivi incluso il preavviso di diniego; nonché per la condanna del Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore e dei suoi Responsabili, anche in solido tra loro, al risarcimento del danno ingiusto cagionato alle ricorrenti. Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS- e dell'Ente di Diritto Pubblico Parco Regionale della Valle del Lambro; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 maggio 2024 la dott.ssa Silvia Torraca e uditi i difensori della parte ricorrente e del Comune, come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con il ricorso iscritto al N. R.G. 664/2019 -OMISSIS- e -OMISSIS-, quali proprietarie - in forza di successione mortis causa di -OMISSIS- - del fabbricato sito in -OMISSIS-, Strada delle -OMISSIS-, meglio descritto in atti, hanno impugnato il parere negativo reso in data 26.02.2010 dall'Ente Parco Regionale della Valle del Lambro ai sensi dell'art. 32 D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (conv. in L. 24 novembre 2003, n. 326) sulla istanza presentata in data 09.01.2004 dal loro dante causa ai fini del condono di opere abusive realizzate nel predetto immobile. Hanno esposto che il Comune era rimasto inerte in relazione alla suddetta istanza e che, solo a seguito di accesso agli atti dalle stesse richiesto dopo il decesso del de cuius, avevano appreso del parere negativo espresso dall'Ente Parco sin dal 2010 e mai comunicato al richiedente. Con il primo motivo di gravame le ricorrenti hanno censurato il suddetto parere in ragione: dell'asserita contraddittorietà rispetto all'autorizzazione edilizia e paesaggistica rilasciata in favore del dante causa per le opere realizzate nel medesimo immobile nel 1997 (di cui quelle successive costituivano mero ampliamento/completamento); della violazione e falsa applicazione dell'art. 32 D.L. 269/2003, non potendo le opere oggetto dell'istanza di sanatoria essere qualificate come "nuova costruzione"; del difetto di istruttoria e del travisamento dei fatti. Con il secondo motivo di ricorso sono state dedotte violazioni di natura procedimentale in relazione all'art. 32, co. 43 D.L. 269/2003 e agli artt. 2, 2-bis e 10-bis l. 241/1990. Si sono costituiti in giudizio il Parco Regionale della Valle del Lambro e il Comune di -OMISSIS-, entrambi deducendo l'inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, appuntandosi lo stesso avverso un atto endoprocedimentale, e l'infondatezza nel merito delle censure ex adverso articolate. 2. Con autonomo gravame (iscritto al N. R.G. 1984/2019) le ricorrenti hanno impugnato il successivo diniego emesso dal Comune di -OMISSIS- sull'istanza di condono edilizio sopra richiamata, chiedendone l'annullamento per i medesimi motivi già articolati avverso il parere negativo del Parco Regionale, oltre alla condanna del Comune, in persona del Sindaco e dei suoi Responsabili, anche in solido tra loro, al risarcimento dei danni cagionati. Si è costituito il solo Comune di -OMISSIS-, richiamando le difese già svolte nel giudizio contraddistinto al N. R.G. 664/2019 e deducendo l'infondatezza della domanda risarcitoria. 3. In vista dell'udienza di discussione le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 73 c.p.a. All'udienza pubblica del 29 maggio 2024 entrambi i ricorsi sono stati trattenuti in decisione. DIRITTO 1. In via preliminare il Collegio dispone d'ufficio la riunione dei ricorsi ex art. 70 c.p.a., in quanto soggettivamente ed oggettivamente connessi, poiché pendenti tra le stesse parti e vertenti, rispettivamente, su un atto endoprocedimentale e sul provvedimento conclusivo del medesimo procedimento, dei quali è stato chiesto l'annullamento per identici motivi. 2. Ciò premesso, deve in primo luogo essere dichiarata l'inammissibilità per carenza di interesse del ricorso iscritto al N. R.G. 664/2019, avendo lo stesso ad oggetto un atto di natura endoprocedimentale, come tale privo di efficacia lesiva. Come ben evidenziato da Cons. Stato, Sez. V, Sent., 10/02/2004, n. 480, infatti, "la determinazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico trova comunque origine nell'avvio di un procedimento edilizio partitamene disciplinato, anche nelle sue diverse scansioni temporali. L'atto assume una valenza esterna nella parte in cui esprime la valutazione compiuta dell'amministrazione in ordine agli interessi affidati alla sua cura. Ma la concreta lesività del provvedimento si manifesta solo nel momento in cui esso è trasposto o richiamato nell'atto finale che definisce la domanda di sanatoria edilizia (Cons. Stato, V Sez. 20 marzo 2000, n. 1511; Cons. Stato, VI Sez., 28 gennaio 1998, n. 114). In tal senso si pone anche una generale esigenza di tutela dell'affidamento del privato, considerando che l'atto dell'autorità titolare del potere di tutela del vincolo è denominato parere e che l'assetto di interessi complessivo riguardante la richiesta di sanatoria è sintetizzato e delineato compiutamente solo dal provvedimento dell'autorità comunale". Nel caso di specie, parte ricorrente ha impugnato il parere negativo reso dall'Ente Parco in un momento in cui il Comune non aveva ancora concluso il procedimento relativo all'istanza di sanatoria; una volta che tale procedimento è stato definito mediante l'emanazione del provvedimento di diniego dell'istanza - adottato dal Comune in data 25.07.2019 - le odierne ricorrenti hanno tempestivamente proposto autonomo ricorso avverso quest'ultimo, il quale costituisce l'unico provvedimento lesivo della loro situazione giuridica. 3. Passando all'esame del ricorso contraddistinto al N. R.G. 1984/2019, va osservato quanto segue. 3.1. Con il primo motivo si contesta la qualificazione di "nuova costruzione" assegnata alle opere oggetto della richiesta di sanatoria, con conseguente violazione dell'art. 3 D.P.R. 380/2001, e si deduce il difetto motivazionale del provvedimento impugnato, atteso che "non solo il porticato esterno dell'immobile di Via della -OMISSIS- era già stato parzialmente chiuso per ricavare dei vani tecnici (e detto intervento assentito, pur in costanza del vincolo paesaggistico), ma detta circostanza era altresì già nota alla P.A., la quale disponeva della documentazione comprovante lo stato di fatto autorizzato ed assentito". 3.2. La censura è infondata. 3.3. È pacifico che le opere abusivamente realizzate consistessero nella eliminazione del locale caldaia, nella (ulteriore) chiusura parziale del porticato (da un lato con muratura, dall'altro con basculante) ai fini della formazione di una taverna e nella realizzazione di un bagno di servizio interno. Ciò posto, non può condividersi la tesi di parte ricorrente secondo cui le suddette opere non integrerebbero una nuova costruzione, esaurendosi in un mero "ampliamento/completamento" di quelle assentite nel 1997: e ciò, in primo luogo, perché l'autorizzazione alla realizzazione di determinate opere non ne legittima automaticamente il relativo ampliamento (tanto più ove si consideri la consistenza dell'intervento de quo, che ha comportato la creazione di nuova volumetria - 38 mq - e superficie utile, ossia una trasformazione urbanisticamente rilevante dell'assetto edilizio preesistente, necessitante del previo rilascio del permesso di costruire) e, in secondo luogo -e per quanto qui maggiormente interessa- perché tale conclusione risulta inficiata nei presupposti, posto che all'epoca del rilascio della autorizzazione relativa alle prime opere (1997) non sussisteva il vincolo del Piano Territoriale di Coordinamento del Parco, approvato con deliberazione di Giunta Regionale n. 7/601 del 28 luglio 2000, rettificata con D.G.R. n. 7/6757 del 9 novembre 2001. Dirimente risulta, dunque, la circostanza che le opere di cui è controversia - essendo state ultimate in data 29 marzo 2003 - fossero assoggettate all'imposizione del predetto vincolo. Come è noto, infatti, l'art. 32, co. 27 D.L. 269/2003 cit. stabilisce che "...le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:... d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici". 3.4. Ad avviso di parte ricorrente, "la sanabilità delle opere realizzate in zona vincolata è da escludere solo se si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta (divieti di edificazione o prescrizioni di inedificabilità ex art. 33 legge n. 47 del 1985) e non anche nella diversa ipotesi di vincolo di inedificabilità relativa, ovvero di vincolo di tutela suscettibile di essere rimosso mediante un giudizio ex post di compatibilità delle opere da sanare da parte della competente autorità (ad es. cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 696 del 4.5.1995). Sul punto, si ribadisce che l'area in questione è edificata, ad esempio con l'immobile delle ricorrenti, dunque non può discutersi di inedificabilità assoluta". 3.5. Tale tesi non merita condivisione. Secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (v., da ultimo, Sez. VI, 12/12/2023, n. 10697), "ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. d), del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni - e cioè che le opere siano realizzate prima dell'imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori senza aumento di superficie e volume (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo, indipendentemente dal fatto che il vincolo non sia di carattere assoluto, non può essere sanato (Cons. Stato, sez. VI, 15/11/2022, n. 9986)". Ne deriva che, a prescindere dalla natura relativa o assoluta del vincolo paesaggistico insistente sull'area, l'opera in concreto realizzata (come visto, tamponatura del porticato esistente e creazione di un bagno di servizio interno, con aumento di superficie di circa 38 mq) non era sanabile, non essendo riconducibile alle c.d. opere minori di cui ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 al D.L. 269/2003 (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). 3.6. Del pari privo di pregio è l'assunto di parte ricorrente secondo cui l'intervento di cui è causa non potrebbe qualificarsi in termini di "nuova costruzione" neppure ai sensi dell'art. 3, co. 1, lett. e.6) D.P.R. 380/2001 "atteso il modesto aumento volumetrico ricavato dalla parziale chiusura del porticato (38 mq) e quindi ben inferiore al limite del 20% condonabile". Nel caso di specie, l'intervento effettuato è consistito nella tamponatura di un originario portico, di fatto trasformandolo in un vano chiuso. Secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. da ultimo, sez. II, 1 settembre 2021, n. 6186) "l'installazione di pannelli in vetro atti a chiudere integralmente un porticato che si presenti aperto su tre lati, determina, senz'altro, la realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, con conseguente incremento della preesistente volumetria" (v. ex multis Cons. Stato, sez. II, 27 giugno 2019, n. 4437; sez. V, 5 maggio 2016, n. 1822). L'intervento, cioè, va riguardato dall'ottica del risultato finale, ovvero il rilevato aumento di superficie e di volumetria, sia che ciò consegua alla chiusura su tutti i lati, sia che ne implichi anche la copertura, pure con superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili. La avvenuta realizzazione di un vano aggiuntivo mediante tamponatura di un portico non può neppure qualificarsi come pertinenza in senso urbanistico, in quanto integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie". 4. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente ha censurato la violazione delle garanzie procedimentali previste dalla l. 241/1990, attesa la tardiva conclusione del procedimento (avvenuta a distanza di quindici anni dalla presentazione dell'istanza di condono) nonché l'omessa tempestiva comunicazione, da parte del Comune, del parere negativo reso ai sensi dell'art. 32 D.L. 269/2003 dal Parco Regionale della Valle del Lambro (conosciuto dalle ricorrenti solo nove anni più tardi e a seguito di istanza di accesso agli atti dalle stesse avanzata), con conseguente lesione del legittimo affidamento ingenerato nel privato. 4.1. Il motivo non è suscettibile di favorevole apprezzamento. Soccorrono sul punto le conclusioni formulate da Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9, secondo cui "la mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere "legittimo" in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata". Secondo la giurisprudenza consolidata, in particolare, i provvedimenti che sanzionano l'attività edilizia abusiva - ivi compresi i dinieghi di sanatoria - sono atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né ancora alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare, e non potendo l'interessato dolersi del fatto che l'amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi; "sicché è legittima e doverosa l'adozione del provvedimento di diniego del condono anche quando sia trascorso un lungo periodo di tempo dalla presentazione dell'istanza, senza necessità di una specifica motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse, ulteriori rispetto a quelle inerenti al ripristino della legittimità violata" (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 3 aprile 2023, n. 1103, richiamata da T.A.R. Sicilia, Catania, 30 ottobre 2023, n. 3222). Pertanto, la circostanza che il diniego del Comune sia stato emesso a distanza di ben quindici anni dalla presentazione dell'istanza di condono, non permette di radicare alcun affidamento tutelabile, né per quanto riguarda l'estensione delle categorie della sanatoria, né relativamente alla persistenza del potere di intimare la rimessione in pristino (in tal senso, T.A.R. Brescia, sez. II, 10 luglio 2023, n. 577). 5. Per tutte le ragioni sin qui esposte, il diniego di condono risulta quindi legittimamente adottato. 6. Dalla reiezione della domanda caducatoria discende, quale logico corollario, l'infondatezza della domanda risarcitoria proposta dalle ricorrenti. 7. In conclusione, il ricorso contraddistinto al N. R.G. 1984/2019 deve essere respinto. 8. Tenuto conto della risalenza della controversia nonché della peculiarità della vicenda sotto il profilo procedimentale, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i giudizi. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, previa riunione dei ricorsi indicati in epigrafe, dichiara l'inammissibilità del ricorso N. R.G. 664/2019 e respinge il ricorso N. R.G. 1984/2019. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le ricorrenti. Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Gabriele Nunziata - Presidente Silvia Cattaneo - Consigliere Silvia Torraca - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. D'ASCOLA Pasquale - Primo Presidente f.f. Dott. STALLA Giacomo M. - Consigliere Dott. FERRO Massimo - Consigliere Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere Dott. RUBINO Lina - Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa - Consigliere Dott. FALASCHI Milena - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 31123-2018 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS); - ricorrente - contro COMUNE DI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS); - controricorrente - avverso la sentenza n. 3291/2017 del TRIBUNALE di (OMISSIS), depositata il 26/03/2018. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2022 dal Consigliere MILENA FALASCHI; lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale FULVIO TRONCONE, il quale conclude affinche' le Sezioni Unite della Corte, in relazione ai due dubbi interpretativi posti dall'ordinanza interlocutoria n. 6781 del 1 marzo 2022, accolgano il ricorso. RITENUTO IN FATTO In data 17.05.2016 il Comune di (OMISSIS) contestava ad (OMISSIS), nella qualita' di titolare di autorizzazione per l'esercizio del servizio di autonoleggio con conducente, la violazione dell'articolo 85, comma 4, del C.d.S. in quanto "acquisiva un servizio di trasporto senza effettuare il preventivo contratto con il cliente e trasporto effettuato senza partire dalla rimessa per detto servizio - rimessa sita nel Comune di (OMISSIS) - Importo tramite (OMISSIS)". Il (OMISSIS) proponeva opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione, con ricorso proposto dinanzi al Giudice di pace di (OMISSIS), chiedendo l'annullamento del verbale e delle sanzioni comminategli. Deduceva la genericita' della contestazione formulata. Sosteneva, inoltre, che il trasporto era stato regolarmente richiesto e concordato mediante l'applicazione Uber Black, di modo che l'incontro delle volonta' era avvenuto tramite la piattaforma web; che non vi era mai stato uno stazionamento dell'auto nelle piazzole riservate ai taxi; che l'efficacia delle disposizioni di cui al Decreto Legge n. 207/2008, modificative della L. n. 21/1992 (relative all'obbligo di partenza e rientro delle corse necessariamente presso la rimessa), ritenute da piu' autorita' illogiche, era stata sospesa da piu' decreti legge succedutisi nel tempo (articoli 3, 11 e 13 L. n. 21 del 1992). Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del Comune di (OMISSIS), che chiedeva il rigetto dell'opposizione del (OMISSIS), il giudice adito, con sentenza n. 12279 del 2016, accoglieva il ricorso annullando il verbale impugnato, sul presupposto che, con l'emanazione del Decreto Legge n. 5 del 2009 (articolo 7 bis), l'efficacia degli articoli 3 e 11 L. n. 21 del 1992, nella nuova formulazione, era stata sospesa. In virtu' di impugnazione interposta dal Comune di (OMISSIS), il Tribunale di (OMISSIS), nella resistenza del (OMISSIS), con sentenza n. 3291 del 2018, accoglieva il gravame e, in riforma della sentenza di prime cure, rigettava il ricorso originariamente presentato dal (OMISSIS), condannandolo al pagamento delle spese del giudizio. A sostegno della decisione il Tribunale esponeva che gli articoli 3 e 11 della L. n. 21 del 1992, come modificati dall'articolo 29, comma 1 quater, del Decreto Legge n. 207/2008, convertito con la L. n. 14/2009, erano applicabili nella fattispecie, in quanto la sospensione dell'efficacia delle suddette norme - disposta dall'articolo 7 bis del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, inserito dalla legge di conversione 9 aprile 2009, n. 33 - era stata prorogata solo fino al 31.03.2010; di converso, sulla durata di tale sospensione non spiegava alcun effetto il termine, e le relative proroghe, fissato per l'adozione di disposizioni attuative del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti dall'articolo 2, comma 3, del Decreto Legge n. 40/2010, convertito con modificazioni dalla L. n. 73/2010. Avverso la sentenza del Tribunale di (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), sulla base di tre motivi, cui ha resistito con controricorso il Comune di (OMISSIS). Fissata la trattazione della causa all'adunanza camerale del 04.03.2021, venivano acquisite le conclusioni della Procura Generale, motivate nel senso dell'accoglimento del ricorso, ritualmente comunicate alle parti, e veniva depositata memoria ex articolo 380-bis.1 c.p.c. dal solo ricorrente. All'esito della camera di consiglio, la Seconda Sezione rimetteva la causa alla pubblica udienza per la rilevanza nomofilattica della questione. Per la decisione sul ricorso, fissata la trattazione in udienza pubblica per il giorno 25.11.2021, e' stato applicato lo speciale rito "cartolare" previsto dall'articolo 23, comma 8 bis, del Decreto Legge 137 del 28-10-2020, convertito con modificazioni dalla L. 1812-2020 n. 176 e prorogato a tutto il 2022 dal Decreto Legge 30-12-2021 n. 228, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15, non avendo alcuna delle parti depositato istanza per la trattazione orale della causa. Sono state acquisite nuove conclusioni della Procura Generale, motivate nel senso della declaratoria di inammissibilita', in subordine, per il rigetto del ricorso. In prossimita' della pubblica udienza entrambe le parti curavano il deposito di memorie ex articolo 378 c.p.c. All'esito della camera di consiglio, la Seconda Sezione, con ordinanza interlocutoria n. 6781 del 2022, rimetteva gli atti al Primo Presidente, per la risoluzione di una questione di massima di particolare importanza, sia per la mancanza di precedenti univoci o pienamente convincenti, sia per la sentita esigenza nomofilattica caratterizzante l'interpretazione di norme disciplinanti la questione di diritto circa la vigenza o la sospensione alla data di maggio 2016 - epoca dei fatti contestati al ricorrente - delle modifiche recate al testo della L. n. 21 del 1992 (e, per quanto specificamente interessa la vicenda in esame, agli articoli 3 e 11 di tale legge) dall'articolo 29, comma 1 quater, del Decreto Legge n. 207 del 2008 (inserito dalla legge di conversione n. 14 del 2009), la cui soluzione reputava rilevante per la decisione del ricorso. Il Primo Presidente assegnava il ricorso alle Sezioni Unite e seguiva la fissazione dell'odierna udienza, in vista della quale venivano depositate conclusioni scritte del pubblico ministero nel senso dell'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 85, comma 4, C.d.S., dell'articolo 3 Cost. per manifesta illogicita' e travisamento, nonche' del principio di legalita' di cui all'articolo 1 L. n. 689 del 1981, ritenendo la sostanziale irriferibilita' della normativa di cui alla L. n. 21 del 1992 alle nuove e non disciplinate modalita' offerte dalle applicazioni informatiche. Ad avviso del ricorrente la normativa di cui alla L. n. 21 del 1992 - legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea - emanata in un'epoca in cui vi era il telefono cellulare ma con caratteristiche ben diverse rispetto agli attuali smartphone, sarebbe divenuta oggettivamente inapplicabile, facendo riferimento ad una realta' del tutto superata, come emergerebbe anche da recente segnalazione, AS1354 del 10.03.2017, al Parlamento e al Governo da parte dell'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato, che ha riconosciuto la stessa oggettiva diversita' dei servizi resi tramite piattaforma web e la conseguente irriferibilita' delle previsioni normative di cui alla legge quadro. Al riguardo richiama anche il parere n. 3586 del 23.12.2015 reso dal Consiglio di Stato, Sez. Prima, su richiesta del Ministero dell'interno, proprio in siffatta materia, cui ha fatto seguito la successiva nota del Ministero dell'interno dell'11.03.2016, relativamente all'inapplicabilita' dell'articolo 85 C.d.S. ai nuovi servizi telematici di trasporto. Di converso la Polizia Municipale di (OMISSIS) ha inopinatamente ritenuto di emettere la nota del 04.05.2016, che ha espressamente ad oggetto "Disposizioni attuative degli articoli 85 e 86 del Codice della Strada e della L. 21/1992". Il ricorrente ricorda, inoltre, l'analogia che si era realizzata qualche decennio fa con il servizio di radiotaxi, preso in esame dalla sentenza gravata: sebbene non preso in considerazione dal legislatore, nessuna sanzione viene comminata ai sensi dell'articolo 86 C.d.S. a chi recluta la clientela tramite le centrali di radiotaxi anziche' stazionando sulle aree a cio' specificamente riservate. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dei principi generali di cui agli articoli 3 e 41 Cost. per avere i provvedimenti ed i comportamenti adottati dal Comune di (OMISSIS) nella presente vicenda determinato una limitazione della libera attivita' economica privata non giustificata da alcun motivo di "utilita' sociale", conformemente alla pronuncia della Corte costituzionale n. 174 del 2014. Nel senso della dubbia costituzionalita' delle norme contenute nella L. n. 21 del 1992 si e' gia' espresso il TAR Lombardia con il decreto n. 1105 del 2013. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione degli articoli 3 e 11 L. n. 21 del 1992 per intervenuta sospensione legislativa dell'efficacia del disposto di cui all'articolo 29, comma 1 quater Decreto Legge n. 207 del 2008. Ad avviso del ricorrente, le disposizioni invocate dal Comune di (OMISSIS) non riguarderebbero la presente vicenda, altrimenti si incorrerebbe nella violazione dei principi costituzionali di legalita', uguaglianza, ragionevolezza e liberta' economica. Lo stesso legislatore ha immediatamente sospeso l'efficacia della novella in oggetto, in particolare l'articolo 7 bis L. n. 33 del 2009, specificamente reiterato dai dd.ll. nn. 78 e 194 del 2009, in quanto l'articolo 1, comma 1136, L. n. 205 del 2017 espressamente afferma che "conseguentemente, la sospensione dell'efficacia disposta dall'articolo 7 bis, comma 1, del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009 n. 33, si intende prorogata fino al 31 dicembre 2018", dissipando ogni residuo dubbio circa la perdurante sospensione - ab origine e senza soluzione di continuita' - dell'efficacia delle disposizioni introdotte con il Decreto Legge n. 207 del 2008. Nei medesimi termini si era in precedenza gia' espresso anche il Decreto Legge n. 244 del 2016 c.d. Milleproroghe. Ritiene il ricorrente che volga nello stesso senso la nota prot. n. 6446 del 31.03.2016 che ha ribadito come "in relazione alla questione se sia da ritenersi sospesa l'efficacia dell'articolo 29 comma 1 quater (...) milita a favore di tale interpretazione il dato testuale del Decreto Legge n. 40/2003 (articolo 2, comma 3), in ragione del quale il Legislatore ha inteso subordinare l'attuazione della novella legislativa al decreto interministeriale de quo. Se ne desume che, almeno finche' legittimamente (e cioe' fino allo scadere del 31.12.2016) il Decreto non sara' emanato, dovrebbe essere inibita l'efficacia dell'articolo 29, comma 1 quater...". Rileva preliminarmente il Collegio che le tre censure vanno esaminate e trattate unitariamente, in quanto tutte volte alla pregiudiziale affermazione dell'applicabilita' (o meno) alla fattispecie del noleggio di autovetture con conducente, di cui all'articolo 7-bis, comma 1, del Decreto Legge n. 5 del 2009, conv in L. n. 33 del 2009, della sospensione dell'efficacia delle modifiche previste agli articoli 3 e 11 della L. n. 21 del 1992, introdotte dall'articolo 29, comma 1 quater del Decreto Legge n. 207 del 2008 e dell'articolo 9, comma 3 Decreto Legge n. 244 del 2016, conv. in L. n. 19 del 2017. Esse sono meritevoli di accoglimento nell'ambito dei confini che di seguito verranno illustrati. L'ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione, 1 marzo 2022 n. 6781, individua la questione di diritto alla stessa sottoposta nei seguenti termini: se, all'epoca dei fatti contestati al ricorrente (maggio 2016), le modifiche recate al testo della L. n. 21 del 1992 (e, per quanto specificamente interessa la vicenda in esame, agli articoli 3 e 11 di tale legge) dall'articolo 29, comma 1 quater, del Decreto Legge n. 207 del 2008 (inserito dalla legge di conversione n. 14 del 2009) dovessero ritenersi vigenti o sospese. In particolare, osserva il Collegio remittente che, secondo il ricorrente, l'articolo 9, comma 3, del Decreto Legge 30 dicembre 2016, n. 244, convertito in L. 27 febbraio 2017, n. 19, la' dove prevede (nel secondo periodo) che "la sospensione dell'efficacia disposta dall'articolo 7-bis, comma 1, del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, si intende prorogata fino al 31 dicembre 2017", estenderebbe retroattivamente la sospensione di efficacia dell'articolo 29, comma 1 quater del Decreto Legge 30 dicembre 2007 n. 207 dalla data del 31 marzo 2010, fino alla quale essa era gia' stata prorogata, alla data del 31 dicembre 2017, cosi' creando un continuum di sospensione di efficacia dal 2009 al 2017. Cosi' individuata la questione oggetto di scrutinio, l'ordinanza interlocutoria ritiene sia meritevole di un supplemento di riflessione l'approdo ermeneutico al quale e' giunta la Corte con le sentenze n. 12679 del 2017 e n. 28077 del 2021. Con tali pronunce si e' affermato che la sospensione dell'efficacia delle modifiche alla disciplina di cui agli articoli 3 e 11 della L. n. 21 del 1992, introdotta dall'articolo 29 del Decreto Legge n. 207 del 2008, era cessata al 31 marzo 2010, secondo quanto previsto dall'articolo 5, comma 3, del Decreto Legge n. 194 del 2009, conv. in l. n. 25 del 2010, ponendosi tale norma come l'ultima (la precedente era l'articolo 23, comma 2 Decreto Legge n. 78 del 2009, conv. in L. n. 102 del 2009) che aveva prorogato l'iniziale sospensione prevista dall'articolo 7-bis del Decreto Legge n. 5 del 2009 introdotto dalla legge di conversione n. 33 del 2009. Secondo detto indirizzo, rispetto a tale cessazione, a nulla valeva l'individuazione del termine del 31 dicembre 2016 contenuto nell'articolo 2, comma 3 del Decreto Legge n. 40 del 2010, in quanto riferito all'adozione di un decreto ministeriale volto a impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, pratiche non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia, senza alcuna rinnovata sospensione della efficacia delle disposizioni di cui al Decreto Legge n. 207 del 2008. Non poteva, infatti, ritenersi che il mero rinvio ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, ancorche' previa intesa con la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, contenuto nell'articolo 2 cit. potesse avere l'effetto di impedire l'efficacia di una disciplina inserita nella legge-quadro per il trasporto dotata, peraltro, di indubbia idoneita' prescrittiva. La successiva pronuncia del 2021, riportando l'iter argomentativo della precedente del 2017, ha affermato che l'articolo 9, comma 3, del Decreto Legge n. 244 del 2016, nel testo risultante dalla legge di conversione n. 19 del 2017, nella parte in cui prevede che "Conseguentemente, la sospensione dell'efficacia disposta dall'articolo 7-bis, comma 1, del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, si intende prorogata fino al 31 dicembre 2017", ha inteso disporre una nuova sospensione delle disposizioni introdotte dall'articolo 29, comma 1- quater, a far tempo dal 1 marzo 2017, data di entrata in vigore delle modifiche apportate con la legge di conversione, sino al 31 dicembre 2017, senza che a tale ius superveniens potesse attribuirsi il contenuto e la valenza di una legge retroattiva o di interpretazione autentica. L'ordinanza di rimessione pone in luce come l'interpretazione della seconda parte del comma 3 dell'articolo 9 del Decreto Legge n. 244 del 2016 si presti ai seguenti dubbi. In primo luogo essa non appare perfettamente coerente con il dato letterale della disposizione, la' dove essa recita "la sospensione... si intende prorogata". Il senso letterale della parola "prorogata", infatti, sembra alludere alla "protrazione" di una sospensione ancora in essere, non alla "riattivazione" di una sospensione cessata anni prima. In secondo luogo, l'ordinanza riporta un passaggio della motivazione della sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2020 la quale, pur senza affrontare il tema oggetto del presente scrutinio (essendo stata sottoposta al suo esame la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 10-bis del Decreto Legge n. 135 del 2018), sembra, tuttavia, offrire una ricostruzione della disciplina in esame non del tutto coincidente con quella di cui ai citati precedenti di questa Corte. In particolare, l'iter argomentativo seguito dalla Consulta sulla questione alla stessa sottoposta si conclude al paragrafo 3.1 del Considerato in diritto con l'affermazione che "Per meglio comprendere l'assetto normativo vigente, va precisato che l'articolo 10-bis ha a sua volta abrogato, a decorrere dal 10 gennaio 2019, sia il comma 3 dell'articolo 2 del Decreto Legge n. 40 del 2010 (al comma 5), che l'articolo 7-bis del Decreto Legge n. 5 del 2009 (al comma 7), che avevano sospeso l'efficacia della piu' stringente disciplina dettata dall'articolo 29, comma 1-quater, del Decreto Legge n. 207 del 2008. Di conseguenza, dalla indicata data del 10 gennaio 2019 hanno acquistato efficacia le disposizioni modificative della L. n. 21 del 1992 introdotte dall'articolo 29, comma 1-quater, del Decreto Legge n. 207 del 2008, come ulteriormente modificate dall'articolo 10-bis del Decreto Legge n. 135 del 2018, mentre e' venuta meno la previsione di "urgenti disposizioni attuative" dirette a contrastare il fenomeno dell'abusivismo, da adottare con decreto ministeriale". Tale dictum, a parere del Collegio che ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, lascia "il dubbio che, nella ricostruzione normativa operata dalla Corte costituzionale, le disposizioni modificative della L. n. 21 del 1992 introdotte dall'articolo 29, comma 1-quater, del Decreto Legge n. 207 del 2008 non siano mai entrate in vigore prima del 10 gennaio 2019, quando esse entrarono in vigore con le modifiche recate dall'articolo 10-bis del Decreto Legge n. 135 del 2018". La Sezione remittente ricorda che anche la giurisprudenza di merito, proprio alla luce delle considerazioni fin qui esposte e delle incertezze presenti (per l'interpretazione patrocinata dal ricorrente si veda Trib. Roma 26.05.2017), propende a favore della tesi che per l'intero periodo dal 1 marzo 2010 al 31 dicembre 2017 la materia disciplinata, prima, dal testo originario della L. n. 21/1992 e, poi, dal testo di tale legge come modificato dal Decreto Legge n. 207/2008 deve intendersi come totalmente deregolata. Il giudice di merito ha, in primo luogo, rilevato come l'articolo 29, comma 1-quater Decreto Legge n. 207 del 2008, prevedendo la sostituzione integrale di commi e articoli di legge preesistenti, implichi il duplice effetto dell'abrogazione di tali disposizioni e, al tempo stesso, dell'introduzione nell'ordinamento giuridico di nuove disposizioni, inserite in luogo di quelle soppresse e nella medesima sede originariamente destinata a queste ultime; in secondo luogo, si e' poi sottolineato come la sostituzione comporti l'eliminazione della sequenza testuale da un testo normativo e l'inserimento di una nuova sequenza al posto di quella, con conseguente unificazione dei momenti dell'abrogazione e dell'inserimento. Sulla scorta dei tali premesse, il Tribunale capitolino ha quindi richiamato Corte Cost. n. 13/2012 ("il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate non opera in via generale e automatica e puo' essere ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate") e Cass., Sez. Un., n. 25551/2007 ("a questo proposito va in generale affermato che, nel regime di successione delle leggi, mentre l'abrogazione della disposizione che modifica o sostituisce quella precedente non comporta la sua reviviscenza, tale effetto puo' invece predicarsi in caso di abrogazione di una disposizione che abbia come contenuto quello di abrogare una disposizione precedente sicche' cio' che viene meno e' proprio l'effetto abrogativo"); per concludere che, nel periodo di sospensione dell'efficacia delle disposizioni recate dal Decreto Legge n. 207/2008, non ricorreva alcuna reviviscenza delle disposizioni contenute nel testo previgente della L. n. 21 del 1992. Questo e', dunque, il perimetro oggettivo della remissione. Per una riconsiderazione complessiva del tema da parte di queste Sezioni Unite e per una piu' chiara comprensione della questione rimessa e' necessario premettere un sintetico quadro delle disposizioni di legge rilevanti. L'intervento del legislatore nazionale sulla disciplina amministrativa del noleggio con conducente trova la propria fonte nella L. n. 21 del 1992 (Legge quadro per il trasposto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea). In particolare, per quanto specificatamente interessa la vicenda in esame, l'articolo 3 (Servizio di noleggio con conducente) nella sua originaria formulazione prevedeva che "1. Il servizio di noleggio con conducente si rivolge all'utenza specifica che avanza, presso la sede del vettore, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio. Lo stazionamento dei mezzi avviene all'interno delle rimesse o presso i pontili di attracco", mentre il successivo articolo 11 (Obblighi dei titolari di licenza per l'esercizio del servizio di taxi e di autorizzazione per l'esercizio del servizio di noleggio con conducente) disponeva che "1. I veicoli o natanti adibiti al servizio di taxi possono circolare e sostare liberamente secondo quanto stabilito dai regolamenti comunali. 2. Il prelevamento dell'utente ovvero l'inizio del servizio sono effettuati con partenza dal territorio del comune che ha rilasciato la licenza per qualunque destinazione, previo assenso del conducente per le destinazioni oltre il limite comunale o comprensoriale, fatto salvo quanto disposto dal comma 5 dell'articolo 4. 3. Nel servizio di noleggio con conducente, eserci'to a mezzo di autovetture, e' vietata la sosta in posteggio di stazionamento su suolo pubblico nei comuni ove sia eserci'to il servizio di taxi. E' tuttavia consentito l'uso delle corsie preferenziali e delle altre facilitazioni alla circolazione previste per i taxi e altri servizi pubblici. 4. Le prenotazioni di trasporto per il servizio di noleggio con conducente sono effettuate presso le rispettive rimesse. 5. I comuni in cui non e' eserci'to il servizio di taxi possono autorizzare i veicoli immatricolati per il servizio di noleggio con conducente allo stazionamento su aree pubbliche destinate al servizio di taxi. 6. I comuni, ferme restando le attribuzioni delle autorita' competenti in materia di circolazione negli ambiti portuali, aeroportuali e ferroviari, ed in accordo con le organizzazioni sindacali di categoria dei comparti del trasporto di persone, possono, nei suddetti ambiti, derogare a quanto previsto dal comma 3, purche' la sosta avvenga in aree diverse da quelle destinate al servizio di taxi e comunque da esse chiaramente distinte, delimitate e individuate come rimessa. 7. Il servizio di taxi, ove eserci'to, ha comunque la precedenza nei varchi prospicienti il transito dei passeggeri". Per effetto dell'articolo 29, comma 1-quater, del Decreto Legge n. 207 del 2008 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, nella L. n. 14 del 2009) l'articolo 3 cit. e' stato modificato nel seguente testo "1. Il servizio di noleggio con conducente si rivolge all'utenza specifica che avanza, presso la rimessa, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio. 2. Lo stazionamento dei mezzi deve avvenire all'interno delle rimesse o presso i pontili di attraccomma 3. La sede del vettore e la rimessa devono essere situate, esclusivamente, nel territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione" e l'articolo 11 cit. nel seguente testo "1. I veicoli o natanti adibiti al servizio di taxi possono circolare e sostare liberamente secondo quanto stabilito dai regolamenti comunali. 2. Il prelevamento dell'utente ovvero l'inizio del servizio sono effettuati con partenza dal territorio del comune che ha rilasciato la licenza per qualunque destinazione, previo assenso del conducente per le destinazioni oltre il limite comunale o comprensoriale, fatto salvo quanto disposto dal comma 5 dell'articolo 4. 3. Nel servizio di noleggio con conducente, eserci'to a mezzo di autovetture, e' vietata la sosta in posteggio di stazionamento su suolo pubblico nei comuni ove sia eserci'to il servizio di taxi. In detti comuni i veicoli adibiti a servizio di noleggio con conducente possono sostare, a disposizione dell'utenza, esclusivamente all'interno della rimessa. I comuni in cui non e' eserci'to il servizio taxi possono autorizzare i veicoli immatricolati per il servizio di noleggio con conducente allo stazionamento su aree pubbliche destinate al servizio di taxi. Ai veicoli adibiti a servizio di noleggio con conducente e' consentito l'uso delle corsie preferenziali e delle altre facilitazioni alla circolazione previste per i taxi e gli altri servizi pubblici. 4. Le prenotazioni di trasporto per il servizio di noleggio con conducente sono effettuate presso la rimessa. L'inizio ed il termine di ogni singolo servizio di noleggio con conducente devono avvenire alla rimessa, situata nel comune che ha rilasciato l'autorizzazione, con ritorno alla stessa, mentre il prelevamento e l'arrivo a destinazione dell'utente possono avvenire anche nel territorio di altri comuni. Nel servizio di noleggio con conducente e' previsto l'obbligo di compilazione e tenuta da parte del conducente di un "foglio di servizio" completo dei seguenti dati: a) fogli vidimati e con progressione numerica; b) timbro dell'azienda e/o societa' titolare della licenza. La compilazione dovra' essere singola per ogni prestazione e prevedere l'indicazione di: 1) targa veicolo; 2) nome del conducente; 3) data, luogo e km. di partenza e arrivo; 4) orario di inizio servizio, destinazione e orario di fine servizio; 5) dati del committente. Tale documentazione dovra' essere tenuta a bordo del veicolo per un periodo di due settimane. 5. I comuni in cui non e' eserci'to il servizio di taxi possono autorizzare i veicoli immatricolati per il servizio di noleggio con conducente allo stazionamento su aree pubbliche destinate al servizio di taxi. 6. I comuni, ferme restando le attribuzioni delle autorita' competenti in materia di circolazione negli ambiti portuali, aeroportuali e ferroviari, ed in accordo con le organizzazioni sindacali di categoria dei comparti del trasporto di persone, possono, nei suddetti ambiti, derogare a quanto previsto dal comma 3, purche' la sosta avvenga in aree diverse da quelle destinate al servizio di taxi e comunque da esse chiaramente distinte, delimitate e individuate come rimessa. 7. Il servizio di taxi, ove eserci'to, ha comunque la precedenza nei varchi prospicienti il transito dei passeggeri". La normativa introdotta dall'articolo 29, comma 1-quater Decreto Legge n. 207 del 2008 (comma aggiunto dalla legge di conversione del 27 febbraio 2019 n. 14) ha ridisegnato la disciplina del servizio di noleggio con conducente (NCC) prevista dalla L. n. 21 del 1992 rendendo piu' stringenti i vincoli territoriali, aumentando anche i controlli sul loro rispetto e le sanzioni in caso di violazione. In particolare, sono stati introdotti a carico dei prestatori dei servizi di NCC: l'obbligo di avere la sede e la rimessa esclusivamente nel territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione; l'obbligo di iniziare ogni singolo servizio dalla rimessa e di ritornarvi al termine del servizio; l'obbligo di compilare e tenere il "foglio di servizio"; l'obbligo di sostare, a disposizione dell'utenza, esclusivamente all'interno della rimessa. E' stato inoltre confermato l'obbligo, gia' previsto dalla L. n. 21 del 1992, di effettuazione presso le rimesse le prenotazioni di trasporto. Le modifiche apportate dall'articolo 29 cit. hanno avuto applicazione per un brevissimo lasso di tempo (dal 1 marzo 2009, data di entrata in vigore della L. n. 14 del 2009, al 14 aprile 2009, data di entrata in vigore dell'articolo 7-bis Decreto Legge 10 febbraio 2009 n. 5, inserito dalla legge di conversione del 9 aprile 2009 n. 33). In particolare, il legislatore ha inizialmente previsto una prima sospensione fino al 30 giugno 2009 (articolo 7-bis cit., nel testo originario). Detto termine e' stato successivamente prorogato al 31 dicembre 2009 dall'articolo 23, comma 2, Decreto Legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 102 del 2009 e, successivamente, al 31 marzo 2010, dall'articolo 5, comma 3, Decreto Legge 30 dicembre 2009 n. 194, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 25 del 2010. E', poi, intervenuto l'articolo 2, comma 3, Decreto Legge 25 marzo 2010 n. 40 il quale, sempre nel testo applicabile ratione temporis, prevedeva che "3. Ai fini della rideterminazione dei principi fondamentali della disciplina di cui alla L. 15 gennaio 1992, n. 21, secondo quanto previsto dall'articolo 7-bis, comma 1, del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, ed allo scopo di assicurare omogeneita' di applicazione di tale disciplina in ambito nazionale, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza Unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono adottate, entro e non oltre il 31 dicembre 2016, urgenti disposizioni attuative, tese ad impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia. Con il suddetto decreto sono, altresi', definiti gli indirizzi generali per l'attivita' di programmazione e di pianificazione delle regioni, ai fini del rilascio, da parte dei Comuni, dei titoli autorizzativi." L'articolo 2, comma 3 cit. e' stato, poi, fatto oggetto di successivo intervento da parte del legislatore ad opera dell'articolo 9, comma 3 Decreto Legge n. 244 del 2016, come modificato dalla legge di conversione n. 19 del 2017, con il quale si e' disposto che "All'articolo 2, comma 3 del Decreto Legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 maggio 2010, n. 73, le parole: "31 dicembre 2016" sono sostituite dalle seguenti: "31 dicembre 2017". La seconda parte del disposto dell'articolo 9, comma 3 cit. continua con la precisazione che "Conseguentemente, la sospensione dell'efficacia disposta dall'articolo 7-bis, comma 1 del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009 n. 33, si intende prorogata fino al 31 dicembre 2017." Infine, sulla materia e' intervenuto l'articolo 10-bis Decreto Legge n. 135 del 2018, che in sede di conversione, di cui alla L. n. 12 del 2019, ha riprodotto le disposizioni gia' contenute nel Decreto Legge n. 143 del 2018 (di due soli articoli su "Misure urgenti in materia di autoservizi pubblici non di linea"), contestualmente abrogandole e che, per quanto qui di interesse, cosi' dispone "1. Alla L. 15 gennaio 1992, n. 21, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3, comma 1, le parole: "presso la rimessa" sono sostituite dalle seguenti: "presso la sede o la rimessa" e sono aggiunte, infine, le seguenti parole: "anche mediante l'utilizzo di strumenti tecnologici"; b) all'articolo 3, il comma 3 e' sostituito dal seguente: "3. La sede operativa del vettore e almeno una rimessa devono essere situate nel territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione. E' possibile per il vettore disporre di ulteriori rimesse nel territorio di altri comuni della medesima provincia o area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione, previa comunicazione ai comuni predetti, salvo diversa intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata entro il 28 febbraio 2019. In deroga a quanto previsto dal presente comma, in ragione delle specificita' territoriali e delle carenze infrastrutturali, per le sole regioni Sicilia e Sardegna l'autorizzazione rilasciata in un comune della regione e' valida sull'intero territorio regionale, entro il quale devono essere situate la sede operativa e almeno una rimessa"; all'articolo 11, il comma 4 e' sostituito dal seguente: "4. Le prenotazioni di trasporto per il servizio di noleggio con conducente sono effettuate presso la rimessa o la sede, anche mediante l'utilizzo di strumenti tecnologici. L'inizio ed il termine di ogni singolo servizio di noleggio con conducente devono avvenire presso le rimesse di cui all'articolo 3, comma 3, con ritorno alle stesse. Il prelevamento e l'arrivo a destinazione dell'utente possono avvenire anche al di fuori della provincia o dell'area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione. Nel servizio di noleggio con conducente e' previsto l'obbligo di compilazione e tenuta da parte del conducente di un foglio di servizio in formato elettronico, le cui specifiche sono stabilite dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con proprio decreto, adottato di concerto con il Ministero dell'interno. Il foglio di servizio in formato elettronico deve riportare: a) targa del veicolo; b) nome del conducente; c) data, luogo e chilometri di partenza e arrivo; d) orario di inizio servizio, destinazione e orario di fine servizio; e) dati del fruitore del servizio. Fino all'adozione del decreto di cui al presente comma, il foglio di servizio elettronico e' sostituito da una versione cartacea dello stesso, caratterizzata da numerazione progressiva delle singole pagine da compilare, avente i medesimi contenuti previsti per quello in formato elettronico, e da tenere in originale a bordo del veicolo per un periodo non inferiore a quindici giorni, per essere esibito agli organi di controllo, con copia conforme depositata in rimessa"; f) all'articolo 11, dopo il comma 4 sono inseriti i seguenti: "4-bis. In deroga a quanto previsto dal comma 4, l'inizio di un nuovo servizio puo' avvenire senza il rientro in rimessa, quando sul foglio di servizio sono registrate, sin dalla partenza dalla rimessa o dal pontile d'attracco, piu' prenotazioni di servizio oltre la prima, con partenza o destinazione all'interno della provincia o dell'area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l'autorizzazione. Per quanto riguarda le regioni Sicilia e Sardegna, partenze e destinazioni possono ricadere entro l'intero territorio regionale. 4-ter. Fermo restando quanto previsto dal comma 3, e' in ogni caso consentita la fermata su suolo pubblico durante l'attesa del cliente che ha effettuato la prenotazione del servizio e nel corso dell'effettiva prestazione del servizio stesso". Essendo la questione all'attenzione di queste Sezioni Unite costituita dalla definizione del limite temporale della sospensione dell'efficacia della riforma di settore (giova ribadirlo, se nel senso della sua permanenza nel periodo 1 aprile 2010 - 31 dicembre 2017 ovvero della sua negazione, con tutto cio' che ne consegue in termini di disciplina applicabile al caso di specie), onde poter assolvere al compito di interpretazione di siffatte norme, occorre prendere le mosse dai servizi disciplinati dalla legge quadro n. 21 del 1992, la quale - come sopra esposto - nel prevedere due tipologie di servizio, taxi e noleggio con conducente, con il Decreto Legge 30 dicembre 2008 n. 207, in particolare con l'articolo 29, comma 1-quater, ha provveduto a ridisegnare in larga parte la disciplina dello svolgimento dei servizi NCC prevedendo l'introduzione di una serie di vincoli a tale attivita'; tuttavia l'efficacia di tale disciplina e' stata pacificamente ed in termini espliciti sospesa fino al marzo 2010 e, successivamente, dal 1 gennaio 2017 fino al 31 dicembre 2018, per cui permangono dubbi sul periodo compreso tra il 1 aprile 2010 ed il 31 dicembre 2016, non espressamente e dettagliatamente disciplinato. L'esigenza di adeguare le disposizioni della L. n. 21 del 1992 - in considerazione sia di problematiche relative al rapporto tra i servizi di taxi e di noleggio con conducente (va ricordato che in origine gli obblighi di servizio pubblico discendevano solo per il servizio di taxi, i quali risultano disciplinati dalle leggi regionali, ai cui criteri devono attenersi i comuni nel regolamentarne l'esercizio, enti ai quali sono delegate le funzioni amministrative), sia per l'esigenza di rispondere alle nuove realta' economiche che offrivano servizi non immediatamente riconducibili a quelli previsti dalla regolamentazione nazionale, anche al fine di superare i dubbi riguardanti la loro legittimita' - ha caratterizzato le ultime legislature, a cio' stimolate anche dagli interventi delle Autorita' indipendenti di settore, quali l'Autorita' di Regolazione dei Trasporti (che ha inviato al Governo ed al Parlamento il 21 maggio 2015 un atto di segnalazione sulla rilevanza economico-regolatoria dell'autotrasporto di persone non di linea) e l'Autorita' Garante per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM), intervenuta piu' volte proprio sul tema della riforma della disciplina del settore Taxi e NCC (da ultimo, il 10 marzo 2017, ha inviato una segnalazione al Parlamento ed al Governo in cui si sottolinea che il settore dalla mobilita' non di linea - taxi e NCC - richiede una riforma complessiva, in quanto e' ancora regolato dalla L. n. 21 del 15 gennaio 1992, oramai non piu' al passo con l'evoluzione del mercato). Il profilo dell'autonomia privata di regolare a propria discrezione i fenomeni economici (associativi o di scambio) e' stato certamente incentivato dalla globalizzazione e da internet. Basti pensare alla creazione della starticolo up Uber, nota per avere creato nel 2010 l'omonima applicazione per mettere in contatto diretto gli automobilisti ed i passeggeri, offrendo cosi' un servizio di trasporto automobilistico distinto dai tradizionali autoservizi pubblici di linea. L'irrompere sul mercato di questa nuova applicazione ha generato non poche frizioni tra le parti sociali che sono spesso sfociate in contenziosi giurisdizionali. Di qui - alla luce di quanto previsto nel decreto "milleproroghe" 2017 - la scelta del legislatore di posticipare almeno fino al gennaio 2018 l'entrata in vigore dell'articolo 29, comma 1-quater L. 30.12.2008 n. 207. Conseguentemente alla nuova disciplina per il NCC che viene delineata dal Decreto Legge n. 143 del 2018, il comma 5 dell'articolo 1 dispone l'abrogazione del comma 3 dell'articolo 2 del Decreto Legge n. 40 del 2010 che prevedeva l'adozione, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza Unificata, di disposizioni per impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia e per definire gli indirizzi generali per l'attivita' di programmazione e di pianificazione delle regioni, ai fini del rilascio, da parte dei Comuni, dei titoli autorizzativi. Il termine per l'emanazione di tale decreto interministeriale e' stato differito 12 volte, da ultimo al 31 dicembre 2018 dall'articolo articolo 1, comma 1136, lettera b), della L. n. 205 del 2017, che - per quanto gia' esposto - ha anche confermato la sospensione dell'efficacia, per l'anno 2018, delle disposizioni del Decreto Legge n. 207/2008. Analogamente, il comma 7 dispone, a decorrere dal 1 gennaio 2019, l'abrogazione dell'articolo 7-bis Decreto Legge n. 5 del 2009, cioe' della norma che aveva disposto la sospensione fino al 31 marzo 2010 dell'operativita' dell'articolo 29, comma 1-quater, del Decreto Legge 30 dicembre 2008 n. 207. Va, infine, ricordato come l'articolo 10-bis Decreto Legge n. 135 del 2018 abbia abrogato, a decorrere dal 10 gennaio 2019, sia il comma 3 dell'articolo 2 Decreto Legge n. 40 del 2010, che l'articolo 7-bis Decreto Legge n. 5 del 2009, che avevano sospeso l'efficacia della disciplina dettata dall'articolo 29, comma 1-quater, del Decreto Legge n. 207 del 2018. Di conseguenza, dal 1 gennaio 2019 hanno acquistato efficacia le disposizioni modificative della L. n. 21 del 1992 introdotte dall'articolo 29, comma 1-quater del Decreto Legge n. 207 del 2008, come ulteriormente modificate dall'articolo 10-bis del Decreto Legge n. 135 del 2018, mentre e' venuta meno la previsione di "urgenti disposizioni attuative" dirette a contrastare il fenomeno dell'abusivismo, da adottare con decreto ministeriale (cfr. testualmente, Corte Cost. 56/2020, par. 3.1.). Solo per completezza si osserva che la legge annuale per la concorrenza (L. n. 124 del 2017, articolo 1, commi 179-182) conteneva la delega per l'emanazione di un decreto legislativo di riordino del settore taxi e NCC, da esercitare entro il 29 agosto 2018, ma tale delega non e' stata mai esercitata. Cosi' ricostruito l'excursus storico della disciplina normativa, giova poi chiarire - sempre nell'ottica di una migliore interpretazione del testo normativo - che l'articolo 9, comma 3, Decreto Legge n. 244 del 2016, come modificato dalla legge di conversione n. 19 del 2017 che modifica parzialmente l'articolo 2, comma 3 Decreto Legge n. 40 del 2010, convertito dalla L. n. 73 del 2010, sostituendo le parole "31 dicembre 2016" con "31 dicembre 2017", e' stato approvato nella Prima Commissione permanente (Affari Costituzionali) in sede referente del Senato della Repubblica a seguito del recepimento dell'emendamento 9.20, ritirati gli emendamenti 9.16, 9.17, 9.18, 9.22, 9.23 e 9.25, respinti quelli recanti i numeri 9.15, 9.19, 9.21 e 9.24, che meglio rispondevano al quesito esegetico posto dall'ordinanza interlocutoria nel senso che la disposta sospensione opera per tutto il periodo 1 aprile 2010 - 31 dicembre 2017. Siffatta impostazione tuttavia consente di collegare la disposizione citata all'articolo 2, comma 3 Decreto Legge n. 40 del 2010 (il quale stabiliva che: "3. Ai fini della rideterminazione dei principi fondamentali della disciplina di cui alla L. 15 gennaio 1992, n. 21, secondo quanto previsto dall'articolo 7-bis, comma 1, del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, ed allo scopo di assicurare omogeneita' di applicazione di tale disciplina in ambito nazionale, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza Unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono adottate, entro e non oltre il termine di sessanta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore del presente decreto, urgenti disposizioni attuative, tese ad impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia. Con il suddetto decreto sono, altresi', definiti gli indirizzi generali per l'attivita' di programmazione e di pianificazione delle regioni, ai fini del rilascio, da parte dei Comuni, dei titoli autorizzativi.") all'articolo 29, comma 1-quater del Decreto Legge n. 207 del 2008, facendone conseguire la sospensione anche dell'efficacia della riforma che ridisegna i principi fondamentali del servizio del noleggio con conducente di cui alla L. n. 21 del 1992, in quanto il nuovo e piu' rigoroso regime postula la necessita' dell'adozione di una disciplina complessiva (statale, regionale e comunale) con l'adozione di decreti ministeriali concertati tra i Ministeri interessati e previa intesa con la Conferenza Unificata di Stato, regioni e di comuni. In altri termini, la maieutica dell'articolo 9, comma 3 Decreto Legge n. 244 del 2016, come modificato dalla legge di conversione n. 19 del 2017, non consente di dare attuazione alla nuova disciplina nella sua globalita' senza la messa a regime dell'intero settore. Ne' a siffatta interpretazione e' di ostacolo il principio secondo cui la norma di interpretazione autentica puo' essere adottata solo per ovviare ad una situazione di grave incertezza normativa o a forti contrasti giurisprudenziali, con la conseguenza che il legislatore sarebbe abilitato ad intervenire solamente al ricorrere di siffatti eventi, tali da giustificare, di conseguenza, l'esegesi legislativa. Infatti, si rischierebbe di affrontare la tematica dell'interpretazione autentica sulla base di un criterio approssimativo, ossia non considerando la giurisprudenza costituzionale in materia di leggi interpretative, attraverso la quale, seppur con esiti variabili, i giudici delle leggi sono giunti a riconoscere la legittimita' dell'intervento (autenticamente) interpretativo, e quindi, retroattivo del legislatore, non solo in casi di incertezza normativa (v. Corte Cost. n. 15 del 2012 che richiama le sent. nn. 271 e 257 del 2011, n. 209 del 2010, nn. 311 e 24 del 2009, nn. 162 e 74 del 2008; in tal senso vedi anche Corte Cost. nn. 156 del 2014, n. 170 del 2013, n. 264 del 2012, n. 78 del 2012) o di anfibologie giurisprudenziali, ovvero nei casi in cui il legislatore si limiti a selezionare uno dei possibili significati che possono ricavarsi dalla disposizione interpretata (rimanendo entro i possibili confini interpretativi: v. Corte Cost. sentenze n. 227 del 2014, n. 170 del 2008 e n. 234 del 2007), ma anche nell'ipotesi in cui il legislatore intervenga per contrastare un orientamento giurisprudenziale (c.d. diritto vivente) sfavorevole, sempre che l'opzione ermeneutica prescelta rinvenga il proprio fondamento nella cornice della norma interpretata (v. Corte Cost. n. 271/2011 cit.). Cosi' intesa, l'incertezza normativa cui il legislatore cercherebbe di far fronte mediante l'intervento esegetico potrebbe articolarsi nella diversa accezione oggettiva (oggettivo contrasto giurisprudenziale) ovvero soggettiva (indesiderato indirizzo giurisprudenziale). La Corte costituzionale rinviene il fondamento dell'adozione dello strumento legislativo interpretativo nella sussistenza di contrasti giurisprudenziali che diano luogo ad incertezza applicativa della norma ad oggetto ovvero nel consolidamento di uno specifico orientamento giurisprudenziale, la cui caratteristica sarebbe da rintracciarsi nella contrarieta' a quanto disposto dal legislatore, costretto, al fine di imporre la propria interpretazione, ad un intervento correttivo. Si e' assistito ad un iniziale orientamento in cui si era tentato di tracciare - seppure a grandi linee - i contorni della norma di interpretazione autentica, ricercandone gli elementi costituzionalmente necessari affinche' la norma potesse considerarsi legittima, per poi passare ad una seconda fase, nella quale il giudice delle leggi si e' allontanato dalla questione della specifica natura da riconoscere alle leggi interpretative, quali norme effettivamente interpretative ovvero innovative criptoretroattive (in tal senso v., tra le altre, Corte Cost. n. 234 del 2007), concentrandosi piuttosto sulla ricerca del loro presupposto giustificativo. In linea di principio, dunque, la Corte costituzionale evidenzia la potenzialita' retroattiva delle leggi di interpretazione autentica - la cui legittimita' e' ammessa nell'ordinamento costituzionale nazionale, con l'unico limite dell'articolo 25, comma 2 Cost. in materia penale - nella prospettiva, pero', di preservazione dei principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento dei cittadini (v. Corte Cost. n. 166 del 2012), da considerarsi come principi di "civilta' giuridica". Pertanto, l'intervento legislativo interpretativo sembra essere ammissibile allorche' - sebbene destinato ad incidere sulle posizioni giuridiche soggettive dei singoli - sia tale da garantire una compensazione ragionevole allo svantaggio arrecato. Ed e' proprio sulla ragionevolezza della norma interpretativa che sembra fondarsi il nucleo del sindacato di legittimita' costituzionale cui aspira il giudice delle leggi. Al fine di risultare costituzionalmente legittima, l'esegesi normativa, infatti, dovrebbe essere ragionevolmente giustificata da motivi imperativi di interesse generale (v. Corte Cost. n. 191 del 2014 e n. 170 del 2013), di modo da bilanciare gli effetti retroattivi anche a danno dei diritti acquisiti dai soggetti interessati. Il giudice e', dunque, chiamato a valutare l'astratta idoneita' interpretativa della norma che si pone come tale, attraverso la disamina degli elementi esteriori (rubrica, titolo, autoqualificazione...) ovvero rintracciandone il fine giustificativo (ratio legis...), fino a spingersi ad analizzare il contesto storico in cui la disposizione e' stata approvata (volonta' storica del legislatore) ovvero giovandosi di altre norme di analogo tenore (interpretazione analogica) o, ancora, rileggere la disposizione alla luce dell'evoluzione del quadro giuridico complessivo (interpretazione evolutiva), di modo che l'intervento interpretativo risulti capace di ricondurre a razionalita' e a logicita' le norme. Ed e' quanto occorso nella specie, in quanto proprio facendo applicazione di siffatti principi, in particolare quello dell'interpretazione evolutiva, va ravvisata la volonta' del legislatore nel senso di estendere la sospensione dell'efficacia della disciplina di riforma - dopo averla disposta espressamente quasi nell'immediatezza dell'entrata in vigore della medesima e fino al 31 marzo 2010 - con la previsione contenuta nel comma 3 dell'articolo 9 del Decreto Legge n. 244 del 2016, per cui il termine del suo vigore e' stato posticipato al 31 dicembre 2016 (divenuto successivamente 31 dicembre 2017) anche quanto alle disposizioni di cui all'articolo 29, comma 1-quater, proprio per ricondurre a coerenza il complessivo quadro delle proroghe finalizzato all'adozione e alla creazione di un sistema unitario e complessivo. Sotto siffatto profilo il ricorso va, pertanto, accolto per avere il Tribunale di (OMISSIS) fatto applicazione di una norma i cui effetti al momento della commissione dell'illecito amministrativo erano sospesi e quindi inefficaci anche le norme regionali derivate dalla disciplina statale. Permane, allora, la questione posta dall'ordinanza interlocutoria con il secondo dubbio interpretativo: "Se, durante il periodo di sospensione dell'efficacia delle disposizioni recate dall'articolo 29, comma 1-quater, del Decreto Legge n. 207 del 2008 debbano ritenersi reviviscenti le disposizioni dettate dalla L. n. 21/1992 (articoli 3 e 11) nel testo precedente alle modifiche recate dal menzionato articolo 29 del Decreto Legge n. 207/2008 o se, al contrario, tali disposizioni non possano ritenersi tornate in vigore durante la sospensione dell'efficacia dell'articolo 29, comma 1-quater, Decreto Legge n. 207/2008, in quanto abrogate e non reviviscenti, con conseguente deregolazione della materia dalle stesse disciplinata". Come e' noto, il fenomeno della reviviscenza indica la condizione di ripresa di vigore della situazione giuridica - ovvero del rapporto - oggetto della vicenda di temporanea e/o permanente stasi, condizione che si verifica per il sopraggiungere di una nuova situazione normativa per la quale le norme abrogatrici vengono a mancare. Per quanto qui di interesse - anche se si e' in presenza della diversa fattispecie di sospensione della efficacia della riforma, che comunque da taluni e' ritenuta abrogativa della originaria disciplina, cui va assimilata per eadem ratio - si sarebbe in presenza di ipotesi di abrogazione legislativa (nella specie, peraltro, solo temporanea), che si suole ricondurre al brocardo latino lex posterior derogat priori. L'abrogazione costituisce effetto dell'entrata in vigore di una norma contrastante con un'altra di pari grado, effetto che spetta al giudice interpretare, prendendo in considerazione ai fini della valutazione la norma da applicare alla fattispecie concreta. La questione controversa e' quella degli effetti, nel senso se si tratti di un fenomeno istantaneo e irreversibile ovvero se esso sia comunque ravvisabile in ipotesi di contrasto tra due discipline che pur si susseguono nel tempo. Al riguardo si osserva che alcune relativamente recenti pronunce della Corte costituzionale rese in sede di giudizio di legittimita' della legge hanno investito disposizioni abrogatrici e i loro effetti sono stati pacificamente intesi dalla stessa Corte costituzionale e dalla giurisprudenza ordinaria successiva come comportanti il ripristino delle norme illegittimamente abrogate (v. Corte Cost. sent. n. 162 del 2012, sent. nn. 5, 32 e 94 del 2014). In passato un esito di questo tipo era stato considerato in termini altamente critici sia in dottrina sia in giurisprudenza, mentre oggi si tende a riconoscere che il sistema di garanzia di conformita' delle leggi alla Costituzione non sarebbe completo se non prevedesse la possibilita' di estendere il sindacato della Corte anche sulle norme abrogatrici e non potesse implicare l'annullamento dell'abrogazione, qualora essa fosse ritenuta illegittima. Ci si deve chiedere se la reviviscenza a seguito di abrogazione della norma abrogatrice sia, al pari dell'abrogazione stessa, un istituto autonomo o se, al contrario, essa costituisca un esito interpretativo che si impone per logiche che sono intrinseche allo stesso istituto dell'abrogazione. Il problema non sembra essere stato finora analizzato in questi termini in modo diffuso. La piu' attenta dottrina ha sempre affermato che la questione della reviviscenza consiste, in ultima analisi, in un problema di interpretazione di diritto positivo, dimostrando in tal modo di propendere per la ricostruzione del fenomeno in chiave di esito interpretativo e non quale istituto giuridico dotato di propria autonomia. Il verificarsi della reviviscenza nei casi concreti si ritiene che debba essere sempre frutto di un'attivita' interpretativa, poiche' uno dei pochi caratteri comuni a tutte le ipotesi di reviviscenza consiste proprio nell'assenza, da parte del legislatore o eventualmente dell'organo che procede al controllo di validita' dell'atto normativo, di una dichiarazione di ripristino in forma espressa e vincolante erga omnes. Si tratta di una condizione inevitabile proprio in ragione della circostanza che il legislatore italiano si e' sempre disinteressato di porre una disciplina di qualunque tipo sul fenomeno. Nell'affrontare la questione della reviviscenza, pertanto, si prenderanno le mosse dalla ricostruzione delle questioni comuni a tutte le ipotesi, che riguardano principalmente la definizione dell'abrogazione e la questione delle lacune eventualmente colmabili mediante ripristino di norme abrogate. La chiave di lettura che viene scelta per affrontare il problema e' quella di valutare l'impatto della reviviscenza in relazione alla certezza del diritto e alla sua crisi. La reviviscenza, infatti, tende in concreto ad evitare che nell'ordinamento si formino lacune, privando di una disciplina positiva una materia gia' oggetto di regolamentazione legislativa. Come gia' affermato da questa Suprema Corte, soprattutto in materia di espropri, nel riconoscere la reviviscenza della precedente disciplina, il giudice deve compiere un'attivita' interpretativa che parte dalla necessaria premessa "a meno che il legislatore non abbia stabilito una nuova disciplina" (v. Cass. n. 5550 del 2009; Cass. n. 28431 del 2008; Cass., Sez. Un., n. 26275 del 2007), che mostra l'attenzione del giudice nell'applicare le norme dell'ordinamento, verificandone la operativita'. Tali decisioni confermano l'indirizzo secondo cui la reviviscenza di norme abrogate opera in via di eccezione e non automaticamente, descrivendo una ordinaria attivita' interpretativa del giudice che individuato un vuoto, mira a colmarlo, e cio' indipendentemente dalle ragioni che hanno causato la lacuna normativa. La Corte di legittimita' con siffatte pronunce non solo ha riconosciuto la teoria della reviviscenza, l'ha anche applicata nel caso concreto, facendo l'analisi della stratificazione normativa e individuando quella vigente ed applicabile al caso in esame. Chiaramente la giurisprudenza richiamata non costituisce una teorizzazione generale della reviviscenza di norme abrogate, tuttavia apre le porte al fenomeno per consentire a siffatto meccanismo di colmare una totale carenza di disciplina normativa venutasi a creare a seguito di vicende diverse che possono colpire l'effetto abrogativo. E poiche' nel nostro ordinamento non ci sono disposizioni di rango costituzionale o legislativo che prevedano espressamente quali siano le conseguenze sul piano normativo nelle ipotesi di abrogazione di una norma, le norme sull'ammissibilita' e sulle condizioni di reviviscenza devono essere necessariamente desunte per via interpretativa. Al riguardo soccorrono l'interprete le Disposizioni sulla legge in generale (le c.d. "preleggi"), che all'articolo 11 stabiliscono che la legge dispone soltanto "per l'avvenire", vietando gli effetti retroattivi; salvo l'ambito penale, in cui sussiste un divieto costituzionale di retroattivita' in peius della legge successiva (articolo 25, comma 2, Cost.), in ogni altro settore dell'ordinamento tale disposizione legislativa e' derogabile, ma soltanto tramite una previsione espressa di norma legislativa. Si tratta di una tutela minima che la legge non sia retroattiva, salvo espressa previsione. Naturalmente si pongono problemi di diritto intertemporale che possono essere risolti proprio con la reviviscenza. L'altra disposizione che ci viene in soccorso e' l'articolo 15, che indica i casi in cui le leggi devono considerarsi abrogate, si' da realizzare lo scopo che il mutamento del diritto si realizzi unicamente con un atto di volonta' novativa da parte del legislatore, sul presupposto della configurazione in modo logico dell'abrogazione quale fenomeno obiettivo e automatico. La prassi, tuttavia, pare disegnare una distanza da questa impostazione, dovuta soprattutto alla difficolta' di separare con nettezza il riconoscimento dell'abrogazione dall'attivita' interpretativa. Venendo al nostro caso, peraltro frequente nella prassi, e sempre che si voglia fare rientrare nel concetto di abrogazione in senso ampio, ci troviamo di fronte ad una abrogazione per novellazione della disciplina (come definita da avveduta recente dottrina), tramite sostituzione o modifica del testo di una disposizione previgente. In queste ipotesi il legislatore puo' preferire adeguare un preesistente corpus di norme intervenendo su singole parti, senza predisporre un nuovo atto normativo integralmente sostitutivo dei precedenti, riformando - anche solo in parte - un singolo istituto o piu' istituti previsti senza emanare un nuovo testo iuris. L'entrata in vigore della disposizione modificatrice ha una duplice conseguenza: da un lato introduce una nuova disciplina, dall'altro nello stesso tempo puo' abrogare quella precedente. Una disposizione che innova l'ordinamento mediante la modifica di testi normativi previgenti pone questioni peculiari in relazione alle ipotesi di reviviscenza: il venir meno di una simile disposizione, infatti, potrebbe essere inteso come il venire meno della modifica da essa disposta, ripristinando la disposizione modificata nella sua formulazione anteriore. E del resto l'articolo 15 delle preleggi afferma che una delle modalita' di abrogazione consiste nella "incompatibilita' tra le nuove disposizioni e le precedenti". Nell'abrogazione c.d. tacita il compito di individuare la disciplina abrogata grava di fatto e di diritto sull'interprete: se piu' disposizioni, poste dal legislatore in tempi diversi, regolano la stessa materia senza che quelle posteriori abbiano espressamente previsto l'abrogazione di quelle anteriori, l'eventuale contrasto fra le stesse dovra' essere risolto riconoscendo l'abrogazione delle norme espresse dalle disposizioni piu' antiche da parte di quelle desunte dalle piu' recenti, per cui l'attivita' interpretativa deve avere ad oggetto entrambe le discipline. Si deve tenere presente, pero', che la vigenza di una norma puo' cessare anche senza che ne intervenga l'abrogazione da parte di una successiva. E' il caso di leggi che dispongano autonomamente il tempo per cui resteranno vigenti e che pertanto possiamo definire come leggi temporanee. Un'altra ipotesi e' quella in cui sia sopravvenuta, per cause materiali o per volonta' anche solo temporanea del legislatore, l'impossibilita' di dare esecuzione a una norma o a una serie di norme. Quest'ultima ipotesi appare integrare la fattispecie in esame in ordine alla quale il legislatore del 2008/2009 aveva espresso la volonta' di un regime piu' rigoroso per differenziare il servizio taxi da quello di NCC, ponendo a carico di quest'ultimo maggiori limitazioni sanzionate come illeciti amministrativi piu' dettagliati, senza pero' far venire meno la disciplina di settore. Trovandoci di fronte a siffatta tecnica di normazione, poiche' il legislatore non ha nel tempo completato l'intento dichiarato con il Decreto Legge n. 207/2008 di predisporre una riforma unitaria per assicurare omogeneita' di applicazione della disciplina dei trasporti non di linea in ambito nazionale, differendo per ben dodici volte il termine per l'emanazione del decreto interministeriale (decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza Unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281), previsto dall'articolo 7-bis, comma 1, del Decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, cio' costituisce prova che con il rinvio e la relativa sospensione - onde evitare di incorrere in un vuoto normativo in un settore particolarmente sensibile quale quello del trasporto su territorio nazionale, che proprio con la riforma vuole garantire la composizione di interessi di utilita' sociale con quelli della libera attivita' economica privata, contrastando il fenomeno dell'abusivismo - non abbia voluto abrogare la disciplina previgente, che peraltro non appare abrogata ma al piu' rafforzata dalla previsione di nuovi illeciti amministrativi che si aggiungono a quelli di cui alla L. n. 21 del 15 gennaio 1992 nella originaria formulazione, oramai considerata non piu' al passo con l'evoluzione del mercato. Su questo approccio di ricostruzione del fenomeno si fonda l'effetto ripristinatorio o meglio di permanenza della precedente disciplina, che si basa sull'analisi oggettiva delle vicende della norma abrogatrice in relazione alla norma previgente. In conclusione, vanno affermati i seguenti principi di diritto: "Il legislatore, con la disposizione di interpretazione autentica, di cui al comma 3 dell'articolo 9 del Decreto Legge n. 244 del 2016, ha sospeso l'efficacia delle fattispecie introdotte con l'articolo 29, comma 1-quater Decreto Legge n. 2007/2008, inserito dalla legge di conversione n. 14/2009, posticipandola al 31 dicembre 2016 (divenuto successivamente 31 dicembre 2017). Le fattispecie introdotte con il predetto articolo 29, comma 1-quater cit. non abrogano le previgenti ipotesi di cui agli articoli 3 e 11 legge quadro n. 21 del 1992 (articolo 3. Servizio di noleggio con conducente 1. Il servizio di noleggio con conducente si rivolge all'utenza specifica che avanza, presso la sede del vettore, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio. Lo stazionamento dei mezzi avviene all'interno delle rimesse o presso i pontili di attracco. Art. 11. Obblighi dei titolari di licenza per l'esercizio del servizio di taxi e di autorizzazione per l'esercizio del servizio di noleggio con conducente 1. I veicoli o natanti adibiti al servizio di taxi possono circolare e sostare liberamente secondo quanto stabilito dai regolamenti comunali. 2. Il prelevamento dell'utente ovvero l'inizio del servizio sono effettuati con partenza dal territorio del comune che ha rilasciato la licenza per qualunque destinazione, previo assenso del conducente per le destinazioni oltre il limite comunale o comprensoriale, fatto salvo quanto disposto dal comma 5 dell'articolo 4. 3. Nel servizio di noleggio con conducente, eserci'to a mezzo di autovetture, e' vietata la sosta in posteggio di stazionamento su suolo pubblico nei comuni ove sia esercito il servizio di taxi. E' tuttavia consentito l'uso delle corsie preferenziali e delle altre facilitazioni alla circolazione previste per i taxi e altri servizi pubblici. 4. Le prenotazioni di trasporto per il servizio di noleggio con conducente sono effettuate presso le rispettive rimesse. 5. I comuni in cui non e' eserci'to il servizio di taxi possono autorizzare i veicoli immatricolati per il servizio di noleggio con conducente allo stazionamento su aree pubbliche destinate al servizio di taxi. 6. I comuni, ferme restando le attribuzioni delle autorita' competenti in materia di circolazione negli ambiti portuali, aeroportuali e ferroviari, ed in accordo con le organizzazioni sindacali di categoria dei comparti del trasporto di persone, possono, nei suddetti ambiti, derogare a quanto previsto dal comma 3, purche' la sosta avvenga in aree diverse da quelle destinate al servizio di taxi e comunque da esse chiaramente distinte, delimitate e individuate come rimessa. 7. Il servizio di taxi, ove esercito, ha comunque la precedenza nei varchi prospicienti il transito dei passeggeri), che vengono pertanto solo integrate dalla successiva previsione e comunque sono da ritenere vigenti al momento della commissione della violazione contestata". Alla luce di quanto sopra affermato, la decisione di accoglimento dell'appello si pone, dunque, in contrasto con tali principi, sicche' il ricorso va accolto; ne discende l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio del procedimento al Tribunale di (OMISSIS), in persona di diverso magistrato, affinche' riesamini la vicenda alla luce dei principi sopra affermati e accerti se la condotta contestata integri o meno l'illecito amministrativo ai sensi e per gli effetti degli articoli 3 e 11 previsti dalla L. n. 21 del 1992 nella versione antecedente alla riforma di cui al Decreto Legge n. 207 del 2008. Al giudice del rinvio e' rimessa anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita', ai sensi dell'articolo 385 c.p.c. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e rinvia al Tribunale di (OMISSIS), in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimita'.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNA Felice - Presidente Dott. PAPA Patrizia - Consigliere Dott. SCARPA Antonio - Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - rel. Consigliere Dott. AMATO Cristina - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 18145/2018 R.G. proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), (null) rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), ( (OMISSIS)), (OMISSIS), ( (OMISSIS)); - ricorrenti - contro (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)); - controricorrenti - avverso SENTENZA di CORTE D'APPELLO MESSINA n. 96/2018 depositata il 07/06/2018; Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 31/01/2023 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI. FATTI DI CAUSA (OMISSIS) e (OMISSIS) chiesero al Tribunale di Messina l'accertamento della violazione delle distanze legali da parte di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). Gli attori dedussero che i convenuti avevano demolito un fabbricato preesistente e realizzato due corpi di fabbrica senza rispettare le distanze dal confine. I convenuti si costituirono e proposero domanda riconvenzionale per ottenere la chiusura di una finestra abusivamente realizzata dagli attori. Il Tribunale accolse la domanda principale e rigetto' la domanda riconvenzionale. I convenuti soccombenti proposero appello e contestarono che non fosse applicabile la normativa sulle distanze tra costruzioni ma quella inerente alla distanza dai confini per effetto dello ius superveniens, secondo le norme vigenti del Comune di Furci Siculo. L'articolo 23 del NTA prevedeva infatti che "in caso di pareti non finestrate e' consentita l'edificazione in aderenza o con un distacco minimo di sei metri. E' possibile costruire al confine anche nel caso sia interposto un preesistente fondo avente larghezza inferiore a metri 6". Lo strumento urbanistico dell'8.1.2009, che aveva approvato la variante del PRG adottata dal Consiglio Comunale di Furci Siculo, rendeva legittima la costruzione, come accertato dal CTU. La Corte d'appello di Messina, con sentenza del 6.2.2019 rigetto' l'appello. Osservo' che (OMISSIS) era componente della Commissione Permanente Urbanistica - assetto del territorio e che, in pendenza del termine per l'appello, aveva proposto delle modifiche allo strumento urbanistico del Comune di Furci Siculo; le nuove disposizioni avevano interessato l'immobile oggetto di causa sicche' le modifiche apportate ai fabbricati B e C erano conformi alla nuova disciplina urbanistica. La Corte distrettuale accerto' che, essendo stato (OMISSIS) sottoposto a procedimento penale per abuso d'ufficio in relazione alla vicenda per cui e' causa e condannato con sentenza definitiva, il giudizio civile era stato sospeso. La Corte d'appello fece applicazione del Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 78, in forza del quale, laddove la deliberazione venga adottata in una situazione di conflitto di interessi da parte dell'amministratore, o di parenti o affini, le parti dello strumento urbanistico in correlazione con l'interesse dell'amministratore vanno annullate, indipendentemente dalla prova di resistenza ed il giudice deve disapplicarle. Per la cassazione della sentenza d'appello hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di due motivi. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso. Il procedimento, avviato per la decisione ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c., con proposta di rigetto del relatore, con ordinanza interlocutoria del 7.11.2019 e' stato rimesso alla pubblica udienza, non ravvisando il collegio l'evidenza decisoria. I ricorrenti hanno depositato memorie illustrative. Il Sostituto Procuratore Generale, in persona del Dott. Aldo Cenniccola, ha concluso per il rigetto del ricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 18 agosto 2000, n. 267, articolo 78, della Legge Regionale 23 dicembre 2000, n. 30, articolo 16 e dell'articolo 23 della NTA del PRG del Comune di Fucci Siculo; secondo il ricorrente, del Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 708, non era applicabile al territorio della Regione Siciliana, giusta la competenza esclusiva in materia urbanistica prevista dall'articolo 14 dello Statuto della Regione, ne' la soluzione adottata dalla Corte distrettuale poteva fondarsi sull'articolo 16 della legge della Regione Sicilia, che, pur contenendo una disposizione per certi versi simile al Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 78, non ne riproduceva esattamente il contenuto. La Legge Regionale non prevede la sospensione, prima, e l'annullamento, dopo delle parti dello strumento urbanistico adottate con il voto dell'amministratore in conflitto di interessi. Infine, i ricorrenti osservano che (OMISSIS) si era limitato a partecipare alla Commissione Comunale Permanente Urbanistica del Comune di Furci Siculo, svoltasi nell'ottobre 2007 ma non aveva preso parte alla discussione e votazione del 7.11.2007 che le approvava. I ricorrenti hanno richiamato, a tal fine, la decisione del Consiglio di Stato (Sez. IV, 4.3.2003 n. 1191), che ha affermato come l'obbligo di astensione riguarda il momento della deliberazione e non la fase della proposta in cui le soluzioni tecniche vengono proposte all'esame dell'organo consiliare. Il motivo e' infondato. E' pacifico che la delibera che approvava il PRG venne adottata dal Consiglio Comunale, rispetto al quale (OMISSIS) era effettivamente estraneo, ma, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, la locale commissione permanente, di cui il ricorrente faceva parte, fu l'organo promotore della modifica del PRG e la modifica venne richiesta proprio in pendenza del giudizio civile ed ebbe l'effetto di rendere i fabbricati B e C del tutto conformi agli strumenti urbanistici, con evidente e diretta incidenza sull'esito della causa che lo aveva visto soccombente in primo grado. Come osservato dal Procuratore Generale nelle conclusioni scritte, nonostante il conflitto di interessi si sia realizzato nella fase incoativa e non in quella deliberativa, il vizio dell'atto endoprocedimentale si e' riverberato sulla decisione finale. La L. n. 241 del 1990, articolo 6 bis, estende il divieto di conflitto di interesse anche alla fase endoprocedimentale, come risulta chiaramente dal dato testuale: "il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale". Il Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 78, prevede, al comma 2, che "gli amministratori devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado. La norma prosegue escludendo che l'obbligo di astensione si applichi ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado. In tali caso, il Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 79, comma 4, prevede che, ove la correlazione immediata e diretta di cui al comma 2, sia stata accertata con sentenza passata in giudicato, le parti dello strumento urbanistico che costituivano oggetto della correlazione sono annullate e sostituite mediante nuova variante urbanistica parziale e, nelle more dell'accertamento, la validita' delle relative disposizioni del piano urbanistico sono sospese. Sostengono i ricorrenti che la norma non si applica alla Regione Sicilia perche' la materia sarebbe disciplinata dalla legge regionale in un settore in cui e' prevista la competenza specifica, ai sensi dell'articolo 14 dello Statuto della Regione Sicilia. La normativa regionale, pur riproducendo l'obbligo di astensione nell'ipotesi di conflitto di interessi non prevede l'annullamento della Delibera viziata e la sospensione della validita' nel corso dell'accertamento. La tesi e' priva di pregio in quanto l'inosservanza dell'obbligo di astensione integra, in ogni caso, un vizio dell'atto amministrativo espressamente previsto dalla Legge Regionale Sicilia n. 30 del 2020, articolo 16, espressione dell'articolo 97 Cost., che prevede il dovere di imparzialita' e buon andamento della Pubblica Amministrazione. Come risulta dalla pronuncia di questa Corte N. 37985/2017, che ha rigettato il ricorso di (OMISSIS) avverso la sentenza di condanna per il reato di abuso d'ufficio, la modifica proposta e deliberata dal Consiglio Comunale aveva un effetto immediato e diretto sulla causa che aveva visto i ricorrenti soccombenti in primo grado. Il giudicato penale ha cristallizzato il comportamento illegittimo, con efficacia diretta sulla Delibera adottata in conflitto di interessi. La giurisprudenza amministrativa, chiamata a pronunciarsi sulla validita' dell'atto viziato da conflitto di interessi ha affermato, in modo pacifico che, ai sensi del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articolo 78, comma 2, il consigliere comunale e' obbligato ad astenersi dal partecipare alle deliberazioni assunte dall'organo collegiale in tutti i casi in cui, per ragioni di ordine obiettivo, egli non si trova in posizioni di assoluta serenita' rispetto alle decisioni di natura discrezionale da adottare; in pratica il dovere di astensione impone al consigliere ogni volta che, incidendo l'atto da adottare in senso vantaggioso o svantaggioso su un suo interesse, vi sia il pericolo che la volonta' dello stesso non sia immune da condizionamenti, con conseguente invalidita' della Delibera adottata con il suo concorso (Consiglio di Stato sez. IV, 25/09/2014, n. 4806; Consiglio di Stato, 28.1.2011, n. 693). Non rileva la circostanza che il Consiglio abbia proceduto in modo imparziale ovvero senza condizionamenti, essendo l'obbligo di astensione per incompatibilita', espressione del principio generale di imparzialita' e di trasparenza (articolo 97 Cost.) al quale ogni Pubblica amministrazione deve conformare la propria immagine, prima ancora che la propria azione. E cio' a prescindere dai vantaggi o svantaggi in concreto conseguiti; v'e' un contrasto dunque tra due interessi facenti capo alla stessa persona, uno dei quali di tipo "istituzionale" ed un altro di tipo personale che va risolto con l'astensione dal partecipare alla discussione e alla votazione sulla deliberazione. Il dovere di astensione ha quindi portata generale ed e' reso ancor piu' pregnante quando, come nel caso in esame, le norme del PRG riguardano una piccola realta' territoriale, come il Comune di Forci Siculo. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell'articolo 873 c.c. e dell'articolo 23 delle NTA del PRG del Comune di Furci Siculo, dell'articolo 26, punto 17 del Regolamento Edilizio in quanto la costruzione sarebbe stata eretta nella stessa posizione in cui esisteva il precedente organismo edilizio. Il motivo e' infondato. La Corte di merito ha accertato che il nuovo fabbricato costituiva una struttura totalmente differente dalla precedente per connotazione, destinazione, volumetrie, sviluppo delle superfici e delle elevazioni tale da integrare una nuova costruzione, in relazione alla quale sono applicabili le distanze vigenti al momento dell'edificazione (Cass. Sez. Unite, 19.10.2011, n. 21578; Cass. Civ. Sez. II, 11.6.2018, n. 15041). Ne' trova applicazione la normativa sopravvenuta in quanto, da un lato, l'articolo 23 delle NTA del PRG del Comune di Furci Siculo sono illegittime per conflitto di interessi. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita', che liquida in Euro 5000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da' atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. PISTORELLI Luca - rel. Consigliere Dott. BELMONTE Maria Teresa - Consigliere Dott. CAPUTO Angelo - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 21/6/2021 della Corte d'appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli; lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Epidendio Tomaso, che ha concluso per l'inammissibilita' dei ricorsi dell' (OMISSIS) e del (OMISSIS) e per il rigetto del ricorso del (OMISSIS); lette le conclusioni del difensore dell'imputato (OMISSIS), avv. (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso proposto nell'interesse del proprio assistito. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Palermo ha confermato la condanna di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per i reati di tentata truffa aggravata ai danni dello Stato, falso materiale del privato in atto pubblico e contraffazione di impronte della pubblica amministrazione, per come rispettivamente contestati. Agli imputati e' contestato di aver presentato al Dipartimento del lavoro della Regione Sicilia una domanda per la reintegrazione nella percezione di un assegno di sostegno al reddito producendo a tal fine false ordinanze di riabilitazione o, in un caso, un falso decreto di ammissibilita' e relativa relata di notifica corredati del timbro contraffatto del Tribunale di Sorveglianza di Palermo. 2. Avverso la sentenza ricorrono tutti gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori. 2.1 Comune a tutti e tre i ricorrenti e' la deduzione, anche sotto il profilo del vizio di motivazione, dell'erronea qualificazione giuridica dei fatti come tentata truffa ai danni dello Stato sensi dell'articolo 56 c.p. e articolo 640 c.p., comma 2, n. 1), anziche' come indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex articolo 316-ter c.p.. In tal senso, con argomentazioni sovrapponibili, viene eccepito come gli imputati si siano limitati ad allegare alle rispettive domande le false sentenze, senza che vi sia stata induzione in errore dell'ente erogatore del sussidio, il quale non avrebbe proceduto ad alcun accertamento effettivo sul contenuto della documentazione prodotta, limitandosi a prendere atto della sua formale esistenza. Con il ricorso del (OMISSIS) sul punto viene altresi' evidenziato come l'entita' delle erogazioni cui era finalizzata la condotta dell'imputato sarebbe comunque inferiore alla soglia prevista dal comma 2 del citato articolo 316-ter c.p., integrando dunque il fatto al piu' un illecito amministrativo. 2.2 Con i ricorsi dell' (OMISSIS) e del (OMISSIS), anche in questo caso con argomentazioni sostanzialmente identiche, vengono altresi' dedotti erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito all'affermazione di responsabilita' per i falsi contestati. In tal senso i ricorrenti lamentano come non sarebbe stato dimostrato che gli imputati siano gli autori, piuttosto che i meri utilizzatori, delle sentenze contraffatte, evidenziandosi in proposito la serialita' delle falsificazioni e l'assenza di competenze in capo ai medesimi per effettuarle. 2.3 Con il primo motivo del ricorso del (OMISSIS) vengono dedotti analoghi vizi in merito alla ritenuta configurabilita' del reato di tentata truffa aggravata. Secondo il ricorrente la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare in proposito come il sussidio non avrebbe dovuto essere erogato dall'ente cui e' stata presentata la domanda e prodotta la falsa documentazione, bensi' dall'INPS e solo a seguito dell'effettivo svolgimento di almeno venti ore settimanali di attivita' socialmente utili presso le pubbliche amministrazioni da parte del richiedente. Non conseguendo il beneficiario automaticamente il diritto all'erogazione a seguito della presentazione della domanda, dunque, difetterebbe il requisito della causazione di un danno patrimoniale, necessario per la sussistenza del reato di truffa, mentre non vi sarebbe, alla luce di quanto osservato, nemmeno la necessaria coincidenza tra il soggetto indotto in errore e che compie l'atto di disposizione patrimoniale e quello passivo del danno, conseguendone l'insussistenza del fatto contestato. 2.4 Infine con gli ultimi due motivi di ricorso il (OMISSIS) deduce erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito al denegato riconoscimento delle attenuanti generiche ed alla commisurazione della pena. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili. 2. Manifestamente infondate sono le censure comuni a tutti i ricorrenti sulla qualificazione giuridica dei fatti contestati come tentata truffa. 2.1 Come infatti chiarito da Sez. U, Sentenza n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi Rv. 235962 e ribadito dalla giurisprudenza successiva (ex multis Sez. F, Sentenza n. 44878 del 06/08/2019, Aldovisi, Rv. 279036; Sez. 6, Sentenza n. 51962 del 02/10/2018, Muggianu, Rv. 274510) il tratto differenziale tra la fattispecie di cui all'articolo 316 ter c.p. ed il delitto di truffa aggravata discende dai connotati delle condotte nel senso che quella oggetto della prima fattispecie non implica la induzione in errore o un danno per l'ente erogante, sicche' il reato e' ravvisabile in quelle situazioni del tutto marginali, come quella del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale, perche' il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone l'effettivo accertamento da parte dell'erogante dei presupposti del singolo contributo, ma ammette che il riconoscimento e la stessa determinazione del contributo siano fondati, almeno in via provvisoria, sulla mera dichiarazione del soggetto interessato, riservando eventualmente a una fase successiva le opportune verifiche. Conseguentemente, in questi casi, l'erogazione puo' non dipendere da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell'erogatore, che in realta' si rappresenta correttamente solo l'esistenza della formale dichiarazione del richiedente. Non di meno l'effettivo realizzarsi di una falsa rappresentazione della realta' da parte dell'erogatore, con la conseguente integrazione degli estremi della truffa, puo' dipendere, oltre che dalla disciplina normativa del procedimento, anche dalle modalita' effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto. E quindi l'accertamento dell'esistenza di un'induzione in errore, quale elemento costitutivo del delitto di truffa, ovvero la sua mancanza, con la conseguente configurazione del delitto previsto dall'articolo 316-ter c.p., e' questione di fatto, che risulta riservata al giudice del merito. 2.2 Nel rispetto di queste coordinate interpretative la Corte territoriale ha correttamente ritenuto integrati gli estremi della tentata truffa aggravata, riconoscendo nella falsificazione delle ordinanze di riabilitazione - la cui esistenza era presupposto ineludibile per l'accoglimento delle domande di reintegrazione degli imputati nel godimento del sussidio, dal quale erano stati precedentemente esclusi in ragione della comminazione dell'interdizione dai pubblici uffici ostativa alla concessione del medesimo - un artifizio funzionale ad eludere le verifiche dell'ente erogatore. Peraltro il fatto stesso che la frode sia stata scoperta a seguito degli accertamenti compiuti dai funzionari dell'ente prima dell'erogazione del sussidio, dimostra come questa non fosse subordinata alla mera verifica formale della presentazione della documentazione richiesta, come del resto previsto dalla Legge Regionale Sicilia n. 5 del 2014, articolo 34 richiamata dalla Legge Regionale Sicilia n. 9 del 2015, articolo 68 ossia della normativa sulla base della quale dovevano essere erogati i sussidi di cui si tratta. 2.3 Conseguentemente deve essere ritenuta manifestamente infondata anche l'obiezione sollevata con il ricorso del (OMISSIS) per cui il fatto a lui addebitato integrerebbe l'ipotesi di illecito amministrativo di cui all'articolo 316-ter c.p., comma 2 e che comunque sarebbe manifestamente infondata e generica posto che il sussidio integrativo richiesto dall'imputato aveva cadenza mensile e, dunque, la sua entita' non puo' essere calcolata con riguardo ad una singola mensilita', come ha fatto il ricorrente, ma all'intera durata dell'erogazione, nemmeno specificata nel ricorso. 3. Il primo motivo del ricorso del (OMISSIS) e' parimenti inammissibile in quanto propone questioni inedite in quanto non gia' devolute con il gravame di merito al giudice dell'appello. Peraltro le censure del ricorrente sono generiche e manifestamente infondate. Ed infatti meramente assertiva e' l'obiezione per cui ad erogare il sussidio avrebbe dovuto essere l'INPS e non direttamente l'autorita' regionale destinataria della richiesta, posto che il ricorrente non precisa la fonte di tale affermazione, ne' se l'ente in questione fosse mero delegato al pagamento delle contribuzioni, mentre, pervero, la questione dell'alterita' tra soggetto ingannato e soggetto danneggiato nemmeno ha costituito oggetto di specifica deduzione con il gravame di merito. Non di meno il consolidato insegnamento di questa Corte e' nel senso per cui, ai fini della configurabilita' del delitto di truffa, non e' necessaria l'identita' fra la persona indotta in errore e la persona che ha subito il danno patrimoniale, purche', anche in assenza di contatti diretti fra il truffatore e il truffato, sussista un nesso di causalita' tra l'induzione in errore, il profitto ed il danno (ex multis Sez. 2, Sentenza n. 43119 del 21/10/2021, Maresca, Rv. 282304; Sez. 2, Sentenza n. 39958 del 19/07/2018, Ferrigno, Rv. 273820). La contraria opinione sostenuta nel ricorso in riferimento alle isolate pronunzie che apparentemente postulano come necessaria ai fini della configurabilita' del delitto di truffa la corrispondenza tra il soggetto che, indotto in errore dall'autore del reato, compie l'atto di disposizione patrimoniale e il soggetto passivo del danno, e' stata in realta' coltivata in relazione ad ipotesi in cui la configurabilita' dell'illecito era condizionata dall'oggettivita' difficolta' di ravvisare il danno in capo all'ente raggirato (Sez. 6 n. 28957 del 22/9/2020, Astore, Rv. 279687) ovvero in fattispecie avente ad oggetto la diagnosi differenziale tra truffa e furto aggravato dal mezzo fraudolento, nel cui contesto si riconosce, ad ogni buon conto, che l'atto di disposizione patrimoniale del terzo ingannato puo' avere rilievo ai fini della configurazione del reato nel caso in cui questi abbia la gestione degli interessi patrimoniali del titolare e la possibilita' di compiere atti aventi efficacia nella sfera patrimoniale aggredita (Sez. 5, n. 18968 del 18/01/2017, F., Rv. 271060). Manifestamente infondata e' poi l'obiezione - pervero sviluppata soprattutto con le conclusioni scritte - per cui il reato contestato non sussisterebbe in assenza di danno, posto che all'istanza dell'imputato non e' stato dato seguito e non si e' conseguentemente proceduto all'erogazione del sussidio. La mancata causazione del danno e' infatti la ragione che ha portato alla contestazione del reato di truffa nella forma solo tentata, mentre alcun dubbio sussiste sull'idoneita' ed inequivocita' degli atti posti in essere dall'imputato al fine di ingannare l'ente erogante, che solo l'attenta verifica da parte del funzionario addetto ha impedito raggiungessero lo scopo che l'imputato si era prefisso. 4. Inammissibili sono anche le doglianze proposte dall' (OMISSIS) e dal (OMISSIS) in merito alla prova del concorso dei due imputati nelle contraffazioni loro rispettivamente contestate, che costituiscono la riedizione di quelle articolate con i gravami di merito e che la Corte territoriale ha confutato con motivazione con la quale i ricorrenti non si sono sostanzialmente confrontati, prospettando rilievi che si traducono in mere censure di fatto. E parimenti inammissibili sono infine i rilievi svolti con gli ultimi due motivi del ricorso del (OMISSIS) in merito alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Anche in questo caso quelle sollevate sono mere censure di fatto che non tengono conto del discorso giustificativo articolato dal giudice dell'appello. 5. Alla declaratoria di inammissibilita' dei ricorsi consegue ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro tremila alla Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SARNO Giulio - Presidente Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere Dott. CORBO Antonio - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI PALERMO; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/11/2021 della CORTE APPELLO di PALERMO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso, trattato cartolarmente a norma del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, e successive modifiche ed integrazioni; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SCARCELLA ALESSIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEDICINI ETTORE che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza; lette le conclusioni scritte dei difensori degli imputati: a) Avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS); b) Avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS); c) Avv. (OMISSIS), difensore d'ufficio di (OMISSIS); lette le conclusioni scritte della difesa delle parti civili, Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) APS, ed Avv. Maria (OMISSIS) per (OMISSIS), che hanno depositato anche le relative note spese. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa dalla Corte di Appello di Palermo in data 11/11/2021, in parziale riforma della sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Agrigento in data 26/07/2018, si e' pervenuti: a) all'assoluzione di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di cui al capo A) perche' il fatto non costituisce reato; b) all'assoluzione di (OMISSIS) dai reati di cui ai capi A) ed F) perche' il fatto non costituisce reato; c) all'assoluzione di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dai reati ascritti ai capi B), C), D) perche' il fatto non sussiste, con riferimento alle condotte residue loro ascritte diverse da quelle per le quali la Corte d'Appello ha confermato l'impugnata sentenza di condanna del GUP di Agrigento; d) alla condanna per le residue condotte (e, precisamente, per il capo b), limitatamente alla previsione, nei progetti esecutivi relativi ai singoli lotti, degli edifici da realizzare con altezza di ml. 6,10 invece che 6 ml.; per il capo c) e d), limitatamente alla realizzazione nel lotto 12 degli immobili di altezza superiore a quella consentita, ed alla realizzazione, entro la fascia di rispetto di 170ml. dalla battigia, dell'edificio 12E e dello scavo di sbancamento dell'edificio 12F, in presenza del vincolo di inedificabilita' assoluta ex Legge Regionale n. 71 del 1978 gravante sui territori costieri entro i 150 ml. dalla battigia e comunque entro i 170 ml. dalla battigia), per l'effetto rideterminando la pena per (OMISSIS) e (OMISSIS) in mesi 4 di arresto ed Euro 12000,00 di ammenda ciascuno; e) al proscioglimento, per sopravvenuta estinzione dei reati per prescrizione, di (OMISSIS) in ordine ai reati di cui ai capi b), c), d), relativamente alle condotte c.s. specificate, ed anche in ordine al reato di cui al capo f); f) alla conferma, infine, dell'ordine di demolizione e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, limitatamente alle opere descritte in precedenza, oggetto di condanna per (OMISSIS) e (OMISSIS), con revoca delle ulteriori statuizioni di demolizione e rimessione in pristino, ordinando Decreto Legislativo n. 42 del 2004, ex articolo 181, comma 2, la trasmissione della sentenza alla Regione Siciliana ed al Comune di Realmonte, confermando nel resto la sentenza appellata. 2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Palermo propone ricorso per cassazione, deducendo tre motivi, di seguito sommariamente indicati. 2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'articolo 5 c.p., per aver ritenuto scusabile un errore inescusabile della legge extra-penale che incide sulla legge penale, nonche' vizio motivazionale nella parte in cui e' stato ritenuto sussistente un quadro normativo complesso e un contrasto giurisprudenziale per dimostrare l'assenza dell'elemento soggettivo in relazione al capo A) dell'imputazione. Il ricorso evidenzia come la sentenza impugnata avesse ritenuto di escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo sulla base di una serie di presupposti errati. 2.1.1. In primo luogo, si sottolinea come l'esistenza di tutti i necessari pareri favorevoli rilasciati anche dalla Sovrintendenza BB.CC.AA. a tutela dei vincoli paesaggistici esistenti sull'area, non possa essere assunta quale argomento a sostegno dell'incolpevole affidamento e, dunque, della buona fede degli imputati, essendo pacifico che il rilascio dei titoli abilitativi e autorizzativi non esclude l'integrazione dei reati di lottizzazione abusiva e di edificazione abusiva, soprattutto nel caso in cui rilevino profili di illegittimita' degli stessi provvedimenti amministrativi. Ancor piu' quando, come nel caso di specie, i profili di illegittimita' risultino macroscopici: a sostegno di tale affermazione si richiamava l'argomento per cui, con decreto n. 85 del 2014, l'Assessorato Regionale, in sede di autotutela, annullava la delibera consiliare n. 37/2008 con la quale era stato approvato il piano di lottizzazione (OMISSIS). 2.1.2. In secondo luogo, si sostiene che la disciplina di riferimento non costituirebbe oggetto di un quadro normativo complesso, ne' di contrasti giurisprudenziali, dato che la natura e la durata del vincolo oggetto di presunto contrasto avrebbero potuto essere agevolmente ricostruiti attraverso la lettura di due disposizioni, segnatamente la Legge Regionale Sicilia n. 15 del 1991, articolo 5 e la L. n. 431 del 1985, articolo 1-ter, nonche', ulteriormente, l'articolo 2 del Decreto Assessoriale n. 5111/1992, che, in attuazione dei richiamati atti normativi di rango primario, aveva disposto l'applicazione del vincolo di inedificabilita' assoluta sull'area interessata dalla lottizzazione (OMISSIS), sino all'approvazione del piano territoriale paesistico, non prevedendo nessun altro termine di decadenza del vincolo. Pertanto, sebbene la stessa Corte d'Appello avesse riconosciuto l'esistenza del vincolo di cui alla Legge Regionale n. 15 del 1991, articolo 5, si sarebbe dovuta escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo in ragione della confusione originatasi dal susseguirsi di una serie di decreti assessoriali incidenti proprio sulla durata del vincolo stesso. In particolare, il D.A. n. 5829/1992 apponeva un limite temporale biennale al provvedimento attuativo del vincolo di immodificabilita' temporanea, poi ulteriormente prorogato. Infine, sempre l'Assessorato Regionale con la nota n. 499/1997 specificava in modo esplicito che non erano ammesse ulteriori proroghe al vincolo e, proprio da quest'ultimo provvedimento, sarebbe discesa la decadenza del vincolo di inedificabilita' assoluta fin dal 1996. Da tale ricostruzione giuridica, dunque, non sarebbe stato possibile desumere l'esistenza di alcun quadro normativo complesso, dovendosi osservare, da un lato, come un atto normativo secondario non potesse in alcun modo modificare una norma di legge primaria e, dall'altro, come la sentenza della Corte Costituzionale n. 417/1995 avesse, in ogni caso, espressamente affrontato il tema dei vincoli di immodificabilita' assoluta temporanea, con la specificazione che l'unico termine di efficacia degli stessi dovesse identificarsi nella data di approvazione dei piani paesistici e che non potesse peraltro ritenersi esistente un contrasto giurisprudenziale tra la citata sentenza della Corte Costituzionale n. 417/1995 e la sentenza del Consiglio di Stato n. 5549/2014 (pronunciamento isolato, peraltro ritenuto espressione di un'errata applicazione dei principi sanciti dal Giudice delle Leggi). 2.1.3. Parimenti privi di pregio risulterebbero gli argomenti tesi ad affermare l'intervenuta decadenza del vincolo, dato che la perizia stessa si incentrava proprio su due circolari dell'Assessorato Regionale (n. 499 del 1997 e n. 186 del 1998), cui si era riconosciuta natura normativa e vincolante e secondo le quali, dal 1997, il territorio comunale di Realmonte non era soggetto a vincoli di inedificabilita' assoluta. Ulteriore argomento a sostegno dell'intervenuta decadenza del vincolo veniva infatti individuato nel fatto che il D.A. n. 5111/1992 non indicava espressamente, quale limite temporale all'efficacia del vincolo di immodificabilita', l'approvazione del piano paesistico, dato che non si era ritenuto di condividere la tesi relativa al vincolo di inedificabilita' assoluta in punto di valutazione circa la sussistenza dell'elemento materiale del reato. Tuttavia, questi stessi argomenti venivano recuperati dalla Corte di Appello al fine di escludere l'elemento psicologico del reato in contestazione. 2.1.4. Si censurava, inoltre, la motivazione in quanto carente e viziata da illogicita' per travisamento della prova documentale costituita dal parere dell'Ufficio Legislativo e Legale della Regione Siciliana n. 6826 del 2005, nonche' dal Decreto di Approvazione delle Linee Guida del PTPR del 21/05/1999. La sentenza impugnata, infatti, al fine di dimostrare l'esistenza di un'oggettiva difficolta' interpretativa della disciplina di settore, avrebbe richiamato la perizia collegiale nella parte in cui si riportava il parere dell'Ufficio Legislativo e Legale nella prospettiva di corroborare la tesi dell'inesistenza del vincolo, parere che confermava l'esistenza del vincolo ed aggiungeva che dalla Legge Regionale n. 15 del 1991, articolo 5 sarebbe disceso un termine finale al vincolo di inedificabilita' dato dall'approvazione del piano paesistico. Una diversa conclusione avrebbe colliso con la ratio stessa del vincolo, ravvisabile nell'esigenza di prevedere una misura volta ad impedire che, nelle more dell'adozione della pianificazione paesistica, l'interesse paesaggistico fosse compromesso da interventi che potessero pregiudicare l'assetto del territorio tutelato. La sentenza impugnata richiamava, peraltro, il Decreto di Approvazione delle Linee Guida per la redazione del Piano Paesistico del 21/05/1999 al fine di affermare l'esistenza di una oggettiva difficolta' interpretativa delle disposizioni da applicare. Le Linee Guida, approvate da parte dell'Assessorato Regionale nel 1999, attestavano espressamente l'esistenza e la persistenza del vincolo senza alcun richiamo ne' ai decreti di proroga, ne' all'avvenuta decadenza dello stesso, conseguendone che l'Assessorato Regionale, nel 1999 (ossia al momento dell'approvazione delle Linee Guida), fosse a conoscenza dell'esistenza del vincolo in questione. 2.1.5. Allo stesso modo, la motivazione della decisione impugnata risulterebbe viziata nella parte in cui, pur riconoscendone la sussistenza, riduceva il reato di lottizzazione abusiva alla sola violazione del vincolo di inedificabilita' di cui alla Legge Regionale n. 15 del 1991, articolo 5. In particolare, i giudici di appello ritenevano che la violazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 12, e s.s., del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968 e della disciplina urbanistica riguardassero profili di illegittimita' non attinenti alla fase di approvazione del piano, dovendosi concludere che l'illegittimita' del piano di lottizzazione per violazione del vincolo di inedificabilita' non escludesse a priori la presenza di vizi di legittimita' attinenti alla relativa fase di approvazione. Infatti, nel caso di specie, il Capo a) dell'imputazione individuava ulteriori profili di illegittimita', tra cui (1) la violazione della Legge Regionale n. 71 del 1978, articoli 12 e 14; (2) del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 12, e s.s.; (3) del Piano di Fabbricazione del Comune di Realmonte del 1976; (4) del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968. Tali violazioni atterrebbero, infatti, alla fase di approvazione del piano di lottizzazione e non, invece, alla successiva fase esecutiva, tale assunto venendo corroborato anche dal D.Dirig. n. 85 del 2014, il quale, proprio in forza di tali vizi, annullava la delibera comunale di approvazione del piano in esame. Sulla base di tali argomentazioni, non sembrerebbe, dunque, possibile escludere la colpevolezza degli imputati in relazione ad una fattispecie contravvenzionale (per la quale e' sufficiente la sola condizione soggettiva della colpa, la quale deve ritenersi sussistente qualora l'evento del reato si sia realizzato, oltre che per imprudenza o imperizia, anche a cagione dell'inosservanza da parte del soggetto agente di norme di legge, circostanza questa che sembrerebbe, ad avviso del P.G. ricorrente, riscontrabile nel caso di specie), non essendo possibile parlare di affidamento senza colpa da parte degli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che avrebbero dovuto controllare la conformita' dell'intera lottizzazione alla normativa urbanistica. Peraltro, proprio la collocazione del fondo oggetto di lottizzazione in un'area notoriamente assoggettata a vincolo avrebbe dovuto indurre gli imputati ad assumere informazioni circa la legittimita' del piano di lottizzazione e delle successive concessioni edilizia. A fortiori, con riferimento all'imputato (OMISSIS), secondo il P.G. ricorrente, si sarebbe dovuta affermare la piena consapevolezza del contributo apportato, proprio in ragione della posizione apicale dallo stesso rivestita in qualita' di Dirigente della Sovrintendenza di Agrigento; al contrario, la nota prot. n. 4094 del 2008 di compatibilita' paesaggistica risultava determinante ai fini dell'approvazione del piano di lottizzazione, come si evince dalla Legge Regionale n. 71 del 1978, articolo 12, nonche' dalla nota n. 499/1997 dell'Assessorato Regionale. Il provvedimento in commento, infatti, veniva emesso dall'organo preposto alla tutela dei vincoli paesaggistici ed era finalizzato ad accertare la compatibilita' dell'intervento con il regime vincolistico gravante sull'area da lottizzare. Infine, il P.G. ricorrente evidenziava che nella nota n. 4094 del 2008 non vi era alcun riferimento all'articolo 1, D.A. n. 5111/1992, relativo alla dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'area, ne' all'articolo 2 D.A. n. 5111/1992 relativo alla dichiarazione di immodificabilita' assoluta temporanea della medesima area. Gli unici vincoli citati erano i vincoli paesaggistici riguardanti la fascia di rispetto entro la battigia di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004 e alla Legge Regionale n. 71 del 1978. Al contrario, un dirigente apicale di media diligenza avrebbe dovuto indicare specificamente i vincoli di cui al D.A. n. 5111/1992, la cui omissione risulterebbe indice della mala fede dell'imputato, quantomeno in termini di colpa cosciente. Ulteriore elemento anomalo, che pero' veniva assunto quale prova a discarico dell'imputato da parte dei giudici di appello, sarebbe rappresentato dal fatto che il vincolo in commento veniva citato per la prima volta dall'imputato nel provvedimento con il quale, in sede di autotutela, si erano annullati i pareri e i nullaosta precedentemente rilasciati, a seguito delle denunce delle associazioni ambientaliste. 2.1.6. Parimenti privi di pregio risulterebbero gli ulteriori argomenti citati dalla Corte Territoriale a sostegno dell'assenza dell'elemento psicologico, ossia, da un lato, la piena conformita' della condotta dell'imputato alle direttive dell'Assessorato Regionale e, dall'altro, l'assenza di competenze specifiche tali da consentirgli di rilevare eventuali anomalie procedurali attinenti ad una normativa particolarmente complessa oggetto di dibattito giurisprudenziale. In merito a tale affermazione, si evidenziava in via preliminare l'assenza di qualsivoglia dibattito giurisprudenziale sul punto, osservando unicamente l'esistenza di una prassi assessoriale contra legem e, anche alla luce del ruolo ricoperto dall'imputato, sembrando inverosimile che egli ignorasse il regime vincolistico alla cui tutela era preposto e considerando anche come l'Architetto (OMISSIS) fosse a conoscenza del vincolo (in quanto lo stesso aveva fatto parte del comitato scientifico per la redazione del Piano Paesistico d'ambito nelle cui Linee Guida del 1999 si dava gia' atto della permanenza del vincolo nella fascia costiera di Realmonte). 2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 12, e s.s., del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968 e della disciplina urbanistica che impone la conformita' del piano di lottizzazione al Programma di Fabbricazione, per aver ritenuto che la violazione di tali norme riguardasse profili di illegittimita' non attinenti alla fase di approvazione del piano, bensi' alla successiva fase esecutiva e correlato vizio di motivazione per travisamento della prova documentale per non aver considerato che il D.G.G. n. 85 del 2014 aveva annullato il piano di lottizzazione in forza di quei vizi. Il P.G. ricorrente, richiamando in particolare le argomentazioni gia' esposte con il primo motivo di ricorso, sottolineava che le violazioni delle citate norme attenessero alla fase di approvazione del piano di lottizzazione e, dunque, l'erroneita' della scelta di ridurre le contestazioni del capo a) alla sola contrarieta' al vincolo di immodificabilita' assoluta di cui alla Legge Regionale n. 15 del 1991, articolo 5. 2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera c) e Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, nonche' alla violazione delle norme del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, e vizio di motivazione nella parte in cui veniva escluso l'elemento oggettivo per gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) con riguardo ai capi B), C), D) sostenendo la legittimita' delle opere edilizie realizzate ad eccezione della previsione nei progetti esecutivi degli edifici da realizzare con altezza diversa da quella prescritta (Capo B), e alla realizzazione all'interno del lotto 12 di alcuni edifici di uno sbancamento in violazione della distanza dalla battigia e degli edifici di altezza superiore a quella consentita (Capi C e D). 2.3.1. Con riferimento al c.d. vincolo archeologico di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 142, lettera m), relativo alla zona di interesse archeologico costituita dall'area denominata "(OMISSIS)", inserita nelle linee guida del piano territoriale paesistico regionale, poiche' interessata dalla costante presenza di frammenti ceramici riferibili ad un arco temporale particolarmente ampio (dalla preistoria all'eta' medioevale), il P.G. ricorrente evidenzia la contraddittorieta' della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, recependo le conclusioni della perizia collegiale, da una parte, riconosceva la "temerarieta'" del provvedimento di compatibilita' paesaggistica del piano di lottizzazione rilasciato in contrasto con le indicazioni del Servizio Archeologico e, dall'altra, affermava che l'area di interesse archeologico risultava limitata e, dunque, inidonea a pregiudicare l'assetto del piano, sottolineandosi ancora una volta come la nota n. 4094/2008 dovesse qualificarsi come un mero parere. Alla luce di tali argomenti, pertanto, i giudici di appello escludevano la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato sull'argomento per cui l'imputato Ter-rana, discostandosi dalle direttive del Servizio Archeologico (che condizionavano l'emanazione del provvedimento finale alla previa esecuzione di saggi archeologici) che aveva invece emesso il parere di compatibilita' paesaggistica prevedendo quale unica condizione l'effettuazione di saggi archeologici a campione, comunque successivi all'approvazione del piano. Diversamente, proprio al fine di garantire un'effettiva salvaguardia dell'interesse pubblico, lo stesso avrebbe dovuto condizionare il suo parere favorevole all'effettuazione dei saggi preliminari, cosi' come indicato nella nota prot. n. 1536 del 12/03/2008 del Servizio Archeologico. Invece, i dirigenti del Servizio Paesaggistico, tra cui anche (OMISSIS), avevano chiesto ulteriori delucidazioni al Servizio Archeologico in merito a tale condizione, proprio al fine di accelerare la pratica. Quest'ultimo, con nota n. 3050 del 16/05/2008 precisava che non si trattava di una prescrizione tassativa, bensi' di un suggerimento. A fronte di tale chiarimento, l'Architetto (OMISSIS) riteneva opportuno rilasciare il parere positivo al progetto senza richiedere alcuna preventiva verifica, salvo poi lamentare dinnanzi all'Assessorato il fatto che il Comune aveva approvato il progetto senza procedere all'esecuzione di tali saggi. Successivamente all'adozione del primo parere, il Servizio Archeologico nei mesi di maggio e giugno 2009, disponeva alcune verifiche dalle quali emergeva la non utilizzabilita' di un'ampia area. Alla luce di tali circostanze, dunque, sempre piu' ambiguo sembrerebbe il secondo parere favorevole al progetto di lottizzazione, prot. n. 8095/2009, in quanto, dopo aver dato atto dell'effettuazione di 51 saggi archeologici, nonche' dopo aver rilevato l'esito negativo degli stessi ad eccezione dell'area in cui era prevista la realizzazione del campo di calcio, si confermava il contenuto del precedente parere del 2008, omettendo di citare qualsiasi riferimento all'ampia area non utilizzabile rilevata dalle indagini archeologiche svolte. Con riferimento all'approvazione del piano in assenza della c.d. valutazione ambientale strategica di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 12, la Corte Territoriale aveva infatti ritenuto che l'obbligatorieta' delle procedure VAS con riferimento a tutti i livelli di pianificazione urbanistica, compresi quelli comunali, sarebbe stata introdotta con il Decreto Legislativo n. 4 del 2008, di modifica del Decreto Legislativo n. 162 del 2006. In motivazione veniva poi riportato il passaggio della perizia secondo cui in Sicilia le procedure VAS avrebbero riguardato i programmi di competenza comunale solo dopo l'entrata in vigore della Legge Regionale n. 6 del 2009, come confermato dal D.G.G. n. 85 del 2014. In questa parte la sentenza sarebbe stata viziata, oltre che da contraddittorieta', anche da manifesta illogicita' sotto il profilo del travisamento della prova per due ragioni: in primo luogo (1), il Decreto Legislativo n. 4 del 2008 era entrato in vigore nel 2008, risultando pertanto evidente come il piano di lottizzazione (OMISSIS)., approvato nell'ottobre 2008, dovesse essere sottoposto alla procedura VAS; in secondo luogo (2), il richiamato D.Dirig. n. 85 del 2014 annoverava tra i vizi di illegittimita' del piano di lottizzazione proprio la violazione della procedura VAS. Infine, la tesi in virtu' della quale la disciplina VAS era divenuta efficace e vincolante in Sicilia solo con l'intervento della Legge Regionale n. 6 del 2009 veniva confutata proprio dal richiamato decreto regionale, il quale confermava l'esecutivita' della disciplina nazionale a prescindere dall'approvazione del modello metodologico procedurale da parte della Giunta Regionale ai sensi della Legge Regionale n. 6 del 2009. 2.3.2. Ulteriore vizio veniva rilevato in relazione alla questione del c.d. dimensionamento del piano di lottizzazione. In primo luogo, il dimensionamento in violazione dello strumento urbanistico generale e del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968 configurerebbe plurimi profili di illegittimita'. La tesi secondo la quale sarebbe stato legittimo un unico piano di lottizzazione per le due sottozone "C", C2 e C4 contrasterebbe con il Programma di Fabbricazione, che, infatti, non destinando alcuna area a zona "F", aveva previsto che le zone C4 potessero essere assimilate alle zone "F" di cui al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 4, cosi' come confermato dai due pareri n. 36/1974 e n. 356/1975 del Servizio Tecnico dell'Urbanistica, nonche' dalla relazione del progettista del Piano di Fabbricazione del maggio 1973. Proprio sulla base di tali documenti, il D.G.G. n. 85/2014 di annullamento del piano di lottizzazione, osservava che le zone C4 dovessero essere assimilate alle zone per attrezzature "F" (e non a quelle a destinazione residenziale), non potendosi affermare che l'Assessorato Regionale attraverso due provvedimenti (n. 22210/2009 e n. 29714/2011) avesse espresso parere favorevole alla lottizzazione unitaria, possibilita' che era stata, invece, esclusa espressamente dallo stesso con il D.G.G. 85/2014. La redazione di un unico Piano di Fabbricazione a fronte di piu' zone omogenee era possibile purche' i parametri fissati dallo strumento urbanistico venissero soddisfatti e rispettati per le singole zone. Nel caso di specie, era possibile rinvenire una situazione diversa, in quanto scopo finale della lottizzazione unitaria era quello di spostare in zona C4 tutte le superfici da destinare a standard per la zona C2, cosi' da ottimizzare la capacita' edificatoria in zona C2. Parimenti, con riferimento alla strada prevista dal piano di lottizzazione, si evidenziava come, secondo pacifica giurisprudenza, la strada fosse opera pubblica per antonomasia, conseguentemente, non potendosi ritenere che essa ricadesse all'interno della proprieta' dei lottizzanti, ricordando peraltro che il Piano di Fabbricazione avesse da tempo perso l'efficacia dei vincoli espropriativi; al contrario, trattandosi di opera pubblica, la strada in commento non poteva essere utilizzata nella lottizzazione (e, infatti, decorso inutilmente il termine per espropriare i suoli e realizzare l'opera pubblica e non essendo stato reiterato il vincolo, la zona C4, comprensiva della strada, era divenuta "zona bianca"). Con riferimento alla questione della quantita' di standard fissati dal Programma di Fabbricazione delle zone territoriali omogenee "C", la Corte Territoriale poi condivideva le osservazioni dei periti, secondo i quali le prescrizioni in merito ad un eventuale aumento delle quantita' di aree pubbliche da destinare a ogni abitante dovevano essere stabilite dal piano generale, in quanto la definizione dei rapporti visuali o della continuita' Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, ex articolo 4, comma 3, potevano essere solo il risultato di studi di impatto, di specifiche considerazioni sui geositi, sugli aspetti paesistici e di intervisibilita'. In sostanza, si sosteneva che le disposizioni relative agli standards di cui al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968 si applicassero solo ai nuovi piani regolatori generali e alle revisioni di quelli esistenti, tale assunto venendo confutato dallo stesso Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 1 (il quale prescrive che le disposizioni in questione si applicano anche ai nuovi regolamenti edilizi con annesso Programma di Fabbricazione e relative lottizzazioni convenzionate); nonche' dal Decreto dell'Assessorato Regionale Sviluppo Economico n. 10/1976 di approvazione del Piano di Fabbricazione del Comune di Realmonte (ove si specifica che, con riferimento alle zone "C" e "D", l'edificazione deve svolgersi sulla base di Piani particolareggiati o di lottizzazione convenzionati redatti nel rispetto del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968). Ne conseguirebbe, dunque, che l'affermazione, secondo cui il Piano di Fabbricazione del Comune di Realmonte non conteneva le prescrizioni del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968 in materia di standard, non corrispondesse al vero. Infine, con riferimento al fabbricato denominato "(OMISSIS)" (rientrante all'interno della zona C4), la superficie di sedime di tale immobile e il suo volume edificatorio non avrebbero inciso sui calcoli eseguiti ai fini del dimensionamento della volumetria abitativa, che era stata invece basata sulla superficie ricadente nella zona C2, in particolare potendosi affermare che la zona C4 fosse assimilabile alla zona C2 (riconoscendone pertanto la destinazione residenziale), senza riconoscere alla zona in questione alcuna potenzialita' edificatoria a fini abitativi. Al contrario, e coerentemente con la riconosciuta destinazione residenziale nella zona C4, l'incidenza volumetrica di "(OMISSIS)" avrebbe dovuto essere detratta dalla massima volumetria insediabile per tale zona, facendola rientrare nel computo complessivo del dimensionamento della lottizzazione. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 28.01.2023 la propria requisitoria scritta con cui ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza, condividendo il ricorso in questa sede presentato dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Palermo. 4. In data 01.02.2023, l'Avv. (OMISSIS), difensore di fiducia e procuratore speciale di (OMISSIS), depositava un'articolata memoria difensiva e relative conclusioni scritte, evidenziando l'infondatezza del ricorso proposto da parte della Procura Generale di Palermo e chiedendone il rigetto, sostenendo che lo stesso si risolvesse nella mera reiterazione delle argomentazioni gia' sottoposte al vaglio della Corte Territoriale. Segnatamente, per quanto qui rileva, con riferimento al terzo motivo di ricorso, la difesa sottolineava che, in relazione all'Arch. (OMISSIS), il ricorso doveva ritenersi inammissibile poiche' questi era stato assolto gia' in primo grado senza che la Procura Generale avesse mai proposto appello. I relativi capi della sentenza di primo grado, pertanto, sarebbero coperti dal giudicato, con la conseguenza che ogni questione sollevata in Cassazione non puo' che ritenersi tardiva ed inammissibile. 5. In data 04.02.2023, ancora, l'Avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), depositava un'articolata memoria difensiva e relative conclusioni scritte, evidenziando l'infondatezza del ricorso proposto dalla Procura Generale e chiedendone anch'egli il rigetto. 6. Ancora, in data 07.02.2023, l'Avv. (OMISSIS), difensore d'ufficio di (OMISSIS), depositava memoria di replica e relative conclusioni scritte evidenziando l'infondatezza del ricorso proposto da parte della Procura Generale. In particolare, con riferimento ai Capi A), B), C) e D) dell'imputazione, la difesa riteneva che la Corte di Appello avesse correttamente riformato la sentenza appellata, adeguatamente motivando la relativa decisione. 7. Infine, in data 7.02.2023, le parti civili costituite (OMISSIS) APS e (OMISSIS) hanno depositato telematicamente, a mezzo dei rispettivi difensori, conclusioni scritte e note spese di cui hanno chiesto la liquidazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso, trattato cartolarmente a norma del Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8, e successive modifiche ed integrazioni, e' fondato. 2. In estrema sintesi, anche in considerazione delle plurime censure di vizio motivazionale svolte dal PG ricorrente, e' opportuno un inquadramento fattuale della vicenda. 3. In data 15.11.2016 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento avanzava richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), imputati di numerose ipotesi di reato relative alla lottizzazione abusiva di un fondo sito in localita' (OMISSIS). L'articolata contestazione operata dal P.M. si fondava sulla consulenza dell'Architetto (OMISSIS), il quale aveva rilevato diverse violazioni di legge nel piano di lottizzazione depositato dalla (OMISSIS) S.p.A.. Dalla valutazione della documentazione acquisita e dai rilievi in loco emergevano una serie di irregolarita': a) in primo luogo, l'area su cui era stata operata la lottizzazione della (OMISSIS), ubicata in prossimita' della costa realmontina, a ridosso della falesia della "(OMISSIS)", risultava assoggettata al vincolo posto dalla Legge Regionale 30 aprile 1991, n. 15, articolo 5 il quale disponeva l'immodificabilita' temporanea dei luoghi fino alla definitiva approvazione del piano paesistico regionale; b) in secondo luogo, il consulente del P.M. rilevava che il progetto di lottizzazione della (OMISSIS) prevedeva la formazione di 14 lotti, di cui 12 rientranti nella zona "C2" con specifica destinazione residenziale, mentre i restanti due lotti venivano ricavati all'interno della zona classificata "C4". Oltre a rilevare che la distanza tra i fabbricati costruendi fosse inferiore a quella prevista nel regolamento edilizio, il consulente segnalava la mancata osservanza delle prescrizioni del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, in quanto le opere di urbanizzazione non venivano insediate nelle due zone C2 e C4 in maniera proporzionata. Tale circostanza rendeva del tutto inapprovabile il piano di lottizzazione, in quanto la zona C2 veniva ad essere del tutto depauperata del giusto apporto delle opere necessarie alla vita sociale e delle infrastrutture idonee alle attivita' di tipo residenziale. Si rilevava, ancora, che i lotti 2, 3, 4 e 6 fossero privi del requisito essenziale della dimensione minima, pari a 1.500 m2; mentre i lotti 2, 3 e 4 avevano una misura inferiore ed il lotto 6 era di 1.330 m2, non potendo pertanto essere approvati. Emergeva, altresi', la mancata indicazione specifica delle opere di urbanizzazione primaria, oltre che della indicazione della viabilita' veicolare e pedonale secondaria, nonche' la mancanza di previsione delle reti di metanizzazione e della telefonia, e un inadeguato dimensionamento dell'impianto della rete fognaria, rimandata ad un successivo ed inammissibile progetto esecutivo delle opere di urbanizzazione; c) altra circostanza che avrebbe dovuto escludere qualsiasi approvazione del piano di lottizzazione doveva identificarsi nella predisposizione di un'unica conduttura mista di acque bianche e nere convogliate unitariamente nel medesimo condotto fognario, con conseguente elevato rischio di invasioni di acqua e fango in caso di alta piovosita'. Ulteriore limite del piano di lottizzazione veniva individuato nella circostanza che non si considerava l'unita' immobiliare denominata "(OMISSIS)" al fine del necessario aggravio urbanistico. Al contrario, l'area veniva calcolata come fosse libera e non gia' contenente un fabbricato che determinava cubatura preesistente. Infine, si rilevava come il 27.05.2008 e 29.05.2008, rispettivamente, gli uffici del Genio Civile e della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Agrigento avessero dato parere positivo all'approvazione della lottizzazione, rimettendo, pero', alla fase esecutiva tutta una serie di controlli al fine di individuare eventuali reperti archeologici. Tali circostanze venivano ritenute incongrue in ragione del fatto che esse non garantivano la giusta tutela archeologica. 3.1. All'udienza del 28.04.2017, rilevandosi la fondatezza degli argomenti richiamati dalla consulenza di parte in merito ad una serie di errori tecnici della consulenza del P.M., veniva disposta perizia collegiale. Si procedeva, quindi, alla nomina e al seguente conferimento formale dell'incarico al collegio peritale, a cui veniva rimesso il compito di (a) accertare l'esatta distanza delle opere realizzate dalla (OMISSIS) dalla battigia, (b) verificare l'esistenza del piano paesistico d'ambito, (c) procedere ai calcoli relativi al dimensionamento del piano di lottizzazione e al calcolo del carico abitativo secondo i parametri di cui al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968 e, infine, (d) verificare l'incidenza di "(OMISSIS)" sul calcolo dei parametri necessari per ottenere il piano di lottizzazione. Dalla perizia collegiale emergeva che, a seguito di accertamenti effettuati sulla base delle cartografie ufficiali ATA e delle ortofoto aeree, all'atto del rilascio delle autorizzazioni per la lottizzazione, sia lo sbancamento che l'edificio posto a sud dello sbancamento, entrambi in corso di costruzione, ricadevano all'esterno della fascia di rispetto di 150 metri dalla battigia, ma entro i 170 metri dalla stessa, limite ulteriore disposto con ordinanza della Sovrintendenza ai BB.CC.AA. di Agrigento; all'atto di rilascio delle concessioni edilizie (2012) i due manufatti rientravano, invece, all'interno della fascia di rispetto dei 150 metri, in zona di inedificabilita' Legge Regionale n. 71 del 1978, ex articolo 15 e della L. n. 431 del 1985 (c.d. Legge Galasso). Inoltre, si affermava la piena legittimita' del piano di lottizzazione, in quanto l'unificazione delle due sottozone "C" (C2 e C4) con collocazione delle aree destinate ai servizi di uso pubblico previsti dagli standard urbanistici al servizio della zona residenziale, tutti nella zona C4, si spiegava alla luce dell'assenza nel Piano di Fabbricazione del Comune di Realmonte della zona F a cui fare capo per l'insediamento di servizi e infrastrutture. Proprio la mancanza della zona F poteva essere surrogata da altra sottozona C, in virtu' di un'attenta lettura del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articoli 4 e 5. La perizia collegiale, ancora, dava esito positivo con riferimento al calcolo del dimensionamento abitativo, in ragione del fatto che la piena utilizzazione fondiaria di tutta la superficie della zona C2 senza la sottrazione di superficie da destinare a standard, ricavata nella zona C4 e con la sola sottrazione di strada pubblica, permetteva di rendere raggiungibili gli standard di abitabilita' del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, raggiungendo oltre i 12 m2 di spazio per ogni abitante. Si rilevava, inoltre, che spettava alla P.A. chiedere al proprietario le specificazioni ritenute necessarie al momento dell'istruttoria preliminare all'approvazione del piano di lottizzazione e che, se nel caso di specie l'Amministrazione di Realmonte aveva ritenuto esaustivi gli elaborati prodotti dal lottizzante, il procedimento doveva ritenersi concluso favorevolmente. Parimenti, in relazione al quesito dell'incidenza del calcolo della costruzione dell'immobile denominato "(OMISSIS)", veniva rilevato che esso era stato separatamente catastato e perimetrato in propria area di pertinenza, all'interno della ZTO C4 e non incideva, pertanto, sui calcoli eseguiti per il dimensionamento della volumetria abitativa basata sulla superficie ricadente nella zona C2. Infine, si rilevava una parziale difformita' dell'altezza dei fabbricati rispetto ai provvedimenti concessori ed autorizzativi. 3.2. All'udienza del 16.02.2018, l'imputato (OMISSIS), personalmente, nonche' gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), per il tramite del difensore e procuratore speciale Avv. (OMISSIS), chiedevano di procedere nelle forme del rito abbreviato, cui seguiva ordinanza di ammissione al rito. In data 28.07.2018, il Gup presso il Tribunale di Agrigento dichiarava (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli dei reati ascritti in rubrica ai capi A), B), C), D), F), in concorso formale ex articolo 81 c.p. tra di loro ed, applicata la riduzione per il rito, li condannava alla pena di otto mesi di arresto ed Euro 18.000,00 di ammenda. (OMISSIS) veniva dichiarato colpevole dei reati contestati al Capo A) ed al Capo F) della rubrica, ed in applicazione del cumulo materiale dei reati di cui al Capo A) e del concorso formale ex articolo 81 c.p., comma 1, tra gli stessi reati e quello di cui al Capo F), veniva condannato alla pena di mesi quattro di arresto ed Euro 13.943,00 di ammenda. (OMISSIS) veniva dichiarato colpevole dei reati ascritti in rubrica ai capi A), B), C), D), F) ed operato il cumulo materiale tra gli stessi reati e quelli di cui ai capi B), C), D), F), veniva condannato alla pena di mesi sei di arresto ed Euro 16.000,00 di ammenda. Tutti gli imputati venivano assolto per difetto dell'elemento psicologico quanto al reato di abuso d'ufficio, contestato al capo E). 3.3. In data 26.07.2018, avverso la sentenza di primo grado proponevano appello gli imputati. In data 06.09.2022, la Corte d'Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza impugnata pronunciata in data 26.07.2018 dal Gup presso il Tribunale di Agrigento, assolveva gli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di cui al Capo A) perche' il fatto non costituisce reato e (OMISSIS) dai reati di cui ai Capi A) ed F) perche' il fatto non costituisce reato, confermando la sentenza impugnata per (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione ai reati di cui: (1) al Capo B) limitatamente alla previsione, nei progetti esecutivi relativi ai singoli lotti, degli edifici da realizzare con altezza 6,10 m., invece che 6 m.; (2) al Capo C) limitatamente alla realizzazione nel lotto 12 di immobili di altezza superiore rispetto a quella consentita, alla realizzazione dell'edificio 12E e dello scavo di sbancamento dell'edificio 12F entro la fascia di rispetto di 170 m. dalla battigia; (3) al Capo D) limitatamente alla realizzazione dell'edificio 12E e dello scavo di sbancamento dell'edificio 12F, in presenza del vincolo di inedificabilita' assoluta ex Legge Regionale n. 71 del 1978 gravante sui territori costieri entro i 150 m. dalla battigia e, comunque, entro i 170 m. dalla battigia; (4) al Capo F). La pena per (OMISSIS) e (OMISSIS) veniva, pertanto, rideterminata in mesi quattro di arresto ed Euro 12.000,00 di ammenda. Con riferimento a (OMISSIS), invece, si dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine ai reati di cui ai Capi B), C), D). 4. Premesso che i soli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno rinunciato alla prescrizione, sempre ai fini di una migliore intelligibilita' dell'approdo cui e' pervenuta questa Corte, si evidenzia come le imputazioni contestate e sui cui si sono pronunciate le decisioni di merito, riguardano, per quanto qui rileva: 1) capo a), reato di lottizzazione abusiva, contestato in concorso a: - (OMISSIS) e (OMISSIS), nelle qualita', rispettivamente, di Legge Regionale e socio maggioritario e presidente della (OMISSIS) spa, proprietaria di un appezzamento di terreno sito in loc. (OMISSIS), perche', avanzando richiesta di autorizzazione alla lottizzazione del predetto fondo (suddivisione in 14 lotti di varia dimensione) ed ottenendo con delibera del Consiglio Comunale di Realmonte n. 37/2008 l'approvazione del piano di lottizzazione per effetto della quale stipulava con I'UTC del predetto Comune in data 10.12.2008 la convenzione di lottizzazione, operando materialmente il frazionamento dei lotti, realizzando, previo ottenimento dei necessari titoli autorizzatori, parte delle opere di urbanizzazione primaria, realizzando nel lotto 12 due fabbricati (12G e 12E), allo stato di scheletro, con struttura in c.a. e lo scavo di sbancamento relativamente ad un terzo fabbricato (12F), realizzando nel lotto 11 ingenti e diffuse opere di sbancamento e movimento terra ed un piano seminterrato di uno dei costruendi edifici, all'interno di uno scavo di sbancamento di altezza variabile tra 2,50 ml. e 3 ml., realizzando opere di ristrutturazione con modifica del volume originario del preesistente fabbricato rurale denominato "(OMISSIS)" insistente nell'area oggetto della lottizzazione; - (OMISSIS), redigendo i progetti esecutivi relativi alle opere edilizie da realizzare all'interno dei singoli lotti e dirigendo i relativi lavori; - (OMISSIS), in servizio presso la Sovrintendenza BB.CC.AA. di Agrigento, quale dirigente dell'UOV, rilasciando i pareri prof. n. 4094 del 29.05.2008 e n. 8095 del 26.10.2009 favorevoli al piano di lottizzazione (OMISSIS) ai fini della compatibilita' paesistico-urbanistica Legge Regionale n. 71 del 1978, ex articolo 14, nonche' il parere prof. N. 9088 del 5.12.2012 di compatibilita' paesaggistica Decreto Legislativo n. 42 del 2004, ex articolo 167, per interventi di modifica al prospetto del fabbricato rurale denominato "(OMISSIS)" in difformita' dall'autorizzazione paesaggistica n. 7564 del 7.10.2009 e l'autorizzazione paesaggistica n. 9536 del 20.12.2021 Decreto Legislativo n. 42 del 2004, ex articolo 146, per la sistemazione esterna e per la realizzazione di una piscina nell'area di pertinenza del predetto fabbricato rurale; tutti, realizzavano una lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio avendo proceduto al frazionamento del fondo sito nella loc. (OMISSIS) ed ivi eseguito le opere relative alla lottizzazione (OMISSIS) con conseguente trasformazione urbanistica dell'assetto del territorio (v. amplius, il Capo di imputazione). 2) capo b), reato di realizzazione di costruzione abusiva, contestata in concorso ai predetti (riguardante, la realizzazione, nel lotto 12 dei fabbricati 12G e 12E e lo scavo di sbancamento del terzo fabbricato 12F, oltre che nel lotto 11 le richiamate opere di sbancamento e scavo e di urbanizzazione primaria, oltre a lavori di ristrutturazione con modifica dell'originario volume del fabbricato rurale denominato "(OMISSIS)" con tre titoli abilitativi, meglio descritti in rubrica, illegittimi ed inefficaci per le ragioni descritte nell'imputazione); 3) capo c), reato di realizzazione di costruzione abusiva, contestata in concorso ai predetti (modifica sagoma e prospetto edificio 12G; cfr. pag. 47 sentenza appello); 4) capo d), reato di abuso paesaggistico, contestato in concorso ai predetti (riguardante, le predette attivita' edilizie sopra descritte, in zona vincolata, da ritenersi abusive per le ragioni meglio descritte nell'imputazione: presenza di vincolo di inedificabilita' assoluta temporanea, sino all'adozione del piano territoriale paesistico regionale, Legge Regionale Sicilia n. 15 del 1991, ex articolo 5; senza il n. o. rilasciato dall'Assessorato regionale ambiente e territorio prescritto dalla Legge Regionale Sicilia n. 71 del 1978, in deroga ai numerosi vincoli di inedificabilita' gravanti sull'area di particolare interesse ambientale e storico; veniva altresi' contestata, in presenza di vincolo di inedificabilita' assoluta ex Legge Regionale Sicilia n. 71 del 1978 gravante sui territori costieri entro i 150 ml. dalla battigia, la realizzazione di alcune opere edilizie meglio descritte nell'imputazione); 5) capo e), reato di abuso d'ufficio, contestata in concorso ai predetti (riguardante, in particolare, (OMISSIS), per i fatti sub a), per aver procurato intenzionalmente a (OMISSIS) e (OMISSIS), e ad altri soggetti separatamente giudicati, un ingiusto vantaggio patrimoniale nei termini di cui all'imputazione); 6) capo f), reato di distruzione e deturpamento di bellezze naturali, contestata in concorso ai predetti (nei termini di cui all'imputazione, trattandosi di luoghi soggetti a speciale protezione dell'autorita', essendo divenuta in data 7.06.2021 l'area sito di interesse comunitario). 5. Tanto premesso in fatto, il ricorso, come anticipato, e' fondato, sussistendo i denunciati vizi di violazione della legge penale e difetto di motivazione, anche in relazione alla piu' persuasiva sentenza di primo grado. A quest'ultimo proposito, si osserva che quando il giudice d'appello riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, al di la' della rinnovazione istruttoria - il cui obbligo non viene neppure astrattamente in rilievo nella fattispecie qui in esame - deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 - dep. 03/04/2018, Rv. 272430). In particolare, il giudice di appello non puo' limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005 - dep. 20/09/2005, Rv. 231679 - 01; Sez. 3, n. 6880 del 26/10/2016 - dep. 14/02/2017, Rv. 269523 - 01; Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013 - dep. 14/01/2014, Rv. 258005 - 01; Sez. 6, n. 46742 del 08/10/2013 - dep. 22/11/2013, Rv. 257332 - 01). 6. Cio' premesso, attesa l'omogeneita' dei profili di censura dedotti con i primi due motivi di ricorso (concernenti, in particolare, violazione di legge in relazione all'articolo 5 c.p., per aver ritenuto scusabile un errore inescusabile della legge extra-penale che incide sulla legge penale, nonche' vizio motivazionale nella parte in cui e' stato ritenuto sussistente un quadro normativo complesso e un contrasto giurisprudenziale per dimostrare l'assenza dell'elemento soggettivo; violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 12, e s.s., del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968 e della disciplina urbanistica che impone la conformita' del piano di lottizzazione al Programma di Fabbricazione), e' possibile la loro trattazione congiunta. 7. Come correttamente osservato dal P.G. ricorrente, nella sentenza impugnata, pur ritenuta sussistente la condotta materiale del reato di lottizzazione abusiva contestata ai ricorrenti (anche se limitata alla sola contrarieta' del piano di lottizzazione della (OMISSIS) S.p.A.), la Corte d'appello ha ritenuto di escludere l'elemento soggettivo del reato riconoscendo, invece, la condizione soggettiva dell'affidamento incolpevole circa l'esistenza del vincolo di inedificabilita' assoluta Legge Regionale n. 15 del 1991, ex articolo 5. In sostanza, richiamando la giurisprudenza costituzionale e di legittimita', secondo le quali ai fini della scusabilita' dell'errore e' necessario che "da un comportamento positivo da parte degli organi amministrativi, ovvero un pacifico orientamento giurisprudenziale, il soggetto agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceita' del comportamento tenuto", ha ritenuto scusabile l'errore verificatosi nel caso di specie sulla base dell'apprezzamento di due determinanti circostanze. In primis, si evidenziava come l'iter relativo alla pratica di lottizzazione fosse corredato di tutti i necessari provvedimenti autorizzativi tra cui, i pareri favorevoli rilasciati dalla Soprintendenza dei Beni Culturali ed ambientali di Agrigento (nota prot. n. 4094 del 29.05.2008) ai fini della compatibilita' paesistico-urbanistica e dell'Ufficio del Genio Civile di Agrigento (nota prot. n. 1502 del 27.05.2008), nonche' la delibera del Consiglio Comunale di Realmonte (n. 37 del 23.10.2008) che approvava il piano di lottizzazione, le autorizzazioni paesaggistiche successivamente rilasciate dalla Soprintendenza di Agrigento (n. 7564 del 2009, n. 708 del 2010, n. 3895 del 2010 e n. 725 del 2013) e, infine, le concessioni edilizie rilasciate dal Comune di Realmonte (nn. 18, 19 e 27 del 2012 e nn. 1 e 3 del 2013). In secundis, si dava atto dell'esistenza di un quadro normativo particolarmente complesso denotato dalla successione di leggi statali e regionali, non sempre di agevole interpretazione. In particolare, il disorientamento derivava da una serie di interventi dell'Assessorato Regionale, il quale a piu' riprese aveva espressamente riconosciuto la temporaneita' del vincolo di immodificabilita' del territorio, il quale non poteva superare il limite temporale quinquennale. Orientamento, quest'ultimo, mai messo in discussione dagli organi amministrativi, confermato dal parere n. 6826/1991 dell'Ufficio Legislativo e Legale e, anzi, condiviso anche dalla perizia collegiale, la quale si schierava a favore dell'intervenuta decadenza del vincolo a partire dal 1997. Sulla base di tali premesse e richiamando la giurisprudenza di legittimita', si evidenziava come la scriminante della buona fede fosse sempre riconosciuta in presenza di un comportamento che, seppur penalmente rilevante, e' indotto dalla P.A. Parimenti, l'elemento soggettivo veniva escluso con riferimento all'imputato (OMISSIS), dirigente dell'U.O.V. presso la Soprintendenza di Agrigento, il quale aveva rilasciato un parere (n. 4094 del 2008), peraltro condizionato all'esecuzione obbligatoria di saggi archeologici a campione, in relazione al vincolo archeologico insistente sull'area ove sorge l'immobile denominato "(OMISSIS)", in assoluta conformita' alle direttive impartite dal Servizio Archeologico con nota n. 3050 del 2008. Inoltre, sotto il profilo soggettivo, si evidenziava come, da un lato, l'imputato si fosse conformato alle direttive impartite dall'Assessorato Regionale; e, dall'altro, come lo stesso fosse privo dell'autonomia discrezionale, nonche' delle competenze specifiche per discostarsi da tali direttive o, comunque, per eccepire anomalie procedurali attinenti ad una normativa particolarmente complessa. 8. Gli argomenti spesi nella sentenza d'appello non sono sufficienti a superare il vaglio del giudice di legittimita'. Pacifico ormai l'orientamento per cui il reato di lottizzazione abusiva non si configura come una contravvenzione esclusivamente dolosa, atteso che, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione a lottizzare, sia per contrasto con le prescrizioni di legge o con gli strumenti urbanistici, la stessa, sia nella forma negoziale che materiale, puo' essere commessa anche per colpa (Sez. 3, n. 39916 del 01/07/2004 - dep. 13/10/2004, Rv. 230084 - 01), questa Corte ha affermato che, per trovare applicazione il principio enunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364 del 24/03/1988 (con la quale si e' dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 5 c.p. nella parte in cui non esclude dalla inescusabilita' dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile), e' necessario che dagli atti del processo risulti che l'agente abbia fatto tutto il possibile per uniformarsi alla legge, sicche' nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, gli possa essere mosso, e che, pertanto, la violazione della norma sia avvenuta per cause del tutto indipendenti dalla sua volonta' (Sez. 3, n. 2698 del 18/01/1991 - dep. 01/03/1991, Rv. 186513 - 01). In altri termini, la esclusione della colpevolezza nelle contravvenzioni non puo' essere determinata dall'errore di diritto dipendente da ignoranza non inevitabile della legge penale, quindi, dal mero errore di interpretazione, che diviene scusabile quando e' determinato da un atto della pubblica amministrazione o da un orientamento giurisprudenziale univoco e costante, da cui l'agente tragga la convinzione della correttezza dell'interpretazione normativa e, di conseguenza, della liceita' della propria condotta (Sez. 3, n. 4951 del 17/12/1999, dep. 21/04/2000, Rv. 216561 - 01). Deve pertanto ribadirsi il principio di diritto, secondo cui l'esclusione di colpevolezza per errore di diritto dipendente da ignoranza inevitabile della legge penale puo' essere giustificata da un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia indotto nell'agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione del disposto normativo. Ne consegue che in caso di giurisprudenza non conforme o di oscurita' del dettato normativo sulla regola di condotta da seguire non e' possibile invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile, atteso che, in caso di dubbio, si determina un obbligo di astensione dall'intervento, con l'espletamento di qualsiasi utile accertamento volto a conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in materia (Sez. 6, n. 6991 del 25/01/2011 - dep. 23/02/2011, Rv. 249451 - 01; Sez. 3, n. 28397 del 16/04/2004 - dep. 24/06/2004, Rv. 229060 - 01; Sez. 5, n. 2506 del 24/11/2016 - dep. 18/01/2017, Rv. 269074 - 01). 9. A cio' si aggiunga la circostanza - ricordata anche dalla Procura Generale ricorrente - per cui, in merito all'esistenza dell'elemento soggettivo per i fatti intercorsi e, di conseguenza, della sussistenza del vincolo di inedificabilita' assoluta Legge Regionale n. 51 del 1991, ex articolo 5, questa stessa Sezione ha gia' avuto modo di pronunciarsi sui ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS) nella fase cautelare del procedimento R.G. 48792/2014 con sentenza n. 1151 del 26/05/2015 - dep. 14/01/2016, in cui si afferma chiaramente come "procedendosi nel caso in esame in relazione ad ipotesi di reato aventi il carattere della contravvenzione (...) e' noto (che) in relazione a tale tipo di illecito penale l'elemento soggettivo sufficiente ai fini della colpevolezza della condotta e' gia' quello della mera colpa; condizione soggettiva che, per espresso dettato legislativo e' riscontrabile laddove l'evento proprio del reato per cui si procede si sia verificato a cagione, oltre che della imprudenza e negligenza (elementi questi ultimi peraltro autonomamente riscontrabili nell'avere i ricorrenti provveduto nel senso della lottizzazione pur in presenza dei plurimi vincoli gravanti sul terreno interessato dalle opere in questione), della inosservanza da parte dell'agente di disposizioni legislative, inosservanza in questo caso certamente ravvisabile, quanto meno ai limitati fini della ritenuta legittimita' del provvedimento cautelare, nella realizzazione delle imponenti opere contestate ai due ricorrenti in assenza dei validi titoli abilitativi". Affermazione, questa, che sebbene operata nella fase cautelare, alla luce delle argomentazioni sviluppate dal Procuratore Generale ben puo' essere riaffermata all'esito del giudizio di legittimita' che ha avuto modo di analizzare le contrapposte argomentazioni sviluppate dalle due sentenze di merito. 10. Peraltro, al fine di poter qualificare un errore come scusabile, giova richiamare un risalente, ma mai superato, orientamento del Supremo Consesso pronunciato alla luce della sentenza n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale, secondo la quale l'ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilita', scusa senza alcun dubbio l'autore dell'illecito. Devono, infatti, affermarono le Sezioni Unite, essere stabiliti i limiti di tale inevitabilita', avendo peraltro riguardo alle caratteristiche del caso concreto. Per il comune cittadino tale condizione e' infatti sussistente, ogniqualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo e' particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attivita', i quali rispondono dell'illecito anche in virtu' di una "culpa levis" nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilita' dell'ignoranza, occorre, cioe', che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceita' del comportamento tenuto (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994 - dep. 18/07/1994, Rv. 197885 - 01). Nel caso di specie, al momento dell'integrazione dei reati in contestazione, gli imputati non appartenevano soltanto alla categoria di comune cittadino, atteso che tutti ricoprivano ruoli qualificati (anche se diversificati), motivo per cui il grado di conoscenza ed esperienza in materia edilizia/urbanistica e paesaggistica non puo' integrare gli estremi di scusabilita' sulla legge extra-penale (in tal caso, amministrativa), oltre che penale. Sui piano del diritto sostanziale, deve poi osservarsi che la lottizzazione abusiva e' un reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di lottizzazione, sia quando quest'ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e costruttori grava l'obbligo di controllare la conformita' dell'intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione (Sez. U, n. 5115 del 28/11/2001 - dep. 08/02/2002, Rv. 220708 - 01; Sez. 3, n. 38799 del 16/09/2015 - dep. 24/09/2015, Rv. 264718 - 01; Sez. 3, n. 33051 del 10/05/2017 - dep. 07/07/2017, Rv. 270645 - 01). Laddove manchi la necessaria autorizzazione, il reato di lottizzazione abusiva non e' infatti escluso dal rilascio dei permessi di costruire, dovendosi in questa sede ribadire il risalente ma condiviso e consolidato indirizzo secondo cui l'impegno del privato ad eseguire le opere di urbanizzazione primaria nel contesto del rilascio di un titolo edilizio non puo' surrogare la mancanza di un piano di lottizzazione, poiche' l'urbanizzazione dei terreni deve essere programmata per zona e non, invece, avvenire in occasione dell'edificazione dei singoli lotti, sicche' costituisce lottizzazione abusiva anche la nuova utilizzazione del terreno a scopo di insediamento residenziale pur se sia richiesto il permesso di costruire ovvero siano rilasciati una pluralita' di permessi nella zona interessata dal nuovo insediamento, tanto piu' che il permesso di costruire non ha la funzione di pianificare l'uso del territorio (Sez. 3, n. 302 del 26/01/1998 - dep. 25/03/1998, Rv. 210400 - 01, che, ovviamente, si riferiva non gia' al permesso di costruire ma all'identico titolo all'epoca denominato concessione edilizia; piu' di recente, Sez. 3, n. 36397 del 17/04/2019 - dep. 26/08/2019, Rv. 277169 - 01). E' da considerarsi, dunque, pacifica la configurabilita' del reato di lottizzazione abusiva nonostante il rilascio di provvedimenti amministrativi abilitanti quando questi siano contrari alle norme di legge statale, regionale, agli strumenti urbanistici ovvero alle norme tecniche di attuazione dei medesimi. E infatti, secondo l'orientamento che puo' dirsi consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il rilascio della concessione edilizia non esclude l'affermabilita' della responsabilita' penale per i reati di edificazione abusiva o di lottizzazione abusiva ove si riscontri la difformita' dell'opera realizzata, o realizzanda, rispetto agli strumenti normativi urbanistici ovvero alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, e non impone nemmeno una "disapplicazione" dell'atto amministrativo, limitandosi, il giudice, ad accertare la conformita' del fatto concreto alla fattispecie astratta descrittiva del reato, poiche', una volta che constati il contrasto tra la lottizzazione e la normativa urbanistica, giunge all'accertamento della abusiva realizzazione di opere edilizie prescindendo da qualunque giudizio sull'atto amministrativo (in tema, Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993 - dep. 21/12/1993, Rv. 195359 - 01, nonche', piu' recente, Sez. 3, n. 55003 del 16/06/2016 - dep. 28/12/2016, Rv 269288 - 01; Sez. 3, n. 36366 del 16/06/2015 - dep. 09/09/2015, Rv. 265034 - 01, e Sez. F, n. 33600 del 23/08/2012 - dep. 03/09/2012, Rv. 253426 - 01). 11. Tanto premesso in diritto, privo di pregio e' l'argomento usato dalla Corte d'appello (pagg. 13 e ss.) per giustificare l'affidamento incolpevole in cui sarebbero versati in particolare (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) a fronte della delibera del Consiglio comunale di Realmonte n. 37 del 23.10.2008 (con la quale si approvava il piano di lottizzazione denominato "Borgo (OMISSIS)"), atteso che le specifiche competenze tecniche non potevano indurre i predetti a fare affidamento sulla legittimita' degli atti autorizzativi rilasciati e, dall'altro, che il piano, presentato dai privati, conteneva una pluralita' di violazioni delle prescrizioni. Per quanto poi riguarda la posizione dell'Arch. (OMISSIS), dirigente della Soprintendenza di Agrigento, si tratta di un tecnico che ha partecipato alla stessa procedura di redazione del piano paesistico d'ambito nelle cui Linee Guida si dava atto della permanenza del vincolo, che ha effettivamente visto la luce solo nel 2013. La motivazione fornita dalla Corte di Appello per cui lo stesso non si sarebbe potuto discostare dalle direttive dell'Assessorato e per eccepire anomalie procedurali non puo' trovare accoglimento al fine di escluderne anche il minimo coefficiente di colpevolezza, non deponendo in suo favore nemmeno il successivo annullamento in autotutela dei pareri rilasciati alla (OMISSIS). a seguito della denuncia presentata dalla associazione ambientalista (OMISSIS) e dalla segnalazione di (OMISSIS). I giudici di merito hanno infatti accertato con una motivazione sufficientemente logica ed immune da censure di motivazione, che (OMISSIS). aveva iniziato opere comportanti una trasformazione urbanistica di terreni in forza di un piano di lottizzazione che presentava plurime violazioni di prescrizioni fornite dalla legge regionale e dagli strumenti urbanistici, sicche' correttamente la sentenza di primo grado ha ritenuto sussistente il reato contestato dopo la verifica della non conformita' dell'intera lottizzazione alle previsioni della legge regionale e della pianificazione urbanistica, gia' viziata ab origine, in particolare, potendosi integrare la fattispecie di lottizzazione materiale di cui al capo A) di imputazione e rilevandosi che, sebbene approvato, il piano di lottizzazione fosse in evidente contrasto con gli strumenti urbanistici sovraordinati e con la legge preposta alla disciplina dell'assetto del territorio. Nel caso di specie, infatti, risultavano numerosi vincoli di diversa natura, quale il vincolo di interesse pubblico di cui alla L. n. 1497 del 1939, quello previsto dalla legge di tutela ambientale di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 142 e, soprattutto, come del resto riconosciuto anche dai giudici territoriali, il vincolo di inedificabilita' assoluta temporanea di cui alla Legge Regionale siciliana n. 15 del 1991, articolo 5 gravante su tutta l'area oggetto, invece, di lottizzazione. 12. Quanto poi al secondo profilo di denuncia, ovvero la complessita' della questione in termini di interpretazione della presenza del vincolo di inedificabilita', e' condivisibile il rilievo della Procura Generale per cui, tanto il giudice di primo grado, che la Corte d'appello, ne hanno confermato la presenza al fine di escluderne la ricorrenza. In particolare, il giudice di secondo grado, riportandosi integralmente alle argomentazioni del Gup del Tribunale di Agrigento, ne ha condiviso l'iter argomentativo come ivi ricostruito e, segnatamente, la circostanza che in data 16.05.1992 entrava in vigore un primo decreto assessoriale, il quale dava concretamente e correttamente attuazione al suddetto vincolo, provvedendo ad attivare la redazione del piano paesistico regionale. Successivamente veniva emanato il D.A. n. 5829/1992, il quale apponeva un limite temporale pari a due anni al provvedimento attuativo del vincolo di immodificabilita' temporanea e con decreto 07.04.1994, pubblicato il 14.05.1994, venivano disposti altri due anni di proroga, fino al 14.05.1996; il 18/05/1996 un ulteriore decreto fissava un'ultima proroga. Con nota n. 499 del 1997, l'Assessorato Regionale specificava che il vincolo in commento, non potendo essere assoggettato ad ulteriori proroghe, risultava decaduto a partire dal 1996. Il Gup presso il Tribunale di Agrigento evidenziava, inoltre, come la Legge Regionale n. 15 del 1991 non avesse natura primaria regionale rispetto alla L. n. 431 del 1985 (c.d. Legge Galasso), che prevaleva in quanto legge di grande riforma economico sociale. Ne seguiva che la Legge regionale in commento fosse preposta a sviluppare su scala regionale alcuni dei vincoli generali posti a livello nazionale dalla L. n. 431 del 1985, essendo evidente, pertanto, che il vincolo posto dalle leggi sopra richiamate individuasse quale termine finale proprio l'approvazione dei piani paesistici, termine peraltro poi modificato per mano di una serie di decreti assessoriali. Sulla base di tali premesse, si affermava l'illegittimita' dei citati decreti assessoriali, che, qualificandosi quali atti di normazione secondaria, non erano in grado di modificare una norma di legge, atto invece sovraordinato, dovendo gli stessi essere disapplicati e ritenuti tamquam non essent, peraltro ricordando come la Corte Costituzionale avesse confermato (Corte Cost., n. 417/1995) la legittimita' costituzionale della L. n. 431 del 1985, articolo 1-quinquies (il quale prevedeva vincoli di immodificabilita' posti nelle zone di rispetto ambientale fino al termine cronologico individuato dalla legge stessa nell'approvazione dei piani paesistici). Quanto poi al rispetto dei limiti di distanza dalla battigia, si evidenziava come lo stesso accertamento peritale confermasse che gli edifici di cui al lotto 12 fossero collocati entro i limiti di inedificabilita' posti dalla legge in 150 metri e integrati con provvedimento della Soprintendenza BB.CC.AA. di Agrigento a 170 metri, in piena violazione di legge. Per la Corte territoriale, in merito alla natura e alla durata del vincolo di inedificabilita' assoluta temporanea, erano condivisibili le considerazioni del Giudice di primo grado circa l'esistenza e la perduranza del vincolo stesso, in particolare rilevandosi che, alla luce del principio di prevalenza della norma di legge sulle disposizioni di natura regolamentare, un atto di normazione secondaria (quale, nel caso di specie, un decreto assessoriale) non risultasse idoneo a modificare un atto di normazione primaria, quale una legge dello Stato: dunque, dovevano considerarsi illegittime le plurime modifiche di rango secondario che avevano inciso sull'individuazione del dies ad quem del vincolo stesso. I giudici di appello, peraltro, osservavano come la questione avesse costituito, in generale, oggetto di numerose pronunce della giurisprudenza, richiamandosi, da un lato, la sentenza della Corte Costituzionale n. 417 del 1995 e, dall'altro, la sentenza TAR Sicilia n. 810 del 2019, entrambe nel senso di identificare il dies ad quem del vincolo in commento nell'adozione del piano paesistico. Al contrario, si riteneva che la sentenza del Consiglio di Stato n. 4449 del 2014, richiamata dalla difesa a sostegno della diversa tesi dell'intervenuta decadenza del vincolo, fosse espressione di un isolato orientamento. 13. Vi e', peraltro, e cio' assume valenza dirimente, che avverso il relativo punto della sentenza (ossia sul punto relativo alla accertata sussistenza del vincolo di inedificabilita' assoluta nell'area e sulla sua persistenza all'epoca della lottizzazione nessuno degli imputati ha interposto ricorso per cassazione, come sarebbe invece stato loro interesse, essendo stata adottata la pronuncia assolutoria con la formula "perche' il fatto non costituisce reato" (tra le tante: Sez. 5, n. 29377 del 29/05/2019 - dep. 04/07/2019, Rv. 276524), ne' ricorrono le condizioni indicate dall'articolo 609 c.p.p. per un esame ex officio da parte di questa Corte della relativa questione. Ne consegue, pertanto, che in assenza di impugnazione in questa sede sul punto, l'accertamento dell'illecito lottizzatorio sotto il profilo oggettivo e' divenuto irrevocabile, restando quindi assorbite le ulteriori doglianze del Procuratore Generale (sviluppate in parte nel primo e nel secondo motivo), quanto al fatto che i giudici territoriali avrebbero ridotto il reato di lottizzazione abusiva alla sola violazione del vincolo di inedificabilita' di cui alla Legge Regionale n. 15 del 1991, articolo 5, avendo lo stesso PG individuato ulteriori profili di illegittimita', tra cui (1) la violazione della Legge Regionale n. 71 del 1978, articoli 12 e 14; (2) del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 12, e s.s.; (3) del Piano di Fabbricazione del Comune di Realmonte del 1976; (4) del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968. Atteso infatti l'intervenuto accertamento irrevocabile, per le ragioni predette, dell'illecito lottizzatorio sotto il profilo oggettivo, non vi e' ragione di soffermarsi su tali ulteriori e diversi asseriti profili di illegittimita', peraltro all'evidenza apprezzabili affermativamente, in quanto, accertato comunque oggettivamente il reato di lottizzazione abusiva per esistenza del vincolo di inedificabilita' assoluta sull'area, la pronuncia in ordine agli ulteriori profili di illegittimita' non avrebbe, sotto tale profilo, alcun rilievo, nemmeno sotto il profilo soggettivo, una volta acclarata la (assorbente) inescusabilita' dell'errore degli imputati in ordine alla macroscopica illegittimita' degli atti amministrativi in esame in forza dell'esistente (e persistente) vincolo di inedificabilita' assoluta sull'area. 14. Nonostante, peraltro, la generale condivisibilita' dell'impianto motivazionale, ricostruito in termini chiari e lineari gia' nella prima pronuncia, la Corte di appello ha pero' equivocamente ritenuto di dover escludere l'elemento soggettivo anche tenendo conto della pronuncia di annullamento operato dalla sentenza del TAR per la Sicilia n. 1181 del 15.06.2020 (confermata, successivamente, alla decisione di primo grado, dalla sentenza n. 1149 del 07.11.2022 del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, prodotta dalla difesa in sede di memorie conclusive dinanzi a questa Corte), del D.Dirig. impugnato 9 aprile 2014, n. 85 (con il quale era stata annullata la delibera comunale di approvazione del piano di lottizzazione), posto che la ratio della decisione era stata ravvisata nella sola carenza di motivazione in ordine all'interesse specifico dell'Amministrazione regionale alla conservazione dell'esistente e sulle ragioni per le quali lo stesso prevaleva su quello del Comune di Realmonte e della societa' al mantenimento degli effetti della lottizzazione. Nel caso di specie, il Dirigente Generale dell'Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, Dipartimento Regionale Urbanistica, della Regione Siciliana, con provvedimento n. 85 in data 9 novembre 2014, ai sensi della Legge Regionale 27 dicembre 1978, n. 71, articolo 53 in conformita' al parere del Consiglio Regionale dell'Urbanistica reso con il voto n. 177 del 19 febbraio 2014, aveva annullato la delibera consiliare del Comune di Realmonte n. 37 del 23 ottobre 2008 di approvazione del Piano di lottizzazione in localita' (OMISSIS) della ditta (OMISSIS). e le concessioni edilizie n. 18 dell'11/07/2012, n. 19 dell'11/07/2012, n. 27 del 26/09/2012, n. 1 dell'08/01/2013 e n. 3 del 18/03/2013. In particolare, l'Amministrazione regionale ha "ritenuto di dover condividere il superiore parere espresso dal Consiglio Regionale dell'Urbanistica con il voto n. 177 del 19/02/2014 assunto con riferimento alla proposta resa dal (...) Servizio 2/DRU n. 3 del 27/01/2014". Tuttavia, nonostante il parere reso sia molto analitico con riferimento alle contestazioni, alle controdeduzioni presentate dal Comune di Realmonte, dalla (OMISSIS) e dall'ing. (OMISSIS) ed alle conseguenti considerazioni svolte, e, quindi, nonostante il provvedimento dia analiticamente conto delle violazioni edilizie ed urbanistiche riscontrate, dal D.Dirig. 9 novembre 2014 non emerge la necessaria comparazione di interessi, ne' la compiuta specificazione di un interesse pubblico concreto ed attuale, idoneo a determinare che l'interesse tutelato dalla Regione prevalga sugli altri interessi, pubblici e privati, in gioco. 15. Sul punto e' sufficiente rilevare quanto segue. 15.1. Anzitutto, va ribadito che come il giudicato amministrativo intervenuto non riveste alcun effetto vincolante rispetto al presente procedimento penale, posto che e' pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di prova documentale, le sentenze irrevocabili pronunciate in un giudizio civile o amministrativo non sono vincolanti per il giudice penale che, pertanto, deve valutarle a norma dell'articolo 187 c.p.p. e articolo 192 c.p.p., comma 3, ai fini della prova del fatto in esse accertato (Sez. 3, n. 17855 del 19/03/2019 - dep. 30/04/2019, Rv. 275702 - 01 che, in motivazione, ha osservato che, secondo il principio generale fissato dall'articolo 2 c.p.p., al giudice penale spetta il potere di risolvere autonomamente ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito e che l'unica disposizione che attribuisce espressamente "efficacia di giudicato" nel processo penale a sentenze extra-penali e' l'articolo 3 c.p.p., comma 4, con riferimento alla "sentenza irrevocabile del giudice civile che ha deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza"). 15.2. In secondo luogo, si osserva come la doppia decisione dei giudici amministrativi riguardava un profilo del tutto diverso da quello oggetto di esame da parte di questa Corte, atteso che, mentre il giudizio del Giudice di legittimita' si e' soffermato sulle censure della parte pubblica ricorrente (e diversamente non avrebbe potuto essere, proprio in considerazione della natura di giudizio a critica vincolata di questa Corte: Sez. 4, n. 46486 del 20/11/2012 - dep. 30/11/2012, Rv. 253952), ed ha riguardato in particolare il profilo della sussistenza della ritenuta buona fede degli imputati a fronte della (irrevocabile, come gia' anticipato) accertata esistenza ab origine dell'illegittimita' degli atti e dei provvedimenti amministrativi che hanno consentito la realizzazione della lottizzazione in esame perche' eseguita in area soggetta a vincolo di inedificabilita' assoluta, diversamente il giudizio svoltosi davanti al TAR ed al CGARS ha riguardato la (il)legittimita' dell'esercizio del potere di annullamento del Dirigente generale dell'Assessorato regionale territorio e ambiente, Dipartimento regionale dell'urbanistica della Regione siciliana (provvedimento n. 85 del 9.11.2014), di annullamento della delibera consiliare del Comune di Realmonte n. 37 del 23.10.2008 e le cinque concessioni edilizie successivamente rilasciate. In quest'ultimo, in particolare, la ratio della decisione era stata ravvisata nella sola carenza di motivazione in ordine all'interesse specifico dell'Amministrazione regionale alla conservazione dell'esistente e sulle ragioni per le quali lo stesso prevalesse su quello del Comune di Realmonte e della societa' al mantenimento degli effetti della lottizzazione. Dunque, l'attenzione dei giudici amministrativi non ha riguardato l'illegittimita' degli atti e dei provvedimenti amministrativi oggetto di annullamento d'ufficio da parte del Dirigente generale della Regione Sicilia quanto, piuttosto, la verifica dei presupposti di fatto e di diritto richiesti per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio da parte dell'Autorita' amministrativa, Diversamente, la verifica operata da questa Corte ha riguardato l'illegittimita' ab origine dei provvedimenti amministrativi oggetto dell'annullamento d'ufficio, illegittimita', si ribadisce, sulla quale i giudici amministrativi non si sono pronunciati, arrestando la loro verifica alla ritenuta esistenza di un vizio motivazionale che avrebbe inficiato il provvedimento di annullamento d'ufficio, Legge Regionale n. 71 del 1978, ex articolo 53 (ora abrogato dalla Legge Regionale 13 agosto 2020, n. 19, articolo 55 a decorrere dal 21 agosto 2020) e 39, Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 che hanno sostituito la disciplina prima contenuta nell'articolo 27 della legge generale urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, disposizioni che prefigurano il potere regionale di annullare, entro il termine di dieci anni dalla loro adozione, atti comunali che si pongano in difformita' o contrasto rispetto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente. Non e' del resto questa la sede per discutere della legittimita' del provvedimento in questione, rientrante nella giurisdizione del G.A., pur potendosi rilevare che l'onere motivazionale gravante sull'Amministrazione nel caso di annullamento in autotutela di un titolo in precedenza adottato (come chiarito dal Consiglio di Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 8), deve ritenersi attenuato in ragione della rilevanza degli interessi pubblici tutelati: e la pluralita' e la macroscopicita' delle violazioni riscontrate escluderebbe la sussistenza di un qualsivoglia legittimo affidamento al mantenimento delle utilita' illegittimamente acquisite. Come gia' chiarito, infatti, all'epoca dell'approvazione del progetto lottizzatorio, l'area in questione risultava assoggettata a vincolo di inedificabilita' assoluta nonche' inserita nella rete Natura 2000, quale Sito di Interesse Comunitario (SIC), identificato secondo quanto stabilito dalla Direttiva Habitat con il codice ITA040015), cio' che rendeva all'evidenza recessivo l'interesse del privato rispetto a quello pubblicistico volto alla tutela di beni riferibili al patrimonio della collettivita', anche per la loro rilevanza "Europea". 16. Quanto, infine, al terzo motivo di ricorso, con cui il P.G. ricorrente ha chiesto a questa Corte di vagliare la legittimita' della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, dopo aver confermato il giudizio di responsabilita' penale emesso in primo grado nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) rispetto alle violazioni urbanistiche e paesaggistiche (capi B, C e D), ha escluso la configurabilita' materiale delle contravvenzioni edilizie, come anticipato, si tratta di motivo di doglianza la cui rilevanza e' del tutto assorbita dall'accertata fondatezza del primo motivo e dall'intervenuta irrevocabilita', per difetto di impugnazione degli imputati, della sentenza di condanna per tali reati, sebbene per abusi piu' limitati, ossia: 1) per il capo b), relativamente alla previsione, nei progetti esecutivi relativi ai singoli lotti, degli edifici da realizzare con altezza di ml. 6,10 invece che 6 ml.; 2) per il capo c) e per il capo d), limitatamente alla realizzazione nel lotto 12 degli immobili di altezza superiore a quella consentita, ed alla realizzazione, entro la fascia di rispetto di 170ml. dalla battigia, dell'edificio 12E e dello scavo di sbancamento dell'edificio 12F, alla modifica di sagoma e prospetto dell'edificio 12G, in presenza del vincolo di inedificabilita' assoluta ex Legge Regionale n. 71 del 1978 gravante sui territori costieri entro i 150 ml. dalla battigia e comunque entro i 170 ml. dalla battigia. Ed invero, premesso che l'impugnazione del PG riguarda soltanto l'intervenuta assoluzione dagli interventi edilizi integranti gli illeciti contravvenzionali contestati ai capi b), c) e d), diversi da quelli per i quali e' stata confermata la statuizione di condanna in primo grado, l'intervenuta definitivita' della condanna per tali capi, sebbene relativamente agli interventi edilizi non oggetto di pronuncia liberatoria, assume ex se valenza satisfattiva per la parte pubblica ricorrente, soprattutto alla luce dell'intervenuto accoglimento dell'impugnazione sul reato piu' grave, ossia quello lottizzatorio, che, come e' noto, comporta la confisca Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, ex articolo 44, comma 2, sanzione ablatoria piu' grave e nel contempo assorbente rispetto all'ordine demolitorio (previsto dall'articolo 31, comma 8, del medesimo D.P.R.) ed alla rimessione in pristino stato dei luoghi a spese del condannato (prevista dal Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181). Ne' rileva la circostanza che detti abusi edilizi siano stati oggetto di sequestro preventivo, atteso che, nelle more del giudizio di rinvio, deve escludersi l'esecutivita' immediata dei provvedimenti restitutori, disposti con la sentenza di appello oggetto di annullamento, dei beni sottoposti a sequestro preventivo anche nell'ipotesi in cui non ne sia stata disposta la confisca, dovendo quest'ultima - che ha per oggetto tanto i terreni lottizzati tanto le opere su di essi costruite - intervenire nel successivo giudizio di rinvio. 17. La necessita' di consentire a tutti gli attori del presente procedimento di interloquire sulla misura ablatoria obbliga, infine, il Collegio a non adottare per gli imputati non rinuncianti alla prescrizione - ma ancora potenzialmente attinti, in sede di annullamento con rinvio, dalla possibile adozione del provvedimento di confisca urbanistica (essendo stato il reato lottizzatorio sub a) contestato a tutti gli imputati) - una pronuncia di annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione dell'illecito lottizzatorio nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) (e, per quest'ultimo, anche in relazione alle contravvenzioni di cui ai capi b), c), d) ed f), ferma restando, ovviamente, la definitivita' della statuizione di proscioglimento per (OMISSIS) in ordine ai reati di cui ai capi b), c), d), relativamente agli interventi edilizi e paesaggistici diversi da quelli per cui non e' intervenuta condanna ed anche in ordine al reato di cui al capo f). E' devoluta, pertanto, al giudice di rinvio - giusta il disposto dell'articolo 578-bis c.p.p. - provvedere anche nel contraddittorio con (OMISSIS) e (OMISSIS), all'assunzione delle determinazioni in materia di confisca urbanistica nonche' a quelle relative sia agli ordini di demolizione che di rimessione in pristino stato dei luoghi, che, come e' noto, conseguono ex lege all'intervenuto proscioglimento per prescrizione, fermo restando l'autonomo potere-dovere dell'autorita' amministrativa (v. da ultimo: Sez. 3, n. 38104 del 09/06/2022 - dep. 10/10/2022, Rv. 283907). 18. L'impugnata sentenza dev'essere, conclusivamente, annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'appello di Palermo per nuovo giudizio che tenga conto dei principi dianzi affermati in tema di elemento psicologico del reato con riferimento all'abuso lottizzatorio nonche' per provvedere sulla declaratoria di proscioglimento per intervenuta prescrizione, quanto agli imputati non rinuncianti alla prescrizione, relativamente a tutti gli illeciti in contestazione, nonche' sulle relative statuizioni accessorie (confisca urbanistica; ordine demolizione; ordine di rimessione in pristino), devolvendosi al giudice del rinvio anche la liquidazione delle spese di costituzione e difesa, sostenute in sede di legittimita', dalle parti civili costituite (OMISSIS) APS e (OMISSIS). P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo, cui demanda altresi' la liquidazione delle spese sostenute dalle parti civili per il presente grado di giudizio.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROSI Elisabetta - Presidente Dott. CERRONI Claudio - Consigliere Dott. GAI Emanuela - Consigliere Dott. MACRI' Ubalda - Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 03/02/2022 della Corte di appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro Maria; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SECCIA Domenico A.R., che ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata sia annullata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rigetto nel resto del ricorso; udito il difensore, avv. REINA Antonino. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 3 luglio 2020, il Tribunale di Palermo ha riconosciuto la penale responsabilita' di (OMISSIS) per i reati di cui: al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, comma 1, lettera b), per avere realizzato, o comunque avere fatto realizzare, nella qualita' di proprietario dell'immobile e committente dei lavori, nella terrazza di pertinenza di quest'ultimo, un ampliamento di circa 35 m2, previa demolizione di una porzione del preesistente muro di tamponatura, sopraelevando i muri di parapetto della terrazza con pannelli di alluminio verniciato interamente rifiniti in cartongesso, con copertura leggermente inclinata e chiusura sul lato terrazza con parte vetrata, in assenza del prescritto permesso di costruire e, comunque, in totale difformita' dall'autorizzazione comunale (capo A); al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 95, per avere edificato, o comunque avere fatto edificare, la costruzione di cui al capo precedente in zona sismica, senza darne preavviso alle autorita' preposte (capo B). Riconosciuta la continuazione, concesse le circostanze attenuanti generiche ed applicata la diminuzione per il rito abbreviato, l'imputato e' stato condannato a 3 mesi e 10 giorni di arresto ed Euro 6.078,00 di ammenda, con subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla preventiva demolizione delle opere. La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 3 febbraio 2022, ha rideterminato la pena inflitta in 2 mesi e 15 giorni di arresto e Euro 4.558,00 di ammenda, confermandolo nel resto le statuizioni di primo grado. 2. Avverso la sentenza l'imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 e Legge Regionale Siciliana n. 4 del 2003, articolo 20, anche con riferimento all'articolo 5 c.p.. Infatti la Corte non avrebbe tenuto in debita considerazione il disposto normativo dell'articolo 20 della citata L.R., che consentirebbe la realizzazione, senza previo permesso, di coperture di terrazze non superiori a 50 m2. Non si potrebbe neanche dubitare della vigenza di tale disposizione come modificata ed integrata dalla Legge Regionale Siciliana n. 15 del 2006, articolo 12, nonostante il recepimento da parte del legislatore siciliano, con la Legge Regionale Siciliana n. 16 del 2016, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. Infatti, la Legge Regionale Siciliana n. 16 del 2016, articolo 30 non menziona la Legge Regionale n. 4 del 2003, articolo 20 tra le norme espressamente abrogate; quindi, in applicazione dell'articolo 15 preleggi, se ne dovrebbe affermare la vigenza, ne' tantomeno si potrebbe ravvisarne l'abrogazione implicita o per nuova integrale disciplina della materia. A conferma di questa interpretazione, il ricorrente adduce che, dopo l'avvenuto recepimento in Sicilia del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, alla luce dei dubbi sulla vigenza delle norme pregresse, l'Assessorato del Territorio e dell'Ambiente, con la circolare n. 1 del 4 novembre 2016, avrebbe affermato la vigenza della Legge Regionale n. 4 del 2003, articolo 20, poiche' le norme ivi contenute rivestirebbero indubbio carattere di specialita', anche con riferimento alla corretta applicazione del concetto di opera precaria, quale quella realizzata in modo tale da essere suscettibile di facile rimozione, che andrebbe ravvisata anche nel caso di chiusure di terrazze e verande di superficie inferiore a 50 m2, non necessitando di autorizzazione o di concessione, purche' venga rispettata la procedura dettata dalla norma stessa. Tali requisiti sussisterebbero nel caso di specie essendosi verificata la costruzione di una veranda di 36 m2 con struttura leggera in acciaio. Il ricorrente ha cura di aggiungere, ulteriormente, che tale situazione andrebbe a riverberare i propri effetti sulla sussistenza dell'elemento soggettivo degli illeciti. Infatti - sulla scorta della richiamata circolare 4 novembre 2016 nonche' delle pronunce del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, che avrebbero chiarito come il concetto di precarieta' dell'opera non possa consistere nella mancanza di idonei meccanismi di ancoraggio atti a garantire la stabilita' delle strutture in situazioni di sicurezza - lo stesso avrebbe fatto affidamento su una condotta concludente della Pubblica Amministrazione e dell'Autorita' Giurisdizionale, essendo certo della liceita' della propria condotta, che ne avrebbe determinato l'agire in buona fede, presentando le istanze richieste dalla Legge Regionale Sicilia n. 4 del 2003, articolo 20 e depositando gli elaborati al Genio Civile, nonche' facendo il possibile per osservare la legge con la corretta diligenza. 2.2. Con una seconda doglianza, si denuncia la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 95 e Legge Regionale Sicilia n. 7 del 2003, articolo 32. Piu' nel dettaglio, l'imputato in data 30 maggio 2016 avrebbe provveduto alla presentazione del progetto per la realizzazione del manufatto al Genio Civile, senza che quest'ultimo emettesse un provvedimento di diniego nei 60 giorni successivi, in piena conformita' con la Legge Regionale Siciliana n. 7 del 2003, articolo 32, il quale prevede espressamente l'avvio delle opere dopo l'attestazione di avvenuta presentazione del progetto, nel caso in esame rilasciata lo stesso 30 maggio 2016 dall'Ufficio del Genio Civile ai sensi della L. n. 64 del 1974, articolo 17. 2.3. In terzo luogo, si lamenta la violazione degli articoli 81 e 132 c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 95. Infatti, a fronte di una fattispecie contravvenzionale quale quella di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 95 punita con la sola pena dell'ammenda, in sede di aumento per la continuazione ex articolo 81 c.p., sia il giudice di primo grado che quello di secondo grado nella parziale riforma avrebbero aumentato la pena base per il reato di abusivismo edilizio punito con l'arresto e l'ammenda con l'ulteriore arresto e ammenda per il reato contravvenzionale in esame, punito invece con la sola ammenda; mancherebbe inoltre ogni motivazione sull'aumento di pena operato per il reato satellite. 2.4. Con una quarta censura, si contesta la violazione dell'articolo 165 c.p., comma 1. Nel caso di specie, infatti, la Corte non avrebbe tenuto conto del fatto che si sarebbe in presenza della realizzazione di una veranda di soli 36 m2, qualificata come precaria dalla legislazione regionale e realizzata da soggetto incensurato, sulla scorta della presentazione di tutta la documentazione tecnica prevista dalla normativa di settore, ma si sarebbe semplicemente limitata a confermare apoditticamente la subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva. Non si sarebbe considerato il principio di diritto per il quale non e' sufficiente affermare che l'ordine di demolizione si impone per la tipologia degli interventi abusivi realizzati, ma e' necessario spiegare perche', sul piano prognostico di cui all'articolo 164 c.p., si ritenga necessario porre l'esecuzione di tale ordine come condizione per la fruizione del beneficio della sospensione condizionale della pena. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso e' solo parzialmente fondato. 1.1. Il primo motivo di ricorso - con cui si lamenta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 e Legge Regionale Siciliana n. 4 del 2003, articolo 20 - e' inammissibile. In primo luogo, occorre evidenziare, in punto di diritto, che, in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale e, conseguentemente, devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi. Questa Corte ha gia' avuto modo di affermare, in analoghe fattispecie relative alla realizzazione di una tettoia, come risultasse indubbiamente necessario il permesso di costruire, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 3, 10 e 31, essendo tali disposizioni destinate a prevalere su una interpretazione letterale della disciplina dettata dalla Legge Regionale Sicilia n. 4 del 2003, articolo 20, secondo cui, in deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggette a concessioni e/o autorizzazioni ne' sono considerate aumento di superficie utile o di volume ne' modifica della sagoma della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie (ex plurimis, Sez. F., n. 46500 del 30/08/2018, Rv. 274173; Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016, dep. 2017, Rv. 270210; Sez. 3, n. 28560 del 26/03/2014, Rv. 259938; Sez. 3, n. 2017 del 25/10/2007, dep. 2008, Rv. 238555). In particolare, si e' precisato che, in tema di reati edilizi, la natura precaria delle opere di chiusura e di copertura di spazi e superfici per le quali la Legge Regionale Sicilia n. 4 del 2003, articolo 20 non richiede concessione e/o autorizzazione va intesa secondo un criterio strutturale, ovvero nel senso della facile rimovibilita' dell'opera, e non funzionale, ossia con riferimento alla temporaneita' e provvisorieta' dell'uso, sicche' tale disposizione, di carattere eccezionale, non puo' essere applicata al di fuori dei casi ivi espressamente previsti. (Sez. 3, n. 48005 del 17/09/2014, Rv. 261156). Cio' posto, nel caso di specie la Corte di appello ha correttamente dato conto di come non sia possibile neanche rinvenire gli estremi di quella che la legislazione regionale definisce opera precaria, come si evince dei rilievi fotografici dove e' evidenziata la presenza di laminati fissati con bulloni; trattasi, invero, della realizzazione, nella terrazza di pertinenza dell'immobile di proprieta' dell'imputato, di un ampliamento di circa 35 m2, sopraelevando i muri di parapetto della terrazza con pannelli di alluminio verniciato interamente rifiniti in cartongesso, con copertura leggermente inclinata e chiusa sul lato terrazza, con parte vetrata, in assenza dei prescritti permessi di costruire e di ogni comunicazione alle autorita' preposte. Pertanto, contrariamente a quanto assunto nell'impugnazione, correttamente si e' ritenuto di essere in presenza dell'integrazione di un reato e non di un mero illecito amministrativo, atteso che non ricorrono in concreto le caratteristiche della struttura precaria ne' secondo la legislazione regionale ne' secondo quella statale. 1.2. La seconda censura - con cui ci si duole della violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 95 e Legge Regionale Siciliana n. 7 del 2003, articolo 32 - e' inammissibile per genericita'. Dalla mera lettura del capo B) di imputazione, ove viene richiamato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 95, si evince come la condotta incriminata coincida con l'omissione del dovuto preavviso alle autorita' preposte prima di edificare o di far edificare la costruzione de qua. Da cio' discende che tutte le vicende relative al rilascio di non meglio precisati provvedimenti o alla formazione di un potenziale silenzio-assenso sono irrilevanti, essendo mancata la presentazione del preavviso. A quest'affermazione del giudice di secondo grado la difesa contrappone la produzione di una comunicazione del 30 maggio 2016 di cui, pero', non specifica quale sia l'esatto contenuto; proprio questa mancanza di specificazione rende generico il ricorso per cassazione e, in ogni caso, dall'esame dell'atto richiamato emerge, gia' ad una prima lettura, che l'oggetto del preavviso che la difesa sostiene di aver presentato non e' la struttura effettivamente costruita - ossia l'ampliamento di circa 35 m2, con sopraelevazione dei muri di parapetto della terrazza con pannelli di alluminio verniciato interamente rifiniti in cartongesso, con copertura leggermente inclinata e chiusa sul lato terrazza, con parte vetrata - ma un diverso manufatto genericamente qualificato come chiusura di parte di una terrazza con una struttura leggera in acciaio. 1.3. Il terzo motivo di ricorso - con cui si lamenta la violazione degli articoli 81 e 132 c.p. e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 95 - e' fondato. Per giurisprudenza di legittimita' consolidata, infatti, in tema di concorso di reati puniti con sanzioni eterogenee sia nel genere che nella specie per i quali sia riconosciuto il vincolo della continuazione, l'aumento di pena per il reato satellite va effettuato secondo il criterio della pena unica progressiva per moltiplicazione, rispettando tuttavia, per il principio di legalita' della pena e del favor rei, il genere della pena prevista per il reato satellite, nel senso che l'aumento della pena detentiva del reato piu' grave dovra' essere ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell'articolo 135 c.p. (ex multis, Sez. 6, n. 8667 del 12/02/2019, Rv. 275881; Sez. U., n. 40983 del 21/06/2018, Rv. 273751; Sez. 5, n. 46695 del 03/10/2016, Rv. 268638). Nel caso in esame, in primo grado, in presenza di reati contravvenzionali - puniti rispettivamente, quello piu' grave con pena congiunta, quello satellite con la sola pena dell'ammenda - il giudice ha determinato la pena come segue: pena base sei mesi di arresto ed Euro 7.000,00 di ammenda, ridotta per la concessione di attenuanti generiche a quattro mesi di arresto ed Euro 4.500,00 di ammenda, aumentata a cinque mesi di arresto ed Euro 9.117,00 per continuazione con il reato di cui al capo B) di imputazione, ridotta infine di un terzo, in ragione del rito prescelto, a tre mesi e dieci giorni di arresto e Euro 6.078,00 di ammenda. La Corte di appello, poi, rilevata l'illegalita' della pena, ha proceduto alla sua rideterminazione in due mesi e quindici giorni di arresto ed Euro 4.558,00 di ammenda, poiche', trattandosi di contravvenzione, la riduzione, per effetto della scelta del rito, non e' pari ad un terzo, bensi' alla meta'. Tuttavia, facendo applicazione dei principi enunciati, l'aumento operato sulla pena detentiva, pari a giorni quindici di arresto, deve essere ragguagliato, per rispettare il genere di pena previsto per il reato satellite, a pena pecuniaria ai sensi dell'articolo 135 c.p.. Alla rideterminazione della pena puo' provvedersi in questa sede ex articolo 620 c.p.p., comma 1, lettera l), fissandola nella misura di due mesi di arresto ed Euro 8.308,00 di ammenda, cosi' calcolata: pena base sei mesi di arresto ed Euro 7.000,00 di ammenda, ridotta per la concessione delle circostanze attenuanti generiche a quattro mesi di arresto ed Euro 4.500,00 di ammenda, aumentata a cinque mesi di arresto ed Euro 9.117,00 per la continuazione con il reato di cui al capo B) dell'imputazione, ridotta infine a due mesi e quindici giorni di arresto ed Euro 4.558,00 di ammenda per effetto della scelta del rito, secondo quanto statuito dal giudice di merito, con ragguaglio, tuttavia, dell'aumento di giorni quindici di arresto alla pena di Euro 3.750,00 di ammenda, ottenuta calcolando, per ciascuno dei quindici giorni, Euro 250,00 di pena pecuniaria, essendo tale criterio di ragguaglio gia' in vigore all'epoca dei fatti. Si giunge cosi' alla pena complessiva di due mesi di arresto ed Euro 8308,00 di ammenda. 1.4. La quarta doglianza - con cui si contesta la violazione dell'articolo 165 c.p., comma 1, - e' inammissibile per genericita'. La difesa non prende in considerazione, neanche a fini di critica, la motivazione della sentenza impugnata, limitandosi a formulare asserzioni del tutto sganciate dagli atti di causa, che rappresentano la mera ripetizione di doglianze gia' esaminate e motivatamente disattese nel giudizio di secondo grado. La motivazione della sentenza impugnata risulta, al contrario, pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove specifica che non puo' trovare accoglimento la richiesta di eliminazione della subordinazione del beneficio della sospensione dell'esecuzione della pena alla demolizione del manufatto abusivo avuto riguardo alla tipologia degli interventi abusivi effettuati e alle loro rilevanti dimensioni, tali da non potere ritenere integrati gli estremi di quella che la legislazione regionale, e precisamente la Legge Regionale Sicilia n. 4 del 2003, articolo 20, definisce come opera precaria. 2. Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio che viene in questa sede rideterminato in due mesi di arresto ed Euro 8.308,00 di ammenda. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminando la pena in due mesi di arresto ed Euro 8.308,00 di ammenda. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SPIRITO Angelo - Primo Presidente f.f. Dott. MANNA Antonio - Presidente di Sezione Dott. DE MASI Oronzo - Consigliere Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere Dott. STALLA Giacomo Maria - Consigliere Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere Dott. CARRATO Aldo - Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 3204-2018 proposto da: (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato FARANDA RICCARDO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato CRUPI PASQUALE MARIA; - ricorrente - (OMISSIS), in persona del Sovrintendente pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato MARAZZA MAURIZIO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARAZZA MARCO e DE FEO DOMENICO; - controricorrente e ricorrente incidentale - contro (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato FARANDA RICCARDO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato CRUPI PASQUALE MARIA; - controricorrente all'incidentale - avverso la sentenza n. 2978/2017 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 19/07/2017. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/01/2023 dal Consigliere DI PAOLANTONIO ANNALISA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale SANLORENZO RITA, che ha concluso per l'inammissibilita' della conversione in contratti a tempo indeterminato dei contratti a termine; uditi gli avvocati Faranda Riccardo e De Feo Domenico. FATTI DI CAUSA 1. La Corte d'Appello di Roma ha accolto parzialmente l'appello di (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso, proposto nei confronti della (OMISSIS), volto ad ottenere: l'accertamento dell'inefficacia dei termini apposti ai contratti di lavoro subordinato intercorsi fra le parti nell'arco temporale 16 maggio 2006/marzo 2011; la dichiarazione della sussistenza di un unico rapporto a tempo indeterminato instauratosi con decorrenza dal 16 maggio 2006 o dalla diversa data ritenuta di giustizia; la condanna della resistente alla ricostituzione del rapporto, ed al risarcimento del danno da quantificare in misura pari alle retribuzioni maturate dalla data della messa in mora o, in subordine, ai sensi della L. n. 183 del 2010, articolo 32. 2. L'originario ricorrente, a sostegno della domanda, aveva dedotto di essere stato ripetutamente assunto, con mansioni di macchinista ed inquadramento nel V livello del c.c.n.l. di settore, in relazione alla produzione di spettacoli, specificati nei contratti, che coincidevano, nella sostanza, con il "cartellone di attivita'" della stagione teatrale. Aveva aggiunto che la Fondazione non aveva precisato le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustificavano il ricorso al rapporto a tempo determinato, nella fattispecie utilizzato pur a fronte di uno stabile inserimento nell'organizzazione produttiva del Teatro, reso evidente dal rilievo che le prestazioni avevano finito per interessare l'intero arco annuale. Aveva altresi' lamentato la violazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 3, perche' la Fondazione non aveva provveduto alla redazione del necessario documento di valutazione dei rischi, ed aveva dedotto, infine, il mancato rispetto delle soglie minime di contingentamento previste dal c.c.n.l. di settore, derivato dalla utilizzazione di contratti a termine in misura superiore al 15% dell'organico aziendale. 3. La Corte territoriale ha riconosciuto il solo risarcimento del danno, liquidato nella misura massima prevista dalla L. n. 183 del 2010, articolo 32, ed ha respinto le ulteriori domande, compensando integralmente le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito. Il giudice d'appello ha escluso la dedotta violazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, ed ha osservato che l'onere di specificazione era stato assolto attraverso il puntuale riferimento agli spettacoli alla cui realizzazione l'assunzione era stata finalizzata. Ha aggiunto che non poteva essere messa in dubbio la temporaneita' dell'esigenza, atteso che la programmazione del singolo spettacolo e' per sua natura limitata nel tempo. La Corte distrettuale ha, invece, ritenuto fondato il motivo di impugnazione con il quale era stata riproposta la questione inerente alla violazione del divieto di cui al Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 3, lettera d), perche' la Fondazione aveva prodotto solo un estratto del documento di valutazione dei rischi, risalente al lontano 1996 e non sottoscritto. Il documento formato nell'anno 2008 era successivo al primo contratto a tempo determinato stipulato dalle parti e non era stata offerta la prova che le caratteristiche organizzative del Teatro dell'Opera fossero rimaste nel frattempo immutate. 4. Ritenuta la nullita' del termine finale apposto al contratto di lavoro subordinato del 16 maggio 2006, il giudice d'appello ha escluso che dalla stessa potesse essere derivata l'instaurazione fra le parti di un rapporto a tempo indeterminato decorrente dalla data sopra indicata. Ricostruito il complesso quadro normativo e richiamata giurisprudenza di questa Corte, ha osservato che ostativo all'accoglimento della domanda di conversione era il divieto di nuove assunzioni imposto dalla L. n. 266 del 2005, articolo 1, comma 595, dalla L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 392, dal Decreto Legge n. 64 del 2010, articolo 3, comma 5, nonche' da norme successive non applicabili ratione temporis alla fattispecie. 4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di tre motivi. La Fondazione ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale affidato a due censure, al quale il ricorrente principale ha replicato con controricorso. 5. La Quarta Sezione di questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 10 giugno 2022 n. 18866, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite al fine di risolvere il contrasto di giurisprudenza sulla questione della convertibilita' in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine con clausola di durata affetta da nullita' nelle ipotesi in cui la legislazione speciale, statale o regionale, pur a fronte della natura privatistica del rapporto di lavoro, imponga un generalizzato divieto di assunzione a tempo indeterminato o subordini l'instaurazione del rapporto al previo superamento di procedure concorsuali o selettive. Il Primo Presidente ha disposto l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite. 6. Le parti ed il Pubblico Ministero hanno depositato memoria nel rispetto del termine di cui all'articolo 378 c.p.c.. La Fondazione ha altresi' depositato copia del Protocollo d'intesa stipulato con l'Avvocatura Generale dello Stato il 26 giugno 2015 nonche' copia della delibera del Consiglio d'indirizzo del 23 giugno 2022, concernenti l'affidamento del patrocinio ad avvocati del libero foro nelle cause aventi ad oggetto controversie in materia di lavoro, previdenza ed assistenza. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Il ricorso principale denuncia, con il primo motivo formulato ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 266 del 2005, articolo 1, comma 595, e della L. n. 244 del 2007, articolo 2, comma 392. Sostiene, in sintesi, il ricorrente che la Corte territoriale, accertata la violazione del divieto di cui al Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 3, avrebbe dovuto dichiarare la sussistenza fra le parti di un rapporto a tempo indeterminato decorrente dalla data del primo contratto a termine, non essendo ostativa all'accoglimento della domanda principale di conversione la normativa riguardante il cosiddetto "blocco delle assunzioni". Richiama giurisprudenza della Sezione lavoro per sostenere che detta normativa riguarda unicamente il funzionamento e l'autorganizzazione del datore di lavoro e non incide sul diritto soggettivo che in capo al lavoratore sorge in conseguenza di atti di gestione del rapporto privatistico. Aggiunge che, in ogni caso, occorreva fare riferimento, non alla normativa vigente alla data di instaurazione del rapporto a tempo determinato bensi' a quella, di diverso tenore, emanata successivamente ed applicabile al momento della decisione giudiziale. Rileva, infine, che il blocco delle assunzioni produce solo un effetto sospensivo e riguarda unicamente le assunzioni disposte "in maniera allegra" dalle fondazioni lirico sinfoniche, sicche' non puo' essere opposto per impedire l'esecuzione di sentenze di condanna al ripristino del rapporto di lavoro. 2. Con la seconda censura, egualmente ricondotta al vizio di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1 e addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente escluso l'eccepita genericita' della causale inserita nei contratti stipulati fra le parti. Rileva che l'onere di specificazione imposto dalla norma richiamata in rubrica non e' assolto dalla sola indicazione dello spettacolo, non sufficiente ad esplicitare le ragioni che rendono necessaria la prestazione a tempo determinato. 3. Con il terzo motivo del ricorso principale e' censurato il capo della sentenza relativo al regolamento delle spese di lite per violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., dedotta ex articolo 360 c.p.c., n. 3. Si sostiene che l'integrale compensazione non poteva essere giustificata con il richiamo alle difficolta' interpretative ed alle novita' legislative giurisprudenziali, perche' occorreva tener conto delle ragioni dell'accoglimento del ricorso, fondato sulla violazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 3, ossia su un aspetto "chiaro ed evidente". 4. Il ricorso incidentale denuncia, con il primo motivo, formulato ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. e del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 3, comma 1, lettera d) e del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4. La Fondazione sostiene che era stato prodotto il documento di valutazione dei rischi risalente all'anno 1996, puntualmente vidimato e firmato, sicche' sarebbe stato onere dell'originario ricorrente eccepire e provare il fatto estintivo dell'intervenuta variazione del contesto organizzativo cui tale valutazione si riferiva. La Corte, invece, ha erroneamente posto a carico del datore di lavoro l'onere di fornire la prova, tra l'altro negativa, dell'assenza di mutamenti aziendali. 5. Con il secondo motivo, formulato sempre ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 3, la Fondazione denuncia, sotto altro profilo, la violazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 3, comma 1, lettera d) e del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4 e deduce che la violazione del divieto non comporta nullita' della clausola appositiva del termine ed inoltre non legittima la ricostituzione del rapporto perche' la "pronuncia giudiziale determinerebbe l'assunzione a tempo indeterminato in un'azienda non in regola con le norme sulla sicurezza". 6. Nel rispetto dell'ordine logico delle questioni, vanno esaminati con priorita' i motivi del ricorso incidentale, che censurano la ritenuta nullita' della clausola appositiva del termine. L'ordinanza interlocutoria, nel prospettare l'eventuale inammissibilita' dell'impugnazione incidentale, segue il medesimo iter argomentativo sulla base del quale Cass. 10 maggio 2022 n. 14839, Cass. 6 giugno 2022 n. 18127, Cass. n. 7 giugno 2022 n. 18321, pronunciando in fattispecie analoga a quella oggetto di causa, hanno dichiarato l'inammissibilita' delle impugnazioni proposte dalla (OMISSIS), perche' redatte, in violazione del disposto del Decreto Legge 24 novembre 2000, n. 345, articolo 1, da avvocato del libero foro in assenza della apposita motivata delibera, da sottoporre agli organi di vigilanza, richiesta dal Regio Decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, articolo 43. In quelle pronunce si richiama il principio di diritto affermato da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 24876 del 20 ottobre 2017 (richiamata da Cass. 5 ottobre 2018 n. 24545, Cass. 13 dicembre 2021 n. 39430 e, in tema di fondazioni lirico sinfoniche, da Cass. 21 novembre 2018 n. 30118) e si sottolinea che quell'orientamento, sia pure in un contesto connotato dalla specialita' della normativa dettata per ADER dal Decreto Legge 22 ottobre 2016, n. 193, articolo 1 e' stato ribadito, al punto 28 della motivazione, da Cass. S.U. 19 novembre 2019 n. 30008. In quei giudizi, come si desume dalla narrativa dei fatti di causa e dallo sviluppo argomentativo delle decisioni, l'onere probatorio imposto dall'articolo 43 del richiamato Regio Decreto non era stato assolto dalla Fondazione ricorrente, la quale, invece, in questa sede ha depositato, oltre alla deliberazione del Consiglio di indirizzo adottata a " sanatoria" il 23 giugno 2022, di per se' non rilevante in ragione dell'inapplicabilita' al giudizio di cassazione dell'articolo 182 c.p.c. (cfr. Cass. S.U. 21 dicembre 2022 n. 37434), il Protocollo di Intesa, sottoscritto il 26 giugno 2015 dall'Avvocatura Generale dello Stato e dal Sovrintendente dell'epoca, approvato in pari data dal Consiglio, che consente, all'articolo 9, in via generale l'affidamento ad avvocati del libero foro delle controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza, fatta eccezione per quelle che abbiano notevole rilevanza e possano avere riflessi sugli assetti organizzativi e finanziari della Fondazione. Trattandosi di atto formato in epoca antecedente al rilascio della procura speciale della cui validita' si discute, si dovrebbe allora valutare se la sua esistenza (in questo caso documentata e rispondente, come si legge nelle premesse della stessa convenzione, ad una prassi adottata dall'Avvocatura Generale per disciplinare le deroghe al carattere generale ed esclusivo del patrocinio) possa giustificare l'estensione, a tutti gli enti ammessi al patrocinio Regio Decreto n. 1611 del 1933, ex articolo 43 che abbiano stipulato analoga convenzione, del principio di diritto affermato da queste Sezioni Unite con la richiamata pronuncia n. 30008 del 2019, nella parte in cui afferma che "se, invece, la convenzione non riserva all'Avvocatura erariale la difesa e rappresentanza in giudizio, non e' richiesta l'adozione di apposita delibera od alcuna altra formalita' per ricorrere al patrocinio a mezzo di avvocati del libero foro" e ne trae l'ulteriore conseguenza della non necessita' della produzione, anche nel giudizio di legittimita', dell'atto deliberativo di conferimento dell'incarico, da adottare antecedentemente al rilascio della procura. Si tratta di questione che, oltre ad esulare da quelle che hanno determinato la rimessione a queste Sezioni Unite, non e' stata specificamente dibattuta dalle parti le quali, anche in sede di discussione orale, hanno affrontato tutte il merito dei ricorsi. A fronte del quadro venutosi a delineare, successivamente all'ordinanza di rimessione, quanto alla prospettata inammissibilita' in rito del ricorso incidentale, sta l'evidente infondatezza nel merito dell'impugnazione, per le ragioni di cui si dira' in prosieguo, sicche' ritengono le Sezioni Unite che si possa soprassedere dal pronunciare sull'applicabilita' o meno alla fattispecie dei principi di diritto enunciati dalle richiamate Cass. S.U. n. 24876/2017 e Cass. S.U. n. 30008/2019. Infatti, sebbene, in linea generale e nella normalita', l'articolo 276 c.p.c., comma 2, imponga al giudice di esaminare con priorita' le questioni pregiudiziali di rito rispetto a quelle di merito, non di meno non sono mancate pronunce di queste Sezioni Unite che, in ragione della peculiarita' delle fattispecie che venivano in rilievo, hanno ritenuto di poter superare quell'ordine, valorizzando il principio dell'evidenza (Cass. S.U. 8 maggio 2014 n. 9936, Cass. S.U. 8 novembre 2015 nn. 23542 e 23543 del 2015). 6.1. Come si e' anticipato il ricorso incidentale e' manifestamente infondato. Nello storico di lite si e' evidenziato che la Corte distrettuale ha ritenuto la documentazione prodotta non idonea a provare l'avvenuto adempimento degli obblighi imposti al datore di lavoro dal Decreto Legislativo n. 19 settembre 1994 n. 626, richiamato dal Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368, articolo 3, lettera d), perche' la Fondazione aveva prodotto "un estratto risalente al lontano 1996, peraltro non sottoscritto" oltre al nuovo documento, redatto nell'anno 2008 successivamente all'instaurazione del primo rapporto a termine intercorso fra le parti. Solo ad abundantiam il giudice d'appello ha aggiunto, quanto alla documentazione risalente all'anno 1996, che sarebbe stato onere del datore dimostrare che nell'arco temporale compreso fra il 1996 ed il 2008 le caratteristiche organizzative dell'azienda erano rimaste immutate. Il motivo, nella parte in cui deduce che la valutazione del 1996 possedeva i requisiti di forma imposti dal richiamato Decreto Legislativo n. 626 del 1994, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione di legge, finisce per censurare la valutazione espressa dalla Corte territoriale sul contenuto della prova documentale e sollecita un accertamento di fatto che esula dai limiti del giudizio di legittimita'. Va ribadito al riguardo l'orientamento consolidato espresso da queste Sezioni Unite secondo cui, all'esito della riformulazione dell'articolo 360 c.p.c., n. 5, in relazione all'apprezzamento delle risultanze processuali rileva solo l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo. L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per se' vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benche' la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito da' luogo ad un vizio rilevante nel giudizio di legittimita' (si rimanda alla motivazione di Cass. S.U. 27 dicembre 2019 n. 34476, che richiama Cass. S.U. 7 aprile 2014 n. 8053; Cass. S.U. 18 aprile 2018 n. 9558; Cass. S.U. 31 dicembre 2018, n. 33679). L'inammissibilita' della censura inerente all'inidoneita' del documento asseritamente formato nel 1996 consolida il relativo capo della decisione, sufficiente a sorreggere il decisum, e cio' determina l'inammissibilita' del motivo nella parte in cui addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente posto a carico della Fondazione l'onere di provare che nell'arco temporale compreso fra il 1996 e l'instaurazione del primo contratto a termine intercorso fra le parti non si fossero verificate modifiche organizzative. 6.2. Manifestamente infondato e', poi, il secondo motivo. La giurisprudenza consolidata della Sezione Lavoro, dalla quale queste Sezioni Unite non hanno motivo di discostarsi, da tempo ha ritenuto che la violazione del divieto imposto dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 3, lettera d), comporta, quale conseguenza, la nullita' della clausola di durata. L'orientamento, inaugurato da Cass. 13 gennaio 2012 n. 392, e' stato ribadito, fra le tante, da Cass. 23 agosto 2019 n. 21683 e da Cass. 24 giugno 2020 n. 12499 (quest'ultima in tema di contratti a termine stipulati con una Pubblica Amministrazione) e le richiamate pronunce hanno tutte condivisibilmente osservato che la norma imperativa che vieta la stipulazione del contratto a termine alle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, e' finalizzata a garantire una piu' intensa protezione dei lavoratori assunti a termine, rispetto ai quali la flessibilita' d'impiego riduce la familiarita' con l'ambiente e gli strumenti di lavoro. Dalla violazione del divieto hanno, pertanto, fatto derivare la nullita' della clausola di durata, con conseguenze diverse per l'impiego privato e per quello pubblico contrattualizzato. Nel primo caso, infatti, sono stati ritenuti applicabili l'articolo 1339 c.c. e articolo 1419 c.c., comma 2, ed e' stata accertata la valida instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato; nell'altro, invece, in applicazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36 ed in presenza di una reiterazione del contratto, al lavoratore e' stato riconosciuto il risarcimento del danno, in adesione al principio di diritto enunciato da Cass. S.U. n. 5072 del 2016. Il motivo, per contestare l'orientamento espresso, fa leva su argomentazioni di mero fatto, ossia sull'esperienza che nella specie il dipendente, secondo le sue stesse allegazioni, avrebbe acquisito, argomentazioni che, all'evidenza, non assumono alcun rilievo nella ricerca e nell'interpretazione della ratio legis, da condurre sul piano astratto delle norme. Il motivo, dunque, deve essere rigettato. 7. Il rigetto del ricorso incidentale determina il passaggio in giudicato del capo della decisione che ha dichiarato la nullita' della clausola appositiva del termine, e cio' rende inammissibile il secondo motivo del ricorso principale. Difetta, infatti, ogni interesse a censurare la decisione nella parte in cui ha escluso la dedotta violazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, atteso che la domanda volta ad ottenere l'accertamento della nullita' del termine e' stata accolta dal giudice d'appello e rispetto a detta domanda l'originario ricorrente e' risultato vittorioso, con la conseguenza che il motivo di impugnazione si risolve nella richiesta, non consentita, di una diversa motivazione delle ragioni di accoglimento. 8. Il primo motivo del ricorso principale e' infondato. Occorre in premessa rilevare che, secondo l'orientamento consolidato nella giurisprudenza della Sezione Lavoro, dal quale queste Sezioni Unite non hanno motivo di discostarsi, qualora venga dedotta in giudizio la nullita' della clausola di durata apposta al contratto a termine e si sia in presenza di una successione di norme nel tempo, occorre fare riferimento alla normativa vigente alla data della stipulazione del contratto e non a quella in vigore al momento della pronuncia accertativa, perche' la conversione del rapporto e' la conseguenza del vizio genetico attinente all'apposizione del termine e pertanto, sia ai fini della decisione sulla legittimita' della clausola sia in relazione agli effetti che dall'illegittimita' derivano, rileva il momento temporale in cui l'actum e' stato posto in essere dalle parti (Cass. 18 novembre 2009 n. 24330 e negli stessi termini, fra le tante, Cass. 6 settembre 2018 n. 21724, Cass. 10 ottobre 2018 n. 25080, Cass. 17 settembre 2020 n. 19418). Dal principio di diritto discende che, al fine di valutare la fondatezza del ricorso principale, occorre ricostruire la complessa normativa del rapporto di lavoro a tempo determinato alle dipendenze degli enti lirici, normativa connotata da specialita', rispetto a quella generale applicabile ai rapporti di diritto privato, sia con riferimento ai requisiti necessari per la valida apposizione del termine di durata, sia in relazione alle conseguenze che derivano dall'accertata nullita' della clausola appositiva del termine. 9. Qualche cenno va fatto in premessa alla disciplina settoriale dettata per i rapporti di lavoro alle dipendenze degli enti lirici nell'ordinamento pubblicistico, delineato dalla L. 14 agosto 1967, n. 800, che, affermato l'interesse generale dello Stato alla "formazione musicale, culturale e sociale della collettivita' nazionale" (articolo 1), aveva riconosciuto agli enti lirici autonomi ed alle istituzioni concertistiche assimilate la personalita' di diritto pubblico (articolo 5) ed aveva sottoposto detti enti alla vigilanza del Ministero del turismo e dello spettacolo. Queste Sezioni Unite, pur in assenza di un'espressa qualificazione normativa in tal senso, avevano costantemente affermato la natura non economica di detti enti, desumendola dagli interessi perseguiti, dalla mancanza di finalita' di lucro, dal godimento di sovvenzioni e contributi pubblici, dalla presenza di entrate non destinate a remunerare fattori produttivi (cfr. Cass. S.U. 5 agosto 1977 n. 3519, Cass. S.U. 21 luglio 1978 n. 3630, Cass. S.U. 29 giugno 1984 n. 3838), sicche', ai fini del riparto di giurisdizione, avevano qualificato di impiego pubblico i rapporti di lavoro, sebbene gia' all'epoca instaurati su base contrattuale, nel rispetto della contrattazione collettiva di diritto comune (L. n. 800 del 1967, articolo 25) e di forme di collocamento speciale (L. n. 800 del 1967, articolo 47). Detta qualificazione veniva, poi, ribadita, sempre ai fini del riparto di giurisdizione, anche all'esito dell'entrata in vigore del Decreto Legge 11 settembre 1987, n. 374, articolo 3, che aveva esteso ai dipendenti degli enti lirici l'applicazione della normativa vigente per gli enti pubblici economici. Le Sezioni Unite, nell'escludere che l'intervento normativo avesse inciso sulla natura dell'ente e dei rapporti di lavoro, valorizzavano, da un lato, la progressiva accentuazione, rispetto all'impianto della disciplina originaria, degli interventi finanziari e dei controlli, anche sostitutivi, da parte dello Stato; dall'altro il principio di diritto secondo cui, salva espressa disposizione normativa derogatoria, la natura pubblica del rapporto di impiego e' correlata alla personalita' del datore di lavoro e non muta per il solo fatto che il rapporto medesimo sia costituito su base contrattuale e disciplinato da contratti privatistici (Cass. S.U. 28 ottobre 1993 n. 10705, richiamata, fra le altre, da Cass. S.U. 3 marzo 2010 n. 5029). 10. In quel contesto la giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.S. 20 luglio 2006 n. 4602 e le pronunce ivi richiamate) aveva escluso l'invocata estensibilita' al personale degli enti lirici della disciplina dettata dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, articolo 2 in tema di conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato, reiteratamente prorogato, in rapporto a tempo indeterminato. A tal fine, oltre a ribadire il divieto di conversione gia' affermato, piu' in generale, per i rapporti di impiego pubblico, aveva fatto leva su specifiche disposizioni derogatorie emanate dal legislatore, il quale, all'evidente fine di contenere la spesa per il personale e di porre rimedio alla cronica situazione di dissesto delle finanze degli enti lirici, gia' con la L. 22 luglio 1977, n. 426 aveva, all'articolo 3, previsto: il principio del necessario pareggio di bilancio; il divieto di assunzioni di personale amministrativo, artistico e tecnico, "anche in adempimento di obblighi di legge", comportanti l'aumento del contingente in servizio alla data del 31 ottobre 1973 (comma 2); il divieto di "rinnovi dei rapporti di lavoro che, in base a disposizioni legislative o contrattuali, comporterebbero la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato" (comma 4). La L. 17 febbraio 1982, n. 43, articolo 2 aveva, poi, aggiunto, al richiamato articolo 3, il comma 5, secondo cui "le assunzioni attuate in violazione del divieto di cui al precedente comma sono nulle di diritto, ferma la responsabilita' personale di chi le ha disposte". L'inapplicabilita' agli enti lirici della citata L. n. 230 del 1962 nella sua interezza era stata, poi, sancita dalla L. 23 dicembre 1992, n. 498, articolo 9, comma 4, che aveva anche previsto, per l'anno 1993, il divieto di assunzione di personale a tempo indeterminato ed aveva consentito solo a determinate condizioni il ricorso al rapporto a tempo determinato (Per il 1993, gli enti e le istituzioni di cui al comma 1 non possono assumere personale a tempo indeterminato, neanche in sostituzione di personale cessato dal servizio. Sono altresi' vietate assunzioni di personale a tempo determinato, salvo che si tratti di personale artistico e tecnico da impiegare per singole opere o spettacoli, o di personale tecnico, artistico e amministrativo addetto alla preparazione e allo svolgimento di festival estivi o all'aperto di fama internazionale che risultino realta' consolidate e con carattere di continuita'. Non si applicano le disposizioni della L. 18 aprile 1962, n. 230, e successive modificazioni.). Si trattava, quindi, di specifiche disposizioni impeditive della costituzione di rapporti a tempo indeterminato che, in ragione della loro specialita', la giurisprudenza amministrativa aveva valorizzato per affermare, in adesione a quanto statuito da queste Sezioni Unite, che, pur a fronte del rinvio contenuto nel Decreto Legge n. 374 del 1987, la permanenza della caratterizzazione non economica degli enti lirici e della natura stricto sensu pubblicistica del rapporto di lavoro, impediva l'estensione delle norme relative agli enti pubblici economici eccentriche rispetto alle disposizioni intese alla regolazione dei profili economici del rapporto stesso. Conclusivamente, gia' all'epoca, si era in presenza di un rapporto di lavoro per cosi' dire "ibrido", che presentava, cioe', elementi di diversificazione sia rispetto all'impiego pubblico tradizionale, perche' costituito su base contrattuale e disciplinato da contratti collettivi di natura privatistica, sia rispetto al rapporto di lavoro privato, in quanto la natura pubblica dell'ente e la disciplina settoriale impedivano l'estensione piena della disciplina privatistica, applicabile agli enti pubblici economici, solo apparentemente richiamata nella sua interezza dal Decreto Legge n. 374 del 1987. 11. Con il Decreto Legislativo 29 giugno 1996, n. 367 e' stato avviato il processo di trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto privato, del quale il legislatore ha previsto la doverosita' (articolo 1), rimettendone, pero', inizialmente l'attuazione ai singoli enti, nei termini e con le modalita' previste dagli articoli da 5 a 9 del decreto, e stabilendo che il riconoscimento della personalita' giuridica di diritto privato sarebbe stato conseguente all'approvazione della delibera di trasformazione da parte della competente autorita' di Governo (articoli 8 e 9). Il Decreto Legislativo ha previsto, come principio di carattere generale, che le fondazioni " sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto dal presente decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo", principio, poi, ripreso, quanto al personale, dall'articolo 22 che, nel testo originario, al comma 1 prevede che " i rapporti di lavoro dei dipendenti delle fondazioni sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa e sono costituiti e regolati contrattualmente." ed ai commi successivi inserisce specifiche deroghe stabilendo: l'inapplicabilita' della L. n. 230 del 1962, articolo 2; l'applicabilita' dell'articolo 2103 c.c. solo a condizione che risulti superata la verifica di idoneita' professionale nelle forme stabilite dalla contrattazione collettiva; la riserva alla contrattazione collettiva della quantificazione del trattamento retributivo (Al personale artistico e tecnico della fondazione non si applicano le disposizioni della L. 18 aprile 1962, n. 230, articolo 2. L'articolo 2103 c.c., si applica al personale artistico, a condizione che esso superi la verifica di idoneita' professionale, nei modi disciplinati dalla contrattazione collettiva. La retribuzione del personale e' determinata dal contratto collettivo nazionale di lavoro. Resta riservato alla fondazione ogni diritto di sfruttamento economico degli spettacoli prodotti, organizzati o comunque rappresentati, ed in generale delle esecuzioni musicali svolte nell'ambito del rapporto di lavoro). 11.1. Al Decreto Legislativo n. 367 del 1996 ha, poi, fatto seguito il Decreto Legge 20 novembre 2000, n. 345, convertito dalla L. 26 febbraio 2001, n. 6, che, reiterando nella sostanza le disposizioni gia' contenute nel Decreto Legislativo 23 aprile 1998, n. 134, dichiarato incostituzionale per difetto di delega con sentenza 18 novembre 2000 n. 503, ha previsto la trasformazione ex lege degli enti lirici in fondazioni di diritto privato con decorrenza retroattiva dal 23 maggio 1998 e, quanto alla disciplina applicabile ai rapporti di lavoro instaurato dalle fondazioni, ha richiamato il precedente Decreto n. 367 del 1996, aggiungendo solo minime specificazioni, non rilevanti in questa sede perche' relative al regime pensionistico ed assicurativo. A partire, dunque, dalla data sopra indicata la mutata natura del datore di lavoro (inizialmente pubblica e poi trasformata in personalita' giuridica di diritto privato) ha comportato la sottrazione dei rapporti di lavoro instaurati dagli enti lirici dall'area dell'impiego pubblico, con la conseguenza che e' mutato integralmente il sistema delle fonti, perche' se, in precedenza, secondo le indicazioni date dalla giurisprudenza citata al punto 6, era alla normativa dell'impiego pubblico che occorreva fare riferimento (in assenza di disciplina speciale), successivamente alla trasformazione l'applicabilita' di quest'ultima e' condizionata da un espresso richiamo, in difetto del quale trova applicazione la disciplina dell'impiego privato. 12. Di questo rapporto fra le fonti ha, evidentemente, tenuto conto il legislatore allorquando, con il Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368, nel dare attuazione alla direttiva 1999/70/CE, ha riscritto la disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato, piu' volte, poi, modificata nel tempo, e, per quel che qui rileva, all'articolo 11, comma 4, ha previsto che "al personale artistico e tecnico delle fondazioni di produzione musicale previste dal Decreto Legislativo 29 giugno 1996, n. 367, non si applicano le norme di cui agli articoli 4 e 5", ossia la disciplina della proroga, del rinnovo del contratto, della prosecuzione del rapporto oltre la scadenza del termine. Cosi' come, in precedenza, il Decreto Legislativo n. 367 del 1996, articolo 22, comma 2, aveva escluso l'applicazione della sola L. n. 230 del 1960, articolo 2, relativo ai medesimi istituti, con il Decreto Legislativo n. 368 del 2001 il legislatore delegato non ha inserito il personale delle fondazioni liriche nelle categorie sottratte, dall'articolo 10, all'applicazione dell'intero decreto, bensi' ha affermato l'inapplicabilita' delle sole disposizioni espressamente richiamate, con una tecnica legislativa che rende evidente la volonta' di ritenere per il resto applicabile il decreto. 13. Non dissimile e' stata la scelta del legislatore delegato in occasione della revisione della "disciplina organica dei contratti di lavoro..." approvata con il Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81. Anche in tal caso i rapporti intercorrenti con il personale artistico e tecnico delle fondazioni di produzione musicale di cui al Decreto Legislativo n. 367 del 1996 non sono stati sottratti alla disciplina privatistica nella sua interezza bensi', nella versione originaria, e' stata prevista l'inapplicabilita' delle sole disposizioni dettate dagli articoli 19, commi da 1 a 3, e 21, relativi, rispettivamente, alla durata massima del rapporto a tempo determinato ed alla disciplina delle proroghe e dei rinnovi. Il legislatore delegato ha ampliato il regime derogatorio rispetto all'analoga disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001 e nel far cio' ha, evidentemente, tenuto conto dello sviluppo della normativa settoriale verificatosi medio tempore. 14. Infatti con il Decreto Legge 30 aprile 2010, n. 64, articolo 3, convertito dalla L. 29 giugno 2010, n. 100, erano state dettate ulteriori disposizioni in materia di personale delle fondazioni lirico-sinfoniche e, quanto al rapporto di lavoro a tempo determinato, era stato previsto, al comma 6, che " Non si applicano, in ogni caso, alle fondazioni lirico-sinfoniche le disposizioni del Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368, articolo 1, commi 1 e 2". Dalla comparazione fra il testo della norma in commento e quello del gia' richiamato il Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 11, emerge evidente l'estensione della deroga contenuta in quest'ultima disposizione, perche', all'esito dell'intervento riformatore, la deroga stessa risulta, non piu' limitata alla sola disciplina delle proroghe e dei rinnovi, bensi' ampliata sino a ricomprendere anche parte dell'articolo 1 che, nel testo all'epoca vigente (antecedente alla modifica attuata dalla L. 28 giugno 2012, n. 92), sanciva, al comma 01, la regola secondo cui il contratto di lavoro e' stipulato, di regola, a tempo indeterminato, ed al comma 2 prevedeva che, a pena di inefficacia, l'apposizione del termine dovesse risultare da atto scritto, nel quale dovevano essere specificate le ragioni (tecniche, produttive, organizzative o sostitutive) del ricorso alla tipologia contrattuale. 15. Il medesimo articolo 3 stabiliva, inoltre, sempre al comma 6, che "Alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, continua ad applicarsi la L. 22 luglio 1977, n. 426, articolo 3, comma 4 e comma 5 e successive modificazioni, anche con riferimento ai rapporti di lavoro instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo anteriore alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368.". La disposizione, in parte qua, a partire da Cass. 26 maggio 2011 n. 11573, poi ripresa da Cass. 20 marzo 2014 n. 6547 e da altre successive conformi, era stata interpretata da questa Corte in senso restrittivo ed era stato escluso che la sanzione di nullita', prevista dal comma 5 (aggiunto dalla L. n. 43 del 1982), si riferisse a qualsivoglia contratto a tempo determinato stipulato in assenza delle condizioni di legge, essendo, invece, limitata ai soli rinnovi richiamati nel comma 4, al quale il comma 5 fa specifico riferimento. Il legislatore e', quindi, intervenuto nuovamente sul tema e, con il Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69, articolo 40, comma 1 bis, convertito dalla L. 9 agosto 2013 n. 98, ha previsto che "Decreto Legge 30 aprile 2010, n. 64, articolo 3, comma 6, primo periodo, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle fondazioni, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle nome in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine, di proroga o di rinnovo dei medesimi contratti". 15.1. La disposizione, espressamente qualificatasi interpretativa, e' stata dichiarata incostituzionale dal Giudice delle leggi con sentenza n. 260 dell'11 dicembre 2015, con la quale la Corte, in sintesi, ha rilevato che il legislatore, estendendo il divieto di stabilizzazione sancito dalla L. n. 426 del 1997, articolo 3, comma 5, oltre il limite del rinnovo, aveva attribuito alla norma interpretata "un contenuto precettivo dissonante rispetto al significato della parola "rinnovi", accreditato da una costante elaborazione della giurisprudenza di legittimita'" e cosi' facendo aveva leso l'autonomo esercizio della funzione giurisdizionale, interferendo sui giudizi in corso, nonche' " l'affidamento dei consociati nella sicurezza giuridica e le attribuzioni costituzionali dell'autorita' giudiziaria". 16. Nel dichiarare l'incostituzionalita' della norma interpretativa la stessa Corte Costituzionale ha dato atto, nella motivazione, delle disposizioni di carattere innovativo con le quali, in un disegno complessivo improntato all'esigenza di razionalizzare la spesa, il legislatore aveva accentuato, per le fondazioni lirico-sinfoniche, gli aspetti derogatori rispetto alla disciplina generale, sottraendo i rapporti a termine delle fondazioni medesime, oltre che al rispetto delle condizioni imposte per le proroghe ed i rinnovi, all'applicazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1, commi 1 e 2 nel testo all'epoca vigente. In questo contesto, sollecitata dalla domanda di pronuncia pregiudiziale avanzata dalla Corte d'appello di Roma con ordinanza del 15 maggio 2017, e' intervenuta la Corte di Giustizia dell'Unione Europea che, con sentenza del 25 ottobre 2018, in causa C-331/17, Sciotto, sulla quale si tornera' in prosieguo, ha ritenuto contrastante con la clausola 5 dell'Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato " una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale le norme di diritto comune disciplinanti i rapporti di lavoro, e intese a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato tramite la conversione automatica del contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato se il rapporto di lavoro perdura oltre una data precisa, non sono applicabili al settore di attivita' delle fondazioni lirico-sinfoniche, qualora non esista nessun'altra misura effettiva nell'ordinamento giuridico interno che sanzioni gli abusi constatati in tale settore.". 17. La pronuncia della Corte di Giustizia ha sollecitato un ulteriore intervento del legislatore che con il Decreto Legge 28 giugno 2019, n. 59, convertito dalla L. agosto 2019 n. 81, ha aggiunto al Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 29, i commi 3 bis e 3 ter, prevedendo la possibilita' per le fondazioni lirico-sinfoniche di ricorrere al contratto a termine, nel limite massimo di trentasei mesi, "in presenza di esigenze contingenti o temporanee determinate dalla eterogeneita' delle produzioni artistiche che rendono necessario l'impiego anche di ulteriore personale artistico e tecnico ovvero, nel rispetto di quanto previsto nel contratto collettivo di categoria, dalla sostituzione di lavoratori temporaneamente assenti", da indicare nell'atto scritto, richiesto a pena di nullita', "anche attraverso il puntuale riferimento alla realizzazione di uno o piu' spettacoli, di una o piu'' produzioni artistiche cui sia destinato l'impiego del lavoratore assunto con contratto di lavoro a tempo determinato" (comma 3 bis). E' stata, altresi', esclusa, dal comma 3 ter, la conversione in rapporto a tempo indeterminato del rapporto a termine stipulato in violazione delle norme inderogabili riguardanti la costituzione, la durata, la proroga o i rinnovi dei contratti ed e' stato testualmente previsto che in detti casi il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro resa in violazione di norma imperativa, con obbligo per la fondazione di agire nei confronti dei dirigenti, che abbiano agito con dolo o colpa grave, per il recupero delle somme pagate a tale titolo. In tal modo, quindi, quanto alle conseguenze della nullita' della clausola appositiva del termine, e' stata dettata una disciplina speciale derogatoria rispetto a quella prevista per l'impiego privato e nella sostanza sovrapponibile a quella prevista per l'impiego pubblico contrattualizzato dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, comma 5. 18. Il Decreto Legge n. 50 del 2019 ha contestualmente riformulato il Decreto Legislativo n. 367 del 1996, articolo 22 che, nel testo risultante all'esito della riscrittura, ribadisce, al comma 1, la natura privatistica dei rapporti instaurati dalle fondazioni lirico-sinfoniche ma inserisce anche, dal comma 2 ter al comma 2 decies, una serie di condizioni limitative delle facolta' assunzionali, a tempo determinato ed indeterminato, con obbligo per le fondazioni di rideterminazione delle dotazioni organiche. Il comma 2 prescrive per il reclutamento del personale il previo esperimento di procedure selettive pubbliche (Le fondazioni di cui all'articolo 1 e di cui alla L. 11 novembre 2003, n. 310 procedono al reclutamento del personale con contratti di lavoro a tempo indeterminato, previo esperimento di apposite procedure selettive pubbliche. Con propri provvedimenti, le fondazioni stabiliscono criteri e modalita' per il reclutamento del personale di cui al primo periodo nel rispetto dei principi, anche di derivazione Europea, di trasparenza, pubblicita' e imparzialita' e dei principi di cui al Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 35, comma 3. In caso di mancata adozione dei suddetti provvedimenti, trova diretta applicazione il citato il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 35, comma 3. I provvedimenti di cui al secondo periodo sono pubblicati sul sito istituzionale della fondazione. In caso di mancata o incompleta pubblicazione si applicano il Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33, articolo 22, comma 4, articolo 46 e articolo 47, comma 2 e successive modificazioni) ed il comma 2 bis, oltre a devolvere alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione delle controversie sulla validita' di dette procedure, prevede la nullita' dei contratti stipulati in assenza delle stesse, ferma restando l'applicazione dell'articolo 2126 c.c. (Fermo quanto previsto dall'articolo 2126 c.c., i contratti di lavoro stipulati in assenza dei provvedimenti o delle procedure di cui al comma 2, sono nulli. Sono devolute al giudice ordinario le controversie relative alla validita' dei provvedimenti e delle procedure di reclutamento del personale). La disciplina del reclutamento, quindi, e' stata dettata dal legislatore assumendo a modello di riferimento quella prevista dal Decreto Legislativo 19 agosto 2016, n. 175, articolo 19, per il personale delle societa' a controllo pubblico. 19. Cosi' come avvenuto per queste ultime (per le quali era intervenuto il Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112, articolo 18 convertito dalla L. 6 agosto 2008, n. 133), il previo esperimento di procedure selettive pubbliche era gia' stato previsto, per il reclutamento del personale a tempo indeterminato, dal Decreto Legge 8 agosto 2013, n. 91, articolo 11, convertito dalla L. 7 ottobre 2013, n. 112, che, nel dettare "Disposizioni urgenti per il risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche e il rilancio del sistema nazionale musicale di eccellenza", aveva limitato le capacita' di spesa e le facolta' assunzionali delle fondazioni e stabilito, al comma 19, che "Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso le fondazioni lirico-sinfoniche e' instaurato esclusivamente a mezzo di apposite procedure selettive pubbliche.". 20. Il Decreto Legge in commento, ispirato dall'intento di contenere i costi e di abbattere le spese attinenti al personale, era stato a sua volta preceduto da altri interventi normativi, tutti finalizzati al raggiungimento del medesimo obiettivo, con i quali era stato fatto divieto alle fondazioni di procedere a nuove assunzioni, per singole annualita' espressamente indicate nelle disposizioni di legge, salva la ricorrenza dell'autorizzazione rilasciata dal Ministero per i beni e per le attivita' culturali, previa verifica dell'assoluta necessita' dell'assunzione. Gia' la L. 31 marzo 2005, n. 43, di conversione del Decreto Legge 31 gennaio 2005, n. 7, aveva inserito nel testo del decreto l'articolo 3 ter che, per l'anno 2005, faceva divieto alle fondazioni lirico-sinfoniche di assunzione di nuovo personale a tempo indeterminato, fatta eccezione per le fondazioni che avevano raggiunto nell'anno precedente almeno il pareggio di bilancio ed a condizione che le assunzioni stesse avvenissero nei limiti della pianta organica e senza aggravamento della spesa (Per l'anno 2005, alle fondazioni lirico-sinfoniche e' fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato. Fino al medesimo termine, il personale a tempo determinato non puo' superare il quindici per cento dell'organico funzionale approvato. Hanno comunque facolta' di assumere personale a tempo indeterminato, nei limiti delle rispettive piante organiche e senza nuovi oneri o maggiori oneri per la finanza pubblica, le fondazioni con bilancio verificato dell'anno precedente almeno in pareggio). Una disposizione ancor piu' limitativa era contenuta nell'articolo 1, comma 595, della legge finanziaria per l'anno 2006 (L. 23 dicembre 2005 n. 266), che prevedeva un divieto assoluto di assunzione a tempo indeterminato per gli anni 2006 e 2007 (Per gli anni 2006 e 2007 alle fondazioni lirico-sinfoniche e' fatto divieto di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato. Fino al medesimo termine il personale a tempo determinato non puo' superare il 20 per cento dell'organico funzionale approvato). Il divieto veniva, poi, prorogato agli anni dal 2008 al 2010 dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 2, comma 392, che consentiva solo l'instaurazione di nuovi rapporti, nei limiti delle vacanze della pianta organica, se autorizzati dal Ministero vigilante e finalizzati a sopperire a comprovate esigenze produttive (Ai sensi della L. 23 dicembre 2005, n. 266, articolo 1, comma 595, per gli anni 2008, 2009 e 2010 alle fondazioni lirico-sinfoniche e' fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato. Possono essere effettuate assunzioni a tempo indeterminato di personale artistico, tecnico ed amministrativo per i posti specificatamente vacanti nell'organico funzionale approvato, esclusivamente al fine di sopperire a comprovate esigenze produttive, previa autorizzazione del Ministero vigilante. Per il medesimo periodo il personale a tempo determinato non puo' superare il 15 per cento dell'organico funzionale approvato). Infine con l'articolo 3, comma 5, della gia' citato Decreto Legge n. 64 del 2010, da un lato, il divieto di nuove assunzioni veniva prorogato sino a tutto il 2012 (termine poi anticipato al 2011 dalla legge di conversione), con previsione dell'inefficacia anche delle procedure concorsuali in atto, fatte salve le assunzioni delle professionalita' artistiche indispensabili per l'attivita' di produzione degli spettacoli; dall'altro si stabilivano, a regime e a decorrere dall'anno 2013 (termine anticipato al 2012 dalla legge di conversione), limitazioni alle facolta' assunzionali, riconosciute solo nel rispetto del turn over e della compatibilita' di bilancio (A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2012, alle fondazioni lirico-sinfoniche e' fatto divieto di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, nonche' di indire procedure concorsuali per tale scopo, fatto salvo che per quelle professionalita' artistiche, di altissimo livello, necessarie per la copertura di ruoli di primaria importanza indispensabili per l'attivita' produttiva, previa autorizzazione del Ministero per i beni e le attivita' culturali. Le procedure concorsuali non compatibili con le disposizioni del presente decreto, in atto al momento della sua entrata in vigore, sono prive di efficacia. A decorrere dall'anno 2013 le assunzioni a tempo indeterminato, effettuate previa autorizzazione del Ministero per i beni e le attivita' culturali, sono annualmente contenute in un contingente complessivamente corrispondente ad una spesa non superiore a quella relativa al personale cessato nel corso dell'anno precedente. In ogni caso il numero delle unita' da assumere non potra' essere superiore a quello delle unita' cessate nell'anno precedente, fermo restando le compatibilita' di bilancio della fondazione...). 21. Dalla ricostruzione del complesso quadro normativo si puo' trarre una prima conclusione, che e' poi quella dalla quale prende le mosse l'ordinanza interlocutoria: gli interventi legislativi succedutisi nel tempo hanno progressivamente accentuato il carattere di specialita' della disciplina dettata per il personale delle fondazioni lirico-sinfoniche rispetto a quella dei rapporti di lavoro fra privati e di pari passo sono stati estesi agli enti lirici, pur se privatizzati, limiti analoghi a quelli imposti alle facolta' assunzionali delle pubbliche amministrazioni e delle societa' da queste ultime controllate. La trasformazione dell'ente pubblico in fondazione di diritto privato non ha risolto le aporie gia' emerse nella fase antecedente alla privatizzazione, atteso che la nuova qualificazione giuridica delle fondazioni ha lasciato immutati quegli aspetti della regolamentazione delle modalita' di funzionamento di detti enti che si giustificano solo in ragione degli interessi generali che, attraverso le fondazioni, lo Stato persegue, interessi che, a loro volta, danno ragione dell'impiego di capitale in prevalenza pubblico. Non a caso la Corte Costituzionale, chiamata a giudicare sul riparto di competenze fra Stato e Regioni in relazione alla normativa di revisione organica delle fondazioni dettata dalla Decreto Legge n. 64 del 2010, ha ritenuto che l'intervento attuato rientrasse nella materia "ordinamento ed organizzazione amministrativa dello Stato e degli altri enti pubblici", alla luce degli indici pubblicistici conservati dalle fondazioni anche all'esito della trasformazione, indici ravvisati nella preminente rilevanza dello Stato nei finanziamenti, nel conseguente assoggettamento al controllo della Corte dei Conti, nella previsione del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, nell'inclusione di detti enti fra gli organismi di diritto pubblico soggetti, all'epoca, al rispetto del Decreto Legislativo n. 163 del 2003 (Corte Costituzionale 21 aprile 2011 n. 153). Quegli aspetti evidenziati dal Giudice delle leggi giustificano, pur a fronte della qualificazione privatistica delle fondazioni e dei rapporti di lavoro dagli stessi instaurati, deroghe alla disciplina dettata per i rapporti fra privati, disciplina alla quale, secondo un meccanismo non dissimile da quello indicato dal legislatore e da queste Sezioni Unite in tema di societa' a controllo pubblico, occorre, si', fare riferimento, ma a condizione che non si rinvengano disposizioni speciali di settore o ragioni ostative di sistema (cfr. fra le tante Cass. S.U. n. 29078/2019, Cass. S.U. n. 21299/2017, Cass. S.U. n. 7759/2017, Cass. S.U. n. 26591/2016). 21. Nel dare conto degli interventi normativi successivi alla trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto privato si e' gia' fatto cenno all'orientamento espresso dalla Sezione Lavoro sull'interpretazione del Decreto Legislativo n. 367 del 1996, articolo 22, nel testo originario, e del Decreto Legge n. 64 del 2010, articolo 3, comma 6. Secondo quell'orientamento, richiamato ed avallato dalla Corte Costituzionale nella motivazione della sentenza n. 260 del 2015, la privatizzazione degli enti lirici ha indotto, quale effetto, l'estensione della disciplina privatistica dei rapporti di lavoro, anche speciali, fatte salve le specifiche deroghe espressamente previste dal legislatore, deroghe che non possono essere tratte da disposizioni antecedenti alla trasformazione, ove non richiamate, in quanto dette disposizioni, intervenute in un diverso contesto, si devono ritenere abrogate per incompatibilita' con la nuova disciplina del rapporto privatizzato. Valorizzando il Decreto Legislativo n. 367 del 1996, articolo 22, commi 1 e 2, che fissano, rispettivamente, in tema di rapporto a tempo determinato la regola e l'eccezione, nonche' il disposto del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 11 sono stati, dunque, enunciati, da Cass. 20 marzo 2014 n. 6547 e da numerose pronunce successive conformi, i principi di diritto riportati nell'ordinanza interlocutoria secondo cui: a) ai contratti del personale artistico sottoscritti prima della trasformazione degli enti lirici in fondazioni con personalita' giuridica di diritto privato (ovvero prima del 23 maggio 1998) sono inapplicabili le disposizioni della L. 18 aprile 1962, n. 230, e in particolare le norme sui rinnovi dei rapporti di lavoro (L. n. 426 del 1977, articolo 3, commi 4 e 5); b) successivamente alla trasformazione (a partire, dunque, dal 23 maggio 1998), e fino all'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, ai contratti di lavoro a termine stipulati con le fondazioni lirico-sinfoniche si applica la disciplina prevista dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, con l'unica esclusione costituita dell'articolo 2 legge cit., relativa alla proroghe, alla prosecuzione ed ai rinnovi dei contratti a tempo determinato, come stabilito dal Decreto Legislativo 29 giugno 1996, n. 367, articolo 22; c) dopo l'entrata in vigore del Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368, ai contratti di lavoro a termine stipulati dal personale delle fondazioni lirico-sinfoniche previste dal Decreto Legislativo 29 giugno 1996, n. 367, si applicano le disposizioni di cui al Decreto Legislativo n. 368 del 2001, con le uniche esclusioni costituite dall'articolo 4, relativo alle proroghe, e dall'articolo 5, relativo alle prosecuzioni ed ai rinnovi, come stabilito dal Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 11, comma 4; d) il Decreto Legge 30 aprile 2010, n. 64, articolo 3, comma 6, convertito in legge con modificazioni, con L. 29 giugno 2010, n. 100, nella parte in cui dispone che "alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione soggetti di diritto privato, continua ad applicarsi la L. 22 luglio 1977, n. 426, articolo 3, commi 4 e 5, e successive modificazioni, anche con riferimento ai rapporti di lavoro instaurati dopo la loro trasformazione in soggetti di diritto privato e al periodo anteriore alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368", ha un valore meramente confermativo della inapplicabilita' ai rapporti in esame delle norme in tema di rinnovi dei contratti a tempo determinato, dovendosi intendere tale termine riferito alla continuazione del rapporto di lavoro dopo la sua scadenza e per un periodo superiore a quello indicato dal legislatore, la riassunzione del lavoratore effettuata prima della scadenza del periodo minimo fissato dalla legge, nonche', infine, il fenomeno delle assunzioni successive alla scadenza del termine e senza soluzione di continuita'. L'articolo 3 non riguarda invece i vizi afferenti alla mancanza dell'atto scritto e alla insussistenza delle ipotesi tipiche ovvero delle ragioni di carattere produttivo che legittimano l'apposizione del termine. Per i contratti stipulati nella vigenza del Decreto Legislativo n. 368 del 2001 si e', dunque, operata la distinzione fra il vizio genetico del rapporto, ravvisato in assenza di specificazione della causale e di insussistenza delle ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive, e quello derivante dal mancato rispetto della disciplina dettata dagli articoli 4 e 5 del decreto, in tema di prosecuzione, proroga e rinnovi. L'impossibilita' di convertire il rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato e' stata affermata in relazione alle sole fattispecie per le quali il legislatore ha espressamente previsto la deroga all'applicazione della disciplina ordinaria, disciplina che la Sezione Lavoro, quanto alle conseguenze della nullita' della clausola di durata, a partire da Cass. 21 maggio 2008 n. 12985 ha costantemente interpretato nel senso che, pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente l'insussistenza delle ragioni giustificative del termine, la nullita' della clausola di durata resta circoscritta a quest'ultima e determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in base ai principi generali in materia di nullita' parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonche' alla stregua dell'interpretazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1 alla luce della direttiva comunitaria 1999/70/CE e del sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato. 21.1. All'applicazione di detto ultimo principio non sono stati ritenuti ostativi ne' il divieto di assunzione a tempo indeterminato, che la disciplina settoriale snodatasi nel tempo ha imposto alle fondazioni liriche sinfoniche, in termini assoluti o relativi, ne' la previsione, contenuta nel Decreto Legge n. 91 del 2013, articolo 11, comma 19, secondo cui i rapporti di lavoro a tempo indeterminato con dette fondazioni si instaurano "esclusivamente" a seguito di procedure selettive pubbliche. Le richiamate conclusioni sono state ribadite, fra le tante, da Cass. 10 dicembre 2019 n. 32150 e da Cass. 11 dicembre 2019 n. 32420 che, riprendendo l'iter argomentativo gia' sviluppato nelle precedenti pronunce, hanno ritenuto le disposizioni dettate in materia di blocco delle assunzioni norme esterne alla fattispecie dedotta in giudizio, perche' riguardanti il funzionamento e l'autorganizzazione del datore di lavoro, con la conseguenza che le stesse, pur potendo incidere indirettamente sull'esistenza del rapporto invocata dal privato, non possono far degradare la posizione di diritto soggettivo sorta in conseguenza di atti di gestione del rapporto di tipo privatistico. Quanto agli adempimenti imposti per la costituzione del rapporto a tempo indeterminato si e' evidenziato che "la circostanza che le assunzioni avvengano di norma per concorso pubblico (disposizione ben diversa da quella di cui all'articolo 97 Cost.) non pone limitazioni al giudice in caso di accertata sussistenza dei presupposti per la conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato". 21.2. L'ordinanza interlocutoria osserva che l'orientamento espresso in tema di rilevanza, ai fini dell'accertamento della costituzione fra le parti di un valido rapporto di lavoro a tempo indeterminato, della normativa settoriale che pone limiti alle facolta' assunzionali contrasta con i principi di diritto enunciati dalla Sezione Lavoro in fattispecie nelle quali, pur discutendosi di contratti a termine stipulati da enti diversi dalle fondazioni lirico sinfoniche, venivano comunque in rilievo disposizioni limitative o proibitive delle assunzioni a tempo indeterminato, imposte dal legislatore, statale o regionale, in relazione a rapporti che, seppure regolati in linea generale dal diritto privato in ragione della natura del datore di lavoro, sono riferibili a soggetti che impiegano nella gestione risorse pubbliche e, in ragione di cio', sono soggetti al controllo dell'amministrazione pubblica di riferimento, oltre che a quello contabile della Corte dei Conti. Richiama, in particolare, quanto all'incidenza del divieto di assunzione, l'orientamento, espresso da Cass. 9 gennaio 2019 n. 274 e da numerose pronunce successive conformi, sull'impossibilita' di convertire in rapporto a tempo indeterminato i contratti a termine stipulati dai Consorzi di bonifica della Regione Siciliana. Evidenzia, poi, che, in relazione all'incidenza della normativa inerente alle modalita' di costituzione dei rapporti a tempo indeterminato, a conclusioni diverse, rispetto a quelle espresse per le fondazioni lirico sinfoniche, la Sezione Lavoro e' pervenuta in fattispecie nelle quali veniva in rilievo la normativa, come si e' visto analoga se non sovrapponibile, dettata per regolare il reclutamento del personale delle societa' a controllo pubblico (orientamento inaugurato da Cass. 14 febbraio 2018 n. 3621 e poi ripreso e sviluppato da Cass. 23 luglio 2019 n. 19925, Cass. 11 febbraio 2022 n. 4571, Cass. 14 settembre 2022 n. 27126, Cass. 14 ottobre 2022 n. 30235). Sottolinea che quest'ultimo orientamento ha fatto leva sull'analogo principio affermato da queste Sezioni Unite con la sentenza 9 marzo 2015 n. 4685 sugli enti pubblici economici della Regione Sicilia, con la quale la convertibilita' del rapporto, seppure privatistico, e' stata ritenuta condizionata dall'assenza di una disciplina di settore volta ad imporre per il reclutamento procedure concorsuali o selettive. Rileva, infine, che quelle pronunce hanno richiamato il principio, piu' generale, enunciato da queste Sezioni Unite con la sentenza 19 dicembre 2007 n. 26724 che, ribadita la rilevanza ai fini della cosiddetta nullita' virtuale della tradizionale distinzione fra norme di comportamento dei contraenti e norme di validita' del contratto, ha osservato, in motivazione, che nell'area delle norme inderogabili sono sicuramente ricomprese quelle disposizioni che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto. La questione posta dall'ordinanza interlocutoria, seppure prospettata in relazione alle fondazioni lirico sinfoniche, chiama, dunque, queste Sezioni Unite a pronunciare su un tema piu' generale, ossia sulla possibilita' di ritenere costituito fra le parti, come conseguenza dell'inefficacia o nullita' della clausola appositiva del termine, un valido rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in presenza di discipline settoriali che facciano divieto di instaurazione di detto rapporto o la subordinino al rispetto di forme di reclutamento finalizzate alla selezione dei piu' meritevoli ed alla verifica della sussistenza dei requisiti richiesti per l'assunzione. 22. Il tema si collega a quello, di respiro ancor piu' ampio, della nullita' contrattuale cosiddetta "virtuale", ossia non espressamente sancita dal legislatore, che rileva anche in ambito lavoristico. I principi affermati dalla citata Cass. S.U. n. 26724 del 2007 sono stati piu' di recente ripresi e sviluppati da queste Sezioni Unite con la sentenza 15 marzo 2022 n. 8472, che ha ribadito l'orientamento secondo cui la mancanza di una espressa sanzione di nullita' non e' decisiva per escludere che l'atto negoziale sia nullo, atteso che l'articolo 1418 c.c., comma 1, e' espressione di un principio di carattere generale, ed e' volto ad impedire che possano essere produttivi di effetti negozi giuridici posti in essere in violazione di norme imperative. Affermato che imperativita' della norma non e' sinonimo di inderogabilita', perche' solo la prima e' espressione di interessi pubblici fondamentali per l'ordinamento, le Sezioni Unite hanno ripercorso lo sviluppo giurisprudenziale che ha portato progressivamente a superare la tesi secondo cui l'invalidita' deve rimanere circoscritta al vizio o alla mancanza dell'elemento costitutivo della fattispecie negoziale, ossia al contenuto del negozio, ed hanno sottolineato che alla base del superamento del "dogma della fattispecie" sta l'esigenza di tutelare i preminenti interessi generali della collettivita', che la norma imperativa intende tutelare. Si e' detto, dunque, ed il principio e' stato poi ribadito da Cass. S.U. 16 novembre 2022 n. 33719, che "pur nel polimorfismo che caratterizza la nozione di nullita' negoziale, un elemento accomunante nella evoluzione giurisprudenziale si coglie nella tendenza attuale a utilizzare tale nozione - e quella di norma imperativa - come strumento di reazione dell'ordinamento rispetto alle forme di programmazione negoziale lesive di valori giuridici fondamentali", con la conseguenza che, come gia' avvertito da Cass. S.U. n. 26724 del 2007, ai fini dell'accertamento sulla sussistenza o meno della nullita' e sul carattere imperativo della norma, non sempre e' decisiva la tradizionale distinzione fra norme di comportamento e norme di validita', giacche' non di rado la tutela di interessi generali e fondamentali e' assicurata da disposizioni che non attengono al contenuto del regolamento contrattuale, bensi' riguardano elementi esterni al negozio. E' stato, quindi, affermato che e' ravvisabile la nullita' del contratto in tutti i casi in cui lo stesso, pur formalmente rispondente al tipo legale quanto ai requisiti richiesti dall'articolo 1325 c.c., "e' stato stipulato in situazioni che lo avrebbero dovuto impedire", evenienza, questa, che si verifica ogniqualvolta il legislatore faccia divieto di concludere il negozio o richieda la presenza di condizioni soggettive o oggettive per la sua stipulazione. 22.1. La tesi gia' accolta da queste Sezioni Unite, che deve essere qui ribadita, valorizza, dunque, i limiti posti dal legislatore all'esercizio del potere di autonomia dei privati e prospetta una ricostruzione dell'invalidita' che tiene conto delle indicazioni che si traggono dall'articolo 41 Cost., secondo cui l'iniziativa economica privata, pur libera, non puo' svolgersi in contrasto con l'utilita' sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana. In quest'ottica sono da ricondurre alle norme imperative, che determinano nullita' ex articolo 1418 c.c., comma 1, oltre a quelle che fanno divieto assoluto di stipulazione del contratto, anche le disposizioni che, pur fissando apparentemente un obbligo di comportamento esterno alla fattispecie negoziale in senso stretto, limitano il potere di autonomia contrattuale e ne consentono l'esplicazione solo in presenza delle condizioni richieste, sempre che quest'ultime rispondano ad interessi pubblici fondamentali rispetto ai quali, secondo il bilanciamento operato dal legislatore, l'autonomia del singolo viene ad essere subvalente. 22.2. Queste Sezioni Unite non hanno mancato di sottolineare, ed il principio deve essere qui ribadito, che l'applicazione dell'articolo 1418 c.c., comma 1, in presenza di norma ritenuta imperativa in ragione degli interessi pubblici che la stessa tutela, non apre la strada alla discrezionalita' del giudice nell'individuazione di nuove ipotesi di nullita'. Occorre, infatti, che la norma abbia un contenuto specifico, preciso ed individuato; che la stessa non preveda specificamente altra sanzione per la sua violazione; che il giudizio sulla natura imperativa e sugli interessi che la disposizione mira ad assicurare venga espresso senza mai trascurare che il bilanciamento fra gli opposti interessi in gioco e' riservato al legislatore, il cui silenzio quanto alla sanzione, seppure non decisivo, non puo' essere ritenuto irrilevante e va sempre apprezzato dall'interprete. 23. Applicando detti principi alla fattispecie che qui viene in rilievo si deve affermare che e' affetto da nullita' ex articolo 1418 c.c., comma 1 il rapporto di lavoro a tempo indeterminato instaurato dalla fondazione lirico sinfonica in violazione dei divieti di assunzione imposti dalla normativa vigente ratione temporis o in assenza delle prescritte procedure selettive pubbliche richieste per la scelta del contraente. Si e' in presenza, infatti, di norme inderogabili, di contenuto specifico e ben individuato, imperative perche' dettate a tutela di interessi di carattere generale, non dissimili da quelli la cui realizzazione e' imposta alle amministrazioni pubbliche dall'articolo 97 Cost. e dalle disposizioni dettate per l'impiego pubblico contrattualizzato dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001. 23.1. Si e' gia' detto della particolare connotazione che le fondazioni liriche sinfoniche hanno in ragione delle finalita' alle stesse imposte dal legislatore delegato che, con il Decreto Legislativo n. 367 del 1996, articolo 3 ha indicato quale scopo quello, non di lucro, della diffusione dell'arte musicale, della formazione professionale dei quadri artistici e dell'educazione musicale della collettivita'. La presenza di un preminente interesse generale giustifica i limiti posti all'autonomia statutaria e gestionale delle fondazioni medesime, quali: la sottoposizione degli statuti al potere di approvazione del Ministero; la vigilanza da parte di quest'ultimo; il controllo della Corte dei Conti; l'obbligatorieta' delle procedure di risanamento del deficit disciplinate dal Decreto Legge n. 91 del 2013. Il Decreto Legislativo n. 376 del 1996 annovera lo Stato, le Regioni e i Comuni tra i soci di diritto della fondazione, dagli stessi finanziata in via prevalente attraverso il Fondo Unico per lo spettacolo ed i contributi locali; pone limiti alla partecipazione di fondatori privati, il cui contributo non puo' superare il 40% del patrimonio; stabilisce la necessaria rappresentanza in seno all'organo deliberativo dello Stato e della Regione, a prescindere dall'ammontare dei contributi dagli stessi versati; assegna la presidenza della fondazione al Sindaco del luogo dove ha sede l'ente. Si tratta di indici di una persistente rilevanza di tipo pubblicistico che hanno indotto la dottrina a ritenere l'intervenuta privatizzazione piu' formale che sostanziale e che sono stati valorizzati dalla Corte costituzionale nell'affermare che "la dimensione unitaria dell'interesse pubblico perseguito, nonche' il riconoscimento della "missione" di tutela dei valori costituzionalmente protetti dello sviluppo della cultura e della salvaguardia del patrimonio storico e artistico italiano, confermano, sul versante operativo, che le attivita' svolte dalle fondazioni lirico-sinfoniche sono riferibili allo Stato ed impongono, dunque, che sia il legislatore statale, legittimato dall'articolo 117 Cost., comma 2, lettera g) a ridisegnarne il quadro ordinamentale e l'impianto organizzativo." (Corte Cost. 21 aprile 2011 n. 153). Il limite posto alle facolta' assunzionali delle fondazioni e gli stringenti obblighi fissati in tema di determinazione delle dotazioni organiche disvelano un approccio di tipo pubblicistico alla questione del contenimento della spesa per il personale, reso necessario dalla situazione deficitaria delle fondazioni, tanto che i commentatori della normativa snodatasi nel tempo non hanno esitato nel definire anomala la disciplina che, pur a fronte dell'intervenuta attribuzione della personalita' giuridica di diritto privato, assegna al Ministero vigilante un penetrante potere di intervento, anche attraverso la riserva a quest'ultimo del potere di autorizzazione, in deroga, di nuove assunzioni. A fronte degli interessi di carattere generale che costituiscono il substrato e la ratio degli interventi normativi, non si puo', dunque, ritenere che le conseguenze della violazione del divieto di assunzione debbano rimanere circoscritte alla responsabilita' gestionale e contabile degli amministratori che quelle assunzioni hanno disposto perche', come gia' evidenziato da Cass. S.U. n. 26704 del 2007 " se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, e' la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullita' dell'atto per ragioni - se cosi' puo' dirsi - ancor piu' radicali di quelle dipendenti dalla contrarieta' a norma imperativa del contenuto dell'atto medesimo". 23.2. Analoghe considerazioni vanno espresse quanto all'obbligo imposto alle fondazioni di effettuare il reclutamento solo previo esperimento di procedure selettive pubbliche. Quell'obbligo, che come per le societa' controllate si lega al ruolo che in seno al soggetto privato svolge l'ente pubblico che ne assume il controllo o la vigilanza, si prefigge lo scopo di assicurare che le pubbliche amministrazioni agiscano nel rispetto dei principi indicati dall'articolo 97 Cost., anche allorquando il perseguimento degli interessi pubblici, che giustificano la partecipazione maggioritaria e di controllo alla persona giuridica di diritto privato, venga realizzato non direttamente dall'ente, ma per il tramite di un soggetto privato. Non a caso la Corte Costituzionale ha ritenuto (per le societa' a controllo pubblico ma sviluppando considerazioni che possono valere anche nella fattispecie) che i criteri di trasparenza, pubblicita' e imparzialita' per il reclutamento di personale debbano venire in rilievo anche rispetto all'agire delle pubbliche amministrazioni per mezzo di soggetti privati dalle stesse controllati (Corte Cost. n. 3 marzo 2011 n. 68). D'altro canto se, come gia' affermato da Cass. S.U. n. 33719 del 2022, il silenzio serbato dal legislatore sul vizio derivante dalla violazione della norma inderogabile va apprezzato dall'interprete e puo' essere indice del carattere non imperativo della disposizione, correlativamente si deve ritenere che qualora, a fronte di diversi orientamenti espressi sulla natura della norma e sulle conseguenze della sua violazione, il legislatore intervenga e sancisca la nullita' del contratto, quell'intervento, seppure successivo, deve orientare nella valutazione sul carattere imperativo o meno della disposizione che gia' in precedenza imponeva il medesimo requisito. Nella specie la sanzione della nullita' conseguente alla violazione delle procedure di reclutamento e' contenuta nel Decreto Legislativo n. 367 del 1996, articolo 22, comma 2 bis, come riformulato dal Decreto Legge n. 59 del 2019, e cio' conferma l'imperativita' del Decreto Legge n. 91 del 2013, articolo 11, comma 19, che l'ordinanza interlocutoria, sostanzialmente, prospetta. 24. Venendo alle conseguenze di quanto si e' sin qui detto sulla sorte dei rapporti a termine con clausola di durata affetta da nullita', ritengono le Sezioni Unite che il contrasto, fra i principi che sorreggono le decisioni, denunciato nell'ordinanza interlocutoria, debba essere risolto con l'affermazione della prevalenza delle disposizioni settoriali che vietano in assoluto l'instaurazione di rapporti a tempo indeterminato o ne consentono la stipula solo in presenza di requisiti oggettivi e soggettivi imperativamente richiesti dal legislatore. Quelle disposizioni, infatti, quanto agli effetti che producono sulla validita' del contratto, non possono restare circoscritte, come sostenuto dalla difesa del ricorrente anche nel corso della discussione orale, ai soli rapporti instaurati ab origine a tempo indeterminato, perche' la tesi predicata, che fa leva sul preteso diritto soggettivo alla conversione, finisce per ipotizzare che sia possibile che si produca, in conseguenza della sentenza accertativa della nullita' della clausola di durata, un effetto espressamente vietato dal legislatore. Si e' gia' richiamato al punto 21 il percorso argomentativo che la Sezione Lavoro, a partire da Cass. n. 12985/2008, ha seguito per affermare che, pur in difetto di una espressa previsione, nella vigenza del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, la nullita' originaria della clausola di durata, resta circoscritta a quest'ultima, con la conseguenza di determinare l'instaurazione fra le parti di un rapporto a tempo indeterminato. Quell'orientamento, consolidato nella giurisprudenza della Sezione Lavoro, valorizza il principio di carattere generale secondo cui il rapporto di lavoro si intende nella normalita' stipulato a tempo indeterminato, sicche' non puo' trovare applicazione nei casi in cui, per effetto di disposizioni speciali settoriali, la conclusione del rapporto a tempo indeterminato sia impedita in assoluto o sia subordinata alla ricorrenza di specifiche condizioni, imposte da norme imperative. Sia la conversione disciplinata dall'articolo 1424 c.c. sia quella, connotata da specialita', che tale si e' soliti definire in ambito lavoristico, presuppongono che l'atto posto in essere possa validamente produrre gli effetti di altro contratto, sicche' la stessa non puo' operare qualora quest'ultimo, a sua volta, si riveli affetto da nullita'. In tali casi, quindi, si e' in presenza di un contratto di lavoro nullo, rispetto al quale le tutele, sul piano del diritto interno, sono solo quelle assicurate dall'articolo 2126 c.c.. 24.1. Analoghe considerazioni vanno espresse in ordine alle conseguenze della violazione del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 3. La sostituzione automatica della clausola di durata ex articolo 1339 c.c. e la nullita' parziale ex articolo 1419 c.c., comma 2, alle quali fanno riferimento le pronunce richiamate al punto 6.2, in tanto possono dare luogo all'instaurazione di un valido rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in quanto quest'ultima sia consentita dall'ordinamento, sicche', operata la sostituzione della clausola, occorre comunque valutare la validita' del contratto risultante all'esito della stessa. 25. Ne' si puo' sostenere che la conversione del rapporto a termine dovrebbe necessariamente derivare dalla necessaria conformazione al diritto dell'Unione ed in particolare alla clausola 5 dell'Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE. Precisato, in premessa, che la richiamata clausola viene in rilievo nei soli casi in cui si sia in presenza di una reiterazione abusiva del contratto, va detto che la Corte di Giustizia nella decisione del 25 ottobre 2018, in causa C-331/17, ha ribadito, ai punti 59 e 60 della motivazione, l'interpretazione consolidata secondo cui "la clausola 5, punto 2, dell'accordo quadro lascia, in linea di principio, agli Stati membri la cura di determinare a quali condizioni i contratti o i rapporti di lavoro a tempo determinato vadano considerati come conclusi a tempo indeterminato. Da cio' discende che l'accordo quadro non prescrive le condizioni in presenza delle quali si puo' fare uso dei contratti a tempo determinato (sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, EU:C:2014:2401, punto 80, nonche' ordinanza dell'11 dicembre 2014, Leon Medialdea, C-86/14, non pubblicata, EU:C:2014:2447, punto 47).... Tuttavia, affinche' una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che vieta, nel settore delle fondazioni lirico-sinfoniche, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all'accordo quadro, l'ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un'altra misura effettiva per evitare, ed eventualmente sanzionare, l'utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato (v., per analogia, sentenze del 14 settembre 2016, Martinez Andre's e Castrejana Lopez, C-184/15 e C-197/15, EU:C:2016:680, punto 41, nonche' del 7 marzo 2018, Santoro, C-494/16, EU:C:2018:166, punto 34).". Ha, conseguentemente, ritenuto non conforme al diritto dell'Unione la richiamata normativa sul presupposto che, una volta esclusa la conversione, l'ordinamento nazionale non assicurerebbe alcuna misura idonea a sanzionare l'abuso (punto 62 ove si legge: " Ne deriva che l'ordinamento giuridico italiano non comprende, nel settore delle fondazioni lirico-sinfoniche, nessuna misura effettiva, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 60 della presente sentenza, che sanzioni l'utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato, e cio' sebbene il personale di tale settore, contrariamente ai lavoratori di cui trattasi nella causa che ha condotto alla sentenza del 7 marzo 2018, Santoro (C-494/16, EU:C:2018:166, punti 35 e 36), non abbia diritto all'attribuzione di un'indennita' ai fini del risarcimento del danno subito"). 25.1. In realta' la misura rimediale del risarcimento del danno e' riconosciuta dall'ordinamento nazionale in ogni ipotesi di responsabilita' contrattuale o extracontrattuale ed anche qualora venga in rilievo un contratto invalido (articolo 1338 c.c.). Il Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, applicabile alle Pubbliche Amministrazioni, nella parte in cui prescrive che "il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di norme imperative" (disposizione, questa, integralmente ripresa per i dipendenti delle fondazioni lirico sinfoniche dal Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 29, comma 3 ter, come modificato dal Decreto Legge n. 59 del 2019) e' specificazione di un principio di carattere generale, sicche' gli argomenti sulla base dei quali queste Sezioni Unite, con sentenza n. 5072 del 15 marzo 2016, hanno ritenuto necessaria, a fronte della legittima previsione della non convertibilita' dei rapporti a termine, un'agevolazione probatoria che conduca al riconoscimento ed alla liquidazione del "danno comunitario", necessari, in caso di reiterazione abusiva del contratto a tempo determinato, per conformare il diritto interno a quello dell'Unione, possono essere estesi anche alle fattispecie nelle quali la conversione, per la qualita' soggettiva del datore di lavoro e per la natura del rapporto del quale si discute, sia impedita da norme diverse dall'articolo 36 del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, che nulla di specifico prevedano quanto alla pretesa risarcitoria. Merita condivisione l'orientamento espresso in tal senso dalla Sezione Lavoro (cfr. fra le tante Cass. 22 febbraio 2017 n. 4631; Cass. 26 febbraio 2020 n. 12876; Cass. 15 settembre 2020 n. 25625; Cass. 22 marzo 2022 n. 9372) secondo cui anche in caso di inapplicabilita' del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, le norme di diritto interno che disciplinano il risarcimento del danno vanno interpretate in conformita' al canone di effettivita' della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C50/13), sicche', mentre va escluso - siccome incongruo - il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, puo' farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5 (ora Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articolo 28) quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come "danno comunitario", determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto. La Corte di Lussemburgo, chiamata a pronunciare sulla conformita' al diritto dell'Unione, del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 36, come interpretato da queste Sezioni Unite, ha evidenziato che "la clausola 5 dell'accordo quadro dev'essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un'indennita' volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensi', dall'altro, prevede la concessione di un'indennita' compresa tra 2,5 e 12 mensilita' dell'ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilita', per quest'ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno" anche facendo ricorso, quanto alla prova, a presunzioni (Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C - 494/16 Santoro). Il riconoscimento del "danno comunitario", nei termini sopra indicati, comporta, dunque, la piena conformazione del diritto interno a quello unionale. 25.2. Infine va escluso che la ritenuta non convertibilita' dei rapporti a termine stipulati dalle fondazioni lirico sinfoniche possa essere ritenuta discriminatoria rispetto ai lavoratori dipendenti di datori di lavoro privati, ai quali l'ordinamento assicura la conversione del rapporto stesso, oltre all'indennita' onnicomprensiva prevista dalle disposizioni richiamate nel punto che precede. Bastera' al riguardo richiamare quanto sopra si e' detto circa la natura peculiare dei rapporti dei quali qui si discute, che si correla agli interessi di natura pubblica che permangono anche all'esito della trasformazione delle fondazioni in soggetti di diritto privato e che ab origine ha giustificato la disciplina settoriale dettata dal legislatore. Detti rapporti non sono, dunque, comparabili con quelli alle dipendenze degli altri datori di lavoro privati e, rispetto al tema che qui viene in rilievo, presentano, piuttosto, profili di affinita' al rapporto di impiego pubblico contrattualizzato, in relazione al quale la diversita' di tutela rispetto al settore privato non e' stata ritenuta ne' discriminatoria ne' in contrasto con i principi dettati dalla richiamata direttiva 1979/70/CE. Il primo motivo del ricorso principale e' dunque infondato perche' la Corte territoriale, esclusa la possibilita' di conversione del rapporto, impedita dal divieto vigente ratione temporis al momento della conclusione dei contratti, ha gia' liquidato l'indennita' onnicomprensiva prevista dalla L. n. 183 del 2010, articolo 32 ed il capo della decisione non e' stato oggetto di impugnazione. 26. E' infondato anche il terzo motivo. In tema di compensazione delle spese di lite il sindacato della Corte di legittimita' e' limitato alla verifica della conformita' della pronuncia rispetto alla disciplina di legge e, pertanto, ove le ragioni indicate siano riconducibili sul piano astratto ad una delle ipotesi nelle quali la compensazione medesima e' consentita, il sindacato si arresta e non puo' estendersi anche alla valutazione della ricorrenza in concreto delle ragioni addotte, salva l'ipotesi in cui la motivazione indicata risulti all'evidenza smentita dal tenore stesso della decisione si' da risolversi in un'enunciazione astratta ed in una motivazione solo apparente. Nel caso di specie la Corte territoriale ha tenuto conto "delle difficolta' interpretative sottese alla normativa che regola la materia, delle novita' legislative e giurisprudenziali", affermazione, questa, che va letta alla luce della complessa motivazione sulla disciplina settoriale, valutata e interpretata per escludere la fondatezza della domanda di conversione del rapporto. Non si ravvisa, pertanto, la denunciata violazione dell'articolo 92 c.p.c., nel testo risultante all'esito delle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009, applicabile alla fattispecie ratione temporis, poiche' il giudizio di primo grado e' stato incardinato nell'anno 2011. Queste Sezioni Unite hanno gia' affermato, ed al principio va data continuita', che la novita' e la complessita' delle questioni giuridiche trattate costituiscono ragione idonea a giustificare la pronuncia di compensazione e vanno valutate con riferimento al momento in cui la lite e' stata introdotta (Cass. S.U. 22 febbraio 2012 n. 2572). Ne discende l'evidente infondatezza della censura perche', anche a voler circoscrivere la valutazione alla sola questione inerente alle conseguenze del mancato deposito del documento di valutazione dei rischi, e' con la pronuncia del gennaio 2012, intervenuta, quindi, in corso di causa, che questa Corte si e' pronunciata sugli effetti derivanti dalla violazione del divieto di cui al Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 3. Va, poi, aggiunto, che la domanda proposta dal (OMISSIS) non e' stata integralmente accolta dalla Corte d'appello e che obiettivamente controversa era la questione inerente alla possibilita' di ritenere validamente instaurato fra le parti un rapporto a tempo indeterminato. 27. In via conclusiva devono essere rigettate entrambe le impugnazioni, con conseguente compensazione delle spese del giudizio di legittimita', in ragione della soccombenza reciproca. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 13, comma 1 quater, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente principale e dalla ricorrente incidentale. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese del giudizio di legittimita'. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da' atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per l'incidentale, a norma del cit. articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere Dott. BELMONTE Maria T. - rel. Consigliere Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. CANANZI Francesco - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 29/06/2021 della CORTE di APPELLO di CALTANISSETTA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Maria Teresa BELMONTE; Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale, Dr. Serrao d'Aquino Pasquale, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi. Letta la memoria dell'avvocato (OMISSIS), nell'interesse della parte civile (OMISSIS), che conclude per il rigetto del ricorso, chiedendo la liquidazione delle spese, come da nota spese allegata. Letta la memoria dell'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che insiste nei motivi di ricorso e conclude per l'accoglimento. Letta la memoria dell'avvocato (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), che insiste nei motivi di ricorso e conclude per l'accoglimento. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata, emessa il 29/06/2021, la Corte di appello di Caltanissetta, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Enna - che aveva dichiarato (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli del reato di diffamazione aggravata ai sensi dell'articolo 595 c.p., comma 2 e 3 a ciascuno rispettivamente ascritto, per avere offeso la reputazione di (OMISSIS), condannando ciascuno alla pena di Euro 600 di multa, e al risarcimento dei danni equitativamente determinati in Euro 12.000 cadauno, - ha revocato le statuizioni civili relative alla quantificazione equitativa del danno, rimettendo le parti dinanzi al Giudice civile per la determinazione, confermando nel resto la sentenza di primo grado. 1.1. In particolare, ad (OMISSIS) e' contestato di avere reso dichiarazioni, pubblicate su diversi quotidiani nonche' sul proprio profilo facebook, offensive della reputazione di (OMISSIS), affermando, contrariamente al vero, che lo stesso "avesse effettuato farneticazioni e che avesse chiesto personalmente voti, in occasione della campagna elettorale ennese, nella centrale via Roma, e con la scorta al seguito" (capo A); mentre a (OMISSIS) e' contestato di avere postato un commento sul profilo facebook di (OMISSIS), con cui affermava, contrariamente al vero, che (OMISSIS) avesse "affidato incarichi legali esterni all'IRSAP contra legem, laddove faceva riferimento alla "condotta del geom. (OMISSIS) nell'affidare incarichi legali all'IRSAP esterni e soprattutto concentrati solo su alcuni Avvocati di stretta conoscenza"(capo B); fatti entrambi aggravati ai sensi dell'articolo 595 c.p., commi 2 e 3. 2. Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, per il tramite del rispettivo difensore di fiducia. 2.1. Nell'interesse di (OMISSIS) il difensore, avvocato (OMISSIS), svolge due motivi. 2.1.1. Con il primo, denuncia violazione dell'articolo 525 c.p.p., comma 2 rilevando che, nella intestazione della sentenza impugnata, sono indicati, quali componenti del collegio decidente, magistrati diversi da quelli risultanti dal verbale dell'udienza del 29 giugno 2021. 2.1.2. Con il secondo motivo, e' denunciata violazione degli articoli 595 e 51 c.p.. sostenendosi l'inoffensivita' della condotta del ricorrente, non emergendo il carattere denigratorio delle frasi incriminate, in relazione al contesto politico nel cui ambito si inseriva il "botta e risposta" tra antagonisti politici, l'on. (OMISSIS), deputato della Regione Sicilia, e la p.o. (OMISSIS), presidente dell'Irsap (ente pubblico regionale), incarico di nomina politica, essendo avvenuti i fatti durante la campagna elettorale per il rinnovo del consiglio comunale di (OMISSIS). Si segnala come l'espressione "rispetto alle farneticazioni del geom. (OMISSIS)" costituisse una replica a quanto affermato dal (OMISSIS) il (OMISSIS) in un comunicato stampa pubblicato sul giornale "(OMISSIS)". I fatti sono, dunque, sussumibili nel diritto di critica politica, di cui ricorrono tutti i presupposti, di verita', pertinenza, continenza, per come elaborati dalla giurisprudenza. 2.2. Nell'interesse di (OMISSIS), il difensore, avvocato (OMISSIS), svolge tre motivi. 2.2.1. Posto che al (OMISSIS) e' contestato di avere postato un commento sul profilo Facebook di (OMISSIS), con cui affermava, contrariamente al vero, che (OMISSIS) "avesse affidato incarichi legali esterni all'IRSAP contra legem", con il primo motivo, denuncia travisamento della prova circa la riconducibilita' del post incriminato all'odierno ricorrente, in assenza di accertamenti sull'indirizzo I.P. utilizzato per la pubblicazione del commento sul profilo Facebook di (OMISSIS), onde potere risalire con certezza alla attribuzione del commento all'imputato, che ne contesta la titolarita'. Ci si duole, inoltre, che la documentazione attestante la diffamazione sia stata prodotta su semplice stampa di carta. In ogni caso, mancherebbe l'offensivita' della condotta, in quanto non vi e' la attribuzione di una condotta contra legem, essendosi limitato il ricorrente a un generico riferimento "agli incarichi...soprattutto concentrati solo su alcuni avvocati di stretta conoscenza". D'altro canto, mancherebbe il requisito della comunicazione con piu' persone, atteso che il ricorrente si e' limitato a condividere un commento con il titolare della bacheca facebook, non potendo rispondere della altrui diffusione. In assenza di movente, si lamenta la decontestualizzazione della condotta rispetto alla competizione politica in corso. 2.2.2. Con il secondo motivo, si lamenta l'eccessiva severita' del trattamento sanzionatorio, essendo stata inflitta al (OMISSIS) la stessa pena dell' (OMISSIS), pur nell'evidente marginalita' del ruolo. 2.2.3. Con il terzo motivo si enuncia violazione dell'articolo 131 bis c.p., in presenza di persona incensurata, e di un fatto tenue. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono fondati, ricorrendo, nel caso in scrutinio, condotte scriminate ai sensi dell'articolo 51 c.p., in quanto rientranti nell'ambito del diritto di critica. 2. In primo luogo, e' manifestamente infondato il primo motivo del ricorso nell'interesse di (OMISSIS), dovendo darsi prevalenza al contenuto del verbale di udienza rispetto all'intestazione della sentenza, in caso di difformita' dei nominativi degli imputati, purche' - come e' nel caso di specie - i sottoscrittori della sentenza coincidano con i giudici che, secondo quanto risultante dal verbale, hanno deliberato. Trattasi, infatti, in tal caso, non di una nullita' assoluta ma di un mero errore materiale nella intestazione della sentenza e di una semplice irregolarita' formale, in quanto la reale situazione trova incontestabile riscontro e documentazione nelle risultanze del verbale del dibattimento (Sez. 3, n. 556 del 06/02/1996, Rv. 204707; conf. Sez. 2, n. 32991 del 24/06/2011, Rv. 251350; Sez. 5, n. 2809 del 12/11/2014 (dep. 2015) Rv. 262587). 3.E' parimenti infondata la doglianza nell'interesse di (OMISSIS), circa l'insufficienza probatoria della riconducibilita' del post all'imputato, dal momento che la Corte di appello ha ben illustrato (pg. 4 della sentenza) le ragioni che, sul piano logico, pur senza avere svolto accertamenti tecnici, conducono a ritenere che il commento in questione sia riconducibile al (OMISSIS). 4. Quanto al merito dei fatti, per come accertato dai giudici di merito, essi traggono origine dalle pubblicazioni da parte del Deputato regionale (OMISSIS), nei giorni 3 e (OMISSIS), su alcune testate giornalistiche siciliane, anche pubblicate online, nonche' sul proprio profilo facebook, le affermazioni gia' innanzi richiamate. Emerge, inoltre, anche per quanto dichiarato dallo stesso denunciante, che: (OMISSIS) era stato sostituito, nell'incarico di Dirigente generale dell' (OMISSIS), - a seguito di commissariamento dell'ente pubblico, correlato a vizi di gestione, - da (OMISSIS), nominato commissario straordinario; che lo stesso (OMISSIS), durante il periodo del Commissariamento aveva inviato plurime segnalazioni riguardanti la cattiva gestione della cosa pubblica da parte del suo predecessore; che, a seguito del rinvio a giudizio disposto nei confronti di (OMISSIS) per il reato di abuso di ufficio, questi rese le dichiarazioni incriminate alla stampa, in cui sottolineava di essere stato rinviato a giudizio, pur a fronte di una quantita' enorme di segnalazioni a suo carico, da parte del (OMISSIS), solo per quell'unico reato di cui all'articolo 323 c.p.; che, invece, secondo il (OMISSIS), si tratterebbe di affermazione non veritiera, dal momento che, presso la competente Procura della Repubblica erano in corso altre indagini per fatti analoghi, oltre a un giudizio per diffamazione, a carico di (OMISSIS). Secondo la parte civile, sarebbe falsa anche l'affermazione relativa alla passeggiata sul corso principale di (OMISSIS), a braccetto con una candidata, che il (OMISSIS) avrebbe effettuato il venerdi' precedente le elezioni comunali del 2015, perche' quel giorno egli si reco' a Caltagirone, ove ha sede l'Ufficio periferico dell'IRSAP per un incontro con gli industriali di quella localita', mentre giunse a (OMISSIS) e passeggio' da libero cittadino, a campagna elettorale chiusa, solo il sabato mattina, insieme alla sua amica, di cui ricorreva il compleanno. Neppure sarebbero giustificate le "farneticazioni" attribuite dall' (OMISSIS) al (OMISSIS), giacche' la questione della mala gestio dell'ente pubblico, dalla cui gestione l' (OMISSIS) era stato sollevato, era stata rilevata in provvedimenti del giudice amministrativo e dal Pubblico Ministero nella richiesta di archiviazione formulata in favore del denunciante, per fatti denunciati da (OMISSIS) l'8.8.2013. Sarebbe, inoltre, falso quanto dichiarato nel post di commento del (OMISSIS), circa i favoritismi del (OMISSIS) nelle nomine dell' (OMISSIS), durante la sua gestione, in quanto esse seguivano una predeterminata prassi, con intervento della persona offesa solo al momento della firma. In sostanza, nell'ottica del querelante, condivisa dai giudici di merito, la condotta degli imputati, volta a discreditare e delegittimare il (OMISSIS) davanti alla collettivita', denigrandone l'operato e l'attivita' zelante di denuncia delle gravi irregolarita' che riscontrava nei ruoli ricoperti dal 2009, sarebbero state originate dal rancore nutrito dall' (OMISSIS) nei confronti del (OMISSIS) sin dal 2009, quando aveva avviato il procedimento per la revoca del suo incarico di direttore generale del consorzio (OMISSIS) di (OMISSIS), nonche' dal timore che, dall'estesa e concreta azione di contrasto alle illegalita' nell'ambito della gestione del Consorzio, ove l' (OMISSIS) aveva ricoperti, per diversi anni, il ruolo gestionale di vertice (cfr. sentenza di primo grado pg. 14). 5. Cosi' ricostruiti i fatti, risultano manifestamente infondati i motivi, formulati nell'interesse di entrambi i ricorrenti, con i quali si invoca l'inoffensivita' del fatto, per l'insussistenza dell'offesa. Il carattere denigratorio delle affermazioni incriminate emerge, invece, ictu oculi dall'imputazione: sia laddove si attribuiscono alla p.o. "farneticazioni", sia quando lo si addita come un pubblico funzionario incline a favoritismi nel conferimento di incarichi professionali e, piu' in generale, a una strumentalizzazione privatistica della cosa pubblica. 5.1. Va, prima, ricordato, che, secondo incontrastato orientamento di legittimita', in materia di diffamazione, la Corte di cassazione puo' conoscere e valutare la frase che si assume lesiva della altrui reputazione perche' e' compito del giudice di legittimita' procedere, in primo luogo, a considerare la sussistenza o meno della materialita' della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (ex plurimis, Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005 (dep. 2006) Rv. 233749; Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Rv. 256706; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014 Rv. 261284; Sez. 5 n. 2473 del 10/10/2019 (dep. 2020) Rv. 278145). 5.2.Tanto premesso, si osserva che il (OMISSIS) "farneticazione" indica vaneggiamento e delirio, rimandando, quindi, all'assenza di controllo razionale nell'eloquio. Quanto all'indicazione del (OMISSIS) come di persona che, nell'espletamento del proprio mandato di Presidente del Consorzio (OMISSIS), avrebbe nominato professionisti di sua conoscenza, la carica offensiva si rinviene nell'accusa di aver conferito un incarico, non nell'interesse dell'amministrazione comunale, venendo meno al dovere di imparzialita'. Detta affermazione, in quanto contenente una censura di carattere morale e giuridico-penale, risulta sicuramente lesiva del credito sociale di un uomo pubblico, con possibili ripercussioni negative sul piano giudiziario, e anche sotto il profilo professionale, dal momento che la presidenza dell' (OMISSIS) e' incarico di nomina politica. Analoghe considerazioni possono farsi quanto alla circostanza, pure riportata nell'imputazione sub a), che la passeggiata a (OMISSIS) fosse avvenuta con la scorta al seguito, evocando l'affermazione l'utilizzo improprio delle risorse personali ed economiche dell'amministrazione pubblica. 6. Sono, invece, fondati, i motivi con i quali si invoca l'esimente del diritto di critica, in maniera assorbente rispetto ai successivi, in ragione del chiaro contesto critico nel quale le espressioni incriminate si sono inserite, giacche', come detto, per un verso, l' (OMISSIS) era un consigliere regionale, mentre il (OMISSIS) ricopriva incarichi pubblici di nomina politica ( (OMISSIS) e (OMISSIS)); dall'altro, la necessaria contestualizzazione delle propalazioni porta a considerare che la disputa si e' svolta pubblicamente tra due esponenti politici o comunque posti al vertice di enti pubblici, peraltro in un periodo prossimo a una competizione elettorale locale, riferendosi, peraltro, le parti a opposti schieramenti politici. In tale ambito va, altresi', considerato che le dichiarazioni pubblicate dall' (OMISSIS) erano una replica alla notizia del rinvio a giudizio diffusa mediante una intervista rilasciata proprio dal (OMISSIS), 6.1. Invero, risultano indiscutibili e indiscussi alcuni dati storici: le dichiarazioni, dell' (OMISSIS) prima e del (OMISSIS) poi, sono intervenute immediatamente dopo la pubblicazione della notizia, a opera del (OMISSIS), del rinvio a giudizio del Deputato regionale (OMISSIS), per il delitto di abuso di ufficio, collegato alla sua precedente attivita' di Presidente dell' (OMISSIS); e' realmente avvenuta la "passeggiata" del (OMISSIS), unitamente a una candidata alle elezioni comunali, lungo il corso principale di (OMISSIS), il giorno prima delle elezioni, in un momento in cui, cioe', e' imposto dalla legge il "silenzio elettorale"; con riguardo all'accusa di favoritismi, la stessa persona offesa si e' limitata a ricostruire l'iter burocratico invalso presso l'amministrazione da lui presieduta, senza smentire che le nomine fossero intervenute in favore di avvocati di sua conoscenza. 6.2. In via generale, in tema di esimenti del diritto di critica e di cronaca, la giurisprudenza di questa Corte si esprime ormai in termini consolidati nell'individuare i requisiti caratterizzanti in 5 quelli a) dell'interesse sociale, b) della continenza del linguaggio e c) della verita' del fatto narrato, e, in tale ottica, ha evocato il parametro della attualita' della notizia: nel senso cioe' che una delle ragioni fondanti della esclusione della antigiuridicita' della condotta lesiva della altrui reputazione e' vista nell'interesse generale alla conoscenza del fatto ossia nella attitudine della notizia a contribuire alla formazione della pubblica opinione, in modo che ognuno possa fare liberamente le proprie scelte, in campi di interesse generale (Sez. 5, n. 39503 del 11/05/2012, Clemente, Rv. 254789; Sez 5 n. 48712 del 26/09/2014, Rv. 261489). 6.3. Con riferimento specifico al diritto di critica politica - che qui rileva - si osserva, nondimeno, che il rispetto della verita' del fatto assume rilievo limitato, necessariamente affievolito rispetto alla diversa incidenza sul versante del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non puo', per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010 -dep. 10/02/2011, Rv. 249239). Tale affermazione trova eco in una nota decisione della Corte Europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU, Sez. 2, 27/11/2012, Mengi v. Turkey, p.49), che distingue tra "giudizi di fatto" e di "valore", laddove, mentre l'esistenza del fatto puo' essere soggetta a prova, il giudizio di valore non puo' esserlo, poiche' la richiesta di dimostrare la verita' di un giudizio di valore determina un evidente effetto dissuasivo sulla liberta' di informare. Il limite immanente all'esercizio del diritto di critica e', pertanto, costituito dal fatto che la questione trattata sia di interesse pubblico e che comunque non si trascenda in gratuiti attacchi personali (Sez. 5, n. 4031 del 30/10/2013 - dep. 29/01/2014, Rv. 258674; Sez. 5, n. 8824 del 01/12/2010 - dep. 07/03/2011, Rv. 250218). Ove il giudice pervenga, attraverso l'esame globale del contesto espositivo, a qualificare quest'ultimo come prevalentemente valutativo, i limiti dell'esimente sono costituiti dalla rilevanza sociale dell'argomento e dalla correttezza di espressione (Sez. 5, n. 2247 del 02/07/2004 (dep. 2005), Rv. 231269; Sez. 1, n. 23805 del 10/06/2005,Rv.231764). Nella liberta' di opinione - che e' configurata dalla CEDU come diritto, non a diffondere informazioni, ma ad esprimere opinioni e a trasmettere idee (articolo 10 par. 1), concetto che e' alla base della distinzione fra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, e che implica il divieto, per il legislatore nazionale, di richiedere la prova della verita' per le affermazioni che consistono in meri giudizi di valore, pur richiedendosi, comunque, che non siano del tutto svincolati da qualsiasi base fattuale - un posto di rilievo e' assegnato alla liberta' di dibattito politico o di pubblico interesse il cui esercizio - che avviene tradizionalmente attraverso il mezzo della stampa, ma oggi anche tramite l'uso degli altri media e di Internet - e' finalizzato a fornire al pubblico un mezzo per scoprire e formarsi un'opinione sulle idee e le attitudini dei rappresentanti politici. In quanto tale, la liberta' di dibattito di questioni di pubblico interesse e' il cuore della democrazia e rispetto ad essa il margine di apprezzamento degli Stati e' ristretto, (ex plurimis, Morice c. Francia (GC), n. 29369/10, § 125, CEDU 2015), vigendo, pertanto, un livello massimo di tutela. Infatti, per assicurare che tale dibattito si svolga il piu' liberamente possibile, la Corte Edu ammette in tale ambito il ricorso ad affermazioni esagerate, provocatorie e persino smodate. La liberta' di espressione esercitata attraverso il mezzo della stampa beneficia del livello massimo di tutela accordata dalla Convenzione perche' al diritto/dovere della stampa di diffondere informazioni e idee corrisponde il diritto del pubblico di riceverle, sebbene anche tale forma di espressione sia subordinata al presupposto che i giornalisti agiscano in buona fede, cioe' senza l'intento di denigrare, sulla base di una verifica delle fonti, al fine di fornire informazioni accurate e affidabili alla stregua dei principi etici del giornalismo. (Rumyana Ivanova c. Bulgaria (36207/03) 14 febbraio 2008,par. 58 ss.; Caso: Travaglio c. Italia (64746/14) 24 gennaio 2017). Va poi tenuto conto della perdita di carica offensiva di alcune espressioni nel contesto politico, in cui la critica assume spesso toni aspri e vibrati e del fatto che la critica puo' assumere forme tanto piu' incisive e penetranti quanto piu' elevata e' la posizione pubblica del destinatario (Sez. 5, n. 27339 del 13/06/2007, Rv. 237260): si intende dire che il livello e l'intensita', pur notevoli, delle censure indirizzate a mo' di critica a coloro che occupano posizioni di tutto rilievo nella vita pubblica, non escludono l'operativita' della scriminante, poiche' nell'ambito politico risulta preminente l'interesse generale al libero svolgimento della vita democratica (Sez. 5, n. 15236 del 28/01/2005, Ferrara, Rv. 232125). Di conseguenza, quanto maggiore e' il potere esercitato, maggiore e' l'esposizione alla critica, perche' chi esercita poteri pubblici deve essere sottoposto ad un rigido controllo sia da parte dell'opposizione politica che dei cittadini (Sez. 5, n. 11662 del 06/02/2007, Rv. 236362.) In sostanza, si ritiene che la nozione di "critica", quale espressione della libera manifestazione del pensiero, ampiamente ammessa dall'elaborazione giurisprudenziale, e che viene in rilievo nella fattispecie scrutinata, rimanda non solo all'area dei rilievi problematici, ma, anche e soprattutto, a quella della disputa e della contrapposizione, oltre che della disapprovazione e del biasimo anche con toni aspri e taglienti, non essendovi limiti astrattamente concepibili all'oggetto della libera manifestazione del pensiero, se non quelli specificamente indicati dal legislatore. I limiti sono rinvenibili, secondo le linee ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, nella difesa dei diritti inviolabili, quale e' quello previsto dall'articolo 2 Cost., onde non e' consentito attribuire ad altri fatti non veri, venendo a mancare, in tale evenienza, la finalizzazione critica dell'espressione, ne' trasmodare nella invettiva gratuita, salvo che la offesa sia necessaria e funzionale alla costruzione del giudizio critico. (Sez. 5 n. 37397 del 24/06/2016, Rv. 267866). A differenza della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, la critica si concretizza nella manifestazione di un'opinione (di un giudizio valutativo). E' vero che essa presuppone in ogni caso un fatto che e' assunto a oggetto o a spunto del discorso critico, ma, come si e' gia' ricordato e vale la pena sottolineare, il giudizio valutativo, in quanto tale, e' diverso dal fatto da cui trae spunto e, a differenza di questo, non puo' pretendersi che sia "obiettivo" e neppure, in linea astratta, "vero" o "falso". La critica postula, insomma, fatti che la giustifichino e cioe', normalmente, un contenuto di veridicita' limitato all'oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse (Sez. 5, n. 13264 del 16/03/2005, non massimata; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, Rv. 221904; Sez. 5, n. 7499 del 14/02/2000, Rv. 216534), ma non puo' pretendersi che si esaurisca in essi. In altri termini, come rimarca la giurisprudenza CEDU, la liberta' di esprimere giudizi critici, cioe' "giudizi di valore", trova il solo, ma invalicabile, limite nella esistenza di un "sufficiente riscontro fattuale" (Corte Edu, sent. del 27.10.2005 caso Wirtshafts-Trend Zeitschriften-Verlags Gmbh c. Austria rie. N. 58547/00, nonche' sent. del 29.11.2005, caso Rodrigues c. Portogallo, ric. N. 75088/01), ma, al fine di valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata, e' sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perche', se la materialita' dei fatti puo' essere provata, l'esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata (Corte EDU, sent. del 1.7.1997 caso Oberschlick c/Austria par. 33). Quanto al requisito della continenza, giova rammentare che essa concerne un aspetto sostanziale e un profilo formale. La continenza sostanziale, o "materiale", attiene alla natura e alla latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione all'interesse pubblico alla comunicazione o al diritto-dovere di denunzia. La continenza sostanziale ha, dunque, riguardo alla quantita' e alla selezione dell'informazione in funzione del tipo di resoconto e dell'utilita'/bisogno sociale a esso. Il requisito della continenza formale, che attiene alle espressioni attraverso le quali si estrinseca il diritto alla libera manifestazione del pensiero, con la parola o qualunque altro mezzo di diffusione, di rilevanza e tutela costituzionali (ex articolo 21 Cost.), postula una forma espositiva corretta della critica - e cioe' astrattamente funzionale alla finalita' di disapprovazione - e che non trasmodi nella gratuita e immotivata aggressione dell'altrui reputazione. D'altro canto, esso non e' incompatibile con l'uso di termini che, pure oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, per non esservi adeguati equivalenti. Nell'ambito di siffatta operazione ermeneutica, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, occorre contestualizzare le espressioni intrinsecamente ingiuriose, ossia valutarle in relazione al contesto spazio - temporale e dialettico nel quale sono state profferite, e verificare se i toni utilizzati dall'agente, pur forti e sferzanti, non risultino meramente gratuiti, ma siano invece pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere (Sez. 5 n. 32027 del 23/03/2018, Rv. 273573). Cosi', si e' ravvisato il requisito della continenza, in relazione a espressioni inquadrate in un "botta e risposta" giornalistico, che tollera limiti piu' ampi alla tutela della reputazione (Sez. 5 n. 4853 del 18/11/2016, Rv. 269093; Sez. 1 n. 36045 del 13/06/2014 Rv. 26112). Compito del giudice e', dunque, di verificare se il negativo giudizio di valore espresso possa essere, in qualche modo, giustificabile nell'ambito di un contesto critico e funzionale all'argomentazione, cosi' da escludere la invettiva personale volta ad aggredire personalmente il destinatario (Sez. 5 n. 31669 del 14/04/2015, Rv. 264442), con espressioni inutilmente umilianti e gravemente infamanti (Sez. 5 n. 15060 del 23/02/2011, Rv. 250174). Il contesto dialettico nel quale si realizza la condotta puo', dunque, essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilita' delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non puo' mai scriminare l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest'ultimo in quanto tale (Sez. 5 n. 37397 del 24/06/2016, Rv. 267866). 6.4. Nell'ambito di tale perimetro valutativo, i giudici della Corte di Appello hanno relegato le espressioni utilizzate dall'imputato nell'area di quelle non dotate di continenza, avendo ravvisato un attacco personale alla dignita' morale e intellettuale della persona offesa, con valutazione che il Collegio non condivide. La Corte territoriale si e', infatti, discostata dalle richiamate coordinate ermeneutiche, configurando un superamento dei limiti del diritto di critica pur in presenza di un discorso critico a contenuto prevalentemente valutativo, sviluppatosi nell'alveo di una polemica intensa e dichiarata su temi di rilevanza sociale - come e' quello ravvisabile nel caso di specie, trattandosi di un confronto tra esponenti politici di diversa area, che attingeva le condotte di pubblici funzionari succedutisi nella amministrazione del medesimo ente pubblico - senza trascendere in attacchi personali, finalizzati all'unico scopo di aggredire la sfera morale altrui, giacche' la critica si e' sviluppata prendendo di mira la condotta di homo publicus della persona offesa, ne' riscontrandosi nelle parole incriminate che il nucleo ed il profilo essenziale dei fatti siano stati strumentalmente travisati e manipolati. In particolare, come si e' gia' ricordato, quando il discorso critico ha una funzione prevalentemente valutativa, non si pone un problema di veridicita' di proposizioni assertive, e i limiti scriminanti del diritto di critica, garantito dall'articolo 21 Cost., sono solo quelli costituiti dalla rilevanza sociale dell'argomento e dalla correttezza di espressione. Sicche', il limite all'esercizio di tale diritto deve intendersi superato solo quando l'agente trascenda in attacchi personali, diretti a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalita' di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato, giacche', in tal caso, l'esercizio del diritto, lungi dal rimanere nell'ambito di una critica misurata e obiettiva, trascende nel campo dell'aggressione alla sfera morale altrui, penalmente protetta. Nella specie, pero', la Corte territoriale si e' discostata dagli illustrati principi e ha erroneamente escluso la sussistenza della scriminante in questione, poiche' non ha contestualizzato gli argomenti oggetto della disputa nell'ambito della polemica nella quale esso si inseriva - giacche' si discuteva della condotta pubblica di due esponenti dell'amministrazione cittadina (l' (OMISSIS) e' infatti un ente pubblico economico). Laddove, invece, la critica portata avanti dagli imputati e' interamente politica, diretta a contrastare le pubbliche e ripetute prese di posizione del (OMISSIS) rispetto alla pregressa gestione dell' (OMISSIS) da parte dell' (OMISSIS), e a porre in luce comportamenti del (OMISSIS) altrettanto discutibili, che, come premesso, sono risultati sostanzialmente veritieri. Non puo' ravvisarsi, cioe', nella condotta degli imputati, la gratuita' e l'idoneita' a esporre allo scherno pubblico il destinatario delle espressioni incriminate, in quanto non dirette alla persona, ma, piuttosto, alla attivita' pubblica posta in essere dal (OMISSIS), qui emergendo i piu' ampi confini che rilevano quando la critica colpisce persona ricoprente una funzione pubblica, peraltro, di vertice, nell'ambito di specifica comunita' territoriale, in base al gia' richiamato principio che, lo democrazia, a maggiori poteri corrispondono maggiori responsabilita' e l'assoggettamento al controllo da parte dei cittadini, esercitabile anche attraverso il diritto di critica. 6.5. Dunque, la critica non fu ne' gratuita ne' esorbitante, essendosi limitata a una censura polemica della condotta della persona offesa, oltre a essersi fondata su una rappresentazione veritiera dei fatti. L'analisi della valenza denigratoria non poteva restare avulsa dalla considerazione del complessivo contesto della vicenda. Il che rende configurabile l'esimente, non essendosi verificato nella vicenda in esame alcun attacco alla sfera personale del (OMISSIS), in quanto - come si e' detto - risulta rispettato il limite della valutazione oggettiva dei comportamenti tenuti dal pubblico amministratore locale, oltre a quello della pertinenza allo specifico tema. 6.6. Va, dunque, affermato che e' scriminata dall'esercizio del diritto di critica politica la condotta, potenzialmente diffamatoria, di diffusione con mezzo di pubblicita' elle notizie di avere cercato voti in campagna elettorale con la scorta al seguito e di favoritismi posti in essere da un amministratore pubblico a vantaggio di professionisti di sua conoscenza, nel conferimento di incarichi pubblici, sempre che dette notizie siano vere, si connotino di pubblico interesse e di continenza formale, non trasmodando la comunicazione in attacchi personali portati direttamente alla sfera privata dell'offeso e non sconfini nella contumelia e nella lesione della reputazione dell'avversario (cfr. Sez. 5, n. 41767 del 21/07/2009, Rv. 245430). 7.L'epilogo del presente scrutinio di legittimita' e' l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non essere i fatti punibili ai sensi dell'articolo 51 c.p..

Ricerca rapida tra migliaia di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Tribunale Milano Tribunale Roma Tribunale Napoli Tribunale Torino Tribunale Palermo Tribunale Bari Tribunale Bergamo Tribunale Brescia Tribunale Cagliari Tribunale Catania Tribunale Chieti Tribunale Cremona Tribunale Firenze Tribunale Forlì Tribunale Benevento Tribunale Verbania Tribunale Cassino Tribunale Ferrara Tribunale Pistoia Tribunale Matera Tribunale Spoleto Tribunale Genova Tribunale La Spezia Tribunale Ivrea Tribunale Siracusa Tribunale Sassari Tribunale Savona Tribunale Lanciano Tribunale Lecce Tribunale Modena Tribunale Potenza Tribunale Avellino Tribunale Velletri Tribunale Monza Tribunale Piacenza Tribunale Pordenone Tribunale Prato Tribunale Reggio Calabria Tribunale Treviso Tribunale Lecco Tribunale Como Tribunale Reggio Emilia Tribunale Foggia Tribunale Messina Tribunale Rieti Tribunale Macerata Tribunale Civitavecchia Tribunale Pavia Tribunale Parma Tribunale Agrigento Tribunale Massa Carrara Tribunale Novara Tribunale Nocera Inferiore Tribunale Busto Arsizio Tribunale Ragusa Tribunale Pisa Tribunale Udine Tribunale Salerno Tribunale Verona Tribunale Venezia Tribunale Rovereto Tribunale Latina Tribunale Vicenza Tribunale Perugia Tribunale Brindisi Tribunale Mantova Tribunale Taranto Tribunale Biella Tribunale Gela Tribunale Caltanissetta Tribunale Teramo Tribunale Nola Tribunale Oristano Tribunale Rovigo Tribunale Tivoli Tribunale Viterbo Tribunale Castrovillari Tribunale Enna Tribunale Cosenza Tribunale Santa Maria Capua Vetere Tribunale Bologna Tribunale Imperia Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto Tribunale Trento Tribunale Ravenna Tribunale Siena Tribunale Alessandria Tribunale Belluno Tribunale Frosinone Tribunale Avezzano Tribunale Padova Tribunale L'Aquila Tribunale Terni Tribunale Crotone Tribunale Trani Tribunale Vibo Valentia Tribunale Sulmona Tribunale Grosseto Tribunale Sondrio Tribunale Catanzaro Tribunale Ancona Tribunale Rimini Tribunale Pesaro Tribunale Locri Tribunale Vasto Tribunale Gorizia Tribunale Patti Tribunale Lucca Tribunale Urbino Tribunale Varese Tribunale Pescara Tribunale Aosta Tribunale Trapani Tribunale Marsala Tribunale Ascoli Piceno Tribunale Termini Imerese Tribunale Ortona Tribunale Lodi Tribunale Trieste Tribunale Campobasso

Un nuovo modo di esercitare la professione

Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.